Trapped under ice

di Opalix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I: Master of puppets ***
Capitolo 2: *** Some kind of monster ***
Capitolo 3: *** The thing that should not be ***
Capitolo 4: *** All within my hands ***
Capitolo 5: *** The memory remains ***
Capitolo 6: *** Parte II: Where the wild things are ***
Capitolo 7: *** My world ***
Capitolo 8: *** For whom the bell tolls ***
Capitolo 9: *** Invisible kid ***
Capitolo 10: *** Parte III: Harvester of Sorrow ***
Capitolo 11: *** Last Caress ***
Capitolo 12: *** One ***
Capitolo 13: *** Unnamed Feeling ***
Capitolo 14: *** Devil's Dance ***
Capitolo 15: *** Through the never ***
Capitolo 16: *** Parte IV: Dirty window ***
Capitolo 17: *** Slither ***
Capitolo 18: *** Killing time ***
Capitolo 19: *** The Unforgiven ***



Capitolo 1
*** Parte I: Master of puppets ***


PARTE I: MASTER OF PUPPETS

INTRODUZIONE

Sono un Cantastorie. E sono qui… per raccontarvi un sogno.

Venite signori… mettetevi comodi, presto: gli attori iniziano a calcare il palcoscenico.
Avvicinatevi! Vedete? Che sorpresa: gli attori non sono altro che piccole marionette… tra le mani del Maestro Burattinaio prenderanno vita, i loro visi di legno incominceranno a muoversi, e ad uno ad uno inizieranno a parlare. Rimanete ad ascoltarli signori, vi prego… essi vi racconteranno la loro storia. Uno ad uno parleranno, si faranno odiare, amare, compatire… e poi vivranno, ameranno, sogneranno e, perché no, moriranno per voi! Chi avete odiato amerete, chi avete amato detesterete… perché così è la storia che vi voglio raccontare, così va il mondo che in sogno mi è apparso.

Sono un Cantastorie, signori. Ma ora mi inchino e lascio la scena: i miei attori si presentano.

Master of puppets I'm pulling your strings
Twisting your mind and smashing your dreams
Blinded by me, you can't see a thing
Just call my name, 'cause I'll hear you scream
[...]

Needlework the way, never you betray
Life of death becoming clearer
Pain monopoly, ritual misery
Chop your breakfast on a mirror

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Capitolo 2
*** Some kind of monster ***


PARTE I

CAPITOLO 1: SOME KIND OF MONSTER

Chi ero non ha più nessuna importanza…

Cosa mi aspetta nel futuro ne ha ancora meno, poiché posso affermarlo con certezza assoluta: dannazione eterna… null’altro.

Chi sono io? Chi sono adesso?
Questa è la domanda che grido nel vento stanotte, mentre la mia vita scivola sulle acque stagnanti di un fiume senza senso e direzione… senza nessun possibile approdo al mondo reale.
Sono un animale ferito, che si dibatte nella sua gabbia galleggiante nel nulla… una bestia incatenata, dormiente, che si risveglia solo quando le viene ordinato di uccidere; sono un essere che si nutre solo della propria, incomprensibile, crudeltà e non ha quasi più nulla di umano…
Io sono colei-che-non-ricorda, è così che sono stata chiamata a volte… colei che non ricorda più il suo passato, non può ricordare che forma ha un sorriso, nè cosa significa davvero vivere…

Mi chiamano Sonja, ma è un nome che ho scelto io, un nome dolce e innocente, per una donna che non può sapere neppure come si pronuncia la parola “innocenza”.
Vivo a Mosca ora, ma non ho sempre vissuto qui… nella mia mente conservo confuse immagini di colline verdeggianti, nebbia dolce e fresca pioggia in primavera… sono paesaggi che talvolta mi appaiono nei sogni.
Conosco il russo alla perfezione, certo, ma so che la mia anima, se ancora può esistere qualcosa di vagamente simile all’anima dentro di me, sobbalza quando sento i suoni stranieri della lingua inglese.
Il russo non è la mia lingua, la Russia non è la mia patria… e Sonja non è il mio nome: queste sono le poche, squallide, certezze del mio presente.

Non credo di poter fuggire da questa gabbia dorata, ma non posso dirlo con certezza, perché in realtà non ricordo di aver mai provato. Mi accontento di uscire ogni tanto, senza che mi sfiori mai la tentazione di non fare ritorno. Mi accontento di brevi cavalcate fuori città o di guardare il mondo seduta sul davanzale di una finestra dalla quale si vede tutta Mosca, si vedono i babbani che la abitano, si vede la vita che va avanti, giorno dopo giorno, scivola tranquilla sotto i miei occhi, lasciandomi immutata…
Non so quanti anni ho. Non ricordo di essere mai stata bambina o adolescente, e non vedo segni sul mio viso, mattino dopo mattino…
…un essere che non ricorda e non invecchia, per il quale il tempo non passa mai… un essere che non sa contare il trascorrere dei giorni… fortunatamente.

Nel mio passato più recente c’è soltanto morte, che io ho provveduto a procurare, e torture indicibili, che ho subito sulla mia pelle… fino quasi ad esserne sopraffatta. Ma la tortura non mi ha mai ucciso. Forse perché in realtà non posso morire, non sono un essere umano: sono un parassita che prolifera nella sofferenza… e si rafforza, tanto che ora anche il tempo e la morte stessa lo evitano.

Un’altra delle pochissime consapevolezze del mio presente è quella di essere una strega potente; e so anche che il mio potere deriva, almeno in parte, dalla sofferenza che mi è stata inflitta. Forse è stato risvegliato da essa… o forse è stato solamente allenato. Non mi interessa, veramente, in fondo… nulla di concreto importa davvero… è affascinante come tutto possa sparire se non può essere collegato a nessun ricordo o evento, come quando si fissa una fiamma tanto intensamente… dopo un po’ esiste solo il dolore bruciante agli occhi, tutto è annebbiato, non ha importanza.
Ma sono certa che LUI sapeva esattamente cosa stava facendo quando, torturandomi, mi portava a diventare ciò che sono.
LUI è il vero mistero.

Tutto ciò che so del mio rapporto con LUI, è che lo odio. Profondamente. Ma, in un modo assurdo e disperato, dipendo da lui. Il resto è nebbia, non riesco a vederlo… è sepolto nei meandri della memoria che ho perduto.
So che siamo legati, in qualche modo, e che il bracciale che porto è il simbolo… o la causa… del nostro legame. LUI ne ha uno identico: un serpente che si morde la coda, scolpito nell’ametista più pura, con gli occhi di cristalli luminosi, scintillanti di crudeltà. È assurdo quanto anche una pietra possa apparire malvagia… chi ha detto che le pietre non hanno vita?
So che prendo ordini da lui… ma anche questo concetto mi è estraneo: prendere ordini. In realtà non ho mai fatto nulla contro la mia volontà, io non ho nessuna volontà in proposito… ciò che mi chiede mi è completamente indifferente.
So che mi tiene rinchiusa, come un’arma pericolosa, da liberare solo quando la situazione lo richiede. So il suo nome, quello che pronunciano i suoi servi. Ma non so chi sia lui veramente… o cosa sia. Anche la sua umanità non mi appare poi così scontata: è vecchio, incredibilmente vecchio…
Ho visto persone cadere, uccise all’istante, per essersi rifiutate di piegare un ginocchio davanti a lui… io non ho mai abbassato nemmeno lo sguardo.
Ho udito persone chiamarlo “Signore”, o “Lord”, e mostrargli il rispetto che si deve a… un imperatore, forse. Per quanto mi riguarda, ciò che potrà ottenere da me sarà sempre… e soltanto… disprezzo.
Ma io non sono mai stata punita.
Chi sono io?
Chi sono per potermi permettere un simile affronto senza essere uccisa?
Chi sono perché lui tenga questo bracciale al mio polso… e queste catene alla mia anima?

Ci sono incantesimi su di me. Mi avvolgono, così strettamente da sentirmi quasi soffocare… eppure non so descrivere in termini sensati ciò che provo. Percepisco questa magia, densa come un bagno di melma viscida e tiepida, ma riesco ad avvertirla chiaramente solo nel momento in cui si indebolisce… forse perché lui si indebolisce, in realtà, lui… il tessitore dell’incantesimo. In quei momenti mi sembra di poter riafferrare immagini: luoghi, persone… o voci. Ma i visi che intravedo rimangono sfumati e i loro contorni nebbiosi. Perché… perché nessuna risposta è concessa alle mie domande?! Perché nessun sollievo è concesso alla mia anima irrequieta… perché!

Chi sono? Da dove vengo?
È davvero LUI che mi costringe a non ricordare?

Ci sono tante cose che non conosco… Chissà, forse un tempo mi erano familiari… quando? Non lo so: anche la percezione dello scorrere del tempo è alterata nella mia mente. A volte mi pare di essere qui da sempre, altre volte mi perdo, confusa, in questi lunghi e bui corridoi… come una libellula impazzita, intrappolata in un labirinto senza uscita.
Ci sono sensazioni a cui non so più dare un nome… e nomi che non collego a nessun concetto: non so cosa siano i desideri, non so cosa sia l’affetto o cosa sia l’amore. Ne sento parlare, a volte. LUI ne parla: dice spesso che mi ama…
Ma quello non è amore. Lo sento con sicurezza, lo sento grazie a qualcosa dentro di me, proveniente forse dalle radici della mia esistenza… quello stesso qualcosa che mi fa affermare senza alcun dubbio che ciò che provo per lui è puro ODIO.

So che devo obbedirgli.
So che non posso lasciarlo.
Ma lo odio.

“Buia nel buio scivola ininterrottamente la barca, alla deriva per l’infernal fiumana.
Ombra le ombre chiama, da abisso ad abisso orribile, precipite alla morte e antipodo del sogno.”
Hal Summers

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Capitolo 3
*** The thing that should not be ***


PARTE I

CAPITOLO 2: THE THING THAT SHOULD NOT BE

Ormai solo raramente mi capita di pensare a chi eri, quasi come se insieme ai tuoi ricordi, fossero stati spazzati via anche i miei. Forse succede perché ‘chi eri’ non era importante per me come lo è chi sei ora.
Ma io so qual’era il tuo vero nome, sono uno dei pochi a saperlo… o a ricordarlo ancora. So perché sei finita qui e so perché sei diventata ciò che sei, anche se è una delle tante cose della mia vita che preferirei dimenticare.

Ciò che sei è completamente diverso da ciò che eri, come una brace ardente è diversa da un carbone freddo e vuoto… possono avere la stessa forma ma non avranno mai la stessa luce. Forse è così che ti vedo: un lembo di fuoco a cui sono stati strappati il calore e la luce.

Sonja… un nome da bambina di zucchero… è il nome che ti sei scelta quando hai scoperto di non avere un passato, quando hai scoperto che non avevi memorie di una vita prima di… questo. Ma non sei una bambina; e non sei nemmeno una donna comune… sei qualcosa di diverso da ogni essere che ha mai popolato questa terra.
Non puoi piangere, non puoi sorridere, non puoi fare nulla che possa incrinare quella maschera di indifferenza posata immobile sul tuo viso… quella pelle, liscia e perfetta come vetro opaco, non viene mai bagnata da una lacrima o piegata da una risata.
Sei una donna che non può sentire, non può soffrire, non può provare felicità.
Sei una donna che non ha più un’anima, non c’è nulla dentro di te… una macchina letale, creata e allenata per fare del male… ciò che di più vicino al disumano ha mai fatto parte della nostra razza.

Ci sono segni sul tuo corpo… ricordi delle torture disumane alle quali sei stata sottoposta, perché potesse risvegliarsi dentro di te quell’istinto addormentato di assassina.
C’è un segno bianco, lungo e sottile, sul tuo polso sinistro. È sempre nascosto da quell’infernale braccialetto… ma anche se fosse in piena luce, pochi potrebbero individuarlo sulla tua pelle di porcellana candida.
Io lo conosco, come conosco ogni piccola cosa di te, del resto.
È il segno che ti ricorda l’unico omicidio in cui tu abbia mai fallito: il tuo. Sono stato io a impedirti di portare a termine l’opera, a sollevarti dal pavimento ormai inondato di sangue, a chiudere quel taglio lungo e profondo… avevi fatto veramente uno splendido lavoro su quel polso…
Sono stato io a vegliarti, finchè non hai riaperto gli occhi e mi hai chiesto, troppo debole per riconoscermi, perché eri ancora viva… Anche quel momento è stato cancellato dalla tua memoria. Quello e tutto ciò che era successo, che ti aveva portato a desiderare di non svegliarti mai più.
Ora non sei più in grado di provare dolore… e il pensiero della morte, tua o di qualcun altro, ti lascia completamente indifferente.

Ancora oggi io ti guardo, ti osservo dall’ombra giorno dopo giorno… veglio su di te, sempre.
Ti guardo e provo disgusto per me stesso, perché non posso fare a meno di pensare che sei perfetta, anche adesso.
Eri perfetta quando ti ho vista massacrare tuo fratello, invasa dalla maledizione Imperius.
Eri perfetta quando ti ho guardata soffrire atrocemente, cosciente di ciò che avevi appena fatto.
Eri perfetta in quella pozza di sangue dalla quale ti ho raccolta, quella notte.
Eri perfetta tutte le volte che ti risollevavo, quasi in coma, dal pavimento di quella sala, dopo che colui che ho il coraggio di chiamare ‘mio signore’ ti torturava fino allo stremo delle forze.
Eri perfetta tanti anni fa, la prima e unica volta che ti ho tenuta stretta tra le mie braccia… una notte che tu non potrai mai ricordare, ma che è rimasta fin troppo nitida nella mia mente.
E ti vedo ancora perfetta adesso, svuotata di tutti i sentimenti e di tutti i ricordi, fredda, intoccabile… pur comprendendo quanto in realtà sei… sbagliata, come un morbo orribile che non dovrebbe mai affliggere questa terra: un essere che non dovrebbe esistere, che non dovrebbe mai essere stato creato.

La prima volta che ti ho rivista dopo che LUI ti aveva modificato la memoria, eri rannicchiata sulla poltrona, completamente vestita di bianco e avevi i capelli sciolti, che pendevano morbidi sul tuo viso, come una cortina di seta per separarti e proteggerti dal resto del mondo… ora non li porti più così, li hai sempre legati in una treccia stretta e severa, lunga fino ai reni…
Stavi giocando con una candela accesa, facendoti correre la cera bollente sulla pelle, finchè non si raffreddava in piccole goccioline dure. Da allora hai sempre amato le candele, ne riempi continuamente la tua stanza… Vivi immersa in quelle piccole fiammelle dorate e ogni cosa, te compresa, è intrisa del loro profumo pungente… l’odore del caprifoglio.
Lo stomaco mi si contrae, dolorosamente, ogni volta che penso a cosa, quel profumo e quella luce, potrebbero ricordarti… un’esperienza della tua vita passata, che abbiamo condiviso e che niente è stato in grado di cancellare, nemmeno LUI. Tu non la ricordi consciamente, non ti lacera come fa con me, ma rimane in te, sempre, sotto forma di questa piccola ossessione… che LUI non comprenderà.
Quella sera mi hai guardato e non mi hai riconosciuto; ho dovuto lottare contro me stesso come mai mi era successo per conservare la freddezza, per non lasciar trapelare la rabbia che la tua indifferenza mi suscitava.
Ma ti sei fidata di me, mi hai fatto sedere accanto a te: mi hai lasciato entrare… di nuovo… nella tua vita.

Ora è questo che sono per te: un amico. Se così si può chiamare, se l’amicizia è un sentimento che può esistere nelle nostre anime destinate solo alla dannazione…
Siamo due assassini che condividono lo stesso destino, e si tengono per mano, senza chiedere nulla… perché non c’è nulla che possiamo fare l’uno per l’altra, se non continuare ad esistere e continuare a farlo insieme.
Siamo sulla stessa barca alla deriva, mia Sonja: siamo uno l’angelo custode dell’altro.
Angeli… come mi fa sorridere questa parola: creature che avrebbero potuto, o dovuto, vivere nella luce… ma per qualche motivo sono precipitate all’inferno.

“Tu e io siamo uguali: viandanti senza casa, in un mondo che non ci appartiene.”
S. Lawhead
“Il romanzo di Taliesin”

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Dopo un inizio senza commenti (ero curiosa di avere un’opinione non influenzata da nulla che io potessi dire), vi spiego la situazione… la storia è suddivisa in diverse parti, ognuna delle quali è introdotta da un breve discorso del Cantastorie, un personaggio fuori campo che invita gli spettatori a rimanere.
La prima parte è composta di 4 capitoli in cui i principali personaggi si presentano attraverso monologhi incentrati principalmente sulla figura di Sonja, la protagonista. Tutti tranne uno che conoscerete più avanti. Questi capitoli sono corti e, almeno nell’intenzione, d’impatto. Poi i capitoli torneranno della mia abituale lunghezza (come quelli di DF per intenderci).
Una sola cosa, prima di passare ai ringraziamenti: come forse qualcuno avrà già notato tutti i titoli (storia, parti e capitoli) non sono farina del mio sacco, ma sono titoli di pezzi dei Metallica… non è che ho finito la fantasia, è solo un modo di introdurvi alla colonna sonora della storia, un modo diverso rispetto a DF nel quale Moon River e altre canzoni di Frank erano cantate dai protagonisti.
Forse è stato un rischio ma ho cercato di cambiare tutto rispetto alla mia precedente storia proprio per evitare confronti: sono due generi diversi, cambia la colonna sonora, la struttura della storia, l’atmosfera e persino il mio modo di scrivere.
Per il resto… sono a metà della stesura di un nuovo cookie su Ginny negli Stati Uniti (avrei già voluto completarlo ma un fastidioso esame di statistica mi ha messo i bastoni tra le ruote…) quindi mi rivedrete un paio di volte, credo, prima del prossimo weekend.
Ok, per ora ringrazio tantissimo i primi recensori! La maggior parte mi conosce già da DF e LFF e sono felice che abbiate voluto seguirmi in una nuova avventura!
Un bacio enorme a Klaretta che ha letto in anteprima tutta la prima parte e mi ha dato l’ok per partire; e un altro altrettanto grande ad Euridice, la mia corrispondente dall’estero…
Hermia: Mi fa piacere che anche altre mie storie ti siano piaciute. Prima di capire la trama di questa dovrai aspettare l’inizio della seconda parte, ma spero di attirare la tua attenzione già da prima! Baci!
Minami77: Il narratore fuori campo è soltanto una scelta, più che altro per tentare qualcosa di diverso. Come forse si noterà in seguito, il testo della storia è molto teatrale e drammatico e l’idea inquietante delle marionette intrappolate mi piaceva. Ciao, un bacio!
Merenwen: Ti ringrazio per il complimento bellissimo… che dire, spero non ti deluderà anche se è così diversa!
Bla.St.: Tesoro mio impazzito… l’immagine di tu che mi allinei le sequenze di DNA con scritto BLAST in fronte… credo mi tormenterà di notte. Se ti prende il volo un cappuccino sono io che ti penso troppo forte… Wingardium Leviosa, fuggita-da-un-manicomio. SMACK!
Meggie: Strafelice di aver attirato la tua attenzione… ma sono così prevedibile?!?? (riguardo alla frase di Manfredi)… bè, dopo una recensione così, spero proprio di non deluderti!
Saturnia: inutile ribadire quanto mi ha fatto piacere ricevere il tuo commento fin dall’inizio! Chiedi una buona dose di cupezza… ne farai indigestione, credimi. Mi addentrerò nei personaggi anche se forse in modo differente da quello che ti sei aspettata dopo il primo chap: Sonja non parlerà mai più agli spettatori in prima persona… non so se riuscirò a comunicare l’immagine complessa che ho di lei. Comunque farò di tutto perché possano essere i lettori a comprendere la sua psicologia anche senza che i suoi pensieri vengano esternati. Da autrice posso dirti che dubito che per sonja si possa parlare di pace mentale… Per quanto riguarda l’ironia, credo che dovrò rifarmi con ampie dosi di cookies e varie ed eventuali perché qui non credo ci sarà molto da ridere… d’altra parte non potevo certo fare una seconda copia di DF, no? Mi sono buttata su qualcosa id diverso. Grazie ancora e un bacio!
Ethel: sei sempre così gentile che mi fai quasi arrossire… sono contentissima che i pensieri di Sonja ti abbiano colpita. Ti ringrazio anche per la recensione finale a LFF che mi ha fatto tanto piacere. Un bacione!

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Capitolo 4
*** All within my hands ***


PARTE I

CAPITOLO 3: ALL WITHIN MY HANDS

Sono passati diversi anni dal momento in cui sei diventata mia, piccola Sonja…
Avevi solo 18 anni, una bambina… e non mi sfiorava certo il pensiero che saresti diventata il mio tesoro più prezioso.
Portavi un altro nome, allora… Ti chiamavi Ginevra Weasley. Una perfetta e composta ragazzina inglese… carina, ma quasi… sì, potrei dire, squallida.
Ti ho usata per il mio divertimento, è ovvio, come uso tutti quelli che non sono direttamente utili al mio scopo: ho posto su di te una maledizione Imperius e ti ho costretta a torturare con la Cruciatus il tuo carissimo fratello maggiore… Ronald. L’auror Ronald Weasley. Il parassita di Harry Potter… Sarebbe stato semplicemente… oh… divertente, vederti costretta a fare del male al fratello che amavi.
Naturalmente ero preparato ad assistere a mille piagnistei… è piuttosto comune: la maledizione Imperius non annulla completamente la coscienza, la vittima comprende qualcosa di ciò che è costretto a fare… ed è proprio quello il divertimento! La gioia dei miei occhi: vedere due persone soffrire atrocemente… e non dover fare alcuna fatica… è così debole la mente umana.

Ma tu hai stravolto ogni mia aspettativa: mi hai costretto a scrutarti, studiarti, osservarti fino alla fine… e rimanere stupito.
Hai pianto, si… le lacrime correvano veloci sul tuo faccino lentigginoso, e alcuni singhiozzi hanno scosso le tue spalle magre, mentre quello stupido di Ronald rantolava ai tuoi piedi.
Ma c’era qualcosa in te… una luce insolita nei tuoi occhi, una sconvolgente forza nella manina sottile che impugnava la bacchetta, e la potenza dell’incantesimo oscuro che hai prodotto… strepitosa. Non è così semplice eseguire una maledizione senza perdono, lo sai? Chi prova per la prima volta ottiene solitamente un risultato scadente. Ma tu… tu, mia preziosa bambina…
Quel giorno ti ho voluta sfidare, ho voluto vedere fino a che punto saresti arrivata: ti ho ordinato di lanciare l’Avada Kedavra sul tuo fratellino.
E tu hai smesso di piangere!
Mi hai guardato: oh si, c’era odio nel tuo sguardo… tanto odio… ma c’era anche dell’altro e nessuno meglio di me poteva notarlo: liberazione, realizzazione… come se in fondo tu stessi facendo qualcosa che inconsciamente avevi sempre sentito tuo, come se stessi finalmente dando libero sfogo ad un istinto da sempre represso.
Ti sei rivolta alla tua vittima, ormai impazzita e contorta sul pavimento, e hai lanciato l’anatema che uccide. Hai prodotto una maledizione potente, precisa… letale. Meravigliosa.
Hai guardato la tua bacchetta e hai guardato me, con uno sguardo così disperato… ti eri resa conto di cosa avevi appena fatto.
Ma, come me, ti eri resa conto anche di un’altra terribile rivelazione: tu sei nata per questo. Sei nata per essere l’essenza del male stesso. Sei nata per l’oscurità più completa. Come me.

Mi hai colpito, affascinato… è inutile negarlo.
Tutto ciò che sei, il tuo fastidioso orgoglio, il tuo forte potere, e quella che ho scoperto essere la tua crudeltà innata… poetica, quasi…
Il mondo in cui eri cresciuta ti avrebbe storpiata, repressa, distrutta.
Io no. Io ti ho liberata da tutto ciò che ti opprimeva e ti ho condotta a me, ti ho voluta vicina… perché è per me che sei stata fatta. È per me che sei nata, non c’è altra spiegazione alla tua… PERFEZIONE.

La vera perfezione in realtà, l’hai raggiunta grazie a me.
Sono stato io a renderti ciò che sei, a liberare la parte di te che desideravo con estremo ardore.
Ti ho usata, senza remore, per tutti i miei scopi più ambiziosi.
Ti ho fatta soffrire, tantissimo.
Ti ho torturata finchè dalla crisalide di inibizioni in cui la tua precedente vita ti aveva avvolta, è uscita la splendida farfalla che sei ora. Era l’unico modo, mio piccolo tesoro, l’unico modo per liberare finalmente il tuo lato più malvagio…
Eri distrutta, quasi morente dopo ogni nostro incontro. Eri perennemente in lacrime… Ma più ti facevo soffrire, più la parte istintiva di te rispondeva con forza ai miei attacchi. E quando avevi quasi raggiunto il livello che desideravo… ho cancellato tutti i tuoi ricordi precedenti. E insieme a tutti i ricordi, anche tutti i sentimenti sono spariti… perché non è possibile amare, se non si ricorda di essere mai stati amati.
Ma prima di toglierti tutti i ricordi ho fatto ciò che dovevo perché tu rinascessi come creatura definitivamente mia… mia, per sempre. Ti ho legata a me, con un rituale antichissimo… un matrimonio potremo chiamarlo. Una magia molto potente.
Due bracciali, intagliati insieme dal cuore dello stesso cristallo. Così ho unito le nostre vite: i gioielli, ancora uniti, si sono stretti attorno ai nostri polsi e solo dopo la sottile striscia di pietra che li teneva ancora uniti è stata tagliata da una magia… separati fisicamente, ma uniti nell’anima per l’eternità.
Sei mia. Soltanto mia. Non potevo permettermi di perderti.

E così sei rinata. Senza ricordi, senza un passato… un foglio bianco su cui scrivere una nuova vita. Una nuova vita come me, mia amata Sonja.
Ti sei ritrovata completamente vuota… e allo stesso tempo ricolma di un potere letale che dovevi solo imparare ad usare correttamente.
E ti ho addestrata, ancora… e ancora… e ancora… fino a farti quasi morire ogni volta. Ma invece di morire, tu sei diventata la strega più perfetta che io abbia mai visto. Potente e terribile… ecco come sei.

Purtroppo… in qualcosa devo ammettere un piccolo fallimento: non sono riuscito a toglierti tutto, non ti ho tolto il tuo orgoglio, non ho possibilità di plasmare la tua mente… non del tutto.
Non hai il minimo rispetto per me. Non fai che sfidarmi, con quello sguardo di oro liquido fisso nei miei occhi, senza alcun timore. E io non faccio nulla per impedirtelo. Non posso punirti, perché tanto non c’è più nulla che temi; non posso costringerti ad avere paura di me, perché sinceramente non saprei come fare: se tutto ciò che ti ho fatto e tutti gli incantesimi con cui ti ho legata, non ti obbligano a rispettarmi… allora devo arrendermi.
Potrei ucciderti ovviamente. Non sei immortale, anche se la tua forza sembra poter tenere lontana persino la morte.
Ma può un artista distruggere la sua opera più sublime?
No.. non potrei mai. Sei il mio capolavoro… e io voglio ammirarti.
Voglio guardare la tua bellezza di demone incarnato nel corpo di una bambola meravigliosa.
Voglio udire la tua voce morbida, dolcissima nella sua perfida crudeltà.
Voglio incantarmi davanti alla tua grazia, mia piccola danzatrice, davanti alla squisita eleganza che non abbandoni mai, nemmeno quando uccidi, angelo della morte che non conosce pietà…

Ora siamo rintanati qui, in questo paese freddo e lontano, dove non ci troveranno mai, e avremo il tempo per… per prepararci, per progettare la completa distruzione di quegli insetti che tanto disprezzo.
Non ho voluto nessun altro con me: solo te mia amata, per formarti e dare vita alla perfetta meraviglia che sei diventata, e un’altra mia stupenda creatura, il mio Draco, il mio servo più fedele. Anche lui è stato formato da me, sebbene in modo molto diverso, e anche lui è meraviglioso… nella sua nobile e altera bellezza, nella sua strepitosa e oscura abilità per la magia, nella sua mente fine ed acuta… troppo debole per resistermi, troppo vigliacco per impedirmi di manovrarlo, eppure troppo prezioso perché potessi permettermi di perderlo. Draco è la mia splendente marionetta, il servo che mi concede per intero tutta la sua intelligenza, tutta la sua sciocca lealtà… senza chiedere nulla, perché ha già ricevuto troppo: ha ricevuto il perdono… la grazia della vita quando il suo fallimento avrebbe meritato la morte. Ah… quante stupide preghiere attorno a questa affascinante parola… perdono: il modo più sottile per legare a sè la volontà di una persona. Per sempre.

Sonja e Draco.
Siete voi due le mie opere meglio riuscite. Vi amo. Vi amo come uno scultore ama le sue figure più belle e non riesce a staccare gli occhi dalla loro perfezione.
È in voi e nel vostro oscuro potere che ho riposto tutte le mie più rosee speranze.
Ho un piano, un piano a lungo termine, è vero. Ma io so aspettare a lungo nell’ombra…
Sarà mia la vittoria finale.

“Mio il cielo vasto e nero
Miei, gli spazi tra le stelle che mi chiamano
Mia, la promessa di magia.”
Morgan Llywelyn
“Il Potere dei Druidi”

***************

Bè, non potete dire che le cose non sono diventate più chiare… spero abbiate apprezzato i folli discorsi dello zio Voldy, che in questa storia vedo un po’ come un pazzo vero e proprio.
Mando un enorme bacio a klaretta, che sta continuando la sua opera di beta sui capitoli della seconda parte e so che non vede l’ora di capire il fulcro della faccenda. Un altro bacio alla scienziata più pazza del mondo delle fanfiction, Euridice. Gli altri ringraziamenti li inserisco appena posso, scusatemi!
Velocemente, grazie a Minami77, Hermia, Meggie (la tua mezza idea si è rivelata giusta?), Saturnia (l’idea che tu ti ricopi alcune frasi delle mie storie mi ha fatto fare un salto sulla sedia… sei sempre così gentile! Alcune tue analisi su Draco e Sonja sono azzeccatissime, altre un po’ meno… diventerà tutto più chiaro!), Merenwen (passata l’influenza?), Bla.St (il titolo del primo chap era Master of Puppets, probabilmente la canzone più famosa dei Metallica dopo Nothing else matters… mi sarei stupita se tu non avessi colto, conoscendoti. Che ne dici di Voldy-sono-più-fuori-di-un-balcone?), Ethel (mi fa piacere che il nome Sonja ti piaccia…) e Sissichi. Grazie anche a chi ha recensito il cookie so DF!

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Capitolo 5
*** The memory remains ***


PARTE I

CAPITOLO 4: THE MEMORY REMAINS

C’è un pettirosso sulla finestra.
Mi alzo e mi avvicino: non ha paura di me… mi salta sul dito e rimane a fissarmi, con quei suoi occhietti furbi e incredibilmente vivi. Mi ricorda te. Tutte le volte che vedo un pettirosso mi torni in mente, Gin… tu, i tuoi capelli del colore di un tramonto d’estate, i tuoi occhi così espressivi e pieni di forza…
Un ricordo dolceamaro, che sembra risalire a quella che ora sembra veramente la mia infanzia.
Chissà dove sei…
Vorrei riuscire a pensare cose idiote e piene di sciocca speranza come il fatto che, dovunque tu sia, in fondo viviamo sotto lo stesso cielo, vediamo le stesse stelle, sentiamo scoccare le stesse ore… giorno dopo giorno, dal momento in cui te ne sei andata. È un pensiero così stupido e finto… chissà dove l’ho letto, su qualche romanzo forse. È buffo quanto uno scrittore riesca a diventare melenso se ne ha l’opportunità.

Il pettirosso vola via. Ed io lo lascio andare.

Ricordo l’ultima volta che ti ho vista, lo ricordo come se fosse ieri, anche se ormai sono passati anni da quel terribile giorno. Dovrei odiarti, lo sai? Ma non ti odio… nessuno qui ti odia.
Stavamo insieme allora. Stavamo insieme come possono stare insieme due ragazzi di 18 anni… non potrò mai sapere se tu eri la donna della mia vita, il vero amore… e nemmeno ci ho mai pensato, devo ammetterlo. Ma era bello stare insieme, era bello condividere anche questo, noi quattro: io e Ron, tu ed Hermione. Quattro amici, due coppie, storie di affetto e amicizia. Forse l’amore eterno sarebbe potuto nascere, una volta davvero cresciuti; o forse no… non ci è dato saperlo. Ho provato ad allontanarti quando ho iniziato a dare sul serio la caccia a Voldemort, non volevo permettere che qualcuno potesse usarti per farmi del male… ma non ci sono riuscito: sei… eri così testarda e orgogliosa, non me l’hai permesso, alla fine.
Poi è successo. Voldemort è entrato nelle nostre vite. O meglio nelle vostre, perché nella mia c’era già da un pezzo. È entrato nella vita di Ron, strappandogliela violentemente. È entrato nella vita di Hermione, portandole via il ragazzo e la migliore amica. È entrato nella tua vita, costringendoti ad essere lo strumento della sua crudeltà e strappandoti a noi… ti ha portata via.
Io… non lo so cosa ho pensato. Non so neanche se ho pensato a dire la verità. Ho visto la mia ragazza compiere l’omicidio del mio migliore amico, suo fratello… non credo di aver provato sentimenti descrivibili a parole.
Sappiamo che sei ancora viva. O almeno le informazioni che abbiamo ci portano a credere questo… anche se forse ti preferiremmo morta e sepolta piuttosto che nelle mani dell’Oscuro Signore. La rete informativa del mondo magico riporta, ogni tanto, storie di omicidi terribili, portati a termine da una strega, dal dolcissimo viso da bambola e lunghi capelli rossi, ma assurdamente crudele. Potresti essere tu, le descrizioni coincidono. In fondo al mio cuore spero vivamente che tu sia morta, perché se quella donna senza nome sei veramente tu… allora vuol dire che quell’animale ti ha fatto qualcosa, qualcosa di terribile. Perché tu non eri cattiva, non lo sei mai stata, di questo sarò sempre convinto.
Eri solare, ironica… divertente. Le tue battute tiravano su il morale e le tue litigate con Ron facevano sempre ridere tutti. Io ti ricordo così: come la mia ragazza, che ho baciato nel buio, sotto il portone di casa Weasley, con la passione di chi non sa se la rivedrà il giorno dopo, la ragazza che mi faceva ridere anche quando la vita mi sembrava una grossa merda, e che mi voleva bene, senza chiedere niente di eclatante, solo di stare insieme… senza paura.
Quel periodo sembra così lontano a volte… eppure tortura come un dolore presente in certi giorni. I giorni in cui vorrei il mio migliore amico ancora accanto a me, i giorni in cui vorrei che tutto quel disastro non fosse successo. Ron mi manca assurdamente. Se n’è andata un parte di me, nell’istante in cui hai pronunciato quella dannata formula; se n’è andata la parte di me capace di ridere, di vivere momenti di spensieratezza, se n’è andata quella poca giovinezza che avevo mai avuto… il sentimento di amicizia che più mi aveva gratificato nella mia breve esistenza, e se n’è andato anche il senso… il senso di tutto, del nostro trio, o quartetto se vogliamo considerare anche te, il senso della lotta, perché ormai c’è poco per cui lottare…
O forse… si, c’è questa donna, addormentata sul divano, ecco, forse è lei l’unica per cui vale ancora la pena combattere nella mia vita. Non per me stesso, che ormai sono solo un’ombra del vecchio Harry che hai conosciuto, per lei… Hermione.

È stato praticamente automatico arrivare a stare insieme. Tu non c’eri più, Ron era morto… eravamo l’unica cosa rimasta ad entrambi, l’unico affetto… è stato dannatamente facile cadere l’uno nelle braccia dell’altra, è stato inevitabile: era l’unico modo per confortarci in qualche strano, assurdo meccanismo del nostro cervello che ancora non vuole crescere, che non vuole rendersi conto che non ci siete più, che non c’è quasi più speranza.
Non ci siamo mai detti bugie: so che Ron era il vero amore della sua vita, e lei sa che per me è impossibile provare questo sentimento così forte per qualcuno… l’amore è un’emozione che vive di presente e si proietta nel futuro. Il mio presente è solo tristezza e il mio futuro… probabilmente non esiste; vivo soltanto per una profezia che, dal passato risuona, come una campana a lutto, in ogni singolo istante della mia vita.

“Tu non c’eri più, e con te se n’era andato anche il sogno che ci aveva tenuti uniti per anni.”
Valerio Massimo Manfredi
“Alexandros, il confine del mondo”

FINE PARTE I

***************

E così abbiamo chiuso il cerchio. Sonja, Draco, Voldemort ed ora Harry. Manca un personaggio chiave, ve l’ho già anticipato… lo conoscerete già dal primo capitolo della seconda parte, ma sarà chiara la sua identità soltanto molto avanti nella storia.
È un capitolo cortissimo, lo so… per farmi perdonare vi metto anche l’introduzione del cantastorie alla seconda parte della storia.
Intanto ringrazio!
Clao82: grazie!
Minami77: La seconda parte si intitolerà “Where the wild things are” e non racconterà come tutto è andato, ma ti porterà nel mondo di Sonja per fartela conoscere. Per sapere come le cose sono andate dovrai mettere insieme i pezzi del puzzle che mano mano rivelerò col tempo. Ciao!
Marcycas: Ma ciao Lady! Credo che questa storia sarà proprio il tuo genere…. Ci avevi preso col quarto personaggio. Ron è morto perché l’avevo maltrattato abbastanza in LFF così ho deciso che questo giro lo facevo riposare… per sempre. Spero che ti piaccia ancora!
Ithil: Mi fa piacere che la scelta della colonna sonora ti piaccia! Decisamente più cupa questa storia… deprimente è un termine più adatto. Spero che la apprezzerai comunque! Grazie!
Bla.St.: Allineatrice pazza… e io che pensavo fosse palese sonja=ginny… bè, a questo punto il quadro è quasi completo… alla prossima puntata!
Merenwen: Su harry ed Herm ti ho accontentato… per la trama… trama?che trama?... dovrai aspettare qualche altro capitolo… ciao e grazie, un bacio!
Saturnia: Analizza pure l’analizzabile e anche quello che non lo è… io non mi formalizzo, per carità! Anzi mi diverto un mondo. Bè, l’idea che hai di Sonja è molto azzeccata anche se forse con il capitolo della seconda parte ne avrai un’idea un po’ diversa e precisa. Draco ti sembra manovrabile perché io ho voluto renderlo così… lui e Voldie hanno un conto in sospeso, in parte già accennato… ma non ti svelo di più! Un bacioe grazie come sempre!
Ethel: Ti ringrazio, l’idea del pazzo era proprio quella che volevo dare. Adesso dovresti avere un’idea completa dei personaggi in ballo… ne manca uno, il più importante che conoscerai tra una settimana. Ho fatto quello che mi hai chiesto, visto? Ciao!

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Capitolo 6
*** Parte II: Where the wild things are ***


PARTE II: WHERE THE WILD THINGS ARE

INTRODUZIONE

Sono un Cantastorie, signori… ed eccomi di nuovo sul palco!

I burattini si bloccano, intrappolati nel ghiaccio della loro triste esistenza, nel gelo immane del loro mondo perverso… posso vagare in mezzo a loro, indisturbato: non possono sentirmi…
Vi hanno raccontato la loro storia, gentili amici che siete rimasti ad ascoltare, vi hanno donato la loro vita… chi amate? Chi odiate, per ora…?No! Non rispondete, vi prego, lasciate che prima vi mostri il mondo che ho sognato, il malinconico sogno di un burattinaio, in cui i miei amici di legno vagano, erranti figure senza passato o senza futuro… lasciatevi trasportare, per un momento, nella loro esistenza lontana e solitaria.

