Raccolta di scene e racconti di Erik Winterking (/viewuser.php?uid=100649)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima scena: il concerto ***
Capitolo 2: *** Seconda Scena ***
Capitolo 3: *** L'organista ***
Capitolo 1 *** Prima scena: il concerto ***
Ed
eccomi tornato! Non so che titolo dare a questo racconto. "Prima
scena", quindi, va benissimo, anche se magari può sembrare
banale. Non importa! Quel che conta, è che bene o male mi
è tornato internet (i guai di un canone mensile... ogni
tanto
scade -_-) e quindi potrò aggiornare più
frequentemente.
Comunque, ogni recensione mi ha fatto venire un pozzo di considerazioni
più o meno filosofiche... sto pensando seriamente di fare
un'area discussione apposta, altrimenti occuperei tre volte lo spazio
di ogni capitolo o racconto che scrivo! Ok, ora c'è il
racconto,
e in fondo ringraziamenti ed altri scleri ^^
P.S: in questo racconto
sono citate due canzoni, che suggerisco di ascoltare :) così
il racconto renderà meglio...
Il Concerto
Le facce della gente sotto il palco, appena distinguibili. Non erano
neanche molti – un piccolo concerto per una band agli esordi.
Ma
cantare, sfogarsi, che sensazione meravigliosa! E i suoi amici che
suonano, accompagnandolo...
Finalmente può dire di sentirsi in pace con sé
stesso.
Non sta neanche pensando alle parole che pronuncia – non
perché non abbiano importanza, ma perché vengono
fuori da
sole. Le ha cantate così spesso, ormai... e ora ecco,
l'ultimo
accordo, e una frase sussurrata dolcemente, come una piccola ninnananna
malinconica... e la canzone è finita.
Il pubblico sotto il palco applaude entusiasta. Anche i più
distratti lontani mostrano il loro apprezzamento. Eppure, a lui non
importa. È felice semplicemente di poter cantare, cantare
senza
preoccupazioni.
«Grazie, grazie mille! Sono – anzi, siamo felici
che vi
piaccia la nostra musica... santo cielo, potrei andare avanti
all'infinito. Purtroppo però siamo arrivati alla fine della
scaletta... prima dell'ultima canzone, le presentazioni di
rito...»
La chitarrista tossisce e inizia a parlare.
«Chiedo scusa per l'interruzione, ma prima della
presentazione ho
una sorpresa particolare. Canterò l'ultima canzone, e
ringrazio
gli altri membri per aver approvato la mia idea, e soprattutto il buon
vecchio Stephen, che mi ha anche aiutato ad arrangiare il pezzo e a
prepararlo. Una canzone di Tarja Turunen, ex voce dei Nightwish.
S'intitola Sing for Me, canta per me.»
Resta accanto al microfono, interdetto. Perché lui invece
non ne sapeva niente?
«Ehm... ok, va bene. Approfitterò di questa pausa
per
riposarmi un po' di più. Lascio il palco a lei,
signorina.»
Ciò detto, si inchina elegantemente e si allontana dietro le
quinte, curioso di vedere cosa succederà. Non dubita che
sarà un'ottima esecuzione – in alcune canzoni lei
fa dei
piccoli pezzi vocali di sottofondo, e sa che ha una magnifica voce.
“Comunque... a meno che non abbia mentito, ha chiesto il
permesso
agli altri, ma non a me. Da cui deduco... che la sorpresa era per me.
La logica mi direbbe questo almeno... ma la gente è
imprevedibile... vedremo.”
Le prime note della canzone si diffondono, distogliendolo dai suoi
pensieri. Si perde subito nell'ascolto, rapito dalla musica e dalla
voce...
«Diventa difficile respirare, e l'oscurità nella
mia testa
mi spaventa. C'è un piccolo diavolo nella mia bocca che
scrive
brutte parole da farti gridare. L'anima vergine che viveva in me viene
violata dall'insicurezza... ho bisogno che tu canti.
«Canta per me, amore. Canta e dividi ciò che
è
giusto da ciò che è sbagliato. Qui, dentro la mia
mente,
la verità è difficile da trovare.
«Sta diventando troppo affollato qui. Sono da sola, e gioco
con
la mia paura. Non voglio più che succeda questo... mi sono
ancorata al terreno da sola. Ho bisogno che tu canti.
«Canta per me, amore, canta e dividi ciò che
è
giusto da ciò che è sbagliato... qui, dentro la
mia
mente, la verità è difficile da trovare. Canta
per me,
amore...»
Con un'ultima, delicatissima nota sostenuta, la canzone finisce. La
ragazza si inchina, prima di avvicinarsi ancora al microfono.
« Erik, stasera
vi ho donato la mia anima.»
Strabuzza gli occhi. Quante volte ha letto quella frase, quante volte
ha letto quel libro... torna al centro del palco. La guarda negli occhi
e sorride.
