First time in tour bus and other disasters

di Archangel 06
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1- he has not to be interviewed!!! ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2- I don't want another life ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3- It's my world, it will take you down in a minuit! ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5- I don't think that we'll can have a bit of quiet.... ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6- whew, whatta mess!!!! ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7- i feel helpless like a newborn... ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8- I wish i had a magic wand... ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9- my life is perfect like this... ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1- he has not to be interviewed!!! ***



Mi tormentavo i capelli con nervosismo, aspettando che arrivasse il giornalista della rivista Metal Hammer. Eravamo seduti in giro sulle sedie e sul divano, tutti nervosi allo stesso modo. Solo Janne era calmo, ma accidenti, lui non doveva fare un’intervista! Feci un salto quando il campanello suonò, e mi precipitai ad aprire. Il giornalista era pesantemente infagottato, con una sciarpa avvolta attorno alla faccia e un cappello calcato fino agli occhi. Dopo le presentazioni e i convenevoli di rito, l’intervista cominciò davanti a bicchieri di birra e tazze di caffè.

“Allora, cominciamo subito. Angela, tu e Francesco siete i fondatori del gruppo, esatto?”

“Esatto. Due anni fa, a Rimini. Abbiamo penato come matti per trovare dei session members, perché nessuno voleva unirsi a noi… poi l’anno scorso, magia: Virginia ha abbandonato la collaborazione con una band goth per unirsi a noi, ed Erik si è proposto come bassista.”

“Parliamo del cd… tempo fa Metal Hammer ha recensito il vostro demo: è stato quello il vostro trampolino?”

“Si… è stato grazie a quella recensione se la Spinefarm ci ha contattati” rispose pronto Francesco.

“È il vostro primo tour questo?”

“Si, per tutti e quattro. Inutile dire che siamo esaltati… un tour europeo!! E in compagnia di cinque scoppiati del calibro dei Children…” ridacchiai, mentre Janne mi tirava una “gentile” pacca sulla testa “ahia! Dicevo, in loro compagnia non credo proprio che ci annoieremo…”

L’intervista andò avanti a lungo, non voglio stare qui ad annoiarvi con i particolari. Tuttavia potevo leggere negli occhi del giornalista la curiosità quando il suo sguardo si posava su Janne. Era rimasto zitto tutto il tempo, rigirandosi in mano il bicchiere di birra senza proferire parola. Parlammo del tour imminente dove avremmo fatto da spalla ai Children, dei nostri gusti in fatto di musica, della nostra filosofia… di tutto insomma.

“Un’ultima domanda. Farete tre tappe del tour in Italia: siete felici di tornare nel vostro paese natale?” io, Francesco e Virginia ci guardammo, capendo che la pensavamo esattamente allo stesso modo e che pensavano che fossi io la più indicata ad esprimere il concetto.

“Beh… a dire il vero, non ne siamo esattamente entusiasti. Una tappa prevede anche un parco della città dove siamo nate io e Virginia” evito accuratamente di dire nostra “e probabilmente, a meno di non chiuderci sul tour bus, incontreremo vecchie conoscenze… amici e nemici. Tutti e tre preferiamo la Finlandia come posto…”

ed ecco come promesso l'inizio della seconda storia!! il titolo fa già capire che scoppierà qualche casino...
il capitolo è un po' corto, è vero... mi è venuto così XD perdonatemi

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Capitolo 2
*** Capitolo 2- I don't want another life ***



“Dai, muovetevi, lumaconi!!” gridai, agitando il braccio dallo sportello del bus per incitare Virginia e Erik a muoversi. Eravamo tutti e quattro eccitatissimi, era la prima volta che partivamo in tour… come spalla dei Children, per di più! Non potevamo chiedere di meglio. Salii sul bus, e Janne mi acchiappò facendomi sedere vicino a lui. Il pullman si mise in moto, e partimmo. Non saremmo tornati in Finlandia per diversi mesi… saremmo passati anche per l’Italia, a Milano a Padova e… a Mestre. La mia città natale. La cosa mi procurava una certa apprensione, che però mi guardai bene dal rivelare. Ci fermavamo ogni tre- quattro ore circa. Le prime tre tappe erano in Germania, poi saremmo passati in Italia, poi in Francia, poi saremmo andati in Spagna e infine saremmo tornati in Finlandia per fare le ultime due tappe. Si prospettava una cosa massacrante, ma eravamo tutti troppo eccitati per pensarci.
Durante il viaggio ogni tanto io, Virginia e Francesco componevamo. Ci mettevamo in fondo all’autobus, con una chitarra, un pentagramma vuoto, una matita e una gomma. Quando ci vedevano fare così, gli altri rispettosamente abbassavano la voce. Erik ogni tanto ci aiutava, ma non aveva un gran talento compositivo, ce lo disse chiaramente: lui era un esecutore. Tuttavia apportò dei miglioramenti significativi: aveva molto occhio e orecchio per il dettaglio.
“Io proporrei di abbassare di una settima tutta la scala. Suona troppo vivace così… non è l’effetto che ci serve”

“Che ne dite se come suono della tastiera per questa parte impostiamo l’organo a canne? Da a tutto un’aria più gotica”

“Io ci metterei del doppio pedale, qui un’accelerata consistente, poi torniamo a rallentare…”

“Erik, vieni qui? Abbiamo bisogno di un consiglio!” questi discorsi erano piuttosto frequenti fra di noi. Erik si era integrato alla perfezione nel gruppo. Era molto simpatico, e un bassista di notevole talento… era decisamente un ottimo acquisto per noi, e lui era contentissimo di far parte del nostro gruppo.
L’avevo beccato più di una volta guardare Virginia… e non certo con uno sguardo casto e puro, anzi! Virginia dal canto suo faceva finta di niente, ma non mi ingannava: mi ero accorta che quando si accorgeva che lui la guardava diventava rossa.
"Non sarebbero affatto male come coppia… lui, capelli lunghi e barbetta rosso fuoco, occhi azzurro ghiaccio, un po’ pallido, muscoloso e alto, lei, capelli neri e occhi verdi, di corporatura più mediterranea… niente male, come coppia. Dovrò macchinare qualcosa…"

***

Oramai eravamo in tour da un mese, ma lo strano era che in albergo ci avevamo dormito si e no tre o quattro volte. Janne pareva non farcela più ad avermi a poca distanza e non poter soddisfare i suoi basic instincts, passatemi la battuta… io approfittavo di ogni occasione per stuzzicarlo, mentre lui maledicendomi mi prometteva che non appena ci fossimo installati in un albergo, mi avrebbe insegnato lui a scherzare con un uomo che stava impazzendo di desiderio.

Ora toccava all’Italia. Alla frontiera fra Italia e Austria incontrammo una coda assurda, causata da un incidente fra tir che avevano occupato tutta la carreggiata, e che ci fece perdere quattro ore ed arrivare a Milano in ritardo… per tutto il tempo io, Virginia e Francesco dovevamo stare vicini all’autista, con la radio sintonizzata su Radio 3 per ascoltare gli aggiornamenti sul traffico: dopo svariati giri, riuscimmo finalmente ad imboccare l’autostrada verso Milano. Alleluia! L’arena feste ci aspettava.
“Angieeee ti va una partita a uno?? Qui nessuno vuole…” mi chiese alexi supplicante.

