La Sabbia della Clessidra

di Bitter_sweet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Prologo - ***
Capitolo 2: *** Capitolo I: Sono solo un essere umano ***
Capitolo 3: *** Capitolo II: Parole come verità ***
Capitolo 4: *** Capitolo III: Un fuoco attorno al mondo ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV: Un cappio al collo ***
Capitolo 6: *** Capitolo V: Biancheria e cesti ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI: Ti voglio bene ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII: La patria del nulla ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII: Respirare ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX: Cicatrici ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** - Prologo - ***


La Sabbia della Clessidra prologo AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è adatta a voi.
 
 
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
 
 
 
La Sabbia della Clessidra
 
- Prologo -
 
L’ho reputata un’idea stupida all’inizio. E dello stupido mi ero dato all’infinito, quando avevo pronunciato quelle poche parole dando così conferma a quello che ora è il mio capitano nonché il mio migliore amico.
Ero diventato -non ciò che odio, non ho mai detto di odiare pirati o marine che siano, ma mi sono ritrovato così allo sbaraglio su di una piccola imbarcazione dispersa nel nulla. Io, le mie spade e quel buffo ragazzino nemmeno maggiorenne ma col sorriso perenne stampato sul volto.
Mi dava sui nervi.
Mi chiedevo costantemente cosa avesse da sorridere e lo odiavo. Forse lui aveva sempre avuto una vita di zucchero e ora il voler diventare un pirata -il re per di più, lo accostavo alla figura del capriccio. E mai avrei creduto di poter incontrare una persona degna d’esser chiamata in quel modo. Io per primo non sarei mai potuto esser chiamato così.
Però…però quel ragazzino, un po’ tontolone, mi aveva affascinato. Non sapevo cosa si nascondesse realmente dietro a quella facciata, a quel sorriso, ma l’avrei scoperto più avanti e allora mi sarei rimangiato ogni singola parola intrisa di veleno che avevo sputato e roso il fegato dai sensi di colpa.
E ogni giorno che passava, ogni isola che incontravamo, ogni avventura che affrontavamo e grazie ai vari componenti della ciurma che Rufy reclutava, e a cui io avevo assistito come spettatore -visto che ero stato il primo di questi compagni, mi rendevo conto che forse quella volta non ero stato poi così stupido. E non mi pesava più cosa comportasse realmente essere un pirata. No, non mi importava perché avevo una promessa, uno scopo, da rincorrere e realizzare, e una famiglia -stramba vero, ma pur sempre una famiglia, da cui avevo a credere non mi sarei più staccato.
Avevo cominciato a credere che avremmo navigato per sempre assieme e che non mi sarei mai più ritrovato da solo.
Ma ora che un passo era stato compiuto, la mia sicurezza cominciava a vacillare e la solitudine ora non mi sembrava poi così brutta.
Ricominciai a chiudermi a riccio, in me stesso, e sempre più spesso desiderai tornare in quell’abbraccio solitario che per troppi anni mi aveva accompagnato.
E mi chiedevo quanto tempo ancora sarebbe passato prima che tutto crollasse.
Perché tutto crolla, tutto svanisce.
Perché i sogni prima o poi si realizzano.
E guardavo la sabbia dorata scendere dalla clessidra che decreterà la fine.
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo I: Sono solo un essere umano ***


Capitolo 1: Sono solo un essere umano AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è adatta a voi.
 
 
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
 
 
 

La Sabbia della Clessidra



Capitolo I: Sono solo un essere umano

Stanco. Le membra pesanti, la testa vuota e piena nello stesso istante, la mia ambizione svanita, sciolta come la neve al sole in una giornata di primavera, in una giornata di sole dopo la nevicata notturna.
Gli esercizi che sono solito fare, così importanti ed utili, ora sono una di quelle cose che reputo non stupidi, ma completamente, inequivocabilmente inutili.
Mi ero sempre chiesto cosa avrei fatto una volta raggiunto il mio sogno. Me lo domandavo e ridevo per la stupidità di tale quesito. Avrei continuato a lottare, nonostante tutto avrei continuato a percorrere quel sentiero che con tanta fatica e costanza avevo segnato e che percorrevo. Per me, per Kuina.
Ora, non ne sono più tanto sicuro.
“Zoro.”
Lascio cadere i pesi a terra, rimbomba un suono che ora non mi dice più nulla. Non è lo stesso suono che accompagnava quel gesto, quello era un suono di speranza, di fatica e forza di volontà. Questo di adesso è un suono vuoto che appare privo di significato alle mie orecchie.
“Zoro!” Usop, Usop. Caro il mio bugiardo.
So cosa vuole dirmi, ma non voglio sentirlo. Non ho bisogno di riposare io, non ho bisogno delle loro premure, non ho bisogno di nulla al momento. Ma non lo zittisco, non ne ho la forza.
“Lo sai cosa ha detto Chopper.” Come se non lo sapessi a memoria ormai.
So cosa Chopper continua a predicare, ormai è come una litania. Devi riposare, le tue non sono semplici ferite, non so come tu faccia ad essere ancora vivo, non sei né invincibile né immortale. Ha ragione lui, ma non su quello che pensa.
Drakul Mihawk, l’uomo dagli occhi di falco, l’uomo che ho cercato per un decennio, l’uomo che incontrai all’inizio del mio viaggio come pirata. Sì, l’uomo che mi sconfisse e che per un breve istante aveva messo fine al mio sogno. Non mi regalò la morte ma solo una cicatrice enorme che ancora porto addosso quasi con orgoglio, quella linea che mi attraversa diagonalmente il petto e che vedo ogni qual volta io mi specchi. L’uomo che solo fino a qualche giorno fa era considerato ‘lo spadaccino più forte al mondo’. Dico era perché ora non lo è più.
Ho realizzato il mio sogno e quello di Kuina. Dovrei esserne felice, già dovrei. Non lo sono.
E sono tornato al punto di partenza. Quella domanda che mille volte mi sono posto riaffiora nella mia mente, solo con una consapevolezza in più. Ed ora non mi viene più la voglia di ridere. Il sogno si è trasformato in realtà, la realtà in incubo e con quello giunge la consapevolezza di un imminente fine. Perché i sogni si avverano prima o poi, e con loro tutto finisce, come finirà questo viaggio.
Sapevo che c’era una possibilità che prima o poi la fine sarebbe giunta e che la clessidra, che scandiva il nostro tempo, avrebbe finito la sabbia facendola ricadere tutta su una sola metà. Eppure, avevo sempre sperato che quel momento non sarebbe mai arrivato, credevo di poter annullare tutte le leggi del tempo.
Mi ero sbagliato. Questa consapevolezza però mi uccide. Mi distrugge, mi divora lentamente dall’interno, e so di non poter far nulla, e mi rode l’animo.
“Zoro, ma mi ascolti?”
Mio buon amico, ma ancora non hai capito che non voglio sentire? Ogni parola, ogni frase che dite ora è come una pugnalata e al loro confronto, le ferite di Mihawk, non sono nulla.
“Devi rimanere a riposo, ok, sei diventato il miglior spadaccino del mondo, ma sei un essere umano.”
Carne, sangue e sentimenti. Questo è un essere umano, io ne faccio parte, allora perché non capisci che non voglio ascoltare, che continuare a sentirmelo dire mi fa solo prendere ancora più coscienza dell’imminente fine.
“Basta. Mi hai stufato.” Lo urlo, urlo così forte che quei pochi presenti sul ponte si voltano a fissarci e gli altri escono dalle loro cabine, o dalla cucina. E il veleno che lentamente mi sta uccidendo dall’interno lo vomito fuori in parole aspre e dure, che non penso realmente. “Sono stanco di sentirvelo ripetere, so quali sono i miei limiti non mi occorre la balia. L’ho sempre fatta io da balia a tutti voi salvandovi il culo in più di un’occasione. Perché la paura è una tua compagna no?!”
Sprezzante e cattivo. Lascio perdere tutto e me ne vado senza guardarvi, perché so che non riuscirei a guardarvi in faccia. Leggerei disprezzo, e me lo meriterei appieno, lo so bene. È l’unica cosa che merito, il vostro disprezzo.
“Che diavolo ti prende ora?”
La tua voce mi raggiunge, so che non sei sola. L’odore del tabacco bruciato mi riempie i polmoni. Il sentirti urlare contro di me, l’odore della sigaretta di Sanji. Mi chiedo per quanto ancora avrò la fortuna di sentirli.
“Cosa vuoi.” Non posso fare a meno di risponderti brusco. Sussulti, lo so nonostante io non ti stia guardando, e sento lo sguardo di Sanji sulla nuca. Ma non è il suo solito sguardo, furente. Mi sembra pena quella che scorgo nei suoi occhi voltandomi.
“Ti sembra modo di trattarlo? Insomma non ti ha fatto nulla, era solo preoccupato per te.” Ti riprendi in fretta, come sempre. L’avvocato difensore.
Nami è sempre stata brava a difendere gli altri, soprattutto se ciò comportava il discutere con me, il discutere contro di me. Un’altra di quelle cose che avrei fatto volentieri a meno, una volta, come i tacchi che costantemente ricevo sul cranio come a volermelo spaccare. Eppure ora non sono poi così sicuro di volerne fare a meno, non credo proprio.
“Zoro si può sapere che hai? E rispondimi dannazione.” Mi mancherà tutto questo, il vederla di fronte a me, le mani sui fianchi, l’espressione furente. Sì, ne sono certo, mi mancherà come mi mancheranno tutti loro. Ma sono un vigliacco e come tale mi comporto.
“Se lo meritava, mi ha stufato. Mi avete stufato voi e tutte le vostre belle paroline colme di sentimenti stupidi. Sono vivo e non grazie a voi. Quindi finitela.” Riverso ancora un po’ di quel veleno su di lei, su di loro. Ancora una volta fuggo dai loro sguardi, dai miei amici.
Il distacco è meno doloroso se avviene in un solo colpo. Lo penso ma non ci credo, non sono poi così sicuro di quello che sto facendo. Per la prima volta in vita mia posso dire di essermi perso, non come quando giro per una nuova isola in cui capitiamo e mi perdo ad ogni incrocio, questa volta mi sono veramente perso.
Chiudendomi la porta della mia camera alle mie spalle, chiudo la porta che mi collegava a tutti loro, escludendoli del tutto dalla mia vita.
Dicono che l’arredamento della propria camera da letto, rispecchi la vita del suo proprietario. Non ci avevo mai fatto caso fino a questo momento, come se davanti ai miei occhi vi fosse stata una col trina di nebbia fitta e palpabile che non ero in grado di penetrare. Ora tutto mi pare più chiaro, nitido. La mia stanza è spoglia, cos’ impersonale e fredda. Pochi mobile la compongono, un letto dalle lenzuola bianche, una piccola scrivania che non ho mai usato ed un armadio il cui interno cela quei pochi vestiti che posseggo ed uno specchio a figura intera.
È una stanza vuota, e il mio animo è come lei.
Chopper ha ragione. Non sono né invincibile né immortale.
Sono solo un pezzo di carne composto di sangue ed ossa.