Sono il vostro Cantastorie, miei cari amici… prendete un minuto per seguirmi, vi imploro, lasciate che vi conduca, per mano, all’interno di questa triste, languida storia…

Big eyes to open soon
Believing all under sun and moon
But does heaven know you're here?
And did they give you smiles or tears
No, no tears

Will this earth be good to you?

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Capitolo 7
*** My world ***


PARTE II

CAPITOLO 1: MY WORLD

Draco percorse il lungo corridoio fino a trovarsi davanti alla porta della stanza di Sonja e la aprì lentamente. Tutto era immerso nella penombra; le rifiniture in ottone degli antichi mobili scuri luccicavano inquietanti alla luce delle tantissime candele accese… un intenso profumo di caprifoglio si sprigionava da esse e riempiva l’aria. Draco entrò e girò su se stesso scrutando ogni angolo buio della grande camera… poteva essere ovunque…
Uno spiffero d’aria fredda gli colpì la nuca e fece oscillare tutte le fiammelle: la finestra era spalancata. Si diresse velocemente verso di essa.
Un gatto rosso tigrato, dal pelo folto e lucido era seduto sul balcone, composto ed elegante come un’antica statua orientale; il musetto affilato era rivolto verso la città illuminata dalle luci di Natale… Draco si affacciò e rimase ad osservare una lunga processione di babbani diretta verso piazza Rossa… ogni uomo aveva in mano un cero acceso: ecco cosa doveva aver attirato l’attenzione di Sonja, le candele… o forse la fiumana di persone, il ripetitivo e monotono canto religioso, o la vita che riempiva la città innevata quella sera.
Il gatto emise un miagolio ostile, quasi scocciato per l’intrusione… si trasformò piano piano in una ragazza dai capelli rossi, completamente nuda, accoccolata sul davanzale con una gamba penzolante nel vuoto e la schiena appoggiata al muro laterale della finestra; l’animagus continuò a guardare la processione, sporgendosi ancora di più verso la strada sottostante.

“… Fanciulla venuta da così lontano, portata da così lontano
a volte il suo sguardo sfavilla sotto il cielo.
Lamento, tempesta, turbine di furia,
passa sopra al mio cuore senza fermarti.
Vento dei sepolcri trasporta, distruggi e disperdi la tua radice sonnolenta.”
Pablo Neruda
Da “Quasi fuori dal cielo”

Draco si allontanò dal balcone.
“Torna dentro Sonja. Cadrai.” disse freddamente.
Sonja girò la testa verso di lui, stringendo le palpebre in un’espressione a metà tra il fastidio e l’indifferenza… era un suo vizio, lo faceva continuamente, e Draco lo trovava a dir poco snervante.
“Ti ho detto di tornare dentro.” ripetè Draco.
La ragazza scrollò le spalle e ricominciò a guardare fuori. Niente da fare.
“Rientra e chiudi la finestra. Non voglio ripeterlo, Sonja.”
Con un sospiro la rossa si alzò in piedi sul davanzale e saltò dentro.
“Prometto di non farmi male… ‘mamma’” sibilò passandogli accanto “Non che cadere dal quinto piano mi terrorizzi…”
“Smettila. Non sei immortale.” La voce di Draco era come una lama gelida che fendeva l’aria profumata della stanza.
Gli rispose un mormorio sommesso e sibilante, come le note sgraziate che escono da un flauto rotto.
“Sai, Draco… non ne sono poi tanto sicura…”

Sonja sparì nel guardaroba e ritornò vestita con una vestaglia di lana bianca e morbida.
“Sei tornato…” mormorò con le braccia incrociate sul petto.
Draco si era lasciato cadere su una poltrona.
“è stata una missione lunga…” disse laconicamente.
Il mangiamorte accennò con la testa a qualcosa posato sul letto; Sonja guardò nella stessa direzione: c’era un pacco scuro, con un fiocco dorato e lucente.
“è per te.”
Di nuovo le palpebre si strinsero, sospettose e curiose allo stesso tempo…
“Da Parigi.”
La strega si decise ad allungare una mano e sciogliere il nodo, poi lentamente sollevò il coperchio e spostò la carta velina all’interno. Era un abito. Bianco, naturalmente… Draco le regalava solo cose bianche.
Il mago si avvicinò a Sonja; senza guardarla negli occhi sciolse lui stesso la cintura della vestaglia e fece scivolare l’indumento dalle sue spalle nude, poi la aiutò ad indossare il suo regalo.
Il vestito era di leggerissima seta lucida, ricamata con dei riccioli astratti, anch’essi candidi… le maniche lunghe si allargavano in fondo e coprivano le mani pallide e affusolate della donna, la scollatura tonda si ampliava sulle spalle fino a scendere sulla schiena, scoprendola completamente, e la gonna morbida scendeva sulle cosce fino a fermarsi poco sopra il ginocchio. Una visione angelica… se non fosse stato per quel particolare leggermente provocante della schiena nuda, attraversata da sottili catenelle d’argento che si incrociavano sulla spina dorsale.
Draco la osservò, dolorosamente affascinato… era abituato, in un certo senso, a subire gli effetti della bellezza delicata di Sonja… e alla sua nudità, ostentata spesso con la mancanza di pudore tipica dei bambini; la parte più fredda e razionale di lui sapeva che Sonja non era realmente… bella: la vera bellezza si avvale di qualcosa di innato, una luce che viene dall’interno, una fiamma di sensualità o di sentimento… non c’era nulla dentro quel corpo di bambola, era solo un involucro vuoto, dalla forma squisita… avvolto in un vestito d’alta moda francese. Eppure quella morsa allo stomaco, quel bruciore intenso e non localizzabile, che si faceva sentire nei momenti come quello, non aveva smesso, con gli anni, di torturarlo.
“è della tua taglia.” commentò con distacco, imponendosi la consueta, rigorosa disciplina.
Sonja annuì con il capo, senza emettere suoni, continuando ad accarezzare rapita la stoffa liscia che aderiva alla sua coscia come la morbida carezza di un amante… alzò i grandi occhi da cerbiatto braccato verso il viso di Draco, che distolse immediatamente lo sguardo e si alzò dalla poltrona, diretto alla finestra ancora spalancata. Rivolse un ultima occhiata distratta alla processione e richiuse la vetrata con una mossa decisa.
Quando ritornò a girarsi verso il letto, trovò che Sonja vi si era seduta e stava giocherellando con il nastro dorato che aveva chiuso il pacco, arrotolandolo e srotolandolo ripetutamente attorno al polso sinistro, mentre su quello destro il bracciale violaceo ondeggiava, avanti e indietro, con i piccoli cristalli baluginanti di malignità alla luce delle candele… il movimento aveva un che di ipnotico e inquietante.
“Piantala.” le disse duramente.
Sonja non lo ascoltò nemmeno. Iniziò a canticchiare a mezza voce una lenta nenia russa, una ninna nanna probabilmente, seguendo con le mani il tempo della cantilena… ogni frase un giro, ogni giro un’oscillazione del bracciale, ogni oscillazione un lampo perfido negli occhi lucenti del serpente…
Draco uscì dalla stanza, sbattendo forte la porta dietro le sue spalle.
Non la sopportava quando si estraniava… non sopportava quegli occhi vuoti, quell’espressione di trance che non aveva quasi nulla di umano. Ormai sapeva, lo sapeva bene, che quel comportamento indicava che Sonja stava provando qualche incomprensibile tipo di emozione… ma non riusciva a starle vicino in quei momenti… momenti in cui sembrava davvero pazza. Non lo accettava.
Si diresse verso le sue stanze, vuote e fredde da ormai due settimane; con un rapido movimento della bacchetta accesi i due camini che avrebbero dovuto riscaldare la grande sala… non c’erano candele: quelle erano una prerogativa di Sonja, il resto del palazzo si avvaleva di lampade più luminose.
Si tolse il mantello e si lasciò cadere sul grande letto dalle coperte scure, chiudendo gli occhi stanchi… finalmente a casa.
Fredda. Lontana. Solitaria.
Ma l’unica che poteva considerare tale.

___________

Sonja rientrò nella sua stanza e richiuse la porta con un fluido movimento dell’anca: le sue mani erano occupate da un grosso vaso di vetro trasparente, pieno d’acqua fino a metà, sulla quale si muovevano bianchi petali di rosa e candele galleggianti. Indossava ancora il vestito che le aveva regalato Draco… poco dopo che il ragazzo aveva lasciato le sue stanze, Sonja si era alzata e aveva ricominciato a giocare con le sue ossessionanti candele.
Registrò la presenza di Voldemort, seduto sulla poltrona, ma lo ignorò; appoggiò il vaso sulla cassettiera, accese le candele una a una, con la bacchetta e ne aspirò profondamente il profumo. Dietro le sue palpebre chiuse scorrevano i pensieri incoerenti di una mente drogata, immagini senza significato evocate dalla sensazione della seta contro la pelle nuda e dell’odore pungente che le riempiva le narici.
Finalmente si volse verso gli occhi rossi che avevano seguito ogni suo movimento e strinse le palpebre, in attesa di conoscere il motivo della sua visita.
“Riuscirò mai a convincerti a inginocchiarti davanti a me, Sonja?...”
“Con la maledizione Imperius…” rispose la ragazza mollemente, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi…
Voldemort si alzò in un fruscio di seta nera, le si avvicinò e le sfiorò la guancia in una carezza fredda e viscida… il suo volto serpentino si addolciva sempre, assumendo una parvenza di umanità, quando guardava la sua Sonja.
“A cosa devo l’onore…” sibilò sarcastica Sonja.
“Devo avere una ragione per venire a godere della tua compagnia, mia dolce bambolina?”
“Forse potrei ballare e cantare per intrattenimento…” la sferzante ironia di Sonja era palese, ma Voldemort non si scompose.
“Forse” mormorò allontanandosi.
Sonja rimase immobile nella stessa posizione, in piedi… come in attesa; la sua mano corse di nuovo alla gonna di seta e ricominciò ad accarezzare la stoffa liscia e scivolosa.
“Draco ti ha portato un dono, vedo.”
La ragazza annuì impercettibilmente.
“Molto appropriato…” fu il commento dell’Oscuro Signore “Sembri un angelo…”
“Cos’è un angelo…?”
Impossibile sapere se quella domanda sussurrata fosse rivolta a Voldemort, al nulla o a se stessa.
“è una creatura fantastica, Sonja…” rispose l’Oscuro Signore pazientemente “una creatura di eterea bellezza, raffigurata di solito con candide ali piumate e vesti di luce bianca. Sono creature della luce.”
Le palpebre di Sonja si strinsero, celando alla vista le grandi iridi mielate.
“…creature della luce…” ripetè “creature… della luce…”
Pareva che il suono di quelle parole la affascinasse. Voldemort la lasciò pensare per qualche secondo, poi cambiò discorso.
“C’è qualcuno di troppo in questa città, Sonja.”
“…creature… di… luce…”
Ora quelle parole affioravano alle labbra della ragazza, scandite e musicali, come quelle di una cantilena…
“Sonja ascoltami”
“Luce.”
“Sonja!”
Sonja rivolse a Voldemort gli occhi, ora vacui e sgranati; l’imperioso richiamo dell’ormai spazientito Signore risuonava nella sua testa, ripetutamente, come un’eco… si portò una mano alla tempia, con un gesto rigido e leggermente infastidito.
“Ho bisogno che qualcuno venga eliminato” continuò Voldemort, imperterrito, certo di avere ora l’attenzione della sua Sonja.
La rossa annuì.
“Chi.”
Voldemort agitò a bacchetta e una figura umana, immobile e semitrasparente, apparve tra loro, sospesa a mezz’aria. Sonja strinse le palpebre, scrutando l’ologramma.
“Paulie Sobieszkij” disse, mostrando di riconoscerlo.
L’uomo non doveva avere più di 25 o 26 anni, aveva un viso attraente, dai tratti occidentali… un accenno di barba e i ricciuti capelli scuri che gli ricadevano sulla fronte, davano al ragazzo un’aria di virilità e simpatia.
“Lo conosci.”
“Conosco tutti. Osservo… tutti…” fu la distratta risposta.
“è un traditore.”
Sonja non mostrò di aver sentito nulla.
“Non sembra russo…” mormorò tra sé.
“La scusa ufficiale è una somiglianza con una fantomatica madre straniera. In verità è un bugiardo inglese… e un traditore. Per colpa sua ora qualcuno in patria potrebbe sapere dove mi trovo…”
La rossa scrollò le spalle: le motivazioni di Voldemort non la interessavano.
“Quando.”
“Quando vuoi. Nel giro di qualche giorno.”
“Domani notte.”
Voldemort scrollò le spalle.
“Come ti pare. Non fartelo sfuggire.”
Una risatina incredula sfuggì alle labbra di Sonja e i suoi occhi liquidi si fissarono sul volto rugoso di Voldemort.
“Buonanotte, mia Sonja…” continuò l’Oscuro, passandole accanto.
Il capo della ragazza si inclinò di lato con uno scatto, sfuggendo alle lunghe dita che le si erano avvicinate… gli occhi semichiusi, ora, le labbra serrate, la pelle pallidissima della guancia che rifletteva la luce dorata delle candele… il lampo di fastidio che l’idea di una carezza di Voldemort aveva acceso nel suo sguardo.
Lord Voldemort sparì in un fruscio del mantello di seta e Sonja rimase sola. Di nuovo.
…sola con i suoi sogni inquieti che, lo sapeva, al mattino non avrebbe ricordato….

***
Who's in charge of my head today
Dancin' devils in angels way
***

Sonja si svegliò la mattina successiva, avvertendo il materasso abbassarsi leggermente da un lato, sotto il peso di un secondo corpo che si era fatto spazio sul letto accanto a lei; sbattè le palpebre un paio di volte prima di riuscire a mettere a fuoco un visino pallido e imbronciato, incorniciato da fini e lisci capelli chiari.
“Sonja…”
La ragazza scosse la testa e si sollevò leggermente… la treccia arruffata poggiava inerte sul cuscino come una grossa corda vermiglia e sfilacciata.
“Nicolaj…” borbottò, insonnolita “che c’è?”
Il viso e i capelli biondi appartenevano infatti ad un bambino di circa quattro anni, che si era arrampicato sul grande letto di Sonja e se ne stava seduto a gambe incrociate, serio e compunto, nel suo pigiamino celeste scuro… stava lì a guardarla, giocherellando con un affilato coltello da tavola.
“Non c’è ancora nessuno sveglio…” si lagnò Nicolaj debolmente.
Sonja si sollevò del tutto e sgusciò fuori dalle coperte candide, incrociando le gambe nude nella stessa posizione del bambino di fronte a lei; si fermò per un istante a guardarlo, seguendo come ipnotizzata il movimento del coltello tra le manine di Nicolaj, poi sollevò lo sguardo ed incontrò i suoi occhi… grandi e assonnati occhioni chiari, così simili a quelli di Draco, eppure di una tonalità meno gelida e sferzante: calde pagliuzze brunite regalavano un minimo di dolcezza infantile ad un colore che, altrimenti, sarebbe stato paragonabile soltanto a quello dei cristalli di ghiaccio.
“Non c’è nessuno che mi tagli il panino!” continuò il bambino con voce lamentosa e indispettita, indicando con la punta del coltello un vassoietto da colazione posato sul basso tavolino. “La stanza di Draco è chiusa a chiave…!”
La ragazza guardò il piccolo vassoio su cui erano stati disordinatamente ammassati panini, biscotti e qualche vasetto di marmellata; Nicolaj strisciò sulle coperte, avvicinandosi a Sonja, e le toccò una gamba con la manina fredda, per attirare la sua attenzione.
“Facciamo colazione qui sul lettone, Sonja…? Eh?! Con Draco non posso mai! Mi fa sempre sedere a tavola…” implorò.
Sonja scrollò le spalle e annuì, sollevando un angolo della bocca in una specie di sogghigno; tirò fuori la bacchetta da sotto il cuscino e fece lievitare il vassoio fino a posarlo tra loro due. Con uno strilletto di trionfo, Nicolaj afferrò un panino e lo porse alla ragazza per farselo tagliare in due con precisione, poi si ingegnò per spalmare su di esso una dose maxi di marmellata di arance. Sonja invece ritornò a fissare il vassoio e decise che mancava qualcosa: agitò di nuovo la bacchetta producendo un suono simile a quello di un campanellino e un elfo domestico si materializzò immediatamente accanto al letto.
“Tè caldo.” ordinò, per poi fissare Nicolaj con aria interrogativa.
“E cioccolata!” trillò il bambino, felice.
La creaturina agitò le grandi orecchie e si inchinò fino a terra prima di sparire.
Pochi minuti dopo Nicolaj si godeva la sua cioccolata, sbrodolando senza remore sulla coperta immacolata, sotto lo sguardo indifferente di Sonja, probabilmente molto più interessata alla scelta dei biscotti da intingere nel suo tè, piuttosto che al cospicuo numerosi macchie scure improvvisamente apparse sul suo copriletto.

___________

“Vai a cavallo, oggi?”
Nicolaj era raggomitolato sul letto, in una confusione di coperte macchiate e briciole di pane, e guardava Sonja prepararsi per la cavalcata.
“Si.”
“Sonja…”
Il viso della ragazza sbucò, con espressione interrogativa, dal collo del maglione pesante che si stava infilando… la lana, sfregando sui capelli ora sciolti sulla schiena, li aveva elettrizzati dandole un aspetto selvaggio e disordinato. Nicolaj scoppiò in una risatina, dimenticando ciò che stava per dire… Sonja strinse le palpebre.
“So-Sonja!” ridacchiò il bambino indicando la testa della ragazza.
La rossa si voltò verso lo specchio e afferrò immediatamente una spazzola.
“Posso pettinarti io?!?”
La vocetta infantile di Nicolaj proveniva ora da dietro di lei: era sceso dal letto e strofinava i piedini nudi sul pavimento freddo, esprimendo timidezza e vergogna per la richiesta appena formulata… improvvisamente si era reso conto che forse aveva osato troppo, non si poteva mai sapere con Sonja.
Invece la fanciulla gli porse la spazzola e si accomodò su uno sgabello in modo che Nicolaj arrivasse bene alla sua testa; il bambino iniziò a passare con attenzione la spazzola tra i lunghissimi capelli rossi, divertendosi a contare i tradizionali cento colpi come aveva visto fare da Sonja stessa altre mattine.
“Sono dello stesso colore del tuo pelo… quando sei gatto…” commentò allegramente, felice della possibilità di stare un altro po’ vicino alla sua grande amica.
“Credo di si.”
“Si, si… te lo dico io!”
Sonja scrollò le spalle e, sentendo la voce sommessa del piccolo mago pronunciare il numero cento, gli disse di smetterla, era già sufficiente; con un colpo di bacchetta intrecciò strettamente i capelli dietro la nuca e si alzò in piedi.
“Ora vado Nicolaj… ci vediamo stasera.” gli disse.
Il bambino annuì, cercando di non mostrare una leggera delusione: gli piaceva passare del tempo con Sonja… era strana, ma era divertente… e gli lasciava fare sempre tutto, non lo sgridava mai.
“Ciao, Sonja.”

_____________

Sonja percorse velocemente il lunghissimo corridoio che l’avrebbe condotta all’uscita sul retro, quella vicina alle scuderie; svoltò l’angolo, camminando con aria assorta, e si bloccò improvvisamente: dalla porta di mogano delle stanze di Draco stava uscendo qualcuno… e non era Draco. L’intruso incontrò lo sguardo freddo della rossa e i suoi occhi azzurri si dilatarono in un’espressione terrorizzata.
Era una donna… molto giovane, forse non aveva nemmeno vent’anni; una ragazza graziosa, dai tratti nettamente sovietici. A giudicare dalla paura con cui la stava fissando, immobilizzata, era sicuramente una strega e doveva per lo meno aver sentito parlare di lei, Sonja… Colei-che-non-ricorda.
Tutti i maghi, a Mosca, sapevano chi era quella bambola di vetro dai capelli rossi, tutti sapevano che vederla poteva significare morire... ma, quella mattina, Sonja non era lì per uccidere. E si limitò ad osservare… appoggiandosi con noncuranza al muro del corridoio.
La russa indossava una veste marrone, con la foggia tipica dei maghi sovietici, trattenuta in vita da una cintura di seta color crema, palesemente annodata in fretta e senza la dovuta cura; i capelli erano scarmigliati e agli angoli degli occhi si notavano deboli tracce di trucco sbavato.
Improvvisamente la porta si spalancò, riscuotendo la ragazza dal suo muto terrore, e mostrando un Draco dall’espressione severa, avvolto in uno spesso accappatoio scuro; un’occhiata del mago e la biondina corse via spaventata, sparendo nella penombra del corridoio.
Draco girò la testa ed incontrò direttamente lo sguardo di Sonja.

Sul suo viso si dipinse una maschera di falsa freddezza e solo gli occhi, trasparenti come il riflesso di una nuvola sull’acqua, tradivano la violenza dei sentimenti che, improvvisamente, lo stavano assalendo: era raro, rarissimo, che i loro sguardi si incontrassero in modo così aperto e diretto… e quando accadeva, la luce dorata negli occhi di lei sembrava avere il maledettissimo potere di trasportarlo avanti e indietro nel tempo, come un burattino, attraverso quegli anni che avevano trascorso insieme.

…un presente fatto di sguardi evitati ed emozioni irraggiungibili dietro alte e solide mura di folle indifferenza… la consapevolezza di non poter arrivare a ciò che era celato dal velo color miele di quegli occhi insondabili, sepolto nel caos di un’anima sovvertita dalla crudeltà e congelata in un corpo senza coscienza di se stesso.
Troppo grande il dolore nel fissarla negli occhi, troppa la rabbia nel ricordare quegli stessi, bellissimi, occhi ricolmi di lacrime di vita… in un passato fatto di urla, conforto, violenza e passione: un passato in cui un contatto fisico, un incontro di sguardi, un bisbiglio spaurito, significavano ancora qualcosa…

Il volto di Sonja non tradì la minima emozione: si limitava a fissarlo, immobile e distante come il primo fiocco di neve dell’inverno… posato sulla gelida corteccia del ramo che non si riesce a raggiungere; i suoi occhi spalancati, le labbra socchiuse e rilassate, ogni muscolo del viso fermo a mostrare tutta la sua regale indifferenza…
Troppo grande la bellezza di quel demone solitario, troppo crudele quella perfezione per essere ammirata apertamente…

Draco distolse lo sguardo e rientrò nella propria stanza.

***
Not only do I not know the answer
I don't even know what the question is
***

****************

Finalmente siamo entrati nel mondo di Sonja, nella sua vita di ogni giorno… spero che vi sia piaciuto e che vi sia arrivato tutto ciò di lei che volevo mostrare. Devo ribadire a tutti quelli che sperano di sapere gli antefatti a breve che, no, la seconda parte NON conterrà che qualche velato indizio su ciò che può essere successo prima che a Sonja Voldemort cancellasse la memoria. Dalla terza parte in poi qualche tessera del puzzle inizierà ad uscire, ma NON ci sarà (credo) un vero e proprio racconto sequenziale, né da parte di Sonja, che come ho già detto non parlerà mai più in prima persona, né da parte di altri… la verità salterà a galla in altri modi.
Ringrazio tutti per continuare a seguirmi anche dopo LFF! Sono appena tornata dalla Francia e aggiorno alla velocità della luce… i ringraziamenti individuali li inserirò quando sarò meno rincretinita dal viaggio!

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Capitolo 8
*** For whom the bell tolls ***


PARTE II

CAPITOLO 2: FOR WHOM THE BELL TOLLS

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Take a look to the sky just before you die…
*******

Svoltò in un vicolo alla sua destra.
Purtroppo, la sensazione di essere seguito non si attenuò.

Cercò di affrettare il passo ed emise un involontario ansito di sollievo nel momento in cui riuscì ad intravedere, a poche centinaia di metri di distanza, la tinta rossa e scrostata della sua porta di casa.
L’oscurità, durante il gelido inverno russo, riusciva ad essere così assoluta e strisciante da far pensare che la mattina non sarebbe arrivata mai… ombre parevano agitarsi dietro ad ogni sbuffo di fiato condensato, dietro ad ogni brivido di freddo avrebbe potuto celarsi un tremito di paura. Il freddo era viscido e opprimente, come la pelle scivolosa di una salamandra…
Faticò a far girare la chiave nella toppa congelata perché aveva le dita troppo intirizzite per esercitare una pressione decisa.
Entrato in casa appoggiò la schiena al legno della porta e respirò, un rantolo rumoroso e sgraziato… strinse le palpebre, sebbene fosse un gesto completamente assurdo nel buio totale che invadeva la casa, e sentì l’intensificarsi della morsa che gli stava stringendo lo stomaco; fu in quel momento che comprese quale enorme errore di valutazione aveva commesso: lui non era affatto seguito.
Era atteso.

“Lumos.”

Eccola.
Immobile, gambe accavallate, che sembravano sfiorare con grazia il velluto consunto della poltrona… il viso dolcissimo scolpito nella neve appena caduta; nemmeno l’improvviso accendersi della luce aveva fatto fremere le sue ciglia. Soltanto il movimento convulso e ripetitivo della mano, sul palmo della quale faceva saltellare la bacchetta scura, rivelava che fosse… viva.
Eccola lì: vera, solida… davanti a lui.
La sensazione nel trovarsela di fronte era esattamente quella descritta dalle voci dal sapore leggendario, che i maghi avevano il coraggio di riferire solo dopo due o tre bicchieri di vodka: gelo, fiato corto, rassegnazione; l’emozione inspiegabile di avere davanti un angelo triste, intoccato dal tempo e soffuso da una livida luce di morte… la tua morte.
...crudeltà e compassione, luminosità a buio… la dolorosa e palese contraddizione della pazzia…
Era assurdo quanto le voci, normalmente così inaffidabili, si fossero rivelate, nel caso specifico, assolutamente veritiere: la sua grazia aveva qualcosa di etereo ed angelico, un’armonia irresistibile di forme inconsistenti… quella grazia che, si dice, solo il demonio possa donare alle fanciulle che stringono il patto di servirlo.
Era esattamente come l’aveva descritta qualcuno… uno dei pochi… che l’aveva vista di persona e aveva potuto raccontarlo.
Paulie Sobiezkij sapeva di non essere tra quei pochi. Paulie sapeva da tanto tempo che avrebbe avuto soltanto un’occasione per trovarsela davanti e che per lui avrebbe significato la fine.
Inspiegabilmente non riusciva a provare terrore.
Era meravigliosa… bellissima.

“Era stata create per le violente emozioni della battaglia, per porre fine alla vita degli uomini… eppure era di una bellezza sconvolgente.”
Christopher Paolini
“Eragon”

Si alzò dalla poltrona, con la fluidità spettrale di un fuoco fatuo sul pendio di una collina… le colline ricoperte di erica che, “Paulie” lo sapeva, non avrebbe mai più rivisto. L’ondata di tristezza che lo colse all’improvviso fu talmente intensa da fargli chiudere gli occhi.
“è finita vero?” mormorò in un soffio, mentre continuava a tenere gli occhi chiusi, come per non vedere la cruda realtà in quell’espressione indifferente.
La risposta non arrivò: Sonja si era avvicinata e lo fissava, di nuovo immobile, con la testa reclinata di lato e la noncuranza dipinta a chiare lettere su quelle sopracciglia distese. La treccia vermiglia ondeggiava ancora per il movimento, sfiorando la cintura di pelle marrone che tratteneva i pantaloni da cavallerizza.
…rivedere l’oro rosso di quei capelli ardere sotto il sole un pomeriggio di primavera, la dolcezza del miele in quegli occhi dello stesso, caldo, colore… il corpo morbido di donna appena sbocciato e la malizia che iniziava a nascere in quel sorriso di fata impudente…
Una parola. Solo una parola… un nome, in realtà… gridato nel silenzio della sua mente, sussurrato tra le voci assordanti di un passato che non a tutti concede la grazia dell’oblio…
“Ginny…”
Le palpebre di Sonja si strinsero.

Il rumore della bacchetta che ricadeva sul palmo della mano della ragazza, dopo essere stata lanciata in aria, arrivò ad interrompere, secco e preciso, il silenzio innaturale che si era creato tra loro.
Paulie scosse la testa e avanzò di un passo verso di lei.
“Aspetta… aspetta, ti prego!”
Sonja lanciò di nuovo la bacchetta e la riprese al volo.
“Perché?”
La sua voce aveva una nota infantile e quasi svampita, completamente diversa dal tono malizioso e ironico che si stava riaffacciando tra i ricordi di “Paulie”… nella sua mente esplose di nuovo quella risata noncurante, quel modo di fare tipico di chi non disdegna lo stare al centro dell’attenzione: chi diamine era quel pazzo che diceva che le cotte dei ragazzi si dimenticano subito…? Chi era quello stupido a non capire che non si può scordare il prima amore?
Ricordi dolci di se stesso, infantile ed impacciato, dinanzi a lei, donna e bambina, innocente per quel che la sua insita natura di femmina poteva permetterlo, che aveva giocato sorridendo col suo cuore di ragazzo con la grazia quasi fastidiosa di una bambina che fa i capricci…
“Mi chiamo Dean Thomas…”

Sonja inclinò la testa di lato e mosse la bacchetta, rapida come un dannato serpente a sonagli, facendo apparire attorno ai polsi dell’uomo delle pesanti catene di metallo.
“E perché mai il tuo nome dovrebbe interessarmi?” mormorò avvicinandoglisi con passi lenti e misurati… si muoveva ondeggiando lievemente i fianchi, come a seguire il ritmo di un languido tango che solo lei poteva sentire.
“Io so chi sei…” bisbigliò lui con voce disperata.
La rossa rispose con una risatina stridula e gli fece il verso.
“Io so chi sei… io so chi sei…” cantilenò scioccamente “Tutti sanno chi sono, non credi?... Crucio.”
Dean Thomas, o Paulie Sobiezskij, si accasciò a terra come un burattino, mordendosi la lingua nelle convulsioni di quel dolore lacerante.
“A-aspetta…” farfugliò con la bocca piena di sangue, una volta che la ragazza ebbe sollevato la bacchetta “ascolta… t-ti prego…”
“E poi mi pregherai anche di risparmiarti la vita?”
Dean la guardò per un lungo istante, poi scosse la testa.
“No… è finita. Se non sei tu, sarà qualcun altro. Ma ascolta… tu non ricordi vero? Mi conoscevi Ginny! Eravamo amici! Io so chi sei realmente!”
Sonja gli girò attorno, spostandogli una gamba, piegata innaturalmente, con un calcio.
“Tu sai chi… ero.” concesse, con tranquillità.
“No! Io so chi sei!” gridò Dean, cercando di rialzarsi “Tu non sei un’assassina! Lui ti ha plagiato, Gin… ricorda! Cerca di ricordare, pensa al mio nome! Dean… pensaci! Non ti dice nulla? Ricorda Harry, allora! Luna, Hermione! Ricorda… ri-ricorda Ron!”
Dean si interruppe, ansimando… forse avrebbe potuto alzarsi, se avesse voluto… forse sarebbe potut arrivare alla bacchetta e cercare di difendersi. Ma non contro i lei. Non contro quel fantasma del suo primo amore, congelato tra le nevi della Russia, non contro la sorella di Ron, non contro chi non aveva colpa se non quella di non essere stata uccisa con gli altri… quel giorno… e trovare la pace nella morte. Non avrebbe potuto attaccarla nemmeno sapendo che, comunque, avrebbe vinto lei.
Sonja avanzò ancora e si chinò davanti a lui, poggiando un ginocchio sul pavimento. I loro occhi erano vicini ora; la mano piccola e fresca di lei accarezzò la guancia sudata di Dean con dolcezza, osservandolo senza reale compassione o comprensione: sul viso era dipinta una meravigliosa maschera di indifferenza e la piega dolce delle labbra manifestava soltanto una infinitesima curiosità.
“Io sono Colei-che-non-ricorda, Paulie… non so di cosa tu stia parlando. Se mai hai conosciuto ciò che ero, non può avere più alcuna importanza.”
Il bracciale di ametista baluginò per un istante nella penombra mentre il polso di Sonja descriveva un ampio arco attorno al corpo di lei.
“Avada Kedavra.”
E quel bagliore violaceo infernale fu l’ultima luce terrena che Dean vide prima di spegnersi per sempre.

Sonja ascoltò quel silenzio improvviso per qualche istante, lo sguardo fisso sul cadavere di quel bel ragazzo ai suoi piedi.
Le sue parole, che prima erano scivolate su di lei come olio sporco su un cristallo, le risuonarono nella mente, sconnesse e disordinate, senza che lei fosse più in grado di dare un senso compiuto ad ogni frase… con un’ultima, stralunata, occhiata al corpo pallido disteso sul pavimento e ai suoi occhi aperti e vuoti, scappò da quella casa di corsa, senza pensare e senza chiudere la porta alle proprie spalle… semplicemente scappò.

***
Stranger now, are his eyes, to this mystery
He hears the silence so loud
***

Correre.

Correre a perdifiato, finchè il sudore non era sufficiente per creare una patina gelida e viscose sul suo corpo e su quello del cavallo.
Correre finchè il movimento delle sue gambe sui fianchi poderosi dell’animale, non diventava l’unico possibile… doloroso e liberatorio al tempo stesso.
Correre finchè il rumore sgraziato degli zoccoli sulla steppa gelata non riempiva tutto il suo essere, eco sferzante nel nulla assoluto della sua coscienza… lo stesso disperato nulla, sospeso tra ogni tonfo pressante che pareva risuonare e vibrare incontrando quei pochi, incomprensibili, frammenti del suo ego passato.
Correre fino allo stremo delle forze per poi fermarsi all’improvviso, crollare sul collo del cavallo e abbracciare quel corpo caldo, riempiendosi le narici di quell’odore acre e intensamente animale che le rimaneva addosso per ore, rimaneva negli abiti, nei capelli… sovrastando per un poco quel sentore di sacralità che il caprifoglio le regalava.

Non c’era più nulla in quel momento, quando l’ansito e il battito del cuore del cavallo sembravano assordarla… paradossalmente spariva anche il nulla stesso, la sensazione di vuoto che si portava dentro, spariva ogni sensazione… compresa la mancanza di esse.
Troppo invadente il vuoto per poterlo attraversare, troppo opprimente per sopportare di respirarlo… troppo assordante il silenzio per riuscire a non coprirsi le orecchie…

Respirare quei brevi momenti come ore d’aria di un carcerato, brevi sprazzi di una pace così totale che qualcuno, non lei, avrebbe trovato insopportabile e paurosamente simile alla morte dell’anima. Ma lei non ce l’aveva più un’anima da uccidere, c’era solo quel vuoto, quel buco rimbombante di echi incorporei senza significato, troppo stonati e laceranti per non desiderare di metterli a tacere.

“Le stelle splendevano, e le foglie frusciavano nei boschi più tristi che mai; sentii un gufo in lontananza, che si lamentava per qualcuno che era morto, e un succiacapre e un cane che piangevano per qualcuno che stava per morire; e il vento cercava di sussurrarmi qualcosa, ma io non riuscivo a capire cosa fosse, e così mi vennero i brividi dappertutto. Allora da lontano sentii quella specie di suono che fa un fantasma quando vuol dire qualcosa che ha in mente e non riesce a farsi capire […]”
Mark Twain
“Le avventure di Huckleberry Finn”

La porta si aprì all’improvviso, ma Draco non sollevò nemmeno gli occhi; il vassoio con ciò che era stato la sua colazione giaceva ancora abbandonato sul tavolino accanto al fuoco e lui stava leggendo un vecchio testo, le membra placidamente abbandonate sulla sua poltrona.
“Ho ucciso Sobieszckij, ieri notte.”
Draco alzò la testa dal libro; il tono di quella affermazione avrebbe potuto adattarsi tranquillamente a frasi come “ci sono molte zanzare, stamattina” o “ho appena mangiato una fetta di torta al cioccolato.”

“Dean Thomas.”
Un nome mormorato distrattamente, mentre la testa bionda del ragazzo si riabbassa sulle pagine.
“Lo ha detto anche lui.”
Draco sbattè le palpebre, confuso: senza farsi sentire la donna si era avvicinata e accoccolata ai suoi piedi.
“Come?”
“Il nome che hai appena borbottato…” disse lei, fissando su di lui i suoi occhi dorati da felino curioso “lui ha detto di chiamarsi così.”
Il ragazzo ci mise qualche attimo prima di annuire; non si era nemmeno reso conto di aver parlato. Si portò una mano alla tempia e prese a guardare le scintille rosse che salivano sulla cappa del camino.
“Sono stato io a riconoscere quella spia inglese, Sonja, e l’ho riferito al Signore. So chi era veramente.”
Non aggiunse che avrebbe voluto essere lui ad eliminare quella particolare spia, al posto di Sonja.
Per tutti gli dei, che quell’idiota l’avesse riconosciuta e tentato di far le tornare la memoria…? Che le avesse raccontato…
“Ti ha detto altro, Sonja?”

Niente. Era già sparita.
Il gatto rosso muoveva le zampine come minuscoli stantuffi, sulla pietra calda davanti alle fiamme, quasi a voler scacciare un brivido di freddo improvviso… un vento freddo che soffiava dal passato, da tutte e da nessuna direzione…
Draco scosse la testa e girò una pagina, pensieroso.

Passò più di un’ora prima che l’animagus si smuovesse da quella piccola trance: mentre si allontanava verso la porta riprese la propria forma umana e chiamò il ragazzo, storpiando il suo nome in un retaggio di miagolio.
“Draco…?”
Ancora una volta, non sollevò gli occhi.
“Si?”
“Chi è Ginny?”
Gli occhi chiari di lui si chiusero e la sua mente sembrò precipitare in un pozzo buio in cui esplodevano scintille gelate.
Pazzo…
“Nessuno Sonja…”
Fu un mormorio appena udibile.
Pazzo, folle… che credevi di ottenere?
“Non più.”
La porta si chiuse con uno schiocco, l’unico rumore prodotto da Sonja mentre usciva, e Draco rimase solo… a chiedersi perché quel dannato passato e quel maledettissimo nome, dovessero fargli sentire sempre così soffocante il fango in cui era sprofondato.
Sentì il calore delle fiamme bruciargli le pupille sotto le palpebre calate e si accorse di non capire se fosse dovuto al fuoco che poco prima aveva fissato o al tormento ben più profondo dell’inferno che lo aspettava dietro l’angolo. Ritrovò, come impressa sul retro di quelle palpebre abbassate, l’immagine di Sonja come gli si presentava in quei giorni… in quegli anni… gelida, lontana, contornata e allo stesso tempo intoccata dalle fiamme di quell’inferno di cui non aveva nemmeno consapevolezza. No… le fiamme si erano spente tanti anni prima dentro di lei, ora non potevano più farle del male…

Quando una candela si spegne per sempre, resta da guardare soltanto la forma candida che la cera colata, raffreddandosi ha plasmato…

Lo riscossero i passi trafelati di qualcuno che si fermava davanti alla sua porta e iniziava a bussare con insistenza.
“Avanti…” disse stancamente.
La porta si aprì con un cigolio e una testolina bionda sbucò da poco sotto la pesante maniglia e sbirciò all’interno della stanza.
“Draco…?”
Un leggero sorriso affiorò finalmente sulle labbra di Draco, rischiarando la sua espressione amareggiata.
“Nicolaj!”
Il bambino corse dentro, lasciando la porta aperta dietro di lui, lanciandosi verso la poltrona del mago; prima di abbracciarlo, Draco si trovò ad assaporare la meravigliosa sensazione di un sorriso che nasce spontaneo… non finto, non forzato… era una sensazione che lo coglieva sempre alla sprovvista e che riusciva a provare, notò, soltanto quando era presente Nicolaj.
“Sei sporco di cioccolato, piccolo mostro!” lo rimproverò affettuosamente, cercando di nascondere quel sorriso che proprio non se ne voleva andare “…quante volte ti ho detto di comportarti decentemente!”
Il bambino si spazzolò il viso con la manica, borbottando un colpevole, ma sicuramente poco sentito, “scusa”.
“Deduco tu abbia già fatto colazione.”
Nicolaj annuì.
“Ti sei intrufolato di nuovo in camera di Sonja?” gli chiese Draco cercando di sembrare severo.
“No! Ho fatto colazione con lui… mi ha visto da solo e si è seduto con me.”
Negli occhi di Draco passò un’ombra di dispetto, ma il ragazzo fu rapido a celarla mentre con una mano scompigliava i capelli di Nicolaj. Aprì la bocca, pronto a ribattere qualcosa di scherzoso, ma dal vano della porta una voce sibilante arrivò prima di lui.
“Ed è stata una piacevolissima colazione, per quanto mi riguarda.”

