What goes on?

di chaplin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Good morning, good morning! ***
Capitolo 2: *** La zuppetta zuppettina! ***
Capitolo 3: *** "Signori Shears... parto per la Germania." ***
Capitolo 4: *** Quella citta' che avrebbe dovuto cambiarmi la vita. ***
Capitolo 5: *** But it's gonna be alright, dai! ***
Capitolo 6: *** La bionda, la rossa e Layla. ***
Capitolo 7: *** Solo una persona mi chiamava Maggie. ***
Capitolo 8: *** Possiamo cenare assieme, un giorno? ***
Capitolo 9: *** A Taste of Honey. ***
Capitolo 10: *** L'appuntamento di Ringo. ***
Capitolo 11: *** Il ritorno di Layla. ***
Capitolo 12: *** George / Life in Manchester. ***
Capitolo 13: *** Edward Julian Barton. ***



Capitolo 1
*** Good morning, good morning! ***


:D

 

 

Ah, ovvio che mi mancano i bei tempi.”
Rise. “A me no. Eppure mi mancano quei momenti in cui mi aspettavi davanti alla scuola...”
“... allora ti mancano, ragazza mia.” replicai, mantenendo il livello giusto di malizia. Lei mi fulmino' con gli occhi, forzatamente ironica. Sorrisi al suo tentativo di spingermi via, come si fa tra amici.
“Stai zitto.” disse, fissando il vuoto. “Tu e gli altri siete stati dei grandi coglioni ad andare via.”
“Lo so.” risposi, malinconico. “E tu mi manchi. Come mi mancano i vecchi tempi.”
“Ma non potranno tornare.” aggiunse, senza nessuna emozione nella voce.
Chiusi gli occhi. “Hai ragione.” E spensi la luce.

 

Mi svegliai urlando.
Infilai la testa sotto il cuscino per non fare troppo rumore, cercando di attutire l'urlo contro il materasso. Un guanciale atterro' sulla mia schiena, scoperta dalla cannottiera, e borbottai un fiacco “Ahi.”, piu' di ammonizione che di dolore.
Io, John e Ringo dormivamo sullo stesso letto. La sera precedente, George aveva vinto la gara di chi svuotava per primo una soda, quindi era stato premiato con il letto singolo. Quello matrimoniale ce l'eravamo beccati noi; ed era tutta colpa di John, che voleva fare il figo. E, sempre per colpa sua, mi ritrovavo in quel letto, con il nostro batterista che russava come un trapano e un cuscino appoggiato sul fondoschiena.
“Stai zitto.” sentii provenire dal lato opposto del letto. John. Parla lui.
Sbuffai. “Dormi e non rompermi gli attributi dalla prima mattina, grazie.”
Dalle sue labbra usci' una risata cupa e sottile che mi fece rabbrividire. La stanza era buia, l'unica luce che illuminava in parte i pochi mobili proveniva dalla finestra, posta sul muro destro della camera, coperta da due strati di tende bianche. Aggrottai la fronte, strinsi i pugni e mi strofinai le palpebre. Quella luce avrebbe dovuto essere piu' chiara, eppure io la vedevo sfocata.
Il profilo di George, dal letto singolo su cui sonnecchiava, era quasi invisibile.
Scossi la testa, mi strofinai gli occhi per una seconda volta. Fu allora che avvertii un forte malore alla testa, dalle tempie alla nuca. Deglutii per mandare giu' la saliva. Aveva un sapore orribile, sapeva di vomito e ruggine.
Ricordai quando, da piccolo, mi ero preso l'influenza. Avevo paura di morire, continuavo a guardarmi attorno, nella mia stanzetta, e tremavo come un coniglio. Sotto la lingua, tenevo un termometro. La linea rossa si allungava sempre di piu' e, con quella, aumentava la mia ansia. Sudavo per la paura, per il caldo soffocante e la febbre. Mi veniva da piangere.
In quel momento mi sentivo cosi': avevo paura di morire, stavo male e avevo
troppo caldo, nonostante la cannottiera e i boxer. Sentii il fiato accorciarsi, il battito cardiaco che aumentava il passo, i rumori attorno a me che parevano troppo alti. Non riuscivo piu' a sopportare tutto quel frastuono; il respiro lento e regolare di John, che aveva ripreso a dormire come un agnellino, rimbombava nella mia testa, che sentivo sul punto di scoppiare.
Ricordai a quel punto la figura di mia mamma, che arrivava in tempo davanti alla porta della mia camera, e, dinnanzi al letto, mi sussurrava nelle orecchie: “Non devi avere paura. E' solo una piccola influenza.”
Un bacio della buona notte accompagnava la sua frase, “Guarirai presto, vedrai.”
Il pensiero mi fece sorridere, facendomi dimenticare per un secondo il dolore che infilzava – come il veleno – la mia testa. Lo stomaco sottosopra, le farfalle che ci facevano il nido dentro e l'aspro sapore metallico.
“J-John...” mi ritrovai presto a mugugnare. “... chiama qualcuno.”
Non rispose, finche' smise di russare e vidi – seppur con molti sforzi – il suo braccio, con il medio alzato.
“Fanculo.” borbotto' da sotto le coperte. “Dormi e non fiatare. Ringo sta dormendo.”
“Ben detto,” si aggiunse George, senza nemmeno essere interpellato, dal suo comodo letto singolo. “Ringo sta dormendo!”
“Un ari-fanculo pure a te, Harrison!” bofonchio' John, con la voce leggermente piu' alta di prima. “Non commenti, perche' tu ti tieni il
cesso, le pizze e il letto singolo! Lo sai quant'e` bello dormire con Ringo?!” e crollo'.
George si mise a singhiozzare nel buio. Ecco, ricominciava a fare le scene. Mi lasciai scappare una risatina.
“Cazzo ridi, tu, che ora ti sei pure messo a fare il gatto morto per conquistarti le ragazzine? Anzi, lo stai facendo solo perche' non vuoi suonare!” grugni' John, riemergendo dalle coperte. “Invece tu suoni, oh si' se suoni!!”
“Ma.. ma..” iniziai. Non riuscivo a credere di poter avere una voce cosi' flebile, non mi era mai capitato di parlare cosi' a
John. Feci una smorfia di disgusto, mi stavo rendendo ridicolo davanti a lui. “Lennon... ho la nausea, ho il mal di testa, ho la febbre e faccio schifo.” dissi, lasciandomi scappare un passivo e sarcastico: “Aiuto, aiuto, sto morendo dissanguato, accorrete.”
Anche se era buio, non ero cosi' stupido da non capire che John stava ridendo alle mie spalle. Anzi, avevo pure l'udito in stile Superman, riuscivo a sentire di tutto e di piu' – persino George che si grattava il sedere.
“Vatti a sciacquare la faccia.” consiglio' John, prima di cadere definitivamente nella classica dormita dei 'dieci minuti prima'. Forse aveva ragione, mi stavo solo facendo delle paranoie e avevo bisogno di bere un po' e rinfrescarmi il viso. Era da decenni che John non mi diceva una cosa utile, stavo quasi per commuovermi, ma non avevo il tempo per fare ulteriormente lo scemo del villaggio.
Barcollai un po' prima di alzarmi in piedi, senza le calze, con i capelli che dovevano essere un orrore.
Mi appoggiai al muro per non cadere, ritrovandomi cosi' appiccicato alla porta del bagno, con il respiro pesante, imprecando. Continuando cosi', non sarei mai riuscito ad entrare in quel fottutissimo bagno – manco era mio.
L'interruttore, dovevo cercare l'interruttore. Eppure non c'era.
La luce che filtrava dalle tende era troppo sottile, non riuscivo a vedere nulla di cio' che mi aspettava oltre la porta del cesso. Per un attimo, l'illusione che l'interruttore potesse trovarsi all'interno mi prese, quindi mi lasciai cadere all'interno di quella stanza che a me rimaneva del tutto ignota. Con molta probabilita', atterrai con la faccia sul lavandino, dritto sopra il sapone per le mani. Bleah.
Sbattei la testa contro il pavimento, scivolando sulle piastrelle, e provai una terribile sensazione fin sotto il cranio. Tossii forte, per scacciare quel
qualcosa che mi stava torturando da quasi dieci minuti.
Aita! Ci sta morendo Paul!” urlo' una vocetta, nel tentativo di imitare una ragazzina.
Non appena sentii le dita di John poggiarsi sulle mie spalle, per aiutarmi ad alzarmi, persi la cognizione del tempo.

 

 

 

See Emily Play
Che dire? Questo e' il tanto atteso (seeeee, sogna.) secondo episodio della serie del Beatles-Again. Stavolta, pero', e' ambientata inizialmente tra il '60 e il '62. Capirete poi perche' “inizialmente”. A dire la verita', la prima fic e' quasi completamente indipendente dalla nuova storia che sto per proporre. Forse l'unico personaggio che vedrete ricomparire, seppur per poco e in un modo simile a come Aziz Ansari ha parlato sulla parte di Robert Pattinson su New Moon (Per citarlo: “[...] e poi ritorna verso la fine, come per dire 'Ciao, vi ricordate di me?'” L'ho stimato troppo per questo.), sara' Carly. Questa storia sara' completamente in POV Paul e... un altro personaggio. Chi lo sa, a parte Carly, potrebbe ricomparire qualcun altro.
Cedo, cedo. Ricompariranno dei personaggi della prima fic, con i stessi nomi, lo stesso aspetto e lo stesso carattere... Ma non dico chi. E, come tanto tempo fa' ho detto su Messenger (ma sono stata praticamente ignorata. XD), Paul rimarra' a bocca asciutta. Cioe', avra' lo stesso delle avventure (Jane a parte.), ma... ok, sto per svelare tutto.
Che dire? Sono emozionata perche' pubblico proprio nel giorno del compleanno di Paul, quindi ne approffitto per fargli gli auguri. *_____* HAPPY BIRTHDAY, PAULIE!!! <3 Dopo questo, devo solo dire che mi farebbe piacere ricevere qualche recensione, anche negativa, perche' faccio letteralmente schifo a scrivere in prima persona. Ho sempre paura di non riuscire comunque a trasmettere le emozioni degli altri personaggi, oltre al personaggio della voce narrante – infatti non ci riesco mai. Ho bisogno che mi si dica che faccio schifo.
Allora spero di ricevere qualche insulto e.. vi lascio.

 

*parte il Te Deum di Neurovisione*
LALALALALALALAAAALALAAAAA... (8)

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Capitolo 2
*** La zuppetta zuppettina! ***


 

Paul, sei sveglio?”
Stavo per rispondere, quando un'imprecisata quantita' di acqua si fiondo' sulla mia faccia. Sulla mia faccia! Avevo tutte le ragioni sulla terra per essere arrabbiato, e loro lo sapevano. John piego' le labbra sottili in un ghigno, mentre George ridacchiava con Ringo, sputacchiando involontariamente un po' dell'acqua che stava sorseggiando.
Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Ma mi basto' il “Bella dormita, Macca?” di John per capire.
La domanda provoco' altre risatine. Tossicchiai, soffiandomi il naso sulle dita, maledicendo il mondo e la geniale idea di buttarmi addosso dell'acqua gelida. Dovevano essere stati due litri d'acqua, quelli! Tastai il cuscino con il palmo della mano e, successivamente, le coperte. Ero completamente fradicio. Iniziai a sentire freddo. La situazione era orribilmente ironica, vista la situazione in cui mi trovavo in precedenza.
Ma avevo comunque le giuste cause per fare una scenata da Prima Donna. Ed era quello che avevo in mente di fare.
“... SEI IMPAZZITO?!” urlai contro John, con i capelli che gocciolavano, sfruttando tutta la voce che avevo nei polmoni.
Siete.” mi corresse – corresse! – George, con tono pacato, e bevve l'ennesimo sorso dal bicchiere.
Ringo mi rivolse un sorriso apparentemente innocente, che mi parve piu' che altro imbarazzato. Forse lui non c'entrava, ma John c'era sicuramente dentro. Anzi, lui era il cervello dell'operazione “Facciamo arrabbiare Paulie, cosi' possiamo prenderci gioco di lui!”. Trattenni un urlo disperato – era l'unica soluzione che mi era rimasta – e avvicinai la mano alla fronte. La mia ultima speranza, che si rivelo' crollata: scottavo. Deglutii.
Divenni tutto rosso prima di esclamare: “Aaaah! Ma.. voi siete impazziti, siete pazzi, siete degli stolti, ecco! Ho l'influenza, la febbre, sto per morire, e.. voi, voi che mi fare?! Gettate un secchio d'acqua sulla mia faccia, ecco cosa fate! Siete dei grandissimi amici, grazie!” e mi accomodai di nuovo sul letto matrimoniale, tirando le coperte fin sopra la mia faccia. Le coperte erano umide e gelide. Tremavo.
“Paul! Avanti, si scherza, non vorrai offenderti per questa scemenza?” fece allora John, con una sonora smorfia.
In tutta risposta, rimasi dentro le coperte bagnate, continuando a tremare e a battere i denti. Con la temperatura che si alzava e le coperte il viso coperto di sudore e acqua fredda, la mia situazione iniziava a peggiorare, sebbene le coperte fredde avessero un buon effetto sulla mia febbre, ma dovevo stringere i denti per proteggere la mia dignita'. La mia inutile dignita', flebile e effimera, che si nascondeva sotto il mio nome. In fondo, sono o non sono il bellissimo James Paul McCartney?
“Paul.. esci, oppure ti prenderai il raffreddore.”
Oh, George. “Asciugati e vai sul mio letto.”
“Che cavaliere, Harrison!” strillacchio' John, imitando la voce di una vecchietta.
“E' molto gentile da parte tua, George, grazie, ma... No.” mugugnai, girandomi dall'altra parte.
Proteggi la tua dignita' e il tuo nome, mi dicevo.
“Paul..” si intromise allora Ringo, con tono.. macabro. “... e' rimasto del
succo d'ananas nel cesso.”
Un secondo dopo, ero sul letto di George, con un termometro in bocca.
Stupido, stupidissimo di un Paulie!!
“Su, Paolino! Ora sei sul letto di Georgino – George storse la bocca al sentire quel nomignolo – e Ringhino sta portando una buona zuppetta zuppettina calda caldina, cosi' la febbrina ti passa e puoi suonare con noi, e...”
“Giovannino? Lo sai che tutti questi diminutivi mi stanno facendo vomitare?!”
John rimase con gli occhi sbarrati, mentre con una mano teneva un po' di succo in scatola, con l'altra, invece, uno sciroppo per la tosse. Fece l'offeso e, tirando fuori il labbrino, si volto' dall'altra parte. “Ma.. ma.. ma.. Paolin
a! Non sei affatto gentile con me! Dillo che stai con un altro, mi tradisci! Non e' vero? Eeeh?!” strillacchio' con una vocetta da finocchio. Una delle solite vocette. Sbuffai, ignorando l'Elvis-cattivo dentro di me che mi sussurrava nell'orecchio di tirargli il collo nello stile di Paperon de Paperoni di Carl Barks.
“John.. Ti consiglio di allontanarti da questo letto, perche' Elvis Presley mi sta ordinando di...”
“Hey hey!” urlo' George, appostandosi subito davanti al mio letto. “Susu, fate la pace! Non voglio risse, l'altro giorno ci ho rimesso il naso per separarvi!” fece un sospiro. “Ah, il mio povero bellissimo naso...”
“Frena!” esclamai, con voce convinta. “Il mio naso e' piu' bello!”
“Scherzate?” si intromise allora John. “Il naso piu' bello... e' quello di Ringo!!”
E proprio in quel momento, Ringo entro' dalla porta della camera. Oh, fantastico, con lui c'era anche la zuppetta zuppettina. Mi lasciai cadere all'indietro, sul cuscino – ergonomico – di George.
“Ehi? Ehm, ecco.. ho portato la zuppa.” disse lui, con un sorrisino intimidito.
“Oh, grazie.” disse George, fiondandosi subito sul nostro batterista, per prendergli il piatto dalle mani. In pochi minuti, la zuppa era ridotta quasi a meta'. Io, John e Ringo eravamo rimasti a bocca aperta.
John non riusci' nemmeno a trovare la forza per dire: “G-George? La z-zuppa era p-per.. Paul.”
Tra una masticata e l'altra, George fece uno dei suoi sorrisi sghembi. “Oh davvero?
Munch, chiedo perdono!” un'altra cucchiaiata. “E' che aveva un buon odore e.. Mmm, e' davvero buono! Lo vuoi assaggiare, Paul??” e tese verso di me un'enorme cucchiaiata zeppa di.. poltiglia bianca. Bleah.
“N-no. Fai pure.” mormorai. Mi sentivo come Alice: stavo diventando piccolo piccolo. “S-sto bene cosi', grazie.”
Lui alzo' un sopracciglio. “Non sai che ti perdi.” e ricomincio' a mangiare.
Ringo si sedette sul letto matrimoniale grattandosi un orecchio, e si mise a frugare dentro il comodino, tirando fuori delle bacchette. John, invece, lascio' per terra lo sciroppo e lo succo e controllo' la temperatura.
“Ohi ohi ohi, McCartney. Trentasette gradi spaccati, sara' meglio se stai sdraiato per oggi.”
“Uffa!” mi lamentai, nascondendomi sotto le coperte.
George poso' il piatto svuotato sul comodino e rivolse a me e a John un'espressione serena e impacciata, girandosi i pollici. “Beh, se oggi Paul non suona.. pensavo che avrei potuto andare un secondo ad accompagnare al Cavern alcuni miei amici che arrivano proprio oggi dalla Germania. Non e' un problema se anche io mi prendo la.. giornata libera, oggi?” e fece un enorme sorriso angelico.
John ghigno'. “Ovvio che puoi. Anzi, ti accompagno.. e anche Rings ti accompagna.”
Proprio allora, Ringo si sveglio' dalla trance. “Eh?! Chi e' morto?”
“Il tuo cervello, Ritchie, il tuo cervello.” rispose John, sbuffando. “Dai, io e George andiamo a prendere i suoi amichetti tedeschi. Paul sta male, quindi sta a casa. Vieni con noi, cosi' emarginiamo Paulie?”
“Grazie tante, Lennon.” dissi, facendogli la linguaccia.
Ringo alzo' le spalle. “Mi sta bene.”
“Perfetto! Allora oggi lasciamo Paul da solo in casa.” disse John, ricambiando la pernacchia.
“Non mi interessa, fate quello che vi pare.” bofonchiai, e mi voltai.
Sentii George ridere dalla felicita' e i suoi passi che correvano verso la porta del bagno, il rubinetto aprirsi e, dopo qualche secondo, richiudersi. Poi la porta si apri' e George usci', mentre John mi saluto' con un veloce “Stammi bene, Mac.” e scivolo' via. Lo stesso fece Ringo, senza lo “stammi bene”. Sorrisi tra me e me. In fondo mi faceva piacere quel “stammi bene”.
Dopo dieci minuti, iniziai ad addormentarmi.

 

 

 


 

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Capitolo meno depresso! xDD Anzi, Paulie e' abbastanza incacchiato qua.
Mi sono divertita troppo a far parlare John come Flanders, sara' che ce lo vedo troppo.
Per certi versi, questo capitolo non mi fa impazzire, perche' non accade niente di speciale. Pero' per altri sono felice di averlo scritto cosi' perche' per una volta riconduce immediatamente al prossimo capitolo, o meglio, il capitolo collegato a questo.. ok, mi sto confondendo le idee da sola. XD Comunque capirete, anche perche' comparira' un nuovo personaggio. O quasi nuovo, chi lo sa? ;)
E gli amichetti tedeschi di George chi sono? Ah, manco io lo so. D: *si butta dal primo piano*
Volevo ringraziare con tutto il cuore per le recensioni.. mi fanno davvero molto piacere. :D *__* Grazie, grazie, grazie!

Zazar90: Eeheh, vedrai che dal prossimo capitolo rivedremo vecchie conoscenze! :D E anche Carly, anche se in un modo molto particolare e poco.. 'terreno'. *_* (Ma parlo come un falco, io! O_O) George e' sempre mitico, hehe. *Tutte: TU SEI DI PARTE!* Ma noo, non e' vero. <3 Lasciamo perdere. xDD Comunque vedrai che Ringo avra' una parte importante in questa storia, motivo per cui ho inserito lui nell'immagine portante! ;D Ringhino. *w* Sono contenta comunque che il capitolo ti sia piaciuto, perche' a me non soddisfava tanto.. Allora spero che nemmeno questo capitolo abbia fatto cosi' schifo e grazie ancora! :D

Russian Fanatic: Eh, povero ragazzo, aveva la febbre. XD Chissa' perche', ma Paul e' quello che piu' mi ispira per le fiction, insieme a George. E nelle fiction faccio sempre soffrire Paul, poveretto.. sono sadica!! t_t Il capitolo e' volontariamente molto 'scuro', poiche' la stanza e' al buio e volevo dare quell'impressione.. sono abbastanza felice di esserci riuscita, se ci sono riuscita! :) E loro che si insultano a vicenda li dovevo fare. *_* Grazie per la recensione.. *____* Spero che questo capitolo sia di tuo gradimento! :D

The Night Before 1965: Oooh, Niiight! *_* Questo non e' proprio un prequel ma uno sviluppo, solo che ambientato nel passato e.. insomma, modifica gran parte della trama! Ma dopo si capira' meglio (spero). XD Allora quel capitolo non ha fatto cosi' schifo? Awwww.. *A* *si commuove* t__t Basta con gli scleri. u_u John alla fine e' un cuore di burro, non poteva non aiutare il povero e morente Paulie. Grazie per la recensione, spero che nemmeno questo capitolo sia malaccio! *w*

Andry Black: Ma.. ma.. t_t [E ricomincia. O__O] Come niente insulti?! *si deprime* Comunque grazie, perche' a me era parso che fosse brutto il capitolo.. boh, non mi piaceva. XD Come ho detto a Bianca, inoltre, Paul e' il Beatle che spesso mi ispira maggiormente per le fiction e ho la tendenza a farlo soffrire, a volte anche involontariamente.. sono sadica!! [2] *si deprime ancora di piu'* Ma John alla fine non ce la fa e soccorre Paulie, eeeeh. *w* Pero' hai ragione: mai sfidare Geo in qualcosa che preveda il cibo. *papaaan*
Come ho spiegato, e' una specie di sviluppo della trama che in parte e' molto indipendente dalla prima storia, quindi.. :) Grazie ancora per la recensione.. spero che questo capitolo sia di tuo gradimento!! *_* (Ovvio che pure Paulie si e' preso il 'ma.. ma..', ormai e' come la spagnola! *___* *saltella*)

Marty_youchy: M-mi hai ascoltata? Awwww!! *____* *salta addosso a Marty* Ok, basta per davvero. o_o Ma.. ma.. [Roger: AAARGH!] la tastiera non e' buona da mangiare. D: Pero' a me il capitolo non piaceva, bubu. t_t Comunque grazie, davvero. :) *__* Abbiamo uno stile simile? Non me n'ero accorta!! Aww!! *A* [Roger: No, io non contero' anche gli 'Aw'! O.O] Georgino che si gratta il sedere e' – faccio intervenire la censura perche' potrei essere orribilmente scortese, e girano bambini (come me) per la rete. John pero' in fondo ha un cuore di burro, susu. *_* Pero' con tutte queste storie in cui Paul soffre, mi sa proprio che me lo ritrovo davanti alla casa tutto morente. I piddiani mi adoreranno! D: *fugge in Islanda*
Sorvolando sulle mie seghe mentali, grazie mille di nuovo... <3 Spero che il capitolo ti piaccia! ;D

 

Adesso me ne vado. O_O
*parte I'll Cry Instead*

Ah, ho citato un verso di questa canzone, qua. XD
Chi indovina dove, vince un lettore emmepitre'. *w*
*scappa via*

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Capitolo 3
*** "Signori Shears... parto per la Germania." ***


 

Liverpool, 1960.
“Signori Shears... parto per la Germania.
Ci ho pensato su. Ci ho pensato molto piu' di quanto possa sembrare, e la mia decisione e' stata la seguente.
Perche' Germania? Perche' mio padre, Jonathan Albrecht, abita li'. Credo che sia un mio diritto conoscere chi mi ha sfornata al mondo per poi lasciarmi in Inghilterra, da sola, a girare per le famiglie che nemmeno mi vogliono.
Voi mi avete voluto molto piu' bene di quanto mer
itassi, Billy e' un bambino davvero affettuoso, siete stati come dei genitori per me. Ma prima o poi sentivo di dover andarmene anche da qui, questa casa che per quattro anni della mia vita ho creduto casa mia, dopo che sono scappata da una famiglia fin troppo protettiva per mia testardaggine. Avevo solo dieci anni. Sono stata davvero una stupida.
Mi dispiace moltissimo per Billy... non potro' piu' mettergli la stella sull'albero di Natale.
Chiedetegli scusa da parte mia. Ora devo andare, spero che un giorno potro' riabbracciarvi.
Con affetto, Meghan.”