« E la tua
anima è così bella, bambina. Stasera gli angeli
hanno pianto.»
“Sì, ho capito.” E mentre pensa queste
parole, vede
la gioia sul suo volto. “Sei così
bella...”
«Bene, signore e signori, a questo punto è l'ora
delle
presentazioni tanto rimandate. Abbiamo deciso di usare dei soprannomi,
ma non per qualche motivo particolare... è quello che
è
uscito quando abbiamo fatto testa o croce.»
Qualche risata dal pubblico, mentre i suoi amici sorridono pensando a
come un uomo possa fare il comico per controllare il nervosismo. Va
anche detto che così è tutto molto più
divertente.
«E allora, in ordine rigorosamente casuale, un applauso per
il
Cavernicolo! Che ha deciso di chiamarsi così
perché un
giorno vuole usare le clave per suonare la batteria. Bravo!
«A seguire, un'ovazione per Christine, chitarra e voce! In
entrambi i campi, bravissima!»
La ragazza si inchina, e nello stesso tempo si meraviglia. Non era
quello il nome che aveva scelto... però...
«E vi è già stato detto il nome del
Pianista Pazzo,
quindi non c'è bisogno che lo ripeta! Se vi domandate
perché abbia scelto di chiamarsi così, la
spiegazione
ufficiale è che gli piacciono i libri horror. Secondo me
invece,
ha scelto aprendo a caso il dizionario dei nomi.
«A seguire, il penultimo applauso per Johnny, questo
fantastico
musicista che suona un manico sintetico con corde spesse, microfoni e
regolatori del volume. Sì, esatto, il basso. Tu invece,
perché hai scelto di chiamarti così?»
«Senza motivo. È bello così.»
«Magnifico! E in ultimo ci sono io. Beh, dopo un'oretta e
mezzo
che faccio il protagonista, ci vuole un po' di modestia... insomma,
troppa autostima fa male. Voce e scrittore dei testi delle nostre
canzoni, sono Erik, il Fantasma dell'Opera! Grazie a tutti!»
Applaudono per lui. Alcuni convinti, altri meno, ma non gli interessa.
Si sente in pace, come non lo era da anni. Finalmente... finalmente
canta quello che prova. Ed è così liberatorio...
«Bene, vorrei solo fare un ultimo appunto. Secondo il mio
orologio, dovremmo avere ancora cinque minuti, che dovremmo usare per
smontare l'apparecchiatura. Poiché questa è una
canzone
che non abbiamo mai neanche studiato, la canterò senza
accompagnamento, mentre i miei compagni possono smontare i loro
attrezzi. Immagino che sembrerà egoista e anche
maleducato... ma
credo che sia importante, e adatta al momento. Anthem, Inno, dei
Kamelot.
«Cos'è un miracolo, se la vita stessa non lo
è? Chi
sono io, per elogiarne la bellezza con un inno? Potrei inciampare su
parole che ho dimenticato, proprio come la vita stessa può
lentamente iniziare... cantami una canzone che faccia commuovere le
montagne, cantami l'inno della vita.
«Sono scettico, mi piace il mio bicchiere di vino. Non so il
tuo
nome, né quello che dovrei fare. Un giorno ti domanderai
perché bisogna cercare di leggere tra le righe, e canterai
per
me, così come io canto per te. Cantami una canzone che possa
separare gli oceani, cantami l'inno della vita.
«E così si gira un'altra pagina. Prego per poter
capire
quello che succede, ma su ogni cosa, di questo sono sicuro:
darò
sempre il meglio di ciò che posso. Cantami una canzone che
rallegri gli angeli, cantami un inno alla vita... cantami l'inno della
vita.»
Lascia echeggiare ancora un po' le sue parole, prima di parlare per
l'ultima volta.
«Grazie per averci ascoltato! Speriamo di tornare presto sul
palco!»
«Dalla tua risposta alla mia citazione, direi che hai capito.
Anche dal soprannome che mi hai dato sul momento... mi
sbaglio?»
«No, non sbagli... ti ho capito.»
Silenzio. La ragazza parla di nuovo.
«E allora? Non hai niente da dire? O vuoi che sia io a fare
la prima mossa?»
«Di cose da dire ne ho tantissime... così tante,
in
effetti, che non so neanche come cominciare. In più non
riesco a
definire bene il mio stato d'animo... poi sono nervoso... e, per
finire, ho la terribile sensazione che le parole banalizzino quello che
vorrei esprimere. Insomma... sì, non mi sono spiegato
granché...»
La chitarrista sorride.
«Forse è vero, non ti sei spiegato, ma penso anche
di
poterti capire. E se non capire... sicuramente accettare. Comunque...
se hai capito i miei riferimenti, se hai capito la canzone... non ho
altro da dire... adesso tocca a te...»