Nicolaj voltò la testa, con uno scatto spaventato, e si affrettò ad allontanarsi dalle braccia di Draco; sul viso del mago biondo comparve nel giro di un istante una maschera di inflessibilità con la quale soltanto la malata indifferenza di Sonja avrebbe potuto fare a gara.
“Buon giorno, mio Signore…” mormorò, chinando il capo.
“Buon giorno, Draco. Vedo che Nicolaj non manca mai di venire ad augurarti una buona giornata.”
L’Oscuro Signore avanzò verso il camino e prese posto sulla poltrona libera, di fronte a Draco, con un frusciare di seta nerissima; si guardò intorno, sondando ogni angolo come alla ricerca di qualcosa… forse di un gatto rosso, si chiese distrattamente Nicolaj, mentre teneva un occhio alzato sul viso del suo tutore, pregando di non dover incontrare il suo sguardo.
Ma gli occhi rossi di Voldemort proseguirono il loro percorso oltre la testolina bionda di Nicolaj, per fermarsi su un letto a baldacchino, ben visibile nella stanza adiacente grazie alla grande porta spalancata… le cortine di raso non erano completamente chiuse, ed al di là di esse si scorgeva un’accozzaglia di lenzuola e coperte incredibilmente aggrovigliate tra loro.
“Mi accorgo che almeno mostri la delicatezza di non far incontrare Nicolaj e le tue…” Voldemort lanciò un’occhiata in tralice al capo chino del bambino “…distrazioni. Un ottimo calcolo dei tempi, non c’è che dire.”
Draco strinse il pugno fino a conficcarsi le unghie nella carne del palmo, nascosto dalle ampie maniche della veste da camera che indossava.
“Sono stato educato in modo eccellente, mio Signore.”
Voldemort annuì, poi finalmente si decise a rivolgere la sua attenzione a Nicolaj, che non aveva colto nessuna delle allusioni formulate dai due adulti.
“Hai avuto il tempo di svagarti dopo colazione, Nicolaj. Vai ad esercitarti adesso” gli ordinò, perentorio.
Il bambino alzò finalmente gli occhi e sospirò, implorante.
“Adesso, Nicolaj” ripetè Voldemort, in tono gelido “non ho risvegliato la tua magia anzitempo perché tu non imparassi ad usarla! Voglio vedere quella lucertola trasformata in uno smeraldo prima di sera. Uno smeraldo che non muove la coda!” precisò.
Rassegnato, Nicolaj salutò Draco con un’occhiata e si avviò mestamente verso la porta.

Voldemort seguì con gli occhi i suoi passetti strascicati finchè la macchia bionda e lucente dei suoi capelli non scomparve nel corridoio buio; si rivolse poi al mago di fronte a lui, con un sogghigno crudele ma, allo stesso tempo, orgoglioso, appena accennato sulle labbra.
“è sorprendente quanto l’educazione di un bambino riesca ad essere stimolante, non trovi, Draco?”

**************

Ed eccomi qua! Mi dispiace davvero molto di non essere riuscita a mettere i ringraziamenti questa settimana… ringrazio adesso tantissimo tutti quelli che avevano commentato il capitolo precedente!
Merenwen: mi sa che pretendi di sapere troppe cose troppo presto! Calma… intanto spero che continui a piacerti! Kisses!
Ithil: Lo so, è strano vederli così… ed è strano anche scrivere, specialmente dopo DF e LFF… erano così diversi! Bè, sono contenta che ti piacciano comunque!
Minami77: Grazie, sono felice che le atmosfere russe coinvolgano! Un bacio!
Ethel: eccomi qua, sono stata puntuale! Mi ha fatto anto piacere che tu abbia colto proprio quelle frasi e quegli aspetti… le candele verranno spiegate molto più avanti… ma verranno spiegate tranquilla! Grazie e un kiss!
Saturnia: carissima! Ricevere i tuoi commenti è sempre così bello che non so più cosa dirti per farti capire quanto mi faccia piacere! Sono contenta che i personaggi ti stimolino a pensare, ma non arrovellarti troppo: Sonja è davvero impazzita… questo è l’effetto che secondo me ha su una persona l’esperienza e la perdita della memoria che lei ha dovuto sopportare. Per quanto riguarda Nicolaj… sarà chiaro chi è e che scopo ha col tempo; ecco, forse su di lui e su Draco puoi sbizzarrirti di più con la psichiatria. Per rispondere alla tua domanda: non c’è un motivo particolare che mi spinge a scrivere Draco-Ginny, sinceramente non lo so perché mi ispirano… pensa che come pairing apprezzo moltissimo invece le Draco-Hermione! So che Hermione può stare solo con Ron ma scrivere qualcosa su di loro proprio non mi viene, così come faccio fatica a immaginare qualcosa con Harry come protagonista. Ancora grazie per la tua gentilezza e complimenti per la patente! Un bacio!
Bla.St: Volevi vederla uccidere? Eccoti accontentata… ci sta come novella Lady Macbeth? Kisses!

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Capitolo 9
*** Invisible kid ***


PARTE II

CAPITOLO 3: INVISIBLE KID

*******
Invisible kid
Never see what he did
got stuck where he hid
Fallen through the grid
*******

Era una bacchetta inusualmente lunga… o forse lo sembrava soltanto, tra le manine del bambino che la impugnava.
Cinque anni.
Avrebbero dovuto passarne almeno altri sei perché ciò potesse accadere, secondo la consuetudine dei maghi. Ma questo, Nicolaj, non poteva saperlo.
Brandiva quel bastoncino liscio con gesti fluidi ed eleganti; pronunciava parole di cui non conosceva il significato, ma ne avvertiva comunque il potere. Ecco cos’era quel bambino: un insieme innaturale di ignoranza e conoscenza… nulla sapeva di ciò che i bambini della sua età conoscono, ma molto, forse troppo, stava già imparando sulla magia che non avrebbe dovuto ancora riguardarlo; una magia che, però, collimava perfettamente con un istinto che Nicolaj non si riusciva a spiegare.
Era bravo. E non soltanto in considerazione della sua giovanissima età.

Guardò la lucertolina verde con curiosità e divertimento, la toccò con una stoccata decisa e scandì la corretta formula latina: un bello smeraldo luccicante, perfetto e levigato, apparve nella scatola al posto dell’animaletto. Nicolaj lo rimirò per qualche istante, scrutandolo alla ricerca di possibili segni di una riuscita non completa dell’esperimento… un ghigno birichino gli piegò le labbra mentre ritornava a sfiorare la pietra con la punta della bacchetta, questa volta senza parlare: una codina sgusciò da un lato della pietra e prese ad agitarsi, producendo un suono simile a quello di una minuscola frusta nell’aria. Il bambino rise, felice; quella magia non gliel’aveva insegnata lui, era qualcosa che aveva dentro, lo sapeva fare e basta: immaginava di modificare leggermente l’aspetto di qualcosa e, se lo desiderava abbastanza forte, l’oggetto mutava davvero… bastava un colpo di bacchetta, niente parole, niente tiritere senza senso. Il problema si poneva per il fatto che non sempre riusciva a controllarsi, a volte eseguiva quelle magie a comando, ma molto più spesso gli uscivano senza accorgersene: code o zampette apparivano casualmente negli oggetti in cui tentava di trasfigurare un animale, senza che lui lo desiderasse consciamente, solo perché l’aveva immaginato di sfuggita. Un bordo di pelliccia grigia ad un calice di vino (certo, un po’ scomodo per bere…) gli era costato una punizione di due giorni senza poter vedere Draco, la settimana prima… era stato tremendo, i suoi rimproveri erano stati tremendi.
Udì dei passi nel corridoio e si affrettò a sfiorare di nuovo lo smeraldo sperando di veder sparire la coda; respirò di sollievo e si accinse a passare ad un’altra gabbia per ripetere l’esperimento... nella speranza che la sua presenza alle proprie spalle non lo agitasse troppo per riuscire a concentrarsi.

“Molto bene, Nicolaj.”

Sibilava. Lui non parlava, sibilava… la sua voce era fastidiosa ed inquietante, per Nicolaj, che dovette trattenere l’istinto di portarsi una manina all’orecchio in un gesto nervoso.
“Oh. S-si… grazie.”
“Credo che sia il caso di passare a qualcosa di più difficile, vero?” Voldemort mosse la bacchetta e i due smeraldi ripresero le loro forme originarie “Voglio insegnarti una cosa più utile, Nicolaj… voglio insegnarti a costringere le lucertole a fare ciò che tu desideri…”

*******
Invisible kid
Got a place of his own
Where he'll never be known
Inward he's grown
*******

Nicolaj uscì dalle proprie stanze soltanto per ora di cena; lo sforzo a cui lo aveva sottoposto Voldemort durante la mattinata, perché imparasse la “nuova” maledizione, lo aveva sfinito… si era sentito talmente stanco che nemmeno la prospettiva di incontrare Draco a pranzo era riuscita a smuoverlo dal letto in cui era rimasto a sonnecchiare, sognando corse e cavalcate… gli stessi sogni spensierati che fanno apparire un lieve sorriso sul volto di tutti i bambini addormentati del mondo…

Nel vederlo affacciarsi alla grande sala da pranzo, Draco gli rivolse un sorriso di benvenuto e impartì immediatamente l’ordine di apparecchiare anche per il bambino. Nicolaj si guardò intorno, curioso.
“Sonja?” chiese.
Il mago scosse la testa.
“Non la vedo da stamani, Nicolaj. L’ho sentita andarsene a cavallo, ma non saprei dirti se è rientrata.”
“Ah.”
Gli elfi domestici avevano già provveduto ad aggiungere cuscini ad una sedia e Nicolaj vi si arrampicò sopra, non senza fatica; Draco non potè fare a meno di notare quanto fosse gracile e piccolino… non aveva certo esperienza in materia di bambini, ma Nicolaj gli sembrava sempre eccessivamente piccolo, sebbene non avesse mai occasione di vederlo insieme ad altri coetanei. Scacciò quel pensiero e si rivolse di nuovo al bambino che stava giocando con il cibo senza addentare nulla.
“Mangia, forza. Se non ti piace qualcosa ci facciamo portare altro.”
“No, va bene…”
“Sicuro?”
Il bambino guardò il piatto e annuì, ma continuò a muovere il cucchiaio nella salsa senza accennare a portarlo alla bocca; Draco sospirò.
“Che c’è, Nicolaj?”
Nicolaj scosse la zazzera bionda e tentò di inghiottire una cucchiaiata di sugo; inutile… gli faceva proprio schifo. Draco si alzò dalla sua sedia e si portò accanto a lui; il color ardesia della veste informale che indossava in quel momento lo faceva apparire ancora più giovane: troppo giovane per poter essere in grado di quietare le paure di un bambino. La voce del mago biondo risuonò tesa nella stanza silenziosa, sebbene il tono fosse basso e ammorbidito dalla dolcezza.
“Non vuoi dirmi che c’è che non va? Sei triste perché non c’è Sonja?”
“No…”
Nicolaj alzò la testa e fissò gli occhioni stanchi in quelli del mago.
“Draco…” tentò.
Draco si abbassò fino ad avere il viso allo stesso livello del piccolo. Nicolaj ascoltò il frusciare della sua veste in quel movimento e percepì il braccio dell’adulto posato sullo schienale della sedia in un gesto quasi protettivo e incoraggiante: strinse la manina su quella manica morbida e si arrischiò a far uscire ciò che lo tormentava.
“Draco, cosa voleva dire lui stamattina?”
Il biondo sbattè le palpebre, perplesso.
“Che ha detto?”
“Ha detto che mi ha risvegliato prima del tempo…”
La voce del bambino era debole e lamentosa, come quella di chi aspetta solo il “via” per scoppiare in lacrime, probabilmente per l’eccessiva stanchezza. Draco dovette fare mente locale prima di ritrovare nella memoria la frase che doveva aver colpito Nicolaj.

… “non ho risvegliato la tua magia anzitempo perché tu non imparassi ad usarla! Voglio vedere quella lucertola trasformata in uno smeraldo prima di sera. Uno smeraldo che non muove la coda!”

Il braccio di Draco si strinse attorno alle spalle gracili di Nicolaj in uno scatto istintivo.
Che hai fatto, Mio Signore…! Per Merlino, che gli hai fatto!?
“Nicolaj…” iniziò a bassa voce “Lui si riferiva alla tua magia.”
L’espressione di Nicolaj era di assoluta incomprensione e Draco sospirò di nuovo, chiedendosi cosa fosse il caso di dirgli.
“Lui ha…”
Come? Come, per tutti gli Dei, come spiegare…?!?
“Lui ti ha fatto un regalo, Nicolaj, ti ha fatto diventare speciale, lo sai?” mormorò, cercando di infondere alla propria voce una tranquillità che non provava. Nicolaj scosse la testa e Draco cercò le parole, faticosamente. “Ecco… la magia si risveglia più tardi nei bambini, di solito; loro non… non riescono a compiere nulla di magico prima dei sette-otto anni e non imparano mai ad usare la bacchetta prima degli undici. Lui ti ha fatto un incantesimo, perché la tua magia diventasse potente da subito e tu imparassi a fare incantesimi difficili molto prima degli altri.”
L’ultima parte del discorso non sembrò aver toccato Nicolaj, perché i suoi occhioni chiari si erano spalancati, increduli, già dopo la prima frase.
“Draco, vuoi dire che... ci sono altri bambini come me?”

A quel bisbiglio sconvolto, Draco sentì un macigno schiacciargli il petto e l’istinto di stringere a sé il bambino ebbe la meglio su ogni precauzione ed autocontrollo: lo attirò tra le sue braccia, impacciato, e lo sentì improvvisamente più piccolino e indifeso che mai.
Non come te… mai come te!
“Si, Nicolaj…” bisbigliò, carezzandogli la testolina “Si.”
Nicolaj si aggrappò alle spalle larghe di Draco, lasciando che le sue paure irrazionali fossero sedate da quell’abbraccio forte e protettivo.
“E cosa fanno gli altri bambini, Draco? Perché non li ho mai visti?” chiese senza staccarsi.
“Oh…” Draco lo rimise a sedere sui cuscini, ma non si allontanò da lui e, senza rendersene conto, continuò ad offrirgli quel contatto fisico, quella stretta rassicurante e presente che un bambino cerca nell’abbraccio di un adulto.
“Loro…” iniziò indeciso, con lo sguardo perso a cercare freneticamente nei ricordi della propria infanzia, che ormai sembrava appartenere a qualcun altro… “loro vanno a scuola, piccolo. A undici anni. Imparano quello che impari tu, ma hanno un solo maestro e sono in tanti ad ascoltarlo. E… prima ancora restano a casa: giocano, imparano a leggere e scrivere… glielo insegna la mamma o il papà…”
No!
Troppo tardi Draco si rese conto dello stupido errore!
Cristo no! ma che cazzo ho in testa… maledizione!

“Chi sono la mamma e il papà?”
Draco chiuse gli occhi per un momento, come in preda ad un dolore fisico ed improvviso: la stretta inflessibile della disperazione… la lama che girava, lenta e inesorabile, dentro quella ferita mai richiusa, affondando ogni giorno di più e dilaniandolo dall’interno con il fuoco maligno della vergogna e del senso di colpa.
Non questo, non chiedermi questo, piccolo!
“Draco?”
Riaprì gli occhi e gli parve di tornare nel mondo reale; respirò. La manina di Nicolaj era ancora posata sulla sua spalla e quel piccolo palmo bianco sembrava bruciare la stoffa, la pelle, la carne stessa… fin giù, fino all’anima, quella che spesso sperava di avere già perso.
“Draco, chi sono mamma e papà?” ripetè il bambino, insistente.
“Sono…” si schiarì la voce; all’improvviso gli sembrava di essere troppo stanco anche solo per parlare “sono delle persone che… vogliono bene ai bambini, hanno voluto che nascessero, insegnano loro a fare le cose… e…” (perché, dannazione perché quel giuramento?!) “…e a comportarsi bene…”
“Come lui?” chiese Nicolaj, inspiegabilmente spaventato da questa nuova cosa incomprensibile.
No, porca puttana! Lui no!
“No.” rispose, cercando di essere il più calmo possibile.
“Allora come te?”
Draco sospirò.
“No… ma qualcosa del genere…”

“Ora torna a mangiare, piccolo… vuoi che ti faccia portare della cioccolata? Qualcosa devi mangiare…”
“Si!”
Draco si rialzò in piedi, trovando la forza di sorridere lievemente, e impartì un ordine secco all’elfo domestico nell’angolo della sala.
“Vorrei dirlo a Sonja.” disse Nicolaj, dopo qualche minuto di silenzio.
“Cosa?”
“Che ci sono altri bambini come me.”
Draco rise, con una punta di amarezza.
“Non credo che Sonja sia molto in vena di ascoltare in questi giorni” mormorò “...a meno che tu non le parli di cavalli, forse.”
“Sonja preferisce i cavalli ai bambini?”
Draco chiuse di nuovo gli occhi… quanta innocenza! Quanta innocenza in quelle domande crudeli ed ignare della rabbia impotente che risvegliavano in lui.
“No, Nicolaj, questo no… io…” sospirò di nuovo, chiedendosi come far cessare finalmente quelle domande “Sonja è speciale. Anche a lei, lui ha fatto un dono come a te… e questo l’ha fatta diventare un po’… strana…”
…un dono…
Draco scosse la testa, come a voler far uscire pensieri troppo invadenti.
“Non so perché le piaccia tanto cavalcare: ha perso la memoria, tanti anni fa… da allora le piace. Di più non so dirti, Nicolaj, mi dispiace.”
Nicolaj scrollò le spalle, attaccando la sua torta al cioccolato.
“Anche a me piacciono i cavalli.”
Il ragazzo sollevò le sopracciglia.
“Ti piacciono?”
“A-ha… avardo ‘empe…”
“Non parlare a bocca piena.”
Nicolaj inghiottì un boccone più grande della sua bocca.
“Guardo sempre Sonja quando va via a cavallo, dalla mia finestra. Mi piace Mizar.”
Mizar… la cavalla grigio ferro che Sonja montava quasi ogni giorno. Draco sorrise, mentre la tensione provocata dalle domande del bambino andava lentamente sciogliendosi.
“Ti piacerebbe se ti insegnassi a cavalcare?”
Il viso del bambino si illuminò di gioia.
“Davvero?!? Davvero davvero?”
Scese con un salto dalla sedia ed incespicò fino a gettarsi di nuovo tra le braccia di Draco.
“Ehi, ehi…” rise il biondo “calma! Dobbiamo prima chiederlo a Lui, lo sai! Ma se ti impegnerai ugualmente nelle sue lezioni credo che potrebbe dire di si… vuoi che glielo chieda?”
“Si!!”
“Bene.” Draco lo allontanò leggermente da sé e parlò con tono solenne “Ti prometto che farò di tutto, ok?”
Nicolaj annuì, felice.
“Questo devo dirlo a Sonja!! Potrò andare a cavalcare con lei!”
“Eh… forse ci vorrà un po’…”
“Ma potrò! Vado a cercarla!”
Il bambino si svicolò e corse verso il lungo corridoio, inciampandosi nel tappeto e restando in piedi per miracolo.
“Nicolaj! Aspetta…”
“Buonanotte!!” trillò Nicolaj, ormai alla porta.
“Nico…” Draco scosse la testa e sorrise tra sé “…laj.”

*******

E dove cavolo andava a cercarla adesso?

Nicolaj rallentò la corsa nei corridoi, cercando di ragionare nonostante la stanchezza; si guardò attorno con aria pensierosa e decise che prima di tutto l’avrebbe cercata nelle sue stanze. Riprese a saltellare sul lungo tappeto ed arrivò alla grande porta di mogano in pochissimi minuti.
Evitò di bussare, aveva già imparato da molto tempo quanto fosse inutile farlo con Sonja; si appese alla pesante maniglia di ottone e spinse l’anta con tutto il suo peso di bambino, finchè non la sentì scostarsi con un cigolio sinistro.
“Sonja?”

La prima cosa che lo colpì fu il buio. Innaturale.
La stanza di Sonja non era mai buia, era quella la cosa che gli piaceva tanto: che lei ci fosse o non ci fosse, la luce danzante delle candele accese rendeva quell’ambiente vivo e caldo… sempre. Le fiammelle gli facevano compagnia, come piccole ballerine dorate a girare vorticosamente anche per giorni interi, sullo stoppino delle candele più grandi.
Immediatamente dopo fu il profumo dell’aria a farlo sentire a disagio. O meglio, l’assenza di profumo.
Tutto in quella stanza aveva sempre quell’odore caratteristico che Nicolaj associava soltanto a Sonja… “come l’odore del formaggio per i topolini” gli aveva detto una volta Draco, quando gli aveva raccontato che riusciva a sentire l’arrivo di Sonja dal profumo.
Niente candele accese. Niente profumo di caprifoglio. Niente Sonja, nemmeno sotto forma di gatto, nemmeno nascosta in uno degli angoli bui della camera.
La porta della stanza da bagno era spalancata e non c’era nessuno dentro.
La finestra era chiusa e le tende tirate.
Nicolaj arretrò, inquieto, e lasciò che la porta pesante si richiudesse da sola con un tonfo.

Pensa, pensa… si disse, stropicciandosi gli occhi.
Bè, se era andata a cavallo… tanto valeva andare ad aspettarla nelle stalle: prima o poi sarebbe tornata. E lui era decisamente troppo impaziente di vederla per attendere l’indomani.
Annuì tra sé e, quasi si fosse autoimpartito un secco ordine mentale, scattò di corsa verso la diramazione del corridoio che portava a cortile sul retro.

L’aria freddissima che arrivò a pungergli la pelle della faccia gli ricordò vagamente che era inverno e che era uscito senza cappotto… ma difficilmente i bambini danno peso a questo genere di cose, o almeno non le considerano sufficienti per giustificare un ritorno in casa. Rabbrividendo, prese a correre più veloce, ed armeggiò freneticamente con il catenaccio del portone metallico delle scuderie; il tepore degli animali lo avvolse, una volta richiusa la porta alle proprie spalle, e Nicolaj respirò l’aria umida impregnata dell’odore dei cavalli. C’era qualcosa nelle scuderie, Nicolaj non avrebbe saputo spiegarlo, ma era qualcosa di terribilmente giusto, accogliente… vivo, qualcosa che sapeva di avventura e allo stesso tempo di casa. E sentì che quella sera quel “qualcosa” era ancora più giusto ed invitante del normale. Nicolaj impiegò qualche secondo per individuare l’elemento aggiuntivo, una nota dolce nell’ambiente amato e familiare… poi capì: Sonja.
La voce di Sonja.
Era tornata, a quanto pareva: si trovava all’estremità opposta del lungo e basso edificio, gli dava le spalle e non si era accorta della sua presenza tanto era assorta nel movimento ritmico della sua mano che strigliava lentamente il mantello grigio di Mizar. Nella penombra, Nicolaj riusciva a distinguere solo la macchia chiara del suo maglione e il riflesso ramato della sua grossa treccia, ma la presenza di Sonja era ovunque… la sua voce sommessa si diffondeva nell’ambiente, quasi che le note della canzone che stava cantando avessero il potere di fermarsi nell’aria per diverso tempo, e vibrare a lungo, prima di scivolare sulle nuvole di fiato condensato dei cavalli e spegnersi sulla pietra fredda e sporca.
Il bambino si avvicinò in punta di piedi, abbandonandosi a quel ritmo dolce e cadenzato, come il movimento continuo di una culla.

“Triste e straziante, selvaggia e fiera, la canzone narrava di una valle perduta, di un paese perduto e della perdita di tutte le cose care, di cui il cuore delle persone serbava ricordo…”
S. Lawhead
“Taliesin”

La bassa tonalità di Sonja era quasi ipnotica e la melodia della canzone ricordava vagamente il suono che produce il vento sull’erba bassa e congelata della steppa… Nicolaj si accoccolò contro il cancello di legno di un box, senza fare alcun rumore, e rimase ad ascoltare, rapito, dimenticandosi completamente il motivo per cui era corso così di fretta fuori di casa. Le parole russe, tristi e morbide su quel ritmo lentissimo, riportarono la sua mente assonnata al ricordo di altre parole… parole sconosciute, pronunciate dalla bocca di Draco pochi minuti prima che lui scappasse, eccitato, dalla sala da pranzo… “mamma”… “papà”… la canzone ripeteva spesso quella parola: mamma…

Poi, improvvisa, la canzone finì e l’ultima nota vibrò nell’aria umida per qualche istante prima di spegnersi. Sonja smise finalmente di strigliare la cavalla e passò qualche secondo ad accarezzarle il muso dolcissimo.
“Sonja, il tuo è un nome russo?”
Nicolaj era spuntato dal nulla dietro di lei; la donna si girò, lentamente, e lo scrutò senza capire cosa ci facesse lì e perché le rivolgesse una domanda simile.
“Si… credo.” rispose, presa in contropiede.
“Anche il mio è un nome russo.”
Sonja strinse le palpebre, ma Nicolaj continuò imperterrito, con il tono di chi sta ragionando sulla cosa da qualche minuto e sta cercando il modo giusto per esternarla.
“Abbiamo tutti e due un nome russo. Ma tutti e due non siamo davvero russi, no? Sonja?”

La donna si inginocchiò e lo guardò negli occhi… la sua mancanza di ricordi le impediva di sapere che ai bambini non viene di solito raccontata la verità nuda e cruda, specialmente quando questa può risultare terribile.
“Io non ricordo da dove vengo, Nicolaj. Ma non sono russa, sono nata in un altro paese. Tu sei nato qui, credo. Però anche io penso che tu non sia davvero russo: i tuoi lineamenti sono diversi da quelli dei bambini che vedo qui.”
Il viso di Nicolaj si illuminò un poco alla parola bambini, ma questa volta un altro punto sembrava aver colpito maggiormente la sua attenzione.
“Non ricordi dove sei nata?!” chiese.
“No.”
“Non ricordi la tua… mamma?”
“No.” ripetè secca Sonja “Non ricordo nulla. La mia memoria inizia più o meno quando tu eri appena nato. Mi ricordo di averti visto quando eri davvero molto piccolo.”
Il bambino annuì lentamente. Sonja non si pose il problema di cosa esattamente un bambino tanto piccolo potesse aver capito delle sue risposte.
“Io non ho la mamma.” buttò lì il bambino, e dentro quella frase c’era tutta la sicurezza innocente dei suoi cinque anni di vita.
“Tutti hanno madre e padre, Nicolaj… da qualche parte. Per forza.”
Da quelle poche informazioni a cui aveva accesso nella propria mente, Sonja aveva seri dubbi che qualcuno potesse nascere in modo differente da quello che prevede che un uomo e una donna si trasformino in un padre e una madre.
“E chi erano i miei? Perché non sono con me?”
La rossa assunse un’espressione lievemente infastidita e scosse la testa come preda di un tic nervoso.
“Questo io non posso saperlo.”

Sonja non attese che Nicolaj riprendesse a parlare: si alzò in piedi, spazzolandosi le mani sulle cosce, e si allontanò con passo spedito; la porta della scuderia si richiuse con un clangore metallico e Nicolaj rimase solo… scivolò lungo le pietre ruvide del box di Mizar e si rannicchiò sulla paglia, chiudendo gli occhi come se tutta la stanchezza della giornata avesse iniziato a pesargli, improvvisamente, sulle palpebre. Impaurito e infreddolito, avvolto da quella purtroppo ben nota solitudine, il bambino si costrinse ad alzarsi e correre di nuovo verso casa.

“Quando mi risvegliai, per un istante non mi resi conto di dove mi trovassi, mi sedetti a guardarmi in giro, impaurito. Allora ricordai tutto. Il fiume sembrava largo miglia e miglia. La luna splendeva così chiara che avrei potuto contare i tronchi che la piena trascinava nella corrente; neri e tranquilli tronchi di alberi, galleggianti a centinaia di iarde dalla riva. Tutto intorno c’era un silenzio di tomba e tutto sembrava morto; tutto odorava di morte.”
Mark Twain
“Le avventure di Huckleberry Finn”

FINE II PARTE

********

Prima di tutto vi chiedo immensamente scusa per il ritardo: problemi di tempo materiale mi hanno impedito di mettere il giusto impegno nella stesura di questo capitolo, molto importante ai fini della storia.
Ringrazio tantissimo:
Ryta Holmes: Cara Rita, sono così contenta di sentirti di nuovo! Pochi amano le Harry Herm, e io meno di tutti, ma se no non stava in piedi il resto… dubito che compariranno tanto da sollevare troppo disgusto: Sonja e Draco avranno di certo sempre il primo piano. Mi fa piacere che Sonja riesca a stregarti, come dici tu!
Meggie: Tesoro, la coppia Harry Hermione è stata obbligata dalla trama che avevo in mente, non è dipeso dalla mia volontà di metterli insieme! Comunque non preoccuparti, questa è la storia di Sonja, non di tutti gli altri… di Harry parlerò molto poco, di Herm ancora meno e penso che li vedrai insieme in una scena o due, non di più, in tutta la storia e di certo non ci sarà nulla di appiccicoso. Sono contenta che per il resto la storia ti piaccia… Draco è molto diverso, e questo dipende anche dal fatto che ho letto il Principe, mi sono adeguata all’immagine un po’ vigliacca e non davvero crudele che si da di lui in quest’ultimo libro. Ciao e un bacio!
Saturnia: Ti ho già ripetuto che le tue analisi sono sempre interessanti, quindi non preoccuparti… anzi, per una come me che non ha mai studiato nulla né di psicologia né di filosofia, sono sempre una nuova scoperta. Ho inserito qualche indizio sul rapporto Sonja Nicolaj, ma forse era troppo piccolo perché saltasse agli occhi: ad esempio un qualsiasi adulto vedendo giocare un bambino col coltello, glielo avrebbe tolto di mano (Draco lo obbliga a mangiare a tavola, lo dice Nicolaj stesso)… Sonja invece no, non ci pensa, non capisce… sarà più chiaro più avanti. Io in Russia non ci sono mai stata, mi sono documentata un pochino ma neanche tanto, quindi potrei sparare un discreto numero di cazzate… mi piaceva l’idea, cercavo un paese lontano in cui far nascondere Voldie e proprio non ce lo vedevo al caldo. Mosca faceva atmosfera, nella mia testa. E poi i nomi russi mi suonavano bene. Grazie ancora una volta per la tua gentilezza e per l’attenzione che hai sempre per me! Un bacio!
Marcycas: Draco è più nei guai di quanto sembra… mentre scrivo a me fa pena più che angoscia ma io ho in testa la storia intera… comunque ti ringrazio e sono contenta che la storia ti coinvolga! Un bacio!
Bla.Sta: Spiacente ma clono solo in lab, non nelle storie! Per quanto riguarda i colpi di scena ce ne sarà uno moooooolto grosso. Ma non riguarderà la discendenza del marmocchio. Un bacio!
Ithil: Grazie davvero per i complimenti sul fatto che le emozioni arrivano! Per quanto riguarda Draco… le emozion che ho tolto a Sonja dovevo infilarle da qualche parte. In realtà sto facendo di tutto per cambiare entrambi i personaggi rispetto all’altra storia, altrimenti mi confonderei… è difficile staccarsi da una cosa luuuuunga come DF + LFF e ralativi cookies che ogni tanto mi balzano ancora in mente!
Ethel: Come sempre i tuoi complimenti sono una favola! Si, la storia mi coinvolge ma soprattutto mi diverte l’idea di avere più spazio di manovra rispetto alle precedenti: ho rivoluzionato talmente tanto che posso fare quello che mi pare. Mi hai chiesto ce Ginny sarà sempre così matta da legare: la risposta ovviamente non te la posso dare perché ti svelerei troppo… però ti dico che non è irrecuperabile, non completamente, e un indizio l’ho già inserito più volte. Per quanto riguarda Draco… bè, non ha scelta, che gli vada bene o no… ma non ti viene in mente che forse preferisce che Sonja non ricordi tutti gli orrori che ha commesso e che le sono stati fatti? Bè, intanto spero che con questo capitolo, qualcosa in più si sia notato. Un bacio!

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Capitolo 10
*** Parte III: Harvester of Sorrow ***


PARTE III: HARVESTER OF SORROW

INTRODUZIONE

Sono il Cantastorie, miei affezionati amici… eccomi ancora qui davanti a voi!

Questo è il mondo che vi ho presentato, il mondo che ho sognato, costruito, amato… nelle lunghe notti di pioggia del mio paese lontano, ecco: io sapevo solo sognare.
Come vi è parso, miei signori, questo sogno? Troppo triste, troppo pazzo… può darsi: in fondo è quello che sono, un vecchio pazzo Cantastorie con la voglia di raccontare.
Ma aspettate vi imploro, non andatevene ancora… la storia non è finita! Sedetevi, mettetevi comodi, perchè i burattini riprenderanno tosto a recitare.
Avete conosciuto la loro vita, il loro mondo, miei signori… ma fate attenzione, perché purtroppo, è un mondo che sta per crollare!

Guardate questi visi di cera, miei gentili amici che siete rimasti ad ascoltare…
Guardate! Quanta solitudine nei loro occhi immobili… cos’altro credete possano sopportare?
La vita li ha stremati, il dolore li ha distrutti… che faranno quando non lo potranno più ignorare?

Nel mondo pazzo e perfetto che il loro Signore ha creato, una piccola crepa da molto tempo appare;
è sottile, minuta… ma a causa sua, il fragile equilibrio di cristallo prima o poi dovrà scoppiare!
Quanto dolore… quanta tristezza! Che faranno, mie piccole bambole addolorate, quando la verità starà per tornare?

Non capite miei signori? Non percepite ciò che non si può evitare?!
Ogni menzogna, ogni delitto, presto o tardi, torna indietro per farsi meglio guardare!

My life suffocates
Planting seeds of hate
I've loved, turned to hate
Trapped far beyond my fate

I give
You take
This life that I forsake
Been cheated of my youth
You turned this lie to truth

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Capitolo 11
*** Last Caress ***


PARTE III

CAPITOLO 1: LAST CARESS

Voldemort entrò silenziosamente nella grande sala, ben illuminata dalle pesanti lampade di ferro battuto.
Draco pareva assorto nella contemplazione del liquore ambrato che faceva roteare nel bicchiere di cristallo; era in piedi, appoggiato ad uno dei grandi arazzi che, per quanto gli elfi domestici si affaccendassero infaticabilmente, davano sempre l’impressione di antico e polveroso… si riscosse, all’entrata del suo signore e accennò un inchino con la testa. Era strano vedere Voldemort aggirarsi con tranquillità alla luce di tutte quelle lampade, calde e dorate: chiunque avrebbe detto che la creatura appena entrata potesse appartenere solamente alle tenebre più fitte… invece a lui appariva ormai solo come un uomo, vecchio si, incredibilmente vecchio… il cui viso livido, deformato dalle rughe e dalla crudeltà, aveva assunto un che di serpentino. Gli occhietti rossi lo fissarono solo per un attimo, poi la lunga veste scura del mago spazzò il pavimento della stanza con una velocità che pochi avrebbero creduto possibile e Voldemort si ritrovò accanto ad una delle altissime finestre che davano sul cortile interno; seguì con lo sguardo la corsa un puntolino chiaro che si muoveva nell’oscurità, dirigendosi velocemente verso le scuderie, per poi sparire dentro al portone del basso edificio di mattoni.
“Nicolaj dovrebbe essere già a letto” sentenziò la voce inespressiva dell’Oscuro Signore.
Non c’era nulla di preoccupato o ansioso in quel tono: aveva pronunciato quella frase come se l’avesse letta su un manuale per l’allevamento.
“Dov’è?” chiese Draco, senza muoversi dall’angolo opposto della stanza.
“Nelle scuderie.”
Il biondo annuì, tracannando qualche altro sorso di whisky.
“Ama i cavalli.” mormorò “Mi chiedevo se potevate darmi il permesso di insegnargli a cavalcare… ha quasi sei anni, e alcuni dei cavalli sono abbastanza tranquilli…”
Il mormorio distaccato di Draco si era trasformato impercettibilmente, pronunciando tutto d’un fiato l’ultima frase, rivelando una nota implorante dietro l’apparente formalità, una sfumatura che solo un perfetto conoscitore avrebbe potuto cogliere: Voldemort ignorò deliberatamente non solo il tono di Draco, ma tutto il suo intervento.
“è andato a cercare Sonja, suppongo.”
Gli rispose un sospiro rassegnato e una frase smozzicata tra i denti e il vetro freddo del bicchiere:
“…dubito che Sonja voglia essere trovata.”
Quest’ultimo brontolio amaro attirò invece l’attenzione del vecchio mago oscuro, perché i suoi occhi serpentini saettarono su Draco, intimandogli di spiegarsi con una semplice occhiata.
“Si è chiusa, negli ultimi due giorni…” spiegò Draco “più del normale, intendo. Credo… Signore, io passo molto tempo con lei, conosco i suoi… comportamenti… e vi avevo espresso, se ricordate, i miei dubbi sulla decisione di mandare Sonja ad eliminare la spia inglese! Penso che quell’uomo…” Draco sbattè il bicchiere sul tavolo, quasi a volerlo spaccare in un colpo solo “quell’uomo potrebbe aver cercato di farle ricordare qualcosa del suo passato, mio Signore. E questo potrebbe averla sconvolta…”
Voldemort lo fissò per un istante.
“Sciocchezze Draco!” sibilò “Sonja a svolto il suo compito in modo eccellente, come sempre. Non farti prendere da fantasie romantiche!”
Draco abbassò il capo sconfitto e ritornò nel suo angolo.
“Si, Signore. Perdonatemi…” mormorò.
La voce tranquilla e dimessa di Draco non sembrò convincere Voldemort, che scelse una poltrona e si accomodò lentamente… studiò il giovane per alcuni minuti, poi riprese a parlare.
“Credi che abbia esagerato con loro, Draco? Credi che non avrei dovuto… modificare e plagiare le loro vite a mio piacimento? Sono mie creature. Mie. Io ho reso Sonja perfetta, lo sai vero? E anche Nicolaj lo sarà…”

Draco si appoggiò alla parete e respirò profondamente, comprendendo che se mai c’era stato un momento per parlare… beh, era quello.
Ma come… come?!
“MioSignore, io… io ho accettato consapevolmente di intraprendere questa strada, quando ero solo un ragazzo. Ma Sonja… lei…”
Voldemort lo interruppe seccamente.
“Sonja non è te, Draco. Era cresciuta in un ambiente che l’aveva repressa, ho dovuto intervenire drasticamente su di lei… non avrebbe potuto scegliere spontaneamente di starmi vicino. Nicolaj invece crescerà nella convinzione che i nostri ideali sono i migliori e non avrà mai il minimo dubbio. Non posso permetterlo… e tu lo sai bene, ti ho messo a parte del mio perfetto disegno. Mi sono fidato di te. Del tuo giuramento.”
Draco si avvicinò e si inginocchiò ai suoi piedi. Il suo viso pareva mutato, improvvisamente: negli occhi balenava un’intensa sofferenza… decise di esprimere ciò che sentiva, abbandonando ogni prudenza. Doveva capire.
“Allora perché non togliete anche a me tutti i sentimenti e le emozioni, mio Signore?! Perché volete che io continui a vivere a contatto con Nicolaj… e ad amarlo inevitabilmente, senza potergli mai far sapere che sono suo padre! Perché volete che io continui a ricordare l’emozione della nascita di mio figlio, ciò che ho provato quando l’ho stretto tra le braccia… e quando ho stretto tra le braccia sua madre… Perché non date anche a me la pace dell’oblio?!...”

