I Malandrini
Gwendolyn
sospirò amareggiata, semisdraiata scompostamente sul sedile dello
scompartimento nel treno che l’avrebbe condotta verso il luogo che odiava più
in tutto il mondo: Hogwarts.
Sperava
solo che, per il resto del viaggio, quello scompartimento rimanesse vuoto: non
voleva estranei, non voleva scocciature. Non avrebbe sopportato neanche il
sentire un altro respiro al suo fianco, figurarsi la vista di un altro essere
umano.
Le
era anche saltato in mente di fare evanescere la porta dello scompartimento, ma
non voleva ripetere l’esperienza dell’anno precedente: quando la McGranitt, in
giro per uno dei suoi controlli di routine, aveva scoperto che mancava un
ingresso, si era incavolata da matti, e dopo avere fatto saltare in aria la
parete, l’aveva tirata via a forza e le aveva fatto una ramanzina colossale
fino all’arrivo alla scuola, dove era stata repentinamente condotta
nell’ufficio del preside.
La
sua amorevole insegnante di trasfigurazione era del parere che ‘un
simile, oltraggioso e quanto mai arrogante comportamento’ andasse subito punito con
l’espulsione, ma quello spirito pio di Silente aveva preso le parti della
ragazza, giustificando i suoi comportamenti come dovuti ad ‘un’acuta
fase di nostalgia familiare’. E lei, naturalmente, non si era azzardata ad obiettare: era tutta una
vita che soffriva di quel particolare tipo di nostalgia.
“Si
può sapere a che ora sei partita per arrivare alla stazione? Stamattina alle
sette sono passato a casa tua, e tuo nonno mi ha gentilmente sibilato che tu
eri via già da un bel po’.” Disse la voce giovanile di un ragazzo, mentre la
porta dello scompartimento si apriva e richiudeva dopo il suo ingresso.
Gwen
neanche si voltò a guardarlo: rimase esattamente nella stessa posizione in cui
era, come se niente fosse avvenuto.
Dorian
non ci fece caso: sistemò le sue valigie e poi si sedette davanti a lei,
guardandola attentamente: aveva tutti i capelli arruffati, due profonde
occhiaie in viso, ed un’espressione da funerale.
Senza
contare che si era vestita davvero in modo pessimo, con una gonna a ruota che
le arrivava fin sotto le ginocchia, stivali larghi con risvolto, un giubbino
che a malapena le raggiungeva la vita e una maglietta tipicamente hippy con uno
scollo che per poco non le arrivava all’ombelico: un mix tra moda magica e moda
babbana davvero orribile.
Ora
capiva il malumore del vecchio Lucius: probabilmente aveva tentato di
convincere la nipote ad indossare uno dei costosi abiti di sartoria tipicamente
magici, ma quella non gli aveva dato minimamente ascolto.
“Dormito
male?” Chiese dunque, con molta nonchalance.
“Non
ho dormito un corno.” Rispose gelida e laconica lei.
Dorian
si grattò la testa, scompigliandosi ancor più i capelli biondicci, perennemente
arruffati come imponeva il marchio Potter: la giornata incominciava davvero
bene… Gwen era già affetta da uno dei suoi momenti di malumore più neri del
nero più nero.
“Hai
fatto colazione?” Chiese dunque. Chissà che mangiando qualcosa di dolce non le
passasse tutta quell’acidità…
“No.”
“Ti
porto qualcosa?”
“Che
ne dici invece di portare il tuo sgradito culo fuori da questo posto, eh
Potter?!” Gridò lei con uno scatto di stizza improvviso, mettendosi a sedere
bene e puntando i suoi occhi penetranti su quelli del ragazzo.
Dorian
si trattenne a stento dal mostrarsi irato: odiava quando lei iniziava a parlare
male, riusciva perfettamente ad avere la disgustosa rozzezza di uno scaricatore
di porto ubriaco fradicio, e questo non le si addiceva affatto.
