Assassin's Creed II - M y t h

di cartacciabianca
(/viewuser.php?uid=64391)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - La Giostra ***
Capitolo 2: *** In Bottega ***
Capitolo 3: *** La goccia che fece traboccare il vaso ***
Capitolo 4: *** Timori e Sospetti ***
Capitolo 5: *** Eterna ingiustizia, libertà e peccato ***
Capitolo 6: *** In casa dell'amico ***
Capitolo 7: *** Riunione di famiglia ***
Capitolo 8: *** I doni della Morte ***
Capitolo 9: *** Tra Sogno e Realtà ***
Capitolo 10: *** In principio... l'ordine! ***
Capitolo 11: *** E' solo l'inizio ***
Capitolo 12: *** A caccia di Angeli ***
Capitolo 13: *** Una colomba in gabbia ***
Capitolo 14: *** 8 Aprile 1476 - Una delicata questione, un turtuoso processo ***
Capitolo 15: *** Gelosia ***
Capitolo 16: *** Contratto di dolore ***
Capitolo 17: *** La fine dell'Inizio ***
Capitolo 18: *** Il più bel fanciullo e Caterina da Vinci ***
Capitolo 19: *** Questione di abitudine ***
Capitolo 20: *** Rinascere liberi ***
Capitolo 21: *** Un segreto nel buio dei tempi ***
Capitolo 22: *** L'ultimo rimasto ***
Capitolo 23: *** Attimi di follia e incredulità ***
Capitolo 24: *** Esercizio - Parte I ***
Capitolo 25: *** Esercizio - Parte II ***
Capitolo 26: *** Una calorosa accoglienza ***
Capitolo 27: *** Ritratti ***



Capitolo 1
*** Prologo - La Giostra ***


M Y T H
Make Your Throughs Heard
(Fai ascoltare i tuoi pensieri)


Nel 1459 Bianca de’ Medici sposava Guglielmo de’ Pazzi. Dalla loro unione sarebbero nati 15 figli, ma solo uno questi, consacrando la discendenza diretta di Cassandra della mitologia greca, avrebbe ereditato il dono della veggenza. Grazie alla sua naturale capacità nella pittura, Arianna, accolta nella bottega del Verrocchio di comune accordo con suo padre Guglielmo, intraprese ingenuamente la via dell’arte non a conoscenza del proprio oscuro potere. L’ostinazione della madre Bianca e un matrimonio combinato imminente allontanarono la fanciulla dai pennelli, ma Guglielmo, disperatamente alla ricerca di qualcuno che le insegnasse l’arte perché i suoi quadri (fonte di speculazioni sul futuro) potessero essere il più chiari possibile, permise alla figlia, in segreto e solo 15enne, di seguire le orme di Leonardo da Vinci. A sconvolgere la serena esistenza in bottega fu la condanna a morte della famiglia Auditore, avvenuta nel maggio del 1476 a seguito del processo che vide coinvolti molti, ma non tutti, i membri della famiglia Pazzi.

Qualcosa sta ostacolando il corso del tempo e degli eventi.
È predetta un'ultima agghiacciante visione, e poi solo l'oblio della specie umana colmerà il baratro di un mondo giunto finalmente al suo tramonto... perché possa cominciare un nuovo giorno.

Il mitico dono di Arianna sconvolgerà per sempre le sorti dell'ancor più leggendaria battaglia tra Assassini e Templari.



P R O L O G O

Il peccato di nascere e quello di esistere è dettato da un solo volere: gli Dèi. Ci usano come burattini, giocano per diletto con le nostre vite, ma in questo Mondo ne hanno scelta una in particolare che li soddisfa molto: la mia.

Quelli come me si trascinano nell’ombra tentando invano d’ignorare ciò che sono. Quelli come me interpretano il passato. Arrancano nel presente. Vedono il futuro. Quelli come me non ce l’hanno un futuro. Non hanno nemmeno un passato. Non hanno niente, e faticano a credere di vivere nel presente.
Siamo veggenti, siamo maledetti. Siamo sfruttati in tutto il Mondo, siamo usati come un oggetto da gente che inserisce una monetina per ascoltare le nostre parole. Siamo dappertutto e da nessuna parte, siamo in cielo e siamo in terra. Siamo maledetti. Siamo veggenti. Siamo lo strumento degli Dèi in mezzo ad un branco di scimmie. Forse siamo metà Déi, perché alcuni di noi dicono di essere stati cresciuti da loro. Altri sostengono di aver imparato da soli facendo della semplice pratica…
Io appartengo ad un terzo tipo: il mio albero genealogico ha le sue radici nell’Antica Grecia. Durante l’assedio di Troia, Cassandra, una dei 50 figli di Re Priamo, venne stuprata da un soldato miceneo, Aiace, e condotta a forza nella sua patria. Nove mesi più tardi, dopo essere fuggita alla schiavitù di Agamennone, pare che la ragazza si sia rifugiata sulle coste della Sicilia e abbia dato alla luce tre gemelli. I due maschi crebbero forti e aiutarono la madre ovunque lei fosse impedita. La terza figlia, Fenicia, aveva ereditato un potere e una maledizione potenti in egual misura. Mentre Cassandra perdeva quello che per lei era stato un lungo ed inestinguibile tormento, Fenicia imparava a controllarlo, ad usarlo, ad interpretarlo. Apollo aveva decretato che la donna che non si era concessa a lui, Cassandra, soffrisse vivendo a contatto con le disgrazie altrui senza potervi porre rimedio. Alla morte della madre, Fenicia trovò un uomo, sposò quell’uomo e con lui condivise quel segreto inestimabile che, se rivelato alle persone sbagliate, avrebbe significato morte certa per impiccagione. La loro, assieme, fu una vita radiosa.
Nel corso dei secoli una povera famiglia di contadini partecipò alla costruzione di una grande città: Firenze. I contadini divennero mercanti, i mercanti divennero banchieri. E mentre il potere di un prestigioso casato toccava la vetta, un’altra si nascondeva nell’ombra e bramava il dominio della città. Questi erano i Pazzi, proprio quei “pazzi” che danneggiarono Firenze e poi si distrussero da soli senza veder mai coronato il loro sogno.
Questa è la mia storia. La storia dei miei antenati, la storia che ha cambiato la storia.
Mi chiamo Elisa, ho 22 anni e sono una violinsta di strada. Inconsciamente sogno i volti, la vita e la morte di persone che non ho mai conosciuto, esattamente come succedeva alla mia diretta Antenata, Cassandra.
Era una sera come un'altra: suonavo a Manhattan, dietro l’angolo di un pub celebre per la sua musica classica. Avevo tentato di propormi ai proprietari per dare qualche spettacolo, mostrare le mie capacità, ma con scarso successo.
Me ne stavo con le spalle al muro, gli occhi chiusi e l’arco che danzava sulle corde quando un ragazzo vestito di una felpa bianca, jeans e scarpe da ginnastica mi ha lasciato distrattamente qualche dollaro nella custodia del violino. Poco dopo che è scomparso dietro l'angolo, ho avuto la cosiddetta "visione" della sua fuga dall'Abstergo. Quello stesso giorno ho stretto amicizie a dir poco interessanti...

-Molto piacere, Shaun Hastings. Sono un Assassino, ovvero l’uomo che preferirebbe ucciderti piuttosto che permettere a qualcuno di sapere certe cose sul nostro conto- mi sorride affabile.
-Shaun!- lo richiama Rebecca.
Non mi è mai importato cosa sono loro. Devo assolutamente scoprire cosa sono io. Shaun e Rebecca decidono di indagare, ma nella mia mente troveranno ben poco di quello che cercano davvero.

Li ho conosciuti per caso. Uscivano entrambi da quel pub, lui ubriaco come un’inglese dopo qualche birra al derby di troppo, lei fatta di droga naturale (quella del suo cervello).
Quando mi sono passati davanti, come un flash, ho visto…gente armata, lame, sangue, cappucci bianchi, grida e un’aquila… tutto troppo confuso per avere un senso… ho visto quello che ancora non sapevo fossero visioni del futuro. Nessuno me ne aveva mai parlato. Credevo di essere matta. Credevo di essere scappata a qualche manicomio senza ricordare più nulla della mia vita passata.
Ecco perché ho detto che quelli come me non hanno un passato. Perché guardando sempre e solo al futuro, il passato, l’abbiamo dimenticato.




C A P I T O L O 1°


-Sulla rete circolano testimonianze del tutto incerte, ipotesi, supposizioni! Molti pensano addirittura che la mitica Cassandra non sia realmente esistita!- sbotta Shaun.
-A quanto pare tocca a noi svelare il vero- ridacchia Rebecca.
-Sperando che sia una cosa veloce...- borbotta Shaun, -Analizzo la discendenza e vediamo se riesco ad agganciare un primo antenato-.
Mentre il ragazzo lavora sulla ricerca e scannerizza i ricordi, Rebecca mi accenna qualche delucidazione sull’Effetto Osmosi.
-Wow… non pensavo si potesse fare una cosa tanto… impossibile! Ha un che di magico- commento con meraviglia e timore assieme.
-Già, a chi lo dici! A volte la scienza fa miracoli-.
-Ma quale scienza!- erompe Shaun. –Qui lavoro solo io, altro che- brontola.
La caccia all’antenato è stata lunga ed estenuante.
Molti ricordi sono apparsi bloccati, altri incompleti, altri vuoti o inesistenti, a testimoniare un malfunzionamento dell’Animus (il quale, come detto da Rebecca, necessita il prima possibile di qualche piccola modifica).
-Pare che una certa Arianna de’ Pazzi, imparentata con la famiglia de’ Medici attraverso la madre Bianca, sorella maggiore di Lorenzo il Magnifico, avesse…- Shaun si protende a leggere meglio sullo schermo -…strani sogni e visioni che poi ella raffigurava in quadri privati. Dipinti, i suoi, che, soprattutto nell’ultima parte della sua vita, rivendeva a gran pezzo e gran richiesta! Sentite qua!- dice attirando la mia e l’attenzione di Rebecca.
Shaun riprende a leggere con più foga e Rebecca si avvicina a lui. –Nonostante il travagliato passato e l’odio accumulato verso la propria famiglia, la gente sembrava apprezzare la sua arte, a tal punto che Arianna arrivò a conoscere personalmente grandi artisti quali il Botticelli, Michelangelo… e… Leonardo da Vinci, del quale fu apprendista per tutta l’adolescenza! Dio Santo! E ‘sta donna da dove sbuca?!- si chiede con stupore. –Fin ora non si sapeva nulla di una sua apprendista!-.
Rebecca e Shaun si scambiano un’occhiata complice.
-Elisa, abbiamo trovato l’antenata. Ora carichiamo il ricordo- spiega Rebecca.
-E poi che succede?- insisto.
-Viaggetto lampo in Italia- scherza Shaun.
Sgrano gli occhi. –In Italia?!…- balbetto scettica.
-Shaun, così la spaventi. Elisa, adesso non preoccuparti. Goditi il viaggio-.
Detto ciò, una nube di patina bianca mi avvolge e mi sento inghiottire da un vortice di suoni del tutto nuovi: gente che parlava, uccelli che cinguettavano, zoccoli di cavalli, ruote di carri, bandiere nel vento, soldati in marcia e canti di menestrelli.
Successivamente all’udito, anche la vista si adatta a quella splendida visione di una grande piazza con nel centro una bella fontana decorata di piante verdi. Tutt’attorno si estendevano vicoli e tetti di palazzi bassi ma bellissimi, fatti di terrazzi in fiore e finestre in vetro.
-Elisa, ben venuta nel Rinascimento italiano- mi informa Shaun.
-Funziona, non ci credo!- gioisce Rebecca, e le loro voci si odono in eco come sottofondo al chiasso di piazza.
C’era tanta folla da far invidia ai centri commerciali, e tutti vestivano di sfarzosi vestiti colorati dall’aspetto antico. La gente si era riunita attorno ad un ampio spazio allungato lasciato libero e circoscritto da nastri e insegne. Vi erano sbandieratori che portavano i simboli di varie importanti famiglie regali, e tra di questi regnava uno in particolare, in bella mostra nel centro del piazzale.
L’Arma era quella Medicea: su sfondo dorato con sei palle poste in cerchio di cui una, la più grossa, dipinta d’azzurro e tre gigli d’oro.
L’esibizione con le bandiere durò una decina di minuti. I ragazzi erano disposti ordinatamente in file e portavano i vessilli e i colori che rappresentavano i loro signori, sparsi invece per le varie tende erette attorno al campo dove presto, spiegò Shaun, si sarebbe svolta una Giostra Medievale.
Le bandiere volavano in aria, e con esse si accompagnavano la musica dei menestrelli e le urla euforiche e di apprezzamento della folla.
Quando la presentazione degli sbandieratori ebbe fine, questi si allontanarono in file compatte così com’erano venuti, e lasciarono spazio ai cavalieri che vennero a portare gli omaggi alle dame e ai signori sugli spalti, eretti in piazza per l’occasione.
Uno ad uno sfilavano maestosamente in sella ai poderosi destrieri. Avevano accanto il proprio mingherlino e fedele scudiero. Tenevano in una mano le redini e con l’altra si aiutavano nell’inchino che porgevano rivolto agli spalti.
Quando anche i saluti si furono conclusi, a coppie i cavalieri si disposero sulla lizza pronti a sfidarsi. I cavalieri in sella erano in tinta coi manti coperti di tela dei maestosi destrieri. I cavalli nitrivano, battevano gli zoccoli sul selciato portato lì per l’occasione.
La gente applaudiva, i colombi si levavano in volo dai tetti quando i cavalli si scontravano nella giostra.
-Anno del Signore 1476. Siamo a Firenze, in Piazza della Santa Croce- dice Rebecca.
Tra l’emozione e lo sconforto avverto un pizzico di paura, assieme al completo smarrimento dei sensi. Improvvisamente sembro aver perso coscienza del mio corpo. Non riesco a pronunciare parola così come mi è impossibile muovermi.
-La sincronizzazione con l’antenata procede lentamente, ma presto conoscerai Arianna, che è da qualche parte in mezzo alla folla- spiega Rebecca. -Intanto lascia che Shaun ti illustri cosa sta succedendo-.
-Oggi è il 15 Marzo 1476- comincia Shaun. –In piazza si celebra un Torneo di Cortesia, e Giuliano de’Medici è il favorito di tutta la corte medicea, che presiede sull’alto degli spalti assieme alle donne cortesi. Rebecca, vediamo se riconosci Lorenzo il Magnifico- si beffa il ragazzo.
-Oddio…- mormora Rebecca cercando con lo sguardo tra gli spalti attraverso lo schermo del computer.
Bellissime donne tenevano gli occhi puntati sul cavaliere che favorivano, tante damigelle da compagnia e un ristretto gruppo di uomini sedeva più in alto, chiacchierando armoniosamente durante l’esibizione dei concorrenti.
Tra questi vi era nel mezzo un viso che molte volte Rebecca aveva incontrato sui libri di storia, affinché se lo ricordasse. –Eccolo! Beccato! È lui! Lorenzo de’ Medici! Quanto amo il mio lavoro!-.
-Ehi, non montarti la testa!- la rimbecca Shaun. –Andiamo avanti: Giuliano de’Medici è al centro delle attenzioni, in questi anni ancora vivo perché la data della Congiura dei Pazzi è successiva. Siamo nel ’76, e per adesso se la spassa alla grande-.
Era facilmente riconoscibile anche Giuliano, vestito dei colori porpora ed oro del proprio casato e in sella al possente destriero. Salutava il popolo con la mano libera, tenendo lancia e redini nell’altra. La gente di Firenze lo amava e lo acclamava con gran trambusto.
Fu il suo turno, ed egli si confrontò con tutti gli sfidanti sbaragliandogli uno alla volta, fino all’ultimo. Giuliano spezzò un numero incredibile di lance contro gli scudi dei contendenti, i quali parevano poco motivati a rubargli la vittoria, perché insignificanti rispetto al casato che egli rappresentava quel dì sul campo.
Alla fine, come pareva stato già deciso, Giuliano abbatté anche l’ultimo sfidante che piombò al suolo scivolando via dalla sella manco fosse senza staffe. La bravura del Medico incuteva terrore e faceva sbizzarrire la folla dall’euforia, che non appena anche l’ultimo cavaliere fin’ a terra, si alzò gridando tutta assieme come un’onda del mare.
Il cavaliere sconfitto si recò ai piedi del vassallo vincitore. Giuliano per un istante smontò di sella e lo abbracciò come un fratello. I due risero e scherzarono, poi il vinto gli porse gli omaggi e rimontò in sella, allontanandosi successivamente verso una donna che lo chiamava a gran voce dal popolo.
-Rebecca, si può sapere che fine ha fatto Arianna?!- sbotta Shaun già nervoso.
-Ecco, ecco! Ci siamo quasi, altri venti secondi! E ‘sta calmo, eh!-.
-Vabbe’, ammazziamo il tempo: il premio della giostra è un ritratto del Botticelli alla meravigliosa Simonetta Vespucci, musa di molti tra i più grandi artisti dell’epoca, ma favorita dal Botticelli stesso. Da quanto mi risulta, Giuliano ebbe con lei una cosiddetta… relazione di cortesia. Dopo il Torneo i cavalieri si riuniscono a banchettare nel palazzo del vincitore. Lì Giuliano ospiterà anche Simonetta, con la quale passerà… una notte “speciale”-.
-Hai capito il Medico!- fischia Rebecca.
-Tanto ai giorni d’oggi quale conduttore televisivo non si fa le sue veline?- blatera Shaun indignato. -Adesso, per favore, un po’ d’attenzione. Arianna de’ Pazzi è quindicenne all’epoca. Per ora possiede solo fratelli maggiori: Francesco e Cosimo. E una sorellina minore: Alessandra. La coppia avrà i successivi undici figli negli anni seguenti, perché qui ci risulta che… Guglielmo, il padre, volle interrompere la procreazione per dedicarsi con maggiore attenzione ai figli nati, ma la coppia aveva già in progetto di aumentare le nascite. Arianna segue il tirocinio presso il Verrocchio da quasi cinque anni ormai, da quando ella ne aveva appena dieci. Sembra che abbia imparato a dipingere ancor prima di camminare!- si beffa Shaun. –Ma andiamo avanti- dice tornando subito serio. –Bianca e Guglielmo entrano spesso in conflitto tra loro a causa della figlia maggiore. Bianca preferirebbe di gran lunga che Arianna intraprenda degli studi più seri, data la possibilità di istruirsi assieme al cugino Piero, figlio di Lorenzo il Magnifico, con Angelo Poliziano come precettore. Tra un bisticcio e l’altro emerge la questione dei buffi quadri che Arianna sfoggia in bottega. Questi raffigurano impiccagioni, morti, suicidi, congiure, con chiare rappresentazioni via via sempre più… inquietanti. Ovviamente nessuno osa immaginare cosa essi siano realmente, ovvero predizioni di un futuro già certo. Per questo motivo è spesso messa da parte dagli altri artisti. Andrea di Cione, il Verrocchio, è ben lieto di migliorarle la mano e lasciare libero sfogo alla sua “fantasia”, ma non può nulla contro le cattiverie che una fanciulla strana come lei attira su di sé. L’unico che sembra interessarsi davvero all’arte della ragazza, al di fuori dei fratelli maggiori che la stimano moltissimo a modo loro, è proprio Guglielmo, schierato di parte nella battaglia tra l’educazione culturale e quella artistica-.
-In poche parole il padre la idolatra mentre alla madre sta un po’ sul ca…-.
-Rebecca, piantala!- le grida Shaun.
La Crane gli fa il verso con muti movimenti delle labbra. -Ci siamo. La sincronizzazione è completa. Avvio lo status-.
-Rebecca, appuntati da qualche parte che dobbiamo rimediare a queste “lentezze” dell’Animus prima che Lucy si faccia viva-.
Ma chi è questa Lucy? Penso.
-Ah, un’altra cosa: smettila di farmi il verso-.
-Siamo dentro!- gioisce lei.

[Repubblica Fiorentina 1476]

Tra la folla in piazza apparve correndo la figura di una ragazza. Indossava un semplice vestito verde e una camicia bianca a maniche tirate su di chi ha avuto di che lavorare. I capelli di un nero intenso li teneva legati alti, a mostrare delle spalle fine e una scollatura non troppo eccessiva sul giovane seno. Qualche ciocca le cadeva sul viso, altre sul collo. La pettinatura sembrava stesse cedendo, ma nonostante il disordine dei capelli, ella celava un viso grazioso di giovane donna. Gli occhi chiari, di un azzurro glaciale, scrutavano oltre la balaustra che delimitava il campo della giostra, ed erano fissi sull’ultimo cavaliere vinto da Giuliano.
-Francesco! Francesco!- chiamò lei alzando una mano e allungandosi per farsi notare.
Il bel cavaliere era da poco risalito in sella al suo destriero. Quando la vide, il baldo giovane le venne incontro traversando la lizza al trotto.
La giostra si era ormai conclusa con Giuliano vincitore. Le fila dei cavalieri si spargevano per la folla a ricevere gli omaggi della gente.
-Arianna, siete venuta!- osservò sbalordito il ragazzo senza smontare di sella.
-Potevo mancare alla carica del mio fratello maggiore?- sorrise lei. –Messer cavaliere, vi siete battuto con onore e maestria. Giuliano deve aver faticato a buttarvi giù di sella- disse con riverenza, nonostante si stesse rivolgendo ad un membro della sua stessa famiglia.
Francesco di Guglielmo de’Pazzi, per non confonderlo con Francesco de’Pazzi fratello di Guglielmo e padre di Vieri, era un diciassettenne alto, robusto e con gli occhi di ghiaccio e i capelli biondi della madre Bianca.
-Anche lui s’è battuto con bravura, nonostante era certo che gli altri vassalli gliel’avrebbero data facile la vittoria!- gioì Francesco. –Ma Arianna, siete giunta da poco, ve’? Vi ho cercato con gli occhi all’inizio dell’annunciazione, ma non c’eravate-.
-Perdonatemi, Francesco, ma sono rimasta in bottega dal Verrocchio fino ad ora, e fuggita di lì appena il fato me l’ha permesso. Mi spiace essermi persa il vessillo de’Pazzi nel vento-.
-Non darti pensa- fece dolce Francesco smontando di sella e affiancandosi alla ragazza. –Vieni, accompagnami- le propose mentre s’incamminava fuori dalla piazza.
Arianna obbedì come fosse un ordine.
Al seguito dei due apparvero gli scudieri di Francesco. Per la Piazza della Santa Croce erano state messe una dozzina di tende a disposizione dei partecipanti. Mentre Lorenzo si congratulava col fratello e lo stesso Botticelli consegnava a Giuliano il suo premio, Francesco e molti altri cavalieri si dileguarono dalla lizza esausti.
Francesco lasciò il cavallo legato alla palizzata comune con l’incarico ad un uomo di occuparsene e, una volta nascosto dai teli del rifugio, prese a lasciarsi spogliare dagli scudieri dell’usbergo e della cotta di maglia, tenuti indosso solo per bellezza.
Arianna sedé su una seggiola e osservò il fratello giusto qualche istante, prima di concedergli un po’ d’intimità e distrarsi con altro.
-Bianca e nostro padre sono a casa, immagino- disse Francesco con una nota di rancore. Si lasciò indosso solo una linda camicia di seta bianca e dei pantaloni. Si infilò gli stivali con sveltezza, gli scudieri cominciarono a fare ordine in tenda pronti a riportare l’armamentario nella casa del loro signore.
Arianna chinò il capo. –Stamani hanno litigato a colazione, poco prima che lasciassi casa per venire in piazza. Papà si scusa molto con te, mentre mamma… be’, era poco di parte e non avrebbe voluto che fronteggiassi suo fratello, quindi puoi ben immaginare che commenti ne siano usciti fuori-.
-Immagino, immagino…- blaterò Francesco. –Ho gli occhi e i crini di quella donna eppure non la sopporto quanto lei non sopporta un po’ di competizione tra le nostre famiglie!- eruppe sarcastico.
-Ora non darti pena, Francesco- lo consolò lei andandogli incontro. –Piuttosto: hai veduto Cosimo?- chiese.
Lui scosse la testa. –Stavo per porgerti la stessa domanda-.
-Sapeva del Torneo, ho immaginato che almeno lui, libero di poterlo fare, avrebbe presenziato- disse lei.
Francesco sospirò. –Ah, Cosimo, Cosimo…-.
Arianna guardò fuori dalla tenda, oltre il lembo di teli che avevano lasciato aperto gli scudieri, spariti con l’armamentario da riportare a casa. Vide che la gente lasciava la piazza e i cavalieri si preparavano a seguire il vincitore nel suo palazzo per festeggiare con buon vino e leccornie.
-Devo andare- disse Francesco inseguendo lo sguardo della sorella. –Sono atteso al banchetto del pranzo come tutti i cavalieri e non posso mancare, mi spiace. La bella Vespucci deve un bacio a tutti i partecipanti!-.
-Ma dai!- sbuffò Arianna con una risatina. –Un attimo fa avrei detto che vai lì per il cibo, ghiotto come sei!-.
Francesco azzardò una risata e uscì di corsa dalla tenda. Rimontò a cavallo e si unì al corteo di uomini che andavano verso il palazzo residenza dei Medici, ed Arianna seguì la lunga carovana di stendardi e gente in festa fin quando questa non sparì tra le strade di Firenze, lasciando in piazza solo la lizza da smontare assieme all’impalcatura che aveva ospitato la famiglia vincitrice.
















.:Angolo d’Autrice:.
Come prima cosa…
Il Torneo di Cortesia che si tenne in Piazza della Santa Croce il 15 marzo 1476 è realmente esistito. Giuliano de’ Medici ebbe davvero con la Vespucci una relazione di cortesia vincendo in premio il quadro fatto a lei dal Botticelli.
In secondo luogo, so di avervi delusi con questo capitoletto cortino di sole 4 pagine, ma era necessario interrompere qui perché, oltre alle regole della suddivisione in sequenze che lo detta, il cambio di scenario successivo potrebbe confondere un poco le idee.
Il discorsetto che fa Shaun per “ammazzare il tempo” è molto importante per capire lo svolgimento della storia, ma, soprattutto, la caratterizzazione dei personaggi che vedremo di seguito.
La storia ci dice che la coppia Guglielmo de’ Pazzi e Bianca de’ Medici ebbe quindici figli. Tra di essi ne ho scelti quattro che costituiranno la trama della mia fan fiction.
Arianna e Francesco di Guglielmo de’ Pazzi ricalcano le date di nascita di due dei primi figli, ma sono del tutto inventati da me come caratterizzazione fisica e ideologica. Per farla breve, Guglielmo e Bianca non ebbero figli che chiamarono in quel modo e che somigliavano a questi due personaggi.
Parallelamente, però, Cosimo e Alessandra sono proprio “figli della storia”. Il primo, destinato a diventare Arcivescovo di Firenze dal 1508 in poi, iniziò il suo cammino cattolico già all’età di otto anni. Nella mia fan fiction, per motivi prettamente stilistici, resterà attaccato alla famiglia per qualche tempo in più, fino alla maturità, ed è di qualche anno più grande.
Spero solo che gli studiosi della materia non me ne vogliano! XD Chiedo venia a chiunque cominciasse a sentire il doveroso bisogno di tagliarmi la testa per un simile affronto. U.U
La verità del perché sto postando così in fretta è molto semplice: muoio dalla voglia di sapere cosa ne pensate, e avendo già i successivi 13 capitoli pronti non vedo perché restare fermi troppo allungo.
Un'altra cosa... la leggenda di Cassandra è vera solo fino al punto in cui scappa da Agamennone.
Lo ammetto, questa parte iniziale potrebbe sembrare… anzi… è parecchio noiosa. Me ne sono accorta io dovendo rileggere più parti dei discorsi di Rebecca e Shaun e ho notato che… sì, avrei potuto pure risparmiarvi una simile scemenza! XD
L’idea di fondo di questa storia, seppiatelo, è una soltanto: Arianna, apprendista veggente di Leonardo da Vinci, e per chiarire tanto le idee vorrei mostrarvi un GRANDISSIMO spoiler su quello che sono e saranno i capitoli dal 20 al 30-35 ^^ [LINK]. Già dal prossimo post capirete perché, tra i mille artisti che coloravano la Firenze dell’epoca, Guglielmo scelse proprio lui a cui affidare la figlia. ^^
Perciò, un caloroso augurio di restanti festività (oddio O.O Tra due giorni ricomincia scuola °A°) e bacioni per la befana! ^^

***Piazza della Santa Croce [LINK]***
***Ritratto a Simonetta Vespucci (Botticelli)[LINK]***
***Logo della storia (beccato su enthernet sotto la voce "Myth" XD) [LINK]***





Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** In Bottega ***



In Bottega

La ragazza, dopo aver lasciato la tenda, si guardò attorno beandosi dell’amato silenzio che aveva ripreso terreno in quell’area della città. Si stirò le pieghe del vestito, si aggiustò i capelli, e solo allora traversò la piazza e sparì in un vicolo buio. Da una parte all’altra della stradina passava un filo con i panni appesi ad asciugarsi al sole. Il vociare della folla la fece prigioniera nel mare di gente che passeggiava per Ponte Vecchio, fermandosi di bancarella in bancarella a godersi quella magnifica giornata di primavera. La ragazza proseguì spedita sino alla sponda opposta, dove trovò ad attenderla il corso principale di Firenze, ancor più carico di gente.

Arianna giunse in strada e, sorvegliata da alcuni armati della Repubblica, tenne gli occhi bassi e camminò spedita. Tutt’attorno vi erano le risate dei bambini e il vociare degli adulti. Due poeti discutevano con anima accanto ad un carro di foglie secche, beffandosi a vicenda delle proprie opere.
-Cane, m’hai copiato! Lo so che ieri eri alla casaccia a recitar’ le mie lettere!- esordì il primo.
Arianna si soffermò a scrutare il secondo, che vestiva bene, da gran signore, ma era solo un ragazzino in confronto all’uomo che lo aveva appena insultato.
Cosimo de’ Pazzi rispose così: -Chi t’ha detto ‘sta buffonata?- fece stupito e amareggiato. –Non rubo le opere io. Sai chi sono?-.
-Sì, lo so bene, razza di infame! T’hanno sentito gli amici miei: strimpellavi le tue corde suonando le mie note e recitando le mie parole!- ribadì l’altro con ancor più rabbia in viso.
Arianna si tenne distante, non sentendosela di intervenire dove il fratello trovava difficoltà. Si mise all’ombra di un albero piantato in mezzo alla pietra e posò le mani sulla corteccia. Stette a sentire con un tremore lungo la schiena.
-Guarda coi tuoi occhi cos’ho cantato ieri, sono sicuro che è solo un malinteso, Sergio- si adoperò a prendere un blocchetto dalla cintura e lo mostrò al compagno. –Son tue ‘ste parole? Impossibile, le ho scritte in serata la settimana scorsa- disse Cosimo con un po’ di timore.
Sergio glielo strappò di mani e lesse avido sfogliando tutte le pagine alla ricerca della truffa. Dopo un tempo che parve infinito, il poeta restituì di malgrado al giovane il suo taccuino.
-Tieni. Cosimo, perdonami, avevi ragione. Dev’essere stata una truffa per farci azzuffare, eheh- rise quello.
Cosimo gli mostrò un sorriso. –Non fa nulla, carissimo, ti perdono- tornò serio. –Ma chi t’ha detto ‘ste cose?- chiese con un’ombra in volto.
-Voci, ma un certo Ezio pareva l’artefice dell’accusa-.
-Ezio…- pensò Cosimo. –Ezio Auditore?- domandò stupito.
-Sì, e c’era anche quell’altro con lui, stamani. Federico, sì! Mi hanno trovato che cantavo al Mercato Vecchio e mi hanno detto ciò- si fece rabbioso.
-Ezio non era alla casaccia ieri sera, e nemmeno suo fratello- pensò Cosimo ad alta voce.
L’altro si strinse nelle spalle. -Te l’ho detto che volevano solo farci azzuffare- ridacchiò.
-E tu ne saresti uscito vincitore- constatò Cosimo guardandosi dalla corporatura massiccia e ben piazzata dell’amico Sergio, che era il doppio di lui.
-Quelli lì ce l’hanno con la famiglia tua, Cosimo. Io starei attento- lo ammonì.
Cosimo scosse la testa guardando a terra. –No, quelli ce l’hanno col ramo di Francesco e Vieri. Io e i miei fratelli capitiamo in mezzo sempre per errore. Mio padre ha sposato Bianca, la sorella del Magnifico! Perché una famiglia così cara ai Medici come gli Auditore dovrebbe far del male a noi?-.
Sergio gli mise una mano sulla spalla e gliela strinse con premura. –Ci si vede presto. Riguardati-.
-Anche tu- Cosimo lo salutò con un gesto del capo, poi il poeta Sergio sparì tra la gente del corso.
Cosimo fece per allontanarsi, ma Arianna gli andò incontro prima di perderselo.
-Cosimo!- lo chiamò sfiorandogli la manica.
Egli si voltò con sorpresa. –Arianna!- esordì. –Cosa ci fai in giro a quest’ora? Non dovresti essere in bottega dal Verrocchio?!-.
Arianna sfuggì al suo rimprovero. –Francesco, il nostro Francesco, gareggiava oggi in giostra col Giuliano! Perché non l’hai veduto?-.
-Avevo impegni, sorella- rispose lui. –Te, piuttosto? Sei fuggita dalle faticacce di bottega per assistervi, eh?- la riprese.
Arianna annuì, sfoggiò un timido sorriso e colorò le guance. –Io non le chiamerei faticacce. Dipingere mi piace. E… Sì, son fuggita, ma vi prego!- si apprestò a dire. –Non riferirlo né a nostro padre, né a nostra madre! Tanto meno al mio Maestro stesso, se lo incontri-.
Cosimo scoppiò dalle risate. –Come vuoi, mì dolce sorellina. Ma dimmi: Francesco se l’è cavata?- chiese interessato.
I due si incamminarono l’uno affianco all’altra.
-Sì, egregiamente oserei aggiungere. Vederlo in lizza mi ha riportato al cuore di come si divertiva in campagna, ai tornei che i Medici organizzavano le estati…- fece sognante. –Dopo il matrimonio de li nostri genitori! Ti ricordi? Che spettacolo! Da allora Giuliano e Francesco sono diventati inseparabili! Non passa mai una giostra in cui ci sia uno senza l’altro!-.
-Vedo che mancano anche a te quei giorni. Sai, è curioso: ultimamente Giuliano si permette più di rado qualche sfogo. È come se d’un tratto fosse divenuto più prudente. Prudenza per cosa, poi?- azzardò contrariato. –La giostra di oggi non avrei proprio dovuto mancarla…- parlottò tra sé e sé guardando il limpido cielo. –Francesco non me lo perdonerà mai!- rise.
-Su questo hai ragione- constatò Arianna. –Ma dopo il torneo Giuliano festeggia un banchetto nel suo palazzo, per pranzo. Se andrai, spiegherò io la tua assenza a Bianca e Guglielmo- gli sorrise.
Cosimo si fermò. –Grazie, apprezzo il tuo buon coraggio nell’affrontare nostra madre, almeno in questo, ma… non posso. Guglielmo attende a casa il resto delle commissioni che mi ha dato da fare. Ci rivedremo per cena e ci mangeremo sopra con la famiglia tutta- pronunciò allegro.
-Sì, buona idea- assentì Arianna.
-Penso che il tuo tempo sia scaduto: adesso è meglio che tu vada, Arianna, prima che il Verrocchio mandi le guardie a cercarti e questa storia giunga alle orecchie di Bianca-.
Arianna sbuffò. –Tra tutti i mali, i castighi di quella donna sono i peggiori- brontolò.
Cosimo le carezzò i capelli. –A ‘sta sera- disse e si allontanò per strada.
Arianna riprese la sua via quasi correndo.
Allontanandosi dalla gente in strada, giunse incontro ad un giovane uomo sopraffatto da alcune pergamene, carte e oggetti vari. Stava in piedi a pochi passi dalla porta d’ingresso della bottega e aveva difficoltà nel bussare per avvertire del suo arrivo.
Arianna, per cortesia, si affiancò a lui e chiese: -Avete bisogno di aiuto, ser?-.
Senza sapere con chi stesse conversando, temé che potesse trattarsi del Verrocchio stesso.
Il ragazzo riuscì a voltarsi e guardare nella direzione di lei.
Tra un foglio e l’altro Arianna intravide due luminosi occhi azzurri e alcune ciocche di lisci capelli mielati stretti in un berretto rosso da pittore.
Entrambi sobbalzarono.
-Arianna!- la riconobbe lui.
-Leonardo!- si stupì lei.
L’artista, mirandosi attorno circospetto e stando ben attento a non far cadere le carte, domandò in ansia e sottovoce: -Che ci fate fuori dalla bottega?! Andrea vi cercava come un matto, e c’è mancato poco che chiamasse le guardie! Non può mica permettersi di perdervi, o vostro padre gli taglierebbe la testa! Siete una Pazzi! Valete quanto il busto di Giuliano al quale lavora-.
-So bene chi sono, Leonardo- formulò la ragazza intimorita. –Ma mio fratello gareggiava in giostra e sono fuggita per…-.
-Adesso non c’è tempo, mi spiegherete più tardi. Bussate!- ordinò.
-Cosa?!- eruppe la ragazza.
-Bussate ho detto! Fidatevi!-.
Arianna non se lo fece ripetere, e bussò alla porta della bottega con convinzione nonostante le tremassero le gambe.
Traditore! pensò la giovane.
Ad aprire la porta fu di Cione stesso, il Verrocchio che, appena li vide, sprizzò orrore e sorpresa.
-Arianna!- strillò esangue, e dai vari corridoi della bottega si affacciarono i volti curiosi di tutti i novizi orafi.
La ragazza strinse convulsamente le dita attorno alla stoffa del vestito, e serrando le labbra azzardò un inchino di scuse. –Maestro, io…-.
-Arianna era con me, Andrea-.
De’Pazzi sgranò gli occhi e si voltò a guardare Leonardo sovrastato di carte e pergamene.
-Con voi?!- si stupì Andrea. –Leonardo, vi mando a recuperare da casa vostra un progetto che avete scordato e ripagate la mia negligenza rubandomi un’allieva dalla bottega?! Ho cercato Arianna in lungo e in largo, ad un certo punto nessuno l’ha veduta più! Cominciavo a temere per la mia testa: Guglielmo, ma Bianca soprattutto, avrebbe potuto denunciarmi al Magnifico!-.
-Non era mia intenzione portarvi tanto scompiglio in cuore- ammise Leonardo con tranquillità. –Vi prego, non scaricate colpa alcuna su questa ragazza. Ho insistito personalmente perché mi accompagnasse, e, pur di non perder tempo, l’ho fatta fuggir via senza avvertirvi-.
Andrea di Cione restò allungo imprigionato in una maschera di stupore e furore assieme.
Leonardo e Arianna, l’uno affianco a l’altra di fronte a lui, apparivano un bel quadretto di mancata disciplina e insolenza che gli faceva venire i bollori freddi e palpare il cuore.
-Dentro! Tutti e due!- richiamò con sgarbo indicandogli la soglia. –E che la vergogna possa lacerarvi entrambi- borbottò poi richiudendo l’uscio un volta che furono entrambi oltre l’ingresso.
Arianna tenne lo sguardo a terra, mentre Leonardo si avviò su per le scale faticando a tenere l’equilibrio sui gradini con tutta quella roba in braccio.
La vicenda aveva attratto molti occhi curiosi. Arianna sentiva pungerle la pelle da quegli sguardi pieni di rancore e invidia nei suoi confronti. Lei, unica donna a mettere le mani ai pennelli: intoccabile dalle punizioni esemplari, e spesso corporali, che impartiva il Verrocchio in quei casi.
-Arianna, vostro padre non verrà a sapere di questo fattaccio perché tengo alla mia testa, ma auguro al vostro buon senso di ordinarvi un minimo di sincerità. Signorina, siete un raro tesoro nella mia bottega, ma questo non vi autorizza a bighellonare per la città senza avvertirmi. Che non si ripeta più- l’ammonì.
Arianna sprofondò il mento nel petto, alcune ciocche dei capelli le caddero dinnanzi al viso nascondendola come tende. –Vi porgo le mie scuse, Maestro, e giuro che non si ripeterà più- mormorò.
Andrea le sollevò il mento con due dita. –Abbiate almeno coraggio di guardarmi negli occhi se proprio volete che assecondi le vostre scuse-.
La ragazza annuì e tenne gli occhi di ghiaccio fissi in quelli castano profondo del suo mentore.
-Adesso va’- le ordinò severo. –Di sopra ti attende una tela pulita. Fa’ un buon lavoro con l’esempio che ti ho lasciato davanti-.
Arianna lo ringraziò con un leggiadro inchino e si avviò per le scale.
Giunta al secondo piano della costruzione, trovò ad attenderla un’ampia stanza ben illuminata da grandi finestre. Trasparivano i raggi del sole proiettando luce sul lucido pavimento in legno. Cavalletti per le tele, mobiletti, tavole per i colori e bacheche erano sparse qua e là per la camera, che ospitava un gruppo ristretto di poca gente. Vi erano anche scaffali colmi di libri là dove il muro era privo di vetrate.
Erano in totale un pugno di artisti: ciascuno seduto dinnanzi la propria tela bianca o già iniziata, dipingeva con grazia nel silenzio ben tenuto.
Lì tutto e tutti tacevano, non come le sale degli orafi e degli scultori al piano di sotto, dove il rumore degli scalpelli e del metallo contro metallo era assordante.
La stanza della tempera era silenziosa come l’aula di una biblioteca. Se si parlava era con sussurri o a gesti, perché non si poteva rischiare di compromettere il lavoro altrui per una parola di troppo. Alle volte qualcuno suonava per allietare la pittura, delle altre si recitava un sonetto o qualche verso della Divina Commedia per stimolare la fantasia e il pensiero. Ma niente più.
La scala proseguiva per un terzo piano. Questo ospitava un’altra bella stanza come quella, ma presieduta dal Verrocchio stesso e riservata di frequente utilizzo ad artisti che avevano commissioni importanti.
Appena entrata in camerata, Arianna si sentì sopraffare dall’imbarazzo.
Gli sguardi indignati di alcuni l’assalirono subito, la compassione di altri non bastò a rallegrarla.
Si allungò fino al suo solito posto, sullo sgabello posto dinnanzi al cavalletto e la tela bianca che l’attendevano lì dalla mattina. Non si volse mai, se non per guardare il soggetto che Andrea aveva lasciato sul mobiletto lì accanto.
Era una solita natura morta di frutta, assieme a qualche ramoscello appena colto dal melo nel cortile. Arianna riconobbe la fattura delle foglie e si sentì cullata dal profumo intenso di tempera misto all’aroma che proveniva dalla frutta.
A sua disposizione Andrea aveva messo ogni cosa necessaria: dall’acqua per pulire i pennelli, ai colori. Persino i pennelli stessi erano disposti in ordinata fila dal più fino al più grosso.
Arianna era quasi per prenderne il primo quando si udì nominare alla sua sinistra.
Cercò di non voltarsi, riconoscendo la voce di Davide Marrozzi.
-Alcuni artisti ogni tanto hanno bisogno di distrarsi- ridacchiò egli senza interrompere la propria mano che ‘pingeva –e fanno un passo al bordello, ma voi madonna, di grazia, dove siete stata?-.
Alcuni si permisero una risata, appoggiando il suo spirito, altri fecero “ssssssh!” volendo proseguire indisturbati.
Arianna si sentì sprofondare sempre più in basso.
Fu Gallo Cecconi ad intromettersi, dicendo a Davide in un sussurro: -Ha accompagnato Leonardo in casa a recuperare i disegni dell’Angelo per il Battessimo del Cristo- lo informò.
Davide allora tacque pensoso, forse preparandosi una prossima battutina. Fu lì per dirla, ma quando si accorse degli sguardi furenti che gli volsero gli altri artisti attorno, si cucì bocca.
Il silenzio tornò sacro.
Arianna iniziò il disegno con fretta e disattenzione. Schizzò una prima mezza figura del piatto che conteneva la frutta, ma poi la voglia le venne meno e si permise di guardarsi attorno, distraendosi un po’.
Fu allora che notò una figura familiare scendere le scale, venendo dal terzo piano.
Arianna sorrise a Leonardo che fece altrettanto quando incrociò i suoi occhi. Poi Andrea lo raggiunse sul pianerottolo ed entrambi gli artisti scomparvero di sopra.
Sono anni che lavorano assieme al Battesimo di Cristo pensò Arianna. Se non sbaglio è commissionato al Monastero di San Salvi di Vallombrosa. Mi piacerebbe vedere l’opera conclusa, sarebbe un onore immenso…
Lorenzo di Credi, il garzone più giovane della bottega, interruppe il filo dei suoi pensieri.
-Arianna, la tempera vi cola sulla gonna- notò il ragazzo.
-Oh, porca!…- imprecò lei accorgendosi di essere rimasta col pennello fermo a mezz’aria fissando il vuoto delle scale dove, fino a poco prima, aveva intravisto Leonardo ed Andrea.
La ragazza lasciò cadere il pennello nel barattolo dell’acqua e si guardò la gonna del vestito macchiata all’altezza del ginocchio di bluastro.
Bianca mi ucciderà appena lo vede!
Si affrettò a pulire il pulibile e ringraziò Lorenzo che le sedeva accanto lavorando ad un ritratto di donna.

Venne l’ora del pranzo annunciata dal suono delle campane, e la bottega si svuotò dei suoi garzoni che defluirono in una grande stanza al pian terreno nella quale avrebbero pranzato tutti assieme.
Arianna vide Lorenzo di Credi defilarsi quasi per primo dalla camera della tempera, inseguito da Gallo e Davide che gli mettevano le mani tra i boccoli biondi per diletto, deridendolo per l’aspetto da bambola che aveva.
Quelli se la prendono con tutti, eh? Sbuffò Arianna continuando a dipingere.
-Madonna- la chiamò d’un tratto una voce femminile. Ella si volse e riconobbe sulle scale la damigella incaricata di prelevarla dalla bottega e accompagnarla a casa per il pranzo.
-Viviana- la salutò amorevolmente. –Ho quasi finito, fatemi ritoccare un po’-.
La donna, che vestiva di un abito lungo color miele, le venne incontro. –È bellissimo- commentò. –Siete sicura di averlo fatto voi?-.
-Questo complimento è vecchio quanto il cucco, Viviana- rise Arianna.
Viviana aveva qualche anno più di lei, ma era affettuosa e premurosa come la madre che non aveva mai avuto.
La donna le carezzò i capelli. –Ho saputo che il tuo ultimo quadro a piacere ha riscosso tante polemiche. Sono curiosa: posso vederlo?- chiese.
Arianna si alzò dallo sgabello e si avvicinò ad alcune tele coperte da un mantello di seta poggiate in terra, in un angolo della stanza accanto alle finestre. –Sì, ve lo mostro, solo un momento- disse sollevando un lembo del telo e sbirciando qua e là alla ricerca del suo quadro.
Appena lo trovò, si stupì lei stessa di ciò che vi vide raffigurato. Il ricordo di quelle immagini le balzò alla mente come un getto d’acqua fredda sulla pelle.
Trasse il dipinto dagli altri. Non era molto grande, alcune parti incomplete, e lo mostrò a Viviana con neutralità.
La donna restò allungo ammaliata dalle figure accuratamente disegnate e ritoccate con la tempera in modo divino. Ma quando apprese il senso di quelle pose e di quei gesti, si portò una mano alla bocca, esterrefatta e spaventata.
Sullo sfondo vi erano gli emblemi del Regno di Napoli; la grande camera ritratta ospitava decine di persone, alcune piegate in terra, altre a vomitare, altre ancora a stringersi la gola senza riuscire a respirare.
Alla tavola sedeva un uomo vestito in modo sfarzoso. Si cibava di un piatto di funghi, e accanto gli stava un uomo di simili fatture. Forse un fratello.
Viviana notò con disgusto i piatti vuoti degli altri ospiti del pranzo, i quali soffocavano per via dei funghi che l’uomo mangiava. Presto anch’egli avrebbe fatto quella fine.
In un angolo sulla destra era raffigurato un Santo che appariva dal nulla, là dove Arianna non aveva concluso le nuvole che lo circondavano e i raggi del sole che lo illuminavano. Ai piedi del Santo stava una donna anch’ella ben vestita. Forse la moglie dell’uomo che mangiava i funghi.
-Madonna, cosa accade nel dipinto?- volle domandare ugualmente Viviana, sentendosi venir meno.
Arianna tenne gli stessi occhi di sempre. –A saperlo, Viviana- scosse la testa. –Ho veduto questa scena nella mia testa, ho trovato bello dipingerla, ma… a poco a poco capivo anch’io cosa stavo ritraendo. Quando mi sono fermata era troppo tardi: Andrea di Cione l’ha veduto e per poco non l’ha voluto bruciare-.
-Chi è l’uomo alla tavola sapete dirlo?-.
-No, ma qualcuno del Regno di Napoli. Gli stemmi… la stessa mano che li ha fatti li ha riconosciuti-.
-Ora capisco- mormorò Viviana. –Quindi avete immaginato tutto?-.
Arianna annuì. –Sì, almeno spero…-.
-Basta, vi prego, mettetelo via. Voglio ricordarvi che vostro fratello oggi è a pranzo da Giuliano. Una simil’ visione potrebbe portargli sfortuna-.
Arianna non volle credere alle sue parole, ma per qualche istante restò interdetta e in ansia. –Va bene, andiamo a casa prima che mio padre ci dia disperse- le sorrise, ma Viviana tenne la paura in viso per il tempo che seguì.
Arianna rimise al suo posto la tela e la coprì con la mantella assieme alle altre. Si avviò sulle scale assieme alla damigella e, giunte al pian terreno, venne loro incontro Andrea.
-Allora a domani, Arianna- la salutò il Verrocchio.
Arianna si permise un inchino, e fece altrettanto la damigella, costringendosi a star serena dopo la vista orripilante di quel quadro.



















.:Angolo d’Autrice:.
Su grande richiesta di goku94 ecco l’aggiornamento promesso!
Su questo capitolo non ho nulla da ridire, se non che le vicende di Arianna si ispirano ad un modello tutt’altro che realmente storico di donna medievale. Anche se si era brave a disegnare, all’epoca poteva capitare che una donna dipingesse? In una così prestigiosa bottega, poi? Ovvio che no.
Ecco da che proposito parte l’ideazione di questa storia.
*Incipit: l’accaduto a Cosimo è solo un piccolo esempio di pregiudizio avverso alla sua famiglia. Il ramo de’Pazzi di Guglielmo, tendo a sottolinearlo ogni volta che posso, fu neutrale alla congiura ma… ne accaddero delle brutte!*
Ringrazio goku94 e renault per i commenti al capitolo precedente e via, verso l’infinito e oltre! XD

Andrea di Cione [LINK] (Firenze 1437-Venezia, 1488), detto il Verrocchio, era quinto di otto figli e fu pittore attivo nella corte medicea e orafo. Il padre, Michele di Cione, da fabbricante di piastrelle che era divenne esattore delle tasse. Andrea non si sposò mai e fu costretto a badare ad alcuni tra i suoi fratelli e sorelle per via dei problemi economici della sua famiglia. Accolto alla corte di Piero e Lorenzo de' Medici, vi rimase fino a pochi anni prima della sua morte, quando si spostò a Venezia per lavoro, pur mantenendo la sua bottega fiorentina.
Benché fosse l’artista favorito del Magnifico, non ebbe mai a che fare con la famiglia Pazzi, specie tramite una ragazza che venne a studiare nella sua bottega!

Il Battesimo di Cristo [LINK] nasce come dipinto commissionato al Verrocchio solo, ma egli decise di avvalersi della bravura del suo più valido discepolo. A Leonardo spettò lavorare sull’angelo di sinistra e sui fondali paesaggistici. La realizzazione è datata 1474-75, perciò, avendolo collocato invece nel ’76 spero anche sta volta che gli storici non me ne vogliano.

Enrico d’Aragona [LINK] (Valencia, circa 1431 – Terranova da Sibari, 21 novembre 1478) è il soggetto del dipinto di Arianna. Fu feudatario napoletano e Marchese di Gerace. Capitai per caso sulla sua pagina wikipedia mentre cercavo non ricordo cosa e, leggendo la sua biografia, scoprii che morì giovane a Terranova di Sibari, presso la cui corte era ospite a pranzo. Per via dei funghi velenosi, morirono assieme a lui molti funzionari di riguardo. La donna non è altri che la moglie di Enrico. Ella si appella al Santo San Francesco di Paola pregando perché suo marito non lasci cinque figli e una dama vedova.

Lorenzo di Credi [LINK] (Firenze 1459 – 1537) attraverso una biografia su Leonardo risalgo a lui come il migliore amico (durante il tirocinio in bottega) dell’artista. Probabile che tra i due ci fosse anche qualcosa di più… compromettente. Ricordato per il carattere particolare delle sue linee, Lorenzo era il più giovane in bottega (senza contare Arianna), ciò nonostante, alla partenza del Verrocchio per Venezia, e successivamente alla sua morte, fu il “Lorenzino” ad occuparsi della sua gestione, nominato erede dallo stesso Andrea.

Viviana è un personaggio inventato da me ed è la dama di compagnia di Arianna, se così possiamo chiamarla. Solitamente era la serva ad essere più grande dell’accudito, ma per Arianna volevo che fosse il contrario.

Gallo Cecconi e Davide Marrozzi sono altri due personaggi di mia fantasia. Nella bottega del Verrocchio vennero accolti molti artisti ed orafi, di quali non si ricorda il nome perché non ebbero riguardo storico successivo al tirocinio. Antipatici quanto brutti.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La goccia che fece traboccare il vaso ***



La goccia che fece traboccare il vaso

-Arianna-.
La ragazza alzò gli occhi dal piatto e lasciò la forchetta. –Sì, madre?- fece disponibile guardando la donna che sedeva a capo tavola.
Bianca de’ Medici restava sempre bella, con biondi capelli tenuti corti in morbidi piccoli boccoli. Un cerchietto di perle glieli tirava un po’ indietro, lasciando che le cadessero ancor più giovanili attorno al viso da gran signora. Indossava un vestito bianco e porpora, i colori che più le si addicevano, e aveva l’aspetto di una regina.
Il tavolo era imbandito per il pranzo che stava tenendosi in veranda da quasi un’ora, tra il chiacchierare allegro dei componenti familiari e il via vai delle portate.
Al capo opposto della tovaglia sedeva Guglielmo, la cui imponenza faceva invidia al baldo giovane Francesco, assente quella mattina. Il signore di casa raggiungeva la quarantina quell’anno. Gli occhi autoritari e di un verde acceso, la chioma castana ordinata e racchiusa in un sobrio diadema d’argento. Vestiva di abiti non troppo formali e presenziava alla tavola con un costante silenzio, distratto da alcuni fogli che cominciò a leggere senza aver ancora toccato cibo.
Bianca inarcò un sopracciglio. -Arianna mia, Viviana ha veduto una macchia di vernice sul vestito che avevi con te in bottega stamattina-.
Accanto ad Arianna sedeva Cosimo, che guardò la sorella con stupore.
-Io…- esitò Arianna guardandosi attorno. Cercò gli occhi di chi l’avrebbe protetta da un possibile rimprovero sgarbato, ma Guglielmo era assorto nei suoi affari che l’avrebbero tenuto impegnato per tutto il pranzo se necessario.
Il vestito con il quale aveva sostituito quello macchiato appena tornata a casa, era di un blu ciano lindo e impeccabile che, assieme al bianco candido della camicia sottosante al corpetto, esaltavano gli occhi azzurrissimi di lei. I capelli, ordinati e pettinati, ora le cadevano in una magnifica treccia sulla spalla.
-Ebbene?- insisté la madre. –Credi che non faccia conto di certe cose? Arianna, la tempera è dannosa per i nostri tessuti, lo sai bene-.
-Hai macchiato il vestito…- mormorò incredula Alessandra, la sorella un anno più piccola di lei che sedeva alla destra della madre, mentre sulla sinistra vi era Cosimo sempre più in ansia.
Il ragazzo fulminò la piccola Pazzi con un’occhiataccia. –Parli proprio tu, Alessandra, che t’ho visto arrampicarti sul muretto e cadere nella terra del giardino-.
Alessandra mise il broncio e tornò al suo piatto.
Arianna teneva la testa bassa. –Mi assumo la colpa dell’accaduto, madre, ma non succederà più. Tengo molto a quel vestito…-.
-Non mi sembra!- obbiettò Bianca. –Da domani andrai in bottega col grembiule. Ed osa tentare di eludermi ancora, cambiandoti di vestito, e prenderò provvedimenti ancor più seri-.
-No!- contestò Arianna. –Il grembiule, vi supplico madre, no!- si sporse avanti sul tavolo.
Guglielmo sembrò apparire sulla tavola solo in quel momento. –Posso sapere cosa sta succedendo?- domandò ripiegando le carte di lato.
Bianca guardò lo sposo negli occhi. –Arianna ha macchiato il vestito in bottega, stamattina- lo informò.
-E mamma vuole mandarla a dipingere col grembiule- ridacchiò Alessandra.
-Zitta te!- sibilò Cosimo.
-E da quanto ho capito Arianna si rifiuta di convenire tale… costrizione- assentì Guglielmo.
-Costrizione dite voi, mio sposo?- si stupì Bianca. –Ma quale costrizione! È necessità! Le nostre serve non possono permettersi altro tempo sui vestiti di Arianna. La tempera va via solo con costanza, insistenza, e…-.
-Ma per tutti i vostri bei lini delicati le serve il tempo lo hanno, non è così, mia sposa?- si beffò Guglielmo.
Bianca restò a bocca aperta, interdetta da quelle amare parole.
Guglielmo si volse verso la figlia maggiore. –Arianna, sarei lieto se tu facessi più attenzione in futuro. Un altro scherzetto di questi e potresti perdere quel bel vestito che hai, rovinato per sempre dal troppo sapone su di esso strofinato- l’ammonì severo.
La ragazza annuì. –Comprendo, padre. Ve lo prometto: farò più attenzione- gli sorrise.
-Bene- sospirò messer de’ Pazzi, e solo allora notò il posto vuoto alla sua destra. Inarcò un sopracciglio e cominciò a consumare finalmente il suo pranzo. –Francesco è…- s’interruppe, così che Cosimo proseguisse per lui.
-A palazzo de’ Medici. Invitato a pranzo in onore della vittoria di Giuliano alla giostra di stamattina, padre-.
Inizialmente Guglielmo parve adombrarsi a quella notizia, ma poi gli sfuggì un sorriso.
-Hmm, perché la cosa non mi sorprende?- arrise l’uomo.
-Cosa?- azzardò Cosimo confuso.
Sulle labbra del signore si allungò un sorriso. –Che Giuliano sia uscito vincitore, intendo. Perché non mi sorprende?-.
-Il premio della competizione era un quadro alla Vespucci del Botticelli, padre- lo informò Arianna.
Bianca ne rimase sorpresa, ma tenne il suo solito contegno.
-Vespucci, la bella Simonetta- ammirò Guglielmo.
Bianca si tese sulla sedia. –La conoscete?- si stupì con amarezza.
-E chi non la conosce!- esultò Cosimo.
La madre lo fulminò con un’occhiataccia eloquente, mimando che ne avrebbero discusso a quattr’occhi in privata sede.
Cosimo stette muto da allora e cercò di farsi solo i fatti propri.
-Mia sposa- rise Guglielmo. –Abbiamo un quadro del Botticelli in stanza nostra. Conobbi la Vespucci quando andai a ritirare il dipinto presso il suo studio-.
-Capisco- fece la dama poco convinta.
Arianna sfuggì una risatina al sol pensiero di sua madre così sospettosa. Non si addiceva a Bianca provare un simile riguardo che non fosse la collera.
Anche la piccola Alessandra notò quell’insolita virgola in volto alla madre e, prendendo una forchettata della sua carne, scambiò uno sguardo complice con la sorella maggiore che le sedeva accanto.
-Tornando alla radice del discorso- riprese la donna de’Medici severamente. –Continuo a pensare che Arianna stia solo sprecando tempo in bottega- assentì.
In principio il resto dei familiari ignorò quelle parole, e tutti tacquero.
Ma poi Bianca guardò il marito fisso negli occhi e lo sorprese con il boccone a mezz’aria.
-Era tanto che desideravo annunciarlo- sospirò Bianca con stupore del marito. –Guglielmo, è ora di interrompere il debito con il Verrocchio- annunciò.
Alessandra sgranò gli occhi.
Cosimo per poco non si strozzò bevendo.
Arianna si voltò senza parole verso il padre fedele, ma Guglielmo sembrava altrettanto sconvolto quanto i figli.
-Bianca…- esitò il nobile uomo. –Non mi sembra questo il momento adatto. Lascia almeno che si finisca il pranzo- suggerì.
-No, Guglielmo. Voglio che, nonostante l’assenza di Francesco, Cosimo e Alessandra ne siano testimoni- ordinò la donna stirandosi le pieghe sul vestito.
Guglielmo, in leggero disaccordo con la moglie, scambiò un’occhiata prima con Cosimo e poi con Alessandra. –Ebbene, che restino- disse soffermandosi sulla sua prediletta, ma Arianna teneva il mento nel petto e gli occhi bassi, piena di vergogna.
-Se si tratta del vestito, madre, permettetemi di dirvi che non v’è motivo di tanto astio. Arianna…-.
-Cosimo, t’ho chiamato a testimone, ma non è richiesta la tua parola- sbottò Bianca.
Il ragazzo tornò muto.
-Basta così- proruppe d’un tratto Guglielmo, con grande sorpresa di Bianca stessa. –Pare che vostra madre non voglia sentire ragioni e desideri affrontare questo delicato argomento oggi stesso. Intraprendere un simile discorso e doverci interrompere per ogni vostra scaramuccia è alquanto increscioso, perciò suggerisco di rispettare il mio volere. Mi spiace solo aver interrotto il vostro pranzo- guardò i due figli Cosimo e Alessandra. -Potete andare- aggiunse il Pazzi ignorando la collera della moglie, la quale sosteneva il volere contrario.
Cosimo e Alessandra si alzarono di tavola in sincronia e, mentre si avviavano in silenzio fuori dalla veranda, vennero alcuni servi a togliere i loro piatti vuoti.
Seduti restavano solo Bianca e Guglielmo agli estremi, l’uno di fronte all’altra, e la gracile Arianna nascosta dalla frangia dei capelli in uno dei due posti accanto al padre. Sul seggio di fronte sarebbe dovuto esserci Francesco, alla destra di Guglielmo, ma egli era fortunatamente in un posto migliore.
Bianca non faceva onore alla cordialità e all’anima buona dei suoi fratelli. Arianna si era sorpresa più volte della mente tanto aperta e illuminata di Lorenzo e dello spirito ardito di Giuliano, il quale si era conquistato la grande amicizia del suo fratello maggiore Francesco.
Bianca poteva dirsi la reincarnazione della matrigna delle favole. Nonostante fosse madre per sangue di Arianna, restava scontenta di qualsiasi cosa dicesse, facesse o anche solo pensasse. Disprezzava la sua dote nell’arte, considerandola solo uno spreco di tempo, fatica e dedizione che avrebbe voluto impiegasse nel cucito o negli studi privati. Sarebbe stata persino più contenta di vedere la figlia in convento piuttosto che con il pennello in mano.
-Esigo delle spiegazioni, Guglielmo- esordì schietta, furibonda. A stento si tratteneva dal graffiare il tavolo con le unghie. –Tu mi umili così davanti ai miei figli, insultando la mia figura, contraddicendo le mie parole!-.
-Credevo ne avessimo già discusso molto tempo fa- pronunciò composto Guglielmo, senza staccare gli occhi da quelli pieni di ira della moglie. –Arianna ha talento, passione, e dipingere credo sia l’unica cosa che la rende felice. Non le strapperai anche questo-.
-Perché?! Cos’altro le ho portato via?!- sbottò la donna. –È lei che mi ha rubato l’orgoglio di avere una figlia! Lei e quell’altra!- strillò indicando la soglia varcata poco prima dai due fratelli congedati, alludendo soprattutto ad Alessandra. –Figlie, donne che m’ignorano, ignorarono la loro madre per inseguire i sogni!-.
-Non mi pare che siate così accorto di compagnia come dite, amore mio- azzardò cauto Guglielmo. –Perdonatemi se stamani vi ho impegnato Cosimo che di solito trascinate con voi al mercato. Ma egli mi era utile poiché Francesco è impegnato a Torneo, e gli spettavano delle importanti commissioni. Non accadrà più- precisò.
Arianna guardò la madre, che d’un tratto aveva assunto un’aria stanca e sconsolata.
-Non si tratta di questo…- mormorò Bianca esangue. –Con voi accanto, mio sposo, non sentirò mai la solitudine, mai- fece dolce.
Guglielmo le sorrise.
-Ma sono profondamente turbata dal fatto che le nostre figlie imbraccino le armi e i pennelli, mentre Cosimo mi accompagna nelle passeggiate, ecco tutto- ammise più serena. –Non è mia intenzione negare ai ragazzi ciò che piace loro, o Francesco sarebbe qui invece che prendere parte al torneo, sfidando mio fratello con tanta caparbia-.
-Ecco l’altra spinosa questione, dunque- esordì Guglielmo. –La competizione tra i due vi ingelosisce?-.
-Affatto- Bianca scosse la testa. –Mi sento solo in dovere, come madre, di proteggerlo. Il gioco, la caccia ad una donna, potrebbe un giorno indurli a sfidarsi davvero, e come ultima volta- proferì grave. –Conosco mio figlio, ma specialmente mio fratello-.
Sul volto di Guglielmo passò un’ombra. –Ora comprendo-.
-Bene, ne sono lieta- sorrise Bianca.
-Ma le vostre gelosie non terranno nostra figlia lontano dalla bottega- si apprestò a dire lui. –Non ne avete motivo- bevve un sorso di vino.
Bianca cambiò nuovamente colore in faccia. –Guglielmo!-.
-Ah! Questo era l’intento vostro, dunque, raggirarmi! Moglie mia, siete astuta e malvagia anche a tavola e non solo a letto-.
Arianna si volse di colpo. –Padre!- arrossì visibilmente.
Guglielmo stava sereno.
-Non tocchiamo questo tasto, signore- sibilò Bianca.
-Madonna mia, credete forse che 15 figli nascano dal nulla?- si permise una festosa risata.
Ad Arianna sfuggì un sorriso.
-Basta, Guglielmo, per favore!- proruppe ancora la donna.
-Penso che Arianna sia abbastanza adulta ormai per sentir circolare certe voci. In un ambiente come quello dell’arte, poi, ne avrà sentite pure di peggiori!- Guglielmo rideva senza sosta.
Bianca sembrò aver trovato ciò che cerava in quell’ultima affermazione del marito, perché quasi balzò in piedi per quanto s’illuminò.
-Voci? Quali voci? E di che ambiente parlate?- s’interessò la dama.
Guglielmo arrestò poco a poco la sua gioia, vedendo che l’espressione in viso della figlia si era fatta supplichevole affinché smentisse l’appena pronunciato.
Ser de’Pazzi tornò serio sulla sedia. –Niente, niente…- vaneggiò. –Ignorate i miei discorsi privi di pudore- disse mettendo in bocca il cibo.
Bianca guardò Arianna che nel frattempo era tornata a fissare il proprio piatto vuoto davanti a sé, senza alzare il naso da lì.
-Arianna, credi che non lo sappia?- cominciò la donna interpellandola e lasciando il marito mangiare.
La fanciulla si guardò con attenzione da lei. –Cosa, madre?- fece confusa.
Bianca sfoggiò un malizioso sorriso e bevve dal suo bicchiere. –So in che modo ti guardano gli altri artisti nella bottega, e anche che trattamento ti riserva il Verrocchio solo perché sei figlia di tuo padre. Egli è troppo indulgente con te, e tu stai troppo buona-.
Arianna s’irrigidì. –E voi come fate a…?-.
Bianca rise tra sé e sé. –Ho i miei contatti, così come Guglielmo ha i suoi- e guardò il marito.
-Mi tirate in causa, madonna,- l’uomo ingoiò –ma non capisco cosa c’è che ancora vi turba-.
-I suoi compagni- e indicò Arianna –la disprezzano, amore mio, la insultano, approfittano di lei e la guardano con occhi malvagi. Arianna, da parte sua, è silenziosa e accondiscendente come sempre, ma comincio a temere per la sua vita. Con un precettore che le insegni il latino e le bastoni le mani, imparerebbe a farsi rispettare. Dopotutto è una Pazzi, e non può permettersi una tale debolezza-.
-La rovinereste ancora di più isolandola nelle sue stanze in questo modo- insisté Guglielmo. –In bottega il Verrocchio mi ha riferito di quant’ella è solare e felice nella pittura- sorrise verso la figlia. –Ed io, lieto che abbia trovato la sua strada, sono fiero di lei-.
Arianna si sentì brillare dopo quelle parole.
-Ah!- sbottò Bianca. –Raggianti dipinti, dite voi? Guglielmo, lasciate che vi rammenti che genere di soggetti ella raffigura nei suoi quadri! Morte, disgrazie, esecuzioni! L’influsso negativo che aleggia in quella bottega l’ha imprigionata, e ciò che mostra al Verrocchio è solo una maschera! Siete cieco se non ve ne accorgete-.
-Non è vero!- proruppe Arianna a sorpresa.
Guglielmo e Bianca restarono stupiti del suo inatteso intervento a tradimento.
Arianna tenne gli occhi bassi, serrò i pugni sulla gonna e strinse i denti. –Vi sbagliate, madre, non è una maschera. Provo felicità nel dipingere, sento completezza, armonia…-.
-Lo consideri uno sfogo, quindi?- ipotizzò Guglielmo, ora interessato che la figlia azzardava a parlare.
-No, padre- definì Arianna. –Non uno sfogo, ma l’unico scopo finché sono in Terra-.
Guglielmo parve confuso, e ancor più lo fu Bianca.
-Scopo? Come se dipingere in bottega ti pagasse in denari…- blaterò la donna.
-Paga con l’esercizio e l’acquisto della tecnica, madre, ecco come paga- disse contegnosa Arianna.
-La nostra ragazza ha ragione, amore mio- confermò l’uomo.
-Ragione su cosa?! Arianna!- guardò la figlia. –Davvero hai intenzione di dipingere per il resto della tua vita?!-.
La ragazza annuì seria e convinta.
-Oh Madonna…- imprecò Bianca distogliendo lo sguardo dalla tavola. –Non credo alle mie orecchie-.
-Perché, che pensavate? Che sarei uscita dalla bottega imparando l’uncinetto a vent’anni?!- eruppe la giovane Pazzi.
-Ovvio che no!- rispose la dama.
-E allora cosa pretendete?!- eruppe Arianna. –Amo dipingere più di qualsiasi altra cosa, morirei per i pennelli se questi mi venissero tolti, e voi fate di tutto pur di convertire l’idea anche all’uomo che più mi sostiene e abbraccia questa mia scelta!- indicò Guglielmo.
-Arianna, adesso calmati…- mormorò composto il signore.
-No! Sono stufa di sentirvi litigare ogni volta su propositi allungo discussi!- esordì Arianna guardando prima uno, poi l’altro genitore. –Troppe volte ho udito gridarvi contro, combattendo per me e per la vita della quale intendo assumermi solo io la responsabilità! L’avete detto, padre, sono abbastanza grande per sapere scegliere bene! Ebbene ho già scelto! Solo che questa mia decisione non aggrada alla madonna!- scoccò un’occhiataccia su Bianca, alla quale le si rizzarono i capelli per tanta sfrontatezza.
-Insolente ragazzina! Fin quando sarai sotto il mio tetto considerati capace, ma non prenderai mai da te certe decisioni! Sei mia figlia ed io so cos’è giusto per te!-.
La ragazza parve esitare. Si alzò scostando con rumore la sedia e strinse i pugni lungo i fianchi.
-Pensate di sapere tutto, e invece non capite nulla di me!- ruggì.
-Arianna! Non parlarmi in questo modo!!-.
-Voi non siete mia madre! Voi siete la donna che rovina la mia vita!- strillò la ragazza, e dette quelle parole lasciò la veranda fuggendo di corsa, e in lacrime, verso la sua stanza.
Bianca sfidò il marito con un’occhiataccia. -Guglielmo, fa’ qualcosa!-.
L’uomo stette allungo in silenzio, sconvolto.
Bianca, esasperata, si alzò di tavola e puntò un dito contro il marito.
-Sono indignata della vostra condotta, mio sposo. Appoggiate i sogni di una ragazzina, ma così distruggete il legame tra le nostre famiglie. Mio fratello Lorenzo ne risentirà ragione: una donna non può stare in bottega e apprendere l’arte, è fuori dal Mondo!-.
-Credete che l’autorità di vostro fratello possa farmi paura? Ah!- ne rise Guglielmo. –Forse dimentichi i miei di fratelli-.
Bianca restò a bocca aperta. -Basta! Non permetterete che quella ragazzina mandi a monte il nostro matrimonio! Perciò, se da domani ella sarà ancora in quella bottega, giuro sulla mia corona, che farò dissipare i documenti che ci uniscono e bruciare il letto nel quale abbiamo concepito lei e il resto dei nostri figli!-.
Bianca varcava il confine della decenza, sfidava la sua autorità, ma allo stesso modo gli teneva le mani legate.
Guglielmo posò la forchetta, rimasta a mezz’aria fino ad allora. Bevve un sorso del vino nel suo calice e guardò la moglie con risentimento, ma assieme vi era una nota di comprensione e ubbidienza.
-Parlerò personalmente ad Arianna della nostra decisione- sottolineò con tono. –Ma sappiate una cosa- l’ammonì ancor prima che sul volto di Bianca potesse comparire soddisfazione per la vittoria raggiunta.
-Dite- lo esortò.
-Verrà un giorno in cui quella ragazza e i suoi dipinti lasceranno un segno nella storia, ve lo garantisco, madonna-.
Bianca sollevò il mento e tornò seduta di fronte al suo sposo. –Attenderò paziente, Guglielmo- si fece beffe. –Ma nel frattempo rispettate tali accordi: non solo ne parlamenterete con nostra figlia, bensì domani mi aspetto che andiate personalmente in sede dal Verrocchio e ne discutiate con lui anche- convenne.
-Come desiderate, madonna-.
Dietro all’imposta in legno della porta, che separava la sala da pranzo al corridoio, si era nascosto Cosimo de’ Pazzi. Quatto, il ragazzo nell’ombra, aveva ascoltato ogni parola della conversazione. Era caduta la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Veduta Arianna fuggire in lacrime senza accorgersi di lui rimasto là ad origliare, al giovane Pazzi sfuggì un’amara smorfia, e la tristezza gli nacque in cuore, ormai cosciente che la sua sorella ne avrebbe sofferto.







Angolo d’Autrice
Un veloce ringraziamento a goku94 e renault per il sostegno così immediato e costante!
Eccovi un altro capitoletto di 6 pagine, e colgo l’occasione per dirvi che questa sarà in linea dei massima la media di ciascun post.
Le vicende di Arianna andranno peggiorando, ma così come gliene capiteranno di brutte, al suo fianco vivrà sempre chi sarà in grado di sostenerla. Che si tratti dei fratelli o degli amici, ad Arianna potrà capitare di sentirsi sola e abbandonata, ma non lo sarà mai.
^-^ Con questo è tutto, e vi aspetto alla prossima puntata sperando che la storia stia catturando voi così come ha catturato me quand’ancora era da mettere per iscritta.
***
Da brava lettrice che sono, colgo l'occasione per "sponsorizzare" (XD) la bravura e l'incredibile ignegno di un altro grande scrittore di questa sezione.
Carlos Oliviera!
Dio, ragazzi, leggete le sue storie *ç* tra lui e la Saphi non so chi è meglio!
Ora non sto mica a fare paragoni, ma quando la gente sa scrivere è bene dirlo chiaramente. ^^
Le storie del nostro amico Carlos sono certo che hanno tutte gran fascino, ma quelle postate da lui in questa sezione mi hanno lasciata esterrefatta, meravigliata, a bocca aperta ad ogni capitolo...
A partire da Assassin's Creed - Endess Abyss.
Proprio qualche minuto fa, invece, ho appena finito di leggere il primo capitolo della sua fan fiction onoraria su AC II ovvero Assassin's Creed 2.5...
Se amate la trama di Assassini's Creed quanto la amo io, se siete degli appassionati di avventura, magia e mistero, e se non avete un cavolo da fare fino a lunedì mattina! (XD) leggete queste benedette storie. E sono sicura che non ve ne pentirete. Anzi.
Avrete collaborato alla nascita di un grande scrittore.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Timori e Sospetti ***


Timori e Sospetti

“Giuliano de' Medici, ragionandosi di un mercante che non credeva, disse:
Guarda, quanto Dio è misericordioso, che patisce che a uno che non vuol credere pure a lui, da ogn'uno sia creduto.”

(Poliziano, Frase 83, “Detti Piacevoli”)


-E così Arianna ciò che “vedeva” lo dipingeva?- chiede Rebecca.
-Esattamente- risponde Shaun. –Ma pare che i suoi quadri fossero così cruenti da apparire solo tela sprecata e allucinazioni di una pazza -.
-Un po’ come te- commenta Rebecca.
Shaun afferra la copertina rigida di un libro e colpisce in testa la ragazza, poi Rebecca caccia un urlo: -Ahi! Mi hai fatto male, brutto…- ma si trattiene.
-Dicevo- riprende Shaun con serietà. –Arianna ha ereditato il potere della veggenza da suo padre. Se in passato ti ho detto il contrario, considera questa come una rettifica. È Guglielmo de’ Pazzi il discendente diretto di Cassandra, e non Bianca. Ecco perché lui appoggia ed idolatra la figlia mentre la de’Medici le è così ostile-.
-Che donna ignobile- borbotta Rebecca.
-Senti… per quanto ancora deve restare lì dentro?- chiede lui indicando Elisa stesa sull’Animus.
-Dammi il tempo necessario per agganciare e rivivere qualche ricordo chiave. Dopodiché Elisa sarà libera di camminare con le tue gambe, e vedremo se l’Effetto Osmosi fa il suo dovere- dichiara Rebecca allegramente. –Bene, ecco il prossimo blocco di memoria. Sono riuscita a risparmiarci alcune ore della giornata. Dal pranzo siamo direttamente alla cena in casa Pazzi. Avvio il caricamento- Rebecca sembra elettrizzata.
-Wow! Che entusiasmo…- sbuffa Shaun.
-Scusa tanto se per me è una gioia vedere che i frutti di anni di lavoro finalmente funzionano- sbotta la ragazza.
-Hai ragione!- fa Shaun ilare. –Anche perché questa è la prima a funzionare!-.
-Che spiritoso…-.
Le voci dei due si perdono in un eco di silenzio.