 

Liverpool, 1962.
Tardavano ad arrivare. Continuavo ad alternare gli occhi tra l'orologio e la strada.
Stupidi, stupidissimi Guy e Robby! Non conoscono proprio le buone maniere, non sanno cosa vuol dire “Non far aspettare una ragazza”. Anzi, non sanno proprio come si tratta una ragazza.
Che stronzi. Starsene nascosti ad Amburgo per due anni e poi farmi ritornare a Liverpool con la coda tra le gambe, come una deficiente. Ricordavo ancora le parole di Guy, prima che me ne andassi, e tutt'ora le ricordo: “Meg, devi ritornare dai signori Shears o.. divideranno il culo a me, quindi.. torna, ti scongiuro!” E il meritato segno rosso di cinque dita e un palmo stampato sulla sua guancia.
Mi bruciavano ancora le dita, a distanza di due anni, e mi morsi il labbro inferiore, decisa a torturarlo ancora per un po'. Forse avrei dovuto seguire il consiglio di Guy e tornare dai Shears, dal piccolo Billy, e tornare in quella famiglia che per me c'era sempre stata. Ero stata io a lasciarli, dopo tutto quello che avevano fatto per me. Era da due anni che mi sentivo la persona piu' orribile del mondo. Faticavo persino a guardarmi allo specchio.
Scacciai quegli inutili pensieri scuotendo la testa, dopo essermi sistemata il ciuffo che ogni santa volta si decideva a cadere sui miei occhi nel momento sbagliato. Storsi la bocca e mi sedetti nuovamente sulla panchina a bordo della strada, illuminata da un sole meno pallido del solito. Quel giorno, Liverpool non sembrava Liverpool. Alzai involontariamente un angolo delle labbra e accavallai le gambe, incrociando le braccia, alla inutile ricerca della posizione giusta con cui stare seduta, nell'attesa dell'arrivo di quei due.. babbioni.
Proprio allora, dall'altra parte della strada, sentii una vettura frenare bruscamente, poi una voce.
Sentii le lacrime scendere dai miei occhi. Guy, a qualche decina di metri da me, fece cadere la borsa sulla strada e mi corse incontro, ridendo come uno scemo. “Meg!” esclamo', afferrandomi per la vita non appena mi raggiunse.
“Guy! Oh Linderman.. mettimi giu'!” dissi, senza riuscire a trattenere le risate.
Era da due anni che non lo rivedevo, ed era da due anni che mi sentivo la persona piu' orribile del mondo per colpa sua. Eppure, appena vidi i suoi occhi scuri illuminarsi dalla gioia e la sua faccia riprendere vita, tutto il rancore che avevo iniziato a serbare dentro di me scivolo' via. Non riuscii a recitare nessuna delle ramanzine che avevo scritto, passando notte e giorno senza chiudere occhio.
“Oh Meg, Meg, Meg! Quanto mi sei mancata, cazzo! Amburgo e' meno bella senza di te!” disse, visibilmente eccitato, stringendomi tra le sue braccia, dopo avermi permesso di rimettere i piedi per terra.
“E Liverpool e' una merda senza le cazzate di Rob.” gli risposi, cercando di staccarmi dalla sua stretta. Mi stava soffocando!
“MAGGIE!” sentii allora, dalla vettura ancora lontana.
“Parli del diavolo..” borbotto' Guy, fingendosi scocciato. Gli feci la linguaccia e agitai la mano verso Rob, che stava correndo verso di noi con la sua solita espressione ebete in faccia. Accanto a lui, correva Seamus alla velocita' della luce: il pastore tedesco di cui mi aveva parlato Guy nelle cartoline e nelle telefonate. Mi lasciai travolgere da Seamus, che si butto' su di me e si mise a leccarmi il viso. Risi.
“Ahah.. Basta, basta! Ehi, Robby, staccamelo di dosso!” dissi, ancora ridendo.
“Vieni Seamus! Farai conoscenza con Meg la prossima volta!” disse Robby, il nostro giovane Robert, trascinando a se il cane per il collare rosso. Guy lo prese in braccio, senza riuscire a reggere il suo peso, e cane e uomo si sfracellarono per terra in un melodico “Oooh!” coperto dalle mie risate. Non riuscivo a smettere di ridere, ero davvero troppo felice. Senza che me ne accorgessi, le braccia di Robby mi avvolsero impacciate.
“Ciao Robert.. come va?” dissi, a bassa voce, tenendolo stretto a me.
“Oh, va tutto a meraviglia!” rispose, staccandosi dal mio corpo, con un sorriso che andava da una guancia all'altra. “Ad Amburgo facevo praticamente lo stesso lavoro che mi faceva fare papa'! Ricordo ancora: 'Gennarino! Abbiamo Edison tra i clienti, non riesci a capirlo?!' Dubito abbia ancora capito che Edison e' morto.” Risi, mentre lui prosegui' le sue finte lamentele. “Chissa', magari posso andare a trovarlo, se c'e` ancora..”
“Si', la pizzeria e' ancora aperta.” dissi in un soffio.
Robby stava per rispondere, ma venne interrotto da Guy. “Aiuto! Ho bisogno di qualcuno!”
“Seamus! Smettila di trascinare Guy!” e cerco' di fermare il cane che continuava a correre in cerchio come un forsennato.
Mi sentii come un terzo incomodo ad un appuntamento a due. Avevo come l'impressione che ormai il tempo mi aveva allontanata da Guy e Rob, quei due ragazzini che mi avevano aiutata a superare i periodi piu' bui della mia vita. E proprio allora mi ricordai che mancava una ragazza, che ai tempi mi aveva procurato fin troppi disagi. “Un momento, ragazzi.. dov'e`..”
“Sta arrivando con la macchina!” mi rispose Guy, ansimante, prima che potessi completare la frase.
Grandioso.. c'era pure lei. Annuii e accennai ad una smorfia.
“ROBBY!” sentii allora, alle mie spalle. Mi voltai ma non riuscii a vedere nulla, solo due ragazzi che ridevano.
Uno era alto, con i capelli chiari e con addosso una giacca in pelle. L'altro era rispettivamente basso, con gli occhi azzurri visibili fin da lontano e con una goffa giacca scura. Inarcai un sopracciglio non appena notai che il terzo elemento era andato a fiondarsi su Robby, che agitava le mani gridando a destra e manca aiuti e soccorsi.
“Robby! Oh mio Dio, Robby! Da quanto tempo non ci si vede!” urlacchiava l'aggressore.
“... George!! Non ci vediamo da un secolo, davvero!!” esclamo' Rob alzandosi in piedi, tenendo sempre l'altro attaccato a se – non riuscii a vedere il suo viso, capii solo che era davvero alto e che aveva i capelli scuri.
Guy carezzo' di nuovo la testa di Seamus, mentre sentii il ragazzo con la giacca in pelle fischiettare, in segno di approvazione. “A-ha! Allora sono questi gli amichetti tedeschi del nostro Georgino!”
George si stacco' dal nostro povero Rob. Aveva un enorme sorriso sghembo in faccia, e sembrava fin troppo esaltato.
“John! Lui si chiama Robert, e' il chitarrista dei Crystals.. ricordi?” e tese la mano di Rob verso il ragazzo con la giacca in pelle. Lui alzo' un sopracciglio, aspiro' un altro tiro dalla sigaretta e la strinse.
“Piacere.. Robert. Io sono John..” disse John, con una voce monotona.
“... io Ringo.” intervenne il ragazzo accanto a lui, sventolando la mano. Gli occhi di Rob si illuminarono.
“Aspetta, tu sei.. l'ex batterista di Rory?”
Rimasi perplessa. Rory? L'avevo conosciuto due anni fa', e mi aveva parlato sulla sua scaletta di canzoni. Avevo quel ricordo nella mente, con quel ragazzo che mi chiedeva consigli su come vestirsi. Sorrisi al ricordo.
Vidi Ringo – che strano nome – annuire, timido. George intanto stava salutando Guy, dandogli il cinque e una ginocchiata, come si fa tra deficienti. Che tenerezza che mi facevano. Chissa' dove avevo lasciato la macchina fotografica.
Il ringhio di un motore si avvicino' lentamente alla comitiva finche' un piccolo gesto spense il motore e quello si zitti', permettendo a Barton di scendere. La Andrea Barton, l'amichetta di Robert. Sogghignai.
“Ecco dove ti eri cacciata, Andina!” esclamo' Rob, prendendola per il braccio. Lei arrossi' di colpo, sistemandosi la gonna, e fece un impacciato sorriso con i capelli rossi – come il suo viso – che le coprivano il viso. “Stavo per darti della dispersa, ragazza bella! Dove ti eri cacciata, eh?” aggiunse, facendo una vocina degna dell'uomo piu' scemo del mondo, e le strapazzo' la guancia.
Lei, giustamente, divenne ancora piu' rossa e abbasso' lo sguardo, imbarazzata. Trattenni una risata.
Vidi due dei tre novellini ghignare. Alzai gli occhi al cielo: ci avrei scommesso che avrebbero subito messo gli occhi su Barton. L'altro, quello piu' basso, mi rivolse un timido sorrisino e distolse subito l'attenzione da me.
Grandioso. In mancanza di attenzioni da parte di ragazzi – per fortuna – dovevo sorbirmi le occhiate colme e ricolme di pieta' di un tipo che non conoscevo e che non era nemmeno bello. Sbuffai, la mia mancanza di fortuna nell'amore mi aveva portato Guy – un tentativo fallito di fidanzarmi alle elementari – e Robby – un povero bimbo ignorato dalle ragazzine snob del ballo di fine anno delle medie.
“A-heeem...” Mi voltai verso John, uno dei tre novellini. “Ecco.. il nostro bassista..”
Venne subito interrotto dalla voce eccitata di Robby. Il solito. “Paulie? Ah Paulie, mi manca quel bellimbusto!”
“... quel bellimbusto s'e` beccato l'influenza, ahinoi!” prosegui' John, senza lasciarsi condizionare. “Dai, penso che George sara' contento di far conoscere i suoi amichetti a Paulie, quindi...”
In una frazione di secondo, John era stato atterrato da George lo spilungone.
“Ommioddio!!! Grazie Johnny!!” e lo strinse a se. John era visibilmente sconvolto dal fatto.
Che scena commovente.
“Prego. Ma ora.. Scendi dalla mia pancia!” sbraito' John a pieni polmoni, facendo ridere di gusto Ringo. La risata di quest'ultimo coinvolse un po' tutti, persino la Barton, e addirittura.. me. Mi coprii la bocca, guardando George che aiutava John ad alzarsi, ma non riuscii a ignorare gli occhi di qualcuno che, di nascosto, mi osservavano. Cercai di ignorare le mie paranoie con un colpo di tosse, l'arrivo di Guy, Rob e la Barton mi aveva scombussolata non poco.
Alla fine, salimmo tutti sulla vettura. Ci si stava stretti e si respirava poco, percio' aprii un finestrino. Guardavo dal finestrino il breve tratto di citta' che stavamo attraversando, sotto quel cielo limpido che sembrava uscito da un dipinto impressionista. La strada mi sembrava piu' pulita, la citta' appariva piu' bella di quanto mi ricordassi. Forse le nuvole che avevo visto attraversare Liverpool durante quei bui anni, avevano profondamente condizionato i miei pensieri. Sorrisi, come per ridere delle mie inutili riflessioni.
Nella macchina, tutti chiacchieravano, ridevano e sembravano felici. Era ironico che io fossi stata l'unica a non partecipare alle chiacchierate. Il brusio dei pneumatici sull'asfalto e le voci sembravano quasi una musica, che procedeva lenta e con cadenze monotone. Stavo per assopirmi sul sedile posteriore accanto a John, con quella musica nelle orecchie, finche' non sentii qualcos'altro.
“Senti, tu io mi prendo la rossa. Tu, invece, ti diverti con il tuo amichetto.”
“John, non e' giusto, conosco Andi da piu' tempo di te! Non puoi beccartela te!” e aggiunse, “... e Meg?”
“Meg? Quella bionda?”
“Si', lei!”
“Oh, lei se la prende Ringo. Non e' vero Ringo?”
“Eh?! E' morto qualcuno? Nostradamus?!”
“Ringo, prova a stare con noi per un momento!” si lamento' quello che riconobbi come George.
L'altro, John, sghignazzo'. “Dai, Ringhino. Ti cediamo Meg. Facci quello che vuoi.”
Vidi il terzo novellino annuire con la coda dell'occhio, a malavoglia.
Che stronzi.

 

 


 

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Papapapaaaan. Ebbene, alla fine, qua sono apparsi quattro personaggi. :D
Guy, per chi non se lo ricorda, e' l'amichetto di Meg, mentre Robby e' l'amichetto di.. George. XD Andi, invece, penso che chi ha seguito la scorsa fic se la ricordi. In questa storia avra' una parte tutta sua. :) E Meg.. eheheh, lei, ebbene, e' l'altra narratrice della storia! I capitoli (forse) avranno una successione di due capitoli per Paul e due capitoli per Meg. Poi ci saranno delle volte in cui non rispettero' questo ordine, chissa'. XD Per chi non conosce Meg, lei.. iniziera' a farsi conoscere man mano che la storia avanza! E con questa storia si scoprira' qualcosa di piu' sulla sua situazione familiare, come si puo' evincere dalla lettera iniziale. ;) Inoltre nei capitoli di Meg, come per un diario, ci saranno sempre anno e luogo, ma non la data, perche' a livello storico non sono mai brava. D:
Ah, Paul e Geo si contenderanno una ragazza. Dopo questo spoiler gigante, dovrei scappare via. XD
E.. boh, si vedra'. xDD Grazie mille per le recensioni, ancora grazie! :D *w*
Prima di rispondere alle recensioni, ecco delle immagini di Meg, Guy e Robby. ;D

Meg e Guy alias Samantha Morton e Sam Riley alias Debbie e Ian Curtis. xD
Questi sono i due attori che nella mia mente recitano Guy e Meg. La bionda a sinistra, Samantha Morton, e' piu' o meno Meghan, mentre il bel figacc ragazzo a destra e' Sam Riley. Insomma, io li immagino cosi'. xD Loro hanno interpretato Ian Curtis e la moglie Debbie su Control, il film autobiografico su Ian, diretto da quel genio di Anton Corbijn. Ci sara' un'altro attore (o attrice, chissa'.) da quel film.

Scott Michael Foster alias Robbe'! *w*
Eccolo qua, Robby. Boh, io, anche se per il nome mi sono ispirata a Robby Krieger, l'ho sempre immaginato come Scott Michael Foster nella mia testa, quindi e'.. Scott Michael Foster. u_u In questa foto ci somiglia di piu'. :D Gennarino! *_*
Con questo, ho finito le immagini. *____* Per An.. rimando. XD Passo alle recensioni e chiudo. :D

Zazar90: Ci tenevo troppo a scrivere la cosa tra Georgino e la zuppa!! xDD E' una scenetta che spesso mi immagino, nella testa. :D Ma poi ovvio che Georgino e' un mito, awww. *___* <3 – io sono di parte. XD Stessa cosa vale per John l'infermierina che parla come Flanders, perche' ce lo vedo troppo a mettere tutti quei vezzeggiativi e quei diminutivi per far innervosire il povero Paolino. *_* Ora che e' arrivata Meg, ci saranno molti colpi di scena per Ringo, hehe. Grazie ancora per la recensione, sorella Joneees! *-*

Marty_youchy: Eheh, il verso di I'll Cry Instead si trova verso la seconda/terza riga, “Avevo tutte le ragioni della terra per essere arrabbiato”, anche se ho tradotto a modo mio il 'to be mad'. :D Sisi, io John ce lo vedo troppo a fare Flanders! E' una cosa immotivata, ma ce lo vedo. *A* Ma piccolo Paulie, come lo maltratto, gh. *-* Pero' George che gli mangia la zuppa.. awww – l'ho gia' detto: sono di parte. Alla fine, pero' erano Meg e Andi. XD Ma sara' tutto molto diverso dalla scorsa storia. :D Grazie per la recensioneee! *_*

teleri: Oh, una nuova lettrice!! :D La scena di George che mangia la zuppa di Paul e John che parla come Flanders dovevo inserircela -sisi-. XD Per il verso, hai indovinato. :) Ti sei rotta il naso a cinque anni? D: Io invece ho solo il naso piatto e anche leggermente storto, auindi non posso dire nulla a Rings. *w* Anche tu con gli esami di licenza media? Io gli orali ce li ho venerdi'. Spero ti sia andato bene, l'esame! ;D E grazie per la recensione! *-*

 

Ora vado. XD
*sventola manina*

*parte Angie, l'ultima canzone che ho ascoltato. XD*

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Capitolo 4
*** Quella citta' che avrebbe dovuto cambiarmi la vita. ***


 

Sul portone d'ingresso dell'hotel, avevano appeso una piccola lastra di ferro che recitava il divieto di entrata degli animali nell'edificio. Accanto a Robby e John, che si erano gia' introdotti all'interno della hall – sporca e microscopica gia' da fuori – trotterellava allegramente Seamus, con la lingua in fuori. Guy si accese una sigaretta e la porto' subito tra le labbra, ignorando la seconda lastra che recitava severa “No smoking”.
Il personale dell'albergo era il peggiore che avessi mai visto: un ragazzino dormiva dietro il bancone, i muri erano scrostati, le lampadine erano per la maggior parte fulminate, i facchini erano inesistenti.
Aiutai Robby a trascinare il borsone, mentre Guy e la Barton furono i primi a raggiungere gli altri tre, che si erano fermati davanti alla terza porta accanto alle scale, in nostra attesa. Che gentili, pensai, con un sarcasmo represso che non riuscivo a tirare fuori da non so quanto, quindi Seamus si mise ad abbaiare verso di me, allegro, accingendosi a saltarmi di nuovo addosso. Guy lo prese in tempo per il collarino, facendogli segno di stare in silenzio con un repentino cambiamento di espressione; Robby si mise il dito indice vicino alle labbra. “Shhh, Seamus! Se ci beccano, siamo nei pasticci!” e gli fece il grattino sotto il muso, sorridendo intenerito.
Senza nemmeno bussare, dopo un avvertimento brusco da parte di John (“Mi raccomando, non respirate o verrete contagiati!”), il ragazzo che si faceva chamare Ringo giro' la maniglia ed entro' dentro la camera senza dire niente. George fu il secondo a entrare, mentre John si butto' immediatamente sull'unico essere umano che era presente in quella camera: un ragazzo castano, chino su un libro, seduto accanto al letto con la cannottiera e i boxer. Quando ci vide entrare, i suoi occhi – verdi – si spalancarono dalla sorpresa.
“Paolino!! Come stai? Ti e' passata la febbre?” esclamo' John, senza neanche lasciargli tempo di fare domande, e lo strinse tra le sue braccia – un po' troppo forte. George si mise a sghignazzare.
“John!
Coff, lasciami.. Non riesco a respirare!” si lamento' lui.
John lo ignoro' e ricomincio' a bombardarlo di domande, per la gioia dello spilungone. “Paul! Allora, la febbre ti e' passata? Hai mangiato un po' della zuppetta zuppettina? Ti sei misurato la febbre? Hai dormito?”
Paul, scocciato, sospiro'. “No, la zuppa non l'ho mangiata perche' George l'aveva gia' sbranata – a quelle parole, lo spilungone inizio' a fischiettare – se hai presente. Pero' la temperatura e' calata.. sto meglio.”
“Okay, ragazzi, potete respirare!” disse John, voltandosi verso di noi.
Paul gli fece la linguaccia. “Ma fanculo!”
In quel momento, lo vidi alzare gli occhi sugli altri, poi su di me. Forse fui l'unica a pensare che si fosse soffermato per un secondo sul mio viso, ma ancora oggi penso che non sia stato un presagio di quello che sarebbe successo dopo.
“Ehi, Paul!” si intromise allora George. “Questi sono Robby, Guy, Andi e Meghan! Sono tornati oggi da Amburgo! Lui invece,” indico' il pastore tedesco con il dito, “si chiama Seamus! E' molto simpatico!”
Sembro' accorgersi solo in quel momento della presenza del cane, perche' si alzo' dal pavimento e, con un enorme sorriso entusiasta stampato in faccia, si avvicino' al cane che ricomincio' ad abbaiare contento. “Oh, ma sei bellissimo! Ti chiami Seamus, eh? Vieni qua..” disse Paul, imitando la vocina da scemi che solitamente sentivo fare dai bambini che accarezzavano un cane.
Lo vidi prendere Seamus in braccio, grattandogli la pancia, andandosi a sedere sul letto singolo. Il cane si mise a leccare il viso di Paul, che scoppio' a ridere per il solletico.
Robby incrocio' le braccia, soddisfatto. “Vedo che ti piacciono i cani!”
“Si', penso siano delle creature meravigliose.. come tutti gli animali!” spiego' lui, rispondendo a Rob, continuando a grattare la pancia del nostro Seamus. John si mise a imitare il miagolio di un gatto, intenerito dalla scena.
“Ma.. aww, Paolino!” Vidi Paul alzare gli occhi al cielo all'esclamazione commossa di John. “Che tenerelli che siete, tu e il cagnolino! Bubu!” e agito' i pugni, come fanno le bambine. “Posso carezzarlo pure io?”
“John.. non uccidere una povera creatura.” disse Ringo, preoccupato, sedendosi accanto a Paul.
“Pauuul! Le coperte si sono asciutte!” sentii allora urlare George, mentre tastava il letto matrimoniale.
“Ben per
loro.” commento' John, con un'espressione vagamente offesa dall'umorismo poco evidente di Ringo. “Ehi, figliolo, passamene una.” disse allora a Guy, che se ne stava in disparte a fumare, appoggiato al muro. Lui fece spallucce e prese un'altra sigaretta dal pacchetto, accendendola con una maestria incompresa. Robby gliene rubo' altre due da sotto il naso e me ne ficco' una tra i denti, ridendo come un deficiente. Guy storse il naso, ma lascio' tutto andare via con una scrollata di spalle.
Avvicinai il viso all'accendino per accendere, feci un tiro e mi sedetti sul letto matrimoniale senza dire nulla a nessuno, mentre tutti gli altri stavano procedendo alle presentazioni ufficiali. Senza che nemmeno me ne acccorgessi, quella stanza si trasformo' in una specie di salottino di una casa comune, rimpilzata di fumo di tabacco, risate e il russare profondo di Seamus che, dopo un po', aveva preso sonno. Ogni tanto, Robby abbassava un braccio per accarezzargli il muso, parlando animatamente con gli altri.
Paul ascoltava in silenzio – imbarazzato, forse – i racconti di George di quando erano stati ad Amburgo.
Amburgo, quella citta' che avrebbe dovuto cambiarmi la vita. Ero piccola, pensavo che andare a trovare mio padre ad Amburgo avrebbe risolto i miei problemi con la mia capacita' di socializzare, con gli screzi con quella che era stata la mia famiglia e con me stessa. Aspirai altro fumo, mentre mi perdevo nel vociare di George che si lamentava perche' gli altri avevano iniziato a prenderlo in giro per la rimpatriata in Inghilterra. “Non e' affatto divertente! Voi non avete assaggiato le sgridate..” sentii. Poi altre risate seguirono ad altre lamentele.
Tutti si erano riuniti intorno al letto singolo, mentre Guy stava seduto davanti alla porta sfogliando il quotidiano. La Barton se ne stava zitta, con lo sguardo perso nel vuoto. Era sempre stata silenziosa, avevo imparato a conoscerla da quando si era buttata tra le mie braccia in lacrime, perche' due ragazzi tedeschi avevano cercato di spogliarla davanti al Kaiserkeller.
Sicuramente, non era
quel genere di ragazza. Dopo quell'avvenimento, aveva passato intere notti senza dormire, frignando perche' voleva la mamma accanto a se. Poi, era venuto il giorno in cui Robby e Guy avevano litigato con Kevin e Koschmider. Robby era stato cacciato via dai Crystals, Emma, la madre di Guy, era riuscita a trovare il figlio per fargli una strigliata.
Mi ritornarono in mente le parole di mio padre. Cercai di scacciarle via, spensi la sigaretta sul muro e mi morsi la lingua. Stupida, stupida che non sei altro! Non devi metterti a piangere proprio ora! Non devi piangere!
“Ciao.. come va?”
Sussultai. I miei pensieri mi avevano impedito di accorgermi che Ringo si era seduto accanto a me.
Visto che non riceveva risposte da me, decise di proseguire, arrossendo visibilmente.
“Ecco, sai... Ti vedevo li' da sola, quindi ho pensato di provare a parlare con te.”
Rimasi in silenzio. Sembrava che non avesse ancora finito il suo monologo. Buttai il mozzicone per terra, cercando di risultare il piu' noncurante possibile, e attesi che ricominciasse. Si sforzo' di ridere.
“... non ti annoi? Sai, abbiamo un giradischi, qua da qualche parte.. ho dei vinili, se vuoi..”
Alzai una mano, lui si ammutoli' al solo movimento, guardandomi negli occhi. Sentii in mezzo al chiasso il rumore che emise la saliva scendendo lungo la sua gola, per un secondo mi sentii come Dio onnipotente. Con un solo gesto della mano, puoi controllare i movimenti di questo ragazzo. Puoi controllarlo, Meg, cosi' impara a prendersi gioco di te con i suoi amichetti del cazzo.
“Ora sto bene.” dissi, a mo' di risposta.
“S-sono contento.” mormoro' lui. “Pero'.. un po' di musica non farebbe male. Non dici?”
“Un po' di musica? Certo che va bene.” risposi, accennando ad un sorriso. O almeno, il mio cervello mi disse che stavo sorridendo, eppure dall'espressione sulla faccia del mio interlocutore pareva che guardasse un pitone appeso al proprio collo. Nascosi i pugni dietro la schiena, imbarazzata, e abbassai lo sguardo. Stavo facendo un'enorme figuraccia davanti ad una persona che parlava con me solo perche' i suoi amici gliel'avevano permesso. Non potevo giocare al suo gioco, ci avrei rimesso la mia faccia, quando l'avrei beccato in una stanza d'albergo all'ultimo piano con un'altra sciacquetta accanto a se.
Un momento: e dire che non mi piaceva – non era tutta quella bellezza – ma.. gia' mi facevo queste paranoie! Scossi la testa, preoccupata per un'imminente mal di testa, e abbassai le tempie fino a farle combaciare in parallelo con le ginocchia. Gli occhi azzurro chiaro di quel ragazzo mi perforavano la schiena, ma lui non diceva niente. Io, tanto per migliorare la situazione, feci altrettanto.
Poi, uno dei due si decise a parlare.
“Stai bene?” chiese, balbettando un poco. “Vuoi una.. zuppa? O un te'...”
“No,
ora sto bene.” ripetei, stavolta con una voce che suono fin troppo acida persino alle mie orecchie.
Mi alzai dal letto, dandomi una leggera spinta con le dita, aprii la porta e varcai l'uscita senza lasciare nessun saluto inutile.
“Meg!” urlo' qualcuno alle mie spalle, quando misi piede sul primo gradino che portava alla hall. Guy aveva ripreso il suo bagaglio a mano e, con Robby e Andi – e Seamus – dietro, mi stava seguendo. “Dove vai?” urlo' ancora.
A casa. Stavo andando a casa. Ma non diedi alcuna risposta e scesi lungo le scale, lasciando che i tre, insieme a Seamus, mi seguissero fino alla casa dove abitavo da ormai due anni.

