I won't let you be alone

di Halina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Scorcio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Atmosfera ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Liberazione ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 : Permesso ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Scorcio ***


I won’t let you be alone

 
Ciao! Questa FF è nata come storia unitaria e solo in un secondo momento è stata divisa in capitoli per praticità, le parti sono tutte legate. E' una sorta di missing moment del capitolo 70 del manga senza spoiler su ciò che accade dopo, solo riferimenti alla vita passata di Roy e Riza.


 
Capitolo 1: Scorcio

 
Alzo gli occhi alle finestre, alle finestre di quella casa che era il rifugio a cui tornavo dopo le lunghe giornate di lavoro, quella casa che oggi è la mia prigione.

Le tende sono aperte, come  le ho sempre lasciate; una volta lo facevo perché mi piaceva entrare in casa e trovarla illuminata dalla luce del sole, oggi sono aperte perché ho paura, ho paura di chiudermi dentro. Forse  spero che il mondo guardi per caso dentro quelle finestre e si renda conto dell’orrore in cui vivo.
Salgo le scale, la mia mano trema nell’infilare la chiave nella serratura, poi sento un leggero uggiolare dietro la porta e le mie labbra si aprono in un sorriso tirato: Hayate. Povero piccolo, mi piange il cuore ogni mattina ad abbandonarlo lì dentro ma è impensabile, ora, portarlo al lavoro con me.

Il pensiero si sofferma un istante sul viso sorridente di Fury che scribacchia con il cane in braccio, Breda che mette al sicuro le sue ciambelle, Falman che starnutisce per la sua allergia e Jean che ride, tutto sotto lo sguardo benevolo del Colonnello…

Clic. La chiave scatta, la porta si apre silenziosa e spettrale sul mio incubo.

Un razzo bianco e nero si precipita fuori scodinzolando, mi accuccio sul pianerottolo e stringo forte il mio cane, il mio ultimo appiglio sulla realtà.

“Dammi un secondo per cambiarmi e ti porto a spasso…” gli mormoro mentre entro, cercando di rimanere indifferente.

Continuo a parlargli mentre mi cambio, la divisa che finisce su una sedia. Infilo una tuta, allaccio le scarpe da ginnastica, prendo il guinzaglio e scappo.

Correre mi fa bene, non lo faccio abbastanza spesso, mi fa sentire serena, un passo dopo l’altro con ritmo costante, in una direzione ben precisa:  un anello che corre attorno al quartiere in cui vivo e attraversa anche un pezzo di parco.
 
Il tempo di rientrare arriva troppo presto ma l’anello è terminato e il sole sta tramontando, ci avviamo a casa stanchi ma entrambi soddisfatti. Hayate salta sul divano, si acciambella e chiude gli occhi, io mi guardo attorno sconsolata: questa casa fa davvero pena, non so più contare il tempo dalle ultime pulizie. Libri impilati per terra, vestiti puliti e mai riposti sul tavolo del salotto, scarpe buttate accanto alla porta, polvere… scuoto la testa, per prima cosa mi ci vuole una doccia.

Sulla porta del bagno esito, il sole è sempre più rosso e basso, la casa sempre più buia, le ombre sembrano strisciare sempre più vicine. Con pochi passi percorro l’intero appartamento e accendo tutte le luci, poi mi concedo di infilarmi sotto il getto tiepido della doccia.

Lavo via la stanchezza, il sudore, la paura… scivola tutto giù. Appoggio la schiena alle piastrelle e per un attimo la mia pelle sfregiata reagisce al contatto. Rabbrividisco. Le gocce cadono inesorabili, colano, la mia anima sembra andarsene con loro.
 
Esco dal bagno avvolgendomi nell’accappatoio e cerco qualcosa da mettermi addosso, scelgo il pigiama, il mio caldo, morbido pigiama che mi da l’illusione di essere al sicuro.
 
Sto attraversando il salotto diretta in cucina quando suona il campanello.
 
Sobbalzo, il cuore batte all’impazzata, poi rimango immobile, nulla si muove. Forse l’ho solo immaginato… Driin… Di nuovo. Tre passi e sono alla sedia su cui ho abbandonato la divisa, sfilo la pistola dalla fondina e sono alla porta, la mano sulla maniglia.

“Chi è?”

“Apri, Riza.”

