The Life Is Important. Don't Waste It

di _Miss_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Life Is Important. Don't Waste It - parte 1 ***
Capitolo 2: *** The Life Is Important. Don't Waste It II parte ***



Capitolo 1
*** The Life Is Important. Don't Waste It - parte 1 ***


The Life Is Important. Don't Waste It

 

LONDRA Convention Eclipse (situazione inventata per esigenze della storia)

Faccio vagare lo sguardo tra le mie fan. Oggi mi sento strano, come se dovesse accadere qualcosa. Ma cosa potrebbe mai succedere ad una convention su Eclipse? Credo di aver sperimentato tutto e niente mi è più nuovo ormai.

Quando la convention finisce, dopo tantissime risate fatte con Taylor e Kristen, mi reco dietro le quinte. Taylor è scappato perché veniva a trovarlo sua sorella, mentre Kristen è andata in bagno e mi ha chiesto di aspettarla. E così sto facendo.

< Robert scusa, potresti firmare degli autografi? > mi chiede gentilmente una ragazza minuta e dall’aria stanca. Deve essere giunta proprio allo stremo per avermi chiesto degli autografi.
< Ok, arrivo. > e mi alzo seguendola fuori e mi ritrovo nello stesso auditorium di prima. Solo che questa volta sono al di sotto del palco.
Un’orda di ragazze impazzite e che continuano a urlare il mio nome e a spingersi tra loro m’investe. Quelle in prima fila, a pochi passi da me, mi sorridono provocanti. Come se potessi sfruttarle per del sesso. Sono tutte delle ragazzine e io mi reputo un uomo o per lo meno cerco di esserlo.
Inizio a scribacchiare il mio nome su i vari fogli e cartoncini che mi vengono dati e Dean, il mio body-guard, cerca in tutti i modi di far retrocedere le ragazze che hanno già avuto il mio autografo. Però l’impresa sembra davvero ardua.

Improvvisamente il rumore della grande porta che sbatte fa zittire tutto. Il sorriso divertito che avevo sulle labbra muore da solo. È forse questo quello che mi aspettavo?
Tutte le persone presenti si guardano sbalordite perché non sanno cos’è successo. Ma il silenzio tombale viene spezzato da un gruppo di ragazzette che si trovano in fondo alla sala. Le loro risate riecheggiano nella grande sala e riesco solo a sentire < Ma cosa voleva fare? Così conciata che voleva da Rob? > e altri commenti simili. Ma tutti davvero cattivi.
Spinto da non so quale forza aggiro tutte le ragazze ed esco anch’io. Per fortuna Dean e gli altri mi sono venuti dietro e bloccano l’uscita dall’interno. Esco fuori e cerco questa ragazza. Il perché non lo so.

< Che sciocca che sono… > sento dire da una voce femminile. E quel pianto mi entra nel cuore. Seguo l’istinto e la trovo. È seduta ai piedi di un albero e ha la testa posata sulle ginocchia. Indossa un berretto in testa e i suoi singhiozzi le scuotono il corpicino esile coperto da una camicia nera a tre quarti e il pantaloncino.
< Ehi… > dico soltanto.
< Andate via! > esclama urlando. Ma quando si volta verso di me rimane pietrificata. Gli occhi verdi sono lucidi per le lacrime che sta versando ancora. Le labbra molto chiare che sembrano bianche. Tutto di lei è bianco. Ha il viso leggermente scarno. Ma nonostante si veda lontano chilometri che non sta bene è una ragazza molto carina.
< Piacere, Robert. Alzati da lì o ti sporchi tutti gli shorts. > le dico di getto allungandole una mano. < Forza! > le dico quando leggo lo smarrimento e anche lo sbigottimento davanti al mio gesto.
Afferra titubante la mia mano che sparisce una volta che la stringo e la tiro su. Ci metto un po’ troppa forza nel tirarla su e si scontra con il mio petto. È piccolina davvero. Esile e sembra delicata tra le mie braccia. D’istinto l’abbraccio. Oggi sembra che l’istinto domini tutte le mie azioni.
Ricomincia a piangere tra le mie braccia. Piange bagnandomi la camicia ma non m’importa. Le sue lacrime hanno una loro storia. Non sono scaturite dalle parole di quelle ragazzine. Lei ha qualcosa che la turba da tanto, troppo tempo. Lo dicono i suoi occhi. Il suo corpo. Lo dimostrano le sue mani che si arpionano alle mie braccia come a trovarvi un appiglio. Sembra non abbia mai pianto. Credo che in effetti sia così.
Le accarezzo la schiena per rassicurarla ma sembra essere entrata in un vortice senza via di ritorno. Oggi non ho alcuna certezza. Non sono sicuro neanche di quello che sto guardando i miei occhi. Ma sono certo almeno di una cosa. Questa fragile ragazza ha bisogno di qualcosa, o forse di qualcuno. E io voglio aiutarla.
< Ehi… dai non piangere… > le dico spaventato per una sua eventuale reazione. Alza la testa dal mio petto e mi guarda negli occhi. Poi il panico s’impossessò di me.