«Sì, è vero. Sai, sono... come dire...
boh, non mi
viene il termine. Ho quasi paura che questo sia solo un sogno, e che
alla mia prima mossa svanirà tutto...
però...»
La guarda negli occhi.
«Davvero, sapresti accettarmi per quello che sono? Non so
cos'altro ti rimanga da scoprire su di me. Ogni tanto mi sorprendo da
solo, per dire... e scusa questo incredibile giro di parole... ma il
fatto è che non so proprio cosa fare...»
Si ferma, pensieroso, poi sospira.
«Sei la prima a provare un tale sentimento per me. E io...
beh,
come ho cantato 'non so cosa dovrei fare'... o forse mi manca il
coraggio di dirlo a voce alta. L'ho detto, mi sembra che le parole
rendano banali quello che per me è sublime. Io... posso
abbracciarti?»
«Certo... voglio dire, sapendo quello che provo per te, non
avresti neanche bisogno di chiedermelo...»
Erik la stringe a sé, dapprima esitante, poi con sentimento.
«Grazie... era tanto che non mi succedeva. Sul fatto che te
l'abbia chiesto... non so, può darsi che sia una mia
paranoia.
Ho un enorme rispetto per le altre persone, soprattutto quando si
tratta di contatto fisico. O forse sono solo timido... oppure ogni
gesto per me ha un'estrema importanza, mentre gli altri agiscono
più a cuor leggero.
«È bello stare così, sai? Mi piace
sentire un'altra
vita vicino a me. Grazie per i tuoi sentimenti... non so se
sarò
all'altezza. Ma voglio ricambiarti... e per te, cercherò di
dare
sempre il meglio di me.»
La ragazza guarda il cantante, gli occhi lucidi dalle lacrime, e
sorride.
«A me basta che tu sia sempre te stesso. Malinconico, folle,
spiritoso, ma soprattutto dolce e sempre presente. Mi basta che tu mi
dica ciò che ti mette a disagio, se succederà,
così potrò aiutarti, e se non aiutarti, almeno
sostenerti. Mi basta che tu sia sempre sincero con me, e possibilmente
fedele. Perché tutto ciò che ti ho chiesto
è
quello che io ti offro.»
«Mi viene da scherzare, e dire che non ti accontenti certo di
poco. Ma secondo me, quelle che tu hai elencato non sono altro che le
basi dell'amore... e mi vanno bene. E...»
Si interrompe, senza sapere come continuare. Christine avvicina le sue
labbra alle sue, sfiorandole appena.
«Non serve dire altro. Io ti amo, e tu hai deciso di
ricambiarmi... e in questo momento sono così felice che non
m'importa più di niente. Grazie...»
‡
†
‡
E
rieccomi per le riconsiderazioni! Innanzitutto, alla fine un titolo
l'ho messo comunque. Evabbè, se salta fuori tanto di
guadagnato
(anche se non mi convince granché). Cooomunque... ma via,
parliamo senza un ordine preciso! È bello così!
(non so,
stasera mi sento stranamente allegro, e non è esattamente
una
cosa che capiti spesso) Quindi, come sempre, grazie per le recensioni.
Prima o poi anch'io recensirò, ora che ho rinnovato
internet...
anche se dovrò sforzarmi di cambiare approccio - di solito
penso
alla recensione come qualcosa che comprenda il tutto, quindi non ho
l'abitudine di recensire capitolo per capitolo... in ogni caso, i
lavori che ho letto finora mi sono piaciuti. E quando avrò
un
po' di tempo libero (tempo di esami anche per me... via sui libri e
sugli appunti! -_-") scriverò qualcosa di più
esauriente.
In generale, la sola cosa che ho notato sono degli errori di
battitura... ma solo perché sono un super pignolo! Per
evitarli
io rileggo i miei racconti quattro o cinque volte... e spesso, se li
rileggo settimane o mesi dopo, continuo a trovare errori o ripetizioni!
Forse a volte esagero un po'...
In ogni caso, i periodi tolkeniani sono bellissimi! Il mio modello di
scrittura! Ehm... forse un po' lunghetti... ma proprio per questo
secondo me sono magnifici! Quando una frase viene costruita come un
edificio, con le fondamenta e i muri portanti, per poi pensare a tutti
gli abbellimenti e le aggiunte... al contrario, non apprezzo troppo lo
stile "minimalista" ovvero l'utilizzo smodato di frasi brevissime... mi
sembra quasi di sentire qualcuno che legge a voce alta con il
singhiozzo, che si interrompe sempre! È fastidiosissimo!