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Capitolo 3
*** Capitolo II: Parole come verità ***


Capitolo II: Parole come verità AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è adatta a voi.
 
 
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
 
 
 
La Sabbia della Clessidra


Capitolo II: Parole come verità

Inutile. Ora come ora mi sento inutile.
La nostra nave solca inesorabile il mare, le onde s’infrangono sul legno facendola dondolare dolcemente come a volerci cullare. Che culli i loro sogni perché io ormai non ne ho più, ho perso la capacità di sognare e me ne rimango solo, a guardare la notte scura e quello che essa nasconde.
Vi sono segreti nascosti nella notte. Segreti che a volte è meglio rimangano tali perché così è più semplice, perché così non ci s’imbatte nella realtà, così dura e scura, ma si rimane in quel mondo che Morfeo, il dio del sonno, ha creato per noi. Il mondo dei sogni. Quel mondo onirico che ci avvolge tra le sue braccia, regalandoci quel qualcosa che ci fa andare avanti percorrendo una strada che è la nostra salvezza.
Noi uomini, senza i sogni, non siamo nulla. Nella vita cerchiamo qualcosa e quel qualcosa è da ricercarsi nei nostri sogni. Cerchiamo la felicità, cerchiamo un qualcosa che ci dia un senso. Senza siamo persi, piccole barche alla deriva, come già io lo sono.
Mi chiedo cosa gli altri pensino, mi chiedo cosa gli altri sognino la notte. Se i loro sogni, che cercano in tutti i modi ed i mezzi di realizzare, tornino a far loro visita la notte. Magari no, magari non hanno sogni, o magari i loro ricordi, quei ricordi che li legano alle persone più importanti della loro vita, tornano a trovarli. Se così fosse, saranno i ricordi più belli a far loro visita o tornerà loro in mente solo ciò che di brutto è successo? Magari, giungono a loro le voci dei cari che li spronano a continuare così, a me ormai la voce di Kuina non m’incoraggia più. Ogni volta che superavo una prova, che facevo un passo avanti avvicinandomi sempre di più al raggiungimento del mio sogno, lei era lì, che mi spronava a continuare. Ora, mi sembra di sentirla ridere di me, della mia debolezza.
Anche ora mi sembra di sentire la sua voce canzonatoria. Mi deride e questo mi manda in bestia. Non sono debole, la debolezza non fa parte del mio essere. Sono sempre stato quello solido come una roccia, quello su cui tutti contano anche quando la situazione sembra la più brutta. Non sono un debole, nessuno di noi lo è, nonostante le dure parole che ho rivolto ad Usop, nemmeno lui lo è. Anzi, si è dimostrato degno del nome che porta. Suo padre ne sarebbe fiero, ne sono sicuro.
“Ancora sveglio stupido spadaccino?”
Sussulto inconsapevolmente. Ero così assorto nei miei pensieri da non rendermi conto dell’avvicinarsi di Sanji. Quello stupido cuoco compare sempre quando non deve. Mi mancheranno le sue uscite improvvise, le lotte alquanto stupide che ingaggiamo per tutto, gli urli isterici quando vede passare Nami o Robin, le sue corse dietro le sottane.
“Potrei farti la stessa identica domanda, sopracciglio a ricciolo.” Lo canzono sperando in una lite. Forse questa placherà il mio animo in subbuglio.
“Cos’hai detto stupido marimo?” Non devo attendere molto, coglie la mia provocazione di buon grado.
Lo stupido cuoco è migliorato in questi anni, il nome che si è fatto nel tempo e la taglia che gli pende sul capo sono più che meritati. Lo posso assicurare, in tutti questi anni ho potuto constatare quanto lui sia migliorato e quanto ancora avrebbe potuto farlo. Ricordo perfettamente tutti i colpi ricevuti da lui nel tempo.  Non micidiali o mortali come li da di solito ad un nemico, ma posso assicurare che fanno male, dannatamente male. Ricordo alla perfezione tutti i colpi e le costole incrinate, ricordo le volte in cui abbiamo combattuto per puro divertimento, le volte in cui abbiamo combattuto sul serio e le volte in cui abbiamo combattuto per non so quale motivo.
Se stessi qua a ricordarle tutte forse finirei che ormai sarei vecchio decrepito. Dico forse perché non ne sono poi così sicuro. In otto anni di navigazione, posso assicurare che ce ne sono state di battaglie. A ventisette anni, posso assicurare che di battaglie ne ho viste fin troppe, di incendi ne ho combattuti tanti. Le lotte con Sanji sono state quelle più frequenti, ma anche quelle più costruttive. Anche ora posso dire che questa nostra assurda battaglia, nata per un enorme cavolata, è costruttiva.
Ci siamo fermati. Non vi è né vincitore né vinto. Siamo semplicemente distrutti, stesi a terra a prendere profonde boccate di quest’aria fresca. Non è stata una delle nostre solite battaglie. Lo so io, e so che pure lui se n’accorto.
“Che ci facevi qua fuori?” La domanda mi coglie impreparato, o per meglio dire non me l’aspettavo.
Insomma, di solito sono io quello che la notte rimane sveglio. Mi alleno la notte visto che durante il giorno non riesco, troppo baccano, Rufy, Usop e Chopper devono sempre combinarne una delle loro ed io non riesco a concentrarmi. So che potrei urlare loro contro, però non l’ho mai fatto. In verità, non ho il coraggio per farlo, non voglio farlo soprattutto. Sembrerà strano, ma le loro trovate mi divertono.
“Cercavo di allenarmi.” Confido una verità. Il verbo che ho usato è più che giusto, cercavo, perché ora non riesco più ad allenarmi ed ogni volta che prendo in mano i miei pesi, non riesco a concludere niente. Li prendo in mano, li alzo ed inizio quell’allenamento che finisce troppo presto. Non riesco più a fare quella serie di esercizi, sempre in aumento, che mi ero prefissato. Li finisco troppo presto e la cosa non mi piace. Non sono uno smidollato, ma non appena poso a terra i pesi la sua voce, infantile e canzonatoria, mi raggiunge facendomi sobbalzare e costringendomi a guardarmi attorno. Non la scorgo. So di non poterla vedere, però in più di un’occasione mi è sembrato di vederne il fantasma.
“Certo che è una bella notte.”
Sanji cambia discorso. Non posso fare a meno di essergli grato. Ma non sono sicuro che lui abbia capito tutto, ma non è di certo stupido. Avrebbe potuto attaccarmi a parole per l’altro giorno, lo stesso giorno poteva prendere le difese di Nami, ma non l’ha fatto. Vorrei chiedergli se ha intuito, se ha capito cosa mi preme.
“Già.” Mi alzo a fatica, barcollo appena. Anche questa volta il cuoco c’è andato pesante. Sento le solite due costole premere troppo, di sicuro si sono incrinate ancora una volta.
“Avresti potuto andarci più leggero.” La voce di Sanji mi giunge alle orecchie come il fumo della sua sigaretta giunge al mio naso. Ho sempre detestato le sigarette ma ormai sono una di quelle cose cui mai farei a meno. Come le nostre scazzottate e le chiacchierate che abbiamo subito dopo il nostro sano divertimento.
“Cos’è, l’età che avanza si fa sentire?”
“Non fare l’idiota, sai a cosa mi riferisco.” E il nostro Sanji ancora una volta centra il bersaglio.
“Non ti capisco.” Faccio lo gnorri, so quale effetto faccio. E poi, mi diverte il stuzzicarlo. Aspetto che mi urli contro come suo solito, magari ci scappa un’altra scazzottata. Non che io ne abbia poi così tanta voglia, le costole fanno dannatamente male, non c’è certo andato leggero, ma non posso rifiutarla.
Eppure la sua reazione tarda ad arrivare. Mi accorgo che si è alzato e che se ne sta andando. Silenzioso e un po’ traballante si allontana dandomi le spalle. Per una volta che sia rimasto senza parole da urlarmi contro? Mi sembra quasi assurda tutta questa situazione, mi sembra assurdo di essere qui ad aspettare una sua qualsiasi reazione purché faccia qualcosa. Mi sento deluso da tutto questo.
“Sai una cosa?” La sua voce mi arriva flebile alle orecchie. Si è fermato all’inizio delle scale del castello a poppa, mi volta ancora le spalle. Sembra stia parlando con qualcun altro e non con me. Questa cosa mi infastidisce profondamente, vorrei urlargli di voltarsi e di dirmi ciò che pensa in faccia. Ma non lo faccio. “Se far diventare i nostri sogni realtà, ci farà diventare come te, preferisco non trovarlo l’All Blue.”
Mi sembra d’avere ricevuto un pugno in pieno volto. No, il pugno farebbe meno male rispetto a quello che sento adesso. Un pugno in pieno volto non fa così male, un pugno nello stomaco non fa così male, le ferite che ho sul corpo non fanno così male, l’enorme cicatrice che mi segno il petto non fa così male, il loro continuo preoccuparsi per me non fa poi così male come credevo.
Solo ora mi accorgo che tutto quello non era altro che un malessere passeggero.
Sanji se n’è andato lasciandomi solo. Sono davvero solo ora e me ne accorgo troppo tardi. Le sue parole corrispondono alla realtà, ed è quella che fa così male. Se davvero, il realizzare i sogno, fa diventare come me allora preferisco anch’io che rimangano tali.Ma loro sono diversi da me, non sono me e sono migliori di me. Più di quanto essi possano credere.
Il mio animo è ancora in subbuglio, ed ora so il perché. Mi faccio pena.

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Capitolo 4
*** Capitolo III: Un fuoco attorno al mondo ***


Capitolo III: Un fuoco attorno al mondo AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è adatta a voi.
 