Non è possibile. Apro la porta di pochi millimetri ma lo scorcio di viso che vedo è più che sufficiente: “Colonnello! Colonnello, lei non dovrebbe essere qui.”

Sorride, un sorriso tirato troppo simile al mio, un sorriso in cui passa muta comprensione.

“Non c’è nessun colonnello qui, Riza, solo un Roy molto sfacciato che si è auto-invitato a cena … però ho fatto la spesa!”
 
Incerta, apro la porta un po’ di più e vedo che ha in mano due inequivocabili borse. Non posso, semplicemente non posso farlo entrare in casa mia, non con quella minaccia latente nell’ombra. Ho giurato di proteggerlo, la nostra situazione è già troppo rischiosa …

“Posso entrare?”

Annaspo alla ricerca di una scusa: “Non sarebbe opportuno, Colonn…”

“Te l’ho detto: nessun Colonnello.”

“Ma la casa è in disordine …”

“Se è così un problema puoi sempre sistemare mentre cucino.”

“Sono in pigiama …”

Ride, una risata sommessa e sincera: “Non sarebbe certo la prima volta che ti vedo in pigiama, Riza.”

L’ha fatto di nuovo, mi ha chiamata per nome, ogni volta che lo pronuncia il mio cuore salta un battito. Quanti anni sono passati, quanti, dall’ultima volta che siamo stati solo Roy e Riza e non il Colonnello Mustang e il Tenente Hawkeye?

Il Tenente Hawkeye vuole che il suo superiore se ne vada immediatamente e Riza ha un disperato bisogno di un amico…

“E va bene…”

Riza ha vinto. Solo per oggi.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Atmosfera ***


Capitolo 2: Atmosfera

E’ impeccabile. Non che mi aspettassi altro, ovviamente, Roy Mustang è sempre impeccabile, ma fa uno strano effetto vederlo entrare in casa mia in pantalone scuro, camicia e soprabito: sono troppo abituata alla divisa. Improvvisamente mi sento terribilmente in imbarazzo: non sarà la prima volta che mi vede in pigiama… ma avevo 10 anni l’ultima volta che è successo.

Il suo profumo invade il mio piccolo appartamento, non saprei dire se è il dopobarba, il bagnoschiuma, il deodorante o soltanto lui… è il suo profumo e potrei riconoscerlo tra mille altri. Mi ritrovo stupidamente a sperare che rimanga anche dopo che lui se ne sarà andato.

“E questo lo chiami disordine? Dovresti venire a vedere casa mia un giorno o l’altro!”

E’ fermo al centro del salotto, lo sguardo che passa in rassegna la cucina oltre il basso muretto divisorio e il bagno e la camera che si aprono sulla sinistra. Sorride di nuovo.

“Posso appropriarmi dei fornelli?”

“Certo, faccia pure.”

Appoggia le borse sul muretto, ripiega il soprabito su una sedia e viene verso di me, che mi sto ancora stringendo nel mio pigiama troppo largo vicino all’ingresso. Mi appoggia le mani sulle spalle e mi guarda beffardo: “Riza, te lo chiedo per favore: riusciresti a darmi del tu almeno per questa sera?”

Arrossisco e abbasso lo sguardo, è così vicino che percepisco il suo calore … le sue mani scendono a prendermi le braccia ma non posso che opporre resistenza, la destra nascosta per bene dietro la schiena.

“Che cosa nascondi lì dietro?” chiede lui, curioso. Fa forza, ed è inutile resistergli. La sua espressione cambia quando vede la pistola che ho ancora stretta in pugno. E’ preoccupato, molto preoccupato.

“Riza! Vuoi dirmi che cosa diavolo sta succedendo?”

“Roy … ti prego …”

Ti prego non chiedermelo.

Ancora una volta capisce, non può che capire. Mi sfila gentilmente l’arma dalla mano e l’appoggia su un ripiano della libreria, poi chiude a chiave la porta di ingresso. Certo, non può sapere che sta chiudendo il pericolo dentro con noi. E io non glielo posso dire.

“Avanti… preparo qualcosa da mangiare, hai preferenze?”

“No, va bene tutto… io do una ripulita intanto.”

Lo guardo ancora qualche istante arrotolarsi le maniche della camicia fischiettando e aprire i sacchetti: “Hai un grembiule?”