Vabbè, passando ad altro. Non è proprio che
"parlo" con i
miei personaggi... di solito parlo con me stesso... ovvero con uno dei
miei tanti me... certo, poi qualcuno di quei me è diventato
un
personaggio. Ok, sono un pazzoide e sto divagando, ma è solo
perché sono un genio! (modestia on oggi XD) Comunque, non
è che parlo con i personaggi, è che i personaggi
fanno
come pare a loro! Per esempio, all'inizio la storia del Re d'Inverno
doveva avere un lieto fine... nella mia mente Voce dell'Estate sarebbe
riuscita a salvarlo. Invece no... il Re era diventato troppo freddo, a
quanto pare. Non so neanche dire perché sia successo... (da
qualche parte, ho ancora la bozza dell'altra versione.
Chissà se
riuscirò mai a finirla...)
Dei corsi di sintassi, invece, non so nulla. Personalmente, il metodo
che ho seguito è stato molto semplice. Leggere, leggere,
leggere, e ancora leggere. Se non bastasse consiglio di leggere ^^
scherzi a parte, soprattutto leggere cose anche diverse come genere...
per dire, sono passato spesso e volentieri dalla saggistica al fantasy,
dal romanzo storico a (attenzione... qui sconvolgo la gente) i romanzi
rosa (avevo un paio di quei romanzi per ragazze adolescenti che ogni
tanto rileggevo senza un motivo preciso - solo per il gusto di
leggere...), gli unici libri che raramente ho letto sono i gialli e i
romanzi romantici... il che, visto il genere di racconti che scrivo,
può giustamente sembrare incredibile... ma mi sembrano molto
stereotipati, e non riescono a catturarmi troppo. L'unico romanzo
"d'amore" che ricordi di aver letto è "Un Ponte
sull'Eternità" di Richard Bach (sì... quello che
Nemo ha
prestato a Leannore. Anch'io l'ho prestato... e ancora non mi
è
stato restituito -_- e difficilmente lo sarà...) e infatti
l'idea di amore che si ottiene da quel libro mi è sembrata
molto
fuori dai luoghi comuni... indipendentemente da questo, è
davvero ben scritto!
Sì, l'amore per me è tenerezza. (vecchia
recensione del
terzo capitolo di Nemo). Non ho un concetto di
possessività...
perché ho raggiunto uno stadio di pensiero in cui mi rendo
conto
di non poter dire di possedere davvero qualcosa. (quanto sono
ascetico... stile guru indiano U_U) scherzi a parte, per me pensare di
possedere un altro essere vivente è un'idea assurda... e
questa
mia idea si riflette anche nel modo in cui parlo - forse anche in
ciò che scrivo? Da quel che dite sì -
perché mi
sono accorto di usare pochissimo gli aggettivi possessivi. È
una
cosa complicata, dover dire "il gatto che abbiamo accolto in casa"
anziché dire "il nostro gatto" oppure "la ragazza con cui ho
una
relazione" anziché "la mia ragazza", ma credo che aiuti a
cambiare il modo di vedere le cose. Insomma, cambi il modo in cui parli
perché cambia il modo in cui vedi le cose, e allo stesso
tempo
cambiando il modo in cui si parla è più facile
abituarsi
a vedere le cose diversamente. Sì, è un discorso
decisamente "esoterico"... ma non saprei spiegarmi meglio. Sopportate i
miei deliri, per favore! :)
I sogni prima degli esami! I miei primi esami sono stati in quinta
elementare, ma non ricordo particolare nervosismo, né per
quelli, né per gli esami di terza media. In compenso ricordo
benissimo che quando avevo gli esami di maturità mi sono
svegliato una domenica verso le cinque di mattina convinto che avessi
perso il treno e che quindi sarei arrivato a scuola in ritardo! Quanto
mi sono sentito meglio una volta scoperto che era domenica... comunque,
buona fortuna! Coraggio che in terza media non sono così
terribili! Non che io ricordi, almeno...
E comunque, complimenti perché scrivete già
abbastanza
bene nonostante siate (relativamente parlando) piuttosto giovani. Ho
letto gente più grande di me (che mi avvicino ai 20...
diamine,
mi sento vecchio!! @_@) scrivere molto peggio di voi... quindi
coraggio, continuate e non smettete mai! Solo con l'esercizio si
può migliorare!
Ho scritto tantissimo, è quasi più la parte dei
pensieri
in libertà che il racconto vero e proprio. La smetto qui?
Forse
è meglio... alla prossima! ^^
P.S: Come avrai notato dalla prima canzone che cito in questo racconto,
sì, amo Tarja. Con i Nightwish i testi erano quasi tutti di
Tuomas, ma anche da sola non se la cava così male. E in ogni
caso... ha una voce indescrivibilmente bella *-*
P.P.S: spero che i caratteri speciali si vedano - sono o non sono una
figata? XD
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Capitolo 2 *** Seconda Scena ***
Seconda Scena
«Perché, perché sfuggi
sempre?»
«Perché non dovreste avvicinarvi all'orrore che
sono. Ti prego...»
«Non sei un orrore... Cosa in te ti dice questo? Per quale
motivo ti odi così tanto?»