I lineamenti del viso di Draco, solitamente gelidi e superbi, apparivano deformati in una smorfia di disperazione. Voldemort vide in essi la sofferenza di un uomo a cui è stato negato l’amore di un figlio, un uomo a cui è stata tolta la donna che amava… vide tutto questo, ma nulla poteva muovere una goccia di pietà nella sua anima ormai inesistente; si sporse verso di lui con la bocca atteggiata in un sorriso crudele.

Soffri, mio carissimo Draco… soffri più che puoi. Continua a convincere te stesso che è stato tutto per un ottimo motivo, che loro ti sono stati tolti per una causa più grande, non dubitarne mai! Costringiti a pensarlo e soffri per questo, perché non puoi farne a meno… è proprio questo che voglio da te: che tu possa soffrire perché è quello che sei… umano.

“Mio amato Draco! Non capisci?...” gli prese il mento con una mano “è proprio questa tua umanità che adoro! Nella tua grande intelligenza e astuzia… sei pur sempre un essere umano, mio piccolo genio calcolatore! Non capisci ancora, dunque?!”
Voldemort si alzò passandogli accanto… si fermò al centro della stanza e sollevò le braccia in preda ad un’esaltazione che sapeva di follia.
“Sonja non ha più né sentimenti né ricordi, Draco… lo sai bene. E proprio per questo è un essere completamente irrazionale, illogica, assolutamente incontrollabile. Un iceberg distruttore alla deriva nell’oceano! Tu invece, mio splendido servo, hai ancora la tua anima umana. Integra e perfetta. Grazie ad essa ti è dato di fare ciò che lei non potrà mai: sai imparare, sai mentire se occorre, sai programmare le azioni e scegliere il giusto comportamento… perché capisci la mente degli altri uomini. Sonja non ne è più in grado. A lei è rimasto soltanto il male, nella sua assurdità e imprevedibilità più totale… eppure è semplice, sincera, istintiva. Sa soltanto eseguire. Tu sei la mia intelligenza… Siete perfetti insieme. Siete come vi ho desiderati… i miei angeli…”
Porse una mano a Draco ancora inginocchiato e lo fece alzare, con una forza sorprendente.
“Rassicurati.” gli disse con una voce sommessa che, dietro l’apparente comprensione, celava ben altre emozioni ben più violente e disumane “Verrà il momento in cui Nicolaj conoscerà la verità sulla sua nascita… la completa verità, Draco. Ha la tua intelligenza e la tua potenza di mago: non ho dubbi che sarà forte a sufficienza per capire e apprezzare il mio brillante disegno. Ma fino a quel momento desidero che lui… e Sonja… siano tenuti all’oscuro. Nicolaj continuerà la sua educazione e il suo addestramento con me, come ha fatto finora. Desidero che nessun’altro si occupi di lui. Non ho altro da dire sull’argomento, mio giovane amico…”
Draco si inchinò di nuovo, senza una parola, ma le sue nocche sbiancate rivelavano quanto in profondità le unghie stessero penetrando nella carne del palmo.
“Ho sempre avuto la tua fiducia, mio Draco, dopo che il tuo errore di ragazzo ti aveva costretto ad implorare il mio perdono… io ti ho concesso questo perdono. Più tardi ti ho chiesto in cambio soltanto un giuramento. Devo pensare che desideri rinnegarlo?”
“Mio signore la mia lealtà e la mia fiducia vi appartengono. Lo sapete.” mormorò Draco, come in una formula rituale, prima di lasciare la stanza il più velocemente possibile.

“Voglio quel bambino, mio Draco. Voglio che tu mi giuri che non gli rivelerai di essere suo padre… ti ho concesso di vivere, Draco, in cambio ti chiedo questo: tuo figlio.
Inginocchiati, Draco. Inginocchiati e giuramelo… sul tuo stesso sangue tanto puro…”

*******
I've got somethin' to say
I killed your baby today and it
Doesn't matter much to me
*******

Passarono ben due giorni prima che Sonja e Nicolaj si incontrassero di nuovo, dopo la fuga di lei dalla scuderia, a seguito delle domande impertinenti del bambino.
Era quasi assurdo come, pur vivendo nella stessa grande casa, Sonja riuscisse ad evadere la presenza e gli sguardi degli altri… era maledettamente brava in quello. Eppure, forse a causa della sua particolare condizione mentale, la rossa era metodica e ripetitiva come nessun’altro: sarebbe bastato osservarla, anche solo per qualche giorno, per poter essere in grado di indovinare con una discreta approssimazione cosa stesse facendo in ogni momento. Draco di certo avrebbe potuto trovarla senza fatica, se lo avesse desiderato… se solo la compagnia di Sonja non gli sembrasse sempre così insopportabile, oltre una certa misura.

Sonja guardava il tramonto. Sempre. Se ne aveva l’occasione.
Stava ad osservare il sole riflettersi sulla neve, o semplicemente il suo chiarore aranciato invadere il cielo e riflettersi sui suoi capelli, accendendoli di fiamme dorate; rimaneva persa in quel trionfo di colori finchè il cielo non scuriva ed una tonalità violacea si allargava come una macchia di olio sulla volta celeste e le prime stelle iniziavano ad apparire su quella grande cortina gelata. Allora rientrava in casa, infreddolita e pallida come non mai,… oppure imboccava la scaletta a chiocciola che dalla terrazza più alta del palazzo riconduceva alle sue stanze, per rintanarsi nei suoi estenuanti giocattoli di fiamme e cera profumata.
Così fece quella sera.
Se non altro per inciampare, scendendo le scale, in un fagotto accucciato sugli ultimi gradini; si fermò in tempo e tese una mano per controllare cosa o chi si fosse addormentato in un luogo così scomodo. Il fagotto sussultò al suo tocco ed emise un lamento acuto e infantile.

“Nicolaj… cosa fai qui sulla scala…” lo ammonì piano.
Il bambino alzò gli occhi verso di lei: erano arrossati e gonfi, e sul suo naso c’erano tracce di lacrime non asciugate.
“Sonja…?” Si aggrappò al suo ginocchio e nascose il visino contro la stoffa dei suoi pantaloni.
Sonja lo sollevò delicatamente. In realtà non sapeva cosa fare… un istinto a cui non sapeva dare un nome le impediva di lasciarlo lì a piangere, qualcosa le diceva che un bambino che piange non era una condizione normale. Si sedette al suo fianco.
“Sonja…”
“Che c’è… Ti sei fatto male?”
Nicolaj scosse la testa.
“Io… io… non volevo ucciderlo!”
Le palpebre di Sonja vibrarono e si strinsero immediatamente.
“Chi hai ucciso, Nicolaj?” chiese.
“Lui me l’ha fatto uccidere!”
“Chi?”
“U-un gatto…”
“Hai ucciso un gatto.” ripetè Sonja, una risatina vibrava insolente, nella sua voce piatta.
“Non volevo, Sonja…”
“Nicolaj… perché hai ucciso un gatto se non volevi?”
“Me l’ha ordinato lui!!”
“Ho capito. Dovevi imparare un incantesimo e ti ha fatto provare su un gatto?”
“Avada Kedavra.”
“Nicolaj, era un gatto…”
Sonja stava quasi per aggiungere che non sarebbe stato nulla nemmeno se avesse ucciso un essere umano… ma chissà perché si trattenne.
“Era un gatto rosso.”
“Ah, è …ecco, hai creduto… bè, Nicolaj, io sono viva. Non ero io il gatto, vedi?”
“Si…”
“Bene, allora. Smetti di piangere.”
La sua voce era morbida e bassa, ma un ordine vibrava perentorio in quelle parole.
“Si…”
Missione eseguita.
Sonja si alzò e fece per andarsene.
“Sonja…”
Si bloccò.
“Perché non ridi?”
“Perché dovrei ridere?” chiese con curiosità sincera. La domanda in realtà era generale: perché si ride?
“Draco ride con me…”
La rossa reclinò la testa da un lato, un po’ come fanno i gatti quando sentono un rumore strano, e i suoi occhi brillanti lampeggiarono nella penombra.
“E… cosa fa Draco quando ride?”
Nicolaj si asciugò il naso con una manica e abbracciò le proprie ginocchia, con un brivido infreddolito.
“Lui…” cominciò con voce lamentosa “lui scherza…”
Niente. Neanche questo capiva.
Il bambino scosse la zazzeretta bionda.
“Vieni qui con me?” implorò.

Sonja si mosse incerta e di nuovo apparve combattuta, come se non sapesse come muoversi di fronte ad un animale potenzialmente pericoloso; risalì un paio di gradini e si sedette al fianco di Nicolaj, ripiegando le gambe e stringendosele al seno.
Le manine di Nicolaj le sfiorarono il viso e Sonja si allontanò di scatto.
“No!” il bambino si attaccò al suo braccio “aspetta!”
La ragazza si avvicinò di nuovo, con aria circospetta e quelle manine curiose si posarono di nuovo sulle sue guance gelide; piano piano i pollici di Nicolaj sollevarono gli angoli delle labbra chiare della ragazza, mentre lui la osservava con un’espressione buffissima sul visetto concentrato.
“Questo è sorridere…” fece il bambino sottovoce.

****

Due fagotti di lana appallottolati tra loro. Ecco cosa vide Draco, più tardi, dopo aver scandagliato l’intero palazzo alla ricerca del bambino che sembrava scomparso; quasi inciampò su di loro, addormentati su quei gradini freddi, l’uno tra le braccia dell’altra… braccia che non avevano più stretto nessuno dopo… quello.
Quasi ipnotizzato il mago si chinò ad osservare quei due visi bianchi, così vicini tra loro, come a voler cercare serenità nel respiro regolare dell’altro. Notare la testa di Nicolaj posarsi fiduciosa sul seno di Sonja, la sua manina stretta alla base della treccia rossa, il braccio gracile di lei che si piegava a formare un arco all’interno del quale il bambino sembrava nato per riposare: non erano altro che pugnalate, dritte al cuore… fendenti precisi inferti dalle lame affilate della rabbia impotente, della vergogna e della malinconia colpevole per ciò che questo avrebbe dovuto essere.

“Anche gli animali sanno cozzare e ferirsi selvaggiamente fino a morire… anche un asino sopporta la frusta senza gemiti. Ma solo un uomo è capace di sopravvivere e di ridurre al silenzio le grida del cuore, di soffocare la pena, la rivolta, la rabbia e di portare sulle spalle la vergogna come un carico ripugnante.”
Valerio Massimo Manfredi
“Lo scudo di Talos”

Suo figlio… per tutti gli inferni maledetti, era suo figlio quello tra le braccia di Sonja, dannazione!
Aveva perduto tutto, tutto, se stesso compreso, e si ritrovava a ventiquattro anni, con un figlio di cinque, un bambino che non aveva mai desiderato, né cercato, nato per un inganno maledetto… ma che era diventato la ragione della sua vita, l’unica cosa che gli impedisse di impazzire definitivamente.
Merlino, impazzire… mollare la presa su tutto ciò che era concreto e reale… e doloroso, e non dover più patire la consapevolezza di se stessi, diventare come lei e lasciarsi affogare, insieme.
Ma quel bambino biondo era suo figlio, sangue del suo sangue, e per quanto avesse sempre cercato di non pensarci, lo sentiva dentro, più profondo di qualsiasi altra cosa. Quel bambino splendido aveva compiuto il miracolo e gli aveva dato una luce a cui guardare per mantenere una parvenza di ragione in quel baratro di melma in cui sprofondava ogni giorno di più… un piccolo miracolo.
E non sapeva neppure di avere così vicino suo padre. Non sapeva di essere amato così tanto! Per Merlino se ne stava lì, abbracciato a Sonja, e non avrebbe mai conosciuto sua madre! Mai… mai, non più.
Un tremito di rabbia scosse il corpo di Draco, lo stesso tremito convulso che aveva imparato a reprimere con gli anni, nella parte più lontana e nascosta della propria memoria, gettandosi nella realtà come anestetizzato… un tremito che, nel vederli così, insieme e sereni, si era ripresentato un milione di volte più forte.
Le palpebre di Nicolaj si mossero lievemente e si sollevarono, rivelando due iridi chiare di un grigio così simile e allo stesso tempo così diverso dal suo, annebbiate dal sonno e dai brividi di freddo.
Draco dovette fare violenza su se stesso per far calare sul suo viso la maschera di normalità che indossava ogni singolo minuto ormai da troppi anni.

“Dra… Draco?” sbadigliò il bambino.
“Ssh…” bisbigliò Draco, passandogli due dita leggere sui capelli. “Credo sia meglio andare a dormire in un letto, non credi?”
Nicolaj rabbrividì e tentò di scostarsi dall’abbraccio maldestro di Sonja.
“Piano…” gli disse Draco, mentre sollevava delicatamente il braccio della ragazza addormentata, permettendogli di sgusciare fuori senza svegliarla.
“Draco, e… e Sonja?” sussurrò.
Draco lo guardò dolcemente.
“Non svegliamola.” gli rispose, con un sorriso complice, mentre passava un braccio sotto le gambe snelle di Sonja e la sollevava senza sforzo. Nicolaj gli sorrise, tra uno sbadiglio e uno starnuto, e si attaccò ai suoi pantaloni con aria stanca.
“Su, andiamo…”
Nicolaj sollevò il capo e annuì, iniziando a trotterellare dietro Draco che stava già scendendo le scale; distrattamente, osservò l’ondeggiare della lunga treccia di Sonja, al di fuori della stretta del mago sulla schiena di lei e pensò che Draco era… grande. Era forte, simpatico, ma soprattutto grande, era uno sul quale si stava comodi se ci si appoggiava.
Accelerò il passo e si aggrappò al mantello scuro del ragazzo, seguendolo in quel buffo modo fino alla soglia della sua stanza, dove Draco si chinò per sussurrargli un “buonanotte”.
“Buonanotte… porti a letto, Sonja?”
“Si.”
“Non svegliarla. Lo sai com’è quando si sveglia.” fece il piccolo con un sorriso birichino.
Draco sogghignò.
“Vai a letto, furfante.”

*****
I've got somethin' to say
I raped your mother today and it
Doesn't matter much to me
*****

Arrivò alla soglia delle stanze di Sonja e aprì la porta con un incantesimo senza bacchetta; entrò e la richiuse alle proprie spalle con una pedata.
Si diresse verso il letto e si chinò per posare delicatamente la ragazza sulle coperte. Tutto era bianco: la trapunta di seta, i pantaloni morbidi che indossava e il suo maglione, ma soprattutto la sua pelle liscia e luminosa come l’avorio… solo i capelli color rubino spiccavano sul cuscino, brillanti e magnetici, e il bracciale viola intenso, come una macchia immonda e rilucente che contaminava quell’armonioso incontro di sangue e neve. Ancora una volta, la seconda nella stessa serata, Draco si sentì privato della propria volontà e non potè fare a meno di rimanere a scrutarla, perso nelle immagini sfocate di un tempo in cui non gli faceva male guardarla dormire; si sedette sul letto al suo fianco, percorrendo con lo sguardo la figura snella in completo abbandono… la sua mano si mosse da sola e le sue dita arrivarono quasi a sfiorare lo zigomo candido di Sonja quando lei, di colpo, aprì gli occhi, quei dannati occhi gialli da felino nella notte, spalancati e rotondi, fissi nei suoi come a volergli perforare la mente senza pietà.
Il tempo smise di esistere. Il tempo si sfocava sempre quando i loro occhi si incontravano direttamente, come se qualche incantesimo li avvolgesse, confondendoli… durava meno di nulla nel mondo reale, (un intervallo tra due respiri), ma nella mente di Draco quell’istante risuonava come una lunga canzone, che sul ritmo di languide ed ingannevoli note cullava la sua illusione di vedere una scintilla di memoria nello sguardo indifferente di lei.

“Ti conosco, si disse. Ne sono certo. Una volta, molto tempo fa, ho incontrato uno come te. E so che sei qui, da qualche parte. Nel lato buio della mia memoria.”
Arturo Perez-Reverte
“Il club Dumas”

Le dita di Draco si strinsero contro il palmo e per un istante la scena sarebbe apparsa come se lui stesse per spaccarle la mandibola con un pugno; invece abbassò la mano, lentamente, e con sollievo riuscì a distogliere gli occhi dal bagliore dorato che danzava in quelli di lei. Abbassò le palpebre a nascondere il riflesso sbiadito di quell’antico dolore che ancora riaffiorava.
Dove sei, piccola amica mia? Ci sei ancora lì dentro, da qualche parte? Quando l’aveva vista rispondere all’abbraccio di Nicolaj per un attimo l’aveva creduto, si era illuso, per l’ennesima volta; poi lei aveva aperto gli occhi e quella folle, inafferrabile, muta domanda aveva ricominciato a risplendere, malvagia, in essi… urla inudibili sul piano reale, ma strazianti ugualmente, urla e richieste a cui lui sapeva di non poter rispondere.

“Buonanotte Sonja”
Draco si alzò e uscì senza guardarla.

*****

La prese con violenza, quella notte.
Non ricordava il suo nome, forse nemmeno lo sapeva, più probabilmente non gli interessava.
Era una ragazza castana, ma si tingeva i capelli per schiarirli, aveva grandi occhi verde chiaro ed un corpo caldo… una pelle morbida e bianca, verosimilmente mantenuta tale con l’ausilio di pozioni. Era una di quelle ragazze che gli si offrivano spontaneamente, ansiose di compiacerlo, a conoscenza di chi lui servisse, impaurite e allo stesso tempo irretite da ciò che lui rappresentava: l’oscurità, il mistero, il fascino di uno straniero legato a colui che si era fatto conoscere come il più grande mago di tutti i tempi.
Strinse quel polso fine e la sentì gemere a causa della sua stretta crudele; anche nella penombra della stanza, poco sotto le nocche sbiancate della sua mano, spiccava il marchio nero, impresso più a fondo di una bruciatura o di un tatuaggio sulla carne delicata dell’avambraccio. Un moto di disgusto gli salì alla gola, senza che riuscisse a capire verso chi o cosa fosse rivolto: forse a se stesso, o forse a quella ragazza…. Merlino, così giovane! Eppure si era legata a Lui, per sempre, senza esservi costretta; di certo ignorante, forse persino inconsapevole delle conseguenze… ma almeno non costretta da maledetti incantesimi ed antichi rituali.

Non era un animale, dannazione! Eppure quella sera sentiva di non riuscire ad essere più nemmeno un uomo.
Normalmente si concedeva di conoscerle, di essere gentile ed amabile con loro, in parte per alleviare quella repulsione che gli derivava dal sapere che non volevano sapere altro di lui se non che era il servo più vicino al loro Signore…stupide ignoranti, che non capivano che in realtà era più profondamente schiavo di tutte loro! Ma in parte lo faceva anche perché, con quella sensibilità che da ragazzo non aveva nemmeno sospettato di possedere, sentiva la loro attrazione nei suoi confronti, le sentiva reagire al suo corpo e alla sua sensualità, sentiva salire il loro stupore, l’eccitazione stupefatta che provano le lucciole all’aumentare del calore della lampada… e nell’intimo si compiaceva di quell’attrazione che era in grado di suscitare, desiderava sentirla.
Non quella sera.
Quella sera l’aveva spogliata brutalmente, prendendo a divorarla di baci rabbiosi, facendole male con la sua stretta egoista e violenta… gli occhi strettamente chiusi, come chiusa era la sua mente che anelava soltanto l’oblio dello sfinimento.
Vattene! urlava la sua anima, contro quel viso che non se ne voleva andare dai suoi pensieri malati, Vattene, smettila di farmi impazzire, va via dalla mia testa! Tu non esisti, tu sei morta! Sei morta!
E allo stesso tempo avrebbe voluto scacciare quel corpo docile schiacciato sotto il suo, urlandole di andarsene… Vattene, dal mio letto! Vattene da me, tu non sei lei! Non sei lei! Nessuna è lei!
Con una violenza disperata si lasciò cadere su di lei, senza curarsene, esausto… e rotolò via smettendo di guardarla, senza parlare, implorando silenziosamente di addormentarsi di colpo.

Un viso dietro le sue palpebre strettamente chiuse, i capelli ad incorniciarlo, mossi dal vento della steppa e una dolcezza infinita in quegli occhi che parevano immensi… la dolcissima espressione di una principessa delle fiabe, che da dietro sbarre di una finestra della torre, salutava il mondo dicendogli addio…

“C’era una principessa degli elfi dei boschi, a quell’epoca, chiamata Kierestelli, che nella lingua degli uomini significava ‘cristallo’. La leggenda parla della sua grande bellezza, ma si sa che la bellezza risiede nell’occhio di chi ama…”
Marion Zimmer Bradley
“Il ribelle di Thendara”

**********

Questa volta ce l’ho fatta ad aggiornare in tempo! Spero che l’inizio della terza parte vi sia piaciuto!
Ithil: Ho illuminato sul giuramento ma credo di aver lasciato più dubbi che certezze… il complimento sull’originalità mi ha fatto piacere in modo assurdo e le parole “affezionati lettori” mi hanno fatto fare un saltellino sulla sedia… e per quanto riguarda il fatto che non svelo tutto subito, non sono perfida, mi limito a prendermi il mio divertimento personale di autore: non ho i colpi di scena perché la storia la so già, lasciami almeno il sadico divertimento di un po’ di mistero… un bacione!
Marcycas: Ho aggiornato presto! La tua richiesta non può essere soddisfatta per esigenze di copione ma zio Voldy accanto a me ha tremato per un attimo, te lo posso testimoniare!
aletheangel: Grazie!
Ramona55: Bè, un grosso “benvenuta” alla new entry! I tuoi complimenti sono stati gentilissimi e mi hanno toccata sul vivo! La luce forse arriverà ma credo che prima dovremo sprofondare ancora di più… è una storia dark e triste, che ho scritto per staccarmi completamente dal mio precedente “lavoro” (non so se hai letto Dangerous Feelings e il seguito, molto ironiche), di certo non per persone depresse. Ti ringrazio veramente tanto e spero che l’idea continui a piacerti. Un bacio!
Hermy: Grazie! I complimenti sull’originalità sono sempre e comunque graditissimi!
Meggie: La tua analisi del nuovo Draco mi ha spiazzata: io che faccio l’impossibile per farlo vedere come un debole codardo… scherzo, mi fa molto piacere che sia in grado di provocare sentimenti forti, positivi o negativi che siano. Un bacio e grazie!
Saturnia: Hai colto un aspetto importante di quello che nella mia testa è il rapporto tra Draco e Sonja, che è venuto fuori un po’ di più in questo capitolo. E mi ha fatto particolarmente piacere quello che mi hai detto a proposito delle sensazioni che ti ha dato l’immagine di Sonja vista da Nicolaj (“un sogno nebuloso, a tratti oscurato dalla personalità della ragazza”)… mi è piaciuta tanto, e sono contenta di averti comunicato quelle cose. Ringrazia anche Lady Numb: i Metallica sono stati il mio primo grande amore musicale, dopo Cristina D’Avena… come va, sei ancora mentalmente stabile? Io sono uscita dal cinema in un nirvana di pace dei sensi….
Bla.St.: Che dici, la boazza cosmica ha assunto una forma? Adesso si sa ancora di più sul marmocchio, spero di non averti deluso.
Ethel: La tua è stata una delle recensioni che mi ha fatto più piacere in assoluto! Mi ha esaltato un casino il modo perfetto con cui hai capito quello che volevo comunicare di Nicolaj e di Draco, il fatto che sia impacciato e troppo giovane… sono davvero contenta! Per quanto riguarda il tuo appunto sulla lentezza della storia, mi ha fatto di certo pensare: l’ambientazione un po’ dark tende da sola a rendere la storia più inquietante che travolgente, e nell’ottica di far entrare i lettori in personaggi così “complessi” mi sono concentrata soprattutto sui loro sentimenti; cercherò di calcare di più sugli avvenimenti per dare un po’ più di ritmo, grazie per avermelo fatto notare… stavolta sono successe un po’ più di cose, no? Ciao e grazie!

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Capitolo 12
*** One ***


Mi scuso davvero tanto per il ritardo, ma la seduta di tortura universitaria pre natalizia mi ha costretta alla scrivania… e non per creare.
Voglio dedicare questo capitolo ad Euridice, la biologa più pazza che conosco, per augurarle uno splendido compleanno.
Un sincero augurio di Buon Natale a tutti!

PARTE III

CAPITOLO 2: ONE

“Tutto dipende da DOVE vuoi andare…” disse il gatto.
L. Carrol
“Alice nel Paese delle Meraviglie”

Spalancò la porta.
Nessuno avrebbe potuto spiegare il motivo, l’impulso, l’insensato istinto che l’aveva portata ad aprire a quel modo la porta della stanza da letto di Draco… e forse non era nemmeno importante conoscerlo.
Lo sguardo del ragazzo la sera prima, quel contatto fisico che, paradossalmente, tra loro era così raro nonostante la continua vicinanza, quell’incontro di pensieri incoerenti che li sommergeva, nel momento in cui le loro menti si sfioravano nel profondo di quegli occhi dorati… a chi può importare il pensiero di una pazza in fondo?... se non ad un altro pazzo, certo…
Spalancò la porta e rimase a guardare, il viso indifferente, pallido come un lenzuolo slavato, e i capelli scarlatti tirati severamente sulla fronte, lisci e luminosi come sangue appena versato.

La donna era ancora lì, nuda ed addormentata, in una posa di completo abbandono: stesa a pancia sotto, cingeva con un braccio il torace liscio di Draco, e gli scarmigliati riccioli chiari si posavano su quel groviglio di coperte con la grazia delle onde leggere di un torrente.
Bella. Giovane. Inconsapevole.

Draco aprì gli occhi e la vide.
Lentamente si sollevò, senza svegliare la ragazza accanto a lui, che mugolò nel sonno e si rannicchiò su se stessa. Il mago spostò lo sguardo da una donna all’altra, indugiando sui lineamenti congelati di Sonja… (maledizione, nemmeno aveva chiuso la porta.)
Si strofinò la fronte e tornò a guardare la rossa, immobile come una statua, stagliata contro l’atrio della porta, bianca figura spettrale sullo sfondo buio dell’anticamera.
Sonja non stava guardando lui, stava fissando la ragazza, studiando il suo corpo nudo con insistenza maniacale, quasi come a volerne cogliere l’essenza, la causa… il motivo recondito della sua presenza in quel letto. A Draco quel lampo di curiosità apparve inquietante. La rossa spostò lo sguardo verso di lui e inclinò la testa, scendendo con lo sguardo sul suo torace, sulle addominali che scomparivano nel lenzuolo scuro, e seguì la sagoma delle sue gambe ripiegate, per ritornare al viso sbattuto e agli occhi grigi e tristi.

“Vattene, Sonja.” mormorò il ragazzo.
Incredibile quanta dolcezza riuscì a mettere in quell’ordine che aveva l’amaro sapore di una implorazione.
Incredibile con quanta docilità Sonja obbedì, arretrando senza far rumore nonostante gli stivali alti da cavallerizza.
E incredibile quanto la sensazione di vuoto divenne opprimente, non appena il suo profumo di caprifoglio sparì dalla stanza, smettendo di sovrapporsi a quello anonimo ed artificiale della ragazza accanto a lui.

Sonja si appoggiò con le spalle alla porta chiusa, lasciando che la pelle della nuca aderisse al legno lucido dei battenti… l’ombra, il ricordo della vita che una volta pulsava in quel legno morto, aveva più calore di lei. Fissava gli occhi sulle linee smussate delle pietre di marmo, percorrendole a zig zag finchè non sparivano nell’ombra scura del corridoio; a bocca chiusa accennò un motivetto, un ritmo di tango che la fece quasi sogghignare mentre la punta del suo stivale cominciava a battere a tempo… una battuta su un mattone, una battuta sul mattone di fianco… battute che infrangevano quel silenzio irreale, stonate e rassicuranti al tempo stesso. Si staccò dal muro e se ne andò.

I can't remember anything
Can't tell if this is true or dream
Deep down inside I feel to scream
This terrible silence stops in me

“Tieni dritta quella schiena, Nicolaj!”
Gli ordini di Draco erano secchi e perentori, mentre conduceva il cavallo baio montato dal bambino, tenendolo per il morso; era una bestia tranquilla, non certo un animale focoso ed indomito come Mizar, ma Nicolaj l’aveva subito ribattezzato “il mio Drago… il Drago che cavalcherò nelle mie grandi avventure!”
“è dritta!” si lagnò il bambino, raddrizzandosi più che poteva.
Un sorriso sfiorò gli occhi grigi di Draco, ma le sue labbra lo trattennero piegandosi in una severa ammonizione.
“Sei piegato da un lato. Giù quelle spalle e tieni alte le redini!”
“Draco, sono stanco…!”
“Ehi! Non avevi detto di voler imparare a cavalcare?”
“Ma so già cavalcare! Vedi che sto a cavallo! Tiro a destra e lui curva, tiro indietro e lui si ferma… so cavalcare!”
Questa volta il mago non riuscì a trattenersi e scoppiò in una risata.
“Dio, Nicolaj, sei impagabile!”
Continuando a ridere si avvicinò alla sella e sollevò il bambino tra le braccia per tirarlo giù.
“Forza allora! Andiamo a dare da mangiare a questa povera bestia che ti ha sopportato anche troppo per oggi!”
“è il mio drago!” precisò il bambino con veemenza.
Draco assentì, ridacchiando ancora.
“Si. È il tuo drago… ma anche i draghi hanno fame. Andiamo.”
Nicolaj posò finalmente i piedini sul selciato e prese a trotterellare davanti a Draco, avviandosi nella direzione delle scuderie.

“Draco, rimettimi su!!”
Draco riemerse dai suoi pensieri e guardò il bambino, sconcertato.
“Ma…”
“C’è Sonja! Rimettimi su, dai! Così mi vede cavalcare!!”
Nicolaj stava quasi saltellando per l’eccitazione, così Draco scosse la testa e lo risollevò fino alla sella.
“Sonja!! Sonja!” strillò il bambino “Sonja guarda, sono a cavallo!!”
“Nicolaj stai fermo! Devi infilare i piedi nelle staffe!” sibilò Draco, trattenendo di nuovo una risata.
“Sonja!!”

“Sonja!!”
Le gambe della ragazza strinsero i fianchi di Mizar, ed uno strattone alle redini trasmise all’animale l’ordine di bloccarsi. Sonja girò il viso nella direzione da cui provenivano gli strilli gioiosi di Nicolaj e inclinò il capo scrutando prima il bambino, poi il cavallo, poi la figura di Draco, di spalle, avvolta dal mantello; proprio in quel momento il mago girò la testa e la guardò a sua volta.
Non andartene.
Draco non pensava che a Sonja sarebbe veramente importato vedere Nicolaj a cavallo, e di certo non era in grado di fingere interesse per i piccoli trionfi del bambino… ma se se ne fosse andata senza dirgli nulla, gli avrebbe spezzato il cuore. Il suo corpo si tese, come durante una fervida ma silenziosa preghiera agli dei… che qualcosa in quella mente devastata si svegliasse e le dicesse di avvicinarsi, che qualcosa fosse rimasto della sensibilità sofferente della donna che un tempo Sonja era stata, che qualcosa la spingesse a salutare, a riconoscere, a regalare un sorriso… uno soltanto…
Non andartene. Sonja fece schioccare le redini e Draco chiuse gli occhi, preparando se stesso a dover sopportare il visetto deluso del figlio. Ma gli zoccoli di Mizar batterono sul selciato solo per poche, rapide, falcate… il cavallo si fermò a un paio di metri da loro e Draco riprese a respirare: pur sapendo che la ragazza non poteva coglierlo, non riuscì ad evitare di rivolgere uno sguardo di sollevata riconoscenza.
Sonja scrutò Nicolaj con un sorrisetto pacato dipinto sulle labbra, poi condusse Mizar di fronte al cavallo baio e il bambino si irrigidì, come ad attendere un verdetto della corte plenaria.
“Sei piegato a sinistra, Nicolaj. Tieni la schiena più dritta.”
La voce bassa di Sonja aveva una debole parvenza di dolcezza. Draco abbassò un poco la testa per nascondere un sorriso amaro.

“Sei piegata a sinistra, Ginevra. Cerca di stare più dritta, riuscirai a guidarla meglio.”
Rivedere dietro le palpebre abbassate quei lunghi capelli rossi muoversi come lingue di fuoco nel vento freddo di Mosca… occhi bruniti, tristi e lontani, che si sforzavano di ascoltare le sue severe indicazioni, cercando un momentaneo sollievo dal dolore in quell’esercizio che necessitava concentrazione.
Sentir risvegliarsi la compassione romantica del ragazzino che era, la fragile e tenera passione che una ragazza torturata gli aveva ispirato, quei lontani giorni d’inverno…
Quei giorni ormai dimenticati.
Da lei.

“è il primo giorno che prova a cavalcare, Sonja.” una nota di freddezza dolorosa nel tono conciliante di Draco; non la stava nemmeno guardando. “Stavamo andando a portare il Drago di questo ragazzino a mangiare…”
“Drago?” fece Sonja, senza capire.
Nicolaj si impettì sulla sella, fremendo di orgoglio.
“Il MIO Drago!”
Sonja lo guardò per un istante, poi annuì, silenziosamente.
“Bè… allora impara a stare dritto” disse, con una risatina secca “non si è mai visto un cavaliere su un drago che cavalca tutto storto.”
Un sorriso sdentato si aprì sul viso felice di Nicolaj e gli occhi chiari brillarono di gioia sincera.
“Hai riso! Sonja, hai riso con me!!!”
Staccò le mani dalle redini per batterle allegramente, mentre sia Sonja che Draco lo guardavano con aria piuttosto sconcertata... la mossa audace lo portò a perdere l’equilibrio e Draco lo afferrò al volo prima che precipitasse giù dalla sella.
“Ehi!” lo ammonì severamente, depositandolo nuovamente a terra “Sarai anche un cavaliere un giorno, ma per il momento, o tieni le mani dove devono stare o di cavalcare non se ne fa nulla, intesi?”
Nicolaj annuì a quella sfuriata e chinò la testa bionda.

Draco preferì non indagare su ciò che Nicola aveva fatto notare a Sonja, perciò afferrò le redini del cavallo e si avviò verso le scuderie.
“Forza, furfante. Se vuoi cavalcare devi anche imparare a prenderti cura del tuo cavallo.”
Mentre se ne andava, Draco “sentì” Sonja rivolgergli uno dei suoi lunghissimi sguardi, uno di quelli a cui lui non riusciva mai a rispondere. “Sentì” gli occhi felini di lei puntati sulla sua schiena… avrebbe potuto descrivere nei minimi particolari il modo in cui le sue palpebre si stringevano e le sue sopracciglia rosse si avvicinavano impercettibilmente tra loro, al centro della fronte.
Non si volse.
È immensa la solitudine di chi non può esprimere l’amore che prova, e terribilmente amaro è il calice della rassegnazione impotente.
Il rumore del galoppo di Mizar riempì l’aria per qualche momento, poi sparì anche quello, inghiottito dall’aria tersa e gelida come un cristallo perfetto, luminosa come l’animo della bella amazzone non sarebbe stato mai più.

Darkness imprison me
All that I see
Absolute horror I cannot live
I cannot die
Trapped in myself
Body my holding cell

Nemmeno due ore dopo Sonja avvicinava al viso la propria bacchetta, gli occhi ancora accecati dal fascio di luce verde che ne era appena uscito; ne osservò la punta e le mille scheggiature che la rendevano un oggetto così personale e vivo. Il suo sguardo sembrava voler scrutare all’interno del legno... accarezzo le venature profonde, con la punta delle dita fredde, sul viso la stessa espressione di chi pulisce con calma il sangue dal pugnale dopo un atroce assassinio.
Almeno l’anatema non sporcava.
Lanciò un’occhiata indifferente al corpo riverso che giaceva ai suoi piedi: una donna, questa volta. Una vecchia. Il nome non lo ricordava, il motivo dell’esecuzione non lo sapeva.
Una vecchia che aveva cercato di difendersi, comunque… una leonessa spelacchiata, inacidita dagli anni e più attaccata al suo rimasuglio di vita di quanto lo fossero stati tutti gli altri.
Passò la mano sui pantaloni, sporcandosi le dita con il rivolo di sangue che usciva da un taglio non troppo profondo sulla coscia; un incantesimo di taglio non molto riuscito che la vecchia le aveva lanciato, ormai indebolita dalle torture eppure più che restia ad arrendersi…
“Reparo.”
La macchiolina di sangue rosso spiccava sul bianco dei pantaloni ora che lo strappo era sparito.
Sonja si ravviò la treccia dietro la spalla sinistra e, nel movimento, il bracciale violaceo baluginò crudelmente, prima che la ragazza sparisse con un sonoro schiocco nel buio.

“I deboli esseri che vorrebbero graffiarmi riescono solo ad accarezzarmi.”
Anne Rice
“Armand il vampiro”

Era quasi mezzanotte quando si materializzò nella stanza di Draco, trovandolo solo… questa volta. Il ragazzo, disteso sul letto, alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e la osservo saltare silenziosamente sul letto ed accoccolarsi al suo fianco, sfiorandogli il braccio con l’elegante coda rossa.
Draco non aveva mai saputo che gli animagus potessero usare la materializzazione senza ricorrere alla forma umana, ma Sonja sembrava fatta per infrangere le consuetudini più radicate… era una allieva di Voldemort del resto, e lui doveva averla introdotta a livelli di magia di cui probabilmente pochi immaginavano l’esistenza.
Allungò la mano e percorse lentamente la schiena del gatto, in una carezza affettuosa. La serenità che si emanava da Sonja quando era nella sua forma felina spariva completamente quando ritornava ad essere una donna: a Draco non restava che godere di quei momenti in cui, senza spiegazione possibile, veniva pervaso da quella sorta di pace. Era assurdo… ma, d’altra parte, non c’era più nulla di normale nelle loro vite.

Dopo lunghi minuti di carezze distratte, Draco riportò gli occhi su Sonja e la vide cambiare, trasformarsi… per poi veder apparire sul letto una splendida donna, completamente nuda. La sua mano tremò, posata sulla schiena della ragazza come lo era stata sulla schiena del gatto.
Gli occhi dorati di Sonja, con le pupille ancora tagliate verticalmente per gli ultimi residui della trasformazione, lo fissavano insistenti, quasi a sfidarlo a continuare ciò che stava facendo.
Fissando la propria attenzione sulle labbra di lei e sulla dolce curva delle spalle, Draco fece scorrere le dita leggere sulla pelle bianca della schiena, arrivando quasi a sfiorare le natiche, per poi risalire fino al collo, e scostare un ciuffo che era sfuggito alla treccia severa. Si chiese se Sonja si rendesse conto di aver assunto la stessa posizione abbandonata in cui aveva visto giacere la donna bionda quella mattina stessa; le braccia erano piegate sotto il viso, rovesciato all’indietro in una posizione quasi innaturale per poterlo guardare in faccia… la mano sinistra abbandonata accanto alla guancia mostrava l’unico ornamento che a Sonja era consentito portare.
Le dita di Draco percorsero il braccio della ragazza fino a pochi millimetri dal bracciale di cristallo, per poi sollevarsi, evitando di toccarlo, e riprendere a toccarla sul palmo della mano; prese tra le dita la mano sottile e gelida di lei, la sollevò e se la portò per un secondo alle labbra. Il braccio di Sonja aveva assecondato, arrendevole, il movimento del ragazzo, ma le sue dita e la sua pelle non accennavano rispondere in alcun modo alla carezza quasi impercettibile di Draco; gli occhi della donna rimasero inespressivi e soltanto il lieve movimento delle labbra, che accennavano in silenzio ad una filastrocca, tradivano forse la presenza un incomprensibile barlume emotivo.