“Ci credo Alexi, vinci sempre tu!! E tutta questa fortuna è anche vagamente sospetta, non trovi?” dissi io, stravaccata sul mio sedile.
“Non insinuerai che io bari, vero??” chiese con aria ferita.
“Ok, vada per la partita” sospirai.
Alexi vinse tre volte di fila. Alla quarta però lo beccai mentre barava, scatenando una zuffa fra me e lui nel corridoio fra le file di sedili.
“Mi hai fatto battere una culata, accidenti a te!!”
“Sei stato tu che hai barato, Alexi!”
“Però potevi andarci piano…”
“Un’altra volta impari!” gli altri se la ridevano ad ascoltare il nostro battibecco.
Alla fine intervennero a separarci, sempre ridendo, prima che ci facessimo male sul serio, anche se non ne avevamo l’intenzione… sempre più spesso mi trovavo a pensare che la vita in tour era stressante, ma grandiosa.
Capivo perfettamente come mai i Children non desiderassero una vita diversa. E non la desideravo nemmeno io. Andava benissimo così.

***

In autogrill presi il cellulare, e aprii la rubrica. Mi fermai indecisa sul primo numero… Alberto. Mio fratello. Con lo sguardo perso nel vuoto, cominciai a perdermi nei ricordi.
“Alberto! È tutta colpa tua, sei stato tu a insegnarle a suonare quella maledetta batteria!”

“Fanculo, papà!! Sai benissimo che non sono stato io a metterle questa idea in testa. È solo quello che vuole lei!”

“Zitto, sai bene che non è così, l’hai traviata!! E tu” aveva aggiunto minaccioso rivolgendosi a lei, che stava uscendo in quel momento dalla porta “Tu, signorina, torna subito qui!! Andrai all’università, come ho stabilito!”
Angela non sapeva come aveva fatto a mantenere la calma. “Certo, pa’. Quando vedrai gli asini volare."
“Io. Farò. Quel. Cazzo. Che. Mi. Pare.” disse prima di chiudere la porta.
“Non ce la farai mai!!” le parole avevano continuato a inseguirla per molto tempo come un nemico di un incubo. “Ce l’ho fatta invece… visto?”

Mi riscossi, e premetti il tasto di chiamata.
“Pronto!! Angie!! Porca puttana, è passata una vita dall’ultima volta che ti sei fatta sentire!!! Come stai??” chiese la voce che aveva risposto dall’altra parte della linea.

“Tutto bene, fratello. Senti… fra quattro giorni io sarò in concerto, al parco di San Giuliano. Ci sarai? Saremo la spalla dei Children of Bodom!” chiesi.

“Ho sentito! Però i biglietti erano soldout ormai, non sono riuscito a comprarne uno…”
“Ma io sono la vip, carissimo… posso procurarti la prima fila senza pagare! Avanti, vieni?”

“Contaci!!” nessuna esitazione. Era troppo tempo che non ci sentivamo.

“Alberto…” cominciai, esitando. Lui capì subito. “Stanno bene. Non parlano mai di te però… gli brucia ancora troppo” disse francamente.
“Lo immagino. Potresti dirgli che sarò in tappa a San Giuliano? ci terrei che lo sapessero.” Sentii un sospiro, e rispose: “Ok… glielo dirò. Ora devo andare… non far passare troppo tempo prima di farti risentire!”


secondo capitolo....
Sweetevil: se sono così veloce ad aggiornare, è perchè ho già tutta la storia scritta ;) la metto giù tutta o quasi prima di postarla, quindi la posto un po' alla volta per avere il tempo di ricontrollare gli altri capitoli mano a mano che vado avanti^^

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Capitolo 3
*** Capitolo 3- It's my world, it will take you down in a minuit! ***



Mi stavo preparando. Mancava un’ora al concerto, e stavo effettuando alcuni esercizi di stretching per le braccia. Con piacere osservai che le braccia e le spalle, ora coperte di tatuaggi, erano aumentate di volume. Indossavo una semplice canottiera, e un paio di pantaloni con varie lacerazioni, il tutto completamente nero. Ai piedi avevo i miei inseparabili anfibi, portati stretti sulla caviglia e aperti sulla gamba… e poi catene e borchie sparse un po’ dappertutto. Agli occhi, matita nera.
“Sei uno schianto” mi disse Janne abbracciandomi da dietro.
“Lo so” risposi con un sorrisetto strafottente.
“Però” continuò lui assumendo un’espressione maliziosa “una scollatura più profonda non ti starebbe male!” esclamò strizzandomi veloce un seno e scansandosi prima che potessi voltarmi per colpirlo.
“Janne Wirman, brutto porco, torna qui!! Userò il tuo cranio come rullante!!!” gridai ridendo, correndogli dietro. Alla fine riuscii ad afferrarlo, e rotolammo per terra ridendo come pazzi. Quando ci rialzammo, mi si avvicinò un uomo della sicurezza, parlandomi in italiano, sapendo che lo capivo perfettamente pur non sapendo che ero italiana naturalizzata finlandese.
“Signorina Liekki, mi scusi… ma all’entrata ci sono due signori che pretendono di parlare con lei… mi hanno chiesto di darle questa, per convincerla” di disse, tendendomi quella che riconobbi subito come una carta di identità della repubblica italiana.
“Che tipi sono?” chiesi.
“Un signore e una signora sulla cinquantina. La donna le somiglia abbastanza” rispose lui, impassibile.
Incuriosita aprii la carta d’identità, e per poco non feci un colpo. Non c’era dubbio. Era la carta di identità di mia madre. Il mio cervello iniziò a lavorare in tutta fretta. Alberto glielo aveva detto, e loro erano venuti li per... per cosa? Per convincermi a tornare a casa? Non aveva senso.
“Signorina Liekki?” la voce dell’uomo della sicurezza mi riscosse. Intanto avevo avuto una buona idea. Gli restituii il documento, chiedendogli di ridarlo alla donna.
“Falli entrare, ma non farli arrivare fino a qui. Portali davanti al palco. Io li raggiungerò li. Ricordati che devono uscire prima che entri la gente… sono sicura che non hanno un biglietto” dissi, correndo via e chiamando a gran voce Francesco e Janne.

“Dov’è lei?” chiese spazientito l’uomo, notevolmente più basso dell’uomo della sicurezza, che era il classico body guard taglia armadio a quattro ante per un metro e novantacinque per centodieci chili di muscoli, pelato, vestito in giacca e cravatta con gli occhiali neri e l’auricolare.