 

 


 

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Vabbe', ecco qua un nuovo capitolo. XD E ho cambiato il colore della scritta. *PAM!*
Non so se mi faccia schifo o meno (il capitolo, eh. Non il colore. XD), pero' non sono sicura di alcune cose. E nel prossimo capitolo, ritorna Paolino come voce narrante! xDD Ho capito dopo trent'anni che nelle mie fiction: Paul soffre sempre come un cane (povero ragazzo. D:), George viene sempre torturato in un modo o nell'altro (vedi Penny *w*), Ringo e' il bersaglio principale di John e dei malvagi (vedi storia che ho in mente e che FORSE pubblichero'.. in un futuro molto lontano -sisi-.) mentre John.. John se la gode. O_O
Comunque, la scorsa volta mi ero dimenticata che avevo creato un test. Nel caso vi vada, c'e` quassotto il link.
http://www.rifleman.altervista.org/friendtest/test.php?usr=ThiefH Il titolo e' da ignorare. XD
Allora.. ringrazio per l'ennesima volta tutte le persone che leggono e recensiscono. Grazie, davvero. <3

Zazar90: Waaaa! Angie sbuca come un fungo! Basta solo nominarla e ritorna per torturare Mick, Jude e noi! O_O *scappa via a gambe levate e si nasconde sotto il tavolo con Syd che la patpatta* Comunque sono felice che tu sei felice (ecco, iniziamo bene. u_u) che Meg e' felice e' tornata con i suoi amichetti! John il marpione non poteva non notarla, heeeehh. Ma povera Meg, cosi' ignorata dai maschietti. u.u Suuu, e' una bella ragazza! D: Per la fanciulla di Geo e Paulie... si bisognera' aspettare. *w* Grazie mille per la recensione! ;)
Ah, sono contentissima per il tuo risultato all'esame!! *_* E Sam.. eeh, pensa alla fatica che ho fatto per non svenire mentre guardavo la sua foto, nell'anteprima del capitolo. *muore e la sua salma viene raccolta dal Barone Rampante*

Ariadne_Bigsby: Sai che questo nome mi piace un sacco? *____* Ariiiii!! Ora pero' mi hai fatto aumentare l'indecisione: ti chiamo Ari o Bianca? D: Vabbe', ti chiamo Bianca altrimenti faccio confusione tra Ariadne e te, che poi alla fine siete la stessa persona.. XD Sono felice che anche l'altra fic ti sia piaciuta! :D Per John e Andi, si vedra' piu' avanti cosa succedera'. *fischietta il tanto famoso Te Deum* A far parlare John come Flanders (notare la zuppetta zuppettina. *_*) mi sono divertita troppo! :D Grazie mille per la recensione! *w*

teleri: Ahah, tranquilla! ;D L'incontro tra gli amici e' stato commovente? Non lo immaginavo! xD E hai un cane con lo stesso nome di Ugo Foscolo? Che bellino! :D Anche se in questo momento non c'entra tanto, avevo un pesce rosso di nome Rosso e un'altro di nome Timido, pero' Timido e' morto dopo due giorni.. Lasciamo stare. D: Comunque a me gli esami sono andati abbastanza bene, spero, pero' i risultati degli scritti erano piu' che buoni. *_* Grazie per la recensione!! *-*

Andry Black: Povera Maggie, che i maschietti non la guardano! u_u *tira una bottarella sulla testa di John, che la guarda malissimo* Perche' non picchio anche George? Perche'.. perche'.. son di parte, eh, si sa. U_U *saltella* Meg qua penso si stia iniziando ad aprirsi un po' di piu'. ;) Per la fanciulla che si contenderanno Georgino e Paulie.. Beh, Meg c'entrera' qualcosa con Paul, ma non con George! Ok, ti ho fatto uno spoiler enorme. XD Meglio se vado a nascondermi prima che uno pterodattilo mi prenda e mi porta a fare la pappa nel suo nido! Grazie per la recensione!! *A*

 

Peace & Love e Hare Krishna a tutti! \m/ - ho deciso che sara' il mio motto.
*parte l'inno alla gioia, perche' FINALMENTE il capitolo e' finito*

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Capitolo 5
*** But it's gonna be alright, dai! ***


 

Penso che dormire con una sconosciuta sia la cosa piu' brutta del mondo.
Una toccata e fuga non e' una vera dimostrazione d'amore, il rapporto sessuale e' vissuto allo solo scopo della vana ricerca del piacere fisico. Dicono che solo chi conosce il sapore dell'acqua sa provare la sete; appena lo si prova, il sesso diviene un'ossessione. E l'unica fonte di nutrimento da cui si puo' ottenere quella cosa chiamata “sesso”, sono le donne – questo porta gli uomini a collezionare donne su donne, ignorando i sentimenti di ognuna.
Lasciai scivolare l'indice lungo la schiena della ragazza che respirando piano mi guardava nel buio della stanza.
Odiavo il mattino seguente, odiavo svegliarmi il giorno dopo e scoprire una sconosciuta a scaldarmi il letto. Le sbronze finivano sovente cosi', ed era un piacere effimero che svaniva subito.
Al movimento del mio dito, il suo corpo sussulto' sotto il tatto e le labbra sottili iniziarono ad allargarsi in un sorriso di malizia – rassegnato, felice... Prese la mia mano destra e la condusse verso quelle labbra sorridenti, baciandola piano. Il suo fiato, tiepido e rilassante, premeva contro il dorso della mano come un forte peso. “Ciao.. Paul.” mormoro' lei, timida. Dovevo ritirare quel braccio, farle capire che tanto il gioco era finito, ma non ce la feci.
Tu e le tue stupide commedie melodrammatiche!, esclamo' una voce all'interno della mia testa. Avevo le voci nel cervello! Santo Picitato, ci mancava solo quella. L'hai solo usata per i fatti tuoi, McCartney! Lasciala o ne soffrirai per i prossimi sei mesi, e non piagnucolare!, dopo quest'ultima frase, svani' del tutto e io mi sentivo ancora piu' confuso di prima.
Aprii la bocca per dirle quello che realmente pensavo, ma lei si alzo' dal letto prima che potessi formulare una frase a bassa voce e si diresse verso le tende della finestra, coprendosi solo con il lenzuolo a quadri che stava sotto i cuscini, ormai fuori posto. La vidi voltarsi verso di me e aprire le tende, scostandole una per volta con la mano libera. Con l'altra reggeva il lenzuolo, per nascondere il proprio corpo in un imbarazzato silenzio; sentivo solo il suo respiro, i suoi tentativi di dire qualcosa e il rossore sulle sue guancie. Fuori, il sole non era ancora uscito e il cielo era scuro, livido, annunciava pioggia per il resto della giornata. Non mi importava.
Lei si riavvicino' al letto, sdraiandosi di nuovo al mio fianco. Degluti' – riuscii a sentire il suono della saliva che scendeva lungo la sua gola – e mi strinse ancora la mano, guardandomi negli occhi.
Stupido di un Paul! Stupida vocina!
Il copione recitava che l'uomo doveva dire “Ti amo” alla sua donna, dopo una nottata di sesso. E quindi, io dovevo dire “Ti amo” a quella ragazza. I problemi erano tre e non meno importanti: non conoscevo il suo nome, non conoscevo la sua voce, il suo viso non mi era per niente familiare.
Ma lei conosceva il mio viso, conosceva la mia voce, conosceva il mio nome. Forse ricordava quelle frasi dolci che le avevo sussurrato nelle orecchie e che io non ricordavo di aver detto. E forse non erano nemmeno frasi dolci, ma lei sapeva chi ero – senza pur conoscermi realmente. Forse le piacevo davvero, forse quel “Ti amo” che stava per dirmi tra mille problemi con se stessa e che io avevo sentito, seppur a bassa voce, durante il mattino.. forse lei nutriva dei sentimenti effimeri ma reali verso di me. E io l'avevo solo usata per i piaceri di cui non ero a conoscenza.
L'avevo solo usata. Mi sentii terribilmente a disagio, perche' era la prima volta che ci pensavo per davvero.
Piansi come un bambino, lei mi strinse al suo petto, come fece mia madre quando caddi per la prima volta dal triciclo. Piansi perche' ero un gran coglione, un gran stronzo e un ipocrita che cercava solo di fare sesso con una ragazzina di diciassette anni e si guadagnava da lei una cotta che non meritava davvero. Le chiesi in lacrime di perdonarmi e di lasciare la stanza, con un filo di voce. Lei annui' e mi lascio' cadere sul letto, tra i singhiozzi, vestendosi con cura e, alla fine, usci' dalla stanza senza enfasi. Non la guardai, mentre si incamminava verso l'uscita.
“Mio padre mi presentava alle ragazze come un dongiovanni disperato, io sbuffavo e gli chiedevo di andarsene. Alla fine della giornata, mi ritrovavo a letto con una bionda... ma la mia compagna, al ballo scolastico, era rossa. Rimanevo comunque convinto che dovesse esserci un malinteso e scappavo, ritornando dalla mia adorabile fidanzatina rossa senza dirle mai niente. Alla fine, tutto e' venuto a galla.. quindi e' inutile. Ma io ero sicuro di non essere un dongiovanni. Forse, pensare di essere il contrario di cio' che si e' davvero fa parte della natura dell'uomo.” le dissi, appena riuscii a calmarmi dai singulti. “Scusami.. se vuoi, puoi andare.”

 I, I saw a girl in my dreams
And so it seems
That I will love her

Oh you, you are that girl
In my dreams
And so it seems
That I will love you

And I waited for your kiss
Waited for the bliss
Like dreamers do

Un'ora dopo, fumavo una Marlboro nella mia solitudine, osservando le poche persone, sole, camminare per le grigie strade di Liverpool. Soffiai via il fumo, che si disperse nel cielo plumbeo delle sette del mattino, formando una pittoresca linea curva e spezzata in aria. Non era proprio da me struggermi troppo per una toccata e fuga – anzi, credo che senza esserne a conoscenza, mi piaceva anche – ma.. forse quella mattina mi ero svegliato con la luna storta, tutto qui. Risi di me stesso, perche' facevo pena a farmi le scene da solo. Quella stupida vocina aveva ragione..
“Ehi, Paul!” sentii ad un certo punto, non troppo distante dal palo su cui mi ero poggiato.
George, con i capelli spettinati e un ghigno sghembo da mascalzone in faccia, sventolava il braccio saltellando sul posto. La custodia della chitarra ballonzolava insieme a lui, avvinghiata alle sue spalle. Mi venne naturale sorridere – il piccolo Georgie appena svegliato dal sonno, con la solita chitarra e i capelli fuori posto, era una visione confortante e anche tenera, per certi versi – e gli risposi ad alta voce, ignorando l'uomo che si volto' verso di me. “Harrison! Vieni, ho delle brioche!”
“Grande!” disse lui e corse verso di me, battendomi sul tempo e sfilando una brioche al cioccolato dal sacchetto che tenevo nella mano sinistra. “Mmm, l'hai presa dal ristorante-pizzeria che gestisce il padre di Robby, vero? Le brioche le fa personalmente sua madre, sono buonissime! Infatti vado sempre la' a fare la colazione...” e addento' un altro boccone, sporcandosi di cioccolato.
“Ma.. oggi non ci sei andato?” chiesi, perche' se stava mangiando le
mie brioche.. doveva essere piu' affamato del solito – ossia, lui era affamato oltre la media di un normale essere umano, quindi quel giorno era ancora piu' affamato, non so se mi spiego.
“No, sono appena uscito di casa.. Mi hanno trattenuto!” spiego' George, leccandosi le labbra.
“Oh capisco.” In verita' non avevo capito molto, ma era meglio non chiedere altro.
“Vabbe', com'e` andata con la tipa di ieri, allora?” fece allora George, prendendomi a gomitate. Ahi. Inarco' un sopracciglio, storcendo la bocca. “Un attimo.. hai pianto, Paul? Hai gli occhi gonfi!”
“Ma che vai a dire! James Paul McCartney non piange mai, tsk!!” urlai subito, atteggiandomi.
“Lo prendo per un si',
James Paul McCartney.” George si mise a sghignazzare. “D'accordo, John e Ringo ci aspettano..”
“John e Ringo sono gia' qui,
tesoro.”
No, non ero stato io a dire quelle cose. Gli occhi scuri di George passarono da me a John e Ringo che, subito dietro di me, tenevano tra le mani un paio di lattine e alcuni panini. Una lattina cadde per terra.
“MIO ADORATO PICCOLO GEORGIE! MI SEI MANCATO!!!”
George, quel povero ragazzo, non ebbe neanche il tempo di urlare che John si era gia' appiccicato al suo collo, stritolandolo tra le sue braccia. “Awh, Georgino Georgino Georgino! Quanto mi sei mancato! Ringhino mi tratta male!”
“Non e' vero..” si lamento' Ringo, triste, alzando gli occhi dalla lattina di Coca. “Avevo il tuo piede in faccia, ieri sera..”
“Sono solo dettagli! Tu.. tu russi!” sbraito' John, accusatorio, con l'indice puntato verso il batterista. “Ecco, capisci, Geo? Stavo
taaanto male senza di te, sono felicissimo di rivederti! Pciu'!” e fece finta di sbaciucchiarlo. Bleah... Ma sembrava ignorarlo; mentre John sbaciucchiava i suoi capelli, lui continuava a mangiare la sua brioche in tutta tranquillita'. Solo George era capace di fare qualcosa di simile.
“Ehi gente? Io esisto!” ricordai allora a quei tre, alzando la mano come si fa a scuola.
John mollo' immediatamente George e mi dovetti pentire di aver attirato l'attenzione su di me. “Oh Paolino caro! Ieri t'eri preso una bomba sexy! Ti sto ancora odiando per questo.” disse lui, mentre George si era soffermato a raccogliere la lattina caduta.
“Beh, non mi sembra tanto felice della cosa. Ha pianto.” si intromise George, finendo la brioche.
Ecco, in quel momento avrei
taaanto voluto strozzare George.. ma era piccolo e innocente, mi sembrava ingiusto.
John incomincio' a prendermi a gomitate, come prima aveva fatto George – era un morbo, forse – e comparve il suo solito sorriso a trentadue denti di cui avevo paura, a volte. “Oooh, Macca! Pene d'amore?”
“E-ero solo di malumore, stamattina.” smentii cosi', distogliendo gli occhi da John.
“E io mi credevo Giulio Cesare, stamattina. Dai, prendi una Coca, che ne parliamo.” disse John, tra la serieta' e l'ironia. Ringo sembro' ricordarsi solo allora della lattina che stringeva tra le dita e la apri', facendo schizzare il liquido per terra.
Il sole stava uscendo allo scoperto in quel momento, erano le sette di mattina. E loro.. loro che facevano? Bevevano Coca Cola. “Ma.. ma.. E' mattina, che schifo, John!” urlai, inorridito. Al mattino, normalmente, bevevo te' o latte. Non.. Coca!
“Sei davvero una noia, Macca.” si lamento' John. “Dai, inizia una giornata all'insegna del rock n' roll. Goditela!”
Scossi la testa e afferrai la lattina, per farlo contento. Ne bevvi quasi la meta' in un sorso. Iniziava una nuova giornata all'insegna del rock n' roll.. beh, una delle tante.
But it's gonna be alright, dai!

 

 


 

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Ehm, il capitolo e' un po' in ritardo, chiedo venia. t_t
In realta', la prima parte – fino all'arrivo di George – era gia' pronta in versione cartacea, ma la mia poca voglia di trascrivere e varie non mi hanno permesso di pubblicare presto. XD L'ultima parte mi e' venuta di getto, anche un po' riempitiva, quindi non mi piace. U_U Ma neanche la prima, e' troppo.. boh, troppo pesante, troppo melodrammatica. D: Paul che si fa le pene melodrammatiche, povero ragazzo. Come lo tratto.. o_o Questo capitolo e' di passaggio, quindi non e' cosi' importante.. spero che il prossimo arrivera' un po' piu' presto e sara' meno inutile! XD dai, dai, forse sta per arrivare la donzella di George e Paulie. Non so ancora cosa inseriro' nel prossimo capitolo, quindi non so. u.u
La seconda parte l'ho scritta ascoltando Like Dreamers Do, anche per questo motivo ci ho inserito una piccola parte del testo.. sara' una canzone molto importante anche per la vicenda tra Paul e quella tizia che si chiama come Carla di Scrubs ma con la “y” finale. (ho parlato troppo! O.O) Pero' la melodia segnava molto bene l'atmosfera che volevo inserire in quella parte; non so se ci sono riuscita, ma mi diverto ad associare canzoni alle varie scene che descrivo. XD Ora passo ai commenti, per cui ringrazio con tutto il cuore. <3 Grazie anche a chi legge e basta! :D

Zazar90: Awwh, Rob piace molto anche a me. <3 *fischietta* e Seamus e' il migliore! O_O *prende Seamus per le zampette e si mette a correre con lui, come Paul sulla clip di Something* Paul che si volta con fare teatrale. *guru* Sono parti che mi vengono naturali da assegnare, involontariamente, e me ne sono accorta solo dopo.. XD Pero', tu dici? Forse sono io che vorrei che ogni mio personaggio avesse una vita propria, ma non mi accorgo di alcune cose che faccio. xDD Insomma, grazie. :D Eeehh, la zuppa. *fischietta, di nuovo, mentre George afferra il biscotto* Ma non ti preoccupare, Meg e Ringo faranno zozzate mooolto presto!! *_* (MUAHHAHAHAH.) Ok, basta sclerare. U_U Grazie mille, Zaz! *w*

Ariadne_Bigsby: Eeeh, Paul era un po' depresso all'inizio del capitolo (anche se la vocetta non era tanto depressa. XD), ma vedrai che nel prossimo capitolo tornera' davvero in grandissima forma e spacchera' tutti!! O__O (MUAHHAHAHAH, e due. U_u) ma non me lo rendere paranoico, eh. D: John, la nostra catastrofe ambulante che miagola – e che ha rotto il mio vaso a forma di ufocicc!! D: Vabbe', su. *__* E vedrai che Meg e Ringo inizieranno presto a far zozzate e cosacce, almeno, finche' Ringo riesce a farsi avanti e Meg smette di essere paranoica! u_u Fuoco e fiamme, dici? Heeehh, ci sto pensando su. *w* Allora grazie mille, Biancaaaa! *__*

Andry Black: Tra i preferiti?? Oh, grazie Andryyy!!! *____* E' una cosa che cerco spesso di fare, quella di equilibrare tra varie emozioni, pero' non sapevo di riuscirci.. ancora grazie! :D E chissa', i rapporti tra Meg e il padre sono molto complicati.. (MUAHHAH.. no, non una terza volta! o_o) Eheh, si nascondono varie cose tra Meg e Paul.. *fischietta per la terza volta* e nel prossimo capitolo rientra in scena, quindi chissa'! *sisi, fischietta ancora. XD* Allora spero che questo capitolo sia di tuo gradimento! *_*

Night Julia Holly: Hai cambiato nick!! Bellino. *_* Anche a me sta venendo voglia di cambiarlo; piu' che altro, per togliere il The davanti a Thief, che non mi piace.. comunque. u.u Grazie per le precedenti recensioni!! *___* Pero' si, povero Ringhino.. t_t non si merita di essere trattato cosi' da Meg. D: Ma Meg non puo' resistere a lungo al fascino di Rings!! Non e' vero, Ringhino? *w* *Ringo mi guarda molto male* Ma.. ma.. D: Stop, che Rog mi uccide seriamente. u_u John se la gode, hehe. *w* ma saro' pure io di parte, chi lo sa? *ooh, ma che bello fischiettar alla luce dell'alba* Grazie ancora e non preoccuparti. :D

 

Ora vado, grazie ancora a tutti. *-* Peace & Love! \m/ Hare Krishna!
Aaaaaaaaim living in an AIS EIGI. u_u *parte Ice Age dei Joy Division e poi, [doppia sigla. u_u] Like Dreamers Do*
Mi viene solo adesso in mente che ho inserito anche una citazione a Rain. D:

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Capitolo 6
*** La bionda, la rossa e Layla. ***


 

John si stava tracannando la terza bottiglia di birra della serata con voracita' davanti agli occhi pieni di ammirazione del castano, se quella era ammirazione, e quelli chiaramente sconvolti di Guy, seduto accanto all'altro amico, vestito con un grosso giaccone scuro e le occhiaie piu' scure di quando l'avevo incontrato per la prima volta. Il castano batteva i piedi per terra, ridendo, e incitava John a finire la bottiglia in fretta – fini' che John scoppio' a ridere e sputo' tutta la birra, per la mia gioia e di una cameriera che gli tiro' un sonoro schiaffo.
George fece una pernacchia verso John, che si massaggiava la guancia meditabondo, e bevve un altro lungo sorso dalla birra bionda che teneva in mano. “Cosi' impari!” disse, dopo essersi leccato le labbra. Dietro di lui, appoggiato al bancone con un'aria persa, Ringo stava zitto a osservare. Io mi rigiravo la Coca tra le mani, ridendo nei momenti opportuni e correndo quando si doveva correre, anche se non corsi, quella sera. Avevo deciso di non bere, quel giorno. Forse rimanere sobrio per una giornata mi avrebbe aiutato a moderare i toni, a regolare le mie varie sveltine, leccatine e il resto. Quella stronza di Puffetta, la vocina che mi perseguitava da tempo, continuava a torturarmi. Come sottofondo alla sua vocetta stridula, la ormai classica “Rock Around the Clock” di Haley la accompagnava, suonata da un quartetto formato da due chitarre, un timido bassista con i capelli rossi e un batterista che sembrava visibilmente annoiato.
Datti una calmata, mi sgridava Puffetta, con un tono severo. Hai usato almeno i preservativi? Ah, ragazzo, considerero' il tuo silenzio come una risposta negativa.. aspettati una grande famiglia! E hai mai pensato che tutte quelle ragazze sono solo delle innocenti diciassettenni, magari anche fidanzate? Rifletti prima di agire, McCartney!
“Zitta, Puffetta del cazzo!!” urlai, arrabbiato, scuotendo la testa per liberarmi da quella maledetta voce che mi perseguitava dall'assurdo collasso psicologico di quella mattina. Mi ritrovai dopo meno di cinque secondi con gli occhi di John, George e i suoi due amichetti addosso, a fissarmi come se fossi un chissa' quale fenomeno (anche se rimango comunque un fenomeno, sia chiaro) da baraccone. Ringo era ancora troppo occupato a fissare il suo amato vuoto per concentrarsi su di me, ne fui sollevato. Ma questo non bastava.
“... sono sicuro che questi ci stanno drogando.” disse Guy, ad un certo punto, posando cauto il suo bicchiere di cocktail. “Hanno messo qualcosa dentro la birra. Ne sono certo.” concluse, teso come il legno.
“Mac, adoro il modo in cui vai fuori di testa.” commento' John, imitando la vocetta di una ragazza in calore.
“Ma.. ma.. Paul! Allora quella Coca sballa, eh? Posso averne un po'?” chiese George, avvicinandosi.
“Alt, alt!” replicai, fermandolo con la mano alzata. Era meglio se ne approffittavo per dimostrare che io sapevo come rispondere a ogni evenienza – anche se non era proprio vero. “Non si tocca la Coca di Paul McCartney!”
Sentii una risata provenire dai due amichetti tedeschi – anche se non erano proprio tedeschi – di George. Guy aveva ricominciato a bere il suo cocktail rozzo di limonata, birra e vino bianco alzando gli occhi al cielo, il padrone di Seamus – non ricordavo il suo nome – aveva un enorme sorriso inquietante stampato sul viso mentre grattava il collo del cane. Aveva l'aria poco lucida, le sue guancie si erano arrossate per l'effetto dell'alcool e per il caldo all'interno del locale. Notai solo allora (ecco il motivo per cui, per un lungo periodo, John si ostino' a chiamarmi
Paolino dall'occhio lungo e il pie' veloce) che teneva una custodia di chitarra con se, per terra, accanto allo sgabello su cui stava seduto. Seamus si era sdraiato accanto alla custodia, come fanno i cani da guardia per proteggere qualcosa.
“Paul McCartney.. chi?” domando' lui, tra il provocatorio e l'ironico. Distolsi l'attenzione dalla custodia e deglutii prima di dare la mia risposta, una delle mie solite uscite – che onestamente amavo per pura vanita'.
“Mai sentito parlare di Paul McCartney? Il bassista dei Beatles che conquistera' il mondo!”
Lennon sbuffo', tutto rosso anche lui,
“Ha! E ricomincia con le sue manie di protagonismo! Pensavo che ti fossi un po' calmato, Paolino caro.. Beh, fly down, Macca!! Il mondo sara' mio, solo mio.” e imito' con successo un'inquietante risata che sembrava essere stata scopiazzata da un pessimo film horror vampiresco di qualita' ridicola. John il vampiro? Non ci volevo proprio pensare..
“Vi sbagliate di grosso! Io e Ringo ci uniremo in un'alleanza e combatteremo per conquistare il mondo prima di voi! Mangeremo le noci di Macadamia in Australia assieme ai canguri e divoreremo le coltivazioni di tuberi nel Sud America!” urlacchio' George, salendo sul bancone nonostante tutte le lamentele delle persone che stavano accanto a noi – “Metta via il sedere dalla mia faccia!” – e a quelle della cameriera dello schiaffone.
“Ma sentilo, il nostro Harrison.. una bituplice alleanza non ti salvera' il culo!” E fu il turno di John a fare la pernacchia.
“Ti sbagli John, e io lo dimostrero'! Vero Ringo?” George si chino' verso di lui, che non parlava. “... Ringo?”
Ringo stava bevendo con lo sguardo perso nel vuoto. Era l'unico che stava zitto, il che era davvero strano. Di solito era quello che rideva e che ci faceva ridere, gli bastava solo uno di quei suoi sorrisi impacciati e la giornata sembrava andare gia' meglio per lui. Forse la birra lo rendeva piu' debole – oddio, ragiono come un alcolizzato! – ma non ci pensai troppo. Non ce n'era bisogno, era solo.. un po' giu'.
“Ehi,” dissi, scuotendolo per il braccio, “Tutto okay?”
“Mmh.. eh?” Parve risvegliarsi solo in quel momento. “C-certo.”
“Oh, e meno male! Pensavo stessi iniziando a deprimerti anche tu! Ormai e' una malattia diffusa...” dissi, cercando di risultare il piu' ironico possibile. Lui mi rivolse uno sguardo disorientato.
“Chissa' da chi e' cominciato il morbo.. coff.” disse George, appostato ancora
sul bancone, interrompendo la frase con un colpo di tosse. Lo fulminai, provocandogli una risatina convulsa. Bene. Stavo migliorando!
“Un attimo, ragazzi...” mormoro' John, stropicciandosi le palpebre. Si guardo' attorno, alla ricerca di qualcosa; sembro' arrendersi solo dopo pochi attimi, osservando quindi Guy e l'altro ragazzo con un'espressione sconfitta. “Robby, Guy? Dove.. dov'e` quella ragazza con i capelli rossi? A.. Anna?” chiese. Sul suo viso iniziava lentamente a incresparsi un sorriso malizioso, il solito, quello che mi faceva paura.
“Anna?” Robby, quello con i capelli castani e gli occhi azzurri – e il cane –, storse le labbra.
“Hm, intendi la Barton?” disse Guy, fessurizzando gli occhi, come per mettere a fuoco il viso del suo interlocutore.
“Si', insomma, quella con i capelli rossi! Dov'e`?” aggiunse John. Sembrava frettoloso.
Me lo chiedevo anch'io, a essere onesto. Avevo notato che non c'era nemmeno la bionda, la ragazza che, secondo quello che mi aveva raccontato George, stava aspettando Guy e Robby, il tizio del cane. Le domande al suo riguardo dentro la mia testa caddero quando lei stessa varco' la soglia del pub, chiaramente incazzata anche da lontano, stringendo il polso di un'altra. La rossa, quella che voleva John.
Erano due figure completamente opposte: una sembrava sicura di se, l'altra teneva la testa bassa e si stringeva per nascondere le sue curve con il poncho. La bionda, che doveva chiamarsi Meghan se la memoria non mi ingannava, si guardava attorno, sprezzante; la fronte aggrottata, i capelli raccolti in una coda di cavallo, il vestitino colorato che raggiungeva le sue ginocchia.
Anna, se questo era il suo nome, continuava a coprirsi il viso, come se stesse singhiozzando.
“Oooooh, eccole! Parli del diavolo..” Robby fischietto', agitando la mano verso di loro, invitandole ad avvicinarsi.
John si era completamente imbambolato. Riuscivo a capirlo, anche perche' non era brutto – anzi – vedere due ragazze che camminano mano per mano, anche se in quel caso non era proprio
mano per mano.
“Ehi, Meg! Andi! Siete arrivate in tempo!” esclamo' Guy, sorridente. “Stavamo per far bere birra a Paul McCartney il bravo ragazzo.” ghigno'. Mi sentii ribollire. Stava dicendo quelle cose davanti a due ragazze.. Il mio orgoglio ne sarebbe uscito distrutto.
“Che c'e` di male nel non bere birra per un giorno?! Lo dice anche Puffetta!!” urlai, imbarazzatissimo.
“Puffetta?” borbotto' George, scendendo dal bancone. “Comunque, Paul.. Non c'e` nessun male nel stare senza birra, anzi.. pero' non e' evitando gli alcolici che eviterai le solite lagne.” spiego'.
George: il nostro personale saggio cinese. Mi veniva voglia di dedicargli un lungo minuto di standing ovation con un sonoro applauso ma decisi di starmene li' a guardarlo, allucinato. Si', in fondo un bicchierino non mi avrebbe fatto male.
“... e che cazzo, datemi una birra va.” Mi arresi.
Prima di poter ordinare, qualcosa mi prese per il colletto della camicia. John, con le labbra appiccicate al mio orecchio, sussurrava: “Allora, Paolino.. patti chiari e amicizia lunga, la rossa l'ho prenotata io, chiaro?”
Sbuffai. Perfetto, John aveva gia' tutto in mente fin dal principio. Povera Cyn.
“Allora mi prendo la bionda, che palle.” gli risposi, allontanandolo bruscamente dalla mia faccia.
Scosse la testa, scuotendo di conseguenza i suoi capelli castani sul mio naso. Rischiai di starnutirgli in faccia, ma non lo feci, purtroppo. “No, la bionda e' di Ringo.” ghigno', maligno. Odiavo quando faceva cosi'.
“Fantastico.” borbottai, acido.
Non so come successe, ma un secondo dopo mi ritrovai in una lurida cabina del bagno femminile a tenermi con le unghie al rotolo di carta igienica e al cestino, seduto forzatamente sul coperchio del water, sotto il peso di un'altra ragazza sopra di me. Stava succedendo un'altra volta, non ero abbastanza lucido per reagire e non volevo nemmeno farlo. Non riuscii a vedere il suo viso, la luce del bagno – che puzzava di urina – era troppo debole e entrava da fuori la porta; una luce giallastra e malsana, come l'ambiente. Mi stava venendo la nausea.
Quella ragazza mi stava costringendo a baciarla, tenendo la mia testa stretta, staccando ogni tanto le braccia per slacciarmi i pantaloni e abbassare la zip.
Stai.. fermo.” mormoro', sentendomi agitare.
Mi morse violentemente il labbro inferiore; dovetti trattenere un urlo, ma riuscii comunque a mugugnare qualcosa di incomprensibile persino alle mie orecchie. “Stai fermo!” Stavolta urlo', esasperata. Sentii il suono di una lampo che si abbassa e la perenne puzza di pelle allontanarsi, il tonfo di qualcosa che cade per terra mi fece sussultare, si udirono dei tintinnii. Si era tolta il giaccone di pelle e l'aveva gettato per terra, poi aveva fatto lo stesso con la maglietta che teneva sotto, probabilmente una camicetta senza maniche.
Stavo soffocando, ma evitai di dirglielo.
Stai al suo gioco, fu l'unico commento sensato che mi fece Puffetta.