 
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
 
 
 
La Sabbia della Clessidra


Capitolo III: Un fuoco attorno al mondo

E giunge il momento della verità.
Le fiamme rosse del piccolo fuoco da campo tremano appena quando un po’ di brezza le raggiunge. I pirati di cappello di paglia ridono e scherzano festeggiando il grande momento. Festeggiano tutti il raggiungimento della meta comune, il realizzarsi dei nostri sogni. Raftel Island. Con essa sono stati realizzati quei sogni che ormai erano comuni.
L’All Blue, il mare così cercato da Sanji, circonda l’isola. Questo mare è il mare che tutti i cuochi cercano, Sanji è stato l’unico in grado di trovarlo.
Il tanto agognato Poinge Griffe che Robin ha cercato da quando aveva otto anni, le si è materializzato davanti agli occhi. Le ci sono quasi voluti trent’anni, ma ne è valsa la pena. O almeno questo è ciò che lei afferma.
Chopper e Usop non hanno bisogno di avere qualcosa di materiale tra le mani. Il primo ha dimostrato apertamente, nel corso di questi anni, di essere il miglior medico, ci ha salvato più di una volta e non solo noi. Il secondo, Usop è davvero quel coraggioso pirata che ha sempre affermato di essere.
Franky, il nostro strambo carpentiere è riuscito ad eguagliare il suo maestro. La Thousand Sunny è la nave del re dei pirati, non c’è altro da aggiungere.
La cartina del mondo ormai è finita, solo qualche altro accorgimento ed è completa, posso capirlo dalla luce che brilla negli occhi di Nami, tutti noi ne siamo consapevoli. Nonostante lei ancora non abbia detto nulla, lo si capisce.
E Rufy, quel ragazzino di gomma, non ci sono parole per descriverlo. Salta, balla, urla a squarciagola la sua felicità. Non è mai cambiato, è stato l’unico a non cambiare mai nel profondo. Ma ora è completo, è il re. Saltella come un pazzo fino a ruzzolare accanto ai miei piedi.
“Stai bene Rufy?” Non posso esimermi dal chiederglielo. Lui si rialza e mi sorride, sorride all’ottavo pirata che se ne rimane in disparte.
È come un bambino, nonostante tutto quello che abbiamo passato Rufy si comporta come sempre. Si allontana dopo avermi dato una pacca sulla spalla. Torna dagli altri ancora sorridendo, torna da quei compagni che assieme a lui hanno attraversato il Grande Blue. Li guardo festeggiare, intonare canti mai sentiti e quello dei veri pirati. Nonostante tutto quello che abbiamo passato, loro scoppiano di felicità.
L’unica cosa che unisce noi pirati di cappello di paglia, è la nostra infanzia ed i nostri sogni. Ora che tutti questi sono stati realizzati non vi è più nulla che ci unisce. Siamo stati una nakama alquanto strana. Non ci sono somiglianze tra di noi, ognuno di noi è diverso dall’altro, per quanto io possa ricordare, non ci siamo mai trovati d’accordo su nulla, se non quando si parlava dei nostri sogni. Quando uno solo di noi ricordava il proprio sogno, magicamente ci trovavamo d’accordo. Più che Raftel Island, era il raggiungimento dei nostri sogni la meta reale. Ora che abbiamo trovato la nostra ragione, non ci lega più nulla.
Le loro risate e gli schiamazzi mi giungono alle orecchie. Rufy, Usop, Chopper e Franky improvvisano un balletto che tutto ha, fuorché un senso. Li trovo buffi nonostante tutto, l’idea di raggiungerli e mischiarmi a loro attraversa velocemente il mio cervello come altrettanto velocemente lo lascia. Non sono dell’umore adatto, il mio animo, ancora in subbuglio, non me lo permette.
Se far diventare i nostri sogni realtà, ci farò diventare come te, preferisco non trovarlo l’All Blue.
Le parole di Sanji mi tornano in mente all’improvviso. In questo periodo mi sono tornate così tante volte in mente che quasi ho perso il conto. È una cosa che mi ha ronzato incessantemente in testa. Ho avuto per davvero il timore che una volta raggiunto il loro obiettivo, sarebbero diventati come me. Ho continuato a pensare che non era possibile, che tutto quello era solo una mia stupidissima paura. Paura che non aveva né capo né coda.
Tutti ridono, scherzano e festeggiano. Sorrisi e risate vengono elargite a destra e a manca. Anche Sanji, che di solito non riesce ad avvicinarsi alle nostre due compagne, stasera fa più del solito il libertino. Le abbraccia, le bacia sulla guancia, ma si vede che è solo contentezza quella, non l’istinto sessuale che lo accompagna di solito. Il legame che lo lega a loro è profondo, più che profondo. Molto più profondo dell’amore. Anche Nico Robin, la fredda e glaciale Nico Robin, stasera si è lasciata andare. Sorride più apertamente, a tratti si lascia sfuggire una risata, uno scherzo, una battuta.
Hanno ragione Rufy e Sanji. È bellissima. Un fiore di una bellezza glaciale, una bellezza adulta. Mi ci è voluto tutto questo tempo per capirlo.
Non è mai stata una nostra nemica.
Guardo i miei compagni sorridenti. Ingollo d’un fiato questa schifezza che mi brucia le budella sorridendo stupidamente al bicchiere.

*        *        *

Notte scura, notte profonda.
È ormai l’alba, almeno da quello che posso intuire. Il fuoco rosso che ci ha accompagnati per tutta la notte, per tutti i festeggiamenti, sta arrivando alla fine. Entro breve esalerà l’ultimo respiro.
Posso sentire nitidamente il russare di Rufy e Usop, così forte che mi domando come diavolo facciano a dormire gli altri. Soprattutto Sanji. Lui, oltre a me, è sempre stato quello che ha sopportato di meno il loro russare. È per questo che una volta cambiata la nave siamo finiti a dormire in un’altra stanza assieme a Franky. Lui, essendo metà cyborg, non russa. Però, ancora mi chiedo come Chopper faccia a resistere assieme agli altri due. Il nostro piccolo medico, è davvero eccezionale.
L’ennesimo russare di Usop è la goccia che fa traboccare il vaso. Mentre il nostro fuocherello esala l’ultimo fiato, me ne vado. Ho bisogno di tranquillità, ho bisogno di pace.
Ancora le parole di quello stupido cuoco tornano a farmi compagnia. In questa notte, nonostante il calore della felicità mista all’alcool, sento il freddo pungente di un imminente solitudine farmi compagnia. È un freddo che conosco molto bene, da quando a nove anni Kuina è morta non ho avuto altro che la sua compagnia.
Non voglio ripetere quell’esperienza, per dieci anni ho vissuto in solitudine, dieci anni che sono sembrati un’eternità, fino a quando qualcuno non ha oltrepassato quel muro di solitudine, rischiarando il buio che mi aveva avvolto. È grazie a Rufy se ho scoperto cosa vuol dire il valore dell’amicizia, è solo grazie a lui se sono riuscito a riscattarmi. Però, ora sarà il mio stesso salvatore a ributtarmi nel buio assoluto.
La nostra nave, quella nave che per sei anni ci ha fatto da casa, dopo due con la Going Merry, è il posto più sicuro che io conosca. Questa nave, questa imbarcazione inusuale per la forma che ha la sua polena, ci ha visto crescere, maturare. Ci ha accompagnati lungo il cammino della nostra vita.
Per quanto, ancora, ci accompagnerai?
”Tra due mesi saremo nell’est blue.” Sobbalzo. La voce di Nami giunge alle mie orecchie, risponde a quella domanda che silenziosamente e mentalmente mi sono posto. O almeno credo di averla pensata. “Sai…” Comincia uno dei suoi discorsi. Non mi volto ma so che è lì, alle mie spalle, all’inizio della scaletta che ci porta a terra. Probabilmente, anzi, sicuramente ha le mani intrecciate dietro la schiena. “Non avrei mai creduto che questo giorno sarebbe arrivato.” Si avvicina, sento i suoi passi leggeri. “Sapevo che prima o poi questo giorno sarebbe giunto. Non ho mai dubitato di Rufy. Però…” Prende fiato mentre si posa come me al parapetto. L’odore di agrumi, il suo profumo, giunge al mio naso inebriandomi. “Mai avrei creduto che sarebbe arrivato così presto. Anche se proprio presto non è, sono passati otto anni.” Sorride.
Questa è una di quelle poche volte in cui è davvero lei a sorridere. Fin’ora ho visto mille delle sue molteplici facce, posso dire che questa è quella che preferisco.
“Una vita.” Mormoro facendola voltare verso di me. L’espressione interrogativa. “Mi sembra sia passata una vita intera da quando vi ho conosciuti, da quando ho conosciuto Rufy.” Per me è così, una vita fa ero solo, ora…
Mi regali un’espressione birichina. Per un attimo ho paura che sia ubriaca, solo per un attimo. So benissimo quanto lei regga l’alcool, mille le sfide che ci siamo lanciati e sono sicuro che ora non è ubriaca. Eppure, quel suo sorriso non mi piace per nulla.
“Cos’è Roronoa.” Mi canzona. Sono rare le volte che usa il mio cognome, di solito preferisce i nomignoli. “Cominci ad avere nostalgia del tempo che passa?” Lei ride, ma io no.
Non è perché io sono Zoro Roronoa e sono impenetrabile come la roccia, più che altro è perché lei ha capito al volo quello che mi blocca.
“Di che diamine parli?” Cerco di salvare la mia reputazione, o almeno quello che ne rimane.
Chissà il perché, ma Nami è sempre stata una delle poche persone a capirmi al volo. Qualunque cosa io pensassi, o qualunque gesto io facessi, in questi otto anni mi ha sempre capito al volo. Anche Rufy mi ha sempre compreso, almeno fino ad ora.
“Dai Roronoa, non mi dire che non provi nostalgia per questi otto anni.” Mi provoca. Non riesco a capire se lo fa apposta o se le venga naturale. Un’altra persona con cui ho litigato spesso è Nami. Con lei, ancora più che con Sanji, le liti si manifestano per delle stronzate. A volte, per davvero, non so il perché cominciamo a battibeccare.
“Dovrei?” So che è masochista, ogni volta che le rispondo indietro le prendo. È più forte di me però, ormai mi sembra così naturale che non posso farne a meno. Aspetto il pugno che dovrebbe colpirmi inutilmente.
“Dovresti.” Lo mormora con un tono così dolce che quasi non riconosco. In questi otto anni ho sempre creduto che nessuno di loro riuscisse a capire come ero fatto. Mi ero sbagliato, forse è più di una persona che mi capisce.
“E perché?” Glielo chiedo nonostante tutto. La mia è più curiosità che altro. Ho provato più di una volta a comprendere come Nami facesse ogni volta a capire ciò di cui avevo bisogno. Come ogni volta, lei mi capisce nel momento esatto in cui esterno le parole.
“Quando saremo nell’est blue, dovremmo dividerci. Anche se Rufy non l’ha detto apertamente, so che è così.” Vorrei dirle che non è l’unica ad averlo capito. Ma me ne sto zitto a guardare il mare. Preferisco guardare il mare che la terra alle nostre spalle. Se guardassi dietro di me la verità mi avvolgerebbe come in un abbraccio.
“È lui il capitano.” Lo dico con tono cattivo lasciando Nami sorpresa. Sono sorpreso anch’io di questa mia reazione.
Mi dondolo leggermente sulle braccia per darmi la spinta per alzarmi. Meglio che me ne vada prima di dire una qualsiasi cosa di cui so che me ne pentirei.
Mentre me ne vado posso sentire il suo sguardo sulla schiena. Mi sembra di sentire la sua voce, ma di sicuro è solo la mia coscienza che parla. “Per una volta puoi anche essere te stesso.”

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Capitolo 5
*** Capitolo IV: Un cappio al collo ***


Capitolo IV: Un cappio al collo AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è adatta a voi.
 