< Dottore, ma cos’ha? > chiedo al dottore camminando su e giù per il salotto di casa mia quando viene fuori dalla mia camera con un viso a dir poco sconvolto. La ragazza mi è svenuta tra le braccia e l’ho portata immediatamente a casa mia chiamando il mio medico curante.
< Mi ha chiesto di non dirti niente. > risponde lui pacato e con il solito tono professionale che contraddistingue i medici così come gli avvocati.
< Va bene. Grazie comunque. > gli rispondo frettolosamente stringendogli la mano ed entrando in camera mia.

< Mi hai fatto prendere un bel colpo. Come stai? Hai bisogno di qualcosa? > le chiedo come fosse mia sorella o mia cugina.
< Ho la leucemia. > mi dice senza guardarmi negli occhi. Resto così, con le mani sospese a mezz’aria senza essere capace di dire qualcosa che possa aiutarla. Come si può aiutare qualcuno che ha la leucemia? < Sono scappata dall’ospedale. > continua dopo il mio silenzio. < Sto facendo delle chemioterapie. Loro dicono che ho buone probabilità di guarire. Ma io non credo che questo avverrà. Ho anche già perso i capelli. > e alle ultime parole, soffiate appena, si sfila il berretto. Non è visibile un solo capello. Ma è bella. È bella comunque. Lei vuole vivere. Lo dicono i suoi occhi che ora mi guardano supplici. Cosa posso fare per te?
< Come ti chiami? > anche stavolta mi faccio guidare dall’istinto. Non so dove mi porterà tutto questo. Ma è scappata dall’ospedale per vivere probabilmente. Voglio farla sentire normale. Almeno oggi.
< Karen > e si sforza di sorridermi.
< Bene, Karen. > le sorrido quando pronuncio il suo nome. < Quanti anni hai? >
< 17. >
< Io 18. > rido. < Scherzo! >
< 24. > diciamo contemporaneamente. Ci guardiamo e ridiamo ancora. Ha un bel suono la sua risata. E anche quando sorride le si riempiono i zigomi e diventa molto più bella. Sembra davvero viva. Non che non lo sia. Sembra che stia vivendo per davvero, adesso.
< Allora… che ci facevi all’hotel prima? >
< Secondo te? Ero venuta a vedere Taylor, no? > e ride. < Sono una fan della Saga. >
< Dopo questa puoi scendere anche dal mio letto. Prego… >
< Sono nella tua camera? Scusa! Scusa! > dice alzandosi dal letto.
< Ehi frena! Puoi stare, tranquilla! >
< Sono stanca dei letti veramente… > dice rabbuiandosi.
< Usciamo allora! > la vedo guardarmi un po’ dubbiosa. Ma una volta capito che faccio sul serio sul suo viso si allarga un sorriso enorme. < Non è troppo caldo quel cappello? > chiedo indicando il suo berretto che è di lana.
< Sono entrata in ospedale a Dicembre… > per non uscirne più. Le sue parole non dette aleggiano nella stanza.
< Ne ho uno più o meno identico. Ma più leggero. Te lo prendo. Aspetta qui, eh! > le dico intimandole di restare seduta in cucina.

