Olive & An Arrow di Maggie_Lullaby (/viewuser.php?uid=64424)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. ***
Sì,
sono io.
In
vista della fine di Under The Moonlight,
mi sono decisa di pubblicare questa nuova long che – avverto –
non dovrebbe avere più di una decina di capitoli (ma chi lo
sa). È, diciamo, un intermediario tra l'addio alle sorelle
Campbell e un salve alla nuova long che ho intenzione di pubblicare
in Settembre, nella quale sto riversando il cuore.
Pubblicherei
volentieri un nuovo capitolo di Forever&Always,
ma non ho un'idea che sia una quindi spero ancora di ricevere
un'illuminazione divina, chissà mai che arrivi...
Questa
è una fic totalmente diversa
da quelle che ho scritto fin ora: in primis
è più matura, più volgare, anche, ma racconta
tematiche più serie di Brothers and Sisters;
non stupitevi di leggere imprecazioni, accenni al sesso, forse –
non so – anche risse. Si svolge nel Bronx, quindi forse con
questo ho detto tutto.
In
questo primo capitolo (piuttosto corto, i prossimi saranno più
lunghi), che forse è quasi un prologo, apparirà
unicamente la presentazione della protagonista, Liv. Dal prossimo,
invece, si conosceranno anche i Jonas che, surprise!,
non sono famosi. Solo dei semplicissimi ragazzi del New Jersey. :)
Che
altro dire? Spero vi piaccia! <3
Olive&
An Arrow
Chapter
1}
«Dimmi,
Olive...».
«Ti
prego, Regis, chiamami Liv».
«Okay,
Liv, quando hai capito che avresti dovuto fondare una band?».
«Beh,
Regis, probabilmente quando ho capito che sarei finita come mia madre
se non avessi fatto qualcosa e la musica... La musica ha fatto il
resto».
«Uno
scotch liscio», ordinò Liv Monroe, sedendosi sullo
sgabello tremolante del locale sporco e affollato, illuminato a
stento da qualche lampadina lampeggiante e piena di vecchi ubriaconi
arrapati. In pratica un bar comunissimo del Bronx.
Il
cameriere, un venticinquenne con il pizzetto, gli occhi acquosi e
arrossati di chi ha bevuto troppo, gli lanciò un'occhiata
piena di desiderio, soffermandosi sul seno prosperoso della
diciottenne.
«Ma
tu ce l'hai l'età per bere, bellezza?», domandò,
biascicando a stento le parole.
«E
tu ce l'hai l'età per scopare?!», ribatté, acida,
la mora, senza scomporsi troppo, erano diciotto anni che aveva a che
fare con individui simili.
Il
ragazzo incassò il colpo e si voltò, afferrando un
bicchiere lurido, sciacquandolo appena sotto a un rubinetto
arrugginito e versandoci poi dentro una quantità esagerato di
alcolico, ma Liv non commentò, andava bene. Più che
bene.
Si
avvicinò il bicchiere alle labbra e assaporò l'odore
familiare, insieme aspro e dolce, buono e cattivo.
Fece
un respiro profondo e lo bevve tutto d'un fiato, appoggiando dopo il
bicchiere sul bancone polveroso e facendo cenno al cameriere di
riempirlo di nuovo.
«E
i soldi? Non è che ti sbronzi e poi non mi paghi, eh?»,
fece lui, con tono lagnoso che fece subito irritare la ragazza.
Gli
lanciò venti dollari stropicciati sotto agli occhi.
«Vedi
di non rompermi più i coglioni, va bene?», lo minacciò,
accennando di nuovo al bicchiere vuoto e ordinando di riempirlo
un'altra volta. E poi ancora. E ancora.
«Ehi,
bellissima», commenta un uomo di mezza età, strascicando
le parole, «ti va di fare un giro con me, eh?».
Liv
si voltò, scoccandogli un'occhiataccia che avrebbe intimidito
chiunque.
«Fottiti».
Si
alzò e, barcollante, si trascinò fuori dal locale,
legandosi i capelli corti in una coda spettinata.
Se
sua madre fosse stata psicologicamente sotto controllo avrebbe dovuto
chiamarla per dirle di andare a casa, che era tardi, rimproverala per
l'orario e metterla in punizione; ma se Eloise Monroe fosse stata una
madre degna di essere chiamata tale Olive non si sarebbe nemmeno
trovata alle due e mezzo del mattino a girovagare – ubriaca –
tra le stradine secondarie del Bronx.
La
vita di Liv Monroe faceva schifo. Sua madre era un esaurita, la cui
unica occupazione sembrava far figli; chissà poi chi era il
padre... Il suo no di sicuro: Timothy era un uomo che compariva e
scompariva a suo piacimento, a volte mancava di casa anche per degli
anni, poi, quando tornava, passava le sue giornate a dormire sul
divano lercio di casa, ubriaco fradicio, senza quasi parlare ai
figli. Se erano figli suoi.
Olive
aveva quattro fra fratelli e sorelle; Sean era il secondo per ordine
di nascita, quindici anni suonati, un ragazzo che faceva le regole da
sé, la scuola?, un ricordo lontano. Passava le sue giornate a
farsi le canne con la sua banda di amici nel loro posto, il Buco, un
angolo sperduto in un quartiere sconosciuto a moltissimi.
Poi
c'erano Lisa e Timothy Junior, i due gemelli dodicenni, gli unici che
in casa la aiutassero a pulire, a tenere tutto a posta a casa. Infine
c'era la piccola Lauren, di soli due anni, e l'esserino più
dolce che Liv conoscesse. Sua madre quasi non le badava, in un certo
senso la vera “mamma” della situazione era proprio Olive,
strano che Lauren non la chiamasse ancora così.
Di
solito Liv lo reggeva bene l'alcool, quella sera invece si sentiva la
testa scoppiare e, avrebbe scommesso, che avrebbe vomitato da lì
a poco. Fantastico.
Si
appoggiò a un muro pieno di graffiti, facendo un respiro per
recuperare il fiato e cercando di far smettere di girare la città
intorno a lei.
Aveva
bisogno di un bicchiere d'acqua, o di un caffè, non importava.
Entrò
nel primo locale che incontrò sulla sua strada, tenendosi una
mano sulla fronte imperlata di sudore.
Il
bar era relativamente affollato, rumoroso e asfissiante. La
diciottenne sentì il respiro mancarle e si portò una
mano al petto, stanca.
Si
avvicinò al bancone, sgomitando per farsi strada tra ragazzi e
ubriachi e qualcuno fatto di coca ed eroina, e chiese al cameriere di
turno una bottiglietta d'acqua.
Il
barista gliela diede quasi senza guardarla in faccia, troppo intento
a guardare a sinistra, lontano, oltre la folla, verso la fonte della
musica.
Cinque
ragazzi vestiti di scuro suonavano concentratissimi: due la chitarra,
un terzo la batteria e un quarto la pianola, mentre un ultimo, un
ragazzo biondo, cantava con la bocca che quasi baciava il microfono.
Era
musica rock, vecchie canzoni dei Queens riciclate, e dei Beatles,
così come dei Rolling Stone.
Liv
non ascoltava musica. Non era come la maggior parte dei suoi coetanei
che passavano le ore ad ascoltare canzoni ormai conosciute a memoria
con le cuffie nelle orecchie. A lei piaceva la musica, certo, ma non
la ascoltava. Semplice.
Quei
suoni, però, quelle canzoni in quel momento le fecero tremare
l'anima.
Ora
il gruppo estraneo cantava una canzone a lei sconosciuta, armoniosa,
magica.
Scappare,
era il suo titolo. E Liv voleva scappare, andare lontano, via dal
Bronx, da New York, dall'East Coast. Sparire nel nulla. Odiava la sua
vita, odiava il fatto che con ogni probabilità sarebbe finita
come sua madre, a fare la mantenuta, quasi a fare l'elemosina,
facendo un figlio dopo l'altro, senza preoccuparsi di loro, della
propria vita, di nulla. Cercava una via di uscita, una scappatoia per
evadere.
Rise
tra sé e sé, pensando che magari fare musica l'avrebbe
potuta aiutare, dandosi subito della stupida.
L'alcool
giocava brutti scherzi...
Continua...
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Capitolo 2 *** Capitolo 2. ***
Okay,
eccomi. :)
Dunque,
nello scorso capitolo avete avuto un assaggio di Liv Monroe, un
personaggio completamente diverso dai miei soliti schemi. Avete
potuto vedere dove abita, come affronta il mondo, la sua vita.
In
questo capitolo ci spostiamo dalla realtà del Bronx (troppo
Bronxerizzata da me xD) a quella della scuola. Qui potrete vedere la
prima apparizione di Nick e Joe Jonas. Sarà un capitolo un po'
più leggero, possiamo dire, ma spero di non deludervi, l'ho
scritto con una tale ansia addosso! Ho paura di deludervi...
Ad
ogni modo, grazie per i bellissimi 12 commenti
*__* E, voglio dire, mi sono sentita onorata
di
ricevere delle recensioni da Minako_86
e
Sheep.
:D
Ringraziamenti?
_Kira_Perly_:
mentre leggevo ero così O___o Non riesco a credere che tu
riesca a vivere le
storie che io scrivo... Davvero, ma è meraviglioso
*__* *saltella per tutta la casa* Ecco a te, comunque, il secondo
capitolo. Spero ti piaccia! :) Un bacio <3
_Crazy_Dona_:
Mmh,
Joe... Joe... Joe... *vaglia le possibilità* IoNonDicoNiente!
E non scordiamoci che l'amore di cui si parla in questa fic è
la musica,
però, chissà, magari – non lo so devo ancora
decidere u.ù – anche una storia d'amore ci sta... Mmh...
Vedremo! Contenta che la fic ti piaccia! Aspetto un tuo aggiornamento
(uno qualsiasi!)! :) Un bacio <3
Sheep:
allora,
premetto che le critiche le accetto più che volentieri u.u Ne
ho bisogno, se voglio migliorare, e spero che tu voglia aiutarmi (a
meno che questa fic non si riveli una catastrofe e ho paura che sia
così -.-”). Spero di aver messo in pratica alcuni dei
tuoi consigli, anche se in questo capitolo ci spostiamo in una scena
un po' più... Mmh, normale? *tenta di trovare un vocabolo
adatto*. Anyway, spero di non deluderti! Un bacio <3
Minako_86:
come
per la recensione di Sheep
quando ho letto il tuo nickname credo di essere sbiancata mentre la
mia faccia assumeva un'espressione simile a questa: O__o Dalla
sorpresa e dalla gioia, che pensi! xD Prima di tutto grazie per i bei
complimenti *arrossisce* e grazie altrettanto per le critiche, ne ho
bisogno per migliorare e spero di riuscirci *convinta* Spero di non
deluderti! E intanto aspetto un tuo nuovo capitolo di Gabrielle
*o* Un bacio <3
noemi___lovelovelove:
eccomi
con questo nuovo capitolo!! *.* Grazie per le belle parole, hope you
like it! :D Un bacio <3
FallInLove:
ciao!
Eccoti anche qui *o* *saltella felice per casa* Spero che questo
nuovo capitolo ti possa piacere, allora *ansiosa* Anyway... Vado!
Scusa la brevità ç.ç Un bacio <3
Marta:
amoooore
*ç* Okay, non ci siamo già parlate al telefono, quindi
non so che aggiungere, se non... Un bicchiere di troppo? MALEFICA!!
-.-” Ecco, ti faccio da mamma e so che lo odi xD Un bacio, ti
amo <3
Sweetness:
amooore!
Da quanto non ci sentiamo?! Appena faccio la ricarica ti mando un
messaggio *se lo appunta su un block notes* Non ti ho detto che
l'avrei pubblicata perché ho scritto il primo capitolo la
notte stessa che l'ho pubblicata, è stata una cosa alquanto
istintiva u.u Spero che questo capitolo ti piaccia. Ti amo <3
Sbranina:
amoree!
Ahah, ti adoro anch'io <3 Appena so qualcosa ti dico con
precisione quando sono a Pisa... ti rendi conto che tra 4 giorni non
ci vedremo?!?! Waaaaaa!! Ya ba da ba doooo *ce l'ha con i Flinstones
u.ù* Spero che questo capitolo ti piaccia, ci sentiamo presto.
Un bacio, anch'io ti voglio bene <3
Melmon:
me
lo chiedo anch'io... Ma tanto è estate e non ho capiti
*saltella saltella saltella* Oggi, dai, non fa così caldo, no?
Oddio, per lo meno qui... u.u Spero che questo capitolo ti piaccia!
Un bacio <3
Danger_Dreamer_93:
allora
spero che questo capitolo ti possa accontentare, anche se non succede
nulla di particolarmente rilevante. Le cose si smuoveranno dal
prossimo capitolo... Credo xD Un bacio <3
Capitolo
2}
«Allora,
Liv, com'era Nick Jonas la prima volta che l'hai conosciuto?»
«Uno
sfigato. Decisamente uno sfigato.»
Liv
lasciò cadere la borsa stracolma di libri sul proprio banco
dell'aula di scienze, in fondo alla stanza, il più nascosto di
tutti. Era suo, le apparteneva dal primo giorno di scuola al primo
anno, e nessuno aveva mai detto niente per reclamarlo.
Il
posto accanto al suo era vuoto, ovviamente, Nicholas era uno di quei
ragazzi che non arrivavano mai puntuali nella loro vita.
Se
non fosse stato per l'appello Olive non avrebbe neanche saputo che si
chiamava Nicholas Jonas; non si erano mai rivolti la parola in
quattro anni di scuola, ma ad essere sinceri Liv non rivolgeva la
parola quasi a nessuno.
