_Sole n e r o.

di Red S i n n e r
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** _Sole n e r o. ***
Capitolo 2: *** _Luna di f e r r o. ***



Capitolo 1
*** _Sole n e r o. ***


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 Salve! °ç°  Mi ritrovo dopo molto tempo a pubblicare su Vampire Knight ed a farlo con una coppia che, vi giuro, amo profondamente. La Shiki/Ichijou! **

Questa storia ha partecipato al contest 'Trough the window' indetto da DarkRose86, sul forum di Efp e si è classificata settima su diciotto, o una cosa del genere. XD

Sono molto felice della posizione e del banner fantastico [Ammiratelo, ammiratelo! *ç*], il giudizio lo trovate in basso a fine storia.

Ah, ultima cosa! Dato che per il contest avevo in mente due one shot one sided, ho deciso di lascare questa fanfiction in corso per poterla completare con la One shot one-sided su Takuma Ichijou. 

Intanto vi lascio alla mia prima Shot dedicata a Senri Shiki. Spero vi piaccia! E se mi lasciate un commentino non mordo, giuro. XD  

Red.

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________Sole n e r o.

Faccio a botte coi miei sogni,
coi miei desideri,
con l’inferno e il paradiso,
 qui,
nei miei pensieri.

Sole nero – Litfiba.

 

Brucia.

Solo questo, brucia e basta, corrode le palpebre e le iridi. Fa male.

Con semplicità e con cruda realtà faceva male e Shiki lo sapeva, perché capiva tante cose, ma non quel dolore così stupido e irrazionale, così inutile e ridicolo, così struggente ed essenziale.

Si cullava in esso, chiudeva gli occhi brucianti di lacrime mai versate e restava lì, ad abbracciare il momento come il più desiderato tra i figli, a lasciarsi andare in quella melodia moribonda che suonava solo per lui.

Un’importanza mai avuta, un ruolo da protagonista finalmente!

Tutto che si ferma per lasciargli un po’ di spazio, solo un po’, lo spazio necessario a farlo vivere, un battito di ciglia, il tempo di una nota e tutto finirà come se non fosse mai successo.

Stringeva tra le mani, più pallide della neve, quel davanzale freddo e inumano, quella finestra con le grate e guardava la luna, che fiera lo osservava di rimando; e si rese conto che quello era l’unico sole che poteva vedere, l’unico astro che poteva rimirare.

 Un  sole nero, il suo, che bruciava il mondo e la sua oscurità, con quel poco di luce che sapeva donare.

Shiki lo osservava quel sole menzognero,  e i suoi occhi bruciavano a ritmo della sua luce fioca e morente, abbastanza fioca da mettere un’insolita malinconia nell’animo dell’osservatore, abbastanza forte da riuscire ad illuminare il suolo freddo.   

Lo stesso suolo sul quale camminava lui, i capelli che sembravano scintille di sole, gli occhi che ne racchiudevano i raggi.

Ichijou camminava così, inconsapevole d’essere osservato, chiacchierando del più e del meno: il suo sorriso illuminava l’oscurità di bianco, la risata che invadeva il silenzio e si ripeteva nelle orecchie di Senri, come una nenia già sentita ma indispensabile.

Allora chiudeva gli occhi, quel vampiro prigioniero di se stesso, e la fantasia intrecciava quella risata alle note spente della sua personale melodia, che brillava di nuova vita, mostrandogli la sua vita come avrebbe voluto che fosse.

Ma gli occhi si riaprivano, la risata moriva, il suono si perdeva nel silenzio della notte e la fantasia veniva a mancare: distrutta da quella finestra con le grate, che distruggeva i sogni con la sua fredda ed inanimata presenza.

Ichijou camminava tranquillo, chinandosi ad osservare una rosa oppure fermandosi per parlare con qualcuno, Shiki  lo osservava, stringendo tra le dita una delle sbarre della finestra del collegio, arrivando quasi a spezzarla e fermandosi sempre un poco prima.

Imprigionato in gesti così abitudinari, Senri Shiki si sporgeva dalla finestra per poterlo guardare ancora un po’, prima che girasse l’angolo, prima che tutto finisse: ma tutto finiva e sembrava sfoggiarlo con crudeltà.

I fiori non sarebbero potuti crescere senza un sole disposto a donargli la vita, forse nemmeno la speranza poteva essere alimentata da quel sole nero, che amava fargli rivivere attimi di vita spesa ad aspettare un’occasione che non sarebbe mai arrivata.