 
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
 
 
 
La Sabbia della Clessidra


Capitolo IV: Un cappio al collo

Un mese, trenta giorni sono passati da quando abbiamo lasciato Raftel Island, l’isola del re dei pirati. E con questo mancano trenta giorni al nostro ritorno.
Il tempo per me passa lento e veloce allo stesso tempo. Troppo veloce perché ormai la nostra nuova meta è vicina, la fine è vicina. Troppo lento perché in fin dei conti, non riesco più ad occupare le ore che accompagnano le mie giornate. La voce di Quina non giunge più alle mie orecchie. Dovrebbe essere una fortuna, invece è l’ennesimo peso che mi grava addosso. Ormai anche il mio quotidiano allenamento se n’è andato a puttane. I giorni li passo a guardare le mie spade e a pulirle. Non le alzo più nemmeno per uno stupido, piccolo ed inutile allenamento, e quelle volte in cui riesco ad alzare i pesi, posso contare i minuti senza perdermi. Non durano granché.
Come è sparita la voce della mia piccola amica d’infanzia, è sparita anche quella mia forza interiore che sempre mi ha accompagnato. Non so più chi sono.
Però, Sanji si è sbagliato e ne sono grato. Loro non sono come me, loro hanno una forza che io invidio. Nonostante i loro sogni siano stati realizzati, sono sempre loro stessi. Nonostante sappiano che il nostro viaggio è arrivato alla fine, sono fiduciosi, fiduciosi nel domani. Credono che prima o poi tutti torneremo a navigare ancora una volta queste acque, magari alla ricerca di un nuovo tesoro.
Ma ancora non hanno capito che le favole sono solo favole e che ‘il per sempre felici e contenti’ non è altro che una stupida frase di circostanza detta solo perché tutti se l’aspettavano? Non esiste il finale buono, non nella realtà almeno. La realtà è chiamata così perché è fredda e crudele.
Se non fosse così, allora questa ciurma, unita solo per l’infanzia terribile che l’accomuna, non esisterebbe più. Siamo uno diverso dall’altro, non abbiamo nulla in comune, nemmeno la nostra provenienza. Non tutti siamo nati nello stesso mare, non tutti abbiamo le stesse origini, solo il dolore ci accomuna. Un dolore che ci ha colto quando ancora eravamo dei semplici bambini, quell’età così tenera e dolce, l’età che andrebbe spesa in giochi e gioie. Non li abbiamo avuti quei momenti, ci sono stati strappati dalle mani.
“Zoro…” Nemmeno nella mia stanza posso starmene da solo. Nemmeno questo luogo per una volta tutto mio, Sanji e Franky sono impegnati nel turno di notte, rimane tale. Nami è venuta a controllarmi, forse si è accorta del mio silenzio durante la cena, silenzio non così strano da parte mia, ma più profondo. “Zoro…” Mi chiama ancora una volta e mi volto. C’è sempre stato un qualcosa di invisibile che mi collega a lei nonostante io la odi dal profondo del mio cuore. Ma è un odio diverso da quello che si prova solitamente verso una persona normale. Non so spiegarmelo nemmeno io.
“Cosa c’è.” Non è una domanda la mia, non c’è un briciolo di curiosità nella mia voce. Solo stanchezza.
“Stai bene?” Complimenti Nami, per la prima volta hai fatto una domanda stupida che non merita risposta. Ti sembra che stia bene? Dopo ciò che Rufy ha detto stasera? Per un mese, un lunghissimo mese abbiamo vissuto la nostra solita vita, come se il ritrovamento dello One Piece non fosse mai avvenuto, come se quel sogno fosse ancora tale e non una realtà. Siamo rimasti in silenzio, anzi, sono rimasto solo io in silenzio. Credo che voi ne abbiate parlato senza nemmeno interpellarmi. Ma va bene così, in fin dei conti non ho fatto nulla per immettermi in una tale conversazione e sinceramente non volevo averla. Ma stasera, stasera è tutto diverso. Il discorso è venuto fuori, è giunto alle mie orecchie come se fosse una delle qualsiasi frasi dette in queste anni. Le mie paure hanno preso forma. Ancora un mese, solo un misero mese ed ognuno tornerà quello che era otto anni fa.
“Zoro.” La sua voce ancora torna a farsi sentire. Mai come adesso ho detestato quella voce. “Lo sapevi, sapevi che sarebbe giunto questo momento. Non ha voluto tenerti all’oscuro, solo…”
Non la lascio finire la frase. Muovo il braccio facendole bloccare le parole in gola. Questo è il mio turno. “Cos’è, aveva paura di ferirmi? Aveva paura che non potessi capire? Aveva paura della mia reazione?” Sono domande cui non ho una risposta. Sono domande che cercano una risposta da troppo tempo. Non le ho ancora trovate.
“…non voleva farti sentire responsabile di questa cosa.” Aveva capito, sapeva cosa mi frullava nella testa dal primo istante. Da quando ho sconfitto Mihawk sapevo che ormai la nostra meta era alle porte. Lo sapeva anche lui. Sapeva tutto, ma non ha mai detto nulla.
Una sua mano mi tocca leggera una spalla. “Zoro…” La porta è chiusa. Mi volto in modo così improvviso da lasciar sorpreso persino me stesso. Le molle del mio letto cigolano sotto i nostri corpi. Lui sapeva, sapeva, sapeva. Lo penso e la bacio. È la prima volta che oso sfiorarle anche solo per sbaglio le labbra.
Non ha parlato, non ha detto nulla. Aveva paura di provocare in me una qualsiasi reazione negativa? Cos’è, aveva paura che gli urlassi contro quanto lo disprezzavo? Cazzo. Il mio miglior amico, o almeno credevo lo fosse, almeno fino ad ora. I pugni di Nami premono sul mio petto. Posso sentirli, vogliono che mi tolga da sopra di lei. Ma non ha la forza materiale per farlo. Io sono più forte, sono forte, non debole e lei, lei è solo una donna. Ora capisco quello che Quina intendeva. Le donne sono deboli, non in quanto a forza di pensiero ma in quanto forza fisica. Sono completamente diverse dagli uomini. Le curve più rotonde, la pelle come seta. Rufy è sempre stato uno stupido. Se me ne avesse parlato prima, forse non sarebbe andata così.
Ha la pelle liscia Nami, odora di mandarini ed inchiostro. Con tutte le cartine che ha disegnato, mi stupirei più del contrario. Le gambe, una linea perfetta. Le sento col tocco della mano, non ho bisogno di guardarle, le ho viste mille volte, ed ora, le sto accarezzando. Il suo continuo dibattersi, nonostante lei sappia bene di non potermi sopraffare mi fa salire l’adrenalina. Il cervello pulsa, lo sento esplodere nella testa. Non mi fermo. Mi ci vuole così poco per crearmi una via d’entrata che quasi non mi sembra vero. Le lascio le labbra lasciandola respirare. Prende l’aria per far uscire uno dei suoi urli spaccatimpani. Non le lascio il tempo, le serro con una mano quelle labbra rosse.
Affondo in lei, entro in lei ed esco da me stesso. Affondo il mio dolore in lei lasciando che quella parte di me, così frustata e dedita all’odio trovi una via d’uscita. Ha gli occhi chiusi Nami, posso sentire i suoi denti affondare nel palmo della mia mano. Ho sempre sopportato bene il dolore. Nemmeno quando mi sono mutilato da solo le gambe ho sentito quel dolore atroce che tutti dicevano. Non sento i suoi denti, sento il suo calore però.
Affondo in lei e mi perdo. La rabbia sparisce ad ogni affondo che faccio. Non è di sicuro vergine, ma questo già lo sapevo. Una donna, perché non è di certo una ragazzina, nemmeno all’inizio del nostro viaggio non ho mai creduto che fosse una semplice ragazzina. Però, quel calore che sento avvolgermi, come la nebbia avvolge un’isola, è inebriante. Le bacio il collo mentre i nostri corpi, o per meglio dire, il mio corpo continua a muoversi. Le lascio libere le labbra, è un riflesso incondizionato il mio. Potrebbe urlare. La gonna, quel piccolo pezzo di stoffa le sale fino all’ombelico. Mi morde la spalla sinistra e mentre vengo, soffocando un lamento nell’incavo del suo collo, la sento. Sento le sue unghie lacerarmi la pelle della schiena.

*        *        *

La notte è calma, la notte è piatta. La schiena brucia appena, laddove Nami mi ha graffiato, ma sinceramente poco mi importa. Potrebbe bruciarmi l’animo, il mio stesso corpo potrebbe bruciare, ma non mi importerebbe. Appoggiato al letto tengo la testa tra le mani. Se non avessi dimenticato come si fa a piangere, piangerei. Fisso le tavole di legno della nave, fisso il nulla, fisso la mia casa o almeno quella che dovrebbe essere la mia casa. Ora non credo di essere più consono ad abitare dentro questa nave. Non ho più nemmeno una casa adesso.
Affondo il viso nelle mani. Mai, mai ho approfittato di una qualsiasi persona. Ho un onore da difendere, un orgoglio smisurato, una morale di ferro. Forse non sono quella persona che credevo di essere. L’aria è diventata irrespirabile in questa stanza. I letti di Sanji e Franky sono intatti. Il mio invece…quando arrivo a serrare la maniglia della porta tra la mano mi volto, mi volto e guardo il mio letto. Le lenzuola stropicciate avvolgono un corpo da donna.
Me ne vado.

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Capitolo 6
*** Capitolo V: Biancheria e cesti ***


Capitolo V: Biancheria e cesti AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è adatta a voi.
 