La
diciottenne si sedette sul banco, toccandosi i capelli corti e scuri
quasi come se fosse un tic nervoso. Non era bellissima, così
come non passava nemmeno inosservata: i capelli mori, che non le
toccavano quasi nemmeno le spalle, erano spesso raccolti in una coda
disordinata; gli occhi erano anonimi, castani chiari, ma a volte con
la luce del sole assumevano dei riflessi grigio-azzurri; il viso
sottile, i lineamenti troppo seri, adulti.
Forse
una caratteristica che la faceva spiccare in quella scuola era la sua
pelle: bianca. La sua scuola era principalmente costituita da neri,
anche se, naturalmente, una piccola minoranza era di bianchi, tra
loro c'erano Liv e Nicholas. E il fratello di Nick, ovvio, Joseph.
Dondolò
le gambe avanti e indietro, guardando il soffitto, fischiettando un
motivetto di cui non ricordava il nome.
Fu
solo quando la campanella suonò che si mosse e si sedette
sulla propria sedia, tirando fuori i libri di testo consumati dal
tempo e dalle numerose mani che li avevano maneggiati, sfogliati.
La
professoressa Armstrong fece il suo ingresso, mostrando il suo copro
tozzo, i capelli tinti di nero catrame raccolti in una crocchia
ordinata.
«Buongiorno
professoressa», dissero, in coro, gli studenti, alzandosi. Liv
gracchiò appena la prima parola e si risedette con un tonfo.
La
professoressa fece segno loro di sedersi e si accomodò alla
cattedra, sfogliando il registro per fare l'appello, come tutti i
giorni.
«Beker,
Annabeth», iniziò a recitare, come se leggesse un testo
sacro, il tono di voce incolore.
Proseguì
così, nel silenzio inverosimile della stanza, barrando con una
biro gli assenti.
«Jonas,
Nicholas?», fece, alzando gli occhi per la prima volta per
scrutare l'aula. Liv sapeva perché; Nick era un ragazzo che
nemmeno si notava, ed era anche distratto, rispondeva raramente
quando lo chiamavano all'appello, se non fosse per Olive che
picchettava con una penna sul banco, richiamando la sua attenzione
dagli spartiti da cui non staccava mai gli occhi.
Ma
Nicholas non era ancora arrivato quel giorno.
«Jonas
assente», sbuffò la donna, facendo per barrare la
casella, senonché in quel momento bussarono alla porta, e
sull'uscio apparve la figura del ragazzo, i ricci scompigliati e la
camicia a scacchi stropicciata. Era quella del giorno prima. E di
quello prima ancora.
«Grazie
per averci onorato della sua presenza, Nicholas», biascicò
la professoressa, cancellando con una grossa X il punto in cui
l'aveva segnato assente.
Il
ragazzo chinò il capo, mimando qualche parola di scuse senza
farsi sentire e si insinuò tra i banchi, fino a raggiungere il
posto che gli spettava.
Liv
alzò gli occhi al cielo e liberò la sedia del ragazzo
su cui aveva poggiato la propria borsa.
Nick
rischiò di cadere per due volte, con le risa convulse dei
restanti compagni di classe di sottofondo, e quando giunse accanto ad
Olive era rosso di vergogna.
La
ragazza scosse il capo; non sopportava quella sua aria debole, pronta
a farsi prendere in giro dagli altri ragazzi, non sopportava
quell'aria innocente che dominava negli occhi di cioccolata di quel
ragazzo.
La
professoressa era tornata fin da quando aveva finito di deridere
Nicholas al suo appello, e una volta concluso si alzò,
distribuendo ad ogni banco dei fogli stampati.
Un
lamento collettivo si alzò dalla classe. Test a sorpresa,
fantastico.
Nick
prese una penna e ripose i fogli scritti a matita che teneva sempre
con sé in cartella, dentro a una copertina plastificata.
Liv
gli lanciò un'occhiata, riconoscendo un paio di strofe di una
canzone.
La
professoressa Armstrong consegnò i fogli anche a lei e a Nick,
poi si diresse a grandi passi verso la cattedra.
«Avete
tempo fino alla fine dell'ora», stabilì, seccamente.
Olive
grugnì, e lesse la consegna del compito.
Io
per il mondo oggi non ci sono
(Fotoricordo;
Gemelli Diversi)
L'ora
di pranzo era, senza dubbio, il momento della giornata che Olive
preferiva.
Non
perché, dopo cinque ora di lezione, finalmente si staccava
dallo studio e si potevano passare quarantacinque minuti di pace, ma
per il semplice fatto che poteva staccare.
Staccare dai compagni rumorosi, dai professori puntigliosi, il
picchettare delle penne, lo squillo della campanella, gli avvisi
della segreteria, poteva rimanere in silenzio e da sola, lontana
dagli altri.
Al
contrario di quanto pensava sua madre, e come continuava a ripeterle
ogni volta che si ricordava di avere una figlia, a lei studiare
piaceva. Non era la prima della classe, ma era nella media, non era
mai stata bocciata e faceva tutti i compiti a casa, da brava
studentessa.
Era
colpa sua se non poteva andare all'università? Se non aveva
soldi per pagarsi nemmeno la retta del primo semestre? Era colpa sua
se avevano dato la borsa di studio e studenti più in gamba di
lei, soltanto perché aveva saltato un test decisivo perché
sua madre era sparita e sua sorella minore stava male?
No.
Non era colpa sua, in teoria. In pratica, beh, lo era sempre.
Liv
lanciò un'occhiata dentro alla palestra, luogo in cui di
solito si sedeva in un angolo a mangiare il proprio panino che si era
preparata la mattina, e imprecò ad alta voce quando la vide
occupata da un gruppo di studenti come lei dell'ultimo anno. Ci
sarebbero state a breve le gare di corsa e l'allenatore faceva sudare
i suoi studenti anche nelle brevi pause che avevano.
Arretrò
piano, scrollando le spalle esili. Non voleva mangiare circondata dal
resto della scuola, con ancora più rumore del solito, l'aveva
fatto raramente negli ultimi quattro anni e non aveva intenzione di
cominciare ora.
Tenendo
con una mano il sacchetto di plastica nel quale c'era il suo pranzo
si diresse verso l'unica stanza a cui si poteva accedere durante
l'ora di pranzo: la sala di musica.
Con
passi brevi e silenziosi quanto il suo respiro attraversò i
corridoi deserti, avvicinandosi sempre di più al vociare
continuo della mensa, doveva attraversarla per arrivare nella sua
destinazione.
Testa
alta, il corpo rigido, aprì le porta dell'aula, immergendosi
nel rumore di piatti che cadevano, risa, urla, forchette che
tintinnavano, acqua che veniva versata. In mezzo alla mensa,
che spiccava fra tutti, c'era un tavolo più rumoroso degli
altri.
Olive
gli lanciò appena un'occhiata. Come al solito era occupato
dagli stessi cinque individui: tre ragazzi neri, due con i capelli a
rasta raccolti in un codino e il terzo con un orecchino brillante
all'orecchio destro, e altri due erano bianchi. Il più basso
aveva una muscolatura possente, da giocatore di football, mentre
l'ultimo era solo bellissimo: i capelli corti e scuri, un accenno di
barba sul viso giovane ma troppo adulto per trovarsi ancora in un
liceo, gli occhi marroni pieni di arroganza, il corpo muscoloso ma
scultoreo.
Liv
lo conosceva, come tutti gli altri, lui era Joseph Adam Jonas, il
fratello di Nick, quello bello.
Non
si erano mai rivolti la parola, perché avrebbero dovuto? Lui
era tra i ragazzi più desiderati della scuola, sempre con una
bella ragazza accanto, lei, invece, era quasi anonima, solitaria.
Joe
teneva un braccio attorno a una ragazza di carnagione scura, i
capelli corvini che le accarezzavano la schiena, un sorriso finto e
le belle curve non di certo nascoste.
Olive
scosse il capo, quasi disgustata. Joseph era fra tutti il ragazzo che
meno le ispirava simpatia fra i tanti nella scuola; forse per la sua
aria da strafottente, quella sua arroganza di essere il più
importante della scuola, forse addirittura dell'intero quartiere,
tanto da allontanare quella persona che avrebbe dovuto trovarsi
accanto a lui per diritto, suo fratello Nicholas.
Ma,
ovviamente, Nick non era lì. Era uno sfigato, e gli sfigati
non potevano stare con Joseph Jonas. Non era nemmeno a mensa, quel
giorno. Liv lo cercò con lo sguardo mentre continuava a
camminare, poi lasciò perdere, annoiata, che le importava di
dove si trovava lui?
Uscì
senza che nessuno si accorgesse di lei, come sempre, e girò a
destra, svoltando in un corridoio vuoto. Entrò nell'ultima
porta, in fondo, senza fare rumore.
La
sala di musica era un grosso auditorium, una delle stanze più
grosse della scuola. C'era un grosso palco con vari strumenti sopra,
a lato, affiancato dalle quinte, che a fine anno veniva allestito
come scenografia dello spettacolo di teatro finale, mentre circa un
centinaio di sedili erano allestiti in quella direzione.
Era
tranquilla, silenziosa, e soprattutto vuota.
Non c'era un anima. Olive tirò un sospiro di sollievo e si
sedette su una delle tante poltroncine, tra le ultime file, prendendo
il proprio panino e una bottiglietta d'acqua.
Nella
sua mente iniziò a canticchiare il motivetto di quella
mattina, per non spezzare il silenzio.
Rimase
così per un tempo che non seppe misurare, completamente
estraniata dal mondo esterno; c'era solo lei.
Chiuse
gli occhi.
Le
note di una canzone sconosciuta la riportarono alla realtà,
riscuotendola. Imprecò a bassa voce a lanciò
un'occhiataccia verso la fonte del rumore, pronta a dirgli di
andarsene, ma rimase in silenzio una volta visto il musicista.
Nick
era chinato sul pianoforte, completamente beato dal suono della
canzone che stava suonando.
Olive
non fece un verso, non si era nemmeno accorto che lei era lì.
Suonava
con una tale vivacità, con una tale finezza ed eleganza, che
Liv stentò a credere che fosse lui a suonare. Sapeva che Nick
scriveva canzoni, ne aveva una prova ogni giorno, eppure non sapeva
che creasse anche una melodia, per di più che la suonasse lui
stesso.
In
quattro anni nessuno l'aveva mai visto prendere in mano uno
strumento.
Ed
era anche bravo.
Liv
fece per dire qualcosa, ma si trattenne, e rimase ad ascoltare ancora
qualche istante. Nick, tanto, neppure lo sapeva, che lei era lì.
Continua...
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3. ***
Eccomi!
(:
In
ritardo ma ci sono, scusatemi ma non avevo ispirazione e tra la fine
di Under The Moonlight da scrivere sono andata completamente
nel pallone! Chiedo venia.
Ad
ogni modo questo è ancora un capitolo di “transizione”,
nel prossimo la storia comincia in modo vero e proprio, ma spero che
vi piaccia comunque, avrete una presentazione generale della vita
quotidiana di Liv e anche di Nick.
E
senza rompervi ancora passo ai ringraziamenti... <3
noemi___lovelovelove:
beh, non è esattamente
“presto”, ma non importa, veero? XD Sono molto contenta
che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, spero sia lo stesso per
questo qui (: Un bacio <3
Sbranina:
amore della mia vita! *__* Le
tue recensioni mi fanno morire, te l'ho detto u.u Prima o poi
chiuderanno me
in un manicomio e sarà tutta colpa tua! Per sdebitarti dovrai
venire a trovarmi con tutti quei-pezzi-di-fighi che sappiamo noi u.u
E non accetto “no”, come risposta! (: Ti voglio tanto
bene <3
debby95:
grazie mille per i bellissimi
complimenti! *arrossisce* Davvero, te ne sono molto grata *___* Spero
che ti piaccia anche questo capitolo, finalmente c'è una parte
dedicata tutta a Nick (: Un bacio <3
_Kira_Perly_:
tesoroo, ricorda che in questa
fic l'amore non è uno degli oggetti principali, anzi!, è
la musica l'amore della fic. Però, non sia mai che possa
diventare improvvisamente sadica e fare come dici tu... o forse no
u.ù A proposito noi dobbiamo ancora
arrivare ai 100 commenti
su facebook *convinta che ce la faranno* Un bacio <3
Hollie:
nooo, mica tanto, sono solo due
capitoli (: No, non era questa, è della Futura Long dopo Under
The Moonlight (epilogo
postato *sigh ç.ç*). Sono contenta che ti piaccia
questo stile, anche perché ho intenzione di postare, una volta
finita questa long, un'altra con temi piuttosto diversi dai miei
soliti schemi *risata sadica* Prima o poi finirò per
spaventarti... xD Un bacio <3
wolfgirl92:
grazie mille! Nicky sfigato io,
non so, ce lo vedo tantissimo *ripensa al suo corpo fatto con lo
stampino* *cambia idea immediatamente* Spero che ti piaccia anche
questo capitolo e che tu mi dica cosa ne pensi.. :D Un bacio <3
Danger_Dreamer_93:
eh, ma guarda, avrei fatto così
anch'io u_u Stupido carattere >.> Joe stronzo è in
effetti una parte fondamentale della storia, ma capirai in seguito e
forse anche un po' qui il rapporto che c'è tra Joe-Nick...
Spero che ti piaccia questo capitolo! Un bacio <3
Melmon:
sìsì, Kevin ci
sarà, dovrebbe apparire o nel prossimo capitolo o fra due,
dipende da quanto sarà lungo il numero 4 o.ò Kevin sarà
in un certo senso diverso, ma sempre quello che noi conosciamo.