Mi riscuoto e lo raggiungo, apro un armadietto e gli porgo un semplice grembiule bianco. Lo infila alla testa e si volta. Impiego un istante a capire cosa vuole, poi gli lego i lacci dietro la schiena in un morbido fiocco, le dita che sfiorano appena la stoffa leggera della sua camicia.

Si volta: “Grazie …”

E’ di nuovo troppo vicino.

Lo lascio alle prese con pentole e padelle e faccio un rapido giro della casa, perlomeno a raccogliere i miei vestiti; apro l’armadio della camera e inizio a riporli ordinatamente.

E’ improvviso, istantaneo, una frazione di secondo. L’ho visto con la coda dell’occhio … ma l’ho visto! L’ombra sotto la finestra si è mossa …

Un fragore dalla cucina mi fa volare di scatto, il cuore che batte a mille. Apro il cassetto della biancheria e frugo freneticamente finché le dita si stringono sulla mia piccola Browning. Corro di là.

“Colonnello! Cosa è successo?”

Rimango allibita: Roy è seduto sul pavimento circondato da cocci di piatti.

“Nessun bisogno di sforacchiare nessuno, Riza.. mi sono solo scivolati i piatti … scusa!”

Sospiro e mi appoggio al muro, chiudo gli occhi e cerco di calmarmi: ho probabilmente perso 20 anni di vita negli ultimi  trenta secondi … insieme al mio unico set di piatti. Sento un fruscio e apro gli occhi, Roy si sta rialzando, con la pila di piatti in mano.

Al mio sguardo stupito mi strizza un occhio: “Ah, gli alchimisti … uomini da sposare!”

Non posso fare a meno di sorridere. E’ strano pensare a Roy come a un semplice alchimista dopo tanti anni in cui è sempre stato il Flame Alchemist. L’ho visto imparare a gestire le sue fiamme e utilizzarle per gli scopi più vari - molti non li ricordo volentieri - vederlo aggiustare degli stupidi piatti mi fa molta tenerezza.

In poco più di dieci minuti la tavola è apparecchiata e la cena pronta, aspetto Roy per sedermi ma lui mi sorride, sventolando una confezione tolta da un cassetto: riconosco le candele che tengo lì per emergenza blackout.

“Ho trovato una candela! Che dici…” ammicca sornione “facciamo un po’ di atmosfera?”

“No!” la voce mi esce stridula e fastidiosamente acuta, lui si blocca con le dita a pochi centimetri dall’interruttore e mi guarda stupito, incerto, ferito forse.

Non è questo che volevo! Non voglio rovinare il clima che si sta venendo a creare, ogni secondo che passa mi accorgo di quanto Roy stia riuscendo finalmente a farmi sentire meno abbandonata, quasi felice.

Gli vado incontro, lui mi guarda con aria indecifrabile e non dice nulla. Quando gli sono ormai vicina mi rendo conto che non so cosa dire, cosa fare… Gli prendo entrambe le mani e lo tiro delicatamente lontano dal muro, gli prendo una candela e la accendo con il fuoco del fornello.

“Facciamo tutta l’atmosfera che vuoi… ma lasciamo la luce accesa.” mormoro. Tento un sorriso.

Lui fa un passo avanti, una mano mi afferra dietro la nuca e mi fa chinare il capo, la candela che splende tra noi, la mia fronte appoggia contro la sua e la punta del suo naso sfiora il mio.

“Va tutto bene, Riza, ci sono qui io ora… va tutto bene.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Liberazione ***


Capitolo 3: Liberazione
 
Sono io a staccarmi, rapidamente gli volto le spalle, cuore e cervello che non mi rispondono più.

“Mangiamo?” chiedo, cercando di sembrare normale.

“Certo, porto in tavola subito, siediti pure.” mi risponde pacato.

Mi siedo e mi verso un bicchiere di vino, ne ho bisogno, non so cosa mi è preso: una gran confusione probabilmente. Era così vicino… quanto saranno state lontane le nostre labbra? 10 centimetri?

Forse meno.

Volevo sentire il sapore di quelle labbra con tanta intensità quanta paura. Sono scappata. Da cosa? Da un sogno, forse. Gli sono accanto da troppi anni, è inutile che mi prenda in giro da sola, so di amarlo, lo so da lungo tempo.