 
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
 
 
 
La Sabbia della Clessidra


Capitolo V: Biancheria e cesti




“Zoro, guarda.”
Rufy è un casinaro di natura. Solo perché uno stupido pesciolino più piccolo del suo pugno ha abboccato al suo amo, lui esulta. Mi sforzo di rispondere al suo sorriso solare, non mi esce poi un così gran risultato. Ma non se ne cura. È abituato a queste mie espressioni vaghe. Anche se è più abituato alle mie urla o ai miei sbuffi.
“Ne pescheremo ancora.” Lo urla travolgendo nella sua felicità anche Usop e Chopper. Gli unici che gli diano un po’ di spago. Nemmeno Franky è così scemo da seguirlo.
Non sono l’unico, però, a cui lui ha chiesto un giudizio. Nami è ferma a scrutare il log pose. Non ha ascoltato Rufy quando lui l’ha chiamata. Troppo assorta dal suo compito forse, oppure troppo presa dall’ignorarmi. Eppure..
“Sempre a poltrire tu.” Ringhio una mezza bestemmia verso Sanji. L’ho sempre detto, quel cuoco da strapazzo non azzecca mai il momento opportuno. “Potresti fare qualcosa.”
Lo liquido velocemente. Chiudo gli occhi tornando al mio relax totale. Dormire mi è sempre piaciuto, anche se ora, non ho più bisogno di fingere.
“Ma mi ascolti?” L’urlo del cuoco mi giunge allo stesso tempo di quel cesto di vimini che mi coglie impreparato.
Imprecante lo fulmino. Diamine, il naso sembra essersi rotto in quell’impatto. “Che cavolo vuoi?”
“Aiutami. Muoviti.” Di solito, ad un ordine del genere, lo avrei mandato a quel paese, eppure, seppur sbuffante come un toro mi alzo. Raccatto il cesto e mi avvio al suo seguito.
“Perché?” Domando semplicemente tanto per fargli saltare i nervi.
“Nami ha detto che nel pomeriggio pioverà.” Più o meno dice le stesse cose che ha già detto Nami. Nonostante io dormissi, ho ascoltato e lei non mi ha punito.
Non la trovo. Mentre aiuto Sanji a ritirare la nostra biancheria, che lui prontamente ha lavato, mi volto verso il punto dove era la nostra navigatrice. Il punto è vuoto. Di lei non ci sono tracce. Uno dei nostri indumenti mi giunge quasi addosso. Cavolo, lo afferro al volo mentre mi accorgo che anche i tre casinaro mancano all’appello. Nonostante non piova ancora, siamo gli unici a farsi vedere sul ponte. Sono solo con Sanji e la cosa, per la prima volta, non mi piace.
“Che hai combinato?” Ecco. Si parla del diavolo…
“Niente.” Non mi occorre chiedergli di cosa stia parlando. In queste due settimane io e Nami abbiamo fatto a gara. Il gioco ‘vediamo chi si ignora di più’ non è passato inosservato. Tutti hanno avuto modo di accorgersi di questo nostro schivarci. I nostri posti a sedere, per i pasti, sono cambiati. Dall’essere seduti accanto, come sempre, lei è andata a sedersi dalla parte opposta, nell’angolo più lontano tra Usop e Rufy a capotavola. Nessuno ha detto nulla, niente domande, battute o altro.
Anche durante il resto della giornata ci schiviamo il più possibile, siamo sempre in due luoghi diversi e se per sbaglio ci incrociamo uno di noi cambia velocemente direzione. Ah no, quello sono solo io. Quello che è successo mi grava addosso come la spada di Damocle. Ho perso me stesso. Sto sbagliando, questo non sono io, non mi riconosco più. Questa è la cosa peggiore.
“Non dire stupidaggini.” Mi rimprovera bonariamente, ma la molletta che mi colpisce in testa mi fa intuire quanto lui sia preoccupato.
“Uno dei nostri soliti litigi.” Quasi mi scoppia da ridere. Sto mentendo e non è la paura che Sanji scopra tutto e quindi metta davvero in atto un suo piano per massacrarmi, mi farei massacrare volentieri, ma non voglio che lo venga a saper, né lui né gli altri. Non credo che Nami lo voglia far sapere, altrimenti sarei già stato evirato da un bel po’.
“Deve essere stato un litigio coi fiocchi allora.” Mi canzona divertito. Sbuffo ignorandolo. So che si riferisce al fatto che io e lei, a tavola, siamo seduti ai due lati opposti. Cosa alquanto strana, non è mai successo in tutto questo tempo, mai. “Dai sul serio, che hai combinato?” Il pensiero di rovesciargli il cesto di vimini, pieno della nostra biancheria pulita, sulla testa è forte. Tremendamente forte. Mi limito a fulminarlo con gli occhi. Lui sorride sarcastico.
“Nulla.” Non mi crede. La sua espressione scettica al massimo lo dimostra. Dannazione. Lo odio quando fa così. “E finiscila di rompere l’anima.” È snervante il ragazzo. Più snervante del solito, quasi quasi lo preferisco quando mi urla contro.
“Chi io?” Mi rimangio tutto. Lo preferisco quando urla, assolutamente.
“No, la fata turchina.” Gli mollo il cesto in mano, lo afferra sorridendo ebete.
“Ah, ecco chi.” Mi sta prendendo in giro? Lo fisso male e mi ridà la cesta tra le braccia.
Non ho mai voluto un fratello, non ho mai avuto un fratello. Questo pensiero non mi è mai passato per la testa, ma al momento mi sembra di averne uno. Acquisito con la forza, certo, ma mi sembra di averne uno. Continuiamo come dei cretini a scambiarci il cesto. Meglio questo che le nostre solite battaglie.
Ho sempre pensato che Sanji fosse snervante. Mi sbagliavo, lo siamo entrambi. Quando ci ritroviamo entrambi col cesto tra le mani ci blocchiamo. La scena è così scema che ci mettiamo a ridere entrambi e molto gentilmente ci diamo degli stupidi a vicenda. In fondo, non è poi così male averlo come fratello.
“Allora?” È il primo a parlare non appena le convulsioni sono finite. Torna su quel discorso che avevamo iniziato prima ma che era rimasto irrisolto. Insistente, snervante. In poche parole, Sanji. Ecco qua che torna a rompere. Il nostro caro cuoco non ha ancora capito che non voglio parlarne. Mi riprendo il cesto lasciandogli le mani vuote.
“Cosa?” Se ne parlassi con lui, perderei completamente la sua fiducia. È l’ultima cosa che ora mi serve, ho già perso la fiducia in me stesso. È solo colpa mia se tutto questo è accaduto, credevo d’aver perso fiducia in Rufy, invece ho perso fiducia in me stesso. Nonostante io sia diventato il miglior spadaccino al mondo, non ho più fiducia nelle mie capacità ora. E l’imminente separazione non aiuta.
“Certo che sei stupido.” Mi strappa il cesto lanciandomi uno sguardo di sfida. “O forse hai combinato qualcosa di grosso e ora hai paura di parlarne.” Il sorriso strafottente che gli delinea le labbra lo conosco troppo bene. Lo sfodera ogni qualvolta vuole farmi sputare il rospo. Di solito gli riesce molto bene questo giochetto, mi fa arrabbiare e io come un pollo ci casco. Questo giro però, mi mordo la lingua. Mi riprendo il cesto e lo lascio di stucco.
“Tu fai troppi viaggi con quella testa bacata che ti ritrovi. Abbiamo avuto uno dei nostri soliti litigi.” E mi guarda come un pesce lesso. Boccheggia addirittura. Mi dispiace caro detective. Non sono poi così scemo come credevi.
“Sanji sei ancora fuori? Vieni dentro che sta per piovere.” Nami si avvicina a noi, è sorridente. Pensava di trovare solo il cuoco, non si aspettava di certo di trovare anche me. Ma non appena mi vede il suo sorriso va a farsi benedire come del resto la mia forza di volontà assieme alla mia capacità di intendere e di volere. È stato solo per un istante, i miei occhi hanno incrociato i suoi, poi ha distolto lo sguardo andandosene. “Sanji dai muoviti.”
Non sono riuscito a capire cosa le passasse per la testa. Nonostante fossi sempre riuscito a leggere nei suoi occhi i suoi pensieri, questa volta non ci sono riuscito. Ma deve avercela a morte con me.
“Per fortuna era un banale litigio.” Guardo ancora il punto dove Nami è sparita, ma non mi sfugge il tono sarcastico che ha usato Sanji. Mi batte una mano sulla spalla e mi sfila il cesto dalle mani. “Vedi di rimettere le cose a posto il prima possibile.”
Ha ragione lui, devo mettere a posto le cose prima dell’arrivo nell’east blue.
Questa volta, quello stupido cuoco, ha vinto.

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Capitolo 7
*** Capitolo VI: Ti voglio bene ***


Capitolo VI AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è adatta a voi.
 
 
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
 
 
 
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Capitolo VI: Ti voglio bene

Come un idiota sto lasciando scorrere il tempo. Domani saremo nell’Est Blue, quel mare che è casa nostra.
Franky ha già lasciato la nave. Due giorni fa ha lasciato la nostra casa scendendo sull’ultima isola che abbiamo passato. Vuole tornare a Water Seven, vuole tornare dal suo maestro, o almeno, nella patria del suo maestro.
Ed ora siamo in sette.
Tra due giorni la ciurma comincerà a dividersi. Ognuno tornerà alla propria isola, ognuno tornerà alla propria vita tranne Chopper. Il nostro medico ha deciso che per il momento si fermerà all’isola di Usop. Sono gli unici che non si separeranno. Anche Robin al momento è ancora assieme a noi, ma il suo è un altro discorso. C’è un luogo, in quel mare che vuole visitare. Nell’Est Blue, come in tutti gli altri tre mari, si nasconde un Poinge Griffe. Lo cercherà, per questo è ancora con noi. Ci accompagnerà a casa e la nave rimarrà a lei al momento. Rufy ha promesso che un giorno torneremo a navigare assieme.
Sinceramente non so se crederci.
Però, ormai è vicino il tempo della separazione ed io non sono ancora riuscito a parlare con Nami. Diavolo, un mese, è passato un mese da quella notte e non sono ancora riuscito a trovare un briciolo di coraggio.
Potevo bussare alla sua porta quando volevo, tanto lei ha una camera tutta sua –la bellezza dell’avere una nave enorme-, però non ci sono mai riuscito. Per quanto ci abbia provato, mi sono sempre bloccato.
Domani sarà l’ultimo giorno, poi cominceremo a disperderci.