“Sai,
ho notato la signora delle merende prima, nel corridoio: chissà che quest’anno
non abbiano inventato anche le gelatine tutti gusti+1 all’essenza di Avada
Kedavra…” Rispose dunque, mettendola sull’ironico.
“Che
c’è, hai fretta di vedere cosa ti aspetta dopo la tomba? Per quello ti posso
aiutare io.”
“Perché
tu sei esperta di quello che c’è dopo la tomba, vero?”
A
quelle parole, Gwen rimase immobile, a fissarlo, per un po’ di tempo. Come si
permetteva di dirle una cosa del genere?!
“FUORI!
FUORI DI QUI! VATTENE POTTER!”
“Calmati,
Gwendolyn, non ne vale la pena. Calmati.” Disse lui, guardandola duramente.
“Sembri una pazza isterica: non è il caso di prenderla così male.
Stiamo solo ritornando a scuola.
Hogwarts
è solo una scuola, Gwen… solo una scuola. Cerca di vederla così.”
La
ragazza scosse la testa un paio di volte, poi si passò una mano sugli occhi in
un gesto nervoso. “No…no….” Sussurrò, abbandonandosi sullo schienale e
poggiando i piedi sul sedile.
Dorian
sospirò: forse era riuscito a farla ragionare.
Sentì
delle voci in corridoio, e si voltò giusto per vedere il gruppetto dei suoi
amici dirigersi allegramente verso una cabina più avanti della loro: fu tentato
di raggiungerli, e magari di portare con se anche Gwen, ma non era il caso: ora
lei doveva riposare, non era pronta per vedere gente. E lui le sarebbe dovuto
rimanere accanto, finché il malessere del fatidico rientro ad Hogwarts non
fosse sceso a livelli accettabili e, soprattutto, non pericolosi.
Così
fece cenno alla ragazza di sedersi al suo fianco, e lei, anche se un po’ di
malavoglia, accettò.
Quando,
mezz’ora dopo, il treno parti dalla stazione di King’s Cross, Gwendolyn Mary
Malfoy era già beatamente addormentata, col capo poggiato sulla spalla del suo
improbabile amico.
Sentiva
una grande confusione intorno a se. Così, lentamente, aprì gli occhi, sbattendo
le lunghe ciglia nere più e più volte per mettere meglio a fuoco ciò che aveva
davanti.
O,
per essere più precisi, chi aveva davanti.
Già,
perché davanti a lei, ammucchiati l’uno sull’altro, c’erano quattro ragazzi
della sua stessa età, che non faticò a riconoscere come alcuni degli scalmanati
amici Griffyndor di Dorian.
“Ah
ah! La vipera si è svegliata!” Disse uno di questi, un ragazzo nero dai
lineamenti simpatici e i capelli raccolti in lunghi rasta.
“Shhh…
attento che ti morde…” Esclamò il ragazzo pelato appoggiato al finestrino,
fingendosi preoccupato.
“Già,
Dorian sei sicuro che non morda?!” Chiese un moretto dal viso furbo e la
corporatura longilinea, totalmente stravaccato sul posto davanti al suo.
“Effettivamente
la sua fama non è delle migliori.” Commentò infine il bel ragazzo appoggiato
sullo stipite della porta, che poteva ben vantare due bellissimi occhi celeste
pastello, un viso da dio greco e curati capelli neri.
Tutti
insieme, quei tipi, aveva un non so che di poco raccomandabile. Ed
effettivamente, come Gwen sapeva bene, era proprio quello l’aggettivo giusto
per definirli.