“Non puoi restare qui, Sonja.”
“Perché?” appena un sussurro, con una nota appena petulante, come il tono di una bambina capricciosa.
Draco spostò lo sguardo alle cortine del letto e ai quadri appesi alle pareti; la piccola mano abbandonata tra le sue dita forti, gli riportò alla mente una scena simile, risalente ad una serata di pochi anni prima, una sera fredda e ventosa, di quelle sere in cui mille pensieri sembrano vagare nell’aria. Come frammenti di fotografie stracciate, immagini distorte iniziarono a scorrere davanti al suo viso, così vividi da pungere gli occhi.

“Puoi rimanere, se vuoi. Non ti farò niente.”
“Perché?”
“Ti distruggerai se continui a piangere da sola, ogni notte.”
“Non c’è più niente da distruggere.” La voce dolce e piatta di chi è già morto dentro e non ha nulla da guadagnare da sentimenti come odio e violenza… “E comunque la domanda non era quella. Intendevo perché non mi faresti niente.”
Un sorriso troppo amaro per essere considerato tale. “Non sono un animale.”
“Sei un mangiamorte.”
“Mi credi uno stupratore?”
“No. Ma ho troppi ricordi di te come di un bastardo assassino… non so perché ti stai prendendo cura di me.”
“Smettila di farti domande. Non riesci a non pensare a me solo come un assassino?”
“Dovrei riuscire a non pensare a me stessa come ad un’assassina.”

…pensare a me…
…pensare a te…
…ho ricordi di te…
Un arcobaleno di emozioni e ricordi dietro quella radicata diffidenza... quale prezzo avevano pagato entrambi per abbassare quel muro tra loro! E cos’aveva ottenuto, lui, Draco, se non quell’abbandono muto che nulla aveva del calore umano della fiducia?

Draco non riuscì a trattenersi dal deporre un bacio lieve sulle dita di lei.
“Vai Sonja. Hai la tua stanza per dormire.”
“Non occupo molto posto…”
Il ragazzo scosse la testa.
“Ci sono cose che non riesci a capire, Sonja. Credimi se ti dico che è meglio che tu vada.”

Sonja si sollevò a sedere e raccolse le gambe nude al petto, cingendole con un braccio; il bracciale scivolò verso il gomito mentre l’altro braccio si alzava e la mano iniziava a giocherellare con il cordone pendente da un angolo del baldacchino. Per un attimo Draco credette che lei stesse per tirare le cortine attorno a loro, invece la vide trasformarsi di nuovo nel piccolo gattino fulvo e scendere con sussiego dal bordo del letto.
Il gatto gli rivolse un ultimo sguardo altezzoso prima di sparire in uno sbuffo di minuscole scintille.

“- …un impulso umano che chiamiamo pietà, un atto umano che chiamiamo perdono. -
- Non conosco queste parole, collega Eliah. -
- Lo so. Lo so… -“
Isaac Asimov
“Abissi d’acciaio”

“Melissa.”
Le due “s” del melodico nome italiano sibilarono sinistramente sulle labbra dell’Oscuro Signore.
Un viso di donna apparve tra le fiamme del camino, regalandogli un elegante sorriso a metà tra il seccato e il beffardo.
“Buonasera.” snocciolarono ironicamente quelle labbra.
Il viso era di una bellezza maestosa e remota, incorniciato da una pioggia di riccioli scuri, cadenti da un’elaborata acconciatura di nastri che ricordava quelle delle divinità dell’antica Grecia; i lineamenti contribuivano a formare un disegno armonico su quell’ovale perfetto, coronato dalla luminosità irreale di due occhi bruni screziati di verde.
“Buonasera, mia cara…” un sibilo compiaciuto “noto con piacere che la tua bellezza diventa sempre più impareggiabile…”
Il suono di una risata amara riempì il camino, trasmettendo una improvvisa vibrazione alle fiamme violette.
“A cosa serve essere un po’ streghe se non si può costringere la giovinezza a rimanere un po’ più a lungo?”
“Non sminuirti, Melissa. Hai esplorato ben più della semplice magia, per mantenere intatto quel viso divino, lo sappiamo entrambi.”
Le lunghe ciglia scure di Melissa scesero a velare per qualche istante le pagliuzze verdi che brillavano nelle sue iridi color petrolio; la sua risposta cadde sferzante e gelida, questa volta, senza alcuna traccia di ilarità.
“Ciò che ho fatto in passato non è minimamente paragonabile all’ammasso di scheletri che trabocca dal tuo armadio marcescente, Voldemort! Non accomunarmi a te.”
L’Oscuro Signore chiocciò in maniera per nulla rassicurante, come se le parole ostili della donna non l’avessero nemmeno sfiorato.
“La vita eterna, l’eterna giovinezza… il confine tra gli scopi a cui abbiamo consacrato la nostra vita è così irrisorio, mia cara Melissa! Quelli che tu paragoni a “vecchi rimedi della nonna” si addentrano nei recessi più oscuri della conoscenza magica e ben poco ti ha fermata quando si trattava di raggiungere l’obiettivo che ti eri prefissa, sebbene tu non voglia ammetterlo.”
Dalle labbra rosse di Melissa uscì uno sbuffo scocciato.
“Che cosa vuoi?”
Voldemort si inclinò verso il camino.
“Voglio sapere se è tempo.” sibilò, con gli occhi rossi traboccanti di trionfo.
Melissa sospirò di nuovo.
“I segni sono confusi. Devo vederlo.”
Il volto rugoso di Lord Voldemort annuì in silenzio, per poi aggiungere “Al più presto.”
La donna scrollò la testa con disinteresse, poi fissò di nuovo l’Oscuro Signore negli occhi, senza timore.
“Ti dissi molto tempo fa che ritenevo il rischio eccessivo. Non prendertela con me se poi tutto ti si rivolterà contro.”
“è un rischio calcolato, Melissa, ne abbiamo già discusso.”
“Lo so. E ora… mio caro Voldemort…” Melissa inclinò la testa in un gesto che su un viso meno elegante sarebbe apparso vezzoso “ti auguro una splendida nottata.”
I riccioli si agitarono intorno alla sua fronte liscia, poi il suo viso scomparve tra le fiamme.

********

Piccola nota: ho inserito alcune citazioni molto significative per capire la personalità di Sonja, a partire dal testo della canzone “One” (che tra l’altro è la mia preferita dei Metallica), alla risposta enigmatica dello Stregatto all’inizio del capitolo e anche alla citazione di Asimov, in cui Eliah si rivolge al collega robot… Sonja è pazza. Non ha idea del significato delle azioni umane più semplici, non ha ricordi che la possano guidare, ha solo il suo istinto e i suoi comportamenti insensati, come guidata da uno Stregatto ancora più folle di lei attraverso un Paese in cui le Meraviglie non ci sono più, in cui è imprigionata. Questa è l’idea che ho di lei. Le citazioni sono importanti in questa storia perché Sonja, come vi ho detto, non parlerà mai più in prima persona… ma non è detto che io non inserisca elementi che aiutano a capire cosa le succede o succederà proprio nelle citazioni. (La mia vena machiavellica si autoincensa un pochino.)
Questo capitolo ha dato l’avvio ad una serie di flashback di Draco, che nel giro di pochi capitoli vi aiuteranno a capire per vie traverse come sono andate le cose nel passato, quindi… chiarimenti in arrivo! Come avete notato abbiamo dato il benvenuto ad un nuovo personaggio, Melissa… per favore non riempitimi di domande su di lei tanto lo sapete che non posso ancora rispondere. Vi dico solo che potrebbe essere importante, come potrebbe essere soltanto uno specchietto per le allodole… nel frattempo mando un bacio e un grazie a tutte!
Colgo anche l’occasione per dirvi che questa storia non sarà lunga come le altre due che ho scritto, e che sarà terminata certamente entro la metà di Febbraio, anche perché dopo me ne vado per sei mesi all’estero quindi non so se riuscirò a farvi pervenire le mie creazioni dall’Olanda.

Ale the angel: grazie, mi fa piacere riuscire a farti entrare nella storia. Alla tua domanda, mi sembra chiaro, non posso rispondere. Ciao!
Marcycas: Purtroppo questa volta proprio non ce l’ho fatta ad aggiornare presto. L’inganno che Draco ha subito verrà spiegato tra non molto tempo. Grazie!
Hermy: Qualcosa del passato lo vedrai, ma sempre filtrato dalla mente di draco che ne serba il ricordo… grazie per i complimenti!
Ethel: descrivere la pazzia di Voldie, così come quella di Sonja, è la cosa che mi da più gusto in assoluto in questa storia! Bè, Draco come la forza fatta persona appare credo solo nelle ff, perché mamma Rowling ne dà tutta un’altra idea (non so se hai letto il sesto libro). E poi dopo un superuomo come quello di LFF ho pensato di divertirmi con qualcosa di nuovo. I capitoli non sono molto movimentati perché la storia non lo permette, ma spero che l’atmosfera renda ugualmente e che possa piacere senza annoiare troppo. Un bacio e buone feste!
Blast: esame dato, adesso mi butto anche sulla battaglia finale dell’”Esilio di una stella”, amore! Se dopo il film ti senti un po’ pedofila, bè… join the club! Un bacio!
Meggie: per quanto riguarda Draco nei confronti di Zio Voldie, io direi costretto, più che disposto, a fare qualcosa. Mi fa piacere riuscire a migliorare un po’. Un bacione!
Saturnia: bè, e io sono davvero orgogliosa di ricevere le tue recensioni bellissime! Hai capito molte cose giuste di Draco e del suo rapporto con Sonja, ma credo che questo capitolo abbia chiarito ancora qualcosa: il legame tra loro è molto forte, va oltre l’apparenza perché nasce da qualcosa che Sonja sente ma non ricorda. E poi hai ragione sul fatto che Draco è giovane e impacciato: ho cercato di rendere questo aspetto, di farlo sembrare meno uomo che in DF, ma non so se ci sono riuscita. Sono contenta che la storia così dark non ti abbia deluso. Un bacio affettuosissimo e un augurio di felice Natale anche a te!
BiologaSchizofrenica80 e le altre personalità: continuo a pensare, carissima, che l’EtBr che sniffi in lab ti faccia molto male… ma del resto, se non fossi così matta come un capretto a primavera non ti adorerei! Grazie davvero, un bacione!
Ramona55: ti ringrazio davvero tantissimo per la tua recensione a LFF, mi ha fatto davvero piacere! Rispondo a questa: hai colto un aspetto davvero importante, la scelta più facile… si, Draco è un vigliacco, non mi stancherò mai di dirlo. Se e come maturerà in seguito, bè… sai che non posso rispondere, no? Un buon Natale anche a te!
Sally90: ci credi che leggendo le tue recensioni mi sento una incapace? Scrivi da dio anche nelle recensioni, hai una padronanza delle parole che fa impressione. Mi è piaciuta molto la frase “ventiquattrenne troppo adulto su cui grava il peso inesorabile dei ricordi proibiti”… descrive benissimo quello che volevo rendere di Draco. C’è sempre da imparare su questo sito. Grazie per le tue parole, un bacio!
Minami77: come sei tragica! Eppure sono contenta di averti regalato qualche emozione, anche se un po’ triste. Tanti auguri!

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Capitolo 13
*** Unnamed Feeling ***


Mi dispiace di non essere più puntuale come mi piaceva! Sono davvero a corto di tempo materiale quindi vi prego di essere un po’ pazienti.
Per quanto riguarda questo capitolo, devo avvertirvi: emergerà una parte un po’ “soprannaturale” non proprio Potteriana. Spero che vi piaccia lo stesso!

PARTE III

CAPITOLO 3: UNNAMED FEELING

I just wanna get the fuck away from me
I rage, I glaze, I hurt, I hate
I hate it all, why? Why? Why me?

“No!”

L’oscuro signore sollevò un sopracciglio grigiastro e osservò il ragazzo di fronte a lui.
“Come dici, Draco?” chiese, con gelida ironia.
Draco inghiottì e scosse la testa.
“Mio Signore, vi prego. Vi scongiuro! No. Fate andare me con Nicolaj!”
Voldemort rimase in silenzio, senza distogliere gli occhi dal mago e senza che quella maschera enigmatica cadesse dal suo volto sfigurato dal potere; sospirò, in modo quasi comico.
“No, Draco.”
Draco si alzò in piedi e scostò rabbiosamente i capelli biondi dalla fronte: la disperazione che si leggeva nei suoi lineamenti aristocratici era tale da deformarli, quasi ci fosse soltanto un sottilissimo velo di pelle diafana a coprire vene ed arterie dalle quali il sangue era stato risucchiato via.
“Perché?!? Perché, mio Signore… perché… non Sonja!”
“Perché questo è il mio desiderio, Draco. Desidero che Sonja incontri Melissa. Desidero che tu non la incontri. Questo è tutto.”
“Non la incontrerò!” Draco cadde in ginocchio “Vi prego… non mandatelo solo con Sonja. Non può… non è capace di prendersi cura…”
L’Oscuro Signore lo interruppe freddamente.
“E tu lo saresti, Draco?”
“Non permetterei mai che gli succedesse qualcosa di male! Nicolaj si fida di me…”
“E perché mai Nicolaj si fida di te?”
Draco abbassò la testa e le sue nocche sbiancarono, sui pugni contratti sul gelido pavimento.
“Io… sono suo amico…” mormorò passivamente.

La mano viscida di Lord Voldemort lo strinse sulla spalla e lo aiutò ad alzarsi; sollevando gli occhi disperati, Draco incontrò lo sguardo trionfante e crudele del padrone della sua misera vita.
“Lui non è più tuo figlio, Draco. Non lo è mai stato. Nicolaj è sotto la mia tutela e io desidero che parta per Venezia, insieme a Sonja. Ho altri progetti per te. Devo aggiungere altro, mio giovane amico?”
Draco respirò, ricomponendosi.
“No.” rispose.
Voldemort annuì e se ne andò dalla stanza, facendo frusciare la seta delle vesti con le sue movenze lente che, col tempo, arrivavano a ricordare sempre più quelle di un dissennatore.
Lui sarà sempre mio figlio.

Suo figlio… quel fagotto di pezze di lino che una guaritrice gli aveva posto silenziosamente tra le braccia una sera di Marzo di quasi sei anni prima; una microscopica creatura, nata due mesi troppo presto, eppure già forte, già attaccata alla vita… così aggrappata a quel misero filo vitale, da risucchiare quasi completamente le energie della madre, stremata, che ormai aveva perso conoscenza a causa del dolore troppo intenso per essere sopportato.
Il ricordo vivo di quegli strilli affamati che si erano calmati per qualche istante tra le sue braccia, giusto il tempo perché i suoi occhi si tuffassero in quelli blustri del piccolo, iridi luminose che, col tempo, si sarebbero schiarite fino ad assumere un caldo colore a metà tra il bruno e l’argenteo… “ti riconosco, ti amerò… ti amo già…”
Il ricordo di quella mancanza di forze gli bruciava ancora nelle membra: la stanchezza di un padre che accoglie l’arrivo del figlio, che sente, che vive tutta la sofferenza della madre, dell’amante, della donna… della dea che, nel dolore, regala all’uomo il più inestimabile dei tesori. Aveva tremato con lei, aveva gridato per calmarla, per sovrastare le sue urla strazianti, aveva stretto quelle mani e aveva accettato le unghie conficcate nella pelle, come un marchio di quell’esperienza violenta che è la nascita e la morte, insieme. Era stanco, stanco morto, quando finalmente quel cosino, quel responsabile di tanto dolore, era venuto al mondo, accolto da un grido devastato della madre… l’odore del sangue che si mescolava a quello acre della candela, impregnata di una pozione calmante, una pozione al caprifoglio, che a così poco era servita.

“Fissa la fiamma… fissa la fiamma e resisti. Non mollare, piccola. Fissa la fiamma, respira…”

Non era Voldemort ad aver tenuto quella mano, non era stato lui a sussurrare quelle parole, non era stato lui ad accogliere Nicolaj tra le braccia, a guardare la donna svenire, troppo stremata per baciare una sola, ultima, volta il suo bambino… non era stato lui.
Nicolaj era suo figlio.
Era suo.

“[…] Sono Amante e Madre,
genero e divoro,
sono l’amante e l’amata.
Un giorno tu apparterrai a me…”
Marion Zimmer Bradley
“La sacerdotessa di Avalon”

Lo guardava con quegli occhi vacui e al tempo stesso vibranti di domande inespresse… nessuna delle quali, di certo, era la più logica: “cosa ci fai qui”.
Draco sollevò la testa dalle mani, stancamente, e rimase a guardare Sonja dal letto della ragazza sul quale si era seduto per aspettarla: lei era sulla soglia, ferma ad osservarlo, forse davvero chiedendosi perché lui era nella sua stanza, più probabilmente non chiedendosi nulla di comprensibile… a nessuno era dato saperlo.
Sonja gli passò accanto ed accese, una ad una, una fila di candele colorate posate sulla mensola del camino; la luce dorata e danzante riempì la penombra della camera di sagome immaginarie, ombre informi nascoste negli angoli, invisibili fate delle tenebre che osservavano, curiose, lo strano e silenzioso rapporto tra i due ragazzi. Il profumo pungente strisciò sui mobili insieme ai leggeri fili di fumo, ed arrivò alle narici di Draco, facendogli inizialmente bruciare gli occhi.
“Promettimi che non gli accadrà niente” mormorò il mago.
Sonja si girò e lo guardò, inclinando la testa. Draco imprecò in silenzio, frustrato.
“Sonja!”
La rossa si avvicinò a passo di danza, seguendo il ritmo di una melodia che lei sola sentiva suonare, e si firmò di fronte a lui, in piedi, con le ginocchia che quasi sfioravano quelle di Draco; con mano insolitamente gentile, Sonja, scostò un ciuffo di capelli biondi dall’occhio del ragazzo, poi si allontanò di nuovo e sparì dietro la porta del bagno.
Draco rimase immobile finchè non sentì l’acqua della doccia scrosciare, allora si abbandonò violentemente all’indietro, sprofondando nelle coperte candide.

Lo risvegliò lo schiocco della porta.
Sonja era di nuovo nella stanza, a piedi nudi sul pavimento gelido, coperta solo da un asciugamano bianco drappeggiato disordinatamente sulle spalle e stretto con le mani sul petto… i capelli gocciolanti erano sciolti e coprivano, come strisce di sangue rappreso, il ricamo di farfalle azzurre sul bordo del telo. Le cosce sbucavano, pallide, dai lembi del grande asciugamano, la pelle era increspata dai brividi di freddo.
Draco sbattè le palpebre e sospirò. Era abituato, certo, ma di quel passo sarebbe impazzito.
“Vestiti.”
Non stasera…
“Sei ancora qui.” bisbigliò la ragazza senza muoversi.
Constatazione idiota ed inutile.
“A quanto pare…” borbottò il biondo.
…non fare così…
“Cosa vuoi?”
Finalmente una domanda sensata.
Draco scosse la testa.
“Vestiti.”
…non sono in condizioni di sopportarti.

Sonja si avvicinò e si accoccolò sul letto, stringendo le gambe sotto il proprio corpo bagnato: l’asciugamano la copriva quasi interamente, ora, spiovendo dalle spalle gracili come un sudario spiegazzato, eppure Draco dovette fare violenza su se stesso per allontanare la consapevolezza che non c’era nulla sotto quel telo… solo Sonja.
“Che cosa vuoi?”
Gli occhioni dorati di Sonja continuarono a fissarlo mentre lei gli poneva, per la seconda volta, la stessa domanda. E quelli di Draco continuavano, ostinati, a sfuggire a quel contatto.
“Voglio che tu mi prometta che lo proteggerai.”
“Chi?”
Draco sospirò di frustrazione.
“Nicolaj. Mentre sarete a Venezia.”
“Da cosa?”
“Da tutto. Promettimi che non permetterai che gli accada nulla di male. Promettimi che lo riporterai qui a qualsiasi costo!”
La voce del mago si era alzata di tono, in una veemenza disperata così innaturale in lui, che Sonja si tirò indietro, come spaventata; nello scatto la presa sull’asciugamano si allentò e il telo scivolò da una spalla, scoprendo la pelle candida di un seno… Draco chiuse gli occhi per un attimo, poi allungò una mano e risistemò gentilmente il lembo di stoffa, prima di mormorare ancora una volta: “Promettimelo.”
Non ricevendo risposta alzò lo sguardo e vide che il viso della ragazza era chino sulla sua mano forte, ancora posata a trattenere l’asciugamano sulla spalla; era come ipnotizzata, persa nell’osservazione di quel contatto leggero.
“Sonja.” implorò, sottovoce. “Sonja… ascoltami.”
Ancora: gli occhi della ragazza si levarono cercando i suoi, e quelli grigi di Draco fuggirono, fissandosi sulla sua bocca. Un’assurda danza che ormai entrambi conoscevano a memoria.
“Promettimi che ti prenderai cura di lui, che non gli succederà niente di male.” ripetè per l’ennesima volta.
“Te lo prometto.”

Come puoi conoscere il valore di una promessa?!?
Draco chinò la testa, portandosi entrambe le mani alla nuca in un gesto disperato, le dita contratte ad esprimere l’emozione con una intensità che si era sempre negata.
Come posso fidarmi di te se non sai nemmeno prenderti cura di te stessa?!?

Forse fu proprio la disperazione. Forse fu la sensazione di non avere nulla ormai da perdere.
Forse fu la pazzia, che ormai si stava diffondendo anche dentro di lui.
Forse furono tutte queste cose insieme a negargli per una attimo, per un solo momento, quell’autocontrollo che aveva permesso in quegli anni la mera sopravvivenza di entrambi: alzò gli occhi ed incontrò quelli di lei. Non nel contatto sfuggente e casuale a cui era abituato a resistere, ma in una consapevole e malsana ricerca dell’oblio in quel mare dorato… occhi negli occhi, anima dentro l’anima, fu finalmente consapevole della propria immensa solitudine e della devastazione della mente di Sonja, un campo di battaglia pieno di cenere e cadaveri. Incurante dell’assurdità del placare la disperazione con la pazzia, rinunciò a distogliere lo sguardo.
Forse fu l’esplosione… che una volta partita non è più possibile fermare.

“Nessun organismo vivente può restare sano a lungo in condizioni di assoluta realtà.”
Shirley Jackson
“La casa sulla collina”

Come un’edera malvagia e parassita, la coscienza deforme di lei si insinuò nella sua mente, distruggendo le protezioni dalla sofferenza che era riuscito a costruire, così faticosamente negli anni.
Per un tempo indefinito (ma esisteva ancora il tempo?) Draco fu Sonja, fu nella sua mente, sentì la musica che era sempre solo nella testa di lei, sentì quelle poche, misere, fonti di calore a cui si aggrappava quell’anima gelata: l’odore e il calore di Mizar, la luce e il profumo delle candele, la musicalità dolce delle cantilene russe… vide se stesso come lo vedeva lei, vide, anche se non udì, le sue domande che rimanevano inespresse, sentì la propria presenza, in qualche strano modo rassicurante, barlume di serenità in quella finzione di vita che Sonja recitava ogni maledetto giorno senza rendersene conto.
Compassione.
Il nome che le persone danno ad un sentimento troppo intenso e doloroso per essere compreso.

La strinse a sé, in un abbraccio spasmodico, bisognoso di dare e ricevere un conforto senza nome. Nella sua mente pensieri incoerenti si accavallavano; residui della propria coscienza che gli dicevano di andare si scontravano con frammenti appuntiti di quella di lei… frammenti di solitudine così assoluta che probabilmente nessun essere umano sano di mente avrebbe mai potuto affrontare. Secoli di solitudine… che si ripetevano ogni dannato giorno, senza possibilità di appello, negando non solo la possibilità, ma anche la capacità di chiedere aiuto.
Che Sonja non fosse in grado di capire ciò che stava succedendo. Che Sonja non fosse capace di recare alcun conforto, se non l’oblio dal tempo che sperimentava quando la guardava negli occhi... che Sonja non stesse rispondendo all’abbraccio, ma si schiacciasse, muta e paralizzata, contro il suo petto… Che cosa poteva importargli di tutto questo?

I’m frantic in your soothing arms
I can not sleep in this down filled world
I’ve found safety in this loneliness
But I can not stand it anymore

Posò le mani sulle guance di lei e la allontanò da sè quel tanto che bastava per guardarla di nuovo, mosse le dita, dolcemente, scivolando sulla sua pelle di seta umida… il pollice arrivò a sfiorare le labbra semiaperte, la curva del mento, e poi la mano si trovò sul collo, e nemmeno lui riuscì più a dire se era più forte l’impulso di baciare quella vena pulsante o quello di accentuare la pressione e soffocarla… una volta per tutte. No, non erano suoi quei pensieri! Non era nemmeno più padrone di ciò che pensava…
“Giurami che mi riporterai Nicolaj!” le sussurrò, con una voce che lui stesso stentò a riconoscere… roca, ansante, rotta dall’emozione.
Sonja lo guardò a lungo (e di nuovo Draco non poteva capire quanto a lungo…), poi inclinò la testa, schiacciando la guancia contro la mano di lui.
“è tuo figlio…” bisbigliò, in tono solo lievemente interrogativo.
Draco si sentì affondare, in preda a vertigini così acute da non riuscire nemmeno più a mettere a fuoco qualcosa che non fossero gli occhi di Sonja. Annuì, in silenzio.
“Non permetterò che nessuno gli faccia del male” sussurrò Sonja, con la stessa intonazione solenne che usano i bambini per sigillare una promessa.
La fronte di Draco si posò su quella della ragazza, respirando forte.
Dei…le somigli così tanto, ora! Merlino, che sto facendo… che diavolo sto facendo!
Nel momento in cui il suo viso si spostava quei pochi centimetri perché le sue labbra incontrassero quelle di lei, la mente di Draco si chiuse.

Can’t you help me be uncrazy?

Sonja rispose ai suoi baci. Rispose alla sua stretta, rispose alla sua passione con una timidezza stupita che avrebbe potuto soltanto spezzare il cuore… se non fosse stato per quegli occhi: sempre aperti, fissi su di lui, sempre dannatamente seri! La rabbia e la passione, il bisogno e la repulsione: era tutto così confuso e indefinito che Draco si meravigliò, dopo, di non aver schiaffeggiato quella pelle candida, invece di coprirla di baci famelici.
Ma era stato… solo appassionato. Triste, maledettamente triste, ma appassionato, quando si era steso su di lei carezzandole i capelli bagnati, quando aveva passato le mani su quel corpo nudo e tremante, sulla pelle perlacea che rispondeva timidamente al tocco di lui, quando era entrato in lei, soffocando con un bacio il suo singhiozzo sconvolto… appassionato.
E si era addormentato stringendola, contro il suo petto la schiena fresca di lei, il viso sepolto nei sui capelli ancora umidi, sapendo che gli occhi di Sonja erano svegli e vigili, fissi sulle fiamme ballerine delle candele accese sul tavolino.

Been here before couldn’t say I liked it

Quando un raggio polveroso di sole filtrò dalla finestra a svegliarlo, Sonja non era più tra le sue braccia. Si guardò intorno, smarrito, eppure ricordando ogni singolo istante di ciò che era accaduto poche ore prima; Sonja era rannicchiata contro la spalliera del letto, seduta sul cuscino con le gambe strette al petto, ancora completamente nuda… negli occhi vacui ed assonnati un’espressione sperduta, sulle labbra una canzone, in un silenzioso mormorio. Cosa c’era dietro l’oro di quegli occhi…? Perché ora riusciva ad incontrarli senza sentire il consueto dolore?
“Cosa mi hai fatto?”
Quasi inudibili, quelle parole scivolarono dalle labbra gonfie ed arrossate di lei.
Invisibile, una lama sottile e gelata si conficcò a fondo nel petto di Draco.
“Ti ho fatto del male?”
…da codardi rispondere ad una domanda con un’altra domanda…
“No.”
Il sollievo.
…da idioti credere che il male non esista quando, soltanto, non viene compreso…
“Non lo capiresti. Non posso spiegartelo.”
“Perché?”
“Non ne sono capace.”
…da stupidi credere che un mormorio possa ferire meno delle urla più selvagge…
Sonja scesa dal letto e rabbrividì al contatto con il pavimento; una piega delle coperte aveva lasciato un’impronta rossastra sull’esterno della sua coscia e Draco si ritrovò a fissare quella sottile linea rossa.
“Sonja.”
“Draco…”
La ragazza si girò a fissarlo, le braccia strette attorno alle spalle.
“Riuscirai mai ad amare?”
Sonja rispose con aria assente.
“Ci sono parole a cui non so più dare un significato, Draco. Non tormentarmi.”
Aveva una luce di tristezza consapevole negli occhi… forse era quello il motivo per cui riusciva a guardarla senza stare male: era uno di quei pochi momenti in cui qualche emozione trapelava in modo quasi comprensibile dal suo viso immobile di bambola di cera, uno di quei momenti che una volta gli avevano dato speranza. Ora non gliela davano più.
“Anche questo ti ha tolto…”

“L’oscurità del vuoto era inframezzata dal turbinio della galassia, una spirale di stelle contro il velo della notte. […] le stelle tremolarono, lei si ritrovò sola nell’oscurità ed urlò nella notte.”
Marion Zimmer Bradley
“Exile’s Song”

La passaporta li catapultò in un vicolo isolato. Era notte fonda, il riflesso delle luci di Venezia sulla laguna era smorzato da una nebbia leggera che saliva dall’acqua e le mura, alte e scrostate, da entrambi i lati del calle, apparivano più fredde che mai.
Come se la promessa fatta a Draco le stesse martellando nella testa, senza significato ma non per questo meno vincolante, Sonja strinse a sé Nicolaj, incrociandogli le braccia sopra al petto e facendolo appoggiare alle proprie gambe; c’erano maghi in quella zona della città, lei riusciva a percepirli… come una pulsazione nell’aria, quasi che gli incantesimi che uscivano dalle loro bacchette le trasmettessero una vibrazione, un debole suono di avvertimento.
“Sonja…”
Gli occhi di Sonja si abbassarono sul viso del bambino, che torceva il collo all’indietro per poterla guardare.
“Sonja dove andiamo adesso?” si lagnò il piccolo.
“Aspettiamo.”
“Che cosa?”
“Dobbiamo incontrare qualcuno.”
“Proprio qui?”
Sonja strizzò le palpebre.
“Cosa c’è che non va, qui?”
Nicolaj spalancò la bocca, poi la richiuse e scosse la testa.
“Ho freddo…” mormorò soltanto.
Sonja si guardò intorno, scrutando negli angoli bui e pensando distrattamente che quella città sembrava fatta apposta per un’imboscata; un movimento a poche centinaia di metri da loro la innervosì e la spinse ad appiattirsi contro il muro, la bacchetta pronta nella mano destra e le braccia ancora avvolte al collo di Nicolaj.
Due maghi. Sonja ne era sicura sebbene non potesse vederli: la magia pulsava attorno a loro in modo quasi fastidioso. Si stavano avvicinando, abbastanza lentamente… forse non erano nemmeno lì per loro.

Quello che ebbe il potere di trasformare l’espressione dura di Sonja in una smorfia di lieve stupore, fu il fatto che si era sbagliata: era tre. Tre maghi, o meglio, un mago e due streghe. O, ancora meglio, un mago, una strega e qualcos’altro, qualcosa che era riuscito a non farsi percepire.
Quando passarono davanti a lei, il mago, probabilmente credendo di sorprenderla, allungò la mano verso Nicolaj e, senza capire come, si ritrovò a premere le mani sul retro del cranio che aveva sbattuto violentemente contro il muro all’altro lato del calle. Dannazione, non l’aveva nemmeno vista muovere la bacchetta, quella troia dai capelli rossi!
“Nessuno che non sia un veneziano, immaginerebbe quanto è fastidioso essere schiantati in uno di questi vicoli…”

La voce che aveva parlato (una voce indiscutibilmente femminile) apparteneva a quella cosa che Sonja non era in grado di classificare: era morbida, lievemente roca, derisoria… e l’inglese che aveva usato era fortemente accentato, tanto che Sonja faticò a capire le parole esatte.
Avvolta in un mantello, la donna (ma era davvero una donna? E soprattutto era davvero una strega? E come poteva controllare in quel modo la magia che ogni mago emana naturalmente?) appariva minuta, aggraziata ed incredibilmente sicura di sé; mosse la mano verso Nicolaj e gli accarezzò la testa bionda. Il bambino mugolò qualcosa, spaventato, e Sonja lo attirò istintivamente ancora di più verso di sé.
La donna sollevò gli occhi su di lei e sorrise lievemente.
“E così… tu sei Sonja.” il tono dell’affermazione sembrava richiedere conferma, ma la rossa non accennava ad aprire bocca così l’italiana continuò, “Perdona Lorenzo per la sua… brutalità. Volevo assicurarmi che fossi tu.”
Sonja inclinò la testa senza parlare, continuando a stringere a sé Nicolaj.
“Sono Melissa.” la informò la donna, lasciando ricadere il cappuccio dai lunghi riccioli scuri e mostrando finalmente tutto il suo viso. “Sono quella che sei stata mandata a cercare.”

****************

Bene. Ancora auguri di buon anno a tutti! Un grazie infinito per le recensioni e per il vostro appoggio che non mi fate mai mancare… visti gli impegni che mi tartassano (tipo dare una luuuunga serie di esami prima di partire) ormai, mi sembra corretto dirvi che è più probabile un aggiornamento ogni due settimane piuttosto che ogni settimana come mi piaceva fare in DF. Mi dispiace tantissimo, davvero!

Ecco i ringraziamenti!
Ithil: ciò che posso dirti è che Ginny è stata l’imprevisto che ha permesso a Voldemort di formulare il piano, almeno nella sua testa malata. E la cancellazione della memoria è stata un mezzo per fare di lei ciò che diventata. Sonja gli serve così. Sono contenta che tu abbia apprezzato l’originalità di questo Draco e di Nicolaj. Buon anno e un bacio!
Serena89: bè, benvenuta e grazie! Forse questo capitolo è stato un po’ più romantico ma è rimasto sempre molto triste. Ciao!
Capretto primaverile impazzito: immagino che pipettare sia scomodo con gli zoccoli… e chissà come deve essere girare la manopola del microscopio… un bacio sicula adottata dai crucchi!
Meggie: sono felice che anche questo Draco ti piaccia! Davvero Sonja è da brividi? Bè mi fa piacere, spero di continuare così! Buon anno!
Ryta Holmes: di Melissa non posso dirti niente… mi fa piacere che la situazioni ti intrighi! Tanti auguri!
Saty: con qualsiasi nome sarai sempre e comunque la mia preferita! Fatti dare un consiglio: ti stai concentrando troppo sul perché Sonja fa le cose, non è rilevante e non esiste risposta... Ha sofferto troppo e dimenticato troppo perché i suoi comportamenti possano avere una spiegazione logica. Puoi spiegare i sentimenti di Draco e la sua sofferenza che in questo capitolo è ancora più evidente, ma il personaggio di Sonja mi esce così, spontaneo e assolutamente irrazionale. Ciò che dice non determina nulla se non la compassione che chi legge dovrebbe provare per lei. Per il resto l’idea di Draco che hai espresso è molto azzeccata e continua pure a farti dei voli pindarici se la cosa ti diverte: diverte da matti anche me!
Angelroy: grazie infinite!
Sally90: ti ringrazio per le tue parole sempre immensamente gentili… molte cose si sono chiarite in questo capitolo, ma non tutte. Quindi spero che continuerai a seguirmi! Un bacio e auguri anche a te!
Ethel: mi dispiace che il nome di Melissa non sia di tuo gradimento, ma d’altra parte è impossibile mettere d’accordo tutti, no? Alla voce Distruttori del Mondo Voldemort secondo me non figura nelle Pagine Gialle, ma credo che il suo piano possa essere tranquillamente classificato come “Pessima-Idea”. L’ha detto anche Melissa… staremo a vedere. Intanto ti ringrazio per tutto quello che hai detto e ti auguro buon anno!

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Capitolo 14
*** Devil's Dance ***


PARTE III

CAPITOLO 4: DEVIL’S DANCE

It's nice to see you here

Le due donne si trovavano una di fronte all’altra, separate soltanto da una manciata di gelida aria salmastra e dalla presenza spaurita di un bambino; si fissarono a lungo negli occhi.
Qualcosa, qualcosa di impalpabile e difficile da definire, le accomunava, nonostante l’apparente diversità abissale; non la bellezza in sé, ma qualcosa dietro – dentro - il loro aspetto, la loro presenza così opposta.
Dalla figura elegante di Melissa si irradiava un alone di maestà e imponenza, nonostante fosse, a rigor di termini, una donna decisamente minuta. Aveva un fascino antico e regale che induceva le altre persone a fissarla con stupefatta ammirazione, pari a quella che si prova dinanzi ad una statua di una divinità classica. La fragilità tremula di cui brillava la gracile e pallida Sonja, nulla aveva di quel carisma innato, eppure… eppure la sua parvenza di bambola di cristallo avrebbe potuto richiamare sguardi altrettanto rapiti, e la sua grazia la rendeva in quel momento, sullo sfondo della laguna illuminata dalla luna, paragonabile al cigno morente della nota opera sinfonica.
Si, erano diverse. Belle e diverse. Rese simili dall’assenza di età che pervadeva ogni loro gesto e lineamento, divinità da adorare, che non cambiano mai se non nella luce che il tempo, quasi impotente sul loro aspetto esteriore, lascia via via nei loro occhi disincantati: la luce soffusa della rassegnazione… o della pazzia.

“Che cosa sei?”
Melissa sorrise: un sorriso freddo e disincantato, proprio come l’espressione dei suoi occhi scuri.
“Potrei fare la stessa domanda anche a te,” sussurrò dolcemente “se non conoscessi già la risposta.”
Sonja strinse le palpebre e Melissa continuò a parlare, abbassando lo sguardo sul bambino.
“Voldemort ti ha mandata qui a causa sua. Ma io sono più curiosa di parlare con te, Sonja. Vieni… sei mai stata su una gondola? Che stupida… no, certo che no.”
Scosse il capo graziosamente e schioccò le dita. La strega che fino a quel momento era rimasta in disparte si fece avanti e tese una mano a Nicolaj; Sonja le puntò contro la bacchetta.
“Non fare la sciocca, Sonja” la ammonì sbrigativamente Melissa “Nicolaj non ha nulla da temere da Leanna, né da nessuno dei miei. Voldemort ha troppo a cuore l’indennità di quel bambino per mandarlo da qualcuno di cui non si fidi ciecamente.”
“Non vado da nessuna parte senza di lui.”
La donna dai capelli scuri sospirò e fece un cenno a colei che aveva chiamato Leanna; la strega si avvicinò a Sonja e si tolse il cappuccio cremisi, mostrando un viso rugoso e due occhi azzurro sbiadito, uno dei quali era completamente coperto dalla cataratta.
“Poni su di me un incantesimo di verità, mia signora, se non hai fiducia,” le disse in un inglese stentato “ma non farei mai del male al bambino.”
Sonja la scrutò a lungo con i suoi insondabili occhi dorati, poi distolse lo sguardo e scosse la testa, ostinata.
“Non lo lascio. Non devo perderlo di vista.”
Melissa la guardò come si guarda una bambina capricciosa, poi annuì, e in quel momento l’espressione del suo viso mostrò che la sua vera età non era certo quella che la sua pelle di seta rosata lasciava intendere.
“Va bene. Leanna, sii gentile, fai preparare una stanza per due… così la nostra Sonja potrà vegliare anche il sonno del cucciolo, se preferisce.”
E con le ultime parole, condite di rassegnata ironia, girò le spalle ad entrambi i maghi, facendo cenno a Sonja di seguirla verso la laguna.