“Sono qui, carissimo!”
l’uomo e la donna si voltarono verso il palco, dove stavano tre persone, ben piantate. Riconobbero subito la ragazza.
“Angela! Come ti sei conciata??” esclamò la madre, inorridita vedendo i tatuaggi sulle braccia.
“Sto bene, grazie, e voi?” rispose lei con tono sarcastico. Si sedette sul bordo del palco, appoggiando i piedi alle transenne che erano a circa un metro di distanza, e facendo cenno all’uomo della sicurezza di allontanarsi. Intanto Janne e Francesco non si erano mossi, stando a braccia conserte e gambe larghe con lo sguardo più truce che riuscivano ad avere… ed era molto, molto truce. Nel caso di Janne, anche molto sexy, anche se dubitava che sua madre pensasse lo stesso.
Con tutta calma lei prese dalla tasca il pacchetto di Winston blu, le più economiche ma comunque le sue preferite, ne trasse una, e la mise in bocca.
“A cosa devo tanto onore?” chiese sarcastica.
“Tu… fumi?” la madre era allibita.
“Dall’inizio del tour ho preso il vizio, sai com’è, lo stress… anche se alle superiori elemosinavo qualche sigaretta ogni tanto” risposi, cercando nelle tasche un accendino. “Janne ei ole, että sinulla olisi kevyempi?” chiesi, ringraziandolo quando mi lanciò il suo.
“Ma non ti vergogni??” esplose il padre. “Guarda come sei conciata, e guarda con che compagnie giri!! Se tu fossi rimasta con noi, ora lavoreresti in una azienda!” alzai un sopracciglio, mentre Francesco aveva sciolto le braccia e stretto i pugni.
“Attento a quello che dici. Cezka l’italiano lo capisce benissimo. Ed è perfettamente in grado di tradurre in finlandese, a beneficio di Janne.” Feci una pausa, inspirando il fumo e sbuffandolo di nuovo. “Comunque, se siete venuti qui a farmi la reprimenda, lasciate stare. Non è proprio il caso… è un concerto importantissimo questo, l'ultima cosa di cui ho bosogno sono turbamenti esterni” dissi, prima di fare un altro tiro.
“Fumi, ti vesti come una barbona… magari ti droghi anche?” disse mia madre disgustata. Intanto Francesco si era messo a parlare rapido con Janne, traducendo dall’italiano al finlandese. A proposito dell’ultima frase Janne gridò incazzatissimo: “kodittomia nainen erittäin seksikäs!” mia madre lo guardò con disprezzo, mentre io ridevo.
“Cosa ha detto quel barbaro?” esclamò disgustata.
“Intanto quel “barbaro” ha un nome e un cognome, e si chiama Janne Wirman. Seconda cosa, è il mio ragazzo” e calcai particolarmente sull’ultima parola “perciò gradirei che gli portassi rispetto. Terzo, visto che Cezka gli sta facendo da traduttore istantaneo, ha detto che sono una barbona molto sexy!” esclamai, godendomi la loro reazione.
Mio padre si stava quasi strozzando per la rabbia.
“Non puoi stare qui! Non è posto per te!”
“Ma battiamo sonoramente i coperchi?? Certo che è posto per me, è il mio posto! Siete voi due che non dovreste essere qui. Io sto qui, e vi sfido a portarmi via, con loro due qui” dissi accennando a Francesco e Janne “e con gli uomini della sicurezza che sono tutti come quello che vi ha accompagnati…” dissi. Francesco e Janne scoppiarono a ridere.
“Come puoi voler vivere… così?” esclamò mia madre disgustata oltremaniera.

“Così come? Famosa, anche se per adesso solo relativamente? Con un ragazzo che molte ragazze vorrebbero uccidermi per scoparselo? Oppure semplicemente libera di fare quel cazzo che mi pare? A me va benissimo così. Vivo in un appartamento che è un buco e dove sembra sempre che sia appena passato un tornado dal disordine che c’è, ma è MIO, non ho praticamente orari o doveri, e ho degli amici e un ragazzo sempre pronti a darmi una mano… in definitiva, posso dire di essere contenta così come sto” dissi, tirando ancora dalla sigaretta e soffiandogli il fumo direttamente in faccia. “Non so se hai notato, ma il fatto di aver studiato o meno qui non conta niente… a quelli che sono qui per ascoltarci, non gliene frega un emerito cazzo” conclusi.
“luoksesi tänä iltana huoneessa, Angela! (stanotte vengo in camera tua, Angela!)” esclamò Janne ridendo.
“Muistutan, että me emme hotellissa viime yönä ... huomenna” (ti ricordo che questa notte non siamo in albergo… domani) replicai, con un sorriso rivolta verso di lui.

“sitten sinun kerrossängyt linja konsertin jälkeen! kun muut ovat mätä humalassa„... (allora nella tua cuccetta sul bus, dopo il concerto... quando gli altri saranno ubriachi marci…). Era proprio incorreggibile.
“Non potete parlare italiano?” esclamò mia madre seccata.
“Non lo sa parlare, e non credo che tu voglia sapere che cosa stessimo dicendo” dissi con un sorriso malefico.
“Parlava di qualcosa di molto poco casto che vuole fare con me stanotte…” i miei stavano inorridendo sempre più.

“Guardate” dissi indicando lo spiazzo che fra poco si sarebbe riempito di metallari urlanti “guardate! Noi e voi apparteniamo a due mondi diversi ormai… li avete visti benissimo i metallari all’ingresso. Io ho scelto questa vita, e mi va bene così.” Con un sorriso ancora più ampio aggiunsi, citando “in your face”: “It’s my world, it’ll take you down in a minuit...”
Con un gesto del braccio tatuato richiamai l’attenzione dell’uomo della sicurezza.
“Mi dica, signorina Liekki.”
“Liekki?” chiese mio padre stupito.
“È il mio nuovo cognome” dissi con un sorriso innocente, mostrando il dorso della mano dove campeggiava il mio tatuaggio preferito, un ghirigoro senza capo né coda di mia invenzione “Angela Liekki. Suona bene, no? Ho fatto un legatissimo cambio. Davide, accompagna i signori al cancello. Se ne vanno. Vi raccomando, cercate quella persona di cui vi ho dato la foto…”
“Tranquilla, signorina” disse prima di andarsene spingendo garbatamente ma fermamente i miei genitori.

“Tesoro, sei stata fantastica!!” Janne saltò giù dal palco e mi prese in braccio baciandomi. “Li hai lasciati senza parole, bravissima!! Mi è piaciuto soprattutto il commento sulle cose poco caste che voglio fare” disse ridendo.
“Perché” replicai con aria di falsa innocenza “Non è forse vero?” ci piegammo dal ridere tutti e tre, e allegramente ce ne tornammo nel backstage.

“Dunque quelli sarebbero i miei suoceri… tua madre aveva l’aria di volermi impiccare con le sue stesse mani, quando le hai detto che sono il tuo ragazzo…”
“Parenti serpenti, come si dice in Italia…”


capitolo divertente da scrivere, anche se mi sa che non è riuscito molto bene :) supplico perdono xD

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***



In silenzio entrammo sul palco, con le luci spente. Era luna nuova, e il cielo era nero come la pece… proprio la notte ideale per noi, insomma. I tecnici (benedetti loro!!) avevano tracciato delle linee di scotch catarifrangente, che ci segnava la strada per arrivare alle postazioni senza sbattere o inciampare in giro. All’auricolare sentii un “pronti”, detto dal tecnico delle luci, l’unico che potesse vedere tutto. La prima canzone in scaletta era “When I crossed gate”, che scatenò un coro di urla selvagge e uno stuolo di corna per aria. Dalla mia pedana suonavo come una furia scatenata, divertendomi un sacco, anche se sentivo il sudore che mi stava sciogliendo il facepainting.

“Something’s pushing me!
Someone’s calling me!
I heard the call of Death
When my soul flew
When my body burnt
When my soul cannot return!!”

Il ritornello di “Chained Soul” cantato a squarciagola da Francesco scatenò il pogo. Bene bene, il pubblico era dalla nostra! Per un’ora suonammo divertendoci come dei matti: Francesco quando non cantava faceva l’imbecille in tutti i modi, saltando e correndo, e inventando ridicoli balletti con Erik; io e Virginia sembravamo due indemoniate.
“Forza gente, l’ultima canzone e poi lasciamo spazio agli Headliner!!!” urlò Francesco. Si scatenò un coro di ovazioni. Prima di continuare si girò a guardare me e la Virgi strizzandoci l’occhio, e poi si guardò con Erik. “Questa è un omaggio ai Children of Bodom… BODOM AFTER MIDNIGHT!!!!” urlò.
Quando scendemmo dal palco eravamo sudati come cavalli, avevamo i vestiti incollati alla pelle e il facepainting ci colava sul collo. I Bambini ci accolsero con manate sulle spalle e complimenti prima di salire loro sul palco. Noi avevamo messo miccia e polvere: ora loro avrebbero fatto esplodere il pubblico. Noi salimmo sul tour bus, e uno alla volta ci facemmo la doccia, poi tornammo dietro le quinte a goderci lo spettacolo. Come al loro solito, quei cinque pazzi stavano facendo di tutto per far dubitare della loro sanità mentale. Janne faceva di quelle espressioni assurde, Alexi suonava in posizioni idiote, Henkka e Roope ad un certo punto si misero schiena contro schiena e si misero a girare in tondo come dementi….

