Harvest Moon

di chiaki89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Verità ***
Capitolo 2: *** Specchi ***
Capitolo 3: *** Novità ***
Capitolo 4: *** Sorveglianza ***
Capitolo 5: *** Tortura ***
Capitolo 6: *** Ritorno ***
Capitolo 7: *** Inquietudine ***
Capitolo 8: *** Festa ***
Capitolo 9: *** Passi - prima parte ***
Capitolo 10: *** Passi - seconda parte ***
Capitolo 11: *** Risveglio ***
Capitolo 12: *** Scoperte ***
Capitolo 13: *** Incidente - prima parte ***
Capitolo 14: *** Incidente - seconda parte ***
Capitolo 15: *** Pioggia ***
Capitolo 16: *** Funerale ***
Capitolo 17: *** Proseguire ***
Capitolo 18: *** Tentativi ***
Capitolo 19: *** Colpa - prima parte ***
Capitolo 20: *** Colpa - seconda parte ***
Capitolo 21: *** Arrivi ***
Capitolo 22: *** Segreti ***
Capitolo 23: *** Stranieri ***
Capitolo 24: *** Strategie ***
Capitolo 25: *** Voci ***
Capitolo 26: *** Avviso ***
Capitolo 27: *** Battaglia ***
Capitolo 28: *** Harvest Moon ***
Capitolo 29: *** Epilogo - Umani ***



Capitolo 1
*** Verità ***


 

 

VERITA’

 

 

Fin da quando ero stata trascinata in quella diabolica giostra chiamata “soprannaturale” l’avevo desiderato.

La sicurezza, il senso di appartenenza, la gravità alterata.

Costretta invece a vedermelo negato, per sempre. Ero inadatta, punto e fine. Non avevo la passionalità di Jacob, né la vivacità di Paul; ma neppure la pazienza di Quil o la simpatia di Jared.

Non ero nulla di tutto ciò.

Eppure non me ne importava più. L’imprinting non era più tra le mie priorità.

Perché, anche senza di esso, ero riuscita ad innamorarmi di nuovo.



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Capitolo 2
*** Specchi ***


SPECCHI

 


Era da un paio d’anni che la mia immagine riflessa non mi spaventava più. Dovevo una buona dose della mia nuova sicurezza alla succhiasangue bionda, Rosalie. Sette anni fa, all’epoca della mia trasformazione, non mi sarei mai e poi mai immaginata di poter diventare quasi amica di quella specie di ghiacciolo. La parola amica mi andava tuttora di traverso, ma non c’era altro modo per definire il nostro rapporto.

***

Era successo tutto quando il caro Jacob aveva pensato brillantemente di raccontare alla sua mezza vampira i miei impossibili desideri di maternità. E ovviamente quel mostro di Lochness in miniatura aveva spiattellato tutto alla zia. Anzi, alle zie. Meglio ancora, all’intera famiglia. Quando Jacob si era trasformato gli avevo dato l’opportunità di pentirsi profondamente di quella voragine sempre aperta che era la sua bocca. Quello che mi aveva fatto più incazzare, peraltro, erano gli sguardi di pietà dei Cullen che avevo letto nella mente di Jacob. Per tenermi buona il carissimo alfa mi aveva dato un lungo periodo di pausa, in cui avrei potuto evitare le ronde che mi avrebbero portato troppo vicina a quella famiglia di vampiri odiosi. All’epoca non ero ancora riusciti a perdonarli della loro semplice esistenza, che mi aveva stravolto la vita da cima a fondo.

Era quindi con notevole sospetto che accolsi l’apparizione di Rosalie davanti a me. Per pura coincidenza avevamo scelto lo stesso negozio di vestiti, nella minuscola Seattle? Un negozio di vestiti non firmati, per giunta. Non sembrava un posto che la bionda psicopatica (come Jake amava tuttora definirla) avrebbe frequentato. “Che vuoi?” dissi in tono poco meno che maleducato. Lei, incredibilmente, sembrava quasi timida. Non era il comportamento che mi aspettavo e questo fece crollare un poco la mia facciata rude. Più che altro ero perplessa. “Ecco, Jacob…”

Perfetto, aveva detto la parola magica. Mi voltai per andarmene, ma non avevo messo in conto la sua velocità formidabile, e me la ritrovai di nuovo davanti.

“Per l’ultima volta, succhiasangue, che diavolo vuoi da me?” dissi con un basso ringhio. La sua risposta mi lasciò spiazzata.

“Parlare”

Sbattei le palpebre immobile per cinque secondi buoni, il tempo sufficiente per spazientirla e far crollare anche la sua, di facciata.

“Senti, Leah, non so neanche io cosa mi sia preso, perciò non chiedermi il perché lo faccio o cose simili.” Una vampira può impazzire? mi chiesi. Ed ebbi un curioso senso di deja-vù.

“Non arrabbiarti, ma continuo a pensare a quello che ci ha raccontato il cane pulcioso a tuo riguardo. E volevo parlarti”

“Fatti gli affari tuoi. E allontanati, la tua puzza mi dà la nausea”

“Lo so che ti sembrerà strano, ma ti capisco perfettamente”

“Ecco, quindi anche tu comprendi che i nostri odori non sono per nulla compatibili. Perciò lasciami….”

Non mi diede neanche l’opportunità di finire la frase. “Bambina idiota. Non parlavo dei nostri odori!” I suoi occhi lanciavano fulmini quasi fisici e per un istante fui convinta che fosse quello il superpotere di Rosalie. “Parlavo della maternità”. Se non fosse stato per il suo sguardo incredibilmente serio probabilmente l’avrei apostrofata con qualche parolina che mi avevano insegnato i miei fratelli.

Evidentemente, però, non solo i vampiri possono impazzire.

“Adesso vuoi parlare con me, Leah Clearwater?” chiese di nuovo.

Dovevo essere pazza per accettare una cosa del genere.

Mi limitai ad annuire come un ebete.

Ebbene sì, anche i licantropi possono impazzire.

Quel giorno, e molti altri a seguire, sarebbero rimasti impressi nella mia memoria. Era vero, Rosalie riusciva a capirmi, più di quanto non l’avesse fatto nessun altro. Eravamo partite parlando del nostro “problema” comune, ma pian piano cominciammo a discutere di altro; in poche parole, cominciammo a conoscerci. E nonostante la sua bellezza accecante, riuscì a restituirmi un po’ di autostima. Mi dimostrò che potevo essere donna anche con i capelli corti e mi insegnò che il mio corpo poteva, doveva essere valorizzato. In cambio io cercai di farle capire il valore di ciò che già possedeva, tipo il suo massiccio compagno. Non volevo dover essere in debito con quel pezzo di ghiaccio.

Restavamo quelle di sempre: io, irritabile e irritante, sempre pronta ad attaccar briga e lei, vanitosa e superficiale, convinta che la sua bellezza vincesse su tutto.

Non eravamo cambiate di una virgola (continuavo a chiamarla succhiasangue) eppure potevamo dirci amiche. Quasi.

***

Osservai di nuovo il mio riflesso. Ci tenevo ad essere almeno presentabile per la festa di fidanzamento tra Jacob e la mutante. Non avevo acconciato i capelli, che rimanevano nel loro solito caschetto, ma avevo deciso di osare un po’ di trucco, come mi aveva consigliata, anzi obbligata, quella bionda psicopatica. Così come ero stata costretta ad indossare un vestito di seta rosso lungo fino al ginocchio e un paio di scarpe con il tacco a spillo. Ma per quanto riguardava l’abbigliamento sospettavo che ci fosse lo zampino della vampira-nana.

Fui distratta da una serie di tonfi fuori dalla mia camera. “Lee, sei pronta?”. Ah, mio fratello. Come al solito era più che impaziente di andare a trovare i cari vampiri. Quell’idiota di Seth proprio non aveva nessuna percezione di ciò che significava “nemici mortali”. Ma poi pensai a Rosalie e ingoiai un insulto.

“Certo, caro fratellino” risposi sarcastica aprendo la porta. Lui mi squadrò da capo a piedi, facendo risalire in superficie la mia vena acida. “Accidenti, Lee, sei uno schianto!”

“Attento a non farti venire l’imprinting con me, idiota” Lui fece un verso come un toro imbufalito, che mi fece tenerezza. Gli arruffai i capelli. “Dai, andiamo. Altrimenti Jake comincerà a dare i numeri”.

***

Seth guidava allegro, canticchiando una stucchevole canzone d’amore. Pur di interromperlo, gli feci una domanda inutile. “Dove sono mamma e Charlie?”

“Sono già dai Cullen, è ovvio. Charlie vuole rimanere vicino alla sua nipotina adorabile il più possibile”

“Chi resta di pattuglia stasera?” chiesi pigramente.

“Oggi è festa” disse stringendosi tra le enormi spalle.

Ormai le ronde erano solo per proteggerci da eventuali vampiri nomadi, ma in verità non c’era molto da fare. Probabilmente si era diffusa la voce della nostra presenza nella zona. E ogni volta che arrivava qualche ospite dei Cullen venivamo avvertiti con notevole anticipo, grazie alla vampira che leggeva il futuro. L’unico vero momento di tensione dall’attacco dei freddi italiani era stato tre anni fa, quando la vampira aveva lanciato un falso allarme a riguardo. Sfortunatamente si era risolto in un nulla di fatto, visto che alla fine quei Volturi, come mi pareva che si chiamassero, avevano cambiato idea e non si erano neppure avvicinati all’America.

Seth aveva ricominciato a cantare. Sentii l’irritazione crescermi dal profondo, come se non mi fosse già necessario tutto il mio autocontrollo per entrare nella casa dei vampiri. Non avevo intenzione di sopportare oltre.

“Seth, lei non ci sarà. Piantala.” Dissi acida.

Lui finse di non capire. “Di chi stai parlando?”

“Seth, non sono stupida. E penso neanche tu. Rosalie mi ha detto che non ci sarà, intesi?”

Guardai con una certa dose di compiacimento le sue spalle afflosciarsi, ma ebbi anche una fitta di senso di colpa. Era pur sempre mio fratello. Ed era così tipico di mio fratello prendersi una cotta per una vampira. Fortunatamente Maggie, la succhiasangue del clan irlandese con i capelli rossi, era dall’altra parte dell’oceano, dove non poteva alimentare le speranze di Seth. O almeno così ci stavamo tutti ripetendo da più di sei anni.

Persino io ero riuscita a mettere una pietra sopra al mio amore per Sam. Certo, è più facile rinunciare ad ogni speranza quando sei la damigella della donna che sta per sposare l’uomo che hai sempre amato.

Se non altro il colpo mi aveva obbligato ad uscire da quella spirale di amore, rancore e dolore.

Non ero sicura di non amare più Sam, ma almeno ero riuscita a bandire i sentimenti dalla mia mente. Il cuore, invece, mi rifiutavo di ascoltarlo da quando Emily e Sam si erano sposati. Era come guardare la mia vita dagli occhi di qualcun altro: non potevo viverla davvero, però evitavo di soffrire. E mi divertivo a far soffrire gli altri, per alleggerire un po’ il mio fardello. Così rimanevo la solita acida Leah, come tutti ormai mi conoscevano.

Arrivammo a casa Cullen nel momento esatto del crepuscolo.

Tutti avevano concordato sull’orario, nel timore che qualche umano potesse vedere i succhiasangue alla luce del giorno: a Charlie sarebbe venuto un infarto.

Come a mio padre.

Lui avrebbe avuto abbastanza fegato da guardare i vampiri luccicare come diamanti, ma non aveva retto alla vista di entrambi i suoi figli divenire licantropi. Soprattutto non si aspettava che io, sua figlia, sarei potuta diventare una di loro. Un orrendo scherzo del destino. E mio padre era morto per colpa nostra.

Anzi, la colpa era mia.

Probabilmente avrebbe sopportato la sola trasformazione di Seth, sarebbe stato anche motivo d’orgoglio. Ma io…

“Lee, che ne diresti di scendere dalla macchina? Ci aspettano” Inghiottendo una risposta decisamente cattiva, uscii dall’auto sbattendomi la portiera alle spalle.

La vampira nana turbino giù dalle scale del porticato e mi raggiunse. “Leah, quel vestito ti sta meravigliosamente! Lo sapevo!”. Ci avevo visto giusto. Era lei ad aver scelto il vestito. Mi dissi che almeno per una sera potevo sforzarmi di essere educata.

“Ti ringrazio, Alice”.

Avrei anche dovuto dirle che aveva un gusto impeccabile, e che il baldacchino pieno di nastri bianchi, dorati e marrone chiaro era superlativo, così come l’illuminazione morbida fornita dalle torce che lo circondavano. Ma quello andava oltre le mie capacità. Era già tanto che non la insultassi per i tacchi a spillo che mi aveva propinato.

“Sono contenta che ti piaccia!” trillò allegra.

Ecco, non esageriamo.

Mi raggiunse anche Rosalie, così bella da farmi quasi venire voglia di eclissarmi, insieme ad Esme. Bella seguiva a pochi passi, come se avesse a che fare con un animale pericoloso. Un pochino mi dispiaceva, in fondo non era vero che non la sopportavo. Certo, non andavo matta per lei, ma non la odiavo neppure. E lei era sempre stata molto delicata e gentile nei miei confronti.

Sorrisi per l’accoglienza tutta femminile.

 “Buonasera” dissi con il tono più cordiale possibile, che con mio stupore risultava perfino convincente. “Ciao Leah” disse Rosalie; sembrava relativamente contenta di vedermi. Esme mi sfiorò leggermente e mi fece girare su me stessa. “Sei davvero incantevole, cara”. Era impossibile arrabbiarmi per il suo tocco troppo familiare, Esme aveva una dolcezza intrinseca che la riparava dall’attacco che avrei sferrato a chiunque altro avesse fatto lo stesso gesto. Sorriderle con sincerità non fu troppo difficile.

“Stai davvero benissimo…” balbettò Bella, imbarazzata. Se non fosse stata vampira, le sue guance sarebbero certamente avvampate.

Su, Leah, almeno stasera fai la parte della brava ragazza.

“Grazie, Bella.” Risposi gentilmente. “Dov’è tua figlia? Immagino che Alice si sia divertita come una pazza con lei, sono curiosa di vedere il risultato”

Una cascata di risate cristalline seguirono la mia frase. Le avrei picchiate. Beh, forse Esme no. E neanche Rosalie, se non si fosse messa in mezzo.

Bene, ero ufficialmente bipolare. Passavo dalla cordialità più totale alla rabbia più intensa. Sarei sopravvissuta ad un’intera serata tra i succhiasangue?

“Renesmee scenderà tra poco. Alice ha preteso un’entrata trionfale per rendere giustizia alla sua opera” rispose Bella, apparentemente sollevata dalla mia parvenza di civiltà. Per fortuna non poteva leggermi dentro.

Cazzo, il leggi pensieri.

Mi stava osservando dal porticato e la sua espressione non sembrava affatto felice.

Senti, succhiasangue. Io sono quella che sono, non mi puoi cambiare. Ma ti garantisco che non vi rovinerò la serata. Non odio Nessie e tantomeno Jake.

Lui annuì impercettibilmente, a dimostrare che aveva capito e che accettava le mie condizioni. O almeno speravo che fosse così. Non avevo mai avuto davvero modo di appurare se i vampiri fossero intelligenti, ma sperai ardentemente che Edward lo fosse. Ero sicura che Jacob non avrebbe apprezzato che facessi a pezzi il suo futuro suocero durante la festa di fidanzamento.

Il succhiasangue in questione ridacchiò, neanche in modo troppo discreto. Sentii montare la rabbia, ma avevo promesso che mi sarei comportata bene. Per Jacob, mi ripetei, per Jacob.

Le vampire mi stavano ancora fissando, visto che ero rimasta in silenzio così a lungo.

Merda.

Sfoggiai il mio sorriso più luminoso (e falso) ed indicai la porta d’ingresso della casa. “Sono così impaziente di vedere Renesmee che mi sono persa nei miei pensieri”

Sia Bella che Esme risposero con uno sguardo raggiante, mentre Rosalie mi squadrava con il sospetto più fosco. Alice non c’era più. Stava aiutando il grosso compagno di Rosalie a sistemare le vetrate intorno al baldacchino. C’erano pochissimi umani invitati, ma evidentemente le era sembrato giusto proteggerli dalla frizzante aria notturna. Inoltre Bella si sarebbe sentita in colpa anche se suo padre si fosse preso un semplice raffreddore.

L’arrivo di Jacob mi liberò da quella situazione imbarazzante. “Leah, sono contento che tu sia venuta!” e mi abbracciò brevemente. Sapeva che non amavo il contatto fisico ed essendo Jacob fino al midollo non fece commenti sul mio vestito. La cosa mi mise finalmente a mio agio. “Non potevo mancare” risposi, stavolta sincera. “E poi come potevo perdermi lo spettacolo di te vestito da persona perbene? Certe cose si vedono solo una volta nella vita!” ridacchiai. Lui stava per ribattere a tono, ma fu interrotto.

“Tecnicamente, sarà vestito da pinguino anche il giorno del matrimonio, quindi certe cose si vedono solo due volte nella vita” ricordò Quil, accompagnato da Embry, Paul e Jared. Ovviamente, tutti accoppiati. Persino Embry aveva avuto l’imprinting. Bleah.

Almeno la sua ragazza, Sarah, era genuinamente simpatica.

Jacob si preparò a caricare un pugno, ma fu interrotto dai sospiri di tutte le ragazze (vampire comprese) che si erano girate verso l’ingresso della casa.

Renesmee era uno spettacolo delizioso. I suoi boccoli biondo rossicci brillavano tenui alla luce del crepuscolo, lunghi fino alla vita. Ma ancor più brillavano i suoi occhi mentre fissava con sicurezza e devozione il suo amato Jacob. La sua pelle color panna si tinse di rosa sulle guance ed il battito del suo cuore accelerò notevolmente. L’abito verde smeraldo che Alice aveva scelto per lei le fasciava perfettamente il corpo di donna, rendendola ancora più aggraziata di quanto non fosse già. Teneva suo padre a braccetto e i due nonni, Charlie e Carlisle, li seguivano subito dietro. Jacob la fissava come se tutta la luce del mondo provenisse esclusivamente da lei, con uno sguardo profondamente rapito.

Tutti noi ci eravamo raccolti a metà strada tra i gradini del porticato e il baldacchino, e riuscii così a vedere gli ospiti che non avevo notato. Il vampiro che influenzava l’umore, Jasper, e il clan di Denali. Magnifico. Chissà che combriccola si raccoglierà al loro matrimonio.

Vicino a Jasper si trovava Seth e coraggiosamente la mamma si era messa accanto a lui. Gli altri miei fratelli facevano gruppo con loro due: c’erano praticamente tutti, tranne Sam. Sorvolai sul pensiero e guardai con grande rispetto Billy accanto a suo figlio, seduto sulla sedia a rotelle. Anche così emanava un’aura piena di dignità e potere.

Con passi misurati Renesmee raggiunse Jacob e gli sorrise timidamente. E lui, da vero Jacob, la prese tra le braccia sollevandola da terra e la baciò. Scoppiò un applauso scrosciante, al quale mi unii di malavoglia.

La verità è che sei invidiosa.

Stasera la mia vocina interiore non aveva davvero nulla da fare. Che strazio.

Tutti confluimmo tranquillamente verso il baldacchino chiuso, pronti a festeggiare il fidanzamento. Ogni cosa mi ricordava la festa di fidanzamento di Sam ed Emily. Troppo.

Gli invitati licantropi che si lanciavano sul cibo.

Gli sguardi beatamente innamorati dei festeggiati.

Gli sguardi inteneriti degli ospiti.

La musica romantica che si diffondeva nell’aria attraverso lo stereo.

Cercai di parlare normalmente con tutti, sforzando sorrisi, fabbricando complimenti che non pensavo, fingendo una gioia che non provavo. Non nel profondo almeno.

Ero felice per quei due, sinceramente. Avevo perdonato Renesmee e Jacob  per quella mancanza di riservatezza di due anni fa, alla fine ci avevo persino guadagnato.

Ma non ero felice per me stessa.

Mi girai verso una delle enormi vetrate, di certo assurdamente costose. E mentre mi trastullavo con l’idea di distruggerle misi a fuoco il mio riflesso, che mi guardava fisso. E ancora oltre il mio riflesso, vidi l’immagine speculare della festa alle mie spalle. Tutti ridevano, ballavano, chiacchieravano. Io invece ero sola. Immensamente sola davanti a quell’immenso specchio.

E fui costretta ad ammetterlo.

Forse, ho ancora un po’ paura degli specchi.



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Capitolo 3
*** Novità ***


NOVITA’

 

 

La festa era stata un vero successo. Tutti erano felici e soddisfatti.

Eccetto la sottoscritta, naturalmente.

Ma per non mancare alla parola data ero riuscita a mantenere la facciata cordiale tutta la sera. Mi ero persino lasciata trascinare nelle danze dai miei fratelli, anche se avevo ringhiato leggermente quando il vampiro medico aveva tentato di chiedermi un ballo. Quello sarebbe stato davvero troppo. Per fortuna però nessuno mi aveva notato; tutti erano troppo rapiti da Jacob e Renesmee che tubavano sfacciatamente.

C’erano così tante coppie da farmi venire il voltastomaco. Puah.

Alla fine della festa ero salita in macchina con autentico sollievo insieme a Seth e gli avevo sorriso in modo genuino. Lui parve sorpreso per quella dimostrazione di contentezza, ma per fortuna non ne individuò la fonte. Lasciai che si convincesse che ero felice per la serata. Che idiota, solo lui poteva pensare una cosa del genere.

“Splendida serata, davvero. Era da parecchio che non mi divertivo così tanto” Lui e il suo carattere vampirofilo. Dava sui nervi. Non capivo come potesse divertirsi in mezzo a dei succhiasangue, anche se “vegetariani”.

Mi limitai a rispondere con un ghigno, lasciando di nuovo che lo interpretasse a suo piacimento. “La mamma?” chiesi.

“Resta da Charlie stasera”

Sbuffai. “Perfetto. Magari un giorno tornerà a casa, chissà. Ma presumo che si sia scordata di avere dei figli: preferisce il papà della vampira” dissi caustica. Seth mi guardò malissimo. “Andiamo, Lee. Anche la mamma si merita di essere felice. E poi non è vero che sta sempre con Charlie. Siamo noi che stiamo troppo spesso fuori casa, anche se non abbiamo ronde” Era vero, ma non avevo alcuna intenzione di dargliela vinta. Lo guardai un attimo come se fosse un bambino con il quale esercitare pazienza, e non profferii più parola.

Arrivata a casa mi affrettai a salire le scale, avevo bisogno di stare da sola. “Leah, ascolta…” “Ho sonno Seth. E domani sono di pattuglia. Fammi andare a dormire” Visibilmente contrariato, borbottò un certo che sembrava un insulto.

Non mi importava stavolta. Mi sentivo esausta fisicamente ed emotivamente. Avevo terribilmente bisogno di lasciar sedimentare tutte le emozioni, come al solito, e seppellirle sotto la mia acidità. Non avevo alcuna intenzione di essere compatita. Da nessuno, neppure dai miei fratelli. Ero diventata davvero brava a nascondere le cose, nonostante il nostro collegamento mentale. Abilità femminile? Forse.

Mi chiusi in camera e tolsi con scarsissima cura l’abito di seta: ero certa che Alice non se ne sarebbe preoccupata. Probabilmente quella nana si sarebbe arrabbiata di più se l’avessi indossato in un’altra occasione.

Seminuda mi lanciai sul letto e presi ad osservare le venature nel legno del soffitto. Un occhio umano non sarebbe mai riuscito a vedere tutti i misteriosi sentieri che vi erano tracciati: seguendoli, ben presto mi abbandonai al sonno.

***

Finalmente potevo correre nella foresta, senza nessuno in mezzo ai piedi. O meglio, in mezzo alle zampe. Adoravo la sensazione di libertà della corsa a briglia sciolta: il pelo che si appiattiva sul corpo, gli artigli che graffiavano il terreno e la consapevolezza di essere irraggiungibile. Quel giorno potevo persino beneficiare della solitudine mentale in forma di lupo, visto che i membri del mio branco preferivano riposarsi dopo la festa. Io invece ne avevo approfittato per potermi godere questi preziosi e irripetibili istanti di libertà. Il cielo era azzurro e limpido, il sole di marzo scaldava quel tanto da rendere la temperatura dell’aria veramente piacevole. Una cosa quasi inaudita nella zona di Forks. I succhiasangue sarebbero andati a cacciare lontano, liberandoci della loro presenza. Non potevo sperare in una giornata migliore.

Correvo abbandonandomi ai miei istinti e annusando i profumi deliziosi della boscaglia, mentre seguivo il perimetro del nostro territorio. Decisamente un giorno meraviglioso.

Improvvisamente una scia di odore mi colpì come un maglio. Mi bruciava il naso in modo incredibile, come se stessi respirando fuoco. Si trattava chiaramente di un vampiro.

Mi lanciai subito sulla scia che puntava con decisione all’interno della riserva. Non era uno dei Cullen, avrei riconosciuto il loro odore; inoltre, anche se mi scocciava ammetterlo, non si sarebbero mai permessi di entrare a La Push senza il nostro consenso.

Era un nemico.

Ululai forte, senza interrompere la corsa, sperando che qualcuno dei miei fratelli si muovesse a darmi man forte. Non che ne avessi bisogno, ovviamente, ma si sarebbero incazzati terribilmente se non li avessi invitati alla rissa.

Modesta come sempre, Leah.

Fatti gli affari tuoi, Quil. Torna a giocare con Claire, se preferisci.

Non mi giunse risposta, a parte un torrente di emozioni negative. Ma non potevo farmi distrarre. Grazie alla mia velocità ero sempre più vicina all’obiettivo. Sbucai in una radura e mi bloccai, ringhiando. Il vampiro se ne stava beato alla luce del sole, rilucendo come un caleidoscopio, e mi guardava con blando interesse, come se fossi un animale di passaggio. Il pensiero mi fece ringhiare ancor più forte. Il succhiasangue sorrise scuotendo la testa, facendo rifulgere i suoi capelli di un biondo pallidissimo. “Non ci siamo proprio con l’educazione, mio caro amico mutaforma. In fondo non ho fatto nulla di male”.

Mi stava suggerendo di essere educata nei suoi confronti? Mi mossi minacciosa verso di lui, continuando a ringhiare selvaggiamente. Già lo odiavo per la sua strafottenza.

I suoi occhi scarlatti mi guardarono stavolta circospetti. Mi stava valutando attentamente ed io facevo altrettanto. Mi serviva Quil, dovevo ammetterlo. Non potevo sapere quanto quel succhiasangue fosse forte e non potevo rischiare.

Hey, pezzo d’un deficiente. Quanto ci metti ad arrivare?

Sto cercando di avvisare anche gli altri. Arrivo tra un minuto con i rinforzi.

Il vampiro distolse lo sguardo e si sfiorò distrattamente il lungo codino che gli scendeva tra le scapole. Un atteggiamento da principiante: non ci si distrae davanti ad un nemico.

Forse mi ero sbagliata. In fondo non sembrava troppo pericoloso. Tutto sommato, potevo provare ad attaccarlo da sola. Non sarebbe stato difficile.

Leah, stupida, cosa credi di fare?

Ignorai totalmente le parole di Quil e feci un balzo aggressivo verso il succhiasangue, puntando alla sua gola. Lui mi sorrise in un modo che avrebbe fatto invidia a Lucifero, gli occhi color sangue rilucevano di malizia. Non riuscii mai a raggiungerlo.

All’improvviso mi sentivo bloccata sulle mie zampe, incapace di muovermi.

“Amico mio, ti suggerirei di sederti. Mi sembra un primo passo verso una discussione civile”

Contro la mia volontà, mi sedetti. Ridacchiò. Il mio sguardo di sorpresa doveva essere abbastanza evidente, se lui riusciva a vederlo anche mentre ero trasformata. Batté le mani deliziato.

“Benissimo. Ora che sei comodo, direi che posso presentarmi. Mi chiamo Jeremy e sono il tuo nuovo vicino di casa”. Ringhiai incredula. I Cullen ce l’avrebbero detto. Ci avrebbero avvisato dell’arrivo di un nuovo membro nella congrega. Inoltre questo succhiasangue pareva particolarmente idiota, visto che era convinto che io fossi un uomo. Stava certamente mentendo, convinto che ci sarei cascata.

Intanto continuava il suo sproloquio.

“Mia madre diceva sempre di non giocare col cibo, ma visto che hai un tanfo tutt’altro che appetitoso non ti posso proprio considerare tale, mi spiace”

Come se lo desiderassi! Questo è il vampiro più imbecille della storia! Quil, muoviti, voglio ammazzarlo!

Stiamo arrivando! Tieni duro!

Non avere paura! Rincarò Embry.

Chi ha detto che ho paura, cretino?! Voglio solo che mi liberiate, così lo faccio a pezzi!

Non capivo come cavolo mi avesse immobilizzato, ma arrivati i miei fratelli questo non sarebbe stato più un problema.

“Mi perdonerai dunque se gioco un po’ con il mio potere di controllo usandoti come cavia, amico mio.” continuò il vampiro.

Lo guardai con occhi sgranati.

“Oh, non l’avevi capito? Sono in grado di controllare mente e corpo di chiunque”

Sentii il gelo impadronirsi di me, nonostante la mia temperatura corporea toccasse i 42 gradi.

Ragazzi, andate via.

Leah, non ti lasciamo! Stiamo arrivando! pensarono all’unisono.

Branco di poppanti, filate! E chiamate Bella, solo lei può fare qualcosa.

Sentivo salire la bile al solo pensiero di dover chiedere aiuto ad una succhiasangue. Ma non potevo permettere che i miei fratelli finissero ammazzati per colpa del mio orgoglio e del mio odio verso i freddi. Nascosi questi ultimi pensieri ai ragazzi e cercai di rilassarmi. Il massimo che poteva fare quel vampiro platinato era uccidermi e non ero del tutto sicura che la cosa mi sarebbe dispiaciuta. Santo cielo, probabilmente non sarebbe dispiaciuto neanche agli altri, pensai amaramente. La mia espressione dovette riflettere i miei pensieri, perché l’imbecille che avevo di fronte arrischiò una battuta che se fossi stata libera gli sarebbe costata la vita.