 

Il mattino seguente, accennai ad uno sbadiglio prima di aprire completamente gli occhi e scoprirmi ancora una volta a letto con una sconosciuta. Questa, a differenza dell'altra, la ricordavo, ma non conoscevo il suo viso. Sapevo solo che, nel mezzo della sera, con i sensi che andavano e venivano, qualcuno mi aveva afferrato per il braccio e mi aveva trascinato dentro il bagno delle femmine. Quel qualcuno era accanto a me, dandomi le spalle.
Dopo aver dato un'occhiata attorno a me, scoprendo con sorpresa che quella era la stessa stanza in cui poco tempo fa' avevo sofferto per un'influenza, osservai quella figura di cui non avevo ancora visto il viso. Aveva i capelli lunghi e scuri, mossi. Accompagnata dal suono delle lenzuola che si muovevano, si alzo' dal letto e si diresse verso il bagno. Accese la luce e si sciacquo' il viso.
Riuscii a vedere il suo profilo, poi il suo viso.. Spense nuovamente la luce e apri' le tende, lasciando entrare i raggi del sole.
Si vesti' velocemente, senza dire nulla. Dopo un'ultima sistemata ai capelli e alla giacca in pelle, fece per uscire dalla stanza. Mi coprii con le coperte e allungai il braccio verso di lei per trattenerla. Lei si volto' di scatto verso di me, sembrava arrabbiata e doveva aver fretta, motivo per cui forse aveva deciso di allontanarsi cosi' in fretta. Ingoiai la saliva e mi decisi di porgerle le mie scuse non appena tutti i miei dubbi si sarebbero risolti.
“... ciao.” mormorai, arrossendo.
“Cosa vuoi? Devo andare, sbrigati.” Aveva un accento molto forte, come lo era la sua voce.
Mi grattai la testa con la mano libera, optando quindi per la domanda piu' comune. “Come.. ti chiami?”
Vidi una luce sprezzante attraversare i suoi occhi scuri, anonimi; alla fine, accenno' ad un sorriso.
“Layla.”
E mi chiuse la porta in faccia.
Layla..
Layla?
Conoscevo gia' una ragazza di nome Layla, incontrarne addirittura due di ragazze con quel nome era davvero stravagante. Andai a sdraiarmi di nuovo sul letto, coprendomi gli occhi con le mani. Grandioso.. avevo appena trascorso una notte a scopare con una Layla, nonostante mi fossi ripromesso che non avrei piu' fatto delle cose del genere. Ero davvero bravo, con i propositi..
Puffetta taceva. Sorrisi, da quanto tempo aspettavo quel silenzio dentro la mia testa!
Quel silenzio venne pero' interrotto dall'Elvis cattivo che sfondo' la porta dell'anticamera del mio cervello e si mise a imprecare.
Cazzarola! Possibile che la mia testa dovesse sempre essere cosi' affollata?!
Le mie riflessioni intelligenti –
se – si interruppero quando sentii tre colpi. Bam, bam, bam.
Paulieee.. aiutami, porca miseria!..” frignava John dall'altra parte della porta.

 

 

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Sono riuscita ad aggiornare! Allora.. non mi dilungo perche' ho poco tempo, come al solito.
Ed ecco che entra in scena un'altra ragazza, la solita. U_U In verita' non e' inventata qua su due piedi, poiche' ce l'avevo in mente da un po' di tempo ed esisteva anche nella scorsa fiction, anche se e' stata solo nominata in un modo poco elegante da.. chiariro' dopo. XD E so gia' l'identita' di questa ragazza, ma la svelero' nel prossimo capitolo. Cioe', l'attrice che interpreta Layla nei miei trip mentali.. io so gia' chi e'. D:
Non aggiungo altro poiche' sono di fretta, pero' ringrazio di cuore
Zazar90 e Andry Black per le recensioni! *__*
Povero Paolino, sta messo emo sta messo. Si fa pure i problemi esistenziali, povero ragazzo.. XD
Hare Krishna, Krishna Krishna.. :D Peace & Love everybody, everywhere! Good night. <3

E se e' pomeriggio.. errrhh.. Good Day Sunshine! Mentre se e' il mattino, Good Morning, Good Morning, Good.. basta.

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Capitolo 7
*** Solo una persona mi chiamava Maggie. ***


 

Liverpool, settembre 1962.
Uno dei motivi per cui certe volte non mi sarebbe dispiaciuto vedere la Barton appesa ad un albero era la sua ossessiva insicurezza. Testarda, piagnucolona e con milioni di dubbi, dubbi su dubbi e altri dubbi. Non la odiavo, anche se certe volte provavo un poco di ostilita' nei suoi confronti. Ero abbastanza protettiva con lei, se non ricordo male, ma non sopportavo di dover essere io la sua guardia del corpo, la sua consulente e la sua mammina.
Passai circa la meta' della serata a incoraggiare la Barton, poste entrambe fuori da un pub che, a quanto scoprii piu' tardi, era gestito dall'ex batterista del complesso in cui era entrato per puro divertimento – i Crystals di Kevin, all'epoca diciottenne, con un accento da sangue blu che irritava un po' tutti noi. Lo chiamavano Ryan, non ricordavo bene il suo viso; avevo dei ricordi un po' sfocati, in quel periodo. Non ricordavo niente con precisione, avevo memorie a scatti e riuscivo a ricordare un paio di episodi – i furfanti che avevano cercato di spogliare la Barton, la rissa in cui Guy era rimasto coinvolto durante i nostri ultimi giorni di soggiorno.. tutto sembrava confuso e anonimo all'interno della mia testa, con quei frammenti non potevo ricostruire una tappa della mia vita e la mia infanzia.
Fu solo in quella serata che mi venne in mente che uno dei ragazzi che ci aveva presentato Rob mi era familiare. Ma l'immagine che avevo dentro la mia testa non corrispondeva: ricordavo un teddy-boy con gli occhi azzurri seduto davanti ad un muro con i mattoni sudici, il viso appoggiato alle ginocchia alzate e le due mani sotto il mento coperto dalla barba per stare piu' comodo.
“Oh, ciao Maggie.” diceva, abbandonando la sua espressione malinconica. “Allora? Cos'hai letto oggi?”
“Meg? Va tutto bene?”
Mi voltai verso la Barton con un sorriso tirato, mordendomi la lingua per trattenere un ringhio infastidito. Sotto la luce calda proveniente dall'interno del pub, notai che si era messa a piangere. Ecco,
di nuovo. Era la seconda volta che si metteva a frignare, quel giorno! Rischiavo un serio attacco di nervi quando stavo con quella ragazza, sempre a piangermi addosso e a lamentarsi che i ragazzi cercavano di toccarla e di fare porcate con lei. Ah! Che nervoso che mi veniva!
“Certo, va tutto bene! … Va tutto
bene!” feci una pausa. “Va tutto bene, Meg, va tutto bene..”
“A.. a me non sembra che vada tutto bene. Va tutto bene per davvero?”
Aaaah! Miseriaccia, non poteva starsene zitta?!
Si' frignona, va tutto bene! Io sto bene, tu devi stare bene, tutti noi sorridiamo e il sole e' alto in cielo anche se sono praticamente le nove di sera! E ora ZITTA!
Questo avrebbe dovuto essere la mia risposta, quella che carezzavo con orgoglio. Invece annuii. Annuii e basta.
Lei si asciugo' le lacrime che stavano cadendo dalle sue palpebre e si sedette sul marciapiede, coprendosi con il poncho per non sporcare i pantaloni. Mi sedetti accanto a lei, seppur con malavoglia. Con un breve gesto mi sistemai il vestitino colorato, quello con le decorazioni a fiori, anche se non mi piaceva molto. Avevo la stessa taglia della Barton, non avevo molti vestiti e spesso li scroccavo da lei, tanto per coprirmi in mancanza di vestiti. Ero dotata di dignita', non potevo andarmene nuda per le strade di Liverpool e, soprattutto, visto che era l'estero e mi ero portata dietro solo tre cambi di vestiti e dieci mutandine con altrettanti pacchetti di assorbenti (visti i rischi puramente femminili con il ciclo, che mi era appena venuto..), Amburgo.
“Allora, ti senti meglio? Possiamo entrare?”
“Non lo so...” la Barton si tiro' su col naso e nascose la sua testa tra le gambe. “Mi sento in imbarazzo, la' dentro ci saranno un sacco di ragazzi.. Non me la sento di entrare, e se cercano di nuovo d-di...”
“Non oseranno,” affermai. “Perche' tu gli tirerai un calcio tra le gambe!
E' facile!” Un altro sorriso tirato.
La Barton sgrano' gli occhi. “Ma.. ma.. non gli fara' male??”
Argh. No, questo non potevo proprio reggerlo.
“Oh, non ti sopporto piu'!
Devi fargli male, altrimenti non ti lasciano e.. e.. ti fanno male loro!!”
“Pero' e' un po' crudele.. mia madre una volta mi ha detto che il punto piu' sensibile del corpo degli uomini e' proprio l'inguine,” Impallidii. Cioe', sua madre le diceva quelle cose?! Eccheccazzo! “E mi ha anche detto che alcuni muoiono per un colpo troppo forte al loro organo sess..”
“ZITTA, 'STA ZITTA!! Non voglio sentire altre storie su organi sessuali!!!” urlai, in mezzo ad una crisi isterica.
Solo in quel momento sembro' accorgersi di quello che aveva appena detto, divenne tutta rossa e si copri' la bocca con entrambe le mani vergognandosi di aver detto quelle cose. Oh no, ora cadeva di nuovo in trance...
“Dai, entriamo e non perdiamo altro tempo, marsh!” sbottai.
Le afferrai il braccio e, visto che lei non opponeva resistenza sebbene con qualche esitazione nell'alzarsi, la trascinai con poche difficolta' dentro il baretto mentre un residuo di un teddy-boy si era fermato a guardarci con sguardo allupato.
Dentro il locale c'era una terribile puzza di alcool, la musica era anche fin troppo alta e c'erano ragazzi tra i sedici e i venticinque anni un po' ovunque. Guy e Rob – quei due approffittatori egoisti – mi avevano detto che ci aspettavano (“aspettare” nel senso in cui lo intendevano loro..) sul bancone. Dovevo solo cercare il bancone, non doveva essere cosi' lontano dall'ingresso, ma io non vedevo nulla.
“Ehi, Meg! Andi!” sentii allora. Era Guy, mi voltai e vidi che stava seduto su uno sgabello sorseggiando una bevanda che non riuscii a identificare. “Siete arrivate in tempo! Stavamo per far bere birra a Paul McCartney il bravo ragazzo.” disse indicando il ragazzo seduto accanto a lui con l'indice della mano libera.
Lo ignorai. Era solito ad avere atteggiamenti molto contrastanti tra di loro: un momento a non prendere niente sul serio, l'attimo dopo a farsi a botte con un l'ubriacone di turno che pomicia la ragazza su cui si e' puntato lui.
Robby si era portato dietro la sua
Peggy, grandioso... Il solito esibizionista. Ma il suo amico non era da meno, in piedi sul bancone. Scese con cautela e torno' a sedersi su uno sgabello vicino a quello di Rob, cercando la sua birra.
Un peso mi spinse all'indietro; rischiai di inciampare su me stessa, andando a sbattere con una caviglia contro l'altra gamba ma riuscii a tenermi ad un tavolo che, per fortuna, era vicino, e tirai un sospiro di sollievo. La Barton sembrava preoccupata e aveva ancora il viso umido – lo notai dalla luce sulla pelle. Si avvicino' a me stringendosi ancora di piu' sul suo poncho e abbasso' lo sguardo.
“S-stai bene, Meg?” chiese.
“Certo, sto una meraviglia!” risposi, sottolineando il fatto che
non stavo affatto una meraviglia nel tono. “Dai, ti compro un panino e una Coca, andiamo a sederci da qualche altra parte.” e la invitai a sedersi su quel tavolo che mi aveva salvato la vita. Con la coda dell'occhio notai che il peso si era messo a sussurrare qualcosa nell'orecchio del perfettino sobrio e malaticcio – quello che si era letteralmente buttato sul cane, la scorsa volta – e scossi la testa con disappunto. Non ci voleva molto per capire di cosa parlassero, anche se li conoscevo da appena... quarantott'ore? Non li conoscevo da molto, direi, ma tanto tutti i ragazzi sono uguali. Pensano tutti solo al sesso, io lo sapevo meglio di loro stessi.
La Barton allora si schiari' la voce svegliandomi dalle mie riflessioni – colme di rancore, come al solito.
“Meg.. vado a prendere qualcosa da bere. Torno subito.”
Feci spallucce. Insomma, non poteva essere cosi' sfigata da mettersi nei pasticci in due secondi, poi non potevo controllarla ogni minuto della sua vita. Si allontano' dal tavolo con insicurezza, camminando molto lentamente, un passettino alla volta. Bastava che qualcuno la sfiorasse per sbaglio e subito rabbrividiva. Digrignai i denti, okay, l'avrei seguita anche quella volta.
Lei era gia' a buon punto, era davanti all'altro lato del bancone – quello a destra, in fondo al locale, perche' il mobile era molto lungo ed era semiquadrata – e aveva gia' aperto la bocca per parlare al cameriere quando una figura comparve alle sue spalle. Sussultai e mi bloccai, rimanendo nascosta dietro ad una coppia di fidanzatini che saltellavano al ritmo dell'ennesima cover scarsa di un successo anni Cinquanta. Quella figura era il
peso che mi aveva spinta via; tutto fu molto piu' chiaro.
Quando sentii un urletto dalla Barton – la
figura le aveva toccato le spalle senza che lei se ne accorgesse – mi decisi che dovevo sbrigarmi a entrare in azione. Altrimenti potevo tranquillamente sorbirmi in un doloroso silenzio le prossime giornate che mi aspettavano, abbracciando e cercando in tutti i modi di tirare su il morale a quella bambolina piangente di porcellana.
Mi avvicinai senza farmi vedere, nascondendo la mia faccia dietro la gente che ballava, per ritrovarmi alla fine seduta su un tavolo rotondo subito di fronte ai due. Avrei potuto avere un giornale davanti alla faccia, come nei film stupidi degli anni Cinquanta, pero' ci rinunciai e rimani li' senza fare un minimo rumore.
“Ehi, ciao..” disse lui. “Scusa se ti disturbo, ho visto che stavi da sola e pensavo di poterti aiutare, in qualche modo..”
Sbruffone. Aiutare un corno, che aiutasse me invece, per non obbligarmi a fare la psicologa a tempo pieno!
Ribollivo ma me ne stavo zitta. E la Barton che si era girata verso di lui, neanche si era accorta di me. Aveva proprio dei riflessi di merda... Mi spiaccicai la mano in fronte e rimasi ad ascoltare il resto del dialogo senza perdere tempo in altri commenti dentro la mia testa.
“No, g-grazie.. Io.. io volevo s-solo una Coca.” mormoro' la Barton, esitante.
“Offro io, ti va?”
“N-n.. NO! P-pago io, non ti devi disturbare.”
“Ma quale disturbo, per me e' un piacere sai?” rise.
La Barton stava quasi per sprofondarsi per terra dall'imbarazzo e riuscivo a vedere la stoffa della gonna che tremava.
L'altro ragazzo si mise accanto a lei, la affianco' voltandosi verso l'altra parte – motivo per cui mi alzai immediatamente per spostarmi in un tavolino piu' all'ombra, e loro nemmeno si accorsero di me.. babbioni, entrambi. Il ragazzo, che riconobbi come John, sorrideva sereno e frugava nella tasca dei pantaloni alla ricerca di qualcosa – soldi? Il tono, mentre parlava, era molto tranquillo, privo di alcun'intenzione brusca nei confronti della Barton. Meglio per lei, meglio per me e meglio anche per lui, cosi' non si beccava un cazzotto in faccia dalla sottoscritta e nemmeno un calcio nelle palle.
“Allora, cosa vuoi prendere?”
“I-io.. Due bottiglie di.. due coche.”
“Oh, due? E come mai?” I suoi occhi illuminarono.
“Per me e.. e per Meg.” la Barton chino' il viso e tacque.
“Aaaah.. la bionda! Capito!” John scoppio' a ridere. Scemo.. che ci trovava di tanto buffo?
Poi si volto' per sussurrare qualcosa nelle orecchie del cameriere, che ricevette i soldi, annui' e si inginocchio' per prendere due scure bottiglie di vetro dal piccolo frigorifero sotto il tavolo e le porse all'altro. Nel frattempo, la Barton aveva iniziato a girarsi i pollici. Che noia.. rischiai di sbadigliare ma mi trattenni.
“Ecco, tieni.” John le porse le due bottiglie e lei, forse in un debole segno di gratitudine, piego' leggermente la testa all'ingiu' e fece per andarsene quando la sua mano la trattenne. Mi morsi il labbro, ora iniziava a fare sul serio...
“Aspetta, non vorrai andartene cosi'!” La sua voce era giocosa.
“... grazie.” bisbiglio' la Barton e tento' di scappare per una seconda volta, ma la stretta dell'altro era troppo forte. Sapevo che era mio dovere intervenire in quel momento, ma se avessi agito cosi', all'istante, mi sarei messa io stessa nei pasticci. Non potevo iniziare anch'io con questa storia della sfiga, rimasi seduta sul tavolino e guardai il proseguimento della scena.
“No, non e' questo che voglio.” Una risata. “Non so, non vuoi qualcos'altro?”
“N-niente, non voglio nient'altro.” la sentii dire, a fatica, perche' aveva una voce troppo bassa. I brividi che percorrevano la sua schiena aumentavano e il contatto con la mano di John la spaventava anche di piu'.
Deglutii, non volevo che si facesse del male. Non sapevo cosa fare, non potevo farmi scoprire da lui, ero in una situazione in cui non avrei voluto cacciarmi. Mi ricordava un film di spionaggio..
“Oh, ciao George.”
Alzai la testa per ritornare alla scena. Anche se leggermente coperto dalla testa di un ubriacone che stava bevendo, riuscii a intravedere con facilita' la figura smilza dell'amico di Robert, quello che era salito sul bancone. Almeno era arrivato in tempo.
“Ciao John! Cosa sta succedendo qui?” chiese George. Allontanandomi un po' dalla mia postazione di controllo – ormai per me era una postazione di controllo – vidi che aveva una bottiglia in mano e se l'era portata alle labbra, chinandosi un po' all'indietro per bere. John non sembrava tanto felice che il suo amichetto fosse li'.
“Niente, Georgino, niente.. Stavo chiacchierando con la nostra bella amichetta..” rispose lui a denti stretti.
“Oooh.. capisco!” Un inquietante sorriso prese posto sul suo viso, “Buona fortuna, eh.”
“Certo, certo.” John annui'. Quindi si volto' subito verso la Barton, che stava a testa bassa.
Portai le mani al viso, ero stanca di dover subire tutte le lagne e le lamentele della Barton ed ero stanca di doverla sorbire come l'angioletto della situazione e la bella santarellina che non riusciva nemmeno a uccidere una zanzara.
Guy una volta mi aveva raccontato che sua madre l'aveva brutalmente buttato in alto mare durante una crociera per insegnargli a nuotare, alla sola eta' di cinque anni. Forse sua madre aveva fatto la cosa giusta; anch'io dovevo agire cosi': buttare la Barton in alto mare. Nonostante la mia coscienza si sgolasse nei tentativi di dirmi che dovevo agire, io stavo a guardare e ad aspettare che tirasse un calcio nei maroni di quel pervertito. Ma quando successe
per davvero, ci rimasi secca.
“AHIA,
SARABANDA!”
La Barton si copri' la bocca con le mani, incredula dal gesto che aveva appena compiuto.
Odd.. Oh Dio, s-scusa..” cerco' di scusarsi, guardando l'altro che era crollato per terra.
John era rimasto a bocca aperta.
“George, cazzo! Stai bene?!”
George stava sdraiato sul pavimento sudicio del pub incurvato su se stesso, stringendo i denti e trattenendo le urla. Era una visione quasi agonizzante, mi sentii quasi in colpa per aver dato alla Barton quel consiglio. Forse, nel mio inconscio, l'avevo dato per scherzo.. In fondo la Barton non era quel tipo di persona che riusciva a trovare il necessario coraggio per agire con grinta.
“Tu.. Tu, come pensi che.. che possa stare, eh?!” rispose; un gemito usci' dalla sua bocca.
“Ehm.. tranquillo, ora ti aiuto io!” disse John. “Almeno ho scoperto che sei davvero un uomo!”
“VAFFANCULO!” tossi' l'altro povero ingrato.
La Barton nel frattempo ne aveva approffittato per scappare via, forse troppo codarda per affrontare la situazione con calma. Sbuffai e decisi di entrare in scena, anche se forse era decisamente troppo tardi.
Superai un paio di teddy-boy e lattanti vestiti in pelle con piu' facilita' del necessario, riuscii quindi a raggiungere in fretta i due disgraziati. Perche' per me erano dei disgraziati, nient'altro.
“Non importa, ti aiuto io.” dissi, senza neanche preoccuparmi di salutare, e mi chinai subito su George.
John non sembro' nemmeno accorgersi del mio arrivo, si avvicino' all'orecchio dell'amico e gli disse, a voce alta – non c'era nemmeno bisogno di parlargli all'orecchio, mah, “Vado a cercare Annina, tu resisti!” e corse via.
Maledizione! Ma che, erano tutti babbioni li'? Li ricordavo con maggiori riflessi, i liverpooliani.
“John! T-torna indietr..” si interruppe per un conato che gli permise di alzare la testa, tenendosi lo stomaco.
Lo sostenni per la schiena, preoccupata per il suo stato. “Ehi, che ti prende?” gli chiesi.
Si piego' dal dolore, poi lo sentii mormorare: “Dubito che il prosciutto dei sandwich fosse fresco..”

 

Quel bagno puzzava. E anche tanto. Trattenevo il respiro mentre colpivo con vigore la schiena di George, per aiutarlo a rigettare tutto quello che aveva ingurgitato e bevuto quella sera. Era verde, sul punto di svenire, mi faceva quasi pena.
“Come ti senti, adesso?” gli chiedevo ogni tanto, con una premura che non sapevo di possedere.
“Ho lo stomaco un po' sottosopra..” rispose lui alla mia ennesima domanda staccando la testa dal gabinetto, imbarazzato, con una voce flebile. “Per il resto, bene..”
“Sono.. felice.” commentai, senza sapere quale tono avrei dovuto usare per una situazione simile. Gli avevo tolto la giacca e l'avevo appesa al rotolo della carta igienica, avevo allentato la cintura e sbottonato la camicia per farlo respirare. Lui mi aveva lasciato fare e si era appoggiato a me; diventai tutta rossa, ma lui si stacco' immediatamente, per mia fortuna.
Anche dopo avermi detto che la nausea gli era passata, continuo' lo stesso ad attaccarsi al gabinetto, sofferente. Gli tolsi la camicia – cosa che volevo evitare di fare – e la usai per asciugargli il sudore dalla fronte, ma era gia' umida e cio' non mi facilito' le cose. E nella cabina subito accanto a quella in cui ero entrata c'erano due deficienti che facevano l'amore. Cavolo, non potevo mai avere un momento di pace!
“Meghan..?” lo sentii farfugliare, con quegli occhi che sembravano implorarmi aiuto. “G-grazie..”
“Non preoccuparti, e' un dovere.” risposi subito, cercando di essere chiara e concisa. Non volevo dilungarmi troppo con le gratitudini da parte di quel George che conoscevo da appena.. due giorni? Forse di meno.
Lui sorrise debolmente, lasciandosi quindi cadere sul lato opposto del bagno, privo di sensi. Privo di sensi, a petto nudo e con la cintura slacciata. Era meglio se me la squagliavo prima che qualcuno avesse potuto fraintendere. Almeno io ero vestita.
La giacca in pelle era appesa sul rotolo, la camicia era accanto al suo sedere e gli avevo messo le scarpe sopra quello che rimaneva delle calze, tutte bucherellate. Perfetto, potevo andare. Aprii la porta del bagno e scappai in fretta, commettendo il grosso errore di lasciare la porta socchiusa, ma non me n'ero neanche accorta, dal momento in cui avevo una fretta terribile di lasciare quel posto maleodorante.
Uscii dal bagno delle femmine sbattendo la porta alle mie spalle, rabbrividendo al pensiero di essere stata a contatto con uno sbronzo e di aver avuto il vomito di un'altra persona a poca distanza dalle mie mani. Misi una mano sopra gli occhi per focalizzare meglio la situazione che si era creata nel locale in mia assenza: il gruppo di prima non c'era piu', in quel momento stava suonando un altra persona, accompagnato solo da una chitarra. Ebbi un colpo nel scoprire che quella persona era Robby.
Le persone ballavano, ascoltavano e stavano in giro per il locale, quasi tutti ubriachi fradici. Guy si era seduto in uno di quei tavolini accanto al bancone, a bere in privato. Sotto il tavolo, Seamus stava dormendo.
Avrei voluto salutare Guy, ma dovevo uscire all'istante da quel posto sgradevole altrimenti mi sarei messa anch'io a vomitare. Mi buttai letteralmente all'uscita, senza neanche riservare un'occhiata a Rob.
Pero' ero contenta che avesse ripreso la chitarra in mano. Era la sua passione, e io ben lo sapevo.
Con un lieve sorriso sulle labbra, uscii dal pub e il primo pensiero che percorse la mia mente fu
“Sono libera!”, senza sapere che quella liberta' interiore non sarebbe durata a lungo. Una mano mi prese per il polso, scacciai un urlo dallo spavento e subito dopo sentii un'altra mano tapparmi la bocca e trascinarmi via. Avrei voluto mordere quella stupida mano che osava prendermi in quel modo, pero' qualcosa mi diceva di stare al gioco.
La luce fioca del cielo scompari' in fretta e finii in mezzo a dei sacchetti della spazzatura, al buio completo, almeno finche' la stessa mano decise di trascinarmi dentro un altro bagno – ancor piu' maleodorante del precedente – che si trovava dietro un ristorante subito accanto al pub, in mezzo agli avanzi di pesce e di pasta asciutta.
Click, la luce si accese. Socchiusi le palpebre dall'impatto che subii con la visione prematura della luce in seguito al buio del vicolo, ma fu facile abituare gli occhi alla luce, poiche' era abbastanza debole.
Il viso che mi ritrovai davanti fu l'ultimo che mi sarei aspettata di vedere. I suoi occhi azzurri mi scrutavano, fermi, e le sue labbra erano tese in una smorfia piena di ansia; deglutii, non sapevo cosa dire nel caso avessi aperto bocca, quindi non la aprii. Lui continuava a stringermi il polso sinistro e io, inconsciamente, incominciai a tremare. Una vocina mi suggeriva di sputargli addosso ma era meglio se non mi cacciavo in altri guai.
“M-Maggie..?” disse allora lui, insicuro.
Solo una persona mi chiamava Maggie, oltre a Guy e Robby, ma non ricordavo chi.
“Si'?” Alzai un sopracciglio, sentendo che la tensione stava scendendo.
“Non.. non ti ricordi di me?” domando'.

 

 


 

See Emily Play
WAAA, HO AGGIORNATO! *risata malefica*
Questo capitolo mi ha quasi occupato 5 pagine ma non mi ritengo del tutto soddisfatta; pero' almeno siamo entrati nel pieno della storia, superata la crisi depressiva iniziale. XD Povero George, si avvera la cosa del “quello che amo torturare”, ma continuo ad amarlo con tutta me stessa. *George la guarda malissimo, ma proprio male* Ma poi Andi doveva proprio colpire le palle di George? La mira di quella ragazza mi preoccupa assai. D:
Anche Georgino si riprendera' presto, penso che si riprenda nel prossimo capitolo, poi.. stop, John non e' ancora riuscito a ricordarsi il nome di Andi. u_u Annina, mah. Ah, una cosa buffa: ascoltavo musica dall'iPod scrivendo il pezzo in cui Meg e Andi discutono sul "cosa fare quando un ragazzo ti salta addosso" e mentre scrivevo la parte in cui Andi spiega che sua madre le ha detto che il *coff coff* degli uomini e' la parte piu' sensibile del loro corpo, ascoltavo The Lemon Song dei Led Zeppelin. Andatevelo ad ascoltare e leggete il testo, capirete cosa intendo. D:
Oggi saro' breve perche' ho poca voglia di rispondere. t_t Grazie a chi recensisce e chi legge, davvero! <3
Ah, presto provvedero' a mettermi a leggere le fic.. XD E' che in questi giorni sto qua e la'..

