Albe e Tramonti di Shakta (/viewuser.php?uid=98969)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Guerriero ***
Capitolo 2: *** La Locanda del Gallo e la Città di Altaria ***
Capitolo 3: *** Inizi ***
Capitolo 4: *** l'emarginato e il bardo ***
Capitolo 5: *** Lord Dhoul ***
Capitolo 6: *** una storia di dolore e passione ***
Capitolo 7: *** L'incontro ***
Capitolo 1 *** Il Guerriero ***
il guerriero
Il Guerriero
Gli ultimi riflessi del sole morenete si stavano inseguendo sul metallo della sua armatura.
Il forte vento di quel freddo autunno agitava il suo lungo mantello, inquieto come
il suo animo. Immobile sulla lieve altura, egli stava contemplando lo
straordinario spettacolo di fronte ai suoi occhi scuri: la città
di Altaria, la capitale. Una macchia argentata nello sconfinato verde
della pianura, su cui incombevano remote le vette della catena
montuosa di Kaartak.
Il guerriero iniziò
ad avvicinarsi alla città. Il volto carico di ombre, non notò
i magnifici picchi dorati che svettavano dal centro di Altaria e che
le erano valse, insieme alle sue immacolate e candide mura,
l'appellativo “la Bella”; non colse l'infuocato bagliore che la
illuminò, quasi l'ultimo saluto del Sole, prima di lasciare il
posto alla notte; né colse il contrastante squallore delle
sudicie dimore degli schiavi, ancorate subito fuori dalle possenti
mura alte più di dieci uomini.
Il suo sguardo era
fissato non in quel presente ma nel recente passato, perso nel
ricordo.
“Ehi cane rabbioso!
Levati di torno!”
In silenzio aveva
guardato il soldato che gli stava di fronte, quel suo compagno di
truppa.
“Ci senti o sei un po'
tocco?” aveva rincarato quello canzonandolo e toccandosi la tempia
in direzione degli altri.
“Ho sentito benissimo”,
aveva sibilato rabbiosamente in risposta.
“Il signorino è
nervoso eh? Vediamo se si calma saltando il pranzo.”
Senza altro aggiungere,
Buck si era seduto e aveva iniziato a mangiare la sua razione di
cibo, provocando l'ilarità dei commilitoni. Ma le loro risa si
spensero quando posarono lo sguardo su di lui. I suoi occhi
spalancati sembrarono ingrandirsi e guizzare fuori dal presente,
l'iride nera perdersi nel mare bianco delle pupille. Avvicinò
la mano al piatto per riprenderlo, ma Buck lo intercettò e gli
strinse il braccio.
“Ti ho detto che questo
lo mangio io” e così dicendo lo spinse via. Egli si
ritrasse. Il calore del tocco gli ardeva l'arto come fuoco vivo. Si
avvicinò di nuovo al nemico.
“Ma allora sei davvero
idiota, ti ho detto che..”, ma la sua frase si spezzò quando
il pugno lo colpì in pieno viso. La sua voce tagliò il
profondo silenzio creatosi.
“Non mi toccare mai
più”
Buck si rialzò
rabbioso.
“Fuori!” gli gridò.
“Fuori!”
E così uscirono.
Prima che qualcuno potesse placarli, farli ragionare, le loro spade
s'infransero l'una sull'altra con clangore e stridii di metallo
assetato di sangue. Combattevano entrambi per uccidere. Troppo tardi
arrivò Piotr, il comandante dello squadrone, per fermarli. Ciò
che riuscì a vedere fu un enorme spadone infrangere la lama
avversaria e poi calare celere a recidere una testa. Buck non era
più. Grida e insulti accompagnarono la corsa degli altri
soldati sul luogo dello scontro. Il sangue del morto aveva quasi
coperto il suo vincitore, che lo leccò via dalle labbra.
“Assassino! Bastardo!”
lo apostrofarono. Rimase là immobile, senza che nessuno osasse
però avvicinarglisi. Lo fece Piotr, che con voce tonante
riportò la calma e comandò a tutti di lasciarli là,
soli.
“Perchè lo hai
fatto?” gli chiese.
“Ha importanza
saperlo?” sussurrò quasi a se stesso. “Sono pronto a
morire per ripagare”
Il comnandate rimase ad
osservarlo per lunghi minuti, mentre nubi cariche di pioggia
oscuravano i suoi pensieri.
“Vattene” disse poi.
“Non intendo ucciderti, ma i tuoi giorni qui sono finiti”
Annuendo mentre ripuliva
lo spadone, il guerriero iniziò ad incamminarsi.
“Non prendi le tue
cose?” Piotr si sorprese a chiedergli.
“Non ho niente che mi
appartenga”
Gli occhi dell'esperto
comandante indugiarono sul cadavere del misero Buck. Si chinò
a sfilargli dalla cintura un piccolo sacchetto di pelle, che tintinnò
al suo tocco.
“Ehi”, chiamò
e quando l'altro si girò gli lanciò con precisione in
mano il sacchetto. “Queste ti appartengono”
Un fugace sorriso distese
per un attimo il volto del guerriero, che però subito si voltò
e riprese il suo cammino.
Piotr lo guardò
andarsene. Poi tornò all'accampamento.
“Qual'è il tuo
nome forestiero?”
Sentì una voce che
lo interrogava. Era la guardia all'ingresso della città.
“Sarevok” rispose in
un sussurro.
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Capitolo 2 *** La Locanda del Gallo e la Città di Altaria ***
La Locanda del Gallo e la Città di Altaria
La Locanda del Gallo e la Città di Altaria
Gli ultimi
avventori stavano ormai arrendendosi a salutare anche quella notte.
Come al solito la Locanda del Gallo era stata presa d'assalto per
tutta la sera, per la gioia del suo anziano proprietario, Burrich, e
delle sue due sorelle, Berth e Greth, le cui prelibate pietanze erano
una delle principali attrazioni del locale, insieme alla sua
atmosfera familiare e calda, unica in tempi tanto duri. Burrich dava
asilo a tutti, senza fare troppe domande, perchè era a sua
volta stato disperato e sapeva fin troppo bene a cosa la disperazione
potesse portare.
“Nick!”
chiamò a gran voce. “Nick! Ma dove diavolo ti sei cacciato?”
“Eccomi
padre” gli rispose allegro uscendo dalle cucine un biondo ragazzo
dal viso d'angelo che incorniciava un sorriso da furfante.
“Cosa eri
a fare?” gli chiese in tono di rimprovero.
“Beh, le
zie mi stavano dando un po' di patate...” tergiversò
innocentemente.
“Ma tu
guarda! Dai presto vieni qua e sbrigati a darmi una mano a sistemare
la sala che sono stanco e voglio andarmene a letto.” brontolò.
Subito il ragazzo lo aiutò e in poco tempo finirono il lavoro.
“Padre
posso uscire adesso?” domandò poi.
“Sì
però fai attenzione. Non andare in zone con il coprifuoco e
non andare nella zona dei Perlan e non andare fuori dalle mura e
non...”
“A questo
punto quasi quasi rimango in casa!” lo derise.
“Oh beh,
vai un po' dove vuoi allora. Però fai attenzione mi
raccomando!” si premurò Burrich.
“Tranquillo
tranquillo” rispose mentre stava già uscendo. “A domani!”
L'oste
rimase a guardare la porta chiusa, sospirando la propria
preoccupazione.