“Ehi, lupacchiotto. Piangi?” Il succhiasangue sembrava perplesso e vagamente divertito.

Ringhiai con tutte le mie forze, incapace di muovere un solo passo nella sua direzione: ma ebbi la soddisfazione di vederlo indietreggiare leggermente. Provai a riflettere. Se mi fossi trasformata sotto i suoi occhi forse sarei riuscita a distrarlo il tempo sufficiente a permettermi una fuga. Non che sperassi davvero di sfuggirgli, ma se non altro lo avrei allontanato un poco dalla riserva.

Sarei stata vulnerabile: non mi importava. Mi preparai alla trasformazione.

Leah, no! Non trasformarti! La voce di Jacob portava il doppio timbro dell’alfa e mi impedì di tornare alla mia forma umana.

Non eri tu che dicevi che non avresti mai dato ordini? Pensai notevolmente irritata.

Scusa, l’agitazione mi ha fatto perdere il controllo.

Non era da Jacob far emergere il suo affetto e la rivelazione mi fece vagamente piacere. Forse non stavo così antipatica a tutti i fratelli.

Non esagerare, Leah.

Ridacchiai, ma subito dopo tornai seria.

Che succede, Jake?

Tranquilla, questo succhiasangue era atteso. Ha solo avuto il cattivo gusto di venire a curiosare nel nostro territorio. Bella, Edward e Carlisle stanno arrivando.

Cosa? Era atteso? E quando pensavi di dircelo, sua maestà alfa?

Chiudi il becco Leah. E non mostrarti aggressiva verso di lui.

Sentivo la rabbia montare sempre di più. Altro che cani da guardia! Adesso dovevamo pure sopportare che gli ospiti dei Cullen bazzicassero nel nostro territorio! E senza neanche punirli! Cosa eravamo diventati? Jake si era evidentemente rammollito da quando aveva avuto l’imprinting con la mutante, prima non avrebbe mai concesso un abominio simile: al vampiro sarebbe stata staccata la testa senza indugi. Adesso invece gli facevamo da scorta. Ephraim Black si sarebbe messo a piangere di vergogna.

Adesso basta.

Sbuffai e tornai a controllare l’immortale platinato. Bleah.

Sembrava aver percepito che il mio sguardo era ostile ma non più pericoloso, quindi si azzardò a lasciarmi libera.

Mi scossi come se fossi appena uscita da un fiume e mi accucciai di nuovo, tenendolo d’occhio. Lui sembrava in ascolto e seguii il suo esempio. Ah, stavano arrivando. I loro fruscii erano inconfondibili. Entrò nella radura prima Edward, poi Bella e per ultimo Carlisle. Jacob entrò da un altro punto quasi contemporaneamente.

“Jeremy, benvenuto.” Disse Edward con cordialità. Tirai una zampata a terra con violenza, ad indicare che non mi univo al “benvenuto”.

Carlisle si fece avanti. “Jeremy, sapevamo del tuo arrivo, ma non immaginavamo che avresti deviato in questa direzione. Avresti dovuto seguire la via diretta verso la nostra casa”.  Il suo tono era severo.

“Scusatemi. Ero solo curioso di esplorare un po’ il territorio. Non pensavo ci fossero problemi” concluse guardandomi di sfuggita. Lo fulminai con uno sguardo totalmente non cordiale.

“Questo territorio è di proprietà dei Quileute. Non ci è permesso stare qui. Oggi i nostri amici hanno fatto un’eccezione perché ti riportassimo indietro, ma la cosa non si dovrà mai più ripetere”

“Comprendo.” rispose Jeremy apparentemente mortificato, e si inchinò verso me e Jacob. “Vi chiedo scusa dal profondo del mio roccioso cuore”

Sbuffai dalle narici. Le scuse sembravano sincere, tuttavia non sarei mai riuscita a fidarmi davvero di un succhiasangue. Soprattutto, uno come quello.

Leah, comportati bene.

Evitai di rispondere. Mi accorsi che Embry e Quil stavano già tornando a casa in forma umana, visto che l’emergenza si era risolta. Ero sicura che avrebbero immediatamente diffuso la notizia.

Adesso mi trasformo, così posso parlare con questo succhiasangue nuovo. Girati.

Non farlo, Jake! Non puoi chiedere al leggipensieri di farlo? L’alfa non poteva essere messo in pericolo, ne andava dell’integrità del branco.

Lo sai che mi dà fastidio.

Lo capivo d’altronde. Non era piacevole avere Edward come traduttore, nonostante fosse un nostro alleato. Un ghigno si aprì sul volto del vampiro in questione, che preferì limitarsi a stringere la mano a Bella invece di fare scenate. Saggia decisione.

Jacob si trasformò in un istante con la solita maestria. Sentii il fruscio dei vestiti indossati e mi voltai di nuovo. Volevo seguire la discussione anche con gli occhi: continuavo a non fidarmi.

“Sono l’alfa del mio branco, mi chiamo Jacob” si presentò.

“E’ un vero piacere conoscerti” rispose Jeremy educatamente.

“Continuerà ad essere un piacere solo se rispetterai le leggi. In caso contrario, avrai un intero branco di lupi pronti a farti a pezzi. Poteri speciali o no”.

“Non accadrà più, promesso” disse lui. “Ma come mai il tuo amico non si mostra in forma umana? Insomma, mi sembrerebbe corretto che si presentasse anche lui”

Evidentemente si divertiva a provocarmi.

Tutti mi guardarono allarmati. Valutai la possibilità di rimanere in forma lupesca giusto per fargli dispetto: mi ricordai però che da umana potevo vomitargli addosso tutti gli insulti che volevo. Che liberazione.

Sentii il leggipensieri ridacchiare e stavolta non potei arrabbiarmi.

Feci segno di sì con il muso e Jacob ordinò a tutti di girarsi.

Mi trasformai rapidamente ed indossai il vestito semplice di cotone marrone che avevo legato alla caviglia. “Fatto”

Quando il vampiro platinato si voltò ebbi la soddisfazione di vederlo stupito per un secondo buono. Presi fiato per dare libero sfogo alla mia volgarità ma lui mi precedette con una risata decisamente maleducata.

“E così, quel cosino è un lupo? Avete anche donne-lupo? Ridicolo! Inaudito!” continuò a sghignazzare.

“Ehm, lei è l’unica…” rispose cautamente Jacob, guardandomi.

Prova a controllare questo, pezzo di idiota.

Raccolsi un grosso masso di granito e lo scagliai con precisione. Gli staccai di netto un braccio. Mi permisi di rivolgergli un sorriso compiaciuto, consapevole che stavo giocando col fuoco.

“Tu…” ringhiò rabbioso. Sentii che stava prendendo controllo del mio corpo ma non me ne importava. Avevo avuto la mia rivincita.

“Jeremy, no!” esclamò Bella ed estese il suo scudo su di me.

“Fatti gli affari tuoi, succhiasangue. Non ho bisogno della tua protezione”. Bella mi guardò scioccata e ridusse immediatamente lo scudo. La mia personalissima tregua della sera prima era finita.

Nel frattempo il vampiro biondo mi aveva lasciato andare. Senza dire altro, lasciai i vampiri e il caro Jacob da soli nella radura. Non volevo avere niente a che fare con loro.

Ma come al solito, i miei desideri non si avveravano mai.

 

 

 

*Note dell’autrice*: ci tengo a ringraziare di cuore tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle seguite o alle preferite, e anche chi ha recensito. Quindi grazie, grazie e ancora grazie! Se volete fare qualche commento o critica a me fa molto piacere, mi dà l’opportunità di migliorare e di capire se quello che scrivo vi piace oppure vi fa schifo! Alla prossima!

@rasonier: sono contenta che la storia ti piaccia! Spero che vorrai continuare a seguirla! ^_^

@ Shin_Igami: Sono….commossa! Non mi merito questi complimenti, davvero…mi auguro solo di non deludere troppo le tue aspettative!

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Capitolo 4
*** Sorveglianza ***


SORVEGLIANZA

 

 

“Leah, potevi comportarti meglio”.

Sbuffai poco convinta. “Jake, un succhiasangue nel nostro territorio è più di quanto io possa sopportare, e tu lo sai. E presumo che i nostri fratelli la pensino allo stesso modo”.

Quil scosse la testa. “Di certo non ci fa piacere. Ma l’invasore non era al corrente del nostro patto e tutti si sono scusati. Mi sembra che tu stia ingigantendo la questione”

La rabbia che avevo dentro aveva superato già da un pezzo limiti allarmanti. Adesso avevo contro pure il branco. Non mi sbagliavo quindi: eravamo davvero i fedeli cagnolini dei succhiasangue.

“Leah, la colpa è soprattutto mia. Ero al corrente dell’arrivo di Jeremy”, continuò Jacob senza darmi l’opportunità di ribattere con qualcosa di decisamente velenoso.

“Lo chiami pure per nome?”, chiesi a metà tra lo sconvolto e l’infuriato.

Lui ebbe la decenza di mostrarsi almeno in imbarazzo. “Beh, presto farà parte della famiglia di Nessie, quindi…”.

Gli altri fratelli ridacchiarono. La riunione sulla “nuova minaccia vampiresca” era diventata una continuazione stucchevole della festa di fidanzamento della sera prima. Mi dava la nausea essere circondata da un tale branco di imbecilli ormai arresi allo stile di vita vampirofilo. Adesso anche il branco di Sam era diventato estremamente tollerante.

Jacob colse il mio sguardo fulminante e si riscosse dalle sue fantasie smielate sulla mutante.

“Ok ragazzi, parliamo di cose serie. Jere…”. Mi guardò un attimo e tossì teatralmente. “Il nuovo vampiro si è trasferito dai Cullen per una sorta di “esperimento vegetariano”. Il suo clan in Alaska ha sentito parlare dei Cullen dopo la fuga dei Volturi e hanno a lungo riflettuto sull’opportunità di unirsi a loro. Alla fine hanno deciso di inviare un solo membro della congrega per vedere se la dieta a base di sangue animale fosse uno stile di vita abbordabile. Jeremy si è offerto volontario e quindi eccoci qui, con un nuovo vampiro nella zona.”.

Sam non pareva molto convinto adesso. “Ci stai quindi dicendo che il vampiro non è ancora sotto controllo? Non trovi che potrebbe attaccare degli umani nella zona di Forks o peggio, a La Push? Mi sembra un azzardo. Al tempo del clan italiano avevamo accettato i vampiri testimoni solo perché le circostanze erano eccezionali, ma stavolta non c’è giustificazione per la sua presenza”

Con mio estremo disappunto, il sorriso di Jacob non si attenuò. Anzi, sembrava farsi più largo.

“Siamo sulla stessa lunghezza d’onda, Sam. Neanche io sono disposto a fidarmi immediatamente del vampiro nuovo, tanto più che può controllare mente e corpo altrui. Quindi ho pensato ad un compromesso.”.

“E sarebbe?”, chiese scettico Paul.

“Lo mettiamo sotto sorveglianza”, rispose euforico, come se avesse trovato la soluzione a tutti i mali del mondo.

“Jake, evidentemente da piccolo sei caduto da un’altezza notevole e hai avuto un trauma permanente. Mi spiace solo di non averlo notato prima. Ti avrei trattato con più riguardo.”. Le mie parole trasudavano un sarcasmo soddisfacente anche per i miei standard.

Lui fece una smorfia orrenda, infuriato. “Dove sarebbe il problema, eh?”

Gli altri stavano per rispondere ma non avevo intenzione di cedere la palla.

“Imbecille, vorrebbe dire inseguire il succhiasangue anche fuori dal nostro territorio, nella zona che appartiene ai Cullen!”, risposi velenosamente.

I miei fratelli annuirono, anche se erano evidentemente contrariati dai miei modi poco diplomatici.

Lui li fissò a bocca aperta. “Mi credete davvero così idiota? Lasciate stare”, disse rapidamente, presagendo le risposte. “Sentite, il succhiasangue ha invaso il nostro territorio, quindi ci siamo conquistati il diritto di fare lo stesso. Ho già parlato con Carlisle, e se voi mi darete il via libera abbiamo già il permesso, con una sola condizione: solo uno o al massimo due di noi potranno vagare liberamente nei loro confini. Per il resto Carlisle ci ha dato carta bianca”.

“Solo uno o due?”, rifletté perplesso Seth. “Ero convinto che Carlisle non avrebbe mai imposto una condizione del genere”.

“Infatti l’ho imposta io”, spiegò Jacob “Non mi sembra giusto approfittare della sua gentilezza e disponibilità”

Un lieve mormorio d’assenso seguì le sue parole. Io incrociai braccia e gambe e rimasi zitta a fissare malissimo tutti. Non potevano dire sul serio.

“Jake, quel vampiro è pericoloso. Controlla mente e corpo altrui, l’hai già detto. Anche se lo sorvegliassimo tutti insieme non avremmo neanche una chance di vincere senza perdite. Come pensi di sorvegliarlo con solo due di noi? E’ meglio che torni da dove è venuto e ci lasci in pace” feci notare, caustica. Non intendevo dargliela vinta così facilmente, solo per avvallare il suo amore per i succhiasangue.

“Bella ha garantito che sarà sempre in zona per difenderci con il suo scudo. Non c’è da preoccuparsi.”, disse tranquillo. Troppo tranquillo, per i miei gusti.

“Non ho la minima intenzione di farmi difendere da una di quelli! Per quale motivo quel pazzo deve rimanere qui, me lo spieghi? Non può tentare la nuova dieta in Alaska, lontano da noi?”. Ero stanca di scendere a compromessi con le sanguisughe. “Sei diventato un pappamolla, Jacob! Quando i vampiri te lo ordinano tu abbai, non è vero? “Jacob, qua la zampa!” Non è così?”. Adesso ero decisamente furibonda.

Lui scattò in piedi, tremando. Io lo imitai. Paul e Seth furono lesti ad afferrarlo per evitare una rissa in piena regola. “Fratello, calmati!”, disse Embry. “E tu, Leah, piantala di comportarti sempre come una stronza! Lascialo spiegare prima di insultarlo!”

Tremando a mia volta, mi risedetti.

Nessuno capiva quanto odiavo i vampiri. Mi avevano portato via tutto. Mio padre, mio fratello, la mia umanità. E persino ogni possibilità di avere una famiglia in futuro. Ma i miei adorati fratelli si rifiutavano di vederlo. Io non ero neppure degna della loro considerazione, al contrario di Jacob.

“Alice ha avuto una visione.”, disse Jacob digrignando i denti. “Era nebulosa, tuttavia ha capito che quando i Volturi torneranno, Jeremy sarà un’arma in grado di fare la differenza”.

La mia determinazione vacillò un poco.

“Le sue visioni non sono sempre precise”

“Te la senti davvero di rischiare, Leah?”, insinuò, consapevole di aver recuperato il vantaggio. “Te la senti di rischiare la vita di tutto il branco? Sai bene che quel clan italiano ci spazzerebbe via volentieri”.

“E’ comunque colpa dei Cullen se quei bastardi hanno scoperto la nostra esistenza!”, ribattei testardamente. Gli altri sembravano paralizzati mentre seguivano la nostra discussione.

“Può essere. Tuttavia non si può cancellare quello che è stato. Allora, cosa pensi di fare?”.

Non aprii bocca, ma il mio sguardo affilato fu più che sufficiente. Non potevo far altro che rassegnarmi, ovviamente. Ma sarei rimasta il più possibile fuori dalla faccenda.

Jacob percepì la mia resa ma ebbe il buonsenso di non dimostrarsi trionfante. Gli sarebbe costato qualche costola rotta. Come minimo.

“Bene, fratelli. Voi cosa ne pensate? Siete d’accordo con me?”

Gli altri assentirono con cenni o con parole.

“Perfetto. Ora non ci resta che decidere chi effettuerà sorveglianza su Jeremy”.

Nessuno si offrì volontario. Ovvio. Un conto era dare ragione a Jake, un’altra era sobbarcarsi una rottura del genere…

“Mi raccomando ragazzi, non accalcatevi!”, disse Jacob, sollevando un sopracciglio.

“Andiamo, invincibile alfa! Ti aspettavi qualcosa di diverso?”, ribattei cinica. Non potevo non sfruttare l’occasione di far saltare i nervi a Jake. Era troppo appagante.

“Leah, smettila. Tanto non riuscirai a farmi perdere il controllo di nuovo.” Mi rivolse un ghigno compiaciuto, al quale risposi con il mio sorriso più falso.

“Allora vedrò di proporre io.”, disse soddisfatto. “Il compito non è dei più semplici, quindi ci serve qualcuno che abbia combattuto almeno una volta contro i vampiri.”.

Le spalle degli ultimi acquisti si afflosciarono. Loro si erano trasformati nel periodo dei Volturi, ma non avevano mai avuto l’occasione di uno scontro diretto. Senza contare che erano tutti ragazzini.

“Chi farà sorveglianza dovrà sapersi muovere nel territorio dei Cullen senza problemi; è quindi meglio che sia qualcuno che all’epoca dei succhiasangue italiani fosse rimasto con loro.”

Mi irrigidii visibilmente. Questo escludeva tutto il branco di Sam, più Embry e Quil. Restavamo solo io, Seth e Jacob.

“Infine, questo qualcuno non deve avere pregiudizi positivi verso i vampiri.”.

Scattai in piedi come una molla. “NO! Non farò il cane da compagnia di quello psicopatico! Scordatelo, Jacob!”.

Anche Seth intervenne. “Fratello, lascialo fare a me! Ti prometto che non lo tratterò con riguardo!”

“NO!” esclamammo io e Jacob insieme. Per noi restava ancora un ragazzino a dispetto degli anni che erano passati. E io non l’avrei mai mandato nel covo dei succhiasangue se avessi potuto evitarlo.

“Andiamo, Leah, non dirmi che hai paura!” mi canzonò Jacob.

“Non attacca, cagnaccio schifoso. Io non lo farò. A meno che tu non me lo ordini, signor alfa.” Lo sfidai a farlo. Lui mi osservò con uno sguardo calcolatore.

“Jake, posso farlo io, non è un problema” disse placidamente Sam. Ecco, perfetto. Proprio lui mi doveva sostituire.

“No, Sam. Tu devi stare con Emily e i bambini. La sorveglianza è un lavoro a tempo pieno. Voglio che lo faccia Leah.”

“Stai cercando di dire che non ho niente di meglio da fare?” sibilai infuriata. I ragazzi si erano irrigiditi ai loro posti. Era come se avessi scritto in fronte “allarme rosso, allarme rosso”.

Jake incrociò le braccia, fissandomi impertinente. “Dimmi tu cos’hai da fare, Leah. Illuminami.”.

Stavolta fu il mio turno di farmi trattenere dai fratelli. Dalla mia gola uscì un basso ringhio.

Poi mi venne un’idea.

“Giochiamocela. Ci stai?”.

Lui sbatté gli occhi, preso in contropiede. “D’accordo”, disse senza pensarci troppo.

Caro, ingenuo Jacob. Si era lanciato sul raggio di speranza che gli avevo dato, senza capire che aveva appena consegnato la vittoria nelle mie mani. Mi permisi un sorrisetto saccente.

“Gara di velocità”.

Attorno a me esplosero le proteste.

“Leah, non vale!”.

“L’hai fatto apposta!”.

“Sei scorretta, non puoi fare questo a Jacob!”. Oh, certo che potevo farlo. E mi sarei pure divertita.

Il poveretto in questione non aveva ancora aperto bocca. Si limitava a studiarmi.

Mi sedetti incrociando elegantemente le gambe, come una diva d’altri tempi. Rosalie avrebbe apprezzato.

All’improvviso anche Jacob sorrise, enigmatico. E mi suonò un campanello d’allarme.

“Va bene. Vada per la gara di velocità”.

“Jake, lo sai già come andrà a finire!”, brontolò Embry.

“Ma scelgo io il campo, d’accordo?”, continuò imperterrito.

Speravo che avesse ideato qualcosa di più intelligente ed interessante. Su qualsiasi terreno io ero la più veloce. Nessuno osava mettere in dubbio il mio primato. Anche se avesse proposto di scalare una montagna, sarei stata comunque la vincitrice.

Feci spallucce. “Per me non è un problema.”.

“Ottimo.”. Il suo sorriso era più ampio e irritante che mai. “Ragazzi, avete impegni?”.

Che domande. Nessuno si sarebbe mai perso una gara tra me e Jacob.

“Perfetto. Quil, vai al posto dove l’anno scorso abbiamo avvistato il branco di cervi. Ti ricordi vero?”.

Quil rise, come se gli ricordasse qualcosa di molto, molto divertente. “Come potrei? Ci arrivo dal sentiero secondario, d’accordo? Altrimenti è troppo facile se ci arrivate seguendo l’odore”.

Jacob annuì. “Tu non hai problemi, giusto?”, chiese rivolto a me, senza guardarmi.

“Ti batto su qualsiasi sentiero, decerebrato. Attento a non inciampare nelle tue zampe.”.

Lui rise di gusto. “Andiamo allora!”.

Uscimmo tutti dalla casa di Sam e ci trasformammo in un attimo.

 ***

 Eravamo in un’area della riserva che non avevo mai esplorato. I profumi non erano diversi dai soliti, quindi non prevedevo problemi. Raspai pigramente le zampe sul terreno mentre aspettavamo impazientemente che Quil arrivasse al traguardo. L’eccitazione per la gara cominciava a salire.

Ci sono! Ragazzi, quando volete potete partire!, ci informò Quil.

Alzai il muso elettrizzata. Non vedevo l’ora di stracciare quel ragazzino.

A chi stai dando del ragazzino?, ringhiò Jacob. Ok, basta chiacchiere. Io e Leah correremo in direzione nord fino al punto in cui si trova Quil. Se arrivo primo, Leah terrà sotto sorveglianza il vampiro nuovo. Se vince lei, dovrò trovare un’altra soluzione. Va bene?

Preparati a mangiare la polvere. Sghignazzai tranquilla.

Lui sbuffò dalle narici. Possiamo seguire il sentiero o tagliare dritto nella foresta. Però sul sentiero non ci stiamo in due. Quale dei due itinerari preferisci?

Mi presi un istante per riflettere. Se avessi seguito il sentiero sarei stata sicuramente rallentata dalle curve, inoltre a me piaceva correre dritta in mezzo alla boscaglia.

Starò in mezzo alla foresta. Tu, compare Jake? Mi affiancherai?

No. Io preferisco seguire il sentiero.

Latrai una risata. Voleva proprio farsi umiliare!

Allora si parte?, chiese.

Al tre, risposi impaziente.

Uno.

Due.

Tre!

Schizzammo in avanti come palle di cannone. Jake mi rimase attaccato alla coda per un po’, ma una lieve svolta del sentiero lo allontanò come avevo previsto. Accelerai ulteriormente, lasciando che i miei istinti lupeschi prendessero il sopravvento. I tonfi sordi delle mie zampe sul terreno, il sibilo del vento nelle mie orecchie sensibili e il profumo della resina degli alberi. Tutto mi faceva sentire bene, libera.

Un flebile suono, diverso dagli altri, catturò la mia attenzione. Senza fermare la mia corsa, lo analizzai.

Ero abbastanza sicura che fosse vento, ma era strano. Non avevo altro modo di definirlo. Man mano che avanzavo, il rumore si faceva più forte.

Era come se il vento…

Soffiasse dal basso!

Frena Leah!. L’urlo mentale di Jacob sovrastò le mie imprecazioni.

Piantai violentemente le zampe nel terreno, giusto in tempo per frenare sulla cima di un dirupo. Il vento che arrivava dal basso mi scompigliava il pelo. Quil attendeva dall’altra parte, di fronte a me, ma non mi era possibile superare la gola con un balzo.

Merda.

Dei tonfi lontani mi riscossero. Alla mia sinistra, e terribilmente lontano, Jacob stava correndo su un ponte di legno. Ormai irraggiungibile.

Bastardo! Lo sapevi!, gridai furibonda.

Tu scegli la gara, io il campo, cara Leah. Ridacchiò soddisfatto.

Non avevo intenzione di dargliela vinta così facilmente. Mi lanciai di nuovo nella foresta tentando di raggiungere il sentiero. Una volta intercettato, seguii disperatamente la scia di Jake. Più che correre, sembrava che stessi volando. Ma era inutile.

Jacob taglia il traguardo per primo!. Il pensiero di Quil mi fece torcere le budella.

Avevo perso.

Il lungo ululato vittorioso del bastardo non contribuì a migliorarmi l’umore.

Tutto il branco è testimone. I pensieri di Jacob non riuscivano a mascherare il suo senso di trionfo. Lo avrei azzannato volentieri se solo fosse stato a portata di mascelle. Leah ha perso, io ho vinto. Da domani, Leah comincerà la sorveglianza su Jeremy,  continuò su di giri.

Li odiavo. Quell’imbroglione di Jake, i vampiri, i crepacci e tutto ciò che mi circondava. Tirai una zampata ad un tronco marcio e lo scaraventai diversi metri più in là, furiosa oltre ogni limite.

Mancava solo il colpo di grazia.

Buona fortuna, Leah, mi canzonò Jacob.

Appunto.

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: Ecco a voi un altro capitolo! Spero di non avervi fatto aspettare troppo, sto cercando di aggiornare ogni due settimane per cercare di lavorare bene sulla storia, o almeno al massimo delle mie capacità! Voglio ringraziare di nuovo tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle seguite o alle preferite (state aumentando, non posso crederci!) e anche a chi ha recensito. Come ho già detto nel precedente capitolo, ogni commento o critica sono ben accetti! Al prossimo capitolo!

 

@  vannagio: sono patetica se ammetto che quando ho letto la tua recensione ho cominciato a saltare sulla sedia? Probabilmente sì, ma la sincerità prima di tutto! ^_^

Ti ringrazio tanto per la recensione, per me è molto importante riuscire a rendere Leah IC, ci tengo davvero, quindi immaginerai quanto mi ha fatto piacere sentirti dire che, almeno per ora, l’obiettivo è raggiunto! Riguardo all’amicizia tra Leah e Rosalie in effetti ci avevo riflettuto da quando avevo letto BD, ma mi era sembrato opportuno, per rimanere in linea con il carattere di entrambe, cercare di far capire che loro stesse quasi non accettano il loro rapporto, al punto che le definisco, attraverso gli occhi di Leah, come quasi amiche (anche se in realtà, ovviamente, lo sono! XD)

Posso anticiparti una piccola cosa, per la tua gioia (spero): non prevedo, almeno per ora (ma la mia mente contorta potrebbe giocare brutti scherzi), l’utilizzo dell’imprinting per Leah. La trovo una forzatura alla trama della saga di Twilight, visto che Leah non può chiaramente concepire lupi più forti. Spero che la storia continui a piacerti! Baci!

@ Shin_Igami: nuovamente commossa dalla tua recensione! Hai colto una cosa che ritengo molto importante nel carattere di Leah, e che mi sembra di aver ricavato dalla saga della Meyer: per quanto acida e irritabile, Leah sa quali sono i suoi doveri e vi sa mantenere fede. Può farlo pesare su tutti, ma farà ciò che deve.

Grazie anche per l’apprezzamento a Jeremy: è un personaggio a cui mi sono personalmente affezionata, e mi auguro che possa piacerti tanto quanto io mi diverto a scrivere di lui. Ed infine un enorme ringraziamento per i complimenti sullo stile e sulla trama! Alla prossima!

geme103: semplicemente, GRAZIE! Non immagini quanto sono stata contenta di trovare una tua recensione! E ancora di più nello scoprire che la storia ti piace! Effettivamente il fatto che Leah sia un personaggio secondario, che a mio parere meritava un approfondimento, mi lascia una buona libertà d’azione, che ovviamente ho intenzione di sfruttare il più possibile! Mi fa piacere la tua approvazione allo stile: ho tentato di fare un parallelismo tra la mente di Leah (o almeno l’immagine che ho della sua mente) e lo stile di scrittura. Una TERP come te non poteva non notarlo! Ci vediamo al prossimo capitolo, se vorrai ancora seguirmi! Bacioni

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Capitolo 5
*** Tortura ***


TORTURA

 

 

Finalmente capivo appieno il significato della frase “sentirsi un pesce fuor d’acqua”.

Eravamo io, Jacob e i vampiri. Sembrava il titolo di un film dell’orrore di serie B. Io invece lo trovavo più simile al preludio di una tortura medioevale.

Erano gli unici pensieri razionali che riuscivo a concedermi mentre mi trovavo a casa Cullen, semi-tramortita dal tanfo venefico dell’ambiente. Pareva anche peggio del solito, probabilmente era dovuto al colpevole dell’ultima disgrazia della mia vita.

L’imbecille platinato se ne stava tranquillo ad ascoltare Jacob che dettava i termini della mia condanna, mentre io mi rifiutavo di prestarvi attenzione. Mi limitavo a fissare il muro di fronte a me, con la testa alta e l’aria spavalda, decisa ad ignorare tutto e tutti. Jake mi poteva anche costringere a sorvegliare quel fenomeno da baraccone, ma non mi poteva certo obbligare ad essere educata con i mostri. E io mi ero ripromessa di essere il più possibile sgarbata. Il pensiero mi aveva risollevato un poco il morale.

Inoltre pareva che tra le condizioni della sorveglianza non fosse impedita la mutilazione, o perlomeno nessuno l’aveva precisato. Che meraviglia: ne avrei approfittato il prima possibile.

Percepivo solo vagamente il cicaleccio dei mostri che parlavano con il caro alfa, la mia mente vagava tranquillamente per i cavoli suoi, fantasticando sui più svariati sistemi di mutilazione e uccisione. E la cavia era sempre Jeremy, guarda caso.