“Signorina Liekki?” feci un salto: era di nuovo Davide, il body guard. Nonostante la stazza si muoveva in una maniera incredibilmente silenziosa.
“Signorina, suo fratello” disse prima di andarsene e lasciarmi sola con l’uomo sui 35 anni che era con lui.
“Alberto!!” esclamai abbracciandolo di slancio. Non era cambiato dall’ultima volta che l’avevo visto… aveva soltanto la stempiatura più marcata. Rimanemmo abbracciati a lungo. “Fratellone, è una vita! Come stai??”

“Io bene, dai… vedo che hai avuto successo. La cosa mi fa molto piacere… sono fratello di una star!!” esclamò ridendo.

Intanto gli altri si erano avvicinati, incuriositi, e li presentai tutti a mio fratello, spiegando chi fossero.

“Ho visto mamma e papà” dissi sottovoce tirandolo da parte. “Sono venuti prima… ce l’hanno ancora con te?” chiesi.
“Beh, no. Alla fine hanno capito che non era “colpa” mia, se colpa si può chiamare… però sono furiosi con te.” Rimanemmo un po’ in silenzio.

“Quanto starete qui?”

“Dopo domani ripartiamo… ci aspetta Parigi” dissi, contenta che avesse cambiato argomento.
“Mi hanno detto che hai un ragazzo… Janne Wirman!” esclamò ridendo.
“Si” risposi io, mettendomi a ridere “proprio lui, il tastierista dei Children!”

Parlammo ancora per un po’, poi lui mi disse che doveva andarsene. Sua moglie lo aspettava a casa.

Il concerto stava giusto finendo, e andai dietro le quinte ad ascoltare Angels don’t kill. Quando rientrarono li accogliemmo con un applauso e una birra ciascuno.
“Dove andiamo a festeggiare??”

“In un pub!”

“Angela, tu che… hei!! Dov’è??” lei infatti era scomparsa: i suoi amici non sapevano che mentre erano distratti, lei nascondendosi nell’ombra era sgattaiolata nel bus. Proprio in quel momento arrivò Jaska di corsa, chiedendo agli altri se avessero visto Janne… si guardarono, e poi scoppiarono a ridere.

“Ook, lasciamo che i due piccioncini se la godano almeno per una notte!” esclamò Alexi allegro. "Un pub lo troveremo, questa città non è poi così grande..."


aggiornato!! ora ho di nuovo un piccolo problema di ispirazione... accidenti!!! tutta colpa del nervosismo per i risultati scolastici... promossa o rimandata? mah! incrociate le dita per me :)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5- I don't think that we'll can have a bit of quiet.... ***



Alla fine riuscirono ad arrivare ad una birreria. C’era poca gente vista l’ora tarda, perciò riuscirono a sedersi tutti e sette allo stesso tavolo. Chiacchieravano senza freni, poi ad un certo punto Erik uscì con Francesco per fumarsi una sigaretta.
“Francesco, posso confidarti un segreto?” chiese ad un certo punto Erik. Francesco, preso alla sprovvista, non poté fare altro che annuire chiedendosi cosa volesse confidargli il bassista.
“Ecco… ho bisogno di aiuto… cazzo, non so come dirlo… insomma, mi piace la Virginia!!” disse a voce bassa. Il suo viso aveva assunto la stessa identica tinta dei capelli.
“Guarda che se ne sono accorti tutti, sai?” ridacchiò Francesco. Da rosso Erik divenne bianco come un cencio.
“Perché non ci provi con lei? Avanti, tentar non nuoce!” lo incoraggiò Francesco.

“Ma io… e se lei non vuole??” Erik era tornato di nuovo rosso. “Beh, almeno potrai dire di averci provato no? Facciamo così, io te la mando fuori e tu ti dichiari!” prima che Erik potesse fermarlo, Francesco era già rientrato nel pub, con un sorriso da un orecchio all’altro. "Cosa?? È impazzito?? No, no!! Non saprei cosa dire, non può farmi questo, maledetto bastardo! Oddio, e adesso che faccio?? Maledetto, me la paga questa…"
La porta del pub si aprì di nuovo, e questa volta uscì Virginia.
“Erik, Francesco mi ha detto che dovevi dirmi una cosa… ma che hai? Sei tutto rosso, hai la febbre?” infatti Erik vedendola era arrossito ancora di più, se possibile, sentendosi, chissà perché, terribilmente stupido con quella sigaretta in mano, lasciandola quindi cadere. Virginia intanto gli stava tastando la fronte.
“Non mi sembra che tu abbia la febbre, però…” non riuscì a dire altro, perché Erik, non sapendo più cosa fare o dire, le aveva preso il viso fra le mani, si era abbassato e l’aveva baciata sulle labbra, a stampo. Quando si staccò, lei rimase a fissarlo pietrificata dalla sorpresa, con un’espressione da oscar.
"Aspetta… aspetta… non sto sognando?? Ma sono impazzita o è tutto vero? AAAAAAAAAAAAAHHHHH!!!!" pensò Virginia, spiazzata.

Erik intanto la guardava con due occhi da cane bastonato. “Scusa, scusa, scusa!! Non avrei dovuto, ma… io… ecco, tu mi piaci da morire!!!! Non è neanche un po’ romantica, come cosa, lo so, non c’è neanche la luna… non è romantico, no, no!! E io che glielo ho detto a Francesco, da stupido, lui… cazzo sto rovinando tutto quanto!!!!” mentre parlava si era messo a gesticolare in modo frenetico e buffissimo. Ogni tanto si spingeva indietro i capelli rossi, tormentando nervosamente il dreadlock lungo quasi trenta centimetri che aveva sulla nuca.
Virginia intanto si era appoggiata al muro, scossa.
“Ora però voglio chiedertelo per bene… Virginia, vorresti essere la mia ragazza?” disse infine Erik, prendendola per mano. Il ragazzo si sentiva terribilmente goffo e impacciato.
“Ecco… io…” Virginia non sapeva cosa dire. Cavolo cavolo cavolo cavolo!! Che faccio?? Non so se dirgli di si… però se gli dico di no potrei pentirmene per il resto dei miei giorni… cavolo, cavolo, cavolo!!!!
Intanto Erik la guardava negli occhi, speranzoso.
"Ok, non posso resistere se mi guarda così!" pensava intanto lei. Per un attimo si perse in quegli occhi del colore del ghiaccio puro, poi prendendo il coraggio a due mani e balbettando un po’ disse: “O… ok, Erik… p… per me v… va bene!!”
L’espressione di Erik da supplichevole divenne incredula, poi cambiò di nuovo in un sorriso che era la personificazione della gioia stessa. Alzò le braccia al cielo, e con un salto urlò uno spaventoso
“YEEEEEEEEEEEEEEEEEAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!” di gioia.
Virginia, preoccupata che qualcuno lo sentisse (sempre che non avesse già svegliato mezza Mestre!) lo zittì. “Scusa, scusa!! È che… sono contento, tanto contento!!” esclamò prendendola in braccio e facendole fare un giro.
“Mettimi giù, mettimi giù! Mi gira la testa così!!”
“Ok” le disse lui posandola di nuovo a terra e baciandola, ma non a stampo stavolta! Proprio in quel momento la porta del pub si aprì, e ne uscì Henkka: “Hei ragazzi, cosa… oh, cazzo, scusate!!!!” esclamò prima di rientrare precipitosamente nel pub.