Diciamo che sarà l'unico a non avere cambiamenti troppo
repentini (: Un bacio <3
Marta:
ci stiamo sentendo ora, indi
per cui... bye bye, baby! See you! Lol <3
rosegarden:
eccomi! Non sono stata molto
veloce ad aggiornare, scusa! Grazie mille per il complimento *___*
Spero ti piaccia questo nuovo capitolo e che tu mi faccia sapere che
ne pensi. Un bacio <3
Capitolo
3}
«Cosa
ci dici della tua famiglia?».
«Dico
che passiamo alla prossima domanda».
Liv
aprì la porta di casa con uno schianto secco, facendo il suo
ingresso nel salotto del piccolo bilocale in cui viveva.
Il
disordine regnava sovrano: panni sporchi e calze spaiate ovunque, da
sotto il divano sino appoggiati ai lampadari, il divano con un
cuscino a terra e l'altro in procinto di raggiungerlo, e poi macchie,
macchie da ogni parte.
Era
persino messo peggio del solito.
Un
uragano con i capelli biondissimi, lunghi sino alla vita, corse in
salotto, rovesciando un tavolino e cadendo rovinosamente a terra;
prima ancora che Liv potesse fiatare si rialzò, venendo
raggiunto di corsa da un ragazzino moro, che rideva altezzoso.
«Che
cazzo sta succedendo qui?!», gridò la diciottenne,
lasciando cadere a terra la borsa e correndo a separare i due
ragazzini che avevano iniziato a picchiarsi.
«Tim
è un idiota!», strillò Lisa, i capelli biondi che
le incorniciavano il viso a forma di cuore, gli occhi marroni lucidi
di un pianto che stava per scoppiare.
«E
tu sei una bambina!», gridò di rimando il ragazzino,
senza levare dal viso quell'espressione strafottente.
«Tu
hai distrutto i miei compiti!», esclamò la bionda,
mentre una lacrima solitaria le rigava una guancia. «Ci ho
impiegato due ore!».
«Ciò
vuol dire che ne impiegherai altrettante per rifarlo...»,
grugnì Timothy Junior, come se la questione non lo toccasse
affatto.
Olive
fece un verso esasperato e trascinò il fratello dall'altra
parte della stanza, tenendolo per un braccio, mentre ordinava con uno
sguardo assassino a Lisa di rimanere lì dov'era.
«Perché
hai distrutto i compiti di Lisa?», chiese, con tono fermo, al
fratellino.
Quello
fece spallucce.
«Così...».
«Ah,
così...», ripeté lei, scuotendo il capo. «Beh,
sarà così che
glieli rifarai da capo, ci dovrai impiegare almeno tre ore e se Lisa
prenderà un voto minore di B+ metterai posto casa da solo per
le prossime tre settimane, sono stata chiara?». Il suo tono era
fermo, preda del suo istinto di sorella maggiore.
Il
ragazzino sbuffò, con aria teatrale, poi annuì.
«Lisa»,
disse poi alla sorella, che si dondolava sui talloni fissando il
pavimento, «per favore aiutami a mettere a posto - che diavolo
avete combinato qui? - fai tu la cucina e la vostra camera. Dov'è
Lauren?».
La
dodicenne accennò alla camera che Liv divideva con Sean e
fungeva anche da camera per gli ospiti.
Olive
le accarezzò i capelli mentre si dirigeva in cucina per
compiere i suoi lavori.
La
stanza di Liv e Sean era divisa nettamente: la parte della
diciottenne era spoglia, senza una fotografia, o un poster, c'era
solamente il letto con un comodino accanto, con attaccato un adesivo
dei Puffi che Lisa aveva appiccicato all'età di sei anni.
Quella di Sean, al contrario, era ricoperta di poster di gruppi come
gli AC/DC, i Guns'n' Roses o semplicemente grandi fogli neri con una
scritta sopra, che andava da un insulto a Dio agli accenni a quanto
fosse buona la droga. Stranamente quel giorno non era in disordine.
Con sollievo varcò la porta e vide, sdraiata nel suo letto,
placidamente addormentata, Lauren, la sua piccola sorellina, di soli
due anni.
Si
chinò per baciarle la fronte, accarezzandole i corti capelli
castano ramati, sorridendo appena.
Sorriso che compariva solamente quando vedeva lei o il resto dei suoi
fratelli.
Sospirando
si richiuse dolcemente la porta alle spalle e iniziò a
raccattare i panni per terra e mettendoli in una sacca che aveva
recuperato.
Timothy
era già seduto sul tavolo della cucina, chino sui libri,
mentre si mordeva il labbro inferiore per concentrarsi.
Lisa,
al contrario, munita di straccio e sapone puliva i piatti sporchi
accatastati nel lavandino, riponendoli poi nel loro scaffale.
«Sean?»,
chiese Liv, senza guardare in faccia né la ragazzina né
Tim.
«Era
a casa quando siamo arrivati», spiegò quest'ultimo, con
un velo di irritazione. «Ha mangiato con noi e poi è
uscito, non ho idea di dove sia andato».
La
maggiore annuì.
«Era
completamente strafatto», aggiunse la bionda. «Connetteva
appena con il mondo esterno, faceva quasi paura».
Ovviamente.
Olive
si scostò i capelli dal viso e proseguì nella sua
attività, senza fare commenti. Aveva paura per lui, per Sean;
nonostante ormai fosse nel mezzo del mondo della droga non era detto
che non ne potesse uscire. Non sarebbe stato facile, certo, ma era
possibile. Anche se non andavano affatto daccordo gli voleva bene,
molto.
«Eloise?»,
chiese a un certo punto, dopo minuti di silenzio rotto solamente
dall'acqua del lavello che scorreva e dai passi di Olive e Lisa.
Sempre
Tim le accennò con il capo a un biglietto sulla porta
d'ingresso che prima non aveva visto. Liv si avvicinò e lo
lesse: erano quattro parole in croce dove la donna diceva che sarebbe
tornata la sera. Tardi.
Quella
sera sarebbe saltato il giro nei locale abituale, fantastico.
Nessuno
di loro la chiamava “mamma”, semplicemente Eloise. Come
per segnare una distanza tra loro, un muro invisibile, anche se
facevano di tutto per non nominarla.
Mentre
puliva e rammendava il suo pensiero corse all'ora di pranzo di quel
giorno, alle mani affusolate di Nick sul pianoforte, a quella melodia
meravigliosa.
Non
voleva ammetterlo a se stessa, ma ne era rimasta colpita. Aveva
sempre creduto che Nick fosse... uno sfigato. Semplicemente uno
sfigato. Niente a che vedere con quell'aria sicura di sé che
aveva quel mattino. Era un Nick nuovo, diverso. In un certo senso
quasi più bello.
Per
un istante, solo per un istante, le sarebbe piaciuto avere anche lei
quell'aria così sicura, e non il solito broncio sempre dipinto
sul suo viso. Fu questione di un secondo.
Scosse
il capo e scese in strada con i sacchi del pattume in mano per
buttarli nel cassonetto più vicino. Viveva in una strada
relativamente tranquilla del Bronx, niente a che vedere con quelle
che frequentava da sola la sera tardi. Per quel che ne sapeva nella
sua via non si spacciava, non avvenivano poi così tante risse
e di prostitute neanche a parlarne, forse se non fosse stato per la
presenza della sua famiglia sarebbe stato un quartiere normale.
I
vicini non li sopportavano, trovavano Lauren troppo piagnucolosa,
Lisa e Tim troppo rumorosi, Sean troppo arrogante e Olive
un'ubriacona che li svegliava la notte con le sue grida quando
tornava a casa dopo una serata passata a bere.
Tutte
bugie. Per quanto Lisa e Timothy Junior corressero non erano mai
arrivati a un grado di rumore da poter importunare i vicini, Lauren
non piangeva mai, Sean non c'era, e lei non svegliava nessuno, anche
perché solitamente risaliva in camera sua dalle scale
antincendio.
Liv
gettò i sacchi e si passò una mano tra i capelli,
stretti come sempre in una coda spettinata, guardandosi intorno con
aria attenta; sperava davvero di veder comparire Sean in fondo la
strada. Non lo vedeva da tre giorni.
Aspettò
a lungo, senza spostare lo sguardo dallo strato di polvere e cemento,
e si scosse solo quando sentì il suono penetrante di un
clacson dietro di lei. Sbuffò, borbottando qualche
imprecazione, e salì le scale per tornare a casa di corsa.
L'appartamento
aveva ripreso un'aria quasi vivibile, Lisa ora era stesa sul divano a
guardare un cartone animato, con Lauren sveglia tra le braccia, e Tim
era sparito. Probabilmente era andato in camera per fare i compiti
senza essere distratto dal suono del televisore.
Olive
passò dietro alle sorelle, sfiorando le teste di entrambe con
la punta delle dita, e si chiuse a chiave in camera sua, lasciandosi
scivolare lungo la parete della stanza con un gemito di stanchezza.
Odiava
tutto quello. Odiava la sua vita, la sua routine, odiava i suoi
genitori, la sua scuola, e soprattutto la gente normale, solo perché
la invidiava. La invidiava perché avevano tutto ciò che
si poteva desiderare, e ciò che peggio non se ne accorgevano,
anzi!, erano un continuo lamento, a partire dal padre che non li
prestava la macchina per una sera, alla madre che non voleva
toglierli il coprifuoco. Una continua rogna. Olive avrebbe potuto
uccidere per regalare
a lei stessa e ai suoi fratelli una vita simile, o anche vagamente
paragonabile.
E
avrebbe trovato il modo, si disse mentre si alzava e prendeva dal
cassetto del comodino una bottiglia di vodka, aprendola con aria
sicura di sé, di chi ha un progetto in mente.
Aveva
un piano per dare ai suoi fratelli una vita migliore, e a darglielo
erano stati gli occhi di Freddy Mercurie da un poster di suo
fratello.
Inizio
a raccontarti un po' di me,
se
mi ascolti capirai.
(Tu
sei la musica in me; PQuadro)
Nick
chiuse il libro di storia e lo ripose nel cassetto della scrivania,
sospirando di sollievo. Aveva studiato ore per quel maledetto test
per il giorno dopo e non era riuscito a buttare giù nemmeno
una strofa per quella canzone che lo tormentava da quando si era
svegliato. All'ora di pranzo aveva provato a suonare la melodia, ma
senza parole gli serviva a poco.
Raccattò
un foglio e una penna, chinandosi per iniziare a scrivere, passandosi
una mano tra i capelli e gettando un'occhiata al suo cane, Elvis,
placidamente addormentato sulla schiena, la lingua di fuori. Sorrise
istintivamente.
Quello
era il clima che gli piaceva: puro silenzio, neanche il ronzio di un
insetto a rompere quell'aura di tranquillità.
Suo
padre, Paul Kevin Senior, era al lavoro e sarebbe tornato a casa la
sera, tardi, naturalmente. Come sempre c'era qualche seguace della
sua chiesa che aveva bisogno d'aiuto e lui l'avrebbe aiutato senza
lamentarsi, senza pensare che a casa c'erano quattro figli e una
moglie ad aspettarlo per cena, il cibo nei piatti del servizio buono,
che ancora dovevano fare la preghiera.
Sua
madre, Denise, era uscita, accompagnando Frankie, suo fratellino, al
parco con un amico dopo scuola, come quasi tutti i giorni.
Kevin
era in università, come sempre. Ormai, pur di passare meno
tempo possibile a casa faceva il turno doppio nel bar del campus,
sperando anche di guadagnare qualcosa di più del solito e
poter affittare un appartamento in più presto possibile.
Addirittura lui, che era la tranquillità e la pace fatta
persona, non riusciva più a vivere in quella casa.
Mentre
Joe... Joe era fuori, ovviamente. Forse con quella nuova ragazza con
cui l'aveva scorto di sfuggita all'ora di pranzo, prima di andare in
sala musica, o forse alle prove della band che aveva con il suo
gruppo di amici. Loro la chiamavano musica, ma Nick non riusciva a
definirla tale; la musica per lui doveva dare un significato,
trasmettere un messaggio, invece le canzoni di Joe e i suoi compagni
non dicevano nulla. Erano tre parole buttate su uno spartito, con gli
stessi identici accordi in ogni canzone.
Denise
aveva più volte rimproverato il figlio mezzano, dicendogli che
non doveva passare le sue giornate a scrivere simili porcherie ma
invece di studiare, di arrivare a prendere almeno il
diploma. Quella era la terza volta che ripeteva l'ultimo anno di
liceo e ormai si stava – finalmente – diplomando, insieme
a Nicholas.
Naturalmente
il diploma di Nick sarebbe passato in secondo piano: gli avrebbero
detto che era stato bravo, fatto i complimenti, dato una pacca sulla
spalla e poi si sarebbero dedicati a Joe, congratulandosi
all'infinito per aver finalmente raggiunto quel traguardo.
Nick
era sempre e comunque in secondo piano. Ormai, dopo diciotto anni, ci
aveva fatto l'abitudine, comunque.
Preso
dall'ispirazione cominciò a buttare giù qualche strofa,
canticchiando tra sé e sé la melodia, per vedere se
combaciava con le parole. Era perfetta.
La
musica, in tutto quel delirio in casa sua, era l'unica cosa che lo
faceva andare avanti. Sin da bambino l'aveva amata, rendendolo uno
dei bambini più felici del mondo, anche se Joseph lo prendeva
in giro per quella sua fissa quasi maniacale. Allora lo diceva
scherzando, quasi amorevolmente.