Mi distrassi lievemente solo quando sentii il brusio interrompersi. Che pace.

Ma immaginavo che non mi avrebbero mai concesso di godere di qualche momento di tranquillità.

“Leah, grazie per essere così disponibile nei nostri confronti”, disse gentilmente Carlisle.

Gentilezza sprecata. Lo ignorai totalmente e mi concentrai su un quadro appeso nell’ingresso, senza vederlo davvero. Con la coda dell’occhio notai Jacob spostare il peso da un piede all’altro, e anche i Cullen parevano a disagio. Ottimo. Obiettivo raggiunto.

“Forse sarebbe il caso di decidere quando cominciare la sorveglianza”, disse Jake titubante.

Nessuna risposta dalla sottoscritta. Era tutto fiato sprecato.

Edward si intromise. “Io direi che potremmo portare Jeremy a caccia già oggi, visto che è una bella giornata. Jeremy, tu sei d’accordo?”.

“Puoi giurarci!”, rispose allegramente la mia personalissima disgrazia. “Non vedo l’ora di cominciare!”.

Ero sempre più convinta che avesse qualche rotella fuori posto. Anzi, più di qualche. Probabilmente tutte.

Bella emise uno scampanellio che doveva essere una risata. Aveva il potere di stimolare tutte le mie terminazioni nervose, e non in modo positivo. Che voglia di stragi…

“Mi ricordi tanto Garrett, lo sai?”.

“Chi, scusa?” chiese l’idiota, totalmente stralunato, come se temesse che fosse un insulto al suo smisurato ego.

“È un membro del clan di Denali. Anche lui ha adottato lo stile vegetariano per mettere alla prova le sue capacità. Adora le sfide, di ogni tipo.”

“Ah! In tal caso direi che andremmo molto d’accordo!” rispose lui elettrizzato. Se avesse conosciuto la compagna di Garrett forse si sarebbe sentito ancora più elettrizzato, nel senso letterale del termine. Quanto mi sarebbe piaciuto assistere al lieto evento. Mi persi nelle mie fantasie, mentre immaginavo Kate stendere con una scarica particolarmente violenta quell’inutile platinato. Lo vedevo a terra, contorcersi dal dolore e incapace di rialzarsi. Che visione divina.

“Bene, allora si comincia oggi!”. Mi distrassi un attimo per capire chi mi avesse distolto dai miei rosei sogni.

Al solito. Jacob proprio non la sapeva tenere la boccaccia chiusa.

“Meraviglioso! Si va a caccia!”, esclamò Jeremy fastidiosamente su di giri.

Prima che avessi la possibilità di reagire, percepii un tocco freddo sui miei fianchi. Quell’imbecille senza cervello mi aveva preso in braccio mentre parlava e mi aveva fatto fare un giro in aria, per poi rimettermi a terra. Il tutto in circa mezzo secondo.

Mi. Aveva. Toccata.

Mi concessi giusto un altro mezzo secondo di stupore disgustato.

“Allora, in che zona…”. Non ebbe modo di finire la frase.

Con un calcio ben assestato nello stomaco, lo vidi volare dall’altra parte della stanza, con pura soddisfazione. Amavo la mia velocità: non aveva avuto neppure il tempo di usare il suo potere.

Emmett lo prese al volo prima che si schiantasse. L’occhiataccia che gli lanciai gli fece capire che forse non era stata un’idea brillante.

Per tutta risposta lui mi rivolse uno sguardo di scuse, posando a terra il vampiro volante. “Rosalie ci tiene al pianoforte” spiegò.

Maledetti succhiasangue schifosamente scaltri. Ormai avevano capito che l’unico modo per impedire alla mia rabbia di raggiungere livelli apocalittici era tirare in mezzo Rosalie. Ma dovevano stare attenti a non abusare della situazione. Rosalie era quasi mia amica, non era il caso di esagerare.

Jeremy intanto si stava teatralmente risistemando i vestiti. Incredibile come il solo pensare il suo nome mi facesse salire la nausea.

“Senti, posso farti una domanda, Leah?”, mi chiese a bruciapelo.

Come si permetteva di chiamarmi per nome? Cos’era tutta quella familiarità?

“Dipende dalla domanda”. Il mio tono era più affilato di un coltello e ne fui soddisfatta.

Lui tossicchiò, come se si stesse preparando a fare una domanda sui grandi interrogativi della vita. Incrociai le braccia per impedirmi di picchiarlo prima che avesse finito di parlare. Il dopo era una questione ancora aperta.

“Sono afflitto da un grandissimo dubbio e spero che tu me lo possa chiarire”, ghignò furbescamente. Lo guardai estremamente sospettosa. Se stava per insinuare qualche cavolata avrebbe rischiato grosso.

“Ma tu sei davvero una donna? Non sembrerebbe dalla violenza che…”

Il corpo reagì ancora prima del cervello. Jacob mi acchiappò appena in tempo per i fianchi. Tentai di divincolarmi per raggiungere quell’idiota, ma chi mi tratteneva aveva il vantaggio della stazza. “Lasciami Jake! Voglio farlo a pezzi e poi bruciarlo! Lasciami, porca miseria!”, ululai in maniera folle.

“Pure volgare? Il dubbio si radica sempre di più…”, sghignazzò il succhiasangue felice come una Pasqua per essere riuscito a farmi saltare totalmente i nervi.

“Jeremy, adesso piantala. Stai esagerando”, disse duramente Rosalie. Alla buon’ora! Non che lo volessi davvero ammettere, però un pochino speravo in un minimo di sostegno da parte sua…

“Hai ragione Rosalie.”, disse, apparentemente mortificato. “Perdonami Leah, non intendevo essere così villano.”.

Un urlo cominciò a crescere nella mia mente. Quell’ignobile opportunista. Lo odiavo. Lo. Odiavo.

Mi limitai a fissarlo immobile, incapace di emettere un qualsiasi suono articolato da quanto ero sconvolta. Prima mi insultava, toccando proprio uno dei tasti più dolenti, poi pensava che delle scuse totalmente insincere potessero salvarlo dalla mutilazione. Evidentemente non aveva capito nulla di me. O aveva capito tutto, e gli piaceva scherzare col fuoco. Oppure nutriva manie di suicidio: molto più sensato.

Sentii una sensazione di calma impadronirsi lentamente di me e ne fui stupita. Di solito non avevo tutto questo autocontrollo. Poi mi ricordai.

“Piantala!”, ruggii contro il succhiasangue che influenzava l’umore. Che cavolo pensava di fare il fidanzato della nana? Avevo trovato un altro aspirante suicida?

Jasper mi fissò imperturbabile e mi lasciò alla mia ira ribollente.

“Ehm, allora andiamo?”, chiese Edward, totalmente fuori luogo. Mi aspettavo un pochino più intelligenza da parte sua. Promemoria mentale: mai sopravvalutare il cervello dei succhiasangue.

Jeremy annuì entusiasta, stavolta evitando gesti o parole che avrebbero messo a rischio la sua incolumità. Gli conveniva, la mia pazienza si era esaurita già da un pezzo, nel caso qualcuno non l’avesse notato.

“Direi che dovremmo andare io, tu, Bella e Leah. Che ne dite?”, continuò il leggipensieri. La domanda sembrava rivolta soprattutto a me: evidentemente aveva capito che in quel momento andavo trattata con le pinze. Annuii di malavoglia.

“Io resto qui con Nessie, ci vediamo stasera” disse Jacob giulivo. Per forza, si stava liberando di me per un’intera giornata in cambio della compagnia della sua amata mutante. Un affare persino troppo bello per essere vero.

Grugnii un sì poco convito ed uscii con i succhiasangue. La tortura medioevale cominciava.

 

***

 

In forma di lupo l’odore delle sanguisughe era semplicemente insopportabile. Cercai di tenermene lontana il più possibile mentre correvamo tutti insieme nella foresta illuminata dal sole. Il platinato era sulle tracce di un puma, a giudicare da quello che percepiva il mio sensibile naso al di sopra dell’olezzo dei freddi. Vedevo il riflesso dei capelli di Jeremy nella boscaglia, come sprazzi d’oro nel verde luminoso della vegetazione. Odiavo dovergli prestare così tanta attenzione e stargli alle calcagna, ma avevo un compito da svolgere.

Benché tutta la storia della sorveglianza mi andasse notevolmente di traverso, sapevo quali fossero le mie responsabilità e non vi avrei mai mancato. Potevo essere acida, irritabile e antipatica, ma non sarei mai venuta meno ai miei doveri. In parte era per orgoglio, certo, in parte perché non avrei sicuramente gioito al vedere la mia famiglia in pericolo. Che tutti pensassero il contrario se volevano.

Ero stronza, e anche parecchio, ma non cattiva.

Almeno non nei confronti della mia famiglia, che estendevo anche ai miei fratelli licantropi. Ringraziando il cielo nessuno era trasformato e di conseguenza i miei pensieri melensi rimasero confinati in un angolino della mia mente.

Tornai a concentrarmi sulla caccia. Jeremy aveva raggiunto la preda e guardai con blando interesse le sue movenze eleganti. Vidi distrattamente il puma afflosciarsi come un burattino a cui fossero stati tagliati i fili e i denti dell’imbecille penetrare la giugulare con assoluta precisione.

Figuriamoci, non avrebbe sprecato neppure una goccia di sangue.

Mi chiesi vagamente il perché l’animale si fosse abbandonato in quella maniera ancor prima di essere morso, ma conclusi che Jeremy doveva aver usato il suo potere sulla sua preda. Peccato, avrei voluto vedere il puma mollargli qualche artigliata violenta. Non gli avrebbe fatto nulla, probabilmente, però la soddisfazione visiva sarebbe stata grande.

Un’altra domanda sorse nella mia mente: perché aveva usato il suo potere sull’animale, consapevole che non avrebbe potuto arrecargli alcun danno? Quel tizio era un enigma vivente.

Finito il pasto, l’idiota si rassettò i vestiti.

Sbuffai con le narici, alzando lo sguardo al cielo. Ci avrei scommesso: il succhiasangue aveva controllato la mente del puma per evitare che gli stracciasse la camicia celeste, e certamente firmata, con qualche unghiata.

Che narcisista. Bleah.

Edward e Bella si limitavano a fissarlo a qualche metro di distanza.

“Sei andato molto bene Jeremy! Io alla mia prima caccia ero un disastro!”, disse Bella scoccando uno sguardo malizioso a suo marito. Santo cielo. Facevano venire il voltastomaco. Come se non avessi avuto a sufficienza di coppiette zuccherose dopo Jacob e Nessie.

Jeremy si gonfiò come un galletto da pollaio, ma prima che potesse dire alcunché latrai una risata. Era troppo ridicolo, non potevo resistere. Quello scemo.

I vampiri mi guardarono perplessi e io li ignorai, continuando a ridacchiare. Un evento davvero raro per me. Doveva essere colpa degli eventi degli ultimi giorni che evidentemente stavano intaccando la mia sanità mentale. Quando decisi di essermi lasciata andare a sufficienza feci un cenno col muso per incitarli ad andare avanti.

 

***

 

Qualche cervo e un orso dopo, la sanguisuga con i capelli ossigenati si disse sazio. Che appetito spettacolare: avrebbe fatto concorrenza ai licantropi.

“Bene!”, esclamò soddisfatto del suo operato. “Che si fa adesso?”.

Edward ridacchiò leggero. “È bello vederti così entusiasta, Jeremy. Direi che adesso potremmo metterti un po’ alla prova. In questa zona ci sono dei campeggiatori: noi ci passeremo vicino e tu dovrai cercare di resistere all’odore, d’accordo?”.

Ma era matto? Cioè, aveva intenzione di utilizzare delle povere persone come cavie? Pensavo che essendo “vegetariani” avessero un pochino più rispetto nei confronti della vita umana e invece si rivelavano mostri uguali agli altri. Come volevasi dimostrare.

“Assolutamente no, Leah. Non passeremo troppo vicino a quelle persone, vogliamo solo cominciare a far abituare Jeremy alla presenza degli umani senza che li attacchi. Ci muoveremo per piccoli passi, ma purtroppo l’unico modo per capire se Jeremy possiede l’autocontrollo necessario è avvicinarsi alle persone. Ma non temere Leah, noi siamo qui apposta per proteggerli.”.

Il suo discorso era così accorato che non riuscii a ribattere nulla. Capivo la logica delle loro azioni, per quanto non la approvassi. Io avrei preferito che il platinato se ne tornasse in Alaska e ci liberasse da questo frustrante problema.

Il leggipensieri non fece commenti sulle mie riflessioni. Tornò invece a parlare con Jeremy. “Cammineremo come normali esseri umani, sia per evitare strani sospetti sia per valutare meglio la tua resistenza.”. L’altro annuì, l’espressione strafottente scomparsa dal viso. Sembrava concentrato sull’obiettivo “non ammazziamo gli umani”.  Meglio così.

Vincendo il ribrezzo, mi avvicinai di più alla sanguisuga che aveva condannato i miei giorni. Intendevo tenerlo sott’occhio molto da vicino.

“Leah, per favore, cerca di tenerti il più nascosta possibile tra la vegetazione. Se gli umani ti vedessero…”.

Lo so, lo so. Morirebbero di paura e il nostro segreto sarebbe esposto. Per chi mi aveva preso, per una deficiente?

“Scusami”, rispose Edward. Non c’era divertimento con lui, era troppo arrendevole. Che nervoso. Volevo qualche scusa per menare le mani. Anzi, le zampe.

Cominciarono a camminare placidamente lungo il sentiero, con l’eleganza felina dei predatori. Chissà se lo facevano intenzionalmente o se era semplicemente la loro natura. Io li seguivo tenendomi nascosta tra i cespugli del sottobosco, tutti i sensi all’erta. Lentamente l’odore umano iniziò a fluttuare verso di noi.

Udii Jeremy trattenere il respiro bruscamente, con un rantolo soffocato. Mi preparai ad agire, i nervi tesi allo spasimo. Tuttavia il succhiasangue platinato non si mosse in direzione della scia: continuò a camminare con gli altri due, anche se un po’ rigidamente.

“Dimmi, Jeremy, perché hai deciso di provare il nostro stesso stile di vita?”. La voce tranquilla di Edward filtrò nel silenzio della foresta.

Era pazzo? Voleva far parlare lo psicopatico?

Per parlare avrebbe dovuto chiaramente inspirare, e questo voleva dire altro odore! E lui stava trattenendo il fiato da un po’ per evitare quest’eventualità. Scossi il muso rassegnata alla stupidità vampiresca. Se non altro mi dava l’occasione di pestare Jeremy non appena avesse perso il controllo, cosa che consideravo imminente.

“Mi piacciono le sfide”, rispose l’altro con uno sforzo apparentemente immane, tentando di mantenere calma la voce.

“Solo questo?”, insinuò Bella “Non hai davvero altre motivazioni?”. Ci si metteva pure lei? Che manica di idioti patentati.

“Beh, non mi piace essere un mostro”. Questo mi lasciò un po’ spiazzata. Non immaginavo che quell’imbecille avesse una tale profondità di pensiero: e io che ero convinta che si credesse Dio. Invece lui si riteneva un mostro. Non che avesse torto, eh.

Edward mi guardò male, un po’ critico e un po’…ferito? Bah, la cosa non aveva importanza. Lui distolse l’attenzione da me e si rivolse di nuovo al mostro biondo.

“Com’è il tuo clan in Alaska?”, chiese cordiale. L’altro parve vacillare un attimo, ma si riprese quasi subito. Probabilmente l’odore cominciava a farlo cedere. Lui rispose lo stesso, fingendo noncuranza. Aveva fegato, dovevo riconoscerlo. Non che per questo mi stesse più simpatico.

“Il mio clan è costituito da cinque membri: io, George e Sabrina, Fredrick e Amanda. Loro sono accoppiati, anche per questo abbiamo convenuto fosse meglio che venissi io qui da voi. Ho poco che mi trattiene a casa”, disse ridacchiando, benché non sembrasse particolarmente contento.

“Casa? Siete sedentari?”, chiese Bella, apparentemente sconvolta. Da quanto avevo capito, i normali clan di succhiasangue non avevano fissa dimora, per ovvie ragioni: Jeremy invece sembrava sostenere il contrario.

“Cambiamo casa ogni due anni. Nelle nostre cacce ci spingiamo molto più in là del normale, ma questo ci dà la possibilità di abitare in una casa fissa con tutti i comfort. Abbiamo scoperto che è molto piacevole.”.

La vampira si limitò ad annuire comprensiva.

“Raccontaci un po’ della tua vita da umano, Jeremy”, disse Edward. Quei pazzi insistevano nel farlo parlare, incredibile. Ma poi notai qualcosa che mi era sfuggito. Man mano che Jeremy chiacchierava, il suo passo si faceva sempre più fluido e rilassato. Lo stavano distraendo dalla sete. Edward e Bella mi guardarono un attimo, con espressione saputa, come se avessero intuito tutti i miei pensieri. Beh, nel caso del marito della vampira, questo era più che plausibile.

Forse, e dico forse, li avevo sottovalutati.

 

 

 

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: Mi scuso per aver pubblicato così tardi, ma ero in vacanza e priva di internet!

Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia! ^_^ Non ho parole per ringraziare (per l’ennesima volta, e state sicuri che lo farò ad ogni capitolo) tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite, tra le preferite o tra quelle da ricordare, e anche tutte le persone che semplicemente utilizzano il loro tempo per leggere questa storia. Un grazie speciale infine a tutti quelli che recensiscono, mi incoraggiate molto, mi spingete a dare il massimo e mi aiutate a migliorare! Quindi, come sempre, critiche e commenti sono ben accetti! Alla prossima!

 

cicina: grazie per l’apprezzamento! In effetti Leah è un po’ un’emarginata e questo mi è sempre dispiaciuto parecchio. Il suo dolore è sempre stato ignorato da tutti ed è una cosa che fa veramente male, proviamo a metterci nei suoi panni. Immaginiamoci poi di poter sentire questa indifferenza nei pensieri di coloro che dovrebbero essere come fratelli nei nostri confronti e la mancanza di un lieto fine: è il perfetto cocktail per una personalità sgarbata e cinica.

Come ho già detto a vannagio, per ora non penso che seguirò la strada dell’imprinting per Leah: cozzerebbe sia con la trama della Meyer che con la personalità indipendente di Leah. Al prossimo capitolo, spero! ^^

 

Faffina: non immaginerai mai il mio stupore nel trovare una tua recensione! Insomma, la giudicia!XD Scherzi a parte, sono davvero contenta che la storia ti piaccia e che ti faccia divertire, non speravo neanche di ottenere questo effetto (mi sono sempre sentita negata nell’originare situazioni divertenti)!

Riguardo ai prossimi sviluppi su Jeremy e i Volturi non ti resta che seguire la storia (me tremendamente cattiva ed opportunista) sempre sperando che continui a piacerti! Grazie mille per i complimenti, soprattutto sulla caratterizzazione dei personaggi, visto che ho un sacro terrore dell’OOC! A presto!

 

Zenobia_vampire: mi fa molto piacere che trovi la storia interessante, mi auguro soltanto che la cosa continui! Alla prossima!

 

vannagio: non ti preoccupare per non aver subito recensito, l’importante è che tu l’abbia fatto! A parte gli scherzi, non ti devi assolutamente scusare per il ritardo! Tutti noi abbiamo le nostre vite, più o meno frenetiche!

Ti ringrazio per i complimenti sullo stile e sul capitolo, e soprattutto sulla mia capacità di “maneggiare” la protagonista! Sei troppo buona, davvero, e ti assicuro che non è falsa modestia!

Ammetto di essere talmente cattiva da amare i litigi tra Jake e Leah, non so perché ma è appagante scriverli! Quindi mi fa molto piacere che tu li consideri azzeccati, mi sarebbe dispiaciuto toglierli...

Riguardo all’imprinting io la penso esattamente come te: meglio un amore coltivato che uno imposto! Ma ancora non garantisco nulla…al prossimo capitolo, spero! ^_^

 

@Shin_Igami: ancora contenta che il capitolo ti sia piaciuto! In effetti ogni tanto mi abbandono ad una narrazione che segue proprio lo stile “flusso di coscienza” perché ritengo sia in grado di esprimere al meglio certi momenti della psiche di Leah. Inoltre, quando penso a lei, me la immagino come una donna che racchiude nella sua mente un tumulto di pensieri che in certe situazioni diventano inarrestabili: di solito è lì che traslo tutta la narrazione nel “flusso di coscienza”.

Grazie anche per i complimenti! Alla prossima!

 

HorseFly: mi si sono illuminati gli occhi quando ho letto la tua recensione! Sono contentissima che la storia ti piaccia! Ammetto, anche a beneficio di tutti quelli che mi dicono “Leah è il mio personaggio preferito”, che non ho cominciato a scrivere la fan fiction perché adoravo il suo personaggio: piuttosto l’ho fatto perché mi dispiaceva che fosse l’unica a non aver avuto un “lieto fine”. Man mano che “entravo” nella mente di Leah ho però imparato a comprenderla e adesso, chiaramente, è in assoluto il mio personaggio prediletto (giuro che non è opportunismo, XD). Inoltre, come giustamente hai detto, Leah è probabilmente il personaggio meno scontato di tutta la saga: gli altri sono scontati, a mio parere, perché sono molto facili da capire, diversamente dalla nostra licantropa!

Riguardo alla discussione con il branco accetto la critica senza problemi (fanno sempre bene!^_^) però vorrei provare a “giustificarmi”: la nostra Leah si ritrova da sei lunghi anni a scendere a compromessi con i vampiri, che sono suoi vicini di casa,  a vedere sua madre sempre più legata al padre di una succhiasangue e suo fratello andare più d’accordo con i Cullen che con lei stessa. Per questi motivi, ma anche per altri, ho concesso a Leah di perdere totalmente la pazienza! Poverina, mi sembrava quasi di doverglielo…

Al prossimo aggiornamento, spero!

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Capitolo 6
*** Ritorno ***


RITORNO

 

 

Le sanguisughe continuavano a camminare, incuranti del fatto che gli stavo pressappoco fiatando sul collo. Jeremy era tutto preso dal racconto della sua vita da umano, tanto per soddisfare il suo ego. Che piaga.

“Sono nato nel 1800, da quanto mi ricordo. La mia famiglia era ricca…”

Ma guarda, non me lo sarei mai immaginato da uno come lui.

“…eravamo proprietari di un’azienda di produzione del cotone…”

Uhm, strano, così banale? Lo facevo più un costruttore di shuttle. Nell’ottocento, si intende. Sarebbe stato in grado di affermarlo, quell’idiota.

“Mio padre aveva notato la mia straordinaria abilità nel gestire gli affari aziendali e mi lasciò in mano il tutto quando avevo solo diciotto anni.”.

Ah, ecco. Attendevo proprio che la sua modestia venisse a galla. Quel tizio era sconvolgente, e non era un complimento.

“Ero particolarmente dotato nel controllare i lavoratori all’interno dell’azienda, riuscendo così ad ottimizzare il lavoro stesso. Nessuno si è mai opposto a ciò che volevo.”.

Però, sempre più modesto. Non si sapeva proprio limitare, eh?

Edward annuì, assorto, senza prestare attenzione ai miei pensieri, al momento privi di intenzioni omicide. Al momento.

“Dunque è per questo che hai acquisito il tuo particolare potere, giusto?”, chiese il succhiasangue.

L’imbecille platinato si strinse tra le spalle. “Penso di sì. L’importante però è che io ce l’abbia, questo potere!”, disse esplodendo poi in una risata fragorosa.

Cos’è, si credeva spiritoso? Decisamente aveva mancato le lezioni basilari su “come si diventa un vampiro simpatico”. Va bene, nessuna sanguisuga mi sarebbe mai stata simpatica e okay, non ero particolarmente simpatica neanche io. Però lui superava ogni limite umano. Anzi, anche quelli non-umani.

“In quanti eravate in famiglia?”, chiese Bella dolcemente. Santo cielo, sembrava una tipica discussione da avere davanti ad un the all’inglese. Cara, mi passi i biscotti? Bleah.

“Beh, come immaginerete, le mie memorie sono molto nebulose. Non ricordo gran che. Avevo un padre, una madre e mi pare una sorella più piccola. Non li vedo da circa un paio di secoli.”. Il tono era noncurante, ma la sua espressione sembrava volesse dire qualcosa di più. Bah, non era importante. Magari gli dispiaceva di non essere riuscito a far vedere che fenomeno da baraccone era diventato.

Eppure…quel pensiero diede una vaga fitta al mio cuore dimenticato. Chi ero io per parlare del rapporto padre/figlio dopo la trasformazione? Io stessa ero diventata un fenomeno da baraccone. Un mostro travestito da paladina della giustizia.

Il leggipensieri stava chiacchierando beatamente con la mia disgrazia personale sulle diversità culturali tra diciannovesimo e ventesimo secolo, perciò mi concessi di crogiolarmi ancora un poco nell’autocommiserazione.

Nonostante tutto quello che mi aveva detto mia madre, non potevo smettere di sentirmi colpevole della morte di papà. Lui era morto d’infarto poco dopo aver scoperto il mio destino da licantropo: il collegamento era abbastanza ovvio. Mio padre mi voleva molto bene, lo sapevo, e non aveva sopportato la mia condanna: aveva già il cuore malandato e quello era stato il colpo di grazia. Papà era lungimirante ed ancor prima che lo capissi io lui aveva compreso che un corpo che non cambiava si sarebbe tradotto, per me, nell’impossibilità di avere una futura famiglia. E sapeva che io la desideravo, fin da quando stavo con Sam.

Basta.

E Sam mi era stato sottratto per lo stesso motivo per cui mi sarebbe stata negata ogni possibilità di essere una madre. Chi l’avrebbe detto che la scontrosa Leah Clearwater desiderasse dei figli? Nessuno se lo chiedeva. A nessuno importava.

Adesso basta. Dacci un taglio, Leah.

Ogni tanto era bello avere la vocina della propria coscienza in piena attività. Mi impediva di precipitare nel baratro di dolore in cui a volte avrei voluto abbandonarmi. Ma non ero così debole. Avrei resistito ad ogni ostacolo la vita mi avesse messo davanti.

Insomma, non ero scappata neppure quando mi avevano affibbiato quella palla al piede di Jeremy. Questo la diceva lunga sulla mia reale capacità di sopportazione.

I due vampiri intanto continuavano a ciarlare come vecchie comari (avrebbero fatto invidia a mia nonna e a quella di Quil, due fuoriclasse del pettegolezzo) mentre Bella camminava placidamente al loro fianco. All’improvviso quell’essere inutile fece una domanda che mi punse sul vivo, per i tremendi ricordi che vi erano legati.

“Perché siete rimasti qui così a lungo? Benché siate sedentari, mi pare strano che abbiate deciso di restare per più di dieci anni, se la memoria non m’inganna.”.

Purtroppo io conoscevo benissimo il colpevole del perdurare della loro puzzolente presenza vicino ai nostri territori: quel Jacob.

Nel periodo post-Volturi, quando i Cullen meditavano di lasciare Forks, il poveretto non aveva voluto saperne di lasciare la sua mezza vampira, così come i genitori iperprotettivi di lei non erano intenzionati a mollarla da sola con lui. Bella aveva fatto fuoco e fiamme a riguardo.

Io già esultavo con tutto il cuore al pensiero di poter tornare umana: speravo che con la migrazione delle sanguisughe in un luogo lontano la mia condizione si sarebbe invertita. Invece di dovermi spostare io, lasciando praticamente sola mia mamma, si sarebbero mossi loro. Dovevo però immaginare che il branco non avrebbe mai accettato la partenza di Jacob. Tutti amavano Jacob.

Che cosa malsana.

Non avevano pensato alla mia situazione, nossignore, e avevano proposto ai Cullen di restare almeno finché Renesmee non avesse raggiunto la completa maturità. Entro allora l’amata di Jacob si sarebbe potuta trasferire a La Push senza problemi, con il benestare dei genitori, mentre i succhiasangue se ne sarebbero potuti partire con tranquillità.

Grazie Jacob. Grazie branco. Grazie sanguisughe. Grazie per avermi condannato la vita per altri sei anni.

I miei pensieri si tinsero di rosso mentre ascoltavo la spiegazione di Edward, ovviamente addolcita rispetto a quella che avrei raccontato io. Un basso gorgoglio veniva dalla mia gola, un ringhiare soffocato che esprimeva solo vagamente la mia smisurata rabbia. I vampiri si voltarono verso di me, perplessi, ma l’occhiata furibonda che lanciai li fece desistere dal chiedermi qualcosa. Bestiacce schifose.

“Leah.”

La voce cristallina del leggipensieri mi distrasse. Voleva per caso rimproverarmi per i miei pensieri poco amichevoli? Che illuso.

“Non mi permetterei mai di giudicare i tuoi pensieri, Leah. Volevo solo dirti che avrei intenzione di portare Jeremy a conoscere gli escursionisti qui vicini.”.

Spalancai la bocca in modo molto poco elegante. Cosa?

Ma era matto? Non aveva detto che volevano solo avvicinarsi, e neanche troppo? Era vero che quell’idiota al momento si stava comportando piuttosto bene, però non mi sembrava il caso di tentare la fortuna. Feci un ampio cenno di diniego con il capo. Non se ne parlava proprio.

“Andiamo, Leah! Lasciami provare!”. Sgranai gli occhi, guardandolo. Quello scemo dai capelli troppo biondi sembrava far di tutto per indispormi. Quando aveva intenzione di piantarla con tutta quella familiarità inopportuna?

Mi impuntai testardamente e scossi di nuovo la testa. No e ancora no.

“Dai, lupacchiotta! Posso usare il potere di controllo su me stesso, diminuendo il rischio. Fammi provare, per favore!”.

Aveva davvero una testa di granito. Certi concetti proprio non gli entravano in quella scatola straordinariamente vuota. Il che era sorprendente.

Al mio ennesimo rifiuto, lui ghignò.

Un’espressione pericolosamente simile a quella che aveva sfoggiato durante il nostro primo incontro, prima di impedirmi di attaccarlo. Mi suonò un campanello d’allarme, ma era troppo tardi.