***

“Henkka, che succede??? Sei tutto rosso!”
“Niente, niente!! È che fuori ho interrotto una tenera scenetta…” Francesco a sentirlo si lasciò andare ad un’esclamazione di esultanza: “Evvai, ce l’ha fatta!!!!”

***

“Mmmh, Virginia, mi sa che fra poco non potremo più stare tranquilli…” commentò Erik, giusto prima che la porta si spalancasse e le braccia robuste di Francesco, Jaska e Roope lo sollevassero in aria. “Evviva, ce l’hai fatta, ce l’hai fatta!! Bravo, bravo, festa, festa!!”
“Mettetelo giù, mettetelo giù! Non fatelo cadere, attenti!!!” urlava intanto Virginia, vendendo già il suo ragazzo finire rovinosamente per terra dopo essere scivolato dalla presa dei tre, non esattamente sobri, anzi, piuttosto ubriachi. Intanto Erik stava bestemmiando in tutte le lingue, urlando che lo mettessero giù, che non voleva fare una brutta fine.


capitolo dedicato a Erik e Virginia, come avete visto! mi sembrava banale parlare sempre e solo di Janne ed Angela... ;) spero vi sia piaciuto, anche se è un po' corto ;)

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Capitolo 6
*** Capitolo 6- whew, whatta mess!!!! ***



Il giorno dopo lo dedicarono al riposo e al cazzeggio animale.
“Angela, ci fai visitare un po’ Mestre?” chiese Alexi.

“Non c’è molto da vedere, anzi… beh, vi porterò all’Irish Pub, c’è birra buona” propose.

“Evvai, fatta!!” esclamarono tutti allegramente.

Li condussi verso il pub, evitando la strada della piazza, frequentata a quell’ora da gente che non mi piaceva. Di solito infatti davanti al centro commerciale stazionava un gruppetto di fighetti, non so se avete presente i tipi: abbronzati, con addosso uno stipendio di vestiti, occhiali da sole a mosca anche di notte… di sicuro un gruppetto di metallari come noi non sarebbe passato inosservato, e si sarebbe potuta scatenare una rissa come niente. Precauzione inutile la mia, purtroppo. Ce li trovammo davanti lo stesso. Erano circa una dozzina, e fra di loro riconobbi alcuni ragazzi, miei vecchi compagni di scuola. Loro fortunatamente non riconobbero me, erano troppo sbronzi, anche se qualcuno guardava la mia maglietta dei Rhapsody come se pensasse di averla già vista. “Forza froci, lasciate a noi quelle belle ragazze!!” esclamarono, mettendosi a sghignazzare. I ragazzi non erano ovviamente disposti a obbedire, Janne ed Erik meno di tutti. Io di nascosto mi misi i bracciali borchiati a mo di tirapugni. La rissa non ci mise molto a scatenarsi, e noi ci mettemmo a picchiare duro. Presto li mettemmo in fuga, non fu troppo difficile, ma uno, forse più lucido degli altri, era saltato addosso a Janne, cogliendolo di sorpresa e riuscendo a scaraventarlo a terra. Noi ci lanciammo su di lui, afferrandolo e allontanandolo a calci e pugni. Janne era per terra, con gli occhi chiusi. Non si muoveva.

***

“C’è un parente prossimo fra di voi?” il medico si rivolse a noi otto, tutti seduti sulle sedie dell’ospedale dell’Angelo. Io tradussi in finlandese a beneficio dei Bambini e di Erik: loro, Virginia e Francesco si allontanarono di un passo, lasciando solo me ed Alexi con il medico.

“Io sono la sua fidanzata… lui è il suo migliore amico” spiegai. Il medico annuì.

“Il vostro amico è fuori pericolo” disse, e io sospirai di sollievo, sentendomi come se mi avessero tolto di dosso una montagna, seguita da Alexi, che aveva capito tutto dalla mia espressione. “Tuttavia, vi avverto che il colpo che ha ricevuto alla testa è notevole” proseguì “e potrebbero esserci dei danni.”

"Che... tipo di danni??" chiesi impallidendo. Alexi mi prese la mano, pronto a sostenermi temendo che stessi per svenire.
"Non lo sappiamo. la TAC ha evidenziato che il vostro amico ha subito il colpo nella zona prefrontale, perciò possiamo soltanto fare alcune ipotesi. potrebbe avere problemi di linguaggio, o nell'elaborazione di concetti astratti e complessi, oppure problemi motori, o ancora problemi di memoria... o forse nessun problema, come ci auguriamo. purtroppo non conosciamo ancora a sufficienza il cervello umano per poter dare una risposta certa."

Con un po' di fatica riuscii a spiegare agli altri che cosa sarebbe potuto succedere al nostro Janne, scatenando una preoccupazione sotterranea e strisciante. anche se nessuno lo dava a vedere, eravamo tutti quanti terribilmente preoccupati.

***

Sto galleggiando… dove sono?
No, un momento… sento… qualcosa, sulla pelle…
Qualcosa di morbido.
Non sto galleggiando.
Perché mi fa male la testa?
E perché è buio? Sto dormendo?
No, non sto dormendo.
Ho gli occhi chiusi.
Ma se non dormo perché ho gli occhi chiusi?
Sono morto?
Ma se sono morto perché sento?
Non sono morto.
Voglio aprire gli occhi. Ma non ci riesco. Sento che si muovono.
Devo aprirli. Devo. Voglio. Devo.

“Janne? Janne! Ragazzi, ha aperto gli occhi!!”

Janne? Chi è Janne?

“Janne, come ti senti? Tutto bene?”

Perché mi fanno tutte queste domande? Mi fa male la testa. Ma loro chi sono? Non ricordo di averli mai visti…

“Ma… voi chi siete??” riuscii a chiedere finalmente.

***

Dalla vetrata osservavo Janne rispondere con lo sguardo vuoto alle domande che gli poneva il medico, mentre Francesco traduceva le domande dall’italiano al finlandese, e le risposte dal finlandese all’italiano. La porta era aperta, e riuscivo a cogliere qualche brano di conversazione.

“Come si chiama?”

“Io… non lo so…”

“Si ricorda quanti anni ha?”

“Veramente… no…”

“Sa perché è qui?”