Prima
che Joe iniziasse il liceo Nick, lui e Kevin erano i tre fratelli più
stretti che si potevano conoscere. Si confidavano in tutto e per
tutto, raccontandosi ogni cosa, da un segreto quasi inconfessabile a
una paura stupida e imbarazzante. A quei tempi Joe sarebbe morto pur
di aiutare Nick, ora il diciottenne non ne era più tanto
sicuro.
Era
successo tutto in fretta: il giorno prima Joe era quello di sempre,
carismatico e divertente, e quello dopo era un ragazzo arrogante e
strafottente, dall'imprecazione facile e le arie da prepotente.
Non
era più il fratello che Nicholas conosceva.
E
si erano allontanati, irrimediabilmente, a tal punto che il primo
giorno di liceo di Nick, quando si era seduto al tavolo del fratello
mezzano e i suoi amici gli chiesero se lo conosceva lui rispose che
non era che “quello sfigato di suo fratello. Lasciatelo
perdere, non ne vale la pena”. Quella era stata la goccia che
aveva segnato il confine, costruito un muro invisibile.
Anche
se vivevano insieme non parlavano se non per occasioni eccezionali.
Joe di giorno non c'era mai e la sera Nick era in camera sua a
scrivere.
L'anno
dopo, poi, quest'ultimo se ne sarebbe andato a studiare alla Julliard
e in questa maniera, probabilmente, non si sarebbero quasi più
sentiti.
E
forse sarebbe stato meglio così.
Continua...
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Capitolo 4 *** Capitolo 4. ***
Capitolo
4.
«Qual'è
la stata la persona che ha dato più fastidi nella band,
inizialmente?»
«Il
suo nome era Jason Matthews».
«Era?»
«Passiamo
oltre».
Liv
si affacciò alla sala della musica sentendo le note ormai a
lei familiari della canzone di Nick che risuonavano come onde. Dolci
onde del mare.
Si
sedette su una delle poltroncine rosse in fondo e incrociò le
braccia al petto, scostandosi i corti capelli scuri dagli occhi
ridotti a fessure.
Era
da tutta la settimana che lo seguiva in quella sala, nascondendosi
nell'ombra per ascoltarlo e, giorno dopo giorno, la sua convinzione
era cresciuta ad una velocità impressionante.
E
quel pomeriggio era il pomeriggio.
Uscì
dall'ombra e camminò a passi veloci lungo gli stretti corridoi
di sedie dell'anfiteatro, veloce e silenziosa.
Nick
non la sentì arrivare finché non salì i gradini
in legno che conducevano al palco.
Si
bloccò, voltandosi in fretta e facendo cadere a terra gli
spartiti che teneva sul piano, chinandosi subito per raccoglierli
mentre le gote gli si tingevano di rosso scuro.
Olive
alzò gli occhi al cielo e si inginocchiò per aiutarlo,
dando un'occhiata alle parole di un'altra canzone che non gli aveva
mai sentito cantare.
«Sono
delle belle canzoni»,
annuì Liv, restituendogli gli spartiti.
Nick
la fissò, stupito che stesse parlando. Non l'aveva quasi mai
sentita parlare, solo in classe durante le interrogazioni, ma anche
in quei casi non si disperdeva in paroloni: dava risposte brevi.
Coincise.
«Gra...grazie»,
rispose lui, appoggiando i fogli sul pianoforte.
Rimasero
in silenzio, scrutandosi.
«Ti
ho sentito suonare, negli ultimi giorni»,
cominciò, fissandolo con un'aria così determinata che
gli fece scostare lo sguardo a terra. «Sei
bravo».
Nick
prese un respiro profondo. Non gli piaceva che Olive sapesse della
sua passione per la musica. Non voleva che si sapesse in giro, punto.
Vedendo
che non parlava Liv continuò.
«Ho
bisogno di un favore».
Dritta e coincisa, come in classe.
«Dimmi»,
disse Nicholas, con un tono così basso che quasi Olive non lo
sentì.
«Devi
suonare in una band».
Il
riccio la guardò, scoppiando in una risata.
«Cosa?»,
domandò. «In
una band? Perchè...?».
«Un
favore, te l'ho detto», replicò Liv, calmissima.
Il
ricco scosse il capo, senza sapere che dire.
«Che
favore è?»,
domandò incuriosito.
La
ragazza sbuffò e raggiunse l'orlo del palco, lasciandosi
sedere per terra e facendogli cenno con una mano di imitarla.
Nick
ubbidì. Lui ubbidiva sempre.
Così
la ragazza iniziò a raccontare a grandi linee la sua
situazione familiare, non voleva ispirare pena o altro, ma se Nick
voleva sapere il motivo di quel favore aveva il diritto di conoscere
la verità. Magari non tutta, però.
Raccontò
della madre che non c'era mai. Il padre disse di non averlo
conosciuto. Non nominò Sean. Disse solo che voleva regalare ai
suoi fratelli una vita migliore.
«In
che modo posso aiutarti?»,
chiese Nick. «Perchè
suonare proprio in una band? E tu, suoni?».
«Fai
troppe domande»,
sbuffò piccata, ma rispose ugualmente. «No,
io non suono, non canto. Non sono capace. Sto cercando di mettere su
questo gruppo per andare a suonare nei locali,
guadagnare dei soldi per andarcene. Ho provato a cercare un lavoro ma
non mi prendendo da nessuna parte, senza contare che si guadagna una
miseria facendo dei lavoretti dalle mie parti».
«Quindi
tu devi far soldi»,
disse ancora Nick.
«Sì»,
sbottò. «Non
pensare che io me ne starò con le mani in mano mentre tu e gli
altri suonate, eh. Io sarò
quella che vi troverà le serate, i locali... Una specie di
manager».
Nick
annuì appena.
Rifletté
qualche istante, nel silenzio generale.
«A
Settembre mi trasferirò in centro»,
chiarì. «Vado
alla Juilliard».
«Non
mi interessa. Tre mesi basteranno, spero»,
fece lei. «Ci
stai?».
Nick
osservò ancora una volta la sua espressione determinata. Non
si sarebbe arresa molto facilmente. Forse mai.
«Va
bene»,
annuì. «Da
dove cominciamo?».
Well
I've been lookin' real hard And I'm tryin' to find a job But
it just keeps gettin' together every day (Rock'n Me; Steve
Miller Band)
«Lui
è Jason Matthews»,
iniziò Olive, accennando con lo sguardo a un ragazzo alto,
nero, muscoloso. I capelli corti e le mani piene di libri.
Nick
guardò il ragazzo, inclinando appena la testa.
«Mai
sentito».
«Non
ti offendere, Nicholas, ma non sei esattamente un buon esempio per
descrivere la vita sociale di qualcuno»,
chiarì la mora, piccata.
Il
diciottenne non rispose e continuò a guardare Jason,
completamente ignaro della loro presenza.
«Lui
cosa fa?», chiese il
riccio, passandosi una mano tra i capelli e spostando lo sguardo su
Liv.
«Canta»,
disse lei, sospirando. «Canta come un Dio».
Nick
osservò gli occhi pieni di nuova luce della ragazza al suo
fianco.
Liv
parve accorgersene perché irrigidì le spalle e ridusse
le pupille a fessure.
«Gli
hai parlato?», continuò il ragazzo, notando che Olive
non parlava.
«Oh,
sì. Abbiamo una riunione questo pomeriggio...», riprese
a camminare a passi lunghi e veloci, mentre Nick quasi correva per
tenere il suo passo.
«Una
riunione?», fece perplesso.
«Sì,
cazzo, Nicholas, una riunione, ovvero un incontro tra
persone», sbottò, parlando lentamente, come se fosse un
disabile.
Nick
rincasò la dose e scrollò le spalle.
«Dobbiamo
andare a lezione», le disse, sentendo la campanella suonare.
Liv
scosse la corta chioma mora.
«No».
«No?
E perché?», fece il ragazzo, confuso.
«Perché
le due ragazze che ti devo mostrare ora hanno un'ora libera e
altrimenti non le incroceremo mai», disse Liv, disinteressata,
continuando a camminare mentre i corridoi si svuotavano pian piano.
Nick
osservò prima l'aula in cui sarebbero dovuti entrare, poi
sospirò e seguì Olive, scomparsa dietro a un angolo.
Camminarono
fianco a fianco per qualche minuto in silenzio, ognuno preso
completamente dai propri pensieri, poi Liv si fermò davanti a
una porta e guardò dentro, sorridendo trionfante.
Il
ragazzo guardò dentro e vide due ragazze ricce, esattamente
identiche se non fosse stato che una era mora e l'altra bionda. Erano
sedute su due sedie e parlottavano tra loro, ridacchiando con risate
acute e cristalline.
«Amanda
e Jodie Gilbert», le presentò Liv, indicando prima la
bionda e poi la mora. «Sono al terzo anno, suonano il violino
da quando hanno sette anni. Prima che tu me lo chieda, sì, le
ho già parlato, hanno detto che ci penseranno e verranno alla
riunione di questo pomeriggio. Dato che dubito altamente che faremo
molte canzoni con i violini sono anche coriste. Se vuoi seguirmi,
ora, prego...», lo guidò lungo il corridoio semivuoto,
tirandolo per la maglietta.
Nick
la seguì, come un cane segue il suo padrone, lanciandole delle
occhiate curiose ogni tanto.
«Quindi
quanti saremo?», domandò.
«Domanda
affascinante», disse Olive, «se va tutto bene oggi
cinque, ma manca un componente».
«Chi?».
«Fai
troppe domande», ripeté lei. «Ne parleremo
questo pomeriggio, okay? E ora sbrigati, su».
Attraversarono
la scuola cercando di non farse notare dagli insegnanti appostati nei
corridoi, scambiandosi poche parole.
Liv
non era una persona che parlava molto, non lo era mai stata, e quel
mattino meno che mai.
Nicholas
la guardava di sottecchi, come se volesse capire cosa le passasse per
la testa. Non ci capiva niente.
Liv
si fermò davanti a un'altra aula e dalla porta in vetro gli
indicò un ragazzo di colore, esile, i capelli neri lunghi sino
alle spalle.
«Philip
Larson, quarto anno come noi, batterista. Ha suonato una parte al
musical di fine anno due anni fa. È bravo», spiegò
lei, velocemente. «Ha già detto sì».
«Quindi
restano in forse Amanda, Jodie e Jason», riassunse Nick,
annuendo piano.
«Vedo
che presti attenzione quando parlo». Gli fece il primo sorriso
dopo quattro anni. «La riunione è qui nell'anfiteatro
alle quattro, l'ho prenotato per quell'ora. Porta qualcosa da
suonare».
«Va
bene», disse il diciottenne. «Daccordo».
Liv
annuì.
«Ci
vediamo questo pomeriggio, allora», disse, iniziando ad
allontanarsi. «Ciao».
«Aspetta...!»,
la rincorse con la voce Nick, ma lei non lo sentì.
A
little bit longer and I'll be fine
(A
little bit longer; Jonas Brothers)
Quando
Nick entrò, in ritardo come al solito, l'anfiteatro sembrava
deserto, se non fosse stato per il suono veloce e armonico di due
violini.
Nick
alzò lo sguardo verso il palco, incrociando gli occhi ridotti
a fessure di Olive e quello curioso e stranito di Jason e Philip.
«È
uno scherzo, vero?», sbottò il primo, inarcando un
sopracciglio, squadrando Nicholas da capo a piedi.
Amanda
e Jodie smisero di suonare i loro violini e lo fulminarono con
un'occhiataccia.
Liv
alzò gli occhi castani al cielo e guardò Jason.
«Perché
mai dovrebbe?», chiese a denti stretti.
«Oh,
andiamo», roteò gli occhi Jason, voltandosi verso di
lei. «Nicholas Jonas?!».
«Sì,
è il suo nome, qualcosa in contrario?», fece lei,
distaccata.
«È
uno sfigato».
«Perché
tu sei tutto questo gran pezzo d'uomo», sibilò Liv.
«Ora, se non hai nulla da aggiungere, per favore ragazze
continuate».
Nick
li raggiunse a capo chino, arrampicandosi poi sul palco e andandosi a
sedere sullo sgabello del pianoforte, il suo rifugio sicuro.
Jason
lo seguì con lo sguardo, disgustato, per poi spostare di nuovo
la sua attenzione sulle due gemelle che avevano appena finito la loro
piccola esibizione.
Si
inchinarono, molto teatralmente, mentre Philip applaudiva velocemente
e Liv annuiva con un piccolo sorriso che le increspava le labbra
sottili.
«Perfetto,
grazie», disse.
Jason
non disse nulla alle due gemelle e si puntellò sui talloni,
annoiato.
«Allora,
che cavolo si fa?».
Amanda
alzò gli occhi al cielo.
Liv
lo ignorò e si rivolse verso Nick, senza sorridere.
«Philip
ha già suonato», disse, con tono implacabile. «Sei
in ritardo».
«Lo
so», annuì il moro. «Mi spiace».
Olive
non aggiunse altro e si rivolse verso Jason.
«Ci
canti qualcosa, per favore?». Disse le ultime due parole quasi
come se fosse uno sforzo, come se essere gentile con Matthews fosse
difficile.
«Naturalmente»,
gongolò quello, avvicinandosi a uno stereo che aveva
evidentemente portato lui e facendo suonare, al massimo volume, una
canzone rock degli anni '80.
Muovendo
in sincrono con il ritmo la testa Jason iniziò a cantare una
canzone di Bon Jovi.
Amanda e Jodie spalancarono
le bocche, stupite come raramente le era accaduto nella vita; Philip
aveva gli occhi sgranati, senza riuscire a proferire parola, mentre
Nick semplicemente non credeva alle proprie orecchie. Liv, in tutto
questo, era alquanto soddisfatta di sé stessa.