«Perché, nonostante ogni mio impegno, non so
ancora apprezzare l'esistente attorno a me. E distruggo, ciò
che mi arriva vicino, mentre l'amore diventa disprezzo e indifferenza.
Preferirei l'odio! Potente e onesto, lo preferirei perché si
curerebbero di me! Eppure, non posso far altro che rifuggire.»
«Non sei da odiare, né ti disprezzo. Ma
rifuggendo, non ti negherai l'unica possibilità di essere
amato, di essere felice?»
«Speranza, speranza. A cosa serve? Troppo a lungo l'ho
nutrita, e mi sono sfinito io nel farlo. No, non posso più
continuare. Amore? No, non illudermi... non è possibile.
Anche tu, anche tu che ora sembri così preoccupata per me...
ti allontanerai, appena vedrai il mio vero aspetto, l'aspetto del
mostro che nascondo dentro me.»
«Sicuro, invece, che quel mostro non sia solo frutto della
tua mente? Non credo che tu sia così cattivo come ti dipingi
– è dentro te, che ti distruggi.»
«Sì, mi distruggo... ma mai abbastanza. Mi mutilo
e aspetto di rigenerarmi, in una tortura infinita che mi libera dal
peso del respiro... e non so perché, ma è la sola
cosa che mi faccia sentire sollievo...»
«Ma è un sollievo fittizio... e ogni volta sarai
costretto a incidere più a fondo, finché non ti
ucciderai... vale la pena farlo? Quando invece potresti contare su
delle braccia che ti accolgano, che ti cullino e facciano svanire i
tuoi dolori? E se l'empatia è solo un vago concetto,
un'illusione sfumata di poter provare le stesse emozioni degli altri,
non ti sentiresti meglio se ti aprissi con qualcuno? Spogliati di quel
velo di oscurità che indossi, cammina con noi. O meglio...
con me... Non sei solo, oltre quella barriera...»
«Tu vorresti salvarmi? Provarci? E se fosse troppo tardi...
forse... forse questo è il mio suicidio estremo.
Allontanarti... perché? Perchè è
meglio così... tu mi dimenticherai, troverai qualcuno
più adatto a te, a questo mondo... mentre io
svanirò nella distanza, ed è giusto
così. Che abbia un altro peso sulla mia coscienza nera come
la pece, forse sarà la spinta ultima verso
l'oblio...»
«Stolto, stolto, mille volte cieco! È a te che
tengo, perché dovrei cercare un altro? In questo modo non
punisci solo te stesso, ma rendi infelici anche gli altri! In questo
caso... me.»
«Ma è davvero possibile la felicità? Ha
davvero senso cercarla? Perché combattiamo contro questo
gigantesco vuoto di significato, buttandoci dentro ogni cosa pur di
riempirlo e così perdendo tutto? Non sarebbe più
facile e dolce abbandonarsi alla sconfitta, scivolando lentamente nel
sonno di una morte così insapore eppure dolce?»
Un velocissimo
raccontino senza titolo (si può intendere dal generico
"seconda scena" XD) .-. buona lettura! Anche se c'è poco da
leggere... ^^
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Capitolo 3 *** L'organista ***
L'organista
Era uno strano tipo, era
vero. Non strano per comportamento – o chissà,
forse anche per quello – ma sicuramente chiunque lo vedesse
riconosceva che era in qualche modo bizzarro – ma ancora, le
parole non rendono in modo perfetto come poteva esserlo.
Alto, lungo, allampanato, la sua figura sembrava descritta solo da
linee dirette verso l'alto, e dal continuo prolungarsi di quelli che
sarebbero stati i caratteri normali di un essere umano normale. I palmi
delle sue mani erano poco più larghi dei polsi, ma due volte
più lunghi; e da essi le dita si prolungavano sottili e
affusolate, quasi capaci di vita propria.
Il volto era un ovale squadrato, dai tratti secchi; la pelle, tirata
quasi al limite dell'osso, accentuava la sua lunghezza, e la linea del
naso occupava il terzo centrale della vista frontale; una leggera
peluria cresceva sugli zigomi, giocando con le ombre in modo tale da
esasperare l'effetto finale – l'effetto di lunghezza
caratteristico di quell'uomo.
Infine, ogni carattere longilineo della sua persona sarebbe stato
enfatizzato degli abiti che portava, sempre neri, come se fosse in
lutto perenne; i pantaloni più larghi delle sue gambe, che
lo alzavano di qualche centimetro – anche se, in fondo si
trattava solo di un effetto ottico; l'elegante giacca, che sembrava di
velluto – ma era un dettaglio importante? no, davvero non lo
era – sotto la quale indossava un gilet, anch'esso nero, e
una camicia, unica nota bianca. Tutto sommato, un accostamento
raffinato, cui era aggiunto un cappello a cilindro che donava gli
ultimi centimetri in più ad una figura che così
torreggiava su chiunque incontrasse.