 

Zazar90: Er emo scopone. *____* E Puffetta la stimo anch'io anche se non invidio Paul che e' costretto a sorbirsi le sue lagne.. XD Poi anch'io amo troppo George che sale sul bancone. *w* E' che ce lo vedo troppo ad andare a conquistare il mondo con Rings. <3 E Andi ha un nome che solo John non ricordera' mai, povera la mia An. *patpatta Andi* E Layla? Eheh.. anch'io mi aspetto molto da quella tizia, basta solo che si comporta bene! U_U Allora spero ti sia piaciuto il capitolo, sorella! XD Grazie! <3

Ariadne_Bigsby: Paul sul lettino e' una visione magnifica. XD Poi io Puffetta la stimo, perche' e' figa! xDD Vorrei avere anch'io una vocina nella mia testa incarnata in Puffetta pero'.. niente da fare, somiglia molto di piu' a un coniglio. D: E come puoi vedere in questo capitolo, poi, John non demorde affatto con Andi! XD E Andi ha pure tirato un calcio nei maroni della persona sbagliata.. Bubu. t__t Susu pero', magari succede qualcos'altro, qui! ;) Su Layla.. si vedra'! :D Spero che il capitolo ti sia piaciuto! *_* Grazie! <3

teleri: Non ti preoccupare! ;D Comunque, gia', povero Paul.. ma ora gli passa tutta questa depressione, anche se temo che Puffetta lo accompagnera' fino alla fine. XD Eh pero', ad avercela Puffetta al posto della coscienza! La mia somiglia fin troppo ad un coniglio. D: Layla la devo ancora approfondire, si vedranno varie caratteristiche della sua personalita'.. ;) E in questo capitolo ci vuole un triplo “poverino” per il povero George.. come lo tratto. D: .. Grazie. xD <3

 

E ho finito. Ora vado, adieu. <3
*parte NSU dei Cream (che non si sa cosa c'entri ma vabbe')*
Peace & Love. (L)

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Capitolo 8
*** Possiamo cenare assieme, un giorno? ***


 

Mi svegliai con la testa che mi pesava come un macigno e un'insensata voglia di prosciutto.
Le cose apparivano davanti a me lentamente, iniziavo con il visualizzare i profili delineati dalla luce dei mobili, dei letti, poi i suoni. La risata cristallina della Barton raggiunse le mie orecchie, subito dopo udii delle urla.
Avevo i sensi sottosopra e mi sentivo come una persona che si sveglia dopo un coma: tutto sembrava in disordine.
Ho da sempre quel vago odio per il disordine e per le cose sporche, tutto dev'essere pulito e ordinato, la confusione fa girare la mia testa. Guy mi definiva una “maniaca dell'ordine”, ma non credo di essere proprio una “maniaca dell'ordine”, sono solo ordinata.
Tutto inizio' a diventare piu' chiaro e piu' nitido quando sentii qualcosa sbattere contro la mia fronte.
“Ahia!” esclamai, tenendomi subito la testa.
“Oh, la bella addormentata si e' svegliata!” disse qualcuno.
“Finalmente! Non poteva dormire a lungo...”
“Meg! … Buongiorno!”
Strofinai le dita sulle palpebre e mi accorsi ben presto di avere il naso di Guy a pochi centimetri di distanza da me.
“Gabriel Linderman.. se non ti allontani immediatamente da me, giuro che..” bofonchiai, ancora assonnata, senza riuscire a concludere la mia minaccia che tanto non avrei mai formulato.
“Va bene, Signorina Felicita! Si goda il mattino!” rispose lui, giocoso, saltando giu' dal letto.
“E' una cosi' bella giornata!” aggiunse Robby, spuntando dalle sue spalle come in uno stupido balletto di cabaret.
“Ciambelle?” E ci si metteva pure la Barton. Grandioso...
Scossi la testa e mi liberai con facilita' degli altri, alzandomi dal letto per vedere l'ora sull'orologio da polso che portavo sempre con me, posato sul comodino della camera. Quando la vista inizio' a diventare piu' nitida, capii che le lancette erano posizionate entrambe sul dodici. Era mezzogiorno in punto; ora altrettanto perfetta per svegliarsi non poteva esserci. Sbuffai, stizzita.
Guy e Robby si erano messi a giocare agli indiani. Non li ricordavo cosi' infantili, scossi la testa per non pensarci. Peccato che si erano posizionati proprio davanti all'armadio per fare lo sketch del “Toro Seduto mettere in ostaggio Viso Pallido Linderman, augh!” che spesso mi era capitato di vedere durante il soggiorno ad Amburgo, nei camerini, prima di un'esibizione di Robby Stardust, il mitico chitarrista di Kevin, il genio delle sei corde.
La Barton rideva di gusto sbriciolando con la ciambella un po' tutta la fodera del letto.
“Fate largo, devo vestirmi!” li sgridai, tentata dal prendere le mie ciabatte e lanciarle entrambe addosso a loro.
Robby si volto' verso di me con gli stessi occhi di un cane che implora pieta' e subito accorse Seamus, abbaiando gioioso, che si mise a pancia in su' davanti a me. Guy scoppio' a ridere.
Non ero tonta, le avevo capite le intenzioni di Rob e del suo amato Fido...
“Daaaai, puoi andarci dopo, al lavoro! Gioca con noi!” frigno' il genio delle sei corde, come un bambino.
“Poi non dovresti lavorare a sedici anni.” aggiunse Guy, facendosi all'improvviso serio.
Io proprio non potevo prendere Guy sul serio mentre aveva le guancie striate di rosso, le piume tra i capelli e le mani legate da due lacci di scarpe. Dovetti sforzarmi per non ridergli in faccia. Ma non avevo affatto voglia di ridere.
“Ehi, Guy ha ragione, sai?” intervenne l'altro. Seamus abbaio' in segno di sostegno al padrone.
“Vivo io la mia vita, non voi. Vivete la vostra di vita e ficcate un po' di meno il naso nei fatti altrui. Devo andare.” dissi, secca, senza neanche preoccuparmi di risultare troppo acida o meno. Spinsi Guy un po' di la' sotto i suoi occhi che mi scrutavano inespressivi, mi tolsi la cannottiera e i pantaloncini senza preoccuparmi di avere davanti due ragazzi e mi vestii in fretta, tagliando subito la corda.
Abitavo in un trilocale assieme ad una coppia di quarantenni molto gentili, signore e signora Wright, che mi avevano gentilmente offerto la loro casa; mi trattavano come loro figlia, non mi dicevano nemmeno di pagare l'affitto. Erano davvero fin troppo gentili per essere davvero delle persone: mi era venuto piu' volte da chiedere se fossero una coppia di marziani sterili che desiderava solo il mio sangue. Presto mi resi conto che era una prospettiva surreale e la abbandonai, lasciandomi accudire come una piccola bimba.
Sapevo che avevano avuto un figlio, Jacob. Non vollero rivelarmi che fine avesse fatto e io lo accettai.
In quei giorni erano in vacanza. Tanto meglio, non avrebbero avuto l'occasione di giudicare in anticipo i miei.. amici, si'.
Mi infilai le scarpe senza neanche allacciarle e scappai.
Lavoravo in un fast-food: pulivo il pavimento, i tavoli, lucidavo le finestre. Non facevo molto, a volte mi capitava di fare la cassiera. Ero la tuttofare part-time, il resto del tempo lo passavo in biblioteca a leggere. Questa mia routine – sveglia, lavoro, pausa pranzo, lavoro, altro lavoro fino alle quattro del pomeriggio, biblioteca, casa – stava per essere spezzata violentemente dalla presenza di Guy e Robby e non sapevo se mostrarmi felice di cio'. Mi ero fin troppo abituata a quella noiosa quotidianita', anche se era da mesi che rileggevo lo stesso libro.
Quel libro era “Il Grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald. L'avevo preso in biblioteca un paio di mesi prima e me lo portavo ovunque, lo leggiucchiavo mentre mangiavo la mia solita pizza gratis procurata dal padre di Rob – persona cordiale e dall'animo umile, nonche' stravagante – sorseggiando una lattina di Coca. In quel momento lo tenevo all'interno della borsetta, rovinato e con la copertina rigida sulla via di staccarsi dalle pagine ingiallite, con una scritta in nero all'interno che indicava la scadenza. La scadenza era passata gia' da un po' di settimane ma non ci badavo. Neanche il signor Collins ci pensava; meglio di cosi'...
Non feci colazione, quel giorno. Tanto sarebbe stato inutile, era mezzogiorno, la mattina era passata da un bel pezzo, era quasi ora di pranzo. Non feci il mio solito salto dal padre di Rob ed entrai in fretta nel fast-food – l'insegna stava per cadere a pezzi ma nessuno ci faceva caso da ormai tanto tempo – facendo un gran baccano con la campanella (si scontrava con la porta ogni volta che entrava qualcuno) e appesi la felpa col cappuccio su un appendino accanto alla porta d'ingresso e, ignorando gli sguardi e le risatine di alcuni, andai a nascondermi dietro al bancone. Troppo tardi: Charlie era gia' li' a guardarmi, sprezzante, con le braccia incrociate.
Ah, il buon vecchio Charlie – che alla fine aveva solo due anni in piu' di me. Aveva diciott'anni e gia' stava a dirigere un ristorante, se cosi' si poteva chiamare quel posto.
Mi voltai lentamente verso di lui, sorridendo. “Ciao Charlie.” mormorai.
“Salve Meg.” rispose Charlie, alzando una delle sue due spesse sopracciglia. Era buffo quando faceva cosi'.
“Cavolo, non vorrai stare a fissarmi cosi' per sempre!” ribattei, vedendo che non aveva intenzione di smuoversi.
“Beh, solo una dipendente che arriva con due ore di ritardo puo' permettermelo.”
“Non fare il rompiballe, sai meglio di me che stai recitando!” gli dissi, scompigliandogli i capelli.
Al contatto con la mia mano, vidi il suo viso addolcirsi e le sue labbra tendersi in un enorme sorriso. “Uffa Meg! Non vuoi proprio lasciarmi essere coglione almeno per un giorno, eh?”
“No, visto che sei solo un cretino.” Feci una pausa. “Beh, piu' cretino che coglione, direi.”
Charlie sbuffo' di nuovo e afferro' lo straccio che stava poco distante dalla cassa. “Dai, ora arrivano i clienti.. Lo sai che vengono tutti verso l'ora di pranzo!” Poi si fermo' a riflettere tra se e se a voce alta. “Ora che ci penso.. e' inutile aprire la baracca alle dieci se non arriva nessuno!”
“E l'hai capito solo adesso?” lo canzonai, tirandogli un lieve schiaffetto sul braccio.
C'era poca gente, c'era qualche coppietta che mangiava un hamburger chiacchierando su svariati argomenti di cui non ero a conoscenza e alcuni depressi solitari che se ne stavano fermi a osservare la strada fuori dalla vetrina.
La campanella all'ingresso trillo' segnalando l'entrata di un nuovo cliente.
Ma quando vidi la faccia del nuovo arrivato ebbi un sussulto.
“Che ti prende Meg? Hai visto un fantasma?” mi chiese Charlie, sfiorandomi la spalla.
“Niente. Ospiti indesiderati.” risposi, tornando a lucidare la superficie del tavolo.
L'ospite indesiderato indossava una giacca larga e un grosso cappello che lo faceva sembrare un ladro, camminava a passo lento con una sigaretta accesa pendente dalle labbra e un paio di libri sotto braccio.

I miei occhi scivolarono automaticamente sul cartello alla destra della porta. Diceva: “Vietato fumare”.
Perfetto, nessuno glielo faceva notare al posto mio. Alzai gli occhi al cielo e mi sporsi dal tavolo.
“Ehi, non si fuma qua dentro.” lo ammonii. Avevo la voce tremante, non risultavo per niente minacciosa.
Lui sollevo' il viso per guardarmi in faccia e il cappello crollo' sul suo viso, coprendogli l'occhio destro. L'occhio sinistro si era aperto in maniera esagerata, mostrando con chiarezza il colore azzurro dell'iride.
“Oh, chiedo perdono..” mormoro', spegnendo la sigaretta contro il muro. Storsi la bocca: perfetto, dovevo pulire.
“E magari potresti anche non sporcare il muro, mentre metti via..”
Arrossi' con violenza e annui' senza dire niente, mordendosi il labbro inferiore. “S-scusa..”
“Che scena patetica..” commentai, in un borbottio. “Ora dimmi cosa cazzo ci fai qua.”
“... C-cosa?” chiese lui, liberando il labbro dalla morsa.
“Lo sai meglio di me! Avanti, chi ti ha detto che lavoro qua?” domandai, cercando di mantenere un tono arrabbiato. Forse funziono', poiche' lui inizio a balbettare frasi senza senso, sconnesse tra loro. Voleva mettermi pena? Trattenni una risata.
Chi ti ha detto che lavoro qua?” ripetei, stavolta a bassa voce.
“M-ma io..” degluti'. “Io volevo solo un hamburger.”
“Ovviamente. Avanti, che cazzo vuoi da me?” poi, scavalcando il tavolo, dissi, quasi involontariamente “Coglione..”
Forse mi senti' ma non ci diedi tanto peso, lo presi per il polso e lo trascinai fuori; lo portai nel retro del locale, dove non passava mai nessuno – c'erano solo alcuni gatti senza un tetto, quelle insopportabili creature randagie che ci capitava di vedere nelle cucine mentre rovistavano tra i sacchi di carne marcia. Passammo attraverso le cucine, ricambiai i vari saluti e mandai al fanculo alcuni dei soliti buffoni che cercavano di infastidirmi vedendomi passare.
Feci sbattere la porta della cucina e lo presi rapidamente per il colletto, prima che potesse dire altro.
Sembrava una scenetta comica. Quando lo tirai verso di me, stringendo le dita accanto al suo collo, lui alzo' subito le mani come un ladruncolo fallito. Non mi lasciai distrarre e mi decisi a sbrigare la faccenda.
“Ti consiglio di andartene prima che..” ci pensai su, presa dalla fretta. “P-prima che Charlie ti.. ti picchi!”
Charlie non era proprio il tipo da risse, pero' non avevo altre idee in mente, quindi sparai quella enorme cavolata con piu' sicurezza del previsto. Lui dapprima mi osservo' con la stessa faccia spaventata e intimidita di prima, poi notai che un lieve sorriso era comparso sulle sue labbra carnose. Strinsi la presa, irritata, ma lui sembro' quasi non accorgersene.
“Io sono stato coinvolto in molte risse. Allora, chi e' questo Charlie?”
Al mio cuore manco' un battito ma continuai la mia scenetta, anche se con la gola secca.
“Charlie.. Charlie e' o-occupato! Sai, occupato a fare altro.. E tu non sei alla sua altezza!” sbottai.
“Dev'essere davvero un tipo in gamba.. me lo presenti?”
Sembrava sincero nella sua volonta' di conoscerlo. Mi stava mettendo alle strette.
“T-ti ho detto che e' occupato!
“Ma non era o-occupato?”
Vaffanculo!
Fantastico! Vuol dire che possiamo cenare assieme, un giorno?”
Quel Ringhio, O' Rang, come cazzo si chiamava, mi stava prendendo in giro, mi pareva ovvio. Dovevo tirargli un pugno su quell'enorme naso che si ritrovava su quella brutta faccia da schiaffi, gettarlo dentro uno dei cassonetti della spazzatura e lasciarlo li' a marcire. L'avevo visto fare da un ragazzo che abitava accanto a me, piu' grande di me, quando avevo circa dieci o undici anni – se non sbaglio.
Ad un certo punto, non seppi cosa dire. Le parole caddero per terra e non potevo raccoglierle; se ne stavano li' ad osservarmi in silenzio.

Oliver Twist? Chi e' questo Oliver Twist?”
“Non conosci
Oliver Twist?! E' un romanzo di Dickens, cretino!”
Tirai una gomitata allo stomaco di Ritch che scoppio' a ridere, contorcendosi dal dolore.
“Si', scusa, ora mi viene in mente..” disse, asciugandosi le lacrime che erano uscite dal tanto ridere.
Sbuffai. La pioggia scendeva copiosa, fuori dalla finestra della camera. Mi divertivo a contare le gocce, quando non stavo leggendo i soliti libri – o non stavo leggendo un libro per bambini a Billy, aggrappato al mio vestito, in silenzio.
Ritchie stava seduto accanto a me, in procinto ad accendersi una sigaretta – probabilmente era un po' riluttante a fumare in presenza di una bambina di dieci anni, il che mi irritava molto. Mi sorrise e si volto' dall'altra parte.
“R
iiiiichaaaaard?” feci, come se stessi parlando al rallentatore.
“Siiiii?” rispose lui, con altrettanta velocita', scherzoso.
“Ma non ti e' mai venuto in mente che..” deglutii. “Insomma, non ti e' mai venuto in mente che non durera' per sempre?”
Ritch aggrotto' la fronte. “Cosa non durera' per sempre?”
“Sai no? Forse un giorno lasciero' la citta' per andare in Germania..” mi morsi il labbro. Non sapevo come esprimermi e Ritch mi guardava, incitandomi a parlare. “D-dopo quel viaggio, tu..
ci sarai ancora per me?
Seguirono alcuni secondi di silenzio, che venne interrotto da una fragorosa risata. Richard mi strinse a se – sentii le guancie che si riscaldavano pericolosamente – come per rassicurarmi di un timore. E quello era un timore, forse..
“Ma ovvio! Noi due staremo per sempre assieme! … non ti devi mica preoccupare per questo!”
“S-si', ma...”
“Niente ma! Pero' devi solo farmi una promessa!”
Lo guardai negli occhi, mentre i miei si erano gia' riempiti di lacrime. “Cosa?”
“Non mi devi dimenticare per nessun motivo, capito?” fece, tra l'ironico e l'intenerito. Mi asciugo' la guancia con il dito indice e mi abbraccio' un'altra volta, baciandomi delicatamente l'orecchio.
“V-va bene..” dissi, accoccolata tra le sue braccia.
Ai miei occhi appariva come un fratello maggiore di cui sentivo il bisogno. A volte lo odiavo terribilmente, mi trattava come se fossi una bimba dell'asilo dimenticandosi che avevo
dieci anni ed ero venti volte piu' responsabile di lui, che di anni ne aveva gia' sedici. Pero' gli volevo bene, era l'unico amico che avevo nelle vicinanze e nei momenti di sconforto c'era sempre lui, sotto la mia finestra, disposto a sorbirsi tutte le mie lamentele nei confronti delle ochette che mi prendevano in giro per il naso, le mie maledizioni rivolte alla scuola e ai miei insegnanti, tutte quelle futili chiacchiere che mi avrei potuto pure risparmiargli.
Ma lui mi ascoltava, anche se a volte usciva fuori con un teatrino per marionette e iniziava a farmi tutte le commediole da quattro soldi che piacevano solo ai marmocchietti con il moccio al naso.
“Tutti sul Sottomarino Giallo!” esclamava.
E io gli rispondevo: “Si', in direzione della Terra del Fanculizzati!”
Ci rimaneva male e passava il resto della giornata con le labbra all'infuori e lo sguardo perso. Mi dispiaceva per lui ma era colpa sua se continuava a sottovalutare la mia maturita', non mi avrebbe mai messo addosso il senso di colpa.
Ripensando a quei momenti, al pensiero che forse avrebbero avuto una fine, mi aggrappai alla camicia di Ritch con piu' forza. Sapevo di non volerlo perdere per nessun motivo: era la cosa piu' bella che Dio si fosse deciso di inviarmi, dopo tutte quelle sfighe che mi avevano colpita in soli miseri dieci anni di vita. E se quel benedetto Dio – che di sicuro mi odiava a morte – mi avesse tolto anche Ritch, i Shears, quel deficiente di Manchester che mi ostinavo a chiamare Guy...

Allora? Ceniamo assieme si' o no?”
Avevo le lacrime agli occhi quando capii che Richard era tornato. E quello che mi rese ancora piu' arrabbiata, confusa, felice, fu che non me n'ero resa conto. Coprii il mio viso dalla vergogna per la mia ignoranza, mentre tutto quello che mi era successo in quelle dodici ore inizio' a diventare piu' chiaro – la nebbia inizio' a svanire dalla mia mente, finalmente.
“Va tutto bene, Maggie?” chiese ancora, notando che ormai avevo staccato le mani da lui. Singhiozzavo.
“Si', va tutto bene!” risposi, brusca. “E ora vattene!!”
Il suo viso divenne improvvisamente triste; offeso, in un certo senso.
“S-spero di rivederti, allora..” disse, sottovoce. “Domani sera, magari..”
Non osai alzare lo sguardo su di lui, mentre si incamminava per allontanarsi da me. E io non sapevo cosa sentivo dentro di me, non capivo come mi sentivo. Ero solo confusa.

 

 

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Saro' breve, oggi, poiche' ho poco tempo e tra poco vado a cenare!
Mi scuso per il terribile ritardo ma non ho molto tempo (e molta voglia, tantomeno tanta ispirazione) per scrivere! ^^' Questo capitolo e' davvero orribile ma l'ho scritto davvero di fretta, non sapevo come scriverlo, a dire la verita'. Ringrazio tutte le persone che hanno recensito e tutti quelli che hanno letto! <3

P.s.: La partenza e' rimandata, quindi sto ancora con voi (per vostra sfortuna)! :D

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Capitolo 9
*** A Taste of Honey. ***


 

C'era John che sbraitava per chiedermi aiuto dall'altra parte della porta, ma non potevo aprirgli.
Ero nudo, diamine! Non riuscivo proprio a sopportare il tempismo perfetto di Lennon nel scoprirmi in situazioni imbarazzanti o potenzialmente imbarazzanti. Avevo il sospetto che, in un modo o nell'altro, lo facesse apposta.
“Aspetta, Johnny! Mi sto vestendo!” urlai, mentre dall'altra parte della porta John continuava a sbattere i pugni contro lo stipite, cercando di aprire girando la maniglia con insistenza.
Io frugavo con foga tra le coperte alla ricerca delle mie mutande, poiche' non sarebbe stato carino fargli vedere il mio Willy, sia per lui che per il povero Will. Willy e' sempre stato un tipo molto timido, a parte quando si tratta di donne.
McCartney! Cosa cazzo stai dicendo, taci! strillo' allora Puffetta, rimettendomi in riga. Bah, stronzetta blu.
“Maccaaaa! Sbrigati, ho bisogno di teee!” urlo' ancora il disturbatore fuori dalla stanza, continuando a bussare.
John non era proprio quel genere di persona che sa essere paziente, e io lo sapevo meglio di chiunque altro. Riuscii a trovare in tempo i miei boxer, che si erano infilati all'interno della fessura tra la testiera e il materasso, sotto i cuscini, quindi me li infilai in fretta per poi precipitarmi alla porta.
“Arrivo, smettila di rompere!” urlai, dopo aver resistito a lungo alle sue lamentele. Al contrario di John, credo di potermi ritenere una persona paziente, che e' capace di controllare le proprie emozioni, ma nessuno avrebbe saputo mantenere la pazienza di fronte a una persona come lui – unico nel suo genere, forse. Almeno, io ci riuscivo, poi pero' finiva che crollavo, esausto.
Spalancai la porta e mi ritrovai davanti il suo enorme sorriso che mi capitava di definire “Ah si', il sorriso da gentleman di John”, poiche' lo usava spesso per presentarsi alle pollastrelle che sculettavano nei bar; lo lasciai entrare con poco entusiasmo e lui si getto' a capofitto tra le coperte del letto.
Sbuffai. Sapevo che si divertiva a prendere per i fondelli, in generale, e di certo non ero l'unica vittima fra tante.
“Oh Paulie!!! Paulie-Paulie!!! Ma quanto mi sei mancata, piccola mia!!” strillacchio', stringendo tra le sue braccia il cuscino.
Ben presto, quel cuscino fu sostituito da me.. purtroppo.
“John? … non ora.” ringhiai.
“Senti, ho trovato George in bagno e volevo chiederti se potevi aiutarmi a raccoglierlo! Sai, per la mia collezione..” disse, con una strana luce negli occhi. Ignorai l'ultima parte della sua richiesta per evitare inutili discorsi e inutili domande sulla faccenda, poi spalancai gli occhi. Che ci faceva George in bagno? Ma non ci misi troppo per capire cosa stava succedendo.
“Povero Harrison..” commentai. “D'accordo, andiamo ad aiutarlo.”
Mi feci spazio tra le lenzuola per trovare stavolta i miei indumenti. Cercai di smuovere John dal posto in cui aveva deciso di appostarsi e notai con orrore che stava annusando con gola la mia camicia, fingendo che fosse una sottospecie di afrodisiaco. Ah, questa poi!
“Ridammela, dai..” dissi, piano, allungando la mano verso la camicia, ma John emise un urlo che mi ricordava tanto le scimmie che vedevo nei zoo e scappo' via dalla mia presa coprendosi la testa con il mio povero vestito.
Poi si mise a frignare, ancora. “Ma Paaauuul! Si e' affezionata tanto a me! Non posso lasciare che tu la porti via!”
“E tu hai bevuto un bicchiere di troppo.. Okay ridammela, adesso!” insistetti.
Incomincio' un vero e proprio inseguimento pieno di urla, insuti sparati contro l'un l'altro e altrettante risate; alla fine riuscii comunque a reimpossessarmi della camicia, ma dalle occhiate truci che Lennon mi lanciava, mentre mi stavo infilando i pantaloni, capii che se la sarebbe ripresa molto presto. Rabbrividii e inghiotii un poco di saliva, che scese viscosa lungo la gola.
Passarono dieci minuti e uscimmo dalla camera di corsa; camminammo per un po', John mi offri' una sigaretta e io mi lasciai trascinare in silenzio fino al pub dell'altra sera, che non era ancora aperto – ma la saracinesca era stata sollevata e quello che aveva tutta l'aria di essere lo spazzino del locale dormiva beatamente su un tavolo con la testa rivolta all'indietro e la bocca spalancata. Entrammo dentro senza dire niente, anche se John bisbiglio' un “Salve, America!” prima di varcare la soglia in stile western. Sorrisi, divertito.
“Allora, devi sapere che mezz'ora fa' ero in giro da queste parti quando sono passato per di qua e mi e' venuto in mente che potevo rubarmi un Jack, visto che il personale non c'era e avevano lasciato la porta aperta! Ho bevuto il mio Jack, ho lasciato un penny per ringraziarli per il drink e mi e' venuta voglia di pisciare...”
“... da questo momento in poi posso dedurre da solo il finale di questa storia.” intervenni, visto che non mi interessava avere ulteriori dettagli.
“Comunque sono andato per sbaglio nel WC delle femmine e ho scovato quello scopone minorenne d'un George. Tutto qua.” prosegui', facendo finta di non aver sentito nulla. “Gli ho augurato una buona mattinata e poi ho pisciato!” concluse, soddisfatto.
Alzai gli occhi al cielo e posai sul tavolino sporco un bicchiere di whiskey che mi ero messo a sorseggiare nel mentre John aveva deciso di raccontarmi la triste storia dello sbronzo-Harrison nel bagno delle femmine e ci dirigemmo assieme verso i bagni, che si trovavano poco distanti dal lato sinistro del bancone, il lato piu' oscuro rispetto alla parte centrale e il piu' distante dal palco. Era una porticina bianca semi nascosta dall'ombra, poi all'entrata c'erano altre due porte che portavano rispettivamente al bagno delle femmine e al bagno dei maschi.
Avevo come la sensazione di essere gia' stato in quel posto, ma avevo ancora un po' di sonno e non ero del tutto lucido. Quel buffo nome, Layla, fluttuava ancora tra i miei pensieri. L'avevo gia' vista da un'altra parte, in un altro posto – lontano da Liverpool, probabilmente – ma mi veniva in mente solo quel sorriso che mi aveva rivolto prima di andarsene. Forse anche lei voleva prendermi in giro, come John amava prendermi in giro e io, nel mio inconscio, amavo prendere in giro le ragazze che mi portavo a letto. E avevo quell'orribile sensazione che, questa volta, non fossi stato
io a portarmi a letto lei, ma lei a portarsi a letto me.
Entrammo nel bagno dopo aver spinto la seconda porta – quella con
l'omino in gonnella – e John mi indico' il primo gabinetto del bagno delle femmine, quello piu' vicino all'ingresso, e apri' la portiera del cesso con una presentazione in un lieve americano, esagerando la pronuncia del cognome: “So, this is... the great George HERISSN!!”
Trattenni una risata, ma avrei anche potuto scoppiare a piangere. George era ancora addormentato, lanciato miseramente all'angolo del cesso, con i pantaloni slacciati e a petto nudo. Cosi' piccolo e in un cosi' pietoso stato... mi veniva voglia di strapazzargli una guancia.
“Ma siamo sicuri che stia bene?” domandai, preoccupato ma allo stesso tempo sulla via della morte per le risate.
“Certo! Sara' come nuovo, appena sveglio, vedrai!!” rispose Lennon, tirandomi un'energica pacca sulla schiena.
In quel momento, dopo aver rivolto un'occhiataccia (l'ennesima) a John, notai che la mano destra di George, posata sullo stomaco, si era mossa leggermente. Poi le sue palpebre cominciarono a tremare, dischiuse piano le labbra e le richiuse di scatto mentre i lineamenti del suo volto di piegavano in una smorfia infastidita.
“Ssshh.. La bella addormentata di sta svegliando!” disse allora Lennon, invitandomi a stare zitto.
Harrison riacquistava i sensi con estrema lentezza, aprendo e chiudendo le palpebre in continuazione, senza riuscire a sopportare la luce, forse; si accorse con medesima velocita' di quello che gli stava succedendo, e i suoi occhi caddero su di noi.
“Nottata da lupi, eh, Georgie?” gli dissi – beccandomi una gomitata da parte di John – indicandogli la lampo abbassata con un piccolo gesto col mento.
John fece un'inquietante risolino e tacque, George ci guardo' in cagnesco e fece per rialzarsi. La mancanza di energie lo fece andare a sbattere contro il coperchio del gabinetto, in un fallito tentativo di appoggiarsi contro.
Lennon rideva come un matto e io gli facevo l'eco. Eravamo dei grandi bastardi, si'.
“Divertente...” lo sentii gemere, lasciandosi cadere nuovamente per terra.
Lo sollevai di peso e me lo misi sulle spalle, prendendolo per le braccia per non farlo cadere. Uff, ecco che toccava a me.
“John, tu porta via la sua roba.. senza annusarla. Io lo porto a casa e gli preparo qualcosa di buono da bere, per fargli passare i giramenti.” dissi. George si era gia' riaddormentato.
“Se c'hai sbatta, fa' pure.” rispose lui. “E vai sicuro, non diro' a nessuno che sei gay.”
Gli lanciai una scarpa. Di George, ovviamente.