La voce di Jason Matthews
era una fra le più belle che ognuno dei presenti
nell'anfiteatro avessero mai sentito in vita loro, una voce roca ma
melodiosa sia nelle note alte che in quelle basse, che la rendevano
quasi ipnotica.
Una voce, quasi, migliore
dello stesso Bon Jovu.
Concluse con una note
acutissima, chiaramente aggiunta da lui dato che nella canzone
originale non c'era, e sorrise sghembo, aspettandosi un qualche tipo
di reazione.
Nessuno disse nulla; erano
ancora tutti impegnati a capire come un ragazzo potesse avere una
voce simili. Tutti meno che Liv, che fece un sorrisetto soddisfatto e
batté le mani per pochissimi istanti.
«Bravo, Jason»,
commentò realmente ammirata.
Lui sbuffò.
«Solo bravo?!»,
ma lo sbottò così piano che Olive, piuttosto che montar
su un polverone in un'occasione simile, poté benissimo far
finta di non averlo sentito.
Jason le serviva,
come l'aria. Il gruppo, senza di lui, non sarebbe stato quasi niente:
certo Philip se la cavava, Jodie e Amanda non erano male e Nick
avrebbe anche potuto fare il cantante solista ma, in fondo, non
sarebbero andati lontano.
Con Jason sì, invece.
Molto lontano, esattamente dove Olive voleva che arrivassero.
«Non ci resti che tu,
Nicholas», disse, aprendo le braccia per poi farle ricadere sui
fianchi. Il ragazzo non la sentì, ancora perso nel suo mondo.
Gli erano venute in mente, all'improvviso, le parole di una canzone.
Dentro di sé gli parve anche di sentirne la melodia.
«Nicholas?»,
ripeté Olive, scocciata.
«Sì?»,
domandò lui, improvvisamente, guardandola e sentendo di nuovo
le parole della canzone.
«Devi suonare».
«Oh, sì».
Jason imprecò che era
un idiota, questa volta supportato per piccola parta da Philip.
Ancora una volta, anche se con sforzo, Liv non disse nulla.
Nick si girò verso la
tastiera, ripetendosi nella testa le parole della canzone per far sì
che gli rimanessero bene in testa sino alla fine di quella benedetta
riunione.
Appoggiò le mani sui
tasti, prese un profondo respiro, e cominciò a suonare una
canzone che ormai conosceva a memoria: l'aveva scritta lui due anni
prima, una sera che era a casa da sola e il diabete gli aveva dato
dei problemi. E non c'era stato nessuno lì per aiutarlo.
A little bit longer,
in quella sala, aveva un suono ancora migliore di dovunque altro
posto avesse mai provato. Non l'aveva mai cantata lì; no, la
suonava solo a casa, piano, perché a Joe dava fastidio. O
forse, più probabilmente, perché Nick non voleva
mostrarsi più debole di quanto già non fosse agli occhi
del resto della famiglia.
Si
rese conto, improvvisamente, che per la prima volta da tanti anni
stava cantando per qualcuno che non fosse lui stesso e le pareti del
salotto di casa sua. Per la prima volta da anni qualcuno era lì
perché voleva esserci.
A scuola nessuno sapeva che
avesse il diabete, non c'era stato motivo per dirlo agli insegnanti,
e di amici Nick ne aveva sempre avuti pochi, e non a lungo.
Quindi,
quando finì di suonare e si voltò verso gli altri, non
si stupì nel vederli strani, Amanda addirittura quasi
preoccupata. Liv era una fredda
maschera di ghiaccio.
«L'hai scritta tu?»,
boccheggiò Jodie.
Nick annuì e, in
pochi istanti, le braccia sottili di Amanda lo strinsero piano, per
un contatto poco prolungato.
«Oh, mio Dio, Nicholas
mi spiace tanto», commentò tristemente, guardandolo bene
come se, d'improvviso, dovesse cadere morto da un momento all'altro.
«Che cos'hai? Leucemia?».
«Oh,
ma per favore!», commentò acidamente Jason, scontento
che la sua brillante esibizione fosse passata in secondo piano a uno
sfigato come solo
Nicholas Jonas sapeva essere.
Nick rimase spiazzato dalla
reazione di Amanda e rimase con le braccia lungo i fianchi,
perplesso.
«Mmh, no, diabete»,
spiegò lentamente.
«Oh»,
commentò la mora, e al ragazzo parve di udire una nota di
dispiacere nel tono della voce, come se avesse sprecato un abbraccio
per una malattia che si poteva tenere sotto controllo.
Evidentemente non fu l'unico a capirlo perché Olive fece
un'espressione disgustata.
Amanda tornò da
Jodie, che la fissò arrabbiata quasi quanto Liv.
«Bene, avete potuto
avere un assaggio delle capacità di questo gruppo»,
spiegò Olive, prendendo in mano la situazione. «Jodie,
Amanda, Jason, voi dovete confermare se vorrete o meno entrare a far
parte in questo gruppo; ora io...».
Philip la interruppe.
«Tu che farai con
precisione?».
La ragazza gli scoccò
un'occhiataccia.
«Se
tu solo aspettassi invece di interrompermi lo sapresti»,
rispose freddamente. «Come dicevo, io non suonerò né
tanto meno canterò, ma mi occuperò di tutta la parte
organizzativa. Voi dovete solo suonare, scrivere le canzoni, io mi
devo occupare di trovarvi una sala prove, un locale disposto al
vostro primo concerto e quelli per dopo,
se non avete gli strumenti ve li dovrò trovare io. Avete
capito?».
Aspetto che tutti annuissero
prima di ricominciare.
«Bene,
per quanto riguardo il denaro nessuno, e ripeto nessuno,
avrà una fetta di soldi più grande degli altri di tutto
quello che guadagneremo di volta in volta. Sì, sono inclusa
pure io, Jason», aggiunse all'espressione scettica di Jason.
«Io nemmeno. Se guadagneremo, che so, cento dollari una serata
quel denaro verrà diviso per sei. Non verranno fuori cifre da
capogiro, ma non si può avere tutto dalla vita».
Ancora una volta annuirono
tutti, in sincrono.
«Allora... ci state?»,
chiese infine, incrociando segretamente le dita dietro la schiena.
Nick fu il primo a parlare.
«Io ripeto di nuovo
sì», disse sorridendo appena. Liv gli regalò
un'espressione decisamente più sollevata.
«Io
pure», confermò Philip. «Senza dubbi».
Jodie
lanciò uno sguardo alla sorella ed annuì, sorridendo
raggiante. A quella vista anche Amanda annuì di corsa,
preoccupata di finire per essere tagliata fuori dai progetti della
gemella.
Ognuno
si voltò verso Jason, che masticava una gomma da masticare con
fare assolutamente disinteressato.
«L'importante
è che arrivino i soldi», sbottò, e non aggiunse
altro. Liv lo identificò come un 'sì'.
«Bene,
ora abbiamo un problema», aggiunse, lasciandosi sedere per
terra.
«E
sarebbe?», chiese Jodie, sfinita.
«Ci
manca un chitarrista».
«Io
so suonare la chitarra», intervenne Nick, entusiasta di poter
dare di nuovo una mano.
Liv
inarcò un sopracciglio.
«Con
questo immagino che mi stai dicendo che sai suonare sia il pianoforte
che la chitarra contemporaneamente», fece piccata. Il
diciottenne arrossì di vergogna.
«A
scuola non c'è nessuno, vuoi dirmi, che sappia suonare la
chitarra?», chiese Jason.
«Non
bene quanto voglio io, e chi ne è capace non ne vuole sapere
di questo progetto».
O
io non lo voglio includere,
aggiunse mentalmente.
Rimasero
in un silenzio sospeso rotto solo dalle unghie di Amanda che
picchettavano il pavimento del palco.
Nick,
poi, alzò la testa, il volto illuminato da un sorriso.
«So
chi può fare al caso nostro».
Continua...
Chiedo
venia ç.ç
Scusatemi
se ci ho messo così tanto a postare ma non riuscivo a scrivere
>.<
Ho
concluso ieri sera alle 2 questo capitolo, spero vi sia piaciuto
almeno :D
Passo
subito ai ringraziamenti... ♥
Melmon:
come puoi vedere qui c'è
stato un leggero cambiamento, specialmente nel rapporto Olive/Nick.
Joe innesta istinti omicidi, non è una novità u.u
Chissà se i Jonas sistemeranno le loro divergenze in futuro
(non lo so quasi nemmeno io o.ò). Un bacio <3
Hollie:
Joe è Joe, per quanto
sia il mio Joe
in questa fic rimarrà sempre lo stesso, quindi chissà.
Spero ti sia piaciuto questo capitolo, un bacio <3
Danger_Dreamer_93:
tutti contro Joe, sììììì
*organizza una missione omicida* Anyway, hai proprio ragione >.<
Nervi. Spero ti sia piaciuto questo capitolo, fammi sapere ;) Un
bacio <3
Diletta:
amoore! *ç* Non ho più
messaggi, sorry! :( Joe a Ashley forse
vanno a vivere insieme,
sono ancora shockata, sai? E Frankie
(u.u) non aiuta in
questo momento xD Non sai come mi diverto xD Nicky è sempre
tenero (a parte quando quasi mando a 'fanculo una fan ma dettagli
u.u). Ti voglio bene anch'io <3
rosegarden:
ehiii ;) Spero che questo
capitolo ti sia piaciuto, è un po' più lungo di quello
precedente e spero ti abbia fatto piacere :D Grazie della recensione!
Un bacio <3
cussolettapink:
uhuh, ma pure io! *ç*
Eeeh, ma l'aspetto fisico di una persona dipende anche dalla
sicurezza dalla stessa, sapevi? Se una persona si vede brutta/sfigata
(Nick) gli altri la vedranno come tale; quando suonava Nick invece si
sentiva sicuro di sé, di conseguenza anche Liv ha potuto
vedere la sua bellezza u_u Spero di essere stata chiara xD Un bacio,
fammi sapere se ti è piaciuto questo capitolo <3
debby95:
grazie mille *__* Spero ti sia
piaciuto anche questo capitolo anche se è meno... Mmh...
“psicologico”. Fammi sapere! E grazie ancora! Un bacio <3
Marta:
puzzola ti odio ._. Che poi ti
devo chiamare, perché sono sotto shock, a te non fregherà
nulla di quello che ti dirò ma non importa (indizio
Joe + Ashley o.O).
Necessito di parlarti. Urgentemente. Puzzi <3
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5. ***
Ehm,
saaalve *saluta con la manina*
Lo
so, lo so, sono giusto,
solo un pochino, leggermente
in ritardo; vi chiedo umilmente perdono prostrandomi ai vostri piedi.
Purtroppo
tra il dodicesimo capitolo di I'm Only Me When I'm With
You, la scuola, gli allenamenti
troppo impegnativi di pallavolo e un provino di teatro a cui tengo
molto non ho avuto occasione – e ispirazione – per
mettermi buona a scrivere questo capitolo, che alla fine è
stato fatto in sole tre sere o.O
Sono
perdonata? *sorride a trentadue denti*
Senza
occupare altro del vostro tempo prezioso passo direttamente ai
ringraziamenti :)
Melmon:
per
tutte le tue domande troverai una risposta in questo capitolo, anche
se per Joe... Beh, mmh... Leggi, leggi u_ù Grazie mille per il
bellissimo complimento, un bacio a presto <3
Sheep:
ohoh,
mi aggiungerei a te *si mette a sbavare davanti a Nick leggermente
imbarazzato* Ahah, spero ti piaccia questo capitolo :D Un bacio <3
DalamarF16:
ooh,
grazie mille per i bellissimi complimenti *o* Grazie per l'appunto,
ho corretto :D Spero ti piaccia anche questo capitolo! Un bacio <3
She
Is Mari: ed
io chiedo umilmente perdono per il ritardo di questo capitolo >.>
Ahah, ma stai tranquilla e grazie mille per i bellissimi complimenti
*__* Grazie mille anche a te per l'appunto, ho corretto :D Un bacio,
e grazie ancora <3
Sbranina:
amoore
<3 Tesoro, non hai chance, Samantha e Nick sono altamente pucciosi
*ç* Non l'avrai franca anche sotto questo punto, no! uù
*convinta* T'amo, t'adoro, ti voglio bene e I loge you so much <3
jeeeeee:
waaa,
scusami te per il ritardo! Ahah grazie mille, spero ti piaccia questo
capitolo, a me è piaciuto scriverlo O.O Un bacio <3
eirene
eimi: Oh,
beh, grazie mille *-* Sono felice che questa fic ti piaccia così
tanto, ne sono davvero contenta, ci sto davvero mettendo l'anima.
Love you too. Un bacio <3
rosegarden:
scusami,
sul serio, per questo atroce
ritardo
ç.ç Non era mia intenzione, davvero c.c Spero che ti
piaccia anche questo capitolo, un bacio <3
Danger_Dreamer_93:
beh,
si può definire tecnicamente presto questo ritardo? O.O Mi
spiace ç.ç Sono molto contenta che ti sia piaciuto lo
scorso capitolo, spero sia lo stesso anche per questo, un bacio <3
Marta:
puzzi
<3 Ti amo <3
Minako_86:
ma
guarda, anch'io sono logorroica e credo che tra contorte ci si
intenda xD Grazie mille per i complimenti, i consigli e anche per gli
appunti, correggerò gli errori appena ho tempo ;) Ci credi se
ti dico che ti ho mandato a quel paese nemmeno una volta? xD Un bacio
<3
Capitolo
5.
«Qual'è
la persona a cui sei più grata per l'inizio di questa band?»