Ormai mi trovavo come un’idiota a rincorrere in cerchio la mia coda, come un comune cane. Mi girava la testa, nonostante i miei poteri da licantropo, ma non riuscivo assolutamente a fermarmi. L’odio per quel bastardo saliva sempre di più ad ogni giro. Ed erano tanti, quei giri.

Non ricordavo di aver mai subito qualcosa di più umiliante.

“Se mi lasci provare ti lascio libera” sghignazzò lui, apparentemente soddisfatto, osservandomi girare come una trottola impazzita.

“Jeremy, smettila!”, esclamò Bella. Non usò il suo scudo per proteggermi e per una volta apprezzai il gesto.

Leggipensieri, di’ a quel cretino che può fare quello che gli pare. Provvederò personalmente ad ammazzarlo più tardi. Riferisci.

Edward eseguì, aggiungendo qualche frase di rimprovero. Immediatamente fui in grado di fermare il mio moto circolare e, malgrado la nausea che evitai di dimostrare, lanciai uno sguardo fulminante all’imbecille. Lui indietreggiò di qualche centimetro, ostentando però un sorriso trionfante. Se sperava di sfuggire alla mia vendetta era un illuso. Già stavo macchinando.


***


La chiacchierata con gli escursionisti, alias “il potenziale pasto dei succhiasangue”, non durò più di dieci minuti. Dieci, dannatissimi minuti che parvero eterni. Irrigidita dalla tensione, con le zampe flesse e pronte a scattare, le orecchie e il naso sensibili ad ogni cambiamento della situazione. Mantenni un’immobilità strabiliante, per evitare che quei poveracci mi vedessero e cominciassero ad urlare “al mostro!”; ironia della sorte, ero proprio io, il mostro, che avrebbe potuto salvarli dal mutevole appetito dell’esperimento vampiresco.

Li osservai disgustata: quei patetici uomini sfoggiavano davanti a Bella un’espressione che avrebbero mostrato gli antichi Greci di fronte ad un’apparizione in carne ed ossa di Afrodite. Ci mancava solo che cominciassero a sbavare, poi eravamo a posto.

Quando i succhiasangue decisero che era ora di smetterla con quella partita con la fortuna ritornarono vicino a me; ci avviammo poi lontano dai campeggiatori. Una volta fermi, Jeremy mi rivolse un sorrisetto saccente.

Mossa sbagliata, idiota.

Ero abbastanza vicina a lui da poterlo sorprendere con la mia velocità, di nuovo. Per fortuna quel deficiente pareva non imparare mai dai propri errori.

Con uno scatto deciso, gli strappai il braccio: il rumore era simile allo stridio dell’acciaio sulla pietra dura e riempì le mie orecchie come un canto gioioso.

Ridacchiai soddisfatta, continuando a tenere l’arto tra le mascelle. Più che una risata sembrava che stessi tossicchiando in preda ad una crisi. Lanciai lontano la schifezza che ancora tenevo in bocca – bleah – puntando poi lo sguardo sul proprietario del pezzo di pietra che avevo scaraventato via. Il significato del mio sguardo era chiaro, non erano necessarie le spiegazioni di Edward.

Jeremy si inchinò, irriverente, e poi scoppiò a ridere. “Sei forte, Leah!”.

Vi prego, basta! Quel vampiro non aveva proprio un briciolo di cervello e faceva perdere a me preziosissimi neuroni. Si divertiva a farsi mutilare e minacciare dalla sottoscritta, cosa che andava oltre ogni mia comprensione. Evidentemente controllava il suo dolore con il proprio potere. Mutilarlo stava diventando quasi noioso.

Sbuffai pesantemente, rinunciando a capirci qualcosa.

Leggipensieri, se la battuta di caccia è finita direi che si potrebbe tornare alla base. Sempre che non abbiate ancora voglia di mettere a rischio la vita di un altro po’ di gente, si intende.

“Possiamo tornare a casa.”, rispose lui, asciutto ma non scortese. Possibile che nessuno capisse che con me la buona creanza era totalmente sprecata? Al massimo mi faceva saltare di più i nervi. “Ci vediamo domani, Leah. Ti va bene?”, continuò fingendo di non aver sentito i miei pensieri.

Col cavolo. Quel cretino lo controllo finché non entra in casa vostra, non mi fido.

“D’accordo. Andiamo allora”. Prese teneramente la mano di Bella e fece cenno a Jeremy di seguirlo.

In brevissimo tempo arrivammo a casa Cullen, più maleodorante che mai. Mi trasformai al riparo degli alberi e mi avviai verso il porticato, alla ricerca di qualcuno su cui scaricare la mia rabbia per l’umiliazione subita. Anche se avevo in mente un soggetto in particolare.

Fui subito accontentata. Vidi uscire dalla porta d’ingresso il divino alfa, con un sorriso così largo da farmi venire voglia di distruggerlo a suon di ceffoni. Ma in fondo sarebbero bastate le parole, ero una professionista nel lanciare mazze chiodate con la voce. Altro che pugnali.

“Tu!”, ringhiai, piantandogli un dito nell’ampio petto con violenza inaudita. Lui deglutì in modo vistoso, confusamente spaventato, e mormorò un “hey” poco convinto.

“Hai una vaga idea”, dissi calcando ogni singola parola con la giusta dose di veleno, “del guaio in cui mi hai cacciata affibbiandomi quello scemo, eh?”.

Lui si limitò a sbattere le palpebre stupidamente. Ottima mossa, se voleva farmi incazzare ancora di più.

“Rispondi!”, sibilai furibonda. Jacob parve riprendere la facoltà della parola, ma ovviamente con la domanda sbagliata.

“Che è successo, Leah? Jeremy ti ha fatto del male?”. La domanda era venata da sincera preoccupazione e attenuò lievemente il mio cipiglio.

“Non avrebbe mai potuto farmi del male, ti pare? Non sono mica una novellina!”. Ma per chi mi aveva preso? Voleva ferirmi nell’orgoglio, per caso?

“Cosa ti ha fatto allora? Non capisco…”. Eccolo il falso cucciolo indifeso. Non era sufficiente il fatto che l’idiota platinato esistesse per farmi infuriare? Ah, no. Dimenticavo che Jeremy si preparava a far parte della famiglia di Nessie. Che sbadata, era ovvio che Jacob già lo considerava un amicone.

“Che cosa mi ha fatto? Vuoi davvero sapere cosa…”. La mia voce sfumò, mentre tra i miei pensieri filtrava il ricordo dell’azione umiliante a cui mi aveva costretta quella sanguisuga maledetta. Immaginai di raccontare tutto a Jake e mi prefigurai le reazioni.

Il sommo alfa si sarebbe verosimilmente sganasciato dalle risate e, nonostante le mie minacce, avrebbe raccontato (o rivelato telepaticamente) ogni cosa al branco. Sarei diventata lo zimbello di tutti.

Io ero in grado di nascondere qualche pensiero al branco; Jake ne era totalmente incapace e l’aveva già dimostrato in almeno un paio di occasioni.

Mi morsi forte la lingua, fino a farla sanguinare, consapevole che non potevo dire nulla. Invece avevo un desiderio folle di urlare improperi. Quel bastardo mi aveva legato le mani: era astuto, il maledetto.

Articolai, a beneficio di Jacob, un “lascia stare” più minaccioso di qualsiasi altra parola. Lui pareva perplesso, ma ebbe il buon senso di non insistere. Un vero miracolo.

Gli voltai le spalle e corsi verso casa mia, senza trasformarmi, lasciando dietro il tanfo e i vampiri, ma non la furia che si stava addensando sempre di più nel mio petto. Quella sembrava avere una voglia incredibile di farmi compagnia.

Ottimo, speriamo di non fare a pezzi la mamma, visto lo status mentale.

Un gran bentornato alla vocina della mia coscienza.


***


Riuscii a calmarmi prima di entrare in casa, per ogni evenienza. Ma mia madre non c’era, lo potevo odorare alla perfezione, e neppure Seth.

“Ciao, papà”.

In solitudine, mi concessi di salutare la foto di Harry Clearwater che occhieggiava benevola dal portafoto sul mobile dell’ingresso.

Salii le scale lentamente, senza usare nessuno dei miei poteri sovraumani, dirigendomi con calma verso il bagno. Avevo bisogno di quiete, fisica e mentale. Mi spogliai e feci scorrere l’acqua fredda della doccia. In ogni caso, anche se avessi usato dell’acqua calda, l’effetto sarebbe stato lo stesso. La mia pelle era troppo bollente per percepire la differenza.

Lasciai che le gocce fredde lavassero via tutta la fatica della giornata, che non si ripercuoteva solo nel mio corpo. Rimasi sotto la doccia per tutto il tempo che ritenni necessario, cioè almeno mezz’ora.

Poi udii distintamente, al di sopra dello scroscio dell’acqua, l’arrivo di Seth ed infine di mia madre. A quel punto mi decisi ad uscire.

Scesi in cucina, perfettamente asciutta e vestita, circa trenta secondi dopo. “Ciao mamma”, dissi laconica.

“Ciao Lee. È andata bene la giornata?”.

Non ebbe neppure un tremito nel chiedermi come era andata la prima sessione di sorveglianza ad un vampiro fuori controllo. Mia madre era una dura, era risaputo. Tuttavia, anche lei era diventata più tollerante verso i vampiri da quando si era messa ufficialmente con Charlie. Mi sentivo tradita, ma era pur sempre mia mamma e non l’avrei mai potuta odiare. 

Mi strinsi nelle spalle. “Nessun morto.”, risposi asciutta.

“Meglio così”. Si mise a cucinare senza dire altro.

Tra noi era sempre così. Poche parole, prive di particolari significati. I nostri caratteri erano talmente simili da impedirci di manifestare appieno i nostri sentimenti l’una per l’altra. Poche carezze, ancora meno abbracci, ma sempre e solo nel momento giusto.

Quando Sam mi aveva lasciata.

Quando mi ero trasformata la prima volta.

Quando era morto papà.

Erano gli ultimi, veri abbracci che ricordavo. Le mani forti e nervose di Sue Clearwater non erano particolarmente adatte per confortare, eppure io le avevo accolte come un rifugio sicuro. Sole, nell’intimità della mia stanza, avevamo abbassato un poco le nostre difese, tornando subito dopo le donne dure e indipendenti che eravamo.

Con Charlie la mamma riusciva a lasciarsi andare all’amore che provava nei suoi confronti, ma con me era diverso. Io non ero impacciata e tenera come Charlie.

Eppure sapevamo di volerci bene e tanto bastava: niente gesti teatrali, niente parole zuccherose. Solo un muto affetto che aleggiava tra noi due, inespresso ma sempre presente.

L’incedere elefantesco di Seth mi distrasse. Il bambinone troppo cresciuto aveva raggiunto la mamma e l’aveva abbracciata con trasporto. “Cosa c’è per cena?”, chiese allegro.

Eccola l’altra faccia della medaglia, la mia immagine speculare. Seth il buono.

Mia madre fece un mezzo sorriso, avvolta dalle braccia bollenti di mio fratello. “Lo sai benissimo, il tuo naso non ti può ingannare.”, rispose secca, ma la sua voce aveva una vena morbida che la smentiva. Seth ridacchiò. “Lee, vieni alla festa sulla spiaggia? È tra due settimane. Licantropi e umani under trenta.”. Lo fissai incredula. Da quando mi credeva un tipo da feste? Anche se conoscendo i party della riserva si sarebbe probabilmente trattato di una semplice mangiata intorno ad un falò.

“No.”.

A seguito della mia risposta lui si lanciò in un’opera di convincimento tale che riuscì a strapparmi un “ci devo pensare” pur di farlo smettere. Soddisfatto, si sedette a tavola per mangiare.

“Lee.”.

“Dimmi mamma. C’è qualche problema?”. Non poteva aver da ridire sul mio modo di mangiare, che confrontato a quello di Seth era decisamente molto più controllato.

“Volevo solo ricordarti che settimana prossima arriva vostro cugino, Joshua.”. Il nome mi portò il ricordo nostalgico di corse sulla spiaggia, giochi infantili all’ombra della foresta e di confidenze condivise nell’adolescenza. Frammenti della Leah che non esisteva più.

“Certo, certo”. Pessima abitudine che avevo preso da Jacob. “Ormai non c’è più nulla da discutere, no? Hai deciso che resterà qui in casa nostra e io non posso farci nulla. Ma continuo a non approvare.”

Seth riemerse a fatica dal suo pasto. Era disgustoso. “Perché non lo vuoi qui, Lee? Pensavo che fosse il tuo migliore amico!”.

Era il mio migliore amico”, dissi sottolineando pesantemente il tempo passato. “Ci darà un sacco di problemi la sua presenza qui in casa, visti i nostri impegni da licantropi. Però mamma ha deciso così.”.

“Esatto. Quindi basta discutere.”, replicò freddamente mia madre.


***


A partire dal giorno seguente si affermò una spiacevole routine. Al mattino andavo a casa Cullen, prendevo sotto custodia quel rompiscatole di Jeremy e lo portavo in giro a testare il suo autocontrollo. Ero costretta a rimanere con lui fino a pomeriggio tardo, annoiandomi terribilmente.

Solo al settimo giorno di sorveglianza mi divertii sul serio, poiché l’idiota aveva mosso un po’ troppi passi in direzione degli umani e questo gli era valso un pestaggio coi fiocchi. A suo favore dovetti dire, davanti a tutta la famiglia di sanguisughe, che non aveva neanche tentato di ribellarsi alla mia “magnanima” punizione. L’altro lato vagamente positivo della faccenda era che la sorveglianza mi permetteva di chiacchierare per dieci minuti con Rosalie quando riaccompagnavo a casa quella maledetta piaga.

Tuttavia, mettendo sui piatti della bilancia i risvolti positivi contro quelli negativi, questi ultimi erano di gran lunga più significativi. Tradotto in parole povere, quel compito mi stava trasformando l’esistenza in un inferno.

Rimanere tutta la giornata appiccicata ad un vampiro. Bleah.


***


Lo stesso giorno in cui avevo pestato degnamente Jeremy tornai a casa ritemprata e di buon umore. Era scontato.

Mi trovavo ad un centinaio di metri dalla porta d’ingresso quando fiutai qualcosa di strano. L’odore di Seth e della mamma erano normali. Ma ce n’era un altro, che non faticai ad immaginare a chi appartenesse. Aprii lentamente la porta facendola cigolare sui cardini. Il cicaleccio arrivava dal salotto e mi ci diressi con passo felpato, cercando di prendere tempo.

Superata la soglia della stanza, ebbi appena il tempo di scorgere mia madre e mio fratello incastrati nel divano.

“Ciao.”, dissi svogliatamente. Era arrivato il momento.

Immediatamente dalla poltrona di fronte a loro si alzò un ragazzo poco più alto di me, con capelli castano scuro lunghi fino alle spalle e occhi del colore del cioccolato fondente. Mi sorrise felice, con uno sguardo buono e spensierato. Non era cambiato di una virgola.

Mio cugino. Il mio vecchio migliore amico. Joshua.

La sua voce calda era quella di sempre.

“Lee-Lee, sono tornato.”

 

 

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: Ecco qui un nuovo capitolo! Spero davvero che vi piaccia, perché ci sono affezionata: in “Ritorno” entra finalmente in scena Joshua, un nuovo personaggio. Mi auguro che non vi sembri troppo inverosimile; a me è parso plausibile che Leah potesse aver avuto un amico prima della rottura con Sam (ovviamente non durante, altrimenti con ogni probabilità l’acidità di Leah non avrebbe raggiunto questi livelli). Lei stessa, in BD afferma “che un tempo era persino simpatica”. Incrocio le dita nella speranza di incontrare la vostra approvazione.

Ho dato anche un’interpretazione personale al rapporto Leah/Sue: trovo che sia l’unico possibile tra due persone così indipendenti e toste. Critiche e commenti a riguardo sono più che graditi, visto che sono decisamente alle prime armi!

Ovviamente critiche e commenti sono più che apprezzati anche riguardo al resto del capitolo.

Infine, come sempre, un grazie dal profondo del cuore a chi aggiunge la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate, a chi recensisce e a chi, semplicemente, si sofferma a leggere questa modesta storia. Grazie davvero, senza di voi la storia non andrebbe avanti.

 

E ora veniamo alle note dolenti: si avvicina settembre, mese d’esami! Ho un esame piuttosto impegnativo che mi attende alla fine del mese, quindi mi appello alla vostra pazienza nel caso di eventuali ritardi. Il prossimo capitolo verrà pubblicato al 99,9 % l’8 di settembre, salvo eventuali problemi, insieme ad una sorta di spin-off demenziale intitolato “Harvest moon- personaggi alla riscossa”, che sarà pubblicato nel fandom di Twilight. In ogni caso metterò un link in fondo al prossimo capitolo. A presto, e grazie ancora di tutto!

 

 

HorseFly: Grazie mille! *_* Che bellissimi complimenti! Hai ragione, fanno davvero bene all’autostima: la mia, per inciso, si trova generalmente qualche metro sottoterra, ma quando ho letto la tua recensione ha raggiunto livelli umanamente accettabili! Sono felice di averti fatto ridere ancora, anche se nella mia immaginazione Leah (nella scena che hai citato) si sarebbe messa a dare man forte a Kate! XD Non sentirti stupida per avermi fatto una critica, anzi hai fatto benissimo a dire quello che pensavi! Io apprezzo anche le critiche!

Riguardo a Jeremy ti dirò che non assomiglia per niente a Spike (anche se lo adoro), i capelli sono un pochino più scuri e anche i lineamenti sono abbastanza diversi. Purtroppo, poiché la vicenda è narrata dal punto di vista di Leah, non posso descriverlo nel dettaglio: mi sembrerebbe assurdo che la nostra licantropa, con un odio dirompente per i vampiri, si mettesse ad osservare e descrivere per filo e per segno una sanguisuga! ^^ Ho cercato una foto che potesse rappresentare a grandi linee Jeremy ma, sfortunatamente, non ne ho proprio trovate! :-(

Ti ringrazio tanto anche per aver proposto la storia tra le scelte, a quanto pare non è stata accettata ma ti assicuro che quando ho visto la tua segnalazione mi sono sentita commossa e onorata! Alla prossima, spero! Baci!

 

@ vannagio: E per l’ennesima volta una tua recensione mi fa saltare sulla sedia! ^_^ Ammetto che le tue recensioni sono diventate una piacevolissima costante! Grazie per i complimenti! Sei davvero troppo gentile! Sono contentissima che il capitolo ti sia sembrato “divertente e frizzante” e che continui a considerare la mia Leah IC: come ti ho già detto è una cosa a cui tengo moltissimo.

Non odio particolarmente Eddy e Bella però devo ammettere che provo come un piacere sadico a prenderli in giro! Farlo dal punto di vista di Leah è particolarmente appagante!

Della storia di Jeremy in realtà ho detto poco in questo capitolo, ci sono altre cose ancora da scoprire! Ci tengo però a precisare che Jeremy non è ispirato a Garrett, la somiglianza in questo frangente è puramente casuale! ^_^

Al prossimo capitolo! Bacioni!

 

@ Shin_Igami: Grazie per la recensione carissimo! ^_^ Sono decisamente felice che il capitolo ti sia piaciuto…o sbaglio? XD

Riguardo al potere di Jeremy ovviamente ci sono ancora un paio di cosine da sapere, che con il tempo verranno a galla!

Mi fa piacere anche che tu ritenga i personaggi come dotati di un certo spessore, benché descritti dal punto di vista di Leah! Come dico spesso, “Leah è stronza, ma non scema”! È più che in grado di capire ciò che accade intorno a lei!

Alla prossima! Baci!

 

@ Autumn Reace: Ciao! Sono contenta che apprezzi la fanfiction e la scelta di Leah come protagonista! Non tutti la amano, purtroppo! Mi fa piacere che anche lo stile ti sembri azzeccato, è stato il mio obiettivo fin da subito riuscire a creare un parallelismo tra il suo carattere e lo stile di scrittura. Ovviamente nei limiti delle mie modeste possibilità.

Riguardo a chi andrà l’amore di Leah è ancora una questione del tutto aperta, come vedi qui c’è un altro personaggio nuovo, e non sarà l’ultimo! Spero comunque che la vicenda continui ad interessarti!

Ahimè, hai più che ragione sulla ripetizione della parola “platinato”: nelle mie intenzioni questo doveva diventare un soprannome che Leah affibbia a Jeremy (infatti il vampiro non è esattamente platinato, i capelli sono un biondo molto chiaro, ma non platino). Mi rendo però conto che, pur essendo una sorta di soprannome, questo è diventato eccessivamente ripetitivo. Prometto che cercherò di non abusarne più! Ogni tanto quando sono presa dalla foga dello scrivere tralascio queste cose importanti, quindi grazie per avermelo fatto presente! Alla prossima, spero! Mi servono un po’ di critiche, altrimenti come faccio a migliorare? Baci!

 

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Capitolo 7
*** Inquietudine ***


INQUIETUDINE

 

 

 

Lo guardai, incapace di dire una parola. Complimenti per l’acume, Joshua. Se non me l’avessi detto tu non avrei mai immaginato che fossi tornato.

“Lee-Lee?”, chiese perplesso, registrando stupito il mio mutismo.

“Piantala di chiamarmi con quello stupido nomignolo. Nessuno mi chiama più così.”, risposi secca.

Lui parve ferito dalle mie parole: si morse il labbro inferiore ed abbassò un attimo gli occhi.

“Scusami, Leah. Non lo sapevo.”. Il suo sguardo di scuse non mi smosse minimamente.

“Bentornato a La Push, Joshua.”, dissi asciutta, mi voltai e salii le scale per andare in camera.

Mi appoggiai pesantemente alla porta, chiudendola. Era un incubo. Joshua che tornava a vivere a La Push. Joshua che mi chiamava Lee-Lee.

Deglutii guardando il soffitto. Gli ultimi ricordi che condividevo con mio cugino risalivano al periodo in cui stavo con Sam.

Joshua aveva accolto le mie prime ammissioni di provare qualcosa per Sam, mi aveva incoraggiata quando mi ero convinta di non avere possibilità ed infine aveva gioito come un fratello con me quando Sam aveva confessato di essere innamorato della sottoscritta.

Joshua non mi aveva mai abbandonato, finché non era stato costretto a partire per seguire la famiglia. Pochi mesi dopo, Sam aveva avuto l’imprinting con Emily, e Joshua non c’era. Io ero troppo orgogliosa per chiedergli aiuto.

E poi c’era stata la trasformazione. Su quella non potevo dire nulla neanche volendo: Joshua, il mio migliore amico, era così uscito dalla mia vita, senza che io facessi nulla per trattenerlo vicino.

Averlo davanti adesso mi suscitava semplicemente troppe emozioni. Mi serviva un po’ di solitudine per elaborarle e sedimentarle. Non mi sarei mai fatta compatire dagli altri.

Joshua mi ricordava i momenti felici passati con Sam e che avevo tentato di seppellire a fondo nella mia mente sotto strati di astio, antipatia ed asprezza. Nella mente mi figuravo mio cugino, munito di una vanga, che dissotterrava e lanciava davanti ai miei occhi i frammenti di ricordi che ora provocavano solo dolore, come cristalli spezzati sotto i piedi.

E poi Joshua era normale. Lui non rischiava di diventare una creatura da film dell’orrore come la sottoscritta: non aveva nessun legame di sangue con il lignaggio dei mutaforma. Lo invidiavo. Eravamo così simili da bambini, tanto quanto eravamo differenti da adulti. I suoi sogni lo attendevano appena girato l’angolo, i miei erano stati distrutti tempo fa, insieme a tutti i sentimenti che potevo provare. Riuscivo ad amare solo la mia famiglia.

Joshua rappresentava tutto quello che non potevo più avere.

Mi abbandonai sul letto, combattendo contro l’angoscia e la tristezza, rifiutandomi di diventare una ragazzina piagnucolante uguale alle tante che avevo conosciuto. Non avrei permesso alla presenza di Joshua di far riemergere la vecchia Leah, quella che aveva sentito il mondo crollarle addosso quando i suoi amori erano evaporati come rugiada al sole cocente, quando il suo corpo e la sua anima avevano subito un cambiamento irreversibile e non volontario.

Ero forte. Ero acida e menefreghista. Non mi facevo problemi a scaricare sugli altri le conseguenze dei miei dolori. Mi ripetevo queste parole come un mantra, tenendo gli occhi chiusi per farle penetrare più a fondo nella mia mente improvvisamente stravolta.

Svariati minuti dopo sollevai le palpebre, osservando attentamente i granelli di polvere che fluttuavano nella stanza illuminata dagli ultimi raggi del sole morente.

Ero di nuovo me stessa. Lo tsunami di emozioni si era calmato. Inspirai a fondo, senza che il respiro mi rimanesse impigliato in gola come era successo prima. Mi alzai dal letto, facendo cigolare le molle, e mi guardai allo specchio. Presi una spazzola e cominciai a pettinarmi i corti capelli. Quel gesto così quotidiano e naturale mi calmò ulteriormente: ero pronta ad affrontare la cena.

 ***

Gli altri tre erano già a tavola quando arrivai in cucina. Mormorai un saluto laconico e mi sedetti all’ultimo posto rimasto libero: quello davanti a Joshua.

Ebbene sì, la dea della fortuna mi odiava. Le avrei volentieri spaccato la cornucopia in testa.

“Ciao Leah. Va tutto bene?”. Mio cugino non sapeva trattenere la lingua tra i denti. Era più o meno la versione ingenua di Jacob.

Gli lanciai uno sguardo penetrante, intenzionata a dissuaderlo da ulteriori domande, e mi concessi di rispondere.

“Sì, va tutto bene.”. Presi la forchetta ed iniziai a mangiare. Il silenzio nella stanza era totale ed opprimente, lo avvertivo dal senso di disagio degli altri. Io invece ero più che felice di quel momento di quiete insperata.

“Sicura che non ci sia nulla che non va?”, insistette Joshua. Il suo tono era sinceramente preoccupato e coinvolto, ma non servì a mitigare l’asprezza della mia replica.

“Ho detto che va tutto bene, quante volte devo ripeterlo?”.

Per favore Joshua, smettila di guardarmi con quello sguardo da cucciolo ferito. Mi irrita soltanto di più. I tuoi occhi sempre ridenti non devono sfoggiare espressioni diverse.

Evitai di dirgli anche queste cose. Non era il caso.

“Hey Josh! Come mai hai deciso di tornare qui a La Push? Mamma non ci ha voluto dire nulla!”. Seth salvò tutti dal momentaneo imbarazzo dovuto alla mia acidità. Non che me ne importasse.

L’altro sorrise, felice di aver trovato un interlocutore più disponibile, e risistemò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio. Erano più lunghi dei miei. Glieli avrei strappati con grande soddisfazione.

“Mi sono laureato l’anno scorso in legge. Ma avevo nostalgia della riserva, che avevo abbandonato malvolentieri, e tua mamma mi ha fatto casualmente sapere che qui c’era necessità di un avvocato.”.

Bah. Era tipico di Joshua tentare di diventare un eroe della giustizia.

“Davvero? E come hai fatto a saperlo, mamma?”, chiese mio fratello, perplesso. Il solito idiota.

“Charlie.”, sibilai secca.

Mia madre annuì. “Il mio compagno è l’ispettore capo Swan, della polizia di Forks. Mi ha detto che il signor Barks, il loro avvocato d’ufficio, sta per andare in pensione. Quindi ho pensato a te. Il tuo curriculum è notevole, perciò il signor Barks ha subito accettato di prenderti come apprendista per poi lasciarti il suo posto.”.

Gli occhi di Joshua brillavano di contentezza. Era una persona così trasparente che tutte le emozioni che stava provando si leggevano sul suo viso senza nessuna difficoltà: fierezza, gratitudine, aspettativa.

“Non vedo l’ora di cominciare, Sue. Ti ringrazio tanto per l’opportunità.”.

“Non c’è di che.”, rispose asciutta. Eppure sapevo che anche lei era contenta.

Il tintinnare delle posate tornò a regnare sovrano, inframmezzando il silenzio innaturale. Quando anche l’ultimo boccone di dolce venne spazzolato mi accinsi a tornare in camera.

“Ehm…Leah, posso chiederti una cosa?”. La voce di Joshua era cortese, come sempre, nonostante le mie riposte scontrose di prima.

Annuii sentendomi vagamente in colpa. In fondo non era sua responsabilità se mi ritrovavo a stare attaccata ad un branco di succhiasangue di giorno e fianco a fianco con i miei peggiori ricordi di sera.

“Domani ti va di venire a fare una passeggiata sulla spiaggia, come ai vecchi tempi?”. Il suo sguardo speranzoso mi irritò. Pensava che bastassero degli occhi da cucciolo ed un tono vellutato per farmi diventare improvvisamente una donna tutta zucchero e cortesie?

“No.”. Avevo già fatto qualche passo quando Joshua mi chiamò di nuovo. Che strazio. Stava diventando più appiccicoso delle sanguisughe.

“Allora possiamo fare il giorno dopo?”, insistette.

“No, Joshua.”. Il mio tono era definitivo.

“Per quale motivo? Ti infastidisce il fatto che sia qui?”. Inspirai profondamente, preparandomi a rispondergli di farsi gli affari propri e che sì, non ero contenta della sua presenza a La Push, quando venni interrotta da Seth.

“Leah deve lavorare, per questo non può venire in spiaggia con te.”.

“Oh.”, rispose mio cugino. Parve raccogliere tutto il proprio coraggio e parlò di nuovo. “Alla sera?”.

Spalancai gli occhi, incredula. Perché quello stupido continuava ad insistere? Ci teneva così tanto a scavare nelle ferite non ancora completamente guarite? Oppure voleva solo farmi saltare i nervi, cosa che gli stava riuscendo egregiamente.