Snake, I am a snake
Tempting, that bite to take
Let me free your mind, leave yourself behind
Be not afraid
I got what you need, hunger I will feed

Nicolaj si era addormentato, cullato dal lento scivolare della gondola sull’acqua, con la testa appoggiata alle ginocchia di Sonja; la ragazza osservava il silenzioso galleggiare dell’imbarcazione e le lievissime increspature che creava sulla laguna nera come una distesa di petrolio.
Finalmente Melissa si decise a parlare, senza guardare Sonja negli occhi ma seguendo il movimento delle sue dita candide che pescavano languidamente nell’acqua.
“Tu mi incuriosisci molto, Sonja.”
“Perché?”
Melissa rise, sommessamente.
“Sono un veggente, tesoro. Un’ottima veggente, anche se non sono mai stata una strega particolarmente dotata… non si può avere tutto, d’altra parte.”
Sonja sollevò gli occhi su di lei.
“Veggente significa che posso vedere il destino delle persone, Sonja.” spiegò Melissa.
“So cosa significa.”
“Allora forse avrai intuito che è per questo che Voldemort ha mandato qui il bambino. I piani che il tuo Signore ha fatto sulla vita di Nicolaj sono molto azzardati, per questo ha chiesto il mio… aiuto…” senza apparente motivo Melissa emise un piccolo sospiro “Voldemort vuole essere sicuro che il destino assecondi i suoi desideri.”
“E io cosa c’entro?”
La bruna sollevò la mano dall’acqua schizzando attorno a se piccole goccioline che brillarono alla luce della luna.
“Non riesco a vedere correttamente il destino di Nicolaj, c’è confusione, ci sono delle intromissioni da parte di un destino sconosciuto che non riesco a decifrare. E l’intromissione sei tu, Sonja: il tuo destino interferisce con quello di Nicolaj e io non riesco a prevedere in che modo… perché non riesco a vedere nulla nel tuo futuro.”

Se Melissa aveva sperato di impressionare Sonja o di incrinare la sua maschera di indifferenza, di certo dovette ricredersi: Sonja la guardò come se non capisse dove stava il problema.
“Io uccido” disse semplicemente, come se quello spiegasse tutto.

“Ormai non ci sono più linee sul palmo. Il tempo ha cancellato ciò che gli umani chiamano fato. Non ne ho nessuno.”
Anne Rice
“Armand il vampiro”

La risata di Melissa risuonò nella laguna silenziosa, rimbalzando sull’acqua come un sasso piatto lanciato da un bambino; era roca e nitida allo stesso tempo, ammorbidita da una nota di dolcezza, purtroppo palesemente falsa, sarebbe suonata altrimenti troppo dura e sferzante sulle labbra di una donna così squisitamente elegante.
“è una risposta degna di ciò che sei, Sonja…”
Sonja la guardò in viso e quel barlume di tristezza che aveva brillato la sera precedente per Draco, riapparve nei suoi occhi scuri, un bagliore prolungato come il rintocco di una campana che suona inesorabilmente a lutto; quando parlò lo fece con un tono distaccato ed insolitamente ragionevole.
“Non sono nulla, se non morte… so che ero qualcos’altro, un tempo, ma è qualcosa che non ricordo quindi è come se non esistesse. Non c’è nulla né dietro, né davanti a me. È per questo che non puoi vedere il mio destino.”
Le goccioline d’acqua, brillanti come perle, rimaste sulla mano di Melissa, scivolarono sul suo polso fino a sparire sotto la manica della veste.
“Il destino esiste indipendentemente dal fatto che tu lo percepisca, Sonja! Ciò che non ricordi è esistito, così come ciò che non riesci ad immaginare esisterà. Non dipende da te. È un concetto solo temporale: tu ti trovi a metà tra presente e passato, esattamente come tutti gli esseri umani; la differenza è che tu puoi vedere solo il momento presente.”
Sonja scosse la testa, “Dunque cosa dovrebbe importarmi se tu non puoi vedere il mio destino? Non conosco i suoi piani, e non mi interessa se si avvereranno o no.”
“Sei testarda, amica mia… ma forse ti interesserà sapere che esiste soltanto un’altra persona di cui io non riesco a vedere il destino.”
“Chi?”
Un sorriso scaltro fiorì sulle labbra di Melissa.
“Me stessa.”

Yeah, I feel you too
Feel, those things you do

L’italiana tese le braccia verso Sonja e due grossi bracciali identici scivolarono fuori dalle maniche della veste: nere come viscide bestie notturne, due salamandre intagliate nell’ossidiana si avvolgevano attorno ai polsi delicati di Melissa arrivando a mordersi la coda, gli occhietti di rubino spalancati nell’oscurità e le corte zampe ripiegate di fianco al corpo snello; come in un riflesso incondizionato gli occhi di Sonja corsero al serpente di ametista che premeva, freddo, contro la pelle del suo avambraccio.
“Esatto. Lo stesso incantesimo.”
I bracciali tornarono sotto le lunghe maniche di pizzo e Melissa si raddrizzò, scrutando Sonja quasi di sottecchi.
“Sai cosa significa?”
Sonja scosse la testa, di nuovo.
“Fa male.” disse soltanto “A volte.”
“Oh si. Certo che fa male: imprigiona in te un potere che non ti appartiene, ti lega ad un singolo momento senza possibilità di appello. È un abominio, Sonja. Ma a volte è il prezzo da pagare… come nel mio caso.”
“Tu ne hai due.”
“Io sono legata a me stessa.”
“E io a lui.”
Sonja annuì, come se stesse iniziando a capire, ma Melissa la ammonì duramente.
“Non è affatto così semplice: è magia della più antica e oscura. Richiede un sacrificio. Richiede un grande potere magico. E richiede un’assenza di scrupoli che raramente si può trovare in un essere umano.”
La bruna parlava con lo sguardo rivolto all’orizzonte invisibile nel buio, negli occhi una freddezza assoluta e nella voce un lieve divertimento, come se rivelare a Sonja la vera natura della sua condizione fosse un giocoso intrattenimento… uno dispetto verso un vecchio compagno di giochi.
“Quel bracciale ti lega al momento che Voldemort, al cui polso è legato il gemello, ha scelto per te: non percepirai nulla nel tuo futuro o nel tuo passato. Il tempo non passa per te perché lui vuole che sia così: non invecchierai, non ricorderai, non cambierai, non imparerai nulla… a meno che Voldemort stesso lo desideri. O che il bracciale non venga rotto. Se credevi che il bracciale ti legasse a lui come un anello nuziale, devo disilluderti: quell’oggetto intrappola un potere che non può essere imprigionato in null’altro.”
“Quale potere?”
Melissa sorrise, ma fu un sorriso amaro e, paradossalemente, più umano.
“Il potere del dolore. Il dolore scaturito da un sacrificio.”
“Una morte.”
“Una rinuncia, Sonja. Compiuta dalla stessa persona che ha separato i bracciali chiusi sui vostri polsi, che è anche l’unica persona che può romperli. Il custode dell’incantesimo.”
“Voldemort.”
“Non nel tuo caso. Nel mio si, è stato lui. Ha rinunciato a un pezzo della sua anima per me, ha ucciso Nagini.”
“Il tuo potere rimane intrappolato in te, perché hai entrambi i bracciali.” concluse Sonja.
“Il mio potere mi intrappola all’istante in cui i bracciali sono stati apposti. Io non posso invecchiare.”
“Ma morirai.”
Questa volta la risata di Melissa fu quasi spontanea.
“Sei intelligente, Sonja! E molto più perspicace di quanto sembri. Si, morirò, prima o poi. L’immortalità non mi interessa… ma volevo vivere tutto il mio tempo con la bellezza di cui ero dotata all’età di trent’anni.”
“Tu non hai perso i tuoi ricordi.”
“Io ho entrambi i bracciali, Sonja, l’hai notato anche tu: la differenza tra me e te… è che io posso scegliere. Ho scelto di limitare l’incantesimo al mio corpo, senza che la mia mente ne venisse intaccata. Voldemort, per te, ha scelto diversamente.”

In your eyes I see a fire that burns to free the you

“Fa male, vero?”

Sonja scrutava le luci di Venezia, appoggiata al parapetto scrostato del terrazzo della casa di Melissa, un palazzo antico nel pieno centro della città addormentata. Il viaggio in gondola sugli intricati canali della città era terminato proprio sotto l’ingresso della casa; Sonja aveva sollevato Nicolaj tra le braccia e aveva seguito Leanna verso la camera che aveva preparato per loro… in silenzio, come se stesse elaborando mentalmente le informazioni che Melissa era stata così misteriosamente impaziente di concedere.
La stanza era lussuosa e piena di antichità preziose ma, immune alla naturale curiosità femminile, Sonja non si era soffermata ad ammirare lo stile dell’arredamento… attratta dalle luci e dalla forza vitale delle poche persone che vagavano per la città in piena notte, la rossa si era rintanata sul terrazzo, restandovi come ipnotizzata dai riflessi delle stelle danzanti sulla laguna.
Sentendo la morbida voce di Melissa alle proprie spalle, Sonja si girò di scatto e controllò con la coda dell’occhio che Nicolaj fosse ancora al suo posto, raggomitolato come un gattino sotto le coperte. L’italiana sorrise appena.
“Tranquilla. Non mangio bambini per mantenermi giovane e bella…”
Di certo non si aspettava che Sonja ridesse alla battuta perché non si scompose quando l’espressione dell’altra rimase impassibile; si avvicinò al parapetto e respirò profondamente l’aria salmastra: non indossava più il mantello e mostrava, in tutta la sua sobria eleganza, la veste di velluto color petrolio, aderente e lunga fino alle caviglie, con le maniche di pizzo.
“Sei un essere affascinante, Sonja.” esordì “Credo che tu sia l’unica nella storia della magia su cui è stato praticato questo tipo di incantesimo senza il pieno consenso. Che cosa senti… dimmi, cosa provi a vivere con questa catena?”
“Nulla.”
“Ma soffri.”
Sonja scrollò le spalle.
“Non lo so. Non so cosa significa. Sento il dolore nel bracciale… è questo che vuoi sapere?”
“No. Voglio sapere se senti il dolore nel tuo cuore.”

Si guardarono in viso e finalmente, alla luce della luna, l’espressione di Melissa appariva sincera e sensibile.
“Non posso sentire. L‘hai detto anche tu.”
“Ma è successo. Lo vedo nei tuoi occhi…” insistette Melissa, come se sapesse perfettamente dove andare a parare, “qualcosa ti ha toccata nonostante l’incantesimo ti isoli. Qualcosa sfugge all’incantesimo e tu lo sai, altrimenti non capiresti come può esserci qualcosa al di là di quel poco che percepisci. Puoi sentire, Sonja? È questo che ti è successo? Sei in grado di… amare?”
Per la seconda volta la stessa domanda… per la seconda volta la stessa parola che aveva quel suono musicale, quel sapore dolceamaro quando la pronunciava, schiacciandola tra la lingua e il palato come un dolce dal ripieno a sorpresa… sorpresa di cui lei non arrivava mai a sentire il gusto.
“Non so come fare, Melissa. Non so cosa significhi… e se questo ‘non sapere’ vuol dire soffrire… si, soffro. E non voglio più che tu mi faccia domande. Forse mi renderei conto che troppe non hanno nessuna risposta possibile, per me.”
Melissa scrutò il profilo delicato della rossa, la cui pelle riluceva nel buio di un bagliore perlaceo, e annuì in silenzio, incurvando le labbra in quell’espressione che la rendeva così simile ad un’enigmatica divinità.

Deep inside you know, seeds I plant will grow

“Qualcuno che è in grado di indebolire l’incantesimo… è lui che devi cercare se pensi che qualche risposta invece possa esistere. Quel qualcuno è ciò che Voldemort non è mai in grado di considerare…”
Parole mormorate alla brezza che veniva dal mare, parole che richiamavano un viso, una voce, due occhi argentei come la luna stessa, quella notte… domande che non era in grado di formulare, risposte che non sapeva come implorare, trappole dentro trappole a cui non era in grado di sfuggire… e precipitava senza poter risalire nella nebbia fitta di incantesimi che le impediva di vedere al di là di se stessa.

##############

Prima di tutto una nota per i veneziani “in ascolto”: ho visitato Venezia soltanto un paio di volte e mai di sera, quindi potrei anche aver scritto un mare di cazzate. Spero comunque di essere riuscita a descrivere l’atmosfera un po’ magica di questa città.
Poi: ragazze mi deludete! E io che pensavo di essere stata anche troppo chiara! Nessuno ha colto le allusioni al caprifoglio e alle fiamme delle candele nel ricordo di Draco della nascita del figlio?! E nessuno ha fatto due più due con le poche ossessioni di Sonja?!?
Bè… comunque: il prossimo capitolo conterrà ancora più spiegazioni di questo e concluderà la terza parte. Poi inizierà il ciak finale, molto diverso perché succederà effettivamente qualcosa. Alla buon’ora direte voi… spero però che questi capitoli, anche se non frenetici, siano stati comunque emozionanti! Un grazie a tutte!
Angelroy: ti ringrazio davvero! Un bacio!
Marcycas: Bè, per il momento il biondo attende, e attenderà anche per il prossimo… spero che la cosa ti aggradi, sia che l’end sia happy o no… non ti dico niente per ora! Baci!
Serena89: I commenti sull’originalità sono sempre così graditi che… bè, puoi farmeli tutte le volte che vuoi! ^_^ Che Ginny ritorni in sé… mmh… come ti è sembrata in questo chap? Forse la risposta la puoi trovare proprio sulle labbra della persona che meno la conosce: Melissa. Altrimenti aspetta gli sviluppi! Draco non è apparso ma non preoccuparti: il prossimo chap sarà tutto su di lui e sui suoi ricordi, così molte cose saranno chiarite! Ciao!
Saty: la mia musa ispiratrice si sta un po’ perdendo tra le cellule staminali che devo studiare, sig… al momento lavora un po’ a rilento! Ma tenterò di farle fare gli straordinari! Mi ha fatto molto piacere che tu abbia notato che Draco è coerente con il vigliacco descritto dalla Rowling nel sesto libro. E comunque brava: riesci a capire il personaggio di Sonja meglio di tutti perché cogli le frasi giuste in tutti i voli pindarici che mi faccio su di lei. Il lampo di consapevolezza che si sveglia ogni tanto è importante e ne puoi cogliere la causa nelle parole di Melissa. E per risponderti, no, non è logico che tu odi Melissa, ma è comprensibile: è il classico personaggio ambiguo della storia, non sai da che parte sta fino alla fine e probabilmente non sta proprio da nessuna… per ora ti ringrazio come sempre e ti mando un grosso abbraccio! Ciao!
Ramona55: Che dire dopo una recensione così?!? Mi sto sentendo davvero importante a scatenare tante riflessione, potrei farci l’abitudine… scherzo! Mi ha fatto molto piacere che tu abbia colto la citazione dallo “Scudo di Talos” perché rivela molto su Draco (è un bel trucco quello delle citazioni, eh? Io non sono una scrittrice quindi sfrutto chi lo è di mestiere!! ^_-) Mi hai citato Shakespeare e ci hai preso proprio: Sonja non sa dare i nomi alle cose ma non significa che non le viva. Comunque la sua condizione è spiegata più chiaramente da Melissa in questo chap! E adesso ci faccio la figura dell’ignorante: non avevo la più pallida idea che Melissa fosse un nome greco, purtroppo il greco non fa parte del mio bagaglio culturale prettamente scientifico… l’ho scelto in realtà per il suono e per il fatto che mi sembrava potesse evocare un che di misterioso. Comunque grazie davvero per avermelo fatto notare, è stata una bella sorpresa. Si, Melissa avrà il suo momento di gloria ma non posso anticiparti se direttamente o indirettamente… grazie ancora di tutto! Un bacione!
Ithil: l’inizio della tua recensione (finalmente qualcosa di succoso) mi ha ricordato che effettivamente la storia è un po’ lenta rispetto a DF… ma è un tipo di narrazione diversa, mi viene così, mi dispiace! Mi fanno sempre molto piacere i tuoi complimenti sull’atmosfera ecc… in effetti è il vero divertimento di questa storia (dal punto di vista del writer) la creazione dell’ambiente. Spero che anche questa notte veneziana ti sia piaciuta! Un bacio!
Ethel: Ti ho già risposto via mail, piccola! Comunque grazie ancora di tutto e spero che anche questo ti sia piaciuto!
Bla.st.: cime tempestose mi fa un baffo tesoro! Io a questi qua gliene faccio passare di cotte, di crude e di ribollite… tze, chi è la Bronte in confronto a me!! Il “temore medio di malattia mentale della storia” mi ha fatto scannare! Un bacio amore!
Ryta Holmes e The DarkLight: grazie! Spero di non aver deluso!

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Capitolo 15
*** Through the never ***


PARTE III

CAPITOLO 5: THROUGH THE NEVER

“Voldemort.”

Il viso di Melissa apparve nelle fiamme del camino; le spalle e parte del busto erano visibili e la donna ostentava una posa tediata e indifferente, con il viso appoggiato leziosamente sul dorso della mano sinistra.
“Mia cara!” la salutò Voldemort, sibilando di impazienza.
“Sonja è già tornata, come immagino saprai. E anche Nicolaj.”
“Ho percepito il loro arrivo, si… ma dammi le notizie che desidero, mia bella Melissa.”
Melissa trattenne un sorrisetto, che però non sfuggì all’occhio attento di Voldemort.
“Purtroppo non ho notizie molto più precise. Vederlo e toccarlo ha solo confermato il fatto che il destino non intende rivelarsi completamente.”
L’oscuro signore si accigliò.
“E la cosa ti diverte, Melissa?” chiese con una sottile minaccia nella voce.
L’italiana scrollò visibilmente le spalle, con una noncuranza forse eccessiva.
“Sono una donna, Voldemort” rispose sbrigativamente “adoro poter dire te l’avevo detto.”

Rimasero in silenzio per qualche minuto, come studiandosi a vicenda, e fu Voldemort il primo a rompere quella sfida silenziosa.
“Sii più dettagliata” ordinò.
“Non ho percepito ostacoli al tuo disegno, Voldemort, ma non ne ho visto nemmeno il definitivo coronamento. Qualcosa potrebbe interferire, ma questo qualcosa sfugge alla mia vista. Non posso prevederne il…”
“Nulla sfugge alla tua percezione, Melissa!” la interruppe il vecchio, spazientito “sei la veggente più dotata che io abbia mai conosciuto e non accetto questa scusa da te!”
Di nuovo la donna scrollò le spalle.
“Sai perfettamente che non posso vedere il mio destino. Pensa a qualcuno imprigionato nel tempo, come me, e avrai la tua risposta. Nemmeno nelle visioni si può combattere il legame sancito dalla pietra e dal sacrificio.”
Voldemort la scrutò.
“Sonja?” chiese, sibilando in modo incredibilmente fastidioso sull’iniziale del nome.
“O io, o lei.” fece Melissa enigmaticamente.
“No. Sonja è una mia creatura, so cosa c’è… o meglio, cosa non c’è nella sua anima. E tu non potresti, il debito di mago ti vincola a non nuocermi.”
“Io di certo non mi prenderei il disturbo. No, non penso di essere io la reale interferenza.”
“Sono sicuro della lealtà di Sonja. Assolutamente.”
Questa volta Melissa scoppiò in una risata.
“Sonja non sa nemmeno cosa voglia dire quella parola, Voldemort!”
“Questo le impedisce anche di desiderare qualsiasi altra cosa. E senza desiderio, non può esserci tradimento.”
La donna sospirò, dolcemente.
“Allora procedi.” concesse “Io ti ho detto che non ho potuto vedere nè successo nè fallimento. Anche impegnandomi in nome del debito di mago che mi lega a te, non posso fare di più. A questo punto sei nella condizione di ogni altro essere umano, stavolta: devi scegliere.”

Time and space never ending
Disturbing thoughts, questions pending
Limitations of human understanding
Too quick to criticize
Obligation to survive
We hunger to be alive

Da qualche parte, nei giorni in cui l’aveva conosciuta - spaurita e piangente, perdersi nei meandri della casa, a graffiarsi le mani contro muri che non era in grado di sfondare… pietre bagnate di lacrime cocenti e imbrattate di sangue- aveva scoperto quanto poteva essere forte la compassione.
Da qualche parte, nei mesi in cui lei si rifiutava di parlare, aveva scoperto il valore di una compagnia silenziosa… e afferrato finalmente la profondità della propria solitudine.
Da qualche parte, in uno dei tramonti splendenti che la sorprendeva a scrutare, aveva pensato che se mai il dolore aveva un volto, quel volto era il suo… un volto meraviglioso ed orribile.
Da qualche parte, nei mesi trascorsi e nella sua anima amareggiata, era comparso un sentimento che non aveva creduto di poter provare. Forse era nato per tutta una serie di assurdi motivi, uno più sbagliato dell’altro, ma era nato. E quell’amore, quel bisogno di proteggerla, di regalarle un momento di dolcezza, quell’empatia… era rimasto intatto: per tutta un’altra serie di sconosciuti motivi, sicuramente ancora più sbagliati dei primi, aveva amato Sonja. L’aveva amata, l’amava intensamente, più di quanto avesse amato Ginny: con la differenza che passa, inesorabile, tra l’amore di un ragazzo e l’amore di un uomo. E aveva sofferto, come ragazzo, come uomo… e come padre; aveva conosciuto il dolore più intenso, la rabbia più cieca, l’amore più assurdo, e aveva patito la sofferenza di doverli, sempre e comunque, nascondere.

Come invischiato tra le intricate spire di un serpente infinito, era caduto in una trappola dopo l’altra, immergendosi con le proprie mani nel fango della propria vita senza più riuscire a liberarsi, legato da corde annodate ed intrecciate al punto che non era più possibile riconoscere quale nodo dovesse essere sciolto per primo.
Senza più poter sperare di liberarsi, aveva fatto l’unica cosa che credeva ormai possibile: salvare la vita, almeno quella. La vita di Nicolaj, condannandolo ad un destino nelle mani di Voldemort; la vita di Ginny, trasformandola, lui stesso, nella Sonja inconsapevole ed impazzita: Colei-che-non-ricorda, l’angelo della morte senza passato e senza futuro; la propria vita… padre senza l’amore di un figlio, uomo senza l’amore di una donna, seguace senza più fede, servo senza più speranza, l’unico a portare il fardello del senso di colpa e della conoscenza della verità.
Ma vivo. Nonostante tutto, ancora maledettamente vivo.
Vivo per proteggerli, con tutte le forze di cui ancora poteva usufruire.

“Il tempo cambia molte cose, comandante. Anche la ferita più orribile si può rimarginare. Si può morire subito, di collera e di dolore, ma se si sopravvive significa che una forza sconosciuta ci sospinge verso la vita. Non può farmi colpa di questo.”
Valerio Massimo Manfredi
“L’oracolo”

Incantesimi mormorati alla luce di una candela… quell’odiosa voce sibilante, l’istinto di chiudere gli occhi, coprirsi le orecchie, maledire, gridare, tutto pur di smettere di sentirla.
Ma gli occhi grigi del ragazzo erano rimasti aperti, dietro uno specchio di argentea indifferenza, fissi su quei mostri freddi e viscidi che si stringevano, per effetto della magia, attorno ai polsi della donna e dell’… uomo?... no, non uomo. Bestia. Demonio.
Serpenti crudeli e freddi, dannati simboli del male più infimo, catene pesanti che mai più si sarebbero sollevate.
“è il tuo turno, Draco. Ricorda il tuo giuramento… e ricorda che la tua vita, la sua, e anche quella di suo figlio, dipendono da te: non perdonerò una seconda volta. Quest’incantesimo deve riuscire, o loro due non mi saranno di utilità alcuna.”
(Maledetto. Dannato essere… che tu sia dannato in eterno, che tu possa marcire nel più profondo degli inferni, che tu possa essere divorato dai tuoi stessi fottuti serpenti. Maledetto.)

Il ragazzo tese la bacchetta – l’ordine imposto alla propria mano di non azzardarsi a tremare - e sfiorò il punto in cui i due bracciali erano uniti, mormorando quella formula che non era nemmeno latina, ma apparteneva ad una lingua ancora più antica, e che sanciva la sua stessa dannazione. Sentiva un “addio” premere per uscire, lottare, dannato sentimento, mentre i suoi occhi si posavano su colei che non sarebbe più stata… “addio Ginny”… l’addio che premeva, sotto forma di lacrima rabbiosa, ma lei non piangeva: no, lei non era nemmeno cosciente.
(Bastardo maledetto, te la porti via così, senza che riconosca una volta suo figlio! Nostro figlio! Che non sarà mai nostro! Bastardo, che ti importava?!? Eh?! Che t’importava che potesse vederlo una volta, stringerlo, guardarlo negli occhi… )
Vedere i bracciali separarsi e la donna scuotersi in un’involontaria, breve, convulsione; capelli rossi, umidi di sudore, come strisce di sangue che imbrattavano il viso bianco… strisce di sangue rappreso, sul lenzuolo candido che la guaritrice aveva portato via, dopo quel parto fin troppo doloroso, quelle urla di sofferenza che fino a poche ore prima avevano riempito la casa. (Maledetto.)

Il vecchio dannato essere si sporse e depose una viscida carezza sulla fronte della donna addormentata, prima di lasciare la stanza, ammirando con un sogghigno di trionfo il bracciale violaceo che risplendeva al suo polso.
(Maledetto.)
Il giovane crollò in ginocchio sul pavimento, violentemente, le pietre fredde gli sbucciarono le nocche delle mani ora libere di tremare; un suono rauco e disumano gli usciva dalla gola, un grido che premeva per uscire.

“Addio… addio, Ginny.”

Da qualche parte, nei primi due anni trascorsi nel dolore, aveva iniziato ad amarla.
Da qualche parte, nelle lunghe ore dolorose del parto, aveva capito che una vita non sarebbe bastata per cancellare ciò che provava.
Da qualche parte, negli ultimi eterni minuti di quel dannato incantesimo, aveva compreso che la sofferenza che si imprime con un “Crucio” non era che una minima parte di tutto il dolore che un essere umano può sentire… senza per questo smettere di vivere.

Gazing up to the breeze of the heavens

Draco si passò una mano sulla fronte tesa e sentì i muscoli delle spalle dolergli per l’intensità con cui stava rivivendo quel ricordo. Il vento soffiava così freddo che anche i suoi stessi pensieri si ghiacciavano non appena venivano formulati, rimanendo nell’aria un po’ più a lungo, davanti ai suoi occhi chiari persi nell’orizzonte fumoso. Sorrise tra sé all’idea che i pensieri potessero congelarsi… se non c’era nulla per cui sorridere nel mondo reale, nell’assurdità dei propri pensieri almeno riusciva ancora a trovare un po’ di ironia. Forse anche per quello era sempre più convinto di star diventando matto.

“Appena fa giorno il vento comincia a soffiare e non si interrompe più. Ti sferza, frettoloso, quando a piedi giri per le strade del paese, alza le foglie morte in pazzi e variegati mulinelli. Il vento ti fa dolere qualcosa che si trova ancora più addentro delle ossa, forse tocca nell’animo umano una corda antica, primordiale, la memoria della specie che ti avverte: emigra o muori… emigra o muori…”
Stephen King
“Le notti di Salem”

Una volta, forse, aveva creduto che esistesse davvero il tanto declamato “fondo” oltre il quale non si poteva più scendere, quel mitico fondo che, a quanto si dice, dopo che l’hai toccato non puoi fare altro che risalire. Cazzate. Il fondo non è un tappeto elastico, è un pavimento duro di granito, solido e molto robusto, sul quale si può accumulare una tale quantità di dolori che l’uomo non riesce nemmeno a concepire; e si rimane lì, a nuotare in quella melma crudele, perchè l’istinto ti dice di stare a galla, perché quel dannato “spirito di sopravvivenza” ti impedisce di lasciarti affogare consapevolmente.
Un altro luogo comune che col tempo aveva mandato a farsi fottere, mentre meditava in quel freddo angolo di Europa dimenticato da tutti gli dei, era quella malsana idea che la sofferenza debba fortificare… “ciò che non ti uccide, ti rende più forte”. Altra cazzata: ciò che non ti uccide continua a ronzarti intorno, insieme alle altre mille cose che come quella non ti hanno ucciso, finchè non sono talmente tante che ti schiacciano, come un nugolo di cavallette assassine, e ti rendono incapace del minimo atto di ribellione.

Seduto sul freddo terrazzo, al piano più alto della grande casa, guardava la città senza per questo vederla davvero, come faceva lei, così tante volte; davanti agli occhi, arrossati per il troppo vento, l’immagine di un altro paese che aveva imparato a non sentire più suo, un altro tempo, un altro luogo, dal quale era stato scacciato. Come il più pulcioso dei cani. E come il più infimo dei servi era stato trattato anche da lui… lui che, legandolo con il debito indissolubile di mago, almeno lo aveva riaccolto e gli aveva concesso di vivere. Ma a che prezzo, dannazione… a che prezzo?!? Un debito saldato ormai mille e mille volte, saldato con quel sangue che il cuore sembrava pompare soltanto in un buco… per saldare quel debito aveva dato via anche l’anima. Per sempre.
Che si aspettava, del resto? Il diavolo, l’anima non te la restituisce dopo che gliel’hai venduta, facendogli anche lo sconto.

E così il dolore si accumula, stratifica attorno a te perché non hai più nulla che ti dia la speranza di poterti un giorno liberare.
Era stato proprio l’accumulo a far precipitare le cose, probabilmente: tutte quelle maledette volte che aveva allontanato i ricordi, respinto il rimorso, il dolore, l’emozione - tutte le volte che aveva evitato i suoi occhi – non aveva fatto che accelerare la venuta del giorno in cui sarebbe soffocato.
C’era stato un periodo in cui era… tranquillo, un periodo in cui aveva quasi dimenticato il suo vero nome, in cui aveva pensato a lei solo come Sonja e accettata come tale: compagna silenziosa ed infantile, amica un po’ signora un po’ bambina, priva del concetto di vita e di morte, di bene e di male, anima dannata e amata senza che riuscisse ad elencarne i difetti e le virtù.
Conoscere ma dimenticare… o, semplicemente, non pensare.
Tutto pur di tirare avanti, sentinella dal cuore gelato, nel buio della notte di Mosca che sembra non veder mai arrivare il mattino.

“Era sotto Imperius, mio giovane mangiamorte innamorato! Quel sentimento idiota che nella tua testa hai il coraggio di chiamare amore, ti ha reso così cieco?!?”
(E rideva, rideva rideva… MALEDETTO!)
“Sei stato bravo, mio giovane amico… molto bravo, a quanto pare: la ragazza è incinta!”

Il ricordo di quella frase, di quella risata trionfante e crudele, lo aveva fatto svegliare per mesi, sudato, rabbioso, con le unghie conficcate nel cuscino… la voglia di strangolarlo, e la voglia di strangolare lei. No, la voglia di lei.
Lei che non aveva però voglia di lui.
Lei che aveva dovuto essere stregata per infilarsi nel suo letto, calda, dolce… Dio, così dolce…
Lei che era stata costretta a concedergli ciò che gli aveva già più volte negato, lei che si era odiata, che aveva pianto, lei con quegli occhi tormentati di cerbiatto che si rispecchiavano con paura indicibile nel sangue scarlatto delle iridi odiate.
Lui… che ci aveva creduto.
Che lei potesse amarlo, che lei potesse curare la sua solitudine, che lei potesse… lasciarsi consolare nell’unico, disperato, modo che lui conosceva.
Lui, che l’aveva amata in due donne diverse, e da nessuna di essa era stato ricambiato. Prima perché il troppo dolore aveva soffocato ogni cosa nel suo cuore, poi perché anche la capacità e la comprensione di provare qualcosa le erano state tolte… lei non lo aveva amato.

Lei, Ginny, gli aveva dato un figlio.
Lei, Sonja, non l’avrebbe mai saputo.

All that is, ever
Ever was
Will be ever
Twisting
Turning
Through the never

Uno scalpiccio lo indusse a voltare la testa di scatto verso le scale che salivano al terrazzo; gli occhi arrossati e l’espressione erano quelli di un uomo a tratti più vecchio, a tratti molto più giovane dei suoi anni, era incredibile quanto la sua apparenza e il suo aspetto fisico fossero incostanti: poteva passare dalla indifferenza spietata di un assassino consumato alla vulnerabilità di un ragazzino trovatosi ad affogare in acque troppo torbide, e viceversa, nel giro di pochi minuti…
Una testolina bionda sbucò sul pianerottolo, seguita da un sorriso a cui mancava furbescamente un dentino; sul viso di Draco si aprì a sua volta un sorriso, tanto simile da spezzare il cuore.
“Draco!”
“Ehi!”
Nicolaj salì gli ultimi gradini e si gettò su Draco, abbracciandolo forte; Draco dovette trattenersi dal stritolarlo in un abbraccio eccessivo… una gioia incontenibile nel vederlo sano e salvo gli era scoppiata nel cuore.
“Sei tornato, mostriciattolo… stai bene, vero!?” mormorò con la voce quasi spezzata.
“Si!” trillò il bambino.
“Ma sei in camicia!” esclamò il ragazzo, “Vieni, torniamo dentro. È un freddo terribile.”
Si alzarono e Draco prese per mano il piccolo, dirigendosi alla scala; nel sollevare il viso incontrò lo sguardo magnetico della figura che stava ancora sugli ultimi gradini e che, silenziosa, era salita senza far rumore.
Oro liquido, striato di bruno.
Non erano dorati una volta… quello che sembrava così tanto tempo prima.
Erano di quel bruno chiaro e vivo, brillante di pagliuzze, un colore caldo, come la cioccolata da bere nelle sere più fredde. La trasformazione in animagus aveva alterato leggermente i suoi tratti di umana rendendola, nello sguardo, nelle movenze e nel carattere, sempre più simile ad un sinuoso felino.

“L’ho riportato.”
Strano. I loro occhi si erano incontrati ma lui non aveva perso contatto con la realtà, come gli era successo sempre, prima; strinse la mano di Nicolaj chiedendosi se era stato quel contatto a mantenerlo ancorato a se stesso. Si avvicinò a Sonja e le sfiorò una guancia, toccandola appena, come per paura di romperla o di spaventarla.
“Grazie” le sussurrò semplicemente.
Sonja continuava a guardarlo, muta ed insistente; la vecchia consuetudine lo costrinse ad distogliere gli occhi dai suoi.
Oro fuso e incandescente, a colare sul gelo, bruciando qualunque cosa trovasse sulla sua strada.
Se stessa compresa.

“Andiamo Nicolaj. Starai congelando.”

“Un giorno me ne andrò senza averti mai conosciuto. Allora ricorderai i miei occhi grandi e scuri, i miei silenziosi rimproveri, i miei gemiti di angoscia nel sonno. I miei incubi che sei incapace di scacciare. Ricorderai tutto questo quando me ne sarò andata.”
Arturo Perez Reverte
“Il club Dumas”

Entrò nella sua stanza dopo aver bussato più volte e, come sempre, non aver ricevuto alcuna risposta; Sonja era in piedi vicino alla finestra, una piccola candela in mano, rossa come un cero funebre, la cera che colava sulle dita candide arrossandole leggermente.
“Sonja.”
Non si girò. L’unico movimento percepibile era il lieve ondeggiare dell’abito di seta bianca nell’aria freddissima che entrava dalla finestra: lo stesso abito che lui le aveva regalato poco tempo prima. Draco si avvicinò e, ignorandola, chiuse la finestra di scatto.
Quando la guardò in viso, gli occhi spalancati di lei erano fissi sulle sue mani grandi e pallide, ancora sospese a mezz’aria.
“Sei venuto a rifarmi quello che mi hai fatto qualche giorno fa?”

Il pugno chiuso di Draco si abbattè sul muro a lato della finestra, non troppo forte, ma abbastanza per graffiarsi leggermente le nocche: un scatto fulmineo a nascondere un tremito che lo aveva preso, violento, per la vecchia abitudine di non mostrare mai la sua debolezza.
Non era stato solo lui, per Dio, non l’aveva violentata!
“No.”
Crudele e secca, la risposta fu pronunciata in un tono un po’ più alto del normale, la decisa risposta di chi vuole chiudere la conversazione.
“Volevo ringraziarti ancora di esserti presa cura di Nicolaj. Mi ha detto che è stato bene e che tu sei stata sempre con lui.”
Draco snocciolò freddamente il ringraziamento, con una cortesia sferzante che nulla aveva del sentito ed emozionato grazie che le aveva rivolto poche ore prima; poi girò sui tacchi per andarsene, ma Sonja, a quanto pareva, non era dello stesso avviso.
“L’avevi mai fatto… prima?”
Stava ancora parlando di quello. Tra le emozioni contrastanti che minacciavano di sgretolare la sua maschera di fermezza, Draco riuscì a cogliere la fatica con cui Sonja pronunciò l’ultima parola, come se le costasse anche formulare il concetto nella sua mente; si fermò e le gettò un’occhiata al di sopra della propria spalla.
“Che diavolo intendi?!” chiese, più allarmato che arrabbiato, forse… ma non lo sapeva nemmeno lui.
Sonja si stropicciò gli occhi con una mano e aggrottò le sopracciglia; deglutì a fatica.
“Era già successo… a te… con me…”
Parole che uscivano lente dalle labbra della ragazza, come se stesse abbattendo un muro che le impediva di comprendere se stessa in un avvenimento che non ricordava.
…a te …con me…
Non riusciva ad includere completamente se stessa nel pensiero. Draco non l’aveva mai vista vulnerabile come in quel momento, se non quando portava ancora un nome diverso da Sonja; una morsa gli mozzò violentemente il respiro mentre si avvicinava di nuovo a lei. Le prese il viso tra le mani, sfiorandola soltanto con la punta delle dita; Sonja rovesciò la testa all’indietro offrendogli i propri enormi occhi in cui tuffarsi e perdersi.
“Se anche potessi risponderti, che differenza farebbe per te saperlo?” mormorò, più a se stesso che a lei.

Nella luce delle candele, gli occhi di Sonja assunsero una tonalità ancora più iridescente e sovrannaturale: lucidi e spalancati, erano pozzi di lava in cui sprofondare e bruciare, anestetizzato nei sensi dal buio senza fine che avvertiva in agguato… in attesa per entrambi.
Non c’era la manina fresca di Nicolaj a trattenerlo, questa volta; non c’era un ancora di affetto e di sangue ad impedirgli di affogare… e, soprattutto, non c’era un pensiero coerente e martellante, nella sua mente, che gli ordinasse come ogni giorno non guardarla. Si perse, ancora, e percepì soltanto vagamente la pelle di lei sotto le proprie labbra, mentre la sentiva sussurrare qualche parola accorata ma lontana, come da dietro una spessa coltre di nebbia.
“Non poter mai capire… è questo il dolore, Draco?”