 

Dopo un paio di volte che suonai al campanello, papa' venne ad aprirmi. Alzo' un sopracciglio nel vedere la mia faccia davanti all'ingresso della casa, mentre tenevo sulle spalle George, che si era messo a russare. Ci mancava poco che mi sbavasse sul collo.. rabbrividii al solo pensiero e sorrisi, pallido come un cencio. Papa' guardava la testa di George, perplesso, ma sembrava anche sorpreso di vedermi arrivare a quell'ora.. penso.
“Ciao papa'..” borbottai, con le guancie rosee. “Non pretendo la colazione in tavola, eh..”
“Entra pure, figliolo.” mi interruppe subito, facendo spazio per lasciarmi entrare.
Chiuse subito dopo la porta e io non riuscii nemmeno a rivolgere un saluto decente a mio padre, quindi feci per andare subito in camera a mettere subito George da qualche parte. Era magrissimo ma pesava un po', non avrei resistito a lungo.
Michael doveva essere a dormire, oppure doveva essersene andato da qualche altra parte.
“Ecco.. Paul?” balbetto', insicuro.
“Si'?” risposi.
“Per caso, sono io che dopo deve parlare a Michael sui tuoi nuovi..
gusti?
Rimasi a bocca aperta. E dopo John, mancava solo mio padre.
“... papa', George e' ubriaco e io lo sto aiutando.”
Mio padre fece un gran sorriso e si avvicino' a me, senza troppa enfasi.
“Mi aspettavo una scenata isterica da parte tua, ragazzo.” sghignazzo'. “Vai tranquillo, e se hai bisogno.. chiama.”
Feci un lungo sospiro e mi incamminai in direzione della camera per posare George da qualche parte – poteva essere magro quanto voleva, nonostante tutti i panini che si sbranava, pero' pesava quanto me e io non ero mai stato un gran sollevatore di pesi – e per cambiarmi anche di vestiti, perche' la camicia tanto bramata da John era un poco sporca di sudore.
La camera era sempre uguale, tutto era al suo posto e mi venne naturale un altro sospiro, stavolta carico di malinconia.
Feci sdraiare George sul mio letto e gli rimboccai le coperte, buttandomi subito per terra dalla stanchezza.
Conoscevo un intruglio strano che faceva passare tutte le sensazioni di ebbrezza di cui ricetta mi era stata data da alcuni strani tipi di Amburgo, almeno cosi' mi pareva. Servivano carote, cipolle e maionese.
Mi rialzai dal pavimento e decisi che avrei preparato quella bevanda con calma, trovando gli ingredienti necessari.
Nel frattempo, papa' era risalito in camera per rimettersi a dormire; scesi in cucina per preparare quello strano miscuglio di tutto quello che potrebbe essere presenza nella cucina di un grassone americano.
Ebbi delle difficolta' quando mi misi a tagliare le cipolle e mi feci un brutto taglio al pollice, poi a triturare il tutto con il frullatore ci misi anche di piu' perche' non riuscivo a trovare da nessuna parte il punto per attaccare la spina. Per fortuna non fu troppo difficile, anche se dubitavo che la maionese fosse cosi' necessaria.
Risalii di nuovo in cucina, dopo aver passato venti minuti dentro la cucina a fare tutto quel lavoro sporco che mi sentivo obbligato di fare. Tenevo in mano un bicchiere di vetro pieno quasi fino al collo di una strana sostanza di un colore simile all'arancione, che grazie alla maionese aveva assunto un colorito roseo che lo rendeva ulteriormente disgustoso, e mi guardavo intorno camminando lentamente.
La casa, a quell'ora, mi appariva quasi spoglia. Era inquietante, eppure in fondo al cuore sentivo una strana sensazione di sollievo. Tornare di nuovo a casa era comunque una bella sensazione, piu' bella di quanto mi fossi aspettato. Mi lasciai scappare una piccola risata liberatoria e, dopo aver posato il bicchiere sul comodino, mi sedetti per terra appoggiando la testa al materasso.
Che bel silenzio che c'era a quell'ora. Un silenzio accompagnato da scricchiolii, dal canto degli uccelli che iniziavano a destarsi. Riuscivo quasi a sentire il respiro di mio padre e di mio fratello, ma doveva solo essere la mia immaginazione. Sbuffai, tanto prima o poi anche Puffetta si sarebbe svegliata.
Intanto, George stava ancora dormendo e si era piegato di lato. Era ancora immerso nel sonno, sembrava starsene in pace in un mondo tutto suo; lo invidiavo perche' anch'io avrei voluto dormire, in quel momento.
La finestra era aperta sulla strada, lasciando che la luce del sole entrasse, mostrandosi flebile dietro le nuvole. Il sole bianco, al centro del cielo con le nuvole ammassate attorno ad essa, su quel cielo mattutino colorato di indaco, era l'unico ad illuminare quella camera scura. L'intruglio magico mi fissava e io lo fissavo, rivolgendo ogni tanto delle occhiate verso George, che continuava a sonnecchiare.
Anche Puffetta aveva deciso di prendersi una mattinata di ferie, per mia fortuna. Se ne stava zitta, cullandosi sulla sua sedia a dondolo. Ed era adorabile, avrei tanto voluto che provasse a starsene in silenzio per un altro bel po', ma prima o poi si sarebbe svegliata. Dovevo godermi il momento, godermi quel silenzio interiore.
Tesi le orecchie e ascoltai attentamente tutti i suoni che mi circondavano; era rilassante, forse mi avrebbe aiutato ad addormentarmi. Peccato che, ad un certo punto, il lieve ticchettio delle lancette dell'orologio divenne un fastidioso rumore di.. grandine. Qualcosa di piccolo e duro che si scontrava contro i vetri. Aggrottai la fronte: c'era qualcosa che non andava.. C'era un tempo meraviglioso, fuori.
Quella grandine, col passare dei minuti, divenne un piccolo mucchietto di sassolini lanciati contro la mia finestra e io dovetti guardare in strada per vedere chi fosse. Forse era John, pensai. Ma John non era mai stato cosi' magro e non l'avevo mai visto con i capelli lunghi.. e non aveva le tette. Storsi la bocca.
“Ehi, scemo! Aprimi! Sono
io!” grido' lei, quella che a primo impatto credetti fosse John, ridendo.
Aprii la finestra. Feci un grande errore: un altro sassolino volo' dentro la mia stanza evitando per un pelo la mia traiettoria.
“Ho aperto! Ho aperto!” scattai. “Ma.. tu
chi?!”
“Sono
Layla!” mi rispose, agitandosi e buttando per terra i sassolini che stringeva in pugno.
Layla? Ah, la ragazza dell'altra sera. Sorrisi tra me e me, appoggiando i gomiti sul bordo della finestra.
Rideva, dall'alto riuscivo a vedere i suoi occhi illuminati dal sole e i suoi capelli mossi e castani che le ricadevano morbidi sulle spalle. Aveva addosso la stessa giacca in pelle di prima ed era vestita un po' come una exies.
Ad un certo punto, mi sorse un dubbio.
“Scusa, ma.. come fai a sapere che abito qua?” le domandai.
“Ti ho pedinato!” urlo' ancora, mettendo una mano vicino alla bocca per alzare il tono.
“Oh, questo mi rassicura molto..” borbottai, per poi urlarle: “D'accordo, entra! Ma stai attenta a.. a non svegliare i vicini!”
“Vicini? Non e' che vivi ancora con i tuoi genitori?” disse lei, e scoppio' a ridere al solo pensiero. Arrossii.
“Ma che dici?! N-non e' vero! E adesso sali!” le dissi, facendo per scendere ad aprirle la porta.. ma era troppo tardi.
“Paulie? Cos'e' tutto questo chiasso?” mi domando' papa', uscendo dalla stanza e andando verso l'ingresso per vedere cosa stava accadendo. Da rosso divenni di un inconfondibile vermiglio che mi ricordava orribilmente la ragazzina di cui John si era preso la cotta. Quella con i capelli rossi.. Mi chiesi come poteva stare, in quel momento, cos'era successo con John.. Scossi la testa per distogliere i pensieri da John e.. quella li', perche' papa' era gia' all'ingresso e aveva aperto la porta per vedere chi ci fosse all'ingresso.
Sentii solo una sonora risata e vidi la figura di una ragazza alta e magra, vestita tutta di nero, entrare in casa mia. Mi spiaccicai una mano sulla fronte e dissi “Hey!” per attirare la sua attenzione in mia direzione.
Papa' sembrava un po' confuso ma gli feci segno che gli avrei spiegato piu' tardi e la portai di sopra, verso la mia camera.
Lei mi sussurrava nell'orecchio: “Allora vivi ancora con i tuoi genitori!”
“Ma no.. non e' che vivo con mio padre, vivo.. vivo, insomma!” risposi, vago.
Layla mi tiro' una gomitata sul braccio e mi precedette, dirigendosi da sola verso la porta aperta della mia camera, per poi indicarla con l'indice e domandarmi: “E' questa la tua stanza?”
“Ci hai azzeccato.” le dissi, lasciandola entrare.
Non la conoscevo per niente, era solo una ragazza che mi ero portato a letto l'altra sera e non mi aspettavo che sarebbe venuta a trovarmi a casa. Tanto meno che mi avrebbe pedinato! Non sapevo ancora come potesse essere come persona, ma al momento non mi interessava. Ero solo interessato a che genere di biancheria intima indossasse, quella roba. Continuavo a guardarle il sedere, ma lei non se n'era ancora accorta.
Layla si sedette tranquillamente sul letto – accanto a George – e mi invito' a sedermi accanto a lei. Obbedii come un cagnolino, un poco imbarazzato dalla brutta figura di prima e anche dal fatto che.. che stavo gia' fantasticando su quell'evidente segno del reggiseno sotto la cannottiera nera, quel filo di tessuto color carne che riuscivo a intravedere sulla pelle.. Scossi la testa e staccai gli occhi dal suo seno, mentre lei automaticamente si volto' verso di me. Era come una calamita: io staccavo gli occhi dal suo corpo e lei guardava me.
“Sai? Ti ho pedinato perche' ti trovo davvero carino.. Hai dei bei occhi!” mi disse, guardandomi in faccia.
“G-grazie..” la ringraziai, intimidito dalla sua lieve voce.
“E poi a letto sei
uno spettacolo.” disse ancora, maliziosa.
“Oh, grazie!” mi venne subito da rispondere, con un improvviso attacco di vanita', facendola ridere di nuovo.
“La cosa ironica e' che.. io ti trovo davvero carinissimo, ma non conosco ancora il tuo nome.” disse, carezzandomi la guancia con le dita. Un brivido percorse la mia schiena al contatto con la sua pelle, ma mi trattenni.
“Io mi chiamo.. Paul.” mormorai, rabbrividendo ad ogni movimento della sua mano.
“Che bel nome che hai, Paul..” commento'. “Il mio lo sai gia'.” aggiunse, alzando un sopracciglio.
“Eh, hai ragione..” dissi, ridendo come un deficiente. Accidenti, com'ero poetico.
E successe di nuovo. Non so chi si avvento' per prima sull'altro, o io o lei. Ci scambiammo un lungo bacio, abbracciati, la sua lingua solleticava il mio palato e iniziai a sentire caldo alla fronte. Non riuscivo a respirare.
Le sfilai i vestiti e lei cerco' di togliermi di dosso i miei, baciandomi sul collo. Boccheggiavo, mi mancava l'aria, e allora ricordai il profumo che emanava la sua pelle – quel profumo che avevo assaporato con gusto l'altra sera, poi vidi davanti a me quel bagno in cui l'avevo incontrata per la prima volta, con le pareti luride e l'aria inquinata dall'odore di sporco e dai troppi deodoranti per l'ambiente.
“Ci vediamo domani, Paul.” mi sussurro' nell'orecchio, prima che potessi perdere il controllo.

 

Dovevo essermi addormentato. Con me si risveglio' anche Puffetta, quel maledetto cosino blu che avrei volentieri schiacciato, anche solo per vedere se aveva il sangue blu.. Scossi la testa.
Il letto era vuoto, segno che George se n'era andato.
Sul comodino c'erano ben due biglietti, entrambi strappati dallo stesso quadernino ad anelli che giaceva sul pavimento. Su uno c'era scritto:

Ci vediamo domani, Paul.
Ti ho scritto il numero di casa mia sul muro.
Layla.”

Alzai lo sguardo. Aveva davvero scritto il suo numero sul muro, con la penna a sfera. Scoppiai a ridere; che tipo.
Il biglietto accanto, invece, in una calligrafia tondeggiante diceva:

Hai fatto colpo, eh? Anche se il nome 'Layla' l'ho gia' sentito..
Vabbe', io vado! E grazie mille per il passaggio!!
Il mitico, bellissimo, grandioso George Harrison!

P.s.: Ah, non ci crederai ma Ringo ha avuto un appuntamento! Sai Meg? La mia amica, quella bionda, non so se te la ricordi.. Vabbe', Ringo ha avuto un appuntamento con lei! John ha in programma di andarli a spiare ma io non ho voglia, poi ho altro da fare.. Se vuoi, puoi fargli tu compagnia! Vabbe', ora questo Post Scriptum si e' fatto anche piu' lungo del messaggio stesso quindi smetto di scrivere! Ciao!!!”

Ringo ha avuto un appuntamento? Questa e' bella.” commentai, da solo.
Bene, forse facevo meglio a vestirmi e uscire. La sveglia segnava le una del pomeriggio.

 

 

 


 

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E aggiorno, finalmente! Oggi e' anche il giorno del mio compleanno, buffo! XD
L'ultima parte del capitolo era poco ispirata quindi ho deciso di inserire i due bigliettini di Layla e George. L'immagine di Paul che va in giro con George sulle spalle mi fa tornare in mente una slash che scrissi tempo fa' su
un certo gruppo. D:
Va bene, allora spero che questo capitolo sia piaciuto almeno un po' e ora mi dileguo!
Grazie a chi ha recensito ma anche a chi ha solo letto! <3

Zazar90: Quel capitolo pero' non mi piaceva molto, questo gia' mi piace un po' di piu' anche se ho paura che possa essere un po' noioso. XD Gli approfondimenti su Meg e Ringo penso arriveranno al prossimo capitolo, un po' grazie a quell'adorabile ficcanaso di John! ;) Grazie mille! <3
E devo ammettere che alla scena di loro che giocano agli indiani ci tenevo molto. XD

Ariadne_Bigsby: Meg in fondo e' molto debole, ma tende a nasconderlo per non mostrarsi debole di fronte agli altri e di conseguenza assume un carattere un po' scorbutico.. di fronte a Ringo ha rischiato per un attimo di far crollare tutte le barriere che si e' costruita attorno. Comunque non pensavo che potesse far ridere, “la terra del fanculizzati”! XD Grazie! <3

Cerchero' di aggiornare piu' in fretta. >.<
Saluti cordiali. :D

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Capitolo 10
*** L'appuntamento di Ringo. ***


 

Continuavo a guardarmi allo specchio con uno stuzzicadenti tra le labbra e il pettinino nelle dita.
Il bagno ormai mi sembrava troppo piccolo, piu' stretto e claustrofobico rispetto a qualche anno prima, quando ci passavo ore e ore a sistemare e risistemare il ciuffo. Il ciuffo, quello che avevo quando cercavo di fare il tedd-boy. Erano bei tempi, quelli... Chiusi gli occhi e lasciai cadere la testa all'indietro.
Odorai l'aria rarefatta di quel bagno; non tutto era cambiato: l'odore sgradevole di borotalco era persistente, notai.
Quella sera, Ringo aveva un appuntamento. “Buon per lui”, pensai. Forse era tutta invidia, ma... Insomma, lui aveva un appuntamento... Io no. Le cose stavano cosi', per quanto possa sembrare assurdo – diciamocelo, io sono molto piu' bello di lui! Con questi pensieri in testa, uscii e scesi le scale che portavano al pianterreno della casa.
“Vado fuori, papa'!” dissi, prima di varcare l'uscita. Mi sentii subito come un figlio adolescente in procinto di fare qualcosa alle spalle dei propri genitori, giusto per l'eccitazione nel compiere quell'atto. Non potevo dire che non fosse del tutto vera, quella cosa.
Papa' rimase per un po' davanti all'ingresso, osservandomi mentre mi addentravo nel buio della sera liverpooliana; gli lanciai una piccola occhiata prima di sistemarmi il colletto della giacca, per ripararmi dal freddo, e me ne andai.
Era una sera ventosa, il buio e il grigiume annunciavano il solito maltempo inglese. Inglese, gia'. Quella era una serata piu' inglese del solito, e tutto puzzava di umido e erbetta fresca – odore proveniente da chissa' dove, vista la mancanza di verde in citta'. Scossi la testa e continuai a camminare.
John mi stava gia' aspettando, seduto sul marciapiede, con una bottiglia di birra tra le mani. Aveva un'aria affaticata, e le occhiaie sotto i suoi occhi erano piu' scure del solito, cosa che avevo notato anche quella mattina. A poca distanza da lui, due piccioncini stavano pomiciando, avvinghiati a vicenda, poggiati sul palo del lampione.
Salutai John cercando di ignorare – invano – la bella coppietta, alzando la mano destra verso di lui. L'occhio continuava a scivolare sui due tizi, una bella bionda dai capelli cotonati e un ragazzo alto con la brillantina, senza che me ne accorgessi.
Avrai anche tu la tua baby, stasera. Basta aspettare, furono le parole dell'Elvis cattivo nella mia testa, ma Puffetta faceva in modo di coprire le sue parole con altri discorsi a vanvera e vari “Lalalaaaa!”.
Quanto avrei voluto zittirli, una volta ogni tanto! Mi stava venendo il mal di testa a forza di sentire le loro vocine!
Intanto mi ero seduto accanto a John, tanto per fargli compagnia nella sua Commedia del Barbone, che fa figo.
“E George? Viene?” gli chiesi. “A me aveva detto di no, quando mi ha riferito tutto..”
“Ovvio che non viene. Oggi e' il giorno-biscottaro in casa Harrison.” fu la sua passiva risposta.
“Ah.” commentai.
Lennon bevve un lungo sorso dalla sua bottiglia e si asciugo' le labbra con il manico del cappotto. Mi passo' la bottiglia con un sorrisone ebete sulle labbra sottili, e io la presi e ne bevvi un piccolo sorsino senza fare domande. Mai fare domande a Lennon: si dilunga. Era Coca Cola diluita con qualche altro alcolico, messa rozzamente in una bottiglia di birra bionda che eravamo soliti a bere nei locali che ci capitava di frequentare per le bevute.
“In che ristorante, allora?” domandai ancora, dopo avergli ripassato il suo miscuglio magico e aver lanciato un'altra occhiataccia ai due fidanzatini – non si erano ancora stancati di baciarsi, quei due!
“Conosci Charles Rutle? Il coglione piu' alto della zona, sai no? Ceneranno al suo fast-food. Non so se lo sai, ma la biondina, lei dovresti ricordartela, ci lavora come.. cameriera? Lavapiatti? Il nano bastardo non mi ha dato altri dettagli.” Sghignazzo'.
“Quanto romanticismo..” e feci una smorfia.
“Io personalmente lo trovo la cosa piu' romantica di cui abbia mai sentito parlare! Mangi gratis grazie alla bionda, no?” disse John, esibendo il ghigno ebete per una seconda volta. Alzai gli occhi al cielo ma dovetti trattenere una risata.
“Beh.. Allora andiamo!” esclamai, alzandomi subito in piedi.
“Certo! Non voglio perdermi per nessuna ragione al mondo il nostro Ritch che cerca di corteggiare una ragazza!”
Cosi' dicendo, corremmo assieme in direzione del fast-food, poco lontano dalla zona in cui ci trovavamo. Ero abituato agli scatti di John, a volte anche di George, quindi non dissi nulla e stetti in silenzio, mentre le luci dietro la vetrina del fast-food si avvicinavano sempre di piu' al nostro campo visuale.
Appena vicini, ci nascondemmo dietro alla cassetta per la posta – quella rossa e cilindrica – per non farci vedere e per controllare dove Ringo e la biondina avevano deciso di sedersi. Avvicinandoci un po' riuscimmo a intravedere da dietro i capelli di Ringo, e il suo viso, rivolto verso Meghan, che era seduta di fronte a lui. Stavano su un tavolo alla parte opposta all'ingresso del ristorante, attaccati all'angolo alla destra della sala.
“Li vedi?” mi chiese John, a denti stretti, appiccicato alla mia schiena.
“Si', si'!” risposi. “Appena qualcuno si decide a entrare nel ristorante, noi usciamo da qua dietro e ci introduciamo nel ristorante con loro. Facile, penso!” Sorrisi verso John, aspettando una sua possibile risposta.
Lui aggrotto' la fronte, non tanto convinto, ma alla fine fece spallucce e annui'. “Affare fatto, Mac! Ora entriamo in azione!”
“Ora?!” esclamai, sorpreso. In pochi secondi, mi ritrovai seduto su un tavolo pericolosamente vicino a quello di Ringo e Meghan, mentre i due clienti che – a mia e loro insaputa – avevamo usato come palo ci guardavano male.
Ringo e la sua ragazza non sembravano nemmeno essersi accorti della nostra presenza.
“Visto Macca? Bastava buttarsi, altro che tutte quelle seghe mentali che ti sei fatto!” John sghignazzo', per poi incupirsi e borbottare “Perfettino..” pensando che io non potessi sentirlo.
“Ehi! Elaboravo un piano, io!” ribattei, forse a voce un po' troppo alta. John si affretto' a zittirmi.
“Ma che piano e piano.. Dai, ora stai zitto che devo sentire.”
Non so come, ma finii col passare la serata a spiare Ringo e la sua nuova amichetta, accompagnato da un John tutto entusiasta a cui mancava solo il pop-corn e una bibita per godersi il tutto in tutto compfort.
La prima cosa che riuscimmo a sentire – parlavano a bassa voce, come se anche loro temessero di farsi scoprire da qualcuno – fu un timido: “Buono quel cheeseburger?” seguito da un altro imbarazzantissimo “Ha un'aria gustosa..”
“Si',” fu la risposta della bionda, che alzo' per un secondo gli occhi su Ringo e li abbasso' di nuovo sul panino. Sul panino, nemmeno un'ombra d'un morso.
“Incenerito in un colpo, povero Ringhino!” disse John a bassa voce, divertito.
“Shhh!” gli feci io, stavolta, col dito davanti alle labbra.
Quel “Shhh!” era comunque inutile, visto che non c'era molto da ascoltare – e loro erano come dentro ad un guscio, come in un altro mondo distante da quello in cui ci trovavamo; mi sentivo come se li stessimo spiando da dietro uno specchio, e loro non ci potevano ne' sentire ne' vedere.
I due se ne stavano in silenzio, zitti, a momenti sembrava che non stessero nemmeno respirando. Il silenzio sembrava non voler piu' finire, e passarono altri dieci minuti a vuoto. John sbadiglio', io bevvi un sorso dalla sua bevanda di Cola e alcolici.
“Allora,” fiato' improvvisamente Ringo – sia io sia John sussultammo e raddrizzammo le orecchie – per riprendere la parola. “Erm, insomma, hai sempre lavorato qui?” chiese, per poi pentirsene – lo notai dal modo in cui si morse il labbro.
“Si'.” fu l'ennesima risposta dell'altra, che non lo guardava nemmeno. Giocherellava con la cannuccia della bibita, ma non la sfiorava nemmeno una volta con le labbra. Stava zitta, rispondeva brevemente alle domande e la faceva finita.
“Quindi, coff, quindi sei stata ad Amburgo.. Se non sbaglio.” Altra morsa al labbro, osservai.
“Esatto. Te l'ho detto mezz'ora fa'.” C'era un velo di accidia nel tono della ragazza, e sicuramente non doveva essere tanto felice di rispondere a quelle domande. Ringo non ci sapeva proprio fare con le ragazze, eh? Io avrei fatto di meglio!
“Hai ragione, hai ragione, scusa!” disse immediatamente Ringo, ridendo, in un tentativo di alleviare la tensione. “Ah, dimenticavo.. Alla fine, hai incontrato tuo padre?”
L'occhiataccia che si becco' a quella domanda, mi fece rabbrividire. E fece rabbrividire soprattutto lui, che fu il poveretto a beccarsela. C'era qualcosa di profondamente
arrabbiato negli occhi della ragazza, e riuscii a capirlo nonostante fosse messa di profilo rispetto a noi.
Sembrava che quella domanda fosse destinata ad altri dieci minuti di silenzio, ma la risposta non tardo' ad arrivare.
Io e John, ovviamente, eravamo tutt'orecchi.
“L'ho visto casualmente in un ristorante di Amburgo. Mangiava cibo poco costoso, da solo. Era lo stesso uomo della foto che mi aveva affidato la signora Poetry, ma lui negava la sua identita' e diceva di non avere nessuna figlia. Alla fine pero' sono riuscita a fargli ammettere tutto, ma non l'ho piu' rivisto.” disse, piano.
“M-mi dispiace, Maggie..” mormoro' Ringo, “Ma non hai provato a..”
“Cercarlo? No.. No, cazzo, no. Non l'ho piu' rivisto, okay?” Cosi' dicendo, digrigno' i denti. Poi aggiunse, sfinita, “Ora basta.”
“V-va bene..” disse Ringo, osservando la sua compagna, intristito.
Allora, ancora non conoscevo tutta la storia, quindi mi limitai ad aspettare che quel secondo silenzio imbarazzante si interrompesse ancora – magari grazie a Ringo, chi lo sa. John seguiva attentamente tutto e, stranamente, senza fare altri futili commenti. Sul viso aveva il solito sguardo concentrato.
Il silenzio venne stavolta interrotto da lei, che dopo aver lanciato una rapida occhiata all'orologio attaccato al muro, si alzo' dal tavolo, distruggendo di conseguenza la barriera che li aveva avvolti per tutto quel tempo.
“Si e' fatto tardi.” disse, e fece per andarsene, senza nemmeno salutare.
“Aspetta!” urlo' Ringo, alzandosi per inseguirla.
Di gia'?, pensai io. Eravamo appena arrivati, anche se era probabile che ci fossimo persi gran parte della cena.
“Bah.. E' meglio se me ne vado anch'io. Non e' che ci fosse molto da vedere..” disse John, tornando alla sua iniziale aria stanca e svogliata. “Tienili d'occhio tu, quei due. Io torno a casa.”
Sbuffai. “Grazie per il sostegno, Lennon.”
“Prego!” esclamo' lui, beffardo, ed entro' nelle cucine con nonchalance per uscire dal retro.
Bene, io dovevo ancora seguire i due piccioncini. Uffa.
Ringo si era precipitato a seguire la sua amata, continuando a supplicarla di aspettarlo, ma l'altra lo ignorava.
Sbadigliai, mi grattai il sedere e mi alzai dal tavolo. Non volevo continuare con quella pagliacciata, e ormai i due piccioncini erano fuori dal ristorante. Non mi restava altro da fare se non andarmene, e sarebbe stata ora! I miei capelli necessitavano di una pettinata!
Sotto lo sguardo vuoto di quel gigante di Charles Rutle, che mi fissava da dietro la cassa con la fronte aggrottata e la bocca storta, spinsi la porta d'ingresso per uscire dal ristorante quando una voce che ben conoscevo mi chiamo' da non so dove. “Eccoti, finalmente!”
Mi voltai e la vidi.
Layla, ancora lei, seduta sul marciapiede nello stesso esatto modo in cui barboneggiava John, e un sorrisetto furbo sul viso. Aveva un bicchierino fumante di plastica in mano ed era vestita come al solito: giacca e pantaloni in pelle, interamente di nero, i capelli scuri e mossi che le carezzavano le spalle.
Mi venne istintivo sorridere, era quasi un sollievo vedere il suo viso, nonostante la conoscessi da davvero poco tempo.
“Ciao,
amico di letto!” mi disse, dirigendosi subito verso di me e saltando letteralmente tra le mie braccia.
“C-ciao..” risposi al suo saluto con poca sicurezza rispetto al modo in cui mi comportavo con altre ragazze come lei. Ma lei, gia' dall'abbigliamento, riusciva a mettermi un po' in soggezione. Non riuscivo a capirla, non ancora...
“Dai, vieni, che dobbiamo farci una bella chiacchierata!” mi disse, trascinandomi dentro il ristorante. E fui dentro,
di nuovo.

