Silent scream.

di Murkiness_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Era solita avvicinarsi al letto, accarezzarmi delicatamente la fronte e pronunciare dolcemente il mio nome. Quella mattina, a differenza delle altre, rimase sull’orlo della porta e con un filo di voce mi chiamò. Riuscii a sentirla e aprii gli occhi, che cercavano ancora le tenebre. Dopo avermi svegliata era scappata via. La sua ombra attraversava il corridoio. Era insolito ma non diedi importanza a quel particolare e, con grande fatica, infilai le ciabatte. Erano le sette e, come sempre, non avevo voglia di andare a scuola. Era impossibile entrare in classe. ‘’ Emo di merda!’’ urlavano ogni volta che davanti ai loro occhi appariva la mia immagine; quella di una ragazza riservata e silenziosa, con matita nera e abiti scuri.’’ Quelli come te a noi non piacciono, vai via!’’ dicevano. Non ricordo quante volte io abbia ripetuto loro che non lo ero ma purtroppo questo stupido modo di pensare, questa maledetta società, fatta di schemi ed etichette, non permise ai miei ‘’compagni’’ di ragionare e di capire la mia vera personalità. Nessuno si avvicinava a me, ma non ero sola. Avevo un’amica, una vera amica: l’oscurità! Era con Lei che io vivevo, l’unica che mi accompagnava in ogni istante della mia vita, ovunque. Alle amiche si da l’affetto e la sincerità, io a Lei ho dato di più: la mia anima! Dopo essere andata in bagno, mi precipitai in cucina. Strano ma vero, avevo fame. Erano anni che la colazione era già pronta quando io mi svegliavo. Quella mattina la tavola era vuota e la cucina pulita. Lei non c’era. Mi aspettava sempre seduta sul divano a cucire o a guardare la televisione. Ma quel giorno no, non era lì. Iniziai a girovagare per casa: camera da letto, cantina, garage, giardino. Non c’era. Tutto era strano ma, convinta che fosse una casualità, ritornai in cucina e preparai un tazza di latte. Accesi la TV. Forse ero troppo grande per vedere i cartoni animati ma, nonostante ciò, li amavano. Trasmettevano qualcosa di fantastico e nello stesso tempo reale. I personaggi avevano delle aspirazioni, dei desideri; cosa che avevo anche io. C’era una sola differenza : i loro sogni si avveravano, i miei no! La tazza era ormai vuota. La lasciai sul tavolo. Stavo andando nella mia cameretta quando, passando davanti ad uno specchio, mi accorsi che le mie labbra erano diventate bianche. Allora afferrai con delicatezza un tovagliolo che si trovava sul comò e le pulii. Per pochi secondi rimasi a guardare il mio volto. Era chiaro, quasi bianco; i lineamenti delicati lo rendevano simile a quello di una bambina. I miei occhi rispecchiavano il dolore che io avevo dentro. Una fitta al cuore mi rendeva sofferente. Causa di tanto male? Mio padre; colui che, nonostante tutto, amavo ancora. Era una sera d’estate. Eravamo stati ad una festa di compleanno e stavamo per tornare a casa. Era ubriaco. Mia madre gli aveva consigliato di non guidare ma lui, dicendo di stare bene, non ascoltò sua moglie che, preoccupata salì in macchina. Eravamo a metà strada quando improvvisamente i suoi riflessi vennero meno. Non capii cosa fosse successo, l’unica cosa che riuscii a vedere furono i loro corpi lì, immobili e senza vita. Mia madre, mio padre e mio fratello mi avevo abbandonato per sempre. Avevo nove anni. Dopo aver guadato di nuovo il mio viso, decisi di andare nella mia stanza. Ero in pigiama. Dovevo vestirmi per andare a scuola. T-Shirt nera, felpa, jeans blu e converse nere: quello che indossai. Mi sedetti sul letto per allacciare le scarpe. Alzai lo sguardo e vidi il poster, il Loro poster. Mi sollevai quasi stupida e rimasi a guardare i loro volti finché non decisi di vedere che ore erano: 7.50! Cavolo! Dovevo sbrigarmi. Avrei perso l’autobus. Stavo per andare via quando alzai di nuovo gli occhi e con un sorriso sulle labbra esclamai, quasi come se loro potessero sentirmi: “ Grazie, grazie di tutto”.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Afferrai con forza la tracolla e l’MP3 che si trovava sulla scrivania. Iniziai a correre per il corridoio. Aprii la porta e, dimenticandomi di lei e della sua assenza, mi diressi verso il cancello. Dovevo sbrigarmi, il pullman stava per partire e io avevo solo tre minuti per raggiungere la fermata. I miei capelli quella mattina si lasciarono trasportare dal vento freddo di un cupo giorno di marzo. Nonostante la mia svogliatezza, la velocità con cui riuscii ad arrivare in tempo fu incredibile. L’autobus era già lì e l’autista, vedendomi correre si fermò. Appena salii mi sorrise e, con aria felice e soddisfatta, esclamò : ‘’ Hai fatto tardi stamattina? Dai su, non preoccuparti, non ti avrei mai lasciato qui ’’. La giornata non era iniziata per niente bene ma grazie a lui riuscii ad essere per un attimo contenta. Era vuoto quella mattina. Di solito c’era sempre molta gente a quell’ora. Quante volte sono rimasta in piedi oppure ho dovuto cedere il posto ad un vecchietto! Quel giorno no. I posti erano quasi tutti liberi e io mi sedetti vicino al finestrino. Venti minuti. Solo venti minuti mi separavano dall’entrata