[Repubblica Fiorentina 1476]

Il bianco tutt’attorno si materializzò come un’ampia camera tenuta buia per via delle spesse tende calate davanti alle finestre. Fuori il cielo era nero e colmo di stelle. Dai tetti di Firenze si levavano i fumi di comignoli accesi e per le strade passava ogni tanto qualche ronda di guardie armate.
Arianna era seduta sul davanzale sotto le vetrate. Rannicchiata tra i cuscini e con le ginocchia tirate al petto, guardava sognante le vie notturne della sua città. Gli occhi di ghiaccio erano bagnati da un raggio di luna. Il canto di un gufo cittadino la cullava come una ninnananna funebre.
Attorno, l’arredo era semplice e usuale. C’era uno scrittoio, qualche cassettone, una cassapanca e una grande cesta contenente tele e cavalletti, nel caso l’ispirazione l’avesse colpita all’improvviso. Una candela poggiata sul comodino accanto al letto rischiarava un poco l’ambiente avvolto dalle tenebre.
Arianna stava bene, nel silenzio della sua stanza, sola con se stessa e nessun altro. Le tende, seduta su quel davanzale dove aveva trascorso tutto il pomeriggio, la nascondevano da chiunque varcasse la soglia d’ingresso.
Dopo aver bussato, Viviana entrò nella camera buia portando con sé un piccolo vassoio.
-Arianna- chiamò scrutando l’oscurità alla ricerca della fanciulla. Non vedendola si mise in allarme e fece per uscire a cercare il padrone di casa, ma Arianna scostò un lembo della tenda e si mostrò alla serva.
-Viviana, sono qui- le disse senza tono.
-Oh, per tutti i Santi!- esultò lei. –Mi avete fatto prendere un bello spavento, signorina- pronunciò richiudendosi la porta alle spalle e avviandosi col vassoio verso di lei.
Arianna restò immobile anche quando Viviana le posò ai piedi la cena.
-Vostro padre ha insistito che vi portassi qui il pasto. Bianca non era d’accordo- confessò grave.
-Immaginavo- sospirò Arianna tornando a guardare fuori dalla finestra. –Che ore sono?- chiese.
-Tardi- rispose la serva poco serena. –Guglielmo si è inoltre raccomandato perché prendeste sonno il prima possibile-.
Arianna non rispose.
-Se posso, vi suggerirei di porgere a madonna de’Medici le vostre scuse prima che ella, davvero, prenda provvedimenti molto seri…- chinò il capo.
L’artista la ignorò del tutto.
Viviana le sedé accanto sul davanzale e le carezzò il viso. –Arianna, questo non è un consiglio da una serva, ma da una cara amica che tiene alla vostra compagnia. Quindi, se non volete che vostra madre vi spedisca in convento, è bene che…-.
Arianna allontanò la mano di Viviana da sé con un lento gesto. –Ti ringrazio, ma so già cosa fare e cosa non- disse in un sussurro.
Viviana si stirò le pieghe della gonna e guardò in basso. –Allora, confido che le vostre siano le intenzioni migliori- si alzò e uscì dalla stanza.
Arianna restò nuovamente sola, ma per poco, si disse, perché a breve Viviana sarebbe rientrata a portar via il piatto con la minestra e tutto il vassoio.
La ragazza guardò la pastina che galleggiava nell’acqua e per un istante le parve di potervisi vedere riflessa. Ora i capelli li portava sciolti in morbidi e gonfi boccoli scuri. Gli occhi stanchi e arrossati per il pianto da poco cessato erano profondamente segnati dall’immensa tristezza che le uccideva il cuore. Era curva, chiusa in se stessa come mai prima di allora. Indossava la sua veste da notte leggermente trasparente e con graziosi ricami blu.
Sapeva bene che dopo quella cena molte cose erano e molte altre sarebbero presto cambiate. A partire dal suo apprendistato nella bottega. Con quello aveva chiuso, ne era certa. Bianca l’avrebbe strappata all’unica cosa che la rendeva felice, felice davvero nonostante le difficoltà di vivere e dipingere assieme ad un gruppo di ragazzini che non facevano altro che prenderla in giro dalla mattina alla sera. In qualche strano modo Arianna si era sempre sentita abbastanza forte da poter “sopravvivere”, perciò non c’era mai stato motivo di abbandonare. Ma poi, sopraggiunti gli oggetti dei suoi quadri, Bianca non le aveva lasciato scampo nel dibattito, conclusosi con la vittoria della madonna madre.
Viviana tornò, ed entrò in stanza senza proferire parola. Trovandosi dinnanzi il vassoio intatto, guardò Arianna con pena e sospetto, ma la ragazza non la degnò di uno sguardo. Poi la serva sparì per i corridoi della dimora Pazzi senza farsi più sentire e vedere.
Arianna si alzò dal davanzale, andò a sedersi sul letto e nascose i piedi scalzi e infreddoliti sotto le coperte.
Si era sempre chiesta perché vedesse quelle cose: la peste, il veleno, le congiure, la morte in generale, ma non era mai riuscita a darsi risposta. Quelle immagini le apparivano come idee, idee che le veniva voglia di dipingere e se ne sentiva carica di bravura. Delle volte sognava anche volti mai incontrati, mai conosciuti, e ne intravedeva la fine, l’oblio. Alcuni impiccati, altri senza testa, altri ancora uccisi a coltellate oppure caduti da navi, palazzi o quant’altro…
Ma possibile che fosse tutta gente che Arianna non aveva mai conosciuto? Poteva la sua anima suggerirle scene tanto agghiaccianti e poi farle dono di metterle su tela? E se ci fosse qualche subdolo ingegno di stregoneria? E se…
Ad interrompere il filo dei suoi pensieri fu il bussare silenzioso che udì.
All’inizio ne restò colpita e stette in silenzio, pensando che si fosse trattato della sua immaginazione, ma poi ascoltò di nuovo bussare, e ‘sta volta con più certezza.
-Avanti…- mormorò esangue, pronta a sorbirsi chissà quale ramanzina o dal padre o dalla madre.
A comparire in stanza furono invece le figure dei due fratelli maggiori. Francesco la vide subito, seduta sul letto con i piedi sotto le coperte, mentre Cosimo si guardava attorno sperduto.
-È là, idiota- sibilò Francesco dando una pacca al fratello.
Cosimo era già vestito per la notte, mentre il maggiore, Francesco, portando con sé una candela a rischiarare la via, aveva ancora indosso il suo formale abbigliamento da nobile fiorentino: gli stivali e una larga camicia di seta rossa.
-Cosa…?- fece per chiedere lei, guardando prima uno poi l’altro.
I due si avvicinarono al letto della sorella, e Francesco sedé sulle coperte al suo fianco. –Cosimo mi ha raccontato tutto, ma c’è una cosa che non sai e devi assolutamente sapere- pronunciò serio lasciando la candela sul comodino.
L’altro ragazzo si accomodò sul lato opposto del letto e annuì. –Bianca ha minacciato di disfare il matrimonio. Guglielmo domani andrà dal Verrocchio e ti richiamerà dalla bottega-.
In un modo o nell’altro, Arianna l’aveva previsto.
-Perché mi dite ciò?- chiese agitata.
-Perché nostro padre potrebbe non farlo, e noi vogliamo che tu sappia anche questo- rispose Francesco accigliato.
Arianna chinò il capo. –La cosa non mi sorprende-.
Cosimo si fece più attento. –Lo sapevi già?-.
La ragazza annuì. –Lo sospettavo, in verità…-.
I due fratelli si cambiarono un’occhiata, poi tornarono a rivolgersi alla sorella.
-E cosa intendi fare?- chiese Francesco.
Arianna si strinse nelle spalle e guardò altrove. –Penso di non essere disposta a questa domanda…-.
-Lo immaginavo- sospirò Francesco.
La ragazza guardò il fratello maggiore, quello tutto muscoli. –Com’è andata a pranzo?- chiese più serena.
-Oh, benone!- esultò l’invitato speciale. –E credo che non mi laverò più la faccia da oggi in poi-.
-La bella Vespucci ti ha slinguazzato tutto, eh?- ridacchiò Cosimo.
-E ‘sta zitto tu!- eruppe l’altro.
-Ma non era l’amore cortese di Giuliano?- domandò lei confusa.
-Infatti- disse Cosimo. –Adesso il nostro Francescone deve vedersela di nuovo in torneo con Giuliano perché ha osato troppo sulla sua dama!-.
-Non ci sperare- borbottò Francesco. –Dubito fortemente che rivedremo presto Giuliano in torneo-.
-Come mai?- chiese Cosimo, stupito.
Il cavaliere si strinse nelle spalle. –Questa è stata l’ultima festa, statene certi. Ultimamente organizzava bei grandi giostre, ricevimenti, delle volte accompagnava anche Lorenzo a Careggi per celebrare gli artisti! Ma da qui ad una settimana fa qualcosa è… cambiato in lui-.
Arianna finse di non capire a cosa si stesse riferendo il fratello, ma in cuor suo sapeva bene perché Giuliano era diventato così attento, premuroso, distaccato e isolato dal resto.
Ad accorgersi del volto affranto di lei fu proprio Francesco.
Questi si avvicinò alla sorella indagando sul suo silenzio, e in fine sentenziò. –Possibile che tu sappia qualcosa su di lui che io non so?- chiese, più a sé stesso che alla giovane.
Arianna scosse la testa. –Non penso che sia a causa mia, ma…-.
-Ma?- insisté Cosimo.
La ragazza sollevò il viso. –Tra i miei dipinti ce n’era uno che ha fatto più scalpore di tutti, quando l’ho mostrato al Verrocchio- confessò.
I due non la interruppero e stettero attenti ad ogni sillaba da lei pronunciata, così Arianna fu costretta a proseguire.
-Avevo ritratto Giuliano e Lorenzo ai piedi di una Chiesa. L’uno sulle scale e gravemente ferito, l’altro sdraiato a terra… morto- mormorò.
-Sai dov’è il quadro adesso?- chiese Francesco con un’ombra negli occhi chiari.
Arianna scosse la testa. –Il Verrocchio deve averlo bruciato davvero, almeno quello- sussurrò a fior di labbra.
I due fratelli si scambiarono un’altra occhiata complice.
Il minore dei due convenne: -Arianna, perché hai dipinto una cosa simile?- domandò impietrito.
-Non lo so- lagnò lei. –Vi giuro, non voglio alcun male ai nostri zii, ma… ma…- non riusciva a trovare le parole adatte, mentre gli occhi le si arrossavano sempre più annunciando il pianto imminente.
-Va bene, basta così- proruppe Francesco afferrando dolcemente la sorella per le spalle e avvicinandola a sé.
Arianna si strinse al fratello con disperazione, soffocando le giovani lacrime sulla camicia rossa che si era lasciato indosso, appena rientrato dalla baldoria.
Cosimo chinò il capo. –Questa però non è la prima volta che Arianna dipinge la morte di qualcuno che conosciamo…- mormorò.
-Arianna, in base a ciò, c’è un’altra cosa che devi sapere- Francesco lo fulminò con un’occhiataccia e il minore tacque.
La ragazza tirò su col naso.
-Qualche settimana fa ero nello studio di nostro padre- Francesco si rivolse anche a Cosimo. –Lì ho veduto e riconosciuto alcuni dei tuoi quadri. Guglielmo li preleva dalla bottega quando pensi che il Verrocchio se ne sia disfatto e li tiene con sé. Tra di essi c’era… il dipinto di cui parli. Non ho idea del perché nostro padre lo faccia, ma…- scosse la testa. –C’è qualcosa che non mi convince in questa storia-.
La giovane donna riprese a singhiozzare.
-Adesso non pensarci più, per favore- disse Cosimo alla ragazza stretta tra le braccia dell’altro fratello, al quale lanciò un’occhiataccia. –E poi devi riuscire a prendere sonno, è importante che ti riposi: domani sarà una giornata… particolare-.
Arianna si scostò lentamente da Francesco, annuì tremante e si asciugò il viso con la manica della veste da notte. –Grazie… per essere venuti- ringraziò entrambi.
Francesco le carezzò un’ultima volta i capelli, poi si alzò dal letto, prese la candela dal comodino e richiamò il fratello con un gesto del capo.
Cosimo volse ad Arianna un sincero sorriso e raggiunse il cavaliere sull’ingresso della stanza.
La luce della candela portata da Francesco si perse nel buio del corridoio, mentre Cosimo richiudeva la porta alle sue spalle.
Arianna restò avvolta nell’oscurità dei suoi alloggi. L’unica flebile fonte di luce erano la luna e le stelle nel cielo, fuori dalla finestra rimasta aperta e oltre le tende.
La ragazza si lasciò scivolare con la guancia sul cuscino e si coprì con le coperte sino al naso. Continuò a guardare il paesaggio notturno fuori da quello spiraglio concesso dalle tende, e si addormentò chiudendo gli occhi poco alla volta.

Venne l’alba.
Il canticchiare dei primi uccellini si udiva già, assieme al silenzioso vociare per la strada e al passare di alcuni carri e quieti cavalli. La finestra era rimasta aperta e il sole insinuava i suoi giovani raggi attraverso le vetrate e carezzava il pavimento, là dove arrivava passando per uno spiraglio delle tende, sospinte da una fresca brezza mattutina.
Alla mente le tornò improvvisamente il quadro di cui aveva discusso coi fratelli solo qualche ora prima. Non riuscendo più a sopportare quei macabri pensieri, e rimettendo al solo pensiero di una sua medesima fantasia omicida, Arianna prese il cuscino da sotto la sua testa e se lo premette in viso, soffocando un grido di sofferenza e intolleranza assieme.
Basta, basta…! Implorava se stessa di smettere, ma pregava piuttosto il Dio che l’aveva condannata ad una simile tortura. Questi sogni… queste visioni! Mi stanno rovinando la vita! Basta, vi prego! Basta! Se non vuoi farlo per me, fallo per mio padre, per mia madre, per i miei fratelli! Loro non meritano di soffrire e litigare a causa mia! Trascina pure la mia vita nell’oblio, nella disperazione, ma risparmia le loro…
Gridò ancora, ben conscia che nessuno l’avrebbe udita fin quando avesse continuato a strillare con la piuma del cuscino tra i denti.

A colazione nessuno osò rivolgerle la parola, chi per timore e chi per compassione, ma soprattutto Bianca, che sedeva a capo tavola, sorseggiava il suo tè caldo senza staccare gli occhi dalla figlia.
Francesco, nel posto davanti alla giovane punita, indagò allungo sulla tristezza della sorella, domandandosi se fosse il caso di intervenire in qualche modo.
Cosimo, al fianco del fratello maggiore, consumava la sua colazione con altrettanta disperazione che non dava a vedere, nascondendola sotto una maschera di sola comprensione.
Alessandra pareva la più tranquilla di tutti a tavola. Sedeva accanto alla muta sorella e sgranocchiava il suo pane caldo inzuppandolo nel latte. Il sorisetto sghembo a testimoniare l’innocenza fanciullesca che le si addiceva solitamente. Ignara, ovviamente, della triste discussione tra i tre fratelli maggiori della sera precedente.
Il silenzio in sala era spettrale.
Alla tavola mancava Guglielmo, notò Arianna con mestizia senza aver toccato ancora cibo da quando si era seduta, qualche minuto prima, dopo essere stata scortata in sala da Viviana.
Anche la damigella era rimasta in silenzio durante tutto il tragitto dalla camera della ragazza sino alla veranda. Ora la serva stava in angolo della stanza, vicino all’ingresso assieme ad altre due damigelle e teneva gli occhi bassi tanto quanto Arianna.
Bianca posò la tazza sul piattino e guardò verso le tre donne.
Viviana si avvicinò al tavolo.
La padrona di casa mormorò qualcosa d’inudibile alla serva che annuì subito dopo.
-Arianna- chiamò Bianca.
La ragazza voltò leggermente il capo verso di lei incontrando lo sguardo poco sereno di suo fratello Francesco. –Sì, madre?- fece disponibile.
-Alzati e va’: raggiungi con Viviana lo studio di tuo padre, dove egli ti attende- ordinò brusca.
Arianna non se lo fece ripete. Scansò in silenzio la sedia e si alzò raggiungendo il fianco di Viviana. Passando alle spalle di Cosimo e Francesco, quest’ultimo le sfiorò la mano con la propria in segno di conforto. Arianna gli volse un mezzo sorriso e Francesco annuì.
Sii forte mimò questi con le labbra quando la damigella si avviò fuori dalla veranda, e la ragazza la seguì come fosse la sua ombra.
Arrivate nel salone centrale, Viviana e Arianna proseguirono in di loro due osò guardare negli occhi la fanciulla quando ella e la serva passarono la soglia.
In strada avanzarono spedite tra la gente, ognuna nel proprio rispettoso e timoroso mutismo.
Ogni tanto Viviana le lanciava qualche occhiata dolce, ma Arianna la ignorava del tutto e continuava a camminare a testa bassa e muso lungo.
Lo studio di Guglielmo sorgeva un poco distante dal palazzo di famiglia, nello stesso quartiere storico di San Lorenzo ove sorgevano Santa Maria del Fiore e Palazzo della Signoria.
Ammirando la destinazione ancora da lontano, Arianna non provò mai più paura di quest’oggi nel guardare l’emblema di famiglia che si ergeva in pietra sopra l’ingresso dello studio. I due delfini in campo blu, accompagnati dalle croci dorate, luccicavano ai raggi del timido sole primaverile, mentre in cielo andava formarsi qualche nube di dispiacere.
Arianna osservò i dintorni in strada e notò solo allora delle guardie riunite vicino la soglia dello studio di suo padre. Alcune erano di famiglia e portavano i colori dell’emblema, ma altre vestivano di armature in oro e drappi in rosso porpora.
Oh mio Dio…
La ragazza cominciò a temere il peggio e sgranò gli occhi, mentre Viviana al suo fianco appariva altrettanto inferma.
-I Medici son da vostro padre- commentò la serva.
Arianna non rispose e lanciò un’occhiata al piccolo cancelletto che conduceva nel cortile dietro l’edificio. –Vieni!- prese Viviana con sé e la trascinò di corsa in un vicolo che aggirava il corso principale. Poi, mescolandosi tra la folla, giunsero di corsa nel cortiletto.
-Arianna! Siete impazzita!? Cosa avete intenzione di…- mormorò stupita la dama.
-Sssssh!- le fece Arianna avvicinandosi alla fontana collocata sulla parete esterna dello studio. Si arrampicò su di essa e arrivò a poter sbirciare all’interno dell’edificio attraverso uno spiraglio del vetro, rotto in quel punto da una palla da gioco di Francesco quand’egli era ancora bambino. Arianna ricordava bene il segreto che i due condividevano dall’infanzia e oggi che poteva ella approfittava dei guai del fratello.
Ascoltò delle voci provenire dall’interno e riuscì a coglierne il filo solo dopo qualche istante.
Viviana, nel frattempo, taceva ai piedi della ragazza girandosi i pollici nervosamente. Non immaginava nemmeno cosa avrebbero potuto farle le guardie dei Medici se avessero scoperto le loro ragazzate.
-Vi avevo chiesto di tenervi lontano da certe occasioni mondane, Giuliano- eruppe la voce di Guglielmo che Arianna riconobbe senza fatica. –Il Torneo di ieri vi ha tenuto impegnato e alla mercé dei vostri cari. Io vi dico di astenervi, con premura, vi consiglio di prestare maggior attenzione agli affari che alle donne e di non lasciare solo nelle mani di vostro fratello tutto il da farsi-.
-Mio fratello, per scelta, si è assunto le sue responsabilità, ed io le mie. Lorenzo ha preso la sua strada, la politica! Ed io sono ben lieto di assecondare il suo e il mio interesse- sottolineò l’ultimo termine. –Chi siete voi per decidere della mia autorità sulla città?!- il ventitreenne Giuliano de’ Medici, come riuscì a scorgere Arianna con un occhio che guardava nella fessura, era nervoso e camminava su e giù sul tappeto dello studio. -Ho assecondato per tempo i vostri consigli, messere, ma ciò non può impedirmi di vivere la mia vita. Quel che mi suggerite voi è forse di starmene in casa davanti al camino a sbrigare conti noiosi e sigillare lettere di cera?-
Nello stanzino c’erano solo lui e il cognato Guglielmo, che era in piedi dietro la scrivania mentre il parente acquisito lo guardava con risentimento.
Guglielmo si adombrò ancor di più e serrò i pugni lungo i fianchi. –E se ne valesse la vostra incolumità?- mormorò schietto.
-Incolumità?- Giuliano rise istericamente. -Su che propositi poi dovrei segregarmi come dite?- sbottò il Medico.
-Lasciate dunque che vi mostri i propositi di cui parlo- disse Guglielmo con tono amaro. Diede un secondo le spalle al parente e si avviò verso la libreria in fondo alla stanza. Lì, in angolo della camera, stava un mobiletto in legno in parte nascosto dagli scaffali pieni di libri. Guglielmo trasse una piccola chiave che portava legata al collo e la infilò nella serratura che sigillava il cassetto. Una volta aperto fece apparire alcune tele arrotolate e lunghe non più di un braccio. Ne afferrò una in particolare e lasciò là le altre.
Tornò dinnanzi al famiglio e gliela srotolò sotto al naso.
Giuliano guardò allungo il cognato negli occhi, come rifiutandosi di abbassare lo sguardo e assecondare il volere del parente, il quale gli stava offrendo la possibilità di sbirciare un oscuro segreto.
Alla fine Giuliano cedette e lanciò un’occhiata di sbieco al documento. Inizialmente finse disinteresse e fece per scansare la pergamena con rigetto, ma poi i suoi occhi scuri si accesero di una luce tutta nuova.
Studiò più a fondo il foglio e corse con lo sguardo da un angolo all’altro della tela che era stata sottratta delle parti in legno, ora solo come uno straccio di carta.
-Chi ha osato un tale affronto?!- eruppe indignato il Medico.
Guglielmo si prese del tempo per rispondere, forse valutando la risposta migliore. –Una conoscenza- disse poi.
-Che l’uomo di tale mano possa marcire all’inferno!- strillò Giuliano balzando indietro.
Il suo improvviso gridare aveva attirato l’attenzione delle sue guardie, ed alcune di queste erano entrate nello studio con le armi alla mano. Circondarono il loro signore, ma anche alcuni soldati di Guglielmo si affiancarono al padrone dello studio.
-Mio Signore, lasciate che vi spieghi…- sussurrò Guglielmo a fior di labbra mantenendo calma e compostezza.
Giuliano scosse la testa e si allontanò ancor più dal tavolo. –No! Vi conviene tacere prima che… prima che qualche parola di troppo mi dia l’autorità di sbattervi in cella! Non avete… non avete il diritto!- gemé spaventato come un bambino. –Bruciatelo…- mormorò. –Bruciate quella fattura del Diavolo! Voglio che i carboni siano unti nell’Acqua Santa e… e…- indietreggiò ancora sino a raggiungere i suoi soldati. Esitò allungo, si guardò attorno con gli occhi sgranati. –Lorenzo ne verrà a sapere…- disse.
L’accusa non smosse Guglielmo di un piede.
-Bianca ne verrà a sapere!- strillò angosciato Giuliano.
E allora Guglielmo scattò in avanti. –Mio signore, vi prego! Prestatemi ascolto!-.
-Sono settimane… ma che dico!- si corresse il nobile uomo. –Sono anni che presto ascolto ai vostri sospetti! Se credete che qualcuno possa attentare alla mia e alla vita di mio fratello, quell’uomo siete voi! Perciò porgetemi le vostre scuse, ora! O giuro che il vostro corpo penderà domani in Piazza della Signoria!-.
Arianna si portò una mano alla bocca sentendo gli occhi inumidirsi.
Guglielmo arrotolò il dipinto suo malgrado e chinò il capo, sconfitto. –Come desiderate, mio Signore. Sappiate che non era mia intenzione spaventarvi, ma solo…-.
Mentre due guardie si avvicinavano a Guglielmo e gli strappavano il dipinto dalle mani, Giuliano uscì di punto in bianco dallo studio senza aggiungere altro. Montò a cavallo e, seguito da alcuni dei suoi, si avviò al galoppo sulla strada scansando i civili. Poi i due soldati, con la refurtiva requisita, seguirono il loro signore con passo più lento.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Eterna ingiustizia, libertà e peccato ***



Eterna ingiustizia, libertà e peccato

Arianna smontò dal bordo della fontana e dovette appoggiarsi a Viviana pur di non crollare sulle proprie gambe inferme.
-Oh, Arianna…- gemé la serva colta di sorpresa.
Arianna si avvinghiò a lei e, senza che se ne accorgesse, cominciò a singhiozzare piano sulla spallina della sua veste.
Viviana addolcì i modi e acquietò il suo stupore cingendo a sé la ragazza in un dolce abbraccio.
-È tutta colpa mia…- pianse Arianna. –Non avrei mai dovuto cominciare quel quadro!-.
-Suvvia…- le carezzò i capelli. –Vedrete: si risolverà tutto, avanti…- esitò incerta sulle sue stesse parole. –Si risolverà tutto- ripeté più volte.
-No, invece no! Verrà il giorno in cui… in cui Bianca sarà stufa a tal punto di me…!-.
-Basta, non pensateci più- Viviana la strinse con più forza. –Adesso venite, sono certa che vostro padre attende la nostra visita- senza aggiungere altro, Viviana accompagnò la giovane Pazzi fuori dal cortile tenendola sottobraccio.
Una volta davanti l’ingresso dello studio, lasciato schiuso per via dell’ospite da poco fuggito, due guardie spianarono loro la strada e richiusero i battenti alle spalle delle due dame.
Guglielmo era voltato verso le vetrate e nella mano stringeva convulsamente la pergamena appena mostrata a Giuliano. Non fece caso alle due non prima che Arianna si fu ripresa dal pianto e asciugata le lacrime con le maniche della camicia. Dopodiché, quando le sfuggì di tirare su col naso, Guglielmo volse un’occhiata nella loro direzione.
Viviana s’inchinò umilmente tenendosi i lembi del vestito, mentre Arianna era rigida come un tronco di legno.
Guglielmo congedò la serva con un gesto del capo e si avviò a deporre la pergamena, con estrema lentezza, al suo posto assieme alle altre, senza però sigillarle con la chiave che portava al collo.
Quando anche Viviana, accompagnata dai soldati che ancora presiedevano nello studio, abbandonò la stanza, Guglielmo tornò seduto al suo scranno.
-Speravo che venissi- disse l’uomo privo di tono.
Arianna tacque ancora. –Perché non avrei dovuto?- mormorò tetra. Gli occhi arrossati e le mani che le tremavano erano segni inconfondibili che non avrebbe tenuto nascosti allungo a suo padre.
Ser de’ Pazzi si adoperò a mettere un po’ d’ordine sulla scrivania. –So che hai veduto le guardie di Giuliano- pronunciò accigliato.
Non solo quelle…
-Perciò temevo che avresti dato di tacco e te ne saresti tornata in casa- concluse l’uomo.
-Viviana mi ha accompagnata- esordì lei. –Conoscendola, non me l’avrebbe permesso- le fuggì un falso e triste sorriso.
-Sì, me ne compiaccio- arrise Guglielmo meglio di quanto avrebbe saputo fingere la figlia. La guardò un istante negli occhi, e gli bastò una frazione di secondo per estinguere anche quel poco di allegria che aveva in viso. –Che ti è accaduto?- chiese allarmato.
Arianna nascose le mani sotto le ascelle e si volse di profilo. –L’avete notato…- singhiozzò.
Guglielmo balzò in piedi. –Arianna- la chiamò con prontezza.
La ragazza si asciugò la prima lacrima. Le parole e le forze le venivano meno allo stesso modo. –Ho veduto Giuliano, padre…- gemé piano. –Qui, nel vostro studio-.
Guglielmo fece un respiro profondo senza distogliere la sua muta attenzione della figlia. –Ebbene?-.
-Ho udito quel di cui avete discusso…- aggiunse lei volgendo al padre un’occhiata eloquente.
-Come?!- si spaventò lui.
Arianna, per la prima volta dopo dieci anni, infranse la promessa a suo fratello.
Con piccoli passi misurati si avviò verso la finestra e, scostando un lembo della tenda, mostrò a Guglielmo il foro nel vetro che dava sul cortile interno dello studio.
-Vi prego- si apprestò a dire interpretando il furore sul viso di lui, –non fatela riparare, o Francesco saprà che ho venduto il mio onore infrangendo la mia fede di silenzio- pronunciò con un filo di voce.
Guglielmo annuì grave. –Mi domandavo spesso come mai gli inverni qui dentro facesse così freddo anche col camino- borbottò. –A parte ciò, non voglio che tu prenda sul serio nulla di quel che hai ascoltato-.
-Mi chiedete troppo- assentì flebile.
-No. Ti sbagli. È quanto di più essenziale che tu non discuta di questi pensieri-.
-Pensieri?!- si allungò verso di lui.
Guglielmo sostenne gli occhi di ghiaccio della figlia nei suoi e stette muto.
Arianna, profondamente offesa e scettica dinnanzi a delle ragioni che non volevano esserle spiegate, si avvicinò di un passo ancora. –Voi rubate i miei dipinti…- sibilò.
-Non li rubo- obbiettò Guglielmo. –Li apprezzo per ciò che veramente sono-.
-E cosa sono?- insisté lei, pungente.
-Non posso rivelartelo. Ne vale la tua incolumità-.
-La mia… o quella di Giuliano?-.
-Basta- Guglielmo la inchiodò con un’occhiataccia. –Non intendo approfondire l’argomento, oggi: abbiamo del lavoro più urgente di cui sei ben a conoscenza- sentenziò gelido avviandosi verso l’uscita dello studio.
Arianna si frappose sul suo percorso e, pur non superandolo di altezza, riuscì a fermarlo. –La giornata è lunga, messere, come mai tanta fretta?- domandò arrogante.
Lo schiaffò arrivo pungente e sonoro.
Arianna chinò la testa da un lato e si portò la mano alla guancia mentre una ciocca dei capelli l’era finita in bocca.
-Fuggi pure dalla tavola e insulta tua madre, ma non ti permetto di parlarmi in questo modo, scavalcando la mia autorità. Né ora né mai- pronunciò colmo di ragione. –Rammenta: sono tuo padre, l’uomo che ancora non appoggia la decisione di rinchiuderti in convento. Perciò ritieniti fortunata se non porti la cuffia da monaca invece di questo bel cerchietto- indicò con risentimento il fermaglio che la giovane portava in testa.
-Perdonatemi…- sussurrò. –Io… vi chiedo solo di darmi delle risposte- lo implorò con lo sguardo, ora sopraffatto dalla tristezza.
Guglielmo restò impassibile e piuttosto cambiò nuovamente argomento: -Ieri a pranzo, dopo che te ne sei andata, io e Bianca siamo giunti ad un compromesso. Stamani discuterò col Verrocchio perché tu lasci in definitiva la sua bottega e l’arte dei pennelli per dedicarti allo studio individuale con il precettore di tuo cugino Piero, Angelo Poliziano. In cambio, Bianca accetta le tue scuse e terrà fede all’amore che prova… per te- esitò.
-Io non le ho fatte le mie scuse a quella cagna!- strillò Arianna.
Questa volta la ragazza riuscì ad evitare lo schiaffo piegandosi da un lato ma, scostandosi malamente dal padre furioso, finì seduta e imprigionata su uno dei due seggi posti dinnanzi la scrivania del politico.
-Osa ancora, se hai il coraggio- proruppe Guglielmo. –Tu metti a dura prova la mia pazienza, Arianna. Ma tutto ha un limite-.
-Anche la mia di pazienza, padre- sibilò. –Vorrei solo aver trovato prima un modo per togliermi la vita!-.
Guglielmo sgranò gli occhi e non riuscì a credere a quelle parole.
Arianna sentì le lacrime tornare a pungerle le guance. –Credete che non ne soffra più di voi e di Bianca?- lagnò. –Io vedo quelle cose, la morte, il veleno, il dolore… ma nessuno mi porge ascolto, nessuno mi consola…- pianse.
Guglielmo le venne più vicino e le sedé accanto sull’altro seggio. –No, non nessuno, piccola mia-.
Arianna incrociò i suoi grandi occhi verdi pieni di amore e saggezza.
-Io ti comprendo. Come e prima di te, ho patito anch’io questa infamia- pronunciò soave.
-Voi?- balbettò incredula Arianna.
Guglielmo annuì grave. –Sì, mia dolce profetessa-.
-…spiegatevi-.
L’uomo scosse la testa. -Temo di non poterti accennare di più. Te lo dissi: ne vale la tua vita. Tale conoscenza potrebbe metterla a repentaglio-.
-Ma come?!- gemé lei.
Guglielmo la strinse forte a sé. –Gli altrui occhi e gli altrui orecchi non comprendono, non vedono- le mormorò a bassissima voce. –Per me ogni giorno che passa diventa sempre più difficile condividere i tuoi tormenti. Quel che sono stato si sta trasmettendo in te e abbandona me ancor più velocemente. Le nostre coscienze si dividono, le nostre anime intraprendono strade differenti. Il corso del destino, della vita, è ciò che non possiamo contrastare. L’eterno dolore, l’eterna ingiustizia che avverti crescerti in cuore è una condanna, mia piccola Arianna, e le gioie dell’esistenza umana non sapranno far nulla per allietarla. Troverai muri che non riuscirai ad abbattere, incontrerai uomini che si approfitteranno di te, e ne amerai degli altri che saranno solo un’immensa delusione. Siamo gli occhi più belli che possono guardare il sole. Ma siamo la voce più lieve che non verrà mai ascoltata-.
L’eterna ingiustizia…
-Adesso dobbiamo andare- ordinò scostando la figlia da sé. –Giunge il tempo di intraprendere una nuova battaglia, piccola mia- le carezzò il viso. –E se questa dovesse concludersi con la vittoria nemica, ben venga, perché noi abbiamo dato il massimo e fatto quel che c’è stata occasione di fare- le sorrise.
Arianna annuì docilmente e scambiò col padre un ultimo abbraccio.
-Porgete le mie scuse a Bianca…- mormorò all’orecchio di lui, mentre l’azzurro dei suoi occhi non si spuntava dall’armadietto nel quale erano tenuti tutti i suoi dipinti.
Guglielmo arrise dolcemente. –Lo farò di certo-.
Arianna si tenne stretta allungo al suo petto. C’era molto che non capiva, e molto altro che suo padre non le avrebbe mai detto.
Anche quella poteva dirsi ingiustizia?

Il tragitto sino alla bottega del Verrocchio, Arianna e Guglielmo lo percorsero soli e senza guardia alcuna, l’uno affianco all’altra e mano nella mano. Ogni tanto la gente li riconosceva e porgeva loro gli omaggi, delle altre si volgevano con antipatia guardando altrove.
Le voci corrono in fretta… pensò Arianna. La fuga di Giuliano dallo studio di mio padre deve aver fatto scalpore. D’altronde, c’era da aspettarselo. Qui la gente da retta al primo arrabbiato che passa e si lamenta.
Giunti sulla soglia della bottega, trovarono ad attenderli uno dei tanti garzoni che si aspettava della loro visita.
-Messer de’ Pazzi, madonna Arianna- s’inchinò questi levandosi il cappello per rispetto.
-Salve Lorenzo- gli sorrise la ragazza riconoscendolo per via della chioma bionda e riccia e il viso da bambola.
-È un piacere rivedervi, amica mia- ricambiò lui.
Guglielmo si schiarì la gola e allora il giovane Lorenzo balzò sull’attenti. –Ah, venite, venite! Andrea vi attende nel suo studio, vi porto da lui- spalancò loro l’ingresso della bottega e fece strada verso il piano superiore salendo con passo dignitoso un gradino alla volta, cosa che non avrebbe fatto fosse stato solo e di fretta.
Arianna si tenne legata al braccio piegato di suo padre durante tutto il percorso.
Gli sguardi curiosi degli orafi e i rumori dell’intera bottega s’interrompevano d’un tratto. L’improvviso silenzio era un segno eloquente di quanto la visita dei due avesse fatto eccezione alla quotidianità.
Superando la soglia della camera della tempera, Arianna non riuscì a non gettarvi un’occhiata: intravide ciascuno dei suoi compagni seduto dinnanzi la propria tela. Nonostante fosse stata richiesta la massima segretezza, tutti i garzoni in sala sembravano al corrente della cosa.
Alcuni proseguirono il loro lavoro incuranti dei visitatori, altri si scambiarono qualche gesto o battutina. Altri ancora si limitarono a chinare il capo o accennare un inchino al nobile Pazzi.
Soltanto uno dei giovani artisti guardò Arianna e le sorrise veramente e con garbo.
Questi era Leonardo, in piedi davanti alla sua tela incompleta. Sporco di tempera in viso e con indosso il suo solito berretto rosso in chioma color miele. L’artista la salutò con un cenno della mano, mentre lei e Guglielmo seguivano Lorenzo per la nuova rampa di scale che conduceva al terzo piano dell’edificio.
Guglielmo inarcò un sopracciglio. –Chi è il giovanotto?- chiese con un cenno del capo verso il da Vinci.
Ad Arianna si colorarono un poco le guance. –Padre!- si astenne.
-No, no!- ribatté lui. –Insisto: avanti, sono curioso davvero-.
-Leonardo da Vinci- rispose ella piena di imbarazzo. –Ma è solo un amico-.
-Certo! E magari anche l’unico “amico”- ridacchiò quando giunsero sul pianerottolo. –E comunque il nome non mi è nuovo. Lorenzo deve avermene parlato di recente- fece pensoso.
-È molto bravo- ne convenne Arianna. –Il preferito del Verrocchio-.
-Messer Guglielmo!-.
I due Pazzi si voltarono e videro Andra di Cione, seguito da Lorenzo, venir loro incontro dal fondo del corridoio, dove si apriva l’ingresso di un ampio studio luminoso.
Il giovane garzone prese congedo col sorriso sulle labbra e tornò al piano di sotto quasi correndo sui gradini, mentre il Verrocchio scambiava con il nobile fiorentino una contegnosa stretta di mano.
Arianna stessa ne rimase sorpresa: non aveva mai visto Andrea così burbero e serio, soprattutto quando suo padre veniva a fargli visita. Poi si ricordò del motivo per il quale erano entrambi lì, a guardarsi negli occhi scambiandosi silenziosi primi propositi.
Il Verrocchio volse le sue attenzioni sulla giovane donna e restò alquanto stupito di vederla accanto al genitore.
-Ho ricevuto il vostro portavoce questa mattina all’alba- disse Andrea rivolgendosi all’uomo. –Mi aspettavo che sareste venuto da solo- confessò.
-Infatti. Ho insistito personalmente perché mi accompagnasse, ma questo non implica la sua partecipazione attiva- rispose Guglielmo con serietà.
Arianna mise il broncio.
-Chiedo venia- Andrea accennò un inchino. –Ebbene, se volete seguirmi messere, svolgeremo questa conversazione nel mio studio- si avviò.
Guglielmo baciò la figlia in fronte. –Non ci vorrà molto. Prenditi tempo per salutare gli amici- pronunciò avviandosi.
Arianna cancellò ogni secondo fine nascosto dietro quell’affermazione e si allontanò di qualche passo. Vagò su e giù per il pianerottolo del corridoio che, protetto da un parapetto, affacciava proprio sulla camera della tempera.
Dall’alto Arianna riusciva a vedere in che modo si svolgeva tutta l’attività della bottega, dai quadri commissionati da finire di fretta, ai garzoni più giovani che approfittavano dell’assenza del maestro per lanciarsi mele e chicchi d’uva, parti delle nature morte.
Alla ragazza sfuggì una risatina nell’accorgersi del giovane Lorenzino capitato nel mezzo di quella battaglia. Il ragazzo era all’opera sul suo ritratto di donna ma incontrava difficoltà nel tenere il pennello dritto quando un frutto lo colpiva per “accidente”.
-Smettetela!- strillava qualcuno.
-Andate a fare casciara in strada, dove c’è chi ne fa peggio di voi!- si lamentavano gli artisti più adulti.
A dirigere le marachelle erano Gallo, Davide e il Michelone, il più grosso degli scolari, un orafo venuto dal piano di sotto a divertirsi.
C’era proprio da ridere a certe scene e Arianna riusciva a stento a trattenersi, ma le sue gioie erano più isteriche che altro. Profondamente turbata nell’animo, nella coscienza e nell’onore, la giovane Pazzi vedeva del comico negli atti più stupidi.
-Non avrebbero da comportarsi così. Quando il Verrocchio tornerà a menarli, saranno mandarini amari per tutti- sospirò una voce assai familiare.
La damigella saltò sul posto per la sorpresa. –L…Leonardo?- balbettò volgendosi alla sua destra, ove l’artista si era appoggiato al cornicione strofinandosi le mani in uno straccio. Guardava anch’egli lo spettacolo del piano inferiore, divertendosi alle ragazzate dei suoi compagni garzoni.
-Se era una domanda, madonna, permettetemi di rispondervi: sì, sono io, Leonardo- scherzò il giovane.
La Pazzi arrossì visibilmente. –Che sciocca…- mormorò inclinando lo sguardo.
-Ma è ancor più sciocco pensare che questo posto mi mancherà moltissimo- ammise allegro.
Arianna si prese del tempo, ma non appena comprese, scattò in allarme. –Voi… lasciate la bottega?- fece incredula.
Leonardo annuì appoggiandosi coi gomiti al parapetto. –Temo di sì… ma a quanto pare non sono il solo- disse lanciandole un’occhiata eloquente.
Arianna sfuggì nuovamente ai suoi azzurrissimi occhi e si strinse nelle spalle. –So cosa state pensando- borbottò ella. – Sapere che in parte è stata una mia scelta, fa di me una stupida- sottolineò.
-Oh, non ne dubito- esordì Leonardo. –O in questo momento non sareste qui, bensì lungi dal tentare di conversare con vostro padre assieme al Verrocchio, buttando giù la porta di quello studio se necessario- indicò la camera del maestro di bottega.
Arianna accennò un sorriso. –Sì, in effetti… ma, se posso, voi perché?-.
Leonardo sospirò. –Le ragioni che mi spingono a lasciare questo luogo sono tante. Per esperienza personale so che ogni esperienza qui la serberò come un tesoro nel profondo del mio cuore, e per tal proposito saprò battermi a difesa di quel che ritengo giusto. Ora che ci penso… anche la mia, come la vostra, è stata una scelta condizionata, forse…- proferì assorto in chissà quali pensieri.
-Condizionata? E da cosa?- le venne istintivo da chiedergli.
Leonardo fece un vago gesto con la mano, riordinando il filo del discorso che gli si agitava in testa. –Come esseri umani ci scopriamo capaci di grandi cose e perseguiamo le cause che più si adattano ai nostri ideali, ai nostri scopi indetti. Per alcuni può esserlo l’amore o il denaro, per altri una persona cara. Per quelli come noi v’è nascosta una tutt’altra verità più indefinibile e complessa. Non è così?-.
Arianna restò interdetta. -Sì… penso- sussurrò.
Leonardo si sistemò il berretto. –Ho finalmente scoperto e imparato il mestiere che mi darà da vivere rendendomi appagato. Inoltre penso di aver superato da tempo le nozioni di base che Andrea e la sua bottega potevano darmi. D’altronde, non si spregia quello che può dare utile conoscenza, ma sopra ogni autorità di maestro sta la personale esperienza. Questo è il tanto che basta per sentirmi… libero-.
Libertà…
Un certo senso di gelosia la invase, così da perdersi il filo del discorso che intraprese Leonardo non appena gli fu possibile. L’artista parlava di libertà, l’unica cosa che una ragazza come lei non poteva permettersi, e questi pensieri la facevano star male. Corrugò le labbra in una smorfia alla sola idea dello studio che l’aspettava accanto a suo cugino Piero e al Poliziano. Una vera tortura.
-…I vostri macabri quadri spaventano gli animi della gente, la mia passione per la scienza infastidisce i miei clienti-.
-Passione per la scienza?- Arianna sgranò gli occhi.
-Lasciatemi finire- eruppe Leonardo senza cattiveria.
La ragazza tacque.
-Dicevo… vedete come simili aspetti riposano in tutti? I vostri dipinti turbano il cuore umano, le mie affermazioni “bizzarre” inquietano il pensiero dell’essere che mi ascolta. Gli artisti son giudicati tutti in base a quel che hanno di diverso in zucca, e non di come sanno, se sanno, adattarsi al mondo-.
-Io non credo- sorrise lei.
Leonardo inarcò un sopracciglio. –Ah no?- si stupì.
Lei scosse la testa. –A me non date fastidio, anzi- ridacchiò. –Siete divertente, Leonardo- affermò allegra.
-Oh, bhé… questa sì che è una novità! Sono colpito. Fin ora in pochissimi hanno saputo apprezzare questo mio genere di… ciance. Dite poi che diverto… potrei avere un futuro come giullare a corte?-.
Arianna stette allungo in silenzio ma sorrise comunque. Mascherava il suo più profondo turbamento dietro la gioia di avere con sé la compagnia dell’artista.
Trascorsero alcuni interminabili minuti di silenzio, durante i quali Arianna fissò il panorama della Firenze cittadina che si apriva fuori dai vetri di una finestra vicina, accanto ad un busto incompleto di ceramica.
-Ve lo leggo negli occhi- pronunciò ad un tratto Leonardo, più serio che mai.
La ragazza incrociò il suo sguardo. -…Cosa?- mormorò assente.
-La tristezza- rispose lui senza distogliere la propria attenzione dal viso di lei. –Il pentimento, il dubbio, la perplessità… e anche… il peccato-.
Che acuto osservatore… Se disegnare la morte altrui non è peccato, cosa lo è?!
Arianna gli diede quasi le spalle. –Sì, Leonardo, ho peccato, e senza che nessuno se ne accorgesse-.
-Io non credo- disse lui citando le sue stesse parole.
Arianna si voltò con una virgola infastidita nel gesto.
Leonardo le sorrise con sincerità e divertimento assieme: -Siete una ragazza sveglia, Arianna; ricca, di famiglia potente, e se posso, aggiungerei anche molto bella-.
Le guance di lei cominciavano a scottare di brutto.
-Quel che avete passato in questa bottega, il dolore che ha allungo turbato il vostro cuore, gettatelo nel passato, dimenticatelo, o se proprio non riuscite di farne a meno, sappiate accettarlo e conviverci in armonia, ‘ché state facendo la cosa giusta. È un prezioso consiglio che vi do, quello di sfidare voi stessa, perché la vera battaglia, noi come uomini, la combattiamo qui dentro- Leonardo si posò un pugno chiuso sul petto, indicando con quel gesto non solo il proprio cuore, ma l’anima in generale. Parlava come un profeta. –Le porte per il Paradiso sono piccole e strette, quelle per l’Inferno grandi e grasse. Facile assecondare i nostri desideri, ma solo noi stessi possiamo essere giudici delle nostre azioni e limitare le stesse. Per averlo detto, vi prego, non consideratemi un eretico- ridacchiò.
Arianna si permise di ridere con lui, ma giusto in quell’istante le porte dello studio del Verrocchio si aprirono in sincronia all’ultima sillaba pronunciata da Leonardo, e l’intera bottega ripiombò nel suo rispettoso silenzio.
Guglielmo de’ Pazzi e Andrea di Cione si scambiarono un contegnoso saluto a mo’ di stretta di mano, dopodiché il Verrocchio fece cenno a Leonardo di raggiungerlo sull’ingresso dello studio.
Guglielmo andò incontro alla figlia e la sorprese in compagnia dell’artista.
Leonardo, prima di raggiungere il maestro di bottega, salutò con devozione il nobiluomo di Firenze. –Messere, è un onore conoscere il padre di questa stupenda creatura- disse anche.
Arianna si strinse nelle spalle non riuscendo più a contenere il rossore delle guance.
-L’onore è mio, mastro Leonardo- ricambiò Guglielmo con letizia, poi si rivolse alla figlia carezzandole la testa. –Bianca ci attende per pranzo. Vogliamo andare?-.
Arianna esitò sulla risposta, spaventata al solo nome di quella donna.
Guglielmo guardò un’ultima volta entrambi i due giovani, prima di aggiungere: -Ti aspetto di sotto-.
L’uomo si avviò giù per le scale scortato da Lorenzo di Credi, lasciando sola la figlia sul pianerottolo assieme a Leonardo. Andrea di Cione sparì nuovamente nel suo studio.
La ragazza gli sorrise di nuovo. –Sono contenta che abbiate trovato la vostra strada-.
-Ed io, madonna, vi auguro tutta la fortuna necessaria perché voi troviate la vostra- proferì un profondo inchino privandosi anche del cappello.
-A presto- mormorò lei scendendo il primo gradino.
-Senz’altro- convenne lui. L’azzurro dei suoi occhi sinceramente devoti la colmò del coraggio necessario per affrontare quelle ore che venivano.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** In casa dell'amico ***




In casa dell'amico

Il sole del mezzogiorno rischiarava il cielo facendo brillare le nuvole d’argento e luccicare le acque dell’Arno come un’unica, magnifica lastra di cristallo. La gente gironzolava a spendere per le varie botteghe e il chiacchiericcio tutt’attorno era assordante.

Lei e Guglielmo traversavano in quel momento Ponte Vecchio dirigendosi all’altra sponda. Si lasciavano alle spalle la Cattedrale della Santa Maria del Fiore e la torre del Palazzo della Signoria, insieme al gran baccano delle storiche vie più trafficate.
Arianna teneva il braccio legato a quello del padre in un tranquillo passeggio, ma mentre egli era sorridente al popolo che lo vedeva rientrare nei suoi quartieri, Arianna si teneva assorta e pensosa a capo chino.
-Se c’è qualcosa che ti turba, ti conviene parlarmene ora, figlia mia, prima di rientrare in casa- le suggerì l’uomo proseguendo sulla via a braccetto con la figlia.
Arianna attese di essere sulla strada principale che portava alla reggia de’ Pazzi prima di rispondere. Fece fermare suo padre con sé attirandolo vicino ad una fontanella che diffondeva sulla pietra il suo crosciare spumante.
-Vi chiedo del tempo per riflettere- pronunciò la fanciulla incrociando i propri occhi con quelli dell’uomo. –Da sola-.
Guglielmo parve sorpreso. –Oggi?-.
-Adesso- spiegò meglio la giovane dama.
-Non credo sia fattibile, piccola mia. Bianca…-.
-Ve ne prego- lo supplicò con lo sguardo.
Guglielmo rimase allungo irremovibile. –No, Arianna, quello che mi chiedi è troppo. Non penserai mica di vagabondare sola per Firenze?!-.
La ragazza annuì. –Invece è proprio questo. Vi prego! Siete in grado solo voi di acquietare gli animi di vostra moglie!-.
-Appunto! E cosa dovrei dirle?! “Nostra figlia va a zonzo per Firenze e non rientra per pranzo!” Vorrei ricordarti: tua madre è l’unica donna ad aver impiccato gli ospiti che non si sono presentati al banchetto del suo matrimonio!-.
Arianna sgranò gli occhi. –Allora me lo acconsentite?-.
Guglielmo gettò un sospiro di resa. –Sì. Posso concederti qualche minuto qui attorno, ma lascia almeno che ti affidi una guardia-.
-Padre!- convenne lei. –Conosco questi vicoli a memoria, e davvero mi mettereste al seguito uno dei vostri soldati?!-.
-Non fare l’offesa, Arianna. È per il tuo bene-.
La ragazza soffocò un grido esasperato. –Non riesco a pensare quando sono in compagnia!-.
-E a che cosa pensi, sentiamo!- eruppe Guglielmo, il quale cominciava a spazientirsi. –Sarei molto curioso di saperlo- fulminò la figlia con un’occhiata gelida.
-Vi prego…- lagnò lei con più garbo.
Quella volta il viso della figlia fu sufficiente ad addolcirgli il cuore. –E va bene! Ma esigo che tu rientri per cena prima che faccia buio- fece accigliato.
Arianna s’illuminò d’un tratto. –Sarà fatto! Grazie!- si gettò al collo del padre e lo abbracciò con foga. Prima che potesse sfuggirle, Guglielmo fermò la mano della figlia nella propria e prese dalla cintura un sacchetto abbondante di monete. Porse due fiorini d’oro alla ragazza e le richiuse il palmo.
-Forse, se ricordassi che tua mandre ama molto il topazio o lo zaffiro, sta sera metteresti qualcosa nello stomaco- mormorò lui con complicità.
Arianna sfoggiò un sorisetto malizioso. –E’ con topazi e zaffiri che avete rubato il suo cuore di onice, ser?- rise.
Guglielmo trattenne a stento la risata. -Va’, va’!- le diede un colpetto in testa e Arianna si avviò di corsa su Ponte Vecchio, tornando sui suoi passi fin dall’altra parte dell’Arno. Quando si voltò indietro, suo padre era già sparito inghiottito dalla folla di gente che animava il via vai del quartiere sulla sponda opposta.
Sorrise nuovamente e ringraziò Guglielmo con tutta sincerità.

In un’oretta di cammino giunse fin dall’altra parte della città, ove si ergevano le caotiche bancarelle del Mercato Vecchio. Lì cercò un pensiero a Bianca prima che le botteghe chiudessero per il pranzo. Comprò un bracciale di zaffiri e topazi per mera fortuna. Non poteva capitarle combinazione migliore, si disse, e quasi abbracciò il venditore per la gioia. Fatta anche quella commissione, giungeva il tempo di concedersi un minimo di filosofia sulla propria vita. Saltò totalmente il pranzo, svuotata della fame, e coi fiorini che le restavano comprò un libro qualsiasi, purché le tenesse la mente assorta nella lettura.
Durante le ore successive al mezzogiorno, le strade di svuotavano del solito caos cittadino perché gran parte del popolo si rifugiava in casa a banchettare o poltrire. Alle quattro e mezza precise le campane delle chiese avrebbero suonato di nuovo avvertendo la ripresa delle attività commerciali e, in conseguenza, del baccano.
Arianna decise di trascorrere il tempo che le restava nell’armonia con la natura di un piccolo spazio verde nei pressi di Santa Maria Novella.
La Pazzi sedé su una panca del giardinetto, all’ombra di un melo in fiore e aprì il suo libro alle prime pagine. In breve divorò la metà dei capitoli.
Era un testo sulla mitologia greca tradotto in latino da Andrea Poliziano, il precettore di suo cugino Piero (figlio di Lorenzo), nonché grande letterato italiano. Il libro, trecento pagine al massimo, era rilegato in una copertina color porpora senza troppi fasti. Sul dorso era impresso a caldo qualche decoro, ma nulla che avesse in particolare attirato l’attenzione della giovane Pazzi. Quando Arianna l’aveva pagato, manco aveva chiesto di cosa parlava. L’aveva preso dagli scaffali e messo sottobraccio.
Ora non poteva fare a meno di sfogliarne riga dopo riga, spolverando le sue vecchie nozioni di latino che aveva smesso giusto un anno prima. Si riscoprì piuttosto svelta e interessata.
Giunta ben oltre la metà dello scritto, nella piazza accanto già si udivano delle voci di gente e il trambusto delle guardie di ronda.
La veglia delle quattro e mezza rintoccò il suo canto.
Arianna arrivò nella lettura ad un’interessante e, se così poteva dirsi, ilare scheda di Apollo.
Il Dio greco era raffigurato in una piccola miniatura accanto alle parole, ma ciò che più colpì la ragazza fu la “sfortuna” che egli, a differenza di tutti gli altri Dèi, ebbe in amore.
Al poveretto andò male parecchio, lesse Arianna, perché se prima tentò Daphne, questa si trasformò in un albero. Poi venne la triste storia del principe Spartano Giacinto, che mentre giocava al disco con Apollo, venne colpito alla testa dallo stesso e morì trasformandosi in un bel fiore rosso. Marpessa scelse Ida invece di Apollo perché il Dio si sarebbe stancata di lei appena fosse invecchiata.
In fine Arianna lesse di Cassandra e della maledizione che Apollo le avrebbe inferto. La principessa Troiana, una dei 50 figli di Priamo, era stata di Apollo sua apprendista perché egli le promise di insegnarle la profezia. Ciò accadde e Cassandra divenne capace di prevedere il futuro della sua gente. Quando però rifiutò l’amore di Apollo, egli la maledisse sputandole in bocca. Da quel giorno, qualsivoglia diceria pronunciata da Cassandra non sarebbe mai stata creduta, e la fanciulla condannata a patire l’umiliazione e il dolore dell’ingiustizia.

-Salute, Arianna!-
-Mia piccola pittrice, spero ti ricordi di tuo zio Francesco!-.

-Arianna, Francesco e Vieri si uniranno a noi per un po’. Vengono in città per delle questioni d’affari, ma ripartiranno per San Gimignano prima dell’estate-.

-Vogliamo prendere posto per pranzo, che ne dite?-.
-I cattivi presentimenti che hai sono corretti-.
-Vieri è qui per te-.


Qualcosa le suggeriva che quella sera ben poco sarebbe andato come previsto.
Vieri e la sua famiglia abitano a San Gimignano, ma cosa ci fanno a Firenze?!
Arianna credé di essersi immaginato tutto, poiché certe immagini si erano sostituite ai concetti della lettura appena fatta. Invece di figurarsi Apollo, nella sua mente era apparso il volto di suo cugino da parte paterna.
Arianna richiuse il libro lentamente, non volendo leggere oltre. Posò entrambe le mani sulla copertina che teneva sulle ginocchia e ascoltò rintoccare il suono delle campane della Santa Maria Novella, che avvertiva del crepuscolo ormai prossimo.
Il cielo si era già scurito ad est e prospettava dell’arancio sull’ovest. Le ombre dei palazzi avevano viaggiato veloci, e così quella dell’orologio in pietra nella piazza della chiesa. La sua fantasia doveva essersi mangiata una buona fetta di tempo.
Oh Santissimo!
Arianna stava per alzarsi in piedi, ma a pochi passi da lei crollò una tegola di terracotta che andò in frantimi. La ragazza scattò per lo spavento e si strinse il libro al petto. Alzò gli occhi in cielo e scorse solo qualcuno allontanarsi dalla sporgenza per poi defilarsi tra i tetti di Firenze.
Ragazzini… pensò tra sé e sé avviandosi fuori dal cortiletto verde. Giunta in piazza la traversò tutta con passo spedito.
Dannazione! Imprecò. Non arriverò mai a casa prima che faccia buio… si disse mentre accelerava sempre più. Ad un tratto cominciò anche a correre, ma sarebbe stato del tutto inutile. Casa distava almeno un’ora di cammino, e di poche forze com’era lei non avrebbe mai retto una corsa tanto lunga.
Per cenare con quella serpe, poi, non ne vale la pena! Sentenziò acida pensando non solo a Bianca, ma soprattutto a suo cugino Vieri. Se quel che aveva visto, ovvero suo padre che le presentava Vieri e Francesco ospiti in casa loro per qualche tempo, Arianna desiderò essere tutt’altra parte quando questo sarebbe accaduto. Se sarebbe accaduto…
Si fermò in mezzo alla strada.
Le ronde delle guardie diventavano più frequenti portando con sé delle torce; le bancarelle chiudevano le imposte, il proprietario di una bottega serrava a chiave l’ingresso della propria attività.
Arianna parve illuminarsi.
Ma certo! La bottega!
Scattò di corsa per un vicolo e tagliò un tratto del viale principale. Giunta a destinazione, trovò la porta della bottega già chiuse e tutte le finestre dell’edificio sbarrate dalle imposte di legno.
No! Si lasciò prevalere dallo sconforto. Guardò di nuovo il cielo accorgendosi delle prime stelle già lucenti.
E ora che faccio!? Si domandò più volte mentre passo dopo passo accorciava inutilmente le distanze verso casa. Sperduta, stanca e spaventata non sapeva che fare e a chi chiedere.
Troppo intimorita dalle armi, scartò subito l’idea di appellarsi alle guardie. Per le vie di Firenze si facevano vivi solo qualche ladro e alcune cortigiane che la guardavano passeggiare tutta sola con il libro di Poliziano stretto al petto.
Potrei andare dagli zii! Pensò lei guardando verso la direzione che, se così avesse deciso, avrebbe intrapreso. Ma poi si ricordò che Lorenzo era nella sua villa a Careggi con tutta la famiglia. A Palazzo Medici era rimasto probabilmente solo Giuliano, ma non era il caso di domandare asilo a chi aveva quasi condannato all’impiccagione suo padre.
Punta dal freddo, Arianna si ritrovò a gironzolare nelle viuzze attorno a Palazzo della Signoria, sotto gli sguardi poco casuali delle guardie piazzate attorno alla piazza e sui bastioni dell’edificio scuro, dietro i merli. Allontanandosi dai soldati, Arianna capitò in Via de’ Gondi, una stretta stradina che gettava in Piazza San Firenze.
Lì sorgeva un palazzotto in mezzo agli altri che ospitava una finestra circolare, la più alta. Questa era aperta lasciando trasparire il chiarore di una candela che veniva dall’interno. Gettando lì l’occhio, intravide il fondo della stanza improvvisata in una soffitta. Indietreggiò un poco e riuscì a riconoscere un giovane seduto ad un piccolo scrittoio. Adoperava la piuma d’oca con la mano mancina, e il berretto rosso fu inconfondibile.
-Leonardo!- strillò pazza di gioia.
Il ragazzo sobbalzò sulla sedia e si guardò attorno sperduto nella sua stessa camera da letto.
-Leonardo! Leonardo, sono qui!- chiamò di nuovo lei, ma sta volta a voce più bassa per via delle guardie che pattugliavano l’area.
L’artista balzò in piedi e si sporse dalla finestra. Guardò giù e sgranò gli occhi nel riconoscere la ragazza. –Arianna! Per l’amor di Dio, che ci fate qui?! È notte fonda ormai!- sibilò in pena.
-Effettivamente- rabbrividì lei –fa un po’ freddino- confessò stringendosi nel vestito.
-Oh Santo… Starete congelando! Aspettate lì, vengo giù!- le disse e sparì nella stanza di gran corsa.
La ragazza attese dinnanzi l’ingresso della palazzina guardandosi intorno. Udì il sibilo degli argani della porta che veniva aperta dall’interno, poi una sezione di essa si socchiuse davanti a lei lasciando travedere un atrio avvolto dalle tenebre.
La figura di Leonardo comparve come per magia. –Vi prego, entrate, Arianna- sussurrò il giovane tenendo un tono di voce bassissimo.
Arianna varcò l’uscio e, mentre Leonardo ripiegava con accuratezza le serrature della porta, si fermò nel mezzo del tappeto. -Mi dispiace disturbarvi a quest’ora, Leonardo, ma nemmeno immaginate che fortuna sia per me…- cominciò lei, ma il ragazzo la zittì posandole una mano sulla bocca.
Arianna sgranò gli occhi con sorpresa, e Leonardo le fece cenno di tenere silenzio. –Se mio padre e i miei fratelli hanno buon orecchio quanto me, è bene che tacete, ve lo garantisco- la informò.
-Scusate- pronunciò colpevole –lo terrò a mente-.
-Venite- Leonardo le prese la mano e la guidò verso il piano di sopra. Salirono le scale in un religioso silenzio, ciascuno dei loro passi produceva un sussulto del legno e uno scricchiolio sinistro. Arianna tenne i nervi saldi e i muscoli tesi fin quando non giunsero in fondo al corridoio sul quale affacciavano le varie stanze dei famigli da Vinci. Poi Leonardo le indicò una fragile scaletta in legno che saliva sino alla soffitta avviandosi per primo.
Arianna si arrampicò sui gradini aiutandosi con le mani e, una volta di sopra, si lasciò issare da Leonardo che l’accompagnò in piedi.
Il soffitto a tetto era abbastanza alto da poter stare dritti, ma un uomo adulto come Guglielmo o poco più alto di Leonardo sarebbe stato costretto a chinare la testa.
-Perché siete finito a vivere in soffitta?- domandò la giovane guardandosi attorno.
Leonardo richiuse lentamente la botola nel pavimento che conduceva al corridoio. –I miei fratelli più piccoli hanno espresso il volere, e fu fatta la loro volontà!- citò allegro, permettendosi di alzare il tono di voce ora che erano riparati da quattro mura. Si alzò e andò verso la finestra tonda chiudendone i vetri. Lassù tirava una corrente fredda che era meglio evitare.
-Quanti fratelli avete?- chiese la ragazza.
-Troppi- rispose con una risatina isterica.
Ad Arianna sfuggì un sorriso.
-Perdonate la segretezza del nostro incontro, ma provate ad immaginare quale sarebbe stata la reazione dei miei parenti nel vedervi comparire in casa mia… nel bel mezzo… della notte- indugiò. –Anche se io…- si schiarì la gola e fulminò la giovane con un’occhiata burbera. –Arianna, perché siete qui?!- chiese poi.
La giovane restò stupita del suo improvviso cambio d’umore. –Io…- balbettò.
-Non sarete fuggita, spero!-.
-Assolutamente!- si apprestò a dire.
-Allora che accade?-.
-Ero in strada a cercare un regalo per mia madre, ma poi si è fatto tardi, è calato il sole…- ripensare alla stupidaggine che aveva fatto cominciava ad inumidirle gli occhi. Abbassò il capo nascondendosi al ragazzo che aveva di fronte. –Mi spiace, mi spiace davvero, ma non c’era altro posto in cui potessi andare-.
Leonardo la guardò con dolcezza. –Non fatene una tragedia e non disperate, aggiusteremo ogni cosa- le venne vicino. –Posso sempre riaccompagnarvi di persona, se gradite-.
Arianna scosse la testa ma non disse nulla, lasciando Leonardo scettico di quel gesto.
-Non avrete mica intenzione di restare qui tutta la notte- mormorò esangue.
La ragazza alzò gli occhi nei suoi. Quel gesto fu più chiaro di mille parole.
-Arianna, non potete fare questo a vostro padre… Provate a pensare quanto egli sia in pensiero per voi, adesso! E Bianca?! Per tutti i Santi, mi farà tagliare la testa quando lo saprà-.
-No- replicò la ragazza con fermezza. –Vi prometto che non accadrà. Me la sbrigherò io con i miei genitori, se essi vorranno sapere. Ma vi prego, è l’ultimo dei miei desideri tornare a casa ‘sta sera-.
-Perché?!-.
La giovane dama non rispose e mosse un passo indietro.
C’è mio cugino, ecco perché…
-Va bene, come volete- sospirò Leonardo. –Mettetevi pure comoda- le indicò il letto singolo sul lato della stanza e Arianna non se lo fece ripetere.
Sedé sulla brandina stirandosi le pieghe del vestito. –A cosa lavoravate prima che v’interrompessi?- chiese più serena poggiandosi il libro sulle ginocchia.
Leonardo sobbalzò. –Oh, bhé… non penso che possa interessarvi- fece un gesto con la mano e nel frattempo si adoperò a sistemare la confusione di fogli sullo scrittoio.
-Insisto- sorrise lei, poi la sua attenzione cadde su un buffo oggetto sospeso in aria attraverso delle fragili corde di spago fissate con dei chiodi alle travi del soffitto. Era molto piccolo, non più grande di un braccio, e cosa più strana pareva un uccello… di carta.
-Cos’è quello?- Arianna indicò l’oggetto.
Leonardo seguì la linea dei suoi occhi e incontrò l’arnese sulla sua strada. –Ah! Sì, quello… è solo un sogno… un’idea!- si corresse.
-Sembra…-.
-Un uccello, sì!- rise Leonardo con isterismo. –Lo dicono in molti…-.
-Ma non lo è, giusto?- sghignazzò la giovane.
L’artista scosse la testa. –Temo di no. O meglio, la radice sta proprio nella forma simile ai pennuti, ma il pensiero è… tutt’altra cosa-.
-Ovvero?-.
Leonardo prese tra le mani un blocco pieno di scritte e disegni. -Sono molto attratto da queste creature- disse. Si avvicinò alla ragazza e le sedé accanto. –Fin da bambino amavo accompagnare il mio zio Francesco nella caccia alle poiane e alle volpi. Mio padre si lamentava spesso nel vedermi tornare a casa con la cacciagione ancora viva- Arianna rise con lui e, mentre sfogliava il suo taccuino ammirando gli schizzi meravigliosi su di esso ritratti, Leonardo si alzò in piedi. Avvicinandosi ad una buffa gabbietta in legno sul davanzale della finestra, ne trasse un piccolo passerotto dal petto rosso.
-Arianna, questo è Marcus- sorrise l’artista tenendo l’uccellino sul proprio dito.
-Oh mio Dio…- mormorò affascinata la ragazza.
Leonardo le venne incontro. –Lo catturai nel giardino della bottega del Verrocchio quando avevo la tua età. Da allora divenimmo inseparabili-.
-Lo vedo!- gioì lei notando con stupore come il grazioso pennuto stava sul dito del padrone senza mostrare né timore né risentimento verso di lui. Al vedersi avvicinare Arianna, però, sfuggì dalla mano di Leonardo e andò a rintanarsi nella sua gabbietta.
-Perdonalo, fa il timidone! E’ diventato tutto rosso anche se non si vede-.
Un pettirosso che arrossisce! Arianna rise divertita.
Leonardo richiuse la gabbietta e tornò accanto alla dama sedendosi sul letto. Solo in quel momento notò il libro che la ragazza teneva poggiato sulle ginocchia.
-Posso…?- chiese cordiale indicando il volume.
-Certamente- glielo porse con garbo.
-Interessante. Devo avere una copia di questo volume da qualche parte- disse Leonardo sfogliandone le prime pagine. –Non mi sorprende che siate in possesso di questi suoi volumi, dopotutto il Poliziano è precettore di vostro cugino- sorrise restituendoglielo. –Ma mi stupisce ancor meno che abbiate intrapreso la strada della cultura greca. Vi ammiro: voler riprendere gli studi così presto dev’essere stata un’imposizione di vostra madre-.
-No- Arianna scosse la testa. –Ho comprato solo oggi questo testo, mentre cercavo il regalo per Bianca-.
-A proposito, cosa le avete…?-.
Arianna trasse il sacchettino di velluto da una taschina del corpetto. Porse il bracciale a Leonardo che se lo rigirò nelle mani con cura.
-Credete di poter comprare l’amore di vostra madre con un simile dono?- chiese accigliato.
Arianna restò interdetta da quella reazione. –Ovvio che no. Questo dono sarebbe servito ad acquietarle il cuore quando…-.
-Arianna, quella donna vi vuole più bene di quanto immaginate. Tiene più a voi di quanto ve ne voglia vostro padre-.
-Questo è pressoché impossibile- Arianna si adombrò.
-Sbagliate ad interpretare i suoi gesti nei vostri confronti come restrizioni e punizioni. Ella non fa altro che proteggervi, a suo modo, certo… ma se gliene deste la possibilità, riuscirebbe ad amarvi meglio di Guglielmo-.
-Meglio di Guglielmo?! Perché dite che uno dei miei genitori dovrebbe sapermi amare meglio dell’altro?! Mio padre non mi ha mai mandata a letto senza cena e chiusa a chiave nello stanzino! Non è una questione di qualità, Leonardo! Voi una madre che vi sgrida e vi schiaffeggia dalla mattina alla sera non l’avete mai avuta, perciò non capite…- assentì furiosa.
Leonardo guardò a terra. –Avete ragione: una madre del genere è giusto quello che mi manca- disse amaramente alzandosi dal letto e sistemandosi sul seggio davanti allo scrittoio.
Arianna alzò gli occhi sulla sua figura. –Leonardo…- mormorò ricordandosi di quante mogli aveva lasciato in cinta suo padre e di chi girava voce fosse veramente figlio l’artista. –Non avrei mai dovuto, io… sono stanca, e arrabbiata, e… perdonatemi, vi prego-.
-L’ho già fatto- pronunciò sereno il ragazzo. Impugnò la penna e riprese a scrivere da dove aveva interrotto.
Arianna si sentì infinitamente subdola e meschina. Era piombata in casa sua ed ora lo offendeva anche. Mai aveva fatto una cattiveria del genere ad un suo conoscente, tanto meno ad un amico che le aveva offerto riparo. Chinò la testa all’indietro appoggiandosi alla parete in legno della stanza. Sopraffatta dalla stanchezza finì per addormentarsi, scivolando giù lentamente. Prima con una spalla, poi con tutto il corpo concedendo alle palpebre di abbassarsi; era finita distesa sopra le coperte. La massa di boccoli neri le copriva parte del viso, una guancia premeva sul soffice cuscino.
Nel frattempo Leonardo aveva concluso l’ultima pagina del suo diario giornaliero. –Sono curioso, però, di sapere cosa racconterete ai vostri cari domani, quando…- si voltò e restò a bocca aperta. Si permise un dolce sorriso nel vedere la fanciulla distesa e profondamente dormiente. –Ah- sospirò lui. Si alzò, spense la candela con un soffio e andò a sedersi sulla poltroncina lì accanto.







.:Angolo d’Autrice:.
Ser Piero da Vinci visse in Via de’ Gondi, nella zona di Piazza San Firenze, non fino alla sua morte, ma l’edificio che una volta doveva essere stata la dimora del padre del Grande Genio di Leonardo, venne abbattuto nel ‘600 per costruirvi un palazzo pubblico. L’Onice è una pietra nera.
Ecco un’immagine del Bracciale di Bianca che Arianna “regala” alla madre.
http://i11.ebayimg.com/01/i/001/2f/08/2cc1_1_b.JPG
Mentre per quanto riguarda Marcus il pettirosso: trovate l’immagine sul mio profilo! XD
Uno special “thanks” a goku94 u.u (al quale dedico questo aggiornamento) a renault e lullacullen! (non farti scappare il capitolo precedente! ^^) A prestoooooo! *O*

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Riunione di famiglia ***


Riunione di famiglia

-Rebecca, non abbiamo tempo: Lucy sta arrivando. Levala di lì-.
-Con calma, Shaun. Non deve fare sforzi-.
Riapro gli occhi all’improvviso non appena mi sento afferrare da una presa salda sulla spalla.
-Shaun, aspetta!- erompe la ragazza. –Aspetta, dannazione!-.
Non ho nemmeno il tempo di fare un passo che, dopo essermi alzata dall’Animus, barcollo un po’ e crollo a terra non sentendomi più le gambe.
-Ecco! Bravo! Guarda cos’hai fatto!- strilla Rebecca chinandosi su di me e aiutandomi ad alzarmi.
-Cosa… cosa succede?- mormoro con un filo di voce. Sbatto le palpebre più volte ma davanti a me resta materializzata la stanza di Leonardo da Vinci che ho veduto nei ricordi della mia antenata. Posso vedere l’artista semi sdraiato sulla poltroncina accanto al letto. Vedo gli scaffali coi libri, la gabbia di Marcus, la finestra, ma tutto di colori fluorescenti e appena accennato, come scarabocchiato a matita sopra un disegno pre-esistente del laboratorio.
-Elisa riesci a muoverti?- mi domanda Rebecca.
Scuoto la testa. –Vedo… la stanza- pronuncio senza tono. La paura è talmente tanta che parlo come un fantasma, e come tale mi sento.
Rebecca e Shaun si scambiano un’occhiata allarmata.
-Possibile che?…- il ragazzo non fa in tempo a terminare che Rebecca mi solleva di peso da terra issandomi nuovamente sull’Animus.
-La coscienza è ancora legata ai ricordo! Abbiamo interrotto proprio quando non dovevamo, dannazione!- geme la ragazza tornando alla sua postazione. –Il blocco di memoria è in concluso e non possiamo lasciarlo così, o Elisa resterà “collegata” alla sua antenata fino al resto dei suoi giorni!-.
In breve Shaun riallaccia al mio braccio la sonda e riabbassa il vetrino davanti agli occhi.
-Cerca di fare una cosa veloce. Tra poco saranno qui- dice lui, leggermente in ansia.
-Chi?…- mormoro assente.
-Lucy e… un amico- risponde Rebecca.
-Prendi nota Rebecca: questo genere di cose non deve succedere col soggetto 17-.
-È stata colpa tua! Ti avevo avvertito di fare con calma!…-.
-Scusa tanto se le sorti di una Guerra Leggendaria dipendono da noi e da questo affare- indica l’Animus. – Che facciamo se arrivano e ci sorprendono così? Capisci che abbiamo i minuti contati, ragazzina? Quindi ora fa’ il tuo lavoro, e possibilmente alla svelta- il ragazza fa una breve pausa mettendosi a braccia conserte davanti gli schermi del computer, accanto a Rebecca.
-Quando sarà qui, spiegheremo a Lucy come stanno le cose- guarda verso di me per un istante. –E lei ci aiuterà a prendere una decisione- erompe Shaun.
Rebecca si adombra. –Cosa stai pensando?- chiede turbata.
-Di questo passo non concluderemo mai abbastanza blocchi di memoria perché l’Effetto Osmosi funzioni. Perciò non montarti troppo la testa: la priorità è una, e di Animus qui dentro non ce ne sono a sufficienza- brontola allontanandosi verso la sua scrivania.
-Shaun- chiama Rebecca d’un tratto. –Abbiamo un problema- dice continuando a guardare gli schermi.
-Che c’è adesso?- sbuffa lui.
-Il blocco di memoria è concluso e l’abbiamo interrotto nel punto giusto. Però i sintomi…-.
Shaun aggrotta la fronte e guarda verso di me.
-Proviamo ad andare avanti e vediamo che succede- propone Rebecca.
-Oppure ci basta interrompere- ribatte Shaun.
-Troppo tardi!-.

[Repubblica Fiorentina 1476]

Il canto di allegri uccellini si diffondeva in lontananza, ma tra tutti ce n’era uno che cinguettava più vicino e felice di tutti. Una ventata d’aria primaverile figurò nella stanza passando attraverso la finestra aperta, e con essa un raggio di sole penetrò le tende leggermente schiuse andando a posarsi sulla guancia della ragazza.
Arianna aprì gli occhi poco a poco per abituarsi alla luce.
La prima cosa che vide fu Marcus nella sua gabbietta. Zampettava da un rametto all’altro intonando la sua acuta melodia. Fuori dalla finestra dai vetri aperti si riuniva un piccolo gruppo di passeri dal colorito grigiastro, che svolazzavano tra i rampicanti verdi del davanzale. Dall’esterno venivano le voci dei passanti, il trambusto della gente in strada e lo scalpitare di cavalli. Dato il sole già alto in cielo doveva trattarsi di un’ora piuttosto tarda della mattina.
La giovane si sollevò su un gomito e, guardandosi attorno, notò di essere sola nella soffitta. Vide che la poltroncina accanto al letto mostrava ancora i dossi sul cuscino di una persona stata seduta. Leonardo doveva essersi appisolato lì mentre lei occupava il suo solito letto. Un gesto dolce e premuroso che la fece sorridere. Solo allora notò di essere scivolata tra le lenzuola e di avere le coperte ancora infagottate attorno alle gambe, quando invece ricordava benissimo di essersi addormentata senza disfare troppo il letto. Si accorse anche di non avere sul capo il suo cerchietto, che poco dopo vide poggiato sullo scrittoio ordinato, assieme al libro e al sacchetto col regalo per Bianca. Le sue scarpe, invece, erano ai piedi del letto.
Arianna si mise seduta sul materasso e cercò di aggiustarsi i capelli che non poteva immaginare quale forma avessero. Si schiaffeggiò un po’ le guance per riprendersi del tutto dal sonno e, quand’ebbe fatto tutto ciò, udì dei passi e delle voci di bambini venire dal piano inferiore.
La casa Vinci doveva essere nel pieno delle sue attività familiari, perché i bambini già giocavano per i corridoi e correvano su e giù per le scale inseguiti sicuramente da una balia.
D’un tratto la botola sul pavimento che portava al piano inferiore si aprì e mostrò il volto di un fanciullo con un piccolo naso, grandi occhi azzurri e qualche ciuffo di capelli biondi che spuntavano da sotto il berretto di lana. Quando il suo sguardo incontrò quello perplesso di Arianna, la ragazza gli sorrise, ma in tutta risposta il bimbo arrossì miseramente e fuggì giù dalle scalette lasciando aperta la botola. Arianna udì delle vocine ridacchianti e capì che il piccoletto stava già spargendo notizia ai suoi fratellini.
La ragazza fece un gran sospiro.
-Giulio, hai una faccia poco affidabile. Che hai combinato?- domandò serena una voce che Arianna riconobbe bene.
-Nulla!- risposero a coro i bambini, tra di loro v’erano quattro fanciulli e due ragazzine.
Ci fu un istante di silenzio, poi le risate chiassose dei marmocchi riempirono tutta la casa.
-Ecco, bravi, scappate- borbottò Leonardo mentre saliva le scalette.
L’artista giunse si sporse oltre la botola. –Buon giorno!- gioì comparendo del tutto sul pianerottolo. –Quale sollievo vedervi già sveglia, o quelle pesti avrebbero scarabocchiato sul vostro viso con le mie penne, come fanno di solito…- si lamentò Leonardo avvicinandosi a lei. –A proposito, hanno toccato niente?- domandò voltandosi allarmato verso lo scrittoio.
-Assolutamente- scosse la testa la ragazza. –Penso di aver fatto una buona guardia- sorrise.
-Immagino! Con quei capelli avreste spaventato anche me!- ridacchiò.
Arianna sobbalzò e arrossì visibilmente portandosi entrambe le mani tra le ciocche scompigliate.
-State serena, scherzavo- disse lui porgendole il suo cerchietto con un sorriso.
Arianna lo afferrò dalle sue mani di fretta e se lo sistemò in testa con altrettanta sveltezza.
A Leonardo sfuggì una nuova risata mentre andava a versare nella scodellina della gabbietta di Marcus dei semini di grano, dandole le spalle. –La vostra famiglia è stata informata questa mattina stessa- annunciò lui. –Siete la ben venuta se desiderate unirvi a me per la colazione, dato che ho atteso personalmente il vostro risveglio. I miei fratelli leveranno il disturbo tra breve, perciò non dovete spaventarvi- carezzò il piccolo uccellino con un dito e richiuse la gabbia.
Arianna si morse il labbro. –Come l’hanno presa i miei famigli?- domandò nervosamente.
-Non bene, ma, dopotutto, che v’aspettavate?- Leonardo la raggiunse e le porse una mano.
Arianna posò il palmo sul suo e si lasciò aiutare ad alzarsi dal letto. –In effetti…-.
-Ora non pensateci. Vi consoli il fatto che gran parte delle “silenziose” ramanzine di vostro padre le ho patite io- le strizzò un occhio.
-Voi…- fece stupita la ragazza.
-Fortunatamente- convenne lui –sono fuggito prima che la notizia arrivasse a Bianca, o sarebbe finita davvero male- ridacchiò porgendole il libro e il sacchetto col bracciale.
Arianna si permise un nuovo sorriso prendendo con sé la sua roba. –Vi ringrazio- disse infilandosi le scarpette.
-È il minimo che possa fare- pronunciò sereno. –Ora venite: non so voi, ma io sto morendo di fame!- e si avviò giù per le scale.

Ciò che restava della famiglia Vinci si riuniva per la colazione in una stretta veranda del pian terreno, accanto all’angolo cucina dal quale veniva il dolce profumo di forno. Sulla tavola imbandita timidamente c’erano scodelle con cereali, qualche trancio di focaccia e sì e no una dozzina di tazze piene di latte. Leonardo, mentre sedevano l’uno affianco all’altra, spiegò alla giovane, borbottando sotto voce, che era abitudine dei fratelli lasciare la colazione nel piatto prima di andare a scorrazzare per Firenze.
Arianna sorrise ricordandosi di quante volte lei, da bambina, aveva fatto lo stesso. Ovviamente non da sola, bensì in buona compagnia di Francesco che fino ai suoi tredici anni aveva continuato a farlo. E tutt’ora Alessandra non era da meno. Solo Cosimo si era degnato di avere un po’ di rispetto per il cibo.
-Buon giorno, Leonardo-.
Arianna si voltò e vide comparire una giovane ragazza che vestiva sobriamente. Questi si avviò di gran corsa verso il tavolo e prese con sé le tazze sporche portandole in cucina.
-Arianna, vi presento la donna che non so con quale coraggio è giunta a patti con i dodici Diavoli che abitano questa casa- proferì l’artista con ironia.
-Mi lusinghi troppo, Leonardo- giocò la dama portando in tavola del pane caldo e dell’altro latte su un vassoietto in legno. –Lieta di fare la vostra conoscenza, madonna. Leonardo mi ha parlato spesso di voi e dei vostri quadri- le sorrise affabile.
Arianna chinò il capo in segno di saluto, ma non disse nulla, più che altro lusingata. Lucilla versò del latte nelle tazze vuote di entrambi, poi sparì di gran fretta al piano superiore con chissà quanti lettini da rifare.
-Lucilla è nutrice e povera vittima dei miei fratelli- spiegò Leonardo tagliando del pane a fette. Ne porse un paio alla ragazza che ringraziò silenziosamente.
-Immaginavo- fece ella. –Ma è da sola?- si stupì inzuppando un pezzo di pane nel latte.
-Sfortunatamente per lei sì- assentì imitandola. –I miei fratellastri ne sono entusiasti, invece…-.
-E dov’è…- stava per chiedere “vostra madre” ma si corresse dicendo: -Dov’è vostro padre?-.
-Finché gli anni glielo concedono, porta avanti la famiglia col lavoro: esce presto la mattina e va in studio. Delle volte fa avanti e indietro da Vinci a Firenze per giorni. Quest’oggi sarà una giornata difficile per Lucilla, data la sua assenza- sospirò Leonardo.
Dopo un lungo istante di silenzio, Arianna s’illuminò in viso. –Per ringraziarvi della vostra cordialità, Leonardo, insisterò perché accettiate le balie della mia famiglia-.
Leonardo quasi si strozzò col boccone. –Scherzate, spero?!-.
Arianna scosse la testa. –È il minimo che possa fare, e dovrò pur sdebitarmi-.
-Se anche Guglielmo fosse d’accordo… Bianca non accetterebbe mai. Siete molto gentile davvero, ma…-.
-Tenterò l’impossibile perché Bianca ne convenga. È pur sempre una madre, no? E come tale si commuove a sentir parlare di bambini che stentano a mantenere l’educazione. Vedrete,- ridacchiò, –non sarà difficile convincerla su questi propositi-.
Leonardo tacque allungo riflettendo. –Forse, e dico forse, avete ragione. Non mi resta che ringraziarvi a mia volta, allora- le sorrise.
Arianna ricambiò di cuore.