 

Aaaah! Furbacchione!! Ti piace la figa, eh??”
Rischiai di soffocarmi con l'hamburger, e lei scoppio' a ridere. Tossii un paio di volte e bevvi un po' di Sprite, tutto rosso.
Layla aveva un modo molto particolare di atteggiarsi con me; aveva gia' preso molta confidenza, si esprimeva in termini che non avevo mai sentito utilizzare da altre ragazze che conoscevo e rideva davvero
molto. E quando dico molto, sono esageratamente riduttivo..
“Allora? Stai meglio, adesso?” mi chiese. “Non mi morire qui, eh! Magari poi nasce una leggenda, della serie.. Non so,” e qua assunse una voce che avrebbe dovuto essere inquietante: “
Paaaauuuuul is deeeeaaad!!” e rise ancora.
Alzai un sopracciglio, mentre lei proseguiva con le sue orribili profezie – orribili, perche' non sapeva di tutte le teorie che si sarebbero sollevate ben sette anni dopo, e nemmeno io lo sapevo.
“Paul McCartney (ti chiami cosi', vero?) e' morto in una ventosa sera del settembre 1962 in un bar, soffocato da un hamburger del fast-food di Charles Rutle! I suoi compagni di band.. Ah dimenticavo di dirti che ti ho anche visto esibirti! Sei forte! Comunque, i suoi compagni di band, sconvolti dalla sua tragica morte, decisero di disseminare indizi nelle loro canzoni e di sostituire Paul con un sosia identico in tutto e per tutto a lui..” disse, tutto in un fiato. Poi, all'improvviso, dopo un lungo secondo di silenzio.. “BUH!”
Okay, lo ammetto: urlai. “AH!” sbuffai. “Divertente! … bah.”
“Ovvio che e' divertente!” disse Layla, con un occhiolino. “E comunque, mi devi presentare il tuo gruppo. Sembrano simpatici!”
“Dici che te li devo presentare?” chiesi, poco sicuro.
“Certamente! Anche se non ho visto bene i loro visi, sono riuscita a notare solo te.. E a te.. UN ATTIMO, IO TI HO GIA' VISTO!”
Layla si alzo' improvvisamente, puntanto il dito indice contro il mio naso. Quella ragazza continuava a stupirmi...
“... io no.” dissi, piano.
“IO SI'! In Amburgo.. Vero?!” e socchiuse gli occhi, maliziosa.
Rabbrividii, di nuovo. Amburgo? Come faceva a sapere che ero stato ad Amburgo?
“Lo prendo per un si', eh!” disse Layla. “Dai, ora ho poco tempo, la prossima volta ti spiego tutto!”
Layla lascio' delle banconote sul tavolo e fece per voltare i tacchi, quando io la fermai.
“Aspetta..
Quando ci rivediamo?
Era una domanda sincera. Volevo davvero rivederla; sentivo che non era solo una “amica di letto”, come lei aveva definito me. E poi mi dava fastidio, quell'appellativo. “Amico di letto”, ma che e'?
“Non preoccuparti! Hai il mio numero, poi so io come ritrovarti!” e fece un altro occhiolino, scomparendo all'uscita.

 

Uscendo dal ristorante, scossi la testa. Sempre a me i pazzoidi, vero?

 

 

 


 

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HO AGGIORNATO! ED ERA ORA! xD
Aggiornamento alla cazzo di cane, non e' un gran capitolo, e chiedo perdono. >.<
Qua' sotto ho messo anche un'immagine di Layla, che nella mia mente (malata) e' interpretata dall'attrice Alexandra Maria Lara – nota: ha recitato su Control come l'amante di Ian Curtis. Mi ispira molto il suo viso, la trovo una bella ragazza. :D Praticamente l'idea di creare Layla e' quasi partito da quando ho guardato alcune sue immagini!


Ah, e prometto che recuperero' presto le fic! >_< E ora, alle recensioni! Grazie mille, davvero. *w*

Zazar90: Con UN MESE di ritardo, grazie mille! <3 Layla torna anche qua, e sara' un personaggio abbastanza costante! Stara' attaccata alle costole di Paul per un po', insomma. u.u Diciamo che e' una specie di groupie.. Ma si vedra' meglio piu' in avanti! ;D George ubriaco fa tenerezza pure a me. *_* Grazie ancora! :D

Ariadne_Bigsby: Uahah, i “gusti” di Paul fanno sghignazzare anche a me. xDD Layla, come ho detto a Zaz, sara' un personaggio abbastanza costante e fara' compagnia al buon Paulie (esatto, la nostra vittima preferita. :3) per un po', ma.. si vedra'! ^^ Davvero ti piace come descrivo le cosacce che fa John? YAP! Mi diverto troppo a descriverle! XD Grazie ancora! :D

Beth_: Oh, una nuova lettrice! :D Sei davvero troppo, troppo gentile. Grazie, grazie mille. Sono contenta che questa storia ti piaccia. <3

teleri: Tranquilla! ^^ Comunque.. lo so. Povero, povero Georgie. D: Layla e' un personaggio che verra' poi approfondito ulteriormente, a partire gia' da questo capitolo. ;) Grazie ancora! ^^

Grazie anche a tutti quelli che leggono. *_*
Ora scappo! Bye!
HARE KRISHNA. *scappa via*

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Capitolo 11
*** Il ritorno di Layla. ***


 

Liverpool, ottobre 1962.
Ecco, era quasi passato un mese da quando avevo cenato con lui al ristorante di Charlie. Una specie di mesiversario, insomma, anche se le cose non erano andate tanto bene, quel giorno. E in quel momento mi aspettava fuori dalla porta di casa, suonando con insistenza al campanello della casa, probabilmente con un grosso mazzo di fiori in mano e un sorrisone ebete in faccia. Conoscevo abbastanza bene Ritchie da prevedere le sue mosse, a volte un po' troppo banali, ma che suscitavano sempre un briciolo di tenerezza nel mio animo.
Andai ad aprire sotto gli occhi affettuosi della signora Wright, e mi ritrovai davanti quel che avevo gia' pensato di poter vedere: un enorme sorriso sotto il suo nasone, gli occhi celesti illuminati dalla gioia che sempre li illuminava... Ma nessun mazzo di fiori. Bene, qualche fiore risparmiato da un triste destino. Anche se questo mi preoccupo'.
“Hmm, che succede, Ritch?” domandai, prima ancora di rivolgergli un saluto decente.
Ringo alzo' un sopracciglio, sorpreso dalla mia domanda. “Niente, perche'?”
“Dove sono le rose?” chiesi, con un filo di malizia nella voce che avrei preferito che non ci fosse. “Sai, sono abituata, ormai. E anche Rosie e' abituata a buttarli quando marciscono.. Capiscimi, non ho mai avuto il pollice verde.” e cercai di sorridere, ottenendo solo una scarsa tiratina di un angolo delle labbra. Sembrava che anche Ringo si fosse abituato a qualcosa: alla mia maledetta accidia. Infatti non sembro' offendersi, ma rise.
“Oh, questo lo sapevo gia'! Non devi preoccuparti, stavolta non ti sto portando al solito posto.. Andiamo al Cavern!” disse, con un occhiolino.
Il Cavern? Mi venne naturale un sorriso sul viso: era ora! Chissa' perche' non mi portava mai al Cavern, ma ero comunque felice che stavolta avesse cambiato un po' le solite mete. E glielo feci notare, e la sua risposta fu una semplice alzata di spalle.
“Beh, non mi sembra tanto romantico..” mormoro', imbarazzato.
Sbuffai. “Sei il solito sentimentale, Ritchie. Manco fossimo dei fidanzatini!”
A quella parola, le sue guancie si colorarono di porpora e io mi misi a ridere, come una persona che ha ottenuto una soddisfazione. Ma il fatto era che io non sapevo quale genere di soddisfazione avevo appena avuto, da quell'improvvisa timidezza di Ringo. In fondo, eravamo solo degli amici d'infanzia. Per me, Ringo era come un fratello, un fratello maggiore su cui potevo contare e a cui potevo dire tutto quello che avevo in mente, con cui potevo sfogarmi. Ma non sapevo cosa potevo essere io per lui, e non mi disturbavo nemmeno di farmi i dubbi.
“Vabbe',” dissi, tanto per tagliare corto. “Rosie! Vado fuori con Richard! Non so quando torno!” dissi alla signora Wright, in piedi dietro di me, che teneva una scopa in mano.
“Cerca di tornare entro la mezzanotte..” si raccomando' lei. “Ora vai, e divertiti!”
“Grazie, Rosie!” le dissi io, dandole un bacino sulla guancia. Subito dopo, presi la mano di Ringo e uscii fuori assieme a lui, pronta ad andare al Cavern. Ringo aveva preso la macchina, quindi non avevamo bisogno di preoccuparci per i tempi che occorrevano per andare fino al Cavern a piedi.
Quando uscimmo da casa, erano le sette di sera. Avremmo cenato con delle pizze che aveva ordinato Ritchie, poi dopo il pasto saremmo partiti per il Cavern. Questo sarebbe dovuto essere il nostro programma, anche se nel mio programma non avevo previsto la presenza di Guy, Robby e la Barton. E quando li vidi a bordo dell'auto, aguzzando bene gli occhi dall'ingresso della casa, storsi il naso.
“Ehm, Ringo?” dissi, cercando di mantenere salda la fermezza della voce. “... non mi avevi avvertita.”
“Ah, vero, scusa! Ma pensavo ti facesse piacere..” disse timidamente Ringo, sorridendomi.
Ma lui non sapeva che mi sarebbe piaciuto stare da sola con lui. No, lui di certo non poteva sapere una cosa del genere. Feci una smorfia; e sapevo di essere incoerente, negli atteggiamenti, e me ne rendo conto solo ora.
“Hey hey! Eccoli li'!” urlo' Robby, un po' come se stesse esultando ad una partita di calcio. Andi, accanto a lui, sembrava divertita dal modo in cui Robby cercava di attirare l'attenzione, e anche il cane sembrava altrettanto felice. Guy aveva la solita aria indifferente, solo piu' indifferente del solito. Non sembrava tanto felice di essere li'...
“Oh, ciao.” dissi, appena fui abbastanza vicina da farmi sentire.
La risposta di Robby fu un solare “Aloha!” che stonava con il grigio tempo, Seamus, seduto sulle gambe del padrone, abbaio' festoso, Guy sollevo' la mano mostrandomi un semplice sorriso mentre Andi mi saluto' normalmente – l'unica sana in mezzo ai cretini, poverina.
“Allora, siete pronti? Ora andiamo!” disse Ringo, vivace, salendo al posto dell'autista.
“Ma prima non mangiamo?” chiese subito Robby, affacciandosi verso il sedile di Ringo con una faccia.. triste?
“Stai messo peggio di Harrison, Rob.” disse Guy, sprezzante, sbuffando. Andi invece fece un lungo sospiro, massaggiandosi lo stomaco con il palmo della mano destra. Aveva fame, a differenza della persona che era seduta accanto a lei.
“Ma tutti gli esseri umani hanno bisogno di mangiare, caro il mio Gabe!” disse Robby, agitando il dito indice come un insegnante che parla di cose serie – ma davvero serie. “Quindi.. pizza!”
Ringo rise, anche se con un po' di imbarazzo. “Certo, certo, ora prendo le pizze!”
Uff... Ecco, un altro fastidioso imprevisto.

 

Mi sorpresi di quanto mi sentivo a mio agio all'interno del Cavern.
C'erano ragazzine, teddy-boys e tizi strani sparsi un po' di qui e un po' di la', il caos regnava su quel claustrofobico buco buio e sudicio; l'aria emanava un fastidiosissimo odore di sudore, gente sudata che saltella come un branco di canguri... Okay, io non sono mai stata brava con le similitudini, ma era vero: mancavano solo i marsupi per completare la meravigliosa visione. E la cosa strana era che quella visione, a me, appariva davvero meravigliosa.
Era come se stessi guardando tutto attraverso gli occhi di qualcun'altro, ogni cosa appariva piu' luminosa, come filtrata, e c'era molta piu' luce di quanta doveva essercene in realta'. Al mio fianco, mentre contemplavo l'ambiente che si estendeva di fronte a me, Ringo mi sorrideva. Bene, molto bene.
In quel momento, scacciai un urlo dallo spavento: due mani mi avevano afferrata per le spalle con vigore, scuotendomi come se fossi un sacco di patate. Mi girai subito, intenzionata a prendere a schiaffi la faccia di colui (o colei) che aveva appena osato fare l'idiota alle mie spalle, ma venni immediatamente colta di nuovo di sorpresa da un abbraccio che non mi aspettavo di ricevere. Da un urletto, riconobbi il colpevole.
“Oddio, eccoti qui! La piiiccola Maggie!!”
“John, dai, smettila! Lasciala in pace!” lo ammoni' Ringo, prendendolo per il braccio.
“Infatti, Lennon.. Guarda che la biondina e' di Ringo!” disse un'altra voce, e io, da dietro il corpo di John, digrignai i denti. Non poteva farsi gli affaracci suoi, quel.. Paul, ecco. Lo riconobbi subito come “il tipo che stava male”, ma anche come “quello con gli occhi da pesce lesso” e “l'amico di Seamus”. In poche parole, Paul McCartney, il bassista dei Beatles.
“Ehi, mpfgh.. Fciao Meg!” fece allora l'altro ragazzo dietro a Paul, con la bocca piena, alzando la mano e correndo verso di me per darmi un cinque. George. Non riuscivo a pensare che fosse addirittura piu' grande di me.
“Un attimo, e a noi non ci cagate??” fu quel che disse Robby, comparendo alle spalle di Ringo, dall'ingresso al Cavern. Accanto a lui, comparvero rispettivamente Andi e Guy, e un Seamus che non sembrava tanto felice di entrare in un luogo chiuso come quello. “Se non ci siamo noi, la festa non puo' iniziare!” aggiunse sempre Rob, buttandosi sul mio collo. Avrei tanto voluto fulminarlo...
Le braccia di John, allora, si staccarono da me e furono subito su Andi, con piu' delicatezza rispetto a come aveva trattato me. In mezzo a tutto il chiasso, riuscii a sentire alcune parole che si scambiarono, e a notare le gambe tremolanti di Andi. E Guy che si sedeva su un tavolo, in silenzio, osservando distrattamente il palchetto.
“Ehi, ciao.. E' da un po' che non ci sentiamo.” disse John, sorridendo.
“Gia'..” fu la fioca risposta di Andi, che non osava alzare lo sguardo sull'altro.
“Sono molto felice di rivederti.. Volevo giusto dirti qualcosa.”
“... cosa?” Gli occhi scuri della Barton sembravano preoccupati.
“Una cosa, molto piccola. Dopo te la dico.”
“Ma, ma..”
Ehi, Meg!
Sussultai. E tu chi cazzo sei? Mi voltai per guardare chi mi aveva chiamata e rimasi a bocca aperta.
Una ragazza alta, con i capelli scuri e un sorrisone a me molto familiare era a due centimetri di distanza dalla mia faccia, e i suoi occhi scuri luccicavano dalla gioia. Dietro di lei, Paul la guardava con un sopracciglio alzato, storcendo il naso.
“Meg, Meg, Meg! Oh mio dio, non ci posso credere, sei proprio tu! Pensavo che non ti avrei piu' rivista! Sono troppo felice.. Oddio, no, sul serio.. Sono troppo felice!” urlacchio' lei, allontanandosi da me. “Cavolo, ma.. Non ti ricordi di me, Meg? Davero non ti ricordi di me? Daaai, che ti ricordi di me!!”
Solo una ragazza in tutta l'Inghilterra ha una parlantina cosi' fastidiosa e piacevole allo stesso tempo. Sorrisi.
Layla! Da quanto tempo, porca miseria!” esclamai, abbracciandola. Lei ricambio' il mio abbraccio, ridendo.
“Sapevo che ti saresti ricordata di me, lo sapevo!” disse, stringendomi a se.
Il pensiero che io mi ero ricordata di lei ma non di Ringo mi fece vergognare al punto da arrossire violentemente durante l'abbraccio, ma scossi subito la testa per dimenticare.
“Noooo, non ci posso credere!”
Layla scoppio' a ridere, saltando addosso a Robby, incredulo di fronte a quell'inaspettato incontro. Anche Guy si stava di nuovo dirigendo verso di noi con un'espressione incredula sul viso.
“... sto sognando, vero?” disse Robby, tutto rosso, “LA MIA CUGINETTA E' QUI, NON CI POSSO CREDERE!”
“E invece faresti meglio a crederci, cuginetto mio!” ribatte' Layla, schioccando un bacino sulla guancia di Rob. Seamus, in quel momento, si getto' sulle gambe di Layla, che si illumino' tutta e prese il muso del cane tra le sue mani, grattandogli il collo con affetto. “Ooooh, e c'e' anche il piccolo Seamus! Piccolo Seamus, come stai?? Aaawww, mi sei mancato pure tu!! E.. ma guarda un po' chi si vede! Gabriel Linderman!”
Guy alzo' una mano come per salutarla. Sembrava sinceramente contento alla vista di Layla.
“Dopo mi racconterai cosa ti e' successo in tutto questo tempo, pero'!” le disse, con un occhiolino.
“Ehm, a-hem.” Paul si schiari' la voce alle spalle di Layla, richiamando la nostra attenzione. “Voi.. vi conoscete?”
Layla allora si stacco' da Robby e da Seamus, affiancandosi al perplesso (poveretto. Pff.) bassista, accompagnato da un Ritchie che ci fissava come se fossimo alieni.
“Voi conoscete il mio nuovo amico? Si chiama Paul, e..”
“Lo conosciamo, lo conosciamo.” la interruppe Guy, con la fronte aggrottata. “E tu vorresti spiegarci..”
“Certo, certo! Ho proprio voglia di raccontare qualcosa a qualcuno! Dai, venite!” disse lei, felice, e corse verso i tavoli che erano poco distanti dal punto in cui ci eravamo fermati. Guy fece spallucce e la segui', assieme a Robby che sembrava ancora confuso.
Forse fui l'unica ad accorgermi che George, John e soprattutto Andi erano scomparsi.

 

 

 


 

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Well well well, ecco l'aggiornamento! Sono molto lenta, lo so. ;_;
Comunque, il prossimo capitolo e' quasi pronto! Se ho fortuna, tempo e voglia, lo posto venerdì. ;D
Non ho tempo per rispondere alle recensioni, ma ringrazio chi ha recensito e chi ha letto! <3
Allora.. gudbai. *w*

P.s.: Il prossimo capitolo sara'.. diverso. Vedrete. xD

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Capitolo 12
*** George / Life in Manchester. ***


 

Liverpool, ottobre 1962.
“Ma dove sono finiti tutti gli altri?” fu la domanda che si fece il povero George, camminando per il Cavern con un'aria persa e con un sacchetto pieno di bibite in mano. Era come se si fossero tutti volatilizzati in quei dieci minuti che gli erano occorsi per andare al bancone e chiedere qualcosa da bere. Un po' era anche colpa sua, che aveva preteso di avere dieci lattine di birra, ma non era mica colpa sua: c'erano anche gli altri. Peccato che “gli altri” non c'erano.
Un lungo sospiro usci' dalle sue labbra, e lui poggio' il sacchetto per terra, sedendosi su uno sgabellino. “Ecco, e ora devo mettermi a bere tutto in solitudine senza uno straccio di compagnia... Che prospettiva deprimente...” si disse tra se e se, con un tono estremamente melodrammatico. “Bah, iniziamo con la prima lattina...”
Stava per aprire una lattina quando una voce femminile e solare richiamo' la sua attenzione.
“Ehi, quelle sono tutte tue?” domando' quella voce, cortese. George alzo' lo sguardo verso la fonte di quella voce e i suoi occhi si illuminarono di fronte alla visione che lo stava aspettando: una ragazza con i capelli scuri e mossi, le labbra tese in un sorrisino, vestita con pantaloni in pelle e cannottiera nera, mentre teneva il giacchino in pelle appeso sul braccio.
George rimase quasi abbagliato da quell'improvvisa visione, e l'unica cosa che riusci' a dire fu un: “N-no..” per poi aggiungere: “Le ho appena prese.. Volevo condividerle con dei miei amici, ma non ci sono piu', quindi..” e parti' una risatina. Forse era addirittura una fortuna che John e gli altri non ci fossero...
Il sorriso della ragazza si spense, divenendo immediatamente una faccia dispiaciuta.
“Oh, capisco.. E quando e' successo?” chiese, a bassa voce, avvicinandosi. George trattenne il fiato, cercando di non mostrare le emozioni che provava mentre quell'aggraziata figura si metteva al suo fianco, e poi si rese conto della domanda che gli era stata posta e storse il naso.
“... quando e' successo cosa?” domando' a sua volta, perplesso.
“Ehm.. Non avevi mica detto che i tuoi amici..”
George spalanco' gli occhi. Dovette trattenere le risate, ma riusci' lo stesso a rispondere.
“No, no! Hai.. hai capito male! Non sono morti, eh, se ne sono solo andati! Mi hanno lasciato solo, insomma!”
Ora sul viso della ragazza era comparsa un'espressione incredula, poi offesa, poi... divertita. Ed entrambi scoppiarono a ridere, come se quello stupido malinteso li avesse avvicinati in un modo o nell'altro.
La ragazza, allora, sfilando una lattina dal sacchetto del ragazzo, gli rivolse un caloroso sorriso.
“Dai, alla nostra salute, ragazzo solo?” disse, alzando la lattina verso di lui.
“Alla nostra salute, e a quella dei miei amici!” replico' George.
E tra una risata e l'altra, i due bevvero assieme le loro birre, chiacchierando.