Rientro in cucina con il berretto con aria trionfante. Lo avevo nascosto e mi ero dimenticato di dove l’avevo nascosto. E l’avevo nascosto perché la mia agente me ne aveva vietato l’uso e nascondendolo avrei resistito all’impulso di indossarlo visto che era il mio preferito.
< Ma me lo ricordo! > esclama lei.
< Diciamo che lo usavo anche per dormire! > dico mentre glielo porgo.
< Non posso prenderlo. È tuo! >
< E allora consideralo un regalo. D’accordo? >
< D’accordo. >

< Vorrei rivedere Hyde Park. > esclama lei ad un certo punto mentre siamo in macchina. Ho ripreso la mia vecchia utilitaria e ho congedato Dean e i suoi uomini.
< Andiamo. > rispondo semplicemente.
< Non possiamo. Se ti vedono ti rovini… > lei sta pensando a me invece di godersi questa giornata di “libertà”?
< Non scherzare. > e guido verso Hyde Park. In fondo manca anche a me. Ma le nostre vite sono completamente differenti. Senza dubbio la mia è migliore. Lei forse sta davvero per morire. Forse no. Forse la sua è soltanto paura. Ma è da Dicembre che non usciva e siamo a Giugno. Mi chiedo dove abbia raccattato gli abiti leggeri che indossa.

< Eccoci. > dico parcheggiando e sistemandomi gli occhiali sul naso e il berretto simile a quello che ho dato a Karen.
< Ehi… > le dico quando vedo delle lacrime uscire dai suoi occhi. Siamo in macchina. Non siamo ancora scesi e non so se lo faremo. Non so se lei è forte abbastanza da camminare un po’. < Sono solo un mucchio d’alberi! > esclamo cercando di farla ridere. Sparo sempre tante cavolate ed ora? Mi sento impotente. Non sono mai riuscito a risollevare l’umore di una persona.
< Che hanno vissuto sicuramente più di me. >
< Pensa che vita. Sempre qui. Sempre le stesse cose. >
< Sai Rob, quando dicono che sei buffo e un po’ scemo hanno ragione. > dice lei cercando di aiutarmi nell’impresa di sollevarle l’umore. Che grande ragazza!
< Questo pensi di me? Allora scendi! Su! > e quando vedo che non sta capendo se sono serio. Oppure scherzo. Oppure entrambe le cose. E sono entrambe le cose. Scherzando le sto dicendo seriamente di scendere. Ma dato che non recepisce il mio messaggio scendo dall’auto e vado dalla sua parte dove apro la portiera. Con un sorriso la invito a scendere. Come se fosse una cosa naturale afferro il suo braccio stringendolo al mio. Mi ringrazia con un timido sorriso. Ha capito che sono tanto stupido da non capire la sua situazione.
Sento il suo peso gravarmi, che poi dire peso è troppo, dopo aver camminato per un po’ ed essere arrivati al lago. Sta facendo scuro in cielo.

< Sono stanco! Sediamoci! > e invece sto benissimo. Ma percepisco il suo respiro affannato e vedo che si trascina. Non sono esperto di questa malattia, e a dirla tutta non voglio diventarlo, ma è chiaro come il sole che è debolissima. Forse è colpa delle chemioterapie.
< Qui ci venivo sempre con il mio ragazzo. > dice una volta che ci siamo seduti a terra.
< Non pensi che ti starà cercando? > chiedo. E un po’ sono deluso dal fatto che sia fidanzata.
< Non credo proprio. Forse non vedo l’ora che muoia così non vivrà nella colpa di avermi lasciata per la malattia. > e non riesco a crederci. Chi è questo cretino che doveva starle accanto proprio adesso in attesa della sua guarigione?
< Stupido. > dico soltanto questo.
< Perché? Non è così. Non si sa se guarirò o morirò. Potrò anche restare così per sempre. Certo, a lungo andare morirei comunque. Lui perché doveva restare accanto a me? Aveva la sua vita. Lo avevano accettato a Yale. Rob sinceramente è meglio. So che lui se ne pente di avermi lasciata ma sono stata io, seppur in modo velato, a farmi lasciare. Lui si dimenticherà di me. E io non avrò paura di lasciare un'altra persona. > e adesso sembra più grande di me. Sembra una madre in punto di morte che ha paura di lasciare i suoi figli. E d’istinto l’abbraccio. Lei contraccambia il mio abbraccio infondendomi forza. Com’è strana la vita. Dovrebbe essere il contrario.