Ma ancora, se pure questi caratteri sicuramente lo rendevano un
soggetto peculiare, erano nulla a confronto dei capelli –
nulla, a confronto della spaventosa massa viva che ornava il suo
cranio! Ah, davvero a questo punto le parole non bastano più
a descrivere! Quei moti dell'animo che si possono manifestare
all'esterno attraverso gli occhi, o una particolare posa, quei moti che
possono essere indovinati anche sotto una calma glaciale, quando un
impercettibile dettaglio stona con le maniere del vostro interlocutore,
in lui sarebbero stati resi noti dai capelli.
Nessuno aveva mai trovato alcunché di strano nel suo
comportamento, tutt'altro; la sua cortesia, la sua gentilezza, e la sua
squisita affabilità non avrebbero attirato altro che lodi e
ammiratori. Ma i capelli! I capelli! Invero, mai più vidi
casi simili di cambiamenti rapidi e improvvisi. La prima volta che lo
incontrai li aveva lunghi, lisci, neri come i suoi abiti –
neri come la notte – e ricadevano sulle sue spalle fino a
metà schiena. Nel suo incedere sicuro, i capelli
svolazzavano come il cappuccio di un mantello.
Quando suonava l'organo o il pianoforte – era un musicista, e
anche di talento – le sue dita sfogavano l'irrequietezza che
le faceva fremere da ferme, e la sua spaventosa capigliatura
– perché davvero, altro non era se non spaventosa!
come descriverla altrimenti? – si sarebbe protesa in ogni
direzione, sfidando ogni legge fisica conosciuta, dando l'impressione
che suonasse persino con i capelli! E nelle sue esibizioni, nelle sue
improvvisazioni, si lanciava in passaggi mai osati da alcun altro,
senza tuttavia stonare, come se conoscesse ogni nota dentro di
sé. E se una sonata per pianoforte da lui improvvisata
poteva coinvolgere l'ascoltatore fin nella sua sfera più
intima, restava pur sempre una pallida ombra della sua versione per
organo.
Quali suoni! Quali accordi, quali registri usava lo stregone
– perché davvero, c'era una magia nell'aria quando
suonava – quali note suonava sulla tastiera per commuovere
persino le pietre degli edifici in cui liberava la sua
creatività? Ogni brano acquistava una propria
corporeità, come uno spirito che toccasse le anime dei
fortunati che ascoltavano. La maestosità solenne che il
suono dell'organo possiede come caratteristica, veniva sottolineata;
eppure, nella loro solidità, le note erano anche
incredibilmente leggere; e con i più arditi dei legati, con
la potenza dei fortissimo e la delicatezza dei pianissimo, riusciva a
creare – la creazione stessa non è forse, nella
Bibbia, frutto del Verbo, della parola, quindi del suono? –
ma le sue creazioni sarebbero sembrate frutti della fantasia gotica di
un architetto folle, davanti alle quali la Ragione stessa si sarebbe
ritratta, scossa dal più profondo dei terrori.
E al termine di un'esibizione – di ogni infuocata esibizione
– i suoi capelli avrebbero continuato a sfidare le leggi del
mondo fisico, rimanendo sospesi nonostante il loro stesso peso, come se
si appoggiassero agli echi della musica che ancora permeavano l'aria.
Allora, quale sarebbe stato il suo aspetto! Gli occhi ancora illuminati
dai barlumi della follia, dai barlumi di una conoscenza al di
là dell'esperienza umana, che sembravano cercare di
trattenere visioni di altri mondi; e i capelli ancora vibranti per la
passione infusa nella musica, tesi a formare una nuvola intorno al suo
volto, ornato dalla barba corta, in modo da evidenziare i tratti
più spigolosi della sua faccia, trasformandola quasi
nell'immagine di un morto – se non fosse stato per il colore
della pelle, che rendeva noto il vero stato di salute di quell'uomo.
Si dice che tutti abbiano un obiettivo supremo, nella loro esistenza, e
forse è vero; ma in tal caso, diventano grandi persone solo
coloro che lo compiono, o coloro che giungono alla grandezza anche
cercando di raggiungere la loro meta?
Il mio amico era diventato un grande musicista, apprezzato in gran
parte d'Europa; ma si sentiva ancora inquieto, lontano dal pensiero che
stava cominciando ad ossessionarlo.
«Voglio suonare un Requiem- mi disse una volta -Non un
Requiem già composto, no – li ho già
suonati e apprezzati – ma il mio Requiem, che sia per solo
organo.» Mentre esponeva il suo progetto, il suo sguardo
fissava lontano, come se vedesse qualcosa che però poteva
vedere solo lui.