 

Manchester, settembre 2010.
A Carly non piaceva Manchester. Era una citta' brutta, priva di alcun particolare che potesse renderla interessante ai suoi occhi, ancora piu' buia di quella cupa Liverpool in cui aveva vissuto da quando era nata. E in quel momento, Liverpool ai suoi occhi compariva come una delle citta' piu' belle che avesse mai visto. Una delle piu' belle, messa in confronto a Manchester. Ma in fondo, Liverpool non era da buttare.
La luce – e l'onore – di cui brillava Liverpool era l'essere la patria del piu' grande gruppo di tutti i tempi: i Beatles. E Manchester? Niente, niente di niente, zero assoluto.
La gente del posto, poi, era anche peggio rispetto a quella di Liverpool. Le erano bastati due giorni per capire che quella citta' non faceva per lei, due orribili giorni passati in solitudine in un'orribile scuola, dove sembrava che nessuno pensasse ai sentimenti altrui. Ed era sempre la solita solfa: “Ascolti i Beatles? Oddio, ma quelli piacciono a mia nonna!” e alcuni un po' piu' comprensivi, ma non meno delicati: “Mia mamma me li faceva sentire quando ero piccola, ma a me non piacevano. Sai, preferisco altri generi...”
Carly, con la maglietta del Dark Side of the Moon – di due taglie piu' grande – addosso e i capelli raccolti in una coda di cavallo, in cammino in direzione della scuola, sapeva che l'attendeva il suo terzo giorno di scuola: un altro schifoso giorno che avrebbe preferito saltare, anche a costo di mentire a Josie, sua madre. Ma Josie non avrebbe capito, e tantomeno Sam, suo padre. Non avrebbero accettato alcuna sua ragione e l'avrebbero mandata lo stesso a scuola, andava sempre a finire cosi'.
Seccata, si sistemo' nervosamente il colletto della giacca – aperta – e affretto' il paso per unirsi ad un'altra massa di studenti che andavano per la sua stessa direzione. L'ingresso della scuola era quasi vicino, ormai era troppo tardi per scappare.
A malavoglia, fece per varcare la soglia, quando una stridula voce richiamo' la sua attenzione.
“TU!”
Carly sussulto' e si volto', spaventata. Un dito indice era puntato davanti al suo naso, immobile.
Un paio di studenti lanciavano occhiate verso di lei, sghignazzando, e se ne andavano disperdendosi in un fumo di chiacchiere e commenti inutili di cui Carly avrebbe volentieri fatto a meno. Ma la cosa piu' incredibile stava di fronte a lei, dove lei poteva vedere la persona piu' stravagante che avesse mai potuto incontrare nella sua vita.
Era una ragazza alta, con i capelli di media lunghezza tinti di blu, vestita con dei jeans larghi e strappati, un giaccone scuro con sotto una felpa verde dei Green Day. A completare il quadro stavano le converse gialle fluorescenti e una vistosa kefiah che le avvolgeva il collo.
Carly stette a guardarla per un paio di secondi, indecisa se chiederle qualcosa o attendere una sua parola, ma subito venne preceduta dalla sua vocetta, alta e molto semplice, quasi arrogante nel modo in cui infilava l'accento tronco in quasi ogni parola.
“Tu, come cavolo ti chiami.. Insomma, tu.” disse, “Sai cosa raffigura la tua t-shirt.. Vero?”
La ragazza la guardava con un'aria che doveva risultare minacciosa, ma che invece era quasi buffa.
Carly alzo' un sopracciglio. “... certo.” mormoro', a bassa voce, come per sottolineare l'ovvieta' della sua risposta.
“Beh, ovvio che sai cosa raffigura... Ma tu sai che e' la copertina di un album, vero?” fu la seguente domanda, seguita da quell'insistente “vero” di cui sembrava non poter fare a meno. I suoi occhi ora s'erano fatti quasi speranzosi per una risposta affermativa, ma il suo dito non s'ostinava ad abbassarsi.
“C-certo!... E' il prisma sulla copertina del Dark Side of the Moon, dei Pink Floyd...” balbetto' Carly.
L'espressivita' della ragazza era davvero sorprendente, provata da come i suoi occhi sembravano parlare al posto suo. I suoi occhi parevano colmi di un'inspiegabile gioia mista ad un certo sollievo, ma per completare il quadro mancava un piccolo elemento.
“Quindi.. Quindi ti piacciono i Pink Floyd!” esclamo', e la sua voce si fece ancor piu' alta. Quel che segui' fu una sottospecie di interrogatorio, solo ad una velocita' piu' avanzata del normale. “Ehi tu, quali dischi hai sentito? Quali sono i tuoi album preferiti? E le tue canzoni preferite? Ascolti altri gruppi? Quali gruppi ti piacciono? Tipregodimmiqualcosaqualsiasicosa!”
“Ecco, ehm...” Carly si schiari' la voce, appena le sembro' che fosse il caso di interromperla. “A me piacciono molto anche The Wall, The Piper at the Gates of Dawn, e anche Wish you were here... Non ho sentito t-tutto, ma mio padre mi ha fatto sentire qualcosa... E mi piacciono molto Money, Us and Them...”
Prima che potesse finire di rispondere, venne travolta da un abbraccione improvviso che le fece prendere un colpo; si ritrovo' stritolata in mezzo a due goffe braccia un po' troppo lunghe, con una risata colma di gioia che le riempiva le orecchie.
“ODDIO, ODDIO, ODDIO! NON CI POSSO CREDERE!” gridava la ragazza, stringendo ancora Carly tra le sue braccia. “Ascolti i Pink Floyd! Li ascolti per davvero! E non conosci solo Wish you were here! Ma io, ma io... Ma io sento di stimarti profondamente, sorellina!!”
Sorellina? Carly storse il naso, ma l'unica cosa che riusci' a dire fu un debole “Ehm... Grazie...”
“Oh, che sbadata che sono!” esclamo all'improvviso la ragazza, lasciando andare la sua nuova amichetta. “Mi sono dimenticata di presentarmi, ma quanto sono maleducata! Io mi chiamo Clementine, ho 18 anni e odio il mio nome! Cheers!” e concluse con un inchino alla Beatles che strappo' un sorriso dalle labbra di Carly. “Tu come ti chiami, invece, se posso avere l'onore di conoscre il tuo nome?” chiese subito Clementine, rialzando la testa.
“Io mi chiamo Carly, molto piacere!” le rispose Carly, stringendo la sua mano destra, gia' tesa verso di lei prima che potesse rendersene conto.
“Che bel nome che hai, Carly! Sei del primo anno, vero?” e mentre Clementine le rivolgeva queste domande, le due si erano gia' incamminate verso le aule. “Sai, non ti ho mai vista nei paraggi... Conosco tutta la scuola, io! E tutta la scuola mi conosce come la Super Fricchettona a-cui-sai-che-puoi-chiedere-aiuto, ma si sbagliano di brutto, perche' io non sono affatto una fricchettona! Il fricchettone semmai e' Eddie! Ma anche lui ha una buona reputazione, qua, e in questi giorni e' assente perche' e' impegnato a rollarsi le canne... Pfff, che si faccia tranquillamente tutte le canne che vuole! Io preferisco fare altro! Un momento, oddio, scusa, mi sono messa a parlare di fatti miei! Dai, ora lascio parlare a te... Presentati un po'! Mi farebbe piacere conoscerti!”
Carly rimase allibita di fronte a quell'incredibile capacita' di quella ragazza di parlare cosi'.. velocemente. Clementine intanto aspettava una parola dalla sua nuova amichetta, guardandola con degli occhioni che.. facevano paura.
“Ehm..” Carly non sapeva che dire, ma provo': “Mi piacciono i Beatles.” e sorrise.
E un altro abbraccione: Carly ci stava facendo l'abitudine, ormai.
“WAAA! Ti piacciono i Beatles?? Oddio, mia mamma me li faceva sentire quando ero piccolissima!! E ho un sacco di loro vinili originali, in casa!! E sono uno dei miei gruppi preferiti, cazzo, assieme ai Led Zeppelin, ai Cream.. Cazzo, cazzo, non posso crederci! Ho incontrato un'esponente di genere femminile che ascolta questa fottutissima musica! Ma io sono troppo, troppo felice!!” strillacchiava, solare. “Dopo, vieni a casa mia! Devo farti vedere un paio di cosine che sicuramente ti piaceranno moltissimo!” e le fece l'occhiolino.
In quel momento, suono' la campana. Entrambe ebbero un sussulto, specialmente Clementine, la quale inizio' ad agitarsi ancor piu' di prima (se cio' era possibile).
“Cavolo, il prof. mi uccide se arrivo di nuovo in ritardo! Gia' mi immagino la scenata che fara', quando mi vedra' arrivare..
Signorina Kaufmann, non e' possibile che sia la terza volta che arriva in ritardo in questi primi tre giorni di scuola, dovrebbe vergognarsi!” disse, imitando una voce grave e pomposa, e scoppio' a ridere.
“Un attimo, tu.. tu ti chiami Clementine Kaufmann, quindi?” fece Carly, sorridendo.
“In persona! E, per favore, chiamami solo Clem.. Clementine fa schifo, dai!” rispose lei, innervosita.
“Io trovo sia un nome davvero
carin..”
“NO! Non dire quella parola! Odio le persone che dicono
carino!” urlo' all'improvviso Clementine, facendo prendere l'ennesimo colpo alla sua povera interlocutrice. E' un tipetto abbastanza lunatico, penso' Carly. E, come volevasi dimostrare, Clementine torno' subito a sorridere e, prima di andarsene, disse: “Aspettami all'ingresso della scuola, dopo le lezioni! Ora vai, non voglio farti arrivare in ritardo!”
Con un altro occhiolino, l'eccentrico figurino dai capelli azzurri si allontano' dalla vista di Carly, che rimase a guardare verso la direzione per cui se n'era andata per un altro paio di minuti, per poi scuotere la testa e salire le scale che l'avrebbero portata alla sua classe.

 

 

 


See Emily Play
Pa-paaaaan! E Carly ritorna!! xDD
Bene, ora ci vogliono delle spiegazioni. Nel 2012, teoricamente, Carly dovrebbe trasferirsi a Londra. E nel frattempo, con il cambio di scuola, Carly si ritrova a studiare in una scuola a Manchester. E Manchester non l'ho scelta a caso, visto che e' la citta d'origine di un gruppo che amo molto, ossia i Joy Division. Forse Carly incontra di nuovo Paul, chi lo sa? ;D E nessuno ricorda Ed? O meglio, il nome “Eddie” ricorda qualcosa a qualcuno? Vediamo, dai. x3
Clementine, comunque, e' molto ispirata alla sua omonima protagonista di Eternal Sunshine of the Spotless Mind (“Se mi lasci ti cancello” in Italia), interpretata da
Kate Winslet! Ho sempre voluto inserire questo personaggio dentro ad una mia fic, quindi ne ho approffittato per inserirla qui. (Ho anche inserito un riferimento a quel film, ossia quando Clem si arrabbia per via del “carino”. xD) Sara' un personaggio importante per uno sviluppo di questa storia. Aspettatevi molte cose dopo questa sua entrata in scena, e anche una crossover! ;D Ora, qua vi metto una sua foto!

 Clementine.

Dai, ora la storia si sta DAVVERO movimentando. >_>
Ora rispondo alle recensioni. E ringrazio di cuore chi ha recensito. :D

Beth_: No, sei troppo gentile, davvero. Beh, spero ti sia piaciuto questo capitolo! ^^ Grazie mille. <3 E sappi che io stimo te per l'avatar. x3

Zazar90: Hehe, Layla. Mi diverto troppo a scrivere di lei! E anche a mettere il Pollo Macca nei guai, lol. *sorriso sadico* E Rob e' il cuginetto di Layla, ebbene si'. D: Ed ecco il capitolo diverso, spero ti sia piaciuto. xD Grazie mille. <3

Marty_youchy: Ooooh, Marty! *_* Sappi che questa tua recensione mi ha fatta morire. La mimica di Paul e' eccezionale, LOL. MENAGE A TROIS, HELL YEAH. <333 Perche' non ci avevo pensato? Avrei potuto inserirlo, uffa! >.< Ringo e Meg pero' non sono proprio fratelli di sangue, visto che fin dalla storia precedente si nota che Meg e' stata “adottata”. E magari, in questa storia succederanno piu' cose tra loro due.. ;) Grazie mille. <3

Ora vado, altrimenti non finisco piu'. xD
Bai. *-*

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Capitolo 13
*** Edward Julian Barton. ***


 

Manchester, settembre 2010.
La campanella aveva suonato da ormai tre minuti quando Carly riusci' finalmente a uscire dalla scuola. Uscire fuori dall'edificio e lasciarsi investire da quell'aria fresca e autunnale fu qualcosa di divino: fu come ritornare a respirare dopo quattro, cinque ore di soffocamento interiore. Carly prese un bel respiro, inspiro' tutto l'ossigeno che la circondava – anche se maggior parte dell'aria era occupata dall'odore delle sigarette – e si senti' immediatamente meglio rispetto a quelle ore precedenti. Ora doveva solo tornare a casa.
Carly alzo' la cerniera del giaccone e, con lo zaino sulle spalle, fece per andarsene, quando senti' una voce che ben conosceva alle sue spalle.
“Ehiiiii, tizia col nome fiiigo!!!” diceva la vocetta. Clementine, la riconobbe subito, con un sorriso.
Clementine se ne stava appollaiata alla ringhiera delle scale all'ingresso, con la bocca coperta dalla kefiah. Tra le mani teneva due milkshakes e stringeva una cartelletta azzurra al petto – gli appunti delle lezioni, forse. Carly non aveva altra scelta: si diresse verso di lei stringendo le spalle, facendo attenzione a non alzare gli occhi per non incontrare altri sguardi.
“Allora, come butta? Ti va qualcosa da bere?” chiese Clem, raggiante come prima, porgendole il milkshake. Poi, sorseggiando la sua bevanda, disse: “Io ho avuto fisica, sai che noia! Pero' c'era Billie che faceva casino e lanciava gli aereoplanini di carta in giro per la classe.. Manco fossimo alle elementari, bah! Almeno quell'aereoplanino di carta e' caduto sul caffe' di quella zoccola di Missy e le e' finito tutto il caffe' addosso, dovevi vederla! Strillava come un'oca! Cosi' impara a darsi troppe arie!” e ridendo, concluse questa sua parentesi. “Beh, tu che mi dici?”
Carly smise di colpo di bere, guardandola in faccia senza sapere cosa dire. Non le era successo niente, quindi non sapeva proprio cosa dovesse dirle. Clementine aveva avuto qualcosa da raccontare, invece lei l'avrebbe solo annoiata raccontandole di come era stata noiosa e soporifera quella stupida lezione di letteratura alla terza ora, e di come quella moretta stronza della sua classe l'aveva presa per il culo per la sua pettinatura.
“... non e' successo molto, a dire la verita'..” mormoro' Carly, cercando di formulare una frase, ma Clementine la interruppe subito piazzandole l'ennesimo dito indice davanti al naso e facendo prendere l'ennesimo colpo alla poveretta.
“Di', c'entra una delle nuove Barbie di questa scuola, vero?” le domando', con un tono paurosamente serio.
“Ermm.. A essere sincera..” Carly si gratto' la testa con la mano sinistra, poi fece un debole sorrisino. “Nella mia classe, mi dicono che dovrei tagliarmi i capelli.. E' che a me piacciono cosi', e mi va di farmeli crescere..” e poi si alzo' di colpo, alzando con decisione un pugno in aria. “Poi,
grow up your hair for peace!” e si sedette di nuovo sulla ringhiera, mentre Clem la fissava con un sopracciglio – uno – alzato.
“... ok, tizia col nome figo, ok.” disse Clementine, con un sorrisetto di circostanza. “
Coooomunque, tu.. Tu dovresti mandarli tuuutti a fanculo, ecco cosa! Devono andare a fanculo! Anche a me dicevano che dovevo tagliarmi i capelli, che dovevo farmi la piastra per lisciarli e vattelapesca, e io per vendetta ho iniziato a tingerli!” le fece un occhiolino, mentre il ciuffo azzurro schizzo' verso l'occhio sinistro, guidato dal brusco movimento del viso.
Subito dopo, Clem si volto' verso le scale e continuo' a bere il suo milkshake alla fragola con gli occhi dritti verso gli studenti che scendevano per uscire dall'edificio, e Carly ebbe modo di osservarla attentamente.
Riusciva a provare una grande stima nei suoi confronti, nonostante la conoscesse da giusto cinque o quattro ore. Il modo in cui parlava, diretto e deciso, il modo in cui si atteggiava con lei, i capelli, la kefiah.. Erano tutti elementi che la rendevano in qualche modo unica. Era quel tipo di persona che Carly non sarebbe mai riuscita a essere, e questo le fece provare un filo di invidia.
“... cazzo guardi?”
Carly ebbe un sussulto: Clem si era voltata verso di lei, scesa dalla ringhiera.
“Dai, ora andiamo a casa mia! Scendi, che ti mostro anche il mio piccolo gioiellino!” le disse Clem, sventolando le chiavi della sua auto davanti al naso di Carly. “E' un bolide pazzesco! Scendi e vedrai!”
Carly non se ne intendeva di automobili, ma sicuramente, se a Clem piaceva, non doveva fare tanto schifo.
Nel parcheggio della scuola, poco distante dalle scale, c'erano tantissime macchine, appartenenti a chissa' quanti studenti o professori: dalle Mercedes tirate a lucido alle svariate Ford mezze sfasciate, dai colori sbiaditi. Clementine, con passo deciso, si diresse in direzione di un'auto che... Lasciava a fiato mozzato.
Non tanto per la bellezza o l'aria comfortevole, ma per la grandezza.
Era qualcosa di simile ad un furgoncino Volkswagen di piccole dimensioni, e nonostante la sua normale natura da “furgoncino di piccole dimensioni”, occupava al minimo due posti del parcheggio. Di fronte a quel mostro direttamente proveniente dalla Summer of Love, dai colori che una volta dovevano essere sgargianti e psichedelici ma oramai sbiaditi dal tempo (e dall'assenza delle necessarie ripassate trimestrali), dotato inoltre di una portiera fieramente rotta e un finestrino da riparare – temporaneamente sostituito con dell'economico cartone da pacchi – Carly non seppe proprio che dire. E non sapeva se provare ammirazione, invidia o terrore.
“... sarebbe questo, il bolide?” chiese, appena fu a bordo. Le cinture erano ben tre, e ogni cintura era caratterizzata da un diverso tipo di agganciatura, e una era addirittura da annodare come si annodano le corde delle vele delle barchette. Ne allaccio' solo una, notando con orrore che la postazione dell'autista, a differenza del sedile del passeggero, non aveva
nessun tipo di cintura. Ahi ahi.
“Beh, certo! Cosa ti aspettavi, eh?” disse Clem, tra l'euforia e l'orgoglio. “I figli di papa' hanno le loro Volvo, BMW, tutte quelle automobili lussuose da strapazzo che tanto non ti porteresti mai dopo la morte... Io invece ho un furgone del '65 su cui vale la pena salire a bordo almeno una volta nella vita!” e concluse con un ghigno soddisfatto. La nuova e minuta passeggera era rimasta senza parole.
“Oh, c-certo... A me piace davvero tanto, ma l-lo stato non mi sembra tanto.. Oddio, io..”
“Basta chiacchiere, SI PARTE!!!”
Carly non ebbe neanche il tempo di ribattere che si ritrovo' con la testa appiccicata alla testiera, come spinta da una forza invisibile che trasportava automaticamente il suo corpo all'indietro. Tenne gli occhi chiusi, chiusissimi, ma ne apri' ben presto uno, pentendosene amaramente. Vide solo qualcosa di confuso oltre il parabrezza e il contachilometri che segnava i centodieci chilometri orari. Ed erano in piena citta'.
Tra sterzate, brusche frenate, cambi di marcia piuttosto inopportuni e tanti, tanti insulti (dati e ricevuti), Clementine riusci' miracolosamente ad arrivare a destinazione senza nessun danno, mantenendo salva la vita della sua prima vera e propria passeggera. Quest'ultima sembrava un po' scombussolata in seguito al breve tragitto. La canzone che usciva dalle casse – che Carly aveva identificato come Bell Boy degli Who, uno dei gruppi che suo padre ascoltava di tanto in tanto – stava nel frattempo volgendo al termine, con accennata desolazione.
Clem spense il motore prima che potesse partire la canzone seguente, e il costante ringhio di esso si interruppe di colpo, come se qualcuno avesse chiuso la finetra durante una giornata ventosa. Il silenzio che segui' il motore fu quasi immenso, e Carly se lo godette fino in fondo, con lo sguardo fisso oltre il parabrezza dallo shock, mentre l'autista pazza ansimava, soddisfatta di aver mostrato le proprie prestazioni.
“Un giorno dobbiamo andare assieme da qualche parte! E' divertente stare alla guida con te accanto! Invece con Ed e' noiosissimo, pretende che guido come una persona che soffre di schizofrenia e vuole stare lui al volante... Ma 'affanculo, va!” disse Clem, ancora tutto d'un fiato, come pareva solita a parlare. “Chissenefrega! Ora non lo conosci, ma.. Vedrai. E' un tale rompiscatole, a volte, che lo prenderei a schiaffi! Comuuunque, che ne dici se un giorno andiamo a scuola assieme, in auto?”
“... mi sembra un'ottima idea, ma devo... devo rifletterci su.” mormoro' Carly con una vocina flebile.
Clem rivolse alla sua nuova amica un sorriso smagliante e parcheggio' l'auto – con meno foga, per fortuna – accanto all'ingresso di un palazzo non troppo grande, caratterizzato da un tetto piatto occupato interamente da un reticolato di antenne e cavi per le televisioni delle famiglie che abitavano l'edificio, e dai muri, che andavano decisamente imbiancati. Qualche babbione inoltre aveva scritto qualcosa di identificabile in “Der Cat in der Kuli” sul vetro del portone d'ingresso. Carly alzo' un sopracciglio – uno.
Intanto, Clem aveva suonato al citofono, e la risposta era stata semplicemente lo scatto del lucchetto del portone che si apriva. La ragazza dai capelli blu fece una smorfia infastidita, entrando nel palazzo. Carly la segui' mentre lei parlottava tra se e se, decisamente irritata.
L'appartamento di Clementine si trovava al terzo piano, che le due raggiunsero senza troppe difficolta' con l'ascensore, l'unica cosa che sembrava funzionare bene in tutto l'edificio. Al terzo piano c'erano ben tre porte, tutte color marrone, di legno, tra cui una era socchiusa – quella alla destra. Le due ragazze entrarono nell'appartamento in silenzio, smettendo di colpo di chiacchierare, come avevano fatto a bordo dell'ascensore – che andava piuttosto lento, purtroppo.
Il primo odore di cui s'accorse Carly fu quello di qualcosa di bruciato. Del cibo, probabilmente.
A confermarlo, fu l'esclamazione e una mezza bestemmia sussurrata di Clem.
“Oh, ma che cazz... EEED! Hai bruciato di nuovo la carne?! Tu lo sai che io non la mangio!”
“Non l'ho fatto apposta..!” fu la risposta che giunse dall'altra stanza. Parlava una voce seccata, alta, da maschio.
“Ma tu lo sai che io
non mangio carne... Veeeero?!” fece Clem.
“E tu lo sai che a me non frega,
veeeero?!”
“Vaffanculo, hai mai visto come vengono creati gli hamburger che tanto ti piacciono? Non li mangeresti piu' se sapessi come uccidono crudelmente quei poveri bovini! Informati,
che sei quel che mangi!!”
You know that what you eat you are... A Carly sfuggi' una risatina.
“Gli hamburger mi fanno cagare, Clem! E comunque, io mangio carne perche' gli uomini hanno bisogno di nutrirsi equilibratamente di carne e verdura, e non possono sopravvivere senza alcune proteine che possono contenere solo le bistecche, okay? E ora smettila di rompere e aspetta, che spengo il gas e vengo!”
Clementine sbuffo', sempre irritata. Quando noto' lo sguardo che le lanciava Carly, roteo' gli occhi.
“No, non siamo pazzi, e' che quando entro in casa parlo sempre con lui, fin dall'ingresso. E ci urliamo addosso,
si'.”
Carly rise. Aveva davanti una delle persone piu' espressive, grintose e bizzarre che avesse mai conosciuto, davvero.
In quel momento, dei passi pesanti si fecero sentire da davanti, attraversando un paio di corridoi e raggiungendo finalmente l'ingresso, superato il salotto. E Carly ebbe un colpo non appena vide il proprietario di questi passi.
“...
Ed?!” esclamo', incredula.
“Ecco, visto? Pure Carly pensa che tu abbia un nome stran...”
“Carly? Carly Spencer?” chiese immediatamente quello che doveva essere Ed, interrompendo la frase della coinquilina.
Clementine fece per introdursi, ma venne immediatamente bloccata dall'altra.
“Oddio, ma.. Ed! Cosa ci fai a Manchester?” domando' Carly, perplessa. Ma Clem era molto piu' perplessa di lei.
Togliendosi la ridicola bandana che aveva in testa, Ed rispose, guardandosi la felpa – nera, dei Guns N'Roses.
“Ehm... Andi non ti ha detto che vivo a Manchester da qualche settimana?”
Carly scosse la testa, pallida. Ed borbotto' qualcosa di simile ad un “Oh, Andi..”.
“Fa niente,” disse. “Ora lo sai.” e sorrise.
“UN MOMENTO!” urlo' allora Clem, e i due si voltarono verso di lei, entrambi abbastanza confusi – anche se non meno di quel terzo incomodo che si ritrovava ad essere lei. “Ora dovete spiegarmi un paio di cose...”
“Non c'e' niente da spiegare,” la interruppe subito Ed, imboccandosi le maniche della felpa. “Mia sorella era una sua compagna di classe, e io ho incontrato Carly un paio di volte, tutto qui. Comunque,” ora rivolgendosi a Carly, “Andi mi aveva detto che ti eri trasferita a Manchester, ma non mi aspettavo proprio di vederti. Ma non importa. Mmmh... Volete qualcosa da bere? Ci sono dei frullati.”
“Oddio, i frullati!!” urlo' Clem, che ormai sembrava essersi dimenticata della carne bruciata e di quella strana coincidenza. Anzi, no, di quella coincidenza non se n'era ancora dimenticata. “Dopo, pero', mi spieghi tutto, capito, mister Bel-Faccino?” disse, stringendo il mento di Ed tra le dita.
“Ehi, va bene, va bene! Ma ora lasciami!” rispose Ed, ridendo fragorosamente.
Sorrideva decisamente meglio di sua sorella, ma aveva i suoi stessi denti bianchi e bellissimi, solo con un incisivo spaccato.
Edward Julian Barton, meglio noto come Ed, era un ragazzo alto, dai capelli lunghi e ricci – voluminosi, anche – tra il biondo e il color carota, biondo come i genitori e rosso come la sorella. Il suo viso ricordava vagamente quello duro e spigoloso del leader degli Who, ma, a differenza di Daltrey, aveva gli occhi piu' vicini al verde. Tutto sommato era un bel ragazzo, con quella vaga aria da persona da cui tenersi alla larga, conferito anche da quel mezzo incisivo e dalle mani grosse al punto da riuscire a coprire interamente anche il viso di Clementine. Non somigliava affatto alla timida e fragile Andi, se non in alcuni piccoli e insignificanti punti, pur essendo suo fratello maggiore.
Carly era davvero molto stupita nel rivederlo, soprattutto visto che non lo vedeva da un bel po' di tempo, e si era quasi dimenticata di com'era fatto, del suo viso. Sorseggio' il suo bicchiere di frullato in silenzio, gustandolo senza troppa foga con la cannuccia rossa che Ed aveva goffamente ficcato nel mezzo del liquido bianco e spumoso, a differenza di Clementine, che aveva gia' finito di bere e aveva sul viso un'espressione alquanto soddisfatta. Invece, Ed non aveva ancora finito, e rigirava la cannuccia nel suo frullato, quasi per aumentarne la lieve schiuma, chiacchierando distrattamente assieme alla coinquilina.
Parlavano di tante cose: della scuola, dei loro ultimi acquisti, delle cose da fare in casa – a questo proposito, Clem gli tiro' anche uno schiaffetto sul braccio per riprenderlo sulla sua pigrizia nell'occuparsi della biancheria e dei panni da lavare – e anche di musica, discutendo su vari gruppi che Carly aveva solo sentito nominare da quel fanatico che si ritrovava al posto del padre, album di artisti famosi degli anni Settanta e Sessanta...
“Oh, ecco, ora me ne sono accorto.” disse ad un certo punto Ed, come se si fosse risvegliato. “Ehi, Carly!”
Carly alzo' gli occhi verso i due, lasciando cadere la cannuccia nel bicchiere – vuoto.
“Bella maglietta!” si complimento' Ed, sempre con quell'improbabile sorrisone.
Carly senti' il sangue andarle nella faccia, e si morse il labbro, lasciandolo subito andare per rispondere.
“... g-grazie!” balbetto'.
Clem e Ed si misero entrambi a ridere, divertiti da quell'imbarazzata reazione della ragazza.

 

 


A/N: PAPAPAAAAANNNN. HO AGGIUORNATO! (SSSI', SONO RRRUSSA.)
Innanzitutto, beh... Ho deciso di togliere il “See Emily Play”. Amo immensamente quella canzone, ma mi scocciava doverla mettere ogni volta! D: Quindi ho deciso di accontentarmi. xD Ma questo non importa a nessuno. ._.
In questo capitolo, comunque, non ci sono i Beatles, ed e' anche abbastanza inutile, ma volevo far entrare in scena Ed, il fratellone di Andi, che nella storia precedente ha fatto la sua comparsa solo nel penultimo capitolo. Non ho mai avuto bene in chiaro come caratterizzarlo, fisicamente, quindi ho deciso di farlo somigliante a Roger Daltrey (come il signor Spencer teoricamente e' Rino Gaetano, falalala <3). :3
Vorrei ringraziare
Zazar90, Beth_, DazedAndConfused e natalia, che hanno recensito, e anche Marty_youchy. Davvero troppo gentili, davvero. Prima o poi rispondero' appositamente alle recensioni, prometto! :D
E mi scuso per l'ennesima volta per il superlativo ritardo! >__< Per farmi perdonare, ecco una foto di Roger Daltrey. *guru* E un fotomontaggio che ho realizzato di recente, che spoilera tanto tanto. ._.

 D:
Lo so, non si vede bene, ma non importa. D:

FRjkrjg.
Ed ecco il fotomontaggio. GEORGE E LAYLA. Anche se solo ora mi sono accorta che Layla e' troppo grande, rispetto a George. xD E ho spoilerato troppo, ops.

Allora grazie ancora a chi recensisce, ma anche a chi legge, che sopporta tutte queste cavolate che lascio su questo sito.
Ora vado e non vi rompo piu'! xD
Hare Krishna, Peace & Luffff. <3


PS: ... ok, dietro al "Der Cat in der Kuli" ci sta una lunga, lunga, lunga storia.

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