< Perché sei scappata oggi? > le chiedo dopo un po’.
< Mi avevano offesa per il mio abbigliamento. Per la mia testa calva quando avevo tolto il berretto per il caldo. Io sono scappata dall’ospedale perché volevo vederti prima di morire. E solo adesso che ho ancora un po’ di forze potevo farlo. > la guardo scioccato. Non so perché, a dirla tutta. Sembra così surreale. < E adesso sto passando un pomeriggio con te. > le sorrido annuendo. < E prima che tu me lo chieda ti rispondo io. Ho pianto tanto perché da quando so della malattia non ho mai pianto per far forza ai miei genitori. A mia madre soprattutto. Anche lei sta conducendo una non-vita per colpa mia. > ha capito già cosa volevo chiederle. È proprio brava a capire le persone. E deve essere davvero brutto sentirsi offendere. E mi viene una rabbia nel pensare che chi l’ha fatto non sa cosa sta passando Karen.
< E tua madre non sa dove sei? > le chiedo preoccupato.
< No. > sussurra.
< Allora dobbiamo andare da lei. > le dico risoluto mentre mi alzo in piedi.
< NO! > e mi afferra per un braccio. < Godiamoci il tramonto e poi mi riporti in ospedale. >
< Godiamoci il tramonto e poi andiamo a casa tua. Non ti va di rivederla? >
< Meglio di no. Ho quasi dimenticato la disposizione dei mobili di casa mia. > dice con voce rotta dal pianto.
< Un modo in più per andarci. La tua memoria deve essere pronta a quando ritornerai in pianta stabile a casa tua. > e cerco di farle credere che vivrà. Ho bisogno di credere che vivrà!

< Rob… > dice quando rientra in auto. L’ho accompagnata a casa ma ho preferito fare andare solo lei. Ma mi sono raccomandato di lasciare le chiavi dietro la porta perché nel caso in cui non la vedevo tornare sarei salito a vedere. < Ho preso la digitale. > e sorride cercando di asciugarsi le lacrime con il dorso della mano. < Una foto da fare con te quando mai mi ricapiterà? > e pensare che non la rivedrò più fa male. È strano ma un dolore forte e prepotente si concentra nel mio petto e alla bocca dello stomaco.
< Certo! Spariamoci qualche posa. > dico ridendo e attirandola a me per iniziare a fare qualche scatto.
 

< Karen, non se ne parla. Ti accompagno fino a dentro. > ripeto per l’ennesima volta quando cerca di salutarmi davanti l’ingresso del St. Thomas Hospital.
< Ok. Non credo ti distoglierò mai da quest’idea. > mi dice scendendo dall’auto.
< L’hai capito finalmente! > e mentre sto per scendere un’idea mi viene in mente. < Karen aspetta un minuto per favore. > le dico mentre apro il cofano e cerco in una scatola quello che mi serve e prendo una penna scrivendoci alcune cose sopra. < Possiamo andare. > le dico riprendendomela a braccetto.

< Oh Karen! Dove sei stata? Ho avuto tanta paura! > la accoglie così sua madre abbracciandola e seguono a ruota i suoi parenti. Mi avvicino al comodino di fianco al suo letto e vi poso sopra la mia cosa. Guardo Karen per l’ultima volta e me ne vado.
Guarisci Karen, te lo meriteresti davvero! E hai ragione quando hai parlato del tuo ex, è brutto doverti perdere. Ti mando un abbraccio Karen. Vivi. Vivi per te stessa e anche per me. E non dimenticarti mai di questa giornata.


KAREN


< Tesoro, cos’è questo? > mi chiede mia madre dopo aver fatto una visita e essermi sistemata nel letto da dove posso scorgere nient’altro che il cielo scuro della notte. Penso a Robert. Penso al sogno che ho vissuto oggi.
< Cosa mamma? > mi sforzo di guardarla. Piangere una volta ti porta ed essere troppo debole. È per questo che non ho mai pianto in questi mesi.
< Questo. > e mi passa un Dvd. Lo volto e il nome ‘Eclipse’ campeggia a grande spiano. Lo apro e esce un foglietto piegato e apro anche questo iniziando a leggere.