*    *    *

La cena è stata più chiassosa del solito e la festa che ne è seguita è stata esilarante, o per meglio dire per me è stata una pugnalata. Rufy, Usop e Chopper hanno esagerato e come al solito è toccato a me ed a Sanji l’ingrato compito di trascinarli a letto. Domani avranno un mal di testa atroce.
Non sono io quello a dover star sveglio stanotte. Robin e Sanji faranno il turno di notte ed io potrò finalmente riposare. Dormirò nel letto di Franky stanotte. Da quella notte non sono più riuscito a dormire nel mio di letto. Nonostante Sanji abbia lavato più volte le lenzuola, non sono mai riuscito ad avvicinarmi a quel letto.
“Robin-chan, vado a preparare un po’ di caffè.” Sanji, gli occhi a cuore –ancora mi chiedo come cavolo ci riesca-, si dirige di corsa verso la cucina. In tutto questo tempo non è mai cambiato.
“Buona serata.” Auguro a Robin la buona notte. Avrà il suo bel da fare per tenere a bada quel cuoco da strapazzo.
“Spadaccino…” Mi blocco. “Spero farai buon uso di questa notte.” Se ne va lasciandomi solo.
Il suo è un chiaro invito. Tutti si sono accorti dell’aria tesa che si è creata tra me e Nami. Nelle prime due settimane mi ha quasi fatto comodo il non parlarle, ma ora, queste ultime due settimane non mi sono poi andate così a genio.
Avanzo chiudendomi la porta che si affaccia sul ponte alle spalle. Ora ho due possibilità, proseguire fino alla mia stanza e barricarmici dentro, oppure fermarmi prima. La sua stanza è due porte prima della mia, sulla sinistra.
Se mi fermassi dovrei bussare a quella porta e poi trovare il coraggio per scusarmi. Non so cosa sia peggio, se il dovermi scusare o trovare il coraggio per fare tutto questo. Poi, potrei andarmene in camera mia, fare finta di nulla e stop.
La soluzione più comoda? No, la più semplice.
Però, domani è un altro giorno, così dicono tutti. Ma domani non è un altro giorno, domani è il giorno. E se non riesco a fare questa cosa questa notte, non ne avrò più l’opportunità.
Quindi…la soluzione diventa irrimediabilmente una.
Trovare il coraggio per fare tutto questo è la priorità. Non so se ne sarei in grado. Chiedere scusa non è da me, ma neppure quello che ho fatto è da me. Ho fatto una cavolata, anzi, stronzata è il termine migliore. Mai mi sarei permesso di alzare anche solo le mani su di una donna, poi su Nami era ancora più impensabile.ripensando a quello che ho fatto mi sembra impossibile.
Ancora una volta la mia scelta si divide in due strade: bussare ed aspettare che Nami mi risponda ed ancor di più che mi stia ad ascoltare, oppure, potrei entrare con la forza. Nami nell’ultimo mese chiude a chiave la porta della sua stanza e questo significherebbe doverla buttare giù per poterle parlare, che equivalerebbe ad attirare l’attenzione di tutta la ciurma. Scardinare una porta è alquanto rumoroso.
Prendere il coraggio a due mani.
Me lo ripeto più volte e busso. Busso alla sua porta e mi viene da ridere. Di sicuro mi riconoscerà al volo, sono l’unico a bussare così energicamente, non mi aprirà mai. Farà finta di dormire o forse starà davvero dormendo. Mi sbaglio. Sento la serratura scattare e la maniglia abbassarsi. Non posso lasciarmi scappare questa opportunità, è l’unica che ho. Il suo volto mi appare un po’ per volta mentre apre la porta, non appena si accorge che sono io la richiude, o almeno ci prova. I miei riflessi sono più lesti dei miei pensieri.
Frappongo il piede tra la porta e lo stipite, posso sentire la pressione che Nami tenta di esercitare col suo corpo, una debole pressione. Una spallata, o per meglio dire mi appoggio appena alla porta e spingo, mi ritrovo dentro la sua stanza in pochi secondi. Chiudo velocemente la porta alle mie spalle, non voglio intrusioni di alcun tipo, e mentre sento la serratura scattare i passi di Nami giungono alle mie orecchie. È indietreggiata e non la biasimo. L’ultima volta che io e lei siamo rimasti soli non è stata una grande idea. Ma il suo sguardo è determinato, impugna uno dei suoi strumenti come un’arma. Non ha nemmeno un quarto della potenza di un semplice bastone, eppure ora per lei è l’unica ancora di salvezza. Me ne rimango immobile davanti alla porta. Non riesco a guardarla negli occhi.
“Nami..” mi avvicino di un passo e lei arretra di tre. Non mi ci vorrebbe molto per raggiungerla, gli uomini hanno le gambe più lunghe ed io sono veloce. Mi fermo dopo appena un altro passo e la distanza tra noi aumenta ancora un po’. Quella cosa che Nami mi punta addosso è ancora lì, e posso vedere le sue nocche sbiancare dalla pressione che esercita su di essa.
“Vattene.” È un ordine quello che ricevo. Vuole che me ne vada, ma non posso, non voglio andarmene. Se me ne andassi significherebbe che sono stato sconfitto, ma ancor di più significa che non riuscirò mai più a farmi perdonare e perderò un’amica. Una delle poche persone che in tutta la mia vita mi è stata vicina e che, soprattutto, mi ha sempre capito.
“Non doveva andare così.” Non è esattamente la migliore frase di scusa esistente al mondo. Non sono uno che chiede perdono. Non sono abituato a farlo, neppure adesso, neppure in questa occasione riesco a sbloccarmi. Ho ripreso un po’ di fiducia in me stesso, ma non mi è d’aiuto. In questo istante non mi serve a niente.
“Già. Ma è stato comodo, no?” il suo tono sarcastico mi ferisce più di quelle parole velenose che mi sputa addosso. E fanno male. “Com’è stato? È semplice no?! Se non si può avere qualcosa basta usare la forza. Usate quella e tutto è automaticamente tuo, come se bastasse solo quello.”
fanno dannatamente male le sue parole. Incasso il colpo e me ne sto zitto. Meriterei di peggio. Forse, se mi consegnassi spontaneamente a Sanji riceverei la giusta punizione. O forse, la colpa che sento è la giusta punizione per tutto quello che è accaduto in questo periodo. Se Rufy sapesse di questo mi odierebbe. Tutti i componenti della sua ciurma sono intoccabili, ma Robin e soprattutto Nami, lo sono ancora di più. Ma se sapesse che è stata la sua decisione a decretare tutto questo, cosa farebbe?
“Non…non volevo.” Rufy non ha colpa. Nessuno mi ha costretto a comportarmi così. Realizzato il mio sogno potevo benissimo tornarmene alla mia vita. Ma la mia vita, la vita reale è iniziata quando ho incontrato Rufy. In questi ultimi otto anni ho vissuto la mia vita grazie a Rufy. Lui non ha colpa, solo io sono il fautore del mio destino. “Non era quello che volevo. Non volevo farti del male.”
“Ah no?” Mi fissa con uno sguardo così tagliente che ferisce più di quelle tre lame appese al mio fianco.
“No.” Lo ribadisco. Lo esterno a parole e lo sento dentro. Non volevo tutto questo. Non doveva succedere ma è accaduto e la cosa fa più male a me che a lei. “Ho sbagliato. Non dovevo farlo, non dovevo azzardarmi a fare una cosa così simile. Non è da me e mai mi sarei permesso. Solo…” È così difficile dirlo, esternare le mie paure è una cosa così insolita per me. Se gli altri capivano ciò che si agitava in me, quello che pensavo, bene. Ma non sono, esattamente, uno specchio. Se mi guarda un occhio estraneo non riuscirebbe mai a capire quello che mi accade, le battaglie che il mio spirito affronta. Per loro sono Roronoa Zoro, lo spadaccino più forte al mondo, colui che ha sconfitto Mihawk e non un essere umano. Per gli altri sono solo questo. “Ho sbagliato.” Abbasso lo sguardo ammettendo la verità. Io ho fatto lo sbaglio, ma è lei a subirne le conseguenze. Serro i pugni, gli occhi chiusi. Mi aspetto da un momento all’altro una parola, una frase tipo ‘no, non ti scuso’ ma non è questa la reazione che mi aspettavo.
Le sue esili braccia mi avvolgono. Il calore del suo esile corpo si unisce al mio. Non capisco il perché, ma il suo calore mi avvolge. Non ho mai ricevuto un abbraccio di questo genere. Non è pietà, la odierei se provasse questo per me, ma sembra amicizia, quell’amicizia vera, il simbolo di Rufy. Non il simbolo visivo, quello è il cappello, parlo del simbolo morale. L’amicizia, pura nella sua semplicità, quello è il simbolo, l’amicizia è il reale significato di questa ciurma. Rufy ha iniziato questo viaggio, non per viaggiare con persone sconosciute, voleva una ciurma di veri amici. Per lui questa è la cosa più importante, l’amicizia, nonostante nessuno di noi sappia nulla sugli altri. O almeno, non sanno nulla su di me, lo stesso Rufy non mi ha mai chiesto nulla.
Vorrei, dovrei parlare, dirle qualcosa, ma so che qualunque cosa dirò rovinerà tutto. Me ne sto zitto, ricambio la sua stretta ed appoggio il volto sul suo capo. Il suo profumo mi inebria i sensi. Non trema, non ha paura di me, di quello che potrei farle ancora. Questa cosa un po’ mi consola.
Credo che stanotte riuscirò a dormire.

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Capitolo 8
*** Capitolo VII: La patria del nulla ***


Capitolo VII La patria del nulla AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è adatta a voi.
 
 
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
 
 
 
La Sabbia della Clessidra


Capitolo VII: La patria del nulla



“Ehilà Zoro.” “Buongiorno Zoro.” “Come andiamo Roronoa?”
Ovunque io mi volti, qualunque persona incroci sul mio cammino, mi saluta. Nel senso che mi saluta con un sorriso, un cenno del capo e a volte mi ritrovo sommerso da amichevoli pacche sulle spalle.
Non ci sono abituato.
Fino a qualche tempo fa le persone che incrociavano il mio cammino o non mi badavano, oppure, terrorizzate, scappavano vedendo davanti a loro Roronoa Zoro il ricercato, l’ex cacciatore di pirati. Certo, ora ho un nuovo titolo, miglior spadaccino del mondo, compagno del re dei pirati.
Non dovrei incutere più paura ora? Le persone non dovrebbero tremare solo al pronunciare del mio nome?
Sembra proprio di no.
Qui, in questo piccolo villaggio, in un’altrettanto piccola isola dell’East Blue, vengo considerato una sorta di celebrità. Non so se esserne fiero, ma a volte i loro gesti mi fanno sentire a casa, come se non fossi mai sceso dalla nave. Certo, più che saluti gioiosi su di quella imbarcazione ricevevo pugni, insulti e calci, ma non è poi tanto male nemmeno ora.
O no?
Alle volte però mi chiedo se mi saluterebbero ancora così, con tutti questi sorrisi, se sapessero cosa mi passi per la testa, o cosa abbia combinato su di quella nave.
“Oh, eccoti.” Una sberla mi arriva sulla nuca. “Ti sei perso di nuovo?”
Non c’è bisogno che mi volti, saprei riconoscerla anche senza sentirla parlare. Ma mi giro fulminandola con lo sguardo. E lei mi sorride sarcastica, sbuffa alzando gli occhi al cielo terso, le mani poste sui fianchi.
“Sei tu quella che è sparita nel nulla.” Provo una debole protesta sapendo bene che tanto sarà lei ad avere l’ultima parola, come sempre del resto. Ed infatti mi osserva scettica, un sopracciglio levato verso l’alto. Non occorre che parli e non ne ha nemmeno la possibilità.
“Dai Nami, lascialo in pace per una volta.” Nojiko la riprende bonariamente.
Sono diverse tra loro eppure qualcosa le accomuna.
“Ma se si perde anche in casa.”
Vorrei ribattere ma non ne ho la possibilità. Quella strega mi ha affidato l’ennesima sporta e veloce si sta allontanando. Nojiko ride alzando le spalle divertita. A lei piacciono questi nostri siparietti comici, posso intuirlo da come si fa attenta ogni qual volta io e Nami cominciamo a battibeccare e sono più che sicuro che non sia l’unica a pensarlo.
Silenzioso mi avvio dietro alle due sorelle. Se dovessi perdermi ancora credo proprio che Nami mi ucciderebbe.