Mi voltai e salii le scale senza rispondergli. Lo facevo solo per la mamma, per evitare che si sentisse troppo a disagio ad assistere ad una discussione tra me e Joshua. Un evento davvero mortificante: io mi sarei messa urlare improperi e lui se ne sarebbe stato buono buono in un angolo ad aspettare che avessi finito. Conoscendo mio cugino sapevo che si sarebbe comportato così. Era semplicemente troppo buono.

Sentii, grazie al mio udito sovraumano, Seth che spiegava a Joshua che probabilmente dopo il lavoro sarei stata eccessivamente stanca.

Per la seconda volta nel giro di una giornata mi lanciai sul mio letto. Temevo che il sonno avrebbe faticato ad arrivare, ostacolato da tutto il turbinio di pensieri che girava nel mio cervello. Ma non fu così, per fortuna. Pochi minuti dopo ero già nel mondo degli incubi.

***

La mattinata radiosa faceva a pugni con il mio morale fosco.

Svegliarmi, fare colazione insieme a  Joshua con la prospettiva di passare l’intera giornata insieme ad un vampirastro senza cervello: i brutti sogni che avevo fatto quella notte impallidivano di fronte alla realtà di gran lunga peggiore.

Soffocando uno sbadiglio uscii di casa, seguita dalla voce di mio cugino che mi augurava buon lavoro. Ero ancora troppo intorpidita per sfoggiare al meglio la mia acidità perciò gli risposi con un grazie, benché fiacco. Ero comunque all’apice della mia buona educazione nei suoi confronti.

Al sicuro tra l’ombra degli alberi imponenti della riserva mi spogliai, legando il mio vestito alla caviglia con una cordicella. Un tremito inizialmente lieve e poi più violento mi scosse. I tonfi delle mie zampe potenti risuonarono poco dopo nella foresta, trasformandomi in una macchia argentea e sfocata per qualunque umano mi avesse incrociata. Il vento che mi scompigliava il pelo si stava portando via tutte le preoccupazioni, lasciando la mia mente serena.

Almeno finché non arrivai a casa Cullen.

Mi fermai ad una distanza di sicurezza, attendendo la mia palla al piede. Lui uscì quasi trotterellando, con un gran sorriso sul volto di marmo e scuotendo convulsamente la mano in un saluto da bambino delle elementari.

Alzai gli occhi al cielo, rinunciando ad ogni rappresaglia. Con lui era inutile e ormai l’avevo capito: preferivo risparmiare le energie per qualcosa di meglio.

“Ciao lupacchiotta! Oggi dove si va?”. Lo osservai un attimo, critica.

Il suo sorriso era lievemente teso, gli occhi spalancati un po’ più del dovuto e le labbra umide per il veleno.

Sbuffai pesantemente. Pensava che non mi sarei accorta che stava morendo di sete?

Caccia, pensai.

“Caccia”. La voce di Edward veniva da dentro la casa. Beh, un po’ d’aiuto non aveva mai fatto male. Mi aveva risparmiato la scocciatura di mimargli la risposta o, peggio ancora, di trasformarmi per dirgliela. La sanguisuga ossigenata annuì entusiasta.

Lo seguii di malavoglia durante tutta la battuta di caccia, constatando nuovamente la sua abitudine di controllare le prede per evitare che gli danneggiassero i vestiti.

Il mio pensiero volava più spesso del dovuto verso La Push e verso mio cugino. Non potevo farne a meno: le preoccupazioni premevano insistentemente contro la barriera della mia coscienza, impossibili da ignorare.

“Sei distratta.”. La voce di Jeremy mi riscosse. Accidenti, era grave se persino lui si accorgeva che la mia mente non era perfettamente presente.

Sollevai il muso in un gesto sprezzante. Che si facesse gli affari propri.

“È successo qualcosa? Sono un ottimo ascoltatore, sai?”. Lo guardai fugacemente, tenendo il naso puntato all’insù, poi ridacchiai facendo un suono raschiante con la gola. Lui, un ottimo ascoltatore? Ha! Divertente.

“Non sto mentendo. E ogni tanto potresti anche parlarmi, lupacchiotta!”, sghignazzò.

Scossi il muso, scocciata dalla sua insistenza e dalle sue insinuazioni. Io avrei dovuto chiacchierare amabilmente con lui? Forse in una realtà parallela. Forse.

“Insomma, non ti ho mai sentito parlare con qualcuno! Le uniche parole che ho sentito uscire dalla tua bocca erano insulti e frasi intrise di rabbia. Ma lo fai solo con i vampiri o anche con le persone?”, chiese, stranamente senza malizia.

Tuttavia la mia pazienza era già a livelli minimi.

Ringhiai forte, rabbiosa, facendogli capire che probabilmente non era il caso di insistere su certi argomenti. Tipo i rapporti interpersonali.

Lui mi osservò un attimo, come a valutare la motivazione di tanta furia. “Sicura di non voler parlare?”, domandò ancora, cautamente.

Gli feci freddamente cenno di proseguire: l’idiota mi osservò un attimo ed infine, con una saggezza che mi stupì notevolmente, decise di lasciar perdere. Cominciava ad imparare.

***

Tornammo alla base alcune ore dopo, in anticipo sulla tabella di marcia. Era stato lui ad insistere: diceva di voler vedere la partita di un qualche sport insulso ed io ero stata ben lieta di accontentarlo. Dalle occhiate che mi lanciava però temetti che quello fosse un gesto carino per permettermi di tornare a casa prima. Insomma, un gesto di cortesia.

Sperai che non fosse così: mi dava i brividi.

Rosalie mi venne incontro non appena uscimmo dalla boscaglia.

“A domani.”, mi salutò Jeremy, e ci lasciò sole. Dovetti constatarlo: il suo buonsenso stava aumentando. Una scocciatura in meno per me.

“Ehi Leah.”.

“Rosalie.”.

Mi squadrò con aria critica, passandosi distrattamente le dita nei lunghi capelli biondi.

“È successo qualcosa?”, chiese con la sua voce musicale.

Era diventato uno sport chiedermi la stessa cosa, per caso? Prima il succhiasangue platinato, poi lei. Avevano forse un collegamento mentale a me sconosciuto?

Scossi la testa, infastidita. “Non è successo nulla.”. Almeno con lei decisi di prendermi il disturbo di dare una risposta.

I suoi occhi ambrati si strinsero per il sospetto. “Non me la bevo, lupastra.”. Ghignò in modo poco elegante, come faceva sempre -e solo- con me. Guai se la sua immagine da perfetta dea bionda piena di grazie si fosse rovinata.

Il suo atteggiamento mi fece sorgere un sorriso spontaneo. Quella succhiasangue maledetta.

“È tornato mio cugino.”, cedetti.

Il suo splendido visino esibì un’espressione perplessa. “E?”.

“E basta.”

Cominciò a battere nervosamente a terra il piede fasciato da una scarpa col tacco a spillo. Il rumore era peggio di un martello pneumatico nelle mie orecchie. Capitolai.

“E va bene!”, sbuffai seccata. “Mio cugino Joshua era il mio migliore amico. Mi è rimasto accanto da quando avevo cinque anni fino a poco prima che Sam mi lasciasse. Okay?”.

Rosalie smise di muovere il piede e sospirò. “Fammi indovinare. Ricordi che ritornano, ferite che si riaprono ed impressioni di una Leah passata che non riconosci e non vuoi riconoscere.”.

La sanguisuga aveva il dono di saper riassumere tutto perfettamente e, cosa non da meno, di capirmi. Annuii, quasi sperando in un discorso accorato per tirarmi su il morale. Ma ormai la conoscevo troppo bene. Non era da Rosalie fare cose del genere.

Scosse i fini capelli, come introduzione al discorso, poi mi piantò il suo sguardo dorato addosso e sfoggiò un cipiglio severo.

“Bella codarda che sei. Sei sconvolta perché le tue memorie stanno tornando a farti visita sotto forma di tuo cugino. Sei patetica.”.

Inspirò a fondo, facendo una pausa durante la quale mi chiesi se dovevo sentirmi offesa o se, come al solito, gli insulti erano il modo di Rosalie per confortarmi.

“Tu stai scappando dal passato senza avere alcuna intenzione di guardare al futuro. Sei bloccata nella  mente tanto quanto lo sei nel corpo. Dovresti chiederti se questo è il modo migliore di vivere, Leah.”. Il suo sguardo si era leggermente ammorbidito ora. “Forse è arrivato il momento di affrontare davvero il tuo passato, chi lo sa? In ogni caso non è da te lasciarti inquietare così tanto, devi dimostrare quello che sei! Una vera dura. ”. Benché le ultime parole fossero state pronunciate con un velo di derisione le apprezzai comunque, e capii le intenzioni di Rosalie.

Le feci un cenno di saluto e mi voltai per tornare a casa, fingendomi offesa. Dopo un centinaio di metri ci ripensai.

“Ehi, succhiasangue!”, gridai rivolta alla sua schiena.

“Sì, cagnaccio?”, ribatté con grazia, guardandomi.

“Grazie.”. Incurvai un lato della bocca all’insù e lei imitò il mio gesto.

Poi ripresi la mia corsa e mi diressi verso la riserva. Senza smettere di correre mi tolsi il vestito e lo legai alla caviglia. In un attimo ero trasformata. Ora sì che potevo volare liberamente.

 

 

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: come promesso ecco il capitolo! Ho temuto di non fare in tempo a causa di un paio di problemi e invece, eccomi qua!

Spero che il capitolo vi piaccia, è abbastanza lento ma d’altronde è un capitolo di transizione. Ogni parere è più che ben accetto! Sia positivo che negativo!

Finalmente sono riuscita ad introdurre come si deve il personaggio di Joshua e anche il rapporto Leah/Rosalie che, purtroppo, ancora non avevo avuto occasione di inserire.

Ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite, alle preferite o a quelle da ricordare! Non potete immaginare quanto mi rendiate felice!

Un grazie speciale a quelli che hanno recensito, mi risollevate il morale quando la mia autostima si va a nascondere qualche metro sotto terra!

E, ovviamente, un grandissimo ringraziamento anche a tutte le persone che semplicemente leggono silenziose questa fanfiction senza pretese.

Grazie a tutti, davvero.

Il prossimo capitolo, salvo imprevisti, verrà pubblicato il 23 settembre, così mi faccio un piccolo regalo di compleanno da sola! Al prossimo aggiornamento!

 

Forse (e dico, forse!) vi chiederete dov’è finito lo spin-off che avevo promesso. È qui dentro al mio computer e non riesco a trovare il coraggio di pubblicarlo. Lo so, sono da compatire. Un giorno (ancora abbastanza lontano) racimolerò il coraggio di farlo, presumo. Alla prossima!

 

Risposte alle recensioni:

 

@  vannagio: come al solito (e spero che rimanga sempre così) grazie per i complimenti! Penso di poterti dare una spiegazione per il fatto che salto sulla sedia quando leggo le tue recensioni decisamente lusinghiere: io NON ritengo di scrivere bene. Al massimo in modo mediocre e grammaticalmente corretto, ma giusto perché faccio anche la beta-reader. Riguardo alle mie capacità sono pessimista in modo cronico.

Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, adesso entriamo nella parte introspettiva (la mia preferita) e quindi diciamo che è più difficile “gestire” Leah: è un gran sollievo sentirti dire che per ora vado ancora bene!

Riguardo al rapporto Leah/Sue appoggio il tuo pensiero: Leah deve aver pur preso da qualcuno! ^_^ E mi fa anche piacere che approvi la mia interpretazione del loro rapporto!

Comunque stavolta non mi hai fatto saltare dalla gioia sulla sedia, proprio no. Mi hai sparato direttamente nell’iper-spazio, mia cara! Alla prossima! Baci!

 

@  LittleMissCullen23: un genio? IO? Dai, non esageriamo! Anche se ammetto con tutta onestà che il complimento mi ha fatto più che piacere!

Sono felice che tu stia addirittura amando questa storia: anche io la amo davvero e ci sto riversando grandissimo impegno. E mi rende contenta oltre ogni immaginazione il fatto che essa riesca ad incontrare anche l’apprezzamento di una vampirofila come te!

Mi fa anche piacere che tu sbavassi dietro a Jeremy, lo faccio pure io! Ma la signorina Clearwater proprio non vuole vedere, che spreco…

Vorrei tanto poter dire di conoscere di persona Leah, la costringerei a diventare una delle mie migliori amiche! Senza riuscirci, ovvio. Nessuno obbliga Leah Clearwater a fare qualcosa contro la sua volontà! ^_^

Al prossimo capitolo, spero! Baci!

 

@ Autumn Reace: Ciao carissima autrice di “Rising moon”! ^_^

Meno male che mi capisci riguardo all’estasi da scrittura! Diciamocelo, ho fatto una bella gaffe! Ma son perdonata, vero?

Dunque, il ruolo di Joshua in questa storia verrà delineato meglio dal prossimo capitolo, ma già questo dovrebbe introdurre a grandi linee questo tenerissimo personaggio (avrai capito che mi piacciono le cose tenere, no? XD). L’imprinting per la signorina Leah temo di doverlo escludere, a mio parere lei non può averlo se seguiamo ciò che ha detto la Meyer…perciò no, Joshua non sarà l’imprinting di Leah. Questo piccolo spoiler posso concederlo.

Ameresti una Leah/Jeremy? °_° Penso che tu non sia l’unica, anche se per ora nessuno ha ancora scritto una cosa simile nelle recensioni! Purtroppo non posso dirti proprio nulla riguardo ai prossimi sviluppi, non vorrai mica rovinarti la sorpresa! Se ci sarà qualcosa di sorprendente!

Al prossimo aggiornamento, spero! (sicuramente al tuo prossimo ci sarò!)

Baci!

 

 



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Capitolo 8
*** Festa ***


FESTA

 

 

 

Il mio volo non durò a lungo. La riserva era troppo piccola per le mie zampe ed in breve tempo mi trovai al limitare del caseggiato. Mi trasformai rapidamente.

Ero sbucata vicino alla casa di Jacob, tutto per tentare di non incrociare il caro Joshua.

Ma la fortuna quel giorno aveva deciso di evitarmi come la peste.

Gemetti frustrata nel vedere Jake e mio cugino chiacchierare amichevolmente davanti al porticato di casa Black. Mi uscì una mezza risata quando notai Joshua guardare in alto verso il lupastro: un nano davanti ad un gigante. Sembravano andare molto d’accordo. Perfetto.

Cercai di rientrare nel folto degli alberi, muovendomi con passo felpato verso la mia salvezza. Ma Jacob aveva sentito il mio odore.

“Leah!”, urlò sbracciandosi. Le mie spalle si afflosciarono. Dalla padella alla brace.

Di malavoglia mi diressi verso i due ragazzi fermi e sorridenti.

“Come va?”, chiese il caro alfa.

Gli sorrisi nel modo più falso che mi fosse possibile, al punto che indietreggiò. “Divinamente. Ma potrebbe andar meglio.”.

Joshua spostava lo sguardo dall’uno all’altra, confuso dalla nostra breve conversazione. Meglio per lui che non capisse nulla.

“È tutto okay?”, chiese perplesso.

“Ma certo. Cosa ti fa pensare diversamente?”, ribattei con finta ingenuità. Jake mi diede una lieve gomitata nel fianco e io lo guardai malissimo, ma chiusi la bocca.

“Joshua mi ha raccontato del suo nuovo lavoro.”, disse, e gli mollò una pacca sul braccio. Avrei scommesso che gli sarebbero usciti i lividi.

Mio cugino sorrise, nascondendo il dolore. “Non è proprio così. In realtà domani ci sarà il primo colloquio e solo dopo, se farò colpo sul signor Barks, potrò cominciare a lavorare.”.

“Certo, certo.”, rispose Jake. “Questi sono solo dettagli.”.

Era arrivato il momento di dire la mia battuta: “Non ti preoccupare Joshua. Sei così in gamba che il signor Barks ti prenderà subito!”.

Ma non sarebbe stato da me. Mi limitai a rispondere “Si vedrà.”, aggiungendo un vago sorriso.

Non avevo dimenticato le parole di Rosalie –in particolare gli insulti- tuttavia avevo bisogno di tempo per metterle in pratica. Se le avessi messe in pratica.

“Ora, ragazzi, se non vi dispiace io andrei a casa a riposarmi. Il mio lavoro è molto stancante.”, dissi soavemente. Tutta scena.

Jacob accusò la frecciatina. Si guardò i piedi, spostando il peso dall’uno all’altro come faceva quando si sentiva a disagio.

Joshua sorrise con dolcezza, scostando i capelli dalla fronte in un gesto automatico. Ecco i suoi soliti occhi da cucciolo: mi facevano saltare i nervi. Strinsi forte i pugni dietro la schiena per evitare di compiere gesti avventati.

“Buon riposo.”, mi augurò. “Ci vediamo più tardi a cena, Leah.”. Mi faceva saltare i nervi anche l’affetto evidente nella sua voce. Sapevo di non meritarlo, maledizione. E non lo volevo.

Annuii e feci un cenno di saluto ad entrambi, prima di avviarmi verso casa.

Con il mio udito fin troppo sensibile sentii Joshua chiedere all’altro che lavoro facessi. Poverino, ormai si era ridotto a chiedere agli altri informazioni su di me, e solo quando fosse stato sicuro che io non potessi sentirlo. Ma lui non poteva sapere dei miei superpoteri.

Jacob si schiarì la gola, evidentemente indeciso su ciò che poteva dire. Lui sapeva che io lo potevo sentire. Aguzzai le orecchie, curiosa di sapere quello che avrebbe ideato il geniale alfa.

“Ehm, qualcosa tipo…non so…guardia giurata?”, balbettò.

Silenzio.

Udii Jacob deglutire spaventato da metri e metri di distanza, terrorizzato dalla possibilità che io non approvassi la battuta.

Lo sentii riprendere a respirare solo quando la mia risata echeggiò fino alle sue orecchie.

Che idiota.

***

I giorni si susseguivano veloci e portarono finalmente un po’ di pace.

Vedevo Joshua solo a colazione e a cena, giusto di sfuggita, perché entrambi eravamo impegnati con i nostri lavori. Joshua, com’era ovvio, era stato accolto a braccia aperte dal vecchio e ormai artritico signor Barks, che gli aveva scaricato sulla schiena un mucchio di faccende da sbrigare.

Per una volta dovevo ringraziare la dea della fortuna.

L’idiota platinato mi faceva ancora fumare le orecchie di quando in quando, ma dovevo ammettere che stava migliorando. Il suo potere di controllo, utilizzato su se stesso, gli permetteva di fare passi da gigante. Entro un mese avrebbe potuto tentare di muoversi persino in un centro abitato, obbligandomi a rimanere umana per sorvegliarlo. Eppure ero contenta. Prima Jeremy fosse diventato il “perfetto vampiro vegetariano”, prima io mi sarei liberata della sua presenza giornaliera.

Quel sabato era stato particolarmente piacevole. L’imbecille mi aveva fatto ridere segretamente per una mezz’ora buona quando, dopo aver sentito all’improvviso la scia di un umano, aveva cominciato a muoversi a scatti avanti e indietro, al ritmo di quattro battute al secondo. Infine, per cercare di trattenersi, si era schiantato contro un albero. Il povero abete era stato abbattuto, ma almeno Jeremy si era salvato dal pestaggio. Mi sentivo particolarmente magnanima dopo la scenetta ridicola alla quale mi aveva fatto assistere.

Tornata a casa psicologicamente pronta a trovarmi davanti Joshua mi stupii nel non trovare né lui né mio fratello. Mia madre era da Charlie quella sera il che si traduceva in una magnifica serata di solitudine.

Dopo una meritatissima doccia venni distratta dal rumore di una macchina che entrava nel vialetto. Incuriosita scostai la tenda della mia stanza e guardai fuori.

Il fracasso di un clacson sottolineò l’arrivo del licantropo più esibizionista di tutti: il solito Jacob Black.

Scesi istantaneamente le scale e mi accostai alla macchina. “Che c’è?”, chiesi scocciata.

“Riunione tra licantropi stasera! Salta su!”, rispose con un gran sorriso.

“Riunione? Ma non doveva esserci una “festa” stasera?”. Lo fissai sospettosa. Lui scosse la testa. “Non c’era abbastanza gente che volesse venire, quindi è stata annullata.”.

“E perché la riunione?”, chiesi ancora più scettica. Non me la bevevo.

“Senti, Leah, sei davvero troppo paranoica. Alice mi ha fatto sapere di un nuovo vampiro in arrivo, ergo è necessario un incontro tra licantropi. E tu sei la mia beta, non puoi mancare!”.

“Ergo? Sai dire anche parole così difficili, Jake?”, ridacchiai. Lui mi guardò male. “Va bene, va bene! Vengo! Che piaga che sei…”, dissi salendo in auto.

Qualche minuto di silenzio dopo mi decisi a fare la domanda che più mi spaventava.

“Dove facciamo la riunione?”. Speravo non da Sam. Essere circondata dai suoi due pargoletti urlanti non era propriamente la mia idea di “bella serata”.

“Tranquilla, non siamo da Sam.”. Il buon Jake. Ogni tanto sapeva anche comportarsi da vero amico. Lo premiai con un sorriso sincero e lui strabuzzò gli occhi.

“Cos’è quell’espressione sulla tua faccia? I primi segni dell’arrivo dell’apocalisse? Volevo salutare Nessie prima della fine del mondo…”.

Il mio viso si contorse e gli tirai un pugno sul braccio, furibonda. “Bastardo.”. Il mio pugno avrebbe spezzato il braccio a chiunque, ma non a Jake. Era giusto sufficiente a fargli abbastanza male.

“Ehi, attenta, sto guidando!”. Ma si vedeva che stava scherzando. Mi fissò un’ultima volta di sfuggita, poi si abbandonò ad una risata fragorosa.

Mi voltai verso il finestrino, apparentemente stizzita. In realtà cercavo di nascondere il sorriso che mi attraversava il volto. Fu allora che vidi la strada che stavamo seguendo.

“Jacob Black.”, sillabai furibonda, la mia voce simile al rombo del tuono che anticipa la tempesta.

Lui deglutì forte. “Sì?”, chiese flebilmente.

“Si può sapere perché siamo sulla strada che porta alla spiaggia?”. Lo vidi stringere il volante in modo convulso: per un attimo temetti che lo stesse per spaccare.

“La riunione la facciamo lì.”, rispose incerto. Come no. Credeva davvero che ci sarei cascata?

“Riportami a casa.”, sentenziai freddamente.

“Leah, dai…”.

“Subito!”, ringhiai.

“No.”.

La risposta mi lasciò spiazzata per un attimo. Di solito Jacob non si opponeva alle mie tirate in questa maniera. Lui approfittò del mio momento di stupito mutismo per continuare a parlare.

“Insomma, Leah, ogni tanto dovresti divertirti! Non puoi sempre tenere il broncio, è frustrante vederti così!”, disse con veemenza.

“Non ho voglia di divertirmi, ok? Adesso portami a casa.”.

“No.”, ripeté di nuovo.

Lo fulminai con un’occhiata assassina. Stava giocando con il fuoco quel ragazzino: la mia pazienza non avrebbe retto ancora per molto.

“Leah, ammettilo, hai bisogno di svagarti. E io ti devo questo momento di svago visto che hai accettato di sobbarcarti la sorveglianza di Jeremy.”.

Prego? Da quando avrei accettato di seguire quella sanguisuga? Più che altro ero stata costretta: da lui, tra l’altro. Adesso si faceva venire i sensi di colpa?

Scossi il capo, testarda. “Non voglio venire.”.

“Se non lo fai te lo ordinerò in qualità di alfa.”, stabilì convinto.

“Non lo faresti mai.”, lo sfidai. “Va contro ai tuoi saldi principi.”.

“In questo caso lo farei solo a tuo beneficio, quindi tecnicamente non vado contro a nessun principio.”, ribatté serissimo. Non stava scherzando quel maledetto. Certo, io al momento ero in forma umana, perciò in realtà l’ordine alfa non mi avrebbe creato nessun problema. Ma sapevo anche che non gli ci sarebbe voluto poi molto per farmi trasformare. Accidenti alla mia irritabilità.

Alzai gli occhi al cielo, sbuffando. Odiavo dargliela vinta.

Lui mi diede una pacca sulla spalla, che gli costò uno sguardo omicida da parte mia. “Vedrai che ti divertirai!”, disse contento.

“Come no!”, risposi caustica. “Mi divertirò da morire.”.

Troppo soddisfatto della sua impresa per potersi arrabbiare, mi sorrise.

***

La spiaggia di La Push al tramonto era uno spettacolo mozzafiato. Il cielo si stendeva sopra il mare in mille sfumature, dall’arancione al viola, spezzando ogni confine tra aria e acqua. Il sole si era già tuffato oltre l’orizzonte, ma il suo bagliore aleggiava ancora nel cielo, come le tracce luminose che restano impresse dietro le palpebre anche dopo che la luce non c’è più. Persino io riuscivo a rimanere incantata davanti a tanta bellezza. Il cicaleccio delle persone accorse per la festa era un ronzio indistinto nelle mie orecchie, che cercavo di ignorare. I due falò allestiti brillavano allegri nella semioscurità, le fiamme che spandevano sprazzi azzurrognoli tipici della legna arenata sulla spiaggia. Il profumo del cibo si mescolava docilmente con quello dei rami bruciati, originando un aroma incredibile che sapeva di ricordi d’infanzia. O almeno era così per me. Ma non ero completamente sicura che la cosa mi piacesse.

C’erano tantissime persone: praticamente tre quarti della popolazione giovanile della riserva. E, ovviamente, tutti i licantropi. Beh, decisamente una serata in famiglia.

Mi avvicinai al fuoco, accompagnata da Jake, con un smorfia che voleva essere un sorriso ma che in realtà sembrava più la faccia di qualcuno con un mal di stomaco davvero grave.

Tentai di parlare, tentai di interagire. Ma era inutile.

Non potevo divertirmi. Era come se tra me e le persone ci fosse stato un velo invisibile che impediva alle loro parole di raggiungere me e i miei pensieri di raggiungere loro. Cercai del cibo, da vera licantropa perennemente affamata, e cominciai a girare pigramente tra la folla, salutando di quando in quando con vaghi cenni le persone che conoscevo. Che serata assolutamente pessima. Me ne sarei andata volentieri ma se l’avessi fatto Jake mi avrebbe accusato di essere una codarda e avrei perso la faccia davanti a tutti.

Strinsi i denti. Ce la farò. Sopravvivrò anche a questa ridicola festa.

Cautamente mi diressi lontano dalla ressa, temendo ad ogni istante di essere richiamata indietro da qualche imprudente votato al suicidio psicologico. Miracolosamente nessuno mi notò, o finsero di non farlo, e raggiunsi una piccola oasi di calma.

Mi stesi a pancia in su sulla sabbia, incrociando le braccia dietro la testa ed esalando un sospiro soddisfatto. Ero ad un centinaio di metri dalla festa ma tanto bastava. Benedetta solitudine.

Guardai in alto, verso il cielo ormai scuro. Le stelle avevano fatto capolino già da un po’ di tempo: brillavano tremule, luminose capocchie di spillo conficcate nella vellutata oscurità. Mi assomigliavano così tanto, le stelle.

Silenziose. Lontane. Sole.

Circondate dal buio, con la rabbia di vedere la luce a breve distanza, ma impossibilitate a raggiungerla. Chiusi gli occhi, decisa a non lasciarmi andare a pensieri odiosamente tragici. Mi stava succedendo un po’ troppo spesso ed ero furibonda con me stessa.

Sentii dei passi avvicinarsi. Strinsi i pugni, irritata con lo scocciatore di turno. Tenendo serrate le palpebre annusai l’odore del nuovo arrivato e imprecai interiormente.

Riaprii gli occhi in tempo per vedere la sorridente faccia di Joshua nascondere il cielo stellato.

“Ciao Leah! Non mi aspettavo di trovarti qui!”, disse.

Ma guarda. Neanche io mi aspettavo di trovarmi qui.

Gli risposi con un sospiro rassegnato. “Tu piuttosto, cosa ci fai qui?”.

Il suo sorriso si attenuò lievemente, tuttavia non demorse. Il tipico coraggio suicida di Joshua. “Mi ha invitato Jacob alla festa, ma in realtà anche Seth me l’aveva accennato. È incredibile quanto siano cresciuti, quasi non li riconoscevo!”.

“Fidati, sono cresciuti solo nel corpo. Il cervello è rimasto uguale a quando erano bambini. Anzi, probabilmente si è pure ristretto.”, replicai automaticamente. Lui mi guardò un attimo, intento.

Poi la sua voce quieta ruppe l’ennesimo silenzio tra noi. “Posso sedermi?”.

Beh, la sua vicinanza non mi avrebbe certo causato il morbillo. Scossi le spalle, indifferente, e lui si sedette accanto a me. Levò anche lui gli occhi verso le stelle.

“Sei cambiata, Leah.”. Il suo sguardo limpido mi scrutò per un attimo prima di riprendere la contemplazione del cielo. “Sei cambiata davvero tanto.”.

“Questi non sono affari tuoi.”. Lui sobbalzò come se avesse ricevuto un colpo di pistola in pieno petto e i suoi occhi si fecero dapprima tristi, poi determinati.

“Invece ti sbagli. È anche affar mio.”, sentenziò convinto.

Da quando Joshua si metteva contro qualcuno? L’addestramento da avvocato doveva aver fatto miracoli. Lo fissai con uno sguardo scettico, sfidandolo ad andare avanti. Non gli conveniva farmi saltare i nervi.

“È affar mio.”, ripeté cocciuto.

“Questo l’ho capito, per quanto sia assurdo. Ti spiacerebbe spiegarmi perché?”, ribattei secca.

“Perché sei mia amica, Leah.”.

Questa poi. Non ci vedevamo –e sentivamo- da anni e lui mi considerava ancora una sua amica: quel ragazzo era completamente fuori di testa. Se sperava di far breccia nel mio cuore con quattro moine proprio non aveva idea con chi avesse a che fare.

“Sono sette anni che non ci sentiamo, Joshua. Non ti sembra di essere ridicolo?”, feci, acida.