Quando
erano insieme combinavano una cavolata dietro l’altra, sciocchezze così grosse
che ci si veniva da chiedere come caspita quei tipi avessero fatto a farsele
venire in mente: l’ultimo misfatto compiuto l’anno passato era stato costruire
con la magia un falso treno, perfettamente uguale all’originale che da Hogsmead
arrivava fino a King’s Cross: molti studenti erano rimasti ingannati e vi erano
saliti, e si erano accorti del loro errore solamente quando si erano visti
partire sotto il naso la vera motrice con tutti i vagoni dietro. Inoltre, poco
dopo, l’incanto si era sciolto e i poveri disgraziati si erano letteralmente
trovati seduti in mezzo al nulla.
Naturalmente
molti genitori avevano protestato, dato che fra questi alunni la maggior parte
erano minorenni, ma il preside non aveva comunque potuto punire nessuno perché,
nonostante sapesse perfettamente chi aveva combinato il guaio, non ‘erano prove
sufficienti a dimostrarlo. E, in fondo… avanti, bisognava pure apprezzare
l’incredibile fantasia e allegria di quel nuovo gruppetto di malandrini!
“Che
ne dite di non farle girare le scatole già da appena svegliata?” Disse
saggiamente Dorian, mentre Gwen si scostava dal suo petto e guardava sospettosa
gli intrusi.
“Da quanto sono qui?” Chiese con voce piatta
la ragazza.
“Abbastanza
da averti visto dormire per un bel po’!” Disse il neretto.
“E’
strano, quando dormi sembri un angelo!” Esclamò il moro al suo fianco,
sorridendo allegramente a Gwen.
“Anche quando è sveglia non è da meno: è la sua lingua che
punge come quella di una serpe.” Replicò l’affascinante giovane alla porta.
“Ma
lei è una serpe! Diamine, è la serpe più serpe che esista nel
covo degli Slytherin! Anche i suoi compagni le stanno alla larga!” Ridacchiò il
pelato alla finestra.
Dopo
quelle ultime uscite, l’umore di Gwen dopo la sorpresa di essersi ritrovata in
mezzo ad un branco di pazzi Gryffindor peggiorò sonoramente. “Dorian, tieni
davvero a tutti questi idioti qui o posso eliminarli tranquillamente?” Sibilò
dunque, poggiando uno sguardo furente su ciascuno di loro.
“Oh
oh oh, la gatta sta iniziando a tirare fuori le unghie!” Disse il nero.
“Sta
zitto Rust.” Replicò secco Dorian.
“Soprattutto
se ci tieni alla tua lingua…” Aggiunse Gwen. “Che ci fanno questi idioti
patentati nel mio scompartimento?” Chiese poi, rivolta all’amico.
“Sono
miei amici.” Rispose lui, alzano un sopracciglio in segno ammonitore quando la
vide aprire la bocca per replicare certamente qualcosa di poco carino. La
ragazza capì e tacque, senza però risparmiargli una delle sue migliori occhiate
omicide. “Hai riposato bene?”
“Sì,
abbastanza. Quanto manca?”
“Fra
mezz’ora arriviamo.”
“Di
già?”
“Peggio per te che ti sei addormentata come un sasso,
angioletto!” Replicò il nero.
Senza
neanche pensarci molto su, guidata da quell’istinto vendicativo che le era
stato trasmesso dal padre e quell’estrema reattività dono invece della madre,
Gwen impugnò la bacchetta, che teneva sempre stretta in mano, e lanciò un
incantesimo al ragazzo coi rasta.
Pochi
istanti dopo il giovanotto si ritrovò a sputare quella che, con grande orrore
di tutti, era la sua lunga lingua.
Nello
scompartimento scoppiò subito un tremendo caos: tutti i ragazzi volevano punire
a dovere quella Slytherin sfrontata che si era azzardata di offendere in quel modo
il loro amico. Rust, dal canto suo, si limitava a stare seduto nella sua
poltrona e studiare con estremo interesse quel pezzo che gli era stato appena
staccato dal corpo.
Fu
Dorian a rimettere in ordine la situazione, sebbene anche in lui ci fosse una
grande voglia di dare un bel pugno in testa alla Malfoy: va bene che era stata
provocata, ma come al solito lei aveva esagerato.