«Nick
Jonas, senza di lui non avremmo mai combinato nulla di buono»
Kevin
Jonas ripulì l'ultimo bicchiere in vetro, riponendolo sul
grosso mucchio che si era formato accanto a lui, e si scostò
un riccio ribelle dalla fronte.
Erano
le cinque del pomeriggio passate e quasi tutti gli studenti
dell'università si erano ritirati nelle proprie camere,
chiusi in biblioteca o tornati nelle proprie case, quindi era normale
che oltre a lui nel bar universitario ci fosse soltanto Randy, una
matricola che stava mettendo a posto le stoviglie ascoltando a tutto
volume i Rush.
In
teoria, Kevin avrebbe finito il proprio turno da tre ore, subito dopo
la pausa pranzo, ma poiché non aveva la minima intenzione di
restare in casa per delle ore prima di uscire con Danielle quella
sera aveva fatto gli straordinari. Di nuovo.
Era
da mesi che Danielle e lui pensavano di affittare un appartamento e
andare a vivere insieme, d'altronde avevano raggiunto il loro terzo
anno di relazione, le cose andavano benissimo, senza contare che
Kevin, in casa sua, non resisteva più.
Era
da quando suo fratello Joe, sette anni prima, aveva iniziato il liceo
che le cose non andavano più tanto bene: tutto a un tratto
Joseph si era trasformato da un ragazzino divertente e spensierato a
un ragazzo arrogante, prepotente, persino con Nick che non solo era
suo fratello, ma anche un
migliore amico.
Nessuno dei due, in passato, sarebbe riuscito a sopravvivere senza
l'altro. Mai.
Infatti,
in pochi mesi, Nicholas – il ragazzo più vivace che
avesse mai conosciuto – si era pian piano spento,
come se una parte di lui fosse morta insieme al vecchio Joseph. Da
quattro anni Nick stava rinchiuso in camera sua e a casa a malapena
parlava con lui, con sua madre, con suo padre, con Frankie.
La
situazione era talmente degenerata a tal punto che il Reverendo Jonas
tentava, come Kevin, di restare a casa il meno possibile,
trattenendosi in chiesa, e Denise si dedicava assiduamente a Frankie.
Ora
toccava a Kevin andarsene e vivere serenamente, dopo anni, la sua
vita con la donna che amava.
Era
talmente immerso nei suoi pensieri che nemmeno si accorse del rumore
di due persone che percorrevano il piccolo bar, fino a fermarsi
davanti al bancone dove si trovava.
«Ciao,
Kevin», disse Nick,
schiarendosi la gola secca, accennando a un saluto con la mano.
Il
ventitreenne alzò il capo, incrociando gli occhi con quelli
del fratello diciottenne e dopodiché con quelli castani di una
ragazza mora, i corti capelli spettinati.
«Ehi,
Nick», gli sorrise. «Che sorpresa».
Il
diciottenne abbassò il capo, dondolandosi da un piede
all'altro, indeciso se cominciare a parlare o meno.
«Nicholas,
ti muovi per favore?!», sibilò la ragazza, trafiggendolo
con un'occhiataccia dopo aver lanciato uno sguardo al grosso orologio
appoggiato alla parete.
Kevin
la squadrò bene, doveva avere la stessa età di suo
fratello, non era bellissima, ma aveva uno strano fascino magnetico,
probabilmente imprigionato nei suoi occhi castani, così
anonimi eppure con una strana luce.
«Kevin»,
si presentò il ventitreenne, accennando a un piccolo sorriso.
Liv
lo guardò qualche istante, prima di rispondere.
«Olive».
Un
flashback improvviso lo colse; ma certo, Olive, la compagna di banco
silenziosa da quattro anni, la ragazza a cui aveva accennato Nick
tanto, forse troppo, tempo prima.
Quel
ricordo lo rese ancora più incredulo a vederli insieme, per
quanto ne sapeva Nick non aveva mai frequentato nessuna se non una
certa Samantha al secondo anno.
«Kev...»,
iniziò Nick, riportando la sua attenzione su di lui, «ho
bisogno di te per un aiuto. Davvero, è molto importante».
Nei suoi occhi brillava, come non accadeva da tempo, una luce
luminosa di speranza, di eccitazione.
«Dimmi,
ti ascolto», disse il maggiore.
«Beh,
tu... Tu suoni la chitarra, no?», proseguì, incerto.
«Ovvio,
da sempre». La chitarra era una delle altre cose che l'aveva
salvato dalle giornate
in università.
«Vedi,
Liv ed io, insieme ad altri ragazzi... Insomma noi...».
«Oh,
cazzo, Nicholas, non ci vuole una laurea! Stiamo formando una band,
ci serve un chitarrista, ci stai o meno?!». Dritta e coincisa,
come ogni volta.
Nick
arrossì sino alla punta delle orecchie e quasi mancò
che cercasse di seppellirsi nella kefia che teneva stretta intorno al
collo.
Kevin
passò lo sguardo da quello serio, deciso di Olive a quello di
Nick, sempre con quella luce negli occhi castani.
Era
da sette anni che il ventitreenne non vedeva quella luce negli occhi
del fratello. Sette anni.
Ed ora Nick era convinto, finalmente interessato un progetto, a
qualcosa, e Kevin non avrebbe mai permesso a sé stesso di
fermare quel piccolo miracolo, non se lo sarebbe mai perdonato.
Rispose
senza esitazioni, senza un'ombra di dubbio.
«Quando
iniziamo?».
Tell
me did you sail across the sun Did you make it to the Milky Way
to see the lights all faded And that heaven is overrated
(Drops
oj Jupiter; Train)
«Ma
che schifo», sbottò Jason, imitando un'espressione
disgustata, mentre Liv faceva di tutto per controllarsi e non
mandarlo a quel Paese.
«Beh,
proponi tu un nome
migliore, allora, Matthews», sbottò piccata, incrociando
le braccia al petto.
«L'ho
già detto, The Street
è fantastico», commentò il ragazzo, con tono
strafottente, ripetendo per l'ennesima volta il nome che trovava
assolutamente fantastico per la band.
«Sant'Iddio
come sei originale», grugnì la mora. «Abbiamo già
detto no, Jason, smettila».
«Ma
perché vi pare che The Sixth
sia meglio?!», sibilò lui.
«Fa
schifo pure questo, che pensi?!».
«Ehi!»,
intervenne Philip, offeso, creatore del nome.
«Ma
non sapete essere lievemente più
originali? Dio mio, ci vuole originalità nella
vita!», grugnì Kevin, seduto tra Nick e Amanda.
«Sante
parole», cinguettò quest'ultima, sbattendo le lunghe
ciglia verso di lui, facendogli levare gli occhi al cielo.
«Nick?»,
lo chiamò Jodie, colpendolo lievemente sulla spalla per
attirare la sua attenzione.
«Sì?»,
domandò, sbadigliando.
«Hai
qualche consiglio?», chiese Jodie, pazientemente.
«Mmh,
no, no, ve l'ho già detto», biascicò.
«Molto
utile», rise arrogantemente Jason.
«Cazzi
tuoi mai, eh?», inveì Olive contro quest'ultimo, senza
riuscire dominare i propri istinti, scostandosi i capelli dagli
occhi.
Kevin,
quando faceva così, non poteva fare a meno di ammirarla. Solo
il fatto che avesse incluso suo fratello nel progetto la riempiva di
stima da parte sua.
«90210»,
saltò su Amanda, eccitata per l'idea.
«Certo,
vuoi aggiungere anche Beverly Hills davanti
o ti accontenti?», chiese Olive.
«Io
almeno ho proposto qualcosa, tu no», si lamentò la
bionda.
«Piuttosto
che sparare stronzate potresti startene zitta un po', come me, no?»,
la riprese Liv, sempre con la
risposta pronta sulla punta della lingua.
Amanda
non trovo di che ribattere, ma guardò la gemella sperando
questa dicesse qualcosa in sua difesa. Non accadde.
«Scusatemi,
a questo punto tanto vale chiamarla The Band e
tanti saluti», si lamentò Philip, appoggiando la schiena
alla sedia.
Erano
chiusi da due ore in quel piccolo locale all'angolo della Fift Avenue
per scegliere i dettagli della band, come il genere di musica da
suonare e, cosa più difficile, il nome. Dopo aver votato ed
essersi rifiutati di fare del rap, come proponeva Jason, avevano
deciso di suonare musica pop-rock, remixando anche qualche vecchia
canzone dei Beatles o
dei Led Zeppelin.
«Drops
of Jupiter», mormorò Nick, talmente a bassa voce che
a sentirlo fu solo Jodie, che si illuminò sentendo quel nome.
«Ma
è bellissimo!», esclamò felice, facendogli un
gran sorriso. Nick ricambiò, impacciato.
«Cosa?»,
chiese Amanda. «Cosa?».
«Drops
of Jupiter. C'è una canzone che si chiama così, no? Dei
Train. Oh, Nick, ma sei un genio, secondo me va benissimo».
Jodie era esaltata, amava quella canzone da quando aveva dodici anni.
Amanda
annuì, abbastanza soddisfatta, mentre Kevin annuiva,
entusiasta quanto Jodie, sentiva spesso Nick cantare quella canzone
in camera prima che Joe gli gridasse di stare un po' zitto.
Olive
sorrise, il nome le piaceva, le suonava bene. Ecco a voi i Drops
of Jupiter!, si sentiva gridare nella testa prima di un concerto,
le Gocce di Giove. Giove, il grosso pianeta fatto di gas,
inconsistente. Come loro.
Sì,
le piaceva.
«Sei
grande Nick».
Il
diciottenne le fece un gran sorriso, era il secondo complimento che
gli faceva nell'arco di una giornata.
Philip
approvò, complimentandosi a sua volta con il riccio,
ammettendo che era di gran lunga meglio degli altri proposti.
Jason
non si espresse, preferì rimanere in silenzio, osservando
seccato il soffitto mentre tamburellava le dita sul tavolo.
Già
che non ribattesse Liv lo considerò un buon segno.
«Se
qualcuno non ha qualcosa in contrario, allora, io segno questo nome
per la band», disse la moretta, scostandosi i capelli dagli
occhi, guardando particolarmente Jason. Continuò a rimanere
nel suo stato di mutismo.
Olive
tracciò su un foglio, con la sua scrittura disordinata ma
sottile, Drops of Jupiter sopra ai nomi dei componenti,
affiancati dallo strumento che avrebbero suonato.
«Se
qui abbiamo finito io andrei a casa mia», chiarì Jason,
alzandosi con uno sbuffo.
«Vai
pure, ho i vostri numeri di telefono, vi avvertirò per dirvi
dove e quando dobbiamo incontrarci per le prove», spiegò
Liv, mentre uno alla volta si alzavano tutti ad eccezion fatta per
Nicholas, che rimase al suo posto.
«Va
bene», le sorrise Jodie, mentre Amanda era già andata
avanti. «Ci sentiamo presto, Liv, ciao, e grazie di tutto».
Liv
fece un cenno rigido alla mora riccia che si allontanava, non era
abituata ad essere trattata con così tanto calore.
«Io
Nick devo andare, esco con Dani», disse Kevin, dando una pacca
fraterna sulla spalla del fratello minore. «Ci vediamo 'sta
sera, okay? Non torno tardi e se sei ancora sveglio vengo in camera
tua, se vuoi».
«Certo,
okay», disse il riccio, con un piccolo sorriso timido,
stringendosi nelle spalle.
A
tavola rimasero solo lui ed Olive, che lo guardava con attenzione.
Rimasero
in silenzio, a spiarsi di nascosto, mentre una cameriera sulla
cinquantina, il viso paffuto e quasi senza collo li guardava con
un'occhiata maliziosa.
Liv
tamburellò le dita sul tavolo, lanciando un'occhiata alla
donna e facendole cenno di avvicinarsi.
Quella
li raggiunse quasi saltellando, con passo molleggiato e prese con due
dita la banconota da cinque dollari che le porgeva Liv, consegnandole
il resto e tornando indietro, lanciando ogni tanto delle occhiate a
quella che lei considerava una coppia.
«Nicholas,
ti sono grata», sussurrò la ragazza, penetrandolo con i
suoi occhi marroni.
Nick
si rizzò a sedere sulla sedia, un cipiglio confuso sul viso.
«Di
che?», chiese.
«Per
Kevin, ci... mi hai salvato la vita presentandocelo. Ora posso
davvero sentirmi sollevata. Grazie», disse seria, guardandolo
fisso.
Il
diciottenne arrossì.
«Beh...
mmh, prego», balbettò, tingendosi di bordeaux sino alle
orecchie.
Liv
fece un piccolo sorrisetto e si alzò.
«Io
vado, Nick, ci vediamo domani a scuola», disse.
«No,
aspetta», fece lui, incespicando, rovesciando indietro la sedia
nella fretta di alzarsi, attirando su di sé parecchi sguardi
divertiti e quello sfinito di Olive, corse dalla cameriera, le diede
due dollari e raggiunse la ragazza, che teneva le braccia incrociate
e un sopracciglio inarcato.
«Ti
posso accompagnare?», domandò. «A casa, beh, io...
da me... Non ho nulla da fare».
Liv
percepì nell'aria il nome di Joe e arricciò il naso,
facendo un brusco cenno col capo.
«Tu
sai dove abito io, Nicholas? Non è una bella zona»,
spiegò seccamente, scostandosi una ciocca di capelli dagli
occhi.
«Dove?».
«Bronx»,
disse lei. «E sta per fare buio; senza offesa, ma non voglio
essere responsabile di te».
«Ho
diciotto anni...», fece lui, piano. «So badare a me
stesso».