La città
di Altaria la Bella rendeva davvero onore al suo soprannome, datole
da alcuni mercanti originari del Grande Impero del Sole. O meglio lo
faceva di giorno, con il candore del marmo della Piazza dei Re, dove
sorgevano i palazzi più importanti ed il tempio di Boran, o
con la frenetica attività della Via dei Mercanti, dove
venivano scambiate merci provenienti da tutto il continente in
un'atmosfera dai caledoiscopici colori e odori. Ma di notte la
situazione cambiava completamente. Nelle parti più ricche era
imposto il coprifuoco e vigili pattugliavano le guardie cittadine nel
farlo rispettare. Nelle restanti zone, quelle sorte spontaneamente
per il sovrappopolamento, regnavano invece il caos e la delinquenza
più totali. Ogni tipo di merce era in vendita, dal corpo umano
alle droghe, e pullulavano numerose piccole gilde di ladri e
tagliagole, lasciate vivere dalle autorità per interesse o
disinteresse, poiché spesso erano molti gli interessi che
avevano in esse i pubblici ufficiali e quando non ne avevano, voleva
dire che erano talmente insignificanti da poter chiudere un occhio.
Solo ogni tanto veniva fatta qualche retata in risposta ad agitazioni
popolari o se veniva derubata la persona sbagliata.
Nick, mentre
la fresca aria notturna gli sferzava il viso, aveva sul volto il
sorriso soddisfatto di chi ha pochi pensieri e tanti sogni. Stava
andando da Ewan, il suo maestro, come a lui piaceva chiamarlo. Una
persona che stimava profondamente e a cui era estremamente legato. Si
avvicinò alla sua porta e bussò tre volte.
“Vieni
pure Ewan” lo esortò una voce profonda.
“Eccomi
qua!” esclamò entrando con un gran sorriso.
“Mi sembra
di averti già detto che non serve a niente bussare tre volte.
Non c'è nessun codice da rispettare.” lo rimproverò
l'altro.
“Beh, mi
pareva più divertente” si scusò rabbuiandosi.
“Tranquillo,
non è un problema. Però è importante che tu
comprenda l'importanza dei codici e la necessità di non usarli
mai in maniera inappropriata” concluse in tono conciliante. Il
ragazzo annuì.
“Come sta
tuo padre?” chiese poi.
“Bene!
Cosa mai può scalfirlo?” esclamò Nick scimmiottando
il padre al lavoro. Il volto sfregiato di Ewan si aprì in un
sorriso.
“Sarà
meglio che se vuoi diventare il ladro più ineffabile della
storia, come tu desideri” gli disse, “ci concentriamo sulla tua
capacità di fare il buffone.”
“Un'arma
segreta eh?”
“No. Un
difetto” sentenziò divertito. “E ora iniziamo. È
già tardi.”
“Ehm,
Ewan?”
“No Nick.”
lo prevenne. “Neanche oggi ti dirò come mi sono sfregiato il
volto.”
“Tanto
prima o poi lo scoprirò!” disse sicuro. “Sarò o non
sarò il ladro migliore della storia?”
“Vedremo”
gli rispose in modo improvvisamente assente. E l'altro seppe che la
conversazione era finita.
Quando due
ore dopo uscì dalla casa del suo Maestro, Nick era esausto per
gli allenamenti. Si ripromise di provare i nuovi trucchi appresi quel
pomeriggio stesso. Ma per ora aveva solo un disperato bisogno di
dormire. Così rientro alla Locanda e, mentre il Sole si stava
arrampicando sui primi raggi, lui si addormentò sognando
tesori e invincibili mostri.
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Capitolo 3 *** Inizi ***
inizi
Inizi
Dormì
accovacciato in uno stretto vicolo. Gli odori acri della città
dell'uomo infastidivano il suo fine olfatto abituato
all'incontaminato respiro della natura. Fu un sollievo quando sorse
il sole e poté ricominciare le ricerche. Attraversò le
vie di Altaria, senza curarsi della povertà e della
disperazione che lo circondavano. Fisso il suo pensiero era al suo
unico scopo: la vendetta. Nessun'altra emozione albergava in lui da
molto tempo ormai. E ora che era cresciuto in età ma
soprattutto in potenza, era finalmente vicino ad ottenere ciò
che voleva. Rimaneva però da scovare dove si nascondesse quel
bastardo. Per questo era arrivato nella Capitale e per questo ora
stava entrando in una piccola locanda la cui insegna era un gallo di
rame.
“Buongiorno”
si sentì salutare non appena varcò la soglia. Subito
gli aromi di spezie e carni essiccate punzecchiarono il suo naso. Si
avvicinò al bancone da dietro al quale gli sorrideva un
rubicondo uomo su cui i segni dell'età avevano lasciato più
gioia che non dolore.
“Sto
cercando un uomo” disse freddamente.
“Beh
ragazzo” rispose bonario, “capisco che noi osti abbiamo fama di
essere ottimi a dare informazioni, ma ci possiamo rimanere male se
almeno non ci è permesso di servire un po' di tè
dell'Ellicav!”
Sarevok non
rise alla battuta. Non accennò neanche ad un leggero sorriso.
Tutte le convenzioni della vita sociale erano repellenti per lui.
“Se per
ottenere ciò che voglio devo bere del tè” ribatté,
“allora versamene una tazza. E poi dimmi dove posso trovare un
tizio che si fa chiamare Lord Dhoul” concluse sottolineando con
disprezzo il titolo nobiliare.
Burrich lo
guardò per alcuni istanti, quei pochi che gli servirono per
capire la situazione. Poi versò la bevanda e gliela porse.
“È
un fatto di dominio pubblico” iniziò, “che la persona che
cerchi risieda fuori città, nel suo maniero. Ma se posso
permettermi...”
“In che
direzione?” lo interruppe brusco.
“Ovest.
Però credo che non sia saggio andare a fargli visita così
senza preavviso. Non ha fama di gradire le sorprese” rispose mentre
già l'altro si era alzato e si stava allontanando senza aver
bevuto. “Ehi straniero!” lo richiamò. L'alto guerriero si
voltò e l'oste notò un riflesso metallico luccicare
dietro la sua schiena.
“Non ne ho
toccato neanche un goccio” disse indicando la tazza. “Non avrei
comunque avuto i soldi per pagare” aggiunse assente e, senza
aspettare la risposta, uscì, lasciando Burrich a contemplare
la porta a bocca semiaperta.
“Ehilà
papà!” fu riscosso da una voce allegra. Nick, spettinato e
ancora assonnato, stava scendendo le scale che portavano alle camere
del primo piano, dove tutta la loro famiglia abitava.
“Ciao
figliolo. Dormito bene?”
“Sì
anche se davvero poco. Ah, dell'ottimo tè!” esclamò
raggiante. “Posso berlo? Era per me?”
“No, cioè
sì. Bevilo pure.” E mentre Nick sorseggiava la calda bevanda
chiese: “Dove sei stato ieri notte poi?”
“Oh sai,
di qua e di là” tergiversò. “I soliti giri con Irv”
“Ah, mi
piace quel ragazzo. Ha un bellissima voce e gran senso del ritmo.
Peccato solo per quella zoppia, altrimenti sarebbe potuto diventare
un vero professionista. Comunque potresti chiedergli di venire a
cantare qui qualche volta.”
“Perché
no papà. Perché no” rispose Nick pensando a
tutt'altro. Quel giorno Ewan gli aveva chiesto di andare da lui in
tarda mattinata, preannunciandogli che aveva un compito da
affidargli. E chiaramente questa notizia aveva scatenato un oceano di
congetture e possibilità, lasciandolo, come spesso gli
succedeva, tremante per la troppa immaginazione, col primo risultato
che aveva dormito davvero poco.