Dopo aver salutato Lucilla, Leonardo e Arianna erano già in strada.
-Cosa ha convinto mio padre a non mandare le guardie a riprendermi?- domandò ilare la fanciulla mentre passeggiavano l’una affianco all’altro.
-Non credo ci sia stata una vera ragione- rifletté Leonardo camminando con entrambe le mani giunte dietro la schiena. –Forse temeva di allertare vostra madre, nel caso questi avesse visto un battaglione di soldati lasciare la sua dimora di gran corsa-.
-Oh Santissimo, già mi immagino la sua faccia…- sussurrò Arianna in pena, ma in realtà distratta da tutt’altri pensieri.
Traversavano in quell’istante Piazza della Signoria, e fu inevitabile per la giovane donna gettare un’occhiata allarmata verso l’impalcatura che ospitava le esecuzioni. Il legno in terra era macchiato di sangue, e sull’apice della costruzione vegliava un corvo che gracchiò quando la vide passare.
Ripensò a quanta gente aveva solcato le soglie dell’inferno passando da lì e non riuscì ad assumere un’espressione diversa dal disgusto misto alla paura.
Leonardo tacque assieme a lei, e per qualche minuto proseguirono in silenzio lasciando Piazza della Signoria e avventurandosi sulla strada affollata. La gente già trafficava alle varie bancarelle, le ronde delle guardie si fermavano a controllare qua e là. Il cielo era azzurrissimo e sgombro di nuvole. Il sole della tarda mattinata specchiava i suoi raggi nelle acque delle fontane e colorava le foglie degli alberi di un verde brillante. Era una primavera magnifica.
D’un tratto, mentre traversavano Ponte Vecchio, alla giovane pazzi venne in mente una domanda da porgere. Guardò Leonardo camminarle affianco e quasi non volle interferire col bel sorriso che egli aveva stampato in viso, pensando che una tale richiesta l’avrebbe sconfortato.
L’artista sospirò. –Nel caso ve lo steste chiedendo… No, mio padre non sa della mia decisione- parlò lui.
Arianna sgranò gli occhi.
Leonardo proseguì assorto guardando dritto davanti a sé. –Già che i fossi bravo a dipingere lo infastidiva quand’ero bambino. Se venisse a sapere che abbandono la bottega del Verrocchio, suo grande amico…- lasciò in sospeso la frase e strinse i pugni.
Arianna si rattristì. –È questo il motivo per il quale pensate che la vostra scelta sia condizionata?- chiese in un sussurro fermandosi assieme al ragazzo.
-Probabilmente è così. Ho paura di deludere i miei cari allontanandomi di casa e aprendo una mia attività. Vorrei avere la certezza che mio padre ne sarebbe risollevato, invece io… temo la sua reazione, ecco-.
Arianna non seppe cosa dire o cosa pensare, troppo in ansia per le catastrofi che costituivano la sua vita per rimediare a quelle altrui. –Quindi cosa farete?-.
Leonardo chinò il capo e appoggiò i gomiti sulla pietra. –Ormai è già tutto deciso: ho chiesto al Verrocchio di tenere la cosa segreta, ma la mia assenza di questa mattina in bottega farà presto il giro della città- mormorò affranto. –L’unica cosa che mi resta da fare è alzare la testa e proseguire fin quando le mie gambe me lo permetteranno. Ci sono tante di quelle idee…- pronunciò sognante.
Arianna gli sorrise.
Il ragazzo si riscosse d’un tratto.
-Forza, casa vostra non dista molto se ben ricordo. Siamo a metà strada- gioì lui avviandosi.
-Ricordate il giusto- disse Arianna riprendendo il cammino.

Il Palazzo Pazzi era una costruzione tipica rinascimentale dalla forma leggermente rettangolare, e sorgeva nel mezzo delle abitazioni del nobiliare quartiere di San Marco, nella cosiddetta Via del Proconsolo.
Presentava un alto e stretto cortile interno, circondato da un porticato di tre piani, e uno più piccolo e verde all’esterno, ospitante l’orto privato della famiglia ove Bianca coltivava le sue belle rose. Di grandi dimensioni e voluto dallo stesso Jacopo de’ Pazzi, era motivo di tante scaramucce e controversie tra l’una e l’altra famiglia medicea, perché si diceva per l’appunto un “esagerazione”.
La famiglia vi abitava dal ‘450 controllando con severità e rispetto il quartiere tutto attorno.
Sull’ingresso trovarono ad attenderli un battaglione di tre guardie, due delle quali avevano lunghe alabarde nel pugno.
Queste riconobbero subito la giovane donna e proferirono un ampio inchino. L’ufficiale nel mezzo venne loro incontro e salutò con altrettanto riguardo.
-Buon dì, messere. Madonna Arianna, siamo lieti di rivedervi- disse costui rivolto ad entrambi.
Arianna stava per replicare con armonia, assieme a Leonardo che le era accanto, quando udirono una squillante voce di donna venire da oltre l’ingresso del palazzo.
-Franco, risparmiate le cordialità- sbottò Bianca comparendo sulla soglia. Al suo seguito vi erano due serve, una delle quali Arianna riconobbe come Viviana.
La padrona di casa vestiva di un sobrio abito bianco ricamato, ma non troppo formale. I capelli tirati su con nastri bianchi e dorati, che le cadevano sulle spalle come fossero ciocche sue. Portava anche un bel diadema di perle. I suoi piccoli occhi azzurri come zaffiri saettavano di quella temibile collera silenziosa.
Arianna non riuscì a trattenere un sussulto quando la dama le fece cenno di seguirla dentro il palazzo.
Alle spalle della giovane artista si piazzarono gli alabardieri, e Franco fece lei strada al seguito della madonna Bianca.
Arianna si voltò e si salutarono così i due amici: Leonardo scosse la mano e mostrò un sorriso. La ragazza tentò altrettanto, ma quel che apparve sul suo volto fu più una smorfia che altro.
Bianca traversò l’intero ingresso, svoltò a sinistra e si avviò verso le porte aperte che conducevano al salone, seguita dalle due serve. Arianna e Franco imitarono il suo percorso, mentre gli alabardieri tornavano alla loro mansione di guardia accanto ai battenti del palazzo.
Giunsero in uno dei quattro saloni della reggia e trovarono ad aspettarli un folto gruppo di gente in piedi.
In primis, Arianna riconobbe Francesco e Cosimo a discutere sottovoce in un angolo vicino alla soglia. Quando la videro, s’illuminarono di stupore, ma per poco, perché sopraffatti dal clima di tensione che si viveva in quella stanza.
Poi l’occhio di Arianna cadde sulle tre figure in fondo, vicino alle luminose vetrate che davano sulla strada. Le tende erano ripiegate ai lati e i raggi del sole inondavano il salone, nascondendo il reale aspetto degli invitati.
Guglielmo si fece avanti interrompendo la conversazione che stava tenendo con gli ospiti, i quali davano le spalle ai nuovi arrivati. Il padrone di casa si unì a Bianca che, giunta nel mezzo della stanza, salutò con un inchino formale.
-Ben tornata- gli occhi verde smeraldo di Guglielmo la inchiodarono al suolo, e la ragazza divenne un tutt’uno col colore del marmo di una statua.
Dopodiché fu il silenzio e Arianna, sola nel centro del tappeto, s’irrigidì come un sasso.
-Salute, Arianna!- gioì uno dei due ospiti avvicinandosi a lei con in mano un calice di vino, dal quale prese un sorso. Si affiancò a Bianca e Guglielmo, sembrando avere con quest’ultimo un rapporto molto stretto, perché il padre della ragazza gli posò una mano sulla spalla e fece personalmente le presentazioni.
Ma Arianna aveva già da tempo capito chi fosse. Non è possibile…
-Mia piccola pittrice, spero ti ricordi di tuo zio Francesco- le sorrise Guglielmo.
Arianna fece una riverenza. –Molto lieta- mormorò esangue.
-L’ultima volta che l’ho vista aveva l’età di Alessandra! Che dire, ora è quasi più bella di sua madre!- scherzò Francesco de’ Pazzi.
Bianca cacciò un mezzo sorriso sarcastico e sembrò indispettirsi a quel commento, ma si limitò a tacere con compostezza.
Cosimo e Francesco si affiancarono alla sorella. Questi scrutavano con rabbia la terza figura maschile alle spalle di Guglielmo e di suo fratello Francesco, ancora controluce perché Arianna potesse riconoscerla.
Finalmente anche il secondo ospite si mostrò ai giunti da poco. Si tolse il berretto blu e proferì un elegante inchino verso la giovane dama.
Vieri…
-Incantato di godere ancora della vostra bellezza- disse suo cugino scoccandole un’occhiata eloquente. –Attendevamo che vi uniste a noi per il pranzo-.
Arianna sobbalzò. …Cosa?!
Guglielmo prese parola: -Arianna, Francesco e Vieri si uniranno a noi per un po’- spiegò l’uomo intuendo i suoi pensieri. –Vengono in città per delle questioni d’affari, ma ripartiranno per San Gimignano prima dell’estate-.
Oh mio Dio… la ragazza assunse un colorito freddo e pallido. Come nella mia visione…
Francesco il vecchio si schiarì la gola mentre Vieri sembrava non staccare di dosso alla cugina quei suoi maliziosi occhi scuri.
-Vogliamo prendere posto per pranzo, che ne dite?- si frappose Francesco il piccolo prima che suo zio potesse aggiungere dell’altro.
-Mi associo- Cosimo alzò una mano.
Guglielmo sorrise divertito verso i due figli maggiori e prese sottobraccio la moglie Bianca. –Forza, signori! La riunione di famiglia prosegue a tavola- e si avviò assieme alla moglie fuori dal salotto.
Al seguito dei padroni di casa andarono le due serve di Bianca, poi Francesco il vecchio assieme a suo figlio Vieri. Quest’ultimo volse ai due cugini un’occhiataccia prima di inseguire il padre.
Francesco porse il braccio alla sorella e Arianna si appoggiò certo a lui, non riuscendo quasi a stare in piedi.
-I cattivi presentimenti che hai sono corretti- pronunciò Cosimo serio mentre si avviavano fuori dal salone.
Arianna s’irrigidì muovendo passi sempre più stretti.
Non dirlo… imprecò.
-Vieri è qui per te- concluse Francesco.















Angolo d'Autrice:
Lucilla (serva e nutrice di casa Vinci) e Giulio (un fratellino di Leonardo) sono personaggi di mia invenzione, dato che non posseggo una biografia così dettagliata della vita di Leonardo. Sono giunta però alla scoperta che egli possedeva ben 12 fratelli più piccoli, di cui 2 femmine e 10 maschi.
Palazzo Pazzi è la reale reggia della famiglia retta in Via del Proconsolo e, anche se non appare nel gioco di AC II, ho voluto inserirlo nella mia storia. Ecco un’immagine dell’esterno.
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/58/Palazzo_pazzi.JPG
Questo è il cortile interno stretto e alto.
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/ff/Palazzo_pazzi%2C_cortile.JPG
In fine, un immenso ringraziamento a goku94, lullacullen e renault per i commenti al capitolo precedente. Spero che anche questo non vi abbia deluso.
Per quanto riguarda il tenero tra Leonardo e Arianna, temo di non potervi dire nulla così in anticipo, perché sarà tutto molto più complesso di quel che sembra! XD Partendo dal fatto che nei prossimi capitoli vedremo comparire molti altri nuovi personaggi, chi realmente esistiti e chi di mia invenzione, che influiranno parecchio nel corso delle vicende, e per “vicende” intendo la relazione tra Leo e Ari!
Detto ciò, lascio a voi la parola, sperando di poter continuare ad aggiornare così spesso grazie al vostro sostegno! ^^




Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** I doni della Morte ***


I doni della Morte

Prima di unirsi agli ospiti per il pranzo, Arianna salì nella propria stanza assieme a Viviana perché si desse una sistemata dopo la notte passata fuori casa. La giovane Pazzi non mostrò a nessuno né il libro e il sacchetto in dono a Bianca, e portò entrambi con sé in camera.
Non se lo merita… pensò la ragazza carezzando il velluto che conteneva il prezioso bracciale. Ed io non glielo darò.
Viviana, nel frattempo, le preparò degli abiti puliti da indossare e, in religioso silenzio, dispose ordinatamente i fermagli necessari per rimediare all’acconciatura inguardabile della fanciulla.
La serva si offrì di aiutarla a vestirsi, ma Arianna la congedò dicendo che avrebbe fatto da sola.
Quando anche Viviana se ne fu andata dalla stanza a capo chino e con la coda tra le gambe, Arianna esigeva del tempo per riordinare le idee.
Si lasciò cadere a peso morto sul letto, finendo sdraiata sul morbido piumino senza una grinza. Guardò allungo il soffitto senza dire o fare nulla, bensì provando una paura immensa per quello che Francesco le aveva appena rivelato.
Diventare “vittima” di un matrimonio combinato era sempre stato il primo dei suoi incubi, ma anche l’ultimo dei suoi pensieri. Il fatto che a quindici anni di vita non fosse ancora promessa a nessuno, l’aveva turbata nel profondo molto allungo. Si trattava pur sempre della figlia maggiore, nonostante il solo anno di differenza con Alessandra. Essendo però terza genita dopo due maschi, nessuno dei quali ancora vincolato ad una famiglia nobile dalla Santa Unione, sospettava che le attenzioni su di lei sarebbero sviate nel tempo che Bianca avrebbe impiegato nel cercare a Francesco e Cosimo una sistemazione, prima di pensare a lei.
Vieri de’ Pazzi, poi, era l’ultimo uomo col quale avrebbe accettato di unirsi, anzi! Manco fosse l’unico al mondo ancora disponibile. L’antipatia per suo cugino era nata spontaneamente in un momento casuale, successivamente ad un insieme di atteggiamenti e azioni che avevano infastidito Arianna per prima, ma anche Alessandra, Cosimo e Francesco.
Il filo dei suoi pensieri venne interrotto dal silenzioso bussare alla porta.
-Avanti- la buttò lì Arianna senza nemmeno ricomporsi. Restò sdraiata sul letto a pancia in su anche quando udì l’uscio richiudersi e dei passi venire verso di lei. Poi il viso di suo fratello maggiore Francesco comparve nel suo campo visivo, e solo allora Arianna scattò seduta sul materasso.
-Francesco!- si gettò ad abbracciarlo con improvvisa disperazione, causatagli dal rimuginare così allungo sugli ultimi avvenimenti.
Egli si accomodò sul letto di lei e strinse la sorella con altrettanto vigore. Restarono in silenzio per mezzo minuto, consci l’uno dei timori e delle tristezze dell’altra.
-Mi hanno mandato a chiamarti: stiamo aspettando te per iniziare- disse il giovane con una nota amara nella voce.
-Perché? Perché Bianca mi ha fatto questo?- lagnò l’artista nascondendo il viso nel tessuto del vestito di Francesco.
Il ragazzo le carezzò i capelli. –All’inizio sono rimasto stupito quanto te, credimi- le mormorò. –Ma poi ho riflettuto. Era solo questione di tempo, Arianna, prima che accadesse-.
-Sì, ma non ora!- pianse lei. –E non lui!- strillò.
-Sssh- Francesco le intimò di abbassare il tono. –Adesso non serve a nulla disperare, avanti, devi vestirti e farti coraggio. Ma sono sicuro che quello non ti manca- le sorrise asciugandole delicatamente una lacrima col dito.
Arianna prese la sua mano nella propria. –Non voglio… non è giusto!-.
-La vita intera nostra è fatta di ingiustizie, di voleri superiori, e noi siamo obbligati a sostarvi. E sai qual è il volere superiore che mi hanno dettato poco fa?-.
Arianna fece cenno di no con la testa. Gli occhi arrossati per il pianto che faticava a trattenere, il corpo un continuo tremore.
Francesco le sorrise ancora, ma questa volta con un certo divertimento. –Portarti giù a pranzo con la forza, se necessario- ridacchiò.
Arianna chinò il capo rassegnata, ma il fratello le sollevò il mento costringendola a guardarlo negli occhi che i due avevano così simili.
-E non sarà necessario, vero?- le chiese supino.
Arianna tirò su col naso. –No- rispose.
-Questa è la sorella che conosco- fece sereno Francesco abbracciandola di nuovo.
Ci fu un altro lungo istante di silenzio, poi Arianna, scostandosi di una spalla dal fratello, chiese col sorriso sulle labbra: -Vuoi sapere dove sono stata?-.
Francesco guardò all’insù. –Veramente lo so già- rispose con una risatina.
Arianna, interdetta, non seppe che dire.
-Forza, ti aspetto qui fuori- disse lui sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Si alzò dal letto e uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
La ragazza non se lo fece ripetere e cominciò a spogliarsi.

La tavola da pranzo era stata preparata nel cortile interno del Palazzo e imbandita di ogni ben di Dio, dal cibo caldo al vino nelle brocche. Vi erano otto posti in totale, due dei quali alle estremità della raffinata tovaglia color porpora. I raggi del sole facevano luccicare i bicchieri ancora vuoti e la varia argenteria, il canto degli uccelli e il crosciare della fontanella sotto il portico erano i suoni della natura che li accoglieva per il pasto.
Le dame vennero fatte accomodare per prime sul lato destro del tavolo. Cosimo, Vieri e Francesco “il piccolo” restarono in piedi accanto ai seggi sul lato sinistro fin quando nel cortile non comparve di gran corsa anche la piccola Alessandra de’ Pazzi.
Allora non aspettavano solo me… pensò Arianna guardando il fratello maggiore che le aveva mentito poco prima. Francesco ignorò del tutto la sua occhiata e si tenne composto e rigoroso nel suo bel completo rosso.
-Eccoti, finalmente!- eruppe Bianca indicando ad Alessandra il posto accanto a sé e di fronte al fratello maggiore. –Saluta gli ospiti e vieni subito qua!- le ordinò gelida.
Alessandra mimò un frettoloso inchino verso gli ospiti e zampettò al fianco della madre. Vestiva di un completino azzurro decorato di nastri color canarino, e i capelli castano chiaro erano tenuti indietro da un cerchietto di simili colori.
Alessandra e Arianna, ora una affianco all’altra, si scambiarono un misero sorriso come saluto. Poi, mentre anche gli uomini prendevano posto attorno al tavolo, la maggiore si sporse verso di lei.
-Spero che tu abbia uno stiletto nascosto nel vestito, adesso che serve- sibilò alla sorellina senza farsi udire dagli altri.
Alessandra stirò le labbra fine in un sorisetto malizioso.
-Certo- sussurrò scostando un lembo della gonna, e mostrò alla sorella maggiore il pugnale che aveva allacciato alla coscia.
-Mascalzona- ridacchiò Arianna.
-A che ti serve?- chiese la piccola.
Arianna puntò gli occhi chiari e pieni di rancore sul cugino che le sedeva di fronte. Il gesto fu chiaro ed eloquente.
-Capito- sghignazzò l’altra.
Francesco “il grande” e il fratello Guglielmo sedevano alle due estremità del tavolo e intrapresero una conversazione casuale che tenne impegnato tutto il vicinato. Sia Francesco “il piccolo” che Vieri partecipavano e intervenivano attivamente coi loro propositi, mentre Cosimo sembrava tenersi un poco in disparte e preferiva ascoltare, godendosi il buon cibo. In qualche rara occasione interveniva anche Bianca, servendosi delle sue conoscenze politiche legate alla famiglia di origine per dare il proprio parere. Ma quando lo faceva, Francesco il grande e il figlio Vieri assumevano un atteggiamento intimidatorio contro la donna l’uno a sostegno dell’altro. Guglielmo vi faceva poco caso perché del tutto preso dagli argomenti piuttosto che dai modi con cui essi venivano discussi.
Al termine del banchetto, dopo un lunga ora trascorsa ad ascoltare e mangiare in silenzio, Arianna vide il proprio padre alzarsi scostando il seggio e prendere il calice nella mano.
-Propongo di fare un brindisi, dunque- annunciò Guglielmo con neutralità. –Alla nostra prospera famiglia e… ai Signori di Firenze- aggiunse incerto guardando la moglie.
Bianca sorrise compiaciuta e a sua volta guardò la figlia maggiore. –Arianna mia, Vieri intende prenderti in moglie così da rafforzare le nostre famiglie e la ricchezza che la costituisce-.
Arianna alzò il naso dal piatto per volgere un’occhiata sfuggente al cugino di fronte, ma nel farlo, percepì gli ultimi spiragli della sua forza farsi nulli. Vieri, di tutta risposta, le sorrise allo stesso modo della madre.
Crepa…
Arianna tentò invano di asciugarsi il viso, ma trovava difficoltà persino nell’avvicinarsi una mano per quanto le si era appannata la vista. Tremava tutta come una foglia, a breve, salito il primo singhiozzo, sarebbe stato impossibile resistere alla tentazione di scappare. Già, ma scappare dove? La sua stanza? No, non c’era più posto per lei neppure lì, in quelle quattro mura che sapevano troppo di dolore, sofferenza, ma soprattutto, ingiustizia. La prima lacrima impiegò una frazione di secondo per scivolare sulla guancia e finire in mezzo ai resti delle verdure.
Alessandra si portò una mano alla bocca e cercò con lo sguardo il sostegno di qualcuno, come se la sorella stesse improvvisamente morendo, sotto gli occhi di tutti.
Morire e unirsi ad un uomo che si merita tutt’altro che l’amore sono due termini simili. Dio, uccidimi ora… invocò la ragazza. Prima che lo faccia Bianca quando verrà a rivendicare la figuraccia che le ho fatto fare!
Cosimo e Francesco il piccolo si scambiarono un’occhiata tristissima anche attraverso la figura di Vieri che, ridendo sotto i baffi, li separava.
Francesco il grande bevve un altro sorso di vino tenendo sott’occhio il fratello Guglielmo.
Quest’ultimo, ancora in piedi con il bicchiere a mezz’aria, aveva voltato lo sguardo lontano dalla tavola, indugiando su una pianta qualunque che decorava il giardino. Distrutto e impotente… tanto quanto la figlia.
Bianca si schiarì la gola e fece finta di nulla sistemandosi dritta sulla sedia. –Il matrimonio si festeggerà in Aprile e…-.
Arianna si alzò in piedi. Ignorando del tutto sguardi, discorsi e stupore altrui, si avviò con le mani strette in grembo verso quella che, ancora per poco, le sarebbe stato concesso chiamare la sua stanza.

Il pranzo si concluse sereno nonostante l’assenza della balda Arianna, fuggita nella camera da letto con grande sorpresa dei presenti, e non solo degli ospiti. Questi ultimi non fecero quasi caso alla reazione della fanciulla, anzi, la ignorarono come fosse scena di tutti i giorni. I più turbati dall’accaduto restavano Guglielmo e i suoi due figli maggiori. Alessandra venne licenziata dal tavolo qualche momento dopo, con la scusa di dover lasciar discutere gli adulti.
-Prego signori miei, siete invitati pure a fare conoscenza dei vostri alloggi- sorrise Bianca. –Cosimo, mostra loro le stanze- ordinò.
-Certamente madre- il ragazzo si sollevò dalla sedia e accennò un garbato inchino.
-Prendiamo congedo molto volentieri- arrise Francesco il grande alzandosi seguito da Vieri, ed entrambi lasciarono il tavolo seguendo il Pazzi più giovane via dal cortile.
Seduti a banchetto concluso restavano solo la padrona e il padrone di casa col loro figlio maggiore.
Francesco ostentava un cupo e severo silenzio, guardando la madre con un disprezzo che non riusciva a dissimulare. Faceva inoltre grandi respiri profondo ma accelerati, trattenendosi dal saltarle al collo.
Bianca se ne accorse e inarcò un sopracciglio. –Francesco, va’ controllare che Alessandra non si tagli coi suoi stiletti nascosti-.
Il ragazzo si alzò bruscamente dal tavolo battendo non a caso i pugni chiusi su di esso, e se ne andò senza dire una sola parola.
-Noi discutiamo in salotto- proferì serio Guglielmo una volta solo con la moglie. Si alzò anch’egli e uscì dal cortile con passi misurati.

-Non è la prima volta che si comporta così!- eruppe Bianca seduta sul bordo del letto a baldacchino.
-La notizia l’ha sconvolta, Bianca. Nostra figlia è molto suscettibile, lo sai bene. Devi darle tempo- fu la quieta risposta di Guglielmo che presenziava in piedi sul bel tappeto.
Erano nella stanza che condividevano da più di trent’anni, a porte chiuse e vetri sbarrati perché nessun orecchio udisse il parlato; in quanto Bianca avesse decretato di spostare la loro “discussione” in un luogo ancor più appartato del salotto.
-Fosse solo quello! Arianna è anche testarda, ingrata e viziata, amore mio, come fai a non rendertene conto?- si stupì la dama.
-Perché l’ho cresciuta io e so cos’è giusto per lei- rispose con tranquillità.
Bianca sbuffò. –E pensare che invece di essere qui a discutere con me, dovresti star intrattenendo i tuoi ospiti!- assentì sarcastica. –Vedi quanto tempo e fatica preziosa ci fa perdere quella ragazza?!-.
-Se si tratta di nostra figlia, non è mai tempo perso-.
-Ne sei così convinto! Ma io continuo a credere che tu debba un po’ più d’attenzione anche al resto della tua famiglia. Guarda Alessandra, per esempio! La figura paterna che le hai tolto è la mancanza che colma giocando con le lame della nostra armeria!- strillò.
-Rammenta che Alessandra considera la sua non solo una passione, ma una dote. Dovresti fare lo stesso- le suggerì.
Bianca scoppiò in una risata isterica. –Mai visti figli più strani dei nostri! Eppure credevo che il mio ramo della famiglia fosse dei più sani a questo mondo-.
-Adesso esageri- convenne Guglielmo accigliato.
-No, no! Non esagero affatto. Ti costa solo ammettere che ho ragione, ecco!- accavallò le gambe guardando altrove.
-Perché dovrei temere di ammettere che hai ragione se lo faccio continuamente?!- eruppe l’uomo più presente.
Bianca sobbalzò, presa alla sprovvista. –Cos…-.
-Assecondo il tuo volere più volte di quante tu ne riesca a contare! Ecco da chi ha rubato il vizio e la testardaggine Arianna, dunque- ridacchiò.
Prima che la donna potesse replicare, si udì bussare alla porta.
-Avanti- bofonchiò Guglielmo senza voltarsi.
Nella stanza fece la sua comparsa Viviava. –Signore,- si rivolse al padrone di casa, –vi ho portato…-.
-Ah, sì- Guglielmo si allungò a prendere il sacchetto di velluto che la serva gli porse. Quando Viviana ebbe lasciato la camera e richiuso la porta, Bianca aggrottò la fronte e chiese: -Cos’è?-.
Guglielmo si rigirò il sacchetto nella mano. -Non lo meriteresti per come ti sei comportata- disse con un sorriso ilare sulle labbra.
-Mostrami il contenuto di quella scarsella, Guglielmo, te lo ordino- realizzò crucciata la donna.
L’uomo si avvicinò a lei e le sedette accanto sul bordo del letto. Senza staccare gli occhi da quelli attenti della moglie, trasse dal sacchetto il suo contenuto e, prendendo delicatamente la mano della sposa, le infilò il bracciale al polso.
Bianca aprì bocca, ma Guglielmo la precedette.
-È un dono da parte di Arianna- disse solamente, e non servirono altre parole.
La donna carezzò le pietre preziose del bracciale e ne ammirò la consistenza magnifica e la rilegatura in oro che intonava con il vestito indossato, quasi a farlo apposta.
Lo stupore iniziale sfumò poco a poco in un risentimento dal colore bluastro: -Se crede di potersi comprare così le mie scuse, si sbaglia di grosso!- eruppe sbarazzandosi del bracciale e lanciandolo nel centro del letto, tra una piega e l’altra del piumino.
Guglielmo tacque allungo, poi si protese ad afferrare il gioiello e se lo rigirò nelle mani. –Ella non vuole comprare le tue scuse- pronunciò risoluto. –Bensì il tuo amore, Bianca, e la vostra comprensione-.
-Io comprendo fin troppo bene, Guglielmo- ghignò la donna. –Comprendo che nostra figlia necessita di un’istruzione rigida e regolare che le è venuta a mancare negli ultimi anni, spesi in un’unitile bottega di… pazzi con la testa tra le nuvole. Il matrimonio con Vieri le servirà da lezione. Tempo, dite? E tempo avrà: la discesa dal regno dei sogni alla realtà sarà lenta e dolorosa, ma ne varrà la pena- sibilò acida.
Guglielmo si alzò e ripose il bracciale sul comodino accanto al letto. –Se questo è il tuo volere definitivo, non interferirò- pronunciò nuovamente in resa.

Anche quella sera Arianna fu condannata a stomaco vuoto sotto le coperte.
Dopo un intero pomeriggio trascorso a piangere nella propria stanza, non si aspettava né una visita di cortesia, né tantomeno qualche atto di carità da un fratello, da una sorella, da una serva o da un padre. Anzi, se proprio c’era da dirla tutta, la fame le era proprio passata, scivolava via sulla pelle come mai venuta. Il pranzo le era rimasto in gola, poteva sentirlo graffiarle l’intestino pronto a risalire fin nella bocca, per poi essere vomitato. La sola idea, però, che poi avrebbe dovuto pulire personalmente il pavimento, aveva cancellato del tutto anche quell’ultimo stimolo.
Quando Viviana era venuta a chiedere del regalo che aveva fatto a Bianca, Arianna era rimasta sorpresa che ne fosse a conoscenza. In due parole Viviana le aveva spiegato che Guglielmo l’aveva mandata a prelevarlo, e da lì Arianna aveva compreso in che modo suo padre avrebbe tentato di acquietare l’animo della padrona di casa. Fu sollevata di sapere che Guglielmo era ancora dalla sua parte e avrebbe cercato ogni modo possibile per alleggerire la situazione, ma le scappatoie non c’erano, e se c’erano erano troppo strette e facilmente sviabili da un compromesso.
La notte era calata silenziosa su Firenze. Le strade si erano acquietate e fuori dalla finestra Arianna udiva solo il raro passaggio di qualche pattuglia.
Era da quella mattina che non riusciva a darsi una spiegazione sul perché, qualche ora prima di portare i suoi omaggi a Vieri e Francesco il grande, giunti ospiti, ella aveva “veduto” l’incontro nella sua fantasia esattamente così come si era svolto.
Le parole, i toni, i volti erano stati li stessi.
Stentava a credere che non potesse trattarsi solo di una maledetta coincidenza, si disse, e niente più!
La ragazza era seduta alla sua scrivania e fissava da minuti il libro sulla mitologia greca acquistato il pomeriggio passato.
Senza pensarci troppo lo aveva avvicinato a sé e sfogliato alcune delle pagine ritenute interessanti e di cui tener nota. Una di queste era il mito di Cassandra e la maledizione di Apollo.
Riprese a leggere quelle righe da dove aveva interrotto, scoprendo che la morte di Agamennone, ucciso dalla moglie, era stata ben prevista dalla fanciulla greca.


-Sapete cosa ci porta qui ‘sta sera?… L’onore. Vieri de’ Pazzi infanga il nome della mia famiglia. E scarica su di noi le sue disgrazie. Se noi…-.
-Piantala con i tuoi deliri, grullo!-.



-Buona sera, Vieri. Si stava giusto parlando di te! Mi stupisce vederti qui: pensavo che i Pazzi assoldassero altri per fare il lavoro sporco-.
-È la tua famiglia che chiama le guardie quando ci sono noie, codardo! Che c’è? Hai paura di trattare gli affari di persona?!-.
-La tu’ sorella sembrava contenta del trattamento che le ho riservato poco fa!-.
-Uccidetelo!-.



-Indietro! Indietro!-.
-Fermo.-
-Che c’è? Abbiamo quasi vinto!-
-Il labbro-.
-È solo un graffio-.


Arianna balzò in piedi lasciando cadere in terra il libro. Per poco anche la sedia alle sue spalle non si rovesciava sul tappeto.
Non di nuovo…
Il respiro si era fatto ansante, le mani le tremavano. Gli occhi sgranati e pieni di terrore erano fissi sulla pagina aperta del testo in terra, esattamente là, dove compariva una coloratissima raffigurazione della donna che aveva appreso da Apollo il dono della veggenza.
Qualcuno bussò alla porta ed entrò poco dopo.
-Guglielmo dice di farti riavere questo- Francesco si avvicinò a lei e le allungò un sacchetto di velluto.
Arianna si chinò a raccogliere il libro da terra, issandosi subito dopo ad afferrare l’oggetto dalle mani del fratello.
-Era per Bianca?…- domandò lui con una nota strana nella voce.
Arianna annuì, ma solo allora si accorse della borsa di ghiaccio che il ragazzo teneva premuta sull’occhio. Sulla tempia colava un rivolo di sangue.
-Che ti è successo?- chiese allarmata.
Francesco sospirò esasperato dandole le spalle, e si avviò barcollante fuori dalla stanza. –Non credo ti farebbe piacere saperlo…- disse richiudendosi la porta alle spalle.









.:Angolo d'Autrice:.

Il titolo di questo capitolo trae ispirazione dal settimo Romanzo di J.K. Rowling, Harry Potter 7 - I doni della Morte ©, non per un motivo particolare, bensì perché mi sono ricordata solo adesso della coincidenza! XD
In quest’angoletto d’autore ringrazio di cuore i costanti recensori e lettori, augurandomi di poter leggere al più presto un medesimo vostro commento.
Desideravo però chiarire la questione di Alessandra e gli stiletti. Alessandra de’ Pazzi è un personaggio storico caratterizzato secondo la mia fantasia. Fu una donna politica dell’Italia di fine ‘400 come tutte le altre, ovvero destinata a rafforzare i legami tra una famiglia nobile e l’altra. Sposò un “Buondelmonti”, un certo Bartolomeo… vabbuò! Alessandra è un’altra grande vergogna di Bianca: una donna di prestigiata famiglia che imbraccia gli stiletti era alquanto anomala quanto una dama pittrice di morte. U.U
La visione di Arianna riguarda lo scontro tra Vieri e la famiglia Auditore su Ponte Vecchio. Francesco, rientrato in serata da una nottata di "ragazzate" con una borsa sull'occhio, ha partecipato alla rissa, ma come svelerò più in là, non di sua totale iniziativa...
Un’ultima questione va a posarsi ancora una volta sulla coppia LeoxAri di questa fiction. Apro solo una piccola parentesi, accennando al fatto che Arianna nella storia ha 17 anni, anzi 16 contando che ne fa 17 a novembre del ’76 (anno in corso) mentre Leonardo ne ha 24. Tutto qua U.U

^^ Vivissimi saluti, la vostra Elik! ^-°

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Tra Sogno e Realtà ***


Tra Sogno e Realtà

La mattina giunse troppo presto.
Svegliata da uno scatto leggero simile a quello di una serratura, credé di averlo immaginato. Affondò il viso nel cuscino con un lamento e si riscaldò sotto le coperte ancora qualche minuto. La giovane Pazzi udì un secondo curioso rumore, questa volta del pavimento: uno scricchiolo sinistro delle tegole e poi di nuovo il silenzio. Se ne dimenticò in fretta e decise che era ora di svegliarsi, dopotutto.
Arianna posò i piedi in terra fuori dal letto e si alzò dal materasso con un sospiro.
La capigliatura disordinata le cadeva davanti agli occhi, mentre un passo alla volta si avvicinava barcollante alle tende, con la chiara intenzione di fare un po’ di luce in stanza. Indosso aveva la sua veste bianca semi trasparente da notte a ricami blu scuro. Stava quasi per sfiorare il tessuto delle tende quando un presentimento le saltò alla testa, immobilizzandola col braccio alzato a mezz’aria.
Si voltò lentamente alla sua destra e fece per indietreggiare, ma dall’oscurità emerse la brutta faccia di suo cugino.
-Buon dì- la salutò giocosamente Vieri col sorriso sulle labbra.
Arianna s’irrigidì. –Cosa ci fai qui?!- sibilò dissimulando il timore dietro un tono pungente.
-A pranzo sei fuggita via così, mi è sembrato piuttosto scortese-.
-Era mia intenzione essere scortese…- la ragazza serrò i pugni.
Il cugino scosse la testa. –Bianca non gradirebbe certe tue parole- la derise.
-E quando mai gradisce, quella…- borbottò Arianna facendo per aprire le tende, ma Vieri interruppe il gesto afferrandole il polso.
-Aspetta, è ancora presto- mormorò malizioso abbassandole il braccio, e nel farlo le sfiorò il fianco con le dita.
-Non toccarmi!- ringhiò la ragazza balzando indietro.
Vieri scoppiò in una fragorosa risata. –Oggi, domani, tra dieci anni…- fece una pausa. –Arianna, prima o poi riuscirò a “toccarti”- si avvicinò ancora e la ragazza non poté più indietreggiare, giunta con l’incavo delle ginocchia sul bordo del letto.
-Aspetta!- ordinò prepotente.
Vieri aggrottò la fronte. –Che c’è?- eruppe.
-Ultimamente ti è capitato di… “litigare” con qualcuno?- domandò la ragazza. Se tutto ciò che aveva immaginato si era avverato, la fantasia della sera scorsa poteva dire il vero su quell’occhio nero che aveva suo fratello.
-Che t’importa?- sbottò lui.
-No, ti prego, parlamene- insisté la giovane.
Vieri sbuffò. –Quei pezzenti se la sono solo cercata-.
-Chi?-.
-Gli Auditore, e chi sennò?! Gli abbiamo incontrati su Ponte Vecchio, e quei bastardi erano avvantaggiati di sicuro. Ci hanno ammazzati di botte… Azzardati a dirlo a qualcuno!- la minacciò.
-No, per carità- tremò lei. –Francesco era con te?-.
Vieri sembrò rifletterci alcuni istanti. –Ah, sì, e come se c’era! Ubriaco, certo, ma ha fatto la sua buona parte. Dovrò dare al tuo fratellino qualche dritta, combatte come una femminuccia!- se la rise alla grande. –Ma ora veniamo a noi…- il cugino le si avvicinò ancora.
-No, aspetta… non farlo- gemé la ragazza, terrorizzata dallo sguardo pieno di eccitazione del cugino. Ad un medesimo passo in avanti di Vieri, Arianna cercò di sguisciare via di lato, ma il ragazzo l’afferrò per i fianchi spingendola distesa sul letto sotto di sé.
-Non è usanza prima del matrimonio!- tentò lei disperatamente nell’avvertire il corpo del cugino addossarsi al suo. –Pagherai per ciò che hai osato!-.
-No se la cosa resterà un segreto di famiglia- sghignazzò Vieri sollevandole la veste dalle gambe.
Arianna tentò di divincolarsi, ma con scarso successo. Suo cugino era quasi riuscito a spogliarla del tutto quando, ad interrompere la frenesia del ragazzo, fu il suono di una lama corta che veniva estratta dal fodero.
Accanto all’orecchio di Vieri si materializzò la punta di una spada. Una voce di donna, giovane e profonda, disse: -Alzati e vattene, cane-.
Arianna scrutò l’oscurità alle spalle di Vieri, e solo allora riconobbe sua sorella Alessandra. La bambina teneva ferramente lo stiletto in mano puntandolo alla tempia del cugino, mentre addosso aveva la sua vestaglia da notte a fronzoli color cipria e i capelli lisci e biondi sciolti sulle spalle.
Vieri si sollevò poco a poco scivolando in ginocchio via dalle lenzuola. Arianna poté mettersi seduta e allontanarsi dal letto tornando coi piedi per terra sul lato opposto. Guardava la sorella minore con stupore, paura… o forse fiducia e ammirazione.
-Alessandra!- gioì Vieri nervosamente. –Piccola bastarda…- digrignò poi alzando le mani quando la giovanissima fanciulla gli puntò lo stiletto alla gola.
Negli occhi azzurri della piccola Pazzi luccicavano l’orrore, il risentimento e l’antipatia. Sentimenti comuni ad entrambe le due donne.
-Avanti, vattene, o chiamo mio padre- sibilò Alessandra.
Vieri allontanò con un dito la lama che lo minacciava. –Mai avuto paura di uno stiletto e una bambina- ridacchiò.
-Se fossi in te ne avrei…- mormorò Arianna con divertimento.
-Ti ricordi il cinghiale al compleanno di Cosimo?- domandò seria Alessandra ad entrambi gli altri presenti.
Arianna stirò le labbra in un sorriso malvagio tanto quanto quello della sorellina.
Vieri alzò il naso. –Sì, c’ero anch’io- disse.
Alessandra gli puntò nuovamente il coltello contro. –Ho fatto a pezzi io il cinghiale… da vivo- sibilò.
Vieri ingoiò il groppo in gola. –Bene- balbettò. –Ci rivediamo a… colazione- aggirò la ragazza che gli stava di fronte e fuggì a grandi passi fuori dalla stanza.
-Grazie- Arianna tirò un sospiro di sollievo. –Non mi andava proprio di perdere la verginità così presto-.
-A te non dovrebbe andare proprio di perderla con quello- Alessandra indicò con lo stiletto la direzione nella quale era fuggito Vieri.
Arianna si aggiustò i capelli. –Già, ma non posso farci nulla- mormorò affranta.
Alessandra mise a riposo la lama in un fodero che teneva nascosto sotto le vesti da notte, legato alla coscia. –Devo dirlo a papà?- chiese.
La sorella maggiore le volse un’occhiata ammirevole. –No, lascia che sia io a farlo, e nel momento che riterrò opportuno- le sorrise.
-D’accordo, quindi a fare colazione ci vieni?-.
-Mi è passata la fame…- brontolò andando ad aprire finalmente le tende.

Né Arianna né Alessandra si presentarono per colazione, con grande sorpresa dei fratelli Francesco e Guglielmo, e dei figli di quest’ultimo. Vieri fece finta di nulla, mentre Bianca chiamava serve a destra e a manca perché dessero la caccia alle due ragazze. Queste tornavano dalla padrona di casa alzando le spalle.
-Come sarebbe a dire “sono uscite dal Palazzo”?!- ruggì la padrona di casa, furibonda.
Viviana chinò il capo. –Madonna, le abbiamo vedute prendere i cavalli dalle stalle delle guardie-.
Il viso di Bianca assunse un colorito violaceo dalla rabbia. Guardò il marito seduto a capo tavola che, così come il resto della famiglia, aveva cominciato a servirsi il pasto.
-Voi ne sapete qualcosa, Guglielmo?!- ringhiò Bianca, unica alla quale desse tanto fastidio l’evenienza.
L’uomo scosse la testa. –Mi spiace deludervi, ma temo di non sapere nulla ed essere sorpreso quanto voi, mia sposa- confessò ambiguo.
-Vorrei venir presa in considerazione una volta tanto!- sbraitò Bianca sbattendo le mani sul tavolo. Si alzò in piedi. –Qui dentro sembrano far tutti di testa propria! Sono stufa della vostra strafottenza!-.
Quell’intervento attirò la cattiva attenzione sia di Vieri che di Francesco il grande. Cosimo e il fratello stettero a sentire in silenzio.
Negli occhi dello zio Francesco si leggeva l’indignazione. “Perché vi fate trattare così da una donna?” dicevano i suoi pensieri, diretti al fratello, ma questi lo ignorò.
Bianca mandò via dal cortile tutti i servi, furiosa era dir poco.
Guglielmo chiamò vicino a sé il generale delle guardie mentre vedeva andarsene le serve. All’orecchio di Franco mormorò l’ordine ben preciso di far aspettare Viviana nei pressi delle scuderie perché urgeva parlarle in privato.
Franco annuì tacitamente e si avviò fuori dal cortile, accompagnato da un fedele cadetto.

Poco più tardi, Guglielmo traversava a grandi passi il portico colonnato delle scuderie. I cavalli erano tranquilli nelle stalle e gli uccellini canticchiavano tutt’attorno alle colonne, posandosi sul pergolato del tetto o ai bordi dell’abbeveratoio.
Come richiesto trovò ad attenderlo la giovane Viviana, seduta su d’un cubo di fieno compatto.
La ragazza aspettava annoiata da quando Bianca l’aveva congedata dopo il suo intervento a colazione. Un gomito sul ginocchio e il mento poggiato sul palmo. Scattò in piedi non appena vide il signore di casa venirle incontro quasi di corsa.
Guglielmo sembrava nervoso. –Non fatene parola con Bianca, e ditemi dove sono andate esattamente. Debbo parlare ad entrambe-.
Viviana parve stupita di sentirsi chiedere una cosa simile. Si riscosse con un guizzo negli occhi e parlò a bassa voce: -Sono uscite di porta e volate via come il vento su per la collina. Non conosco la loro meta con certezza, ma potreste provare nei Giardini Vecchi-.
Guglielmo le strine la mano tra le proprie. –Grazie, e mi raccomando: acqua in bocca- mimò il gesto di cucirsi le labbra.
Viviana arrossì e annuì sorridendo.
Guglielmo sellò il suo cavallo da sé con maestria, nonostante l’abitudine di trovarlo già pronto per la caccia, unica occasione di uscita in quei tempi. Prima che potesse fare un altro movimento, Viviana lo chiamò con garbo.
Egli si volse.
-Cosa riferirò a Bianca nel caso chieda di voi?- domandò in ansia.
L’uomo montò in groppa. –Ditele che sono a studio come sempre- rispose e spronò al trotto il cavallo infilandosi per la strada come nulla fosse, proseguendo lentamente fin quando fu accerchiato dalle genti. Giunse alle porte nord della città e, una volta superata la stazione di posta, poté partire dando di speroni al suo palafreno. Sorpassò il ponticello che saltava il torrente e trottò su per la collina indicata da Viviana. La strada che saliva era trafficata da qualche passante e vecchio carro che dirigeva nel verso contrario, ma Guglielmo non badò a perder tempo e si tenne sempre sul lato destro dello sterrato.

I Giardini Vecchi distavano pochi chilometri da Firenze, a ridosso di una curva dell’Arno che serpentava per valli e colline perdendosi in fine tra le nebbie e le nevi degli Appennini.
Anni or’ sono l’antenato Andrea de’ Pazzi, nonno di Guglielmo, commissionò il progetto originario dei Giardini ad un poco noto architetto dell’epoca che fece un buon lavoro. A lavori conclusi, Andrea se ne innamorò a tal punto che volle erigervi accanto una residenza estiva. Ultimata solo nel 1422, questa piccola ma magnifica villa di piena fattura rinascimentale, in quanto la famiglia di banchieri prestasse più attenzioni ai possedimenti in città che altro, perse del tutto la sua bellezza e la sua utilità. I Giardini restarono allungo floridi e ben curati, ma fino alla morte di Antonio, primo figlio di Andrea nonché padre di Guglielmo. Dopodiché si avviarono anch’essi verso un lento processo d’invecchiamento, fino a divenire ricoperti di erbacce e rampicanti come la villa. Mentre il ramo di Francesco prendeva residenza a San Gimignano, quello di Guglielmo si trovò tra le mani un decadente e malandato possedimento ormai inutile. Attorno alla villa nacquero leggende e per spaventare i visitatori e i bambini curiosi.
L’edificio perfettamente quadrato era di due piani soli e preceduto da una facciata di colonne, alcune delle quali cadute e in frantumi coperte di rampicanti. Anche da lontano, attraverso le cime degli alberi, era possibile scorgere quanto fosse mal ridotto: pieno di spaccature sui muri e di poche tegole sul tetto, coperto di vecchi rami e foglie. Le imposte delle finestre erano mangiate dai tarli, e così le porte.
Guglielmo portò il cavallo ad un piccolo trotto e aggirò la villa col cuore in lacrime a quella vista. Si tenne sul sentiero che costeggiava il palazzo e tornò ad immergersi nel bosco di cipressi, querce e ulivi.
La stradina sterrata lo condusse ad una grinzosa gradinata di pietra, sorvegliata da due grandi calici in marmo coperti dai rampicanti e andante in pezzi. Fece salire due gradini alla volta al cavallo e proseguì oltre il cancelletto arrugginito badante di un’arcata in pietra. Poiché la vegetazione si era mangiata una buona fetta dell’arcata e pendeva verso il suolo, fu costretto a chinarsi sulla sella per passare.
Il viale che gli si aprì dinnanzi era coperto da un tetto di foglie fittissimo, a formare un corridoio stretto sufficiente alla larghezza di fianchi di un solo cavallo. Un tempo lo coloravano migliaia di rose rosse e bianche. Ora non crescevano nemmeno le piantine selvatiche.
Giunse in fine nei pressi di un rudere romano che chiudeva a semi cerchio una zona baciata dal sole. L’oscurità della foreste finiva qui, dove il rudere lasciava uno stretto ingresso e altri due gradini da salire. Oltre lo attendeva una radura magnifica, nel centro della quale vi era un laghetto artificiale su cui presiedeva una statuetta scura, forse di marmo nero, a raffigurare un uomo proteso in avanti su un solo piede.
Appena fu abbastanza vicino al confine del bosco, Guglielmo lanciò un’occhiata tra le fronde della vegetazione e riconobbe le due ragazze stese nell’erba verde vicino al bordo del lago, baciate entrambe dal sole: la minore era seduta in terra a gambe incrociate e, cogliendo qualche margherita selvatica, di tanto in tanto guardava la maggiore, completamente stesa a pancia in su, davanti a lei.
Le due sembravano discutere cupamente di argomenti che Guglielmo non poteva cogliere da quella distanza. Le loro labbra si muovevano a pronunciare parole amare, l’una a consolare l’altra, mentre i loro cavalli erano a brucare poco distante.

-Nostro zio è sempre stato un po’ strano- sorrise triste Alessandra. –Non stupirti di certi sui “atteggiamenti”-.
-Non è stupore, il mio…- sbuffò l’altra. –Comincio ad averne timore. Lorenzo e Giuliano hanno più autorità su Firenze della famiglia nostra tutta- pronunciò seria Arianna. –Quello che è ho udito… quello che ho visto fare a nostro padre dei miei dipinti… ho paura, ecco. Paura che possa inquietarli così come ha inquietato la loro sorella-.
-A Bianca non piacciono i tuoi quadri, e allora?- fece Alessandra stringendosi nelle spalle. –Non devi uccidere la tua coscienza per questo! Nostra madre non è mica una che s’intende d’arte!-.
Arianna volse il capo e le lanciò un’occhiata eloquente.
La più giovane guardò la margherita che aveva in mano. –Be’ forse un po’ se ne intende…- farfugliò.
Arianna si fece ombra sugli occhi. La sua attenzione era caduta sul limitare del bosco più in là, dove poteva dire di aver intravisto con chiarezza del movimento tra le foglie di un cespuglio.
Alessandra seguì lo sguardo della sorella ma tornò a voltarsi poco dopo. –Sarà un cervo- ipotizzò strappando un’altra margherita.
Arianna riabbassò il braccio lentamente, per nulla convinta. Nascondeva piuttosto male il timore che potesse trattarsi di suo cugino, venuto a reclamare ancora la sua verginità.
-‘Sta tranquilla, Vieri non verrà fin quassù a romperti le scatole- ridacchiò Alessandra intuendo i suoi pensieri. –Con quella pancia che si ritrova, il massimo che può fare sconfiggendo la sua pigrizia è mandare qualcun altro a cercarti-.
Arianna dissimulò l’imbarazzo al ricordo di quella mattina dietro una finta maschera di allegria.
-Che cosa si prova?- chiese a tradimento la piccola Pazzi, tenendo gli occhi bassi sul nuovo fiore appena colto.
-In che senso?- Arianna parve confusa.
Alessandra cominciò a spogliare la margherita un petalo dopo l’altro con le dita. –Cosa si prova quando ascolti qualcuno pronunciare le parole “matrimonio”, il “tuo nome” e quello di un uomo che non ami nella stessa frase?-.
-Per adesso faresti bene a non pensarci- Arianna guardò il cielo azzurro sopra di sé, carezzando il prato con una mano all’altezza del fianco. –Non ti piacerebbe saperlo-.
-Tanto… presto o tardi verrà il mio giorno- sospirò Alessandra come fosse ovvio.
Arianna non riuscì a trovare consolazione alcuna a quell’affermazione. Il pensiero di Alessandra era dei più corretti mai pronunciati da lei, perciò non provò neppure a replicare, sentendosi intrappolata in una tela di ingiustizie dalla quale nessuno, al suo posto, avrebbe potuto sottrarsi.
Alessandra finì per spogliare del tutto la sua margherita, gettandone il gambo verde nell’acqua cristallina del laghetto lì accanto. Lo guardò galleggiare per alcuni istanti, poi sollevò un lembo della gonna e sfoderò il suo stiletto, rigirandoselo con maestria tra le dita.
Arianna la ammirò assorta giusto una decina di secondi. –Posso darti un consiglio per esperienza?-.
Alessandra si voltò verso la sorella e corrugò il viso in una smorfia per via del sole che le picchiò sul volto all’improvviso. –Certo- disse.
Arianna sospirò. –Lascia stare quegli stupidi coltelli, smettila di contraddire nostra madre, e vedrai che lei ti renderà la cosa meno dolorosa di quanto abbia fatto con me- pronunciò affranta.
-Credi che se tu non avessi mai iniziato a dipingere, lei non avrebbe acconsentito il matrimonio con Vieri?- domandò scettica.
-Non dico questo…- blaterò Arianna. –Solo non avrebbe permesso che ne soffrissi così tanto come ne sto soffrendo ora, dato che mi odia-.
-Lei non ti odia- replicò Alessandra. –Non odia nessuno. È solo fatta così, ed io ho imparato ad accettarlo-.
Arianna si sollevò sui gomiti. –Ma davvero?- chiese seriamente stupita.
Alessandra carezzò la lama dello stiletto con un dito. –Non prenderla come se mi fossi arresa, perché non è così. Mi piace che Francesco mi insegni a difendermi e perciò lo faccio. Mi fa sentire una ragazza che non ha bisogno del sostegno di nessuno per vivere in questo mondo crudele, e soprattutto negli ultimi anni, è stata la mia unica consolazione. Te eri così impegnata nella Bottega, papà lavorava fino a tardi, Cosimo suonava e componeva. L’unico che è rimasto davvero al mio fianco è stato Francesco, e col tempo mi sono adattata ai suoi gusti, ai suoi passatempi. Ovviamente Bianca non sa che è lui a darmi lezioni. Se solo lo scoprisse gli farebbe tagliare la testa, perché a quanto pare è costantemente a caccia del mio mentore segreto- ridacchiò.
-A proposito di Francesco…- cominciò la maggiore.
Alessandra scoppiò dalle risate ancor prima che potesse concludere. –Sì, sì, so cosa stai pensando. Ieri sera lui e Vieri sono tornati uno peggio dell’altro! Nostro fratello, ubriaco come un cane, aveva l’occhio gonfio! Dovevi vedere la faccia di Bianca, Dio mio! Le si sono rizzati i capelli in zucca. Guglielmo non era poi così preoccupato, sai. Pensava: le solite ragazzate, ma la cosa che rodeva a nostro zio più di tutte era vedere il suo Vieri così umiliato, anche se a confronto lui era quello tutto sano e il nostro Francesco a confronto ridotto uno straccio. Solitamente, però, nostro fratello non si lascia coinvolgere così facilmente e senza un vero motivo nelle “forchettate” tra nostro cugino e gli Auditore. Vieri deve aver approfittato del fatto che fosse brillo-.
Arianna liberò un sorriso e fece per tornare stesa a pancia in su nell’erba, ma un nuovo movimento tra le fronde attirò la sua attenzione.
Questa volta la ragazza si alzò in piedi e Alessandra, sorpresa, la imitò meccanicamente.
-Ho veduto due angeli nel nostro giardino, quindi questo posto non è così abbandonato da Dio come credevo- ridacchiò una voce profonda da uomo, poi da uno spiraglio del bosco emerse la figura di Guglielmo in sella ad un cavallo bianco.
-Padre!- si stupì Alessandra.
Arianna si adombrò, cominciando a temere che l’uomo avesse sentito parte della loro conversazione.
Guglielmo fermò il cavallo e Alessandra gli andò incontro di corsa. Quando il vecchio smontò e si lasciò abbracciare dalla figlia, lanciò un’occhiata alla ragazza più grande rimasta in disparte con quell’espressione infastidita.
-Spero di non aver interrotto nessuna chiacchiera tra donne- si apprestò a dire Guglielmo avvicinandosi ad Arianna con l’altra figlia sottobraccio.
Arianna scosse la testa, ma ostentava nel suo mutismo.
Guglielmo non parve molto convinto. –Esigo delle spiegazioni per questa fuga dannata dal Palazzo. Alla poveretta di vostra madre stava venendo una sincope al cuore- le scrutò entrambe severo in volto.
Alessandra chinò il capo ma scambiò con la sorella un silenzioso discorso.
Devo dirglielo… si costrinse Arianna.
La maggiore prese un respiro profondo. –‘Sta mattina Vieri è entrato nella mia stanza e mi ha sorpresa a letto. Voleva…- lasciò sospesa ma ben intuibile la frase.
Guglielmo s’irrigidì nella sua solita fiera posa. Sollevò un po’ il mento e chiese: -Ti ha fatto del male?- domandandosi più che altro se il nipote fosse riuscito o meno nei suoi intenti.
Arianna scosse la testa. –Fortunatamente Alessandra e il suo stiletto passavano da quelle parti- sorrise grata verso la sorella.
Alessandra colorò le guance e ricevette dal padre una carezza sui capelli biondi. –Immagino come tu sia riuscita a spaventarlo- pure lui ne sembrava divertito.
-Vieri e i suoi attributi se la sono filata a gambe levate!- fece lei imitando un affondo con la sua piccola arma.
-Alessandra!- eruppe Guglielmo sbalordito di tanta sfacciataggine.
La ragazzina ridacchiò e rinfoderò lo stiletto sotto la gonna.
L’uomo sospirò e tornò a scrutare severo la figlia maggiore. Quando i loro occhi s’incrociarono, Arianna capì che suo padre doveva aver udito qualcosa sì.
La giovane dama sentì un brivido traversarle la spina dorsale e strinse convulsamente tre dita sul tessuto del vestito.
-Alessandra, potresti portarlo a bere un po’?- domandò cordiale porgendo alla figlia minore le redini del cavallo che l’aveva condotto fin lì.
Alessandra capì al volo le intenzioni del padre: accettò senza aggiungere nulla o controbattere. Prese il destriero con sé e si allontanò con lui verso il laghetto, vicino al quale trovò la compagnia degli altri due cavalli.
Guglielmo e Arianna restarono allungo l’uno di fronte all’altra in silenzio. Fu l’uomo a porgere il braccio piegato alla figlia come invito ad un passeggio assieme. Ella non poté rifiutare e si legò a lui con estrema lentezza, già assaporando l’amaro che certe parole discusse le avrebbero lasciato in bocca.
I due si avviarono per il sentiero che scendeva leggermente in pendenza. Lo sterrato serpentava per il verde prato della collina e poi proseguiva nel bosco tornando verso la Villa abbandonata. Da lì la strada si ricongiungeva al corso principale per Firenze.
Appena furono abbastanza lontani dal luogo di partenza, Guglielmo si fermò e fece voltare entrambi verso il laghetto, ora solo una macchiolina scura in mezzo al verde intenso degli alberi. Passeggiando, passeggiando erano giunti su una collina vicina, ove sorgeva una panca in pietra all’ombra di un bellissimo salice, le cui fronde danzavano nel vento leggiadre. Gli uccellini tutt’attorno si pulivano in una piccola fontana scavata nella pietra e il crosciare dell’acqua si diffondeva per tutta l’aria circostante.
Arianna e Guglielmo sedettero sulla panchina. Quest’ultimo non staccava gli occhi dalla figura indistinta di Alessandra che si prendeva cura dei cavalli attorno al lago.
Dopo un silenzio che parve infinito, l’uomo parlò con tono profetico e assorto: -Rammenti la statuetta posta nel centro del laghetto?- chiese con un filo di voce.
Arianna si ricordò dell’uomo proteso in avanti in equilibrio su un piede solo. Annuì.
-Il decadimento di questo posto gli ha rubato molti dettagli- commentò dispiaciuto.
-Sì, è vero- convenne Arianna.
-Sai chi raffigura e perché in tale posa?-.
La ragazza scosse la testa e si voltò ad ammirare il profilo di suo padre, mentre egli ancora scrutava l’orizzonte dritto davanti a sé.
-Apollo- disse. –Dio del Sole, della medicina, della musica, delle arti e della profezia-.
-…Conosco- mormorò Arianna stupendosi non poco.
L’uomo annuì grave. -Portava con sé uno strumento nella mano destra, mentre la sinistra si protendeva in avanti- continuò lui.
-Perché?- chiese Arianna.
-Un tempo i laghi erano due e gemelli. Poi, prosciugato e sopraffatto dalla vegetazione, il secondo è completamente sparito. La statuetta che vi vegliava era quella di una donna-. Guglielmo prese un gran respiro. –Si dice che Apollo abbia inseguito tanti di quegli amori mai concessi che fosse difficile interpretare il vero nome di quella donna in particolare, che l’architetto del tuo trisavolo Andrea aveva posto tra le acque del secondo laghetto. In amore, perciò Apollo, era certamente il Dio più sfortunato di tutti- rise allegramente.
Arianna si permise un sorriso.
-Quella che hai veduto sul laghetto è solo una copia dell’originale che si trova nella Villa- indicò l’edificio nascosto tra gli alberi. –È forse la sua scultura più bella. Nell’originale Apollo è assieme ad una donna altrettanto bellissima che, ahimé, non fu mai sua-.
-Cassandra- sussurrò la ragazza.
Guglielmo non si mostrò per nulla sorpreso di tale intuizione, anzi. Carezzò la mano della figlia posata delicatamente sulla propria e si voltò per guardarla negli occhi. –Quel tuo amico, Leonardo… quand’è venuto la scorsa mattina ad avvertirmi che eri stata ospite in casa sua, ho temuto che non saresti più voluta tornare-.
Alla ragazza si colorarono le guance solo immaginando la scena.
-Egli mi ha anche parlato di un libro che hai comprato, un testo del Poliziano sui miti greci. In un modo o nell’altro speravo che potesse affascinarti la sua storia-.
Arianna aggrottò la fronte. –Non è una storia, padre, ma solo un mito, una leggenda-.
-Tu credi?- chiese lui, supino.
La ragazza annuì, ma non ne era più tanto convinta.
-Arianna, la verità è che vorrei tu continuassi a dipingere- disse più serio. –A costo di tenerlo segreto a Bianca così come il nostro Francesco che insegna ad Alessandra, tu non puoi lasciare i pennelli e tutto ciò che essi hanno fatto per te. Per noi-.
-Forse intendevate dire... per voi- eruppe lei, pungente.
Guglielmo sospirò affranto. –Mi duole che tu abbia udito quella mia conversazione con Giuliano, non avresti dovuto vedere e sentire certe cose. Ma ora ti prego di comprendere che non posso darti queste spiegazioni, proprio non posso- le strinse la mano più forte.
Arianna sfuggì al suo sguardo inclinando la testa da un lato. –E se un giorno dovessi avere dei figli ai quali anch’io sarei portata a riservare tali segreti?- mormorò. –Cosa racconterei loro se voi non ci foste più e nemmeno io sapessi il vero?- aggiunse amareggiata.
Guglielmo le prese il mento con due dita e la fece voltare verso di sé con delicatezza. –Quel che stai comprendendo da te è sbagliato. Non arrivare a conclusioni che sai ti condurrebbero solo ad altre domande senza fine. Arianna, devi riporre in me la fiducia che ti sto chiedendo, nient’altro. Lascia che sia io ad occuparmi del resto- le disse semplicemente.
Gli occhi verde smeraldo del padre incatenarono i suoi senza via di fuga. Guglielmo apriva il suo cuore e le porgeva la sua bontà. Arianna non poté far altro che assecondare il suo volere e tacere annuendo.
-Ma come intendete continuare a farmi dipingere? Senza delle lezioni potrei perdere la mano, non essere più brava, dimenticare…- fece preoccupata.
-Posso farti tornare in bottega, se lo desideri. Il Verrocchio non ne farà parola con nessuno sta volta e ti terrà con sé nel suo studio. Racconteremo a Bianca, in accordo con Agnolo e Lorenzo, che segui assieme a tuo cugino la sua scuola. È la copertura che cerchiamo-.
Arianna scosse la testa. –No, in bottega no, padre. Troppi occhi curiosi, gambe veloci e bocche larghe. Rammentate l’intervento di Bianca a tavola? Ella ha i suoi “contatti” così come voi avete i vostri. Non…- s’interruppe a metà concetto fissando il vuoto dinnanzi a sé.
Guglielmo non fece nulla per riacchiappare la sua attenzione. Attese in silenzio che la ragazza riordinasse i pensieri e tornasse a guardarlo in volto.
-Ebbene?- formulò lui. –Immagino tu abbia la soluzione-.
Arianna annuì. Tacque ancora qualche istante, godendosi la gioia immensa di quell’idea che le aveva solo sfiorato la mente, ma che sarebbe potuta essere la strada da percorrere per il resto di una vita felice.
-Leonardo da Vinci ha lasciato la bottega anche lui, e si appresta ad aprire una sua attività autonoma nel distretto di San Lorenzo. È molto, ma molto bravo, e sarebbe lieto immagino di insegnarmi lui stesso. Una volta sotto la sua sola custodia sarà ancor più facile tenermi a distanza dagli sgherri di nostra madre-.
Guglielmo la guardò allungo senza parole. –E cosa aspettavi a dirmelo?! Andiamo da messer Leonardo, subito!- la prese con sé e si avviarono quasi di corsa sul sentiero che conduceva attraverso il prato.
Mentre camminava così di fretta assieme a suo padre che le teneva la mano, ad Arianna parve di avere i piedi immersi in un manto di piume, o di star passeggiando sulle nuvole. Dopotutto, si rese conto che la sua vita le mandava una colomba ogni tanto. Il poter stare accanto ad un suo grande amico e proseguire nell’arte era ciò che aveva sempre saputo di desiderare.
Da una parte tutto questo: il desiderio realizzato.
Dall’altra il dolore, la sofferenza: la certezza di un matrimonio combinato e le ingiustizie di tante domande senza risposte.
Con la felicità in cuore e la gioia pura nell’anima, varcava il confine tra il sogno e la realtà.









.:Angolo d'Autrice:.
I Giardini Vecchi sono una mia invenzione, ma ecco alcune immagini che si rifanno alle dettagliate descrizioni.

Ingresso
http://silvermixx.deviantart.com/art/Secret-garden-40309744
Viale
http://mistabobby.deviantart.com/art/The-Secret-Garden-5424419
La fontana con un piccolo “Apollo”
http://sunapeeregionblog.files.wordpress.com/2008/08/fells_stonewall-to-boy-tu.jpg
Quadro complessivo
http://www.fantaverde.com/Portals/48/paesaggi/stile/rinascimentale/fotorinascimento1dopo.jpg

Ringraziamenti speciali a goku94, renault, Elkade (oddio O_O e chi si è accorto che hai aggiornato!?! Domani pomeriggio mi fiondo, adesso scappo a nanna .__.) e lullacullen per l’amato sostegno alla causa di questa storia! Il capitolo è un po’ lunghino, lo ammetto (9 pagine) ed essendomi voluta allungare molto sulla descrizione dei Giardini Vecchi (che avranno un ruolo nella fan fiction simile a quello di Monteriggioni nel gioco) era pressoché essenziale. ^^
Ok, guys, nel prossimo capitolo entrerà in scena (per ora solo come comparsa, mi spiace!) il nostro stimatissimo assassino di turno che, a dirla tutta, ancora assassino non è…
Eccovi un piccolo spoiler, per chi fosse curioso di sapere qualcosina… ^^


“-Hanno bussato alla porta- disse la giovane con una smorfia.
Leonardo parve stupito. –Davvero?-.
La ragazza annuì e zoppicò più in là. –Sì, sono una nobile donna e suo figlio-.
[…]
-Salute Leonardo-.
-Madonna Maria!- gioì lui, e si scambiarono un bacio sulle guance come saluto.”


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** In principio... l'ordine! ***


In principio... l'ordine!

-Ok, sono riuscita ad agganciare qualche ricordo avanzato. Procediamo più spediti in quella direzione- annuncia Rebecca.
Su uno sfondo bianco galleggia l’immagine della mia antenata a cavallo assieme alla sorella e al padre. Improvvisamente il quadretto cambia e si materializzano le pareti di una grande stanza dal soffitto alto e il pavimento in legno. Montagne di scatoloni, carte, cartacce, nastri, tele, pennelli, e impalcature sparsi un po’ ovunque disordinatamente.
-Vediamo di darci una mossa. Carichiamo l’ultimo ricordo e completiamo la sincronizzazione- annuncia Shaun nervoso. Sospira e ricomincia a parlare pian piano che l’ambientazione prende forma nell’Animus. –Se siamo nel ’76…- sfoglia alcuni dati sul suo portatile. –Ah, sì, eccoci: se siamo nel ’76 questa dev’essere la bottega indipendente che Leonardo aprì nel quartiere storico di San Lorenzo. I lavori di ristrutturazione sono durati un mese preciso e l’artista entra in sala solo il 2 di Aprile, la data di oggi. Mentre ci avviamo verso la sincronizzazione, ne approfitto per dire che Arianna è sua frequentatrice abituale tutti i giorni, pur non avendo preso in mano pennelli fino ad ora. La ragazza si alza presto la mattina e, con libri e penne, lascia il palazzo assieme al padre Guglielmo. In un primo momento i due percorrono la strada verso Palazzo Medici, ma poi deviano per il centro e, superata Santa Maria del Fiore, proseguono sino alla bottega del Vinci. Ovviamente Leonardo ha accettato a buon cuore di assumersi una tale responsabilità e, anche costretto a tenere il segreto nel silenzio, la compagnia della ragazza gli fa sempre comodo. È disposto ad insegnarle e correggere la sua arte, ma ciò significa che, giunto a patti con Messer de’ Pazzi, Arianna assumerà per lui il ruolo di aiutante, nonché garzona. C’è il dato irrilevante che da quel momento in poi Leonardo smise di dare ad Arianna del “voi”. La prima apprendista donna diventa così discepola del grande genio di Leonardo a soli 15 anni. Lorenzo il Magnifico e la sua corte tutta regge bene il gioco di finzione ideato da Guglielmo. Il Poliziano stesso è complice, così come il giovanissimo Piero. Ovviamente a Lorenzo un po’ dispiace dover ingannare la sorella in questo modo, ma lui stesso conviene a Guglielmo quando si parla di un bene superiore. D’altronde, si dice che tra il Magnifico e la sorella ci fosse in quegli anni una sorta di competizione su chi avrebbe fatto i figli più belli. Ecco perché la sorella sembra lamentarsi tanto delle assurdità dei suoi cari. Ma tornando ad Arianna. Attualmente il trasloco è ancora in atto. Come ben si nota la bottega è un vero disastro. Arianna si è offerta di aiutare il maestro a sistemare la sua roba e, una volta messo un po’ d’ordine, potrà iniziare il suo apprendistato. Leonardo era diventato in quegli e gli anni precedenti un gran signore. Partecipava spesso ai più grossi convegni di artisti organizzati da Lorenzo nella villa medicea di Careggi, e tutto grazie alla parola buona messa per lui, non solo dal Verrocchio, ma dai Pazzi tutti. Nell’arco di questo mese, poi, si è dato parecchio da fare. Lui e un certo Tommaso Masini si conoscono per caso ad uno dei “ritiri intellettuali” di Lorenzo. Del Masini parleremo un’altra volta. La sua è una storia ben più interessante. Il 3 Aprile è l’esatta mattina in cui Leonardo e Arianna si mettono all’opera sul primo quadro di lei, ma l’Animus blocca quel ricordo concedendoci di ripercorrerlo solamente partendo dalle ventiquattrore precedenti. Perciò aspettiamoci una lunga giornata noiosa a sistemare scatole e cartacce, perché c’è parecchio lavoro da fare- annuncia il ragazzo. –Ah, tanto per fare chiarezza, alcuni ricordi di Elisa coincidono con quelli di Desmond. Pare che i loro rispettivi antenati si conoscessero…-.
-Shaun, la sincronizzazione è completa-.
-E che mi guardi a fare, Rebecca?! Cosa aspetti!? Avvia lo status!- erompe.
-Va bene, va bene, scusa!- borbotta lei.

[Repubblica Fiorentina 1476]

Il sole troneggiava nel centro esatto di un cielo lindo e azzurro. La gente trafficava per le strade di bottega in bottega o si fermava in qualche cortiletto a discutere di politica e quant’altro. Era l’inizio di una primavera meravigliosa, ricca di uccellini a canticchiare per i tetti e colombi a trafficare sulle strade a caccia di qualche briciola. Gli alberi in fiore piantati qua e là nelle piazzette rotonde espandevano il loro profumo dolce per l’aria della città raggiungendo, sospinti dal vento, i vicoli più bui. Assieme al sapore della natura si confondeva quello della cucina italiana, data l’ora del pranzo vicina.
Arianna si sistemò meglio la gabbietta di Marcus in grembo e cercò di tenerla con una sola mano quando giunse in prossimità della bottega. Questa emergeva in una piazzetta con al centro un bell’albero di limoni che avrebbe fruttato solo in estate. Subito di fronte sorgeva la stazione di posta, e a pochi passi il medico fidato pronto a salvare un’altra povera anima capitata tra i piedi dello scienziato.
Avvicinandosi all’ingresso, sollevò il braccio libero e aprì la porta.
L’uccellino spaventato zampettava da una parte all’altra della gabbietta, sbatteva le ali forsennato e cinguettava nervoso.
-Leonardo, siamo qui!- annunciò la ragazza richiudendosi la porta alle spalle. Scese due gradini in legno e si ritrovò in una grande sala sommersa da scatole e scatoloni, pergamene, vasi, tavoli, sedie, tele, bacheche, impalcature e quant’altro. Insomma, di tutto e di più, ed entro la fine della giornata aveva promesso a Leonardo di aiutarlo a sistemare quel casino. Ma chi me l’ha fatto fare? imprecò.
-Arianna, grazie! Posalo pure da qualche parte, che ci pensiamo dopo- disse la voce di Leonardo, ma egli ancora non si era mostrato.
La ragazza si guardò attorno e individuò la superficie di un tavolo nascosto da centinaia di disegni e schizzi su carta. Fece un po’ di spazio e posò lì la gabbietta. –Ora calmati e fa’ il bravo- sorrise lei infilando una mano tra le sbarre e carezzando il piccolo pennuto sulla testa.
Marcus parve acquietarsi all’istante. Chiuse gli occhi e si appallottolò in perfetto equilibrio su un rametto. Il petto gonfio e la testa incassata tra le piume.
Arianna trasse la mano e richiuse la gabbia. Aggirò il muro di scatole che si era creato e trovò Leonardo nascosto dietro di esso. Stava seduto al suolo con le gambe incrociate e armeggiava con un piccolo arnese, lavorando sull’ingranaggio di una sorta di meccano in legno.
-Ah, eccovi- cantilenò Arianna.
Leonardo alzò gli occhi dal suo lavoro. –Sì, perdonami, ma questo dannato affare mi da il tormento!- eruppe alludendo all’oggetto che aveva nelle mani.
-Che cos’è?- chiese lei chinandosi sulle ginocchia. Sembrava un cubo di legno i cui sei lati mostravano un complesso ingranaggio al suo interno.
-Nulla che non sia trascurabile in questo momento, ovvio, ma sono giorni che provo a stringere quella benedetta molla…- sbuffò. –Basta, lasciamo stare- blaterò lanciando l’oggetto alle sue spalle. Questo andò a sbattere da qualche parte e le conseguenze furono istantanee: una cassa posta sull’apice di una colonna di altri scatoloni crollò sul pavimento riversandovi tutto il suo contenuto in un gran frastuono. Alcuni dei pennelli finirono in testa all’artista, al quale sfuggì un gemito.
-State bene?- domandò la ragazza preoccupata. Si protese verso di lui e lo aiutò ad alzarsi.
Una volta in piedi Leonardo si levò il berretto rosso e si massaggiò la testa là dove era stato colpito. –Mi verrà un bernoccolo di quelli!- digrignò. –Aaaah!- imprecò. –Comincio ad odiare questo posto-.
-Forse se iniziassimo a mettere a posto, potrebbe anche piacervi, che ne dite?- ridacchiò lei.
Leonardo scambiò con la ragazza un divertito sorriso. –Hai ragione. Avanti, dunque: rimboccati le maniche, mia discepola, e va’ a mettere Marcus al sicuro prima che gli crolli addosso il soffitto!- Leonardo indicò il piano di sopra. –Sperando che gli operai abbiano fatto un buon lavoro almeno con quello…- continuò a borbottare mentre raccoglievada terra quel che era caduto.
Arianna ubbidì e tornò indietro a prendere la gabbietta. Non appena la mosse Marcus ricominciò ad agitarsi come un pazzo. La ragazza si diresse sulle scale di legno che portavano ad un secondo piano della bottega, il quale ospitava gli alloggi del suo maestro, compreso un piccolo salotto e un angolo riservato alla domestica che si occupava delle pulizie… o forse avrebbe dovuto dire “domestico”? Perché il garzone che spazzava casa, gli rifaceva il letto e preparava da mangiare era un ragazzo sì e no sulla ventina d’anni di padre ortolano, anche se sosteneva di essere figlio illegittimo di un nobile. Di nome faceva Tommaso, e di cognome Masini. Leonardo preferiva chiamarlo con l’appellativo che si era portato dietro dall’oriente: Zoroastro, l’incantatore delle sabbie dal quale aveva appreso la passione per le scienze occulte durante uno dei suoi viaggi.
-Buon dì, Tommaso!- salutò Arianna giunta sul pianerottolo quando lo vide traversare il corridoio con una scopa in mano.
-Madonna- s’inchinò lui.
-Tutte le volte la stessa storia- sbottò lei con allegria. –Smettila di chiamarmi così, siamo amici, no?- rise avvicinandosi a lui.
-Avete ragione, perdonatemi- pronunciò cordiale nel vederla così serena.
-Tenete- gli porse la gabbietta. –Ecco la vostra nuova responsabilità. Leonardo vi ha parlato di lui?-.
Tommaso adocchiò l’uccellino tra le sbarre e aggrottò la fronte. –Temo di no-.
-Si chiama Marcus, e il maestro vuole che sia messo al sicuro, dato che di sotto continua a cadere roba dal cielo-.
L’uomo restò serio. –Stavo cominciando a preoccuparmi, ho sentito quel tonfo e poi il grido di Leonardo. Conoscendolo, poi, posso ben immaginare cosa gli sia caduto sulla testa-.
-Nulla di grave, non temere. Leonardo è ancora pazzo quanto prima- scherzò lei tornando sulle scale.
Tommaso portò la gabbietta con sé e la posò sul davanzale della cucina, esposta all’aria di quella soleggiata mattina. Marcus gli avrebbe fatto compagnia mentre preparava il pranzo per il suo signore.
Arianna riapparve al pian terreno e sorprese Leonardo su una scala appoggiata alla parete. Si stava occupando di montare alcune mensole che gli avrebbero fatto comodo, sparse un po’ qua e un po’ là per la bottega.
-Vi serve aiuto?- domandò guardandolo dal basso.
Leonardo declinò l’offerta con un mugolio simile a “no, grazie” poiché la bocca era stretta attorno al manico del martello che teneva con sé per l’evenienza. Quando se lo tolse dalle labbra, dovendolo usare per piazzare il chiodo, disse: -Disfa le scatole e raggruppa le tele bianche in quell’angolo. Quelle iniziate in quell’altro e quelle concluse dove capita-.
Arianna annuì e si mise subito all’opera.
Trascorsero delle ore serene, e man a mano che Arianna smistava gli scatoloni e il loro contenuto, nella bottega sembrava farsi largo sempre più luce. Il sole riusciva finalmente a filtrare dalle ampie finestre in alto e illuminava l’interno della sala mostrando quanta polvere ci fosse nell’aria. Il pulviscolo atmosferico soffiava qua e là a seconda di dove si spostava Arianna, il cui passaggio ne scombussolava la materia. Quando nella bottega cominciò a mancare il respiro, Leonardo diede l’ordine alla sua discepola di aprire le finestre.
Così, mentre lui si occupava dello smistamento, Arianna utilizzò la scala e arrivò sino in cima. Spalancò tutte e otto le finestre e la corrente che entrò improvvisamente nella stanza fece volare via qualche foglio, e danzare le pergamene.
Leonardo si vide sguisciare dalle mani gli appunti che stava rileggendo e scoppiò in una fragorosa risata. –Forse non è stata una buona idea-.
Arianna, in equilibrio sul gradino più alto della scala, guardò fuori dalla finestra che aveva davanti mentre il vento le scompigliava i capelli.
Da quella posizione sopraelevata poté spaziare la vista in strada, dove la gente muoveva il solito trambusto mattutino, tra carri, cavalli e bambini che giocavano a rincorrersi.
D’un tratto la sua attenzione cadde sulle due figure che venivano verso la bottega. La prima era una donna sulla quarantina che vestiva di un vestito elegante color cipria. I capelli scuri raccolti ordinatamente e il portamento da gran signora.
Affianco le camminava un giovanotto altrettanto ben vestito di una bianca camicia, un gilet scuro, pantaloni e stivali. I capelli legati con un nastro rosso, lo sguardo altezzoso ma non quanto quella donna che doveva trattarsi della madre.
-Eccoci qua- sentì dire dalla dama. Ella sparì sotto il portico dell’ingresso di bottega e poi si udì bussare leggermente.
Arianna sobbalzò.
Il ragazzo che era con lei l’aveva veduto nelle sue “fantasie” giusto un mese prima, quando domandando a Vieri se si fosse mai imbattuto in qualche ragazzata per via dell’occhio nero, era finita per ricordarsi di più di uno dei volti intravisti a combattere sul ponte.
All’improvviso il giovane alzò lo sguardo, come se si fosse accorto della ragazza che lo spiava dall’alto, e Arianna scese di un gradino nascondendosi alla sua vista, ma nel farlo perse del tutto l’equilibrio, cadde e si ritrovò in un lago di disegni, carte e cartacce.
-Arianna, diamine, fa’ attenzione!- sbottò Leonardo venendole incontro. L’aiutò ad alzarsi riemergendo dalle pergamene e Arianna si massaggiò la schiena che il volo appena fatto le aveva indolenzito.
-Hanno bussato alla porta- disse la giovane con una smorfia.
Leonardo parve stupito. –Davvero?-.
Lei annuì e zoppicò più in là. –Sì, sono una nobile donna e suo figlio-.
L’artista ci pensò qualche istante. –Una nobile donna…- rifletté. –Ah, ah! Maria, ma certo! Che viziaccio il suo di bussare così piano pensando di disturbare. Presto, Arianna, sarà qui per ritirare i dipinti-.
La ragazza si tirò su. –Quali?- chiese ancora dolorante.
Leonardo le fece una descrizione dettagliata delle tele commissionate indietreggiando verso la porta. –Dovrebbero essere da qualche parte, comincia a cercare!- le suggerì.
Arianna si guardò attorno sperduta. La confusione regnava ancora e forse peggio di prima. Ci sarebbero voluti anni per trovare quei maledetti piccoli quadri che, durante lo smistamento, non le erano capitati tra le mani.
Uffaaaa! Sbuffò rimboccandosi le maniche e tuffandosi a lavoro.
Nel frattempo sentì il suo maestro aprire la porta e la voce della dama.
-Salute Leonardo-.
-Madonna Maria!- gioì lui, e si scambiarono un bacio sulle guance come saluto.
-Questo è mio figlio, Ezio- disse la dama presentando il giovane che era con lei.
Leonardo s’inchinò portandosi una mano al cuore. –Molto onorato-.
Il ragazzo lo imitò. -L’onore è mio-.
Arianna sgranò gli occhi e s’immobilizzò come una statua.
La voce combaciava.
Era davvero lui, il ragazzo che aveva immaginato su Ponte Vecchio a confrontarsi con Vieri. Se si sforzava un poco ricordava anche il nome della famiglia a cui apparteneva.
-Vado a prendere i dipinti- pronunciò Leonardo. –Torno subito- aggiunse sorridendo ad entrambi.
Quando il maestro tornò dentro la bottega, sul suo volto gioioso si aggiunse una smorfia sconsolata. Guardò la sua discepola che faticava a cercare nelle scatole quel che andava trovato e si sistemò meglio il berretto in testa. –Presto, Arianna! Ho guadagnato un po’ di tempo, ma non ne abbiamo da perdere!- mormorò nervosamente alla ragazza raggiungendola nel mare di tele e scatoloni.
Arianna si alzò e lasciò controllare a Leonardo quella parte di roba, mentre lei si spostava più in là, tra le ultime cose portate in bottega.
-Trovati!-.
Leonardo si volse d’un tratto nella sua direzione e le venne incontro saltando qualsiasi ostacolo sul suo cammino. –Dalli a me- disse.
Arianna trasse una scatola senza coperchio da sotto il tavolo e la trascinò sul pavimento sino ai piedi di Leonardo, che si chinò a raccoglierla. Al suo interno c’erano un paio di piccoli dipinti su tela e varie cornici.
-Grazie, come farei senza di te!- pronunciò gioioso, e prima di andare le scoccò un bacio sulla guancia.
Arianna arrossì visibilmente carezzandosi là dove lui aveva posato le sue labbra e lo guardò allontanarsi verso l’ingresso della bottega. Leonardo si voltò.
-Accompagno la signora e sarò subito di ritorno, nel frattempo riposati, che te lo meriti!- le permise, poi oltrepassò l’uscio e si rivolse serenamente alla cliente.
-Torniamo a casa vostra?- domandò cordiale.
-Sì, sì- fu la risposta di Maria. –Ezio, ti spiace aiutare Leonardo?-.
L’artista lasciò il carico al giovane Auditore che prese la scatola con entrambe le braccia. I tre si avviarono sulla strada e scomparvero tra la gente.
Arianna, rimasta sola, ascoltò il silenzio prendere piede tutt’attorno ora che la bottega si era svuotata dell’unica persona in grado di farne tale.
Dovunque posasse lo sguardo si ritrovava con le lacrime agli occhi per quanta gioia serbava in cuore. La possibilità di vivere quella vita che le era stata offerta la rendeva la persona più felice del mondo, con così poco. Presto o tardi sarebbe venuto il suo momento, il momento di prendere i pennelli e tornare a ritrarre volti e persone che non conosceva.
Quei sentimenti contrastanti si fecero largo in lei ancora una volta, e mentre si alzava il suo viso assunse un aspetto più tetro e risentito.
Ezio Auditore… pensò guardando in strada oltre la soglia d’ingresso.