“Non lo so… non me lo ricordo…”

Mi voltai, frustrata. Mi trovai davanti Alexi. “I medici dicono che non sanno se e quanto durerà… o se recupererà mai i suoi ricordi…” dissi, cercando di nascondere la frustrazione.
“Fra qualche giorno torneremo in Finlandia. Diamo il tempo a Janne di rimettersi fisicamente… lo dobbiamo riportare a casa. Il tour lo interromperemo, e chi se ne frega. Janne è più importante” mi disse.
Io non ce la facevo più, e abbracciandolo scoppiai in un pianto a dirotto. “Alexi… dimmi che ce la farà! Dimmi che recupererà la memoria!!”
“Tranquilla, Angie. Gli ridaremo i suoi ricordi. Lo porteremo dagli strizzacervelli migliori… e noi lo aiuteremo… gli staremo vicini” mi rassicurò. Anche la sua voce però tremava.



completato il capitolo sei... Ancora mi chiedo da dove mi sia venuto in mente un disastro simile O_O

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Capitolo 7
*** Capitolo 7- i feel helpless like a newborn... ***



In aereo ero seduta vicina a Janne. Lui guardava fuori. Da quando si era svegliato era cambiato. Ora era timido, silenzioso, e con uno sguardo triste che faceva venire voglia di piangere. Non era più allegro, logorroico, pieno di voglia di scherzare e con uno sguardo vitale che trasmetteva allegria. Aveva paura… di noi. Di me. Non ricordando niente non sapeva se poteva realmente fidarsi. Stavo ascoltando musica, con lo sguardo perso nel vuoto. I Rhapsody riuscivano sempre a farmi tornare un po’ di ottimismo… quasi non sentii che Janne mi stava chiamando, ma mi tolsi subito le cuffie.
“Dimmi Janne” risposi con un sorriso.
“Ecco… volevo chiederti… senti… è vero che tu sei la mia ragazza?” chi glielo aveva detto? Alexi. Non poteva essere altrimenti.
“Si, è vero” risposi, fissandomi le mani intrecciate.
“Ah… ecco… credo di essere molto fortunato, allora. Sei una… bella ragazza… Alexi dice che vieni dall’Italia. Mi ha mostrato dov’è… è lontano dalla Finlandia?”
“Beh, si… eravamo in Italia quando… ti sei svegliato in ospedale” risposi morsicandomi il labbro per non mettermi a piangere.
Janne stette qualche minuto in silenzio, poi riprese a parlare.
“Ho una casa tutta mia?”
“Si, una bella casa.”
“E dovrò… starci solo?”
“Se vuoi uno di noi può fermarsi a dormire da te, se non ti va di stare solo.” Prima di rispondere ebbe una leggera esitazione, poi disse: “Senti… vorresti… stare tu da me? Di quei quattro non mi fido. Mi spaventano.” Rimasi un po’ in silenzio anche io prima di rispondere.
“Come preferisci… comunque, non devi avere paura di loro. Si farebbero tagliare la testa piuttosto che farti del male…” lo rassicurai.
“Quello biondo… Alexi… è simpatico, molto simpatico. Quando gli domando qualcosa è sempre premuroso…”
“Certo, lui è il tuo migliore amico. Ti vuole davvero molto bene.” Janne non rispose, tornando a guardare fuori dal finestrino.

***

Sono terrorizzato.
Ho una paura folle.
Non c’è nulla nella mia mente.
Nessun ricordo.
Non un nome.
Non un volto.
Non un luogo.
Niente. Niente di niente.
Questi otto ragazzi dicono di essere amici miei. Ma è vero?
Sono molto premurosi nei miei confronti. Specie il biondo e la ragazza… com’è che si chiamano? Alexi e Angela. Io però non so né posso sapere se sia vero che lui è il mio migliore amico e lei la mia ragazza. Non ho un solo ricordo su cui basarmi, niente.
È una sensazione orribile. È quasi come se non esistessi più.
Tutto quello che devo essere stato è scomparso.
Non c’è niente. Solo nero e vuoto.
Non so nemmeno se Janne sia veramente il mio nome.
Dicono che sono Finlandese. Ma che posto è la Finlandia? È fredda? Calda? E quanto grande è? Ed Helsinki è sul mare o in montagna?
Mi hanno detto che sono un tastierista. Che mi sia dimenticato anche come si suona? Chissà se a casa mia c’è una tastiera.
Mi sembra di essere inerme come un neonato.

***

Come le ho chiesto, Angela è rimasta a casa mia. Lei dorme sul divano, nonostante io abbia insistito per lasciarle il letto, non ne ha voluto sapere. Ha tolto i cuscini dallo schienale per avere più spazio, ha preso delle trapunte e si è messa li. Adesso sono sdraiato a letto, che osservo il soffitto senza riuscire a dormire… sento che manca qualcosa. In silenzio, mi alzo e mi dirigo verso il salotto, dove Angela sta dormendo… spesso ha un sonno agitato, credo che faccia dei brutti sogni. Le sono cadute di nuovo le coperte, perciò gliele rimetto sopra con delicatezza… adesso è tranquilla. È bella… non è molto alta, ed è più tarchiata delle donne che ho visto qui. I suoi capelli sono anche di un biondo più scuro e caldo, tagliati in modo irregolare. Senza quasi rendermene conto, allungo una mano e le sfioro la guancia, ma ritiro subito la mano colto dal timore di averla svegliata quando si muove. Lei si gira, e si addossa allo schienale, lasciando un po’ di spazio… senza sapere bene cosa faccio, sposto con cautela le coperte, e mi ci infilo sotto, abbracciandola. Non si sveglia… meglio.

Quando mi svegliai, mi accorsi che c’era qualcosa che mi impediva di muovermi. “Mmmh? Che cavolo…” mugugnai, tentando di girarmi per vedere che cosa ci fosse. “Ti sei svegliata?” feci un salto: Janne si era messo sul divano, sotto le coperte, e mi aveva abbracciata!!!!!!!

“Tu… quando… cosa…” balbettai.

“Scusami… è che… non riuscivo a dormire…” borbottò, diventando rosso come un pomodoro ma non accennando a muoversi.
Poi, prima che potessi dire qualcosa, mi baciò. Timidamente, sulle labbra. Sapeva di menta.
“Non mi è ritornata la memoria” mi disse, evitando di guardarmi negli occhi “però… tu… ecco… il tuo odore. Ho la sensazione… di averlo già sentito, ecco” concluse, diventando rosso fino alla punta delle orecchie.
“Se non vuoi che resti qui dimmelo…”
“No, no, resta, ti prego!” esclamai, abbracciandolo e stringendolo a me. Non volevo che se ne andasse. da quando eravamo tornati quasi non c’era stato contatto fisico tra noi, e per me stava diventando una cosa insostenibile. Quell’abbraccio ora mi sembrava come una panacea, un balsamo lenitivo che alleviava il dolore della paura. Non so quanto rimanemmo abbracciati li, senza parlare, solo dandoci un bacio ogni tanto. Lui inspirava a fondo l’odore dei miei capelli mentre giocava con i miei ciuffi irregolari.
“Perché non li fai crescere?”

“Non riesco a sopportare i capelli lunghi. Si annodano, ci vuole troppo tempo per prendersene cura… no, non ce la faccio proprio” risposi sorridendo. Quante volte lo ripetevo alla gente? Eppure nessuno mi ascoltava mai. Da che mi ricordavo, avevo sempre tenuto i capelli corti. Janne invece li aveva lunghi fino alla base del collo.

“Sai… ho paura” disse con un sospiro.
“Di che cosa?” chiesi cercando di non sembrare troppo curiosa o invadente.

“Ecco… di tutto. Non riesco a trovare il minimo appiglio per niente… vedo per strada qualcuno che mi saluta, e non so chi sia: potrebbe magari essere un malintenzionato, ma anche una persona che conosco davvero… quando ho visto voi, ho avuto veramente paura. Mi sentivo inerme come un neonato. È come se… tutto quello che ho vissuto, tutto quello che mi è successo, le volte in cui ho riso e ho pianto, tutto quello che mi ha fatto diventare come sono… fosse stato tutto ingoiato da un buco nero. È rimasto solo il vuoto, Angela. Solo un vuoto che non riesco a riempire in alcun modo. Anche se cerco di guardare il fondo per cercare, non c’è niente. Solo niente e vuoto assoluto. E ho il terrore che quel vuoto ingoi anche me.” Mentre parlava fissava il vuoto in alto. “Mi sento terribilmente solo.”