“Allora
stasera non ci sarai?” gli chiese Burrich ridestandolo
dall'ennesimo viaggio mentale intrapreso.
“No,
purtroppo no. Mi dispiace molto” aggiunse contrito. E il suo
dispiacere era autentico, perché sin da quando era piccolo
aveva aiutato nel lavoro di taverniere quell'uomo che lo aveva
allevato e cresciuto come un figlio proprio, sebbene così non
fosse. Infatti Nick era stato abbandonato davanti alla porta della
Locanda del Gallo quando era ancora in fasce e Burrich, insieme alle
sue due sorelle, si era assunto la responsabilità di crescere
quel bambino, senza mai nascondergli il fatto che non era sangue del
suo sangue, ma volendogli bene incondizionatamente e ricevendo in
cambio momenti di gioia assoluta e l'aiuto pratico che, via via che
cresceva, Nick riusciva a dare. Ma quella sera Burrich avrebbe dovuto
cavarsela da solo. Per Nick era troppo importante il primo compito
ufficiale che Ewan gli voleva affidare. Talmente importante che aveva
deciso di non arivare in ritardo, come era solito fare. Così,
finita la colazione, salutò il padre e uscì dalla
taverna, schivando le insistenti domande delle zie, perennemente
preouccupate per la sua salute sebbene fosse sano come un pesce.
“Benvenuto
giovane allievo” lo salutò Ewan.
“Buongiorno
maestro” esclamò gioviale. “È insolito trovarsi di
mattina. Siamo più abituati a muoverci avvolti dalle fitte
tenebre della notte.”
“Bisogna
sempre farsi trovare pronti. E mai abbassare la guardia. La prima
regola per la sopravvivenza di ogni ladro è?” chiese
retoricamente.
“Essere
veloci a dileguarsi!” rispose nascondendosi dietro alla porta.
“Bene vedo
che studi. Ora siediti. Devo comunicarti il tuo primo incarico.”
La gioia che
si dipinse sul volto dai fini lineamenti di Nick fu talmente intensa
che Ewan si affrettò ad aggiungere
“Non è
niente di straordinario comunque”
“Invece
sì!” lo corresse l'altro. “Il primo incarico è
quello che si ricorda tutta la vita! E poi è finalmente
l'occasione di mettere in pratica seriamente quello che mi hai
insegnato”
Di fronte a
tanto entusiasmo per un attimo un'ombra attraversò gli occhi
scuri di Ewan. Rimase in silenzio alcuni secondi.
“Tu
conosci Lord Dhoul?” disse poi.
“Non
personalmente, solo di nome. Perché?” domandò
trepidante.
“Perché
sarà lui il tuo primo bersaglio. O meglio, il suo maniero.”
precisò di fronte all'incredulità del giovane. “Voglio
che tu vada là e faccia un rapporto preciso su tutto quello
che riguarda la difesa di quel posto. Dalla frequenza del cambio
della guardia ai nomi dei domestici, dalla struttura esterna della
costruzione ai suoi possibili passaggi segreti.”
“Devo
analizzare il luogo da derubare praticamente” cercò di
riassumere Nick meditabondo.
“Esatto.
Voglio che tu stia là un po' di giorni e scopra tutto quello
che c'è da sapere su quel luogo: punti di forza e di
debolezza. E poi, una volta tornato con queste informazioni,
prepareremo un piano di assalto.”
“Fantastico!”
proruppe.
“Non si
può continuare a derubare i ricchi signori per strada. È
il momento di fare un piccolo salto di qualità, non credi?”
lo punzecchiò.
“Certamente!
Parto subito!”
“Mi
raccomando però di fare la massima attenzione a non esporti
troppo.” si raccomandò. “Tuo padre non mi perdonerebbe mai
se dovesse succederti qualcosa” aggiunse mentre Nick stava già
preparandosi ad uscire.
“Beh lui
non lo saprebbe mai!” ribattè.
“Ragazzo
mio, Burrich sa sempre tutto”
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Capitolo 4 *** l'emarginato e il bardo ***
l'emarginato e il bardo capitolo 4
L'emarginato
e il bardo
Faccio
ancora fatica ad abituarmi all'idea di dover lasciare tutto questo.
Le immacolate case, gli ampi viali, le cinque altissime torri dei
Sovrani, la Culla del Sole e soprattutto il Grande Tempio del Sole.
Quanti minuti, ore, giorni ho passato là dentro a cercar
risposte e domande. Quanto ho sudato nella sua pigra umidità,
mentre fuori i miei simili soffrivano e morivano per un'ideologia. O
meglio l'ideologia.
Chiunque
non sia cresciuto qui ad Ankhalar non può capire di cosa
parli.
Perché
per chiunque non sia cresciuto qui è ben chiaro cosa siano la
vita e la morte, quale sia la differenza che le separa.
Ma
non per noi.
Dominati
dalla follia di potenza, ne abbiamo completamente smarrito il limite.
Sempre ammesso che essa ne abbia.
Non
parlo di uccisioni, torture o sevizie. È la libertà a
cui mi riferisco. La libertà di essere ciò che si
vuole. Eremiti o governanti, assassini o poeti. Ogni possibile scelta
ci è sottratta sin dal nostro primo vagito, quando, ancora
incapaci di capire, abbiamo già segnato la nostra fine per il
solo essere venuti al mondo.
Siamo
malvagi? Sì è vero. Terribili? Vero anche questo.
Crudeli? Oltre ogni immaginazione. Protagonisti delle più
terribili storie da taverna, finiremo ad annientare il mondo intero
se ne avremo la possibilità. O ad annientare noi stessi.
Perché il nostro più grande nemico siamo noi.
O
meglio, Lui.
Il
nostro grande Dio, ai cui dettami dedichiamo ogni singolo respiro.
Il
nostro onnipotente Dio, capace di metterci gli uni contro gli altri,
dimenticando qualsiasi legame, di sangue, affetto ed odio.
Il
nostro malvagio, terribile e crudele Dio, Karevor. Vale a dire noi
stessi, i Noubin.
Ciò
che Egli è, noi siamo. Ciò che noi non siamo, Egli è.
La
sua legge non lascia spazio all'arbitrio. Dalla nascita siamo
marchiati come appartenenti a Lui. Con tutto quello che ne consegue.
Non
sono ammessi alla vita neonati con malformazioni, seppur lievi.
Vengono gettati a morire ai margini della città.
Tra
quelli considerati idonei, coloro che, raggiunti i 7 anni, non abbiano ancora mostrato capacità magiche, vengono
calati nel loro destino: schiavi, puttane, martiri, vittime
sacrificali.
I
pochi fortunati dotati iniziano il cammino della Magia e del servizio
di Karevor: schiavisti, Chierici, carnefici, assassini.
Bestie
o domatori, qual'è la reale differenza?
Ognuno
seguirà la propria via, senza averla potuta scegliere.
Come
un minuscolo insetto, si dimenerà nella ragnatela, muovendo un
piccolo momento ma rimanendo sospeso nell'eterno.
Poi
ci sono io.
Sincarel.
Senza
secondo nome di appartenenza, poiché non sono altro che un
misero bastardo. Un cadavere che cammina, come spesso mi hanno
definito. Zoppo sin dalla nascita per una gamba più corta, il
mio destino sarebbe dovuto essere quello degli altri Rifiutati.
Morire nella polvere. Invece io scelsi di vivere. Inconsapevolmente
certo. Ma lo feci. E ciò mi rende più potente di
qualsiasi Grande Stregone o Alto Chierico.