Lui scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli scuri intorno al suo collo. “L’amicizia non si esaurisce né con gli anni né con la distanza. Ti ho sempre voluto bene e te ne voglio ancora. E mi dispiace tantissimo di vederti così…”. Si interruppe, cercando la parola adatta. In uno slancio di pura bontà lo aiutai.

“Stronza?”, suggerii.

Lui ridacchiò e io digrignai i denti. Aveva per caso intenzione di prendermi in giro?

“Beh, io avrei usato altri termini, magari un pochino più eleganti. Ma , Leah: sei diventata una stronza.”, rispose, eppure il suo sguardo gentile smentiva l’insulto che mi aveva appena rivolto.

Perché doveva essere così schifosamente perfetto?

“E quindi?”, ribattei secca. “Ho i miei motivi per essere stronza, d’accordo? E, guarda un po’, comportarmi in questa maniera mi fa vivere bene.”.

“Bugiarda.”.

La sua replica improvvisa mi lasciò un attimo senza parole. Non tanto per la velocità con cui mi aveva risposto, quanto per la sicurezza che esprimeva in quella singola parola.

Ma mi ripresi velocemente. Scoccandogli uno sguardo furente sibilai la mia minaccia.

“Attento a quello che dici. La mia pazienza non è infinita.”.

Lui sorrise. Un sorriso dolce, comprensivo e pieno d’affetto. Glielo avrei strappato a unghiate.

“Leah, sei sempre stata una persona di poche parole, questo non lo nego. Per farti confidare con me c’è sempre voluto del bello e del buono eppure non hai mai rifiutato la compagnia di persone che potevano esserti amiche. E non hai mai cercato di ferire intenzionalmente gli altri, né con gesti né con parole. Hai sempre avuto anche un bel caratterino ma mai ti ho visto reagire e scattare in modo velenoso come in questi giorni. Cosa ti è successo, Leah, per farti cambiare così tanto?”.

Quel ragazzo aveva passato il limite. Cosa credeva, di potermi criticare proprio quando lui, il mio migliore amico, si era rifiutato di starmi accanto nel momento in cui ne avevo più bisogno? Lui non sapeva niente di quello che avevo passato.

“Leah, lo so che è andata male con Sam ma…”.

“Sta’ zitto!”, ringhiai. “Tu non sai nulla, nulla di quello che è successo! Se davvero ti ritieni ancora mio amico fammi il piacere di lasciarmi in pace e di non rigirare il coltello nella piaga.”. Chiusi di scatto la bocca, improvvisamente consapevole di quello che avevo appena detto. Avevo ammesso di soffrire: avevo manifestato una debolezza. Imprecai contro la mia stupidità.

Le labbra di Joshua erano leggermente curvate all’insù, sapendo di aver preso un piccolo vantaggio su di me.

“Cosa può essere successo di così terribile?”, chiese ingenuamente.

Tremai visibilmente, serrando di nuovo i pugni. “Hai idea”, dissi con voce livida e carica di rabbia, “cosa voglia dire vedere le persone che si amano venirti strappate una ad una, senza che nessuno si fermi a pensare se questo possa farti soffrire?”. Mi maledissi di nuovo. Accidenti a me e alla mia suscettibilità. Stava facendo apposta a dirmi quelle cose per farmi sbottonare. Portai lo sguardo verso l’orizzonte, rifiutandomi di guardare mio cugino, ferita nell’orgoglio.

Lo sentii sfiorarsi i capelli e poi sospirare. “Mi dispiace tanto, Leah. Avrei voluto esserti più vicino. Ho saputo troppo tardi quello che stava succedendo.”, la sua voce conteneva un tormento profondo e sincero, ma non ebbe alcun effetto su di me. Era in ritardo di almeno sei anni.

Lui mi guardò e probabilmente intuì, dalla rigidità dei miei lineamenti e della mia postura, quello che stavo pensando.

“Perché non mi racconti quello che è successo? Confidati con me come una volta, ti farebbe bene, ne sono convinto.”.

Lo fissai come se fosse un alieno. Doveva essere fuori di testa per chiedermi una cosa simile.

“No.”. La mia risposta tagliente non si fece attendere.

“Perché?”.

Sbuffai pesantemente, lanciandogli uno sguardo sarcastico.

“Andiamo, Leah. È inutile che cerchi di nasconderti dietro a questi atteggiamenti. Lo so che non vuoi parlare di quello che hai passato perché ritieni ti faccia troppo male esprimere i fatti in parole. Eppure affrontare per una volta i tuoi demoni potrebbe davvero farti bene. Potrebbe farti andare avanti.”.

Le sue parole erano straordinariamente simili a quelle di Rosalie e la cosa non mi piacque. Mi alzai per andarmene.

Non sto fuggendo. Leah non fugge mai.

Avevo già fatto qualche metro quando la voce di Joshua mi fermò.

“Non ho intenzione di arrendermi, ricordatelo. Non sopporto di vederti così, Lee-Lee.”. Il mio nomignolo, lanciato in modo così incauto verso le mie orecchie, simile ad un fiammifero sbadatamente gettato in un mucchio di fieno, mi scosse. Perché doveva fare così? Non poteva lasciarmi in pace a marcire nel mio inferno in Terra? No, Joshua l’eroe voleva salvarmi dalla prigione che mi ero creata. Che stupido.

Girai appena la testa verso di lui, guardandolo con la coda dell’occhio, non sapendo -per una volta- cosa dire. Poi scrollai le spalle e corsi via verso la foresta.

Quando fui sicura di essere lontana da sguardi indiscreti mi trasformai. Era un sollievo: le emozioni da lupo erano molto più semplici e quindi più facili da gestire.

Eppure questo non impedì ad un pensiero di attraversarmi la mente.

Leah Clearwater, stai fuggendo.

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: eccomi di nuovo qui, come promesso! Noterete che in questo capitolo le cose cominciano a muoversi un pochino (alleluja, direte!) ma vi assicuro che il bello deve ancora venire!

Visto che oggi è il compleanno della vostra adorata autrice (me la suono e me la canto da sola), ho deciso di fare un regalino a voi (invece che a me): essendomi portata abbastanza avanti con i capitoli, comincerò a fare degli aggiornamenti settimanali. Il prossimo quindi sarà il 30 settembre. Spero di poter continuare così fino alla fine della storia ma purtroppo non so ancora che carico di lavoro comporterà l’università, quest’anno in particolare, quindi non garantisco aggiornamenti settimanali fino all’epilogo. In ogni caso vi avviserò.

 

Piccola nota dolente: le recensioni. Purtroppo ho visto che stanno calando e, da brava pessimista, mi sono convinta che la storia stia piacendo sempre di meno. Tranquilli, minacce del tipo “se non recensite non aggiorno” non le riceverete mai da me, però ci tenevo a dirvi che per me è importante ricevere un vostro parere. Se la fanfiction non è bella o sta calando o non stuzzica più il vostro interesse non fatevi scrupoli a dirmelo. Le critiche costruttive aiutano a migliorare!

Quindi ribadisco che ogni tipo di commento è più che ben accetto!

 

Ringrazio di nuovo tutti quelli che continuano ad aggiungere la storia alle preferite, alle seguite e a quelle da ricordare, mi rendete davvero felicissima! Grazie anche a chi legge questa storia silenziosamente. E, ovviamente, un grazie speciale a chi recensisce!

Piccolo angolo pubblicità: qualche tempo fa ho scritto un'altra one-shot su Twilight, se vi può interessare il link è questo ------> Emotions

 

@vannagio: come sempre, grazie mille per la recensione! Riesci sempre a risollevarmi il morale! ^_^

Mi fa davvero piacere che il mio stile ti piaccia, detto da te è una grandissima soddisfazione! Riguardo all’essere ripetitiva, non ti preoccupare: puoi farlo quanto vuoi, non avrò mai nulla in contrario!XD Soprattutto perché mi dici sempre cose carinissime! Per me è importante mantenere tutti i personaggi IC (penso di averlo detto un milione di volte, ormai!) e sono contenta di incontrare ancora la tua approvazione! E hai proprio ragione: Rosalie e Leah sono due grandissime Donne, in grado di conquistare il mondo!!! *risata malefica*

Al prossimo capitolo!

Baci, chiaki

 

@Autumn Reace: carissima! Ebbene sì, pure io una settembrina! ^_^ Però io sono una bilancia, tu dovresti essere della vergine, giusto?

Temo di averti messo una tremenda confusione in testa, tutto per il mio desiderio di evitare spoiler! Lo dico a te in via del tutto confidenziale: a Leah vorrei davvero regalare un lieto fine, spero solo di riuscirci! Il “volo” che hai nominato era inteso come la sua corsa nella foresta, e la sensazione di libertà che le lascia. Riguardo a cambiamenti in positivo…beh, peggio di così non le può andare, giusto?

Lo spin-off penso che lo pubblicherò più avanti (grazie per il sostegno!) visto che non avrei neanche il tempo per darci qualche ritocco a causa dei maledetti esami! Al prossimo aggiornamento!

Baci, chiaki

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Capitolo 9
*** Passi - prima parte ***


PASSI

prima parte

 

 

 

Quelle a seguire furono decisamente giornate no.

Letteralmente.

 

Il primo tentativo fu dopo cena, nella speranza che il pasto eccellente preparato da mia madre mi avesse ammorbidito l’umore.

“Leah, ti va di andare a fare una passeggiata con me?”, chiese Joshua, il sorriso dolce e fiducioso che si allargava sul volto.

Gli sorrisi di rimando. Più falsa che mai.

“No”. Secca, decisa. Senza tentennamenti.

“Ma Leah…”, tentò nuovamente.

“No”.

 

Il secondo tentativo, fresco della recente esperienza, cambiò strategia. Me lo chiese prima di cena.

Che idiota. Proprio quando ero reduce da almeno dodici ore di sorveglianza ad un succhiasangue. Era come se mi stesse pregando di pestarlo.

“Leah, ti andrebbe…”, chiese mentre stavo marciando verso la porta di casa.

“No”, ringhiai furibonda.

“Andiamo, Leah, per fav…”.

Mi bloccai, portandomi le mani ai fianchi e sfoggiando la mia migliore aria infuriata. Che riusciva a far tremare persino i licantropi, a dispetto delle incredibili capacità di ripresa fisica. A Joshua invece ci sarebbe voluto tempo per smaltire un paio di ossa rotte.

“No”, decretai irremovibile. Me lo lasciai alle spalle ed entrai in casa sbattendo violentemente la porta.

 

L’ennesimo tentativo fu più intelligente. Per i suoi standard, ovvio.

Stavo uscendo di casa stavolta, al mattino e per di più assonnata. Persuaso dalla convinzione che fossi più malleabile nel torpore delle prime ore della giornata si lanciò nella sua solita missione.

Rompermi le scatole.

“Leah, dopo cena ti andrebbe di fare quattro passi con me?”, chiese garbato. Almeno gli avevo dato modo di finire la frase.

Sbadigliai vistosamente e poi mi concessi di fissarlo con uno sguardo palesemente scocciato.

“No”, risposi acidamente.

“Ti prego, Leah! Non ti costa niente!”

Gli rivolsi un sorrisetto sarcastico. “Mi costerebbe eccome. Quindi, caro Joshua, no”.

Sospirò, guardando a terra, sconfortato. Mi faceva un po’ pena. Giusto un pochino. Quel ragazzo se li sceglieva proprio male gli avversari.

“Arrenditi e basta, Joshua”, gli dissi, quasi cordiale.

Fu il suo turno di sorridere.

“No”.

 ***

Raspai pigramente il terreno con una zampa. Eravamo fermi al limitare del centro abitato, immersi totalmente nell’odore degli umani, benché nascosti alla loro vista dalla fitta vegetazione. Jeremy si era bloccato da qualche minuto: inspirava lentamente ed in modo superficiale. Si stava prendendo del tempo per calmarsi ed essere sicuro di non fare stragi.

Lo osservai con scarso interesse. Teneva gli occhi chiusi, apparentemente concentrato, e non si muoveva di un millimetro. Se non fosse stato per il respiro lo si sarebbe tranquillamente scambiato per una statua. Che noia.

Speravo che a casa Joshua non mi avrebbe di nuovo assillato con le sue assurde richieste. Ero stanca e volevo solo mangiare e andare a dormire. In santa pace. Quel ragazzo era diventato una vera spina nel fianco.

“Sei distratta, di nuovo”. La voce tranquilla della sanguisuga mi riscosse. Maledizione, l’avevo fatto un’altra volta.

Mai distrarsi nelle vicinanze di un vampiro.

Il mantra di Sam, che ci propinava quotidianamente quando ero ancora nel suo branco, mi attraversò prepotente la mente.

Guardai l’imbecille platinato, scocciata. Poi puntai il muso verso l’alto in un atteggiamento sprezzante. Lo percepii sedersi su una roccia con un sospiro.

“Si può sapere cosa c’è che non va?”, chiese improvvisamente.

Lo fissai di nuovo: anche lui mi stava scrutando con attenzione. Che si facesse gli affari propri, quel mostro dai capelli troppo biondi.

Lui scosse la mano, come a scacciare invisibili mosche. “È inutile che sostieni che non siano affari miei. Se influiscono sul tuo lavoro è ovvio che costituiscono anche affar mio”.

Che tenero. Si interessava ai miei problemi. Ma che andasse a farsi dilaniare dal branco! Bleah.

Come se io avessi voglia di parlare delle mie questioni personali con un succhiasangue maledetto.

“Eddai, lupacchiotta! Smettila di tenere sempre tutto per te! Ogni tanto sarebbe divertente fare un po’ di conversazione!”.

Tutte le mie teorie erano confermate. Quell’idiota, oltre ad essere indiscutibilmente idiota, era anche uno squilibrato. Lanciai un ringhio di avvertimento. Era molto pericolosa la strada che quell’imbecille stava imboccando.

Lui scosse il capo, al punto che il lungo codino biondo si ritrovò sul petto. Si sarebbe arrabbiato se lo avessi strappato? Probabilmente sì. Sorrisi al pensiero di farlo.

“Sei così testarda, Leah”, sospirò in modo teatrale, facendomi digrignare i denti. “Non capisco perché ti rifiuti di considerare noi vampiri alla pari di normalissime persone”.

Cos’è, mi stava prendendo in giro? Da quando i succhiasangue erano normalissime persone? Non erano normali neanche come mostri. Il mio sguardo sarcastico diceva tutto.

Lui alzò gli occhi al cielo. Era la prima volta che gli vedevo fare quel gesto: lo faceva sembrare ancora più infantile di quanto non fosse.

“D’accordo, abbiamo una dieta particolare. E allora? Alcuni umani sono cannibali, eppure sono umani, no?”.

Una dieta particolare. Era così che la chiamava quello scemo. Preferii sorvolare sull’argomento “cannibali”: solo lui poteva tirar fuori un discorso simile. Sbuffai dalle narici, a manifestare tutta la mia incredulità.

Lui aggrottò la fronte, poi proseguì. “Va bene, ci sono vampiri che continuano ad uccidere uomini e donne per nutrirsi, e questo non è propriamente un punto a loro favore. Io ero così fino a poco tempo fa. Ma non riesci a vedere che io, i Cullen ed alcuni altri della nostra razza stiamo facendo il possibile per evitare di fare del male agli umani? Stiamo andando contro la nostra stessa natura pur di non essere ritenuti dei mostri, ma delle persone vere e proprie. Facciamo sacrifici ogni giorno, combattiamo contro i nostri istinti costantemente, dimostriamo di avere una certa razionalità in grado di porci sullo stesso piano delle persone che un tempo uccidevamo. Carlisle è un medico, salva delle vite, e per farlo gli ci sono voluti secoli di sacrificio. Esme è l’immagine della dolcezza materna, difficilmente troverai una donna umana buona come lei. E anche gli altri Cullen sono persone straordinarie”. Si interruppe, preparandosi ad esibire il suo pezzo forte. Lo capivo dal sorrisetto impertinente che aveva sulla faccia. E avevo anche una vaga idea di cosa fosse quel pezzo forte.

“Dovresti saperlo, visto che sei amica di Rosalie”, concluse soddisfatto. Come immaginavo: era prevedibile quella sanguisuga.

Lievemente punta sul vivo scossi comunque il muso, indicando tutta la mia contrarietà alle sue affermazioni.

“Insomma, lupacchiotta! Anche io ho un cuore! Come tutti noi del resto!”, cercò di perorare.

Io lo fissai, vagamente divertita dalla sua dichiarazione. Un cuore, le sanguisughe? Ma se era di pietra! Non lo avrei certo definito un cuore, il loro. Feci un verso rantolante con la gola, che lui interpretò correttamente come una risatina.

Allargò le braccia in un gesto esasperato. “Nel senso che abbiamo sentimenti, no? Sul serio, Leah, ti facevo più intelligente!”.

Stavolta ringhiai. Come si permetteva di darmi della stupida? Proprio lui, il succhiasangue più imbecille della storia!

“Dai, calmati, era una battuta! Sei un po’ troppo suscettibile, lupacchiotta!”.

Ringhiai più forte, consapevole però che aveva ragione. Accidenti, io ero suscettibile. Un minimo di capacità autocritica l’avevo, in fondo. Molto in fondo. Ma di certo non lo avrei ammesso con una sanguisuga; ancora meno se la sanguisuga in questione era quell’idiota.

Lui alzò nuovamente gli occhi al cielo, poi sorrise tranquillamente. Indicò il sentiero, interrogativo. “Proseguiamo?”.

Annuii, spaccando un paio di rami che caddero a terra. Lui ridacchiò e cominciò a camminare. Incerta se pestarlo oppure no –ma incredibilmente propensa per la prima ipotesi- lo seguii.

 ***

Tornata a casa, la tortura numero due cominciò a ronzarmi intorno. Sembrava una mosca dotata disgraziatamente del dono della parola. Nonostante l’ennesima chiacchierata con Rosalie che mi invitava a stare calma, non riuscii a trattenermi.

“Joshua, basta! Quando capirai che il mio no è un no?”, sbottai.

“Solo quando accetterai la mia richiesta”, ribatté lui calmissimo. Troppo calmo.

Dopo il nervosismo della sorveglianza ci mancava solo un cugino estremamente cocciuto e fermamente determinato a rendermi impossibile la vita. Avevo bisogno di liberarmene.

L’omicidio non era contemplato, mia madre ci sarebbe rimasta troppo male.

D’accordo, difficilmente sarei stata in grado di uccidere mio cugino a sangue freddo, però stava davvero diventando uno strazio. E la mia pazienza era decisamente limitata.

Lui continuava a fissarmi. Era una partita persa in partenza con me: nei giochi di sguardi ero imbattibile.

Gli lanciai un’occhiataccia che gli fece fare un passo indietro.

Tossicchiò artificiosamente. “Ehm, io vado a farmi una doccia prima di cena. A dopo”. E fuggì, probabilmente a tentare di ideare una nuova strategia di persuasione.

Leah 1, Joshua 0. Sorrisi soddisfatta.

Sì, ero imbattibile.

 ***

Dopo cena la solita, noiosissima, indisponente scena. Ormai prevedevo le sue battute.

Leah, ti andrebbe di fare una passeggiata?

“Leah, ti andrebbe di fare una passeggiata? Potremmo chiacchierare un po’ insieme, con tranquillità.”, chiese.

Santo cielo, aveva aggiunto qualcosa di nuovo! Dovevo cominciare a temere?

“No”. In effetti anche lui poteva ormai prevedere le mie battute.

Joshua scollò le spalle, mostrando per la prima volta la sua frustrazione. Sospirò e stette in silenzio per alcuni minuti, mentre io fingevo di guardare la televisione. Le chiacchiere che venivano dall’apparecchio riecheggiavano pigramente nella casa. Seth era uscito con alcuni ragazzi del branco che non avevano avuto l’imprinting, mia madre stava sistemando la cucina.

“Ti ho già detto che non sono disposto ad arrendermi”, mormorò Joshua. Io lo ignorai palesemente.

Con la coda dell’occhio lo vidi torcersi le mani, lo sguardo assorto fisso al pavimento. Era uno stupido. Possibile che non fosse in grado di abbandonare quella missione da supereroe dei poveri? Sbuffai. Lui mi imitò e io lo guardai male.

“Ho una proposta. Se tu accetterai di venire almeno una volta con me a fare quattro passi io non te lo chiederò più, d’accordo?”, buttò lì.

Beh, era una proposta interessante. Un’oretta di tortura in cambio di una vita di pace. Dov’era la fregatura? Accavallai elegantemente le gambe ed incrociai le braccia. Adoravo fare un po’ di scena. Mio cugino mi guardava concentrato, cercando di vedere sul mio volto una traccia di assenso, che però non arrivava. Era divertente farlo penare un po’. La giusta punizione (anzi, forse fin troppo generosa) per giorni di rottura di scatole.

Lui si schiarì la voce. “Allora?”.

“Dov’è l’imbroglio?”, ribattei seccamente.

Lui sbatté candidamente gli occhi, da perfetto ingenuo. L’addestramento da avvocato gli aveva insegnato anche a recitare. “Non c’è, ovviamente!”, rispose.

Lo squadrai, scettica. Tentare o non tentare? Questo è il problema.

Amleto a mio confronto avrebbe avuto vita facile.

Infine mi decisi. Non avevo mai seguito la via più agevole, perché farlo ora? D’altronde Leah Clearwater è in grado di affrontare tutto: l’ha sempre fatto.

“E va bene!”, esclamai. Joshua lanciò un urlo di vittoria, saltando in piedi dalla poltrona su cui si era accomodato. L’occhiata raggelante che gli rifilai lo spedì immediatamente a sedersi contrito.

Ma l’atto di pentimento non durò a lungo.

“Allora usciamo?”, chiese su di giri.

Gli rivolsi un sorrisetto diabolico. “Col cavolo. Decido io quando si esce”.

Il suo sorriso si attenuò notevolmente. “Aspetta un attimo…cosa intendi? Avevi detto che…”.

Lo interruppi e continuai io. “Che mi andava bene l’accordo. Ed è vero. Verrò a fare una passeggiata con te. Ma non ho ancora deciso quando”, ridacchiai soddisfatta.

Joshua serrò le mani sui braccioli della poltrona, stringendoli convulsamente. “Non è giusto, Leah! Ti credevo più onesta!”.

La mia risatina si bloccò immediatamente. Come si permetteva di insultarmi?

“Attento a quello che dici, cugino”. Fin da quando eravamo bambini era consapevole che quando lo chiamavo così il mio umore era da allarme rosso. Lo vidi infatti deglutire e spostarsi i capelli dietro un orecchio in un gesto nervoso.

“Scusami”, mormorò sinceramente dispiaciuto. Che opportunista. “Semplicemente trovo ingiusto che tu mi dica così. Un compromesso si raggiunge in due, non da soli”.

Per una volta abbassai gli occhi. Ma fu solo un istante. Agitai la mano come per scacciare le sue parole. “Mercoledì prossimo. Dopodiché la questione sarà chiusa”, stabilii.

“Ma manca ancora una settimana!”, ribatté frustrato. Che si arrangiasse. Avevo bisogno di prepararmi psicologicamente a quell’uscita maledetta. Dovevo essere pronta a non uccidere mio cugino a dispetto delle cavolate che mi avrebbe sicuramente propinato.

“O così o niente”, bluffai. Doveva assolutamente accettare le mie condizioni. Non avrei resistito ancora a lungo alle sue richieste assurde: rischiavo seriamente di esplodere. Quindi speravo che l’accordo andasse a buon fine.

Le spalle di Joshua si afflosciarono. “D’accordo”, cedette. “Ma devi mantenere la tua promessa”.

Io mi raddrizzai, offesa. Per chi mi aveva presa, una spergiura? “Certo che lo farò”, sibilai. “Adesso perdonami ma sono stanca. Vado a dormire”. Mi alzai e mi diressi verso le scale.

“Buonanotte”, mi disse educatamente. Io gli feci un semplice cenno col capo e mi avviai verso la mia camera, dove il letto mi attendeva.

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: ri-eccomi qui! La vostra autrice è lievemente raffreddata ma non ha saputo resistere e ha pubblicato comunque!  Però il cervello è leggermente fuso, visto che sta parlando in terza persona!

Demenzialità a parte, avrete notato che ho scelto di dividere questo capitolo in due parti. Questo perché mi era venuto tremendamente lungo ma al tempo stesso non potevo fare due capitoli separati.

Non avrebbe avuto senso. I titoli dei miei capitoli sono molto ragionati, esprimono il tema fondamentale e “passi” si riferisce ad entrambe le parti.

In ogni caso la seconda parte di questo capitolo verrà pubblicata l’8 ottobre, che è un venerdì. Non posso fare diversamente, visto che in settimana sono in tutt’altra città per gli impegni universitari.

 

Ringrazio di cuore le persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite o a quelle da ricordare! Mi si allarga il cuore al vedere che state aumentando!

Grazie a chi legge in silenzio, anche voi siete importanti.

Un ringraziamento speciale, come sempre, va a chi recensisce: riuscite sempre a rassicurarmi!

 

@Ahily: cara, grazie per la recensione! Mi fa piacere che la storia ti piaccia, non fa niente se sei di parte! Anzi, è anche meglio! Una fan di Leah mi ucciderebbe se la facessi diventare OOC ed è un sollievo non avere ancora ricevuto minacce di morte!

Al prossimo capitolo, sperando di non deluderti! Baci!

 

vannagio: carissima!!! Grazie come sempre per le belle parole e per gli auguri! Mi hai davvero fatto una bella iniezione di autostima!

Effettivamente era anche ora che Leah si decidesse a mettersi almeno un minimo in discussione (anche se lo fa solo con se stessa), Joshua è sicuramente l’elemento che le può dare una spinta in più in questo senso.

Ma per evitare di andare OOC (dopo che con tanto impegno ho cercato di mantenere Leah IC) il procedimento sarà molto lento…e sarà una vera sfida anche per me! E chissà dove porterà! XD

Nessie effettivamente l’ho nominata poco, soprattutto perché me ne mancava l’occasione. Più avanti sicuramente la si rivedrà, non posso escluderla dalla storia!

Joshua è un tesoro, gli voglio tanto bene! La determinazione però l’ha imparata con gli anni, infatti Leah si ritrova un po’ “presa in contropiede” da questo nuovo aspetto del cugino!

Al prossimo capitolo cara!

P.S. Prima o poi ti dedicherò un capitolo per ringraziarti del sostegno continuo, devo ancora decidere quale perché voglio che sia davvero bello! Baci!

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Capitolo 10
*** Passi - seconda parte ***


PASSI

Seconda parte

 

 

Avevo davanti un’intera settimana di pace. Finalmente qualcosa andava per il verso giusto. Dovetti ricredermi quando incontrai l’imbecille ossigenato, il mattino dopo.

Esibiva una faccia da cane bastonato, corrucciata e assolutamente irritante. Cosa poteva avere lui? Non avevo certo voglia di fare da balia ad un succhiasangue depresso! Avevo già io i miei notevoli problemi.

Camminammo per un po’ avviandoci al limitare della superstrada. Lì l’odore umano era presente ma relativamente flebile, l’ideale per farlo abituare. Poi, come al solito, ci saremmo avvicinati di più al centro abitato, sempre rimanendo all’ombra della foresta. Ascoltai attentamente il suo respiro mentre arrivavamo in vista delle macchine. Era perfettamente rilassato. Molto bene, stava migliorando davvero velocemente. Forse nel giro di quattro o cinque mesi me ne sarei liberata. Che incredibile gioia.

Lo guardai un attimo, di sfuggita. E sbuffai senza riuscire a trattenermi.

Ancora quell’espressione abbattuta. Che nervoso.

Se fosse andato avanti così ancora per un po’ gli avrei staccato quella faccia funerea. Letteralmente. Un morso e la sua testa sarebbe volata via.

Lui si voltò quando mi sentì sbuffare, stupito. “Che succede?”, chiese perplesso, ma con un tono afflitto.

Io lo fissai con uno sguardo profondamente sarcastico e scocciato. L’idiota si limitò ad annuire.

“Emmett.”, brontolò. Ottimo. Adesso avevo capito tutto. Cosa credeva, che gli leggessi nel pensiero?

Ringhiai in avvertimento. La mia pazienza era poca, soprattutto con quella sanguisuga.

Sospirò sconfortato. La pietà era al momento il sentimento che fossi più lontana dal provare. Doveva muoversi a togliere quell’aria avvilita dalla sua faccia: le mie zampe cominciavano ad avere voglia di muoversi. Per un epico pestaggio, ovviamente.

“Mi ha battuto.”, gemette. Spalancai le mascelle. Cioè, quel cretino patentato mi stava facendo saltare i nervi per una sciocchezza del genere? E io che lo stavo pure ad ascoltare.

Gli mollai una zampata sulla spalla, buttandolo a terra. Lui mi guardò con la faccia di un bambino a cui venga rivolto un rimprovero ingiusto, seduto sul duro terreno. Ero immune a quelle moine. Che la smettesse di fare il depresso.

“Beh, insomma, a nessuno piace essere battuto!”, cercò di difendersi.

Ma nessuno fa le scene che fai tu!

“Va bene, va bene, ho capito!”, rispose intuendo il mio pensiero. “Ma mi ha stracciato come un principiante! Prima ancora di rendermene conto la mia sagoma era stampata su una roccia! Anche io ho un orgoglio!”.

Dovevo ricordarmi di ringraziare Emmett. E mi sarei premurata di andare in pellegrinaggio al luogo del lieto evento; magari avrei fatto anche qualche foto commemorativa.

Poi ricordai il perché mi avevano affibbiato la sorveglianza a Jeremy. E mi sentii inaspettatamente solidale nei suoi confronti. Evento più unico che raro. Che non si sarebbe mai ripetuto, ne ero certa.

Lui si alzò spolverandosi attentamente i vestiti, mugugnando qualcosa di incomprensibile, nonostante il mio udito più che sviluppato.