Sei arrivata oggi come un fulmine a ciel sereno. Sarà difficile dimenticarti. Sarà difficile dimenticare la tua risata e i tuoi occhi sorridenti oppure lucidi. Piangi Karen. Piangi ogni volta che ne hai bisogno. Ogni tanto pensa anche a te stessa e non a tutte quelle persone a cui tieni. Se ti vogliono bene capiranno. Pensare che sei scappata per vedere me mi fa uno strano effetto. Non sono importante quanto te. O perlomeno, non più di te. Tu sei speciale e non te ne rendi neanche conto. Ti lascio il Dvd di Eclipse così lo vedrai in anteprima. Anche prima di me! E ricordati di me, Karen. Io mi ricorderò di te. Mi hai fatto sentire bene oggi. E mi hai fatto ricordare che non sono nessuno. Mi sono sentito impotente. I soldi, la fama… non servono a niente quando si sta male. Goditi il film e pensa a quanto sono stupido. Sappi che l’avrei visto volentieri con te ma mi veniva da urlare nel vederti con quel camicie bianco. Tu non sei quella persona. Io ho conosciuta la tua vera te. E scusami per non averti salutato come avrei voluto fare.

Un bacio, Rob.

 

 

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E termina qui. Allora questa storia è nata alle 14:00 di questo pomeriggio o meglio, è nata sulla pagina di Word perchè vortica nella mia mente da questa mattina. E ora sono le 16:30 e la sto postando dopo aver ricevuto l'ok da parte di ChiaraBella e di Piccola Ketty. Vi consiglio tutte le loro storie comunque! E le ringrazio per il loro sostegno!

Ritornando alla storia. Questa è una One Shot che ha voglia di far capire a tutti che chi è malato, di qualunque malattia, non è diverso da chi sta bene. Forse chi è malato è anche migliore. Questa storia è nata per far capire che secondo me la vita è fondamentale viverla. Karen dice che secondo lei morirà ma non rifiuta la vita. Lei vuole vivere. Certo forse se uno crede di stare lì lì per morire non fugge dall'ospedale per andare a vedere Robert Pattinson ma è nata così la storia. Non potevo modificarla. Non sarebbe stata la stessa.

Vi assicuro che ci sarà un'altra OS o magari una serie di OS. O meglio ancora una long fic. Sta a voi decidere. Le idee non sono precise ma ho in mente diverse cose che spero di potervele far leggere.

Fatemi sapere se è stata una sciocchezza scrivere questa cosa ma ci tengo davvero tanto.


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Capitolo 2
*** The Life Is Important. Don't Waste It II parte ***


Ciao a tutti. Sono tornata qui, con questa One Shot, o meglio, con il continuo di questa One Shot.
Era da tempo che l'avevo in mente solo che ho sempre avuto la costante paura che non fosse all'altezza della prima.
Ho notato con piacere che è piaciuta, e per questo volevo scrivere qualcosa che comunque non facesse diventare la prima parte di questa "storia" frivola. Penso.

 Il mio intento era incitare a vivere.
Era far capire a chi ha qualche malattia, più o meno grave, che nonostante tutto non bisogna mai arrendersi. MAI. Perché ogni persona, a modo suo, è importante per qualcun altra.

E questa seconda parte l'ho scritta in due volte, diciamo.
Ho iniziato a metà Agosto e poi, senza un perché, non l'ho più continuata.
Ieri pomeriggio invece, l'ho ripresa e l'ho portata a termine. E non ho più pensato che lui fosse Robert Pattinson.
Forse è sbagliata la forma. Forse ho accomunato due cose diametralmente opposte ma questa volta il mio intento era far capire che al mondo esistono problemi ben più gravi che dei paparazzi in questo caso, o magari non avere un ragazzo.
Insomma, lei combatte contro la morte. E lui si lamenta del suo lavoro.
E' davvero stupida come cosa.

Quindi, vi lascio leggere e alla fine voglio ringraziarvi tutti come si deve...