Illudermi che lui possa provare qualcosa per me fa male, fa male quando camminiamo soli per i corridoi del Quartier Generale e fa ancora più male quando mi serve la cena e si siede con me nel salotto di casa mia.

Ci tiene a me, quello lo vedo, lo sento. Credo mi voglia bene e forse infondo nutra anche un qualche istinto protettivo nei miei confronti, ma amore? Stima, fiducia, affetto, amicizia. L’amore è ben diverso.

La cena vola, letteralmente. Ricordiamo i vecchi tempi, da come ci siamo conosciuti e quanto litigavamo da bambini; l’accademia militare; quando abbiamo iniziato a lavorare insieme a Central e poi a East… poi siamo tornati a Central… e tutto è precipitato.

A questo punto cade il silenzio.

“Come stai?” chiede poi lui “Seriamente: come sta andando?”

Ti terrò d’occhio dall’ombra…

“Benissimo! Non hai idea di quanto sia rilassante non doversi sempre preoccupare che il superiore finisca in tempo di compilare la modulistica!” scherzo.

Lui mi tira il pezzetto di pane con cui sta giocando e mette il broncio.

“A parte gli scherzi, non mi lamento. Infondo, guardare le spalle al Comandante Supremo è un incarico di grande responsabilità.”

L’espressione nei suoi occhi cambia alle mie parole, vi ritrovo il familiare scintillio. Questo è l’unico modo che ho di fargli capire che la mia promessa non è venuta meno…

D'ora in poi starai dietro di me, a guardarmi le spalle… e da lì, potrai decidere di eliminarmi se non mi ritenessi più degno della tua fiducia.

Sono altre le spalle che guardo mentre percorro i corridoio del Quartiere Generale ora, non più eleganti e ritte per l’orgoglio ma più larghe e più ampie, muscolose e marziali: sono spalle che mi tolgono la visuale e assorbono la luce, ma il mio compito non è cambiato.

Per un attimo mi prende il terrore che il mio pensiero possa essere stato capito, nuovamente le ombre sembrano stringermisi addosso e un brivido mi corre lungo la spina dorsale. Mi passo una mano sulla schiena e mi muovo a disagio contro lo schienale.

Lo sguardo di Roy, improvvisamente, si fa triste: “Ti fa ancora male?”

Non capisco a cosa si riferisca, alla promessa che gli ho fatto? Non ha mai fatto male!

Deve intuire la mia confusione perché aggiunge: “Intendo dire la tua schiena…”

“Oh, no!” scuoto la testa “E’ solo un po’ ipersensibile… soprattutto al contatto con il caldo e il freddo, ma non mi ha mai dato problemi, non ti preoccupare per quello.”

Non mi pento affatto di ciò che è successo alla mia schiena, né di ciò che vi ha fatto mio padre né di quello che ha fatto Roy.

Mi guarda incerto, si passa una mano sul viso e si schiarisce la voce: “Potrei… potrei darci un’occhiata? Se non ti è di disturbo, ovviamente, se non ti va io non…”

Lo interrompo con un cenno della mano e annuisco, mio padre ha immolato la mia schiena a Roy, lui può farne ciò che vuole… come sempre.

Si avvicina e mi fa alzare, prendendomi per i polsi, mi fa voltare delicatamente e afferra il bordo del mio pigiama. Lo sento prendere un respiro profondo e tirare, piano, un centimetro dopo l’altro libera frammenti della mia pelle tatuata e sfregiata.

Non indosso il reggiseno, avevo tutta l’intenzione di mangiare qualcosina e andarmene a letto… e di certo non aspettavo visite… Mi stringo la maglia addosso sul davanti mentre lui la solleva fino alle spalle.

Per un attimo tutto rimane immobile e silenzioso, poi Roy sospira: “Mi chiedo come io possa averti fatto qualcosa del genere.”

Sto per rispondergli quando uno spasmo alla schiena mi paralizza: qualcosa di freddo ha appena toccato la mia ustione.

“Ipersensibile per davvero…” sussurra la sua voce divertita.

Quel contatto di nuovo, ora che me lo aspetto la contrazione è minore… sono le sue labbra, le sue labbra dischiuse che mi sfiorano la pelle sfregiata, sfregiata dalle sue fiamme, sfregiata dalle sue mani.