«Per solo organo, deve essere! Che abbia la solenne
maestosità della Morte stessa, e la triste malinconia della
Vita! E dovrò suonarlo nel luogo giusto – non il
solito teatro, non il solito salotto! La musica dovrà essere
amplificata, vivificata dalla risonanza del luogo, e gli stessi decori
che siano lì dovranno ornare il mio capolavoro! Un
capolavoro, che sia eterno! Il luogo perfetto sarebbe una chiesa
– in esse il suono viene magnificamente trasmesso –
e per i decori, che siano come la mia musica, dovrà essere
una chiesa gotica. Una cattedrale, deve essere una
cattedrale!»
Fino ad allora ero stato in silenzio, ascoltando il suo ispirato
monologo. Solo alla fine riuscii a parlare, avanzando la leggera
obiezione di come avrebbe fatto a suonare in una cattedrale. Nella sua
risposta, non sembrò mostrare dubbi.
«Sarà difficile, certo; dovrò chiedere
il permesso al cardinale, o chi di dovere – ma non
dispererò! È fattibile, e sarà
fatto!» In seguito, quando lo rividi, non chiesi
più come andassero i suoi sforzi, né lui mi
informò; così dimenticai presto la faccenda.
Eppure, dopo qualche anno, finalmente il progetto del mio amico si
realizzò: mi invitò, pieno di gioia, ad assistere
a quello che definiva “il mio miglior concerto”,
nella cattedrale di S – nella città di P
– . Sorpreso e contento per il mio amico, promisi di
assistere allo spettacolo, che si sarebbe tenuto di lì a una
settimana.
Come sempre, la cattedrale mi meravigliava. La magnificenza dei suoi
ornamenti, l'arditezza degli archi rampanti, persino la bruttezza delle
gargouille avevano un qualcosa di stupefacente; ma soprattutto le
dimensioni lasciavano senza parole, annullati dall'immensità
del posto. Entrai nella cattedrale guardando in alto, incantato dalla
luce che entrava dal rosone e dalle finestre in vetro colorato, mentre
seguivo il movimento delle colonne che attirava verso l'alto. Quando
abbassai lo sguardo, mi accorsi che si era radunata una gran folla,
tanto che le panche in legno erano state girate verso l'organo; e, non
appena vidi quest'ultimo, capii perché il mio amico avesse
scelto quella cattedrale per suonare.
Meraviglioso, è il primo aggettivo che gli attribuisco. O
anche sfarzoso. Le canne dorate risaltavano sulla grigia pietra del
santuario, risplendendo grazie alla luce che filtrava dalle vetrate.
Erano disposte con le più piccole al centro, lasciando uno
spazio vuoto triangolare con la punta verso il basso, che sembrava
contrastare con la spinta verso l'alto dell'architettura dell'edificio:
tale contrasto le faceva sembrare più alte di quanto non
fossero in realtà.
La tastiera era posizionata in modo da nascondere l'organista, ma il
legno da cui era composta era lucido come se fosse stata appena
costruita – un'ottima manutenzione, senza dubbio. Il marrone
cupo del mogano era solcato da mille venature che creavano le figure
più bizzarre, attirando lo sguardo e fissandolo nella
semplicità di quell'oggetto, che era senza alcuna
decorazione; sarebbe potuto sembrare fuori posto in un luogo
così ricco di abbellimenti, invece si armonizzava bene
nell'insieme della cattedrale.
Infine, il mio amico arrivò, vestito come suo solito, nella
sua figura nera, lunga e allampanata; alla sua apparizione scese un
silenzio carico di attesa – erano tutti in attesa di sentire
quali meraviglie sarebbero state offerte questa volta alle loro
orecchie. Mi accorsi a malapena che non aveva con sé gli
spartiti, e non vi feci molto caso – in fondo, anch'io ero
ansioso di sentire ancora una volta la musica che così
spesso mi aveva affascinato.
L'organista si sedette,scomparendo dietro la facciata in mogano della
tastiera. Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale immaginai che
si preparasse ripassando mentalmente il brano da eseguire; ma niente
poteva preparare me – o meglio noi – a quello che
stavamo per sentire.
Il primo accordo toccò direttamente i nostri cuori,
facendoli vibrare all'unisono, mentre i nostri organismi risuonavano
come le corde pizzicate di una chitarra, mossi dalla potenza delle note
e di come venivano suonate. Le parole non possono mai descrivere una
musica, e nessuna parola potrà descrivere quel brano, quello
che fu suonato in quella cattedrale. Davvero, quando lo sentii e
ripensai alle parole del mio amico, pensai che avesse soddisfatto in
pieno il suo obiettivo. Che musica dunque!