“Ma non sei solo” osservai, sperando di non apparire scontata. “Ci sono io. Ci sono Alexi, Henkka, Roope e Jaska. Anche se tu hai paura, noi non ti lasciamo solo. E non permetteremo che il vuoto ti ingoi… mi hai capito??” gli presi il viso fra le mani, in modo che mi fissasse negli occhi. Volevo che vedesse che ero sincera.


Capitolo sette!!! aaaah che parto questa parte della storia... chi perdeva la memoria doveva essere prima Angela, poi Henkka... aaah!!! alla fine ho deciso per il povero Janne (capitano tutte a lui, dio che sfigato!!) XDD
grazie erik per il commento, l'ho davvero apprezzato^^

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Capitolo 8
*** Capitolo 8- I wish i had a magic wand... ***



Li avevano trovati alla fine, quei deficienti che ci avevano attaccati. Una settimana di indagini aveva portato a scoprire nomi e cognomi di quegli imbecilli, grazie anche agli identikit che avevamo fornito.
Tutti figli di papà, che per una volta almeno non erano stati rilasciati dopo qualche giorno come era ormai d’uso in Italia. Per evitare l’incidente diplomatico infatti la “giustizia” si era affrettata a comminare loro una pena esemplare: un anno di galera per violenza, ubriachezza molesta e disturbo della quiete pubblica, più il risarcimento dei danni morali e materiali nei nostri confronti e pagamento delle spese processuali. Avevo visto alcune scene del processo per televisione, trasmesse via satellite, e anche i dibattiti televisivi che si erano scatenati… io ero pure stata contattata per parteciparvi, ma avevo prontamente buttato giù il telefono ogni volta, schifata.
La cosa che dava maggiori grattacapi, era il fatto che Janne era famoso. I fan dei Children e i metallari in genere erano furiosi, e su internet avevano scatenato una vera e propria campagna contro i colpevoli… sui siti apparivano post su post di solidarietà verso Janne e di denigrazione e minaccia verso i colpevoli. Per evitare ritorsioni contro di loro, non erano stati diffusi i nomi o le foto.
I Children in quel periodo stavano mantenendo un rigoroso silenzio stampa. Niente comunicati sullo stato di Janne, su un’eventuale ripresa del tour, nulla di nulla. Piano piano le acque iniziarono a calmarsi, e i media a disinteressarsi della faccenda.

***

Passò un mese, ma la memoria del mio Janne non tornava. Continuavamo a stimolarlo, a mostrargli fotografie, a portarlo in luoghi dove amava particolarmente stare, a fargli ascoltare musica, a fargli mangiare i suoi cibi preferiti… ma niente.
Ogni giorno che passava io ero sempre più frustrata e furiosa, e Janne sempre più depresso. Non riuscivo ad accettare il fatto che la sua memoria avrebbe potuto non tornare mai. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che per colpa di quattro deficienti tutto il suo passato, tutto quello che lo aveva fatto diventare come era, fosse scomparso da lui. Non riuscivo a concepire il vuoto che doveva esserci nella sua testa, l’assoluta mancanza di qualsiasi appoggio mnemonico per sapere chi fosse o chi non fosse. Quando si era svegliato non ricordava neppure di chiamarsi Janne Wirman, e ancora adesso quando lo chiamavamo alle volte non rispondeva, non avendo ancora ricordato che Janne Wirman era proprio lui. Non era facile fare finta di nulla. Ogni volta che vedevo lo sguardo vuoto di Janne, mi veniva da piangere, e mi sembrava di esplodere per la rabbia. Avrei voluto avere una bacchetta magica, ma non ce l'avevo... potevo soltanto aspettare e sperare.

***

Quel giorno mi alzai, ma Janne non era nel letto. Pensai che fosse in bagno, ma non era nemmeno li. Lo cercai per tutta la casa, ma non c’era. Cercando di stare calma, cercai un biglietto che magari mi aveva lasciato. Niente.
In fretta e furia mi vestii, andando a cercarlo in garage e in cortile, ma non c’era. Provai a chiamarlo al cellulare, ma era spento. Cominciando a essere presa dal panico, chiamai Alexi, anche se erano le otto e mezza di mattina, e sapevo benissimo che raramente il frontman si alzava prima delle dieci.

“Pronto…” mi rispose la voce assonnata del cantante.

“Alexi, sono Angela. Senti, Janne è li da te? Qui a casa… non c’è! Ho provato a chiamarlo al cellulare, non risponde, e non ha lasciato nemmeno un biglietto, niente!”

“COSA??? ne sei sicura???” Alexi tutto d’un tratto fu sveglissimo. “Chiama anche Jaska e Roope, io avverto Henkka!!”
Noi cinque ci dividemmo per poterlo cercare in tutti i posti dove lo avevamo portato, aiutati da Francesco, Erik e Virginia.
Facemmo il giro di bar, pub, negozi di musica e di dischi, ma niente. Janne non si trovava. corremmo per ore per tutta Helsinki, come dei matti: Janne sembrava aver preso il volo.
Restava solo un ultimo posto da controllare, uno solo: la sala prove dei Children of Bodom. Non avevano più portato li Janne dopo che aveva perso la memoria. Possibile che fosse li? Possibile che si fosse ricordato dove si trovasse? Io e Alexi decidemmo di andare a controllare.
Janne aveva in effetti le chiavi della sala, erano nello stesso mazzo di quelle di casa, perciò avrebbe potuto entrarci facilmente.
Correvamo come due ossessi, con il fiato corto per aver corso a destra e a manca e poi ancora a manca e a destra. Quando arrivammo, trovammo che la porta non era più chiusa a chiave: Janne dunque doveva essere proprio li. Quando entrammo ci stava dando le spalle, ed era davanti alla sua tastiera. Era come se non ci avesse sentito. Le note di DownFall riempivano l’aria che odorava di chiuso. Quella era la canzone che più amava suonare...
Alexi stava per chiamarlo, ma lo fermai mettendogli la mano sul braccio e facendogli cenno di tacere. Se Janne stava facendo così, un motivo doveva esserci. Ed ero sicura che la sua memoria fosse tornata, almeno parzialmente, se si era ricordato dove fosse la sala prove, quale fosse la chiave giusta per entrare e quale quella che apriva il deposito degli strumenti, e infine le note delle canzoni. Ogni tanto inciampava sulle note (dopotutto era un mese che non metteva le mani su una tastiera!!), ma non si perdeva d'animo, e ripeteva il passaggio finchè non gli riusciva, poi continuava.
Quando ebbe finito rimase immobile con la testa piegata verso l’alto. Janne? lo chiamai dolcemente. Lui si girò piano. Aveva il volto rigato di lacrime, e sorrideva. Sorrideva non con il sorriso timido e sperduto del Janne che aveva perso la memoria. Sorrideva con il sorriso del Janne di una volta, allegro, vitale e contagioso. Il nostro Janne, insomma.
“Angela!!!! Alexi!!!!” esclamò radioso “Io mi ricordo!!!!” per la felicità si era messo a ballare come un perfetto deficiente, e ci aveva presi per le mani trascinandoci in un forsennato girotondo. Alla fine lo abbracciammo, felici, mentre lui continuava a piangere senza riuscire a smettere. “Forse è meglio chiamare gli altri, a quest’ora saranno terribilmente preoccupati…” propose Alexi pragmatico. Sospirò quando non ottenne risposta nè da me nè da Janne: eravamo troppo impegnati a baciarci, perciò prese il telefono e chiamò.