E
non solo per la mia scelta. Ma perché fui anche la scelta di
un'altra persona, mia madre Felahana, che accortasi di quel neonato
che non voleva morire, mi prese con sé raccogliendomi da terra
e mi crebbe sinché poté tenerlo nascosto.
È
a lei che ora, dopo 18 anni sto pensando, mentre mi accingo ad
abbandonare la mia città e la mia patria. Alla sua scelta,
consapevole.
Il
gelido e forte vento mi costringe a voltarmi ancora una volta. Dalla
collina su cui sono riesco a vedere svettare le cinque splendenti
Torri. Il sole le abbraccia proteggendole dalle troppe nuvole. Ora è
immutabile nella sua pienezza, ma chissà un giorno. Chissà
se quelle nuvole non potranno addensarsi e impedirgli di vedere.
Chissà cosa succederebbe.
Mi
stringo di più nel mantello e mi volto.
Il
mio viaggio sarà lungo.
Ripiegò
il foglio che aveva già letto centinaia di volte e lo nascose
tra le pieghe della camicia. Anche per quella sera avrebbe attinto
alla storia di Sincarel il Noubin, il grande Stregone ribelle dal
cuore di fuoco e l'animo di ghiaccio. Era una storia che aveva creato
anni addietro e che gli era cara soprattutto per l'affinità
istintiva verso il protagonista, che, come lui, era marchiato dal
flagello della zoppia. E la storia era ancora più affascinante
poiché probabilmente era vera, o almeno questo aveva dedotto
dalla sottile ed elegante grafia con cui erano tracciate le parole.
Gli piaceva credere che quei fogli fossero davvero stati strappati
dal diario di Sincarel, realmente esistito in chissà quale
luogo o tempo, e, attraversando secoli o forse solo alcuni anni, per
pura casualità fossero finiti proprio nelle sue mani. Tra le
dita di un giovane bardo zoppo, che aveva subito eletto il
carismatico Stregone a suo eroe e aveva costruito su di lui trame e
storie degne dei migliori poemi.
La
taverna dove si doveva esibire quella sera era gremita di gente della
peggior specie: ladri, tagliagole, protettori con le loro prostitute,
persino alcuni Perlan, gli esotici padroni della maggior parte del
traffico di droghe. Non era esattamente il miglior pubblico che gli
fosse capitato, senza considerare che Nick ovviamente non era venuto
a vederlo, deludendo lui, ma ancor di più sua sorella Claire
che ne era segretamente, ma neanche troppo visto che lo avrebbe
capito anche un cieco, innamorata.
“Allora
io inizio eh?” le disse cercando di nascondere il nervosismo.
“Nick
non c'è” rispose lei, senza nascondere la delusione. Lui la
guardò dispiaciuto: non era una brutta ragazza, ma i suoi modi
maschili, uniti a qualche scorpacciata di troppo, a un abbigliamento
povero ed incolore e a degli ingestibili capelli riccioli, non ne
facevano certo una bellezza o una ragazza per cui qualcuno si poteva
voltare. Non certo poi Nick, che con la sua bellezza ed il suo
fascino, aveva schiere di ammiratrici, qualcuna anche dell'alta
società.
“Magari
arriverà a spettacolo iniziato” mentì per
rincuorarla. “Sai quanto gli piacciano le entrate a effetto”.
Claire
gli diede un affettuoso bacio sulla guancia.
“Buona
fortuna fratellino” gli augurò.
“Speriamo
vada bene” sospirò.
Alcuni
minuti dopo i due fratelli stavano fuggendo a perdifiato per le vie
di Altaria, inseguiti dagli insulti provenienti da quelli che si
erano rivelati spettatori troppo esigenti. Irv arrancava per star
dietro alla sorella.
“Dannata
gamba!” si maledisse fermandosi. Claire lo raggiunse tornando
indietro di alcuni passi.
“Beh”,
disse ansante, “non credo che si prenderanno la briga di
inseguirci.”
“In
effetti no” rispose, ancora dispiaciuto per come erano andate le cose. “Ma dove ho sbagliato?”
“Non
pensarci. Andiamo piuttosto alla Locanda del Gallo a bere qualcosa?”
propose lei senza riuscire a trattenere un trasognato sorriso. Il
giovane bardo annuì sorridendo a sua volta.
“D'accordo.
Ma non facciamo tardi però! Altrimenti papà chi lo sente
poi.”
E
si incamminarono lentamente mentre nubi nere velavano una pallida
luna.
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Capitolo 5 *** Lord Dhoul ***
Lord Dholu
Lord Dhoul
Nick era
ormai giunto al terzo giorno di appostamento e tutto il suo
entusiasmo per quell'incarico era totalmente svanito. Dopo aver salutato
Ewan, si era subito procurato un cavallo e, avvertito Burrich che
sarebbe rimasto fuori alcune notti, era partito al galoppo alla volta
del maniero di Dhoul, arrivando proprio mentre il sole stava calando.
Si era trovato un posto dove dormire e già dall'alba aveva
iniziato a perlustrare la zona, ovviamente prestando la massima
attenzione a non essere visto: aveva seguito le guardie, tra cui
spiccavano due componenti del corpo speciale dei Corvi, truppa
d'assalto dell'esercito reale, e aveva stilato una piantina
dell'edificio, analizzandone punti deboli e ipotizzando vari modi per
entrarvi. Soprattutto però aveva patito tantissimo freddo. La
stagione stava volgendo verso l'inverno e lui non era certo abituato
a dormire per terra, senza neanche un fuoco per riscaldarsi. Per
tutte queste ragioni perciò gli sembrava fosse giunto il
momento di ritirarsi e tornare a casa. Ma proprio mentre stava
raccogliendo le proprie cose, vide una sagoma apparire all'orizzonte.
Era ancora molto lontano e così decise di usare un
marchingenio d'invenzione esotica, probabilmente Perlan, che
permetteva di avvicinare le immagini all'occhio. Sfilò il
cannocchiale dalla borsa e puntò verso la direzione
desiderata. Subito apparve chiaro alla sua vista un uomo, abbigliato
con nere vesti, che stava avanzando verso il maniero. Non riusciva
però a scorgere se l'individuo fosse da solo o in compagnia,
né chi potesse essere. Così cercò un punto di
osservazione migliore, senza accorgersi però che ciò lo
portava ad esporsi troppo.
“Stai
aspettando qualcuno?” trasalì sentendo una voce alle sue
spalle.
“Ehm no
io...”
“Non
crederari che non avessimo notato la tua goffa presenza” intervenne
un altro. Erano entrambi soldati, ma non le semplici guardie di
Dhoul. Sui loro giachi di maglia era disegnato un corvo in procinto
di afferrare una ipotetica preda. In questo caso lui stesso.
“No io
passavo di qua ed essendo un amante della natura mi sono fermato a
contemplare questo meraviglioso spettacolo...” provò a
mentire ma senza risultato. La sua mente era completamente
paralizzata.
“Risparmia
la lingua per le orecchie di Lord Dhoul” consigliò divertito
uno dei due.
“Anche se
si dice che non sia proprio tenero con i bugiardi. E ancora meno con
i ladruncoli.” disse l'altro e sguainando la spada “Ora seguici
di tua volontà, se non vuoi essere costretto da noi”
Nick non
aveva scelta. Così si consegnò ai due soldati che lo
portarono sino dentro al palazzo, dove venne preso in consegna da
altre guardie.
“Buona
fortuna” lo salutarono ironici.
“Molto
simpatici” bofonchiò tra sé, mentre gli venivano
messe delle manette ai polsi.