FINE III PARTE

****************

Lo so, è tristissimo… ho già ricevuto la mia giusta dose di insolenze dalla mia biologa preferita che mi ha accusato di attentare alla sua reputazione, con i miei capitoli che richiamano a gran voce il piagnisteo. Non si vede la luce, è tutto un cumulo di sfiga o, come Euridice ha graziosamente esposto, una saint’honoré di sfiga stratificata.
Per il momento accontentatevi e, per le patite di Draco, immaginate un modo di consolarlo, poverino… non vedete com’è triste?!?
Ora ringrazio:
Saty: Adoro la musica classica e ho ascoltato i brani che mi hai suggerito: il Bolero lo conoscevo bene, “Arabian Dance” è stata una sorpresa, davvero molto bello e si adatta bene. Vivaldi… bè, è Vivaldi. Per Trapped ho scelto una colonna sonora “metallara” perché dei Metallica mi piace la rabbia che mettono nei testi e secondo me si addiceva alla storia, ma se ti piace il classico per questo chap ti consiglio “Passione secondo S. Matteo” di Bach. Procediamo: sono sinceramente lusingata da molte cose che hai detto ma soprattutto sul fatto che quello che scrivo si adatta a teorie filosofiche… traduco: non scrivo cazzate colossali. Fantastico. Il ruolo che hai attribuito a Nicolaj è quello giusto, credo… comunque lo vedrai anche alla fine. Per quanto riguarda me e l’Olanda… tesoro, dovrebbero tagliarmi la punta delle dita per farmi smettere di scrivere, quindi quando mi sarò un po’ adattata, ci sono possibilità che continuerò a tartassare il fandom anche da là. In ogni caso se “ti mancherò” e vorrai mandarmi una mail, sarò davvero felice di sentirti e scriverti anche al di fuori del semplice rapporto fanwriter-fanreader! Volevo chiedere una cosa, a te che sei tanto attenta: non traduco mai i testi delle canzoni, ma mi chiedo se vengano letti. Si vede che le parole si adattano alla scena o ai pensieri? Grazie! Un bacione!
Marcycas: Sono molto contenta che la trama ti sembri bella! Spero che tu abbia avuto abbastanza Draco in questo capitolo!!! Un bacio!
Ethel: il soundtrack della storia è DECISAMENTE rock e sono contenta che renda l’idea triste e violenta che hai avuto tu (anche se non traduco le frasi delle canzoni che inserisco, sai che non mi piace). LA mia fantasia è attualmente oggetto di studio nel mio laboratorio… scherzo, non sono un batterio per fortuna. Alla prossima, ciao e grazie!
Meggie: il fatto che Sonja protegga Nicolaj perché Draco le ha fatto promettere o perché sente inconsciamente che è suo non è poi così importante ai fini della storia, credi quello che preferisci; personalmente (visto che so cosa succederà dopo) preferisco pensare Sonja come più condizionata da Draco che da Nicolaj, ma nemmeno io conosco alla perfezione i miei personaggi… si scrivono praticamente da soli! Tranquilla per le recensioni: non sei l’unica che non ha tempo, io ormai non riesco più a recensire nulla! Un bacio!
Ithil: mi è piaciuta la tua interpretazione temporale del personaggio di Melissa e del suo ruolo. Tutte e tre le dimensioni del tempo percepibile contro l’unicità del momento presente… l’hai messa giù molto bene. Il fatto che i miei capitoli ti tocchino la mente… bè, mi lusinga non poco! Non scrivo per tormentare menti altrui con i miei deliri mentali, ma sentirsi dire quello che hai detto tu è una cosa meravigliosa. Sono contenta anche che le citazioni ti sembrino azzeccate, sono una mia mania e mi dispiacerebbe se non avessero l’effetto voluto. Ciao e ancora grazie!
BlaSt: il fatto che qualcosa sia logico per te dovrebbe mettere in guardia chiunque. L’incantesimo te lo rispiego al prossimo cappuccino… o capitolo?... mi stai contagiando, barista!

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Capitolo 16
*** Parte IV: Dirty window ***


PARTE IV: DIRTY WINDOW

INTRODUZIONE

Ed eccomi di nuovo: cantastorie triste, stanco di gridare…
soltanto il tragico finale desidero raccontare;
qui, sulla mia sedia di legno, su cui le membra stanche di vecchio devono riposare,
vi narrerò come alla resa dei conti i nostri personaggi devono arrivare.

Codardia, incapacità, ricordi nascosti di un passato che deve essere dimenticato…
di tutto ciò avete ascoltato, cari amici: che cosa siete arrivati a pensare?
Chi è mai il colpevole e chi la vittima di quel complotto così tremendamente ordito?
Chi è mai l’oppresso e chi colui da biasimare?

L’amore, l’odio, la rabbia e la vendetta… si sa, la mente possono annebbiare!
E come attraverso il vetro sporco di una finestra la realtà ti ritrovi ad osservare:
tutto cambia forma, cambia colore, ciò che credi non è e ciò che è… non lo riesci ad afferrare,
e quando arriva il momento di agire, ti accorgi che nemmeno te stesso puoi più controllare.

È giunto il momento, spettatori, passanti, amici… tutti voi che state ad ascoltare:
queste anime dannate dentro se stesse dovranno riuscire a guardare.
La verità, il dolore, l’amore e la colpa: tutto dovranno alla fine affrontare,
senza maschera, senza protezione. Perché questa è la realtà, questo è il prezzo da pagare.

Perciò seguitemi, per un momento solo ancora, per carità!
Questo povero vecchio, la fine della storia vi vuole donare.
Capire chi siamo, conoscere la verità…
Non è forse questa la luce a cui ognuno di noi deve mirare?

I see my reflection in the window
It looks different, so different than what you see

Am I who I think I am?

I'm judge and I'm jury and I'm executioner too

*********

Questo è solo per far sapere che sono ancora viva… mi dispiace davvero di non poter aggiornare decentemente! A noi elfi di laboratorio non danno le ferie (Euridice mi capirà di sicuro…), nemmeno quando dobbiamo finire gli esami prima di partire.
Spero di poter postare il primo capitolo prima della partenza, dopo di che gli aggiornamenti arriveranno dalla terra dei tulipani e dei mulini a vento!
Ringrazierò più dettagliatamente, ma intanto sappiate che apprezzo tantissimo le recensioni che mi avete lasciato! Un bacio!

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Capitolo 17
*** Slither ***


Ebbene, eccomi qui… dopo più di un mese in cui ho finito gli esami, mi sono trasferita all’estero e ho iniziato a lavorare alla tesi, ho anche ricominciato a scrivere! E il vento olandese vi porta il nuovo capitolo. Mi dispiace che abbiate dovuto aspettare così tanto, ma spero che ne valga la pena. Un bacio dal paese del cacio e delle canne, come dice spesso Savannah…

PARTE IV

CAPITOLO 1: SLITHER

La donna tese la mano verso il tavolino di legno intagliato e sfiorò il vetro lucido di una cornice per fotografie; sul ripiano riposavano, assurdamente sorridenti, come i grotteschi personaggi di un pessimo cartone animato, i visi di persone morte da anni. Piccolo e doloroso cimitero, proprio lì, al centro del salotto… immagini dorate e false dei crudeli artigli di un passato nel quale i padroni di casa non riuscivano a smettere di vivere.
Il ragazzo dai capelli rossi sogghignava esasperato dietro il vetro: non amava mettersi in posa.
Le dita bianche della donna percorsero la linea mascolina della mascella, sfiorarono il naso costellato di lentiggini e il ciuffo vermiglio che scendeva a sfiorare gli occhi blu chiaro; una ciocca ondulata di capelli scuri copriva il viso della donna sdraiata sul divano, solo una lacrima solitaria cadde inesorabile sul plaid colorato che le copriva le spalle. Nessun rumore.

Passi strascicati scesero le scale e nella penombra apparve la sagoma di un uomo: spalle larghe, capelli scomposti, più scuri che mai, e il riflesso delle fiamme del camino sulle lenti degli occhiali tondi… non si vedevano gli occhi.
“Sei ancora qui.”
La donna non si preoccupò di nascondere le lacrime che versava per un altro uomo; le onde scure dei capelli scivolavano dal bracciolo del divano fino quasi a sfiorare il pavimento, la mano pallida era abbandonata sul bordo del tavolino, proprio sotto la fotografia del ragazzo dai capelli rossi.
L’uomo si avvicinò, entrando finalmente in piena luce: nei suoi occhi verdi e lontani si avvicendavano ondate di compassione e pietà. E bisogno. Una necessità di conforto umano più dilaniante di ogni altra cosa sulla terra.
“Hai freddo?”
La donna assentì, sollevando su di lui gli occhi scuri e arrossati; l’uomo si fece posto accanto a lei e prese ad accarezzarle i lunghissimi capelli, percorrendo dolcemente la linea della fronte, del collo e delle spalle.
“Mi fa così male vederti in queste condizioni…”
La donna pronunciò le sue prime parole: una voce rotta ed intensa, calda anche in quel gelido dolore rassegnato.
“Non finirà mai.”
“Lo so.”
“Torna a letto, Harry. Arrivo tra un momento.”
“Promettilo.”
“Prometto. Devo parlargli… ancora un po’…”
“Si. Va bene.”
L’uomo si alzò: un accenno di barba scura gli spuntava sulla mascella e, sotto gli occhiali, segni violacei contornavano gli occhi che sarebbero stati tra i più belli ed espressivi.
“Ti aspetto, Hermione.”
Lo sguardo grato e dolce che lei gli rivolse, l’amore intenso che si scambiarono con quel gesto, la consapevolezza di essere, l’uno per l’altra, l’unica –l’ultima- ancora di salvezza prima della pazzia: cos’era il mondo, una volta perduto questo?

Don't go looking for snakes you might find them
Don't send your eyes to the sun you might blind them

Si appoggiano l’uno all’altra come se nient’altro al monto esistesse, come se nient’altro avesse un senso, come se nulla potesse alleviare l’impronta della pazzia che, inesorabile, attende dietro l’angolo per lasciare il suo doloroso marchio sull’anima di entrambi.
Capisco ciò che provano. Capisco ciò che gli sto per fare.
Sto per prendere la loro anima e distruggerla, pezzo per pezzo, senza lasciare loro un barlume di speranza a fungere da anestesia.
A lui, soprattutto… a lui sto per portare via l’unica ragione di esistenza.
Eppure lo farò: gliela porterò via, consapevole di ogni singolo minuto di sofferenza che gli sto arrecando, di ogni cruciatus che mille volte preferirà a quel dolore incredibile che gli procurerò… e che procurerò anche a lei. Perché la fondamentale differenza che c’è tra me e lui, che c’è sempre stata e sempre ci sarà è questa: lui è stato amato, lui è sempre stato amato, ci è sempre riuscito.
Ma soprattutto, anzi esclusivamente, lo farò perché Lui me lo ha ordinato.

“Vide una giovane donna sofferente incatenata in una cella fredda e buia. Un raggio di luna filtrò tra le sbarre e le illuminò il viso. Una lacrima, una sola le cadde lungo la guancia come un diamante liquido.”
Christopher Paolini
“Eragon”

Nella cella freddissima la donna rabbrividiva, col viso nascosto dalla coltre di capelli scuri e ondulati… morbide onde che si arricciavano sulla schiena, quasi a volerla proteggere dall’umidità gelida che le entrava nelle ossa. Lacrime di terrore prima, e di rassegnazione poi, avevano bagnato i polsini della felpa da camera che indossava e vicino a lei si respirava l’odore acre della paura.
Qualcosa si mosse nell’oscurità verdastra che pervadeva il sotterraneo e la donna strinse gli occhi per vedere: tondi occhi dorati si puntarono su di lei nel buio, rilucendo inquietanti, e un morbido corpicino peloso saltò attraverso le sbarre della porta di metallo, avvicinandosi ai suoi piedi nudi.
Lo sguardo assente di Hermione si posò sul pelame vermiglio della bestia, che camminava flessuosa attorno a lei, studiandola attentamente; con mano tremante tentò di carezzare la schiena del gatto, ma questo si scostò con un balzo rapidissimo, scoccandole un’occhiata stizzosa. Con aria altera il gatto si allontanò e saltò di nuovo le sbarre, al di là delle quali sembrò ingrandirsi e cambiare forma… fenomeno che Hermione attribuì alla propria disperazione. E a dire il vero non le importava poi tanto. Sbattè le palpebre più di una volta, ma il gatto continuava ad ingrandirsi ed assumere la forma di una donna… no, non era possibile…
Capelli rossi come il sangue appena versato, appena dorati da sfumature bionde e ramate, raccolti in una treccia stretta sulla nuca e pendente sul petto della donna come una corda infame, pronta a spezzarsi non appena tenti di aggrapparti; occhi chiari, del colore del miele di fiori appena raccolto, eppure non altrettanto dolci. Solo quello risaltava sul candore della figura, bianca vestita di bianco, che era apparsa al di là delle sbarre.
Hermione sentì il proprio strillo come proveniente da una gola che non era la sua e credette di essere impazzita.

Ginny.
Il corpo di Ginny, contenente qualcosa di completamente diverso, qualcosa che non poteva nemmeno essere classificato come umano.
Gli occhi non erano di Ginny. Quello che c’era dietro agli occhi, non era di Ginny. Ma l’involucro, il contenitore, vibrante di magia oscura ed antichissima, era senza alcun dubbio quello di Ginny.
Gli stessi capelli rossi e lunghi, la stessa corporatura delicata e fine, da principessa delle fiabe, la stessa bocca che una volta si piegava in sorrisi tra i più caldi che Hermione avesse mai visto.
Dunque era lei la bambola impazzita al servizio del signore oscuro. Era davvero lei che tutta l’Europa dell’Est temeva come un fantasma affascinante ma letale, era davvero lei lo spauracchio candido e fragile di ogni mago che non desiderava servire Voldemort.
Ogni volta che avevano sperato che le ipotesi fossero errate, ogni volta che avevano sperato che fosse morta, che la sua anima avesse trovato pace dopo quello che era stata costretta a fare… ogni volta era stata un’illusione: era viva. Era lei.
Ginny.

“Ginny…”
Il sussurro suonò stridulo nel silenzio quasi mortale della cripta.
La donna le scoccò un’occhiata che classificare gelida sarebbe stato soltanto un pallido eufemismo e le girò le spalle sparendo, rapida e silenziosa come un serpente, sulla scaletta.
“Ginny!”
Pugni stretti attorno alle sbarre gelide, le ginocchia a sbattere contro la pietra umida del sotterraneo… no, non era possibile.

There ain't no heroes here
No, no more

“Non può capirti, Granger.”
Quella voce. Dannata, maledetta voce.
I capelli biondi di Draco Malfoy emersero dall’ombra della scaletta a chiocciola, la stessa lungo la quale era sparito il fantasma di Ginny; negli occhi freddi del ragazzo l’indifferenza di un predatore che si è gia cibato, mescolati alla pietà schifata per un insignificante animaletto morente.
“Non è più in questo mondo. Non è in nessun mondo… lasciala stare.”

Hermione si alzò faticosamente in piedi; aveva una caviglia gonfia e dolorante, probabilmente storta. Guardò il ragazzo davanti a lei, poggiato al muro muffito, un mantello color ardesia lo riparava dal freddo umido e strisciante del sotterraneo.
“Che le avete fatto?”, mormorò straziata.
Draco scrollò le spalle.
Se pure potessi dirtelo… come potresti mai capire?
“Che le avete fatto! Come l’avete legata, dannazione!” strillò Hermione.
Il mago la fissò per qualche istante, poi scosse la testa.
Come potresti mai capire che l’amore può diventare troppo? Troppo intenso, troppo ossessivo, troppo tradito, troppo doloroso… troppo per lasciarla andare? Come potresti mai capire che preferisco averla così piuttosto che non averla per niente? Come potresti mai capire che non si torna indietro da errori come quello?
“Non chiamarla in quel modo: il suo vero nome sembra turbarla. E comunque sbatteresti contro un muro troppo duro anche per la tua testardaggine, Granger.” disse stancamente.
Mentre parlava si avvicinò alle sbarre e un riflesso dorato della torcia colpì il suo viso: una lunga ruga di preoccupazione solcava la sua fronte, la piega amara delle lunghe ciglia dorate nascondeva occhi di un grigio dello stesso grigio del cielo quando sembra che tutto il mondo debba piangere… un uomo, non un ragazzo, non un assassino, non un mangiamorte. Soltanto un uomo, che la vita aveva straziato dentro, fin troppo nel profondo per poter mai tornare ad essere il ragazzino di un tempo. La sua espressione era al di là della cattiveria, al di là del dolore, al di là di ogni emozione umana…
Hermione lo scrutò e poi ricadde pesantemente sul pavimento.
“Sono l’esca per Harry?” chiese, senza guardarlo, con il tono di chi si aspetta di aver appena formulato una domanda retorica.
“Non spetta a me parlartene. Dovresti saperlo.”
“E allora perché sei qui?” gli chiese lei, alzando il viso.
Per un istante Draco sembrò interdetto, ma l’indecisione passò così rapida sul suo viso che nessuno avrebbe saputo dire se c’era veramente stata.
“Sonja.” disse semplicemente, come se questo dovesse spiegare tutto.
“Sei il suo custode? Se non volevi che la vedessi perché non le hai impedito di venire qui?!” era arrabbiata, ora.
Draco scosse la testa, di nuovo, sempre più stancamente.
“Non è controllabile. Nemmeno da se stessa. Non saprebbe dirti perché è venuta qui, perché si è trasformata, perché…” sospirò “lascia perdere, Granger. Dimentica di aver mai conosciuto ciò che è stata: non esiste più. Preoccupati di te stessa.”
“Sei stato tu a farle questo?”
Il mago biondo lasciò che il dolore che provava trasparisse un istante sul suo viso elegante; nessuno avrebbe mai potuto dire se l’avesse fatto intenzionalmente.
“Si, Granger. Sono stato io.”
E dicendo questo le voltò le spalle, il riflesso bluastro del mantello scintillò alla luce bassa del sotterraneo; con passo lento e misurato Draco si avviò verso la scaletta.
“Malfoy!”
Il ragazzo si fermò, ma decise di non voltarsi.
“Perché non hai ucciso Harry mentre era disarmato nel suo letto?”
Un suono simile ad una risata repressa uscì dalle labbra del mago.
“Analitica come sempre, Granger… perché gli ordini non erano quelli. Io eseguo, non discuto. È questo il mio ruolo nella storia. Un ruolo da codardo, ciò tu hai sempre pensato che fossi.”
Alcuni gradini li separavano già e la testa bionda di Draco già spariva nel buio della scaletta quando lo strillo di Hermione lo raggiunse: “Te ne pentirai! Ti pentirai di tutto, anche di quello che hai fatto a Ginny!”
Un sorriso troppo amaro per essere considerato tale piegò le sue labbra chiare mentre si allontanava con l’eco delle parole di lei ancora nelle orecchie.
Si… pentirsi. Scontare. Pagare gli errori con tanto sangue che ti sembra di non poter più vivere. Cosa sai tu di tutto questo, Granger? Con che diritto parli di pentimento tu, perfetta e coerente, tu che non sai cosa significa?

Have your heroes disappeared?

“Glielo lascerai fare?”

Draco si fermò a metà corridoio, gelato dalla voce sconosciuta che gli aveva sussurrato alle spalle; si voltò e scrutò l’ombra come aspettandosi un animale feroce.
Invece fu una donna ad emergere come un fantasma nella debole luminosità fumosa, una donna minuta ma resa imponente dal passo elegante e dall’alterigia con cui aveva calcato il tacco sulla pietra, producendo un suono stonato in quel luogo pieno di echi. La donna era vestita di scuro, e la pioggia di riccioli bruni si fondeva con il leggero mantello rendendo impossibile, in quella penombra, distinguere dove finivano gli uni e dove iniziava l’altro; il viso pallido e delicato non era che uno sfondo per due occhi scuri e profondi, veri protagonisti di quella bellezza quasi sovrannaturale. Occhi di mille segreti, disillusi e antichi, più antichi di quello che sembravano.
Draco si riscosse, ma stringeva ancora la bacchetta nella mano destra, immobile.
“Melissa, suppongo. Non ho mai avuto l’onore, di persona.” disse freddamente. “Cosa ci fai qui?”
La donna sfoderò un sorsetto quasi impercettibile, senza mostrare di accusare l’ostilità.
“Mi sono invitata per la cerimonia…” spiegò distrattamente, con una certa ironia ostentata che non lasciava trasparire nulla di ciò che la donna pensasse veramente.
“Mi sembrava di capire che non avresti lasciato Venezia per Lui.”
“Non sono qui per Lui” mormorò enigmatica “Allora, Draco… starai davvero a guardare?”
“Che cosa?”
Gli occhi di Melissa si allargarono di divertita curiosità.
“Non voglio credere che un uomo della tua intelligenza non abbia ancora capito cosa vuole fare Voldemort di tuo figlio.”
Draco strinse il pugno attorno alla bacchetta, irrigidendosi completamente.
“Come sai che è mio figlio?”

La risata cristallina dell’italiana percorse il corridoio, pietra per pietra, dando i brividi al ragazzo biondo di fronte a lei.
“Cielo!” esclamò Melissa, in italiano, “perdonami, Draco, ma proprio allora non sai nulla!?!”
Si ricompose e si avvicinò al ragazzo, frusciando nella lunga veste finemente ricamata; quando parlò di nuovo la sua voce era beffarda, ma senza crudeltà.
“Sono una veggente, mio caro. Lo dovresti sapere: credi che l’idea di spingere Sonja tra le tue braccia perchè concepisse un bambino, quella notte, sia nata dal nulla nella mente del caro Voldemort?”
Draco dovette fare forza su se stesso per reprimere l’istinto di ucciderla senza una parola di più.
“Ah si?” chiese, gelido e sferzante come il vento di quel lunghissimo inverno russo.
Melissa fece un gesto con la mano, come a scacciare un ragno da davanti al viso.
“Nicolaj sarebbe nato comunque, Draco. Non maledirmi e non maledire te stesso più di quanto tu non faccia già: io vedo il futuro, non progetto gli avvenimenti. Leggendomi nella mente le visioni, Voldemort può aver progettato come affrettare le cose, ma sarebbe successo, in un modo o nell’altro.”
“Non vedo come” commentò il ragazzo, con un’intensa amarezza che traspariva dalla voce fredda e indifferente.
“Non credi che Sonja ti avrebbe amato anche senza Imperius?” lo provocò la donna, con un sorriso più vecchio della sua età apparente, “sei ben poco consapevole delle tue doti, dunque.”
Draco si scostò, irrigidendosi sempre più.
“Sonja non può amare, non ne è più capace, non sa cosa significhi e non può vivere un sentimento simile. Questo tu dovresti saperlo, se con il tuo potere sei riuscita a vedere cosa sarebbe diventata.”
“Io so perfettamente cosa Sonja è diventata, e so, od ho intuito, molte altre cose che a te sembrano scioccamente sfuggire, mio caro Draco!” ribattè altezzosamente Melissa “Ma questo è iniziato in un momento ben preciso, non lo ricordi? Sonja era in grado di amare prima di quel momento, era capace di amare, soffrire, piangere, ridere… giusto?”
“Ginevra.”
Melissa lo guardò, interrogativa.
“Quella era Ginny, non Sonja.”
Per un attimo la donna rimase come interdetta, poi rise sommessamente.
“Oh, sono due persone diverse dunque! Quali altri giochetti ha partorito la tua mente per legarti sempre di più le mani tra loro, Draco?”
Il ragazzo sollevò il mento.
“Non fa differenza, comunque. Nessuna delle due mi ha amato.”
“Oh, e tu le hai amate entrambe, vero? Amate a tal punto da lasciarlo giocare con la sua anima contro la sua volontà. Amate a tal punto da lasciarla essere madre senza saperlo. Amate a tal punto da stare a guardare mentre Lui cerca di giocare anche con quella di vostro figlio...”

L’urlo secco di Draco rimbombò per il corridoio.
“Taci! Dannazione come sai tutte queste cose, maledetta!”
Melissa sorrise, per nulla spaventata.
“Le so perché le ho viste avverarsi molto prima che succedessero. Così come so che non farai nulla per impedirgli di fare di Nicolaj suo figlio… il suo vero erede.”
Il viso bianco del ragazzo pareva la maschera del dolore stesso, diafano contro la penombra insana del corridoio, contratto dall’ira e dalla sofferenza. La facciata di gelo era crollata, improvvisamente.
“Me l’ha portato via quando è nato, Melissa. Che motivo hai di rigirare il coltello nella ferita in questo modo? Non è un gran sforzo predire quello che è già successo.”
“Ciò che sta per accadere è irreversibile, Draco. Ma, al contrario di te, qualcuno può ancora giocare col proprio destino… qualcuno che sfugge al potere del futuro perché sfugge al potere del tempo stesso. Tu non hai potere sugli eventi, ma sei l’unico ad avere potere su di lei. Lo sai.”

E con questa frase enigmatica Melissa gli voltò le spalle e sparì di nuovo nel corridoio buio.
Draco rimase solo, con le parole che gli rimbombavano nella mente e la consapevolezza di vivere un incubo impressa nell’anima come un macigno infuocato.

Haven't I seen you here before?

Sonja.
Come solo lui l’aveva conosciuta: in piedi nel vento che agitava ciocche di capelli rossi sfuggiti alla treccia, fiamme fini di seta che la rendevano simile ad una furia, fuoco vivo ad incorniciare quel dolce viso da fata delle nevi, quegli occhi ardenti e dorati… ogni cosa di lei brillava crudelmente di una disperazione a cui non avrebbe mai saputo dare un nome.
A volte si era chiesto se fosse la magia che la legava in quel luogo fuori dal tempo a renderla così assurdamente bella… o forse era lui a vederla sempre come attraverso un cristallo di ghiaccio, che sfuoca e rende smaglianti i colori e scintillanti le lacrime che i meravigliosi occhi di lei non potevano versare.
Il bracciale violaceo sfolgorava di una luce malvagia nel riflesso del crepuscolo sulla neve, su quel terrazzo gelato su cui lei stava immobile, in piedi, come a gridare senza voce il dolore che non riusciva a sentire. Tutto attorno a lei non era che paradosso, assurdo dolore e ossessione disumana.

Senza potersi trattenere posò le mani sulle spalle esili della ragazza e la fece appoggiare al proprio petto, con delicatezza, come per riscaldarla, ma senza trattenerla. Lei rimase lì, ferma e quasi rigida, senza dire nulla e, probabilmente, senza capire quel gesto di affetto.
“Se tu tentassi di ricordare chi sei forse non potresti vivere…” le sussurrò.
“Sto vivendo ora? È così che si chiama questa confusione?”
Un mormorio nel vento, come quell’eco di un passato che in certi momenti sembrava voler affiorare dalla nebbia… ma il vento era sempre troppo forte per lasciar udire le parole, e la nebbia troppo fitta per lasciar vedere un viso.
“Non lo so, Sonja.”
Sonja si voltò a guardarlo, gli occhi talmente scuri nella penombra che l’oro che li pervadeva non era che un debole riflesso, o forse un ricordo. Per la prima volta fu lei a distogliere lo sguardo e, come se il gesto le venisse spontaneo, ma non riuscisse a capirne il senso, gli prese una mano e rimase a guardarla, bianca tra le sue, altrettanto bianche; con gentilezza, e senza riuscire a nascondere un lieve tremito, Draco mosse la propria mano, mostrandole come intrecciare le dita e trarne calore.
“Andiamo.”
“Dove?”
“Dove puoi dimenticare anche quel poco che sai.”

“He touched my cheek with one fingertip and came away with a single tear trembling on the end of his finger. He raised it to his lips, the top of his tongue licked it off his skin. –You taste like your heart has broken, ma petite.-“
Laurell K. Hamilton
“The killing dance”

****************

Velocemente ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno recensito, anche se è passato tanto tempo! Quelle pazze di Savannah, Euridice e la terza camionista prima di tutto: ragazze vi voglio bene, anche se voi siete arrabbiate con me perché faccio soffrire sti poveri cristi! Non so come avrei fatto i primi giorni qui da sola senza di voi! Ithil (sono sempre molto contenta quando qualcuno commenta la scelta delle citazioni), Serena89 (anche tu come Draco hai separato Sonja e Ginny… la tua recensione è stata divertentissima), Blast (Draco-vegeta-supermichiapower… ma te le sogni di notte!?!?), Saty (prova con Carmina Burana per la parte nel sotterraneo e con “Bang Bang” di Nancy Sinatra per la parte iniziale su Hermione… ci siamo gia sentite e comunque, un bacio!), Sally90 (che recensione ispirata! Mi hai lusingato! Grazie!), Mirai, Maharet, Ramona55 (una delle recensioni più belle che mi sia capitato di ricevere, sei eccezionale! E… complimenti per l’intuizione. Non posso dire altro. Grazie per le tue parole bellissime!) e Ethel. Spero di non aver dimenticato nessuno!
Ringrazio davvero anche chi ha recensito la one-shot si Ron ed Hermione e la mia storia originale (“Exile”). Grazie!

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Capitolo 18
*** Killing time ***


Sono di nuovo qui… dopo mesi di assenza! Il lavoro qui all’estero prende più tempo di quello che pensassi e mi dispiace di essere stata così lenta! Beh, meglio tardi che mai, no?

PARTE IV

CAPITOLO 2: KILLING TIME

And he knew what he needed to keep us alive
No time for cowardice, kill and survive
Like a killer kid with a switchblade knife
Nasty word, he'll take your life

ACT 1# Until it sleeps

La sua pelle era quanto di più serico avesse mai toccata, la sua bocca che non sapeva come rispondere ai suoi baci, i suoi gemiti, così spontanei e trattenuti, come i lamenti di un gattino sperduto… l’eco smorzato di quei gemiti di piacere che rimaneva nelle orecchie e sembrava non volersene mai più andare… La mano di Draco sembrava non volersi mai fermare mentre carezzava incessantemente il fianco nudo e pallido di Sonja. Una lievissima nota di sudore andava a mitigare l’odore pungente del caprifoglio che invadeva la stanza… quel sentore leggero e indescrivibile che solo chi ha appena fatto l’amore riesce a notare tra gli altri profumi, un po’ come se si potesse individuare un sospiro, un gemito sussurrato, tra il chiacchiericcio di una sala piena di persone.
Come… come era possibile sentirsi allo stesso tempo così in pace, così confortato dalla vicinanza di un corpo accanto al proprio, e arrendersi alla consapevolezza che il mondo, così come aveva imparato ad accettarlo stava per avere una fine?
Arrendersi…
Draco assaporò il suono di quella parola, sottovoce, con la lingua che batteva contro i denti e poi sibilava sull’ultima “s”, con quel soffio che aveva il sapore di qualcosa di definitivo.
No. La resa era soltanto una questione di punti di vista.
Si era arreso quando aveva permesso a Voldemort di relegare Sonja – Ginny - in quel mondo magico fuori da ogni tempo? Si era arreso quando aveva venduto la vita di quel figlio mai voluto, eppure così amato? O non si era arreso a lasciarli entrambi morire?
Si era arreso quando aveva permesso a Voldemort di infilare Sonja nel suo letto, con la magia, come il più ignobile dei mezzani, trattandolo come uno stallone da monta… si, perché, in fondo era questo che era stato - un infimo pacchetto di geni e poteri da trasmettere a chi sarebbe stato più importante di lui. Si, forse quella volta si era arreso… se si può considerare resa quella accettata nell’ignoranza, o nel desiderio così forte da impedirgli di notare che Ginny – Sonja – era stregata.
Ma si era arreso quando, stanco di nascondere ogni impeto di dolcezza, aveva permesso a Sonja – Sonja… Ginny… - di guardarlo negli occhi, di catturare la sua anima e trasportarlo nel suo mondo di incoscienza? Quando, nella paura e nella disperazione in cui ormai nuotava senza speranza, aveva trovato conforto nel letto di chi – Sonja – non poteva nemmeno dare un nome ad una simile esperienza? O semplicemente aveva preso quello che voleva più di ogni altra cosa, disperando di poterlo avere in altro modo… incapace di arrendersi davvero al pensiero che lei non era, e non sarebbe mai stata, davvero sua?
Era sua. In quel momento, in quello strano mondo, in quel modo incosciente e vuoto, in quel totale abbandono… Sonja era sua, ora.
Aveva quello che voleva, in quel momento: aveva lei, quando voleva, aveva la donna che aveva desiderato da anni, consenziente ora - se tale si poteva considerare. Poteva veder crescere suo figlio, dall’ombra, vegliare su di lui, vederlo diventare il più grande mago di tutti i tempi o la più grande delusione, che sarebbe coincisa con la morte. E allora perché non arrendersi davvero, questa volta: perché non accettare questi momenti in cui poteva avere lei, amarla, sentirsi quasi amato, quasi corrisposto… accettare di vedere Nicolaj crescere, senza desiderare nulla di più?
Perché, nonostante tutto ciò che era stato detto di lui, quella parola gli era così estranea… perché non riusciva a sentirla sua?

Guardò Sonja respirare lenta e regolare nel sonno, la sentì mugolare in un sogno come un gattino che si rotala su un cuscino, o un bambino. Strinse dolcemente le dita sul fianco, come per rassicurarla – incubi tormentano il tuo sonno, principessa? Quali immagini di un passato, quali ricordi che non puoi interpretare, ti si rivelano soltanto nei sogni? – e fece scivolare la mano sullo stomaco di lei, avvicinandola a sé.
Come poteva distruggerla, come poteva farle ciò che doveva fare – ciò che avrebbe dovuto fare da tanto tempo, ciò che ora sapeva di non poter più rimandare, ciò che non riusciva ad accettare – sapendo che non c’era che una flebile speranza che lei potesse sopportarlo? Come poteva fare ciò che doveva quando avrebbe solo voluto tenerla così, tra le braccia, baciando ogni centimetro di quella pelle di alabastro, fino a togliere tutte le invisibili, ma presenti, tracce di sangue dei delitti commessi…
Posso. Devo. Devo, se voglio che qualcosa di noi, di noi due, di ciò che avremo potuto essere, sopravviva a questo mondo assurdo, a questa guerra inutile. Devo… e posso, se riesco a ricordare che se tu potessi ancora parlarmi mi chiederesti di farlo; posso, se soltanto riesco a pensare che se tu, Ginny, potessi ancora guardarmi attraverso l’oro liquido di questi occhi, mi ordineresti di non esitare.

“Will to live. Will to fight. Will to survive.”
Laurell K. Hamilton
“Narcissus in Chain”

Ma ora non guardarmi, lasciati tenere così, lasciami sognare come non faccio da una vita. Lasciami immaginare come sarebbe stato portarti via di qui, prima di tutto questo, guarire le tue ferite, darti il tempo di pensare a me come un uomo, come un ragazzo, non come un assassino… darti il tempo di innamorarti di me, come Melissa ha detto che sarebbe successo.
Lasciati tenere stretta finchè sembra che tutto dorma tranne me. Lasciami pensare che questa sera non debba mai venire, che questa paura folle non debba essere affrontata.

I'll tear you open, make you gone
No more can you hurt anyone
And the fear still shakes me
So hold me, until it sleeps

ACT 2# Fight fire with fire

Fight fire with fire
Bursting with fear
We all shall die

Cosa mi è rimasto se non l’odio? Cosa sono, cosa sono sempre stato… se non l’arma della vendetta?
Questo è ciò per cui sono stato cresciuto. Questo è ciò per cui ho sofferto, per cui tutti abbiamo sofferto.
Avrei dovuto essere la lama tagliente al servizio di ciò che è giusto, il bianco vessillo della “giusta” vendetta… ma non sono altro che odio, ormai. Tutto ciò che è rimasto di me è ciò che lui, ha lasciato, dopo essersi preso famiglia, amici, amore… tutto. E ora anche l’ultima briciola di umanità che mi ancorava a questa guerra, l’ultima briciola di speranza mi è stata strappata.
Tutti dobbiamo morire, prima o poi. Se è scritto che il mio giorno debba essere oggi… che sia. Non ho più nulla che rimpiangerei, se non la vita che forse avrei potuto vivere, se lui non fosse mai esistito. Non sono nulla, se non l’odio che lui mi ha instillato.
Hai vinto, Voldemort. Hai vinto: ti odio.
Non sono più il bambino innocente che non sa odiare, che pensa solo al coraggio, alla lealtà e che ti combatte con l’arma della purezza del suo cuore.
Ti odio. Con tutto me stesso.
Non ho più l’arma dell’innocenza e della bontà, da usare contro di te: ti voglio morto, ti voglio vedere soffrire. Forse per colpa di questa amarezza non potrò più vincere contro di te, il “male”… tu sei il “male” come l’ho conosciuto. E hai strappato, calpestato, devastato tutto ciò che di bene ci poteva essere dentro di me. Ora non posso che combatterti con il tuo stesso odio, con il tuo stesso male, con le tue stesse armi. Ti voglio morto, a qualsiasi costo… perché ormai non c’è nulla che io non abbia già pagato.

Ma non mi tiro indietro.
Sto arrivando Herm… e se ormai sei morta, sto arrivando lo stesso.

Armageddon is here, like said in the past
Soon to fill our lungs the hot winds of death
The gods are laughing, so take your last breath
Fight fire with fire

ACT 3# Sad but true

I tendaggi pesanti, probabilmente di velluto, rendevano la grande sala ancora più tetra e polverosa. Pesanti drappi di velluto verde scuro, quasi bluastro. Verde come il vestito di Melissa. Melissa… che sapeva essere allo stesso tempo a tono e stonata, a tema e fuori luogo. Le onde della lunga gonna di seta erano della stessa tonalità delle tende, ma spiccavano su quel fondo come una nota stonata in una melodia perfetta: lucide e brillanti riflettevano la luce delle torce, illuminando una parte del viso, immobile, mentre l’altro lato era nascosto sotto la studiata cascata i riccioli scuri.

“Perché sei venuta, mia Melissa?”
Il tono dell’oscuro signore, vibrante e secco come sempre – come il sibilo di un rettile in agguato – lasciava trapelare una lieve irritazione.
“Ciò che stai per fare è qualcosa che non è mai stato tentato prima. Non credi che valga la pena assistere?” rispose la donna, giocherellando con il bracciale a forma di salamandra che portava al polso sinistro. La sua voce morbida scivolava sulle pieghe dei tendaggi come vino dolce avvelenato, la provocazione trattenuta a stento increspava le sue belle labbra rosse come corallo – e altrettanto pericolose e taglienti.
Voldemort mosse una mano nell’aria, un gesto secco e veloce.
“Non sei mai stata interessata a questo tipo di magia, Melissa!” ribattè duramente.
Melissa accennò un sorriso.
“E dimentichi che il peggiore difetto di ogni donna è la curiosità?” sussurrò beffardamente.
Voldemort la scrutò ancora per qualche minuto, poi si girò a fronteggiare l’imponente tavola di pietra, sola ed inquietante al centro della sala quasi vuota. Ai piedi di quella lastra di marmo – nera e grezza, nella penombra, come un altare profanato – era legata e svenuta una donna dai lunghi capelli castani, cadenti sul viso come un sudario sporco.
La bacchetta vibrò tra le mani ossute di Voldemort, come se un guizzo di trionfo crudele avesse pervaso la sua stretta su di essa. Un leggero colpo alla immensa porta di ebano lucente lo riscosse.
“Vieni avanti, Draco.”
Il portone si aprì con fatica e Draco – grigio messaggero triste, nel suo lungo mantello del colore del cielo dopo un temporale - spinse gentilmente Nicolaj all’interno della sala, poi si voltò per richiudere i battenti; inaspettatamente Sonja guizzò tra di essi all’ultimo secondo, lasciando che si richiudessero dietro di lei con un tonfo sordo.
Si guardarono dritto negli occhi, senza perdere contatto con la realtà come spesso succedeva, poi entrambi si voltarono e si incamminarono dietro Nicolaj, verso la tavola di marmo. Il ragazzino sembrava intimidito e impaurito da quella penombra inquietante; alla vista della donna legata si fermò di botto, spalancando gli occhioni chiari, e rivolse al padre dietro di lui un’occhiata spaventata.

Non posso aiutarti, piccolo. Non posso risparmiarti nulla di questo orrore: devi essere forte, perché questa volta non posso esserlo io per entrambi… o per tutti e tre. Come quando sei nato.
Sii forte. Se avrò abbastanza fortuna, e non sarò troppo codardo, forse potrò risparmiarti il male peggiore, quello a cui non c’è rimedio… sebbene il prezzo potrebbe essere la tua innocenza e la tua dolcezza di bambino.