Gli mollai un’altra zampata, stavolta meno violenta, e corredata da un’occhiata vagamente –molto vagamente- comprensiva. L’imbecille si massaggiò la spalla, guardandomi. Poi sorrise allegramente.

Beh, almeno si era tolto dal viso quell’espressione irritante.

“Proseguiamo?”, chiese come al solito. Io gli feci cenno di proseguire, asciutta come sempre.

***

E come tutte le cose belle, la settimana di –relativa- pace se ne volò via in un lampo. Imprecai tra me e me correndo tra gli alberi della riserva, annusando il profumo unico della foresta al tramonto. Un aroma così incredibile da andare oltre ogni descrizione e che riuscivo a percepire solo grazie al mio straordinario olfatto lupesco.

Ma neanche questo riusciva a distrarmi dal pensiero di ciò che sarebbe accaduto quella sera. Imprecai di nuovo. Cominciavo a pentirmi di aver accettato la proposta di Joshua; forse avrei dovuto essere più dura e dissuaderlo fin dall’inizio. Ma ormai il danno era fatto.

Mi concentrai sul suono ritmico delle zampe sul terreno erboso della riserva per evitare di riflettere troppo sulle cose spiacevoli. Mi trasformai poi a distanza di sicurezza.

Come prevedibile il mio carissimo cugino mi attendeva sotto il porticato di casa mia con un sorriso impaziente sul volto. Io alzai gli occhi al cielo e sbuffai, continuando a camminare verso la porta d’ingresso.

“Santo cielo, Joshua! Lasciami almeno mangiare!”, esclamai già esasperata.

Il suo sorriso non si attenuò. “Certo, certo.”, rispose. Okay, il virus Jacob stava davvero dilagando. E non era una buona notizia.

Entrai, ma ancora prima di avere il tempo di andare in bagno incrociai mio fratello. Sembrava particolarmente contento; più del solito, si intende. Lui era sempre di buonumore: pareva quasi che lo facesse per compensare il mio perenne malumore.

“Come è andata la giornata, Lee?”, mi chiese allegro.

“Benissimo, fratellino. Cosa ti fa pensare il contrario?”, ribattei con voce soave. Odiavo le domande profondamente stupide.

Lui inghiottì e si guardò i piedi, ma non smetteva di sorridere. Capitolai spazientita.

“Si può sapere cos’è successo per renderti così schifosamente contento?”, dissi con una buona dose di veleno.

“Oggi, mentre ero di…”, si interruppe e guardò di sfuggita Joshua, che non si era schiodato dall’ingresso e continuava ad ascoltare. “…mentre ero al lavoro ho incontrato Edward e ci siamo fermati a parlare.”. Wow. Che gioia. Un incontro ravvicinato con il leggipensieri. Lo invidiavo davvero.

“E ha detto che forse tra qualche mese arriverà qui Maggie.”. Ecco spiegata la sua felicità. La sanguisuga dai capelli rossi era in arrivo.

Che se ne rimanesse in Irlanda a marcire insieme agli altri del suo clan!

Possibile che Seth si dovesse per forza prendere una cotta per una vampira? Con tutte le ragazze normali che esistevano al mondo! Meditai sul disconoscerlo come fratello.

“Lee, vai subito a farti la doccia, altrimenti arriverai in ritardo per la cena.”, disse mia madre dalla cucina, secca come al solito. Soppressi l’istinto di andarla ad abbracciare: mi aveva appena salvato da una crisi di nervi. O da una litigata con mio fratello, il che era pressappoco uguale.

“Okay.”, dissi asciutta, e corsi in bagno. Meravigliosa solitudine.

***

La cena passò troppo in fretta per i miei gusti. Mi offrii di aiutare mia mamma a lavare i piatti, ma per una volta lei rifiutò. Quel maledetto si era accaparrato anche il consenso di mia madre. Ero in trappola nella mia stessa famiglia.

“Leah, scendi?”, gridò Joshua dall’ingresso. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. Poi riportai lo sguardo di fronte a me: lo specchio della mia camera restituì l’immagine di una giovane donna tremendamente seccata e irritata. Urlai un “sì” e mi avviai pigramente giù per le scale.

La disgrazia numero due della mia vita attendeva con un sorriso soddisfatto che io lo raggiungessi.

Mi offrì il braccio come un gentiluomo d’altri tempi. “Prego, signorina.”, gongolò prendendomi un po’ in giro.

Lo ignorai totalmente ed uscii dalla porta. Lui mi seguì quasi trotterellando, chiaramente abbattuto per il mio scarsissimo senso dell’umorismo. Arrivata alla macchina mi sedetti al posto del passeggero, sistemandomi rigidamente contro lo schienale. Era l’unica cortesia che avevo intenzione di fargli: sapevo che anche lui, in quanto uomo, sentiva l’orgoglio andare a pezzi quando faceva guidare una donna. Maschi.

Il tragitto fino alla spiaggia sembrò innaturalmente lungo, sottolineato dal silenzio imbarazzato tipico tra due persone un tempo amiche e che ora non lo erano più.

Anche se lui credeva il contrario; era piuttosto un’amicizia unilaterale.

Arrivati a destinazione lasciai che i piedi mi guidassero verso l’oceano, in un gesto quasi automatico. L’odore di salsedine mi era sempre piaciuto, anche se non l’avevo mai detto a nessuno. Era lo stesso che aveva mio padre quando tornava da una battuta di pesca al largo.

La brezza che soffiava verso l’immensa distesa d’acqua mi scompigliò i capelli in modo quasi giocoso. Sorrisi, tenendo gli occhi chiusi ed inspirando a fondo.

“Adesso assomigli molto di più alla Leah di un tempo.”. La voce di mio cugino ruppe l’incanto. Spalancai gli occhi e lo guardai, furibonda. Quel ragazzo doveva imparare il significato della parola silenzio. Che usata con me era particolarmente opportuna.

“Piantala con questa storia. Io sono così, punto e fine!”, sibilai velenosa. Mi voltai e cominciai a camminare.

“Dai, Leah, non fare così!”, protestò rincorrendomi.

Mi fermai di botto e lo fissai. “Allora tu smettila di dire cose che hanno l’incredibile potere di farmi saltare i nervi!”, gli gridai in faccia.

Un sorriso sconsolato si delineò sul suo viso. Mi guardò con tenerezza, come un genitore con un figlio che non capisce di sbagliare. Detestavo quell’espressione con tutta me stessa.

Il suono della risacca sottolineò il silenzio tra noi due. Sentivo i nostri cuori battere, lo stormire del vento nella foresta, lo stridio dei pipistrelli che volavano intorno. Ma mi rifiutavo di ascoltare i miei pensieri.

“Perché non ci sediamo?”, propose Joshua all’improvviso. Annuii, temendo le cavolate che mio cugino avrebbe tirato fuori dal cappello.

“Ascoltami, Leah. Ma non arrabbiarti, per favore. Lasciami solo parlare.”. Il suo tono era cauto e quasi spaventato. Eppure tutto questo mi rimbalzò addosso.

“Dipende.”, risposi seccamente. Lui sospirò e si guardò le mani incrociate, come a cercarvi la forza per andare avanti.

“Io vorrei che tu mi raccontassi come è andata con Sam.”.

Mi alzai di scatto, fuori di me dalla rabbia. “Buonanotte, Joshua.”, dissi glaciale, e feci per andarmene.

“Ti prego, aspetta!”, urlò concitatamente. “Non mi piacciono i pettegolezzi! Le cose preferisco saperle dai diretti interessati! Voglio capire cosa è successo!”. Mi raggiunse e mi afferrò per un polso. Rabbiosa scossi il braccio per liberarmi dalla sua presa. Ma per evitare spiacevoli sospetti avevo usato la forza tipica di una donna umana: il risultato fu che la sua morsa si serrò ulteriormente e mi ritrovai a girare su me stessa fino a trovarmi faccia a faccia con lui.

E per una volta rimasi davvero basita.

Gli occhi di mio cugino erano lucidi, come se fosse sull’orlo delle lacrime. Tutto in lui esprimeva un dolore profondo e troppo a lungo trattenuto.

Smisi di divincolarmi. Perché stava quasi piangendo quello stupido?

“Per favore, Leah, raccontami, spiegami, aprimi gli occhi su quanto sono stato un amico deludente ed inetto.”, pregò.

Non potevo crederci. Lui si stava ancora biasimando per qualcosa accaduto più di sei anni fa. Era scemo fino a questo punto.

Joshua non mi era stato accanto, questo era vero. Non si era fatto sentire, non aveva telefonato o mandato lettere, nulla di tutto ciò. Aveva tentato di farlo poco tempo dopo la mia trasformazione, ma io avevo lasciato cadere tutto nel nulla. Non potevo raccontargli niente, in ogni caso.

Infine aveva smesso di spedire missive che rimanevano senza risposta, di fare telefonate che si concludevano sempre con “Leah non è in casa”, anche se in realtà ero lì accanto. Non avevo potuto fare diversamente: o raccontare mezze verità e inquinare irreversibilmente il nostro rapporto, oppure lasciare il ricordo di una bellissima amicizia che si è esaurita con la distanza. Avevo preferito la seconda opzione.

Dopo tutti questi anni mi aspettavo che non gli importasse più nulla di me: mi sbagliavo. Si sentiva ancora in colpa per non avermi sostenuto quando ne avrei avuto più bisogno.

“Mi dispiace di non esserci stato, Leah. Davvero tanto.”, sussurrò. Scossi la testa. Non potevo lasciare che lui si prendesse la responsabilità per tutto.

“Non è stata colpa tua. So perché non hai potuto.”, risposi asciutta.

Era vero. I suoi genitori, entrambi medici, si erano trasferiti in Africa per alcuni mesi in missione umanitaria e lo avevano portato con loro. Per cinque mesi erano rimasti lì, tagliati fuori dal mondo, per aiutare i bisognosi. Era così tipico di loro. Ed infine si erano trasferiti dall’altra parte dell’America.

“Allora raccontami, Leah! Voglio sapere cosa è successo in questi anni per farti cambiare così tanto. E so che il primo passo è sapere quello che è successo con Sam.”, disse amareggiato.

“No, Joshua.”, ribattei stancamente.

“Finché non saprò tutto continuerò a sentirmi in colpa! Ti prego.”.

Sbuffai pesantemente. Possibile che non si sapesse arrendere? Mi sedetti sulla sabbia, sospirando.

“Non aspettarti un romanzetto strappalacrime. Sarò concisa e lapidaria, sappilo.”.

Lui sorrise affettuosamente, facendomi dubitare della mia decisione fin troppo magnanima. E pure un pochino suicida, per me.

“Raccontami tutto, Leah Clearwater.”.

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: perdonate il ritardo, ma ho davvero passato una settimana pesantissima e ieri sono collassata sul letto! Il raffreddore invece di migliorare è peggiorato quindi è stato anche peggio!

Spero che la seconda parte del capitolo vi piaccia, noterete che qualcosa comincia a muoversi e che Leah si sta mettendo pian piano in discussione. Ma ovviamente non sarà tutto rose e fiori, Leah è tosta e non è disposta a cambiare facilmente.

Il prossimo capitolo verrà pubblicato settimana prossima, al sabato, ormai mi sono arresa al fatto che venerdì tendo ad essere abbastanza esausta!

Ringrazio tutti coloro che mi seguono, mettendo la storia tra le preferite, tra le seguite e tra quelle da ricordare! E un enorme grazie anche a chi legge silenziosamente questa fanfiction. Ricordate: le recensioni sono più che gradite! ^_^

 

vannagio: carissima! Grazie, grazie e ancora grazie! Certo che ti voglio dedicare un capitolo, mi sembra più che giusto! Mi stai seguendo con una costanza davvero invidiabile!

Adesso vedi quali erano le intenzioni di Joshua, effettivamente si è giocato bene le sue carte, e nel prossimo capitolo si vedranno le reazioni di Leah e la mia interpretazione di ciò che è avvenuto con Sam.

Jeremy è una persona socievole, ovviamente non avrebbe problemi a fare quattro chiacchiere con Leah ma lei…in effetti per ora preferirebbe farsi tagliare la coda!

Grazie per la recensione e anche per la fiducia, spero di non deluderti strada facendo!

Baci, chiaki

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Capitolo 11
*** Risveglio ***


RISVEGLIO

 

 

 

Mi portai una mano tra i capelli, cercando di raccogliere le idee, mentre mio cugino si sedeva accanto a me sulla sabbia grigiastra. Dovevo stare molto attenta.

Stavo aprendo un vaso di Pandora che era rimasto chiuso troppo a lungo. Dovevo essere molto cauta.

Non potevo permettermi di mostrare la mia debolezza, neppure di fronte a colui che un tempo mi era stato molto amico. E allo stesso modo non potevo concedere ai ricordi di frantumare la mia determinazione e la mia facciata da donna dura e forte.

Inspirai a fondo, preparandomi. Joshua mi guardava concentrato, gli occhi socchiusi, come se si trovasse ad una lezione universitaria particolarmente difficile. Era ridicolo. Ridacchiai tra me e me.

“Eri partito da qualche settimana. Andava tutto bene tra me e Sam. Poi è arrivata Emily, mia cugina. La conosci?”, chiesi.

Lui annuì. “Anche se non la vedo da un sacco di tempo, in realtà.”.

Rimasi in silenzio un istante, poi proseguii.

“Ero felice del suo arrivo. Ci sentivamo molto spesso ed eravamo parecchio legate. Ma anche questo lo sai. Quando le feci conoscere Sam…”. Mi interruppi un attimo, mentre i battiti del mio cuore aumentavano. Ricordavo ancora tutto.

Lo sguardo di Sam che si faceva vacuo, poi rapito, e nel frattempo la mano innaturalmente calda intrecciata alla mia cominciava a tremare. E la mia mente che registrava tutte queste cose senza comprenderle.

L’avevo osservato parlare con Emily, stupita dall’interesse che stava dimostrando, ma mi ero convinta che lo stesse facendo per me. Ero così ingenua, allora.

“Emily è molto bella e simpatica, lo sai. E Sam molto educato. Andarono subito d’accordo.”. Sorrisi amaramente. “Da quel momento tutto cominciò ad andare a rotoli.”. Già. Come dimenticare i baci di Sam che si facevano più distratti? Come dimenticare gli appuntamenti mancati o passati nel più totale silenzio, mentre lui sembrava assorto nei suoi pensieri? Come dimenticare la consapevolezza che l’uomo che amavo si stava allontanando inesorabilmente da me?

Senza che io potessi comprendere nulla.

“Passai un mese d’Inferno, senza capire il perché Sam si stesse facendo più distante o perché sembrasse particolarmente contento quando dovevamo andare a trovare mia cugina. Lo scoprii solo più tardi.”.

Quel giorno era rimasto impresso a fuoco nella mia mente, anche se facevo di tutto per non rivangarlo.

Sam che mi prendeva le mani, con uno sguardo triste ed accorato. Il mio cuore che accelerava, spaventato.

Le sue parole, che risuonavano fioche nelle mie orecchie, l’eco di un dolore lontano.

Lee-Lee, mi dispiace. Non è mai stata mia intenzione prenderti in giro, ti rispetto troppo. È per questo motivo che ti devo la verità.

Il suo tono calmo, cauto, mentre cercava il modo meno duro per dirmi le cose. E io che tremavo come una foglia, intuendo. I pezzi di un puzzle fatto di piccoli gesti, di fugaci sguardi e di strani comportamenti si stava componendo velocemente nella mia mente. Delineando un’unica sentenza.

Mi sono innamorato di tua cugina Emily.

Il dolore, che avevo sepolto con disperazione, si espanse a partire dal mio cuore, come una supernova. Diventò grande, accecante, bruciante. Superò i limiti del mio corpo e parve travolgere ogni cosa intorno a me. Poi, lentamente, il dolore collassò su se stesso, implodendo nel mio cuore che pompava freneticamente, martellando nelle mie orecchie. E lì rimase, pulsante, mentre ascoltavo le altre parole di Sam. Quelle che non m’importava di sentire.

Mi dispiace tanto, Lee-Lee. Non volevo che finisse così, tra noi due. Ti ho amato, veramente.

Ed in quel momento qualcosa si indurì dentro di me, impedendomi di collassare sui miei stessi sentimenti. Le lacrime scorrevano lente sulle mie guance e io le strofinai con rabbia, rifiutando quel mio gesto di debolezza. Gli lanciai addosso l’anello di fidanzamento, ferita e impotente, in un gesto che voleva esprimere tutto il mio disprezzo nei suoi confronti. Disprezzo mescolato al dolore che mi aveva provocato e all’amore che ancora provavo per lui. Un amore che si era esaurito solo con il tempo.

Avevo detto poche parole prima di uscire da casa sua, sbattendomi la porta alle spalle. Parole fredde ed acide. L’anticipazione di quello che sarei diventata.

Non importa, Sam. Siate felici.      

“Sam mi rivelò di essersi innamorato di Emily. Sai, qualcosa tipo ‘amore a prima vista’, hai presente?”, ridacchiai. Una risatina falsa e vuota.

Lui mi fece segno di sì, per evitare di interrompermi.

“Cosa potevo fare? Attaccarmi ai suoi vestiti e supplicarlo di non lasciarmi? Ovviamente no. Gli ho augurato felicità e mi sono fatta da parte. Lottare non aveva senso.”.

Menzogna. Il mio orgoglio mi aveva impedito di lottare come una qualsiasi ragazzina innamorata. Non che avessi fatto male, eh. Allora non ne ero a conoscenza, ma l’imprinting decisamente non si può contrastare.

Joshua mi fissò senza parlare e mi posò una mano sulla spalla, dolcemente, ma io la scossi via. Non avevo bisogno di quelle smancerie.

Fissai il cielo stellato sopra di me, tentando di calmare il mio tumulto interiore. Accidenti a Joshua.

“Come ti sei sentita?”, chiese cautamente.

Spalancai gli occhi, guardandolo. Nessuno me l’aveva mai chiesto prima d’ora.

La mamma non l’aveva fatto, mi aveva solo stretto tra le sue braccia dandomi un silenzioso sostegno.

Papà mi aveva supportato in modi diversi, anche lui senza parlarmi direttamente.

Seth era troppo imbarazzato e giovane per poter essere un vero confidente, ma mi aveva sostenuto con sguardi affettuosi e impacciate pacche sulle spalle.

I pochi amici…li avevo evitati, per paura che parlando di ciò che era successo sarei potuta crollare.

E quando ero entrata nel branco nessuno si era soffermato sui miei pensieri, tenendosene accuratamente lontani.

Joshua era il primo a chiedermi come mi ero sentita.

Mi portai le ginocchia al petto e le abbracciai. Improvvisamente le mie difese si abbassarono un poco e dai miei occhi trasparì uno sguardo triste.

Prima che potessi riprendermi da quello stato di temporanea fragilità la mia bocca parlò, quasi per volontà propria.

“Male, Joshua. Sono stata male.”. Sospirai brevemente. “Amavo davvero Sam, nessuno lo sa meglio di te. E quando mi ha lasciata…”. Mi interruppi un istante per evitare di piangere. Quello non l’avrei mai fatto. “Il mondo mi è crollato addosso. Sam era una delle mie poche certezze. Tutto si è fatto più difficile.”

Lui annuì per l’ennesima volta. “E poi è morto tuo padre, Harry.”.

Deglutii per costringere il groppo che avevo in gola a scendere. Sapevo che non sarebbe stata una buona idea parlare con Joshua. Mi conosceva troppo bene. E capiva sempre troppo.

“Sì.”, risposi con voce lievemente spezzata. “Poi è morto mio padre.”.

“Gli volevi molto bene, vero?”.

“Ma certo! Era mio padre!”, esclamai veemente, accorgendomi poi di essermi notevolmente lasciata andare. Tentai di ricompormi.

Lui si mosse a tradimento e mi abbracciò. Cercai di divincolarmi ma lui strinse più forte.

“No, Leah.”, disse risoluto. “Quando ammetterai di aver bisogno di un po’ di sostegno?”.

Sorrisi mio malgrado. “Mai.”, risposi.

Lui ridacchiò. “Non ti smentisci proprio mai.”.

Mi mossi di nuovo per sciogliermi dal suo abbraccio ma lui me lo impedì.

“Come ci si sente?”, domandò a bassa voce.

“Di cosa stai parlando?”, ribattei secca.

“Ad affrontare i fantasmi del proprio passato.”.

Inconsciamente riflettei sulle sue parole. Come mi stavo sentendo?

Male.

I ricordi mi stavano pugnalando il cuore, ed erano più di quanti lui immaginasse. Non sapeva tutta la faccenda sovrannaturale in cui ero invischiata.

Eppure…in qualche modo sentivo che quelle pugnalate si facevano meno penetranti, come se stessero perdendo la forza che avevano in precedenza.

Affrontando i miei ricordi essi stavano diventando lievemente meno dolorosi, ed avevano meno presa sulla mia mente.

Era come se insieme alle parole che avevo detto avessi sputato fuori il veleno che corrodeva il mio cuore. Non tutto, questo era impossibile, ma almeno una piccola parte.

Posai le mani sul petto di Joshua e lo costrinsi a lasciarmi. Lo feci con delicatezza, per fargli capire che non stavo rifiutando il suo sostegno. Solo in apparenza.

“Vagamente meglio.”, ammisi piccata. Lui sorrise contento. “Ehi! Ho detto vagamente.”, precisai acida.

Il suo sorriso si allargò. L’avrei preso a ceffoni. “Mi basta così, per ora.”, disse soddisfatto. “Andrà ancora meglio alla prossima uscita!”.

“Cosa?”, esclamai. Avevamo un patto! Non doveva più chiedermi una cosa simile!

Mio cugino sghignazzò. “Beh, diciamo che ‘a mali estremi, estremi rimedi’”. Lo guardai senza capire il nesso.

“Vuol dire che insisterò ancora, Leah, finché non uscirai di nuovo con me per fare quattro chiacchiere. Se non altro fare l’avvocato mi sta insegnando ad usare la furbizia.”, spiegò.

“Ti sta insegnando a diventare una gran faccia di bronzo.”, sibilai velenosamente.

Lui rise senza un minimo di ritegno. Maledetto. Mi ero fatta fregare.

Io, Leah Clearwater, mi ero fatta fregare dal mio ingenuo cugino. Sbuffai. Un falso ingenuo.

Mi raddrizzai, decisa a non fargli capire quanto in realtà mi avesse fatto bene quella chiacchierata. Però una piccola vendetta era d’obbligo.

“Adesso tocca a te. Parlami di come te la sei passata in Africa.”, gli dissi, sottolineando le parole con una violenta pacca sulla spalla. Non abbastanza forte per spaccargli qualche osso ma sufficiente a farlo piegare dal dolore. Sorrisi appagata. Ben gli stava.

Si massaggiò dove l’avevo colpito, mugugnando parole sconnesse.

“Qualcosa non va?”, chiesi angelicamente. Il sarcasmo trasudava da ogni singola lettera.

Lui capì l’antifona e non rispose.

Poi cominciò a raccontare della sua avventura da buon samaritano.

***

Avevo ascoltato solo distrattamente tutti i suoi trascorsi. Lui parlava e parlava, ma io ero concentrata su altro.

Grazie al suo magnanimo intervento io non riuscivo a non pensare a quello che mi era successo più di sei anni fa. Ed era la prima volta che lo facevo. Se in precedenza non volevo guardare in faccia al passato, ora mi ritrovavo a non poter distogliere lo sguardo.

Sentivo un sapore amarognolo in bocca e la sensazione di vestiti bagnati attaccati alla pelle: la percezione della nostalgia per qualcosa che non potevo cambiare ma che in compenso aveva cambiato me.

Nostalgia. Rabbia. Dolore.

Un cocktail decisamente poco salutare.

Eppure, in un angolo della mente –e forse anche del cuore- intuivo che quella medicina così amara mi stava facendo bene. Di sicuro mi sentivo meno oppressa: il peso che avevo sempre avuto sul petto si stava alleggerendo. Ma ciò che mi sembrava più assurdo era che non mi ero accorta di quel peso, finché non si era fatto meno gravoso.

Il dubbio si fece strada nella mia mente, di nuovo.

E se davvero avessero avuto ragione quei due? La vampira e il cuginastro?

Preferii non darmi una risposta. Non mi serviva, avrei continuato ad andare avanti come più preferivo.

Ero Leah Clearwater. E non mi sarei fatta influenzare da nessuno.

***

La mattina dopo ero tremendamente stanca.

Joshua aveva chiacchierato fino all’una di notte ininterrottamente, senza curarsi del fatto che avevo smesso di ascoltarlo un paio d’ore prima. Ma ero stata costretta a rimanere sveglia, per fingere un minimo di educazione.

Ero così scocciata che non gli risposi neanche quando lui mi augurò allegramente “buon lavoro”. Mi diressi invece a passo di marcia verso la foresta.

Giunsi in brevissimo tempo alla puzzolente casa Cullen, dopo essermi trasformata. L’imbecille mi stava già aspettando, incredibilmente, perciò ci avviammo subito verso la superstrada.

Mentre camminavano lui si voltò verso di me, cominciando a muoversi a ritroso. Mi fissava con i suoi occhi rosso scuro.

Molto bene, non sono più scarlatti. Ma…che ha quel cretino da fissarmi?

Lui sorrise, tentando di sembrare affascinante. Bleah.

Mi portai una zampa al muso, simulando un moto di disgusto. Gli angoli della sua bocca precipitarono verso il basso. Ridacchiai, ricominciando a camminare.

“Mi sembravi stanca, ma a quanto pare mi sbagliavo. Sei in ottima forma se trovi la forza per prendermi in giro.”, disse.

Ho sempre abbastanza forza per prendere in giro te. Anche per pestarti, se vuoi.

Il succhiasangue platinato alzò gli occhi al cielo, intuendo i miei pensieri.

Accidenti, stavo diventando prevedibile.

“Hai fatto le ore piccole? Sei uscita con gli amici?”, chiese affabile.

Lo fissai. Quello scemo era davvero troppo ficcanaso per i miei gusti. Per i suoi standard, tempo una settimana e ci saremmo ritrovati a spazzolarci i capelli a vicenda come delle adolescenti.

Soffocai una risatina al pensiero di lui che mi spazzolava il pelo fino a lucidarmelo. Io invece i capelli glieli avrei strappati con soddisfazione.

“Hai un odore diverso, più sopportabile. Per questo ho pensato che avessi passato un po’ di tempo con degli umani e non solo con altri cagnacci puzzolenti.”, spiegò tranquillamente.

Ringhiai, digrignando i denti. Aveva fatto centro, ma non gli avrei mai permesso di chiamarci “cagnacci puzzolenti”. Soprattutto considerato il tanfo che emanava.

Sbuffò platealmente. “Ho perso il conto di quante volte te l’ho ripetuto ma…sei davvero troppo suscettibile!”.

Appunto. E lui stava diventando troppo ripetitivo. Ero stanca di sentirlo farneticare.

Lo azzannai ad una gamba e lo feci roteare in aria, prima di farlo impattare con il suolo con una violenza inaudita.

Speravo che bastasse a cucirgli la bocca.

Rimase per un paio di secondi spalmato a terra, con mio grande compiacimento. Poi si rialzò con una lentezza esasperante, nascondendomi il volto. Probabilmente per togliermi la soddisfazione di vedere la sua faccia sofferente ed imbrattata di fango.

Ma quando rialzò il viso rimasi di stucco.

Lui stava ridendo. Non ridacchiando, non sghignazzando…stava proprio ridendo.

Mi accucciai a terra, portandomi le zampe sul capo. Se fossi stata in forma umana mi sarei messa le mani nei capelli.

Non era possibile! Quella sanguisuga dall’ego troppo grande sembrava immune al mio malumore e ai miei gentili pestaggi. Rantolai frustrata mentre lui si alzava, spolverandosi i pantaloni e togliendo il terriccio dal volto. Fece una smorfia nel vedere i vestiti sporchi e un po’ laceri, ma non mi risollevò l’umore più di tanto.

Poi quell’idiota di Jeremy mi sorrise. “Sei divertente, lupacchiotta! Estremamente prevedibile, ma divertente!”, ridacchiò.

Io ti pesto e tu dici che sono divertente? Pensai sconvolta.

“In fondo non mi fai male, giusto qualche dolorino qui e là. Invece mi fa ridere come sia facile farti scattare! Ammettilo, sei suscettibile!”, mi provocò.

Io ovviamente ci cascai con tutte le zampe, mio malgrado. Ringhiai selvaggiamente al suo indirizzo, avvicinandomi a quel pezzo di marmo decisamente troppo impudente.

“Visto che hai tante energie, diversamente da quanto pensavo, che ne diresti di fare una bella gara di velocità? Ho sentito dire che sei brava…”.

Alzai il muso, sprezzante, e gonfiai il petto orgogliosa. Nessuno mi batteva. A meno che non usassero trucchetti ignobili come quel cretino di Jacob.

“…ma ne dubito alquanto. In fondo sei solo una donna-lupo, e neanche troppo imponente. Mi sembrerebbe più plausibile che fosse Jacob, il vostro alfa, quello veloce.”.

Ogni parola che usciva da quella bocca stava gettando benzina sul fuoco. Come si permetteva di insinuare che fossi lenta?  Mettendo in mezzo proprio quel decerebrato di Jake!

Schioccai le mascelle a pochi centimetri dal suo volto, sfiorandogli il naso.

Lui rise, irriverente. “Beh, c’è un solo modo per scoprirlo, no? Partiamo?”.

Feci un sorriso inquietante, che mise perfettamente in evidenza i miei denti luccicanti e tremendamente affilati.

Senza aspettare nessun segnale scattai in avanti.

Lentamente l’irritazione lasciò spazio al benessere.

Quanto tempo era che non mi concedevo una cosa simile? Il correre con tutte le mie forze, lasciando che le zampe si esprimessero in tutta la loro potenza, godendo del vento che mi frustava il muso e mi appiattiva il pelo.

Percepire il mondo che rimaneva indietro mentre io mi muovevo avanti come un proiettile era qualcosa di meravigliosamente appagante.