Aveva
camminato per tre giorni interi per arrivare a destinazione, dormendo
avvolto nel suo mantello sulla nuda terra. E non aveva provato
neanche un briciolo di fatica mentre avanzava così, lento e
inesorabile. Certo, avrebbe potuto rubare un cavallo e andare più
veloce, ma aveva preferito gustare ogni passo che lo avvicinava alla
sua vendetta, alla prima delle sue vendette, rivivendo tutti i
soprusi e le violenze che era stato costretto a subire da quello
schifoso di Dhoul: botte, frustate, stupri e quant'altro la mente
malata di quel bastardo aveva potuto partorire. Ricordava vivide le
bruciature sulle piante dei piedi o i tagli tra le dita delle mani.
Ricordava quanti bambini meno robusti di lui erano morti per colpa di
quell'uomo. Ricordava il giorno in cui era riuscito a scappare ed era
poi sopravvissuto per settimane mangiando vermi ed escrementi, ma
provando sollievo per l'agognata libertà. E ora lo aveva
ritrovato ed era finalmente lì, a pochi istanti dal compimento
del proprio destino. Nemmeno si accorse delle due guardie che gli si
erano avvicinate.
“Ehi tu!”
lo chiamò una delle due. “Fermati immediamente!”
Ma lui
continuò ad avanzare.
“Ti ho
detto di fermarti!” comandò ancora il soldato.
Sarevok
rallentò giusto il tempo per aprire l'ampio mantello nero ed
estrarre la piccola balestra. Immediamente fece partire il dardo che
si conficcò nella gola della guardia che stramazzò al
suolo.
“Brutto
bastardo!” urlò l'altro, brandendo la spada e caricandolo.
Subito estrasse lo spadone che teneva dietro la schiena. Non era egli
abituato alle schermaglie solite nei combattimenti. La sua lama era
guidata dal suo furore e non dalla sua mente, e sebbene avesse una
buona tecnica, essa era totalemente subordinata all'impeto con cui
attaccava. Fu per questi motivi che il giovane soldato lo ferì
a un braccio; ma fu per gli stessi motivi che, dopo averlo fatto,
stramazzò al suolo, trafitto da parte a parte dalla pesante
arma di Sarevok, il quale neanche si femrò ad accertarsi della
morte dell'avversario e subito proseguì verso l'entrata del
maniero, gocciolando sangue dalla ferita.
Lord Dhoul
non era come ci si poteva aspettare fosse un nobile feudatario.
Grasso e stempiato, non aveva nulla del prode cavaliere e anzi c'era
da chiedersi come avrebbe potuto un cavallo trasportarlo in
battaglia. Inoltre i suoi piccoli occhi erano pregni di una malsana
cattiveria, una crudeltà pronta a scatenarsi su chi lo
circondava. Nel corso degli anni aveva prosperato nella corruzione e
nella violenza: aveva ottenuto i suoi migliori guadagni con
l'illegale traffico di schiavi e di bambini, per la maggior parte
Interrotti. Erano essi delle sfortunate creature che terminavano il
loro processo di crescita in un'età oscillante tra i quattro
ed i sette anni e vivevano così il resto della vita. Ignote
erano le cause di perché ciò avvenisse, sebbene la
credenza popolare le volesse legate a oscuri poteri e perciò
vedesse queste nascite come sinonimi di sventura. Così era più
facile per individui come Dhoul rapire gli Interrotti, poiché
rari erano i casi in cui qualcuno venisse a reclamarli. Essi venivano
poi usati come cavie per esperimenti di alchimia, come schiavi o,
come nel caso del crudele nobile, per dar sfogo al proprio sadismo,
per cui egli aveva ricavato una stanza intera piena di oggetti di
tortura. E Nick ora era là, legato mani e piedi su un grosso
tavolo di legno, in completa balia di quell'uomo.
“Allora
bel visino” sentì il suo alito caldo e nauseabondo sul
volto, “cosa volevi fare nel mio maniero?”
“Niente lo
giuro!” rispose spaventato. “Non sapevo neanche che ci fosse il
suo maniero in zona”
“Ah ah ah.
Bugia.” lo rimproverò stridulo. “Sei un bugiardo e sai
cosa succede ai bugiardi?”
“No vi
prego lo giuro! Io non volevo niente!”
“Risposta
sbagliata” sussurrò eccitato e iniziò a girare una
ruota collegata a delle catene a loro volta fissate alle manette che
tenevano fermo Nick. Il giovane ladro sentì il corpo tendersi
oltre il possibile e urlò di dolore.
“Allora
chi ti manda?” chiese alzando la voce sopra le sue grida. “Quei
debosciati dei Theris che vogliono salvare qualche misero
Interrotto?”
“No vi
prego. Vi prego” supplicava gemendo. “Non so di cosa stiate
parlando”
“Forse un
po' di olio bollente ti farà tornare la memoria!” disse
sadico. “Portatemelo presto!”
Il terrore
di Nick crebbe ancora di più.
“Dunque
non sai chi sono gli Interrotti?” domandò il nobile.
“Sì
sì certo che lo so” rispose, sperando di calmarlo. “Sono i
bambini che non crescono. Che rimangono per tutta la vita così.
Segno di sventura”
“Ah vedi
che qualcosa sai? Allora confessa che eri qui per rubarmi i miei
Interrotti!” esclamò improvvisamente girando ancora la
ruota, provocandogli terribile dolore. “Confessa e forse ti lascerò
andare”
Per un
attimo Nick stava per rispondere di sì. Tutto per non dover
più subire quella tortura. Ma le sue parole furono precedute
da altre parole, pronunciate da una voce talmente carica di rabbia da
far tremare persino le pareti del sotterraneo.
“Dhoul!”
chiamava con foga. “Dhoul!”
Il nobile
smise di girare la ruota e rimase in ascolto, brandendo un'ascia
bipenne. Ancora e ancora lo chiamò la voce, talmente profonda
e roca da non sembrare quella di un umano.
“Chi ti
sei portato dietro?” chiese nervosamente a Nick, che però
ebbe solo la forza di scuotere la testa.
Pochi attimi
dopo apparve sulla soglia della stanza un'alta e nera figura.
Brandiva un pesante spadone dalla lama insanguinata e sanguinava egli
stesso da numerose ferite. Le pupille erano quasi completamente
rovesciate e la bocca schiumava di bianca bava.
“Dhoul”
ripetè in un misto di rabbia e sollievo.
Il grasso
uomo rimase interdetto a fissarlo, quasi cercando di capire.
“Tu chi
sei?” chiese arretrando.
“Sono
Sarevok, non ricordi?”
Il
feudatario riflettè per istanti interminabili.
“Ah
ragazzo” esclamò infine mellifluo, “Quanto tempo! Vieni
che ti offro qualcosa”
“L'unica
cosa per cui sono venuto è il tuo sangue” sentenziò
prima di lanciarglisi addosso come una furia. Nick osservò
disgustato, ma in qualche maniera anche affascinato, la scena dello
straniero che uccideva Lord Dhoul a mani nude, strappandogli la carne
a morsi, senza fermarsi neanche quando il corpo che aveva tra le mani
era palesemente privo di vita. Quando infine si rialzò
ansimante, si asciugò la bocca con un panno e si avvicinò
lentamente all'uscita.
“Ehi!”
lo chiamò Nick. Aveva paura di quel tizio, ma non poteva
rimanere lì. Sarevok si girò e fu come se lo vedesse
per la prima volta.
“Che
vuoi?” domandò asciutto.