 

The Life Is Important. Don't Waste It

 

LONDRA - 2 settimane dopo l’incontro tra Karen e Robert (ipoteticamente il 3 Luglio 2010, dopo l’uscita di Eclipse) 


Due settimane sono passate da quel giorno in cui mi sono sentito normale assieme a Karen.
Due settimane che non faccio altro che pensare a quella ragazza fragile.
Due settimane durante la quale il suo volto è impresso nella mia mente come inchiostro indelebile.
Due settimane che esco di casa per arrivare davanti all’ospedale e poi voltarmi come un perfetto vigliacco.
Non va bene. Non va affatto bene. Due sono le alternative tra le quali devo scegliere: andare avanti e serbare gelosamente il ricordo di quella giornata oppure entrare in quel dannato ospedale e aprire gli occhi di fronte a quella che è la vera realtà. La dura e vera realtà.
Io sono fortunato. E non lo sono per le fan, per i soldi e per il successo. Lo sono perché sto bene. Lo sono perché ho una famiglia che mi ama e mi appoggia sempre e comunque.
A Karen manca una di queste due cose: la salute. Vorrei poter fare qualcosa per restituirle la vita. Quella vita dove non bisogna mai contare gli attimi che ti restano. Mai. A volte vivo nell’apatia più assoluta. Mi lascio gestire la mia vita dalla mia agente. Mi lascio trasportare dai film che giro e dalla gente che mi circonda.
Non ricordo l’ultima volta che ho provato l’ebbrezza caratteristica per lo più della mia età.
Non ricordo quando ho fatto una follia.
Non ricordo più l’ultima volta che mi sono ubriacato senza dover rendere conto ai giornalisti ma semplicemente ai miei genitori che mi mettevano in punizione per settimane intere.
Vorrei vivere davvero. E io posso farlo. Karen invece non può. E mi sento così impotente per tutta questa situazione. Com’è che si dice? “Chi ha il pane non ha i denti.” Ecco, è esattamente così per me e per Karen.

Sono davanti al St. Thomas Hospital e parcheggio la mia macchina il più lontano possibile dall’entrata. Ho voglia di schiarirmi un po’ le idee. Ho deciso che la soluzione migliore è venire a trovarla. Ma per dirle cosa?
Scendo dall’auto calandomi il berretto in testa e inforcando gli occhiali da sole. Non vorrei mi riconoscessero. Con le mani in tasca e il capo chino mi avvio lentamente verso l’entrata pronto a raggiungere il sesto piano.