Come aveva detto, risuonava della solenne maestosità della
Morte stessa, la rendeva una presenza alle orecchie degli ascoltatori
– e a malapena riuscivamo a comprenderla! Pure, non era una
presenza spaventosa – per quanto la Ragione vacillasse al
pensiero – ma accettata come dato di fatto. E anche, come
aveva voluto, aveva la triste malinconia della Vita, non rimpianto per
ciò che si lasciava, ma solo leggera malinconia –
negli accordi, era tutto negli accordi. Un Requiem doveva essere, un
Requiem – un canto per la pace eterna – e in esso
si cantavano dunque la Vita e la Morte, l'una abbandonata senza
rimorsi, l'altra accolta gloriosamente come vecchia amica. Ma
perché dunque spendo ancora parole? Solo l'ascolto
può rendere comprensibile l'effetto di un brano musicale
– e per quel brano, non ci saranno altri ascolti.
Il Requiem finì, e noi – il pubblico –
ci riscuotemmo lentamente dalla contemplazione in cui ci avevano fatto
piombare le note. La musica aleggiava ancora nell'aria, e la cattedrale
sembrava quasi viva, carica dell'essenza vitale che il concerto aveva
evocato. Il mio amico aveva voluto che la sua musica fosse vivificata
dall'ambiente, e invece aveva ottenuto l'effetto contrario, rendendo
vive le fredde pietre con le sue note.
La folla uscì dalla cattedrale, in silenzio quasi religioso,
mentre io mi attardai a contemplare lo splendore dell'edificio, reso
più evidente dalla magia che vi aveva avuto luogo. Poi,
visto che il mio amico ancora non si mostrava da dietro l'organo,
decisi di andare io a congratularmi con lui.
Era seduto immobile di fronte alla tastiera, gli occhi sbarrati e fissi
davanti a sé, ma dava l'impressione di non vedere nulla; le
braccia abbandonate inerti lungo i fianchi, senza dar segno di
movimento; la bocca piegata quasi in un sorriso. Ma
l'immobilità, la rigidità erano innaturali per un
corpo vivo – così mi avvicinai per sincerarmi che
stesse bene – e orrore! Le sue membra, la sua pelle erano
fredde come le pietre della cattedrale. La Vita era fuoriuscita dal suo
corpo, per non tornare più – persino dai suoi
capelli, che erano capaci di muoversi senza vento! essi erano adesso
rigidi e fermi, sempre sfidando ogni legge fisica conosciuta
– l'organista avrebbe continuato a meravigliare il mondo
anche dopo la sua morte.
Guardai la tastiera, e mi accorsi che aveva suonato senza spartito. A
memoria, o forse improvvisando? Scartai l'ultima ipotesi –
non era possibile improvvisare un simile capolavoro – ma
rimasi comunque affascinato e terrorizzato da quello che era successo
quel giorno. Aveva voluto comporre un canto di pace – e
davvero la pace aveva ricevuto; aveva creato musica con la sua anima
– letteralmente; e la sua anima era finita dunque con la
musica – aveva, insomma, dato la sua vita per un capolavoro.
Mi sentii triste, piansi per la perdita del mio amico, e mi domandai se
avesse previsto una simile conclusione alle sue opere; poi, in qualche
modo mi consolai, pensando che almeno la sua musica sarebbe rimasta.
Ma nessuno trovò mai i suoi spartiti; sembrava che suonasse
tutto a memoria, dopo ore e ore di prove e arrangiamenti; e, una volta
composto, non dimenticava mai un pezzo – non un pezzo suo.
Chi aveva ascoltato abbastanza spesso altri componimenti
provò a ripeterli ad orecchio, e ogni tanto vi
riuscì; ma il Requiem, suonato una volta sola,
andò perduto per sempre.
Eccomi tornato!
Scusate l'assenza, ma è decisamente un periodaccio... esami
e impegni vari... aaah e ho pochissimo tempo per scrivere!!!
>_<
Rispondendo velocemente ad alcune domande (o osservazioni) che mi hanno
colpito nelle ultime recensioni; dunque...
sììì esattamente quelle intendevo...
le "storie spazzatura"... XD però comunque leggere
è sempre esercizio... anche se si leggono scempiaggini =D e
inoltre di solito le storie di serie B comunque seguono la
grammatica... i personaggi della TV spazzatura a volte no!
Eh, ce n'è voluto di tempo per smettere di usare gli
aggettivi possessivi: e comunque ancora a volte non riesco a farne a
meno. Del resto, se qualcosa l'ho scritto io perché non
dire, giustamente, che è una mia opera? u_u
In ultimo, non ti preoccupare di giudicare! Il giudizio è
utile quando permette a chi lo riceve di migliorare o comprendere
meglio ciò che fa. Un po' meno quando si tratta solo di
generica disapprovazione dovuta alle proprie convinzioni, espressa al
solo scopo di ferire l'altro. Dato che questo non è il
caso... fai pure XD e se trovi che qualcosa secondo te non funzioni...
fammelo sapere senza problemi ^^
Domani esame orale!!! Oggi ho assistito al primo turno, le domande le
so... ma un po' di nervosismo c'è sempre! Aiuto! XD
Cordialmente vostro,
Erik =) |
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