“Potresti
liberarmi? So di non essere proprio la classica principessa delle
fiabe però...” si bloccò allo sguardo truce che gli
riservò il guerriero, maledicendosi per quella battuta idiota.
“Sai, gestisco una taverna in città e potrei ospitarti lì
per qualche giorno” aggiunse cercando disperatamente di riparare.
Era una follia, ma era la sua unica via di salvezza. Sarevok rimase a
pensarci a lungo.
“Ti serve
un posto dove nasconderti dopo quello che hai combinato. Specialmente
se hai fatto fuori anche i due Corvi all'entrata” aggiunse poi.
A sentire
quelle parole l'alto uomo si illuminò.
“Corvi hai
detto?”
“Sì
facevano parte del gruppo di soldati scelti capitanati da Scott
Flameny” spiegò. Senza che dovette aggiungere altro, il
guerriero gli si avvicinò e lo liberò.
“Portami
nella tua taverna allora” gli disse.
“Non ti
potrò mai ringraziare abbastanza” rispose Nick dolorante ma
felice.
“Sono io
che ringrazio te” ribatté Sarevok, la mente persa in oscuri
ricordi.
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Capitolo 6 *** una storia di dolore e passione ***
una storia di dolore e passione capitolo 6
Una
storia di dolore e passione
Allontanarsi.
Lasciarsi dietro il proprio passato aprendosi al nuovo. Impossibile.
O almeno per me. Per quanto lontano possa portarmi il mio sentiero,
mai scorderò da dove sono partito.
Stavo
attraversando il Grande Deserto, lentamente. Non avevo fretta alcuna
di raggiungere la mia meta, sempre ammesso che ne avessi una.
“Va
ad Ovest e trova una donna di nome Aileen. Lei sa dove si trova uno
di essi”
Questa
era la mia semplice e laconica missione. Chiesi allora come l'avrei
trovata. E la risposta fu molto semplice.
“Avvicinati
Rifiutato” mi venne comandato. A brevi passi, per nascondere il mio
incedere zoppicante, mi feci più vicino. E, mentre ancora
stavo avanzando, un potere invisibile sembrò interrompermi. Lo
percepivo latente nell'aria, mi penetrava nel corpo come i fumi
dell'acre incenso che bruciava nella stanza. Feci fatica a non
crollare al suolo, sfinito e affondato dal semplice irradiarsi di
quella forza magica. Vedendomi vacillare, egli alzò il suo
scettro sogghignando. Fui attraversato da un dolore mai provato,
sentii il corpo straziato, strangolato, strappato. Punte acuminate
sembravano infilzarsi nella mia carne ogni secondo, mentre le mie
ossa venivano schiacciate da una mostruosa e invisibile mano e la mia
mente dilaniata da orribili immagini di tortura. Non so per quanto
andò avanti, pochi istanti o giorni interi. E anche quando
scomparve, rimasi agonizzante a terra in una pozza di sangue,
incapace persino di alzarmi. Dall'alto mi arrivò nuovamente la
sua tagliente voce.
“Porterai
il dolore con te. Solo quando l'avrai trovata, scomparirà”
Così
da quel momento innanzi ogni passo era accompagnato da questo
invisibile flagello, sino a quando io non avessi trovato questa donna
umana. O la morte trovato me. Eventualità neanche troppo
improbabile visto il viaggio intrapreso. Ci sono talmente tanti
pericoli nel Grande Deserto, che era quasi inutile preoccuparsene. E
poi in fondo il pericolo maggiore siamo noi Noubin. Cosa sarebbe
potuto succedermi di peggio che incontrare dei miei simili?
Raggiunsi
incespicando la sommità di una sabbiosa duna. Lo spettacolo
che si offrì ai miei occhi fu tale da mozzarmi il fiato ancor
più della fatica. Un rosso mare sterminato si estendeva senza
fine davanti a me, ondeggiando continuamente con una grazia divina.
Lievi nubi dorate si levavano dalla sua superficie rincorrendosi
senza mai trovarsi, o scontrandosi fondendosi le une alle altre in
un'effimera colonna destinata immediatamente a svanire. Rimasi per
qualche minuto fermo ad osservare quello spettacolo in religiosa
contemplazione. Stavo intraprendendo un pericolosissimo viaggio, che
probabilmente mi avevano affidato solo per disfarsi di me. Chissà
cosa avrei dovuto affrontare nel mondo degli umani, vivendo in
incognito, nell'ombra. Qualunque evento mi fosse accaduto però,
quella sabbia avrebbe continuato il suo eterno gioco, incurante di
me, dei Noubin, del ciondolo, degli umani. Sarebbe stata là
alla fine di tutto. Se mai ci fosse stata una fine.
Avevo
indugiato anche troppo. Dovevo continuare. M rimisi in marcia senza
paura di cadere e rialzarmi sotto il Sole cocente, che mai concede
tregua e anzi costantemente incalza. Sempre era sopra di me e mi
pareva di sentire il suo peso schiacciare il mio incerto incedere.
Per molti giorni sarebbe stato così, poiché nella
interminabile distesa che avevo di fronte, non c'era riparo dalla sua
inclemenza. Era come se lo stesso Karevor, di cui si dice il Sole sia
una manifestazione, avesse deciso di annientare il mio essere
prosciugando il mio corpo. Io così poco abituato ai suoi
raggi. Io, cresciuto nell'umida e gelida tenebra.
Solo
la notte mi era amica. Arrivava cingendo il mio debole corpo
nell'ombra, lo accarezzava lievemente suscitandone il sonno. Allora
sapevo che era arrivato il momento di fermarsi. Mi bastava sedermi e
avvolgermi nel mio candido mantello. E lasciare vagare la mente nel
sonno del ricordo.
“Torna
qui! Bryn! Dai ti prego! Resta ancora un po'!”
Il
piccolo folletto girava i vispi occhi verso di me e svolazzando mi si
avvicinava.
“Sincarel”,
mi ammoniva in tono serio, “tu non devi e non dovrai mai pregare
nessuno, chiaro?”
Io
rimanevo zitto, incapace anche solo di pronunciare parole di scusa.
Allora Bryn mi sorrideva e quel semplice gesto un calore, quale mai
ho nel mio futuro conosciuto uguale, riempiva le mie membra. Sempre
sorridendo apriva la sua minuscola mano e una fiamma guizzava dal suo
palmo a illuminare l'oscurità della cella.
“Prendila
Sincarel” mi sussurrava divertito.
E
io incominciavo a corrergli dietro, senza riposo. Ma la fiamma era
troppo agile per me che avanzavo zoppicando e spesso inciampavo
cadendo steso a terra.
“Ah
povero piccolo Sincarel” mi canzonava. “Se non riesci smettiamo”
“No!”
gridavo di risposta. Ferito nel mio orgoglio di bimbo, continuavo a
seguire con lo sguardo l'impertinente fiammella. Poi la mia mano si
levava nella sua direzione.
“Akth
imn ka” dicevo, accarezzando quelle parole, quei suoni a me
sconosciuti con voce melodiosa ma imperiosa.
E
la fiammella si immobilizzava a quel comando e lentamente poi
iniziava a venire verso di me, sino a raggiungere la mia mano.
“Guarda
Bryn! Guarda!” esclamavo colmo di gioia.
Sorridendomi
amabile, il piccolo folletto mi arruffava i capelli.
“Ho
visto piccolo Noubin. Meriti un premio!”
“Quale?
Quale?”
Dei
dolcetti comparivano di fronte a me che li afferravo felice.