*        *        *


La serata è piacevole.
Il clima di quest’isola è davvero una piccola manna dal cielo. Dopo aver affrontato l’atmosfera così strana e surreale che regna nella Grand Line, un piccolo fuori programma, provvisto di sole ed aria fresca, è quello che ci vuole.
Erano otto anni che non mettevo piede in questo villaggio. Non che prima ci venissi così spesso, anzi c’ero stato una sola volta e non era di certo un’occasione felice. Ma credo che chi sia stato più felice di rivedere questo piccolo isolotto e le persone che lo abitano sia stata Nami.
Credo sia bello tornare alla propria isola, rivedere le persone che hanno segnato la tua vita, rivedere semplicemente la propria terra.
Io non so più quale sia la mia patria.
Credevo fosse quella nave che per anni ci ha ospitato, ma mi sono sbagliato. Tornare alla mia isola? Non so nemmeno dove possa essere, non sono mai stato bravo con le direzioni e poi, a cosa servirebbe tornare? Sono diventato lo spadaccino più forte del mondo, ha mantenuto la mia promessa, ma in realtà mi sento tutto tranne il migliore.
“Credevo stessi dormendo.” Nami si avvicina a me, sbadiglia rumorosamente.
Ancora adesso, nonostante siano passati due mesi dalla notte in cui io e lei abbiamo chiarito, non riesco a dormire, ma questa volta non è solo il senso di colpa ad impedirmelo, una sensazione strana mi attanaglia lo stomaco, come se mi stessi dimenticando di qualcosa.
“Si sta bene qua fuori.” Rispondo con una frase già sentita, di quelle preconfezionate. Ma non è del tutto una bugia, mi piace davvero il mite clima di quest’isola e qui, sotto al piccolo portico di legno della casa di Nami, il vento arriva piacevole trascinando con se l’odore dolciastro degli agrumi.
La osservo con la coda dell’occhio sedersi accanto a me. La leggera maglia che indossa è troppo grande per lei. Mi accorgo solo ora che quella è una mia maglia.
“Ti sta bene.” La canzono stuzzicandola appena.
“Meglio a me che a te.” Impudente e sfacciata. Come sempre è lei ad avere l’ultima parola. Non posso che esserne contento, anche se la sensazione che non mi abbia completamente perdonato sia forte.
Quando un mese fa mi ha chiesto dove fosse la mia isola ho semplicemente alzato le spalle in un’espressione di puro menefreghismo. Ma non sono riuscito ad incantarla ed una settimana dopo mi sono ritrovato a scendere con lei.
Il motivo? Non l’ho capito.
So solo che per mia fortuna, o forse solo per grazia verso le mie costole, a bordo della nave oltre a noi due c’erano solo Rufy e Robin.
“Allora?”
La domanda mi coglie impreparato, o forse mi sono perso qualche pezzo. “Cosa?”
Sbuffa infastidita mollandomi un pugno. “Che hai deciso?” Massaggio la spalla contusa imprecando sonoramente e capisco il significato di quella frase.
Per un colpo di genio, o forse solo perché il fato si vuole burlare del sottoscritto, ho ricordato il nome del mio paese natale. A Nami è bastato molto poco per individuare la mia isola, in fin dei conti è lei il miglior navigatore, anche perché altrimenti Rufy non l’avrebbe scelta. Ma ora, devo decidere quando partire, perché tutti vogliono tornare alla propria isola, dalla loro famiglia.
Tutti, tranne il sottoscritto.
“Certo, se ti lascio andare da solo col cavolo che ci arrivi.” Mi canzona divertita. “Quindi credo che ti accompagnerò, almeno so dove finirai, se ti lasciassi partire credo che saremmo in grado di ripescarti nella Grand Line.”
Sorride sarcastica ed io non posso fare a meno di fulminarla con lo sguardo, ma lascio cadere il discorso. Non ho voglia di litigare, o forse non voglio semplicemente pensarci.
“Molto magnanima.” È palesemente delusa la sua espressione. Mi dispiace Nami, ma questa volta ho vinto io.
La guardo alzarsi mentre una nuova ventata d’aria fresca mi sbatte in faccia il profumo pungente di Nami misto a quello della maglia che indossa, il mio.
“Ah…” La sua voce mi giunge alle orecchie, non posso fare a meno di voltarmi verso la sua figura. “Questo ti costerà parecchio.” Rientra in casa lasciandomi come uno scemo fuori a fissare il punto in cui è sparita.
“Strega.”
Mi sono sbagliato.
Ha vinto ancora una volta lei.

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII: Respirare ***


Capitolo VIII Respirare

AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è adatta a voi.
 
 
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
N.B. Si lo so, avevo deciso di non scrivere più su OP, ma lasciare questa storia incompleta rode. Per cui torno a postare un nuovo capitolo, per la gioia di qualcuno. Non so però se ritornerò a scrivere altre storie su OP, magari sì, magari no.
 
 

La Sabbia della Clessidra




Capitolo VIII: Respirare

Piove.
Un ricordo, seppellito nel mio animo, mi torna alla mente. Torna a galla e non se ne va, non vuole lasciarmi in pace ed io rimango immobile a lasciarmi travolgere. Annego in questo ricordo dal gusto amaro come una zattera affonda in una tempesta.
Anche quel giorno pioveva.
Quando il mio sensei mi disse di Quina pioveva a dirotto ed io verso nelle stesse condizioni di allora. Bagnato, la maglia appiccicata alla pelle, i vestiti zuppi ed il cielo scuro. Non ci sono stelle questa sera, non c’è la luna e l’unica luce che mi illumina è quella dei fulmini.
Ricordo di aver pianto mentre chiedevo la sua spada, ricordo anche che non volevo crederci all’inizio. Mi sembrava tutto un incubo.
La realtà assomiglia ad un sogno terrificante.
Ho davvero mantenuto la promessa Quina?
Lo spadaccino più forte del mondo. Lo sono diventato davvero e dovrei essere fiero, dovrei sentirmi bene, ma mi sento solamente sprofondare nel nulla.
Non riesco ancora a vederla, il fantasma di Quina mi ha abbandonato. Non posso di certo biasimarla, nemmeno io se potessi mi rimarrei accanto.

*    *    *


La palestra del sensei non è cambiata. Mi chiedo se ancora adesso faccia pulire il pavimento ai poveri allievi. Io c’ho sputato sangue su questi pavimenti per pulirli.
Ho lasciato quest’isola a diciassette anni per seguire un sogno, ci sono tornato dopo più di dieci ma non come vincitore.
Il sensei non è cambiato per niente, è solo invecchiato, ma il suo animo è sempre lo stesso. Ci ha accolti in casa sua come se fossimo qui tutti i giorni. Ne sono sicuro, ha capito che qualcosa mi turba nel profondo ma non ha fatto domande.
Ad ogni passo che faccio gocciolo acqua sul legno.
La casa è buia eppure quando entro nella stanza Nami è lì che mi aspetta. Non parla, si limita a gettarmi un asciugamano sul capo ed in pochi istanti mi ritrovo le sue mani addosso, mi asciuga la testa e la lascio fare.
“È la figlia del mio sensei.” Mi ritrovo a snocciolare così, su due piedi, quello che non ho mai detto a nessuno in vita mia. “Quina aveva due anni più di me e anche lei si allenava qui.” Nemmeno Jhonny e Yosuako conoscono questa storia.
Nami continua a strofinare l’asciugamano sui miei capelli anche se non ce n’è più bisogno. Ormai sono asciutti, ma non accenna a toglierlo. Meglio così.
“È sempre stata più brava di me.” Sorrido ricordando tutte le volte che mi ha sconfitto. Sì, Quina era più forte di me. “Per quanto ci provassi non sono mai riuscito a batterla…” Mi manca la voce. “Non potrò mai batterla.”
Ha fermato le mani  ma non accenna a spostarle. Stringo i pugni in una morsa ferrea, nemmeno quando uso le mie spade serro così forte i pugni, sento le dita formicolare e qualcosa mi pizzica gli occhi.
Ricordo ancora il giorno della promessa, ricordo le sue lacrime, ricordo la sua confessione e ricordo la rabbia che mi aveva invaso.  Mi ero sentito preso in giro, ma ero solo un bambino. Il mondo all’epoca mi sembrava trasparente, prima bianco, poi nero. All’epoca non ero in grado di vederne i colori.
Ora mi sento solo uno stupido.
“È morta prima che potessi riuscire a batterla.” Quina è morta prima che potessi capire il significato delle sue parole.
Il giorno prima c’era, il giorno dopo giaceva col volto coperto da un panno bianco…morta.
“È a lei che hai fatto quella promessa?” Apro gli occhi di scatto, qualcosa di bagnato scivola lungo il mio volto ancora coperto. “È a lei che hai promesso di diventare lo spadaccino più forte del mondo?”
Non ho la forza di rispondere. La voce di Nami è carezzevole e dolce, è come un balsamo per il mio animo. Qualcosa di bagnato ancora solca il mio viso, ripercorre il tragitto già segnato prima dalla sua gemella e muore nel cotone dell’asciugamano.
Le sue mani scivolano leggere lungo il profilo del mio viso, ancora coperto, fino a posarsi sulle mie spalle. È sempre stata brava a capirmi  Nami,  mi ha sempre compreso e mi è sempre rimasta accanto.
Mi lascio avvolgere dal suo calore e l’asciugamano scivola via dal mio viso, atterra con un leggero tonfo sul legno del pavimento.
La stringo a me ed ho paura di farle male, ma non si allontana. Sento le sue braccia stringersi di più attorno alle mie spalle. Affondo il volto tra i suoi capelli e tremo appena. Con stupore mi accorgo di stare piangendo. Non credevo di esserne ancora in grado, ma il sapore salato delle lacrime mi bagna le labbra e non mi lascia alcun dubbio.
La mia clessidra ha smesso di gocciolare sabbia. Sembra impossibile ma quei pochi granelli che ancora mancano per svuotare completamente la metà superiore non scendono,  rimangono sospesi.
In questo momento mi sento meglio.

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Capitolo 10
*** Capitolo IX: Cicatrici ***


Capitolo XI: Cicatrici AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è adatta a voi.
 
 
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.