Una lacrima scorre solitaria su una guancia.

Se ne accorge lui quasi insieme a me, le sue mani fredde mi prendono i fianchi nudi, la maglia ricade sulle sue dita e sulla mia schiena.

“Perdonami, Riza” mi sussurra in un orecchio “per quello che ti ho fatto allora e per ciò che sto facendo adesso, non avrei dovuto… non sono altro che un egoista che non sa trattenersi…”

Si sta staccando da me, arretra… non voglio perdere questo contatto! Mi volto e mi butto addosso a lui. Mi aggrappo forte alla sua vita e seppellisco il viso nella sua camicia, lui sospira e le sue braccia mi circondano le spalle. Con gesti regolari e tranquilli mi accaezza la schiena e i capelli.

Pian piano inizio a tranquillizzarmi, a percepire il suo corpo forte contro il mio, il suo calore e il suo profumo, e voglio restare così per sempre.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 : Permesso ***



Capitolo 4: Permesso



Porta un braccio ai miei fianchi e mi tira ancora più contro di sé, l’altra mano mi prende la nuca e mi fa alzare il capo, c’è tanta tenerezza nel suo sguardo, ora. Il suo viso si avvicina e ricordo di chiudere gli occhi, il suo naso sfiora il mio e poi sono le nostre labbra ad incontrarsi, poggiano a malapena le une sull’altre, entrambe si aprono in un sorriso.

Alzo le braccia a circondargli il collo e immergo le dita nei suoi corti capelli corvini, la sua presa alla mia vita si fa più sicura e l’ultimo briciolo del suo autocontrollo va in frantumi.

Le sue labbra premono con più insistenza sulle mie e non so bene come la sua lingua sfiora la mia, il mio cuore batte tanto forte che sono sicura andrà in pezzi. E' il mio primo bacio, ma è il bacio dell’uomo che amo e aspetto da tutta la vita, e sono felice di avere aspettato. 

E’ un bacio carico di passione, un bacio che travolge e lascia senza fiato, un bacio frenetico e disperato. Non riesce a staccarsi, anche quando prendiamo respiro la sua bocca esita, vicinissima alla mia, quando parla è come se respirasse dentro di me, qualcosa di intimo e solo nostro.

“Riza…” dice il mio nome, sembra cercare qualcosa da aggiungere ma non gli esce nulla, mi bacia di nuovo, quasi con la stessa foga di prima, ancora una volta mi lascio baciare e sprofondo nelle mille sensazioni che mi scorrono attraverso come un fiume in piena: non pensavo che avrei mai provato qualcosa di simile.

Quando i suoi denti lasciano andare dolcemente il mio labbro inferiore ci stacchiamo di nuovo, ci guardiamo stavolta e non possiamo fare a meno di ridere. Arretro di qualche passo tirandolo per la camicia e lo spingo verso il divano, fa per sedersi e scatta in piedi con un’esclamazione sorpresa. Hayate si stiracchia e apre gli occhi.

“Roy! Ti stavi sedendo sul mio cane!” lui si china a prendere il braccio Black Hayate che scodinzola.

“Bel cane da guardia ti ritrovi! Entra in casa uno sconosciuto e questo botolo va avanti a dormire!”

“Sconosciuto? Si vede che è talmente abituato al tuo odore che non si è allarmato quando sei arrivato, l’ho portato a correre e deve essersi stancato parecchio…”

“Odore? Non credevo di puzzare così tanto!” dice lui facendo l’offeso e rimettendo a terra il cane.

“Scemo!” faccio per tirargli un pugno ma lui è più veloce, afferra il mio braccio e mi ribalta sul divano, un secondo dopo è sdraiato su di me e sorride beffardo sorreggendosi su un gomito.

“Allora… è il caso di farsi perdonare, Miss Hawkeye?”

Sorrido esitante, non so bene cosa fare ma provo: non può essere troppo difficile. Lo tiro verso di me e gli poso un bacio leggero sul labbro superiore, poi uno su quello inferiore, poi… inclino appena il viso e chiudo gli occhi immergendomi completamente nel bacio.

Roy mi asseconda con tenerezza mentre esploro la sua bocca e mi abituo alle nuove emozioni che mi attraversano. Inizia a baciarmi a sua volta. Non pensavo che potesse essere così dolce, l’avevo sempre immaginato irruento e sarcastico con le donne.