Liv
gli lanciò un'ultima occhiata.
«Lo
spero per te».
You
are not alone I am here with you Though we're far apart
(You're
not alone; Michael Jackson)
Per
arrivare solo nel Bronx ci misero mezz'ora, considerando le
metropolitane piene a causa dell'ora di rientro dal lavoro e altri
quindici minuti con i pullman per arrivare nella zona dove abitava
Liv.
Quando
scesero dall'ennesimo bus erano quasi le otto e il sole era calato.
In cielo non brillavano né stelle né c'era la luna,
sarebbe stata una nottata nuvolosa; Nick non si sarebbe stupito se il
giorno dopo avesse piovuto.
Le
strade erano stranamente semi vuote e l'unica presenza che
accompagnava i due adolescenti era qualche cane randagio.
«È
sempre così....», iniziò il riccio, alla ricerca
dell'aggettivo adatto.
«Inquietante?»,
lo aiutò Olive, con tono sbrigativo.
Nick
annuì imbarazzato.
«Oggi
mi pare una serata buona», sospirò lei, «di
solito è peggio. Fidati».
Il
ragazzo si fermò un secondo, guardandosi intorno con
un'improvvisa ansia in corpo, e quando riprese a camminare il cuore
gli batteva forte, il doppio di prima.
«Non
dirmi che hai paura?», scoppiò Liv, guardandolo a
bocca aperta a metà tra il divertito e lo scandalizzato.
«Io?
No». Scosse il capo con forza. «Assolutamente no».
Gli
occhi di Liv si fecero più grandi, illuminati dal
divertimento.
«Sei
un tipo strano, Jonas», proferì. Non lo disse come gli
altri che l'avevano inseguito con quella frase per tutto il liceo,
ridendo di gusto vedendolo sottomesso, ma con un tono pacato, di una
persona che sta semplicemente costatando la realtà.
Nick
le fu grato.
Camminarono
in silenzio qualche minuto, l'uno accanto all'altra, i gomiti che
quasi si sfioravano.
«Ehi,
bellezza!», gridò qualcuno alle loro spalle, facendo
improvvisamente irrigidire Nicholas. Lui e Liv si voltarono insieme,
Nick con espressione spaventata e lei fredda e calcolatrice. Dietro
di loro c'era un gruppetto di circa sei ragazzi, ormai oltre la
soglia dei venti, la voce biascicata di chi ha già bevuto
troppo, nonostante l'ora.
«Bellezza!»,
ripeté lo stesso ragazzo, al centro, reggendosi appena sulle
proprie gambe. Aveva un fisico scultoreo, i capelli corti quasi
rasati a zero. «Vuoi fare un giro con noi, bella donna? Lascia
stare il ragazzo e vieni con noi!», intimò.
Nick
non possedeva coraggio, o almeno credeva. Non aveva mai ribattuto a
un ordine o risposto male, ma come quel ragazzo iniziò ad
importunare Olive sentì dentro di sé montare una rabbia
nuova, sempre più crescente.
Fece
per aprire la bocca, ma Liv lo strattonò.
«Andiamo,
Nick, lascia stare». Nei suoi occhi non c'era traccia di paura,
si era trovato forse troppe volte in una situazione simile.
Il
riccio lanciò un'altra occhiata al gruppo dietro di loro e la
seguì. Liv lo prese a braccetto, come se fossero una coppia,
ma più probabilmente perché non voleva che a causa di
qualche strano impulso tornasse indietro per dire quattro parole a
quel branco di ubriaconi.
«Bellissima,
dai, non fare la preziosa, cos'ha quel ragazzetto più di noi,
eh? Vieni qui, ti faccio vedere io che cosa possiede un vero uomo!».
Nicholas
non si sarebbe stupito se, girandosi, l'avesse visto esporre la sua
eccitazione, come un'esibizionista.
Liv
lo strattonò più forte, aumentando il passo.
«Tu
sali a casa mia e ti fai venire a prendere da un taxi», gli
mormorò in un orecchio, sibilando irritata. «Mancano
ancora dieci minuti».
Nick
sentì un tuffo al cuore: dieci minuti sembravano troppi.
«Ehi,
ragazza, avanti, vieni a bere qualcosa con noi. Sul serio, vieni.
Cos'ha quel Jonas più di me, eh? Cosa?!», gridò
un'altra voce, più possente.
Sentendosi
nominare il diciottenne non poté fare a meno di voltarsi,
mentre Liv bestemmiava.
Gli
ci volle qualche istante per riconoscere l'ultimo ragazzo che aveva
parlato, dopodiché divenne semplice dare un nome anche alla
maggior parte degli altri.
Ed
eccezione del primo e di un altro, più esile, tutti gli altri
erano gli amici inseparabili di Joe, coloro che non andavano mai da
nessuna parte senza di lui.
«Eh,
Jonas, alla fine te la spassi con le belle donne, eh? EH?!»,
esclamò Kyle Woodrow, il secondo ad aver parlato, tra
l'arrabbiato e lo strafottente.
«Vai
avanti e non rispondere», gli intimò Olive, sentendolo
più rigido al suo fianco. «Sta' zitto, Nicholas, per
l'amor di Dio».
Il
riccio annuì e si rimise a camminare, aumentando ancor di più
il passo.
Anche
i ragazzi dietro di loro, però, li imitarono, e prima che Nick
o Liv potesse fare qualcosa James, un ragazzo con l'orecchino,
afferrò la ragazza per le spalle, strappandola alla presa di
Nicholas, facendola gridare d'indignazione.
Il
viso di James era talmente vicino a quello di Olive che la ragazza
poteva sentire il suo alito puzzare di alcool e sigarette. Scostò
il capo verso Nick, che stava fronteggiando Kyle e Lucas, un altro
della compagnia di Joe.
«Lasciatela
andare», ordinò, con tono fermo. «Subito!».
«Allora
non sei balbuziente, vero Jonas? Hai sempre b-b-balbettato con noi».
Lucas scoppiò in una pesante finta risata.
Se
non ci fosse stata di mezzo Olive probabilmente Nick sarebbe
scappato, ma lei era lì e lo fissava con quei suoi occhi
castani, quasi supplicandolo. Probabilmente fu solo un'impressione di
Nick, Liv non supplicava.
James
strinse ancora di più la presa al braccio di Liv, facendole
scappare un gemito.
Nick
non ci vide più dalla rabbia.
«Ho
detto di lasciarla andare!», urlò, tentando di spingerli
da parte. Un pugno, non seppe di chi, se di Lucas o Kyle, gli si
piantò sul naso; il mondo si mise improvvisamente a macchie
per qualche istante mentre Nicholas indietreggiava e si portava una
mano al naso, ritraendola grondante di sangue.
«Maledetti
figli di puttana», grugnì Olive, senza riuscire a
staccare gli occhi da Nicholas.
«Che
linguaggio colorito», biascicò James. «Sai, sei
molto sexy quando ti arrabbi...».
Olive
gli diede un calcio a un piede a approfittò del momento per
sfuggire dalla presa del ragazzo e per avvicinarsi a Nick, ancora
disorientato.
«Piccola
bastarda», la maledì James. «Aspetta solo che...»,
fece per tirare su un braccio, la mano destra aperta, pronto a
tirargli uno schiaffo, quando si udì un'altra voce.
«Ho
preso altra birra!», gridò Joe Jonas, comparendo nel
mezzo della rissa con un sorrisetto e due casse piene di bottiglie
tra le mani.
Gli
ci volle un istante per riconoscere il fratello minore, sanguinante,
piegato in due, e ancor meno a vedere che ad avere una mano schizzata
di sangue era Lucas.
«Che
cazzo è successo?!», sibilò, appoggiando a
terra con uno scatto le bottiglie di birra.
«Joe,
Nicholas qui... Mi ha provocato... Io...», iniziò a
balbettare Lucas, indietreggiando all'occhiata penetrante e assassina
di Joseph.
«Ora
non fai più tanto lo strafottente, eh?», lo riprese Liv,
preda di un odio cieco.
Joe
guardò il fratello, che aveva finalmente lo sguardo e lo
vedeva come se fosse solo un'apparizione e nulla di reale.
«Andate»,
ordinò il ventunenne, indicando i suoi amici.
«Joe...».
«ORA!»,
gridò con tutta la voce che aveva, facendo scattare
sull'attenti James, e allontanare tutti quanti, ad eccezione di Kyle
che si fermò a recuperare la birra a terra prima di
raggiungere gli altri.
Joe
aspettò di vederli girare l'angolo prima di voltarsi verso il
fratello, che si era retto solo in quel momento sulla schiena, il
naso che continuava a sanguinare copiosamente.
«Sei
un idiota, Nicholas», sibilò Joe, avvicinandosi verso di
lui e lanciandogli con disprezzo un pacchetto di fazzoletti che
teneva nella borsa. «Che cazzo ci fai qui, eh?».
«Stava
accompagnando a casa me», rispose al posto di Nick Liv, con
voce punta dall'acidità.
Joe
inarcò un sopracciglio, squadrandola.
«E
tu sei?».
«Olive»,
fece la mora, seccamente.
«Beh,
Olive, portati a casa anche questo qui e chiamagli un taxi,
non credo che la gente sarà molto contenta se si metterà
a spargere sangue per tutta la metropolitana», le disse,
spostando lo sguardo dalla diciottenne al fratello e viceversa.
Nick
fu scosso da un brivido di dolore, ma non era per il naso che, ci
avrebbe giurato, era probabilmente rotto, ma piuttosto per le parole
di Joe. Anche in una situazione simile lui rimaneva lo sfigato della
famiglia.
«Tutto
qui? “Chiamagli un taxi”?! È tuo fratello!»,
esclamò la ragazza.
«In
che modo dovrebbe importarmi?».
Liv
fece un passo avanti e gli sputò in faccia, sotto lo sguardo
strabiliato di Nicholas.
«Mi
fai schifo», sibilò lei, prima di tornare dal minore.
Joe
si asciugò il viso, disgustato, prima di lanciarle un'occhiata
piena di disprezzo.
«Piccola
stronza...».
«Oh-oh,
che paura», lo scimmiottò Liv.
Il
ventunenne fu preso dall'istinto di prendere a calci qualcosa, o
qualcuno, ma si trattenne e si limitò ad imprecare ad
alta voce.
«Andiamo,
Nicholas», disse il suo nome come se fosse una
parolaccia. «Ti porto a casa».
Nick
fece un sorriso, raggiungendolo ma rimanendo comunque due passi
dietro di lui.
«Ci
bediamo dobani, allora», biascicò, rivolto
alla ragazza.
Olive
fece un segno con la mano, come se stesse scacciando una mosca
fastidiosa.
«Fatti
mettere a posto quel naso, piuttosto», disse.
Nick
le sorrise ancora e seguì Joe, che si era già
incamminato verso un parcheggio.
Liv
li seguì con lo sguardo; pochi minuti dopo notò una
macchina nera, non ne riconobbe la marca, lasciare lo spiazzo in
cemento. Probabilmente la loro.
Liv
sospirò, iniziando ad incamminarsi ma piuttosto che tirare
dritto, verso casa, girò a sinistra, in direzione di un bar.
Aveva
bisogno di una vodka.
Continua...
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Capitolo 6 *** Capitolo 6. ***
“Oltre
a voler portarmi avanti più che posso con questa fic vorrei
dedicarmi un po' ad Olive&
An Arrow,
che continuerò a postare senza pause e, anzi, a breve dovrei
pubblicare il prossimo capitolo” questo lo scrissi
nell'undicesimo capitolo di I'm
Only Me When I'm With You...
un mese fa. Sono imperdonabile, un caso disperato, un muflone.
Ecco,
sì, io sono un muflone. Ora, insultatemi pure.
Oltre
tutto, questo capitolo che giunge dopo due mesi e dico due
mesi (e
mezzo -.-) di ritardo non è nemmeno lungo o particolarmente
interessante... o bello... o curioso. Si approfondisce semplicemente
il carattere di Joe e una piccola scenetta tra Liv e Nick, e Nicholas
e Jodie. Un capitolo tranquillo.
Wow.
Grazie
per aver commentato in dieci
lo
scorso capitolo! *ç* Non me lo merito, ora vi risponderò
tramite posta privata. Grazie mille per il supporto!
So
che è scorretto chiedervi una cosa simile dopo così
tanto ritardo (*si colpisce da sola alla Dobby*) ma vi vorrei
cortesemente chiedere, per favore, di passare nell'ultimo capitolo di
I'm
Only Me When I'm With You
e magari lasciare un commentino, anche piccolissimo, una sola parola,
una lettera, un punto, qualcosa. A quella storia sono seriamente
molto affezionata e anche dando il meglio vedo che i risultati non
sono dei migliori. Ditemi anche se fa schifo così posso
migliorare... Il link è il seguente →
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=612176
Grazie
dell'attenzione. Finalmente ecco il capitolo.
Chapter
6}
«Liv,
cosa ci puoi dire su Joe Jonas?»
«Qualcosa
più di ciò che già sapete? Beh, vi dico chiaro e
tondo che era la persona più stronza che si possa mai
incontrare. Dico sul serio. Era un bastardo».
Nicholas
continuò a tamponarsi il naso grondante di sangue per tutto il
tragitto sino a casa, lanciando delle occhiata ad intermittenza a
Joe, il volto duro e sprezzante, gli occhi pieni di rabbia inchiodati
sulla strada, le mani che stringevano il volante talmente forte da
far diventare le nocche bianche.
Scostò
lo sguardo e guardò fuori il paesaggio cittadino, così
sconosciuto ed eppure così familiare. New York era tutta
uguale, per come la pensava. Non era altro che un ripetersi di bar,
negozi, edifici in cemento troppo alti, fast-food e kebab.