N.B.: Premetto che non sono morta anche se può sembrare il contrario. Purtroppo impegni mi tengono distante dal mondo dello scrivere, impegni che si dovrebbero risolvere entro un mesetto circa (giorno più, giorno meno).
Il capitolo è dedicato a Rolo che continua a spronarmi a continuare a scrivere, anche se sono delle minacce più che altro :P

 
 
La Sabbia della Clessidra


Capitolo IX: Cicatrici


Se chiudo gli occhi riesco quasi a sentire l’odore pungente del mare.
A volte ho come l’impressione di non essere mai sceso dalla Sunny, anche se qui, nulla si muove. Lì, in mezzo al mare blu, tutto si muoveva ed il legno a volte scricchiolava.
C’era uno scalino che scricchiolava. Ho sempre dimenticato di farlo presente a Franky.
Ma qui, ora, è tutto completamente diverso.
C’è silenzio, e calma, e tranquillità. Non mi ci sono ancora abituato, troppo poco tempo è passato, eppure ormai sono ben sei i mesi trascorsi da quel giorno. Il giorno in cui scesi da quella nave dalla buffa polena.
Forse è trascorso troppo tempo.
Forse ne è trascorso troppo poco.
Per me.
“Ehi…” Alzo a malapena il capo. So già chi è. Nami mi si avvicina a piedi scalzi, silenziosa. Strano,  lei non è mai silenziosa.
“Ehi.” Risuona incerta la mia voce nel buio di questa stanza. Nami e Nojiko sono state così gentili da ridarmi la stessa stanza che mi aveva ospitato prima di quel breve viaggio verso la mia isola.
“Non l’hai aperta.” Non occorre che dica il soggetto, so già di cosa stia parlando.
Sulla piccola scrivania appoggiata alla parete c’è qualcosa che non voglio vedere. È lì però, non ho avuto il coraggio di aprirla, ma non ho nemmeno avuto il coraggio di buttarla anche se il mio primo pensiero era proprio quello. Seguo involontariamente la direzione dello sguardo di Nami. Incontro una busta bianca stropicciata.
L’ho stretta così tanto forte nella mia mano da averla resa più un foglio accartocciato che una lettera.
Reazione inconsapevole la mia?
No.
Avrei voluto disintegrarla.
Un mio sospiro si alza nell’aria, si unisce al respiro profondo di Nami. Senza accorgermene mi ritrovo a stringere una sua mano, come se fosse un’ancora. Forse lo è davvero, forse lei è l’unica cosa reale in questo momento, in questa stanza. Se lei non fosse qui mi verrebbe da pensare che gli ultimi otto anni siano stati solo un sogno, una bellissima chimera macchiata di sangue e sudore. Di lacrime.
“Mi dispiace.” Lo sussurro così piano da credere che non mi abbia sentito, ma Nami mi ha sentito. Lei mi ha sempre sentito, anche quando ero io stesso a non volermi sentire. La sua mano tra la mia è calda e liscia. La sua presa è forte ma con un tocco leggero, così differente da quello a cui sono abituato. Se ne rimane in silenzio, a due passi da me.
“Dovresti finirla…” Tentenna per un attimo ed il mio fiato si congela in gola. “Dovresti smetterla di punirti.” Scuoto il capo ed abbasso gli occhi fino ad incontrare le nostre mani intrecciate. È così piccola in confronto alla mia, quasi si confonde ed ho paura di farle del male, di stringere troppo. Gliene ho già fatto fin troppo di male in questi anni.
“Zoro…” Si avvicina di un passo ed io mi ritrovo a sciogliere la presa. Terrorizzato come uno stupido coniglio. “Zoro.” Ripete ancora il mio nome si avvicina di un altro passo. La distanza di un sospiro a dividerci. Annego nei suoi occhi e la bacio, con le labbra, con la lingua. La bacio e non mi respinge.
“Mi dispiace.” Lo sussurro ancora sulle sue labbra e questa volta è lei a baciarmi. La stringo a me con forza realizzando all’improvviso la sua consistenza. Non è un sogno…
Indugio. Mi sento come uno stupido verginello. La paura di fare qualcosa di sbagliato, di commettere ancora lo stesso errore è enorme, come una voragine pronta ad inghiottirmi, mi sento sull’orlo dell’abisso e sprofondo quando mi fissa. Gli occhi appannati eppure vigili, e lì, nel fondo, la risposta che cerco.
Le bacio ancora le labbra, glielo succhio fino a farla gemere ed entro nella sua bocca con dolcezza.
La pelle di Nami è liscia sotto le mie mani, ed è calda, tenera. Un fuoco che mi brucia l’animo, ma è una tortura a cui mai smetterei di pormi. Se è lei, il mio inferno, allora mi immergerei per tutto il resto della mia vita, per l’eternità.
Non c’è questa volta l’urgenza di un bisogno che non so spiegare.
Mi stacco di poco solo per poterle sfilare la mia maglietta. Sorrido ancora nel pensare che sta meglio a lei che a me quella maglietta e torno ad impossessarmi delle sue labbra al mandarino.
Lento ed estenuante forse, ma non ho alcuna fretta. Voglio vivere questa esperienza con lucidità, non con la furia o la rabbia.
Nami mi asseconda, si muove in sincronia col mio corpo ed in pochi passi ci ritroviamo accanto al letto. Ed è tutto naturale, come se fossi nato per fare quello, come se fosse tutta la vita che aspetto questo momento. Le mani che esplorano, le gambe che si intrecciano, labbra che baciano, lasciano scie di fuoco impresse sulla pelle come marchi che mai se ne andranno. Stampi di fuoco che alleviano un dolore che risiede da troppo tempo dentro di me.
Tremo.
Mi bacia ancora non sazia e scivolo dentro di lei. Mi perdo ancora e mai perdita fu più dolce.

*    *    *

All’avventura.
Rufy lo ripeteva sempre, ogni isola che incrociavamo per lui era un’avventura. Un’avventura finita. O almeno così credevo.
La lettera riporta una promessa che non credevo avrebbe mantenuto.
Sta tornando a prenderci. Lo ha scritto ed è già in viaggio verso le nostre isole. Vuole ricostruire la ciurma, la ciurma di Cappello di Paglia. Non ho capito cosa stia cercando, cosa dovremmo cercare, ma va bene così.
“Zoro…” Dal letto sfatto Nami mi fissa. Mi scollo dalla finestra e torno verso di lei. La luce del sole non è ancora sorta e le stelle fanno da padrone nel cielo.
“È ancora presto, dormi.” Mi rifugio nel mio porto sicuro, torno sotto a quelle coperte ed il letto scricchiola appena sotto al mio peso. Torna ad accoccolarsi contro di me rabbrividendo appena, ma è solo un attimo. Le accarezzo con un dito un braccio seguendone il profilo fino ad incrociare la cicatrice sulla sua spalla.
Chiudo gli occhi e la figura di Kuina mi raggiunge. Mi sorride ed io le sorrido.
Una cicatrice sul mio cuore si sta rimarginando.













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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Epilogo AVVISO: questa storia è una sorta di prova. Voglio vedere fino a che punto riesco a spingermi, e sarà il trampolino di lancio per un’altra storia cruda. Quindi sono d’obbligo critiche e consigli per migliorare.
Avviso già che vi saranno almeno un paio di scene dure e i pensieri del personaggio principale potrebbero risultare in alcune situazioni troppo pesanti o, cattivi, se si può dire. Quindi avverto che la lettura, se siete troppo sensibili o puri, non è adatta a voi.
 
 
I personaggi di One Piece non sono miei ma di Oda, io li uso solo per puro diletto e puro piacere personale.
 
 
 
La Sabbia della Clessidra



Epilogo


“Sì, andiamo all’avventura.”
“Rufy,  non fare cose avventate…ma dove vai?”
Rufy urla, Nami lo sgrida.
Mi scappa un sorriso nonostante tutto. Credevo che mai più avrei vissuto queste scene, che mai più avrei potuto vedere tutti loro, insieme ancora una volta.
“Ehi, marimo.” Sanji. Scuoto appena il capo ma sorrido ancora, mi suona strano dirlo, ma mi è mancato anche lui. L’unico che in tutta questa storia ha cercato, anche se con metodi poco ortodossi e che a me non dispiacciono, di dare una mano nel suo piccolo.
“Che vuoi sopracciglio a ricciolo?” Litigare è il mio motto del giorno, una bella scazzottata come ai bei vecchi tempi. Ma non mi da corda.
Mi fissa così intensamente da crearmi disagio.
Da quando siamo tornati a solcare il mare, tre settimane ormai, lo trovo spesso a scrutare pensieroso il nulla davanti a lui, come se ci fosse qualcosa che lo assilla. Nami dice che non è niente, o che forse ha qualche perplessità su noi due.
Quando Rufy ha raccattato anche il cuoco si è lasciato sfuggire dove avevo vissuto per tutto quel periodo.
Non credo sia stata un buona idea, ma ho molto apprezzato la scazzottata che ne è seguita.
“No, nulla…” E se ne va lasciandomi come un ebete, fermo a fissarlo andare via.
“Zoro.”
Mi volto e la vedo. Dietro a lei Rufy è steso a terra, probabilmente Nami lo ha fermato a modo suo. Sorrido ancora ed aspetto che si avvicini.
“Problemi?” Me lo chiede con un sorriso. A quanto pare non le è sfuggita la breve conversazione avuta col cuoco. Nego col capo e torno a fissare la figura del biondo, troppo impegnato ad adulare Robin per accorgersi di noi.
Mi sbaglio.
Lo vedo voltarsi appena verso di noi, ma è una cosa veloce, troppo forse. Eppure mi è sembrato di averlo visto sorridere.
Nami mi supera ed io mi ritrovo a seguirla.
 “Nami-san!” Ed eccolo, occhi a cuore e le sue frasi smielate. Sanji torna se stesso in pochi secondi, come se niente fosse si prodiga in un inchino con baciamano, cosa che non gli riesce. Nami si scosta e si affianca a Robin per poi proseguire dirette verso qualche locanda ed io fisso il cuoco ancora seduto a terra.
“Sei una grandissima testa di cazzo.” Ha ragione. Si accende una delle sue amate sigarette e io rimango in silenzio per poi offrirgli la mano per rialzarsi. “Si doveva arrivare a questo punto per farti entrare un po’ di segatura in quella testa bacata.”
Lo mollo di colpo facendolo tornare col sedere a terra.
“Stupido marimo!”
“Urli come una ragazzina.” Ghigno e gli volto le spalle seguendo il gruppo che ormai dista qualche metro da noi.
Sanji mi raggiunge ma la battaglia è rimandata, almeno per il momento.
Nami rallenta un po’ l’andatura ed io mi affianco, come se fosse casuale, come se fosse una cosa normale. Gli altri non ci fanno caso, continuano a camminare parlando di questo nostro nuovo viaggio. La meta? Non lo so, ma poco mi interessa.
La mia clessidra si è capovolta e la sabbia scende lenta ed inesorabile.
Ma va bene così, finchè sono con loro.





Fine



Angololetto:

Finish!!!!!!!!!!!!
Allora, il capitolo non mi piace, ma va bene così. Forse se avessi scritto qualcosa di diverso sarebbe suonato peggio quindi tengo questo finale. Per la gioia di qualcuno, non faccio nomi, potrebbero esserci delle one-shot ricollegabili ai periodi in cui non viene raccontato nulla, ma non assicuro nulla.

Ringrazio tutte/i coloro che l’hanno seguita, sopportando le mie sclerate mentali, chi ha recensito ed aggiunto tra le varie opzioni e anche chi ha solamente letto.

Per ultimo, ma non perché meno importante:
questo capitolo è dedicato a Rolo, che mi sopporta, fa pubblicità occulta, e mi sostiene nonostante ci abbia messo anni per finire sta cosa :)

GRAZIE ROLO!!!!!!!!!!!!!!!

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