“Ora
però devo andare davvero, Sincarel”
“No
rimani”
“Mi
dispiace bimbo mio” e si allontavana verso le sbarre.
“Non
mi lasciare solo, ti prego”
Sorridendo
amabile mi guardava con i vivaci occhi verde smeraldo.
“Non
ti ho appena detto che non devi mai pregare nessuno?” ma la sua
voce era gentile e mi avvolgeva come gentili mani materne.
“Su,
sii forte! Come un eroe!”
Vedendo
la mia poco convinta espressione aggiungeva, “Tieni la fiamma con
te. Ti farà compagnia stanotte”
“Ho
paura della notte” riuscivo a sussurrare.
“Sii
forte” mi mormorava mentre svaniva. Io correvo disperato contro le
sbarre.
“Non
lasciarmi! Non andartene! Non lasciarmi! Non...”
Aprii
gli occhi. Mi parve di vedere per un attimo guizzare il contorno
sinuoso di una flebile fiamma. Persistenza dei sogni. Ancora era così
forte la sua sensazione che dovetti aspettare alcuni minuti prima di
riabituarmi alla realtà. Chiusi ancora gli occhi, ma l'alba
stava ormai per sorgere. Era tempo di rimettersi in cammino.
Finì
di leggere quello che aveva catalogato come il secondo capitolo del
diario di Sincarel. Aveva acquistato quel tomo di pelle antica,
spendendo tutti i propri risparmi, principalmente per la bellezza
dell'oggetto stesso: lo aveva affascinato immediatamente appena lo
aveva scorto tra le altre cianfrusaglie del banchetto al mercato,
come fosse una perla rilucente in mezzo al fango. La sua idea era di
rimuovere le pagine già presenti e di inserirne di nuove, di
inserire in quel tomo così pregiato le sue storie, di Irv il
bardo. Invece era rimasto soggiogato dalle parole contenute in quelle
pagine consunte, trascinato in quella storia incredibile di maghi e
guerrieri, di odio e amore. I vari capitoli però non erano
ordinati correttamente e qualcuno mancava addirittura. Così
lui si era messo pazientemente a riordinarli e a cercare di colmare
le falle della narrazione.
Si
avvicinò al letto dove sua sorella stava dormendo
profondamente. Le sorrise anche se lei non poteva vederlo. Si era
addormentata scossa dalla notizia della morte di Molly, un anziana
signora loro vicina di casa a cui spesso loro padre affidava dei
lavori domestici, da quando loro madre se n'era andata per una
malattia, dieci anni prima. Si erano entrambi affezionati a Molly, i
cui modi gentili e dolci avevano fatto breccia nei loro cuori, e i
cui saggi consigli li avevano accompagnati negli anni successivi. Ma
ora lei se n'era andata ed in una maniera orribile. Assassinata in
casa propria. Irv non aveva voluto sapere altro di quella storia,
poiché già troppa sofferenza gli causava, ma gli erano
giunte delle voci secondo cui il corpo di Molly era stato smembrato e
mutilato. Rabbrividì stringendosi nella veste e decise di
tenersi occupato rimettendosi al lavoro, tanto non avrebbe dormito
comunque.
La
notte sarebbe davvero stata lunga.
Spazio
autore:
dunque,
ringrazio moltissimo chi mi legge e si prende il tempo di scrivere
recensioni e in particolare:
-
Valerie_Laichettes,
Nick e Sarevok ne combineranno delle belle insieme, anche perché
sono due tipi abbastanza egoisti. Spero di riuscire a far emergere
lo strano rapporto che li legherà...vedremo!
-
Alaire94,
Sarevok ha ancora alcuni sassolini da togliersi dalle scarpe e non
sarà sempre così semplice! Per quanto riguarda il
cambio di rating si è trattato di un errore che ho fatto
smanecchiando qua e là: ho risistemato l'arancione comunque!
Per gli errori...beh, un po' pago la mia costante distrazione e un
po' il fatto di scrivere quasi sempre di notte con la vista
costantemente incrociata! Tu quando ne trovi segnala, così
che poi posso correggere!
|
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Capitolo 7 *** L'incontro ***
L'incontro capitolo 7
L'incontro
Sarevok e
Nick stavano per giungere alla città di Altaria. Il loro
viaggio di ritorno dal maniero di Lord Dhoul era stato per Nick
estremamente faticoso e decisamente troppo silenzioso. Lui era un
chiacchierone nato, curioso ai limiti dell'invadenza e soprattutto
abituato a essere il centro dell'attenzione, il miele così
gustoso che non se ne poteva fare a meno, né avere mai
abbastanza. Si era perciò aspettato di intavolare molte
conversazioni con quel guerriero dallo sguardo truce e assente che lo
aveva salvato da orribili torture e aveva già pronte
tantissime storie da raccontargli durante i tre giorni del tragitto.
E invece niente di tutto questo era accaduto: alle domande che
poneva, spesso non gli giungeva alcuna risposta e inoltre, quando
cercava di parlare di sé, si accorgeva di stare parlando da
solo, poiché l'altro era sempre due passi avanti a lui e
concedeva misere e laconiche risposte. Perciò rimase stupito
quando, oltrepassate le alte e bianche mura della città,
Sarevok interruppe il suo silenzio.
“Cosa sai
di questi Corvi?” chiese a bruciapelo.
“Un po' di
cose” temporeggiò, volendogli restituire l'asciuttezza. Il
guerriero si girò verso di lui e lo fissò. Un tremito
attraversò le sue membra.
“Dimmi
quello che sai” gli ripeté.
“Va bene,
ma prima raggiungiamo la taverna di mio padre. È meglio
parlarne davanti ad un piatto di carne, no? E sentirai le polpette di
zia Berth! Che bontà, ho già l'acquolina in bocca!
Sapessi come riesce a...” ma poi si interruppe, accortosi che il
compagno non lo stava più a sentire.
Burrich era
ormai al culmine della preoccupazione. Il suo ragazzo mancava da casa
da più di una settimana, non aveva idea di dove potesse essere
e il misero biglietto lasciatogli recava semplicemente scritto:
“Padre vado al villaggio di Wiston per qualche giorno”. Inoltre
non sapevano niente neanche Irv e Claire, i due amici più cari
di Nick, arrivati in taverna da poco, e che anzi erano in ansia quasi
quanto lui. Per far star tranquille le due zie, si era
inventato una commissione per cui aveva dovuto mandare l'amato nipote
in una cittadina vicina. Si diede dello stupido perché avrebbe
dovuto insistere maggiormente nel farsi dare spiegazioni, avendo
intuito che stesse tramando qualcosa, senza
trattenersi, come faceva di solito, per non fare la figura del genitore apprensivo, quale
purtroppo era. Fu quindi enorme il suo sollievo quando, in quella
fredda sera, vide Nick entrare nella Locanda del Gallo, stanco e
provato, ma fortunatamente vivo e vegeto. Con lui era un altro
giovane uomo più alto e prestante, che riconobbe essere colui
che, pochi giorni prima, gli aveva chiesto di Lord Dhoul.
“Figlio
mio!” corse ad abbracciarlo.
“Padre!”
lo salutò raggiante e un po' imbarazzato.
“Ma dove
ti sei cacciato?”
“È
una storia lunga – ammiccò sedendosi ad un tavolo – ora
perché non offri qualcosa da bere e mangiare a me e al mio
amico? Siamo molto stanchi ed affamati!”
“Sì
certo! Berth! - chiamò a gran voce – è tornato Nick!
Prepara le tue polpette!”