Sarebbe
rimasta sempre così, lo sapeva. Anonima per i newyorchesi e
terribilmente affascinante per i turisti.
Per
lui sarebbe rimasta per sempre la città che aveva coronato la
sua adolescenza da dimenticare.
«Glazie»,
mormorò improvvisamente, voltandosi lentamente verso il
fratello, senza sorridere.
Vide
la stretta di Joe farsi ancora più forte mentre aspettava
invano che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa.
Proprio
quando stava abbandonando ogni speranza e si stava di nuovo per
chiudere in se sé stesso lo sentì parlare.
«Sei
solo un idiota», ringhiò Joseph, senza fissarlo. «Mi
spieghi che cazzo ci facevi la sera nel Bronx, eh? Stupido.»
Nick
incassò il colpo senza ribattere, stringendosi nelle spalle.
«Io...
Stavo accombagnando un'amica». Si poteva chiamare Olive amica?
Liv non aveva amici, Liv era sola, non voleva sentirsi amata, parte
di un gruppo, lei sarebbe rimasta per sempre sola con sé
stessa.
«Chi,
quella?
Credevo fosse solamente una puttana», continuò Joe,
sibilando. «Lasciala perdere e sta' lontano dal Bronx,
specialmente la notte, mi hai capito bene?».
Nick
non rispose e continuò a guardarlo, confuso.
«Pecché?».
«Porca
miseria, Nicholas, quel pugno non ti è servito a niente, eh?!
Il Bronx non è un posto per poppanti, devi stargli lontano,
potresti farti male sul serio la prossima volta».
«No,
io bolevo
solo sapele...»,
balbettò Nick, abbassando lo sguardo.
«Cosa?».
«Pecché
ti intelessa
che io ci bada
o meno».
Joseph
inchiodò improvvisamente, accostando al lato della strada
mentre un'intera fila di macchine dietro di loro imprecava contro di
lui mentre gli sfilavano accanto.
«Come
hai detto?», domandò.
«Pecché
ti intelessa
che io vada o meno nel Blonx...
Insomma, noi, tu... Non...».
«Smettila
di balbettare», lo aggredì Joe, e Nick si zittì
all'improvviso. «Perché mi interessa? Vuoi sapere
perché? Beh, prima di tutto non
mi
interessa, l'unica cosa che voglio evitare è di doverti venire
a recuperare in ospedale, o per strada, o Dio solo sa dove! Non mi
interessa niente di te, Nicholas, men che meno che tu ti faccia male
o meno. Ma sinceramente se morissi l'atmosfera casalinga non sarebbe
più la stessa e...», si zittì, scuotendo il capo.
«E?».
«Senti,
a te non ti deve interessare un cazzo di quello che voglio io, fai
come ti dico e basta», ringhiò, premendo l'acceleratore
e partendo di nuovo, ricevendo una lunghissima serie di suonate di
clacson dietro di sé.
Nick
si passò una mano tra i ricci, continuando a tamponarsi il
naso che non accennava a smettere di sanguinare. Pregò con
tutto sé stesso che non fosse rotto. Non ora che faceva parte
di una band e doveva anche cantare; la voce nasale era l'ultima cosa
che gli serviva al momento.
Joe
non parlò per i dieci minuti seguenti, troppo impegnato a far
passare la rabbia.
«A
questo punto credo sarebbe meglio se ti portassi al pronto soccorso»,
sbuffò scocciato, tirando fuori dalla tasca esterna della
propria giacca il cellulare. «Scrivo a mamma e papà che
stiamo andando lì».
«No,
non ce n'è bisobgno»,
ribatté debolmente Nicholas, tentando di suonare convincente.
«Tu
fai come ti dico io», ringhiò Joe. «Finirai per
morire dissanguato in quest'auto».
«Non
cledo
sia necessario».
«Tu
non credi necessarie un sacco di cose. Tra queste rientra avere una
vita», mormorò Joe talmente a bassa voce che Nick non lo
sentì.
«Hai
detto qualcosa?», domandò il diciottenne, vedendolo
muovere le labbra.
«Bestemmiavo»,
mentì velocemente Joe. Vide con l'angolo di un occhio Nick
annuire piano. Non era vero. Se c'era una cosa che Joseph non aveva
mai fatto era bestemmiare, tra i tanti peccati che aveva commesso –
tra infrangere il voto di rimanere casto sino al matrimonio, le
bugie, le droghe che aveva assunto, tutte le sbornie che si era preso
– quello non rientrava nella categoria. Era cambiato, questo
era innegabile, ma era comunque cresciuto in una famiglia dedita alla
chiesa, con i genitori che avevano insegnato a tutti i loro figli ad
avere rispetto di Dio.
Joe
in Dio non ci credeva più. Quando era un ragazzino sì,
era perfettamente convinto della sua esistenza, ma dopo aver visto
interi quartieri gremiti di poveri, mezzi morti di fame, dopo aver
visto la crudeltà di alcune persone non credeva che esistesse.
Se ci fosse stato non sarebbero esistite le guerre nel mondo, o la
crudeltà, o la fame.
God
is Death,
era una delle canzoni che aveva scritto lui per la sua band, ma alla
fine mai proposta. Più ci pensava, mentre la scriveva, e più
si rendeva conto che non era una canzone hard-rock, ma più da
ritmi leggeri. E, tra l'altro, ridendo si era detto che conteneva
troppe parole per una canzone della sua band.
Dio
era morto. Dio non esisteva. Il mondo si era costruito, e viveva,
solo a causa – o grazie? - delle scelte che si fanno.
Il
mondo faceva schifo.
Scrisse
il messaggio, velocemente, a sua madre, dicendo che Nick era
inciampato e cadendo aveva sbattuto il naso contro un marciapiede e
che voleva portarlo al pronto soccorso per un controllo, poi lanciò
il cellulare sul sedile posteriore e deviò strada, infilandosi
in una scorciatoia per arrivare prima in ospedale.
Nick
si sentiva come quando gli avevano diagnosticato il diabete e lo
stavano portando in ospedale, in macchina con lui c'era sua madre,
Kevin e Joe. Quello era stato l'ultimo giorno per molti anni in cui
il ventunenne aveva dimostrato che per lui Nicholas era importante:
si era seduto accanto a lui e l'aveva abbracciato per qualche
secondo, troppo pochi, e gli aveva mormorato nell'orecchio un “ti
voglio bene” che forse si era lasciato scappare per errore.
Dopo,
non gli aveva parlato per due settimane.
«Joe?»,
domandò piano, mentre il fratello maggiore entrava nel
parcheggio del pronto soccorso e accostava.
«Sì?»,
domandò scocciato l'altro, la portiera già aperta, un
vento leggero che gli scompigliava i capelli.
Ti
voglio bene,
avrebbe voluto dire. Con tutto sé stesso, ma aveva paura. Nick
Jonas viveva nella paura.
«Niente»,
mormorò, facendo alzare gli occhi al cielo al maggiore e
chiudere la portiera sbattendola troppo forte.
Questa
ragazza occhi cielo, questa ragazza ha un'idea, e partorire tra
le stelle, un giorno quando sarà libera e fiera di sé.
{Ragazza
occhi cielo; Loredana Errore}
Olive
chiuse l'anta del proprio armadietto e vi si appoggiò con le
spalle, passandosi una mano sul viso con aria stanca. Era tornata a
casa troppo tardi la sera prima e i postumi da sbornia continuavano a
farsi sentire.
Scosse
il capo e si mise in cammino verso l'aula di letteratura mentre
intorno a lei sfilavano i vari studenti troppo intenti a pensare alle
loro vite per badare a lei. A Liv andava bene così.
La
classe era semivuota e i pochi che c'erano erano appoggiati alle
finestre con una sigaretta tra le labbra che ispiravano il fumo e poi
espiravano guardando il cortile scolastico, un piccolo quadrato di
terra con un albero e due cespugli.
Si
sedette al suo posto, all'ultima fila centrale, la schiena
abbandonata sullo schienale scomodo, i gomiti poggiati sul banco e la
testa tra le mani. Si ripromise che non avrebbe bevuto per almeno le
prossime tre settimane. Una promessa che, lo sapeva, non avrebbe
mantenuto.
Il
trillo della campanella le fece pulsare le tempie, aggredendola
intensamente, facendola mugugnare di dolore. Troppa tequila, si
disse, la prossima volta meglio una birra. O due.
Pian
piano l'onda di studenti entrò nella classe e con loro anche
la professoressa Armstrong.
Olive
non si alzò e non le diede il buongiorno come il resto della
classe e rimase seduta, un solo occhio aperto che teneva d'occhio la
porta nella speranza di vedere Nicholas e guardare come stava.
Era
sicura che non fosse nulla di grave, ma, si diceva, se si fosse
infortunato da impedirgli di cantare sarebbe stato un problema in
quel momento, non con la band che stava per avere i suoi inizi.
Girovagando
la notte precedente, quando era ancora quasi del tutto sobria, era
passata davanti a un magazzino con un cartello attaccato sulla porta
principale la scritta “Affittasi”; sotto un numero di
telefono. La zona era abbastanza appartata, il locale dall'esterno
abbastanza grande e adatto a quello che cercavano, ciò che la
preoccupava era il prezzo dell'affitto. Era sicura che con soli sette
componenti un affitto di un intero locale non si sarebbe potuto
pagare poco.
Ci
avrebbe pensato una volta chiamato il proprietario.
Nick
entrò nel momento stesso in cui formulò quel pensiero;
Liv lo guardò con aria indagatrice: aveva un occhio
leggermente livido e sul naso un cerotto nasale.
Il
ragazzo la salutò incerto e lei ricambiò rigida,
alzando la testa e notando che tutta la classe, compresa al
professoressa, li stava guardando.
«Volete
scattarci una fotografia o vi sta bene così?», chiese
irritata, lanciando uno sguardo gelido all'espressione di pura
incredulità di una ragazza seduta di fronte a loro.
Questa
si voltò, facendole il verso, facendo ridacchiare qualche
compagno qua e là per la classe.
La
Armstrong segnò il nome di Nicholas come presente ed inizio a
spiegare la teoria shakespeariana, richiamando a sé
l'attenzione – anche se falsa – dei suoi studenti.
«Come
stai?», domandò Liv a Nick mentre questi si chinava a
prendere il proprio libro di letteratura, il tono a metà tra
il rigido e il preoccupato.
«Bene,
grazie», rispose lui, la voce assolutamente normale. «Non
è niente».
«Speriamo
sia come dici», ringhiò Olive. «Non dovevi
assolutamente accompagnarmi.»
«Ma...
ti saresti trovata sola», balbettò lui, perplesso di
fronte a questo improvviso cambiamento di umore.
«Sono
in parte responsabile di ciò che ti accaduto». Non lo
disse come se si sentisse in colpa, ma era una semplice
constatazione.
«Olive...
io ho diciotto anni, sono il solo ad essere responsabile delle mie
azioni».
Liv
lo fissò un istante: aveva un ricciolo ribelle che gli era
calato lungo la fronte, il volto che traspariva sicurezza. Per
qualche istante Liv si sentì in pace, tranquilla con sé
stessa.
«Beh,
non dovrà accadere mai più», sbottò, prima
di aprire il proprio quaderno con gesto secco e iniziare a prendere
appunti.
Nick
la fissò un secondo, un piccolo sorriso che gli incrinava le
labbra, poi la imitò.
Se
solo avessi le parole, te lo direi anche se mi farebbe male se
io sapessi cosa dire io lo farei
{Una
canzone d'amore; 883}
Jodie
si arrampicò sul palco dell'auditorium scolastico, ascoltando
Nick che suonava, il capo chino sulla tastiera e gli occhi chiusi.
Erano note incerte, evidentemente era la prima volta che provava a
suonarle.
Rimase
in silenzio a guardarlo, scostandosi un riccio moro dagli occhi
castani quando questi le scivolò lungo il viso. Non voleva
disturbarlo. Solo quando Nicholas smise di suonare si avvicinò,
piano.
«Ciao,
Nick», disse, con un sorriso, facendolo trasalire per la
sorpresa.
«Jodie,
ciao», disse, voltandosi a guardarla negli occhi.
Solo
allora la riccia notò il lieve livido sotto l'occhio destro e
un cerotto nasale.
«Cosa
ti sei fatto?», domandò preoccupata, accennando
all'occhio con l'indice.
«Oh...
niente, io... un... Liv... Niente», balbettò, muovendo
concitatamente le mani.
«Uhm,
molto chiaro, sì», ridacchiò la sedicenne,
mostrando un gran sorriso.
«Non
è stato niente», le assicurò allora lui.
«Beh,
sono contenta... Ti fa male?».
«No»,
rispose prontamente lui. Solo quando ci penso, aggiunse
mentalmente.
«Bene».
«Sì».
Rimasero
in un silenzio sospeso, guardandosi di tanto in tanto, imbarazzati.
«Avevi
bisogno di qualcosa?», domandò il ragazzo, a un certo
punto.
«Volevo
solo salutarti», ripiegò Jodie.
«Capito».
Rimasero
ancora in silenzio.
«È
una nuova canzone?», chiese la ragazza. «Quella che stavi
suonando prima».
«Oh,
sì, solo qualche arrangiamento, niente di che...», disse
Nick, tamburellando le dita sui tasti neri e bianchi del pianoforte.
Jodie
prese uno sgabello lì vicino e si sedette accanto a Nicholas.
«Posso
ascoltarla?», chiese dolcemente.
Il
diciottenne la guardò negli occhi, poi annuì, calando
le mani agili sulla tastiera.
Continua...
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