Chiudeva gli occhi, serrava le mani sulle grate della finestra, sentiva la luna deriderlo o forse solo compatirlo e stava male, stava male senza potersi permettere di esserlo.

Devi essere una bambola, Senri, non devi fare gesti bruschi, devi fare tutto quello che ti si dice di fare - altrimenti farai del male alla tua mamma.

Devi essere composto, non devi ribellarti mai, devi vivere in gabbia ed esserne felice!

Non aveva mai vissuto il vampiro, pur potendo vantare una vita ai limiti dell’eternità,  non era previsto di vivere nel suo copione stilizzato. Nessuno dei suoi autori gli aveva mai detto di fare una cosa del genere, lui stesso si era riservato un  ruolo secondario e marginale.

Troppo importante il ruolo di Kaname e Yuuki, per poter riuscire a raggiungere il podio, e troppo difficile raggiungere un ruolo così decisivo. Troppo difficile per lui che si era cibato di briciole, accontentandosi in silenzio, senza aver la forza di vivere e ringraziando mentalmente quella gabbia, che lo proteggeva dal mondo con le sue grate dorate, che pure ferivano come pugnali anti vampiro.

Ma per la prima volta, in tutta la sua vita da bambola perfetta, avrebbe voluto distruggere i suoi limiti e le sue paure, i dogmi imposti ed autoimposti, per un attimo – un folle secondo – avrebbe voluto valicare quella finestra e le sue grate, distruggere le sbarre della sua prigione e trovare la forza di vivere.

Raggiungere lui, raggiungerlo! Anche solo per un istante, anche solo per…

Strinse le mani, i muscoli pronti a scattare – per chissà dove poi! Inseguendo chissà quale stupida fantasia! – ma si fermò.

Non era in grado, non era all’altezza di trasgredire le regole di quello stupido copione, e seguiva docilmente il filo del burattinaio, muovendosi sulla scena come una fragile bambolina.

Chiuse gli occhi, sentendo forte il bisogno di urlare, di piangere, di vivere.

 [E la tua mamma? Farai preoccupare la tua mamma! Sii composto. Sii perfetto e vuoto come una bambola Senri!]

E si fermò. Si fermò e chiuse la finestra.

Chiuse al mondo il suo desiderio, violentò il suo sogno in modo che fosse troppo stanco per lottare, distrusse la fantasia, sbriciolò il suo amore, si uccise pezzo dopo pezzo.  Ingoiò le lacrime e si creò un volto impassibile che non avrebbe ferito la sua mamma; gioì internamente quando dagli spalti partì un sonoro applauso.

[Molto bene, molto bene! Una scena magnifica, un ottimo copione!]

 

La luna che, silenziosa lo osservava, il quieto parlottare che gli riempiva le orecchie e la vista così piena di lui e del suo sorriso che sembrava quasi di morirne.

Nel giardino, la finestra era un pallido incubo, la prigione un avvertimento lontano,  Ichijou così vicino…

“Vuoi tagliare la torta, Shiki?”

La sua voce nelle orecchie, miele proibito, nettare divino da rifuggire come la peste. Un movimento troppo frettoloso, il coltello che trapassa la pelle, il sangue che scende a fiotti.

“Che spreco…” sussurra, quel vampiro in gabbia, ed in un attimo gli afferra la mano portandola alle labbra.

La lecca con indolenza e al tempo stesso avidità, nessuna goccia andrà sprecata, nessun odore andrà dimenticato. E il tocco della sua pelle, la sua morbidezza: tutto diverrà ricordo prezioso.

“L’hai fatto di proposito vero, Shiki?” la risata leggera che gli invade i sensi, la mano che viene ritratta, “Ora basta, il sangue ad una festa di vampiri non è la migliore tra le soluzioni.”

E sorride.

Sorride mentre l’altro svanisce, mentre i fischi invadono la notte [pessima interpretazione! Il copione è stato violato!]  mentre la prigione torna a far male e il respiro a mancare.

“L’hai fatto di proposito, vero Shiki?”

Cercare la forza di rispondere, di essere libero – finalmente -, di distruggere quel copione e tutte le sue regole… ma la forza non si trova e la volontà si distrugge, annientata proprio da chi, come te, ti rinchiude in parole che sanno ferire.

[Non pensi alla tua mamma? Si preoccuperà, non credi? Devi fare tutto quello che ti si dice di fare, nient’altro.]