Il ragazzo
sorrise al compare guerriero che si era intanto seduto e che non lo
ricambiò minimamente. Stava per rimproverarlo quando una voce
femminile lo prevenne chiamandolo incerta
“Nick
ciao”
Si voltò
e vide il paffuto corpo di Claire avvicinarglisi.
“Claire! -
si alzò per abbracciarla facendola arrossire completamente –
come stai? Cosa fai da queste parti?”
“Ero
preoccupata per te e ho pensato di venire a chiedere informazioni a
Burrich” spiegò lei fissando un punto del pavimento
diventato improvvisamente di estremo interesse.
“Ma non ti
devi preoccupare per me! Sai che niente può nuocermi, sono
invincibile!”
“Sì
beh, comunque, stai bene vero?” gli chiese notando due piccole
ferite sul collo.
“Benissimo!
Ma dov'è tuo fratello? Il bardo più veloce del Reame?”
Irv arrancò
sino al tavolo zoppicando leggermente.
“La
finirai una buona volta di prendermi in giro?”
“Forse –
rispose zoppicando a sua volta verso l'amico – quando tu la finirai
di zoppicare!”
“Non sei
divertente. In che guaio ti sei cacciato?” domandò poi
sottovoce.
“Poi ti
racconto – replicò sullo stesso tono per poi salire su una
sedia e proclamare a gran voce attirando l'attenzione della folla –
Signori, un attimo di attenzione! Ho l'onore di presentarvi un
guerriero potentissimo e invincibile che ha viaggiato con me per
alcuni giorni e che mi ha salvato la vita. Ecco a voi Sarevok!”
Gli
avventori si produssero in un caloroso applauso, ma Sarevok sembrò
infastidito da tutta quell'attenzione e si limitò a scuotere
una mano in gesto di saluto, mentre con l'altra afferrò Nick
per la camicia, facendolo scendere.
“Cosa ti
salta in testa bamboccio?” sibilò tra i denti senza mollare
la presa.
“Volevo
solo presentarti alla gente” si scusò.
“Non mi
interessa essere conosciuto e soprattutto non mi interessa la gente.
Parlami dei Corvi. Questo mi interessa” concluse lasciandolo.
“Va bene,
va bene. Ti farò raccontare da Burrich, che ne sa sicuramente
di più. Eccolo sta arrivando.”
Il gioioso
oste si stava infatti avvicinando con le prelibate pietanze.
“Sarà
meglio che tu vada a salutare le tue zie - ammonì il figlio –
O altrimenti le senti poi.”
“D'accordo.
Dopo mangiato vado”
“Io ho
bisogno di avere delle informazioni” intervenne asciutto Sarevok.
“Sì
ragazzo - rispose l'oste – anch'io ho bisogno di avere delle
informazioni però.”
“Capisco.
Parla allora – disse e, mentre anche Irv e Claire si sedevano al
tavolo, aggiunse squadrandoli - non ho segreti per nessuno.”
“Chi sei?”
domandò.
“Mi chiamo
Sarevok e vengo da Est, dalle montagne del Kaartak. Mi sono
guadagnato da vivere facendo il mercenario. Non sono altro.”
“E cosa
volevi da Lord Dhoul?” incalzò.
“Ucciderlo. Ed è quello che ho fatto”
Calò
un silenzio carico di parole. Nick si guardò intorno allibito
e preoccupato, ma nessuno degli avventori degli altri tavoli sembrava
stesse facendo caso alla loro conversazione. Incrociò poi lo
sguardo di suo padre e chinò il capo colpevolmente.
“Sarà
meglio proseguire quando saremo da soli” sentenziò
meccanicamente Burrich.
E così
avvenne. Attesero che anche l'ultimo cliente fosse uscito e poi Nick
raccontò tutto, omettendo però di rivelare la missione
affidatagli da Ewan e asserendo di essere semplicemente passato di
lì. Mostrò poi le ferite subite al padre e a Irv e
Claire, cui aveva chiesto di fermarsi, tale era la fiducia che
riponeva in loro. Sarevok rimase in silenzio ad ascoltare senza
mostrare alcuna emozione, neppure quando l'altro descrisse la brutale
fine di Dhoul.
“Vi ha
visto qualcuno?” chiese Burrich, la voce tremante per la
preoccupazione.
“Sì,
ma nessuno è sopravvissuto. C'erano persino due soldati dei
Corvi” rispose il giovane.
“E questo
è quello che mi interessa” intervenne Sarevok,
improvvisamente fremente per l'impazienza.
“Cosa vuoi
sapere?” chiese l'oste.
“Chi sono,
chi li comanda e soprattutto dove li posso trovare”
“Non credo
ti convenga trovarli” intervenne timidamente Irv.
“Perché?”
gli domandò sempre più inquieto.
“Hanno
fama di essere guerrieri eccellenti, i migliori scelti tra le fila
dell'esercito reale. Ci sono molte storie su di loro e sul loro
Capitano, Sir Scott Flameny.”
“Storie?”
quasi sputando su quella parola.
“Sì
– continuò il giovane bardo – storie di eroiche gesta e di
battaglie vinte, di villaggi liberati e nemici del Regno sconfitti.
Storie di valore militare, epiche addirittura!” concluse
accalorandosi.
Sarevok
strinse il bicchiere nella mano con tanta forza da farlo rompere. I
vetri gli si conficcarono nella pelle facendolo sanguinare. Burrich
si alzò istintivamente percependo il pericolo provenire da
quel ragazzo, così simile a una bestia inferocita pronta ad
attaccare.
“Eroiche
gesta - sibilò a denti stretti – Sono dei bastardi senza
onore! Ecco cosa sono!”
“Tu cosa
ne sai?” chiese Nick.
“Molto più
di voi evidentemente” replicò l'altro alzandosi.
“Non ti
conviene uscire a quest'ora. C'è il coprifuoco” gli disse
Burrich mentre stava aprendo la porta della taverna.
“Eviterò
di fare incontri spiacevoli allora” rispose uscendo.
“Quel
ragazzo è pericoloso - sentenziò Claire – Mi dà
i brividi!”
“È
come una bestia spaventata - rifletté Burrich - “È
vero che ti ha salvato la vita?” domandò poi al figlio,
che
annuì, sebbene sapesse che Sarevok molto
probabilmente non lo avrebbe aiutato in alcun modo, se non fosse stato
interessato, per qualche motivo ancora ignoto, ai Corvi. Eppure sentiva
che era nato un legame con quel taciturno ragazzo, senza avere
però
un'idea precisa di quale base esso potesse avere. Ma non era stato
proprio il suo maestro Ewan a insegnargli che era nei rapporti umani
che un ladro poteva davvero fare la differenza?
“Tornerà.
Diamogli tempo - affermò il bonario oste quasi intercettando i
pensieri dei tre giovani – Intanto per stanotte voi vi fermerete
qui. È troppo tardi e pericoloso uscire adesso” concluse
rivolto a Irv e Claire. I due fratelli furono estremamente contenti
per l'invito e, una volta salutato il loro ospite, tempestarono di
domande il povero Nick, che alla fine cedette e raccontò tutta
la storia, missione di Ewan compresa.
Sarevok
passò la notte lungo il fiume, contemplandone il lento
scorrere in uno spossante dormiveglia. Nella sua mente le immagini di
quel giorno lontano si affollavano caotiche e pulsanti come lava dal vulcano. Il sonno tentava di coglierlo mentre ancora
riusciva a sentire vivide le grida di sua madre invocare pietà,
una pietà mai giunta. Si alzò di scatto e si incamminò
nervoso verso la città. Non era quella la luna che poteva
donargli la pace del riposo.
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