Leonardo tornò poco più tardi, giusto il tempo di andare e venire dalla reggia della sua cliente senza troppe ciance. Rientrò in bottega trovando la porta aperta come l’aveva lasciata e se la richiuse alle spalle fischiettando un motivetto allegro. Quando si voltò, restò a bocca aperta.
Quella stanza, si disse, non era mai stata così grande, e pulita… e luminosa… e ordinata! All’artista luccicarono gli occhi e sfuggì il nome del Signore levandosi il capello di testa e stringendolo convulsamente tra le mani per lo stupore.
Sul pavimento correvano i bei tappeti, sulle pareti erano montate le mensole e le bacheche. Sui tavoli, ora sgombri di tutte le casse da imballaggio e di cartacce, vi erano ordinatamente disposti gli schizzi, gli appunti, i quaderni e le pergamene dell’artista. Le ragnatele tra le travi del soffitto erano sparite, le scale che portavano al secondo piano erano state ricoperte di un soffice tappeto. I mobili erano sparpagliati lungo i muri della stanza per creare nel centro un grande spazio più largo possibile. Lo scrittoio sorgeva dove era sicuro che la luce delle belle vetrate, ora ripulite e brillanti, arrivasse tutto il giorno. In fine, molti dei dipinti ultimati erano appesi alle pareti, le tele bianche da una parte, i cartoni e quelle incomplete da un’altra vicino ai cavalletti delle varie misure. Sopra al davanzale del camino spento, ma già pieno di legna per la notte, era appoggiato il suo bel quadro dell’Annunciazione.
A quella vista Leonardo rimase senza parole.
Arianna era in cima ad una scala, facendosi passare da Tommaso i libri che ella impilava delicatamente sulle mensole, in ordine alfabetico. La polvere era sparita del tutto da ciascun ripiano in legno, ma molta della quale si era depositata sui vestiti della ragazza e tra i suoi boccoli neri.
-Te la sei presa comoda, eh!- convenne Tommaso, poi passò ad Arianna un altro testo, ma la ragazza non fece in tempo a riporlo sullo scaffale assieme agli altri perché si voltò e riconobbe la figura del suo maestro in piedi nel centro della stanza.
Leonardo spalancò le braccia e girò più volte su se stesso. –Che meraviglia!- fece estasiato. –Nemmeno un Angelo avrebbe saputo fare di meglio! Dio, Arianna, perché? Ti avevo detto di risposarti!- esultò guardando la fanciulla.
La giovane Pazzi finì di sistemare anche quell’ultimo libro sullo scaffale e, col sorriso sulle labbra, scese un gradino alla volta. Non appena fu a terra, si stirò le pieghe del vestito e scambiò con Tommaso un’occhiata complice.
-Proprio non riuscivamo a starcene rigirandoci i pollici, io e lui, e la tentazione è stata troppa, maestro- confessò allegra.
Leonardo li abbracciò entrambi lasciandoli di stucco. –Davvero non so come ringraziarvi, e nemmeno come abbiate fatto così in fretta!- era letteralmente meravigliato, quasi senza fiato.
-Be’ quattro braccia sono sempre meglio di due, come si dice- ridacchiò Tommaso.
Arianna ne convenne con una risata. –L’ho beccato che si dava alla pazza gioia senza mettere nulla a cucinare per il pranzo e così l’ho ricattato perché mi desse una mano-.
-Ehi, avevamo un accordo noi due!- sbottò Tommaso.
Leonardo rise di gusto a sua volta e Tommaso si offrì di ritornare alle sue solite mansioni.
-Va’, Tommaso, va’- Leonardo lo spinse su per le scale senza smetterla di ridere. –Buona idea la tua, perciò fallo-.
Arianna e il suo maestro rimasero soli, mentre quest’ultimo si risistemava i capelli nel capello da pittore rosso. –Perché non ti trattieni per pranzo? Sono sicuro che ‘sta volta Tommaso cucinerà qualcosa di commestibile per noi comuni mortali!-.
Arianna azzardò un sorriso. –Apprezzerei molto, ma temo di dover rifiutare la vostra offerta-.
-Come mai?-.
Arianna esitò. –Mio padre sarà qui a momenti, e…-.
-Se sei d’accordo lo chiederemo a lui- le sorrise sincero.
Arianna sospirò. –E va bene- disse.
-Ah, ah!- gioì l’artista. –Così potrò raccontare a Guglielmo della tua impresa sensazionale, ma guarda qui che roba!- ancora faticava a credere che la sua bottega fosse così bella, ed era tutto merito della sua allieva.


.:Angolo d'Autrice:.
La Bottega di Leonardo descritta in questa storia rispetta poco quella del gioco. Ho ipotizzato un secondo piano abitabile, ma per il resto è molto fedele a quest’immagine qui sotto.
http://public.blu.livefilestore.com/y1pafJg-0-aVJJYUNkQfVNkiu0VKkbtGCRwpooZhbTp45QXKMxZxE6e5eLVaO73d2pi9Mwe0ESUfukJBg4ZvSUk_g/112.jpg
Tommaso Masini, detto Zoroastro, per non dirlo in altri termini, è “l’amichetto” di Leonardo! XD Ma ovviamente Arianna sembra ignorarne del tutto la vera natura… almeno per ora! Comunque, Tommaso è un personaggio storico che fu molto amico dell’inventore e si racconta anche primo a collaudare (al di fuori di AC) la sua macchina volante. Il rapporto che c’è tra lui e l’artista è sicuramente più che una comune amicizia, ma vabbé, dettagli! XD Detto Zoroastro perché in medio oriente era esistito un teologo di magia occulta chiamato proprio così, e si dice che Tommaso abbia viaggiato molto da quelle parti, avendo quindi occasione di avvicinarsi alla magia di quel genere…
L’Annunciazione è un celebrissimo quadro del da Vinci, concluso proprio in quegli anni.
La commissione di Maria ed Ezio alla bottega la conosciamo tutti! XD E’ parte integrante del gioco! La scena descritta da me dal punto di vista di Arianna è un possibile “dietro le quinte” di quando Maria ed Ezio discutono fuori dalla bottega! Questa scena l’avevo in mente fin dall’inizio della fan fiction, e pur di arrivare a scriverla ho fatto i salti mortali! Un grazie anche ai lettori silenziosi!
Spero di non avervi delusi anche sta volta. Ringrazio il supporto costante di tutti i recensori che mi stanno facendo aggiornare non dico tutti i giorni, ma quasi! XD A fine mese mi ritrovo senza più un capitolo pronto di questo passo! XD
Un piccolo spoiler del prossimo capitolo! ^^

“-Chi è arrivato?- domando confusa.
-Che razza di domande fai, l’hai visto nella tua visione, no?- erompe Shaun.
[…]
-Lucy, ce l’hai fatta!- Rebecca si alza dalla sua scrivania e le va incontro gioiosamente. Le due si abbracciano, ma lo sguardo sorpreso della bionda si posa per un istante su di me.
[…]
–Come te la sei fatta quella?-.
-Tutti i miei antenati ne hanno una. Sembra una ricorrenza di famiglia- ridacchia lui.
[…]
Shaun resta allungo interdetto. Lucy incrocia il suo sguardo. –Avreste dovuto sbarazzarvene quando ne avete avuta la possibilità-.”

Ora a voi i commenti ^^ A presto! Caltaccia!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** E' solo l'inizio ***


ATTENZIONE: questo capitolo contiene degli spoiler sia sul gioco che sul proseguirsi della storia. Per chi volesse serbarsi qualche sorpresa per quanto riguarda la vita di Arianna e la fine di Assassin’s Creed 2, non vada oltre nella lettura e aspetti il prossimo post! XD Grazie per l’attenzione! *Giulio in cassa tre, Giulio in cassa tre!* XD Molto alla “supermercato”! XD

E' solo l'Inizio

-Basta, Rebecca tirala fuori: sono arrivati-.
La ragazza ubbidisce all’istante. Con una sola sequenza di tasti interrompe il ricordo ed espelle la mia coscienza dall’Animus. Finalmente riapro gli occhi e mi trovo il vero soffitto del laboratorio davanti. Assaporo quel momento beandomene il cuore che sento pulsare vivo nel petto come non mai, ma non appena Shaun mi viene incontro per intimarmi di alzarmi, tutto s’interrompe lì.
Annuisco flebilmente. Mi metto seduta e poi in piedi accanto alla macchina. Mi gira un po’ la testa ma Rebecca dice che è normale.
Shaun è tornato seduto alla sua postazione e così Rebecca.
-Chi è arrivato?- domando confusa.
-Che razza di domande fai, l’hai visto nella tua visione, no?- erompe Shaun.
Mi volto verso di lui, ma ancora prima di poter replicare con una sola parola, nel laboratorio fanno la loro comparsa una ragazza bionda seguita da un tipo i jeans e felpa bianca.
-Lucy, ce l’hai fatta!- Rebecca si alza dalla sua scrivania e le va incontro gioiosamente. Le due si abbracciano, ma lo sguardo sorpreso della bionda si posa per un istante su di me. Mi squadra da capo ai piedi mentre le sue braccia sono strette attorno all’amica. -Dio, quanto tempo! Sette anni! Roba da non credere!- gioisce stanziandosi.
Nel frattempo Shaun è comparso come dal nulla al mio fianco, e per la prima volta (forse in tutta la sua vita) il suo tono si fa cupo e leggermente commosso. –Davvero. Ben tornata- le sorride, poi volge la sua attenzione sul ragazzo che Lucy ha portato con sé.
-Ah, questo dev’essere il famigerato soggetto 17- commenta.
Il nuovo arrivato si è guardato attorno per tutto quel tempo, e solo ora si gira verso i due topi di laboratorio.
-Desmond Miles, giusto?- chiede Shaun.
-Voi chi siete?- domanda invece lui.
-Ah, scusa, che maleducato- comincia l’uomo col maglioncino bianco. –Sono Shaun Hastings. Rebecca Crane,- indica la tecnica, –e…- sta per rivolgersi a me indicandomi con una mano, ma s’interrompe accorgendosi dei miei occhi sgranati fissi su Desmond.
Miles incrocia il mio sguardo con altrettanto stupore.
-Tu- mormoriamo assieme.
-Ehi, frena, frena, frena!- interviene Rebecca. –Voi due… vi conoscete?- pronuncia stupita.
-E’ la violinista a cui ho sganciato due dollari la notte del mio “giorno sfortunato”- dice Desmond guardando la bionda al suo fianco.
Lucy e Shaun si scambiano un’occhiata poco rassicurata.
-Stai dicendo che la notte in cui sei stato rapito dalla Abstergo, passavi di qua?- domanda Rebecca.
-Ma dov’è “qua”?!- ribatte Desmond ancor più allarmato.
-Ok, ora calma- interviene Lucy frapponendosi tra noi. –Punzecchiarci fino allo svenimento con certe domande non servirà a nulla e ci farà solo disperdere preziose energie- aggiunge scoccandomi uno sguardo truce.
-Sarebbe potuta essere una piacevolissima conversazione,- interviene Shaun, -ma se non vi spiace sarà meglio mettersi subito a lavoro. In questi giorni… il tempo è prezioso- mi guarda, ma un istante dopo è già seduto sul suo sgabello davanti al computer.
Rebecca gli fa una boccaccia alle spalle, poi, rivolgendosi alla bionda dice: -Abbiamo già preparato tutto, Lucy. Quando vuoi possiamo procedere- annuncia rigorosa.
-Tieni, ti ho portato qualcosa- ridacchia l’altra estraendo dalla tasca dei jeans un oggetto che poi porge all’amica. –Un regalino di coniato dalla Abstergo-.
Rebecca lo stringe con entrambe le mani. –Wow! Il Nucleo di Memoria! Ma è fantastico!- esulta. –Con i loro dati, le cose andranno molto più veloci- dice correndo verso la sua scrivania. –Mi butto sul codice di inserimento- aggiunge digitando già sulla tastiera. –Shaun, hai visto cos’ha portato Lucy?!- domanda euforica.
-Sì, sì, ho sentito- borbotta lui.
-Con quest’affare non avremo i problemi riscontrati nell’Animus con Elisa!- aggiunge la tecnica.
Lucy sgrana gli occhi. –Voi… avete messo…(indica me) nell’Animus? E per quale motivo, posso sapere?-.
Shaun fa roteare lo sgabello verso di lei e si sistema gli occhiali. –Semplice: Lucy, Elisa non è una ragazza qualsiasi, ma la discendente diretta di Cassandra- annuncia serio.
-Cassandra?- ride Desmond guardandomi. –La pazza che vedeva il futuro ma nessuno se la cacava?-.
Non mi eri sembrato così stronzo… penso aggrottando la fronte.
-Sì, Desmond, quella Cassandra- pronuncia Lucy con un’ombra in viso. Quando i suoi occhi incontrano i miei, rabbrividisco, perché in essi vedo una sorta di pregiudizio.
-Rebecca ed io abbiamo pensato che potesse esserci utile, ma poiché le visioni di Elisa sono poco chiare, abbiamo deciso di collaudare su di lei l’Effetto Osmosi- spiega Shaun.
-E ha funzionato?- chiede Lucy.
Rebecca e Shaun si scambiano un’occhiata nervosa.
-Ehm… veramente non lo sappiamo. Abbiamo interrotto troppo presto perché potesse manifestarsi qualche miglioramento- interviene la tecnica.
-Adesso non possiamo riaprire questo capitolo- interviene Shaun duramente. –Il tempo stringe e noi siamo qui per un solo motivo: lui- indica il soggetto 17. –Quindi tutti a lavoro. Rebecca, sto parlando con te-.
La ragazza sobbalza sulla sedia davanti ai computer e si rimette subito all’opera. –Datemi ancora qualche minuto e possiamo iniziare- annuncia.
Lucy si avvia verso una seconda scrivania alle spalle di quella di Rebecca scoccandomi un’occhiataccia. Inizialmente non ci faccio caso e mi stringo nelle spalle. Sentendomi di troppo, muovo qualche passo diretta nella mia stanza, ma qualcuno mi afferra improvvisamente per un braccio.
-Aspetta, dove vai?- chiede Desmond.
-A riposarmi, sono stanca- confesso continuando a fissare il corridoio fuori dal laboratorio, senza girarmi.
-Scusa per prima-.
M’irrigidisco voltandomi.
-Non intendevo offenderti. E sappi che la tua musica mi piace davvero- mi sorride sereno.
Ricambio l’affetto. –Grazie-.
-È davvero come dicono?- mi chiede lui. –Puoi davvero vedere il futuro, ma se ce ne parli noi non ti crediamo?-.
Annuisco grave. –Temo di sì-.
In una frazione di secondo la mia attenzione cade sulla cicatrice sul suo labbro. Rimango pietrificata sul posto senza dire o fare nulla che non sia respirare, ma… forse nemmeno quello.
-Ehi- mi richiama lui. –Elisa, giusto?-.
Annuisco di nuovo, ma ‘sta volta distrattamente. –Come te la sei fatta quella?-.
-Tutti i miei antenati ne hanno una. Sembra una ricorrenza di famiglia- ridacchia lui.
-Ah, bene…- mormoro assente dandogli le spalle. Mi avvio verso la mia stanza e lo saluto con un gesto della mano poco presente.
Ricordo benissimo di aver visto nell’Animus, nella visione della mia trisavola, un certo Ezio Auditore procurarsi una cicatrice simile, anche di averlo conosciuto nella bottega di Leonardo.
E so per certo che non è una coincidenza.

Qualche ora più tardi…

Desmond Miles è steso nell’Animus, Rebecca monitorizza i suoi ricordi, Shaun è alla scrivania e si occupa del database come è suo solito fare. Lucy Stilman passeggia su e giù per il laboratorio a braccia conserte, avendo abbandonato la sua postazione dietro quella di Rebecca qualche istante prima.
-Non possiamo fidarci di lei- dice la bionda d’un tratto.
-Ah! Visto!? Che ti avevo detto?!- erompe Shaun.
Rebecca assume un’espressione interdetta e confusa.
-Shaun, per favore- lo riprende Lucy. –La questione è più seria di quel che pensate-.
-Perché?- domanda Rebecca, supina.
-Controlla nel Nucleo che ti ho portato. Cerca le informazioni su Arianna de’ Pazzi e guarda tu stessa-.
-Lucy, dicci che sta succedendo- Shaun si alza, interrompendo la comunicazione sempre attiva con Desmond collegato all’Animus, e si avvicina alla donna in piedi nel centro della stanza.
-Che voi lo vogliate credere o no, la famiglia Pazzi del Rinascimento era Templare. Tutta- si appresta ad aggiungere prima che Rebecca possa aprir bocca.
-Ma Guglielmo de’ Pazzi non risulta coinvolto nella congiura- interviene Shaun al posto dell’amica. –Ne sei sicura?-.
Lucy incrocia il suo sguardo. –Avreste dovuto sbarazzarvene quando ne avete avuta la possibilità-.
Shaun si passa le mani in volto stirandosi le rughe. –Dannazione- impreca sotto voce.
-Quello che affermi è comunque insensato, Lucy. Elisa non sa nulla della Guerra- tenta Rebecca.
-Nel corso della storia il ruolo della Sibilla, di Cassandra e di qualsivoglia veggente o cartomante era uno soltanto, e sempre al fianco dei Templari. Come avete fatto a dimenticarvelo?!- erompe la ragazza.
Shaun e Rebecca si scambiano uno sguardo rammaricato e stupito.
-La cartomanzia, così come la veggenza, va al di fuori della concezione Cristiana. Come può il Cattolicesimo appoggiare e… sfruttare una simile pratica considerata eresia?- domanda Shaun.
-Semplice,- ride Lucy istericamente, –perché i Templari che combattiamo noi non sono i bravi frati domenicani, Shaun! Rodrigo Borgia, ultimo blocco di memoria! Andatevelo un po’ a rivedere!- indica l’Animus. –Egli stesso afferma di non serbare interesse alcuno nella Religione, ma bensì nel solo potere che essa ne consegue! I loro scopi non sono, non sono mai stati e mai saranno conquistare Gerusalemme e battezzare ogni ateo a questo mondo!-.
Hastings e Crane tacciono assorti in macabri pensieri, l’uno più pentito dell’altro.
-E adesso che si fa?- chiede il ragazzo.
Lucy si prende del tempo per rispondere, camminando ancora su e giù per il laboratorio. –Se la Abstergo scopre che abbiamo Cassandra con noi, avranno un altro ottimo motivo per venirci a cercare- dice.
Shaun e Rebecca sono tesi come corde di violino.
-Posso contattare il quartier generale e farci mandare qualcuno che la venga a prendere- consiglia Shaun, già con l’auricolare all’orecchio.
-Sarebbe un’idea, ma adesso è troppo rischioso uscire da qui o esporci in questo modo- interviene la tecnica.
-Rebecca ha ragione. Quei maledetti hanno spie dappertutto e non ci daranno pace- blatera Lucy nervosa.
-L’unica soluzione che ci resta allora è una soltanto- prorompe Shaun guardando una volta Rebecca una volta Lucy, serissimo in volto.
-No, non possiamo ucciderla- contesta la Crane. –Io propongo di tenerla buona qui e vedere che succede, in fondo ci sarà pur qualcosa che possiamo fare perché le sue visioni ci siano utili-.
-Anche questo è vero:- aggiunge Shaun, –se i Templari conoscono un modo per interpretare le sue visioni, possiamo riuscirci anche noi, giusto?-.
Lucy scuote la testa. –Non ho detto questo,- sbotta, –non ho detto che i Templari conoscessero un modo per sfruttare le Cassandre a loro piacere- spiega.
-E allora non dovremmo avere problemi- conclude Shaun tornando alla sua scrivania. –Se loro non possono usarla e nemmeno noi possiamo, hanno ben poco interesse nel venirsela a prendere, perciò siamo al sicuro-.
-Fermo,- lo richiama Lucy, –aspetta un attimo…- riflette.
Shaun si volta perplesso.
-Nei ricordi di Elisa avete trovato qualcuno che credesse alle visioni della sua antenata?- domanda seria ad entrambi.
Rebecca ci pensa alcuni istanti, poi annuisce e va a sfogliare qualche documento nel computer. –Sì, ma si tratta soprattutto di famigliari molto stretti. Arianna de’ Pazzi sembrava avere un buon rapporto con suo padre, unico quindi a captarne il potenziale- dice.
-Elisa ha parenti?- chiede ancora Lucy.
-I suoi genitori sono morti in un incidente aereo. Gli zii in uno stradale. La ragazza è sola- spiega Shaun.
-Dannazione- impreca la bionda. Ma un attimo dopo chiude gli occhi e fa un gran respiro profondo. –Poco male. Sospendiamo l’argomento e torniamo alle questioni più serie. Rebecca, mandami le immagini sullo schermo- dice alludendo al televisore appeso sulla parete.
-Questo è solo l’inizio- Shaun sospira e volta lo sgabello verso i monitor del computer.







Angolo d'Autrice:
Guglielmo de’ Pazzi non risulta coinvolto nella congiura. È effettivamente così, mi duole ammetterlo, ma le conseguenze al solo fatto che fosse componente di quella famiglia porteranno a giorni ben poco felici per il ramo della famiglia innocente. Per ora non vi do altri spoiler, ma se siete tanto curiosi su wikipedia è detto tutto! XD
Rodrigo Borgia, ultimo blocco di memoria. Chi ha finito il gioco lo conosce, e più ci penso più mi convinco che questa fan fiction è uno spoiler vivente! XD Comunque, nell’ultimo blocco di memoria, dove Ezio si reca nella Cappella Sistina per combattere Rodrigo e il suo “magico bastone dell’Eden” è chiaramente detto da quest’ultimo che egli, pur essendo Cristiano Templare, non ha minimo interesse nella religione, bensì nel solo potere che essa conferisce a chi ne è a capo. Egli diviene Papa al solo fine di accedere alla cripta. E questo cosa c’entra con Arianna e le veggenti, vi chiederete voi… ebbene, è molto semplice. Lucy afferma, in questo capitolo della mia storia, che le veggenti e cartomanti erano tutte al servizio dei Templari, la cui rete globale le teneva sotto il proprio controllo perché gli assassini non le utilizzassero a loro volta. Questo aspetto è di mia sola invenzione, non è menzionato nel gioco, ma preoccupa molto i nostri Assassini moderni perché tradizione vuole che Cassandra sia serva dei Templari. Infondo, almeno secondo me, nell’epoca greca arcaica, gli Achei guidati da Agamennone erano i Templari, e i Troiani gli Assassini! XD Oddio, che forza! Mi sa che ci scriverò una piccola fic! XD
Bando alle ciance: U_U un grazie speciale ai costanti recensori! ^-^ Ma come vivrebbe questa fic senza di voi?! XD Su grande richiesta di Elkade, goku94 e renault, ecco l'aggiornamento promesso. Corto, certo, di sole 4 pagine, ma voglio allegare un medesimo spoiler sul prossimo capitolo! ^^

"-Chi era? La conosci?- chiese invece serio Federico, seguendo la ragazza che a poco a poco lasciava il mercato inghiottita dalla folla.

-Arianna de’ Pazzi. La cugina di Vieri- lo informò Ezio staccandosi dalla colonna.

-Non si direbbe- commentò l’altro con una nota di apprezzamento. –Ma come mai sai tante cose su di lei?- domandò sospettoso.

Ezio si strinse nelle spalle. –Una ragazza come un’altra-.

-Ezio- lo riprese il fratello maggiore.

Il minore alzò gli occhi al cielo. –Devi sempre pensare a male di me! So per caso chi è, lo giuro! Anche perché è fortunato chi l’ha vista in faccia più di una, due volte, quella! Da quanto ne so, dipinge ed è una tipa strana. Ed io da quelle troppo “strane” preferisco starmene lontano-.

-Fai bene- ne convenne Federico, seppur poco convinto. –Adesso andiamo. Nostro padre vuole vederti-.

-E che aspettavi a dirmelo? Cominciavo ad annoiarmi…- borbottò il più giovane incamminandosi."





Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** A caccia di Angeli ***


A caccia di Angeli

-Mi sta fissando da quando siamo qui, ed ora ce l’ha con te… Non voltarti!-.
-Ma piantala!…-.

-Ti avevo detto di non voltarti!-.
-Chi era? La conosci?-.

-Arianna de’ Pazzi. La cugina di Vieri-.
-Non si direbbe-.

In quei giorni Leonardo lavorava ad un ritratto di donna che Arianna aveva sbirciato più volte quando il tempo glielo consentiva. Tra una pausa e l’altra dell’artista, la ragazza si avvicinava al dipinto posto sul cavalletto e ne ammirava le fattezze meravigliose che, a poco a poco, prendevano forma grazie al pennello sicuro e leggero. Sullo sfondo v’era ancora un abbozzo della vegetazione e delle acque di un fiumiciattolo, un cielo limpido e in secondo piano un ginepro scuro. Era un mezzo busto che finiva all’altezza delle mani. Il vestito castano, i boccoli chiari tenuti alti e stretti, alcuni dei quali incorniciavano la grazia del viso bianco sfavillante di tanta bellezza rubata. Nobiltà e intelligenza risiedevano negli occhi grandi, ma piccoli e intensi
Ginevra Benci era venuta un dì a trovare Leonardo per farsi guardare e ritrarre in un cartone. L’artista aveva scelto la posa, catturato lo sguardo e i colori in poche ore, e salutata la dama, consacrava con quel dipinto l’amicizia che egli aveva con la famiglia di lei. Aveva colto anche l’occasione per un bel regalo di nozze, perché solo diciassettenne, Ginevra sposava Luigi di Bernardo il 15 gennaio dell’anno prima.
Leonardo riapparve in bottega entrando dalla porta d’ingresso. Sorprese la ragazza a sbirciare il suo quadro e le andò incontro col sorriso.
Arianna sobbalzò. -E’ molto bello- disse stanziandosi con le mani giunte dietro la schiena e le orecchie basse, come un cucciolo di volpe sorpreso a frugare nella dispensa.
-Lei è molto bella- pronunciò l’artista avvicinandosi e carezzando la guancia della donna con il polpastrello.
Per rendere così morbido il viso, Leonardo si era servito delle dita, sfumando il colore là dove la luce baciava la pelle lattea della nobile donna. –E inoltre, anche molto intelligente- commentò il ragazzo riprendendo il pennello nella mano sinistra.
Arianna fece per allontanarsi, quando Leonardo riacchiappò la sua attenzione con una domanda un po’ scomoda.
-Arianna, quand’è che ti deciderai a dipingere qualcosa anche tu?- le chiese garbatamente mentre ritoccava con un verde scuro il ginepro alle spalle della dama.
La ragazza s’irrigidì. –Veramente, io…-.
-Sai bene che Guglielmo si aspetta dei miglioramenti da te. Sono due giorni che mi vieni a trovare in bottega e due giorni che non hai voluto cominciare nemmeno un cartone- c’era quasi una nota di rimprovero in quelle parole, ma Leonardo riusciva a dissimulare qualsivoglia cattiveria verso di lei parlandole sempre con allegria.
Arianna si rabbuiò. –Avete perfettamente ragione, maestro, ma vedete io… non ho nulla da disegnare- confessò il falso, perché i soggetti, quali sogni o momenti di “fantasie”, li aveva eccome.
Leonardo la guardò inarcando un sopracciglio. –E credi davvero che questo possa essere un impedimento tanto grave da tenerti senza far nulla? Ragazza mia, se la mente di un artista è vuota delle sue idee non può considerarsi tale. Perciò vedi di scavare nei tuoi pensieri al più presto, prima che ti butti fuori a calci da questo santuario dell’arte- ridacchiò.
Arianna non ci trovava nulla di divertente. Soprattutto, se ripensava ai sogni fatti in quelle notti, ripudiava l’idea di metterli su tela fin già in partenza.
Aveva imparato ad ignorare certe fantasie e non avrebbe certo cambiato idea solo perché era a corto di soggetti. Di ciò era ben convinta e sarebbe stata irremovibile, poiché più volte s’era promessa che nulla di doloroso sarebbe finito a tempera per sua mano.
-Allora suggeritemi voi qualcosa- intervenne lei.
-Nei tuoi sogni!- si beffò l’artista.
Mai parole furono più azzeccate…
-Arianna mia, rimboccati le maniche o la gioventù ti sguiscia via. Se non sforzi adesso la tua piccola zucca pigra,- le batté due colpi sulla testa come fosse una porta su cui bussare, –priverai del nutrimento la tua vecchiezza, e non è cosa buona, credimi-.
-Ne siete tanto convinto?- sibilò lei.
Leonardo posò nuovamente i pennelli e sospirò. –Facciamo così: ti affido questi- disse sereno porgendole una matita e un quadernetto da disegno rilegato in pelle, già scritto, ove le pagine bianche cominciavano solo a metà del blocco. –Va’ a Mercato Vecchio e compra da Mauro le erbe che vedi scritte nell’ultima pagina. Sto finendo i colori, ma il quadro della bella Benci è quasi ultimato, perciò comprane in poca quantità – si raccomandò.
Arianna, seppur confusa, annuì senziente e strinse il blocco da disegno al petto. –C’è altro?-.
-Ovviamente- arrise Leonardo. –Mentre sei a Mercato Vecchio devi tener conto della gente che incontri, dei volti che osservi, e tra di essi voglio che tu trovi quello che più s’addice al viso di un Angelo. Non mi aspetto un gran lavoro da te, e non complicarti l’esistenza raffigurando bambini, che son complicati da fare. Guardati intorno e ritrai sul bianco che t’ho dato quel che più ti piace. Saprò giudicare anch’io se hai scelto un bel giovane- disse allegro.
-Un Angelo…- ripeté Arianna pensosa.
-Credi di non esserne all’altezza?- domandò Leonardo preoccupato. –Se vuoi puoi sempre copiare le galline di un contadino, oppure le verdure che sta cocendo Tommaso, se preferisci- pronunciò con scherzo.
Arianna mostrò un grato sorriso. –L’Angelo andrà benissimo-.
Leonardo le porse i fiorini necessari per l’acquisto delle erbe e le augurò buona fortuna nel mentre la giovane artista varcava l’uscio di bottega.
Una volta in strada, Arianna s’incamminò a passo spedito verso la destinazione, sotto il caldo sole della mattina, e fu nei pressi del Mercato nemmeno una mezz’ora più tardi.
Man a mano che si avvicinava stringeva il blocco da disegno sempre più forte, e il peso dei fiorini nelle tasche sembrava aumentare, quasi la responsabilità di tenerli sicuri fosse un peso sempre maggiore.
Varcò le arcate che differenziavano la strada dal Mercato e si trovò immersa nel mare di gente che dalla mattina alla sera vagava di bancarella in bancarella. Il profumo intenso di erbe e la puzza di pesce e cucinato si mescolavano in un tumulto di odori; il canto dei menestrelli e la confusione di mille voci sconosciute le fecero scoppiare le orecchie.
Era capitata nel posto giusto al momento sbagliato, perché non vi erano ore più piene di quelle.
Secondo me l’ha fatto a posta… farfugliò Arianna ripensando al suo maestro che la mandava a cercare un volto d’Angelo in mezzo a tanta gente chiassosa e maleducata.
I pescatori strillavano ai quattro venti la bontà della mercanzia, dalle trote comuni ai salmoni. I venditori di sete fermavano la gente offrendo un vestito su misura e suggerendo un migliore abbigliamento alla gente. Le donne coi bambini facevano la spesa per il pranzo tra fornai, fruttivendoli e contadini venuti dagli angoli più sperduti della campagna toscana.
Qualche guardia passava di lì e incuteva terrore alcuno per quanto la gente se ne infischiava, e loro intervenivano solo se tra i mercanti c’era una percossa o qualche offesa grave. La competizione era ben accetta, ma fino ad un certo punto.
Arianna riuscì a farsi largo nel Mercato giungendo ad una bancarella più appartata, sorgente all’ombra di uno dei grossi pilastri a sorreggere il colonnato, in uno dei quattro angoli della costruzione quadrata.
Nell’avvicinarsi intravide Mauro, il venditore di erbe per pitture, scambiare due parole con un giovane biondino e riccioluto che Arianna non tardò a riconoscere anche da lontano.
-Lorenzo!- gioì lei.
Lorenzo di Credi, giovanissimo pittore all’epoca solo diciassettenne, interruppe il chiacchierare con l’amico e incrociò gli occhi color mandorla con quelli della Pazzi.
Stentò a crederci. –Arianna- fece stupito. –Voi…? cosa…?- sembrava felice, quand’invece tutti alla bottega del Verrocchio immaginavano che non l’avrebbero mai più rivista.
I due si abbracciarono con trasporto.
-La vostra mancanza in bottega si fa sentire, Arianna, e rincontrarvi dopo del tempo è una gioia immensa- ammise cordiale accennando subito un inchino. –Abbiamo saputo dal Verrocchio dei vostri studi con il Poliziano e vostro cugino Piero. Una scelta condizionata da Bianca, sappiamo. Ma quindi cosa vi porta qui a Mercato Vecchio?- domandò curioso.
Arianna lo squadrò da capo a piedi notando che nell’arco di un solo mese era cambiato moltissimo. Lorenzino, lo chiamavano, perché era il più giovane degli artisti maschi in bottega, ma il suo talento superava di gran lunga la sua stazza. Leonardo e lui erano stati amici segnati da un’adolescenza trascorsa nel difendersi tra loro dalle prese in giro altrui.
-Io…- esitò, ricordando di dover mentire sul vero motivo per il quale era nel Mercato. –Passeggiavo! Mi son presa una pausa dagli studi- sorrise.
-Le vostre gambe lunghe vi hanno portata dall’altra parte della città!- rise Lorenzo. –Sempre se è nel palazzo di vostro zio il Magnifico che prendete lezioni-.
-In effetti…- Arianna si maledisse per tanta disattenzione. –E voi, invece?- chiese nervosamente.
-Madonna, se andate di fretta non starò a trattenervi un minuto di più- disse il ragazzo notando il suo atteggiamento affrettato.
-Oh, no, figuratevi!- finse lei, ma in realtà doveva trovare il modo di allontanarsi da quel banco il prima possibile.
Se non ricordava male, il Verrocchio andava a comprare le erbe da pittura al Mercato una volta la settimana, e al suo seguito portava sempre gli allievi più bravi perché apprendessero da lui il criterio col quale sceglieva i prodotti più adatti e pregiati. Una vera e propria lezione di economia sulla pittura: i migliori colori al prezzo più basso, diceva.
Incontrare Lorenzo al banco di Mauro, presso il quale si recavano tutti gli artisti del quartiere, voleva dire che Gallo Cecconi e Davide Marrozzi si aggiravano nei paraggi e presto o tardi avrebbero fatto la loro comparsa. E quei due marrani erano gli ultimi al mondo che Arianna voleva incontrare sul suo cammino.
-Allora, perché non tornate con me in bottega a salutare il Verrocchio? Ne sarebbe felice- le offrì serenamente.
-Non credo sia una buona idea, Lorenzo, ma portate voi i miei ossequi alla banda tutta, col cuore in mano- disse lei, rallegrandosi che il ragazzo fosse solo.
Lorenzo s’inchinò. –Come desiderate. Che le nostre strade possano incrociarsi ancora. È stato un immenso piacere-.
-Anche per me- arrossì lei, poi lo guardò allontanarsi e sparire inghiottito dalla folla del Mercato Vecchio.
Arianna tirò un sospiro di sollievo e si voltò con il blocco di Leonardo ancora stretto al petto per il nervoso. Si voltò verso Mauro, che si era liberato dell’ultimo cliente andato via dopo aver ricevuto il compenso per alcuni fiori di lavanda, necessari per il viola.
-Ditemi, madonna- fece cordiale il vecchio, anch’egli stato un artista quando era in gioventù, ed esperto quanto i gran maestri che facevano il mestiere dalla nascita.
Arianna gli sorrise. –Solo un istante- disse, e andò alla ricerca della lista di erbe che Leonardo aveva segnato nell’ultima pagina del suo blocco. Quando la trovò, porse il quaderno al vecchio che in un batter d’occhio avrebbe riconosciuto tutti quei nomi latini di antiche erbe dall’odore e il colore particolare. Ma, con grande sorpresa della ragazza, Mauro le restituì il blocco chiedendo: -Potreste leggere per me?-.
Arianna sobbalzò e riprese il blocco tra le mani. –Cosa…- guardò la pagina e riconobbe con una smorfia la scrittura rovesciata del suo maestro. Scrollò le spalle sbuffando e scambiò con Mauro un’occhiata esasperata.
-La prossima volta assicuratevi che anche un comune mortale possa leggere- l’uomo rise divertito.
Arianna, non abituata a tradurre quella stramba calligrafia, si trovò in altrettanta difficoltà e impiegò una decina di minuti circa per elencare tutti i nomi delle erbe al commerciante, che mostrò una grande pazienza da lodare.
A cose fatte, mentre Mauro preparava il richiesto in una cesta che Arianna pagò a parte, la ragazza si distrasse guardandosi attorno. Le grida dei venditori di pesce, dei sarti e quant’altro riempiva l’aria, ma Arianna fece caso soprattutto alla musica di un menestrello che s’interruppe improvvisamente con un strimpellare di corde.
Fu allora che si accorse di un gruppo di ragazzi riuniti attorno al musico. Questi, solo un bambino, tentava di riprendersi lo strumento che i fanciulli gli avevano strappato dalle mani. Il tutto condito dalla gente che si voltava a guardare quell’ilare scena di impertinenza.
-Forza, salta più in alto, piccolé!- ridevano quelli lanciandosi il mandolino tra di loro.
Il bambino correva da una parte all’altra del cerchio spintonato dai ragazzi più grandi e implorava di lasciarlo in pace. –Vi prego, basta!- gemeva, e non essendo tanto magro e asciutto, faticava anche a tenersi attivo.
Arianna provò pena per quel povero bimbo, e crebbe in lei il desiderio di andare là a difenderlo. Stava per muovere un passo in quella direzione, ma, quando riconobbe uno dei ragazzi che giocavano ad infastidire, si paralizzò sul posto.
Era lo stesso venuto in bottega, due giorni prima, a ritirare con la madre Maria alcuni dipinti di Leonardo. Ezio Auditore, e ne ricevette conferma nell’udire che i ragazzi si chiamavano per nome quando volevano farsi passare il mandolino a mo’ di palla.
Mi era sembrato un tipo cordiale… pensò Arianna a malincuore, rammentando quanto educato e formale era stato il suo saluto nel conoscere Leonardo.
Mauro si adoperava ancora nel cercare le erbe richieste e quindi non fece caso all’accaduto di qualche metro più in là.
-Cantaci una canzone e noi ti ridiamo il tuo… coso!- rideva Ezio sostenuto dai cori degli amici attorno.
Il bambino si strinse nelle spalle. –Va bene… ma avete promesso!-.
-Su, canta!- fece un altro dei presenti.
-La gente aspetta!- Ezio allargò le braccia accogliendo tutta la folla che si era mostrata interessata alla vicenda.
Il musico si schiarì la gola, le sue guance piene diventavano rosse come pomodori.
Intonò timidamente alcune strofe in volgare, grattando le note in gola con timore.
-Più forte!- disse qualcuno.
-E balla, anche!- suggerì qualcun altro.
-Sì, balla- convenne Ezio con un ghigno malvagio sulle labbra.
Il ragazzo si rese più che ridicolo cominciando a danzare, a passi scoordinati e gesti che non si addicevano alla sua forma un po’ bassa e tondeggiante, e come se la ridevano quelli…
Arianna distolse lo sguardo disgustata.
-Ecco a voi- Mauro le porse il cestello con le erbe e il blocco.
Arianna si protese a recuperare l’oggetto e lo sistemò nel fagotto assieme alle erbe, libera così di poter occupare solo un braccio. –Grazie…- pagò distrattamente.
-Adesso può anche bastare, che ne dici?- intervenne qualcuno.
Arianna si voltò di colpo, tradita dalla voce che aveva appena parlato e che aveva già sentito altrove…
Ad Ezio si affiancò la figura di un ragazzo poco più grande di lui. I capelli scuri tenuti in un taglio corto assieme ad una frangia a coprirgli uno dei due occhi altrettanto castani da sembrare neri. Vestiva nobile quanto l’amico, di una casacca rossa sopra una camicia bianca, pantaloni e stivali.
Ad Arianna scivolò di mano il cestello, e tutte le erbe, assieme al quadernetto del suo maestro, si rovesciarono in terra.
-Oh, madonna, lasciate che vi aiuti- si offrì Mauro aggirando la bancarella e venendole incontro.
-No, figuratevi- declinò lei. –Restate dove siete, non ce n’è bisogno-.
La ragazza si chinò a raccogliere il disperso con fretta e furia.
Quel volto, quella voce, ancora, era successo di nuovo…
-Su, Ezio, restituisciglielo- ordinò il nuovo arrivato.
-E dai, ci stavamo divertendo!- eruppe lui.
-Voi sì, ma lui no- obbiettò l’altro indicando il menestrello bambino. –Avanti, dai, basta giocare-.
-Che guasta feste che sei- ridacchiò Ezio allungando lo strumento al fanciullo.
Il giovane musico afferrò il mandolino dalla mano del nobile ragazzo e scappò via quasi correndo, dileguandosi tra la folla che nel frattempo era tornata ai fatti propri.
Arianna finì di raccogliere tutte le erbe e tenne il blocco di Leonardo sottobraccio. Se solo non fosse stata così curiosa, così vogliosa di volgere loro un’altra occhiata, i due amici non si sarebbero accorti di lei.
E così Arianna diede spago e forma al sogno di quella notte: cominciò a fissare Ezio e il ragazzo che gli era accanto, ipnotizzata dalla loro presenza, sapendo che presto se ne sarebbe pentita.
Ezio e l’altro non fecero subito caso a lei, scambiandosi qualche discorsetto a bassa voce mentre salutavano gli amici che avevano accompagnato la scorribanda di poco prima. Rimasero loro due soli in mezzo al mercato, l’uno appoggiato di schiena ad una colonna e l’altro a braccia conserte osservando la gente che andava e veniva davanti al suo naso.
D’un tratto tacquero, e mentre Ezio incrociava lo sguardo della giovane artista attraverso i volti della folla, Arianna insisteva con l’osservare la seconda figura maschile, così non se ne accorse.
Ezio inarcò un sopracciglio, poi batté un colpo sulla spalla dell’amico.
-Che c’è?- fece l’altro.
Con un gesto muto degli occhi, Ezio gli indicò la direzione di Arianna che, incantata, non vi fece caso. –La ragazza laggiù. Mi sta fissando da quando siamo qui, ed ora ce l’ha con te… non voltarti!- pronunciò scherzosamente serio.
-Ma piantala!- eruppe l’altro e si girò a guardare.
Arianna incatenò gli occhi ai suoi giusto una frazione di secondo, il tempo necessario per sviare lo sguardo da una parte e cominciare ad allontanarsi da lì di gran fretta.

-Ti avevo detto di non voltarti!- lo rimbeccò Ezio. –Aaaah! Sempre il solito Federico… non le capisci mai certe cose- sospirò. –Non puoi dargliela vinta così! Devi farti ammirare, fratello, o le donne, vedi, scappano via!-.
-Chi era? La conosci?- chiese invece serio Federico, seguendo la ragazza che a poco a poco lasciava il mercato inghiottita dalla folla.
-Arianna de’ Pazzi. La cugina di Vieri- lo informò Ezio staccandosi dalla colonna.
-Non si direbbe- commentò l’altro con una nota di apprezzamento. –Ma come mai sai tante cose su di lei?- domandò sospettoso.
Ezio si strinse nelle spalle. –Una ragazza come un’altra-.
-Ezio- lo riprese il fratello maggiore.
Il minore alzò gli occhi al cielo. –Devi sempre pensare a male di me! So per caso chi è, lo giuro! Anche perché è fortunato chi l’ha vista in faccia più di una, due volte, quella! Da quanto ne so, dipinge ed è una tipa strana. Ed io da quelle troppo “strane” preferisco starmene lontano-.
-Fai bene- ne convenne Federico, seppur poco convinto. –Adesso andiamo. Nostro padre vuole vederti-.
-E che aspettavi a dirmelo? Cominciavo ad annoiarmi…- borbottò il più giovane incamminandosi.
Federico gli andò dietro, ma non senza lanciare un’occhiata alle sue spalle nella direzione in cui aveva veduto sparire la giovane Pazzi.

Arianna svoltò di corsa l’angolo della strada e si appoggiò di spalle alla parete in pietra del vicolo per riprendere fiato.
Appena uscita dal Mercato Vecchio, era scattata di corsa il più lontano possibile e tracciato metà del ritorno in meno di qualche minuto. Ora si reggeva a malapena sulle gambe. Il cuore le batteva in petto all’impazzata, quasi da far male. Le mancava il fiato, aveva le guance calde e arrossate e un tremore ovunque.
Scivolò giù, lentamente, finché non fu seduta su alcuni scatoloni in legno.
Per terra stava da un lato il cestello e dall’altro il blocco di Leonardo, che più volte le era caduto quando si era scontrata con un passante e questi le aveva rivolto mali parole. Arianna si era chinata a raccoglierlo ed era scappata già metri avanti.
Quando credeva che sarebbe stato facile ignorare, facile dimenticare… tutto era tornato a galla.
Il sogno fatto quella notte, dei due giovani che sparlavano di lei, si era “mostrato” la stessa mattina. Era tempo di abbandonare forse l’indifferenza? Doveva cominciare ad assecondare questa sua capacità di “vedere”?
Non sapeva che fare, cosa pensare, ma ancor più grave di tutto…
Sentiva di aver trovato il volto d’Angelo che cercava.
Prese il blocco da disegno e la matita affidatole da Leonardo e schizzò fugacemente le prime linee. Impiegò una decina di minuti per ridefinire i contorni e tratteggiare qualche ombra qua e là.
Speriamo che gli piaccia… si augurò lei. Non appena fu soddisfatta, si alzò prendendo con sé il cestello, mise il blocco sottobraccio e si avviò di ritorno verso la bottega di Leonardo.




Angolo d’Autrice:
Il Ritratto di Ginevra Benci è uno dei primissimi quadri commissionati a Leonardo. Celebrissimo, raffigura la dama in una posa aristocratica e di grande modello. Personalmente, a me non piace molto, anche perché la parte più bella del dipinto (le mani) è andata persa nei secoli a venire…
http://judaica-art.com/images/uploads/Portrait_of_ginevra_benci_eur.JPG
Mercato Vecchio, e chi non lo conosce! Vi è situato anche uno dei 20 glifi da trovare sparsi nel gioco! XD Comunque è di questo che si tratta…
http://www.inilossum.us/images/home_a15.jpg
L’immagine risale ai giorni nostri, ma la costruzione è tale quale nel gioco! XD
Tanto per la cronaca, chi pensate che sia dei due fratellini l’Angelo che ritrae Arianna? XD Vediamo chi indovina! Muhahahah!
Ci rivedremo presto… ma prima! Piccolo spoiler di capitolo successivo U.U

“-Rammenta quel che hai sognato ‘sta notte- pronunciò Guglielmo gonfiando il petto.
Erano per strada nel via vai della mattina, tra le bancarelle, i fabbri, i sarti e le banche del corso principale che da Palazzo Medici sfociava nel quartiere di San Lorenzo.
-Devo raccontarvelo?- domandò Arianna marciandogli accanto a capo chino.
-Se può esserti d’aiuto non esitare-.
Arianna si strinse nelle spalle e lanciò un’occhiata a Franco che camminava dietro di loro.
-Un uomo in cella- rispose tutt’altro che serena.
-Chi?- insisté cupamente Guglielmo. –Qualcuno che conosciamo?-.
La ragazza scosse la testa.
[…]
-Ehi, voi!-.
Arianna si volse per prima, seguita da Leonardo che inarcò un sopracciglio. Tommaso, giunto da poco con l’acqua, si era fatto di pietra.
-Sì, voi- ghignò la guardia cittadina venendo loro incontro. Al suo seguito c’era un temibile bruto ricoperto di acciaio luccicante.”

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Una colomba in gabbia ***


Una colomba in gabbia

-Cominciavo a darti dispersa! Ancora qualche minuto e avrei avuto tuo padre nelle orecchie per la vita intera! Giuro, uscivo in questo istante per andare a chiamare le guardie. Si può sapere cosa t’ha trattenuta fuori così allungo?- chiese Leonardo.
Arianna non rispose e aggirò l’artista quando questi le venne incontro. Posò il blocco da disegno aperto sul tavolo più vicino e con esso anche il cesto con le erbe. Non si voltò neppure, mentre Leonardo era sempre più sorpreso del suo comportamento.
La Pazzi rimase a fissare il bel ritratto della Benci ancora sul cavalletto. Immobile come una statua, muta, con un’espressione in viso che contraddistingueva la tristezza e tutta la sua angoscia.
Leonardo si avvicinò in silenzio al quaderno che la ragazza aveva quasi lanciato sul tavolo e lo aprì sulle ultime pagine. Quando trovò il disegno abbozzato sulla carta, vi lanciò un’occhiata e rimase soddisfatto.
-Hai fatto una buona caccia- sentenziò. –Sai dirmi chi è costui?-.
Arianna, sempre dandogli le spalle, scosse la testa.
-Deve averti colpito molto, allora, se è un totale sconosciuto- commentò Leonardo prendendo il blocco tra le mani e avvicinandosi a lei. Contemplava il disegno fatto da Arianna con una nota pensosa, come se vi trovasse anche lui un che di accattivante, ma più che altro di familiare.
La ragazza annuì, sempre tacendo.
-Intendi dipingerlo?-.
Annuì di nuovo.
-Oggi o tra qualche anno?- domandò serio, ma Arianna, voltandosi e ridendo, accolse l’allegria che Leonardo desiderava infonderle, dimenticando qualsivoglia altro pensiero.
-Ottima scelta- le sorrise lui porgendole il blocco.
Arianna lo strinse tra le dita come fosse la cosa più preziosa che avesse addosso, compresa la sua stessa vita.
-Cerca tra le tele bianche quella che più t’aggrada e cominciamo con un cartone, prima che Guglielmo si faccia vivo con la domanda di sempre: “cosa dipinge mia figlia?”! Vogliamo fargli vedere che non ti giri i pollici tutto il giorno, sì o no?-.
La ragazza annuì ancora e si avviò alla ricerca della tela delle dimensioni più appropriate tra quelle raggruppate in angolo della bottega. Ne scelse una mezzo metro per mezzo metro e la posizionò su un cavalletto che Leonardo le aveva appositamente preparato affianco a quello che reggeva il ritratto della Ginevra, mentre lei era in città.
Arianna schizzò in fretta un cartone, dopodiché i due si sedettero quasi allo stesso secondo sullo sgabello e impugnarono assieme i pennelli. Leonardo si volse a lanciare un’occhiata prima di rimettersi a lavoro.
-Per qualsiasi cosa, non esitare a chiedere- si offrì cordiale.
-Vi ringrazio- disse colma di gratitudine.
Tenendo ben presente lo schizzo sul frammento di cartone, bloccato alla tela con una molletta, Arianna cominciò senza timore quel viso d’Angelo senza nome, partendo dagli occhi che l’avevano rapita tra mille in mezzo al mercato.

Dipinsero allungo assieme, l’uno assorto nel proprio lavoro badando ogni tanto a quello che muoveva l’altra. Il pennello altrui era una tentazione troppo forte su cui non buttare l’occhio, e ciascuno aveva ragioni differenti per farlo.
Leonardo la vigilava, interrompendola qualche volta e consigliandole di far riposare la mano che cominciava a diventare pesante. Arianna lo assecondava e per quel tempo osservava in silenzio la bravura del maestro. Senza fare un fiato, si stupiva quanto il suo tocco mancino potesse essere così impeccabile, leggero e sempre perfetto, dovunque.
Poi Arianna riprendeva il pennello e si sentiva osservata con costanza. Leonardo teneva per sé i commenti del suo lavoro e glieli rovesciava addosso tutti in una sola volta.
Voleva più grande quel particolare, più piccolo quell’altro. Più colore là, più ombra qua. Arianna faceva fatica a memorizzare tutti quei suggerimenti e si trovava spesso nel compiere il medesimo errore due volte di fila.
Si asciugava la fronte che sudava per il nervoso e stava appiccicata col naso alla tela per quanto il dettaglio, delle volte, era piccolo. Finì così per macchiarselo di tempera bianca di quando stava dipingendo le ali.
Leonardo le concesse di lasciar libero lo sfondo, ma nel dirle ciò si accorse del naso tinto di bianco di lei e gli sfuggì una risata.
-Che c’è?- chiese Arianna aggrottando la fronte, ma allo stesso tempo rallegrandosi senza saperne il perché.
-Nulla- Leonardo si diede un contegno scuotendo la testa. –Forza, continua- la incitò seppur faticando a mantenere la serietà.
Arianna alzò le spalle e si rimise a lavoro.
Fecero una breve pausa per il pranzo durante il quale discussero in anticipo di come proseguire l’opera. Leonardo le disse che da quella volta in avanti avrebbe dovuto iniziare i suoi quadri futuri disegnando uno scheletro al corpo, così da dargli un’impronta di movimento, postura e proporzione. Solo allora Arianna avrebbe potuto proseguire calcando sul primo abbozzo stilizzato la figura vera e propria.
Era sensato, ed una tecnica che il maestro aveva imparato ad usare in più occasioni.
Finirono il pasto sbrigativamente e si gettarono subito nel lavoro.
Le successive furono ore lunghe, ma serene e trascorse in buona compagnia.
Giungeva il tramonto dopo un intero pomeriggio vissuto nel silenzio e nell’allegria dei due che si erano divertiti. La luce veniva a mancare così come i pennelli puliti.
-Per oggi può bastare- annunciò l’artista ripulendosi le mani in uno straccio che poi porse anche ad Arianna.
L’allieva lo utilizzò allo stesso modo e guardò Leonardo che gli mimava il gesto di pulirsi il naso.
La ragazza rimase interdetta qualche istante, ma ricollegò gli indizi alla svelta e si apprestò a passare un angolo dello straccetto là dove la tempera poteva essersi già seccata. Fortunatamente non fu così, ed entrambi se ne rallegrarono, con tanto di una nuova gioiosa risata del maestro.
-Forza, va’ a darti una pulita come si deve prima che tuo padre passi a riprenderti- le suggerì lui indicandole il piano di sopra.
Arianna si alzò dallo sgabello massaggiandosi la schiena, non abituata a tante ore seduta in quel modo, e lasciò il pian terreno della bottega salendo un gradino alla volta.
Tommaso le mostrò la porta del bagno come sempre e la ragazza vi entrò chiudendosela alle spalle. Non appena fu sola, si spogliò degli abiti che indossava abitualmente per dipingere e si infilò quelli puliti, gli stessi con i quali Bianca l’aveva vista uscire di casa quella mattina. Arianna possedeva un cambio che portava solo durante le lezioni di pittura, così da non destare sospetti quando la madre l’avesse vista rientrare a palazzo.
Dal grezzo corpetto blu macchiato qua e là di tempera, Arianna indossò una gonna verde con le maniche lunghe e di morbido tessuto con ricami pregiati d’argento. Erano entrambi colori che le si addicevano moltissimo, e che amava profondamente.
Quando fu pronta, si lavò il viso e le mani là dove c’era qualche residuo di tempera, usando l’acqua che trovò un bacile appositamente preparato da Tommaso.
Doveva essere una messa in scena perfetta, o Bianca avrebbe gridato anche per i minimi dettagli.
Così Arianna si pettinò, si lavò, si vestì e fu pronta giusto in tempo per sentire qualcuno bussare alla porta. La ragazza si affacciò dalla finestra del bagno e vide Guglielmo scortato dal Franco fedele che, certamente, non avrebbe aperto bocca sul fatto nemmeno sotto tortura.
Arianna stirò le labbra in un sorriso e lasciò nel bagno il suo vestito da pittura. Si catapultò nel corridoio e scese giù dalle scale.
Giunse in bottega che Guglielmo e Leonardo erano dinnanzi al dipinto che ella doveva ancora completare.
-Chi è costui?- chiese suo padre indicando il fanciullo ritratto con le ali d’angelo.
-Un angelo- rispose infatti Arianna.
-Certo, certo- rise Guglielmo assieme a Leonardo.
Quest’ultimo si congratulò ancora con la ragazza e fissò la lezione successiva con Guglielmo per il giorno seguente, come da piani.
-Ah, che sbadata che sei! Dimenticavi quel che non dev’essere dimenticato! - la rimproverò il suo maestro, e prese da un tavolo i libri di latino e letteratura che Arianna portava con sé ogni mattina uscendo di casa. Libri, quelli, inutili in una bottega ma essenziali al cospetto del Poliziano e di suo cugino Piero.
-Grazie- gli sorrise lei nello stringere al petto i volumi.
Guglielmo le posò una mano in testa carezzandole i capelli. –Preso tutto?-.
La ragazza annuì.
-Perfetto. Maestro Leonardo- il signor de’ Pazzi s’inchinò.
Un minuto dopo i due famigli erano già in strada scortati dal generale armato Franco, diretti verso il palazzo di famiglia.
-Per quando Bianca te lo chiederà, stamani hai studiato la seconda declinazione- annunciò d’un tratto Guglielmo.
-La che?!- eruppe Arianna.
-Lupus, lupi, lupo, lupum, lupe, lupo. Lupi, luporum, lupis, lupos, lupi, lupis-.
La ragazza inghiottì il groppo in gola. –A memoria?-.
-No, da cantare-.
-Cosa?!-.
-Ovvio a memoria, sciocchina! Quindi forza, vedi di imparartela durante il tragitto-.
Dopo una mezz’ora di cammino giunsero in vista dell’edificio.
-Forza, da capo- la incitò severo Guglielmo.
-Lupus, lupi, lupo…- indugiò. –Lupum !… Lupe…Lupe, basta. Poi- prese fiato. –Lupi… luporum! Lupis, lupos… oddio- si strinse le tempie. –Non ce la farò mai!-.
-Invece c’eri quasi- insisté Guglielmo. –Avanti, di nuovo-.
-Ma che vi è preso, si può sapere? Siete così scontroso…-.
-Non ti mando ad apprendere l’arte per vederti disegnare bei ragazzi, Arianna!- sbottò improvvisamente furioso.
La ragazza rallentò il passo per lo sconcerto. –E che altro dovrei dipingere?- chiese in un sussurro, ma la risposta l’aveva già.
Guglielmo le afferrò il braccio portandosela al fianco perché non si fermasse. –Adesso non è il momento di parlarne. Perciò ripeti, dai!-.
La presa salda del padre cominciava a dolerle sul polso. Arianna tentò di resistere al dolore, e ci riuscì suo malgrado.
-Ti conviene trovare un modo più rapido per ripetere la declinazione a tua madre. Non vorremmo mica che ella si assuma personalmente la responsabilità di istruirti!?- domandò sgarbatamente mentre traversavano il salone d’ingresso del Palazzo.
-Certo che no…- gemé Arianna ancora stretta accanto al padre.
Quando furono sulle scale, Guglielmo lasciò libera le figlia con uno strattone, spingendola contro la parete. Arianna, inchiodata con le spalle al muro, sgranò gli occhi terrorizzata.
-Ora ascoltami bene, signorina- pronunciò furibondo. -Dalla prossima settimana voglio vederti all’opera su un quadro che catturi la mia attenzione, e non quella della tua fantasia. Voglio che tu ritragga i tuoi sogni, le tue fantasie, quel che più ti aggrada, ma non farti scrupoli se si tratta di morte altrui o quant’altro. Ho bisogno di quei quadri, e tu non me li negherai, hai capito?!-.
Era la prima volta che vedeva Guglielmo così arrabbiato con lei.
La ragazza annuì spaventata e in preda alle lacrime. Il cuore le batteva forte in petto e Franco, che aveva assistito a tutta la scena in silenzio, si dileguò di lì ancor prima che Guglielmo potesse accorgersene. Conoscendolo, però, non ne avrebbe fatta parola con nessuno.

Il colloquio a cena con Bianca e il resto della famiglia, Vieri e Francesco compresi, filò liscio come l’olio. La signora Pazzi non chiese nulla alla figlia che potesse compromettere la sua integrità nella bottega.
Ad Arianna restava solo da combattere contro la rabbia e le lacrime che cominciava ad inumidirle gli occhi al sentir parlare del matrimonio combinato, ormai imminente.
“Si terrà in aprile…” aveva detto Bianca qualche tempo fa, ed Aprile era iniziato da quattro giorni già.
La ragazza tacque per tutta la durata del banchetto, così come aveva fatto in quelli precedenti. Una volta nelle sue stanze prese sonno immediatamente trovando rifugio sotto le coperte. Chiuse gli occhi e pregò che per le notti a venire quel Dio misericordioso le risparmiasse i sogni che tanto temeva.

-Padre! Che è accaduto!?-.
-Qualche percossa, ma sto bene. Che ne è di tua madre e di tua sorella?-.
-Sono al sicuro…-.
-Ci ha pensato Annetta?-.
-Sì, ma… ve l’aspettavate!?-.
-Sì, ma non in questo modo e non così presto… ma ora questo non conta. Non c’è tempo, ascolta bene…-.

La mattina seguente si svegliò che il sole sorgeva illuminando i tetti di Firenze di una tonalità arancio meravigliosa. Si alzò dal letto e si vestì con l’aiuto di Viviana. Il canto degli uccellini alleviava le fatiche e il clamore cittadino si limitava in quelle ore mattutine a qualche bisbiglio qua e là tra la gente e al passare minuzioso di poche guardie e cavalli.
Arianna, tenendosi i capelli sollevati dal collo con una mano, guardava assorta fuori dalla finestra, mentre Viviana le stringeva i lacci del corpetto sulla schiena.
Ripensava a molte cose, ma tra tutte spiccava il sogno di quella notte.
Un uomo in prigione, e non un uomo qualunque.
Il padre di Ezio… era giunta a tale conclusione ascoltando il modo in cui il ragazzo, riconosciuto nel sogno, si appellava a lui oltre le sbarre.
Arianna aveva visto per certo anche il volto dell’uomo, nascosto per metà dall’oscurità della gatta buia. La cella era quella del Palazzo della Signoria, inconfondibile ad occhi attenti ai dettagli come i suoi.
Quando Viviana finì di allacciarle il vestito e pettinarla, Arianna la congedò dandole appuntamento a colazione.
La serva la baciò in fronte e si allontanò per il corridoio assieme al suono dei suoi flebili passi sul tappeto.
Arianna restò sola in stanza per qualche tempo. Si avvicinò alla sua scrivania e trasse da un cassetto il libro dei miti che aveva comprato quel giorno sfortunato di un mese prima. Una cordicella intrecciata di tessuto teneva il segno sulle pagine riguardanti la mitica Cassandra, e Arianna ne guardò la figura ancora una volta. Rammentò le parole di Guglielmo che nei Giardini Vecchi l’aveva chiamata “profetessa” e le balzarono alla mente il suo tono di voce sgarbato nell’ordinarle di dipingere quello che “vedeva”.
Non è possibile…
Stentava a credere che non fossero solo coincidenze, alle quali magari non dare nessun peso. Ma i segnali erano troppi, le parole già dette anche, e le taciute poche.
Ripose il libro dove l’aveva trovato e si avviò fuori dalla stanza a piccoli passi.

-Rammenta quel che hai sognato ‘sta notte- pronunciò Guglielmo gonfiando il petto.
Erano per strada nel via vai della mattina, tra le bancarelle, i fabbri, i sarti e le banche del corso principale che da Palazzo Medici sfociava nel quartiere di San Lorenzo.
-Devo raccontarvelo?- domandò Arianna marciandogli accanto a capo chino.
-Se può esserti d’aiuto non esitare-.
Arianna si strinse nelle spalle e lanciò un’occhiata a Franco che camminava dietro di loro.
-Un uomo in cella- rispose tutt’altro che serena.
-Chi?- insisté cupamente Guglielmo. –Qualcuno che conosciamo?-.
La ragazza scosse la testa. –Non saprei…- mentì. –Non ho veduto bene il suo volto, ma sarei comunque in grado di dipingerlo-.
Guglielmo sembrò tirare un sospiro di sollievo, ma dissimulò quello dietro il gesto di carezzare la testa alla figlia. –Tienilo a mente, dunque, e fa’ ciò che ti ho chiesto per piacere-.
Arianna tacque non volendo approfondire oltre la conversazione, ma appena giunsero in Piazza della Signoria traversandola tutta, ella sollevò il mento e guardò l’unica torre più alta del Palazzo, coprendosi gli occhi dal sole con una mano.
Guglielmo finse di non badarvi e proseguì spedito con la figlia accanto, mentre Franco faceva altrettanto alle loro spalle.

Arrivati in bottega, Guglielmo salutò garbatamente Leonardo che venne ad aprire la porta personalmente. Il Signore de’ Pazzi si defilò con una scusa qualunque pur di lasciare ad Arianna, già entrata silenziosamente, il compito di comunicare le sue intenzioni. Leonardo volse lui un inchino come saluto e richiuse l’ingresso.
Sorprese la sua allieva a fissare il dipinto iniziato il giorno precedente, ora coperto da un lenzuolo bianco per proteggere la tempera.
Le posò una mano sulla spalla. –Vuoi avere tu l’onore?- le chiese con un sorriso.
La ragazza non disse nulla e si stanziò dal suo maestro. Andò incontro al dipinto e, senza scoprirlo, lo rimosse dal cavalletto.
Leonardo restò a bocca aperta nel vederla posare il quadro in terra, ai piedi del tavolo.
-Stanotte ho sognato… una cosa che vorrei dipingere, da subito- spiegò lei con tono alcuno.
L’artista si riscosse con stupore. –Va bene, se è quello che desideri… parlami del sogno, e ‘sta volta sceglieremo insieme la tela, le dimensioni e le forme adatte- mormorò esangue.
Arianna incrociò i suoi occhi risentiti giusto un istante prima di dargli le spalle e, beandosi dei raggi di sole che venivano dalle vetrate in alto, cominciò a raccontare.
Tenne i dettagli per sé, quali il nome già certo dei due soggetti. Descrisse invece la prigione del Palazzo Vecchio assieme al cielo notturno, con tanto di guardie allarmate e falò accesi per le strade. Non accennò una sillaba al dialogo, poiché raccontare di padre e figlio avrebbe accertato una maggiore conoscenza che avrebbe insospettito il suo acuto maestro.
Leonardo tacque pensoso mentre ella si andava a cambiare i vestiti. Poi, quando Arianna fece ritorno al piano inferiore, scattò sull’attenti suggerendo una tela d’un metro per mezzo. In tetro silenzio le fece un primo schizzo su carta e lo porse alla ragazza, spiegandole che doveva trattarsi di un’inquadratura che catturasse i due soggetti dall’alto, così da avere una panoramica in volo d’uccello sui quartieri di Firenze sottosanti. Nello schizzo dispose i falò accesi nella piazza e anche la posizione di qualche guardia allarmata, il tutto miniato perché l’altezza misurasse la proiezione.
Benché fosse notte, Leonardo le suggerì di cominciare con una prima stesura leggera di grigio freddo. Questa si sarebbe riscoperta essenziale per aumentare il contrasto tra la luce lunare e quella dei bracieri nelle strade.
Arianna sedé sullo sgabello e impugnò la mattina con una certa insicurezza che Leonardo notò fin da subito. La ragazza restò col braccio sollevato a mezz’aria e la punta che non toccava tela il tempo necessario perché uno spiraglio di cedimento si aprisse in lei.
La prima lacrima le bagnò la guancia prima che riuscisse ad asciugarla con la manica della camicia.
Leonardo prese la sedia che era lì vicino e le sedé accanto posando i gomiti sulle ginocchia e giungendo le mani. –Ho capito che era accaduto qualcosa quando sei entrata senza salutare. Non posso vederti in questo stato, mi si spezza il cuore. Perciò avanti, parlamene e mettiamoci una pietra sopra, che ne dici?-.
La ragazza annuì soffocando un primo singhiozzo.
-Si tratta di tua madre? Ha scoperto qualcosa? Sei stata punita?- chiese Leonardo sinceramente preoccupato per la sua allieva.
Ella scosse la testa. –No…- mugolò.
-Allora che accade?- insisté con premura porgendole un fazzoletto ricamato e pulito che prese dal taschino sul petto. Come se lo avesse estratto dal cuore…
Arianna vi asciugò le lacrime che le vennero dagli occhi gonfi e arrossati.
-È il sogno che hai fatto a turbarti?- domandò l’altro indicando la tela bianca davanti alla ragazza.
In un certo senso poteva dirsi quello il motivo, perciò Arianna annuì con una smorfia.
-Oh, be’…- Leonardo si appoggiò allo schienale della sedia. –In effetti non è cosa sana che una ragazza solare, simpatica e bella come te faccia certi sogni raccapriccianti, non c’è che dire- pronunciò assorto. –Ciascuno dei nostri sogni però, belli o brutti che siano, nasconde un significato, rammenta almeno questo. Quale pensi che possa essere quello del tuo sogno?- le chiese con dolcezza.
Arianna si strinse nelle spalle, non riuscendo ad immaginare una risposta diversa da quella che voleva a tutti i costi tenergli nascosta.
-Vediamo se indovino…- rifletté lui. –Se l’uomo in cella è l’anima vostra, per tale ho un’idea che può trattarsi della reale interpretazione: vi sentite rinchiusa tra le mura di questa bottega e vorreste correre fuori e godervi un po’ di sole- scherzò.
Arianna accennò un mesto sorriso.
-Ho indovinato?- gioì Leonardo.
Pur di non rattristarlo, Arianna si costrinse a sorridere ancora.
-Ah, ah!- Leonardo scattò in piedi. –Ebbene, credo di avere la cura a questa vostra prigionia!- le porse la mano ed Arianna l’accettò. L’artista prese la sua allieva sottobraccio e chiamò a gran voce Tommaso dal piano di sopra.
-Cosa?- fece disponibile l’uomo.
-Prendi questa roba e seguici in Piazza della Signoria, Tommaso- annunciò Leonardo incamminandosi con Arianna affianco.
Tommaso sgranò gli occhi. –La tela e tutto il resto?-.
-Esattamente, tutto quanto: pennelli, acqua, stracci, tempera- ne convenne Leonardo aprendo la porta della bottega. –Cavalletto compreso- gli sorrise beffardo.
-Come…-.
-Avanti, non c’è un solo raggio di sole da perdere! Si va a fare lezione all’aperto!- annunciò a gran voce.
Arianna era stupita quanto Zoroastro nell’immaginarsi in che modo e in quanto tempo avrebbe portato in Piazza il necessario per dipingere.
Leonardo e la sua allieva si avviavano in strada seguiti dal povero Tommaso, carico come un mulo alle loro spalle.
-Forse dovremmo dargli una mano…- suggerì Arianna voltando il capo.
Leonardo scoccò al suo garzone un’occhiata fugace. –Hmm, forse hai ragione- sospirò fermando il passo. Si spartirono gli oggetti e Tommaso ringraziò mutamente la giovane Pazzi.
Leonardo in capo alla fila si era assunto la responsabilità di un mobiletto pieghevole ove posare i colori e le ciotoline che teneva con sé in una scarsella a tracolla. Arianna portava la tela sottobraccio e qualche pennello, mentre tra le braccia di Tommaso riposava il cavalletto in legno robusto.
Poca della gente che li precedeva o seguiva sul cammino si mostrava interessata alla piccola banda di pittori: l’uno più soggetto dell’altro facevano davvero un bel quadretto esilarante.
Giunti in piazza, non ci volle più di qualche minuto per assemblare il cavalletto, disporre pennelli e colori.
-Bene, siamo pronti!- annunciò Leonardo parandosi dal sole con una mano. Guardò in alto nel cielo, dove un’aquila cittadina svolazzava attorno alla torre del Palazzo Vecchio. Il grido di questi si diffuse per l’aria sino alle orecchie della ragazza che, dopo aver sistemato la tela sul cavalletto, si guardò attorno intimorita.
Molti curiosi, ma soprattutto bambini, si riunivano in cerchio scambiandosi qualche parola e commento, ed Arianna cominciò a sentirsi in imbarazzo.
-Suvvia, non farci caso- Leonardo le strinse una spalla e indicò la torre. –Non staccare gli occhi da lì e col tempo non ti accorgerai nemmeno di te stessa- disse porgendole la matita.
-Qui? Davvero in mezzo a tanta… gente?- balbettò la ragazza.
Leonardo le posò le mani sui fianchi posizionandola con delicatezza esattamente dinnanzi al bianco candido della tela. Arianna arrossì visibilmente, ma per fortuna una folata di vento le nascose le guance con una ciocca ribelle dei suoi capelli che sfuggivano alla coda alta.
-Forza, colomba in gabbia, non avrai mica paura di volare proprio ora?- le mormorò all’orecchio il suo maestro.
La ragazza inghiottì il groppo in gola e scosse la testa, mentre avvertiva sempre più il calore del corpo dell’artista addossato al suo.
Quando Leonardo si allontanò da lei lasciandole le spalle scoperte, Arianna si sentì nuda al cospetto di tanti occhi puntati su di lei. Pensare che quei bambini curiosi avevano interrotto il gioco con la palla per guardare lei e lei soltanto le faceva salire lungo la schiena un brivido gelido. Uno di loro si avvicinò sbirciando dove la sua matita non aveva ancora toccato tela. Il ragazzino, che aveva sì e no cinque anni, volse i suoi grandi occhioni castani alla ragazza come per dire: “be’? Dov’è il disegno?”.
Arianna si sentì venir meno sulle gambe. Guardò Leonardo, in piedi accanto a lei, maledicendolo per non averle concesso di portare uno sgabello. L’artista sembrò intraprendere al volo i suoi pensieri e rise di gusto.
Mi sta mettendo alla prova… di nuovo... ma perché?! Non è da lui! gemé.
In tutto questo, Tommaso era sparito a caccia di una fontanella dalla quale prendere dell’acqua per pulire i pennelli.
Leonardo stava a braccia conserte vicino a lei e la spiava ogni tanto, quando il suo sguardo non si posava altrove sulla piazza beandosi del sole di quella magnifica giornata.
Arianna si convinse di potercela fare. Ignorare la gente che la guardava incuriosita le costava fatica, certo, ma non era impossibile.
Impugnò con più decisione la matita e…
-Ehi, voi!-.
Arianna si volse per prima, seguita da Leonardo che inarcò un sopracciglio. Tommaso, giunto da poco con l’acqua, si era fatto di pietra.
-Sì, voi- ghignò la guardia cittadina venendo loro incontro. Al suo seguito c’era un temibile bruto ricoperto di acciaio luccicante.
Oh, dannazione! Come poteva essere stata così stupida e incosciente?! COME AVEVA FATTO A NON PENSARCI?!
-Non siete la figlia di Bianca?- domandò infatti il soldato alzandosi la visiera dell’elmo.
Ne convenne annuendo il bruto che, con quella scure in mano, incuteva terrore anche da lontano.
-Sì sì, è proprio lei- sorrise inconsciamente Tommaso.
Leonardo e Arianna gli scoccarono un’occhiataccia e il garzone stette muto.
-Perdonate il mio servo, signori: è parecchio tardo e molto spesso ubriaco- intervenne il maestro frapponendosi tra la ragazza e le due guardie.
-Eppure sono sicuro che siete voi, madonna- insisté il soldato squadrandola da capo a piedi. –E se le mie conoscenze sono esatte, dovreste essere a palazzo con vostro cugino- si adombrò ancor più sotto l’ombra dell’elmo.
Arianna si strinse nelle spalle e finse di non capire.
-La donna che avete dinnanzi non è altri che la mi’ figlia, messeri- sorrise Leonardo affiancandosi alla giovane Pazzi. –Le insegno la mia arte come farebbe qualsiasi padre che si rispetti!-.
FIGLIA?! Tua moglie piuttosto! Hai ventiquattro anni, Cristo!
-Ditemi se gli occhi non sono gli stessi- Leonardo le prese il viso con una mano e, schiacciandole le guance, lo avvicinò al proprio.
La guardia restò allungo in un silenzio allucinato. –Be’, in effetti…-.
-Prego, lasciateci lavorare dunque- eruppe Leonardo.
I due soldati si scambiarono un’occhiata poco convinta. –Chiediamo venia- dissero questi assieme, girarono sui tacchi e sparirono tra la gente.
Il gruppo al completo tirò un grosso respiro di sollievo.
-Avrei dovuto prevderlo- Leonardo si picchiò una mano in fronte. –Perdonami Arianna: ho messo a repentaglio il tuo segreto- mormorò triste.
-Male che vada, andrò a letto senza cena- ridacchiò istericamente lei. –Ma vi prego, non voglio che vi sentiate responsabile. Avrei dovuto pensarci io per prima: esporci avrebbe avuto delle conseguenze- sospirò.
-No, insisto, la colpa non è tua- proruppe lui. –Credevo che con questa lezione di oggi avrei potuto insegnarti che un’artista è anche chi assapora sulla pelle questi sentimenti: imbarazzo, difficoltà…- scosse la testa. –Ma d’altronde che senso ha dirti tutto questo ormai? Nel peggiore dei casi tuo padre mi farà tagliare la testa-.
-No!- Arianna strinse convulsamente la matita. –No, questo mai…- singhiozzò gettandoglisi al collo.
Leonardo la strinse a sé pur sorpreso del gesto. –Cosa…?- lui e Tommaso si scambiarono un’occhiata stupita.
-Nel peggiore dei casi,- lo corresse lei, -mia madre taglierà la testa a me, e Guglielmo non avrà motivo di essere arrabbiato con voi, così come non ne ho io… adesso-.
L’artista la scostò delicatamente. –Grazie- le sorrise più sereno.
Arianna fece altrettanto.
-Bene, dunque…- Leonardo si guardò attorno. –Sarà meglio levarci da qui prima che si faccia viva Bianca in persona!-.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 8 Aprile 1476 - Una delicata questione, un turtuoso processo ***


8 Aprice 1476
Una delicata questione, un turtuoso processo


Quando Tommaso inciampò sul tappeto, entrando in bottega, perse l’equilibrio e il cavalletto gli crollò addosso in un gran frastuono.
Arianna e Leonardo varcarono la soglia scoppiando entrambi in una fragorosa risata.
-La tua magia non t’ha salvato da ‘sta brutta caduta, vedo- sghignazzò Leonardo andando a posare sul tavolo più vicino la roba che teneva in grembo.
La ragazza adagiò in terra la tela dipinta e aiutò il giovane Masini a rialzarsi porgendogli una mano.
-Grazie- le sorrise lui appoggiandosi con un gomito al ginocchio. Mentre si sollevava, Arianna incrociò i suoi occhi giusto un istante, ma fu il tempo sufficiente per vedervi all’interno come fatti di cristallo.