in quel posto ormai per me sgradevole. Avevo ancora l’Mp3 tra le mani. Con delicatezza sollevai le cuffie e le portai alle orecchie. Non scelsi la canzone; ne misi una a caso. Avevo sonno e non era facile per me capire di quale di trattasse. Questo mi capitava spesso ma non con Loro, o meglio con le loro dolci poesie. ‘’ No one knows how you feel; no one there you'd like to see…’’ Come avrei potuto non riconoscerla! La canzone più bella che io avessi mai sentito; quella che mi colpì al cuore la prima volta che per caso la ascoltai in un negozio di abbigliamento. Beh, sarà strano, è vero ma è proprio li che io conobbi loro e la loro musica; la loro amicizia e le loro stupidaggini: in un negozio. Era un pomeriggio tenebroso .Poche gocce d’acqua bagnarono il mio viso. Stavo tornando dalla palestra ed ero senza ombrello. Potevo farcela; sarei riuscita ad arrivare a casa se solo la pioggia non si fosse trasformata in un temporale. Allora, con la scusa di dover comprare una felpa, mi rifugiai in un negozio. Distrattamente girovagai per pochi minuti tra la gente intenta a comparare qualche capo. Io non ero lì per quello; dovevo solo ripararmi. Il cielo divenne chiaro e le nuvole stavano scomparendo. Sarei andata via se solo non avessi sentito queste parole: ‘’ Eccoci gente, pronti a presentare un album strepitoso. In Italia sono state vendute molte copie, come anche in America e in tutta Europa. Stiamo parlando di “Screm”, il primo Cd in inglese dei Tokio Hotel!” Cosa? Come si chiamavano quelli li? Tokio Hotel? Ma che razza di nome è! Iniziai a ridere. “ Marco…cosa ne pensi di questi quattro ragazzi tedeschi? Beh Luca devo dire che sono rimasto sconvolto dalla pettinatura del cantante; ma per quanto riguarda la musica non sono per niente male.” Sconvolto? Oh mio Dio ma che aveva in testa?! Mmh…il nome, lo stupore di quell’uomo, mi fecero rimanere perplessa. Intanto la commessa mi stava osservando. Mentre i due alla radio continuavano a parlare, la donna mi chiese:” Cos’è quella faccia? Non li conosci?’’. ‘’No’’ risposi. ‘’ Me ne ha parlato mio figlio proprio ieri. Dice che il cantante sembra una ragazza e che gli altri tre sono gay. Ho anche chiesto della loro musica ma lui mi ha solo detto che non avrebbe mai ascoltato le canzoni di quei quattro cretini’’. Rimasi senza parole. “ Ora signori, ascolterete non il primo singolo estratto dall’album, Monsoon, ma By your side, la canzone più scaricata della settimana.” La musica partì. Una dolce melodia mi avvolse. Quella chitarra, quella voce…le mie orecchie non avevano mai percepito un suono più dolce e armonioso di quello. Il cuore iniziò a battere forte, ma non c’era un motivo. Io non avevo mai sentito quella canzone; non provavo nulla per quei tipi la, eppure ero emozionata, le gambe mi tremavano e non riuscivo neanche a muovermi. Andare via? Forse dovevo farlo ma non volevo. Quelle parole, quell’ incantevole armonia mi trattenevano. ‘’ I'm by your side, just for a little while…we'll make it if we try’’: la frase decisiva; quella che mi colpì al cuore. Una lacrima stava bagnando il mio viso quando dissi alla commessa: ‘’ Come si chiama suo figlio?’’. ‘’Andrea’’ rispose. ‘’ Beh signora, dica ad Andrea di ascoltare questa canzone. Cambierà idea’’ e scappai via. Tornata a casa mi precipitai nella mia cameretta. Youtube: il primo sito che aprii. Ore e ore vicino al pc, solo per ascoltare le loro canzoni. Da quel giorno non ho potuto farne più a meno. Non ero una di quelle fan con la camera piena di poster. A me uno bastava. Il loro posto non era lì, al muro, ma qui, nel mio cuore. E mentre la musica mi faceva compagnia, il tempo scorreva veloce. Forse mi addormentai, non ricordo; so solo che sentii l’autista chiamarmi. Mi alzai e scesi dall’autobus. ‘’ LICEO CLASSICO ALESSANDRO MANZONI’’. Ah! Quanti rimpianti ogni volta che scendendo dal pullman mi appariva davanti agli occhi quella scritta. Ma chi me lo aveva fatto fare? Inutile ora, tutto inutile. Avevo fatto una scelta e non potevo tirarmi indietro proprio in quel momento. Come tutte le mattine, il cortile era vuoto, quasi deserto. L’unica persona che c’era, era il bidello: un uomo magro, con un volto segnato dall’età e con quell’espressione sofferente che ormai da anni lo accompagnava nel percorso della sua vita; colei che lo aveva punito, quella che lo costringeva a sottostare a qualcuno più potente; quella che non gli aveva permesso di esaudire il suo sogno: la poesia. Avevamo sempre avuto un buon rapporto. Lui si confidava con me ed io con lui. Lui sessantenne ed io sedicenne, riuscivamo ad essere amici nonostante l’età. ‘’ Buon giorno Antonio, come va?’’ dissi. “ Ciao Emma, sto bene grazie’’. Dopo queste parole, decisi di andare in classe. Quelle scale quella mattina sembravano interminabili. Le gambe erano stanche e io altrettanto. Un calvario: ecco quello che sembravano; un calvario! Arrivai in classe. Appoggiai la mia tracolla sul banco e mi diressi verso la finestra, in attesa che qualcuno entrasse e mi facesse compagnia, anche solo fisicamente.

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