“Ehi,
calmatevi… calmatevi tutti quanti!
STATEVI
ZITTI, CAZZO!” Gridò, quando si accorse che nessuno lo stava ad ascoltare.
Finalmente il silenzio piombò di nuovo nella stanza, e lui ebbe l’attenzione
che richiedeva.
“Se
continuate a gridare come un branco di trholl impazziti, quella racchia della
McGranitt s’insospettisce e viene a romperci le palle: non sta aspettando altro
da quando siamo saliti su questo treno, è già passata di qui una decina di
volte per vedere che diamine stavamo facendo!”
A
quelle parole, qualcuno dei suoi amici sospirò, dandogli ragione, mentre il
resto sbuffò seccato, bramando ancora dare una punizione alla nemica che aveva
scatenato tutta quella baraonda.
“Bene…
Adesso: Spoke- disse, rivolgendosi al ragazzo moro dal viso simpatico-
accompagna Rust in infermeria, e vedi di fargli riattaccare la lingua.”
“Che
diciamo se ci chiedono cosa è successo?” Chiese il moretto. “Che una gatta gli
ha strappato la lingua?”
“Bah…
inventati quello che vuoi: tanto, qualunque cosa tu dica, l’infermiera
avvertirà la McGranitt, che non starà certo a sentire le nostre scuse.”
L’amico
assentì e, prendendo per il braccio il neretto che continuava a studiare la sua
lingua, uscì dallo scompartimento.
“Bevis
e Julius- disse poi, rivolgendosi al pelato e al ragazzo dagli occhi celesti-
voi andate ad infilarvi le divise nella vostra cabina e rimaneteci fino
all’arrivo ad Hogsmead.”
“Sai,
potremmo anche offenderci per i tuoi modi scortesi, amico. Sembra quasi che tu
tenga di più ad una Slytherin che ai tuoi compagni Gryffindor…” Replicò
scherzosamente Bevis, dirigendosi verso la porta con le mani in tasca e una
camminata decisa.
“Già…
chissà cosa ti deve aver dato la viperetta per farti fare una tale scelta…”
Aggiunse Julius, uscendo dalla stanza dopo aver lanciato uno sguardo anche fin
troppo eloquente a Gwen. Per sua fortuna però Dorian si sbrigò a chiudere la
porta alle loro spalle, perché altrimenti il raggio rosso fuoriuscito dalla
bacchetta della ragazza certamente sarebbe andato a segno….
“Ti
conviene tenerli lontani da me o li ammazzo.”
Dorian
si voltò, fissando con un sorriso furbo sulle labbra la ragazza furiosa in
piedi davanti a lui.
“E
dai, non puoi negare però che siano più simpatici dei tuoi compagni di casa!”
Gwen
rimase spiazzata da quella frase, a cui tuttavia non riusciva ad obiettare
nulla. Poi però mise il broncio e, incrociando le braccia, ne uscì con un:
“Sono solo Gryffindor…”
“Sì
ma anche io sono Gryffindor, e noi due andiamo d’accordo, no?”
“Pfiu…
giusto qualche volta…”
Dorian
ridacchiò: bene, a quanto pare non tutte le speranze erano perdute: c’era
ancora qualche possibilità di fare avvicinare amichevolmente Gwendolyn ai suoi
amici. Almeno così non sarebbe stata sola, non avrebbe passato un anno da cani,
e avrebbe evitato di sfogare la sua frustrazione su poveri studenti indifesi.
“Inizia
a vestirti, io faccio lo stesso in bagno. E vedi magari di risistemarti i
capelli, sembri una scopa!” disse il ragazzo, prendendo la sua divisa ed
iniziando ad uscire dalla porta.
“Dorian!”
“Sì?”