***
Quella notte la festa fu grande. Bevettero tutti senza ritegno alcuno (tranne me, come sempre! Anche se Janne le provò tutte per farmi ubriacare…anche Erik quella sera decise di non bere. Chissà perché? Forse il motivo però erano le occhiate lascive che gli avevo visto lanciare alla Virginia, piuttosto alticcia... ok, niente eufemismi, era sbronza marcia)tanto che alla fine rimanemmo tutti a dormire a casa di Alexi, tanto lo spazio non mancava.
Quella sera erano venuti anche Marco, Jukka, Emppu e Tuomas dei Nightwish, e Petri degli Ensiferum, tutti buoni amici dei Bambini, e pure loro ci dettero dentro parecchio con l’alcool! Mi sembrava di stare in un sogno... quante celebrità del mondo del metal radunate tutte assieme in un posto solo!! e potevo chiacchierarci tranquillamente come fossero vecchi amici... Quella scena mi sembrava quasi irreale, come un sogno: sbadigliando mi stavo aggirando fra le persone addormentate sui divani e sui tappeti della sala, girando su un fianco e aprendo la bocca a quelli distesi a pancia in su o in giù per evitare che si soffocassero col vomito (benedette lezioni di primo soccorso!!) e appoggiando vicino secchi e bacinelle (Alexi ne aveva una quantità… o casa sua era soggetta ad allagamenti continui- ma abitava al primo piano, quindi direi che la cosa era alquanto improbabile- oppure scene simili erano assai frequenti…).
“Ma lo saai che sei proprio carinaaaa?” biascicò Marco mentre gli mettevo vicino la bacinella. “Capisco perché ti hanno chiamata Angela… sei un vero cherubino, sci sci! Janne, scei proprio fortunat- hic!-” scossi la testa, con un sorriso indulgente. Era proprio fradicio, povero Marco. Domani non si sarebbe ricordato nulla. Di fianco a lui Petri già russava sonoramente con una gamba appoggiata sulla pancia di Henkka. Janne era solo un po’ alticcio, non seriamente ubriaco, ma barcollava comunque, perciò lo aiutai a raggiungere una delle camere degli ospiti.
Si sedette pesantemente sul letto, attirandomi a se.
“Come ti è tornata la memoria?” chiesi, incuriosita.

“Beh” disse lui con quel suo sorriso incredibilmente tenero, ridacchiando (ecco l'effetto di un'intera bottiglia di Jack Daniels...) “ti ricordi… quando ti ho detto che mi pareva di aver già sentito il tuo odore? È cominciato da li. Sentivo che c’era qualcosa che non riuscivo a cogliere, come… come se stessi guardando tutto dietro un vetro smerigliato. Poi stamattina lo sguardo mi è caduto sulla fotografia che noi Children ci siamo scattati sul tour bus nel 1997, quando mi sono unito a loro. L’avevo guardata tante volte, ma non so come mai stamattina ho avuto un flash: Alexi che mi versava della birra addosso sul bus, la zuffa che si è scatenata, Jaska che mi dava manforte, Henkka e Roope che tentavano di separarci… e da li i ricordi hanno cominciato a fluire, un po’ a caso… ancora adesso non sono sicuro dell’ordine cronologico di alcuni, ma almeno li ho recuperati…” mi sussurrò all’orecchio. Il suo respiro mi solleticava la pelle, mentre mi dava dei baci sul collo.
Ci baciammo. Era proprio lui, il mio Janne. Quel vuoto di cui aveva tanta paura alla fine non l’aveva ingoiato, anzi, aveva restituito tutto quello che si era preso.
Mentre mi baciava sorrisi, ripensando a tutto quello che era successo da quando ci eravamo conosciuti. Quanti casini, quanti disastri. Eppure sapevo di poter contare su di lui, per ogni crisi, per ogni guaio. E lui sapeva di poter contare su di me.
Il mio Janne… le sue labbra erano di nuovo le stesse, finalmente. Incredibilmente morbide, terribilmente eccitanti.



mmmmmh, chiedo scusa se mi è venuta così corta... non sono riuscita ad allungare più di così!! dopo questo capitolo ci sarà un'epilogo come per l'altra storia... spero vi sia piaciuta!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9- my life is perfect like this... ***



Ora siamo in tour bus. Janne ha completamente recuperato e messo in ordine i suoi ricordi, e tutto è tornato come prima. Adesso dobbiamo riprendere il tour da dove lo abbiamo interrotto, perciò la nostra meta è Parigi.
Il paesaggio scorre rapido dall’altra parte dei finestrini dell’autobus, mentre osservo ridacchiando Alexi e Francesco litigare allegramente. Alexi ha barato di nuovo a uno… quel ragazzo non cambierà mai.
Il viaggio sembra interminabile. Parigi… sono anni che non ci torno. Ci sono stata due o tre volte con i miei genitori, anni fa, quando andavo ancora a scuola. Parigi è una città stupenda, però quelle volte mi ero abbastanza annoiata, perché la compagnia non era il massimo… ma ora è diverso. Ora sto viaggiando con otto scoppiati da chilo, che adesso stanno litigando per decidere chi dovrà andare a fare rifornimento di bibite al prossimo autogrill.
“Angela, adesso tocca a te andare!!”

“Ma nemmeno per scherzo! Io ci sono già andata!!”

“Siamo già andati tutti, adesso tocca di nuovo a te!!”

“Uffa, e va bene, vado io…” sbuffo, fingendo di essere seccata. In realtà la cosa non mi pesa affatto.

Finalmente arriviamo all’albergo… è fuori Parigi, ci vuole circa un'ora per arrivarci dall'albergo, in una zona molto tranquilla immersa nel verde, sulla riva del fiume Marne. Ci sistemiamo nelle camere. Il concerto sarà domani. Siamo tutti stanchi, perciò andiamo tutti a dormire presto dopo aver cenato… tutti tranne me. Io non ho sonno, perciò vado a sedermi in riva al fiume godendomi l’aria fresca della sera: i ricordi dell'adolescenza iniziano a scorrere allo stesso ritmo della corrente del fiume.
“Non vieni a dormire? Eppure dovresti essere stanca” mi dice Francesco alle mie spalle.
“Perché, tu no, fratello?” replico sorridendo. Mi si siede di fianco.
“Beh, sorellina, sai che io dormo poco… Janne ti sta aspettando, torna da lui. Non gli piace stare senza di te” mi dice, poi si alza e mi tende una mano, aiutandomi ad alzarmi a mia volta. Per un attimo stiamo così, stringendoci la mano, mentre osservo i tatuaggi di due serpenti che si intrecciano quando ci stringiamo la destra, attorcigliati intorno alle nostre braccia. Li abbiamo fatti fare anni fa, come segno di amicizia e fratellanza eterna. Janne è sulla porta che mi aspetta. Prima di rientrare, mi giro, e guardo la sagoma scura del bus, mentre in un attimo mi affiora alla memoria tutto quello che è successo su quell’autobus.

Decisamente, non voglio un’altra vita. Va benissimo così.



e finisce anche la mia seconda fanfiction^^ grazie a Erik, a Sveetevil e a Darkdancer per i commenti e per aver apprezzato!!! presto (spero) tornerò con una nuova Fanfic su un altro gruppo^^ a presto^^

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