-Fatemi passare! Sono la figlia di Guglielmo de’ Pazzi!-.
-Sì, certo, ed io il Principe di Francia- ridacchia il bruto.
-Guarda che ci ricordiamo di te, pittrice!- sbotta il soldato.

-Blasfemia! Brucereste un membro della famiglia che voi stesso servite, Umberto!- grida Guglielmo.
-Sapete almeno di cosa sono accusati costoro?- domanda un anziano in tunica.

Tommaso scuote la testa e sospira. -Oh Signore! Salvaci tu…-.
Arianna sgrana gli occhi. -Aspettate…-.
-Non farlo…- sussurra Leonardo.

-Arianna…,- la chiamò Tommaso, –Arianna, potreste lasciarmi la mano?- chiese garbato.
-Arianna!- strillò Leonardo.
La ragazza sobbalzò lasciando improvvisamente la mano di Zoroastro. Aveva gli occhi tutti d’un colore, la bocca aperta e il volto pallido come un lenzuolo.
-Arianna, che t’è preso?- domandò Leonardo preoccupato.
La giovane Pazzi guardò prima uno poi l’altro ragazzo. Dalla gola risalì solo il silenzio di mille parole troppo scioccanti.
Leonardo le diede un leggero schiaffo che bastò a riportarla nel mondo reale.
-Dannazione, parla!- eruppe il suo maestro, profondamente turbato. Tommaso alle sue spalle era altrettanto in ansia.
La ragazza percepì il calore sulla guancia a poco a poco, fin quando i suoi occhi non riacquistarono la luce perduta. –Io…-.
-Oh, grazie a Dio parli ancora!- esultò l’artista. –Forza, Zoroastro, mettiamo un po’ d’ordine prima che qualcun altro decida di incantarsi a guardare il vuoto- brontolò scoccando un’occhiata al suo garzone.
Tommaso dissimulò il turbamento dietro un mesto sorriso. –Sì, eccomi Leonardo- assentì superando la ragazza e accorrendo ad aiutare l’amico.
Arianna si volse lentamente senza dir nulla.
Può essere?… si chiese guardando passivamente come i due amici si adoperavano a rimettere ogni cosa al suo posto, dal cavalletto caduto in terra ai pennelli sporchi da gettare a lavare.
Sono in pericolo… tutti e due…
-Arianna, non startene senza far nulla, vieni- la chiamò Leonardo.
La ragazza scattò in quella direzione e aiutò il suo maestro a riporre sulle mensole e sui tavoli quel che avevano portato fuori di bottega per lavorare in piazza. In tre non ci volle più di qualche minuto per ripulire tutti i pennelli e sistemare per bene le boccette coi colori, molti dei quali inutilizzati perché Arianna aveva avuto modo e tempo di schizzare del dipinto appena un abbozzo di prospettiva.
Tommaso prese congedo per andare a preparare il pranzo e Leonardo e la sua allieva rimasero soli.
-Bene, dunque. Vogliamo proseguire?- chiese l’artista alludendo alla tela incompleta che attendeva di essere definita, almeno nel disegno.
Arianna annuì e si adoperò per riprendere la mano. Trascorse una mezz’ora e Arianna aveva solo cominciato a fare dritte le line del palazzo quando Masini avvertì del pasto pronto.
-Va’, io ti raggiungo- disse Leonardo chino a trascrivere qualche appunto sui suoi soliti quadernetti di cuoio.
La ragazza smontò dallo sgabello, si pulì le mani su uno straccetto e salì le scale. Giunta al pianerottolo, l’inconfondibile odorino di verdure cotte e pasta asciutta la travolse come un fiume in piena, ed ella lo seguì sino nella cucina dove trovò ad attenderla il solito tavolino imbandito per tre.
-Conosco quel genere di occhi- disse Tommaso prima che Arianna potesse sedersi a tavola.
La ragazza si paralizzò con la mano a tirare lo schienale della sedia. Guardò il ragazzo seduto lì accanto di fronte al suo piatto. –Li vidi già una volta, in passato- aggiunse Tommaso, come se stesse parlando più a se stesso che ad altri.
Arianna gli sedette affianco con estrema lentezza.
-Quando visitai l’Antica Persia trascorsi qualche tempo ad Atene. La mia voglia di viaggiare e la mia curiosità mi spinsero fin laggiù, in casa di una mia ormai vecchia conoscenza che mi ospitò per quei giorni. Diceva di sapere molte cose sulla cultura greca, e di volermene parlare, ed io, ben lieto di ascoltarlo, lo seguii in un tempio antico e sperduto in mezzo alle montagne. In quel luogo di culto per gli Dèi e di pensiero per gli uomini, egli m’istruì all’arte delle scienze oscure, mostrandomi il sentiero della magia e della profezia- s’interruppe per volgere un’occhiata alla ragazza che gli sedeva accanto.
Arianna assaggiò un primo boccone. –Dev’essere stata un’esperienza fantastica…- declinò l’argomento. Chissà dove voleva andare a parare Tommaso con quel discorso.
Masini guardò fuori dalla finestra della stanzina. -Su un mosaico molto bello in una delle camere del tempio conobbi il volto di una donna, Cassandra. Sul suo viso pallido, tra i tanti capelli di fuoco, aveva occhi di ghiaccio decorati con preziosissime pietre. Un colore unico che sembrava aver luce propria in tutta la stanza, ma allo stesso tempo tanto bui e profondi da perdervisi-.
Ad interrompere quel racconto fu la comparsa di Leonardo, che sedé a tavola cominciando con Zoroastro una discussione che toccava tutt’altri argomenti.
Arianna finì il pasto e chiese di potersi avviare di sotto precedendo il suo maestro. Questi acconsentì e la ragazza filò in bottega gettandosi a capofitto sul quadro da ultimare.
Ogni tanto lanciava qualche occhiata al lenzuolo bianco vicino le gambe del tavolo, là dove sapeva esserci il dipinto d’Angelo che suo padre non le avrebbe mai permesso di finire.
Eppure Arianna si costrinse a concludere il più in fretta possibile questa e quell’opera, perché presto o tardi veniva il momento di scoprire se anche certe fantasie ad occhi aperti avevano la stessa valenza dei sogni.

Il giorno che venne era l’otto aprile, e il sole si nascondeva pigro dietro qualche nuvola di poco conto. Soffiava una brezza fresca, e meno male, pensavano molti, o la giornata avrebbe toccato il torrido sul mezzogiorno.
Nessuno venne a svegliarla prima della tarda mattinata e Arianna, troppo stanca per accorgersene, dormì fino a quell’ora. Aprendo gli occhi si maledisse per tanta sbadataggine. Si vestì e si pettinò da sola di gran fretta. Uscì dalla stanza e corse giù dalle scale. Stava quasi per prendere i libri che lasciava sempre pronti all’ingresso, quando si sentì chiamare dalla sala da pranzo, sulla destra.
-Arianna!- fece eco Cosimo.
Alla tavola non trovò nessuno dei suoi parenti abituali a parte Alessandra e i fratelli maggiori.
-Dove sono tutti?- domandò sconcertata entrando in sala.
Alessandra si strinse nelle spalle masticando la sua fetta biscottata, e passò la domanda a Francesco. Questi si schiarì la gola. –Siediti- disse.
Arianna scosse la testa. –Sono in ritardo, non…-.
-Siediti- insisté severo Francesco.
-Va bene…- mormorò Arianna, dubbiosa. Prese posto accanto alla sorella e tacque.
-Bianca è a palazzo dai nostri zii, ed è loro ospite fino a sta sera. Vieri e Francesco non ne ho idea e non m’importa saperlo. Guglielmo è stato chiamato a Palazzo della Signoria per… testimoniare ad un processo, credo, vabbe’- tagliò Francesco.
Arianna sgranò gli occhi. –Un processo?- domandò in un sussurro. –Che genere di processo?…-.
-Non so dire di più, mi spiace. Comunque… Nostro padre ha insistito per lasciarti a riposo, o a quest’ora saresti a “Palazzo Medici” come al solito- sottolineò.
Francesco e Cosimo sapevano dove la ragazza prendeva realmente lezioni. Mentre Alessandra, la rana dalla bocca larga, era meglio tenerla all’oscuro di tutto.
-Capisco…- Arianna era tutt’altro luogo con la testa.
Mangiò rapidamente qualcosa che gettò nello stomaco di malavoglia. I libri da portare con sé a lezione erano al suo fianco sul tavolo. Arianna ne fissava la copertina masticando una volta ogni dieci secondi buoni.
Un processo… un’accusa… degli imputati… Si ripeteva, sentendosi il cuore batterle lento ma fortissimo in petto.
Distolse gli occhi dalla tavola per guardare fuori dalle vetrate. In strada, dove il trambusto cittadino era il solito, si stagliava una cupa giornata, rara di quella stagione.
La ragazza scattò in piedi d’un tratto, lasciando Alessandra e i due fratelli maggiori l’uno più esterrefatto dell’altro.
-Io… ho bisogno di muovermi un po’- disse la Pazzi portando con sé i libri che mise sottobraccio. –Credo che andrò dai nostri zii per fare lezione- spiegò.
Francesco si alzò a sua volta e le andò incontro, seguendola fino alle porte del palazzo.
-Mi spiace, sorellina, ma ti conosco troppo bene per sapere che stai dicendo sul serio- proruppe con una nota amara nel tono. La fece voltare afferrandola per un gomito. –Che cosa hai in mente?- domandò severo senza farsi sentire dalle guardie che li osservavano nel salone d’ingresso.
Arianna aggrottò la fronte. –Nulla che possa turbarti-.
-A me no di sicuro, ma a Bianca e Guglielmo sì quando lo verranno a sapere- sibilò lui. –Quest’ultimo ha ordinato che tu restassi qui- sottinse.
-Perché?!- digrignò la sorella.
-Non lo so, ma non puoi disobbedirgli. Immagina le conseguenze-.
Arianna si divincolò con uno strattone. Fulminò il fratello con un’occhiata gelida e si avviò a grandi passi misurati e veloci oltre la soglia, fino in strada. Poi, girato l’angolo, Francesco la perse di vista e pregò semplicemente che non si mettesse nei guai.

Arianna strinse con più forza i libri al petto quando, entrata in bottega, aveva trovato la porta aperta e gran parte della mobilia sotto sopra, tra tele bianche e pennelli sparsi sul pavimento. Qualcuno doveva aver fatto un bel macello là dentro, si disse tremando tutta quanta per lo sconforto.
-Leonardo!- chiamò muovendo un passettino avanti. –Tommaso!- tentò anche, guardando su per le scale, ferma in mezzo alla confusione.
Li hanno portati via…
Arianna lasciò cadere i libri per terra e corse fuori dalla bottega. Una volta in strada, non badò alla gente che aveva sul suo cammino scostandola con sgarbo e disperazione. Giunse in Piazza della Signoria che dal tetto di nuvole sopra la città si espanse il ruggito di un tuono.
Prima di avvicinarsi al palazzo, però, tentò un ultimo spiraglio di speranza e si diresse verso la casa paterna di Leonardo.
Bussò tante volte, sempre più forte, fin quando ad aprire non fu Lucilla.
-Madonna Arianna- fece stupita.
-Leonardo è qui?!- chiese direttamente la ragazza. I polmoni in petto le esplodevano, il cuore batteva così forte da far male.
Lucilla scosse la testa. –No, ma vi prego, tra poco verrà a piovere, entrate pur…-.
La donna non aveva fatto in tempo a finire che Arianna era già corsa via.
Uscì da via de’ Gondi e giunse sull’ingresso posteriore del Palazzo, ove solo un’arcata in pietra e dei battenti sempre aperti la dividevano dal compimento dei suoi timori.
Fece per superare quell’ingresso, ma due guardie, alle quali non aveva fatto proprio caso, l’afferrarono per le spalle tirandola indietro con sgarbo.
-Voi…- Arianna, riassestatosi sulle gambe e mosso un passo indietro, riconobbe il bruto e il generale che il giorno prima l’avevano infastidita in Piazza mentre dipingeva.
-Fila via, ragazzina- proruppe quello.
-Fatemi passare!- sbottò lei. –Sono la figlia di Guglielmo de’ Pazzi!-.
-Sì, certo, ed io il Principe di Francia- rise il bruto, tutto infagottato nella sua armatura lucente. La scure in mano non era mai parsa così minacciosa fino ad allora.
-Guarda che ci ricordiamo di te, pittrice!- ridacchiò il soldato agile.
Arianna non insisté oltre, piuttosto serrò i pugni. –Ve lo chiedo un’ultima volta… fatemi passare!-.
-Attenta a come parli, o dentro ti ci portiamo noi, ma in catene!- ruggì il bruto.
Arianna scattò in avanti fulminea e riuscì ad eluderli entrambi, troppo lenti per afferrarla in tempo con quelle armature indosso.
Scattò di corsa nel corridoio e arrivò nel salone colonnato che si diramava per i vari piani del palazzo giudiziario. Guardandosi attorno, sentì i richiami delle guardie alle sue spalle ordinarle di fermarsi, ma ella fece tutt’altro.
Salì una prima rampa di scale e, mossa dalla disperazione, mise parecchi metri tra lei e i suoi inseguitori armati.
In breve tutto il Palazzo si allertò di una presenza intrusa, ed Arianna poté definirsi la donna più ricercata di Firenze nell’arco di pochi minuti.
Traversava col fiato corto un lungo corridoio in marmo e mattoni, con quadri alle pareti e affreschi sul soffitto, quando, superato l’ingresso di una sala adiacente, udì delle voci.
-Bartolomeo di Pasquino, siete accusato di violenza verso Jacopo Saltarelli. Cosa avete da dire a vostra discolpa?-.
Si fermò a riprendere fiato dietro una colonna del portico e, nascosta nell’ombra dello stipite, si vide passare davanti un drappello di guardie.
Uno dei due battenti di sala era leggermente socchiuso, ed ecco perché le voci arrivavano così chiaramente.
Chiunque fosse l’inquisito, non rispose alla domanda e il silenzio regnò per qualche secondo. Poi il giudici riprese parola.
-Leonardo…- pronunciò egli.
Arianna s’irrigidì.
-Leonardo Tornabuoni- disse invece l’inquisitore. –Siete accusato di violenza verso Jacopo Saltarelli. Cosa avete da dire a vostra discolpa?- chiese ugualmente.
Leonardo Tornabuoni? Di Lucrezia Tornabuoni?! La madre di Lorenzo mio zio?! Oh Dio… sotto accusa?! Aspetta un attimo… ha detto… “violenza”?…
Il sollievo cedé il posto allo smarrimento.
Il giovane accusato parlò con voce troppo bassa perché Arianna riuscisse a sentirlo.
-Dite?- esultò il giudice. -La legge e la fede condannano al rogo tale arroganza. L’intervento dei vostri famigli è stato richiesto, ma possiamo offrirvi solo la protezione di Guglielmo de’ Pazzi, Priore di Libertà. Egli garantirà per voi, per Ser Leonardo da Vinci e per messer Masini Tommaso-.
Leonardo… Arianna sgranò gli occhi. E’ davvero lì dentro! E c’è anche Tommaso! Cristo, aiutali…
La ragazza si tratteneva a stento dall’irrompere in sala e chiedere cosa stesse succedendo. Suo padre avrebbe testimoniato per difendere un membro della famiglia acquisita da quali accuse? Era sempre più disperata, confusa, impaurita. E il fatto che dovesse stare lì ad ascoltare, senza neppure riuscire a guardare all’interno oltre uno spiraglio di porta, la innervosiva parecchio.
-Non vi sono prove che confermino l’implicazione di messer Tornabuoni nella vicenda- proruppe la voce Guglielmo. –La corte risale a suo nome solo attraverso una rete di contatti che implica egli e l’artista, per mero caso!-.
-Errate: la lettera anonima consegnata stamani alla giuria conferma e menziona ciascuno degli imputati- contraddisse il giudice. –Loro tutti sono qui oggi e loro tutti si conoscono. Non è un caso-.
-Perché non chiedete a Jacopo Saltarelli, dunque, se a lui davvero è stata inferta quella che nella lettera è detta come “violenza”- sottolineò Guglielmo de’ Pazzi.
-Intervenite in difesa, ma non vi è permesso di accusare, ser. State al vostro posto- sentenziò il giudice. –Se non verranno presentate delle prove che scongiurino questi poveri Cristi dall’accusa loro inferta, ‘sta notte patiranno tutti quanti sul rogo!-.
-Blasfemia! Brucereste un membro della famiglia che voi stesso servite, Umberto!-.
Umberto Alberti… avrei dovuto immaginarlo! Mio padre si lamentava spesso a tavola di lui… sempre ad intralciarlo con caparbia e senza motivo, anche quando sa d’aver torto! Devo fare qualcosa, ma non so nemmeno di che accusa si tratta… potrei scagionare Leonardo testimoniando che era con me in bottega, durante l’accaduto. Non può farlo Tommaso perché anch’egli è sotto accusa e nessuno gli crederebbe…
-Tacete, o la vostra insolenza accompagnerà le fiamme di questi eretici malati!-.
Arianna catturò tutto il coraggio che aveva in sé e si accostò alla porta. Riuscì ad aprirla abbastanza per passare senza farsi sentire, e la sentenza proseguiva mentre lei si andava a nascondere dietro una delle statue in marmo della sala.
I quattro imputati erano in piedi, con le mani legate dietro la schiena, davanti ai seggi di quella che doveva essere la giuria, composta di undici membri. Tra tutti stava più in alto e nel centro il temuto Umberto Alberti, Gran Gonfaloniere, che Arianna riconobbe subito.
Leonardo e Tommaso erano i due accusati sulla sinistra, quest’ultimo esternamente rispetto al tappeto che, dall’ingresso ai seggi della giuria, percorreva tutto il salone per dritto.
Ai lati della camera c’erano ampie vetrate e due lunghi tavoli con molti posti vuoti. Quei pochi seduti ai posti pieni, tra cui Guglielmo de’ Pazzi, dovevano essere i testimoni. Assieme a lui vi erano altri importanti politici e funzionari di cui lui stesso si circondava in quei casi.
Presenziava anche l’arcivescovo di Firenze assieme a qualche sottodelegato cattolico.
Il povero Saltarelli Jacopo era un gradino più in basso rispetto al seggio di Umberto. In tutta la piccolezza e gracilità del suo corpo, a testa china ed occhi sgranati, si rifiutava di intervenire o anche solo guardare alla sentenza, limitandosi ad ascoltare come un fantasma.
-Se questo è tutto, io e i delegati discuteremo delle prove e sanciremo il verdetto- proruppe Umberto alzandosi dal seggio. I dieci alle sue spalle lo imitarono, e in un chiacchiericcio soffuso si ritirarono in una saletta adiacente della quale vennero chiusi i battenti, poi sorvegliati da ben tre alabardieri.
Arianna si guardò attorno e notò solo allora le guardie sparpagliate un po’ per tutta la sala. Fortunatamente non ve n’era nessuna che, da ferma e rigidamente composta, potesse vederla nascosta dietro la statua.
Per la sala, in quegli interminabili minuti di attesa, si diffuse un eco di voci tra i delegati e i testimoni. Gli imputati, invece, erano immobili come forme di cera e si scambiavano un’occhiata disperata di tanto in tanto.
La ragazza si morse un labbro. Dannazione! Ma di cosa sono accusati, si può sapere?! E quanto è grave la violenza di cui parlano?! Legge? Fede?! Sto impazzendo, devo fare qualcosa! Subito! Prima che sia troppo tardi…
Guardò Guglielmo e lo vide tirato come una molla, seduto anche troppo composto con le braccia lungo i fianchi e le mani giunte in grembo. Lui e i suoi funzionari attorno si scambiarono qualche parola, ma la ragazza impiegò poco per distogliere lo sguardo. Tutto ciò che giungeva alle sue orecchie erano confusi mormorii, e questi non aiutavano certo a dissimulare l’ansia che le squarciava il petto.
Arianna non ebbe occhi che per il suo maestro, in fila di fronte ai seggi vuoti dei giudici.
Lui e Tommaso si guardarono mormorandosi qualcosa, ma Arianna era troppo lontana per udirli. Poi, a sorpresa, Leonardo si guardò attorno fingendo un gesto del tutto casuale e la vide.
Arianna s’irrigidì, ma non fece nulla per sottrarsi allo sguardo severo e stupito del suo maestro.
Entrambi a modo loro, Leonardo e Arianna tesi come corde di violino, si chiedevano l’un l’altro: “Che cosa ci fai qui?!”
Il cuore le batteva sempre più forte in petto, l’ansia cresceva, e così la paura a differenza di Leonardo, che sembrava arrabbiato con lei e irato della fastidiosa situazione, più che altro.
I giudici rientrarono in sala e li guidava Umberto, la cui comparsa scaturì il silenzio assoluto. Ripresero posto sui seggi e, non appena tutti tacquero, il Gonfaloniere prese parola distintamente.
-Firenze e il Signore così hanno parlato: gli imputati sono dichiarati colpevoli e condannati all’impiccagione. Il processo si terrà pubblicamente domani in Piazza della Signoria e…-.
-Aspettate!-.
Tutti i presenti si voltarono, ma gli imputati prima di altri.
La ragazza era saltata fuori dal suo nascondiglio muovendo due timidi passi sul tappeto che conduceva sino ai piedi dei giurati. Respirava a fatica vedendosi mangiare da tutta quella gente che improvvisamente guardava lei e lei soltanto.
Guglielmo scattò in piedi come una molla, mentre le guardie attorno stringevano il cerchio venendole incontro.
-S’azzardi il Diavolo ad intromettersi a Giudizio Divino! Guardie, arrestate costei!- proruppe Umberto indignato, puntandole un dito contro.
-Signore- intervenne Guglielmo, ma due armati erano già riusciti a prenderla per le braccia.
Arianna tentò di divincolarsi, ma la sua gracile forza femminile era nulla in confronto ai due soldati. –Aspettate, fermi! Dev’esserci uno sbaglio! Non potete condannare quegli uomini!- quasi piangeva, venendo strattonata dalle guardie.
Umberto, nel frattempo, si voltò scosso verso il padre della ragazza. –La conoscete?-.
Molti dei funzionari attorno a Guglielmo si alzarono in quel preciso istante. –Sì, signor Gonfaloniere. È mia figlia Arianna- disse fingendo una neutrale tranquillità.
-Sentito?! Lasciatemi!- comandò la giovane Pazzi con i denti stretti, rivolgendosi ai soldati.
I due non se lo fecero ripetere e le liberarono i gomiti. Arianna mosse alcuni passi avanti per precauzione. –Di qualsiasi misfatto siano accusati, dove sono le prove?! Tirate fuori le prove, forza!- strillò la ragazza.
-Il vostro intervento non è richiesto, madonna! Non fate parte di questa corte e non vi è permesso partecipare alla sentenza. Devo chiedervi di lasciare il Palazzo. Ora- comandò Umberto.
-Io…- esitò. –Io posso testimoniare a loro difesa!- disse in fine, con grande clamore e sorpresa dei presenti tutti.
Leonardo scambiò un’occhiata eloquente con la ragazza, che però fece di tutto per ignorarlo. Tommaso, al fianco dell’artista, spostò il peso sull’altra gamba e scosse la testa mormorando sotto voce: -Oh Signore! Salvaci tu…-.
Umberto guardò prima lei poi Guglielmo. –Devo lasciarla parlare?- chiese.
Messer de’ Pazzi spostò la sua attenzione sulla figlia, fulminandola con un’occhiataccia. –Non dovrebbe nemmeno essere qui- sibilò egli.
-Dunque- Alberti si schiarì la gola. –Diteci pure, madonna- le concesse, ma le sue reali intenzioni non erano altro che beffarsi della figlia di Guglielmo fin quando ne aveva l’occasione.
Arianna si sentì gelare il sangue quando si accorse che così come tutta la corte di giustizia, anche Tommaso e Leonardo aspettavano da lei di avere risposte.
E ora che m’invento? Si chiese lei con vergogna infinita.
Guglielmo, prendendo le difese della figlia, spezzò il silenzio e disse: -La lettera anonima denuncia l’accaduto cinque sere fa. Puoi provare che in questa data uno degli accusati era altrove?- chiese garbatamente, suggerendole già quale congiurato intendeva difendere.
Arianna guardò Leonardo, ma contemporaneamente pensò che una confessione del genere avrebbe compromesso l’integrità del suo tirocinio, mandando all’aria tutti i piani segreti a Bianca.
No, doveva trovare un’altra strada.
-Sapete almeno di cosa sono accusati costoro?- domandò l’arcivescovo circondato dai suoi religiosi.
Arianna fu colta in fragrante là dove non aveva difesa alcuna. Scosse la testa.
-Sodomia- eruppe uno dei dieci giurati alle spalle di Umberto. –Consumata verso il diciassettenne Jacopo Saltarelli- indicò il ragazzo accanto ad Alberti.
Arianna non riuscì a credere a tali parole, e divenne un tutt’uno col colore del pavimento di marmo. Restò allungo a bocca aperta fissando il vuoto creatosi davanti ai suoi occhi.
Non solo un’altra delle sue “fantasie” si era avverata, non solo i dialoghi combaciavano ancora una volta, ma ora ci si metteva anche questa.
…Sodomia?
Guardò il suo maestro in mezzo agli accusati e ne incrociò lo sguardo colpevole e dispiaciuto assieme. Ma in esso Arianna colse una nota di ingiustizia e disperazione che non riuscì certo ad ignorare.
-Allora,- ridacchiò Umberto, –mi sembra di capire che non possedete le conoscenze dette di avere- quanto si divertiva nel vedere strisciare i membri della famiglia rivale.
Arianna guardò prima lui, poi suo padre Guglielmo, rigido come una statua in mezzo ai suoi funzionari, e in fine Leonardo.
Se gli imputati erano accusati di atti omosessuali, Arianna aveva da tempo già trovato il modo per dimostrare la falsità di tale accusa. Avrebbe voluto solo avere più tempo, e doverlo fare in un altro modo. –Aspettate…- mormorò flebilmente la giovane artista.
Tommaso accanto a Leonardo sembrò irrigidirsi non appena gli occhi della ragazza incrociarono un attimo i suoi.
-Bene, dunque è deciso. Guardie, portateli via…- blaterò Alberti alludendo agli imputati.
La corte tutta stava per alzarsi e andarsene, ignorando la voce della ragazza.
-Ho detto aspettate- ripeté lei nel panico, guardando come le guardie afferravano i colpevoli uno alla volta trascinandoli, se necessario di peso, verso l’ingresso alle spalle della ragazza.
Arianna si vide passare accanto tutti gli incriminati, anche Zoroastro e il suo maestro. Quando quest’ultimo le fu abbastanza vicino, Arianna raccolse ancora il coraggio perduto.
-HO DETTO ASPETTATE!- gridò.
Guglielmo per primo mantenne il perenne mutismo, succeduto da Umberto che sembrava più che altro infastidito.
-Posso farlo. Posso provare l’assurdità di tali accuse- formulò la giovane dama incrociando direttamente l’occhiata burbera del Gonfaloniere.
Bravo a fingere interesse, Umberto si rimise a sedere. –E in che modo?! Avete detto di non avere prove con voi! Non vi saranno mica comparsi tra le mani i documenti di un matrimonio!- se la rise, e con lui i dieci giurati.
Guglielmo, circondato dei suoi funzionari politici che tenevano il silenzio come cadaveri, aveva assunto un colorito forse più pallido, e l’autorità in suo viso lasciava spazio al timore.
Arianna scosse la testa indietreggiando di un passo, trovandosi così nemmeno ad un metro di distanza dal suo maestro, controllato da una guardia.
-Non farlo…- sussurrò Leonardo da dietro di lei. Più che una supplica, pareva un suggerimento, una precarietà, e forse, una taciturna richiesta.
Questi uomini sono innocenti, lo so per certo... posso provarlo e per farlo i documenti non mi serviranno… La ragazza non lo ascoltò nemmeno e, dandogli le spalle, continuò a guardare la giuria con odio e determinazione.
Almeno spero…
Si volse, chiuse gli occhi e baciò Leonardo.










Angolo d’Autrice:
CALMAAAAAAA! XD
Un pensiero alla volta, non uccidetemi tutti insieme, grazie, ma prendete il tikket numerato all’ingresso U.U
Allora… tutte le spiegazioni nel prossimo capitolo, tra cui il fatto dell’accusa… per il resto, vi basti sapere che Arianna l’ha fatto solo per provare innocentemente che Leonardo non era gay, cosa che non credeva essere vera e avrebbe smentito in qualsiasi modo. Sappiate che questa vicenda è la prima delle tante “gocce del vaso” che… traboccherà?
Ringrazio renault, lullacullen, goku94 ed Elkade (che mi uccideranno dopo aver letto questo capitolo!) Eh, però, se proprio devo morire… lascio in eredità i 10 capitoli già pronti a… Finger, il mio gatto! XD
Ma tornando seri. Mi serve sapere da voi se, dopo la consultazione di questo capitolo, la storia debba o meno aumentare di rating. Sì, insomma, da oggi in avanti si intravedranno certe sottintese sfumature di una possibile “storiella” tra Leonardo e Tommaso Masini, perciò, non se se… da giallo possa essere necessario spostarla ad arancione. O.o Chiedo onestamente il vostro parer, allegando naturalmente un piccolo spoiler del prossimo post. U.U Grazie dell’attenzione.

“-La giuria ritira l’accusa- sentenziò Umberto.
-Bene! E ora levatevi dai piedi, dannazione- aggiunse il Magnifico massaggiandosi le tempie. –Questo maledetto mal di testa mi sta uccidendo…-.
Così si spiega tutto!… pensò Arianna con un leggero sarcasmo.
[…]
-Posso dirti una cosa e poi darti un consiglio?- pronunciò Tommaso, d’un tratto più serio e risoluto.
Leonardo fece un’altra smorfia incamminandosi. –Conoscendoti vorrei non ascoltare nessuna delle due, ma vabbe’… avanti, parla-.
[…]
-Cosa devo fare per levarti quel grugno geloso dalla faccia?- rise l’inventore.
Tommaso inarcò un sopracciglio interessato. –Qualcosa ci sarebbe…- assentì vagamente, e salì le scale fischiettando.”

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Gelosia ***


Gelosia



Un eco di voci si levò tutt’attorno a lei, le cui labbra erano appena posate, come una carezza, su quelle del nobile artista fiorentino. Ne avvertiva a malapena la morbidezza per quanto delicato era il contatto che, nonostante il gesto inaspettato, Leonardo aveva accolto come ultimo barlume di salvezza.
Tommaso Masini, alle spalle dell’amico, s’irrigidì a quella vista e distolse lo sguardo pensando che un simile atto avrebbe potuto certo risparmiarselo.
Umberto Alberti, dall’alto del suo seggio di gran Gonfaloniere, scrutò allungo, stupito e interessato, quel farsi silenzioso, mentre intorno a lui il coro di voci, bisbigli e commenti aumentava d’intensità man a mano che lo scorrere del tempo scandiva la mattina.
Gli altri accusati si scambiarono una complice occhiata. Il Tornabuoni guardò il di Pasquino alzando le spalle, e quell’altro mimò con la bocca di saperne altrettanto.
La storia avrebbe fatto scalpore, pensavano gli altri in sala. Quattro accusati di sodomia omosessuale scampano alla legge grazie al mostrato amore di una giovane fanciulla.
Anzi.
Non una qualsiasi giovane fanciulla.
Ma la conosciuta Arianna de’ Pazzi.
Qualcuno mi ucciderà per questo… pensò Arianna interrompendo il bacio. E se non Bianca, ‘sta volta sarà Guglielmo a farlo…
Infatti Arianna avrebbe voluto voltarsi e guardare suo padre come non aveva mai fatto. Ma ancor prima che potesse stanziarsi abbastanza dal suo maestro per tornare sui suoi passi, questi la baciò a sua volta, ancora, senza lasciarle modo di riprendere fiato.
Arianna avvertì quel nodo alla bocca dello stomaco non appena, ad occhi ancora chiusi, si rese conto di quel che stava succedendo.
Leonardo era tornato sulle labbra di lei premendole con quella disperazione che gli era facile leggere in volto da una così intima distanza. Ad Arianna sembrò come se stesse per piangere, sopraffatto da un dolore che la ragazza non riuscì certo a comprendere, nella più totale sorpresa. Leonardo quasi tremava. Il respiro spezzato dall’agitazione che gli riempiva il cuore. E la sua allieva non era da meno.
-Basta, è più che sufficiente!- eruppe Guglielmo accompagnato dallo stupore dei presenti.
Arianna, costretta ad interrompere lì il bacio, si volse con le labbra ancora arrossate e guardò il padre, che mirava la figlia con la fronte corrugata e i pugni stretti. Gli occhi pieni di disprezzo, indignazione, collera e quant’altro indugiarono allungo su di lei, ed Arianna si sentì venir meno.
Non trovando il coraggio di girarsi e di guardare in faccia l’uomo che aveva baciato, s’immaginò a stento con chissà quale espressione in viso lo aveva lasciato.
Che cosa ho fatto?…
Questa volta la disperazione s’impadronì di lei. Conscia che la sua vita sociale giungeva ad un punto morto, precipitava in un baratro di esilio ed umiliazione. Non c’era posto per il rossore sulle guance, no… quello era svanito da tempo, lasciando spazio al bianco latteo di una pelle tirata e nervosa. Il peso della condanna gravò su di lei, e se ne sentì schiacciare non riuscendo a sollevarsi.
Se un attimo prima aveva creduto che fosse Leonardo a stare per piangere, ora era lei quella sull’orlo delle lacrime.
-Credete davvero che una simile dimostrazione di… coraggio possa valere come prova?!- sbottò Umberto contro il politico.
-Be’ almeno è una prova!- infierì Tommaso.
-Non v’è data la parola, a voi!- tagliò Alberti azzittendo il Masini.
-Signori, per favore!- s’intromise il religioso. –Dinnanzi all’amore, anche il Signore allarga le braccia- disse.
-Ma che sciocchezze, non vedete che finge?!- legnò qualcuno.
-Assurdità, son pazzi l’uno dell’altra! Pertanto quell’uomo non può essere accusato di tali gravosità!- fece un altro.
-Assoldiamoli tutti!- suggerirono altri ancora.
La confusione fu tale che Arianna non riuscì nemmeno a sentire battere il suo cuore. Inoltre cominciava a mancarle l’aria per respirare.
Perfetto! Ho solo peggiorato la situazione!
-SILENZIO!-.
Tutti tacquero.
Sull’ingresso della sala era apparso il Magnifico Lorenzo de’ Medici, scortato dalle sue guardie e vestito come un re. I soldati si disposero lungo il tappeto che traversava la sala. Il cammino venne sgombrato degli accusati e di Arianna, che si spostarono su un lato di esso.
Dopo un lasso di tempo che parve un’eternità, Lorenzo avanzò nel salone con sua moglie Clarice a braccetto.
Durante l’avvicinarsi del Signore di Firenze verso i seggi, non si udiva un sibilo, un sussulto, un bisbiglio solamente. Il mondo sembrava tacere umile al suo cospetto.
Umberto si alzò e con lui tutti i dieci, che rappresentavano solo una parte di quello che era il Reale Consiglio dei Cento di Firenze.
-Mio Signore, la vostra casuale presenza ci onora-.
-Per così poco conto, s’andava ad ammazzare il nipote di mia madre- fece indignato il Magnifico. I suoi occhi scuri si posarono prima sul Gonfaloniere, poi su Leonardo Tornabuoni, ancora tra le grinfie degli armati e con le mani legate. –Liberatelo, di grazia- sentenziò amaro. –Non crederete mica che scappi come una bestia!-.
-Giammai- Umberto s’inchinò.
Leonardo Tornabuoni venne spogliato delle catene che gli legavano le braccia e così tutti i restanti accusati. Leonardo da Vinci si massaggiò i polsi tenendo gli occhi bassi e alcune ciocche di capelli a coprirglieli, Tommaso lo sbirciò un istante prima di lanciare un’occhiata ad Arianna.
La ragazza era rigida come fosse parte della mobilia.
-Appena informato, ho lasciato il Palazzo a mia sorella- disse Lorenzo volgendo ora uno sguardo al politico Guglielmo, poco sulla sinistra.
Questi taceva in rispettoso silenzio assieme ai funzionari in cerchio a lui, ma un acuto osservatore come Lorenzo captava il suo nervoso adirato anche da lontano, eppure sembrò non curarsene. –Mia moglie- sollevò la mano di Clarice posata sulla sua, -era da queste parti e ha voluto accompagnarmi, dopo avermi informata- esplicò. –La mia visita, Umberto, non è casuale- sottolineò.
-Ben venga, mio Signore, ben venga- ne convenne Umberto, viscido.
-Di cosa sono accusati costoro, esattamente?- domandò Lorenzo guardandosi attorno.
Il Magnifico scrutò con severità uno ad uno i volti dei condannati, almeno fin quando non incontrò gli azzurrissimi occhi della timorosa Arianna. Allora inarcò un sopracciglio, ma lasciò parlare chi doveva.
-Sodomia, mio Signore- spiegò Umberto. –Il povero Jacopo Saltarelli è la vittima- disse indicando il gracile ragazzo con un gesto del braccio.
-E cos’erano tutte quelle grida, allora?- chiese adirato il Principe di Firenze.
Umberto cercò il sostegno dei suoi dieci, ed uno di questi parlò per lui.
-La ragazza- indicò Arianna, –ha con sé delle prove che scongiurano gli imputati, mio Signore-.
La Pazzi s’irrigidì, pronta a sentirsi pungere ancora dagli occhi di Lorenzo, che però, non volgendosi, preferì apprendere il detto. –Dunque, intendete star qui a parlamentare ancora allungo? È una mattina intera che private la gente dei suoi artisti e politici migliori per simili chiacchiere. Arrecate così danno alla vigilia della primavera che festeggia tanti bravi talentuosi! Ritengo il vostro comportamento inaccettabile, Umberto-.
-Chiedo venia, Magnifico-.
-Liberateli, liberateli tutti. Posso ben immaginare di che prove si trattino…- borbottò apatico Lorenzo.
-Avete sentito?- sbottò Umberto rivolto alle guardie accanto agli imputati. I soldati sobbalzarono stanziandosi dagli accusati.
-Vieni qua- ordinò Guglielmo alla figlia mimandole il comando con le labbra.
Arianna chinò la testa e a piccoli passi frettolosi si affiancò al padre, circondata poi dei suoi funzionari.
-La seduta è sciolta- annunciò Lorenzo. –Ritirate le accuse, Umberto, e non saremo costretti a ripetere questa fanfara un’altra volta- pronunciò pungente.
-La giuria ritira l’accusa- sentenziò Umberto.
-Bene! E ora levatevi dai piedi, dannazione- aggiunse il Magnifico massaggiandosi le tempie. –Questo maledetto mal di testa mi sta uccidendo…-.
Così si spiega tutto!… pensò Arianna con un leggero sarcasmo.

La sala si svuotò nell’arco di pochi silenziosi minuti.
Prima degli altri sparirono i funzionari della difesa e la giuria, in fine anche gli imputati lasciarono Palazzo della Signoria dall’ingresso principale.
Arianna aveva affiancato suo padre durante tutta la traversata del salone e, muta come una tomba, l’aveva seguito fino in piazza, e poi dritti a casa, sicuramente.
Leonardo guardò i due allontanarsi per una via trafficata di gente, mentre il campanile del Palazzo di Giustizia annunciava il mezzogiorno.
Tommaso era accanto a lui e si massaggiava i polsi. –Non era necessario- borbottò.
Leonardo gonfiò il petto, riuscendo quasi a sentire ancora la morbidezza delle labbra di Ariana sulle proprie, che sfiorò con due dita. -No, infatti- ammise l’artista con una smorfia. –Ma non è finita qui- disse incamminandosi.
L’amico gli andò dietro. –Perché dici questo?- chiese confuso.
-Conoscendo la giustizia che vigila questa città, presto o tardi quella sala si riempirà di nuovo. E sta volta non basterà il bacio di una dama a salvarci le chiappe-.
-Avanti, Leonardo! Sei ancora convinto che sia stata Arianna a sistemare ogni cosa?! L’hai sentito anche tu il Magnifico, no? Ecco come un mal di testa migliora la giornata…- ridacchiò Tommaso.
-Non si tratta di quello- Leonardo alzò gli occhi al cielo.
-Allora che problemi hai?- domandò Masini parandosi davanti all’amico, con allegria innocente. Vedendo che Leonardo taceva non sapendo cosa e come dirlo, intervenne di nuovo:
-Forza, torniamo a casa- gli disse sereno. –E poi… devo assolutamente farti passare la voglia di metterti nei guai con altri al di fuori di me, altro che!-.
Leonardo incrociò le braccia lasciandosi sfuggire un sorriso. –Credimi, la proposta è allettante: tornei volentieri a casa con te, ma…- s’interruppe distogliendo lo sguardo dal compagno. –Sento che ‘sta volta Arianna non la passerà liscia. Posso solo immaginare in che modo Guglielmo, affiancato da Bianca, la punirà…-.
-Posso dirti una cosa e poi darti un consiglio?- pronunciò Tommaso, d’un tratto più serio e risoluto.
Leonardo fece un’altra smorfia incamminandosi. –Conoscendoti vorrei non ascoltare nessuna delle due, ma vabbe’… avanti, parla-.
Tommaso gli andò dietro. –Come prima cosa, ti preoccupi troppo per quella ragazza. Santo Cielo, non è una bambina! Ha quindici anni, sedici a novembre!-.
-Non sapevo che il suo compleanno fosse a novembre- constatò l’artista stupito.
-Non è questo il punto, e non provare a cambiare argomento!-.
-Non ci sto provando-.
-Smettila, mi fai saltare i nervi quando fai così!-.
-E tu non agitarti, che mi ecciti, dannazione-.
Masini si schiarì la gola. –Buon segno, dunque: vuol dire che sei ancora da questa parte…- mormorò.
-Cosa hai detto?!- Leonardo si volse di colpo.
Tommaso sostenne il suo sguardo duramente. –Insomma, dovresti smetterla di avere tanta premura di lei. Lascia che si faccia le ossa da sola, diamine! La madre la rimprovera?! Ben venga! Il padre la picchia?! Ben venga! Magari tra qualche anno combinerà qualcosa di buono se la raddrizzano in tempo-.
-Sei spregevole- sibilò Leonardo.
-No, sono semplicemente quello con un po’ più di cervello tra i due, a quanto pare!-.
Leonardo riprese ha camminare. –Tu hai un grosso difetto, Tommaso- ridacchiò istericamente.
-Quale?- chiese irato.
-Quando sei geloso, non riesci a nasconderlo- si beffò Leonardo.
Masini sobbalzò. –Io… geloso?!- gli corse incontro. –Ma per piacere! Stai parlando con l’ultima persona al mondo che risente di gelosia!-.
Leonardo non la piantava di ridere.
-Come consiglio, invece… seriamente, Leonardo: se da oggi Guglielmo decidesse di tenere Arianna lontana da te… per qualsiasi strano motivo voglia farlo… tu… prova a dimenticarla. Secondo me quella ragazza ha qualcosa di strano… e… malvagio-.
S’intravedeva l’ingresso della bottega quando Leonardo aggrottò la fronte e si fermò.
-Perché dici ciò?- chiese cupo.
Il ragazzo fece il vago. -Non saprei con esattezza, ma sento che… Arianna non è come le altre ragazze, ecco-.
Leonardo inarcò un sopracciglio. –Adesso chi è che sta passando dall’altra parte?- rise.
Masini gli colpì la spalla. –Smettila! Sono serio!-.
L’artista si massaggiò il punto leso. –E va bene, va bene, ho capito!- sbuffò. –Quanto sei pignola-.
-Ehi, adesso mi dai anche del “femminile”?-.
-Che c’è, non ti piace?-.
-Ovvio che no! O a quest’ora girerei con un bel vestito da dama, che dici?!-.
-Be’ allora sbrigati, finché siamo uomini liberi…- sospirò Leonardo rientrando in bottega.
-Ma guarda che disastro!- disse subito dopo Tommaso. –Ci vorranno anni per mettere apposto tutto quanto…- legnò lui. –Ma la tua apprendista doveva sparire proprio quando c’era bisogno di lei?!- imprecò.
Leonardo era distratto e quasi non faceva caso alle sue parole. Mosse qualche passo in mezzo ai fogli rovesciati, alle pergamene e alle tele sparse sul pavimento potendo ben ricordare come gli ufficiali armati di Firenze erano piombati lì trascinandoli con la forza fuori dalla bottega.
Trovò il ritratto di Ginevra Benci in terra, assieme ad altri dipinti incompleti. Prese il quadro e lo risistemò sul cavalletto che Tommaso aveva issato in piedi poco prima. Sperando che non si fosse rovinato, Leonardo controllò il ritratto alla Benci minuziosamente, poi frugò tra gli altri dipinti.
Tra questi vi era il sogno iniziato da Arianna con la veduta d’uccello del Palazzo della Signoria. Lo afferrò e lo posò sul tavolo vicino con estrema cautela e lentezza.
Tommaso lo sorprese assorto nella contemplazione e si appoggiò col mento sulla spalla dell’artista.
-Brucialo- gli sibilò all’orecchio.
-Piantala- eruppe scontroso Leonardo spostandogli il viso con sgarbo.
Zoroastro indietreggiò e tornò al suo lavoro borbottando qualcosa di inudibile.
Leonardo sistemò una ad una tutte le tele dove era abituato a cercarle ogni volta, e quando fu tempo di prendere e impilare tutti i libri sparsi per terra sugli scaffali, si trovò tra le mani dei volumi che era certo non gli appartenessero. Uno era un quaderno bianco rilegato di pelle rossa, gli altri due erano volumi di greco e latino antico in copertina rigida.
All’artista sfuggì un sorriso al ricordo di Arianna, e capì che la ragazza doveva esserseli dimenticati non la giornata scorsa, bensì poche ore fa, accorgendosi di cosa era successo nella bottega. Poteva immaginare con facilità la sua faccia sconvolta, la stessa che gli aveva veduto in viso quando si era nascosta dietro quella statua classica in Palazzo della Signoria.
-Secondo me l’ha fatto a posta- sibilò Tommaso a voce abbastanza alta perché Leonardo lo sentisse.
-Cosa?- chiese l’artista riponendo i volumi sul tavolo.
-Quelli- Zoroastro indicò i libri. –Secondo me se li è dimenticati qui a posta, così dovrai riportarglieli tu, prima che si faccia viva lei- borbottò. Se avesse voluto essere divertente, ci avrebbe messo più impegno, così Leonardo capì all’istante quanto l’amico fosse ancora turbato dell’accaduto.
-E chi ti dice che non manderanno qualcuno, una guardia per esempio, a riprendere i libri?- ribatté Leonardo con ironia, arrotolando una pergamena e infilandola successivamente tra gli scaffali.
Tommaso sbuffò, ma non aggiunse altro. Piuttosto si caricò tra le braccia una cassa di piccole tele dipinte e l’adagiò sul ripiano di un’impalcatura, in angolo della stanza, assieme ad altre simili.
-Cosa devo fare per levarti quel grugno geloso dalla faccia?- rise l’inventore.
Tommaso inarcò un sopracciglio interessato. –Qualcosa ci sarebbe…- assentì vagamente, e salì le scale fischiettando.
Leonardo alzò gli occhi al cielo e fece un gran sospiro, poi seguì l’amico al piano di sopra, e non li si vide entrambi fino a sera.





Angolo d’Autrice:

Eccovi le spiegazioni che dovevo. <.<
L'8 aprile 1476 venne presentata una denuncia anonima contro diverse persone, tra le quali Leonardo, per sodomia consumata verso il diciassettenne Jacopo Saltarelli. Anche se nella Firenze dell'epoca c'era una certa tolleranza verso l'omosessualità, la pena prevista in questi casi era severissima, addirittura il rogo. ‘Sta cosa sta scritta anche nella scheda di Leonardo da Vinci in Assassin’s Creed II, sotto la voce di “persone” nel database dell’Animus 2.0. L’idea non è uscita fuori da lì, ma l’avevo in testa già parecchio tempo prima. Inizialmente ci avevo pensato di mio, leggendo la mia biografia su Leo e poi approfondendo le ricerche su wikipedia. Ma poi, ricevuta conferma di un certo interessamento all’argomento da parte di Elkade (che ringrazio per le fonti di questo e altro… *muhahahah*) ho voluto coinvolgerci la mia protagonista. Oltre a Leonardo, tra gli altri inquisiti vi erano Bartolomeo di Pasquino e soprattutto Leonardo Tornabuoni, giovane rampollo della potentissima famiglia fiorentina dei Tornabuoni, imparentata con i Medici. Secondo certi studiosi fu proprio il coinvolgimento di quest'ultimo che avrebbe giocato a favore degli accusati. L'accusa sarebbe stata archiviata solo il 7 giugno di quell’anno, e non certo grazie al coraggio di Arianna! XD Ma questo è ancora tutto da vedere.
Per quanto riguarda il bacio… posso assicurarvi che da qui ai prossimi tre capitoli non ci saranno scene più o coinvolgenti quanto questa. La situazione resterà (stranamente) tranquilla per un po’, almeno fin quando Arianna non deciderà di fare una certa cosa che cambierà per sempre la sua e la vita di chi le sta attorno. (E non mi riferisco solo a Leonardo! XD Qui ci va di mezzo anche Ezio!!)
Detto ciò… a voi i commenti. Nel senso…
X renault, wow, hai postato delle one davvero interessanti! Per ora ne ho sfogliata una, la prima, ovvero Anelli, e l’ho trovata molto carina. ^^ Grazie della costanza nel recensire. Lieta che tu ci sia anche in termini di Prototype! XD
X Elkade, sconvolta, eh? Davvero non ti aspettavi che avessi architettato tutto in questo modo?! XD Be’, in effetti nemmeno io me l’aspettavo. L’idea del bacio è una cosa stupida nata sul momento. Arianna, secondo il piano della trama originale, avrebbe dovuto confessare alla corte giudiziaria di Firenze di essere allieva del da Vinci, rovinando per sempre la sua carriera di pittrice al suo fianco. Ma vabbe’, inutili dettagli ormai! XD Perché adesso che sono andata avanti di tot altri capitoli, la trama s’intriga sempre più, marò *w* grazie anche a te per il commento al chap precendete. Spero che lascerai una piccola rece anche a questo ^^ sapere cosa ne pensi in termini ufficiali è sempre utile e bellissimo.
X goku, wuhahahah! XD Noooo! Non ci rimanere di merda, dai! Ma io questa fan fiction, forse non l’ho detto fin ora, ma l’ho tutta dedicata a te e alla nostra passione per Leonardo e il suo mondo! Arianna è un po’ di entrambi, pazza, stupida (questo viene da me! XD) e anche un po’ bambina in certe cose, nonostante sia l’unica vera donna di casa Pazzi dopo Bianca. Grazie per la costanza nel commentare, è bellissimo veder crescere il numero di commenti *w* spero che questo chap non ti abbia lasciato deluso! XD Anzi! Con tanto di spirito di Tommaso, *uhuh* XD Allora a presto ^^
X lullacullen, lieta che tu ci sia sempre e comunque, nonostante il tuo nik name ti catapulti più nella sezione dedicata a twilight. Ti ho aggiunta su msn, ma non ci sei mai come dici! XD Mamma mia, dev’essere dura al linguistico! Se io mi lamento di quattro tavole all’artistico, eppure tempo di stare in chat lo trovo (ogni tanto <.<) vabbò, aspetto il tuo commento. ^^ felicissima che la storia riesca a piacerti nonostante lo schifo iniziale.

Bene, gente, spoiler sul prossimo capitolo:

“-Bianca vuole vederti- disse a sorpresa Guglielmo cominciando a grattare col pennino sulla carta. –Ti attende nel cortile esterno. Ha chiesto di te appena è tornata dal Palazzo di suo fratello, perciò immagino sia urgente. Meglio non farla aspettare- pronunciò serio.
[…]
-Un matrimonio alla fine del mese, e lei se ne va in giro a sbaciucchiare la gente!-.
Arianna si passò le mani in viso, sconcertata.
L’aveva quasi dimenticato.
Mio cugino mi aspetta sull’Altare alla fine del mese… Dio mio…
[…]
Arianna rabbrividì. Proprio là dove due dita di Leonardo le sfioravano la pelle, suo padre aveva inferto un duro colpo al suo corpo e al suo spirito.
-È stata Bianca?- chiese serio Leonardo.
La ragazza scosse la testa. –Se mia madre avesse fatto questo, non farebbe così male…- sussurrò.”




Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Contratto di dolore ***


Contratto di dolore




Nel silenzio del corridoio, Arianna vedeva passare di tanto in tanto una serva con qualche lenzuolo tra le braccia, o una scopa, o dei vestiti puliti. La giovane Pazzi sedeva su una seggiola accanto ad un dipinto, incorniciato sulla parete alle sue spalle. Trascorse del tempo, durante il quale Arianna aspettò fuori dallo studio di casa. Guglielmo e i suoi funzionari politici tenevano una discussione da minuti che erano diventati ben presto un’ora. L’attesa si era fatta lunga e straziante.
Lo studio casalingo di Guglielmo sorgeva in uno dei quattro angoli dell’edificio quadrato, così come molte delle stanze più belle. In realtà non poteva dirsi interamente di suo padre, poiché quel luogo di culto e onore racchiudeva anche una secolare raccolta di manoscritti e dipinti ed era spesso visitato da Jacopo, nonno della ragazza, e dai fratelli minori di Guglielmo. Era un luogo appartato, illuminato da finestre luminose e ornato dei tappeti e dei quadri più pregiati.
Arianna lo ricordava bene dalla prima ed ultima volta che vi aveva messo piede. Era successo per un motivo certamente meno grave di quello che s’andava a discutere quel giorno, ma era riuscita lo stesso a smuovere gli animi di famiglia.
Era stato il suo primo dipinto a portarla lì dentro, oltre quella soglia che ora le veniva vietata con tanta urgenza. Arianna ricordava vagamente chi o cosa avesse disegnato, ma aveva ben chiaro in testa quanto rudimentali fossero le sue capacità pittoriche all’epoca. Se ne stupiva ogni volta mentre sfogliava gli scarabocchi su un quadernetto della sua infanzia, per quanto dalle nozioni di grammatica alle più raccapriccianti immagini di morte e dolore il passo fosse breve.
Adesso, faccia a faccia con la propria vergogna, Arianna attendeva il compiersi del destino, qualunque cosa esso le avesse riservato. Aveva paura, paura di aver deluso a tal punto suo padre perdendo per sempre la fiducia che riponeva in lei. La catena di insulti era senza fine e arrivava con alcun problema fino a Bianca. Dio solo sapeva cosa le avrebbe detto o fatto quella donna…
“Un matrimonio alla fine del mese, e lei se ne va in giro a sbaciucchiare la gente!” avrebbe esultato, col suo solito tono furibondo e indignato.
Arianna si passò le mani in viso, sconcertata.
L’aveva quasi dimenticato.
Mio cugino mi aspetta sull’Altare alla fine del mese… Dio mio… gli occhi erano dilatati dalla paura. Un pensiero tanto raccapricciante le fece vorticare la testa e dovette appoggiarsi meglio allo schienale del seggio per non crollare in avanti.
Passava da quelle parti il giovane Cosimo de’ Pazzi, apparentemente per casualità, ma puntò spedito e con piccoli passi misurati verso la sorella.
Arianna lo guardò ammutolita, volendo chiedergli cosa ci facesse lì e perché era venuto a cercarla, ma Cosimo, dopo essersi guardato attorno circospetto, parlò per primo.
-Le voci hanno gambe veloci- sussurrò lui chinandosi sulle ginocchia e appoggiandosi coi gomiti al bracciale della sedia sulla quale Arianna era comoda (per intendersi).
La ragazza s’incupì ma non disse nulla.
-Il Saltarelli lo conosco- aggiunse lui. –Un caro ragazzo, ma se l’è indubbiamente cercata-.
Arianna sgranò gli occhi. –Ma come?!- sibilò. –L’accusa è vera?!-.
-Certo- rispose Cosimo come fosse ovvio. –Che credevi, scusa?- domandò serio notando lo stupore in volto alla sorella.
Quella tacque, e nello stesso istante le porte dello studio di famiglia si aprirono.
Nel religioso silenzio che andò a crearsi per il corridoio, Cosimo tornò retto in piedi e fuggì via prima d’esser visto. Sulla soglia apparvero uno ad uno i politici di Guglielmo. Due di loro filarono via quasi di corsa, con passi scattanti, un ultimo si soffermò a lasciare accostata la porta e scambiò con Arianna un’occhiata dispiaciuta.
La ragazza si alzò in piedi e seguì l’ultimo uomo con lo sguardo fin quando non fu sulle scale. Solo allora si decise a varcare la soglia, per poi richiudersela alle spalle.
Dietro un ampio scranno di mogano scuro c’era una poltrona vuota che Arianna notò fin da subito con stupore. Cercando Guglielmo con un’occhiata di qua e una di là, lo vide vicino alla finestra. Con le mani giunte dietro la schiena, era rivolto a guardare il trambusto in strada. Ogni tanto si udiva qualche richiamo di un uomo o le ruote di un carro pesante che andava per la via, ma nulla più a parte il continuo cantare dei piccioni appollaiati sul davanzale e sotto al tetto.
Trascorse un lungo e teso silenzio, poi Arianna sentì Guglielmo parlare senza che si voltasse.
-Questa volta ho le mani legate- pronunciò laconico.
La ragazza s’irrigidì. Bianca… pensò immediatamente, ma tacque.
-Anche se tenessi la bocca chiusa, presto le voci farebbero il giro di Firenze da loro, e Bianca ne verrebbe a sapere con chissà quante eco ad aggravare la circostanza. La gente in strada tende le orecchie appena può, e riferisce al vicino di bottega aggiungendo sempre qualcosa di nuovo ed eclatante. Credimi…- rise isterico, –a Bianca potrebbe arrivare persino la voce che qualcuno di quei quattro dannati t’ha messo incinta…- mormorò sprezzante. Arianna si portò una mano alla bocca e trattenne il fiato.
Dal modo in cui Guglielmo aveva pronunciato quell’ultima frase, la ragazza aveva capito troppe cose, troppi dettagli della situazione. Uno di questi era il ruolo di difensore che suo padre aveva vestito per Leonardo da Vinci, suo maestro. Di conseguenza, con tanto disprezzo nella voce, Guglielmo annunciava il definitivo ritiro dalle arti, e di quanto egli potesse esserne responsabile.
Le lacrime già le pungevano gli occhi.
-Il tuo maestro e il suo garzone si salveranno, non temere. Il legame di parentela del Tornabuoni coi Medici giocherà a loro vantaggio semmai tornassero di fronte al giudice e volessero nascondere… certi particolari con un secondo aggravante- sentenziò amaro. Guglielmo si stanziò dalla finestra e le venne incontro. –Non fare quella faccia. Sei completamente consapevole e responsabile delle tue azioni, perciò smettila: non sei più una bambina-.
Arianna azzardò alzare gli occhi nei suoi giusto un istante, ma quello fu più che sufficiente per cogliervi tutta la rabbia e l’indignazione che Guglielmo, solo nella voce, riusciva a serbare.
Lo schiaffò arrivò violento sulla guancia destra, e Arianna chinò la testa dalla parte opposta. Il dolore le morse la faccia intera, ma si concentrava nella zona colpita avvolta da un intenso calore. Lo schiocco era stato tale che sicuramente avrebbe lasciato il segno.
-Questo affinché te ne ricordi. Consideralo un addio al celibato-.
A quel punto fu impossibile per la ragazza trattenersi oltre, e una alla volta le lacrime presero a traversarle il viso, anche là dove la pelle ancora pulsava per il colpo ricevuto.
-Quel che hai fatto, come lo hai fatto, o anche solo che tu lo abbia pensato, Arianna, ha offeso la nostra famiglia, gettato legna al fuoco, capisci?- eruppe, traspirando rabbia da ogni poro.
L’ironia era diventata collera, il sarcasmo era diventato rancore. Suo padre era una furia. Questa volta aveva toccato il fondo. E lui lo diceva apertamente, senza più indugi, senza più giri di parole o segreti.
-Bianca vorrebbe che ti chiudessi in convento, e siccome ‘sta volta hai esagerato, mi dispiace, non posso proteggerti-.
-Perché?…- gemé lei.
-Perché?! Tu osi chiedere perché?!- le afferrò il mento con violenza. –Ti ho dato tutto quello che volevi: arte, perdono, comprensione! Sta a te mostrare un minimo di gratitudine- le lasciò il volto con uno strattone e Arianna si costrinse a non urlare o mostrare ulteriore debolezza, mordendosi un labbro.
Guglielmo andò a sedersi dietro la scrivania dandole le spalle. –Ogni tua azione è stata una totale delusione. Il tuo spirito di iniziativa mi amareggiava, il tuo talento sprecato mi fa diventare l’uomo che non voglio essere…- pronunciò tristemente serrando i pugni. –Ho tentato, ma ho sbagliato strada. Perciò adesso basta. Basta a te e ai tuoi dipinti. Da domani in avanti varcherai la soglia di questa casa esclusivamente per imparare il latino come si deve. Così Bianca avrà la figlia che ha sempre desiderato, Alessandra la sorella responsabile che le mancava. Oh, nemmeno immagini quanta gente farai contenta. Ode alla nuova Arianna!- mimò un ampio inchino.
Sembrava diventato pazzo, pazzo di rabbia e pazzo di angoscia. Bastava guardarlo per vedere come la linea della sua pazienza fosse stata passata da un pezzo.
Arianna indietreggiò, china, con le braccia strette attorno al ventre che le doleva. Il luccichio delle lacrime le riempiva gli occhi.
-Mi dispiace tanto…- singhiozzò. –Ho solo pensato…-.
-Cosa?!- sbraitò Guglielmo. –Pensato cosa?! Che il tuo piccolo gesto insignificante sarebbe stata la prova mancante?! Un coraggio da lodare! Spero che ti diano presto una medaglia, ma prego perché quello stesso giorno io venga impiccato, affinché non debba sopportare la vergogna di avere te come figlia! Finalmente so cosa prova Bianca…-.
Le gambe presero a tremarle, il suo peso raddoppiò nel giro di pochi minuti. Arianna indietreggiò ancora, fino a trovare il supporto della parete dietro di sé e appoggiarsi ad essa, ansante per il dolore che le macinava l’anima come l’ingranaggio di una tessitrice. Non sta dicendo sul serio… Non può davvero pensare una cosa simile! Non lui…
Ma a poco a poco Arianna si rendeva conto che l’uomo davanti a lei non era lo stesso che una mattina di primavera le aveva stretto la mano su una panchina all’ombra di un salice, e l’aveva accompagnata sulla soglia del più talentuoso artista fiorentino.
-Ora vattene,- sentenziò in fine, –ho altre faccende a cui badare. Leonardo e la sua combriccola di amichetti non erano gli unici sotto processo questa mattina. Ero a corte anche per tuo zio Francesco, quando nella stanza accanto si disputava questa sciocchezza- blaterò cercando carta e penna tra gli scomparti della scrivania.
Arianna non volle neppure mostrarsi tanto dispiaciuta per il famiglio dietro le sbarre, ma cominciò a pensare che l’uomo nel suo sogno di qualche notte prima potesse essere proprio lui.
-Credimi, ho tentato… ma nessuno di noi due può andare avanti con questa farsa- mormorò Guglielmo intingendo la penna nell’inchiostro. –Spero che tu capisca almeno ciò-.
Arianna annuì e chinò la testa.
-Bianca vuole vederti- disse a sorpresa Guglielmo cominciando a grattare col pennino sulla carta. –Ti attende nel cortile esterno. Ha chiesto di te appena è tornata dal Palazzo di suo fratello, perciò immagino sia urgente. Meglio non farla aspettare- pronunciò serio.
Arianna non se lo fece ripetere e si avviò fuori dallo studio. Richiudendosi la porta alle spalle, lanciò un’occhiata nel corridoio e colse le figure di Cosimo e Francesco, quest’ultimo seduto sul piedistallo di una statua in marmo, e l’altro a passeggiare nervoso su e giù sul tappeto. Il ragazzo balzò in piedi non appena la vide e il fratello minore mosse un passo avanti, ma Francesco lo trattenne al suo fianco.
Arianna andò loro incontro silenziosamente. Non appena fu abbastanza vicina, parlò a voce bassissima: -Potete andare- disse sorridendo loro con gli occhi arrossati, -non mi accadrà nulla di male. Per ora- specificò, alludendo all’incontro con Bianca che l’aspettava nel giardino.
Cosimo si gettò ad abbracciarla forte. –Tu non hai fatto nulla di male- la consolò.
Arianna guardò confusa il fratello maggiore mentre si stringeva a Cosimo con disperazione.
-La notizia è arrivata in casa assieme a Bianca- disse Francesco. –Il Gonfaloniere di Giustizia avrà tra le mani il caso di nostro zio ancora per un po’. A testimoniare ci sono anche gli Auditore, e la faccenda sembra seria. Speriamo che il mal di testa passi a Lorenzo non troppo in fretta- fece una smorfia.
-Quanto seria?- domandò Arianna scostandosi dal fratello.
-Tanto. Pensano sia una congiura- rispose Cosimo, spaventato.
-Ed è vero?- insisté Arianna.
Francesco si strinse nelle spalle. –E chi può saperlo?-.
-C’è qualcosa che possiamo fare?- chiese lei.
-Noi?- ridacchiò Francesco. –Scherzi, spero! Se proviamo a metterci in mezzo, la corte a noi taglia la testa, poi Bianca gioca a freccette coi nostri cadaveri. No grazie- sentenziò amaro.
Arianna guardò prima uno poi l’altro fratello, e negli occhi di entrambi colse quell’incertezza simile alla sua. –Non possiamo starcene con le mani in mano…-.
-Tu sei l’ultima che deve parlare- sbottò Francesco. –La tua situazione è ben più precaria di quella di nostro zio che rischia la forca-.
-Adesso però devi andare- sottolineò Cosimo. –Bianca…-.
Arianna sospirò.
-In bocca al lupo- le augurò Francesco abbracciandola a sua volta.
-Crepi…- brontolò lei asciugandosi gli occhi con una manica del vestito. Anche se non posso mica mandare a crepare mia madre…pensò subito dopo.
-Tieni- Cosimo le porse un fazzoletto che prese dalla tasca del giubbotto.
Arianna lo accettò a capo chino e si avviò giù per le scale con gli sguardi dei due a pizzicarle la schiena.
Vorrei solo sapere come andrà a finire questa storia… pensò mentre traversava la soglia che conduceva ai giardinetti esterni. Si asciugò le lacrime col fazzoletto di Cosimo e cercò di darsi del contegno.
Una guardia si fece da parte per farla passare, e la ragazza giunse alla fontana in fondo al cortile. Là, su una panchina di pietra in mezzo al verde di siepi, rose e margherite, sedeva la bella Bianca de’ Medici, sola ad ascoltare il canticchiare degli uccelli che avevano il nido sul cipresso di fronte.
Arianna agirò l’albero e fu come trafitta dagli occhi da gatto della madre che, voltando la testa tutt’altra parte, le fece gesto di sederle accanto. Arianna acconsentì e, una volta comoda, si stirò le pieghe sulla gonna. Tenendo le mani in grembo e il mento affondato nel petto, ascoltò la severa voce di Bianca infonderle freddo allo stomaco.
-Immagino che Francesco e Cosimo ti abbiano già detto di tuo zio sotto accusa…- scoccò un’occhiataccia alla figlia. –Gli “affari” che condussero qui lui e tuo cugino vanno ben oltre il matrimonio, come avrai appreso da te-.
Arianna annuì, e Bianca proseguì:
-Bene. Perché le accuse sono vere- sospirò.
La ragazza sobbalzò diventando un tutt’uno con la pietra della panca.
-Certe rivalità tra le famiglie del nostro tempo sono passeggere, ma come si estingue un fuoco, il più meschino motivo ne appicca un altro…- continuò la donna con una nota d’amarezza. -Noi donne di corte abbiamo pochi, ma rigidi doveri. Uno di questi è il matrimonio combinato, ma vi sono anche la fedeltà e la giustizia a difesa della famiglia. Quando si tratta di disputare l’onore del proprio casato, il nostro seppur piccolo ruolo è di vitale importanza. Ecco perché ti chiedo di tacere così come farò io se Lorenzo, o chiunque in giuria, dovesse trarne causa. Considerala come la redenzione ai tuoi peccati-.
Ora capisco, credi di potermi ricattare così?!… Io non dico a tutti che nostro zio è un assassino e progetta una congiura, e tu in cambio non mi sbatti in convento?! Grandioso…
Arianna s’incupì.
-Giovanni Auditore è l’incomodo che intralcia la nostra nobiltà. Tuo zio e Vieri hanno creato qualche scompiglio tra le nostre famiglie ciascuno a modo proprio, ma mio fratello sembra essere molto legato a quell’uomo, perciò non sarà facile scongiurare Francesco dall’inchiesta. Ed è qui che entri in gioco tu- disse volgendosi a guardare la figlia.
Arianna era tesa come la corda di un violino. Il ricordo di Giovanni Auditore dietro le sbarre, nel suo sogno, era sempre più vivido e intenso, a ricordarle che il suo “seppur piccolo ruolo” avrebbe potuto cambiare il corso della storia.
-Se tutto andrà come deve, il processo di tuo zio sarà rimandato alla prossima estate. Entro questo lasso di tempo tu e Vieri vi sposerete, e con la scusa che dovrai trasferirti a San Gimignano assieme a loro, Lorenzo sarà costretto a chiudere la questione-.
Come puoi fare questo a tuo fratello?… si chiese Arianna accigliata, guardando la madre negli occhi.
Bianca sembrava così sicura di sé, ma allo stesso modo celava una sorta di tristezza dietro quella maschera da nobile donna politica che gli si addiceva parecchio.
-Non sto tradendo la fiducia di mio fratello- tagliò corto Bianca alzandosi, come intuendo i suoi pensieri. –Bensì, proteggo la mia famiglia e l’uomo che amo, cosa che tu, da quanto dimostrato, non hai fatto-.
Tra me e te c’è una sola grande differenza, strega! Pensò Arianna incrociando le braccia al petto, osservando la madre avviarsi sul selciato che traversava il giardino. Io Vieri non lo amo! Indugiò un istante, nel veder scomparire la figura di Bianca oltre la soglia del palazzo. Ma in convento non ci voglio andare…
Nell’aria si sentiva già il profumino del pranzo.

-Giovanni Auditore! Voi e i vostri complici siete stati accusati di tradimento! Avete delle prove da presentare a vostra discolpa?-.
-Sì!! I documenti che vi sono stati consegnati la notte scorsa!!-.
-Ehm… temo di non sapere nulla di tali documenti!-.
-Sta mentendo!-.

La mattina seguente, molto presto, Arianna era nella sua stanza a disegnare su un quadernetto quando sentì bussare alla porta. La ragazza scostò i fogli da davanti al naso e li nascose sotto una pila di altre carte, poi si volse sulla sedia e si fece attenta. –Avanti- pronunciò incerta.
La soglia si schiuse lentamente e il volto comparso dalla fessura che si creò bastò a riempirle il cuore di angoscia e di gioia allo stesso tempo.
-Leonardo!- lo riconobbe lei scattando in piedi all’istante e lo salutò con un inchino. Solo allora si accorse della figura di Viviana alle spalle del ragazzo, perciò si diede un contegno. Una volta mostrata la camera della giovane Pazzi all’ospite, però, la serva si dileguò per il corridoio lasciando i due soli in stanza.
L’artista azzardò un mesto sorriso e mostrò cosa portava con sé sotto braccio. –Avete dimenticato questi in bottega, l’altro dì- le venne incontro porgendole i volumi. –Se Zoroastro si accorge che sono sgattaiolato fuori dal letto a riportarveli, per me è la fine- ridacchiò.
La ragazza afferrò i libri e se li strinse al petto. –Come avete fatto ad entrare?- mormorò a bassa voce. In casa Pazzi doveva farsi ancora la colazione!
-La vostra ancella stendeva il bucato quando mi ha visto discutere con le guardie. Ha interceduto per me ascoltando le ragioni che mi portavano da voi, ed eccomi qui- sorrise.
-Siete stato molto gentile- constatò Arianna posando i volumi sul tavolo, ma nel farlo rovesciò in terra molti dei fogli sparsi disordinatamente sul ripiano. Si chinò par raccogliergli e Leonardo si apprestò a darle una mano, ma non appena l’occhio dell’artista cadde su un disegno in particolare, la sua mano si allungò ad afferrarlo.
-No, vi prego!- sobbalzò ella stappandoglielo dalle dita.
Leonardo, in equilibrio sui talloni, inarcò un sopracciglio. –Cosa stavate disegnando di tanto scandaloso?- domandò ilare.
-Nulla che possa interessarvi- disse schiva rialzandosi e raggruppando le carte più ordinatamente.
-Non siatene così certa, mostratemelo- rise lui.
-Non è il caso, davvero- insisté la ragazza richiudendo i disegni in un cassetto, dopodiché si frappose tra la scrivania e Leonardo.
-Bene; allora, il mio dovere è concluso- arrise il ragazzo levandosi il capello con un lento gesto. –Vi auguro una buona giornata-.
Perché mi da del “voi”? si chiese Arianna con tristezza. –Aspettate!- scattò in avanti e lo fermò prima che potesse aprire la porta ed uscire. Appena si volse, Arianna si gettò ad abbracciarlo dolcemente. Si strinse a lui posando la guancia sul suo petto, potendo quasi sentire il colpo che perse il cuore di lui nell’accorgersi di un gesto tanto improvviso.
-Non posso salutarvi così. Probabilmente questa è l’ultima volta che ci vediamo- mormorò lei.
-Oh, io ne dubito- ridacchiò Leonardo scansandola un poco da sé. Quando i loro volti furono l’uno di fronte all’altro, Arianna alzò gli occhi nei suoi, ma Leonardo si adombrò.
-Cosa vi è successo al viso?- domandò accigliato sollevando una mano e carezzandole la guancia.
Arianna rabbrividì. Proprio là dove due dita di Leonardo le sfioravano la pelle, suo padre aveva inferto un duro colpo al suo corpo e al suo spirito.
-È stata Bianca?- chiese serio Leonardo.
La ragazza scosse la testa. –Se mia madre avesse fatto questo, non farebbe così male…- sussurrò muovendo un passo indietro. Le sue parole nascondevano in realtà un secondo fine, non legato solamente alla forza bruta di suo padre, ma anche alla cicatrice che portava in cuore.
Leonardo parve stupito. –Guglielmo?- formulò, e Arianna fu costretta a tenere il silenzio. –Non avrebbe dovuto alzare le mani su di voi: come padre e uomo politico non è ha l’autorità- sbottò l’artista.
-Vi prego, non mettetevi contro di lui- gemé Arianna.
-Non è mia intenzione, ma…- esitò sistemandosi il berretto sui capelli. Fece un gran respiro per calmarsi. –Per quel che valete, non dovrebbe trattarvi in questo modo- ammise sincero.
Arianna stirò le labbra in un sorriso commosso.
Leonardo si riscosse. –Dunque,- si schiarì la gola, –spero di vedervi passare davanti la mia bottega uno di questi giorni- proferì un leggiadro inchino e prese congedo così, non essendoci bisogno di altre parole.
Arianna lo guardò lasciare la stanza così com’era comparso, col sorriso sulle labbra e il portamento tranquillo. Si affacciò in corridoio e seguì il suono dei suoi passi sulle scale, poi le voci concitate di alcune guardie che si accorgevano di lui e gli facevano qualche domanda. Arianna incrociò le dita e, quando la voce di Viviana si aggiunse a quella dei due armati, seppe che la sua preghiera era stata esaudita.
Traversò la stanza come una freccia, balzò seduta sul davanzale e si affacciò dalla finestra scansando le tende.
Leonardo lasciava il palazzo in quell’istante preciso sotto i raggi dorati del sole, si fermò e sollevò la sua attenzione verso la finestra che sapeva appartenere alla stanza della sua ex allieva. Accorgendosi di Arianna che gli sorrideva da attraverso i vetri, fece un gesto con la mano come saluto e la ragazza ricambiò. Dopodiché Arianna seguì la sua ombra tra quelle della gente sulla via, finché le fu possibile.
In camera apparve Viviana che le si avvicinò posandole una mano sulla testa. Le carezzò i capelli con dolcezza e seguì lo sguardo di Arianna che si perdeva tra la folla.
-Un giorno lo rincontrerete- pronunciò soave la serva.
Lo so… e lo vorrei tanto, pensò Arianna con un triste sorriso sulle labbra.





Angolo d'Autrice.
Questa volta non ho molto tempo per quest'angolo d'autrice. Spero che non me ne vogliate per così poco. Ultimamente sono carica di lavori fino alla punta dei capelli. E non si tratta solo di scuola. Con la testa sono già a ben altre 3 long fiction su Assassin's Creed, una delle quali, per chi sa di cosa parlo, sarà il seguito di Always Changing - Il Passato nel Presente, con tema Ezio Auditore nei panni di Desmond Miles come "travestito"! XD I dettagli a prestissimo.
Ora fuggo, ringraziando di cuore i recensori del capitolo precedente sperando che anche questo sia stato di vostro gradimento. ^^
Ancora non ci credo *ç* la mia scrittrice preferita di questa sezione è tornataaaaaaaaa
Ave Saphy *inchino alla giapponese + saluto romano*

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** La fine dell'Inizio ***


La fine dell'Inizio

Due settimane dopo…

Pioveva.
Pioveva nei giardini, pioveva nelle strade, pioveva sui tetti. La gente si rifugiava in casa fuggendo dalla pioggia che sfogava dopo un lungo aprile di belle giornate e caldo afoso. La tempesta era arrivata quella mattina dal nord e si era fermata per qualche tempo sulle pendici degli Appennini, ma non aveva osato nulla, nemmeno uno sbuffo. Dopo il calar del sole, però, una folata di vento dell’ovest aveva spazzato le nuvole verso Firenze, e ora la burrasca si abbatteva sulle imposte degli edifici e sui vetri decorati delle chiese, con violenza inaudita. Ogni tanto tuonava qualche lampo, e il cielo balenava di bianco, mentre la corrente sbatteva sulle grondaie e fischiava nel legno della sua stanza.