“Spero
che non passerai guai per… beh, per la lingua di quel cretino del tuo amico.” Disse
tutto d’un fiato la ragazza, evitando di guardarlo negli occhi: stava
pubblicamente mostrando il suo dispiacere per un’azione che aveva compiuto
volontariamente… e non era da lei.
Il
Potter ridacchiò tra se e se, contento di notare quanti cambiamenti riuscisse
ad apportare un po’ di sano affetto fraterno in quella ragazza fredda e
glaciale.
“Oh, figurati, ne sono abituato.”
“Bene.”
Assentì lei; e, giudicando di essere stata buona anche per troppo tempo, gli
chiuse praticamente la porta sul naso e serrò poi subito dopo anche la tendina:
non le piaceva mostrare il suo lato gentile troppo a lungo.
Benjamin
Dorian James, preso alla sprovvista dal suo gesto improvviso, scattò allibito
all’indietro… e quando si riprese fu ben lieto di constatare che il suo naso
fosse riuscito ad evitare di rimanere incastrato fra la parete e la porta
chiusa con tanta delicatezza dall’amica; dopo di che andò tranquillamente, con
la sua solita camminata baldanzosa, verso i bagni.
Toc toc
“Chi
è?”
“Sono
Dorian. Hai finito?”
“Sì,
entra.”
Il
ragazzo aprì la porta dello scompartimento, da cui era stato lontano un bel
quarto d’ora per lasciare modo alla ragazza di prepararsi con tutta calma, come
aveva fatto anche lui.
Ciò
che trovò davanti però lo lasciò di stucco.
“Ma…
perché non ti sei messa la divisa?!” Chiese il ragazzo, grattandosi la testa
per lo stupore.
“Ho dimenticato la divisa a casa, e così ho indossato uno
degli abiti di cui il nonno mi ha fatto riempire tutte le valigie.
E dire che neanche nel Medioevo si vestivano in questo
modo!” Esclamò con una punta di stizza Gwen, che indossava un lungo abito di
broccato verde e aveva i capelli color ambra legati in un’elegante treccia che
le arrivava fino all’estremità della schiena.
“Per
Merlino che testa di trholl che hai! Dimenticarsi la divisa di scuola… solo tu
potevi fare una cavolata del genere!” Esclamò il ragazzo, piantandosi una mano
in fronte.
“Uff…
non iniziare a scassare già da adesso Benjamin Dorian James!” Lo avvertì lei, facendo
dondolare la sua bacchetta sotto gli occhi del ragazzo.
“Ma
quanto siamo suscettibili!
Avanti,
muoviti, siamo quasi arrivati: prendi i tuoi bagagli e iniziamo ad avviarci,
che se scendiamo per ultimi ci becchiamo la carrozza peggiore.” Esordì il
ragazzo, calando dallo scompartimento sovrastante i sedili le sue due valigie.
“Io
non salgo con voi.” Disse tranquillamente la ragazza, facendo lo stesso però
con l’aiuto della magia.
“Come
no? Non fare la solita permalosa Slytherin asociale, Malfoy! Vieni con noi.”
“E’
passata la McGranitt prima, e ha detto che il preside vuole vedermi.”
A
quelle parole, Dorian si voltò e fissò interrogativamente l’amica. “Hai già
combinato qualche casino, a parte tagliare la lingua a Rust?!” Chiese poi.
“No.
E poi come avrei fatto?! Sono stata al tuo fianco per tutto il viaggio!”
“Beh…
e che ne so. Magari riesci a produrre qualche trasposizione astrale del tuo
corpo…”
“Non
sparare idiozie.”
“E
allora? Perché Silente ti vuole vedere?”
“Non
lo so.”
“Bah…
Buona Fortuna.”
“Immagino
che si stia chiedendo perché è qui, signorina Malfoy.”
Furono
le prime parole che udì pronunciare dalla voce gentile del preside, entrando
nel suo ufficio.
Subito
dopo lo vide, mentre giocherellava tranquillamente con la sua fenice, e le
accarezzava con dolcezza la testolina rossa.