Sento le sue mani che si insinuano piano sotto la mia maglia, mi accarezzano la pelle, mi sfiorano appena i seni e mi stringono forte a lui. Non parliamo, non c’è molto da dire, abbiamo parlato tanto negli ultimi anni, quello che ci è sempre mancato è il contatto, i nostri corpi che aderiscono in un incastro perfetto. Non facciamo altro che toccarci, sfiorarci, accarezzarci e baciarci.

Appoggio il capo sul suo petto e mi lascio cullare, non credo di essere mai stata più felice che in questo momento, tra le braccia di Roy Mustang, con il suo respiro leggero sul viso.

Ad un certo punto sospira, districa le gambe dalle mie e si alza dal divano con un movimento elegante. Mi stiracchio e lo guardo mentre scavalca Hayate che pisola sul tappeto e gira attorno al divano. Mi sollevo su un braccio per sbirciare curiosa cosa sta facendo ma lui allunga un braccio verso il suo soprabito e il mio cuore sprofonda.

“Roy! Non te ne andare!”

Lui si volta con un’espressione stupita e scoppia a ridere, toglie qualcosa dalla tasca del soprabito e la infila in quella dei calzoni, poi si avvicina a scompigliarmi i capelli; per un istante mi sento ritornare bambina.

“Non ne avevo nessuna intenzione!” mormora tendendomi le braccia. Mi alzo e lui mi solleva gentilmente oltre la spalliera del divano “Non intendo andare proprio da nessuna parte, Riza.”  

Mi porta in braccio fino alla mia camera e mi posa sul letto, sfila le scarpe e si siede a gambe incrociate davanti a me: “Il Comandante Supremo sa che tu sei il mio tallone d’Achille, anzi, è stato proprio lui a farmelo comprendere. Quando mi ha fatto capire di averti presa in ostaggio per tarparmi le ali ho capito che sarei stato disposto a tutto pur di saperti al sicuro. Lo so io e lo sa lui, non ha più senso che l’unica ad esserne all’oscuro sia tu, Riza. Obbligandoci a starci lontani non otterremo nulla se non privarci del poco conforto che possiamo avere.”

Vado ad accoccolarmi tra le sue braccia: “Non dovresti parlare così, Roy… è pericoloso.” E non sai quanto. “Ti ringrazio per le tue parole e per questa sera, non sono mai stata più felice, ma è meglio per tutti e due che io continui ad essere sola.”

Non so da dove mi esca questa determinazione, probabilmente dal bisogno di saperlo al sicuro, anche se questo significa rinunciare al tepore del suo corpo e spingerlo lontano da me. La sua reazione è inaspettata: sbuffa, quasi divertito.

Toglie un pacchettino dalla tasca dei pantaloni e me lo porge, lo guardo un istante e lui sorride: “Avanti, aprilo!”

Srotolo con cura la carta e un piccolo medaglione d’argento mi cade su un palmo; infilo un’unghia nel meccanismo e lo faccio scattare. Rimango incantata davanti alle foto. Quella nella metà destra è stata scattata nell’ufficio di East City, poco dopo la formazione della Squadra: Roy, Jean, Vato, Heymans, Kain e io… ci siamo proprio tutti, sorridenti e rilassati tra le scrivanie.

La foto di sinistra è ancora più vecchia, è il salone di Villa Hawkeye, casa mia. Un Roy di dieci ani è seduto sul tappeto davanti al camino con una Riza di sei anni sulle ginocchia. Sfioro i nostri visetti con la punta delle dita, lasciandomi andare ai ricordi…

“E’ un po’ datata, mi dispiace, ma ho realizzato che da allora non abbiamo più scattato una foto insieme.”

Non so davvero cosa dire: “Roy … grazie …”

Mi allaccia il medaglione al collo e mi bacia la punta del naso: “Non sei sola, Riza, e non lo sarai, né ora né mai. Non ho nessuna intenzione di permetterlo.”
 

 

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Grazie di aver letto, il finale è volutamente lasciato aperto, sentitevi molto liberi di immaginare come sia continuato il tutto. Spero di essere riuscita a cogliere l'atmosfera e le emozioni di Riza, se avete voglia di lasciare una recensione è più che benvenuta!


Lu
 

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