“They say love conquers everything. They lie.”
Laurell K. Hamilton
“Cerulean Sins”

“Mia Sonja…”
Il tono di Voldemort sembrava compiaciuto, quasi affezionato, rivolgendosi alla rossa e tendendole una mano. Automaticamente, come incastrata in una invisibile ragnatela, la ragazza si staccò dal fianco di Draco e si diresse verso il suo signore, senza tuttavia prendere con le proprie dita la mano che egli le stava porgendo. Voldemort non si curò di quel gesto irrispettoso e raggiunse il viso di Sonja con le lunghe dita, carezzandolo lievemente – la viscida carezza di un serpente.
C’era il sentimento più simile all’affetto che quell’essere potesse provare, nelle profondità scarlatte di quegli occhietti malvagi, c’era quell’orgoglio che alberga nello sguardo rapito dello scultore, quando osserva l’opera terminata, plasmata, estratta dallo spirito della pietra grezza, per incantare gli stessi dei…
“Stiamo per avere ospiti, mia bellissima bambola…” le disse dolcemente “ospiti che non gradirei interrompessero la mia piccola cerimonia. Capisci cosa intendo, Sonja?”
Sonja scostò la testa, sottraendosi di scatto alla carezza; lo guardò per un istante, con quegli occhi che nulla dicevano perché a nulla sapevano dare un nome. Annuì, come disinteressata.
“Andrai ad aspettare il nostro ospite indesiderato. Egli non può apparire all’interno di questa casa. Sarai pronta per distruggerlo?”
Ancora una volta Sonja annuì e scosse le spalle. La bacchetta apparve nella sua mano, estratta – o fatta apparire, forse? – da chissà dove, ad una velocità degna di un grande duellante. Camminando lentamente, seguendo quel ritmo cantilenante che solo nella sua mente risuonava come campane a morto, raggiunse il portone e sparì nel buio, seguita da due occhi il cui colore sembrava contenere congelato tutto il dolore che un essere umano può provare. E molto di più.

Do
Do my work,
do my dirty work, scapegoat.

I’m your dream, make you real
I’m your eyes when you must steal
I’m your pain when you can’t feel
Sad but true

“Fai uscire anche il padre.”
Voldemort si voltò con uno scatto degno di un cobra impazzito.
“Non è suo padre!”
Melissa alzò gli occhi al soffitto, ostentando al contempo esasperazione e disinteresse, quella affascinante contraddizione di sentimenti che può mostrarsi negli occhi delle donne come lei… calcolatrici, consapevoli, intelligenti. Bellissime.
“Come ti pare… fai uscire Draco.”
“Perché?”
Un sopracciglio scurissimo si alzò sulla fronte pallida della donna, descrivendo un arco perfetto appena al di sotto dell’onda di riccioli.
“Normalmente ti fidi del mio giudizio.”
“Interferirà?”
“Non lo so. Potrebbe. Il suo destino si intreccia con ciò che non riesco a vedere. Il destino di Sonja. O il mio…”
Voldemort la guardò con sospetto, poi annuì, quasi con rassegnazione.
“Vattene, Draco…”
Il biondo strinse una mano sulla spalla di Nicolaj, tentando di non mostrare nessun segno dell’inferno che si stava scatenando nel suo cuore.
“Mio Signore…” implorò debolmente.
“Ho detto vattene.”
Draco chinò la testa, evitando l’innocente sguardo di Nicolaj che si alzava impaurito su di lui, e mormorò “Si, mio Signore…”, senza riuscire a nascondere completamente il nodo che gli impediva di respirare e di parlare. Con un inchino appena accennato, anche lui lasciò la stanza.

Hey, I’m your life
I’m he one who took you here
Hey, I’m your life
And I no longer care

Non fu difficile, per lui, apparire in quel cortile gelato dimenticato da Dio e da qualunque essere sia mai stato pregato da voce umana; l’aria fumosa e gelida sollevò brividi visibili lungo le braccia scoperte del ragazzo, che però sembrava insensibile a ogni stimolo esterno, persino al freddo pungente.
Le mura screpolate della casa si confondevano con la nebbia grigiastra che si stava addensando, una nebbia che pareva non avere nulla di naturale… quasi che anche l’aria avvertisse la densa nube di magia che stava per liberarsi all’interno della costruzione.
Una figura bianca – così bianca da riflettere quel barlume di luce perlaceo che attraversava la nebbia – spiccava contro una porta scura ed Harry strinse gli occhi per distinguerne i tratti; la figura si avvicinava, all’apparenza galleggiando su quella nebbia inquietante, con movenze ritmate e spettrali – o rese tali dall’atmosfera soffocante e dalla sensazione di assurdità, di “sbagliato”, che vibrava in ogni fibra di quell’essere.
Nello stesso istante in cui Harry scorgeva il vermiglio colore dei capelli su tutto quel biancore, un’altra figura emergeva dalla stessa porta, amalgamandosi con la nebbia di cui portava i tristi colori; due grida simultanee ruppero il silenzio, entrambe rivolte ai resti di ciò che un tempo era stata una donna.
“Ginny!”
“Sonja.”
E per una volta – l’ultima – per lei fu troppo.
Portandosi le mani alle orecchie in un gesto convulso, Sonja si accasciò sul selciato mentre un rantolo di pura, fisica, sofferenza le usciva dalla gola; il rumore della bacchetta che cadeva a terra sembrò spaccare l’aria in mille pezzi come un invisibile e fragilissima lastra di vetro.

…non era dunque il sole, in grado di scioglierti qui sul terreno che tante volte hai percorso sul tuo destriero, principessa di neve, piccola fata di ghiaccio e di sangue… ma il dolore! Il dolore che ti strappa in due, dilaniando la tua carne e la tua mente, per renderli uguali alla tua anima dimezzata. Che farai ora, persa nella nebbia della tua mente, mentre il tuo corpo riposa nella nebbia del mondo che più non conosci, come una ghirlanda di fiori bianchi caduta… non sai che verrà calpestata dai cavalli?
Non ricordi con quanto amore poteva essere pronunciata quella parola, quel nome che tanto ti fa male ascoltare?
Non ricordi il bianco… il bianco delle lenzuola, il bianco di quella mano che teneva la tua, il bianco del soffitto che fissavi sofferente, distrutta, mentre la vita scivolava dal tuo corpo nel dono più grande, e tu scivolavi nell’oblio…
Non ricordi, non puoi ricordare quelle parole che hanno reciso quel filo, linfa vitale, pensiero di madre, che ti avrebbe ricondotto fuori dalla nebbia in cui ti trovavi, incosciente.
E se quel filo non fosse stato reciso? E se una speranza, un appiglio, una debole traccia ti avesse nel tempo – quel tempo che tu non puoi percepire - ricondotta all’esterno, dove ogni cosa ha un nome, e quel nome fa male?

“Il cimitero era avvolto dalla nebbia e lei vagava tra le lapidi consunte, cercando qualcosa e qualcuno. Era notte, una notte scura punteggiata di stelle, e una luna viola stava sorgendo all’orizzonte. Giunse ad un ponticello di terra fresca e fiancheggiato da boccioli appassiti. Nell’aria c’era un profumo balsamico e pungente misto al sentore della terra smossa di fresco.”
Marion Zimmer Bradley
“Exile’s song”

Attraverso gli occhi appannati la donna riconobbe il gioco di luci e ombre sulle pieghe lucenti del mantello di seta – grigio contro il grigio del mondo - dell’uomo che si era chinato, veloce, al suo fianco e le sfiorava il viso con le dita.
Compassione… quel sentimento che agli umani è dato, talvolta, di provare.
Da dove le veniva quel pensiero? Da dove, quella parola sconosciuta?
Alzò gli occhi spalancati, in pozze di oro colato che sembravano allargarsi ed invadere lo spazio normalmente riservato al bianco e al nero, e li fissò in quelli argentei di lui.
“Draco…” mormorò tremando, come se il suono di ogni singola lettera prosciugasse la forza dal suo corpo.
Forse avrebbe voluto ucciderla in quel momento, mettere fine alla sofferenza così atroce… e poi uccidere se stesso e raggiungerla, dovunque fosse quel luogo in cui dicono si riposi in eterno.
Forse avrebbe voluto abbracciarla, consolarla, baciare quel viso bianco come uno spettro fino a dargli un colore e una parvenza di vita…
Forse avrebbe voluto parlarle, chiederle perdono, in quel momento in cui sembrava quasi poter capire.
Forse avrebbe voluto fare tutto insieme, questo e altro. Ma non ne ebbe il tempo.
Lo schiantesimo lo colpì, secco e preciso al centro della schiena, mozzandogli il respiro e troncando ogni possibile grido. Il mantello frusciò contro le pietre ruvide del selciato, mentre lui collassava sul corpo di Sonja, facendole scudo e cercando di proteggerla. Come sempre.

Come una tigre, un felino con l’istinto di attaccare, Sonja si riscosse alla luce rossastra dello schiantesimo e rotolò via da Draco, impugnando la bacchetta che le era caduta e puntandola contro Harry Potter.
Potter… l’eroe che tremava, di fronte alla ragazzina che un tempo aveva voluto amare.
Ma la ragazzina non esisteva più, ed in quegli occhi infuocati da gatta arrabbiata non c’era più nulla di umano a cui appellarsi.

“Sonja…”
“Ginny, Merlino, che ti ha fatto….”
Due uomini, che la vita aveva diviso fin dal primo istante, si trovavano ad implorare la stessa donna, usando due nomi diversi.

“Lascialo andare, Sonja.”
Per la prima volta da quando Lui l’aveva trasformata in un’assassina impazzita, spietata - bambola crudele in grado di uccidere a passo di danza – Sonja esitò, confusa, paralizzata dal suono di quei due nomi, pronunciati nello stesso istante da due uomini diversi.
Una voce che ritorna da un passato sconosciuto, pronunciando un nome che l’altra voce aveva smesso di sussurrarle. Cosa rimane del tempo se l’ordine dei ricordi viene confuso nella nebbia?
Gli occhi dorati si riempirono di terrore e un lieve lamento sfuggì a quelle labbra pallide di paura; sperduta, Sonja fece l’unica cosa che ancora era in grado di ritenere sua: cercò di trovare conforto nella sua forma di gatto.
“No!”
Con un incantesimo rapidissimo Draco le procurò un taglio superficiale sulla gamba, abbastanza per rompere la sua concentrazione. Sonja rantolò e crollò in ginocchio, portandosi una mano alla coscia e riportandosela al viso, sconvolta, mentre il sangue rosso gocciolava dalle dita.
“Malfoy!”
E l’odio dell’eroe si rivolgeva al nemico sbagliato…
“Potter, va dentro! La Granger!” fu l’urlo rauco di Draco.
Harry si guardò intorno confuso e sconvolto: Ginny… la sua Ginny tornata dal passato, in ginocchio a osservare stupita il sangue colare sulla sua pelle bianchissima, la voce della sua Ginny che chiamava il nome del suo nemico nel dolore, il viso della sua Ginny sul quale chissà quale incantesimo aveva stampato l’indifferenza e la pazzia. Malfoy, nemico giurato di sempre, che guardava la donna che un tempo era sua con un amore che lui non avrebbe mai potuto provare, che feriva quella donna, che gli diceva di andare… che lo lasciava passare, lui, il nemico.
Una voce che ritorna dal passato con un tono diverso ed il dolore negli occhi… un dolore che un uomo non dovrebbe mai provare e sopravvivere. Cosa rimane della ragione se l’ordine delle cose viene sovvertito?
Sonja sollevò lo sguardo dalla propria mano e lo posò su Harry, con quel lampo di terrore che i bambini riservano agli adulti sconosciuti, poi volse il capo per guardare Draco e pronunciò il suo nome in un mormorio straziante. Mentre Draco si rialzava, a fatica, e le posava una mano sul viso con una dolcezza infinita, dai suoi occhi grigi traboccava una tale sofferenza che non era possibile guardare in essi – occhi che delle lacrime riuscivano ad avere solo il colore – senza restare feriti.
“Va Potter… qui non puoi fare niente, ma forse per lei, là dentro, sei ancora in tempo” mormorò, senza distogliere lo sguardo da Sonja.
Harry arrancò un passo indietro, senza riuscire a girarsi, come se ciò che vedeva: quello strano relitto di essere umano, quell’incrocio anormale tra un demone e una bambola di porcellana, cercare conforto – conforto da cosa? – nello sguardo triste di colui che aveva sempre disprezzato come il più infimo degli uomini. Era tutto troppo assurdo, troppo irreale per poter anche soltanto pensare.

Draco fece alzare Sonja e la strinse tra le braccia brevemente; con le labbra vicine alle sue e gli occhi persi nei riflessi dorati di quelli di lei, mormorò il suo nome, più volte… il suo vero nome: Ginny. Ad ogni parola la ragazza tremava più forte e la mano sporca di sangue stringeva convulsamente i lembi del mantello lucente di lui, imbrattandolo di rosso scuro.
Ti amo, Sonja… Ginny. Ti amo. E mi dispiace.
La mano di Draco si strinse al polso sinistro di Ginny e fece ruotare il braccialetto fino a stringere tra due dita la testa del serpente che si mordeva la coda. Gli occhi di cristallo baluginarono crudeli mentre le dita pallide del mago si infilavano tra il bracciale e la pelle delicata del polso di lei…
“C’è tuo figlio là dentro, Ginny. Nostro figlio. E non posso condannarlo a ciò che Lui vuole fargli… Perdonami.”
Un grido sconvolto gorgogliò nella gola di Harry Potter, mentre il terrore dell’incomprensione si allargava negli occhi felini di Sonja. Con una torsione secca delle dita Draco frantumò il gioiello di ametista – lui, che l’aveva chiuso, solo lui aveva il potere di romperlo.

Amico, rifiutato e riluttante.
Amante, disperato a tal punto di accettarla quando lei non poteva sottrarsi.
Carceriere, in quel modo subdolo e malvagio, quando avrebbe solo voluto tenerla stretta tra le braccia e non lasciarla mai sola.
Custode… dell’incantesimo e di lei.
Con quale altra sordida qualifica si sarebbe lasciato affogare all’inferno?

Crudeli schegge di ametista conficcate nella pelle diafana della mano di Draco, che si ricoprivano di sangue vivo e vermiglio…. sangue che macchiava ora la lana candida del maglione di Sonja mentre, con un grido spasmodico, questa si accasciava tra le braccia di lui.

ACT 4# And Justice for All

I can’t believe the things you say
I can’t believe
I can’t believe the price you pay

Continuavo a stringerla tra le braccia, mentre il trauma dell’incantesimo che si era rotto la precipitava nelle convulsioni, e tentavo di arginare le coltellate inferte alla mia anima da ogni spasmo sofferto di lei.
La stavo uccidendo, volontariamente, e l’unica attenuante che riuscivo a pensare per me stesso era che lo stavo facendo per nostro figlio.
Perché Voldemort stava per distruggerlo, per renderlo qualcosa che non sarebbe mai più stato umano: mai ragazzo, mai uomo, mai adulto… solo un essere colmo di magia nera, un corpo per albergare un ultimo frammento dell’anima di Voldemort. Un Horcrux… vivente. Uno dei pezzi del scacchiera che Re Potter si era mangiato, una ad una come pedoni, durante gli ultimi anni. Nicolaj non sarebbe stato altro che un tabernacolo, per ospitare una briciola di un essere che, non essendo più abbastanza umano per produrre un erede nel modo consueto, aveva scelto quella strada infima e terribile…
Quale prezzo era stato pagato, in termini di dolore e vite, per ottenere quel bambino… da lui voluto, da lui concepito in tutto tranne che nella realtà dell’atto, incurante di ciò che sacrificava.
Quale prezzo avrei dovuto pagare io, che in passato ero stato troppo debole per essere altro se non un docile schiavo, per disfare ciò che avevo lasciato accadere?
Al di sopra della testa di Ginny, colsi lo sguardo sconvolto e ferito di Potter, in cui sorgeva un barlume di comprensione su ciò che era stato fatto alla donna che non era riuscito a proteggere… guarda grande eroe, guarda a che compromesso sono sceso, cosa ho accettato pur di tenerla in vita, pur di tenerla con me! Ecco ciò che pensai amaramente, ecco ciò che mi era rimasto, ecco la mia vita, se vita si può chiamare… credi ancora di essere l’uomo più tormentato del pianeta? Eri ancora così ingenuo da credere che soffrano solo i buoni, i prodi, in una guerra come questa?

Sonja urlò e lo strillo risuonò nella nebbia come la vibrazione di un diapason spezzato – raccapricciante come le urla dei condannati a morte per tortura, come le grida straziate delle anime risucchiate dagli inferi.
La ragazza si dibattè come una furia, spingendo e graffiando quelle braccia che volevano solo evitare che lei si facesse del male. Si accasciò, tenendosi spasmodicamente le orecchie, come a non voler sentire quella voce che in realtà era soltanto nella sua testa, la voce dei ricordi, della vita, del dolore.
Il peso di ciò che alberga dentro la nostra anima è spesso insostenibile, pur avendo a disposizione i giorni di tutta una vita per venire a patti col passato… da lei si pretendeva che affrontasse i ricordi di una intera vita, il peso delle azioni più orribili, quando questi cadevano a massacrarle la coscienza nello spazio di un battito del cuore.
“No! No, no no no….”
Quegli occhi sbarrati e terrorizzati si alzarono sul viso di Draco e le sue labbra livide si mossero senza emettere suoni, cercando di pronunciare il suo nome.
“Sono qui” mormorò il ragazzo, riprendendola tra le braccia “sono qui, sono qui…”
“Non è vero, non è vero… cosa…”
Lacrime cominciarono a scendere copiose da quegli occhi che da tanto tempo non sapevano più piangere, le unghie strapparono la seta del mantello a cui si aggrappavano come ad un ultimo brandello di corda sospesa sullo strapiombo…. Scuoteva la testa per far uscire tutti quei ricordi orribili, tutto quel sangue, tutto quel dolore infinito che l’incoscienza dell’anima le aveva impedito di provare.
“No. No, no….”
“Ginny….”
“Sonja…” singhiozzò lei.
Draco annuì, sempre guardandola negli occhi – i giorni della codardia erano finiti, dovevano esserlo… perché era giusto che patisse anche lui ciò che le stava infliggendo – e le bisbigliò la verità: “hai scelto tu quel nome, Ginny…”
“Draco... Draco sono tutti sogni, dimmi che sono tutti sogni…”
Draco scosse la testa, incapace di parlare, come di respirare: il dolore di lei impregnava l’aria e sembrava soffocarlo.
“Nicolaj!” pianse la ragazza.
“E’ là dentro, Ginny.”
Lei si liberò di scatto e lottò per sostenersi da sola, tremando da capo a piedi; gli occhi ancora fissi in quelli di Draco, colmi di una nuova, dolorosa coscienza e privi di quella luce ipnotica e malsana che aleggiava prima nelle pagliuzze dorate. Con un ultimo rantolo, mosse qualche passo malfermo all’indietro e si girò per correre, incespicando, verso la porta.
Draco non impiegò più di un respiro per scattare dietro di lei; nell’istante in cui si mosse, anche l’eroe del mondo magico sembrò riscuotersi e corse nella stessa direzione.

Nothing can save you

Probabilmente furono le tre mani insieme a spalancare la porta, o forse Ginny nemmeno sfiorò il pesante battente, quasi fosse sicura che la sua furia avrebbe potuto distruggerlo.

Parole arcane, strisciare inesorabili su una lama di luce verde che, crudele come veleno privo di antidoto, colpiva ciò che ormai non era che un fagotto di vestiti e carne ai piedi di un altare sacrificale.
Nessun sangue sulla pietra.
Nessuna ferita, se non quella che due occhi bruni infliggevano al cuore di un eroe di carta, posandosi su di lui per l’ultima volta… impietosi nel loro amore, nella loro purezza, nella loro dolcezza, fino alla fine.
Nessun grido, perché gli angeli quando cadono non fanno rumore.

Un grido lacerò l’aria e interruppe il rituale al suo culmine, mentre Ginny scattava a spingere un bambino spaurito al di fuori di un circolo di incantesimi. Un grido che avrebbe reso rauco qualunque essere umano, perché usciva dagli inferi in cui solo chi si è visto strappare l’ancora della salvezza per un’ultima, dolorosa volta, può precipitare.
Un grido… e un pensiero nel vento, a contenere le parole che la voce non poteva pronunciare.
Herm… a presto, amore.

Nello stesso istante le fiamme delle candele vibrarono per la rabbia esplosa in un secondo grido, terrificante e pauroso. Il disappunto, lo stupore, l’ira di qualcuno che non aveva accettato di pensare che qualcosa potesse andare storto nel piano perfetto.
Poi la rabbia di Voldemort esplose in tutto la sua forza e i tendaggi sembrarono muoversi sotto la spinta di una folata di vento. Il rituale era stato interrotto, l’occasione era perduta… l’Oscuro Signore non poteva accettare una simile delusione, non senza manifestare tutta la sua collera. La sua mano scheletrica ebbe uno spasmo sulla bacchetta, i suoi occhi si fissarono su Draco e compresero… finalmente compresero.

Che ancora una volta, e sempre, aveva sottovalutato il potere di quello sconosciuto fenomeno chiamato amore: qualcosa in grado di dare la forza a chi è debole, il coraggio a chi è codardo, la capacità di sfidare anche le paure più radicate, di andare contro se stessi e la propria stessa vita.

Draco si difese dall’attacco di maledizioni con la prontezza di chi è abituato a combattere, ma la disperazione di chi sa di avere troppo da perdere: un occhio a se stessi e un occhio a chi si è li per proteggere. Gli incantesimi rimbalzavano sul sortilegio scudo, mentre correva per avvicinarsi a Ginny, raggomitolata attorno a Nicolaj, senza fiato; una maledizione Cruciatus lo colpì a tradimento e rotolò sul pavimento, contorcendosi negli spasmi che la disciplina di un tempo gli avrebbe permesso di arginare e sopportare. Nicolaj lanciò uno strillo acuto, ma Ginny – Sonja – lo azzittì e si levò in piedi davanti a lui. Una furia, con il fuoco negli occhi e la determinazione disperata nei lineamenti che un tempo non avevano che la serenità perversa di una ballerina di porcellana.
E allora balliamo, mia danzatrice…
Gli sguardi si incrociarono, furenti. Ne scaturì un duello, frenetico e crudele – odio che si riversava nell’aria, odio e potere… sufficienti a togliere il fiato e illuminare, con i lampi malvagi che uscivano dalle bacchette, la grande sala buia.
Luce.
Grida.
Parole arcane cadevano inesorabili come lame affilate, colme della loro minaccia di morte e dolore. Tutto troppo rapido per poter essere seguito da una misera mente umana.
Il maestro e l’allieva… credeva di poterla sopraffare facilmente, lei, a cui aveva trasmesso col sangue e il dolore tutta la magia oscura che nella sua lunga vita aveva imparato e sperimentato?
L’allieva che ormai odia il maestro.
Il maestro deluso dall’allieva… no mia danzatrice, non mi sei più utile.
“Avada Kedavra.”

Un grido acuto perforò le orecchie di Draco che, nella sua disperazione, pensò di non essere arrivato a spingerla in tempo… ma non grida chi è colpito dalla maledizione che uccide, e il raggio di luce verde aveva soltanto sfiorato la lunga treccia ondeggiante della ragazza.
Si ritrovò in ginocchio, a fare scudo col proprio corpo a lei e al figlio, e gocce di sangue rosso brillante cadevano dal ramo appuntito di un candelabro che sporgeva dall’altare. Il sangue di Ginny, il sangue di Sonja – sangue sulla pietra, sangue del sacrificio.

So true, so real.

Nel cercare di proteggerla, l’aveva uccisa lui stesso. La punta sporgente di metallo si era conficcata nella schiena di lei e il sangue scarlatto già macchiava il maglione bianco – demone rosso, strisciante su un manto di neve, impaziente di reclamare il suo ultimo pegno.
La risata crudele di Voldemort fece da sfondo rossastro al respiro gorgogliante di Ginny e al grido di Draco.
Gli occhi dorati si alzarono sul viso del giovane mago e incredibilmente, Ginny gli sorrise. Quel sorriso dolce e malinconico che la vera Ginny a volte gli aveva donato – quando si prendeva cura di lei, quando la faceva smettere di piangere per un istante, quando le regalava qualcosa...
Poi il suo sguardo si voltò lentamente verso l’altro uomo, distrutto, che stringeva al petto un cadavere dai lunghi capelli bruni, all’altro lato dell’altare. Occhi verdi che avevano ormai perso ogni brillantezza risposero allo sguardi, disperati e stanchi.
“Adesso Harry. Insieme…”
La ragazza spinse Draco lievemente di lato e velocemente trasse a sé Nicolaj.
“Nicolaj, devi farmi un favore… un ultimo favore.”
Nicolaj le toccò il viso con le manine e li occhi di Ginny si riempirono di lacrime.
“Ti voglio bene, piccolo, te ne ho sempre voluto ma non ero in me, lo sai vero? C’era un incantesimo su di me.”
“Si” bisbigliò il bambino, e aggiunse, senza motivo, “c’era la nebbia…”
“Adesso dobbiamo fare andare via la nebbia, Nicolaj. Per sempre. Te lo prometto.” La sua voce tremò e il respiro gorgogliò in gola a causa del sangue che ormai stava invadendo i polmoni, ma continuò, “Ricordi quell’incantesimo che ti ha fatto uccidere il gatto? Devi usarlo… solo stavolta. Solo per togliere la nebbia per sempre.”
Nicolaj annuì di nuovo ma la sua manina tremava sulla guancia di Ginny.
“Sonja…”
“Ssh…. Ti prego, Nicolaj. Insieme a me. Poi sarà tutto finito.”
Ginny prese la bacchetta e la puntò nella direzione di Voldemort, che si stava avvicinando senza aver colto quel veloce scambio di battute.
“Quello che faccio io, Nicolaj.”
Quasi nello stesso istante Harry Potter, l’eroe caduto, e il bambino che Voldemort aveva voluto con tutto se stesso, puntarono la bacchetta nella stessa direzione.

Il sangue della sua creatura, versato per amore, perché anche l’amore può diventare troppo…
L’innocenza del “figlio”, perduta per sempre in quel giorno in cui anche un bambino è costretto ad uccidere…
L’amore del nemico, a riposare in eterno… su quell’altare di pietra.

Non era necessario essere il più grande mago oscuro per sapere che tre sacrifici chiudono un cerchio.
Ossa del padre, carne del servo, sangue del nemico… per riportarlo alla vita.
Amore, innocenza e dolore… non erano forse sufficienti a negargliela?

“Avada Kedavra!”

ACT 5# Nothing Else Matters

Miseri resti di ciò che era stato uno dei più grandi maghi di tutti i tempi, giacevano a terra, in un groviglio di seta nera e di pelle che pareva rinsecchirsi ogni istante, come squame, morte e biancastre, di un grosso serpente.

Harry Potter abbassò la bacchetta e osservò quei resti con indifferenza.
La fine. La fine di tutto… anche di lui.
Con una dolcezza infinita si chinò a raccogliere il corpo ormai freddo di colei che era stata Hermione Granger, la strinse al petto e si avviò all’esterno, faticosamente.

Gli occhi freddi e scuri di Melissa guardarono l’eroe sparire, al di là della porta nella nebbia del mondo reale; osservarono per un istante i resti di Voldemort e poi si posarono con un amaro, mezzo, sorriso i braccialetti ancora chiusi e intatti ai propri polsi.
Libera…
Con un movimento fluido si allontanò dagli arazzi scuri contro i quali si era schiacciata durante il velocissimo duello, e si avvicinò alle spalle di Draco, gli occhi fissi in quelli agonizzanti di Ginny.
“Non potevo prevedere questo, lo sai vero?”
“…nulla che mi… riguardasse…” assentì la ragazza, faticosamente.
Melissa scosse la testa.
“La vita è stata crudele con te, Sonja… ma io posso solo vedere, non posso interferire. Tutto sarebbe comunque successo…”
“Vattene Melissa… lasciaci, ti prego…”
La donna si chinò e allungò una mano verso la fronte madida di Ginny lasciandovi una carezza lieve – il petalo di una rosa nera, cadere sulla neve nell’espressione più dolce e malinconica dell’assurdità del mondo - poi si allontanò in un frusciare di seta che aveva lo stesso colore della notte.

So close, no matter how far
Couldn't be much more from the heart
Forever trusting who we are
and nothing else matters

Never opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words I don't just say
and nothing else matters

Draco continuava a guardarla, disperato come può esserlo un uomo che sta perdendo tutto e non ha nessun altro a cui dare la colpa - per la seconda volta.
“Ginny…”
La mano di lei salì a posarsi sul suo viso.
“Tutto sarebbe successo comunque…” gli sussurrò senza più voce, ripetendo le parole della veggente “…tutto.”
Le sue labbra si mossero ancora per un istante, senza più poter far uscire alcun suono, ma i suoi occhi – oro, riflesso del sole su lacrime mai versate – fissi per l’ultima volta in quelli di lui, urlavano ogni parola che non avrebbe mai potuto pronunciare: che in fondo, forse, l’aveva amato, nonostante e a causa di tutto ciò che le aveva fatto, che in quello strano mondo nebbioso in cui era vissuta lui, solo lui, era stato la sua ancora, la fune mai spezzata, una linea di luce nella nebbia argentea che ormai l’avvolgeva di nuovo. Un lieve sorriso le sfiorò le labbra ormai livide e la mano tremò sulla pelle gelida di Draco. Con un ultimo sforzo girò il capo verso il bambino biondo, dai grandi occhi grigi spalancati - terrore, tristezza, colpa, angoscia – e il sorriso si addolcì nell’espressione morbida e rassicurate che solo una madre riesce, d’istinto, a donare ad un bambino.
Poi gli occhi di Ginny si chiusero e il suo corpo riposò immobile, con la serenità sul viso di chi, per la prima volta, si addormenta nella vera coscienza di essere… viva, madre, donna. Non una ballerina di vetro, i cui occhi si chiudono, meccanici, al chiudersi del coperchio del carillon dorato…

Il grido disarticolato di Draco rimbombò nella sala vuota, quasi a volerla abbattere – mura indegne di fare da spettatrici a quel momento, indegne di ospitare l’ultimo respiro di quel corpo, di quella donna, della sua donna… l’unica che avrebbe mai potuto avere.
Gridò, gridò finchè non ebbe più voce per farlo, finchè anche i singhiozzi di Nicolaj non furono più forti dei suoni che uscivano dalla sua bocca… gridò finchè l’unica cosa da fare fu restare lì, a cullare ciò che aveva perduto, e abbracciare ciò che restava… l’ultima ragione per continuare ad esistere quando ormai l’anima era morta. Con lei.

“Quando il tempo sarà passato, e la terrà scoprirà
i nostri due scheletri abbracciati, il mondo lo saprà
che Quasimodo amò Esmeralda, la raggiunse e la strinse a sé
senza i baci da respirare, nella morte che dà la vita
all’amore che mai non muore.

Il mio corpo l’ho abbandonato, mangiatelo avvoltoi
che la morte ha già incatenato i nostri nomi e noi.
La tua anima vola via da questo piccolo mondo perso,
il mio amore sarà una scia, tra le luci dell’universo…”

da “Notre Dame de Paris”

FINE

A questo punto mi sembra abbastanza inutile rispondere alle recensioni visto che è passato tanto tempo! Un grazie enorme comunque a tutte!!
Un bacio speciale a Savannah, Euridice e Chiara, alle quali dico soltanto “pelo… ora più che mai!”.

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Capitolo 19
*** The Unforgiven ***


EPILOGO: THE UNFORGIVEN

Aspettate ancora un istante, amici miei…
Solo un ultimo sogno questo vecchio cantastorie vi chiede di poter raccontare.
Di tutte le scene che i miei burattini di legno hanno mostrato a voi,
questa è la fine… e il principio, ciò che serve per poter continuare…

Continuare cosa? Ecco la domanda che vedo nei vostri occhi balenare.
Continuare a sognare, continuare a camminare…
perché non è per lui che la campana ha incominciato a suonare.
Non ancora, non per vederlo fermarsi e cadere.

Lui… lui che ha ancora qualcosa per cui lottare,
lui che è vivo per ricordare, ma ad un bambino deve insegnare a dimenticare,
lui…che su quella lapide bianca non può piangere le sue lacrime amare.
Lui, che a lei, nel suo cuore, riesce ora a parlare.

What I've felt, what I've known
never shined through in what I've shown.
Never free, never me
so I dub thee unforgiven

Non c’è nessuna immagine sulla tua lapide. Sarebbe stata troppo simile alla bambola di vetro che eri diventata e che avresti odiato essere, se soltanto avessi potuto rendertene conto. Ho fatto questa scelta: ho scelto di non rendere il tuo viso immortale più di quanto già non sia nella mia mente… sei già stata troppo vicina ad essere immortale sul serio.
Eppure vorrei guardarti. È stupido lo so: per così tanto tempo ti ho osservata, volgendo lo sguardo solo per non incontrare i tuoi occhi, che ora mi sembra irreale non poterlo più fare. Mi sembra irreale doverti considerare morta, costringermi a ricordare che sto parlando al nulla, a una pietra e un ramo di caprifoglio fiorito posato su di essa… non potrò mai accettarlo.
Dove sei, amica mia?
Parlo con te più spesso ora che non puoi rispondermi… chiamami pazzo, se vuoi. Del resto, quando mai hai potuto rispondermi? Cosa è cambiato rispetto a quando ti avevo accanto? Ora sei morta per il mondo, prima eri morta per te stessa. Per me… non lo sei mai stata.
Dove sei, piccola?
Voglio credere che tu sia in un posto meraviglioso e che stia correndo su un cavallo grigio, come facevi in Russia, quando ti lanciavi al galoppo sulla terra arida e gelata e ti fermavi soltanto quando né tu né il cavallo avevate più fiato. Voglio credere che se esistono degli dei, non si siano permessi di punirti per ciò che ti avevano costretta ad essere. Hai toccato in vita ogni limite di ciò che “prigionia” può significare, la morte può soltanto averti liberata…
C’è chi dice che i morti ci guardano, ci osservano da un non meglio precisato “lassù” e vegliano sulla vita di chi resta.
Già… come se avessi il coraggio di chiamare “vita” ciò che è rimasto di me.
E tu non sei lassù. Sei con me, ogni giorno, ogni istante, in ogni respiro continuo a sentire l’odore del caprifoglio che ti accompagnava ovunque. E nella fiamma di ogni candela non vedo che il riflesso dorato dei tuoi occhi. La tua presenza silenziosa mi accompagna, in ogni passo, come quando eri in Russia, tra le mura di quel palazzo, pietre bagnate da fiumi di lacrime che non potevi ricordare. Come puoi essere lontana, se non fai che seguirmi, se in ogni viso vedo i tuoi lineamenti, se in ogni sguardo vedo la dolcezza con cui hai guardato me… e la morte in faccia? Come puoi essere morta se ogni volta che nostro figlio sorride i suoi occhi hanno lo stesso riflesso dorato dei tuoi…

New blood joins this earth
and quickly he's subdued
through constant pain disgrace
the young boy learns their rules
with time the child draws in
this whipping boy done wrong
deprived of all his thoughts
the young man struggles on and on he's known
a vow unto his own
that never from this day
his will they'll take away

Nicolaj guarda la tua tomba, con i suoi occhi curiosi di bambino. Ma c’è una luce di tristezza nel suo sguardo, la stessa luce che brillava nel tuo dopo che lui ti aveva costretta ad uccidere. Dio… sembra così lontano quel momento, così tante cose sono successe, così tanto è stato distrutto - così tanto, da lasciare la tristezza rassegnata di chi uccide negli occhi di un bambino di sei anni. Che razza di divinità hanno permesso che l’unica soluzione rimasta fosse trasformare un bambino in un assassino?
Lo guardo… e non desidero altro che cancellare quell’espressione dal suo viso, non vorrei altro che il potere di accendere di nuovo la gioia spensierata di un bambino, di un figlio che avrei dovuto proteggere da ogni malvagità del mondo. È stato impossibile. E ora non mi resta che raccogliere i brandelli di questa vita e cercare di costruirne una per lui, cercare di mostrargli che la vita può offrire anche gioia… e forse, se gli dei lo permetteranno, imparerò a vivere anche io insieme a lui.
Nicolaj mi ha chiesto perché ci sono due nomi sulla pietra: Ginny e Sonja. Li ho fatti incidere entrambi. Perché in realtà ci sono due persone che dormono in questa tomba. Due persone che ti hanno dilaniato l’anima, uccidendoti alla fine.
Non so come farò a spiegargli che Ginny e Sonja sono tutte e due la sua mamma. Credo che in cuor suo abbia sempre saputo, con quell’istinto speciale che solo i bambini possiedono, che tu eri la sua mamma; ti chiama nel sonno, quando ha gli incubi… ti chiama Sonja, non mamma, ma chiama te. Del resto, anche quando si rivolge a me dice Draco, non papà… so che è triste, ma il solo fatto che lui sappia chi sono mi fa quasi dimenticare tutto il resto. Quasi.
Lo vedi, piccola mia? Dovunque tu sia, riesci ad essere orgogliosa di tuo figlio, riesci ad amarlo?
Riesci a vedere il mondo che hai lasciato… il mondo a cui tu hai regalato un futuro?

Non sono tornato in Inghilterra, Ginny. Quella non è più la mia casa. E non ce l’ho fatta a separarmi da te quindi il tuo corpo non riposa accanto a tuo fratello, accanto ai tuoi familiari… probabilmente è stato stupido da parte mia, ma non ho potuto lasciarti andare via. Scusami. Stai dormendo in un cimitero, poco fuori la nostra Mosca che si estende ora dietro di me, sotto il cielo rosso del tramonto. Nicolaj parla inglese e russo correttamente, sta imparando a non aver paura delle persone che non conosce e sta imparando a conoscere altri bambini. La sua bacchetta giace inutilizzata, in un cassetto della nostra piccola casa, così diversa rispetto al palazzo in cui era rinchiuso. Non so ancora cosa desidero per lui: a volte vorrei che dimenticasse completamente la magia e tutto ciò che Voldemort gli ha insegnato, ma so bene che ha troppo di te e di me per lasciare che il suo talento magico resti latente per tutta la vita. Ma per ora è ancora un bambino, non ha nemmeno l’età per possedere quella bacchetta legalmente, quindi va bene così: il tempo, la vita e la sua magia stessa decideranno per lui il momento giusto per ritentare a tessere un incantesimo.

What I've felt, what I've known
Turn the pages, turn the stone

Nella luce di questo tramonto vedo il riflesso dei tuoi capelli, piccola amica mia… vedo te, sento la tua voce cantare la ninna nanna al bambino addormentato che riposa sulle mie ginocchia, sento il tocco delle tue dita fresche nella rugiada che bagna il prato sul quale sono seduto. Tutto ciò che vorrei è cancellare il male che ti ho fatto e riaverti indietro. Ma non è possibile.
Ci rivedremo presto, Ginny. Il tempo necessario per crescere Nicolaj, per vederlo diventare uomo, non sarà che lo spazio di un respiro nel luogo in cui ti trovi. E l’agonia che sopporterò io, essere umano su questa terra, nell’aspettare quel momento, forse mi renderà degno di rivederti ancora. Per ora dormi, piccola. Dormi nel tuo luogo fatato, dormi nel luogo in cui ti trovi ora, in cui il male di questa terra non può più toccarti. Dormi e aspettami.

All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
Da “A Silvia”
Giacomo Leopardi

###############

Andata.
Grazie a tutte, sul serio per aver aspettato tanto negli ultimi mesi, e per avermi fatto tanti complimenti… non faccio ringraziamenti personalizzati perché è passato tanto tempo che non mi sembra sensato! Comunque ho davvero apprezzato il sostegno. Un bacio a tutti!!! Opalix

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