Lo fissa apatico, cercando di non urlare e non si cura di rispondergli, non lo fa quasi mai d’altronde.

Le bambole non parlano, giusto?

[Applausi, per favore.]

 

 

 

Le mani che si stringono ad abbracciare fredde grate di ferro, gli occhi chiusi a resuscitare fantasie uccise poco prima, una nuova notte è nata, un nuovo sole brucia.

La recita che si ripete.

[Che spettacolo banale, così superficiale, così poco interessante!]

La recita che si ripete mentre cerca di non urlare.

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VII classificata 

Sole n e r o
 [ immagine n.3 ] 
di Red S i n n e r 

Correttezza grammaticale: 9,5/10 
Stile e lessico: 8,5/10 
Trattazione dei personaggi: 9,5/10 
Attinenza al tema ( l'immagine ): 9,5/10 
Originalità: 8/10 
Apprezzamento personale: 4,5/5 

Voto complessivo: 49,5/55 

Giudizio: è la prima storia che leggo su Vampire Knight, e sono sinceramente felice di poterla giudicare per un mio concorso. 
Shiki è un personaggio che mi è molto caro, e questa piccola fic me lo ha fatto amare ancora di più. 
Partendo dalla parte tecnica, posso dirti che grammaticalmente è quasi perfetta, salvo qualche ripetizione che stona un po' e qualche virgola di troppo, ma nulla d'eclatante. 
Lo stile è piacevole, molto particolare ( soprattutto per quanto riguarda l'impaginazione, che ho molto apprezzato, sinceramente non mi dispiace l'uso di grassetti, corsivi e sottolineati per enfatizzare dei concetti, e né l'uso delle frasi fra parentesi ) e scorrevole; insomma, la fanfiction è decisamente ben scritta, non c'è nient'altro da aggiungere al riguardo. 
Ho trovato Senri molto ben caratterizzato, forse addirittura troppo arrendevole a volte, ma come sappiamo e come si può leggere nel manga, il poveretto non conduce certo una vita facile; vederlo così innamorato di Ichijou mi ha fatto una tenerezza immensa, e mi si è stretto il cuore a pensare alla sua sofferenza. 
Mi è piaciuto molto il concetto di Shiki bambola, molto forte e quasi doloroso da leggere, è palpabile il suo dolore quanto lo è la sua voglia di distruggere quel copione e di riscriverlo, ma alla fine non trova la forza necessaria per ribellarsi. 
Vorrei inoltre complimentarmi con te per la reinterpretazione della scena - che, sì, si trova nel secondo volume - in cui Shiki, col coltello usato per tagliare la torta, provoca una piccola ferita ad Ichijou e lecca il suo sangue; inutile dire che l'ho sempre amata ( chissà come mai XD ), e mi è piaciuto rivederla qui, fra le righe della tua storia, perfettamente inserita. 
Hai trattato una coppia che mi piace parecchio, indi non potevo non adorare questa one-sided ( perché è tale, o almeno non si sa cosa provi Ichijou ), sinceramente l'ho adorata in ogni sua riga, tante sono le emozioni che regala; non si sorride mai, è vero, piuttosto è come cadere in un baratro provando invano a rialzarsi, ad uscire, ma senza risultato. 
Mi ha colpita molto l'immagine del protagonista che alla fine cerca di non urlare, di non attirare l'attenzione, e si arrende allo sguardo beffardo del suo sole nero, rappresentato dalla luna che l'osserva impietosa quand'egli si affaccia alla finestra, amica/nemica intima, specchio su una realtà troppo dolorosa. 
La finestra è ben trattata, anche se ho trovato la sua interpretazione meno approfondita rispetto ad altre storie, però c'è e si vede, e mi è piaciuto il tuo indugiare sulla luna quasi personificata, unica spettatrice silenziosa dello spettacolo messo in atto ogni giorno da Shiki, contro la sua volontà. 
La fic è abbastanza originale, anche se fondamentalmente non v'è una vera e propria trama, trattandosi di un'introspettiva pura. Tuttavia ho trovato innovativo il modo in cui la solitudine del vampiro è stata trattata, il paragonare la sua vita ad un copione noioso, doloroso e già scritto. 
Nel complesso un'ottima storia, mi è piaciuta, e ti chiedo - puntandoti contro la mia intera collezione di armi bianche - di scrivere ancora su questa coppia e su questo fandom. 
Brava! 