Arianna era rannicchiata sotto le coperte del letto, stretta al suo cuscino con gli occhi sgranati. Non era la tempesta a spaventarla o disturbarle il sonno, bensì la data del matrimonio, fissato all’indomani.
Figuriamoci se Bianca rimanda i festeggiamenti per quattro gocce! Sbuffava la ragazza guardando la pioggia picchiare i vetri della finestra. Se ne uscirebbe sicuramente con una frase del tipo “sposa bagnata, sposa fortunata!”…
Arianna non voleva in nessun modo accettare quella verità che le stava attanagliando lo stomaco ogni minuto sempre più dolorosamente. Ancora qualche ora e sarebbe stata legata a Vieri per sempre. Ma lei non lo voleva, ed era ben intenzionata a far sì che questo non accadesse.
Quella sera stessa, dopo cena e poco prima di coricarsi, lei e Guglielmo si erano incontrati nel salone d’ingresso. Lui indaffaratissimo a discutere con il vecchio Jacopo, lei di strada verso la sua stanza seguita costantemente da Viviana.
Quando gli occhi del padre e della figlia si erano incrociati, non c’era stato bisogno di dire nulla. Sia il nonno che la serva li avevano lasciati soli nel salone, e anche le guardie si erano allontanati andando a pattugliare un’altra ala del Palazzo.
Statici a guardarsi intensamente, con mille parole ancora da dirsi, Arianna e Guglielmo erano rimasti allungo immobili. L’uomo con l’espressione severa e aristocratica di chi ha appena concluso un colloquio con sua Altezza il Papa, la ragazza con le spalle rigide e le braccia lungo i fianchi, stretta nel suo vestito sfarzoso da giovane dama, del quale si vergognava immensamente.
Guglielmo aveva mosso un passo verso di lei, uno solo, ma Arianna era fuggita via non di corsa ma quasi. Quel silenzio le era bastato, era stata la conferma alle sue paure, la prova che la certificava come unica giocatrice ad una partita di scacchi, nella quale il re era spacciato in partenza.
Giunta nella sua camera senza alcun seguito, si era spogliata con furore dell’abito lasciandone ciascuna parte in terra. Gonna e corpetto sul pavimento, avrebbe voluto camminarci sopra se solo nella camera non fosse improvvisamente comparso suo fratello Cosimo.
Il ragazzo si era avvicinato a lei e, sobbalzando per un medesimo tuono della tempesta, si era chinato a raccogliere ciò che la sorella aveva seminato con tanto disprezzo in terra. Aveva riposto con cura tutto quanto nei cassettoni. Aveva guardato la sua e l’immagine della ragazza riflesse nello specchio, poi si era voltato col viso tutto un blocco.
-Non guardarmi anche tu così- aveva gemuto lei. Nascondendosi il volto tra le mani, si era seduta sul letto non riuscendo più a stare in piedi.
Cosimo le era andato vicino, l’aveva abbracciata, e Arianna aveva iniziato un altro pianto, identico ai tanti già fatti in passato.
Sarebbe stato inutile lamentarsi ancora, Arianna lo sapeva, ma quella scomoda realtà la stava distruggendo, e presto, se fosse rimasta a guardare e subire senza far nulla, l’avrebbe uccisa.
Devo andarmene… aveva pensato guardando suo fratello uscire dalla stanza, aiutata la sorella a stendersi e rimboccatole le coperte. Sì, devo andarmene! Ma dove…? E con quel pensiero aveva sentito le lacrime pungerle di nuovo gli occhi.
Fuggire. Fuggire era l’unico modo per imbracciare le redini della propria vita e farne ciò che voleva. Avrebbe lasciato la sua famiglia, vissuto in strada se necessario, ma nulla, nemmeno l’amore dei suoi fratelli e la consolazione di Viviana l’avrebbe tenuta inchiodata lì tanto allungo da prendere Vieri per marito.
D’un tratto, dopo un medesimo lampo in cielo, la pioggia sembrò acquietarsi. Le gocce continuavano a picchiettare sui vetri della finestra, ma non forte come prima.
È un segno… devo farlo adesso!
Scansò le coperte da sé e scivolò fuori dal letto caldo. Si vestì sobriamente, anzi, di veri stracci, e trovò nell’armadio la mantella col cappuccio nero che cercava. Mise ai piedi le scarpe più comode, degli stivali da equitazione magari, e preparò una borsa con gli effetti personali: qualche penna, un pennello, china, matita, carta, il suo quadernetto e alcuni dei suoi disegni preferiti. Fece tutto in fretta e furia, con un tetro silenzio tutt’attorno da mettere i brividi. Si era fermata solo per guardare il testo sulla mitologia comprato assieme al bracciale per sua madre. Erano lì, a portata di mano, e Arianna fissò allungo prima uno, poi l’altro preziosissimo oggetto.
Alla fine decise di portarli con sé entrambi, sia il testo del Poliziano e sia il bracciale, che mise nella sacca assieme ad un vestito pulito e della biancheria.
Prima di uscire, lanciò un’occhiata fuori dalla finestra e vide la strada deserta battuta da una pioggia leggera. Qualche guardia pattugliava l’ingresso del palazzo, ma Arianna non sarebbe certo passata da quella parte. Piuttosto allungò la sua attenzione oltre i tetti neri e le chiese della città, spaziò con lo sguardo nella notte oscura e tenebrosa che aveva avvolto Firenze in una cortina di pericoli e insidie. Prima di tutte, l’influenza, poi gli ubriachi, i soldati, i ladri, i mercenari… e che dire delle “gran signore” che avrebbero potuto confonderla per una di loro?
Prese con sé dei Fiorini d’argento che teneva in un cofanetto sulla scrivania e li infilò nelle tasche dei pantaloni. Già, per la prima volta ho messo i pantaloni! Rise Arianna. E non sono neanche miei… si disse pensando a Francesco che sicuramente si sarebbe accorto di averne nei cassetti un paio in meno.
La vera domanda di Arianna era più che altro un’altra: dove andare?
La prospettiva di vivere in strada era assai rischiosa, e le possibilità di incontrare un’anima pia pronta ad accoglierla in casa si dimezzavano se Arianna aggiungeva alla fuga disperata il proprio nome di famiglia altolocata. Se voleva restare nell’anonimato doveva, innanzitutto, perdere la propria identità. Cosa facile, si disse la ragazza.
Guardò un cassetto preciso del mobile sotto lo specchio, dove Cosimo aveva posato i suoi vestiti, e lo aprì. Cercò tra i vari oggetti di cura femminile e finalmente trovò quel che cercava. Si servì dei bordi del cappuccio, che si calò sul volto, per dare una forma e una lunghezza regolare ai capelli. Dopodiché, con lo specchio dinnanzi, tagliò.
Raccolse le ciocche dal pavimento e le gettò nel caminetto della stanza. A lavoro concluso si sistemò meglio il cappuccio a coprirle il volto e lasciò la sua camera a piccoli passi.
Una volta in corridoio, guardò prima da un lato poi dall’altro e si diresse silenziosa come un gatto verso le scale. Il tappeto lungo il corridoio attutiva i suoi passi già leggerissimi, e per un istante ebbe la certezza che ce l’avrebbe fatta. Non appena fu sul pianerottolo del primo gradino, lanciò un’occhiata al cortile d’ingresso e lo vide deserto e illuminato dal flebile chiarore di due bracieri, posti ai lati del portone chiuso.
Nessuna guardia, bene… sospirò Arianna. Scese tutte le scale e fece per traversare l’androne, ma nel gesto sconsiderato di voltarsi indietro, intravide una figura alta e scura, immobile, sull’apice delle scale.
Si fermò nel mezzo del salone d’ingresso irrigidendo ogni parte di sé. Un brivido le corse lungo la spina dorsale quando si accorse che l’uomo sull’alto della scale non era altri che suo padre.
Guglielmo restò immobile nella sua posa più fredda. Guardava la figlia dall’alto con una scintilla di furore negli occhi. Arianna tentò di indietreggiare, mostrando più chiaramente la sua intenzione di fuggire, ma quando si accorse che Guglielmo non fece o disse nulla per fermarla, restò ancor più intontita.
Quegli occhi verdi seri e comprensivi le davano il consenso, il permesso di andare, e da una parte le promettevano complicità e silenzio.
Arianna indietreggiò ancora nel salone, trovandosi quasi con le spalle al portone d’ingresso. Si appoggiò ad esso con una mano, ma lanciò subito un’occhiata alla sua destra, dove l’attendeva il corridoio buio che l’avrebbe condotta là dove aveva intenzione di arrivare. Guardò un’ultima volta sulle scale, ma il cuore perse un colpo quando vide che suo padre era sparito, dissolto nel nulla, accompagnato dal rombo di un tuono.
Era rimasta sola, sola con sé stessa e il suo piano di fuga, sul quale Guglielmo avrebbe taciuto.
Grazie… pensò incamminandosi nell’oscurità del corridoio. Ci rivedremo, gli promise scostando il tessuto di un pregato arazzo, dietro il quale era nascosta una stretta e bassa porticina.

La pioggia, seppur leggera, cominciava a ferire il tessuto della mantella. I suoi passi veloci tuonavano sulla strada attutiti dal crosciare ticchettante delle gocce. Le botteghe erano sprangate, i vicoli bui e le imposte alla finestre chiuse. Per Firenze vagavano solo cani e gatti spelacchiati e tutti fradici che cercavano riparo sotto tettoie di case o ceste e barili per la via. Il tetto di nuvole sopra la città era nero e gonfio di pioggia che sicuramente non avrebbe cessato prima di qualche ora ancora.
Arianna si stringeva nel mantello con le spalle rigide e la schiena travolta da brividi continui, uno dietro l’altro. Il freddo le pungeva la pelle e a breve ci si sarebbe messa anche l’acqua del maltempo.
Giunta nel quartiere di San Lorenzo, aveva già in mente da tempo dove andare e puntava spedita in quella direzione. Traversò tutta Piazza della Signora non senza lanciare un’occhiata da sotto il cappuccio all’impalcatura per le esecuzioni pubbliche, trovandola stranamente non occupata.
La ragazza si fermò nel bel mezzo del piazzale, fissando il palco e i cappi vuoti scossi ogni tanto dalla pioggia. Era certa di aver fatto un sogno in cui…
Probabilmente doveva rimangiarsi tutto come sempre, e fece proprio così riprendendo la sua strada.

Bussò due colpi abbastanza forti, ma il rombo di un tuono squassò il cielo e l’aria attorno all’ingresso della Bottega di Leonardo, coprendo qualsivoglia altro suono. Fu costretta allora a bussare di nuovo, ma il gesto si accompagnò ad uno starnuto poco rassicurante. Il freddo ormai le mangiava la carne sulle braccia e sulle gambe. L’acqua aveva penetrato il cappuccio e le fradiciava i capelli, piatti sulle guance bianche. Bussò ancora, ma cominciando a temere che il suo maestro non fosse in casa, fece un passo indietro. Si diresse così nel cortile accanto all’edificio e non le fu difficile individuare la finestra della stanza di Leonardo. Afferrò un ciottolo da terra e lo scagliò contro le imposte di legno. Lo schianto produsse un ticchettio abbastanza secco e sonoro. Arianna attese qualche secondo, ma si costrinse a tentare un secondo lancio.
Avanti, dannazione! Starnutì. Svegliatevi, svegliatevi!!! -Leonardo!- chiamò scagliandone un terzo. Dio, dammi la forza! O almeno sveglia ‘sto razza di…
Afferrato un quarto sassolino, la finestra si aprì, ma il ciottolo volò oltre le imposte dentro la camera.

L’artista aprì gli occhi d’un tratto catturato da un suono secco e improvviso. Sollevò un poco la testa dal cuscino e si guardò attorno sbattendo le palpebre alcune volte. La stanza era buia e fuori la pioggia picchiava sulle imposte chiuse. Leonardo credé di aver assecondato la propria immaginazione e fece per rimettersi a dormire, ma qualche secondo dopo quel suono si udì ancora, e così scattò sull’attenti. Liberò il braccio che circondava il collo di Zoroastro e si mise seduto sul letto che i due amici condividevano. Voltò leggermente il capo verso Tommaso e lo vide dormire nudo e sereno sotto le coperte, certamente incurante del fastidio dell’altro.
Leonardo tese le orecchie e ascoltò in silenzio.
Il misterioso oggetto colpì ancora l’imposta alla finestra, e fu allora che l’artista balzò in piedi. Era scalzo, o meglio, completamente nudo, e certo non saltava dalla gioia pensando di dover guardare fuori con una tempesta del genere. Scansò le tende, aprì i vetri e schiuse le imposte.
Il quarto ciottolo gli fece il filo all’orecchio e si schiantò sul pavimento lasciando una piccola scia umida. Una ventata fredda penetrò nella stanza, e Tommaso si rigirò nel letto dalla parte opposta infagottandosi nelle coperte con un mugolio. Leonardo, nel frattempo, guardò giù e, non potendo credere ai suoi occhi, riconobbe subito la sua allieva.
-Disgraziata… Arianna!- chiamò, e tra sé e sé pensava già: Non di nuovo!…
La ragazza era coperta da una mantella scura col cappuccio, portava una sacca a tracolla e lasciò andare dalla mano un quinto ciottolo.
-Voi ve li cercate proprio i malanni!- digrignò Leonardo a bassa voce, tentando di non infastidire il suo compagno, anche sapendo che sarebbe stato inutile.
Arianna non disse nulla, piuttosto si limitò a fissare il suo maestro con occhi che parlavano da soli.
Leonardo si irrigidì. –Presto, venite all’ingresso- pronunciò con tono più alto. Si allontanò dalla finestra e cominciò a vestirsi il più in fretta possibile.
Tommaso si svegliò a poco a poco. –Che fai?- chiese sbadigliando. Guardò l’amico infilarsi i pantaloni. –Fa freddo- aggiunse poi lanciando un’occhiata alla finestra aperta.
-Presto, Zoroastro, alzati, rivestiti e accendi una candela- ordinò Leonardo allacciandosi la camicia. –Abbiamo ospiti-.
-Ospiti?!- eruppe Tommaso, interdetto. –Stai scherzando, spero! Saranno sì e no le tre del mattino!-
Leonardo gli scoccò un’occhiataccia gettandogli addosso e con violenza i suoi vestiti. –Fallo e basta- disse uscendo dalla stanza.

Arianna attese non più di un minuto sull’ingresso della bottega. Sempre più infreddolita e bagnata nella sua mantella, aveva trovato rifugio sotto il portico davanti alla porta.
Leonardo venne ad aprire e rimase a guardarla per qualche secondo. Poi, riscuotendosi dai suoi tormenti, la prese sottobraccio facendola entrare nella bottega.
Si accomodarono nella grande stanza che ospitava le tele e le invenzioni del suo maestro, Arianna si guardò attorno catturando con gli occhi quanto poteva, pur di bearsi di nuovo di quel luogo che le era mancato tanto.
-Sei tutta bagnata, è meglio che ti togli questo di dosso- disse Leonardo aiutandola a svestirsi della sua mantella.
-Grazie…- mormorò flebile lei, tremando.
Sulle scale apparve Tommaso, che si avvicinò ai due portando con sé una candela. –Arianna?!- si stupì il ragazzo.
La Pazzi lo salutò con un timido cenno della mano.
Non appena il chiarore della candela le fu abbastanza vicino, entrambi i due giovani si paralizzarono a fissarla sgomenti.
-Perché?- domandò Leonardo disorientato e dispiaciuto. Le prese una ciocca di capelli, ora corti e bagnati, e se la rigirò tra due dita.
Arianna chinò il capo tremando per il freddo che le mangiava le ossa. Non riuscì a trattenere uno starnuto.
Leonardo scoccò un’occhiata all’amico lì accanto, che era esterrefatto tanto quanto lui. –Accendi il camino- disse a Zoroastro, portando Arianna sotto braccio verso il caminetto della stanza.
Tommaso si limitò ad ubbidire e, chinandosi davanti al camino, si aiutò ad accenderlo con la candela e qualche vecchio pezzone di carta e legna.
Nel frattempo Leonardo fece sedere la ragazza sulla poltrona vicina e le mise la mano sulla fronte. –Ci mancava solo la febbre- proruppe dopo qualche istante.
Grandioso… pensò Arianna con altrettanto sconforto.
Leonardo si chinò in ginocchio e le sfilò gli stivali dai piedi. –Mi raccomando, con calma, eh!- sbottò rivolto a Tommaso che ancora non era riuscito ad accendere il fuoco.
-Un attimo, un attimo!- strillò l’altro avvicinando la candela alla carta. Questa prese fuoco all’istante, ma prima che attizzasse il legno ci sarebbe voluto qualche altro minuto.
Arianna si lasciò spogliare dei vestiti fradici da Leonardo non senza arrossire. L’artista le sfilò la casacca e le slacciò il corpetto. Mise il tutto ai piedi del camino, il cui calore, una volta acceso, avrebbe asciugato.
A guardarla con addosso solo i pantaloni fino al ginocchio e la camicia di suo fratello Francesco, Arianna pareva un maschio, pensò Leonardo soffermandosi sulla capigliatura corta della ragazza, tagliata sommariamente. Aveva il volto pallido e sciupato oltre che la fronte bollente e tremori in tutto il corpo.
Finalmente il camino prese, e per la bottega buia si diffuse il chiarore rosato delle fiamme. Tommaso si rialzò in piedi soddisfatto, non senza sgranchirsi la schiena. Si voltò verso l’amico, sbadigliando.
-Che bravo, ora va’ ad accendere quello nella nos… nella mia stanza- ordinò Leonardo avvicinando al camino la poltrona sulla quale sedeva la ragazza.
Mentre Arianna si beava di quel calore lungo le gambe e le braccia, Tommaso salì le scale con la candela borbottando qualcosa.
-Butta giù una coperta!- chiese inoltre Leonardo, e qualche istante più tardi, dal pianerottolo delle scale, venne giù il piumino. L’artista lo afferrò al volo e infagottò la sua allieva con premura.
-Grazie…- mormorò nuovamente lei, debole, sforzandosi di sorridere.
Leonardo avvicinò alla poltrona uno sgabello e sedé accanto alla ragazza. –Forza, ora dimmi- pronunciò serio sia in voce che in viso.
Arianna si adombrò e spostò la sua attenzione sulle fiamme scoppiettanti del camino. Il riflesso dorato del fuoco irradiava quell’angolo della bottega allungando la sua e l’ombra dell’inventore sul pavimento, mentre il calore la cullava attraverso una coperta già calda. –Domani mi sposo- disse semplicemente. Ma non voglio… aggiunse col pensiero.
Leonardo si accigliò. –E credi che ammalandoti Bianca rimandi i festeggiamenti?- chiese non senza ironia. –O hai solo tentato di suicidarti?- rise.
-No- proruppe lei contegnosa. –‘Sta volta sono fuggita davvero- aggiunse guardando il suo maestro negli occhi, sperando che questi comprendesse quali fossero le sue intenzioni senza bisogno di altre parole. Mentre attendeva una sua risposta, Arianna trattenne il fiato.
Leonardo sospirò e guardò il camino a sua volta. Il silenzio piombò a mattone nella bottega.
Sì, ha capito… pensò Arianna imitandolo.

-Padre!- strilla un giovane uomo in cappuccio bianco.
Il Gonfaloniere, nella sua nobile tunica marrone, indica tra la folla. -Laggiù! Prendete il ragazzo! È uno di loro!-.
-Ti ucciderò per ciò che hai fatto!- il ragazzo si divincola a mali gesti dai due soldati che tentano di afferrarlo.
-Guardie! Arrestatelo!- sentenzia in fine il Gonfaloniere Umberto Alberti.
Un canto di campane, lame estratte, grida di orrore e disperazione.
Tra la gente è il panico, per Firenze il caos.















Angolo d’Autrice:
Ecco la grande “stupidaggine” di Arianna, ovvero ciò che cambierà da oggi in poi il corso della sua vita. La fuga di casa era inevitabile. Essendo Arianna un mio tipico personaggio oppresso e interiormente ribelle, ho pensato che fosse l’unica soluzione plausibile ai suoi mali. La visione in corsivo alla fine l’ha durante il sonno di quella notte. Nel prossimo capitolo anticipo che, per quanto sarà breve, accadrà un altro fatto molto importante a discapito della protagonista, ma non solo. Con questo post i miei capitoli pronti si riducono a sette, perciò regolatevi voi XD
Ora attendo avidissima i vostri commenti *w*
Con un grazie speciale a
Goku94
Elkade
Renault
LullaCullen
^^ Il vostro sostegno è molto importante per questa fan fiction.
Allora a presto °O°
Elik.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Il più bel fanciullo e Caterina da Vinci ***



Il più bel fanciullo e Caterina da Vinci


Il mattino dopo…

La città era nel tumulto delle ricerche. Pattuglie di guardie armate correvano per le strade, uomini a cavallo smontavano di sella e bussavano ad ogni porta di Firenze. Il sole alto nel cielo azzurro annunciava una magnifica giornata di primo maggio, ma non poi tanto allegra per chi, come Bianca de’Medici, aveva perduto la figlia. La gente bisbigliava spaurita al vedere passare i soldati gridando: “Cercate al ponte! Guardate nel magazzino!”. Si era sparsa la voce che Arianna de’ Pazzi fosse stata rapita, e non fuggita di sua volontà. Le donne e gli uomini erano ancor più spaventati di ciò, e si rintanavano in casa aspettando che le guardie bussassero alla loro porta chiedendo della giovane promessa.
Tommaso guardava chiudere le botteghe e partire i contadini coi loro carri verso la campagna, come in fuga. Il Masini era in strada a comprare il pane caldo per la colazione, e pagava in quell’istante due Fiorini al fornaio, ma l’uomo, nel vedere chiudersi porte e finestre delle case e tanta gente barricarsi in salone, diede il pane a Tommaso senza ritirare il denaro e gli chiuse bottega davanti.
Zoroastro aveva in una mano il pane caldo e nell’altra i due fiorini. Attonito, non poté credere nel vedersi venire verso un battaglione di guardie.
-Voi, messere!- chiamò il bruto, ma parlò il generale:
-La dama Arianna de’Pazzi è scomparsa la notte scorsa. Sapete nulla?- gli chiesero.
Tommaso, ad occhi sgranati e stringendosi il pane al petto, scosse la testa tremando.
I soldati corsero via e bussarono all’ingresso di una bottega vicina. Il Masini camminò sulla strada del ritorno a grandi passi veloci.

-Leonardo!- gridò Tommaso entrando in bottega e sbarrando la porta alle sue spalle. Gettò il pane sul tavolo accanto e strillò di nuovo il nome dell’artista: -Leonardo! Leonardo!-. Col fiato corto per la corsa e il cuore a pulsare così forte nel petto da far male, Tommaso si appoggiò al corrimano delle scale.
L’inventore apparve sul pianerottolo del gradino più alto e si affacciò di sotto. –Che ti gridi, Zoroastro?! Arianna sta dormendo!- sibilò quello.
L’altro ansimava. –La città è nel caos, Leonardo… stanno cercando… Arianna. Le guardie pattugliano le strade, pensano che… sia… stata rapita-.
L’artista s’irrigidì, ma prima che potesse aggiungere dell’altro, sentì qualcuno tentar di forzare la serratura della porta.
I due amici sobbalzarono per lo spavento, ma poco dopo udirono bussare con prepotenza e una voce grossa ordinare: -Per ordine della Guardia Fiorentina! Aprite questa porta!-.
Tommaso e Leonardo si scambiarono un’occhiata allarmata. –Prendi tempo!- sussurrò quest’ultimo correndo in corridoio e lasciando il Masini da solo in bottega.
Zoroastro si volse lentamente verso la porta, col corpo tutto un tremare. –Aprite ho detto!- bussò con rabbia la guardia, e il mago sobbalzò di nuovo. –A-a-a-arrivo, solo un secondo!- balbettò.

Leonardo giunse in stanza, spalancò le tende sgarbatamente e svegliò Arianna distesa sul materasso e infagottata nel piumino. La luce penetrata all’improvviso le fece male agli occhi e, per abituarsi, la giovane Pazzi dovette tenerli chiusi qualche istante e riaprirli a poco a poco. –Che succede?- chiese flebilmente quando Leonardo l’aiutò a mettersi seduta sul letto. La febbre era aumentata, ma non c’era tempo da perdere, si disse lui vestendo frettolosamente la sua allieva con la camicia e i pantaloni, ora asciutti.
-Le guardie della tua famiglia ti stanno cercando- spiegò Leonardo allacciandole strettissimo il corpetto. Alla ragazza si mozzò il fiato, ma in compenso il seno era tanto piatto da sembrare che non l’avesse. –Mi dispiace che debba andare così, ma se vuoi salvarti dal matrimonio con tuo cugino, questo è l’unico modo- aggiunse l’inventore con una nota amara nella voce, facendole indossare un giubbetto da uomo che pescò tra i vestiti di Tommaso.
Arianna non capiva, la testa le scoppiava e il mondo attorno a sé vorticava senza freno in tutte le direzioni. Quando Leonardo la fece alzare per allacciarle i pantaloni, la ragazza crollò sull’artista priva di equilibrio. Leonardo la strinse forte avvertendo il bollore della febbre di lei, così calda da scottarlo sulla propria pelle. Rimise seduta la sua allieva e lasciò sbottonati pantaloni, ma poiché le andavano larghi, riuscì a fermarli con una cinta. Dopodiché si chinò in ginocchio e le infilò il primo paio di scarpette basse che trovò sparse per la stanza. A cose fatte, si caricò la dama sottobraccio e la spostò dal letto alla sedia vicino alla finestra. La fece sedere e le mise un libro in mano. –È questione di minuti, devi resistere- mormorò guardandola negli occhi.
Arianna non aveva neppure la forza di tenere il libro sollevato dalle ginocchia. Adagiata come una marionetta sulla sedia, si sforzò di assumere una posa convincente al suo ruolo di giovane garzone.
Leonardo si allontanò di qualche passo e ammirò l’opera conclusa, senza però accorgersi di un essenziale dettaglio mancante. Si guardò attorno e individuò un berretto blu ciano, in perfetto accordo col giubbotto che Arianna indossava. Prese il cappello dal cassettone e lo sistemò con delicatezza sul capo della sua allieva.
-Il più bel fanciullo che abbia mai dipinto…- assentì quasi commosso.
Arianna sollevò il mento leggermente e, con gli occhi lucidi e arrossati, mostrò un timido sorriso verso di lui, pur non capendo cosa stesse succedendo e perché Leonardo l’avesse vestita in quel modo.
Si udirono dei passi pesanti sulle scale e il clamore dell’acciaio di un’armatura. –Vi prego, parliamone! Mettetevi comodi, gradireste una tazza di tè, una fetta di torta, del pane?! L’ho comprato questa mattina, è ancora caldo!- Tommaso tentava disperatamente di intralciare il cammino dei soldati. Questi erano in quattro, due dei quali rimasti a pattugliare il pian terreno dell’edificio. L’agile e la sentinella, invece, erano saliti dalle scale e si sparpagliarono per le varie stanze. L’agile si avventurò in soffitta, mentre la sentinella entrava nella camera di Leonardo e sorprendeva un giovanissimo e piccolo garzone, solo, a leggere un libro vicino alla finestra. La sentinella passò oltre senza indugiare, ma Tommaso, invece di seguire la guardia verso l’altra stanza, si soffermò a guardare il fanciullo domandandosi chi diavolo fosse.
La sentinella entrò in cucina ma la lunga stecca dell’alabarda urtò sbadatamente un contenitore in ceramica di farina, che andò a frantumarsi in cento pezzi sul cotto del pavimento.
Tommaso sobbalzò e corse in quella direzione. Nel frattempo l’agile tornò dalla soffitta e si unì al compagno. –Di sopra è vuoto- spiegò alla sentinella.
-Anche di sotto- aggiunse una terza guardia venuta dalla bottega assieme alla compagnia.
Il Masini entrò in cucina e si mise le mani nei capelli quando vide la farina rovesciata in terra. –Ma che demonio!- imprecò.
Il generale a capo del battaglione spostò altrove la sua attenzione. –Messere, siete voi il proprietario della bottega?- chiese rivolto all’uomo seduto a capo del piccolo tavolo, consumando normalmente la sua colazione.
Leonardo si tolse di bocca il biscotto di grano ancora intero e guardò prima una, poi tutte le guardie con finto stupore. –Temo di sì- disse amaro volgendo in fine un’occhiata a Zoroastro. Questi aveva preso la scopa e iniziato a raggruppare cocci e farina da una parte, borbottando.
-La figlia di Guglielmo de’Pazzi e Bianca de’Medici è stata rapita ieri notte. Con sé ha i suoi effetti personali, e Guglielmo teme che i rapitori possano essere interessati ai dipinti di ella che, in parte voi e in parte la bottega di Messer Andrea del Verrocchio, custodite. La Signoria di Firenze ve ne sarebbe grata se contribuiste alle ricerche prima che la situazione precipiti in mani nemiche alla corte- annunciò rigoroso il generale.
-Farò tutto ciò che è in mio potere per riportarla a casa- Leonardo annuì convinto.
Le guardie tutte presero congedo così, salutando il grande artista con un cenno del capo a mo’ d’inchino.
-Tommaso, accompagna i signori alla porta- ordinò l’inventore attirando gli occhi dell’amico su di sé.
Zoroastro appoggiò la scopa alla parete e fece loro strada fino all’ingresso della bottega, senza mai voltarsi indietro.
Il padrone di casa, appena fu solo in cucina, scattò in piedi e si fiondò nella propria stanza. Trovò Arianna seduta vicino alla finestra esattamente come l’aveva lasciata. Ma lo sguardo di lei non era più sulle pagine del libro, bensì fuori dai vetri, oltre i tetti della città, a spaziare per le caotiche strade affollate di uomini armati e a cavallo. Ipnotizzata dal clima di agitazione, tensione e paura che si viveva nel quartiere, la ragazza si lasciò sfuggire di mano il libro, che scivolò sulle sue ginocchia finendo in terra. Firenze tutta la stava cercando, e chissà per quanto tempo Bianca non si sarebbe data pace, sapendo la sua figlia promessa rapita e dispersa…
Leonardo si avvicinò a lei con piccoli passi silenziosi. Abbastanza vicino, si chinò a raccogliere il libro dal pavimento e lo ripose sullo scaffale assieme agli altri. Arianna si volse verso di lui lentamente, giusto un attimo prima che questi l’afferrasse sotto le ginocchia e dietro la schiena caricandosela in braccio con delicatezza. Arianna, sentendosi mancare la terra sotto i piedi, si avvinghiò al collo del suo maestro e chiuse gli occhi, mentre il mondo attorno a lei riprendeva a vorticare impazzito.
Leonardo l’adagiò dolcemente di nuovo sul letto, prima seduta poi distesa. Le tolse scarpe, cappello, giubbetto e corpetto infagottandola poi nelle coperte ancora calde.
-Ora potrai finalmente riposare in pace- ridacchiò l’artista sprimacciandole il cuscino e sistemandola più comoda.
-…Grazie- mormorò flebile la ragazza, priva di forze. L’ultima percezione fu la fredda mano di Leonardo a carezzarle la guancia bollente.

L’inventore uscì dalla camera richiudendosi la porta alle spalle. In viso aveva una triste smorfia di tormento, e questo Tommaso lo notò subito quando vide l’artista entrare in cucina. Leonardo tornò seduto al tavolo con un sospiro, di fronte alla sua tazza e al suo biscotto di grano. Ebbe solo il tempo di lasciarsi andare sullo schienale che Zoroastro finì di raccogliere cocci e farina gettando il tutto nella pattumiera. Posò la scopa da una parte e prese posto accanto all’amico.
-Come sta?- domandò il Masini a voce bassa.
-La febbre è salita- dovette ammettere Leonardo dando una schicchera ad una mollica sul tavolo.
-Però ce la farà, vero?- insisté Tommaso, ansioso.
Leonardo non rispose subito, incerto. –Chiamare un medico sarebbe la cosa migliore…-.
-C’è mancato poco che le guardie non la riconoscessero guardandola di sfuggita, figuriamoci il dottore che dovrà visitarla!- obbiettò il Masini.
L’artista gli scoccò un’occhiataccia. –Non un medico qualunque, Zoroastro, bensì qualcuno di cui mi fido ciecamente e so che manterrà il segreto-.
-Chi?- chiese Tommaso, e Leonardo cacciò un nuovo sospiro.
-Non la conosci, sarebbe inutile parlartene-.
Il mago si accigliò. –È una lei?- eruppe nervoso.
L’inventore inarcò un sopracciglio, sorpreso della sua reazione. –Perché, c’è qualche problema?- ridacchiò. –Cos’hai contro le donne, si può sapere?-.
-Non ho nulla contro le donne, Leonardo,- biascicò quello, -solo m’infastidisce che tu ne conosca così tante-.
Leonardo appoggiò i gomiti sul tavolo e carezzò con una mano la ceramica della tazza di tè, ormai freddato, che aveva di fronte. –Mi piaci quando diventi geloso- sorrise.
Tommaso sobbalzò sulla sedia e arrossì visibilmente. –Non sono geloso!- sbottò.
-Certo, certo, ma tornando a noi: per incontrare questa persona devo lasciare la città- disse serio l’artista.
Il Masini parve confuso. –Dove andrai?-.
-A Vinci- spiegò Leonardo guardando l’abisso scuro dentro la tazza; l’infuso era rimasto immerso nell’acqua troppo allungo.
Tommaso tacque assorto, sapendo bene che quel villaggio era la patria del suo compagno. –Ebbene?- formulò vedendo l’inventore alzarsi di tavola e avviarsi in corridoio.
-Se parto subito sarò di ritorno ‘sta notte, ma devo affidarti Arianna. Pensi di essere all’altezza di penderti cura di lei?- chiese Leonardo mentre l’amico gli camminava affianco. Si fermò di fronte alla porta della sua stanza e si voltò.
Zoroastro si passò una mano tra i capelli. –Non lo so… è troppo rischioso, le guardie potrebbero tornare ed io… da solo, con lei… è una responsabilità enorme, non oso immaginare cosa ci farebbero se scoprissero… non lo so, non lo so davvero, Leonardo- ammise sconfitto, guardando l’altro negli occhi.
L’artista gli strinse le spalle. –Sarò più veloce del vento, non avrai neppure il tempo di vedermi partire, te lo prometto. Arianna ha bisogno di te,- fece una pausa, -io ho bisogno di te- si corresse subito dopo.
Tommaso lanciò un’occhiata fuori dalla finestra infondo al corridoio. –D’accordo- sospirò, sopraffatto da un incerto senso del dovere.
Leonardo lo abbracciò forte. –Grazie, grazie mille, amico mio-.
-Vuoi che ti prepari qualcosa da portar via?- gli chiese Tommaso all’orecchio. –Il viaggio potrebbe farsi lungo a stomaco vuoto- suggerì.
Leonardo non riuscì a trattenere una risatina. –Te ne sarei grato-.

Le guardie di pattuglia venute in bottega avevano messo sottosopra tutto il piano inferiore dell’edificio, setacciando inutilmente gli angoli più piccoli e stretti dell’ampio stanzone, arrampicandosi sulle impalcature, se necessario, e frugando dietro le casse piene di tele bianche. Tommaso aveva trascorso la giornata intera a rimettere ordine, solo soletto, nel tetro silenzio di una casa che sembrava vuota senza il suo carissimo compagno. Da quando si erano conosciuti, pensava Tommaso mentre spazzava per terra, lui e Leonardo non si erano mai dovuti salutare per separarsi con una tale distanza. C’erano state le volte in cui lo aveva accompagnato a Careggi, le altre che gli aveva fatto visita dal Verrocchio. Ma mai era successo che l’uno stesse tanto lontano dall’altro.
Ogni tanto il Masini saliva le scale e andava a trovare l’allieva del maestro, controllando la temperatura e rinfrescandole il viso con una pezzetta umida, che poi le lasciava posata sulla fronte bollente così da alleviarle un minimo di sofferenza. Arianna dormiva, dormiva profondamente ma non senza agitarsi sotto le lenzuola per quanto il sonno veniva disturbato dalla febbre.
Quando fu ora di pranzo, Tommaso preparò un caldo brodino per la malata e lo portò su un vassoio sino nella stanza. Lo posò sul mobiletto e sedette sul letto accanto a lei, che lentamente aprì gli occhi.
-Buongiorno- salutò il Masini con un sorriso forzato. In realtà era teso e nervoso come un insetto sul dito di un uomo, che sta lì a domandarsi se verrà schiacciato o risparmiato dallo stesso.
Arianna sorrise a sua volta con sincera armonia, e il viso le si irradiò di una luce tutta nuova. -…’giorno- mormorò.
-Fame?- le chiese garbato.
La ragazza annusò l’aria e riconobbe il profumo della minestra che poi, voltandosi, vide poggiata sul comodino. –Sembra buona- scherzò allegra.
Tommaso l’aiutò a mettersi seduta. –Ti senti meglio?- domandò anche sfiorandole la fronte con la mano. La temperatura era quella di sempre, bollente, ma la ragazza sembrava già più in forze.
Arianna però scosse la testa. –Vorrei rimettermi a dormire il prima possibile…- disse flebilmente.
Tommaso annuì triste e le sistemò il vassoio in grembo.
-Dov’è Leonardo?- volle chiedere la Pazzi impugnando il cucchiaio.
Tommaso s’irrigidì al sentirsi porgere quella domanda. Guardò la ragazza che attendeva una risposta e gli si spezzò di nuovo il cuore come quando aveva visto Leonardo uscire dalla bottega con mantello e bisaccia.
-È andato a cercare una persona- spiegò sfuggente Tommaso.
Arianna parve confusa. –Una persona? Chi?-.
-Una sua conoscenza… un dottore, una donna che può visitarti- disse alzandosi.
-Capisco…- mormorò lei rigirando il brodo col cucchiaio nella scodella di legno. –E quando tornerà?-.
Tommaso si fermò sulla soglia stringendosi nelle spalle. Si voltò e scosse la testa. –Non so- ammise grave uscendo dalla stanza.

Arianna mise da parte il piatto con tutto il vassoio che non aveva finito il brodo. Si crogiolò nelle coperte e si girò verso le finestre poco nascoste dalle tende. Ammirando la Firenze cittadina ancora un continuo tumulto per via delle ricerche, Arianna si sentì attanagliare il petto da uno spregevole presentimento, nonostante il bel tempo.
La tempesta è passata… ma i guai sono appena cominciati… pensava triste, ricordando i tanti sogni fatti in quelle ultime notti. Da una parte avere la febbre era un immenso sollievo, Arianna ne era grata, perché teneva lontane visioni e fantasie di quel genere tanto odiato e temuto. Dall’altra, però, era un dolore atroce alle tempie, alle ossa del corpo e al cuore. Arianna era tanto in pensiero anche per il suo maestro, così alla mercé del primo soldato che avrebbe potuto fargli qualche domanda di troppo e insospettirsi non poco.
Non appena Tommaso rientrò in stanza per prendere il vassoio, Arianna lo assalì con una domanda ancor più pungente.
-Quando smetteranno di cercare?…-.
-Probabilmente mai- borbottò Tommaso seguendo lo sguardo di lei fuori dalle finestre. –Pensano che tu sia stata rapita, perciò Bianca non si darà per vinta molto presto-.
Arianna sobbalzò. –Rapita?! È impossibile!…- si posò una mano sulla fronte stirandosi i capelli all’indietro. La testa prese a girarle per l’improvvisa sorpresa. –Mio padre… mi ha vista lasciare il palazzo! Non può aver confermato una simile versione dei fatti…-.
-Cosa?!- Tommaso per tanto così non lasciò cadere il vassoio. Osservò Arianna allungo senza parole e ad occhi sgranati. –Guglielmo sa che sei qui?!- eruppe spaventato.
-Potrebbe sospettarlo…- assentì lei. –Ma fin ora si sono presentate solo le guardie, no? Quindi non c’è alcun rischio! Se avesse saputo…- eppure c’era un’altra verità ancor più sconcertante alla quale Arianna stentava di credere.
Mio padre mi ha vista fuggire… ma non mi ha fermata… pensò con gli occhi tutti un colore.

Era notte fonda e per Firenze le guardie andavano ancora di corsa, portando con sé le torce, ma la novità erano i cani. Questi abbaiavano inseguendo l’odore della Pazzi per le strade, ma era del tutto inutile perché la pioggia caduta durante la fuga della ragazza aveva coperto ogni puzza o profumo. Sotto un manto di stelle e un cielo senza nuvole, Leonardo giunse alla bottega seguito da una seconda figura coperta di mantello e cappuccio come lui. L’artista bussò un colpo, due, e poi Tommaso Masini venne ad aprire accogliendoli entrambi nel salone. Zoroastro si affacciò fuori di un pelo e, controllando che nessun cane li avesse seguiti, richiuse e sprangò bene la porta.
Leonardo lasciò cadere il cappuccio sulle spalle e si frizionò un po’ i capelli piatti attorno al viso. La dama dietro di lui fece altrettanto, ma non senza aggiustarsi dietro le orecchie le ciocche color miele e avorio, fuggite al nastro della cipolla. Il viso era quello di una gran donna, fino, pulito, ma la carnagione abbronzata e gli occhi azzurri erano tratti somatici di altri mondi. Nel complesso era bellissima, magra, slanciata e nemmeno troppo alta, ma vestita sobriamente, senza fronzoli e gioielli e di una certa età avanzata, probabilmente sulla quarantina d’anni.
Quando Zoroastro diede luce alla stanza con una candela, non poté astenersi dal notare gli stupefacenti caratteri dell’ospite.
-Tommaso, voglio presentarti Caterina- Leonardo prese la mano della donna e l’accompagnò di fronte al suo amico.
-Madonna …- balbettò questi inchinandosi profondamente.
-Incantata, ser, ma bando alle ciance: portatemi da lei- disse la dama, la cui voce armoniosa e dal latente accento straniero era profonda, dolce e autoritaria al tempo stesso.
-Certamente, venite- Tommaso le indicò le scale e si avviò per primo. Caterina, tenendo sollevati i lembi della gonna, salì un gradino alla volta seguendolo col mantello ancora addosso. Leonardo chiudeva la fila, e si avviò con loro in corridoio.

Leonardo accompagnò dolcemente la porta della stanza, dentro la quale aveva lasciate sole Arianna e Caterina. Alle sue spalle, Tommaso era teso come una corda di violino e attendeva in mezzo al corridoio torturandosi una pellicina del dito. Si gettò ad abbracciare l’amico d’un tratto, lasciando Leonardo in un iniziale stato di stupore, poi anch’egli lo strinse forte a sé.
-Tutti quei cani per le strade… ho temuto il peggio- mormorò il Masini all’orecchio dell’altro.
-Hai mantenuto la lucidità nonostante il pericolo, te ne sono grato. Arianna ‘sta sicuramente meglio di come l’ho lasciata alla partenza- lo rasserenò l’inventore.
-Non ha mangiato molto a pranzo- ammise triste Tommaso. –Mi ha chiesto quand’è che smetteranno di cercarla, ebbene ora io lo chiedo a te-.
Leonardo si stanziò da lui per guardarlo negli occhi. –Questa è l’unica cosa che non posso dar certa, Tommaso, dato che non prevedo il futuro-.
-Ma forse lei sì…-.
-Come dici?-.
Tommaso fece un gesto con la mano per scacciare pensieri vani e superstiziosi. –Nulla, non far caso a me… sono solo molto stanco e questo mi porta a farneticare-.
-Allora va’ a riposarti- gli suggerì Leonardo con dolcezza. –Veglierò io su Arianna fin quando Caterina avrà finito di visitarla, tu hai già fatto abbastanza-.
-Sei di ritorno da un viaggio senza soste! Dovresti essere tu quello necessitante di riposo- obbiettò il Masini.
-Non posso darti torto, sai? Ma io non voglio che ti affatichi ulteriormente, perciò va’!- lo spintonò via sino nella stanza accanto, quella degli ospiti.
-Aspetta- Tommaso piantò i talloni sulla soglia. –E la tua bella Caterina dove passerà la notte? Non dirmi che tornerà a Vinci tutta sola e col freddo- eruppe.
-Non preoccuparti e dormi! Buona notte!-.
Tommaso fece per ribattere, ma Leonardo gli chiuse la porta in faccia.

L’artista attese paziente e con le braccia conserte fuori dalla stanza offerta alla dottoressa e alla sua paziente fino a notte inoltrata. Leonardo aveva il mento affondato nel petto, le braccia conserte, i capelli a nascondergli tutto il viso e le gambe accavallate nel gesto di stare appoggiato alla parete. Il silenzio era assoluto e per le strade ora correvano molte meno guardie.
Uscendo dalla camera, Caterina lo sorprese mezzo addormentato e lo svegliò con una carezza affettuosa. Il giovane artista sollevò il volto d’un tratto, sorpreso di vedersi la dama tanto vicina. Si mise composto col peso su entrambe le gambe e sciolse le braccia lungo i fianchi. –Allora?- chiese in ansia.
-Non è grave, state sereno- sorrise Caterina. –La pressione del sangue è alta e costante. Il cuore batte forte come i tamburi dell’Africa- spiegò con tono profetico.
-Ed è un buon segno?- chiese l’inventore, confuso.
-Chiedete proprio voi, Leonardo, che con i vostri studi approfonditi potreste essere il migliore dei medici e degli scienziati- ridacchiò la donna. –Quel che mi preoccupa non è il corpo, ma la mente. Sta soffrendo molto, quando una ragazza della sua età non dovrebbe- pronunciò a voce bassa e profonda.
Leonardo chinò il capo afflitto. –Lo so bene- mormorò triste, ma Caterina gli sollevò delicatamente il mento con due dita, incatenando gli azzurrissimi occhi dell’artista nei propri.
-Siate forte, impavido e coraggioso e lei lo sarà con voi. Siate debole, accondiscendente e sottomesso al mondo, e lei lo sarà con voi. Avverto il legame che vi unisce, ed è insolito che la vostra natura ne risenta in questo modo- sorrise beffarda.
-Arianna è la mia allieva, oltre ad insegnarle ho un altro dovere verso di lei: proteggerla- chiarì l’inventore.
-Ah, credete davvero che vi abbia implorato lei stessa? O siete stato voi ad influenzare la sua scelta?- domandò con malizia.
-Io? E perché dovrei?- si stupì Leonardo. –Non capisco nemmeno a cosa vi riferite- mentì.
La donna mosse un passo indietro. –D’accordo…- fece con malizia. –Tornando a lei: qualche giorno a letto e ve la vedrete saltare davanti sul finire della settimana, garantito-.
Leonardo sorrise. –Ottimo, grazie mille Caterina-.
-È davvero il minimo che possa fare per voi, Leonardo, credetemi- disse avviandosi sulle scale.
-Vi prego, non rimettetevi in viaggio da ‘sta sera! Restate, abbiamo un letto in più- si offrì.
-Siete molto gentile, ma ho già una sistemazione per la notte- spiegò la dama arrivando sulla porta. –E certamente non è mia intenzione privare né voi né il vostro amico di un morbido materasso, quando ve lo meritate entrambi-.
-Dove andrete?- chiese Leonardo, arrivandole di fronte.
-Starò da mia cugina, qui in città, ma probabilmente ripartirò molto presto-.
-Perché?-.
-Voglio lasciare Firenze il prima possibile. Solo conoscendovi rischierei di attirarmi addosso colpe che non ho. Questa faccenda è molto seria, più di quel che immaginate, Leonardo-.
-Ne sono sapiente- ammise l’artista. –Ma vi prego, vi imploro in ginocchio, anche sotto tortura non dite una parola-.
-Mai, nemmeno di fronte a morte certa- pronunciò fieramente Caterina. –Vi auguro ogni bene Leonardo, e che le nostre strade, o i nostri malanni, possano incrociarsi ancora. Addio- salutò.
Leonardo aprì lei la porta. –Statevi sana, Caterina, e grazie ancora, di tutto-.
La donna si nascose nel suo cappuccio e sparì come un’ombra nell’oscurità della notte.














Angolo d’Autrice:
Eccoci. Annuncio ufficialmente il VERO inizio della storia. Quel che è stato fino ad ora può considerarsi un luuuuuungo prologo o antefatto di quel che è realmente la ff che, da un’idea generale, sarebbe dovuta partire direttamente da qui, senza interventi nel presente o tutte quelle vicende tra Bianca, Guglielmo & co.
Caterina da Vinci è un personaggio poco noto nella biografia di Leonardo. I dettagli sul suo personaggio più in là, quando avremo modo di rivederla nella storia. ^^
Ma bando alle ciance e spazio ai ringraziamenti: renault, goku94, Elkade, lullacullen! Senza di voi, lo sapete, questa fan fiction sarebbe già bella che defunta nel dimenticatoio delle fiction inconcluse! XD
Epilogo del capitolo: abbiamo visto un’Arianna travestita da “fanciullo” e una curiosa dottoressa dai tratti somatici un po’ orientali. Risultato: io so già cosa accadrà di qui ai prossimi 5 capitoli, a voi non sta altro che leggere! XD E ovviamente, se vi va (please *w*) renesire. ^^
A presto!
Elik.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Questione di abitudine ***



Questione di abitudine


Venne la mattina di qualche giorno dopo. L’allegro canticchiare di uccellini la risvegliò dal sonno che si sentiva più lucida e in forze. Arianna aprì gli occhi, e come prima cosa, mettendosi seduta e snebbiandosi la vista, si chiese quanto allungo avesse dormito, se per giorni e per ore, da quando Tommaso le aveva portato la minestra l’ultima volta. Quel che aveva ben chiaro erano la fame a brontolarle nello stomaco e la sete a grattarle la gola. Si guardò attorno e riconobbe la solita stanza offertole da Leonardo poco prima che crollasse svenuta davanti al camino, cosa che era probabilmente successa, perché l’artista l’aveva portata in braccio sino alle lenzuola mentre lei era già incosciente. In breve Arianna ricollegò molti dei vari e confusi ricordi degli ultimi giorni, dalla minestra di Tommaso alla misteriosa donna che l’aveva visitata. In mente aveva il suo volto come stampato da un timbro di cera sulla carta da lettere. I suoi occhi azzurri luminosi al buio e i capelli color miele, lisci, tenuti da un nastrino rosso in un’ordinata cipolla. La forma del viso, la carnagione e la voce di altri mondi davvero, si era detta nell’ascoltarla chiederle di sollevarsi la maglia, così che potesse posare appena i palmi sulla schiena della ragazza e ascoltarne il battere del cuore. Oltre alle colloquiali richieste di un qualsiasi medico, la donna non aveva detto nulla, nascondendole persino il suo nome.

Trascorse qualche minuto, forse un’ora buona, durante la quale Arianna ripensò più volte all’accaduto di qualche giorno fa. Si torturava ancora sulla propria fuga, domandandosi cosa avrebbero pensato di lei i suoi fratelli, le serve e quindi Viviana, il nonno Jacopo, ma soprattutto Bianca e lo zio Francesco. Aveva piantato in asso Vieri giusto la notte prima di maritarlo. Arianna si disse che sarebbe stato di gran più scena abbandonarlo in Chiesa, poco prima di raggiungerlo sull’Altare. Fortunatamente non l’aveva fatto, pensò, perché la pioggia non caduta non avrebbe nascosto il suo odore ai cani che, l’indomani, le avrebbero dato la caccia.
Ad alleviare i cattivi pensieri c’era il sollievo di una lunga influenza ormai passata, ma da un lato Arianna se ne rattristava. Le visioni, le fantasie, quel che aveva compreso essere il futuro, avrebbero ricominciato a tormentarla.
Si chiese più che altro se le guardie avessero finalmente smesso di cercarla.
Con quel timore a martellarle la tempia, Arianna scansò le coperte e scivolò fuori dal letto. Posò i piedi scalzi in terra e, con addosso solo la canottiera di seta bianca e i calzoncini a mezza coscia, si avvicinò alla finestra. Scansò un lembo della tenda e sbirciò oltre il vetro. Quel che vide fu una Firenze tranquilla, botteghe aperte, strade armoniosamente affollate di gente, menestrelli e poeti. Il cortile accanto all’edificio ospitava un compatto stormo di passeri migratori, tutti a volteggiare e posarsi sull’erba del giardino. Dinnanzi aveva il buon tempo di un magnifico dì soleggiato e senza nuvole. La primavera, armoniosa e bellissima, lo era ancor più se ci si svegliava solo ora dalla febbre di inizio stagione, quando il corpo necessita di abituarsi al nuovo equilibrio di profumi e calori.
-Arianna! Sei in piedi!-.
La ragazza si voltò di colpo e vide Zoroastro comparso dal nulla sulla soglia. Aveva la mano ancora posata sulla maniglia, e gli occhi sgranati per lo stupore. I capelli spettinati, la barba fatta e i vestiti puliti, impeccabile come sempre.
La ragazza gli andò incontro con piccoli passi scattanti e lo abbracciò con gioia.
L’uomo, sorpreso dal gesto, restò allungo perplesso. -Suppongo quindi che ti senti…-.
-Meglio!- concluse Arianna con una risata stringendosi a lui. –Ed è tutto merito vostro e della vostra miracolosa minestra- aggiunse stanziandosi.
Tommaso rise a sua volta. –Ah! Vallo a raccontarlo a Leonardo che le mie verdure fanno miracoli!-.
-Anche se fosse lei a raccontarmelo, non ci crederei. È una mia impressione o qualcuno si è finalmente svegliato?-.
Arianna si stanziò da Zoroastro lentamente, per vedere comparire il suo maestro sull’ingresso della stanza. La ragazza gli giunse di fronte senza staccare gli occhi dai suoi, con le guance arrossate.
Leonardo le sorrise sereno. –Lieto di ammirarti di nuovo a colori, Arianna. Era la prima volta che guardando un volto bianco provavo paura e rigetto, cosa che non mi fu mai successa quando studiai l’anatomia- disse con una nota scherzosa.
La ragazza si avvicinò al suo petto e lo abbracciò. –Non me ne sarei mai andata proprio ora che ho trovato un posto felice dove stare…- mormorò commossa.
Leonardo la strinse a sé con dolcezza. –Io non l’avrei mai permesso in ogni caso- ripeté con stesso tono.
-Un posto felice dove stare, dite voi, eh?- borbottò Tommaso aprendo la finestra. –È solo questione di tempo, Leonardo, e le guardie ricominceranno a cercarla. Suo padre l’ha vista fuggire, sa quindi che non può essere andata lontano. Torneranno, e quando la troveranno, ci faranno impiccare a tutti e tre- sbottò togliendo le lenzuola dal letto sul quale aveva dormito la malata. Le sbatté sonoramente per poi gettarle in terra assieme alla fodera del cuscino e del piumino, tutto da cambiare.
Leonardo e Arianna si scambiarono un’occhiata allarmata.
-Davvero Guglielmo ti ha vista fuggire dal palazzo?- chiese l’artista.
La Pazzi annuì.
-E non ha fatto nulla per fermarti?- insisté l’inventore, confuso.
La ragazza scosse la testa stringendosi nelle spalle.
Leonardo guardò prima lei poi l’amico, che nel frattempo aveva messo in una cesta le coperte infette e si apprestava a portare il tutto fuori dalla stanza col musone sulla faccia. –Resta qui- disse ad Arianna, che lo vide seguire Zoroastro nel corridoio.
-Tommaso, cosa consigli di fare, dunque? Buttarla fuori e aspettare che Bianca se la mangi a colazione?- eruppe seguendo il mago fino nella stanza da bagno.
Ignorandolo, Zoroastro rovesciò il contenuto della cesta nella vasca da bagno e aprì la finestra, così che i germi non si depositassero nella camera. I raggi dorati del sole, una folata di vento leggero e le voci della gente riempirono casa a poco a poco.
-Tommaso, per Dio, perché non capisci? Arianna è al sicuro qui!- proseguì Leonardo, disperato perché l’amico stava trasformando la sua gelosia in una sorta di risentimento, ed era ben intenzionato ad impedirlo.
Zoroastro non rispose, piuttosto si ostinò nel suo silenzio a muso truce e si avviò con la cesta vuota fuori dalla stanza da bagno. Traversò il corridoio, passò la cucina, e Leonardo gli camminò dietro fino nella stanza degli ospiti, dove lo vide prendere delle nuove lenzuola da un cassettone dell’armadio.
-Ammettilo, ci stai pensando- tentò Leonardo guardandolo mentre rifaceva il letto della camera, nella quale aveva dormito tutto solo le ultime notti. –Su, ammettilo- insisté l’inventore notando una virgola perplessa comparsa sul volto del compagno. –Tu vuoi che resti, ma hai paura che possa diventare una minaccia. Non ci accadrà nulla, te lo prometto. Che Dio mi fulmini se in me dimora il dubbio! Zoroastro, ti supplico… ripensa a tutto quello che t’ho sempre detto fin ora, alle promesse mantenute e quelle infrante. Quante sono le une e quante le altre, eh? Conta, Zoroastro, conta…-.
Il Masini tacque alcuni istanti ancora. Finì di ripiegare le lenzuola e dispose il copriletto. –Ho contato- biascicò immobilizzandosi, a cose fatte, come una statua.
-Ebbene?- chiese Leonardo in un sussurro.
L’altro lo guardò negli occhi giusto un secondo, prima di chinare il capo un’altra volta. Scosse la testa con una smorfia. -Stavo chiedendomi quale fosse l’incantesimo che rifà magicamente i letti, se finirò per doverne tirare su uno in più-.
Leonardo scoppiò in una gioiosa risata. –Ah, ah! Lo sapevo, lo sapevo! Grazie, grazie amico mio!- esultò andandogli incontro e abbracciandolo come un pupazzo di pezza, quasi fino a stritolarlo.

Arianna guardava Firenze dalla finestra quando Leonardo e Tommaso tornarono da lei, sorprendendola coi corti capelli al vento, ancora mezza nuda e appoggiata al davanzale.
-Per carità, Arianna, sei appena guarita e già vuoi un altro malanno?- eruppe Tommaso andando da lei e chiudendo la finestra non appena si fu scansata.
-Credo che un giorno o l’altro fuggirai anche da qui- ridacchiò Leonardo incrociando le braccia al petto e scoccando un’occhiata eloquente alla sua allieva. Arianna, in tutta risposta, stese le labbra in un sorriso.
-Allora posso restare?- chiese ad entrambi, guardando prima uno poi l’altro.
Quelli si scambiarono uno sguardo complice e annuirono. Tommaso parlò per primo:
-Ad una condizione- disse, lasciando interdetti gli altri due.
-Cioè?!- domandò Leonardo a nome anche di Arianna.
-Purché questa resti comunque una casa di soli uomini- spiegò il Masini.
-In che senso?- chiese Arianna, confusa.
Zoroastro si avvicinò alla sedia sulla quale erano ripiegati dei vestiti, gli stessi che la Pazzi aveva indossato per camuffarsi da garzone qualche giorno prima, ora puliti e stirati. Con un gesto eloquente li mostrò al maestro pittore.
Leonardo ci rifletté su. –Non è una cattiva idea, anzi- commentò di parte.
-Cosa? Quale idea? Di che state parlando?- Arianna si mise seduta sul bordo del letto attenendo una risposta.
-Non vorrai mica che qualche guardia piombi in bottega per qualsivoglia motivo e ti riconosca, vero?- le accennò Tommaso.
Arianna scosse la testa, vedendo Leonardo avvicinarsi a lei. –Pensa cosa accadrebbe se un giorno il Verrocchio venisse a farmi visita e ti trovasse qui. Sarebbe il putiferio, anche se siamo buoni amici lo racconterebbe di sicuro a qualcuno perché com’è fedele a me o a Guglielmo, lo è anche al Magnifico- disse serio sedendole accanto.
-Magnifico sta per Lorenzo, e Lorenzo sta per Bianca- concluse Tommaso.
-È una bugia troppo grossa per poter essere taciuta- aggiunse l’inventore. –Finché si trattava di prendere lezioni d’arte al Magnifico non doleva, ma sapendo che la vita di una sua nipote è in mano a degli sconosciuti, come credi che reagirebbe?- chiese alla ragazza.
La Pazzi chinò la testa affondando il mento nel petto. Ha ragione… finché resterò qui sarò condannata a mentire sulla mia identità… pensò guardando i vestiti da uomo ripiegati sulla sedia. E l’avevo sempre sospettato, o non mi sarei tagliata i capelli prima di lasciare casa… aggiunse.
-Con una simile acconciatura siamo già a metà strada- illustrò Leonardo prendendo tra le dita due ciocche dei suoi capelli.
-Dobbiamo lavorare sull’atteggiamento e sulla voce- schernì Tommaso incrociando le braccia e spostando il peso su una gamba.
-Forza, allora, rimbocchiamoci le maniche!- scherzò l’artista alzandosi dal letto.
Mise Arianna nel centro della stanza e si offrì così di vestirla, mentre il Masini fuggiva in cucina a preparare il pranzo.
Leonardo le strinse il corpetto come la volta precedente, a tal punto da mozzarle il fiato.
-Eh, col tempo ci farai l’abitudine… spero- ammise l’inventore allacciando i nastri incrociati sulla schiena di lei, alla quale era scomparso il petto da donna. Arianna, più che il seno, si sentì rubare lo stomaco e tutti gli organi vicini ad esso.
Per nascondere le gambe fine, morbide, magre e dalla forma femminile, Leonardo scelse per lei una calzamaglia di colore bianco e blu, che le faceva metà polpaccio di un colore e metà dell’altro.
-Quanto ho dormito?- chiese lei.
-Sei rimasta a letto tre giorni, durante due dei quali non hai più aperto occhi. Devi essere molto affamata- commentò l’artista infilandole, sopra al corpetto, una morbida camicia di cotone leggero e un po’ sbiadito. Le andava larga arrivando sino a metà coscia, ma nascosero i bordi nel pantalone che Arianna aveva rubato a suo fratello, e che le andava certo più giusto di quello pescato dall’armadio di Tommaso. Ci volle poco per infilare i piedi nelle scarpette basse e da bambino, le stesse di quella prima volta. Sopra alla camicia, Leonardo le fece indossare il medesimo giubbetto blu, e altrettanto fu la scelta del berretto, che le sistemò in testa dopo averle scompigliato un po’ i capelli come si addice ai maschietti di quell’età.
-Chi era quella donna?- domandò poi quando ebbe l’uomo davanti.
Leonardo l’accompagnò dinnanzi allo specchio finendo di allacciarle la cinta sui fianchi. –Di questo parliamo a tavola con Zoroastro- disse, mentre Arianna seguiva ogni suo gesto con minuziosa attenzione e non senza vergognarsene un po’. Leonardo le aveva carezzato la pelle delle gambe infilandole le calze, le aveva messo le mani tra i capelli pettinandola, e le aveva fatto mancare l’aria nel gesto di stringerle il corpetto. Brividi continui le avevano traversato le ossa, perché essere toccata da lui le piaceva e le rubava un colpo al cuore tutte le volte. Arianna tentò comunque di restare lucida, di godersi l’inizio di quell’avventura tanto desiderata.
Leonardo finì di allacciare la cintura e l’accompagnò più lontana dallo specchio, così che potesse guardarsi per intera.
-Che ne pensi?- chiese ammirandola.
Arianna era senza parole. –Sembro mio fratello Cosimo quand’aveva sette anni- commentò in fine con una risata commossa. Con la manica della camicia si asciugò la lacrima che le cadde sulla guancia, e Leonardo le tornò vicino stringendola forte a sé per confortarla.
Arianna si avvinghiò con le unghie ai suoi vestiti soffocando lì i singhiozzi.
-Col tempo ti abituerai anche a questo…- le mormorò all’orecchio, carezzandole la testa e lasciando che si sfogasse su di lui.


≈ ≈


Tommaso, Leonardo e Arianna si ritrovarono seduti alla stessa tavola per l’ora del pranzo, questi ultimi affamati a tal punto da finire addirittura tutta la buona verdura preparata dal Masini.
-Eh, eh! Non c’era bisogno di tanti complimenti- disse Tommaso alzandosi e raccogliendo i piatti.
-Per Dio, tappati quella bocca e torna seduto!- eruppe Leonardo afferrandolo per la camicia e tirandolo giù, di nuovo sulla sedia. –La questione è seria, Zoroastro, dobbiamo fare di questa bella fanciulla il peggiore dei ragazzacci- pronunciò scherzoso guardando Arianna, che gli era di fronte e si rigirava il bicchiere nella mano.
Tommaso posò i piatti sul tavolo sbuffando e si lasciò andare sullo schienale della sedia. Lanciò un’occhiata alla ragazza e aprì bocca per dire: -Forse se gli scolpissimo un po’ quel bel faccino a suon di schiaffi, eh!-.
Arianna sobbalzò sulla sedia, pallida.
I due ragazzi scoppiarono in una fragorosa risata, complici. –Anche se continuo a pensare che non ti farebbe male una bella lezione, bricconcella. Col cavolo che me ne fuggivo di casa io, ai miei tempi- borbottò Tommaso mettendo i gomiti sul tavolo.
-I “tuoi tempi”, carissimo, non sono più di qualche anno fa- lo rimbeccò Leonardo. –Bello, è ancora bambino lui!- scherzò prendendogli il viso nella mano.
Zoroastro si divincolò non senza ridere e colorare le guance. –D’accordo, adesso però restiamo seri, per favore. Avanti,- guardò Leonardo, -dicci chi era quella bella Caterina-.
Arianna tese le orecchie sistemandosi più comoda sulla sedia.
L’inventore chinò la testa da un lato inclinando lo sguardo. Le labbra gli si tesero in un mesto sorriso, a metà tra il triste e il contento. –Era la serva di mio padre quando vivevamo a Vinci- spiegò semplicemente. –Fu la mia nutrice quando ser Piero prese la seconda moglie e concepì i miei primi quattro fratellastri. Io l’ho amata come una madre, e lei mi ha cresciuto come un figlio- sospirò sereno e commosso.
-Wow…- esultò Tommaso con un filo di voce. –Questa storia si che è nuova! Da dove salta fuori? Perché non mi hai mai parlato di lei?- s’incuriosì.
-Perché non pensavo potesse interessarti- ridacchiò Leonardo.
-Fatto sta che adesso le siamo tutti quanti gran debitori- biascicò Tommaso. –Se è quel genere di donna che cercavamo, manterrà il segreto di Arianna, ed è questo che conta- ne convenne.
Leonardo annuì. –Assolutamente-.
-Bene- sospirò il Masini. –Ora: mi permetti di sparecchiare o tenterai di strapparmi la camicia di nuovo?- sbottò fulminando l’amico con un’occhiataccia.
-Magari un’altra volta- sghignazzò l’artista non senza un secondo fine.
Arianna arricciò il naso. –Quindi… volete trasformarmi in un ragazzo?- chiese a mezza voce.
-È più che essenziale,- indugiò Tommaso, -o almeno lo è se hai intenzione di restare- aggiunse stringendosi nelle spalle e levandole il piatto vuoto da sotto il naso. Nel far ciò scoccò un’occhiata all’artista all’altro capo del tavolo.
Questi sollevò il mento e si volse verso la sua allieva. –I vestiti ti vanno giusti- disse riscuotendosi dai suoi pensieri, -ma non basta. C’è bisogno che in caso di necessità tu sia capace di modificare il tuo atteggiamento e, soprattutto, la tua voce. Forza, fammi sentire cosa sai fare-.
Arianna arrossì d’improvviso. Si sforzò di cambiare il proprio timbro vocale sperimentando qualche parola a caso, lasciando Tommaso e Leonardo soddisfatti al primo colpo. –Ottimo- commentò quest’ultimo abbassandole la visiera del berretto sugli occhi, per gioco. –Da oggi sarai il mio garzone, allora-.
Arianna si tolse il cappello sistemandosi una ciocca dei corvini e corti capelli dietro l’orecchio. –Ahimé, temo di sì…- sospirò con scherzo.
-È deciso, dunque!- Tommaso batté le mani, ora che sul tavolo non restava più nulla a parte qualche briciola e i due amici seduti. –Darò una pulita alla soffitta e la nostra ospite vivrà comodamente appartata nei suoi alloggi privati- sorrise alla dama.
Arianna si rimise il berretto. –Certo!- fece con voce da maschio.
-Nel frattempo, il mio nuovo garzone farà la cortesia di accompagnare il suo maestro in una salutare passeggiata- convenne Leonardo alzandosi dal tavolo e avviandosi in corridoio.
Arianna, da ancora seduta, guardò sconvolta prima il suo maestro andar via, poi Tommaso, colpito quanto lei. Questi si strinse nelle spalle non sapendo cosa l’inventore avesse in mente, ma poi Leonardo tornò indietro e si affacciò in cucina con un’espressione confusa sul viso.
-Zoroastro, stamani che dì siamo?- chiese, perplesso.
Tommaso rispose senza neppure riflettere, allucinato: -Venerdì, Leonardo-.
L’artista annuì compiaciuto e si volse verso Arianna. –Allora, andiamo?- la chiamò.
La Pazzi scattò in piedi e seguì il suo maestro in corridoio, poi giù per le scale. –Che accade il venerdì?- domandò quando furono sull’ingresso della bottega. Leonardo aprì la porta e la mandò avanti, per poi richiudersela alle spalle.
-Vi aspetto per cena!- gridò Tommaso affacciandosi da una finestra del piano di sopra.
-Sì, sì!- fece laconico Leonardo. -Vedrai- arrise poi alla sua allieva, incamminandosi tra la gente a passo lento. Arianna, sospettosa ma più che altro curiosa, salutò Tommaso affacciato al cornicione e andò dietro a Leonardo tenendogli accanto.










Angolo d’Autrice:
Qui, adesso, vorrei condividere con voi questo meraviglioso disegno di Arianna fatto da Elkade, che ancora ringrazio di cuore. *-* Ough… mi commuovo tutte le volte che lo vedo ç__ç
Per quanto riguarda il capitolo, invece, Tommaso è il solito geloso, ma come appena accennato nel capitolo precedente, il Masini sembra sapere qualcosa su Arianna che nemmeno lei sa *muhahahahaha!*
:| Avverto che procederò più lentamente con gli aggiornamenti perché i sette capitoli in più che avevo fino ad una settimana fa si sono ridotti a due *ehehe*. Contemporaneamente la scuola e i lavori di recupero mi tengono sempre impegnata, per non parlare del mio ragazzo che si lamenta dicendo che gli do poche attenzioni <_< tsk! Ma guarda te… -.- e poi, dato che sto lavorando ad una nuova ff su Dante’s Inferno (il videogioco) in collaborazione con goku94, sono tutta fomentata per le idee mozzafiato che mi trastullano in testa dalla mattina alla sera. @__@
Cercherò ugualmente di dedicarmi alla bene e meglio anche a questa storia che, giunta a tal punto, se lo merita. ^^
U.U Ringrazio tutti per i commenti al posto precedente, sperando che questo sia stato altrettanto di vostro gusto.
Detto ciò, a presto! *saluta con la manina e un sorriso da idiota*


Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Rinascere liberi ***


Rinascere liberi


Il sole del primo pomeriggio rischiarava le strade, i giardini, vetri di chiese e armature di guardie.
Passeggiavano l’uno affianco all’altra in silenzio e coi propri pensieri già da un po’, essendosi lasciati la bottega ormai alle spalle ed immersi nella caciara del Mercato Vecchio. Arianna si guardava attorno sperduta e attenta, come se stesse visitando Firenze per la prima volta. Si girava da parte a parte incrociando gli occhi di tutti, percependosi osservata anche quando non lo era. Con quei panni da uomo a coprire le sue forme femminili, si sentiva un’altra persona, uno spirito incatenato ad un corpo che non era il suo.
Ora la gente non vede più chi sono, ma cosa sono… pensò a malincuore. Ovvero, una povera anima come un’altra…
Il corpetto, poi, le comprimeva il torace a tal punto da farle mancare il fiato, trasformando ogni piccola azione in una grande fatica. Se doveva dirla tutta, il seno cominciava a farle male sul serio e i pantaloni le cadevano.
Chi diavolo me l’ha fatto fare?! Imprecava tirandosi su le braghe di tanto in tanto, quando era certa che nessuno la guardasse, tantomeno Leonardo, che le camminava davanti facendole strada tra la folla che animava il quartiere del Mercato.
La grande paura di Arianna, però, non era quella di restare senza pantaloni da un momento all’altro, bensì di vedersi venire incontro qualche guardia con un cane da caccia in grado di riconoscere il suo odore.
Da quando erano usciti di bottega, né lei né il suo maestro avevano detto parola. L’artista passeggiava dritto per la sua via, zigzagando con naturalezza tra la folla agitata che veniva loro incontro, mentre Arianna, dietro di lui, era nervosa per il rischio che aveva accolto a braccia aperte.
D’un tratto Leonardo le comparve affianco, tenendo le mani giunte dietro la schiena e camminando più lento. In viso aveva un’espressione indecifrabile, un misto di serenità e malinconia. Guardava davanti a sé senza fermarsi o inclinare la testa da una parte, tutto assorto in chissà quali pensieri.
Arianna spostò involontariamente lo sguardo dai suoi occhi azzurri alla sua bocca, sulle cui labbra c’era ancora il suo sapore, poteva scommetterci. Il ricordo affiorò come un stiletto in petto facendole ancor più male del corpetto, e l’immagine, quasi fosse dipinta nella sua mente, trasse gli artigli e cominciò a graffiarle la parete dello stomaco volendo risalire fino alla bocca a suon di parole, e chiedere a Leonardo se anche lui avvertiva quel dolore atroce.
Dopotutto, la passeggiata era il primo respiro di sollievo dopo tante cose accadute in fretta. Arianna era rinvenuta dal letto solo quella mattina, e qualche sera prima, davanti al camino della bottega appena fuggita di casa, non c’era stato né modo né tempo per parlare, o anche solo accennare a tale spinoso argomento, quale il loro bacio, la prova che aveva messo alle strette la giuria di Firenze.
-L’altro giorno, non ci crederai mai, ma ho incontrato tua madre-.
Arianna dissipò il rossore delle guance e sobbalzò, perché Leonardo, prendendo improvvisamente parola, l’aveva spaventata a morte.
-B-b-bianca?- balbettò, con stupore e il batticuore forsennato.
Il chiasso della folla attorno nascondeva la loro più che segreta conversazione. Leonardo annuì, continuando a camminare col suo garzone accanto. –Era in compagnia della tua ancella, la stessa che mi ha ricevuto quella volta…-.
-Viviana- lo interruppe.
-Sì, esatto, lei- convenne l’artista. –Ero in strada come oggi, a passeggiare, e le ho vedute entrambe sedute su una panca nella piazza che s’apre davanti la Santa Maria del Fiore. Era il mezzodì, perché l’ombra del campanile del Giotto non l’ho veduta proprio. Non ho osato domandare cosa ci facessero là, volevo andarmene in silenzio, ma in compenso la tua serva mi è corsa incontro riconoscendomi e m’ha chiesto di te, sprovveduta ma innocente-.
Arianna s’irrigidì. –Cosa?…- chiese esangue.
Leonardo fu costretto ad annuire, non senza una smorfia. –Chiedeva di te, come stavi, se la pioggia ti avesse recato malanno, perché chi altri può conoscere meglio il tuo fisico se non la donna stessa che più volte ti è rimasta accanto in salute e in malattia?-.
-Così Viviana sa tutto… E Bianca?- eruppe la ragazza. –E voi? Cosa le avete risposto, di grazia?- la voce le stava tornando stridula a poco a poco, e attirava gli sguardi della gente più curiosa.
Leonardo continuò a camminare senza fermarsi, finché non giunsero sul lungarno della città e sostarono dove il mercato aveva le sue ultime bancarelle, prima che la strada cadesse nel fiume, trattenuta solo da un muretto. Il cielo era limpido, i gabbiani danzavano chiassosi assieme ai colombi appollaiati sui tetti e sulla via, attorno ad una vecchia che gettava loro briciole di pane secco.
-Fortunatamente ho sviato l’argomento prima che Bianca capisse cosa la tua ancella sapeva riguardo alla faccenda. Il fatto più truce, però, è avvenuto quando mi è scappato di bocca che neppure io, di conoscenza a te e tuo padre, avessi idea di chi potesse averti rapita…- s’interruppe un istante, lasciando correre lo sguardo lungo il fiume che tagliava la solare città. –Prima il suo bellissimo viso si è fatto bianco in onore del suo nome, poi ha mormorato il tuo portandosi una mano alla bocca, e in fine… il lacrime, davanti a me, alla vostra ancella e a tutta Firenze, come una donna qualunque… Qualsivoglia parola avessi pronunciato per rincuorarla, sarebbe stato del tutto inutile. Una figura tanto forte, autoritaria e preziosa come la sorella maggiore del Magnifico… in lacrime di pena per la sua figlia scomparsa. Unica prova, questa, dell’amore che ha perduto, e di quel cuore di pietra che le si è spezzato…-.
Ancora poco e quella in lacrime sarebbe stata lei, Arianna, che indietreggiò stringendosi il colletto della camicia. Fissò allungo il suo maestro con gli occhi lucidi.
Era bastato poco per dire tanto, e Leonardo questo glielo fece intendere con un’ultima occhiata severa ma rammaricata.
La ricca e potente Bianca de’ Medici si è piegata al dolore della disperazione di fronte alla Firenze tutta, senza un minimo di vergogna, non più.
Leonardo riprese a camminare, ma si fermò poco più avanti, ovvero di fronte ad un grasso venditore circondato da gabbie e gabbiotti di varie grandezze. Arianna tacque e ammirò il suo maestro avvicinarsi a quel pollame di colombi, piccioni, passeri e uccelli dei colori più belli. Leonardo scambiò due parole col mercante di pennuti e indicò una gabbietta precisa. Arianna, troppo lontana per udire cosa si fossero detti, vedeva muoversi le labbra dell’uno e dell’altro. Il mercante rispose al muto quesito dell’inventore, ma fece in fretta a riportare altrove la sua attenzione mentre Leonardo, con estrema calma, si avvicinava alla gabbia e l’apriva.
Una coppia di magnifici uccelli verdi, gialli e blu si librò nell’aria con grande stupore sia di Arianna che del venditore. Questi gettò da parte la contabilità e andò incontro all’artista sbraitando collerico almeno una decina d’insulti. Il pesante dialetto del sud non sembrò comunque turbare l’inventore, che richiuse la gabbia e si cacciò la mano nella tasca dei pantaloni. L’uomo stava per dargli addosso col pugno chiuso, quando Leonardo, sorridendo beffardo, gli mise davanti al naso un sacchetto abbondante di monete.

-Erano africani, valevano una fortuna, perché l’avete fatto?- chiese Arianna, non senza stupore, sulla via del ritorno.
-Sono io, piuttosto, che ti domando se sia giusto lasciarli prigionieri dentro una gabbia. Non provi sentimento alcuno nel vederli in quello stato?!- eruppe con furore.
La cosa dei pennuti dev’essere una questione delicata… si disse Arianna, che con una domanda di così poco conto aveva fatto agitare il suo maestro.
Leonardo si riempì d’aria i polmoni e guardò a terra. –Davvero non ho mai sopportato il commercio di animali, quant’è vero che andando a caccia di poiane il venerdì con mio zio Francesco, gliele facevo scappare via tutte dalla mira, e così ser Piero mi metteva in punizione…- ridacchiò. –Che coincidenza spiritosa, dirai tu, ebbene lo penso anch’io. Quel mercante di rari pennuti sale a Firenze da Napoli per il sabato mattina e riparte all’alba del lunedì. Glieli pago sempre gli uccelli che libero, ma vederli volare in cielo… oh… non ha prezzo. Uscire da una gabbia è ricominciare a vivere, o per essere più precisi, iniziarne una nuova. La rinascita, ecco cos’è che non ha prezzo. E poiché io ho ridato la vita a quegli animali, sono libero di sentirmene padrone a mia volta-.
Arianna restò affascinata da un tale discorso. Vedeva del buono e del dolce nel cuore di Leonardo, ed era cosa rara per gli uomini. Condivideva a pieno il suo pensiero, sentendosi già parte di qualcosa di grande come la natura.
-Sono altri gli animali che vi piacciono?- chiese, colpita.
-Ragazza mia, io amo tutti gli animali! Dal più insignificante insetto di strada,- si fermò e guardò a terra, -al più spietato rapace in cielo- disse poi mirando in alto, e in quell’istante volò sopra le loro teste un falco pellegrino che diffuse il suo grido, spaventando uno stormo di colombi sul ciglio del tetto vicino. –Ma se proprio sono costretto a scegliere, sì, credo che gli uccelli abbiano un posto particolare nel mio cuore. Subito dopo vengono i rettili. Dio, che creature affascinanti! E in terzo luogo i pesci, il mondo marino, l’occulto di abissi e oceani oltre i quali l’uomo non si è mai spinto!- esultò.
-Uccelli, rettili, pesci… Viaggiate molto con la fantasia, eh?- scherzò Arianna. –Da gran sognatore quale siete, poi-.
-Ridi, ridi, aspetta qualche anno e poi vedrai- biascicò Leonardo. –Tu e Tommaso sembrate d’accordo quando mi prendete in giro: così elementari, piatti, poco aperti alla ricerca e alle novità! Pigri siete! Altroché…-.