“Buongiorno
signor preside. Sì, effettivamente stavo ponendomi questa domanda.” Rispose
garbatamente lei, guardandosi intorno con circospezione: quel luogo non le era
mai piaciuto. Sentiva tutti gli occhi dei ritratti dei personaggi illustri su
di se… tutti uomini che un tempo avevano avuto il privilegio di vedere e
parlare personalmente con i suoi genitori. Era gelosa di loro… e
contemporaneamente temeva anche il giudizio che essi avrebbero potuto dare su
di lei.
Era
una degna erede di Ginevra Weasley e Draco Malfoy?
A
suo parere, no.
Loro
erano due persone splendide, che riuscivano a trasformare in perfezione perfino
i loro difetti, talmente erano speciali.
Lei,
invece… beh, lei non era nulla. Era un’insulsa ragazzina, odiata da tutti, che
non faceva altro che inimicarsi la gente a suon di parole cattive e perfide
gesta.
“Vi ho fatta venire qui, cara Gwendolyn Mary, per
informarvi che siete stata ricoperta dell’incarico di Caposcuola.”
La mente di Gwen, che fino ad allora era stata occupata da
mille pensieri, si svuotò immediatamente, mentre tutta la sua attenzione andava
a catapultarsi sulle parole dell’uomo in piedi davanti a lei, che ora la
guardava sorridendo del suo evidente stupore.
“Preside,
ma che dice?!” Si lasciò sfuggire lei.
Silente
ridacchiò liberamente: quanto assomigliava quella fanciulla alla dolce e
piccola peste Weasley!
“Questo
incarico era stato affidato prima ad una sua compagna Corvonero, che però
proprio ieri sera mi ha informato di essere impossibilitata a sottoporsi ad una
tale responsabilità dato che, verso metà anno, i suoi genitori cambieranno
locazione e lei dovrà frequentare un’altra scuola.
Dunque
ho deciso di dare a lei tale compito. Spero che lo voglia accettare.”
Gwendolyn
era allibita. Non riusciva a trovare un senso nelle parole di Albus Silente
perché mai aveva scelto lei?!
“Certo, non rifiuterò mai un tale onore… anche se non
riesco a capire il motivo per cui mi è stato dato. Non ho avuto una condotta
scintillante negli ultimi sette anni, e penso che gran parte dei miei
‘compagni’ sia d’accordo con me!”
L’uomo
sorrise, enigmatico, e rimase a fissarla per un po’ in silenzio attraverso i
suoi occhiali a mezzaluna. “Un giorno, signorina Malfoy, un giorno non lontano…
lo capirà.
Ora
vada: la sua stanza è nascosta dietro il quadro di Pandora, al secondo piano.
La parola chiave è Speranza.”
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RINGRAZIAMENTI
Allora: grazie a
tutti coloro che hanno avuto la gentilezza di farmi sapere cosa pensano di
questa storiella!!!
Ho pubblicato il secondo capitolo per un singolo motivo:
siete davvero sicuri che volete che continui questa storia? Vi avverto che è
una storia ‘seria’ (per modo di dire….!), che le parti allegre saranno molte
poche, e anzi, a causa del carattere melanconico della ragazza, ci saranno
assai più parti tristi.
Se vi sta bene di starvi ad impallare leggendo io la
continuo… ma altrimenti mollo qua!!!
Senza contare che la aggiornerò abbastanza sporadicamente,
perché voglio prima portare a conclusione l’altra mia ff, ‘COME CANE E GATTO!’,
ok????
Fatemi sapere, mi
raccomando!!!!
E ancora, grazie davvero a tutti coloro che hanno
recensito il primo capitolo: non posso ringraziarvi in maniera appropriata
perché non ho tempo… ma mi hanno fatto moooltissimissiiiiiiimo piacere i vostri
commenti!!!!
Ciauuuuuuuuuuu!!!!
Kishal!