L’odore forte del disinfettante m’investe in pieno facendomi bruciare il naso. Percorro il lungo corridoio fino alla fine. La stanza di Karen era lì, a meno che non l’abbiano spostata. In realtà mi auguro che sia a casa sua.
Quando mi trovo di fronte all’anonima porta socchiusa busso leggermente e entro subito dopo udendo un timido < Avanti. >
< Si può? > chiedo delicatamente.
< Robert? > gli occhi verdi e chiarissimi di Karen diventano immediatamente lucidi alla mia vista. Le sorrido. Ecco il momento imbarazzante. Come spiego la mia presenza qui? “Mi sono affezionato a te e voglio aiutarti a guarire?” Se servisse l’amore delle persone probabilmente sarebbe in vacanza in questo momento.
< Speravo di non trovarti qui. > gli dico sedendomi sul fondo del letto.
< Non penso che scapperò ancora… > dice con un sorriso che di felice non ha nulla.
< Speravo fossi a casa tua… > la mia voce è poco più di un sussurro. Mi fa male vederla qui. Al diavolo la morale! Al diavolo i soldi! Mi avvicino a lei e la stringo fortemente tra le mie braccia. < Karen non meriti di essere qui! Non lo meriti affatto! > dico carezzandole le spalle.
< Perché sei qui? Non merito il tuo tempo… > la sua voce è spezzata. Ha paura di dirmi qualcosa che potrebbe in qualche modo ferirmi. Lei non può ferirmi. Lei è delicata come un soffice fiore. Sono io a dover stare attento con lei.
< Meriti il tempo di ogni persona che hai incontrato. Mi sei entrata dentro Karen. Sai quei colpi di fulmine? E non parlo d’amore. Parlo di affinità. Non so… sei speciale… > le apro completamente il mio cuore.
< Dici così perché sono malata. > stringe i pugni contro il mio petto.
< Non dire così. Non dirlo mai più. Tu non mi fai compassione, Karen. Credo… credo di volerti bene. Mi fa male vederti in questo dannato letto. Non è giusto che tu non possa essere là fuori… > indico la città oltre la finestra chiusa, < Tu dovresti essere fuori, magari a mangiare un gelato come ogni ragazza della tua età. Meriteresti goderti il debole sole che c’è oggi. Dovresti sbagliare nella tua vita e scontare le punizioni che tuo padre dovrebbe darti. Dovresti innamorarti. Io ho gettato tutto questo al vento, sai Karen? Ho preferito, anzi ho scelto, la recitazione non pensando a tutto quello che avrei perso. >
< Puoi tornare indietro… >
< Io posso. Posso rinunciare a tutto, è vero. Deludendo la mia famiglia. Deludendo i miei amici perché io, al contrario loro, sono arrivato dove tutti noi sognavamo di arrivare. Deludendo le persone che mi seguono. Te compresa. >
< Io capirei. > le sorrido.
< Tu si. Tu vorresti essere al mio posto. Vorresti poter scegliere. Ma com’è stronza la vita. Siamo in ruoli differenti. Io potrei scegliere ma non posso. Tu vorresti ma non puoi. E non è giusto. Perché io getto al vento la mia vita in questo modo. > mi scosto da lei afferrandole le mani che si perdono nelle mie.
< L’altra volta mi hai detto che non devo rinunciare. Che non devo darmi già per sconfitta. Ricordi? > annuisco. Non ho dimenticato nulla di quella nostra giornata rubata alle nostre rispettive vite. < Bene. Io non lo sto facendo. Io sto meglio. La malattia è sempre stabile però reagisco bene al ciclo di chemioterapia perché è il mio stato d’animo ad essere mutato. Robert sono convinta di potercela fare. E questo soltanto grazie a te. Magari è tutto sbagliato. Però intanto mi godo quello che ho. Non reprimo nessuna mia emozione. Mi rendo partecipe quando i miei amici mi vengono a trovare. Mi sembra di vivere quello che vivono loro. Ho reso un po’ più semplici le cose ai miei genitori. Non sai quanto ti è grata mia madre per tutto. >
< Non deve essere grata a me. Hai soltanto trovato, finalmente, quella forza d’animo che si nasconde nel tuo grande cuore. >
< Sempre grazie a te… > scuoto la testa dinanzi alla sua ostinatezza. < Ma stavamo parlando d’altro. Quello che cercavo di dirti è che se io posso in qualche modo essere attiva, condurre una strana vita da un letto d’ospedale, non vedo come e perché non possa farlo tu. Devi essere sempre te stesso. Sempre. Fai il tuo lavoro come se fosse uno qualunque. Non pensare alla gente che ti giudicherà. Non pensare alla tua famiglia, ricordi come hai detto? Pensa a te stesso. Io lo sto facendo e sto meglio. Ora tocca a te. Tutti fanno qualche errore. Puoi permettertelo anche tu, cara star di Hollywood! >
< Ma hai seriamente 17 anni? > le chiedo stupito.
< E tu ne hai 24? Sai sembri un vecchio che non vede l’ora di andare in pensione! > mi dice con un sorriso genuino. Non sta bene. Non sta bene fisicamente. Però è più decisa. E questo è già un bene. < Comunque si, ho 17 anni. E prendi esempio da quest’adolescente che è evasa da un ospedale. >
< E ti è andata anche liscia perché non potevano punirti. > e ridiamo. Che accoppiata stramba. Però mi sento molto più leggero con il cuore. Mi serviva parlare con lei.