-La stessa messa in scena di sempre! Ah, Leonardo, Leonardo… Verrà il giorno in cui quel vecchio cinghiale ti spacca il naso, ci scommetto l’osso del collo- borbottò Tommaso mettendo in tavola la cena.
-Non giocarti la vita su simili sciocchezze, Zoroastro mio, che non ne hai una seconda- lo ammonì l’artista.
Arianna e Leonardo sedevano vicini, il Masini prese posto di fronte all’amico versando l’acqua nei bicchieri di tutti. Sui mobili erano sparse candele, uniche fonti di luce e calore nella stanza. Fuori dalla finestra della cucina c’era un magnifico cielo stellato. Le imposte erano aperte, entrava un fresco e pulito venticello primaverile. Per le strade girava qualche guardia, ma nulla di allarmante come i giorni passati. Firenze sembrava tornata finalmente tranquilla.
-Se posso aggiungere, dai, hai detto la stessa identica cosa la settimana scorsa, Zoroastro- lo riprese Leonardo con una risata.
-Appunto! Non pensi che sia ora di smetterla di attirare la rogna delle guardie in tal modo?!- sibilò il Masini. –O vuoi farti sbattere in prigione? Non t’è bastato rischiare la forca già una volta?!-.
Saliva una spinosa questione… Leonardo si accigliò. –Sai benissimo che i miei guai con la legge sono infondati e mal dominati- pronunciò serio.
Arianna si fece sempre più piccola e stretta sulla sedia, sentendosi di troppo.
-Non ho detto questo. Ti chiedo solo di essere più cauto, soprattutto ora che abbiamo certi ospiti in casa- eruppe alludendo alla ragazza.
-Non c’è motivo di stare così attenti, Arianna è ben camuffata! Neppure suo padre sarebbe in grado di riconoscerla-.
-Ma i cani delle guardie sì. Ci punto il salario che ha addosso ancora l’odore dei tappeti del suo palazzo. Non mi tolgo dalla mente certe immagini, sai? Certe visioni, ecco… di noi due… appesi per la gola in Piazza della Signoria, cibo fresco per le cornacchie! Se piombassero qui, le guardie, e ci trovassero con lei, scoprendo chi realmente è, o se questo gioco di costumi ci si rivoltasse contro… Il Diavolo solo saprebbe cosa fare di noi… all’Inferno-.
Leonardo, che tentava in tutti i modi di abbassare il tono e il furore della conversazione, riuscì a malapena a pronunciare parola che, nel silenzio della bottega, si udì un flebile bussare.
Il Masini e il da Vinci si scambiarono un’occhiata sorpresa.
-Chi può essere a quest’ora?- chiese Arianna, altrettanto stupita.
-Non saprei…- ammise Tommaso alzandosi.
-‘Sta buono te, vado io- esordì Leonardo precedendolo e spingendolo giù, di nuovo seduto. –Voi mangiate, o si fredda- aggiunse l’artista, sparì nel buio del corridoio e i suoi passi si persero sulle scale.
Arianna e Tommaso si guardarono allarmati ad occhi sgranati.

Leonardo giunse al pian terreno dell’edificio che era tutto buio e bussavano ancora. –Arrivo, arrivo!- fece l’inventore. Rischiò d’inciampare ben due volte sul tappeto, perché Tommaso s’era dimenticato di accendere il camino della bottega e non si vedeva una mazza.
Imprecando sotto voce, l’artista aprì la porta e si trovò dinnanzi un uomo vestito di abiti scuri e incappucciato di una mantella rosso porpora.
-Desiderate?- chiese Leonardo cordialmente, non potendo immaginare che l’uomo dinnanzi a lui fosse un ben noto Signore di Firenze.
Questi però non parlò, piuttosto si mirò attorno e alle spalle, controllando che nessuno, soldato o quant’altro, lo avesse seguito. Tornò a guardare Leonardo negli occhi e si scoprì il volto, così che l’inventore potesse riconoscerlo.
-Per la Madonna…- mormorò Leonardo, tramortito, -Messer Guglielmo!-.
-Urge parlarvi. In strada è poco sicuro- sentenziò breve l’uomo. –Fatemi entrare, di grazia-.
L’artista, divenuto improvvisamente di pietra o di marmo, si limitò ad annuire e fargli spazio. Guglielmo entrò a grandi passi e si sistemò nel mezzo della stanza, poi raggiunto da Leonardo che richiuse la porta con estrema lentezza.
-Mi avete spaventato, mio Signore- disse l’inventore inchinandosi alla cieca, ma gli occhi verdi dell’ospite sembravano far luce propria. –Perdonatemi se non vi ho riconosciuto da principio…-.
-Basta con questa messa in scena, Leonardo, lei dov’è?- sbottò Guglielmo fulminandolo con un’occhiataccia truce.
L’artista ne rimase trafitto, ucciso, e il suo volto si fece ancor più bianco. –Oh Cristo…- imprecò in un sussurro.
-Credevate che non lo sapessi?- continuò Guglielmo, serissimo. –Sono suo padre, e fino a qualche tempo fa avevo il suo stesso dono-.
-Dono?…-.
Guglielmo scacciò certi suoi pensieri con un gesto della mano. –Ah, dimenticate le mie ultime parole. Ora forza, però, conducetemi da lei- ordinò.
-Non so di cosa state parlando…- mentì, ma gli riuscì uno schifo.
-Vi prego, Leonardo… Debbo vederla, debbo accertarmi che sta bene… quel che avete raccontato a Viviana, della febbre… se avessi saputo avrei mandato i miei medici migliori- gemé il vecchio Pazzi. –Vi imploro, Leonardo, vi imploro di poter vedere mia figlia, un’ultima volta- pronunciò affranto, solidale, ma cosa più importante, complice.
L’inventore tacque assorto e ammutolito; prese del tempo per sé al fine di riordinare i pensieri sconnessi che tumultuosi gli riempivano la capoccia. Lesse ancora una volta negli occhi di Guglielmo una supplica e un accordo, e, dopo quasi un minuto, si riscosse.
-Venite, stavamo cenando- mormorò salendo le scale.










*Coppia di uccelli

http://www.windoweb.it/desktop_temi/foto_uccelli/foto_uccelli_310.jpg
Le particolari tendenze di Leonardo verso il mondo animale sono poco note quando non si parla di pennuti. La scenetta del maestro che libera gli uccelli dalla gabbia non solo è ripresa (ma rielaborata da me) dalla sua biografia in mio possesso, ma anche da più articoli che raccontano fatti curiosi su di lui. ^^
In fine, la comparsa in scena di Guglielmo! XD Che vien a rovinar' la festa! XD Detto così sembra cattiva, ma in effetto la situazione si comprometterà oltre il dovuto *muhahahaha!*
U.U Volevo semplicemente avvertire che sono riuscita a scrivere un misero 25esimo capitolo di 4 pagine e mezza e che sto cominciando ora il 26esimo, sperando che la storia continui ad intrigarvi! XD
Comunque goku94 ci ha azzeccato! XD Non ricordo se ho accennato prima a questo fatto, ma Tommaso Masini era vegetariano come sembra!

Grazie a lullacullen e renault per il sostegno costante ^^
*Per questo e alcuni capitoli futuri in progettazione, ringrazio Elkade, che mi spiffera aneddoti interessanti sulla vita di Leonardo, pescati da una speciale rivista in suo possesso ^^*
Detto ciò, a presto ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Un segreto nel buio dei tempi ***


Un segreto nel buio dei tempi



-Fate attenzione ai gradini, Messere, che è buio- disse Leonardo fermandosi sul pianerottolo e guardando l’uomo che lo raggiungeva.
-Ho notato…- borbottò Guglielmo seguendolo nel corridoio. –Siete a corto di legna, per caso?- chiese, ironico. –Se è vero che riciclate le vostre vecchie invenzioni, non vi mancherà di sicuro-.
Leonardo azzardò un mezzo sorriso. –No, infatti: quella non ci manca-.
Giunsero in cucina, ma quando si affacciarono la trovarono vuota e apparecchiata per tre. Leonardo, ancor più interdetto dell’uomo che era alle sue spalle, fece dietro front e chiamò a gran voce:
-Zoroastro, avanti, è tutto a posto! Portala fuori!-.
Qualche istante dopo, dal buio del corridoio si udì l’aprirsi di una porta ed emersero le due differenti figure di Tommaso e la fanciulla. Il Masini accompagnò la ragazza sottobraccio sin di fronte al padre, mentre scambiava con Leonardo un’occhiata truce e rammaricata.
Arianna aveva il mento affondato nel petto e i capelli corti davanti al viso, a nasconderle gli occhi già umidi di lacrime. Il berretto stretto convulsamente tra le dita e le gambe inferme. Il corpo, nel complesso, tremava come una foglia.
Guglielmo le si avvicinò di un passo e Tommaso ne fece uno indietro, tornando affianco all’amico inventore che si era fatto da parte poco prima.
-Ho bisogno di parlarle in privato- ammise l’ospite posando una mano sulla testa della figlia, nel gesto di avvicinarla e circondarla con le braccia. Arianna restò immobile e si lasciò stringere come fosse una bambola.
Leonardo era rigido e muto allo stesso modo, sconvolto, perciò fu Tommaso, più sveglio e pronto di nervi, ad indicargli la stanza dalla quale erano venuti.
Guglielmo annuì e portò con sé la figlia. Lo scatto della porta fu tutto ciò che si udì in casa, prima di un tempestoso silenzio.
-‘Sta tranquillo, non le farà del male- disse il Masini per rassicurare l’amico.
-Quando le ho fatto visita per riportarle i libri di latino, sulla guancia aveva un segno di cattiva mano. Spero che…- s’interruppe. –Hai ragione, non le farà del male- mormorò esangue il prezioso inventore.

Appena ebbe richiuso la porta, Guglielmo la fece sedere ai piedi del letto, di fronte al camino acceso che rischiarava e riscaldava la stanza. Poi si spogliò del suo mantello che mise a riposo vicino alle fiamme, così da ritrovarlo caldo nel momento di tornare in strada. In fine si sedé accanto alla figlia che, da quando era venuto, non trovava il coraggio di guardarlo negli occhi. Messer de’Pazzi le sistemò una ciocca dei corti capelli dietro l’orecchio e Arianna non oppose alcuna resistenza o fece nulla, se non respirare e nemmeno tanto tranquilla. L’uomo si accorse allora che il livido lasciato dal suo ultimo schiaffo era ancora là, sulla guancia di lei, seppur leggermente svanito.
-Ho fatto tanti sbagli nella mia politica vita al servizio di Firenze- cominciò l’uomo, profetico, guardando le fiamme del camino. –Ma certamente, averti lasciata fuggire è l’unico di cui non mi pento. Forzarti al matrimonio era ed è un dolore atroce, credimi, ho combattuto contro le più malvagie anime di questa città pur di mantenere il segreto. Cosa che continuerò a fare, se tu lo vorrai-.
Arianna annuì, tirando su col naso.
-Per via della mancata luna di miele tra te e Vieri, tuo zio è ancora coinvolto nelle accuse. Lorenzo non vuole ascoltare ragioni per cui dovremmo rimandare il processo, soprattutto ora che non ce ne sono. Il Magnifico si fida ciecamente dei suoi delegati, ovvero dell’Auditore Giovanni, che testimonia contro di noi-.
-Voi appoggiate quell’assassino…- sibilò la ragazza ricordando improvvisamente il discusso con Bianca qualche tempo prima. –Francesco è davvero coinvolto in una congiura, e voi lo appoggiate…-.
Guglielmo chinò il capo, affranto. –Bianca non avrebbe dovuto parlartene. Le avevo chiesto di non farlo-.
-Però l’ha fatto ed io la ringrazio solo di questo!- eruppe lei. –Quella gente è innocente e voi sostenete le false accuse di vostro fratello solo perché è tale!-.
-No, io non sostengo le accuse di nessuno! Proteggo la mia famiglia, le persone che amo, da un possibile sconvolgimento degli eventi! Mi occupo di mantenere calma la situazione, modero i modi e i termini di mio fratello quando ce n’è bisogno!- ribatté. –Non sono io quello con cui dovresti arrabbiarti, bensì tuo zio, dannazione, è lui la mente criminale di tutto. Io sono solo una pedina, niente più, non sua ma del Magnifico. Quel che deciderà non è affar mio, e credimi se ti dico che sto cercando di tenermene lontano!-.
Arianna tacque, ostinata, confusa, spaventata. Il destino di un uomo che lei stessa aveva visto dietro le sbarre di una prigione era appeso in Piazza della Signoria.
-Se ci sarà un’esecuzione, per quando è fissata?- chiese flebilmente, pallida in viso.
-Non ci sarà nessuna esecuzione, cosa farnetichi?- domandò invece Guglielmo, sospettoso.
-L’uomo che ho veduto in cella nel mio sogno… era lui, padre, Giovanni Auditore…- confessò.
Guglielmo sgranò gli occhi.
-L’ho anche visto morto in Piazza della Signoria, se v’interessa- singhiozzò.
-Non farne parola con nessuno- sbottò d’un tratto, serio.
-Perché?- sibilò lei.
-Perché nessuno ti crederebbe!-.
Si fece di nuovo silenzio, ma era un silenzio teso, triste, sottomesso ad un volere che entrambi sapevano essere superiore, ma del quale si ostinavano a non discutere mai. Le visioni di Arianna erano un prezioso e delicato argomento tabù, perché si avveravano sempre.
Trascorse qualche minuto, forse una mezz’ora, durante la quale padre e figlia fissarono le fiamme del camino senza dirsi più nulla. Poi, all’improvviso, Messer Guglielmo si voltò a guardare la ragazza e stirò le labbra in un divertito sorriso, squadrandola dalla testa ai piedi.
-Bei vestiti- commentò con ironia. –Credo che a Francesco farebbe piacere riavere indietro i suoi pantaloni-.
-Ditegli che mi dispiace molto, ma mi serviranno ancora per un po’- pronunciò rammaricata arricciando il naso.
-Allora hai intenzione di restare- convenne Guglielmo, sospirando e tornando a mirare il camino.
Arianna annuì. Devo, se voglio salvare la mia e la vita di un innocente.
Guglielmo si rabbuiò, interpretando il silenzio della figlia come la risposta definitiva che era.
-Chiederò che le guardie lascino in pace questa casa- disse a voce bassa. –Resterai qui con Leonardo finché le acque non si calmeranno, poi, quando lo riterrai opportuno e le acque torneranno calme, verrò a riprenderti, e la notizia del tuo riscatto pagato si spargerà per tutta Firenze. I cani hanno smesso di cercarti su mio ordine, sai? O a quest’ora saresti nella tua stanza a piangere disperata. Uno di loro ti aveva anche già trovata, non immagini… per metterlo a tacere-.
-Povera bestia…- commentò lei. Speriamo che Leonardo non lo venga a sapere, animalista com’è…
-E tutto questo sotto il naso di Bianca- sghignazzò amaro. –Mi auguro che tu abbia almeno saputo del suo pianto in pubblico, davanti la Santa Maria del Fiore-.
La ragazza annuì. –È stato il dì in cui Leonardo ha detto a Viviana della mia febbre-.
-Sono felice che tu ti senta meglio-.
Arianna gli volse un sincero sorriso. –Grazie-.
-Non ringraziarmi, è ancora tutto da vedere, piccola mia- disse lui baciandola in fronte. Si alzò e riprese la sua mantella da vicino al camino. –Ora sarà meglio che vada, o Bianca metterà la taglia anche sulla testa dei miei inesistenti sequestratori- ridacchiò, e Arianna con lui. –Ti auguro di trovare in questa casa la felicità che non c’era nella nostra- mormorò andando verso la soglia, a voce troppo bassa perché la ragazza lo sentisse.

Mentre Tommaso e Arianna tornavano in cucina a capo chino, Leonardo scortò l’ospite al piano di sotto e si fermò sull’ingresso, poco prima di aprire.
-Non so come ringraziarvi- pronunciò Guglielmo, felice.
L’artista si volse e annuì altrettanto lieto. –Forse perché non ce n’è bisogno-.
-Manterrò il silenzio finché sarò in potere di farlo. Come dissi ad Arianna, terrò occupate altrove le guardie che la cercando, ma davvero, mastro Leonardo, non so cos’altro fare per sdebitarmi. L’avete guarita dalla febbre accogliendola nella vostra dimora quando non eravate costretto. Che Dio vi renda grazia in Paradiso-.
-Non è merito mio se è venuta dall’influenza. Si è presa cura di lei una mia conoscenza fidata- spiegò l’artista.
-Chi? Come mai potrò ricompensare una simile anima Pia?- esultò Guglielmo.
-Non è quel genere di donna che accetterebbe denaro da voi per aver fatto del buono, perciò non scomodatevi di cercarla- arrise l’inventore.
-Vi auguro ogni bene, Leonardo, e che il vostro genio vi porti lontano da un città ormai corrotta e pericolosa come Firenze-.
-Perché dite ciò?- chiese l’artista, intimorito.
-Sono tempi bui- commentò Guglielmo. –Tanta gente innocente entra a Palazzo Vecchio, ma solo la metà ne viene fuori. Non c’è più né criterio né giustizia. Lorenzo e Giuliano son minacciati da ogni dove, si parla di congiure, di morti, di pericoli. Arianna vive questo tormento sulla sua pelle ogni giorno, e non v’è nulla che possa fare per aiutarla, se non affidarla a voi, l’uomo che l’ha tratta in salvo da una vita miserabile di condanna e dolore. Giovanni Auditore è sotto processo e mio fratello Francesco allunga la lista di accuse ogni minuto che passa. Sto tentando di fermarlo senza lasciar coinvolta la mia famiglia, ma ogni mio sforzo è come cenere nel vento, vano. Il matrimonio con Bianca mi ha tolto l’autorità che mi spettava, e ora Francesco fa di testa propria! Se solo mio fratello l’altro, Giovanni, da Venezia scendesse a Firenze, forse qualche gente si salverebbe, ma ahimé, è stata sua la scelta di allontanarsi dalla famiglia, e sicuramente di questi mesi vive meglio di noi altri…- una breve pausa silenziosa. –Perdonatemi se farnetico, levo subito il disturbo-.
-Ma figuratevi! La mia porta sarà sempre aperta se vorrete tornare a trovarci- fece cordiale Leonardo.
-Non penso che accadrà molto spesso, d’ora in avanti- ammise Guglielmo calandosi il cappuccio in viso e sparendo nel buio della notte.

Quando Leonardo tornò in cucina e sedette a tavola in silenzio, né Arianna né Tommaso dissero nulla per molto tempo, limitandosi a consumare la propria cena come da etichetta. Solo sul finire del pasto, mentre il Masini sparecchiava e l’artista si alzava scostando la sedia, Arianna fece per aprir bocca, volendo chiarire molto della faccenda, ma Leonardo lasciò la cucina ancor prima che la ragazza potesse pensare ad una frase sensata.
L’inventore traversò il corridoio e tornò giù in bottega. Arianna scambiò con Tommaso un’occhiata smarrita, poi anch’ella si avviò alle scale. Fermandosi sul pianerottolo, si affacciò dal parapetto e vide Leonardo chino davanti al camino, occupato nel tentativo di accenderlo.
La ragazza scese un gradino alla volta il più silenziosamente possibile e, non appena gli fu affianco, Leonardo si alzò e guardò le fiamme crescere d’intensità a poco a poco. Il viso era tranquillo, gli occhi distratti da chissà quali pensieri.
-Non dirà nulla-.
Arianna sobbalzò.
-Tuo padre, se è questo che ti stai chiedendo, non dirà nulla, manterrà il segreto, sarà nostro complice- spiegò Leonardo in piedi, immobile, fissando il fuoco. –Almeno finché avrà un certa autorità sulle guardie di Firenze, la stessa che Bianca sembra volergli prosciugare- aggiunse con una smorfia. –Se di mezzo ci va anche il processo di tuo zio le sue forze saranno del tutto annullate, e noi con lo sterco fino al collo-.
-Tutto per colpa mia…- ammise Arianna, triste.
-Ma per amor di Dio! Non raccontare stupidaggini, suvvia. Non è bello dire le bugie, Arianna- Leonardo si volse verso di lei e le carezzò la testa, amorevolmente, col sorriso sulle labbra. D’istinto Arianna si avvicinò a lui, sino ad abbracciarlo e posare l’orecchio sul suo petto, mentre il calore del camino carezzava entrambi diffondendosi in tutto il corpo. –Sono felice di essere qui… con voi- mormorò soave socchiudendo gli occhi.
Leonardo la strinse a sé ricambiando l’affetto. Restarono allungo in quella posa, abbracciati, almeno fin quando la poca legna che l’artista aveva messo a bruciare non si consumò tutta e nella bottega tornò a regnare l’oscurità.
-Forza, va’ di sopra e mettiti a letto, che Tommaso ha tirato a lucido la soffitta come promesso- disse l’inventore indicando la scala.
Arianna si scostò da lui a malincuore, sentendosi già più fredda. Annuì arrendendosi alla stanchezza e si avviò lasciandolo solo. Leonardo si assicurò che l’ingresso della bottega fosse ben chiuso e poi si ritirò nella sua stanza, trovando Tommaso seduto da un lato del letto a leggere un libro alla flebile luce di una candela.
-Smettila di studiare ricettari. Le tue carote bollite non piacciono nemmeno ai conigli- lo derise Leonardo cominciando a spogliarsi, dopo aver riconosciuto la copertina.
-Proprio per questo sto cercando di migliorare! Domani c’è la sagra della carota! Quei poveri conigli aspettano me- fece il Masini stando al gioco.
Leonardo esitò prima di mettersi sotto le coperte assieme a lui e, tornando sui suoi passi, rubò a Tommaso la candela e uscì della stanza.
-Ehi! Quella mi serve, torna indietro, dannazione!- sbottò il Masini.
-Di’ ai tuoi conigli che avranno le loro carote l’anno prossimo, torno subito- disse Leonardo avventurandosi scalzo in corridoio, in fondo al quale trovò una stretta scala terminante con un foro nel soffitto, divenuto pavimento della soffitta che ospitava la sua allieva. Portando con sé la candela rubata a Tommaso, fece luce sul tragitto e raggiunse il pianerottolo dell’ultimo gradino guardandosi attorno.
Qua e là c’era sparsa della roba vecchia, alcune tele bianche, casse sigillate e librerie piene, ma in compenso era tutto pulito come garantito da Tommaso, che nelle ultime ore si era dato da fare a togliere ragnatele, insetti e polvere. Sul pavimento correva un soffice tappeto, che arrivava sino ai piedi di un piccolo lettino, le cui lenzuola erano tirate e ordinate. Sul materasso era adagiato un volume che Leonardo riconobbe come il testo sulla mitologia greca comprato da Arianna tempi prima. Sul comodino accanto riposava una candela accesa quasi finita, ma non c’era traccia della ragazza.
Leonardo mosse un passo verso la finestrella tonda, aperta, che dava sul tetto della palazzina vicina. Vide la giovane Pazzi seduta sulle tegole a guardare le stelle con le ginocchia strette al petto, ancora vestita come un fanciullo. In un primo momento gli si rizzarono i capelli dallo spavento affacciandosi alla finestra, ma non appena Arianna lo riconobbe a sua volta e gli sorrise, la paura svanì.
-Che dici, un po’ rischioso star quassù- commentò Leonardo nervosamente.
-Avete paura dell’altezza proprio voi, messere, che parlate tanto di uccelli- se la rise Arianna coi capelli al vento. –Era tanto che desideravo farlo- aggiunse la ragazza tornando a mirare le stelle. –A Palazzo Pazzi, dalla finestra della mia stanza, si arriva a vedere solo in strada, e nemmeno la soffitta ha un passaggio tanto comodo come quello,- indicò la finestrella tonda alla quale Leonardo era affacciato, -per arrivare sul tetto- concluse.
-E meno male, o avresti tentato non so quante volte di ammazzarti!-.
-Ma non voglio ammazzarmi!- rise Arianna. –Stare quassù è bello…- mormorò. –Mio fratello Francesco lo faceva sempre alla casa in campagna: usciva dalla finestra e sedeva sul tetto. Si vedeva tutta Firenze perché la villa sorgeva su un’altura. Ma io, come una sciocca, davo ragione a mia madre che gli diceva di scendere,- borbottò lei.
-So bene cosa si prova- convenne Leonardo posando la candela da una parte e balzando sul davanzale della finestra. Poi, prima un piede poi l’altro, raggiunse la ragazza e le sedé accanto sulle tegole. –Capitava spesso anche a me da fanciullo di cercare conforto in luoghi che sentivo miei e miei soltanto, come il tetto, per esempio, per il cui peso di mio padre non avrebbe mai retto se avesse tentato di acchiapparmi per farmi scendere- arrise.
Arianna tornò a guardare le stelle col sorriso sulle labbra. –Fortunatamente nessuno tenterà di acchiappare noi per farci scendere- mormorò assorta.
Leonardo tacque allungo, pensieroso, guardando le stelle assieme alla sua allieva. –Per la cronaca, non temo l’altezza- eruppe, -ma semplicemente per la tua salute: tira una certa corrente che potrebbe farti ricadere nella febbre o semplicemente cadere a terra-.
-Immaginavo- ridacchiò lei.
-La prossima volta che ti vien’ voglia di prendere un po’ d’aria, sappi che c’è il terrazzo della cucina, o il giardino, se preferisci- disse l’inventore, ma non aggiunse altro per un po’. Trascorse qualche minuto silenzioso, durante il quale solo il frusciare del vento carezzò le vesti dell’uno e dell’altra.
-Tuo padre mi ha parlato di un processo che lo tiene ancora occupato. Durante quella volta in cui io e Tommaso fummo accusati assieme ad altri nostri amici, Guglielmo disse di trovarsi a Palazzo Vecchio per conto di un altro processo, ma Umberto lo fece testimoniare a mia difesa comunque. Teneva molto alla testa del maestro di sua figlia, si vede, ma di quel giorno ci sono molte cose che ancora non capisco…- sospirò senza scollare gli occhi dal cielo.
Arianna gli lanciò un’occhiata di sottecchi, nel frattempo che sul suo viso si dipingeva una nuova maschera d’angoscia. Veniva davvero il momento di mettere in chiaro il suo segreto? Si chiese. No, non ancora, perché Leonardo era altrove con la testa e certo non voleva arrivare a parlare di ciò.
In quelle ore che passarono assieme a guardare le stelle, l’inventore parlò lei delle costellazioni, dei miti e delle leggende che gravitavano attorno al loro infinito universo. Poi, puntando la luna con un dito, le raccontò di quando aveva conosciuto, qualche anno prima, il Toscanelli (*celebre matematico, astronomo e cartografo italiano), e si era fatto raccontare da lui come la luna potesse stare in cielo senza cadere. Il Toscanelli aveva rivelato a Leonardo, sfamando la curiosità dell’inventore, questo prezioso segreto, e ora Leonardo lo rivelava a lei.
Ma Arianna, stringendosi le ginocchia al petto quando una nuova ventata le spettinava i capelli, sapeva di avere tanti altri segreti, ben peggiori, ma uno di questi era il più oscuro di tutti.
Un segreto che lei stessa ripudiava, tentando di convincersi del contrario.
Un segreto da tenere nascosto nello scrigno del suo cuore, sigillato con una chiave d’argento.
Un segreto da proteggere, da barattare col solo costo della vita, se necessario.
Un segreto sofferto, ma nato da un profondo sentimento di amicizia e solidarietà.
Un segreto dolce, fatto di sorrisi, di abbracci.
Un segreto amaro, forgiato di rimproveri, di smorfie.
Un segreto amore per Leonardo da Vinci.













Angolo d’Autrice:


Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** L'ultimo rimasto ***


L'ultimo rimasto



Era ancora notte fonda, mentre un costante sussurro di voci mai sentite le tuonava nelle orecchie. Arianna si risvegliò d’improvviso che la testa le girava e pulsava da far male. Si mise seduta, ma il dolore la traversò in corpo con tanta forza da farla cadere in avanti sul pavimento della soffitta. Nella caduta trascinò con sé solo parte delle lenzuola, che le scivolarono sulle gambe mentre si rannicchiava in una posa fetale sulle tegole. Si premette le tempie e strizzò gli occhi stringendo gomiti e denti.
Il pesante dialetto fiorentino delle voci che sentiva colorava la maggior parte dei toni, ma questi erano confusi in offese, grida di aiuto, accuse, e urla varie. Arianna riconobbe poche, pochissime parole, tra cui l’appellativo “Assassino!” quando davanti agli occhi chiusi si vide l’immagine di un cappuccio bianco. Nel contempo urlava anche lei, di dolore, e mugolava in attesa che accadesse qualsiasi cosa perché quella tortura cessasse.
Udì dei passi e una frazione di secondo più tardi Leonardo comparve sul pianerottolo della soffitta. Vedendola sdraiata a terra a rigirarsi come una polpetta nella farina, le corse incontro chinandosi su di lei. –Arianna…- mormorò senza parole, bianco in viso, con quella scena davanti senza sapere cosa fare. Cercò di metterla seduta, ma la ragazza si scostò da lui continuando a gemere premendosi le tempie.
Immagini sconnesse, prive di logicità e difficili da distinguere, sfocate come un dipinto sul quale hanno gettato una secchiata d’acqua, coprirono l’oscurità degli occhi chiusi. Arianna pregò perché finisse, perché finisse subito, all’istante, quando anche Tommaso, allarmato, venne dal piano di sotto e si unì a Leonardo nel tentativo di capire cosa stesse succedendo.
Quel che vide Arianna non l’avrebbe dimenticato troppo in fretta.

Un uomo, Umberto Alberti, punta il dito contro tre figure legate ad un cappio pronto a tendersi. Tutt’attorno, la massa eclatante di gente grida eccitata e qualche guardia tenta di tenerla buona, lontano dall’altare di morte. Un cielo azzurro, poche nuvole, uno spaventoso vento primaverile. Il frastuono di soldati in corsa per la città a caccia di qualcuno. L’esecuzione va avanti, senziente.

Arianna riascoltò nella sua testa discorsi già sentiti, e rivide le stesse immagini che l’avevano tormentata nelle ultime settimane.

Assieme a Giovanni Auditore, sulla forca ci sono un bambino, sì e no sulla decina d’anni, e anche un volto d’Angelo più che familiare. Sopraffatti dalla disperazione, i tre uomini finiscono impiccati, ma, tra la folla, qualcuno già urla vendetta.
Il grido di un’aquila e poi… silenzio.

Il dolore era cessato. Suoni, volti e percezioni svanite per sempre. Era di nuovo sola con sé stessa, padrona del proprio corpo, e lo doveva ad una causa innaturale, senza alcuna spiegazione. Il fiato grosso, il battito accelerato del cuore e la fronte sudata misero subito in allarme Leonardo e Tommaso che, accorgendosi della crisi ormai finita, la presero delicatamente in braccio e la distesero di nuovo sul letto.
-Stai bene?- domandò preoccupato Leonardo, sedendo sul materasso accanto alla sua allieva e prendendole la mano delicatamente nella propria. La sentì tremare, fredda, tra le sue dita.
-Porto dell’acqua- si offrì Tommaso avviandosi di sotto.
Arianna schiuse gli occhi lentamente, faticando ad abituarsi all’oscurità che inghiottiva ogni cosa. Il calore del palmo di Leonardo a riscaldare il proprio le lasciò fiorire un sorriso sulle labbra bianche. Ma quando l’artista vide gli occhi della sua allieva perdere colore, seppe che sarebbe stato inutile portare dell’acqua da bere.
Arianna finì svenuta tra le sue braccia.

Il secondo risveglio fu senza dubbio più sereno del precedente. Arianna si era tirata su dal letto guardandosi attorno. Nella stanza era sola, ma sul comodino accanto al tomo di mitologia greca c’erano una caraffa d’acqua e un bicchiere. Scoprì inoltre, bevendo un sorso, che era trascorso parecchio tempo dal suo primo risveglio. Il sole sorgeva su Firenze illuminandola dei suoi raggi dorati. Alzandosi dal materasso e avvicinandosi alla finestra per prendere un po’ d’aria, guardò in strada e vide la gente affaccendata come non mai, assieme a battaglioni di guardie che correvano a destra e a manca per le vie.
-‘Sta tranquilla, non stanno cercando te-.
Arianna si volse di scatto, spaventata.
Sul pianerottolo della soffitta era apparso Tommaso. Con sé aveva degli abiti puliti che Arianna riconobbe come quelli indossati il giorno precedente, e di fatti Zoroastro andò a posarli sul letto delicatamente. –Le guardie, intendo. Stai tranquilla, no è te che cercano- spiegò meglio.
-Non ho dubbi…- mormorò lei, stupendosi della sua stessa voce, tanto triste e profonda. Il processo che aveva “visto” quella mattina non lasciava spazio alle incertezze, ma solo alla paura e all’angoscia di una vita prossima a spezzarsi.
Tommaso le scoccò un’occhiata ansiosa. –Ti senti meglio?- chiese.
La ragazza fu costretta ad annuire e, avvicinandosi al letto, carezzò il tessuto morbido e profumato della camicia portatole da Tommaso.
-Che ti è successo ‘sta mattina?- domandò il Masini, serissimo. –Sembravi in uno stato di… trans, tipo gli oracoli greci!- eruppe.
Arianna scosse la testa. –Non ne ho idea…- sussurrò a fior di labbra.
Tommaso dovette accontentarsi di quella magra risposta, perché Arianna, si vedeva lontano un miglio, era poco in vena di chiacchiere. Il volto pallido come un lenzuolo, il corpo smilzo, i movimenti lenti… con la veste da notte corta e bianca fino a metà coscia, poi, pareva un fantasma. Il suono dei suoi passi sul pavimento era quasi nullo, nonostante le tegole della soffitta spesso e volentieri scricchiolassero maliziosamente.
Tommaso indietreggiò e fece per avviarsi di sotto. –Ti ho lasciato un po’ della colazione. Il pane è ancora caldo, ci sono dei cereali nelle dispense e sul tavolo c’è un barattolo di marmellata. Il latte pure, è fresco- si apprestò ad aggiungere. –Certo, a quest’ora sarebbe meglio un buon pranzo, ma non ho tempo di cucinare, perdonami- spiegò con rammarico.
Arianna si adombrò. –Stai uscendo?- chiese, confusa.
-Devo fare delle compere per Leonardo prima di ‘sta sera, quando tornerà- spiegò.
-Perché, lui dov’è?- insisté Arianna.
-Fuori città con un certo Sandro Botticoli, Bottichi, Botti-qualcosa, insomma, che lo accompagnava a Vinci a prendere delle cose alla casa dei nonni, poi proseguivano per Careggi perché il Magnifico li convocò entrambi. Rientrano in serata tra qualche giorno assieme alla Corte, ma, conoscendoli, si allungheranno dal Verrocchio a salutare o far baldoria. Leonardo avrebbe voluto portarti con sé, ma quando ti ha vista ancora a letto, ha preferito lasciarti riposare, pensando che ne avessi bisogno-.
-Non sarei andata comunque…- mormorò assente la Pazzi.
-Come mai?- domandò Tommaso, turbato.
Arianna scacciò alcuni pensieri scuotendo la testa. -È come diceva lui: sono molto stanca, il riposo mi ha fatto bene. E poi sono troppo riconoscibile- sorrise falsamente.
-Allora posso lasciarti?- chiese il Masini alludendo ai suoi doveri di garzone dettati dal maestro assente.
Arianna annuì. –Saprò cavarmela-.
-Cerca piuttosto di non fare sforzi. Ci hai fatto prendere un coccolone con quella scenata!- eruppe scendendo le scale.
Arianna corse ad affacciarsi di sotto prima che fosse troppo tardi. –Aspetta, Tommaso!-.
-Cosa c’è?- la guardò dal basso.
-Se passa qualcuno alla bottega e chiede di Leonardo, io che faccio? Che dico?- chiese nervosa.
Tommaso si avviò in corridoio. –Di’ semplicemente di ripassare più tardi in serata o un giorno più in là!- e sparì giù dalla rampa di scale.
Arianna udì chiudersi la porta della bottega, dopodiché scattò in soffitta, si vestì e andò a fare colazione. Mangiò quel poco che non le andava di traverso nello stomaco. Ne approfittò per fare un po’ d’ordine in cucina, pulendo il pulibile e lavando il lavabile, vetro della finestra compreso, poi filò nelle altre stanze e, con indosso i soliti abiti maschili, scoprì che Tommaso, come sua abitudine, aveva lasciato impeccabile ogni angolo di camera. Arianna si ritrovò così con le mani in mano, senza null’altro da fare che non fosse arrampicarsi con una scala sino alle alte finestre della bottega e affacciarsi a guardare di sotto, in strada, come la gente camminava tranquilla e i colombi svolazzavano in cielo, mentre un caldo sole di maggio irradiava la sua bellissima Firenze.
Trascorse una buona mezz’ora, durante la quale Arianna si era armata di carta e penna e, usando el ginocchia come ripiano, si era messa a disegnare i volti della gente che passava accanto alla bottega. Con lo scandire dei minuti, però, accanto ai visi umani cominciò a schizzare senza badarci uccelli, piante, insetti e quant’altro. Disegnò persino due cavalli ripresi dalla stazione di posta. Il buffo vestito del medico catturò subito la sua attenzione, ed eccola a ritrarre la maschera che gli nascondeva il volto, mentre egli si sbracciava chiamando a sé la gente.
Studi ed esercizi di mani, piedi, volti… proprio come aveva visto fare spesso al suo maestro nei momenti in cui il grande intelletto di inventore e scienziato lasciava un po’ di spazio al buon, preciso e dolce artista fiorentino. Al solo ricordo delle poche volte che avevano dipinto assieme, lei e Leonardo, Arianna si permetteva un sorriso, disegnando con più gioia, con più naturalezza. Scoprì ben presto di avere una mano suscettibile all’animo, ovvero facilmente influenzabile dai sentimenti. Bastava poco, perciò, a fare di un suo quadro di primavera il più freddo degli inverni, nonostante i colori. Se pensava a cose brutte, a gente viscida e meschina come suo cugino, per esempio, era capace di irrigidire nella forma anche una sfera. Se invece si distraeva con l’allegro canticchiare degli uccellini, con la musica del menestrello in strada… tutto le riusciva più dolce così come voleva che fosse. Se poi osava immaginare che il suo maestro fosse affianco a lei… be’, si sentiva pronta a gareggiare con il “Botticoli”, come lo chiamava Tommaso.
Arianna aveva sentito parlare incredibilmente bene di Sandro Botticelli. Secondo la corte Fiorentina, era un vissuto esordiente ormai conosciuto quanto il Magnifico stesso alla sua Signoria. Si parlava di Sandro già da prima che Arianna entrasse nella bottega di Andrea, ma si diceva anche che il Botticelli avesse ripreso i pennelli di scuola solo da qualche anno. Tra lui, Leonardo e il Verrocchio c’era competizione da far paura, perché ciascuno aveva la sua incredibile mano, il suo meraviglioso essere artista.
Era stato proprio suo il ritratto di dama vinto da Giuliano in torneo al quale aveva partecipato anche suo fratello Francesco, all’inizio di questa terribile disavventura.
Distratta da un pensiero che tirava l’altro, Arianna non aveva fatto caso al mondo attorno a sé. Qualcuno bussava alla porta da più di un minuto e lei era seduta sulla trave del soffitto a guardare fuori dalla finestra. Per la sorpresa, quando costui bussò ancora chiamando a gran voce il nome dell’artista che abitava lì, Arianna calciò la fragile scaletta in legno, che si rovesciò a terra abbandonandola sulla trave accanto alla finestra.
-Dannazione!- imprecò la ragazza lasciando cadere sul pavimento, con un volo di tre, quattro o cinque metri circa, il blocco da disegno e la penna.
-Leonardo, sono io, Lorenzo!-.
La ragazza riconobbe la giovane voce di Lorenzo di Credi anche attraverso l’uscio di legno. Sgranò gli occhi e si vide il suo berretto, parte del costume di scena, scivolarle dalla chioma fin sul tappeto.
-E ora come faccio?!- digrignò con le gambe a penzoloni.
Non se ne parlava di saltare, tanto meno di strillare a Lorenzo di entrare con comodo per poi trovarsela davanti sospesa per aria.
Senza guardare giù, la ragazza si costrinse ad andare il più possibile verso la finestra. Una volta lì, si aggrappò al cornicione con le mani. Parte del busto sporgeva fuori dalla bottega e qualche passante alzò il naso a guardarla allibito, ma Arianna tentò di non badarci. Persino il medico s’interruppe a metà frase con un braccio per aria, accorgendosi di lei così protesa dalla finestra.
Nel frattempo Lorenzo si era deciso ad entrare trovando la porta aperta. Arianna maledisse Tommaso trenta volte in due secondi per aver dimenticato di chiuderla alla sua partenza. L’unica soluzione era sparire dalla vista, subito! E la cosa che le restava da fare era gettarsi dalla finestra.
Arianna guardò giù e vide un giallognolo cesto di morbido fieno ad attenderla. Lanciò un’occhiata alle sue spalle per veder Lorenzo traversare la bottega guardandosi attorno.
-C’è nessuno?- chiamò Lorenzo, la cui chioma bionda e boccolosa ricordava quella di una bambola di porcellana. Si era tolto il berretto allungando uno sguardo su per le scale. –Leonardo, siete in casa? Ho sentito dei rumori e sono entrato- spiegò, ma Arianna non udì oltre perché la caduta verso il cesto era giusto iniziata.
Con un gridolino poco maschile, la ragazza si riversò nel fieno agitando braccia e gambe. Qualche persona si era goduta lo spettacolo non senza una risatina, altra fissava il carro allibita, altra ancora, invece, ignorava del tutto l’anomala situazione e proseguiva sulla strada.
Quando Arianna riemerse dal fieno coperta di steli, una delle quattro prostitute che facevano combriccola lì vicino le venne incontro sussurrando con malizia: -Bella prestazione, piccolino-. Subito dopo le fece l’occhiolino.
Oddio… Arianna deglutì a fatica, arrossendo. Mi ha scambiata per un ragazzo vero!
Arianna si defilò di lì prima che anche le altre gran signore potessero avvicinarsi e, imboccando la strada quasi di corsa, urtò più passanti offrendo poi le sue flebili scuse.
Si guardò alle spalle solo quando fu certa di aver messo più metri tra lei e la bottega del suo maestro. Giusto in tempo, si disse vedendo uscire il Lorenzino che poi scomparve tra la folla. Arianna tirò un sospiro di sollievo seguendo il giovanotto con lo sguardo finché le fu possibile. Una volta sola, fece per tornare in quella direzione, ma l’acceso discutere di due uomini catturò la sua attenzione.
Arianna aguzzò le orecchie e riuscì a cogliere parte della loro conversazione, che aveva come tema centrale un processo fissato per questa mattina, a distanza di poche ore.
-…E pensare che si sta muovendo tutto sotto il suo naso. Lorenzo è a Careggi da una settimana e Giuliano non sa tenere in mano la situazione come si deve- borbottò un primo uomo.
-Quando rientrerà il Magnifico?- chiese l’altro, più giovane e allarmato.
-Alcuni artisti l’hanno raggiunto stamani, altri erano con lui già da lunedì. Se tutto va secondo il programma dell’incontro, la carovana sarà di ritorno tra qualche giorno-.
-Ma per quell’ora Umberto avrà fatto giustiziare mezza città!- eruppe il ragazzo.
-E cosa possiamo farci noi, eh? Se quel pazzo se le cerca, lascia che lo trovino i guai, e poi staremo noi a guardarlo pendere col cappio al collo, in Piazza. Sono sicuro che a Lorenzo ed altri questa storia non andrà giù. Povero Giovanni…-.
-E con lui, ho sentito, ci sono anche i suoi figli- gemé il più giovane.
-Tranne uno- lo corresse l’altro.
-Chi?- s’interessò il compagno.
-La città ancora lo cerca: Ezio, il mediano dei maschi. Povero ragazzo… è cosa abominevole quella che faranno alla sua famiglia- sospirò il vecchio incamminandosi.
Il garzone gli andò dietro ed entrambi scomparvero dietro l’angolo di un edificio.
Arianna si era fatta rigida come la pietra della strada.
Veniva così il tempo di affrontare le sue parure? Si chiese. Era già l’ora di combattere faccia a faccia coi suoi incubi o c’era un modo per evitare tale sanguinosa battaglia? Arianna non seppe che fare.
Da una parte voleva correre in bottega e barricarsi dentro le sue quattro mura, isolata dal mondo crudele e peccatore che viveva all’esterno.
Dall’altra, sentì impadronirsi di sé un’invincibile forza maggiore che la portò ad avanzare sempre più veloce sulla via, diretta in Piazza della Signoria con l’intenzione di fermare quell’ingiustizia.
Francesco de’ Pazzi suo zio era partecipe ad un complotto contro gli Auditore, e Umberto Alberti, un tempo il braccio destro di Firenze, sarebbe stata la mano con il coltello dal lato del manico. Giovanni Auditore e i suoi figli non meritavano la morte, Arianna aveva visto la reale versione dei fatti nelle sue visioni che si erano sempre dimostrate vere. Le faide tra famiglie portavano solo dolore e morti innocenti. Arianna aveva ricevuto il dono di metterci una pietra sopra ancor prima che accadesse, e per far ciò occorreva che il tempo e la fortuna fossero dalla sua parte.
Determinata, la Pazzi imbracciava il suo destino pronto a compiersi correndo verso Palazzo Vecchio. Con sé aveva la sola arma della parola che, ascoltata o meno, avrebbe ferito qualcuno più di un coltello.

Le grida della folla animavano Piazza della Signoria senza lasciar scampo ad altro suono che non fossero le urla eclatanti della gente. I piccioni erano appollaiati sui tetti delle case attorno, proni a godersi lo spettacolo messo in scena da Umberto, il Gran Gonfaloniere, sull’alto dell’impalcatura. Con sé aveva un ristretto battaglione di guardie fiorentine, assieme a qualcuno dei suoi dieci rappresentati del Consiglio dei Cento, che Arianna riconobbe alle sue spalle. Assieme ai rappresentanti vestiti di bianco e oro, come religiosi, stava un uomo abbigliato di colori scuri, un po’ basso e tozzo. Un nero e ampio cappuccio gli celava il volto già vecchio e cosparso di barba grigia sul mento e le tempie. Un ghigno malvagio impresso come cera sulle labbra, in disparte, al fedele fianco di Umberto che, sbracciandosi, annunciava quel che Arianna aveva sentito e risentito più volte, ormai.
Alla forca erano già pronti i tre condannati: Giovanni Auditore era nel mezzo, ai lati c’erano un bimbo vestito di giallo come un pulcino e un ragazzo abbigliato di rosso, che strattonava con ferocia le corde a legargli i polsi.
-Giovanni Auditore! Voi, e i vostri complici, siete stati accusati di tradimento!-.
Suoni e parole non avevano più un senso, divennero un confuso insieme di voci che funsero da sfondo ad ogni suo gesto. Arianna non si diede mai per vinta mentre distraeva uno ad uno tutti i membri che assistevano al processo, chiamandoli a sé, strattonandoli per i vestiti, se necessario, e dicendo loro una frase sempre uguale.
-Sono innocenti! Rivoltatevi contro quell’impostore di Umberto! Gli Auditore sono innocenti!-.
In moltissimi la ignorarono, altri la spintonavano via volendo partecipare alla condanna piuttosto che alla ribellione.
-Pussa via, marmocchio!-.
-Avete delle prove da presentare a vostra discolpa?-.
-Levati dai piedi, sconsiderato!-.
-Che impertinente, vattene!-.
-Vi prego, signore! Dovete credermi! Gli Auditore sono innocenti, loro…- s’interruppe quando, avvinghiata con le unghie ad un nuovo passante, sollevò il mento e incontrò una coppia di occhi scuri, carichi di terrore e celati da un copricapo bianco. Arianna riuscì a scorgere ben poco oltre l’ombra del cappuccio, mentre l’uomo, stringendole i gomiti pronto a respingerla, la fissava con altrettanto stupore.
Nel frattempo, poco lontano, il processo andava avanti tra le urla della folla che li avvolgeva entrambi.
-Come dici?- le chiese in un sussurro tremante.
-Messere, dovete credermi…- balbettò lei riscuotendosi e indicando la forca. –Sono innocenti, quegli uomini, gli Auditore! È un complotto, pura finzione! Dobbiamo rivoltarci, sottrarli alla morte o Firenze non otterrà mai la vera giustizia! A morte il Gonfaloniere, è lui il vero impostore!- gli strillò la ragazza, scuotendolo più volte perché il suo ascoltatore sembrava preso da ben altri tormenti e pensieri.
-Sì, i documenti che vi sono stati consegnati la notte scorsa!-.
-Ehm… Temo di non sapere nulla di tali documenti…!-.
-Sta mentendo!- eruppe l’uomo spintonandola via. Arianna, ormai priva di importanza e già dimenticata, si ritrovò col sedere per terra tra le gambe della gente. Guardò scettica la figura dell’incappucciato farsi largo tra la massa a forza di gomitate.
-In assenza di qualunque prova contraria alle accuse…-.
Spinta dalla disperazione, Arianna si alzò e aggirò il palco. Là dove né la folla, né Umberto e né le guardie guardavano, Arianna trovò una spiraglio tra un legno e l’altro, insinuandosi sotto all’impalcatura che ospitava i condannati.
-Mi vedo costretto a dichiararvi… colpevole!-.
Se alzava gli occhi, davanti al naso aveva la botola e il meccanismo che ne consentiva l’apertura. Il suono dei passi di Umberto sul legno del palco era amplificato nell’oscurità che le era attorno mentre, sfiduciata, Arianna cercava qualcosa che potesse servirle a bloccare l’ingranaggio della botola.
-Voi, e i vostri collaboratori, verrete per tanto condannati…-.
No, no, no… NO! Gemé Arianna.
-…A MORTE!-.
-Sei tu il traditore, Umberto! Sei uno di loro! Oggi potrai anche toglierci la vita, ma noi avremo la tua in cambio! Lo giuro! Lo giu…-.
La botola si aprì, i corpi dei tre condannati sparirono alla vista della folla in piazza, inghiottiti dalle tenebre del sotto-palco.
Arianna saltò indietro e finì nuovamente a terra, battendo gomiti e schiena sulla pietra. Gli occhi, gonfi di terrore a quella vista, presero a inumidirsi nel giro di una frazione di secondo quando, sconvolta, scoppiò in un pianto disperato.
Si costrinse a distogliere lo sguardo, pur avendo ben impressa l’immagine raccapricciante di tre corpi mossi dagli spasmi della morte. Uno di questi era solo un gracile bambino, l’altro un genitore che lasciava vedova una donna meravigliosa e orfani due dei quattro figli. L’ultimo, in fine, era quell’angelo che Arianna aveva ritratto nel dipinto destinato a non concludersi mai.
-PADRE!-.
Arianna si volse, riuscendo a scorgere la piazza in subbuglio attraverso uno spiraglio del tessuto che ricopriva l’impalcatura. Vide un familiare cappuccio bianco sbracciarsi tra la gente, venendo incontro ad Umberto che, riconoscendolo, disse:
-Laggiù! Prendete il ragazzo! È uno di loro!-.
-Ti ucciderò per ciò che hai fatto!- strillò il giovane in bianco.
Le guardie tentarono di arrestarlo, ma Ezio si divincolò con la sola forza della rabbia mista alla disperazione. Ne spinse via due, ma altri lo accerchiarono.
-Guardie! Arrestatelo!-.
Ezio Auditore, ultimo rampollo della sua famiglia, sguainò la spada che aveva al fianco, ma il bruto che gli si avvicinò gliela fece volare via dalla mano con un brutale colpo d’ascia. Il ragazzo, trovandosi disarmato, indietreggiò spaventato, fin quando non fu con le spalle contro l’impalcatura a pochi centimetri dal naso di Arianna.
La Pazzi si chinò e raccolse la sua arma che era volata a terra lì vicino. Tirandosi su gliela rimise nella mano, ma Ezio fece solo in tempo a stringere le dita sull’impugnatura che qualcuno, poco distante da lui, gli suggerì di fuggire perché troppo inesperto nell’arte del duello.
L’Auditore rinfoderò la lama e si gettò di corsa tra la folla, sfuggendo alle guardie che se lo videro filare sotto al naso. Si arrampicò agilmente su un edificio e sparì tra i tetti delle case nel frastuono della città scoppiata in allarme.
Arianna ripercorse i suoi passi, lasciò il sotto-palco e si allontanò anch’ella, come la gente, dalla piazza in una corsa disperata e spaventata verso le proprie case. Si mescolò alla massa che fuggiva per le strade stramazzando come anatre, mentre persino i colombi sui tetti, librandosi in cielo, migravano ad un posto sicuro.

Con le lacrime agli occhi per quel che era successo, Arianna giunse alla bottega. Spalancò la porta, se la richiuse alle spalle e in fine si rovesciò a terra, in ginocchio, sul tappeto. Piangeva, piangeva di rabbia e dolore per il niente che aveva potuto fare affinché qualcuno si salvasse. Il suo intervento era stato pressoché inutile, fittizio come erano sempre state le sue fantasie. Nessuno l’aveva ascoltata, tutti l’avevano ignorata purché piuttosto tacesse. Forse era da questo sentimento di ingiustizia e collera che suo padre voleva salvarla. Quando le diceva di non poterle spiegare cosa le sue visioni fossero in grado di fare, intendeva tenerla lontana dall’incapacità di cambiare il corso degli eventi e dalla responsabilità che la conoscenza degli stessi comporta.
Arianna sapeva di un complotto organizzato contro gli Auditore, le sue visioni glielo avevano mostrato, ma parlarne a qualcuno, dipingere, e poi andare in strada a gridare la verità era stato rischioso quanto inutile.
Tra battaglioni di guardie in corsa e botteghe già chiuse prima del pomeriggio, tutta Firenze dava la caccia all’ultimo rimasto della famiglia Auditore.















Angolo d’Autrice.
Dopo lo sconvolgente capitolo precedente, (lieta di avervi lasciato ad occhi sgranati sullo schermo ^^), eccomi tornata con un post fondamentale per la storia a venire. È tale un primo piccolo contatto ufficioso tra Ezio e Arianna, ma non solo. Ho voluto coinvolgere nelle vicende anche Sandro Botticelli, ma è cosa da poco se vogliamo concentrare la nostra attenzione sul processo degli Auditore.
L’idea di scrivere Myth è nata da questa scena. In qualche modo volevo che la protagonista, quindi Arianna, finisse arci-coinvolta nel processo fino a provare un disperato tentativo di salvataggio. Confesso che inizialmente era mia intenzione fa sì che Federico si salvasse proprio grazie a lei, ma avendo scelto un cammino più semplice per la trama, mi sono vista costretta a fare alcuni tagli qua e là nelle vicende.
Che altro dire?
Intanto grazie a goku94, Elkade, renault e lullacullen per la costanza nella lettura. Per quanto ne so, al seguito della storia si sono aggiunte anche Leowynn95 e manga_darling.
Come ultima cosa, volevo fare un piccolo accenno anche a quello che avete letto nel capitolo precedente.
Ebbene, sì, alla fine così come per Arianna, anche io ho dovuto aprire gli occhi sulla realtà e raccontarla con le parole a voi lettori. La ragazza, a differenza di quello che sembra (LOL) non è così stupida e poco cosciente di se stessa. Certo, le ci sono voluti 20 capitoli per capire di provare qualcosa per Leonardo, ma insomma, ognuno ha i suoi tempi, no? Sarà pure vero che la vita è breve… ma ahimé, l’amore è una dolce/amara circostanza sul quale non si può intervenire troppo nettamente.
Detto ciò, vi auguro di aver gustato anche questo medesimo sclero della mia mente malata di fan girl, sperando di veder presto crescere il numero di recensioni *w*
Dimentico qualcosa? ?__?
Ah, sì! Lo spoiler! XD

-Leonardo, Leonardo da Vinci, devo parlare con lui, vi prego, è urgente. Ditegli che lo cerca…- gemé col fiato grosso, ma sentendo quella voce Arianna non ebbe più dubbi su chi fosse.
-Ezio…- mormorò lei a fior di labbra ed occhi sgranati.
Il ragazzo, interdetto, lasciò crollare le spalle.
-Presto, non dev’essere lontano! Cercate ovunque!-.
L’Auditore si voltò di scatto per vedersi venire incontro tre guardie che, con le armi alla mano, imboccarono la strada verso la bottega dell’artista.
Ezio tornò a guardare la ragazza a denti stretti. –Fatemi entrare, presto!- sibilò.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Attimi di follia e incredulità ***


Attimi di follia e incredulità



Il cielo cominciava a tingersi di arancio quando Arianna sentì dolere le ginocchia a furia di stare piegata sul tappeto. Il sangue faticava ad arrivare sino ai piedi: era rimasta china, rannicchiata come un cucciolo bastonato in un angolo della bottega tra la rientranza del camino e la parete, nascosta in mezzo alle tele e le mille scartoffie del suo maestro. La schiena curva, le braccia lasciate cadere mollemente lungo i fianchi, uno dei quali premeva con forza sulla parete di mattoni. I tacchi bassi delle scarpette le perforavano i glutei per quanto c’era stata seduta sopra. La fronte appoggiata al muro e il collo teso facevano insorgere un dolore lancinante alle spalle e alle vertebre, ma ad Arianna non importava nulla di tutto ciò.
Il vero dolore era quello al cuore che, dal momento in cui era rientrata in bottega, non aveva smesso di battere forte, ma con lentezza; come i distanti tamburi di un nemico che si prepara alla battaglia, il suo sangue pulsava nelle vene pigramente, annunciando che nel più remoto del suo essere, dove neppure la sua bianca anima osava affacciarsi, si annidava il male, il dolore, l’ansia, la miseria. Là, dove l’ingiustizia rendeva schiava la ragione, là dove il desiderio di morte portava grazia a sentimenti contrastanti, là dove nessun uomo di comune aspetto e capacità s’era mai spinto, era regina la disperazione che l’aveva resta pazza.
Pazza. Pazza come i mendicanti per le strade, come un malato di mente e come la follia stessa, principessa di tutti i peccati dell’uomo.
Finalmente giungeva l’epilogo di tanto dolore, si disse, perché le porte della follia si spalancavano dopo tante gocce di sudore versato e sgridate subite, senza mai opporsi o ribellarsi. Era stata incapace di camminare sui propri passi, incapace di rimettere a posto più aspetti della sua vita che lei stessa aveva contribuito a gettare nel baratro.
Trascorsero le ore, ma Arianna non si mosse. Aveva messo radici in quello che era diventato il suo nuovo nascondiglio, il rifugio da pensieri e restanti tormenti che tornavano ad assillarla dopo tanto tempo perso credendo di aver toccato il fondo, con la costante illusione dell’inesistenza di un dolore peggiore di questo.
In un attimo, paure e timori tornarono a riaffiorare come nuovi: a breve Tommaso sarebbe rientrato dalle compere del mercato, e nel trovarla lì a piangere in quel modo avrebbe fatto domande. Anche Leonardo, di ritorno da Careggi con mastro Botticelli affianco, si sarebbe agitato per la sua condizione fisica e psicologica tutt’altro che sana.
Arianna sollevò leggermente la testa dal muro e si voltò a guardare nel luogo in cui giaceva la scala usata per arrivare alla finestra, dalla quale aveva fatto un bel volo. Pensò che il trambusto e il disordine, assieme al suo cappello gettato sul tappeto poco distante, avrebbe messo in allerta più di una persona nel caso non si fosse decisa a rimettere ordine.
Ma poteva davvero scovare in sé un residuo di forza sufficiente che l’aiutasse a nascondere le tracce? Forse, si disse, insabbiare il fatto l’avrebbe aiutata a dimenticare. Non parlando a nessuno di quello a cui aveva assistito, quello che aveva passato, le avrebbe permesso di vivere, pur nel segreto, una comune esistenza. Forse, si disse,perché certezze, ora come ora, proprio non ne aveva.
Fu allora che, nel buio più totale perché a Firenze si era fatta notte, sentì bussare alla porta.

Il cielo luccicava delle sue stelle, la luna piena di inizio maggio argentava i tetti delle case. Per le strade c’era un gran frastuono di acciaio pesante in movimento: guardie che correvano da una parte all’altra della città portando con sé un’arma per mano.
Arianna inizialmente non badò a quel suono fastidioso, ma quando questi -il povero fuori dalla porta - insisté, la ragazza si costrinse ad alzarsi pur tremando.
Le gambe addormentate non la ressero e la ragazza ricrollò in terra. Le ci volle qualche secondo perché la circolazione del sangue tornasse viva, così la Pazzi raccolse il suo berretto da terra e, col cuore in gola, andò ad aprire.
Fuori dalla bottega mise solo un occhio e il naso. Riconoscendo che non si trattava né di Tommaso e né di Leonardo, Arianna continuò a tener stretta la fessura d’ingresso. –Chi cercate, messere?- chiese sforzando una voce maschile, intravedendo il ciuffo di una capigliatura castana spuntare da un cappuccio bianco, e due occhi altrettanto scuri, posti su di un visto avvolto dalla penombra del portico.
-Leonardo, Leonardo da Vinci, devo parlare con lui, vi prego, è urgente. Ditegli che lo cerca…- gemé col fiato grosso, ma sentendo quella voce Arianna non ebbe più dubbi su chi fosse.
-…Ezio- concluse lei a fior di labbra.
Il ragazzo, interdetto, lasciò crollare le spalle.
-Presto, non dev’essere lontano! Cercate ovunque!-.
L’Auditore si voltò di scatto per vedersi venire incontro tre guardie che, con le armi alla mano, imboccarono la strada verso la bottega dell’artista.
Ezio tornò a guardare la ragazza a denti stretti. –Fatemi entrare, presto!- sibilò.
Arianna, senza pensarci due volte, aprì la porta del tutto e lasciò entrare in bottega il ricercato che, appena fu nel centro della stanza, indietreggiò fin quando dietro di sé non trovò il complesso delle scale.
La ragazza richiuse, svelta e a chiave, ogni serratura alla bell’e meglio. Poi indietreggiò a sua volta aspettando il fatidico momento in cui i soldati avrebbero bussato.
-Dov’è Leonardo?- chiese Ezio nel panico in un sussurro appena percettibile: la fatica di una gran corsa e la disperazione per l’accaduto gli incrinavano il tono.
Arianna scosse la testa nervosamente, tesa come una corda di violino. Scrutò allungo l’armatura e il buffo abbigliamento del ragazzo, cosa che non aveva avuto modo di notare in altre occasioni. La mantellina scura gli nascondeva per intero il braccio sinistro, e proprio su quel fianco era legato il fodero di una spada, sulla cui elsa l’Auditore aveva posato la mano per qualsiasi evenienza. Il cappuccio gli nascondeva il viso e l’oscurità della tarda serata giocava a suo favore.
-Allora, dov’è?!- domandò stizzito il ragazzo, non ottenendo risposta. Negli occhi, neri e profondi, si crogiolavano paura, smarrimento e terrore.
-A careggi col Magnifico!- disse Arianna in preda al panico. –Non tornerà prima di qualche giorno!- confessò come se ne avesse colpa.
Di fatti Ezio si voltò verso di lei (distogliendo lo sguardo fisso dalla porta) e aggrottò la fronte in modo dispiaciuto, quasi scusandosi di averle messo tanta paura addosso. Ma nel gesto di guardare Arianna in viso troppo allungo, vi riconobbe lo stesso volto che si era scontrato con lui quella mattina in Piazza della Signoria.
-Tu…- mormorò esangue, incredulo. Nel frattempo mosse un passo verso la ragazza, che invece indietreggiò. –Tu… io ti ho già visto!-.
Arianna sobbalzò, temendo che Ezio l’avesse riconosciuta come membro della famiglia sua rivale, ma dovette ricredersi.
Ezio le venne più vicino. –Oggi, in piazza… Dicevi che mio padre era innocente. Avevi delle prove, allora!- scattò in avanti all’improvviso come per agguantarla, ma Arianna fu più svelta e schivò saltellando indietro a mo’ di cavalletta. Gli occhi azzurri della fanciulla erano carichi d’inquietudine e sospetto; quelli di Ezio mandarono un leggero barlume di speranza.
Forse Arianna cominciava a capire perché il destino li aveva fatti incontrare.
Maledetti, entrambi vittime dell’ingiustizia.
Il frastuono di un forte bussare la risvegliò dai propri pensieri, cancellandole frasi filosofiche dalla testa e riportandola al da farsi in quella cruda circostanza.
-Per ordine della guardia fiorentina! Aprite questa porta!- eruppe un soldato da fuori la bottega.
Arianna sobbalzò voltando il capo verso la porta.
Ezio, nel frattempo, si era già arrampicato sulle impalcature e le librerie della bottega agile come un gatto, raggiungendo la stessa finestra dalla quale si era gettata Arianna quella mattina. Il ragazzo si fermò sul davanzale, rannicchiandosi in perfetto equilibrio come un’aquila (era tale la sua ombra che la luna proiettava sul tappeto del pavimento) e si rivolse ad Arianna, la quale sapeva essere un maschio: -Dite a Leonardo che tornerò presto a trovarlo. Ma se tenete alla vostra vita, fareste meglio a tacere il nostro incontro a quella gente- suggerì indicando la porta, alludendo alle guardie che battevano la soglia.
Arianna annuì e lo vide lanciarsi nel vuoto oltre il davanzale. Un leggero fruscio del vento accompagnò la sua caduta nella paglia del carro sottostante.
Nella bottega ripiombò un improvviso silenzio che durò qualche istante, poi interrotto dal violento bussare delle guardie, che diventavano sempre più impazienti fuori dalla porta.
Arianna esitò allungo sul da farsi. Strinse convulsamente i pugni lungo i fianchi, immobile, pietrificata e rigida quanto poteva esserlo il blocco di pietra da scolpire messo lì accanto dal suo maestro qualche settimana prima.
-Aprite, aprite, ho detto! O buttiamo giù la porta!-.
La ragazza balbettò un timido “arrivo”, atterrita da un medesimo strillo della guardia.
Fece per aprire, ma sentendosi venire addosso la porta che i soldati avevano sfondato, fu costretta ad indietreggiare, finendo col sedere per terra.
Il battaglione di guardie piombò nella bottega con un gran frastuono di armi sfoderate, alla sola luce di quell’unica torcia tenuta dal generale che, gridando a squarcia gola, ordinò ad un bruto ed un agile di continuare le ricerche al piano superiore.
-È entrato qui, non dev’essere andato lontano! Scovate quel maledetto bastardo!-.
Nel frattempo una sentinella e un’altra guardia agile setacciavano il cortile esterno della bottega, scrutando attraverso l’oscurità della tarda serata in ogni angolo del giardino.
Arianna si strinse le ginocchia al petto restando nascosta dietro la porta per qualche minuto, fin quando il bruto e l’agile non ricomparvero dalle scale.
-Di sopra è tutto pulito, signore- disse il bruto, la cui voce ovattata dall’armatura in lamina sapeva incutere terrore ai bambini.
Il generale imprecò e bestemmiò anche. Fece per voltarsi, illuminando il nascondiglio della ragazza, ma ciò non accadde perché dall’esterno si udirono delle grida di altri soldati:
-Eccolo! Sta scappando! Prendiamolo, presto!-.
Il generale, il bruto e l’agile abbandonarono la bottega di corsa unendosi ai compagni nel cortile, che avevano individuato il bianco incappucciato mentre si arrampicava sulle finestre di un palazzo accanto. Questi si issò sul tetto e fuggì trafelato, nascosto nell’ombra della notte.
Appena fu certa d’esser sola nella bottega, Arianna attese che i passi delle guardie fossero abbastanza lontani per alzarsi da terra. Si affacciò lanciando un’occhiata per le strade tutt’attorno alla piazza, che vide deserta.
Le forze armate di Firenze saranno impegnate per un po’… pensò Arianna a malincuore, indietreggiando.
Davanti ai suoi occhi lucidi dal terrore vedeva il viso di Ezio Auditore nascosto dal cappuccio, e nelle orecchie aveva parole di morte che la condannavano ad un futuro, ormai prossimo.
“Dite a Leonardo che tornerò presto a trovarlo…” aveva detto il giovane per poi fuggire, prima che le guardie piombassero lì e lo catturassero.

Incredibile la coincidenza, pensò la ragazza per quel che venne dopo.
Tommaso rientrò in bottega di gran corsa appena intravista da lontano la porta sfondata della bottega. Questa pendeva da una parte, ma senza essere crollata del tutto.
Il Masini sorprese Arianna a braccia conserte sull’ingresso, che fissava i pioli rotti e il legno scheggiato là dove il bruto aveva dato una spallata. Un martello nella mano inferma e qualche vecchio chiodo nell’altra.
-Gesù, Giuseppe e Maria…- boccheggiò Tommaso lasciando cadere in terra la cesta con le spese. –Cos’è accaduto qui?!- strillò di un’ottava più alta, rivolto ad Arianna che sobbalzò vedendoselo comparso accanto all’improvviso.
La ragazza si strinse nelle spalle e nascose martello e chiodi dietro la schiena. Scosse la testa mettendosi da parte, lasciando spazio a Tommaso di contemplare tutta la bruttezza di quella porta.
-I soldati, loro…- mormorò bianca in viso, e già sentiva le lacrime pungerle gli occhi.
Tommaso si tolse il berretto portandoselo al petto, e si passò una mano tra i mossi e corti capelli scuri. –Dio mio… manco fosse passato di qua un Drago!- eruppe.
-Perdonatemi se non ho potuto fare nulla- Arianna tirò sul col naso e si asciugò gli occhi, cercando di non mostrare a Tommaso il suo sconforto. Piuttosto preferì dargli le spalle e perdersi nella penombra della bottega, circondata dalle tele e dai cartoni incompleti del maestro pittore.
Tommaso sobbalzò. –Aspettate, Arianna, avete detto “soldati”?- chiese ansioso.
Arianna annuì tremante, e l’uomo si gettò ad abbracciarla di sorpresa. –Vi hanno riconosciuta?! Volevano portarvi via?! Cercavano voi?! Arianna, dannazione, rispondetemi!- eruppe il Masini posandole una mano sulla testa.
La ragazza crollò in ginocchio ai suoi piedi, senza smettere di piangere, euforica, pazza, fuori di sé.
Tommaso andò giù con lei, e non appena furono entrambi seduti sul tappeto, assunse un’espressione crucciata. -Arianna, non serve a nulla disperare. Ditemi cos’è successo, chi o cosa cercavano, e tornerete a fare sogni tranquilli- le promise, stanziandosi un po’ per guardarla negli occhi.
Ma lei era troppo sconvolta per proferire parola sensata. Così Tommaso tornò ad abbracciarla lasciando che si sfogasse. Arianna fece piovere lacrime su lacrime, senza sosta e come una fontana, per ben un’ora. Si fermò solo quando il sonno ebbe il sopravvento, trascinandola con sé al cospetto di Morfeo. Per quanto fosse magra e di media taglia, Tommaso se la caricò in braccio con una certa fatica. L’adagiò sulla poltrona, rinunciando da principio a farsi tutte le scale, e la rimboccò in una coperta. Poi si apprestò ad accendere il camino, e in fine s’impose di riparare la porta. Prese martello e chiodi là dove li aveva lasciati cadere Arianna e si mise subito all’opera per concludere, prima che la stanchezza s’impadronisse anche di lui e coricarsi a sua volta.




















Angolo d’Autrice:
Un rapidissimo aggiornamento. Sfortunatamente non posso trattenermi troppo perché sono davvero distrutta, adesso che sono quasi le 10.00 e mi si chiudono gli occhi.
Scrivere questo capitolo è stata un po’ una baggianata (fatta qualche settimana fa, perché ultimamente non ho più tanta voglia di scrivere -.- ) che avrebbe dovuto inglobarsi nel capitolo successivo, quando saluteremo di nuovo il nostro caro Ezio sul grande schermo.
Fermo restando che Arianna è una pazza, idiota, epilettica, quello che volete voi (per le sue crisi di nervi e pianti isterici) volevo chiarire che la scena descritta nelle prime righe si colloca in un possibile periodo di tempo PRIMA che Ezio venga indirizzato da Paola verso la bottega di Leonardo, affinché lui gli ripari la lama nascosta. Ho pensato che Ezio, la sera stessa dopo essere sfuggito alle guardie, fosse interessato a cercarsi qualcuno con cui condividere l’accaduto e il suo dolore, o più semplicemente un posto sicuro in cui stare.
Il poveretto, fatta cilecca, andrà a dar noia a Paola e alla sua combriccola di “amicone”.
Ho deciso di postare questo capitolo a malincuore. So che molti di voi si stanno affezionando ai personaggi e non possono fare a meno di seguire la storia, ma come ho detto, la voglia di scrivere mi sta venendo meno a causa dello studio e altri hobby altrettanto affascinanti. Però non disperate: ci sarà sempre un capitolo avanti a questo pronto ad essere pubblicato ^-^ questa è la mia promessa.
(Adesso me ne resta solo unooooo °___°)
P.S. (Alias Priorato di Sion! XD LOL)
Manuuuuuu! Duove seiiii?! XD

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Esercizio - Parte I ***


Esercizio
Parte 1

Furono i quattro giorni più lunghi della sua vita.
Una volta sfuggita al vincolo della noia, Arianna trascorse le mattine ad aiutare Zoroastro con le sue faccende, apprendendo da lui ogni segreto della cucina e della pulizia. Il Masini sapeva di non poter far altro che tenerla impegnata, distrarla dal dolore. Sul volto della ragazza leggeva quanto ella fosse combattuta dentro da un sentimento che non voleva estraniare dal proprio corpo. Arianna aveva deciso di rinchiudere tutti i ricordi in se stessa, chiedendo con mute parole che Zoroastro non tentasse di far leva per aprire la prigione che ella vi aveva costruito attorno. Non ce n’è motivo, sarebbero fatica e tempo persi, si ripeteva Tommaso, quando tornerà Leonardo si sentirà sicuramente meglio, tornerà normale, si diceva per consolarsi. Non le piaceva avere quella ragazzina sulla coscienza, lo metteva a disagio. Poiché inizialmente Arianna aveva preferito starsene chiusa in stanza a rimuginare senza sosta sui fatti che l’avevano turbata, senza volerne discuterne con Tommaso, questi si era sentito in dovere di rispettala e lasciare che la sua mente e la sua maturità facessero il loro corso, al costo di non intromettersi. Arianna non aveva più parlato per molto tempo, in quei primi due giorni, quando il Masini l’andava a chiamare su per le scale verso la soffitta e lei si faceva trovare già in corridoio, pronta ad accompagnarlo al mercato oppure ad aiutarlo con le stanze da spazzare, le tele da ordinare. Nonostante il sole, le belle giornate, e il clima primaverile che lentamente andava verso il caldo dell’estate, nella bottega del rinomato Lionardo di Ser Piero da Vinci si viveva un costante grigiore.
Qualsiasi cosa Tommaso le chiedesse di fare, Arianna la eseguiva in un silenzio di tomba, con la calma e il sorriso di un cadavere. Con un certo brivido lungo la schiena, il Masini aveva inoltre notato quanto la pelle della ragazza si fosse imbiancata, e aveva finito per darsene la colpa.
Devo smetterla di cucinare solo verdure! Aveva pensato stirandosi la pelle del volto, una volta solo in cucina mentre la ragazza spazzava il pian terreno della bottega. Era il 5 maggio e doveva occuparsi del pranzo per entrambi, ma quella mattina aveva fatto il gravoso errore di portare in casa solo altre verdure, come se nelle dispense non ce ne fossero abbastanza. Lattuga, carote, pomodori, zucche e zucchine: tutti i più deliziosi frutti della natura erano disposti ordinatamente sul tavolo della cucina e Tommaso li fissava con un’espressione crucciata, mordendosi il labbro. Avrebbe voluto servire una sana insalata, ma qualcosa gli suggeriva che tornare al mercato e comprare un coniglio sarebbe stata una mossa più saggia quanto azzardata.
Dopotutto, la nobile Pazzi, viziata con la cacciagione della ricca o benestante cucina fiorentina, non poteva più permettersi i soli vegetali nello stomaco. In qualche strano modo Zoroastro avrebbe dovuto abituarla gradualmente all’alimentazione dei “poveri pittori” o quel tenore di vita avrebbe potuto ucciderla!
Il Masini si passò le mani nei capelli, non riuscendo lontanamente ad immaginare di comprare della carne, che oltretutto costava non poco. In ogni caso, si impose di farlo.
Gettò in un cestello intrecciato le verdure mettendole da parte, si avviò di corsa in corridoio, giù per le scale, e poi filò dritto fuori dalla bottega.
Arianna, che se lo vide uscire sotto al naso così di fretta, non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi e chiedergli dove fosse diretto, il che avrebbe significato la prima parola dopo quarantotto ore.
La ragazza inarcò un sopracciglio e mise da parte la scopa, appoggiandola alla parete vicino al complesso delle scale. Sedette sui gradini con un gran sospiro e si capacitò del maestoso silenzio che l’avvolse.
Non le serviva un grande sforzo per ricordare il giorno del processo. Ogni immagine era ancora stampata nella sua mente, impressa come il segno una verga ardente sulla pelle. L’emozione era stata tale che ora, il solo ricordo di quei momenti, le faceva accelerare il i battiti del cuore e l’intensità dei respiri, mentre gli occhi le tornavano umidi.
Durante i momenti che trascorreva in compagnia di Tommaso si sforzava di mantenere il controllo, ma adesso che era sola con se stessa, senza nessuno a cui nascondere il proprio dolore, Arianna stentava a trattenere le lacrime accumulate in tanti anni di sofferenze altrui.
Non era solo il processo degli Auditore a turbarla, ma tutti quei quadri che aveva abbandonato nella bottega del Verrocchio e che raffiguravano impiccagioni, suicidi, omicidi e condanne di centinaia e centinaia di persone che Arianna non aveva mai conosciuto dal vivo, al di fuori dei propri sogni. Fin da piccolissima, quand’era solo una bambina con le treccine e gli occhi grandi, Arianna teneva sottobraccio un quadernino che Guglielmo in persona le aveva insegnato ad avere sempre vicino, sempre a portata di mano assieme ad un mozzicone di graffite, carboncino o penna che fosse.
Nei remoti angoli della sua mente si nascondeva da tempo la presenza di un essere malvagio, che sapeva non appartenergli, e che per lei avrebbe significato solo la rovina: era la certezza di una maledizione inflitta a lei e alla sua discendenza che, nel corso dei secoli, avrebbe portato questo peso in eterno. La condanna degli Auditore, ma soprattutto gli episodi che ne erano derivati prima, quali la venuta di Vieri e Francesco a Firenze o il bisticcio tra le due famiglie sul Ponte Vecchio, non erano altro che tasselli di un puzzle che Arianna avrebbe dovuto, ma non desiderava completare. Era una realtà assurda per lei da accettare e con la quale, ovviamente, convivere. Suo padre non aveva mai voluto parlargliene direttamente, pur insistendo perché dipingesse per lui quello che vedeva. Inoltre, Guglielmo le aveva parlato (quella volta nei giardini) di come i suoi “poteri” si stessero affievolendo, proprio perché Arianna ne stava diventando piena padrona.
La ragazza avrebbe fatto di tutto per evitarlo, ma come provava a negarsi la verità, questa s’imponeva dinnanzi ai suoi occhi costringendola a sbatterci la testa, crudelmente, senza alcuna pietà. E diventava dolore anche quello, costante, incisivo, che metteva radici nel profondo del suo animo ed era sempre lì a ricordarglielo.
Arianna si strinse le ginocchia al petto, avvertendo il fiato mancarle quando la presa del corpetto si fece ancor più stretta attorno al busto. Quell’oggetto infame che indossava era proprio la redenzione che cercava ma che continuava ad esserle negata, si disse, perché nonostante la sua fosse una brava maschera, Arianna sapeva chi o cosa era veramente. Lei era l’unica persona alla quale non poteva nascondere ciò che aveva fatto. È impossibile mentire a se stessi, pensò, perciò fin quando questa farsa non avrà fine non potrò mai pensare di esaurire il mio “dono”.
Travestirsi da maschio per vivere accanto all’uomo che aveva capito di amare (e immaginate queste parole arrossì) era una condanna alla pari di quella che scontava dalla nascita. Lentamente, Arianna riuscì a scacciare i macabri pensieri con una sola immagine fugacemente delineata nella sua mente. Si portò una mano sulla guancia, là dove Leonardo l’aveva baciata con gioia una prima volta, quando Maria Auditore era venuta a ritirare i dipinti che il suo maestro non avrebbe mai trovato senza il suo aiuto. Dalla rosea pelle della guancia, Arianna fece correre due dita sino alla morbida carne delle labbra, dove si annidava ancora il sapore di una prova inconfutabile a favore del pittore. A quel ricordo la ragazza arrossì ancor più, avvertendo la testa vorticarle e una fastidiosa sensazione alla base dello stomaco.
Arianna si chiese, giusto per distrarsi, quand’era stata l’ultima volta che aveva desiderato così ardentemente una persona del sesso opposto.
Curvando la testa da un lato, si disse: mai.
Ecco l’unica verità che le faceva scottare le guance tutte le volte che ripensava a Leonardo o si trovava in sua compagnia. I momenti più dolci erano stati senza dubbio le lezioni di pittura del mese precedente, prima che la ragazza fosse stata costretta a scappare dalla reggia di famiglia per unirsi a lui travestita da ragazzo.
Forse nella sua vita c’era stato qualche fanciullo carino che le aveva fatto la corte, dopotutto era una bella ragazza, glielo dicevano in molti senza incertezze, e anche una donna di una certa fama. Molto probabilmente, quei pochi coraggiosi che avevano provato ad avvicinarsi erano stati respinti dall’abbaio di Francesco, che fin da bambino aveva sempre protetto la sorellina rinchiudendola in una prigione di cristallo alimentata dalla sua gelosia. Ricordando quelle volte Arianna finì per sorridere. La flebile allegria svanì però nel fumo, quando la consapevolezza della sua nuova circostanza le venne incontro con la furia di una mandria di cavalli in corsa. C’era da considerare che Arianna non avrebbe mai più potuto contare sul sostegno dei fratelli, ai quali era stata raccontata quella stessa grande bugia che aveva fatto piangere Bianca de’ Medici, in piazza, davanti alla cattedrale della Santa Maria del Fiore, circondata dal suo popolo.
Arianna si alzò dal gradino e si allontanò dalle scale. Una volta nel centro della stanza, aggiustò gli angoli del tappeto che copriva il pavimento, ma non seppe che altro fare.
La linea logica dei suoi pensieri stava toccando argomenti sempre meno piacevoli, tutti col fine ultimo di farla sentire un gran pezzo di sterco con lo stomaco attorcigliato e pieno di farfalle. Arianna stava immensamente male per ciascuna delle persone che, a causa delle sue decisioni, soffrivano e avrebbero continuato a soffrire giorno dopo giorno. Arianna aveva anche un utilissimo dono: trasmettere la propria sofferenza a chiunque le gravitasse attorno. Non le bastava accontentarsi di visioni sadiche o apocalittiche che la tormentavano la notte, no, aveva anche l’irrefrenabile bisogno di arrecar danno altrui, andando a rompere le cosiddette scatole a gente del tutto estranea, come il povero Tommaso Masini che era scappato da lei qualche minuto prima chissà per quale assurdo motivo!
Arianna si maledisse cento e passa volte, poi sbuffò e si guardò attorno con le braccia conserte.
La sua attenzione cadde su una tela nascosta nella penombra di altri quadri incompleti o appena abbozzati come disegni. Questa era per metà coperta di un telo bianco macchiato di tempera, e Arianna andò a scoprirla senza ulteriori indugi.
In pochi secondi riconobbe il volto d’angelo e la dolce posa in cui aveva avuto intenzione di ritrarlo. Un primo abbozzo delle ali era già dipinto, anche la mezza macchia del viso e le ombre su parte delle vesti.
La Pazzi trasse la tela piccola tela dalle altre e indietreggiò, così da poterla ammirare in tutto il suo splendore alla luce del sole che veniva dalle vetrate. Dove i raggi dorati della sfera incandescente si postavano, la tempera sembrava brillare come se sul quadro vi fosse piovuto e fosse rimasta qualche gocciolina. La bellezza e la morbidezza delle ali venne triplicata, la rotondità del viso e l’acume dell’espressione accentuata. La lucidità dei capelli scuri e quel particolare taglio che gli incorniciava il volto, immortalavano nei secoli un povero innocente ucciso dalla maligna mano dell’ingiustizia.
Arianna si rattristì al brutale ricordo di quello stesso corpo appeso con un cappio al collo, mosso dai brividi spasmodici della morte imminente, assieme a quello del padre e del fratellino minore. La ragazza si sentì gelare il sangue, le vertigini salire alla testa e la terra mancarle sotto i piedi, potendo quasi saggiare la terribile sensazione di trovarsi sospesi a mezz’aria con una corda attorno alla gola come unico appiglio.
Arianna indietreggiò ancora, trovò un cavalletto vuoto e adagiò lentamente la tela su di esso, senza staccare i propri dagli occhi del soggetto raffigurato.
Devo finirlo… s’impose la ragazza. Per l’onore, per la loro memoria…
In brevi minuti preparò tempere, pennelli e barattoli con acqua; indossò un grembiule e sì legò al meglio i capelli, nascondendolo poi nel berretto blu ciano. Si tirò su le maniche, sedé sullo sgabello e, coi piedi a penzoloni e la ferma immagine del processo stampate sulla fronte, cominciò a disegnare una nuova, seconda e piccola figura accanto alla prima.