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Capitolo 2
*** _Luna di f e r r o. ***


 

______Luna di f e r r o.

Voglio tregua da me stesso
e ballo coi fantasmi.
Soli, lune, stelle, eclissi

un’ immensità
dove io ti cerco
tra luce e buio a metà.

 Sole nero – Litfiba.

 

La vedi?    È lì, che ti guarda, ostentando colpe e rancori.

Ti guarda e mostra parole inespresse, stralci di vita possibili ma improbabili.

E fa paura, perché è più forte del desiderio ma più folle del vizio.

La vedi?    È lì, proprio lì.

E ti distrugge, anche se non puoi morire così facilmente  e perfino provar dolore ti è difficile.

Ti distrugge e lo fa osservandoti con apparente distacco, burlandosi del tuo tempo pressoché infinito e prendendosi tutto il tempo possibile,  per ucciderti piano.

È lì la finestra, lì sono gli occhi di Shiki e quella sua pelle così bianca.

Si trova lì, la morte, che desideri più della vita al chiaro di luna.

Non lo sai? Le rose non fioriscono la notte. La luna non è abbastanza forte e nemmeno tu, nemmeno tu che fissi quella finestra e mille spilli ti si conficcano nelle carni, nemmeno tu che muori ogni giorno di più, osservandola, e sei felice lo stesso.

Felice comunque, felice per questo.

 

 

Camminava piano, senza fretta, senz’affanno.

La vita gli scorreva tra le dita ma preferiva non farci caso, pressato da cose più urgenti e incarichi più gravosi per potersi concedere il lusso di pensare  a  sé.

Parlare, distrarsi, era diventato elementare, banale come solo il respiro per gli umani può essere.

Viveva distraendosi da lui, moriva nei sogni, cercava conforto nelle illusioni che lo uccidevano più della vita, ma che lui amava, più della vita stessa.

 

Sorrideva come sempre, perché come sempre doveva vivere, e parlava dei problemi del dormitorio, delle minacce alla scuola.

Parlava e si sentiva in colpa, perché mai una volta riusciva a pensare unicamente a ciò di cui stava asserendo.

La mente sgusciava e si destreggiava, tra i fili invisibili in cui l’aveva costretta, e cercava: cercava vie di fuga e possibili alternative, cercava libertà e urlava piangendo, cercava il suo volto, tra i tanti, e la volontà d’ammetterlo.

Si fermava, Ichijou, e respirava più forte, l’odore delle rose entrava prepotente nelle narici e quasi si sentiva bene, era quasi felice, quasi vero.

Sorrideva di quella sensazione ottundente che gli era divenuta familiare come una cara amica, sorrideva all’abbraccio di ferro che gli stringeva il corpo, lasciandolo esterrefatto dal dolore ma felice d’averlo provato.

La malinconia latente sgusciava piano, arroventandolo in spire di rimpianto, e quell’amore che si scontrava con la freddezza della luna lo asfissiava con dolcezza, come solo l’odore delle rose sapeva fare, come solo il suo viso aveva sempre saputo fare.

“Ichijou-sama, qualcosa non va?”

S’accorse d’essersi dimenticato di Kaname, e dei suoi doveri, nel momento in cui sentì la sua gentile voce incolore.  

Si sentì in colpa e stupido, mortalmente stupido, si mise in piedi, accorgendosi solo in quel momento d’esser caduto a terra.

“No,” rispose subito sorridendo appena, “credo d’essere un po’ stanco.”

La luna lo guardava, fredda, e lo insultava senza voce.  La luna lo guardava e lui non ne aveva il coraggio.

La sua luna era di ferro e con la freddezza dei suoi raggi definiva la sua personalissima prigione.

Avrebbe voluto urlare, ridere e forse piangere, avrebbe voluto tante cose ma si limitava a sorridere;  sorridere di se stesso e della prigione che lui stesso aveva definito ad arte.

Aveva paura e ne moriva piano, senza far rumore, osservando il suo viso, piangendo lacrime trasparenti tra le sbarre di ferro di lune crudeli.

 “Ho sempre pensato che tu fossi decisamente troppo umano, Ichijou.” Affermò Kaname d’un tratto, e sembrò come una colpa. Come una bestemmia orribile, un delitto che non merita assoluzione.

Sembrò una condanna e Ichijou guardò il capo dormitorio spaventato accorgendosi solo allora del sorriso rassicurante sul suo volto.

  Il suo mondo scricchiolava forte, riempiendosi di crepe infinitesimali, cercando disperatamente di non implodere e desiderandolo con tutto il cuore.