< Grazie Robert. > dice dopo 10 minuti di tombale silenzio. Abbiamo ascoltato un po’ di musica alla radio e ci siamo tenuti per mano per tutto il tempo.
< Per cosa? >
< Beh, per tutto. Sei stato fondamentale per me. >
< E tu lo stai diventando per me Karen. Hai una personalità che fa paura, sai? Hai solo bisogno di essere spronata. Spero di riuscire a seguire il tuo esempio. >
< Sono sicura che ce la farai. Se sei arrivato fino a qui è solo grazia alla tua tenacia, no? >
< Ehi! Anche grazie ai miei capelli! > e me li tocco in modo teatrale.
< Pazzo! >
< Grazie, lo so. > e rido. < Poi lo hai visto Eclipse? > chiedo soprappensiero.
< Scusa, me lo chiedi anche? > mi risponde con un tono d’accusa.
< Ma scusa! > e scoppia a ridere quando guarda la mia faccia.
< Perdonato per stavolta. >
< Eh! Grazie allora. Senti, io devo andare via. > le dico vedendo che si è fatto buio.
< Giusto. Grazie mille per essere passato. Non sai quanto mi ha fatto piacere la tua visita… > mi risponde seria.
< Non sai quanto sono felice di essere venuto. Ci ho messo un po’ di tempo per prendere questa decisione, ma non sapevo se era la cosa giusta da fare. > ammetto. Meglio essere sinceri ormai.
< Puoi venire quando vuoi. >
< Si, lo so. > le sorrido. < Mi piacerebbe darti il mio numero di telefono. > dico all’improvviso.
< Cosa? Davvero lo faresti? > mi chiede incredula.
< Certo. Siamo amici io e te, piccola! > le carezzo piano una guancia che sembra fatta di cristallo sotto le mie dita.
< Grazie Rob. >
Dopo esserci scambiati i rispettivi numeri di telefono, con la promessa di sentirci presto, la saluto con un lieve bacio sulla fronte ed esco dalla stanza con il cuore tranquillo.
Avrei dovuto prendere prima la decisione di venire da lei. È così forte. Molto più di me.
È riuscita a darmi la forza e la carica giusta per continuare la mia vita. Lei, che fino a qualche settimana fa, era rassegnata alla morte.
Cosa è cambiato in lei? Cosa l’ha fatta scattare? Cosa è bastato a far tornare nei suoi occhi quella vitalità che forse aveva prima della sua malattia?
Ho sognato di vederla stare meglio. Ho sognato vedere il suo sorriso. E ho sognato lei che combatteva per la vita.
E i miei sogni si sono fatti realtà.
Karen diventerà una grande donna. Sono certo che potrà fare tanto nella sua vita. Per se e per gli altri. Ha già iniziato con me. Non so quale sarà il suo destino, non lo sa neanche lei, ma credo che anche se non sarà tutto il mondo a conoscere il suo nome, ci saranno quelle persone, le più fortunate, che si ricorderanno di lei.
Forse le infermiere in ospedale. Forse quelle ragazzine che sono state davvero cattive nei suoi confronti alla premiere. I suoi genitori che sono accanto a lei ogni giorno. Due persone per cui lei si sta dimostrando forte. L’ammiro davvero.
E sicuramente la ricorderò io. Mi ricorderò per sempre le sue parole, che si tratti di un qualche grande problema o di una cosa utilissima. E non dimenticherò mai neppure i suoi grandi occhi che mi sorridevano.

 

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Bene. Lo so che è molto diversa dalla prima e che stranamente si sono invertiti i ruoli.
Ma quello che ho cercato di trasmettervi è ... la forza di vivere. Basta. Semplicemente questo.
Perché, come vi dicevo prima, ci sono problemi futilissimi e problemi davvero grandi. Però sono problemi comunque. Ci vuole una grande forza d'animo e anche tanta, tantissima volontà.
Quindi ecco qui quello che mi è uscito dal cuore.
Karen grazie a Robert sta andando avanti. A prescindere da quel che è la malattia. Ma non si sta buttando a terra. Si sforza di sorridere alla vita che è stata dura con lei.
E Robert capisce che deve ringraziare per quel che ha, anche se a volte vorrebbe dire basta a tutto.
Si aiutano a vicenda. :)

Comunque voglio dedicare questo pezzo ad una persona che è diventata davvero importante. Spero che lei capisca che mi riferisco a lei. Ti voglio bene, tesoro. E sei una grande!

Voglio ringraziare le mille persone che mi hanno chiesto un continuo e che mi hanno fatto i complimenti. Grazie, davvero. E' stato importante per me.

ChiaraBella
Piccola Ketty
stellinaxx
midnightsummerdreams
ginevrapotter
emy cullen
annylp
Lyomael
Lullaby73
KriRob
_Sister_
BabyVery
Selene Krystal
DoLcE_DuDI
uley

Le vostre parole sono state tutte bellissime. Mi avete detto che sono riuscita ad emozionarvi. E voi avete emozionato me con le vostre parole. In molte avete detto di seguire tutte le mie storie e vi ringrazio per il continuo appoggio che mi avete dato e continuate a darmi. E grazie perché ho ricevuto anche commenti da ragazze che io seguo, leggo e ammiro per la loro bravura.
Grazie di cuore a tutte voi.

Pina.

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