Tommaso rientrò in bottega un’ora più tardi, forse due, ma ebbe come la sensazione che non vi fosse nessun altro. Trovò deserto il pian terreno, notando con stupore il cavalletto leggermente spostato da dove ricordava di averlo lasciato, ma nient’altro fuori posto. Vide la scopa appoggiata alla parete e, richiudendosi la porta alle spalle, chiamò il nome di Arianna.
La ragazza comparve sul pianerottolo delle scale sfregandosi le mani su uno straccio. –Ditemi- fece cordiale, sorridendo.
Tommaso inizialmente non badò al suo improvviso cambio d’umore e si rivolse a lei con naturalezza: -Vieni, aiutami a portare questa… roba in cucina e…-, ma non riuscì a concludere che lo stupore di sentirla parlare gli fece cadere in terra dalle mani la cesta con la carne.
La ragazza, che nel frattempo gli stava venendo incontro, si fermò a metà delle scale sobbalzando per lo spavento. Sgranò gli occhi e attese che il Masini dicesse qualcosa a sua volta.
-Per la Madonna, e che è successo?- esultò questi allargando le braccia.
-A cosa vi riferite, ser?- indugiò Arianna, dubbiosa, ma più che altro desiderosa di far sembrare la cosa “normale”.
-Non solo hai ricominciato a parlare, ma ora mi dai anche del “voi”!- commentò Tommaso.
Arianna si strinse nelle spalle e non aggiunse nulla. Esaurì gli ultimi gradini che li separavano e si chinò a raccogliere la cesta ai piedi del ragazzo. Sbirciando al suo interno mentre tornava verso la cucina, Arianna non riuscì a far a meno di fermarsi e voltarsi, interdetta. –Carne?- domandò scettica.
Il Masini aggrottò la fronte, come se il solo suono di quella parola gli procurasse una dolorosa fitta allo stomaco. –Meno chiacchiere, ragazza, ti preferivo quanto zitta stavi- blaterò sorpassandola.
Arianna lo seguì sino in cucina a capo chino e posò la cesta con i due conigli sul bancone. Tommaso accese il fuoco del fornetto nel frattempo che la ragazza improvvisava un tagliere e gli arnesi necessari. Una volta trovato adeguato, lo porse a Tommaso che lo impugnò con una certa riluttanza. Guardò prima la lama, poi Arianna, e in fine il primo coniglio steso sul bancone a quasi un metro da lui. Dimezzò la distanza con piccoli passi (sembrava una funzione religiosa di chissà quale setta segreta) chiuse un occhio e strinse le dita della mano libera attorno alla zampa posteriore dell’animale, che poi tese lentamente.
-Non avete chiesto se potevano tagliarvelo già?- domandò Arianna notando il fastidio dell’uomo.
Tommaso non rispose, probabilmente perché non ci aveva pensato.
Arianna fece una smorfia. -Siete almeno sicuro di sapere come…-.
-No-.
-Ah, bene…-.

Il giorno seguente nessuno, nemmeno Tommaso o il curioso vento freddo che avvolse Firenze, riuscì a tenere Arianna lontana dalle strade.
La mattina del 6 maggio il Masini si era svegliato poco dopo l’alba, era sceso dal letto, si era stiracchiato, lavato, vestito come d’abitudine e, già pronto a sfaccendare in casa con le pulizie e la colazione da preparare per Arianna, si era avviato in cucina. Là, sulle imposte della finestra che tutte le mattine Tommaso aveva l’abitudine di aprire per affacciarsi fuori e godersi il sorgere del sole, trovò attaccato con della tempera secca un biglietto chiaramente scritto da Arianna, che solo nel postscriptum si firmava col nome di “Vincenzo”. Il messaggio diceva in due frasi brevi che la ragazza era uscita di casa con lo stomaco già pieno (oltre che col coniglio del giorno prima a farle le bizze in pancia); ringraziava della premura e avvertiva che sarebbe rientrata in bottega solo quella sera, lasciando inoltre detto che, per qualsiasi evenienza, avrebbe potuto trovarla all’Ospedale degli Innocenti.
-Cos’hai in mente, ragazzina?- si chiese Tommaso non senza nascondere lo stupore di fronte un simile fatto. Il Masini ripose il messaggio da una parte e lasciò anche lui la bottega, diretto verso nord ovest, in una curiosa caccia alla fanciulla.
Percorse le strade stringendosi nella mantellina presa con sé prima di uscire, perché in quei giorni per Firenze tirava un anomalo venticello autunnale proveniente dagli Appennini. La città era ancora mezza assopita, alcune botteghe sollevavano le serrande e sbloccavano le imposte, mentre la gente spazzava gli ingressi dei cortili o i primi gradini delle Chiese. Il cielo schiariva lentamente, poche delle stelle più luminose si riuscivano a scorgere nonostante il sole che nasceva pigro ad oriente.
Nel giro di un’ora, volendo per sgranchirsi le gambe, volendo per prendere un po’ d’aria fresca, come promesso nel messaggio, Zoroastro raggiunse l’Ospedale degli Innocenti e trovò Arianna seduta su una delle panche che circondavano la gloriosa statua d’uomo con lancia nel mezzo della piazza. Il Masini la riconobbe senza troppi sforzi: quel berretto blu ciano rigonfio sulla nuca nascondeva parte dell’ancor lunga capigliatura corvina; nella postura seduta con le gambe accavallate emergeva l’atteggiamento femminile che in quei momenti che era sola Arianna non provava neppure a nascondere. La piazza, di fatti, era deserta dei suoi abituali visitatori, fatta eccezione per alcune suore riunite sull’ingresso della costruzione, ad una ventina di metri dalla fanciulla.
Quel che colpì maggiormente Zoroastro fu cogliere, in mano alla fanciulla, un quadernetto e un carboncino che ella teneva in grembo, guardandosi attorno, aspettando qualcosa o qualcuno. Il nasino leggermente all’insù della ragazza si protendeva a saggiare l’aria fresca della mattina, le orecchie per metà nascoste nel cappelletto si beavano del silenzio fin quando sarebbe stato possibile.
Il Masini si strinse più alla colonna dietro alla quale si era nascosto, per evitare che Arianna lo vedesse e interrompesse la sua attività, qualsivoglia questa fosse.
Di sottofondo al silenzio di piazza cominciò a farsi sentire qualche voce di gente, e proprio in quell’istante, quando il suono di una campana annunciò l’inizio della mattina, le strade attorno all’Ospedale si riempirono di gente a passeggio.
Fu quando Tommaso vide la ragazza aprire il quadernetto e cominciare a copiare il volto di una donna che sedeva sulla panca di fronte alla sua, che capì cosa realmente Arianna aveva in mente.
Esercizio…
Leonardo la chiamava la parola chiave, come tutti i migliori pittori, d’altronde, compreso il Verrocchio di cui aveva tanto sentito parlare.
Tommaso sentì inutile il bisogno di restare a guardare ancora. Arianna sarebbe stata seduta su quella panca tutto il giorno a riempire pagine e pagine di volti (occhi, nasi, bocche, orecchie) o anche corpi (pose, atteggiamenti, gesti) fino a sera. Inoltre, non c’era motivo di allarmarsi: vicino ad un Ospedale gestito da gente di Chiesa chi avrebbe potuto darle noia, si chiese?
Nessuno.
Perciò Tommaso fece dietro front e camminò sui propri passi, lasciando che il garzone del caro Leonardo aspirasse alla perfezione del suo maestro nel modo che preferiva.




Angolo d’Autrice:
Alcuni di voi si staranno chiedendo che fine ha fatto Elisa! Ebbene, sono pronta a rispondere a questa domanda con un semplice… “Portate pazienza” XD Elisa c’è stata, c’è e continuerà ad esserci. Non posso darvi troppi spoiler su quello che succedendo alla ragazza in questo momento. Sicuramente è alquanto strano che voi come lettori riviviate i suoi ricordi senza che lei (almeno da quanto scritto da te, brutta pazza di una scrittrice!!) sia nell’Animus. In effetti è esattamente così: Elisa non è nell’Animus, eppure io vi sto raccontando i suoi ricordi… ma allora che diavolo succede?! Vi starete chiedendo…
Arrivata a questo punto della storia comincio a chiedermelo anch’io. Dopotutto è altrettanto strano che la narrazione passi più volte dal punto di vista di Arianna a quello di Leonardo così, come per magia… alcuni di voi potranno pensare che abbia semplicemente interrotto le vicende nel “presente” per dare maggior spazio alla storia di Arianna, altri potrebbero smettere di leggere pensando, invece, che sia del tutto matta e incoerente come scrittrice! XD Non posso negare che il secondo tipo di pensiero ha un che di corretto, nella sua forma, ma è bene sottolineare che il modo in cui sta volgendo la trama è del tutto e integralmente voluto. Perciò non spaventatevi o fatevi troppe pippe mentali.
Piuttosto, volevo condividere con voi un gravissimo lutto… Il tre in matematica sul pagellino di metà quadrimestre mi è costato la mia ps3 -.- con la quale non potrò più giocare fino a settembre, sempre e solo SE recupero il debito, o meglio, SE passo l’anno. -.- Questo vuol dire niente AC per, quanti, quattro, cinque mesi! °A° I’m disperate ç_ç
Il mio cuore si apre alla gioia se penso ai vostri commenti lasciati nel capitolo precedenti ^-^ Grazie lullacullen, renault e goku94 per le rece, e anche ai silenziosi lettori nell’ombra, ovvero Elkade, Leowyinn95, Dance e Nyxenhaal86. ^-^ Spero di sentir presto anche i vostri pareri.
Per oggi è tutto, ci sentiamo alla prossima puntata! *-*
P.S. (*---*)
Manuuuu! Eh, sì, quello era davvero mio padre! XD Io ni sacc’ scrivere o parlà u napulitano! LOL

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Esercizio - Parte II ***



Esercizio
Parte 2


Arianna cercò una posizione più comoda sulla panca di pietra.
La schiena le doleva, non sentiva più le gambe e, come se non bastasse, la donna che stava disegnando di nascosto aveva lasciato la piazza prima che la Pazzi fosse riuscita a finirle il ritratto. Arianna l’aveva maledetta mentalmente ed era andata subito a caccia di altri volti, guardandosi attorno in modo circospetto. Accanto a sé, sulla panca, riposava un anziano signore che se ne stava con il bastone posato sulle ginocchia, probabilmente in procinto a rincamminarsi tra breve, da come spostava svelto gli occhi da una via all’altra, forse calcolando il percorso più breve. Arianna, contando per di più le rughe sul suo volto, decise di astenersi da esercizi di copia dal vero troppo complessi.
Se da una parte se ne stava con le mani in mano, dall’altra non c’era niente di meglio che riempirsi i polmoni di aria fresca e genuina, soprattutto nei pressi di un ospedale.
Arianna storse il naso. Effettivamente aveva dimenticato quel piccolo dettaglio: nell’edificio a pochi metri di distanza potevano essere ricoverati i peggio malati di tutta Firenze. Come aveva fatto a tralasciare un simile dettaglio, pensando di poter respirare in tutta tranquillità?
La ragazza si sollevò in piedi lentamente, un po’ per dissimulare lo stupore, un po’ per i crampi allo stomaco che cominciava ad avere per la fame (oltre al fatto che il coniglio del giorno prima non le era andato giù molto facilmente), e un po’ per il dolore che le martellava la schiena. Non era abituata a trascorrere ore in una posa tanto scomoda, si disse storcendo le labbra in una smorfia, neanche quand’era in bottega del Verrocchio veniva costretta a stare seduta su una panca di solida pietra. Nella Camera della Tempera non mancavano mai comode poltroncine, antiche sedie romane imbottite e sgabelli di varie grandezze per chi aveva le gambe più lunghe e chi meno.
Arianna si rattristò un poco a quei dolci ricordi. Sorrise ricordando il volto scorbutico di Andrea mentre sgridava lei o gli altri pittori, e si sentì avvampare di dolcezza tornando con la mente ai boccoli da bambola del Lorenzino, tra i quali Gallo e Davide mettevano spesso le mani.
Arianna si sistemò il berretto da garzone sulla testa e, mettendo da parte le immagini del passato, si concentrò su un posto interessante dove riprendere i suoi studi.
C’erano Ponte Vecchio, o anche il Mercato, perché no? Le loro bancarelle ospitavano ogni giorno fiumi di gente che veniva da tutta Firenze. Lì, si disse, non le sarebbero mancati i dettagli da disegnare. Eppure dovette in fretta ricredersi, poiché un luogo così chiassoso non faceva al caso suo, dato il viziato bisogno di quiete della ragazza.
Doveva trovare un posto affollato ma il meno caotico possibile. Un giardino, una Chiesa, magari, o ancora meglio, un’Accademia. Chissà quanti giovani avrebbe potuto incontrare chini a studiare sui libri, così che lei potesse disegnare in pace senza il timore che se ne andassero da un momento all’altro, come invece aveva fatto quella donna di poco prima.
Ma in tale preciso istante, mentre Arianna stava per avviarsi, fu assalita da un’altra triste costrizione che lei stessa si era imposta: nel biglietto in cucina, aveva lasciato scritto a Tommaso che avrebbe potuto trovarla attorno all’Ospedale degli Innocenti e in nessun altro posto. Se il Masini fosse venuta a cercarla ma non l’avesse trovata, Arianna aveva ben idea che faccia avrebbe fatto: un misto tra un orsetto lavatore arrabbiato e una volpe con la coda tra le gambe, terribilmente in pena per l’allieva del suo maestro e per come questi lo avrebbe sgridato.
Arianna poté già immaginare la scena senza difficoltà di come Leonardo, appena di ritorno da Careggi e stanco per il viaggio, fosse costretto a subire una medesima ansia nei suoi confronti.
No, si disse, questa volta mi terrò lontana dai guai, pensò.
Il tutto sfociò dunque in un pesante sospiro della ragazza che, col quadernino sottobraccio, era pronta ad incamminarsi sulla via del ritorno verso la bottega.
D’un tratto la sua attenzione cadde su quattro chiassosi piccioni che, appollaiati sul limitare di un tetto, borbottavano come comari. Alla ragazza sfuggì un sorriso: quegli uccelli erano tanto buffi quanto stupidi, si disse, e col tempo aveva imparato ad apprezzare queste loro particolarità. Anzi, si corresse, col tempo aveva imparato ad apprezzare le particolarità di tutti gli animali.
Tra la cucina vegetariana di Tommaso e il profondo sentimento ambientalista di Leonardo, Arianna stava imparando in fretta ad ammirare la natura e a studiarla in tutte le sue sottigliezze. Senza dubbio il mondo nel quale era caduta, circondata dall’arte del suo maestro e dalla magia di Zoroastro, influenzava la sua visione dell’essere, amplificava la sua percezione e apriva lei delle porte estranee e affascinanti. Succedeva sempre più spesso che Arianna s’incantasse ad osservare per ore le cose apparentemente più insignificanti, come la tela di un ragno, i granelli della polvere, i riflessi della luce. Forse quello era un semplice modo di ingannare ciò che l’aveva tormentata a lungo per mesi, prima di trovare rifugio nella Bottega di Leonardo.
Aveva tanto a cui pensare, tanto su cui riflettere della propria vita, si disse aggiustandosi una ciocca dei corti capelli corvini dietro l’orecchio, ma ogni pretesto era buono per rimandare, rimandare, rimandare il momento in cui avrebbe dovuto affrontare la realtà, condannando se stessa ad un’esistenza faccia a faccia con le sofferenze che la sua antenata sembrava averle trasmesso.
Era unitile continuare ad ignorare quel che era ovvio: ora più che mai Cassandra era parte del suo spirito, la sua leggenda si tramandava di generazione in generazione come un prezioso ma doloroso segreto. Delle volte le immagini di una grande città in fiamme l’avevano tormentata nel sonno, quand’era piccolissima, e Arianna ne rimembrava il ricordo solo ora, quando meno ne aveva il desiderio. Arianna sapeva che era inutile sfuggire alla convinzione di essere legata ad un destino con tutt’altro che un lieto fine, almeno non senza combattere.
Ma combattere come? Con quali armi?
L’indulgenza? La compassione? O magari il menefreghismo?
Durante l’impiccagione degli Auditore Arianna si era lasciata vincere dalla brama di salvaguardare il destino altrui, interferendo nella condanna quando non avrebbe dovuto e quando, se non l’avesse fatto, avrebbe potuto vivere più serena. Forse continuare ad ignorare le sue visioni le avrebbe alleggerito il cuore dai mali del mondo, proprio perché niente o nessun altro sembrava disposto ad aiutarla, al fine di alleviare il suo grande peccato.
Eppure Arianna percepiva, nel profondo della propria anima, che un modo per venir fuori da quel pozzo c’era ed era proprio davanti a suoi occhi. Bastava semplicemente…
Fu in quell’istante che, sollevando il mento dal petto, le iridi azzurre della ragazza caddero su una figura comparsa dal nulla a pochi passi da lei, attratte come da una calamità. Arianna strinse convulsamente il quadernetto che aveva in grembo e quasi rischiò di spezzare il carboncino in due pezzi.
Era un uomo le cui vesti inconfondibili le aveva stampate nella mente fin dal loro primo incontro ufficiale. Sedeva sulla panca di fronte alla sua, oltre la fontana che stava nel mezzo, e sembrava fosse rimasto lì a fissarla già da tempo prima che la ragazza vi facesse caso. Gli occhi neri sparivano nell’ombra del cappuccio bianco, i gomiti poggiati sulle ginocchia, le mani giunte a mezz’aria, una sorta di smorfia sulle labbra, ove spiccava la il ricordo della sassata di suo cugino, la schiena leggermente curva: la fatale compostezza di Ezio Auditore la mise terribilmente a disagio, facendole risalire dal profondo dello stomaco un gemito imbarazzante.
Per tutti i Santi! Cosa ci LUI fa qui?!
Arianna stava per alzarsi e fuggire via di corsa.
Effettivamente non aveva idea del perché messer Auditore si trovasse in Piazza, nei pressi dell’Ospedale degli Innocenti, seduto sulla panca di fronte alla sua con precisione geometrica. La fissava con troppa insistenza aspettandosi chissà quale reazione che non le si fosse già dipinta in volto: Arianna era arrossita come un pomodoro, tremava come una foglia e in breve si sarebbe trasformata in un albero come la povera Dafne. Al costo di riempire tutte le pagine di stupidaggini inutili, Arianna s’impose di non alzare il naso dal quadernetto.
L’ultimo dei suoi problemi ma anche il primo dei suoi timori era, fino a pochi attimi fa, trovarsi di nuovo il ragazzo tra i piedi. Il ricordo dell’esecuzione, del suo fallimento, viaggiava costantemente assieme ad Ezio sotto forma di un’aurea che attirava le disgrazie degli Dèi. Arianna tentò (invano) di fingersi ancora distratta nel disegno, ma tutto ciò che riuscì a scarabocchiare sulla carta fu una linea neanche troppo dritta. Scoprì con una smorfia che la mano le tremava. Faticava a mantenersi quieta mentre gli occhi indagatori di Ezio la pungevano sulla cute persino attraverso il tessuto del berretto che portava in testa.
Firenze dava i primi chiari segni di affollamento quando Arianna osò lanciare un’occhiata di sbieco alla panca dove sospettava di trovare ancora seduto il suo muto osservatore, ma si sorprese oltremodo nel constatare che era vuota (a parte le due donne che vi si erano appena accomodate spettegolando e lamentandosi dei rispettivi mariti).
La ragazza alzò lentamente la testa e tirò un sospiro di sollievo scrollando le spalle. Era in procinto di rilassare i tesi muscoli del corpo quando, come un fulmine a ciel sereno, udì un’improvvisa voce gentile irrompere nel proprio padiglione auricolare.
-Posso sedermi?- domandò Ezio alludendo al posto vuoto che si era creato al suo fianco, per via del vecchio che se n’era appena andato.
Il cuore di Arianna perse uno, due… accidenti, tre colpi! Non seppe se per paura o per vergogna, ma annuì e anche più di una volta. Ebbe l’impressione che sarebbe svenuta da un momento all’altro mentre Ezio prendeva comodamente posto accanto a lei senza attendere una vera e propria risposta, oltre a quel muto cenno della testa.
Appena fu certa del calore che emanava il suo corpo accanto al proprio, Arianna si scansò leggermente fingendo di dover sistemarsi più comoda. Ezio probabilmente si accorse del suo disagio, ma non solo per via del suo atteggiamento sfuggente: c’erano le guance rosse, gli occhi lucidi e sgranati, le mani inferme e le labbra serrate. Arianna era una statua di marmo che ritraeva chi ha appena visto un fantasma. D’altro canto, Ezio Auditore, col suo cappuccio bianco accompagnato dal frastuono delle varie cinghie ed armi legate al fianco (quali una daga e uno stiletto) non pareva altro.
Inutile dire quanto Arianna fosse tesa in quel momento, in bilico tra il fuggire via di corsa oppure trattenere il fiato fino allo svenimento (cosa che, involontariamente, stava già facendo).
-Vi prego, non spaventatevi- la rasserenò inutilmente il ragazzo guardando tutt’altra parte, forse per dissimulare il fatto che stava parlando con lei.
Sbaglio, o tutte le guardie della città gli stanno alle calcagna?!
-Avrei preferito che ci vedessero assieme il meno persone possibili, ma dovete dirmi urgentemente se Leonardo è rientrato da Careggi- disse, mal celando la nota d’ansia che gli incrinava la giovane voce. Sembrava oltremodo turbato dal dolore della sua perdita, soprattutto ora che doveva fare i conti con chi pareva avesse intenzione di coinvolgere nelle sue faccende.
Arianna avrebbe preferito mentire, dicendo che Leonardo non sarebbe tornato prima di un mese, un anno, magari, pur di tenere il suo maestro lontano da quelle pericolose faccende politiche. Leonardo ne sapeva di politica quanto di matematica, in quei tempi, e Arianna stentava ad immaginarlo impegnato in altro che non fossero i suoi scarabocchi anatomici, i dipinti e la natura.
-Vi prego, parlate!- sibilò il ragazzo a denti stretti. –Sarei venuto di persona, ma le guardie circondano la zona attorno alla bottega ed è assai rischioso per me, nelle mie condizioni che voi conoscete, traversare quelle strade. È solo per questo motivo che vengo ad importunarvi, ser- spiegò.
Arianna provò una briciola di compassione. Forse una pagnotta intera, ma non di più. Poteva dare per certo che Leonardo sarebbe rientrato se non quella sera stesa, l’indomani mattina, ma non aveva il minimo interesse nel vedere il suo maestro subito impegnato appena tornato da un lungo viaggio estenuante. Ad Ezio, decise, avrebbe detto di venire la prossima settimana, così la ragazza avrebbe avuto modo e tempo di preparare Leonardo su come stavano realmente le cose. Forse, si disse, non avrebbe dovuto interferire e invece di posticipare la visita di messer Auditore nella bottega del da Vinci se ne sarebbe dovuta stare zitta, buona e in disparte come la coscienza le suggeriva. Eppure, era più greve in lei il senso di protezione verso il suo maestro per via di un altro motivo, del quale non poteva certo discutere con il totale estraneo che le sedeva accanto.
Qualche sera fa ho fatto un sogno che pagherei per non rifare ancora!
Era stato durante la notte della partenza di Leonardo per Careggi che Arianna aveva sognato, tacendo, che il suo amato maestro veniva picchiato da una guardia della città, con l’unica accusa di aver ospitato in casa il famigerato e ricercatissimo Ezio Auditore. Arianna si era svegliata, balzando sul letto e soffocando un grido prima che Tommaso, dal piano di sotto, potesse sentirla urlare per poi venire a consolarla come avrebbe fatto una madre affettuosa. Arianna, preferendo evitare certe smancerie, si era costretta a restare sveglia tutta la notte con le ginocchia strette al petto e gli occhi sgranati. Il vero fantasma la tormentava costantemente negli incubi. Quelli che lei non chiamava più “sogni” già tempo, erano l’onnipresente peso di una maledizione che le dilaniava le carni. La consapevolezza di non poter alterare il futuro, anche quando le persone che amava erano in pericolo, le strappava le viscere dal corpo come una lenta agonia.
-Il vostro nome-.
Arianna si riscosse d’un tratto dai suoi pensieri, scoprendosi intenta ad osservare la fontana di fronte col vuoto negli occhi.
-Il vostro nome, di grazia- Ezio rinnovò la domanda.
La ragazza inclinò la testa dall’altra parte, sfuggendo allo sguardo di lui che indagava anche troppo sulla pelle liscia del suo volto e le forme morbide del suo corpo. –Vincenzo- disse prima di alzarsi, ma il tentativo di lasciare la piazza fu vano quando Ezio le afferrò il polso, costringendola a tornare seduta.
-Sono lieto che vi siate almeno degnati di rispondere, ma non avete ancora risposto alla prima domanda- disse gelandole il sangue nelle vene con un’occhiata che non tradiva rifiuti.
-Tra una settimana- gemé Arianna, cercando di pronunciare meno parole possibili perché il tono di voce maschile era ancora in via di sperimentazione. –Passate tra una settimana. Allora Leonardo sarà pronto per ricevervi-.
A quel punto Ezio la lasciò andare, e Arianna volle allontanarsi da lui con estrema lentezza, spostandosi un poco sulla panca. Incrociare quegli occhi era come perdersi in un abisso di sconforto, rassegnazione, disperazione, dolore… In quegli occhi, pensò, si rispecchiavano tanto bene i suoi.



Arianna si richiuse la porta alle spalle delicatamente, notando con stupore che Tommaso era riuscito a farla tornare come nuova anche dopo le movimentate vicende delle ultime sere. Un penetrante profumino di verdure bollite fece capolino dritto in gola quando, con l’acquolina in bocca, Arianna comprese che Tommaso stava già preparando il pranzo.
La ragazza posò il quadernetto sul tavolo più vicino e si avviò su per le scale quasi di corsa. Giunse in cucina sistemandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
-Alla buon ora!- gioì Tommaso lanciandole un’occhiata. –Credevo che il pranzo avrebbe fatto prima a freddarsi- la riprese.
-Non sai che gioia tornare a mangiare qualcosa di verde- dovette ammettere la ragazza aiutandolo ad apparecchiare la tavola, sapendo bene dove trovare piatti e quant’altro tra le dispense e i cassettoni. Ormai la bottega di Leonardo era la sua seconda casa.
La mia casa e basta, pensò subito dopo.
Tommaso inarcò un sopracciglio e finì di tagliare le carote che poi riversò nel pentolino di rame sopra al focolare. –Mi stai prendendo in giro?-.
Arianna scosse la testa. –Quel dannato coniglio è rimasto sullo stomaco anche a me- confessò. –In qualche assurda maniera, credo di essere diventata una mastica erba- ridacchiò giocosamente.
-Madre Santa!- esultò il Masini, come se avesse ottenuto una grande vittoria. –Quando Leonardo lo verrà a sapere, credo che farà i salti di gioia-.
Saltellando o meno dalla gioia, a me basta rivederlo… Arianna sospirò misurando l’entusiasmo di Tommaso nel pronunciare quelle parole. Anche Zoroastro dev’essere contento per il suo imminente ritorno. Spero solo che nessuno degli uomini politici spesso invitati da Lorenzo non gli abbia dato noia per quella maledetta accusa di sodomia…
-Siedi pure, è quasi pronto- la informò Tommaso con un radioso sorriso.
Arianna rinunciò a mettersi seduta, in quanto la schiena reclamasse dell’altro riposo. Si appoggiò al davanzale e, incrociando le braccia sotto il seno, tacque assorta nella contemplazione del paesaggio che prendeva vita fuori dalla finestra. I comignoli dei tetti più vicini sprigionavano fumo bianco e per tutta Firenze si diffondevano i profumi delle particolari spezie che la penisola offriva loro. Dal basilico all’origano, dal prezzemolo all’aglio e così fino alla cipolla.
-Allora- cominciò Tommaso tenendo basso il fuoco che bolliva le verdure. –Cos’hai disegnato di bello?- chiese.
Arianna sgranò gli occhi, interdetta da quella domanda. –Come sapete che ero a disegnare?-.
Zoroastro si strinse nelle spalle. –Chiamalo intuito- disse con naturalezza.
Arianna sospirò tornando a guardare fuori dalla finestra. –Nulla che potrebbe interessare un mago-.
Tommaso scosse la testa ridendo.
Arianna si adombrò. –Cosa ridi?-.
-Rido, Arianna, perché sono le esatte parole che mi sento dire da Leonardo quando lo sorprendo a scarabocchiare sui suoi quadernetti. Su questo non c’è niente che vi contraddistingue: siete così pieni di voi stessi, del vostro essere artisti, che vi ritenete superiori a tutti scultori, maghi, fabbri e artigiani vari! Pensate che gli altri non possano comprendervi, e per tanto riservate solo ai vostri simili le spiegazioni più interessanti!- invece che lamentarsi, Tommaso sembrava profondamente turbato da ciò. –Secondo me, un giorno non molto lontano, io morirò per le pazzie che quell’uomo circonda di tanta gelosia!-.
Arianna soffocò una risata, ripensando alle più strampalate invenzioni che di tanto in tanto Leonardo schizzava sui suoi fogli.
-Avanti, ora siedi davvero, che è pronto-.



Quella sera Arianna non poté fare a meno di tenersi nuovamente impegnata nel disegno.
Sedeva alla scrivania del suo maestro, al pian terreno della bottega. Tommaso era di sopra a mettere ordine nella cucina, come al solito, dopo la cena appena consumata. Si sentiva il frastuono delle stoviglie che il Masini puliva nel secchio dell’acqua che, come da routine, avrebbe poi svuotato per le strade affacciandosi semplicemente dalla finestra.
Il lume di una candela rischiarava la carta e guidava l’abile penna d’oca bianca che la ragazza faceva danzare sul papiro come fosse un’estensione della propria mano. Arianna era circondata di vecchi libri e quasi spariva dietro le copertine di essi, che costituivano un muro tra lei, i suoi disegni e la sua fantasia, e il mondo reale all’esterno.
A farle compagnia nell’oscurità della notte c’era il piccolo Marcus. La gabbietta del pettirosso era sulla cima di una pila di tomi e suo ospite era impegnato nelle attività serali della toeletta. Si punzecchiava col becco l’interno delle ali, tra una piuma e l’altra a caccia di qualche insettino fastidioso. Di tanto in tanto gli sfuggiva un cinguettio che faceva sorridere la ragazza, china sul foglio a scarabocchiare corpi di donne.
Due delle grandi finestre in alto erano aperte e lasciavano passare una corrente d’aria fresca. Il cielo notturno era punteggiato di centinaia di stelle, i rumori della strada si confondevano con le voci dei passanti o dei mercanti del quartiere di San Lorenzo. In lontananza, una campana suonò sei rintocchi annunciando la sera tarda e il tempo di coricarsi.
Arianna alzò la testa dai disegni guardando il pettirosso attraverso le sbarre. Marcus la scrutò a sua volta con i suoi occhietti neri.
-Che dici, lo aspettiamo?- chiese, rivolgendosi al pennuto.
Questi canticchiò.
Arianna sorrise. –Lo considero un sì- disse tornando a disegnare.
Tommaso, che si era fermato sulle scale nascosto nella penombra, e che aveva sentito le parole della ragazza, tornò indietro sui propri passi senza fare rumore. Era sceso per dare ad Arianna l’ordine di farsi trovare a letto in meno di 20 secondi, ma ci aveva ripensato col cuore in mano.










.:Angolo d’Autrice:.
Mi rivolgo a renault ma generalmente a tutti dicendo: sì, all’interno delle vicende di Assassin’s Creed II, avete sentito bene, viene nominato un certo “Vincenzo”. Maggiori delucidazioni al momento della verità, ma se volete indagare fate pure! XD
Chiedo perdono ad Elkade per la mia ulteriore svista nel capitolo precedente! XD Non avrei dovuto inglobare nella narrazione il punto di vista di Tommaso, confondendo oltremodo lo sviluppo della trama. Quella cosa che stai pensando, riguarda solo e unicamente Leonardo, come da me confessato qualche mese fa! :3 La mia decisione di mettere il Masini al centro delle vicende, nel capitolo precedente, era prettamente legata ad un fatto stilistico, nonché di gusto personale! XD Sai, per fare un po’ di scena, come suol dire! O magari, semplicemente, per riempire qualche riga in più <.<

· Un primo puntino speciale lo dedico tutto a Leowynn95 che sta seguendo con tanto interesse questa fan fiction senza sapere esattamente di cosa parli ^^ sì e grazie, ricordavo vagamente chi fosse Zoroastro nell’Antica Persia, mi mancava l’appellativo “Maestro” XD ancora grazie mille per la recensione e i complimenti :3 (p.s. ho aggiornato anche il Nido del Drago, la ff su Hyperversum, nel caso non ci avessi ancora fatto caso ^^ ci becchiamo lì!)

· Un secondo puntino speciale lo dedico tutto a lullacullen.
Grazie per la tua recensione per l’ammissione alle storie scelte di questa storia che, sinceramente, non merita tanto. Ti chiederei di cancellare la recensioni perché non credo che questa fan fiction possa piacere a tutti, soprattutto come contenuti. Ribadisco dicendo che apprezzo davvero tantissimo, sono commossa, ecco, ma credo che tu stia offrendo troppo. Sono comunque troppo felice che tu ti sia avvicinata così al mondo di Assassin’s Creed grazie alle mie storie. Non credevo di avere questo dono! XD

Detto ciò, ringrazio tutti calorosamente e vi do appuntamento alla prossima puntata :3

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Una calorosa accoglienza ***


Questo post è unicamente incentrato sul ritorno di Leonardo a Firenze dopo la trasferta a Careggi :3 Presenta un’ipotetica situazione posta in una reale circostanza.
Destreggiarsi tra personaggi storici di un tale rilievo e importanza non è stato affatto semplice: ad ogni battuta di ciascuno mi palpitava il cuore nel costante timore che gli stessi facendo dire qualcosa di sbagliato. Pertanto, poiché l’idea nasce come parte non fondamentale della trama, non è legata né ai precedenti né ai successivi capitoli, se non per una piccola parte contenuta nelle ultime righe.
Indirizzato a chiunque abbia deciso di leggere questo mio breve tributo alla Bottega del Verrocchio: spero che vi piaccia ^^

Una calorosa accoglienza

Era il dì, o meglio, la sera del 7 maggio 1476 quando il convoglio di pittori, letterati e poeti rientrò a Firenze da Careggi.
La marcia del ritorno era durata tutta la giornata. Il gruppo si era mosso alle prime luci dell’alba per raggiungere Firenze solo quella notte, sotto un magnifico cielo stellato. Erano una dozzina in totale, gli artisti, accompagnati da cinque guardie armate: non si poteva certo rischiare che le maggiori ricchezze e conoscenze del tempo venissero derubate da furfanti o rapinate lungo il tragitto!
Subito avanti c’erano i soldati di Lorenzo e la sua carrozza, dentro la quale riposavano il piccolo Piero e la madre Clarice. Tutt’attorno si erano disposti i fedeli alabardieri: la prudenza non era mai troppa.
Ormai in vista delle mura, sul sentiero sterrato che percorreva in sella al suo cavallo, Leonardo, che si era permesso di chiudere gli occhi, si sentì gelare da una curiosa folata di vento che gli scompigliò i capelli e i lembi del mantello. Il cavallo tirò indietro le orecchie e rischiò d’inciampare sulla via, per metà assopito come il padrone.
L’amico affianco azzardò un ghigno furbastro sulle labbra sottili. –Non vorrai mica azzopparti prima di veder conclusa la tua fama, pittore- arrise.
Leonardo accorciò le redini e gli scoccò un’occhiataccia. –Non portar altra sfortuna, te, Sandro, che di ‘sti tempi ne avanza- sopraggiunse con una smorfia.
L’artista fece avvicinare la sua bestia a quella dell’inventore e si guardò dagli altri compagni che marciavano con loro. –Se ti riferisci all’ospite che ti fa le bizze in bottega, perché considerarla sfortuna?- sghignazzò. –Potresti sempre metterla a posa e farne un bel modello, una volta che è donna- propose con leggera malizia.
Leonardo aggrottò la fronte. –All’età sua penso che donna lo sia già, ma questo cosa c’entra? E poi non mi pare cosa buona: non lei, non Arianna, conoscendola non accetterebbe mai timida com’è- ammise sussurrando appena il suo nome.
Quell’uomo era l’unico di cui Leonardo si fidasse abbastanza da svelargli il malandrino segreto della Pazzi nella sua bottega. Sapeva che Sandro, su sua richiesta, non ne avrebbe fatto parola con nessuno, potendo stare sereno che il detto, piuttosto, se lo trascinava nella tomba.
Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, più comunemente noto come il Botticelli, all’epoca aveva trentuno anni e quella sera vestiva di una primaverile mantellina sopra ad un abito rosso mogano. La calzamaglia color rame e il decorato copricapo arancio simboleggiavano la sua maturità artistica e il suo raffinato gusto nel vestire.
I due si erano conosciti nella bottega del Verrocchio ed erano stati inseparabili, assieme al Lorenzino di Credi, per quel breve tempo che era stato loro concesso assieme. Perché Sandro, ormai adulto e ben fatto, aveva aperto una sua bottega qualche anno prima e già aveva garzoni e discepoli ovunque, a Firenze. Due, giovanissimi, solo bambini, se li era portati dietro a Careggi giusto quella settimana, ma erano rientrati a Firenze la settimana scorsa, precedendo il maestro. Il Magnifico stesso si era congratulato per la sua dedizione e interesse verso gli altri, premiando l’artista in una generosa somma in denaro, con la quale Sandro, aveva detto, avrebbe fatto ristrutturare la casa paterna.
-Mi piacerebbe tanto conoscerla la tua allieva- disse il Filipepi ad un tratto.
Leonardo lo fulminò con un’occhiata di braci anche attraverso il buio della notte.
-Ah, perdonami… il tuo allievo- si corresse il Botticelli con grazia, senza mai peccare nel fine tono di voce. –Da come ne parli, sembra padrone di un grande talento. Gli insegnerai qualche trucco di quelli che non hai mai voluto condividere con nessuno?- domandò curioso.
Leonardo sorrise guardando a terra, e nel contempo fece una carezza al cavallo. –Forse. Il talento nel disegno non gli manca, ma deve far pratica coi colori e con le ombre. Troverò giorni da dedicargli, se è quello che chiedi-.
Sandro sembrò soddisfatto. –Benone, ma cerca di non metterlo troppo in mostra lasciando che ritocchi i tuoi quadri, per esempio, o qualcuno potrebbe interessarsi alla sua mano piuttosto che alla tua- scherzò.
-Di questo ne dubito, Sandro, ne dubito fortemente- sospirò Leonardo alzando il naso e guardando le stelle, mentre il cavallo proseguiva senza comandi assieme a quelli degli altri acculturati. –Chi mai potrebbe interessarsi all’arte d’una donna travestita da uomo?- sospirò, chiedendo più a se stesso che ad altri.
Il Botticelli si adombrò. –Perché dici ciò?- domandò confuso. –Sottovaluti la sua capacità di mimetizzarsi oppure sei in forse del suo talento?-.
-Affatto, anzi. Mi fa quasi invidia per quanto io mi sforzi d’imitare il pennello leggero di una donna, ma percepisco che non è aperta al mondo come vorrei. Quando sono con lei mi accorgo a malincuore della sua timidezza, del timore che l’avvolge. Il sorriso sulle sue labbra non è mai pieno, mai vero. C’è qualcosa di oscuro, macabro in lei, che la trattiene, che le sbianca spesso il viso e le inumidisce gli occhi- disse Leonardo tutto d’un fiato.
Sandro si aggiustò il cappello con una mano. –Mi sembra più che normale. Non emerge mica da un campo di rose e fiori, Leonardo. Quella ragazza ne ha passate di brutte in famiglia. Poi, sbaglio, o mi dicesti che suo padre l’aveva picchiata?- pronunciò serio.
L’inventore annuì, ma con breve convinzione. –Si è tutto risolto, ovvio, ma la settimana scorsa-, cominciò abbassando il tono -è pure venuto a farle visita-.
Sandro sgranò gli occhi. –Chi? Messer… Guglielmo?- sussurrò.
L’altro annuì. –Proprio lui-.
-Perché non me l’hai detto subito!- imprecò quello. –Cos’ha fatto? Cos’ha detto?- chiese con curiosità crescente.
-Voleva parlare con… lui, nient’altro, ‘sta tranquillo-.
-Devo star tranquillo quando il mio più caro amico rischia la forca!- digrignò Sandro a denti stretti e voce bassa. –Appena sarai a Firenze, guarda te se non t’arrestano! E si può sapere di cosa hanno parlato?-.
-In vero penso di non conoscere tutti i dettagli. Quel che so, è che suo padre terrà il segreto, non dirà nulla alle guardie, tantomeno alla moglie. A lui basta saper la figlia sana. Non vuole che torni a casa, dove sa che ad attenderla c’è il peggiore di tutti i cani rabbiosi- spiegò.
-Chi, Vieri?-.
-No, Bianca-.
-Ah- ne convenne Sandro, rilassandosi sulla sella. –Se lo dici tu- ammise stringendosi nelle spalle.
-E poi la sua famiglia ha ben altro a cui pensare-.
-Tipo?-.
Leonardo si voltò in parte verso di lui. -Arianna mi parlava spesso di un processo, e Guglielmo ha solo confermato le sue parole. Pare che in causa ci sia suo fratello Francesco, il maledetto che ha da poco tirato fuori gli artigli contro la famiglia Auditore. Guglielmo cercherà in tutti i modi di stemperare la faccenda, ma non so quanto allungo i Medici riusciranno a tener in mano la situazione- borbottò.
-Temi che sia successo qualcosa mentre Lorenzo non era in città?- domandò Sandro, severo.
-Non lo temo,- disse Leonardo guardando lungo la strada e arrivando a cogliere un battaglione di guardie molto numeroso appostato più avanti, con fiaccole e armi alla mano. –…Io so che è successo qualcosa- concluse l’inventore quando il Botticelli seguì il suo sguardo.

~ ۞ ~

A tener buone le questioni politiche era stato, per la prima volta nella storia, il fratello minore di Lorenzo, Giuliano, rimasto in città mentre il parente si occupava dei lussuosi incontri tra la maggiore gente colta della Toscana. Ma il terzogenito di casa de’Medici non aveva fatto un ottimo lavoro come garantito: sotto a quel suo grosso naso adunco da gran signore erano passati quattro processi in due giorni. Lorenzo, appena saputa la notizia, aveva preceduto i suoi accompagnatori ed era volato di galoppo dentro Firenze, scortato solamente da tre guardie.
-Che accade?-.
-Ma dove va correndo?-.
-Sarà grave?-.
Un chiacchiericcio confuso prese piede tra gli artisti, mentre la carrozza proseguiva lenta oltre le mura. Al suo interno, allarmati quanto il Principe di Firenze, stavano il piccolo Piero e Clarice.
Sandro aggrottò la fronte e fece per portare avanti il cavallo, ma Leonardo si allungò sulla sella e lo frenò, tirandogli le briglie al posto suo.
-Acquietati, amico mio, non riguarda noi- disse, serio.
-Per ora- biascicò Sandro, nervoso, affiancando il palafreno a quello dell’inventore che taceva inquieto.
-E così i tuoi timori erano corretti- commentò il Filipepi con una nota amara nella voce. –Preghiamo che non sia gran cosa-.
Appena il convoglio di artisti entrò in città e salutandosi si sparpagliò per le strade ognuno con la propria dimora da raggiungere, Sandro smontò di sella e prese a tirare il cavallo per le briglie.
Leonardo dubitò se imitarlo o meno. Si guardò attorno circospetto, accorgendosi con stupore delle pochissime guardie rimaste a pattugliare le vie. Scambiò con l’amico un’occhiata e i due vennero presto affiancati dal Verrocchio.
Questi si mise in mezzo tra di loro, altrettanto perplesso. –Mah, che stranezze accadono quando il Magnifico non batte la faccia- commentò l’orafo maestro grattandosi il mento.
Lui e il Botticelli si avviarono discutendo, ma Leonardo restò indietro. Smontò tardivo dalla sella, prese il cavallo per le redini e lo legò alla staccionata, vicino all’abbeveratoio, assieme agli altri. Gli carezzò il muso un’ultima volta e poi si avviò anch’egli.
I tre artisti seguirono il corso principale di Firenze e giunsero in vista della casina del Verrocchio ormai a notte inoltrata. Le finestre dell’edificio erano ben illuminate e dall’interno veniva anche un gran chiasso: musica, ma soprattutto l’allegro cianciare di una quindicina di persone.
-C’avrei scommesso l’oro colato, guarda- mugugnò Andrea andando verso l’ingresso della bottega. Quando bussò due potenti colpi sulla porta (le chiavi l’aveva affidate a Lorenzino perché portasse avanti bottega mentre lui era fuori città) nessuno venne ad aprire per parecchi minuti.
Leonardo e Sandro si barattarono una nuova occhiata divertita.
-Suvvia, Andrea, sono ragazzi- tentò il Filipepi vedendo adirato quello che un tempo era stato suo maestro.
-Non ragazzi, Sandro! Bestie di Satana, altroché! Maledetti Diavoli!- imprecò l’orafo e bussò di nuovo, ancora più forte. –Aprite ‘sta porta, bastardi!-.
Di questo passo la butta giù quella porta… pensò Leonardo, scrollando le spalle ad una medesima folata di vento, che inaspettatamente gli trascinò nelle orecchie un silenzioso suono di passi.
Leonardo si voltò e scrutò circospetto l’oscurità alle sue spalle, mentre il Verrocchio continuava a bussare con violenza per farsi sentire dai suoi garzoni. Nonostante il gran frastuono che faceva Andrea sulla porta, Leonardo era sicuro di aver sentito, e poi visto, qualcuno muoversi nei dintorni, dove le loro ombre, proiettate sui muri delle case dai bracieri sulla soglia, si crogiolavano nell’oscurità della notte.
Sarà stato un gatto… pensò. L’artista si maledisse di tanta pignoleria e, sospirando, preferì alzare gli occhi al cielo stellato giusto per distrarsi.
-Basta, io ci rinuncio!- proruppe d’un tratto Andrea battendo sulla porta un ultimo colpo. -Hanno fatto baldoria tutta la notte ‘sti cagnacci, perciò che continuino pure, finché non muoiono alcolizzati o a far l’amore nei forni!- ringhiò il Verrocchio circondandosi dei suoi discepoli più fedeli. –Ah- sospirò, -meno male che ci siete voi a far luce in ‘sta galleria buia. I miei Angeli- disse posando le mani sulle spalle di Sandro e Leonardo con una smorfia in viso.
-Mastro Andrea, dovete accettare che la gioventù non è più come una volta, e lasciare che la stessa faccia il suo corso. Che paghino le conseguenze della loro ubriachezza- lo consolò il Botticelli.
-Sandro, Sandro, Sandro- gli fece eco Andrea scuotendo la testa. –Non è la loro vita che mi fa pena, ma sono preoccupato per l’arte mia che dorme là dentro con loro!- eruppe in ansia il maestro.
Il Botticelli s’irrigidì sgranando gli occhi. –A questo fatto non avevo pensato- confessò smarrito. –I quadri, se fosse successo qualcosa… le tele… le tempere- balbettò.
Nella Bottega di Andrea Sandro ha lasciato molti dei suoi ultimi dipinti su commissione. Pare che li abbia portati al Verrocchio prima di partire per Careggi, perché Andrea scegliesse assieme a lui quali portare alla mostra di luglio.
Leonardo si inclinò dalla sua parte. -Se non sbaglio, là dentro c’hai lasciato anche la tua di arte, Sandro- sussurrò l’inventore nell’orecchio del pittore.
Il Filipepi inarcò un sopracciglio e scrutò allungo lo sguardo malandrino di Andrea e Leonardo, che sotto i baffi se la ridevano di gusto.
Sandro Botticelli, che di pulizia e precisione era sapiente più degli altri, andò incontro alla porta di corsa e cominciò a battere su di essa. –Cagnacci schifosi! Se vi siete azzardati a toccare le mie tele, state certi che non vedrete l’alba! Aprite! Infami, aprite, subito!-.
L’orafo e l’inventore scoppiarono in una grassa risata che, sia in strada che in bottega, attirò l’attenzione di gente: una ronda di guardie camminò loro accanto ma non diede fastidio alcuno. Piuttosto, mentre ridevano, qualcuno si affacciò dalla finestra del terzo piano della bottega con una faccia a dir poco brilla.
-Mastro! Mastro!- esultò il ragazzo sporgendosi e agitando il braccio.
I tre fiorentini tornati da Careggi alzarono la testa, sorpresi. La fronte di Andrea impiegò mezzo secondo a corrugarsi e gli occhi a farsi piccoli piccoli per la rabbia.
-LORENZO!- gridò furibondo. –Cristo in Croce! Esci dal mio studio, bastardo!- strillò agitando un pugno minacciosamente.
Il Lorenzino si voltò verso l’interno della bottega e chiamò a gran voce gli altri garzoni, ignorando del tutto l’ammonimento del maestro. –Amici! Mastro Andrea è tornato!-.
Leonardo si preparò a vedere il peggio, nel frattempo che Sandro gli tornava vicino.
Due giovanotti si sporsero a guardare giù e, appoggiandosi a Lorenzo lo schiacciarono con il loro peso sulla balconata.
-Mastro Andrea!- salutò uno agitando la bottiglia mezza vuota di vino nella mano.
-Com’è andata a Careggi, maestro?- chiese l’altro, singhiozzando.
-Ubriachi come cani, che v’avevo detto?- borbottò il Verrocchio levandosi il cappello e stirandosi i capelli all’indietro con un gesto nervoso.
-Leonardo!- esultò d’un tratto Lorenzo di Credi, facendo sobbalzare l’inventore. Questi tornò a guardare la finestra accigliato, ma Lorenzo parlò di nuovo prima che il da Vinci potesse aggiunger parola.
-Leonardo! Leonardo! Vi ho cercato tanto in questi giorni! Devo dirvi una cosa importante!- annunciò.
-E ditemela, dunque- pronunciò quieto Leonardo.
-Io vi amo, Leonardo!-.
Al suono di quelle parole le guance dell’inventore si colorarono come peperoni. Sandro si portò una mano davanti alla bocca, sconvolto, ma soprattutto per nascondere la risata, e Andrea si batté il palmo in fronte, esasperato.
-Io vi amo, Leonardo! V’ho sempre amato e voglio esser vostro per sempre! Portatemi via da ‘sto posto, voglio star con voi in bottega! Il nostro talento assieme ci guiderà lontano come il vento, me lo sento e…-.
Lorenzo proseguì ben oltre, scendendo in dettagli che descrivevano Leonardo addirittura come suo eroe. L’inventore, da un lato, non riuscì a sentirsene tanto sorpreso; dopotutto, quelle volte che Davide e Gallo deridevano il Lorenzino per i suoi boccoli dorati da bambola, Leonardo ci andava sempre di mezzo per difenderlo. Era il minimo che il fanciullo non gli fosse riconoscente in cuore, ma non a tal punto da dire di amarlo.
Alle spalle del Lorenzino, per la sua manifestazione di ubriachezza, si levava un coro di risate.
-Vieni qui, Lorenzo, te lo do io l’amore che cerchi!- scherzò qualcuno dall’interno.
Ora a tingersi di rosa furono le guance del fanciullo biondo, che voltandosi si vide trascinato da un compagno verso il centro della stanza, laddove gli altri garzoni ridevano come iene.
Nel frattempo, al pian terreno e fuori dalla bottega, i tre pittori aspettavano pazienti.
-Se non stesti già ridendo, Sandro, direi che stai a piangere- commentò Andrea con una smorfia, lanciando un’occhiata al Filipepi. Questi sarebbe esploso da un momento all’altro: le guance gonfie, le labbra strette e lo stomaco contratto, peggiorava quando i suoi occhi umidi si posavano su Leonardo.
L’inventore scrollò le spalle dissimulando il rossore in viso e guardò altrove. –Non è divertente- borbottò riferito a ciò che Lorenzo aveva confessato.
-Il tuo promesso ha organizzato proprio una bella festicciola, eh?- fece eco Andrea, incrociando le braccia al petto. Guardò severamente il suo allievo più giovane, ma il da Vinci preferì evitare altre battutine sulle fragili condizioni mentali del Lorenzino, così declinò l’argomento.
-Maestro, è più probabile che Lorenzo sia stato trascinato dal volere altrui proprio perché tanto deriso, perciò penso che non sia stata sua l’iniziativa di tale monelleria. Non infierite troppo su di lui- spiegò greve.
-Immagino, immagino- assentì il Verrocchio. –Ma spiegalo tu al vicinato, quando verranno in Bottega con torce e forconi, tra qualche ora, tsk!- sollevò il mento indispettito.
La forza di volontà venne improvvisamente meno a Sandro, che nel silenzio della notte scoppiò in un gran ridere. Leonardo allora gli scoccò un’occhiata burbera, ma già Andrea sembrava esserne stato influenzato, perché a poco a poco anche sulle sue labbra compariva un sorriso.

-Hai finito?- domandò scocciato Leonardo ad Alessandro.
Questi si asciugò le lacrime agli angoli degli occhi. –Sì, sì, perdonami, amico mio, se non ho resistito-. In faccia era rosso come un peperone, nonostante la poca luce.
Leonardo si strinse nelle spalle, aggiustandosi il mantello.
In quello stesso istante il volume della musica sembrò abbassarsi fino a dissolversi, e quando la porta della bottega si aprì, per Firenze era già tornato un dolce silenzio.
-Lode alla Vergine! Un miracolo!- eruppe il Verrocchio piombando all’interno senza accorgersi del ragazzo che aveva aperto la porta, e che Andrea spintonò in terra dalla furia. Il fanciullo si riassestò sui piedi reggendosi al pilastro vicino, guardando come il suo maestro sbatteva porta dopo porta gridando a squarcia gola poche ma chiare parole:
-Bastardi! Mettete ordine, pulite i muri e lavate le schifezze dalla vostra e dalla mia roba!-.
Come soldatini, orafi e giovani artisti, seppur poco coscienti di sé, scattarono sull’attenti e poi dritti a svolgere il dovere loro dettato da Andrea, che se li vide correre davanti, su, giù, a destra e a sinistra come formiche sul cui formicaio è piovuto un tacco di stivale.
Quando anche Sandro e Leonardo (in quest’ordine) entrarono in bottega, l’uno si mise a braccia conserte godendosi la scena, l’altro richiuse la porta perché le urla del Verrocchio non turbassero il sonno dei vicini.
-Sarà una lunga notte- sospirò Sandro.
-Forse dovresti dar una mano anche tu, e pregare che non ti abbiano rovinato i quadri- sopraggiunse Leonardo appena gli fu affianco.
Il Botticelli si adombrò. –Odio darti ragione- disse incamminandosi. Salì le scale e scomparve al secondo piano dell’edificio.
Per qualche minuto, forse un’ora, le attività in bottega chiesero man forte di tutti gli artisti che, sotto dittatura di Andrea, tirarono a lucido il locale. Sandro aveva colto intatti i suoi ultimi lavori, e alcuni cartoni e studi di corpi su carta che aveva sbadatamente abbandonato nello studio del Verrocchio. Questi, cogliendo il disordine che i suoi garzoni avevano lasciato nelle sue stanze, aveva sfuriato come un toro contro chi per primo gli capitasse a tiro. Gli stessi orafi che avevano fatto danni a molti degli stampi o modelli in terracotta si occuparono di pulire il pian terreno, mentre i musicisti, amici di amici degli artisti, fuggivano dalla bottega prima che Andrea li prendesse a mazzate.
-Mastro Leonardo-.
Sentendosi interpellato da una voce acuta e giovanile, l’inventore si voltò, ma si vide costretto ad abbassare di molto lo sguardo verso il suolo. Il bambino che l’aveva chiamato per nome gli tirava ora un lembo del mantello giusto per attirare la sua attenzione. Il bambolotto vestiva come un adulto, ma non poteva avere più di sette, otto anni. Aveva le guance pallide, gli occhi grandi e verdi, i capelli bruni, lisci, appiattiti da un berretto rosso.
Leonardo si addolcì, pensando che fosse uno degli scultori bambini di cui il Verrocchio amava circondarsi, soprattutto in quei tempi, avendo interrotto i corsi di pittura di cui, invece, si occupava ogni tanto Lorenzo.
-Mastro Leonardo, Lorenzo è nel cortile- disse.
L’inventore parve non capire e aggrottò la fronte.
-Non si sente bene- aggiunse il bambino lasciandogli il mantello e facendo un passo indietro, come spaventato dalla sua reazione.
Leonardo allora si diede un certo contegno, ringraziò il fanciullo posandogli una mano sulla testa e si avviò per il giardino dietro la bottega.
Appena fu all’sterno, di nuovo sotto il cielo stellato e circondato delle piante in vasi che collezionava Andrea per farne ritratti di nature oppure impastarle per semplici tempere, trovò Lorenzino seduto sulla panchina di travertino grezzo, appoggiato con un gomito al bordo della fontanella. Il crosciare dell’acqua limpida sulla pietra diffondeva il suo dolce suono di campanelli per tutto il giardino, e il profumo di fiori si mescolava alla fresca umidità della notte.
Il fanciullo stava proteso in avanti e con quei boccoli luridi di tempera e spettinati aveva davvero una pessima cera.
Leonardo andò ad accomodarglisi accanto. Lorenzo sobbalzò per lo stupore quando se lo vide comparire davanti al naso all’improvviso, perché probabilmente era distratto dal fastidio di stomaco e dalle bollicine nella testa.
-Come ti senti?- chiese Leonardo cordiale.
Il viso di Lorenzo, ancora sporco di tempera qua e là nonostante avesse le mani bagnate nel tentativo di lavarsela via, si tese in una smorfia, ma non disse nulla.
Leonardo lo capiva: dopo quella sera alcuni dei sui compagni avrebbero ricordato le sue parole e gente come Gallo Cecconi o Davide Marrozzi avrebbe continuato a deriderlo.
-Non devi sentirti in imbarazzo per ciò che hai detto- cominciò Leonardo. -Sotto gli effetti del vino mi sarei aspettato cose ben peggiori, credimi- ridacchiò. –L’importante è che adesso sia passato- concluse.
Lorenzo annuì tirando su col naso. Leonardo gli porse un fazzoletto ricamato che portava nel taschino del giubbetto e lasciò che il fanciullo bagnasse la stoffa con l’acqua della fontanella ringraziandolo, utilizzando l’oggetto per togliere le macchie di tempera restanti dal volto.
Leonardo lo contemplò allungo, dubbioso più che altro su quanto di vero potesse esserci nelle sue parole. Il Lorenzino, sentendosi osservato, tornò presto ad arrossire.
-Mi chiedevo se era bugia anche il fatto che mi hai cercato- disse Leonardo con naturalezza. –Magari per qualcosa di più serio-.
Lorenzo annuì. –Sì, infatti, quello era vero-.
-Ebbene?-.
-Qualche giorno fa sono stato alla vostra bottega ma non ho trovato nessuno. Volevo accertarmi che steste bene, sapete: in piazza ho veduto l’impalcatura e tre cappi, si sarebbe celebrando un processo, Umberto avrebbe impiccato tre genti, così ho pensato che voi e Tommaso poteste essere ancora coinvolti in quell’accusa…- s’interruppe per via di un groppo alla gola. –Ho saputo che eravate a Careggi solo quando sono tornato in bottega di Andrea, il quale prima di partire non mi ha lasciato detto che sareste andato con lui. Di questi tempi, poi, quando la politica è in mano a Giuliano ne succedono di tutti i colori: avrete saputo del rapimento di Arianna, suppongo- assentì flebile, con le labbra ancora gonfie e arrossate per il troppo vino bevuto.
Leonardo annuì assente, con la testa altrove. –Ormai è una triste storia vecchia anche quella, Lorenzo, non pensiamoci. Piuttosto, sai a chi era contro la condanna?- domandò allarmato.
Lorenzo rispose prontamente. –Purtroppo sì, Leonardo. Uno dei morti era un amico di Michele, l’orafo della nostra bottega… Gallo ha organizzato per lui questa “festicciola”- spiegò senza mezzi termini.
-Hai un nome?- insisté l’inventore.
-Più di uno: gli Auditore, ser- assentì il di Credi. –Federico, Giovanni e Petruccio- chiarì.
Leonardo s’irrigidì. Appena sentito pronunciare il cognome della famiglia aveva temuto il peggio. Leonardo capì che a morire era stato il ramo maschile, e non rimase stupito di tale scelta. Rifletté alcuni istanti sulle parole di Lorenzo, che lo osservò allungo senza staccargli gli occhi di dosso, accorgendosi di aver quasi rischiato di confondere Ezio con il Federico di cui parlava il biondino accanto.
-Ed Ezio?- chiese infatti.
Lorenzo inarcò un sopracciglio. –Chi?-.
-Ezio, Ezio Auditore- spiegò meglio. –Se non hanno impiccato anche lui, dov’è?-.
Lorenzo si strinse nelle spalle, dubbioso. –Non so di chi parlate, maestro-.
-Perdonami, Lorenzo, ma adesso devo…-.
Quello annuì, comprendendo al volo che il suo signore avesse altro di cui occuparsi. –A presto, messere-.
L’inventore lasciò il cortile, rientrò in bottega e volò ai piani superiori, su per le scale, evitando agilmente garzoni che gli venivano incontro con scatoloni, attrezzi, scope e dipinti da sistemare al loro posto.
Trovò Sandro e Andrea nella Camera delle Tempere, dove Gallo, Davide ed altri stavano finendo di mettere ordine.
Si avvicinò al Verrocchio. -Mastro Andrea, per me è tempo d’andare- disse stringendo la mano al mentore.
-Non lo metto in dubbio. Rammenta che il Magnifico sarà lieto di rivederci assieme a Careggi quando i tempi saranno migliori, perciò tieniti sano- gli augurò col cuore. –Ma vedi di portare anche quel tuo giovine garzone di cui mi hai parlato- aggiunse.
Leonardo sobbalzò. –Chi…?- avrebbe voluto chiedere se stava parlando di Arianna, ma il Verrocchio lo precedette smentendo i suoi timori.
-Sì, quell’ometto vegetariano di cui ti lamenti spesso. Tommaso, se non sbaglio, il Masini- rise.
-Ah, Zoroastro- sospirò di sollievo. –Lui non è uomo d’arte, ma potrebbe fargli bene un tuffo nella cultura nostra- arrise sconsolato.
-Hai fatto una faccia, amico mio, come se gli avessi piantato uno stiletto in petto giusto ‘sta mattina!- rideva Andrea.
-Be’, sono solo un po’ stanco, maestro, e turbato da tante cose-.
-Risolvi i tuoi guai, Vinci, e vieni a trovarmi più spesso. Ma soprattutto, vedi di non mancare alla mostra di luglio. Lì sì che ci sarà gente importante!-.
-Senz’altro- sorrise Leonardo.
Alle spalle di Andrea, Sandro aveva sostituito il maestro dettando ordini agli scolari e aiutando gli allievi Verrocchiani a sistemare le tele.
-Salute anche a te, Sandro!- fece Leonardo avviandosi.
Quello gli rispose con un cenno del capo, ma appena si distrasse, uno studente imbranato poco distante da lui lasciò cadere in terra la tela che stava spostando. Il dipinto, di mezzo metro per uno, si appiattì sulle tegole del pavimenti, ma sbattendo contro una fitta serie di altri quadri, procurò un effetto a catena. Nell’arco di pochi secondi l’intera parete occidentale della Camera della Tempera si svuotò dei dipinti ad essa appoggiati. Tele grandi e piccole ostruirono il passaggio e acciaccarono piedi di rinomati artisti disperati.
Leonardo non ebbe neppure il coraggio di voltarsi a guardare la faccia del Verrocchio, affianco a lui, che vide Sandro gonfiarsi come un pallone.
-Gallo, dannazione, hai le mani di ricotta!- lo sgridò Andrea e il ragazzo scappò via dalla camera a gambe levate, inseguito dal maestro.
-Sarà proprio una lunga notte…- sospirò Leonardo.
Mentre lui e Sandro aiutavano i pochi studenti rimasti a tirare su i dipinti da terra, l’inventore s’imbatté in un quadro dalla mano inconfondibile. A tratti il disegno stentava di prospettiva, ma, completo in ogni minimo dettaglio, sfumatura o ombra, raffigurava la chiara impiccagione di uomo nudo con un solo panno attorno alla vita a coprigli l’intimità. Questi pendeva per il collo da Palazzo Vecchio, di notte, guardando con gli occhi fuori dalle orbite verso la piazza affollata di gente.
Leonardo rabbrividì, ma allo stesso tempo fu affascinato ed attratto come una calamita da quel dipinto, sapendo già a chi appartenesse. Deciso a portare il quadro con sé, lo sollevò da terra e lo avvolse in un telo bianco che rubò da un’altra opera. Se lo mise sottobraccio e si avviò fuori dalla camera.
-A ladro!- scherzò Sandro vedendolo andar via.
-È solo in prestito, lo giuro!- rise Leonardo andando per la sua strada, senza voltarsi.
Il Botticelli non aggiunse altro.
Tanto Leonardo sapeva che si sarebbero rivisti. Se non in privato, allora alla mostra che il Verrocchio avrebbe tenuto nel cortile della Santa Croce sulla fine di luglio.
Restituirò il dipinto in quell’occasione, pensò sorridendo.


~ ۞ ~


.:Angolo d’Autrice:.
Come detto inizialmente, e come avrete avuto modo di capire voi stessi, quest’ultimo capitolo è stato pressoché “inutile” ad un livello logico. Diciamo che ho voluto improvvisare, anzi, dare sfogo alla mia fantasia annoiandovi come al solito con le mie scemenze incentrate su Leonardo XD Spero che abbiate pietà di me per quello che avete letto, in quanto poco attinente a quello che realmente è la trama originale sia di AC che della fan fiction da me inventata.
Detto questo, credo che non ci siano grandi parentesi da aprire. A parte forse il fatto che, vorrei rammentarvi, la mostra del Verrocchio della quale si parla non è altro popò di meno che… la stessa mostra alla quale Ezio si recherà per uccidere Umberto Alberti, nei primi blocchi di memoria. Perciò siate pronti a vederne delle belle ;D
Sandro Botticelli ha ora una certa importanza, ma non molta in futuro, quando i due artisti perderanno un po’ i contatti… per poi ritrovarsi in vecchiaia, ed io e Manu sappiamo dove, quando, come e perché! XD (P.S. *---*)
Sempre sul rapporto Leonardo/Sandro vorrei segnalarvi due meravigliose fan fiction a carattere yaoi moooolto spinto (rating rosso) ma anche moooolto dolce, di una eccezionale scrittrice. ^-^
Ultimamente sto dedicando pochissimo tempo alla scrittura, e avrete notato che manco già da un po’ su msn, dove compaio a singhiozzi. I motivi sono tanti ma sempre gli stessi. Sono stata febbricitante tutta la settimana, giorni di più giorni di meno, e un libro stupendo di uno scrittore meraviglioso piovuto dal cielo mi ha letteralmente fatta prigioniera nel suo mondo. Guarda se non casca l’asino anche lì <.< come se non avessi già abbastanza fan fiction in corso! Grrrrr! Che rabbia mi fa sta cosa! Be’, l’estate è alle porte, direte voi, c’è tempo per scrivere!
COL CA**O!
Quella brutta tr… trota di una professoressa di matematica non ha ancora capito che è LEI che non sa spiegare se il 99% della classe ha l’insufficienza in materia! -.- Ma dico…
Vabbuò… annuncio ufficialmente che non ho più un capitolo pronto e che potrei pubblicare il prossimo non prima di due o tre settimane! XD Ho alcune altre ff da seguire, di cui una da concludere ._.
A presto :D
La vostra Ire :3

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Ritratti ***


Ritratti


Prima di entrare, Leonardo si voltò a guardare un pigro sole tingere d’arancio l’orizzonte. Il suo sguardo spaziò oltre tetti di casi e cupole di chiese, dove l’alba di un nuovo giorno si annunciava clamorosamente bandendo le ombre della notte.
L’artista avrebbe voluto soffermarsi a guardare quello spettacolo meraviglioso come faceva tutte le mattine, ma ad impedirglielo era un sonno prepotente dovuto al viaggio estenuante appena concluso. La sua stanchezza estrema dipendeva anche dalle fatiche acconsentite nella bottega del Verrocchio, dove si era offerto di dare una mano con tanta gentilezza.
Ora se ne pentiva, se ne pentiva amaramente. Le palpebre pesavano sugli occhi azzurri più del quadro che portava sotto braccio, avvolto in una tela. Le gambe stavano cedendo e, quando entrò in bottega, dovette appoggiarsi subito al tavolo più vicino. Aveva le tendenze di un ubriaco; se Tommaso l’avesse visto in quel momento, avrebbe pensato che il suo uomo si fosse unito alle baldorie organizzate dai garzoni di Andrea. L’avrebbe sgridato come fa una madre permalosa e l’avrebbe spedito a letto con i calci al culo. L’idea non lo infastidiva troppo, si scoprì a pensare con un mezzo sorriso.
Lasciò il dipinto sul tavolo e andò a richiudere la porta senza fare rumore. Salendo malfermo le scale di legno, gettò distrattamente un’occhiata al salone in penombra. Si fermò a metà della rampa e tornò indietro di un gradino rischiando d’inciampare. Quando si voltò del tutto, vide con chiarezza ciò che, bene o male, si sarebbe dovuto aspettare di trovare.
Ripercorse i propri passi fino all’ingresso e raggiunse l’ampio scranno nascosto nell’oscurità. Lì, tra le ombre di una trentina di volumi impilati come una muraglia, si nascondeva un piccolo corpo di giovane donna. Delle candele disposte attorno alla sua figura restava un misero stoppino immerso nella cera, un po’ della quale era strabordata e colata sulle copertine dei libri.
La sua allieva giaceva sulla scrivania con una guancia poggiata sui fogli e un braccio disteso, le dita della cui mano intrappolavano con delicatezza la piuma d’oca bianca. Un po’ dell’inchiostro le era finito sul viso, che premeva sui disegni interrotti a metà, un altro po’ si era essiccato nel canale della penna che Leonardo le sfilò dolcemente dal palmo. Ripose la piuma bianca tra le altre compagne colorate in un contenitore di terracotta e richiuse il barattolo dell’inchiostro con un tappo di sughero, sperando che non si fosse già seccato anche quello.
Arianna doveva averlo aspettato sveglia finché le forze l’avevano concesso. Aveva cercato una distrazione nel disegno finendo col riempire pagine e pagine di schizzi, ma dal respiro profondo e regolare della ragazza, Leonardo intuì che aveva ceduto non prima di qualche ora prima. Leonardo non riuscì a scacciare l’idea di aver lasciato consumare tutta quella carta pregiata e costosa alla sua allieva, ma allo stesso tempo si addolcì nel gettare un’occhiata all’ultimo disegno fatto dalla fanciulla.
Era solo uno schizzo, certo, ma i tratti del volto, il collo della camicia, i capelli fluenti e il berretto erano dettagli di un riuscito tributo al suo maestro. Arianna l’aveva disegnato e non una volta soltanto: scostando qualche altro foglio, Leonardo contò almeno una dozzina di se stesso e nelle espressioni più bizzarre. Dallo stupore alla collera, dall’imbarazzo ad un semplice broncio, Arianna aveva dato piena nota della qualità espressionistica nei propri ritratti. Leonardo se ne sentì immensamente imbarazzato, ma ugualmente commosso mentre sulle labbra gli compariva lo stesso sorriso che Arianna aveva saputo “copiare” tanto fedelmente.
Immaginando che sarebbe potuto crollare in sonno affianco alla sua allieva, Leonardo si costrinse a svegliarla. Prima le scostò una ciocca dei capelli da davanti gli occhi chiusi, poi le carezzò la testa aspettando una sua reazione.
-Arianna- chiamò, -Arianna, svegliati-.
Lei si destò sorridendo, si mise seduta composta, stropicciò gli occhi e guardò un istante il suo maestro. –Leonardo- mormorò prima di gettarglisi al collo, abbracciandolo.
Leonardo barcollò. –Anch’io sono felice di vederti-.
Arianna lo lasciò andare di colpo. –Come è andata a Careggi?- volle chiedere entusiasta, ma senza riuscire a nascondere lo sguardo assonnato.
Leonardo le carezzò il viso e le scrostò dell’inchiostro dalla guancia. –Di questo parleremo domattina. Non permettiamo alla stanchezza di uccidere la ragione di entrambi- le sorrise affabile.
Arianna annuì, si alzò dal grosso scranno e si stirò il giubbetto. Restare in quella posa contorta, distesa sopra la scrivania, le aveva raggrinzito le maniche della camicia, oltre che premerle oltremodo il corpetto sul seno. La ragazza fece per portare i disegni con sé, ma l’artista le allontanò le mani dai fogli e le lasciò intendere che ci avrebbe pensato lui. Arianna, forse un po’ dubbiosa ma bisognosa di sonno, acconsentì con un sorriso; poi Leonardo la guardò salire le scale. A metà della rampa, la Pazzi si fermò e lo fissò dall’alto, finché il maestro, ancora distratto da alcuni disegni della sua allieva, non si voltò a guardarla.
-Ben tornato- disse lei, per poi riprendere la salita e sparire nel corridoio del secondo piano.
Leonardo rimase immobile fissando a lungo il punto in cui la sua allieva era stata inghiotta dall’oscurità. Quando finalmente si mosse, fu per andare a sistemare le carte disordinate che aveva chiesto ad Arianna di lasciare così come stavano. Le raggruppò battendo i bordi sul tavolo e si accorse che erano in numero ben superiore a quelle che aveva adocchiato poco prima, mentre sbirciava i ritratti che Arianna aveva fatto di lui. Nel gesto di sollevare e posare da una parte la pila di fogli, a Leonardo gliene sfuggì uno. Il papiro svolazzò e si posò in terra. Quando l’inventore si chinò a raccoglierlo, faticando a piegarsi sulle ginocchia senza cadere in avanti per la stanchezza, aggrottò la fronte nel cogliere cosa vi era disegnato: era un mezzo busto di donna ritratta con le mani tra i capelli, la bocca aperta in un grido disperato e gli occhi stretti. Era curata nei minimi dettagli, tra cui le rughe del volto e l’abbigliamento povero, e occupava un intero foglio. Leonardo lo afferrò e se lo portò davanti al naso per guardarlo meglio. Solo allora si chiese cosa avesse spinto Arianna a raffigurare un soggetto tanto macabro e dall’anima colma di dolore. Tornò alla pila di fogli e infilò quello in mezzo agli altri, sollevandone alcuni. A quel punto vide con chiarezza che Arianna, di gente disperata, arrabbiata, euforica o piangente ne aveva disegnata a sacchi.
Bastò un impercettibile spostamento d’aria e l’intero ammasso di fogli si fu sparpagliato sul pavimento. I volti addolorati di donne in lacrime, le sopracciglia aggrottate di uomini sudati e arrabbiati e le urla di bambini spaventati coprirono in pochi secondi il pavimento attorno alla scrivania come un’onda schiumosa sulla spiaggia.
Leonardo si portò una mano alla bocca. Il suo volto era, come quello di molti tra i disegni di Arianna, il ritratto dello stupore, del terrore, dell’angoscia.
La gente ai suoi piedi costituiva una folla che stava assistendo ad un qualche spettacolo abominevole. Gente che stava guardando la morte, gente che temeva e rimpiangeva la morte, e gente che la desiderava altrui. Se da una parte Arianna aveva disegnato donne grondanti di lacrime e bambini spaventati, dall’altra c’erano soldati, uomini o giovani che gridavo parole del tipo: “Sì! Sangue! Morte! Uccideteli!”.
Leonardo poteva sentire le loro voci, poteva circondarsi dei loro corpi e poteva crogiolarsi nel puzzo del loro desiderio di giustizia.
In fine, non potendo più sopportare quella vista, indietreggiò finché non fu con le spalle al muro. Dentro di sé si stavano risvegliando i tormenti che aveva confessato a Sandro durante il viaggio di ritorno: la sua allieva, la sua preziosa perlina, era pazza, pazza o maledetta. Ciò che disegnava era di altri mondi, a partire dai quadri ripugnanti che aveva lasciato nella bottega del Verrocchio o nelle mani della sua famiglia. Quadri, quelli, dei quali Guglielmo si prendeva cura personalmente.
Improvvisamente gli occhi sgranati del pittore caddero su un singolo disegno.
Spiccavano, tra i vari schizzi di pose e particolari, tre figure pendenti per il collo. La prima era un uomo ben vestito, la seconda un ragazzo ventenne, la terza solo un bambino.
Quella fu la goccia: Leonardo si chinò e raccolse i fogli con foga. Corse dall’altra parte della bottega e li gettò nel camino. Li coprì di legna e cosparse il tutto con l’olio di una lampada. Quando il fuoco si accese, il pittore si rese conto di star respirando a fatica. Si lasciò cadere sulla poltrona alle proprie spalle e fissò le fiamme ardere gli studi della sua allieva.
Non avrebbe voluto farlo. Era combattuto, ma non avrebbe dovuto farlo comunque. Lui più di tutti sapeva cosa volesse dire essere diversi, diversi agli occhi delle persone; lui più di tutti aveva compreso solo in parte, ma stava imparando cosa significasse portare il peso della diffidenza sulle proprie spalle, il peso di gente brava solo a criticare senza capire, soffermarsi a studiare, a comprendere la natura umana e tutte le sue forme. Eppure Leonardo aveva paura, paura di aver preso tra le mani qualcosa di molto più grande della mera natura animalesca dell’uomo. In lui stava crescendo il timore di aver accolto tra le braccia qualcosa di magnifico ma altrettanto pericoloso. Arianna aveva un dono per l’arte, ma aveva un dono anche per qualcos’altro.
Poi si addormentò.
















.:Angolo d’Autrice:.
Poverissimo capitolo di appena tre pagine. Avete tutto il diritto di uccidermi per l’affronto abominevole a questa storia o alla letteratura italiana in generale. Pubblicare quest’estratto del finalmente ritorno di Leonardo nella sua bottega è stata una necessità. Dall’indomani, vedrete, date le circostanze, cambieranno molte cose sia nella routine dell’artista che in quella della protagonista. Ho intenzione di dare una bella batosta ad Arianna. (Ehm… non pensate a male… o forse dovreste? O.o)
Nonostante io arranchi faticosamente nel mio dovere di scrittrice (e ancor più dolorosamente in quello di lettrice e commentatrice) sappiate che in questi giorni non mi darò pace per portare ad un livello presentabile i capitoli successivi.
Grazie ad eventuali lettori, recensori o nuovi curiosi. Purtroppo non ho tempo di dilungarmi troppo, sto crollando dal sonno…
^^ A presto!
Caltaccia.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=446850