Morire, sì, morire in fretta e subito di una morte vera: vera come neanche la sua vita era stata.

Ridacchiò appena, passandosi meccanicamente una mano sul volto, cancellando crepe invisibili e sanguinanti.

“Forse hai ragione,” ammise.  Cercò la forza di ridere forte e s’accontentò di un sorriso triste, puntando gli occhi alla luna e a quella finestra.  E c’era la luna tra le sbarre della finestra, c’era il suo incubo in gabbie di ferro, c’era la sua vita che tremava ogni ora un po’.

Kaname lo osservava e forse sapeva, la luna lo trafiggeva, il sogno lo martoriava, quegli occhi blu lo inseguivano e Ichijou si rompeva,  e pezzi di falsi sorrisi lastricavano il suolo, ferendogli i piedi con le loro punte di acuminato rimpianto.

 

Ma Ichijou camminava piano, senza fretta, senz’affanno. Sorridendo piano, vivendo al chiaro di luna.

E quando in momenti ritagliati da mani sapienti, avrebbero potuto stare da soli, anche solo per qualche istante, si sarebbe accontentato del suo corpo vicino e della sua testa appoggiata alla propria spalla.

Si sarebbe accontentato di quel calore corporeo che mai una volta la luna gli aveva donato, si sarebbe accontentato del suo viso disteso e dei suoi occhi, per una volta chiusi, per una volta innocui.

“Ehi, Ichijou!” esclamò proprio in un pomeriggio di questi, Aidou “Shiki sembra proprio stare dalla tua parte, eh?”  Occhieggiò il ragazzo dai capelli rossi e la sua vicinanza al vice capo dormitorio con astio, aggrottando le sopracciglia. “Non ti fare illusioni, però!” Sbottò d’un tratto, “Io sarò sempre dalla parte di Kaname!”

E mentre Aidou si lanciava in una ‘campagna elettorale’ per decidere chi, tra Ichijou e Kaname, avrebbe riscosso maggior popolarità, Ichijou guardava Shiki dormire.

Sollevava appena la mano e chiudeva il libro che stava leggendo, sollevava la mano e l’appoggiava sul suo capo silente, socchiudeva e gli sembrava  di vedere pezzi di vita accasciarsi l’uno sugli altri, come tanti pezzi di un domino grottesco.

Socchiudeva gli occhi e gli pareva di sentire il suo nome tra quelle labbra, malediva il suo sogno, quindi, e il profumo delle rose che lo alimentavano di illusioni crescenti.

Socchiudeva gli occhi, pozzi di malinconia crescente, e sospirava appena accontentandosi solo di quello.

Socchiudeva gli occhi, Ichijou, e sembrava aver capito tutto della vita.

 

Guardando quegli occhi blu poteva ben dire di aver capito tutto e perso tutto in un solo istante, guardando quegli occhi chiusi poteva ben dire di aver voluto perdere tutto di proposito per capirlo davvero, ed era meglio che chiudesse gli occhi, perché tutto era troppo.

Troppo da vivere, troppo per sperare, troppo da sognare.

Troppo poco per morire, però.

 

E condanne senza assoluzione rimbombavano nel silenzio, infrangendosi sui suoi occhi e sulla sua prigione, infrangendosi in echi simili sul suo rimpianto.

“Troppo umano, troppo umano!”

 

 

… troppo vivo?

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Salve! *ç*

Se NVU mi rincancella tutto di nuovo penso che mi strangolo. *WTF*

Oh, beh, mi scuso per il ritardo, accampando la solita scolastica scusa e... beh, anche se con ritardo torno a finire la mini raccolta con la Ichijou one-sided che, tra parentesi, non vedevo l'ora di scrivere.

Il buon Takuma mi è sempre piaciuto tanto quanto Shiki, e peggio per loro. XD

Penso che sia intuibile, alla fine della shot, la reminiscenza con un extra del manga. Ora non mi ricordo quale e non ho voglia di cercarlo. *king*

Grazie di cuore a: R e d_V a m p i re [Grazie infinite per i complimenti, cara! Sei troppo buona. çAç Ho maltrattato Giulia per la raccomandazione che ha fatto a questa storia. ù___u Grazie ancora. **] e a Mimi18 [Troppi, troppi complimenti! Spero che ti sia piaciuto anche questo e ti ringrazio immensamente. *love*]

Alla prossima!

Red.

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