Nessun legame, nessun pensiero se non la corsa. Ero…contenta.

Il buonumore aumentò ulteriormente quando mi accorsi che quello stolto di Jeremy non riusciva a tenermi dietro.

Risi con la mia solita risata lupesca, tossicchiante e selvaggia.

“Mi arrendo! Fermati!”, gridò il succhiasangue.

Rallentai fino ad assumere un’andatura trotterellante. Una volta ferma mi voltai verso di lui. Mi aveva già raggiunto, ovviamente, ma ciò non toglieva che la vittoria fosse mia.

“Direi che mi hai battuto, lupacchiotta.”, disse sconsolato. Troppo su di giri per arrabbiarmi per quello stupido soprannome –che usava con estrema frequenza- scoppiai di nuovo a ridere. Non potevo farci nulla. L’avevo stracciato! La mia mente stava facendo le capriole per la gioia.

Lui mi fissò, piccato. Questo mi fece ridere ancora di più.

Lentamente vidi i tratti del suo viso distendersi ed infine Jeremy si unì alla mia risata liberatoria.

Dopo un minuto di abbandono subentrò l’orrore e smisi di ridere, scioccata.

Cioè, io stavo quasi andando d’accordo con lui? Fantascienza pura. Sarebbe rimasta sicuramente una cosa occasionale.

Rabbrividii disgustata. Lui invece non smetteva di sorridere.

“Andiamo?”, chiese giulivo.

Con l’aria più fredda e acida che riuscissi a sfoggiare, gli feci cenno di camminare.

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: eccomi tornata! E stavolta puntuale! Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, ho cercato di rendere il più possibile la portata del dolore di Leah ma al tempo stesso della sua determinazione. Ho voluto anche chiudere il capitolo in modo “allegro”, non volevo che divenisse troppo pesante!

Il prossimo capitolo verrà pubblicato sabato prossimo, il 23 ottobre, salvo eventuali imprevisti. Comunque cercherò di non ritardare (soprattutto se mi recensite in tanti come nel capitolo precedente XD).

 

Su insistenza di qualcuno ho finalmente pubblicato lo spin-off demenziale, con il quale spero vi riusciate a fare quattro risate (anche alle mie spalle, sì). Il link è questo:  Harvest Moon-personaggi alla riscossa.

Approfitto per farmi pubblicità anche per un’altra one-shot che ho scritto nella sezione “originale-sovrannaturale”: Anime nere.

L’argomento è un po’ impegnativo e infatti il rating è arancione. Ovviamente mi farebbe piacere un vostro parere, sempre se avete voglia e tempo.

Ed infine, per la gioia di alcuni, ho trovato finalmente una foto che mostra, a grandi linee, come immagino Jeremy. L'immagine è questa. Ovviamente dovete aggiungerci gli occhi rossi ed un bel codino lungo. Fatemi sapere se gradite! ^_^

 

Ringrazio dal profondo del cuore tutti quelli che hanno aggiunto questa storia alle preferite, alle seguite e alle storie da ricordare: è una piacevole stretta allo stomaco ogni volta che vedo i numeri aumentare!

Grazie anche a chi legge la storia silenziosamente, spero di riuscire a comunicarvi qualcosa e farvi passare dieci minuti di relax.

Un ringraziamento speciale a chi recensisce, mi date sempre la spinta per continuare quando la mia autostima ha dei crolli micidiali (cioè ogni tre minuti).

 

@  Shin_Igami: grazie per aver notato i miei tentativi! In effetti è così, Joshua e Jeremy sono continuamente in opposizione con Leah, con risultati diversi e forse anche per scopi diversi…

Spero che il nuovo capitolo ti abbia soddisfatto! Alla prossima, mio caro beta!

 

@ LittleMissCullen23: Ti ringrazio tanto per i complimenti, cara! Colpiscono dritto al cuore della questione (e se è per questo, pure di chi legge): avresti dovuto vedere la mia faccia, sembravo un’ebete! XD Per quanto riguarda la domanda che mi hai fatto…la risposta è più difficile del previsto. Vista dall’esterno tutti mi giudicano una persona dolce, buona ed arrendevole: cosa che a me non dispiace, io sono così (anche se non sono certo una santa, ovvio). Però è anche difficile abbattermi: nonostante gli ostacoli io non mi arrendo mai e continuo indefessa verso la mia meta. Anche se la gente cerca di ferirmi (e ci riesce) non sono il tipo che si piange addosso. In questo direi di sì, assomiglio a Leah! Ma per il resto sono diversa da lei, anche se la adoro! Una vera Donna!

Riguardo a Maggie…porta pazienza, non ti voglio spoilerare niente, comunque credo che arriverà. Ma prima di allora ne passerà di acqua sotto i ponti!

Non sai quanto ti invidio, anche a me piacerebbe da morire andare in Irlanda! Portami con te la prossima volta! XD

Al prossimo capitolo, spero! Baci, chiaki

 

@  geme103: Ho riso per mezz’ora dopo aver letto la tua recensione! Sei adorabile come sempre! In effetti con Jeremy sono abbastanza cattiva (lo so, non se lo merita) ma chissà, magari prima o poi cambierà! Il gruppo fondalo pure, così mi faccio altre grasse risate! XD

Come hai visto ho pubblicato lo spin-off, quindi sei obbligata a recensirlo! Scherzo ovviamente, fai a tua discrezione!

Riguardo alle insinuazioni su una Jeremy/Leah…sei la seconda, ma non ho intenzione di dirti nulla! E poi, insomma, Jeremy è l’imbecille platinato con l’ego troppo grande! XD

Alla prossima tesoro! Baciotti!

 

@  vannagio: carissima! Mi hai fatto arrossire con i tuoi complimenti! Sei sempre troppo buona!

Dal primo momento in cui ho ideato “Harvest moon” mi era chiaro che Seth doveva essere innamorato di una vampira: la più adatta mi era sembrata l’esuberante Maggie (ovviamente non ha nulla a che fare con il fatto che ha i capelli rossi come i miei, XD). E chissà cosa prova lei…potrebbe nascerne uno spin-off o una long, non è mai detta l’ultima parola!

Spero che la mia versione della “rottura tra Leah e Sam” ti abbia soddisfatta, mi è sembrata abbastanza plausibile…e adesso sono terrorizzata dalla possibilità di aver scritto una cavolata! Vabbè, sono una pessimista cronica riguardo alle mie capacità. Sopportami, per favore! XD

Grazie come sempre per i complimenti, sarai felice di sapere che adesso non salto più sulla sedia ma sussulto e basta! Forse sto migliorando…^_^

Al prossimo capitolo, spero! Baci, chiaki

P.S. Visto il riferimento a Nutini…che musica ascolti? *autrice impicciona all’attacco*

 

@  mary whitlock: Ti ringrazio tantissimo per i complimenti! Soprattutto riguardo al titolo! Non è assolutamente scelto a caso, anzi alla fine della storia sarà il punto focale di tutto! Anche se ovviamente non posso dirti in che modo!

Mantenere Leah IC è estremamente importante per me (come avrò detto un trecento volte) e sono contenta che apprezzi la sua ironia e il suo sarcasmo!

Joshua è scocciante ma, come hai visto in questo capitolo, ha i suoi risultati e per quanto riguarda il caro Jeremy…beh, spero davvero che lo adorerai! Io adoro sia Jeremy che Joshua (anche se in modi diversi) quindi spero che incontrino l’approvazione di tutti! Anche se il vampirastro ha ancora un po’ di strada da fare!

Al prossimo capitolo, spero! Baci, chiaki

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Capitolo 12
*** Scoperte ***


SCOPERTE

 

 

 

Nelle quattro settimane seguenti mi ritrovai ad uscire di nuovo con Joshua, controvoglia.

Aveva ricominciato a rompere le scatole riguardo a quella storia, e alla fine non avevo avuto altra scelta se non acconsentire. Giusto per impedirmi una crisi isterica dovuta alla sua insistenza.

Come prevedibile quell’idiota di mio cugino aveva continuato a soffiare sulle braci finché non mi ero sbottonata di nuovo, parlando in modo estremamente lapidario della morte di mio padre e dei pessimi rapporti con i miei “amici”, gli adorati fratelli del branco.

Mi rendevo conto con rabbia che mi stavo ammorbidendo: cedevo con più facilità alle richieste di Joshua e mi mostravo un pochino più disponibile a parlare.

Mi sarei presa a pugni da sola.

Tuttavia, avevo deciso di lasciare che le cose proseguissero per conto proprio. Non ero stupida, mi ero resa conto che confidarmi con mio cugino mi stava aiutando a recuperare un briciolo di serenità, parola della quale avevo dimenticato ogni significato. Ero comunque ben lontana dall’ammetterlo davanti a Joshua o a chiunque altro.

Ma c’era un altro colpevole a cui imputare il mio cedimento: quella maledetta succhiasangue di Rosalie.

Con le sue solite paroline dolci – che comprendevano un “lupastra” di qui e un “pusillanime” di là- mi aveva esortata ad aprirmi un po’ di più con gli esseri umani. Nello specifico, con mio cugino.

Cominciavo a credere seriamente che avessero ordito insieme una trama malefica alle mie spalle, con il solo scopo di strapparmi dal ferreo guscio di acidità.

Pensavo che l’epoca di collaborazione vampiro/umano si fosse esaurita al tempo della trasformazione di Bella, ma evidentemente mi sbagliavo.

Quel mercoledì sera mi aprì davvero gli occhi su quanto ero diventata gentile e disponibile.

L’aria di maggio era umida ma piuttosto piacevole, non solo per me ma anche per le altre persone che affollavano la strada. Me ne stavo a braccia conserte davanti all’entrata del cinema, affiancata da Joshua e Seth.

Sbuffai scocciata.

“Allora? Quanto tempo ci vuole ancora a quegli idioti?”. La mia voce era più aspra di un limone. Odiavo aspettare, soprattutto quella sera.

La prima sera che passavo con gli “amici” da sette anni a quella parte.

Un evento.

 ***

Mi ero lasciata convincere dopo tre nevrotici giorni durante i quali mio fratello e mio cugino avevano dato il meglio di loro stessi per assillarmi. Avevo rifiutato una marea di volte, testarda all’inverosimile. Ma alla fine avevo dovuto cedere.

Motivo? Quello sciagurato di Seth.

Ero nel bel mezzo della sorveglianza a Jeremy –e quindi già di cattivo umore- quando avevo cominciato a sentire una voce della mia testa.

Esci con noi domani. Esci con noi domani. Esci con noi domani…

Ripetuto all’infinito.

Avevo capitolato dopo due ore di quella tortura insopportabile. E avevo ringhiato come una folle nel sentire i pensieri di giubilo di mio fratello.

Il succhiasangue mi aveva fissata, perplesso, e per una volta mi ero detta che forse non era lui la più grande disgrazia della mia vita.

Era Seth.

 ***

Scossi la testa, ancora sconvolta dal fatto che mio fratello si fosse trasformato pur di convincermi a passare una sera in compagnia.

Lo fa per te, perché vuole vederti felice…

A cuccia, vocina della mia coscienza!

Lo aveva fatto solo per rompermi l’anima, era ovvio.

Dopo altri dieci minuti di impazienza –in cui avevo minacciato di morte metà della popolazione dei licantropi- sentimmo le urla scherzose e spensierate dei maledetti ritardatari.

Jacob, miracolosamente privo di Renesmee, Collin e Brady formavano l’avanguardia di quel gruppetto di giganti che passeggiava per la strada incurante degli sguardi allibiti dei passanti. Che esibizionisti.

Dietro di loro si scorgevano le teste dei carissimi fratelli che avevano avuto l’imprinting, con tanto di dolci metà. L’unico che mancava all’appello era Quil, probabilmente occupato in una seduta intensiva di baby-sitting con Claire.

E anche Sam, ovviamente. Ma d’altronde, quale marito e padre, preferiva rimanere a casa con la famiglia piuttosto che uscire con gli amici.

Tu invece ti sei rintanata in casa senza motivo.

Ottimo. La mia coscienza era decisa a fare gli straordinari.

Si accorsero della mia presenza solo quando furono a qualche metro da noi. La luce impietosa dei lampioni illuminò lo spettacolo patetico delle loro mascelle in caduta libera verso il marciapiede.

Li fissai con uno sguardo sprezzante e al tempo stesso furibondo. Potevano anche evitare di calcare sulla mia ben nota asocialità.

Quando si furono ripresi si avvicinarono a noi.

“Come te la passi, Joshua?”, chiese Jared allegramente.

“Il tuo lavoro da avvocato?”, aggiunse Embry.

Paul preferì limitarsi ad assestare una pacca sul braccio di mio cugino, che rispose affabilmente a tutti. Jacob invece si avvicinò a me, mentre Seth chiacchierava con Collin e Brady.

“Non pensavo che avrei visto il giorno in cui Leah Clearwater sarebbe uscita di casa per qualcosa di diverso dal lavoro.”, mi disse.

Lo fulminai con gli occhi. “Ci metto un attimo a tornare a casa. Anzi, ne sarei persino contenta.”, risposi acidamente.

Lui mi rivolse uno dei suoi soliti sorrisi smaglianti. “Era un modo per dire che mi fa piacere che tu sia qui.”.

“Risparmiati le moine. Non attaccano. Ormai sono qui, sopravvivrò ad una serata al cinema con voi.”. Penso.

“Ma dopo il cinema ci trasferiamo ad un pub giù a Port Angeles!”, affermò come se fosse una cosa ovvia. Lo guardai spiazzata, poi mi ricomposi e strinsi i pugni.

“SETH!”,  gridai, senza curarmi del fatto che tutti si erano voltati verso di me.

Lui incassò la testa tra le spalle come se avesse ricevuto un colpo. Si girò lentamente fino ad incrociare il mio sguardo fiammeggiante. Deglutì. “Sì?”.

“Dov’è finita la ‘tranquilla serata al cinema tra amici’? Eh?”, sbraitai. Dovevo ammetterlo, non perdevo occasione per sfoggiare il mio pessimo carattere.

“Beh, tecnicamente siamo al cinema. Mi sarà sfuggito di dirti che poi ci saremmo spostati. Ti dispiace così tanto, Lee?”, chiese con i tipici occhi da fratellino affranto.

Sbuffai. Il mio unico punto debole, oltre alla mamma, aveva parlato.

“Andiamo, altrimenti comincerà il film.”, borbottai, ignorando gli sguardi totalmente basiti degli altri. Stavo decisamente diventando troppo buona.

“Ci muoviamo?”, sibilai velenosa. Avevo un’immagine da mantenere, d’altronde.

In un istante Joshua mi affiancò, sorridente come sempre, ed entrammo nel cinema circondati dai nostri amici.

“Da quando vai così d’accordo con i ragazzi della riserva?”, gli sussurrai inquisitiva. Lui si limitò a scrollare le spalle.

“Dalla festa sulla spiaggia.”. Certo, lui faceva sempre amicizia con tutti, al contrario della sottoscritta.

Quando entrammo in sala mi ritrovai a pregare fervidamente che non avessero scelto un film romantico. Educazione o no, sarei uscita a passo di marcia senza neanche guardarmi indietro.

Con autentico sollievo accolsi la scena iniziale.

Un film che comincia con una sparatoria in piena regola non può essere romantico, giusto?

  ***

Decisi di affogare la frustrazione nei pop-corn. Quello che prometteva di essere un film d’azione si era rivelato una stucchevole storia d’amore in pieno stile “Giulietta e Romeo” ambientato durante la seconda guerra mondiale.

Dopo i primi bocconi distratti mi concentrai sul sapore di quello che stavo mangiando, stupita. Da quanto tempo non gustavo dei pop-corn? Sembrava essere passata un’era.

Per mia fortuna il tempo parve trascorrere in fretta e la pellicola strappalacrime si esaurì senza che io necessitassi di un sacchetto per vomitare.

Uscii dal cinema circondata dalle chiacchiere dei miei amici. Seth era in piena rivolta.

“Accidenti a voi coppiette! Avevo chiesto ‘niente film zuccherosi’”, berciò. A quanto pareva la pensava come me.

“Piantala di fare il ragazzino, Seth!”, lo prese in giro Paul, guadagnandosi un’occhiataccia da parte mia. “E tu non fare la solita iperprotettiva, Leah! È fastidioso.”, aggiunse impertinente, ignorando la stretta di avvertimento di Rachel.

Gli altri si limitavano a fissarci, sulle spine. Il mio tremito era visibile lontano un miglio.

Sussultai quando qualcuno mi assestò una pacca sulla spalla. “Leah è la sorella che tutti noi vorremmo avere!”, esclamò Joshua, entusiasta. Gli sguardi intorno a lui erano dubbiosi, ma nessuno osò replicare. Fortunatamente aveva spezzato la tensione. Mi rilassai.

“Ragazzi, andiamo! Port Angeles ci aspetta!”, disse Jared, su di giri, tenendo un braccio intorno alle spalle di Kim.

Ci avviammo verso le macchine. Tutta questione di copertura, non potevamo certo lanciarci in mezzo ai boschi a tutta velocità per raggiungere la meta. A Joshua sarebbe venuto un colpo.

“Dove si va?”, chiesi controvoglia a Collin, salito in macchina con noi.

“Al Smuggler’s Landing. Abbiamo prenotato la saletta privata per tutta la serata.”, rispose lui, allegro. Comprensibile. Eravamo così tanti –e così grandi- da necessitare un ambiente tutto per noi.

“Dove sono i ragazzi più giovani?”, domandai. Lui parve perplesso dalla mia loquacità e rimase in silenzio per parecchi secondi. Si riscosse solo quando il mio sottile ringhio d’irritazione si sentì al di sopra del rombo del motore.

“Beh, sono giovani. Noi siamo ancora il gruppo d’elite!”, spiegò stringendosi nelle spalle.

Un coro di risatine seguì le sue parole. Brady gli mollò un pugno sul braccio, sghignazzando. “Siamo i migliori comb…”.

“Brady!”, sibilai. Non era il caso che Joshua sapesse delle nostre capacità di ammazza-vampiri.

Inspirò bruscamente e cercò di rimediare. “Intendevo…siamo la migliore combriccola di LaPush!”.

Io, Seth e Collin esalammo un sospiro di sollievo.

  ***

La serata al Smuggler’s Landing fu più piacevole di quanto non avessi previsto. Jacob aveva fatto il buffone come suo solito, spalleggiato da Joshua e Seth, mentre Paul si divertiva a prenderli in giro.

Embry aveva tentato inutilmente di prendere le loro difese ma la sua ragazza, Sarah, l’aveva fatto desistere.

“Non puoi pretendere di difendere dei decerebrati simili, tesoro.”, aveva canzonato bonariamente. Mi ritrovavo estremamente d’accordo con lei. Tutti erano scoppiati a ridere, compreso il trio delle follie. Persino io avevo sorriso lievemente.

Tornata a casa mi affrettai verso la mia stanza, dopo aver salutato un sonnolente Seth e il perennemente allegro Joshua.

Mentre prendevo sonno, mi resi conto che non mi sentivo così serena da tempo.

  ***

“Lupacchiotta! Siamo di buonumore oggi!”, esclamò la mia eterna palla al piede.

Sbuffai, guardandolo seccata. Lui non capì l’antifona e continuò a sghignazzare. Schioccai violentemente le mascelle a dimostrare quanto poco fossi di buonumore con lui accanto.

Neppure questo lo fece rinunciare alla sua perenne esuberanza. Perciò mi limitai ad ignorarlo, per quanto mi fosse possibile.

Dalla gara di velocità che avevamo improvvisato –e in cui io gli avevo fatto mangiare la polvere- i rapporti tra me e quella sanguisuga platinata si erano fatti non buoni, ma almeno distesi. Rispetto a prima, ovviamente.

Semplicemente non lo pestavo un giorno sì e uno no.

Adesso lo facevo solo una volta ogni tre giorni. Era un netto miglioramento.

Lo osservai camminare per la boscaglia senza fretta. Nonostante la scia di umano chiaramente percepibile il suo respiro era tranquillo e regolare, il suo passo sciolto e il viso disteso. La sua fronte, lasciata libera dai capelli, era perfettamente liscia, priva di contratture preoccupanti.

Mi ritenni soddisfatta. Sarebbe stata una giornata calma: potevo perdermi nei miei pensieri quanto mi pareva.

Ad un tratto l’odore umano si fece lievemente più intenso, ma conoscendo ormai le capacità di Jeremy non me ne preoccupai. Non era sufficiente a scatenare una sua reazione.

Non mi ero mai sbagliata tanto.

Lo sentii inspirare bruscamente. Si fermò di botto, immobile come una statua. Poi rilasciò il respiro in un ringhio soffocato.

E scattò.

Cominciò a sfrecciare in direzione dell’odore, lasciandomi totalmente basita.

Mi ci volle mezzo secondo per riprendermi dallo stupore e realizzare la gravità della situazione.

Lo rincorsi al massimo delle mie possibilità, ringraziando il cielo per la mia velocità eccezionale, sentendo il cuore battere impazzito nel petto.

Jeremy voleva uccidere.

Lo raggiunsi in pochi, concitati secondi. Lui mi sentì arrivare e si voltò verso di me, minaccioso. Un ghigno terrificante gli distorceva i lineamenti.

Ci eravamo fermati entrambi e ci scrutavamo, circondati dal silenzio della foresta.

Tentai di avvicinarmi cautamente a lui, per evitare che riprendesse la sua caccia. Immediatamente ringhiò. E con mio autentico orrore, usò il suo potere di controllo.

Mi trovavo bloccata, impotente, impossibilitata a fermare quello squilibrato assetato di sangue. Cercai di muovermi, disperata come non lo ero mai stata, rifiutandomi di accettare il fatto che per la mia negligenza stava per morire una persona.

Jeremy mi osservava con un sorrisino perfido, constatando la mia inutilità come sorvegliante.

No! No! NO!

La mia mente gridava, stravolta, mentre mi rendevo sempre più conto che non avevo la minima speranza di fermarlo.

I pensieri si frantumarono come vetro, conficcandosi impazziti nel mio cervello.

Ero stronza, ma non cattiva. Non potevo accettare la morte di una persona innocente. Soprattutto se la colpa era mia.

Il mostro che avevo di fronte, soddisfatto, fece per riprendere la sua caccia.

In quel momento qualcosa scattò nella mia mente. Non mi sarei arresa. Non era da me.

Leah Clearwater non si arrende mai.

Feci l’ennesimo tentativo di liberarmi, scuotendomi rabbiosa contro le pareti invisibili del potere di Jeremy. Pareti resistenti ed impenetrabili.

O almeno così credevo.

Lasciami andare! Urlai nella mia testa, determinata a liberarmi.

Con uno strappo secco che quasi mi fece cadere a terra, sentii il controllo del succhiasangue lacerarsi. Prima che lui si potesse riavere dalla sorpresa gli fui addosso, azzannandolo violentemente ad una gamba.

Senza esitare mi voltai nella direzione opposta rispetto a quella dell’odore e cominciai a correre a tutta velocità, continuando a tenerlo per il polpaccio.

Mi premurai di far sbattere il più possibile il cranio di Jeremy contro le rocce che trovavamo per la strada, ignorando il frastuono immane che causava quell’impatto tra pietra e pietra.

Soffocai un moto di appagamento e mi diressi verso casa Cullen, seguitando a prestare attenzione all’idiota che mi stavo trascinando dietro.

Se non fosse stato un vampiro, avrei detto che aveva perso i sensi. Meglio così: non si stava ribellando al mio non troppo delicato trattamento.

Leggipensieri! Avete un problema! Gridai quando ci trovammo nei pressi della casa delle sanguisughe.

In brevissimo tempo mi vidi correre incontro tutta la famiglia, gli occhi dapprima perplessi poi spaventati.

“In casa, presto!”, esclamò Edward, concitato. “Io e Carlisle andiamo a controllare cosa è successo.”.

Bella fece per protestare ma lui la bloccò. “Serve il tuo potere, lo sai.”, e lei annuì riluttante.

Portai quell’imbecille che tenevo tra le mascelle fino alla porta d’ingresso, scortata da un gruppetto di vampiri ansiosi. Pensavo fossero immuni da certe emozioni.

Emmett e Jasper lo afferrarono saldamente e lo condussero all’interno. Feci un cenno a Rosalie, sperando che recepisse il messaggio. Lei si limitò a far segno di sì con il capo.

Corsi verso gli alberi e mi fermai al limitare della foresta. Lanciai un ululato prolungato, sperando che qualcuno avesse il buonsenso di trasformarsi. Ma con quei marmocchi non c’era mai da stare tranquilli.

Marmocchi a chi? Sbraitò la voce di Seth. Lo ignorai palesemente.

Ho bisogno di Jacob! Subito!

Lui si concesse un istante per scrutare nei miei ricordi, poi scattò immediatamente alla ricerca dell’alfa.

Mi trasformai nascosta nel sottobosco ed indossai il mio vestito. Poi tornai a passo di marcia verso casa Cullen, decisa a capirci qualcosa. Sfortunatamente, in forma di lupo non sarei mai entrata dalla porta.

Entrai risoluta e senza bussare.

La sanguisuga dai capelli troppo biondi se ne stava in piedi in un angolo della stanza, affiancato discretamente da Emmett, Jasper ed Alice.

Rosalie mi si avvicinò. “Ho chiamato Renesmee. Sarà qui fra poco con Jacob.”, disse.

Ottimo. Sapevo che Jake non si sarebbe mosso senza di lei: la vampirastra bionda aveva perfettamente capito le mie intenzioni.

Feci per avvicinarmi al responsabile di tutto quel macello per dirgliene quattro ma la voce trillante di Alice mi fermò.

“Leah, per favore, rimani vicina a Rosalie. Altrimenti non riesco a vedere.”.

Sbuffai contrariata e mi sedetti sul divano, troppo nervosa per poter far caso alla puzza.

“Scusatemi.”, sussurrò Jeremy. “Non so cosa mi sia preso…”.

“Non scusarti, caro. Sappiamo che ti stai impegnando molto.”. Esme uscì dalla cucina, dove probabilmente aveva appena finito di preparare qualche manicaretto per i due piccioncini in arrivo.

Lui annuì, grato per le sue parole di conforto. La sua espressione cambiò totalmente quando vide il mio cipiglio, tutt’altro che disteso.

“Scusami, Leah.”, mormorò contrito.

“Risparmiami le tue scuse, cretino. Mi hai fatto prendere un colpo.”, ribattei gelida, inducendolo a ritirarsi di nuovo nel suo angolino. Sembrava davvero dispiaciuto. Beh, cavoli suoi. La colpa era sua.

Sentii il battito di due cuori avvicinarsi alla casa. Dovevano essere Jacob e Nessie.

L’alfa entrò come un turbine, trascinandosi dietro la fidanzata. “Tutto bene, Leah?”, chiese immediatamente. Evitai di rispondergli, ma gli lanciai un’occhiata tranquillizzante.

“Quil ed Embry sono qui. Seth è andato ad avvisare Sam e ci raggiungerà insieme a Paul e Jared. Dovremmo bastare in sette.”. Mi guardò, interrogativo. Annuii approvando le sue disposizioni.

Erano i rari momenti in cui essere la beta mi dava grande soddisfazione.

“Si può sapere cos’è successo?”, domandò poi.

Ma prima che chiunque potesse rispondere la porta d’ingresso si aprì di nuovo, ed entrarono il leggipensieri e il vampiro medico. Entrambi guardavano Jeremy con un misto di pena, meraviglia e comprensione. I secondi passarono lenti, nel silenzio più assoluto.

“Allora?”, scattò Jake, frustrato.

Edward e Carlisle si fissarono un attimo, poi quest’ultimo si decise a parlare.

“È un qualcosa che non avevamo previsto, pensavamo che fosse impossibile un’eventualità del genere…Insomma, due volte nello stesso luogo…”, sembrava riflettere tra sé e sé.

Ma la pazienza non era il punto forte dei licantropi.

Sia io che Jacob ringhiammo minacciosi.

Al che intervenne Edward.

“Beh, Jeremy, sembra che tu abbia incontrato la tua cantante.”.

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: Sorpresa, sorpresa! Non ve l’aspettavate, vero? ^_^

La storia comincia finalmente a decollare, e non si fermerà più fino all’epilogo! Penso che saranno rari da adesso in poi i momenti “statici”. Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, è quello che finora più mi è piaciuto scrivere!

Lo “Smuggler’s Landing” non è una mia invenzione, è un locale di Port Angeles che ha effettivamente una sala privata. Il sito internet è questo.

Riguardo al prossimo aggiornamento purtroppo non posso assicurarvi niente. Il capitolo (che verrà diviso in due) è già scritto, ma a causa di una mole esagerata di impegni rischierei di far passare un mese senza aggiornamenti, dopo la pubblicazione di quello. Quindi ricomincerò a fare aggiornamenti bisettimanali (a meno che un intervento divino non mi doni giornate da 48 ore) e il prossimo è di conseguenza il 6 novembre.

 

Ringrazio, come sempre, tutte le persone meravigliose che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite e alle storie da ricordare. Mi regalate sempre un sorriso di gioia (anche più d’uno!). Grazie.

Un enorme ringraziamento anche a chi legge in silenzio, vedo le vostre visite (davvero numerose) e questo non può che rendermi felice.

Ed infine, ultimo e non ultimo, un grande, grandissimo grazie a chi recensisce!

 

@TerryDreamy 93: Ma ma…grazie! Davvero, non speravo neanche che il capitolo sarebbe riuscito a suscitare certe sensazioni! Penso che sia soprattutto perché ognuno di noi ha provato (in modi diversi e per motivi diversi) il dolore di Leah: decisamente, l’essere umano non è immune al dolore! Di nuovo grazie, al prossimo capitolo, spero!

Baci, chiaki

 

Shin_Igami: caro, grazie! Direi che hai colto il significato del capitolo e anche del suo titolo, “risveglio”. Riguardo al maturare…c’è tempo! ^_^

Ovviamente ti aspetto nell’angolo recensioni anche in questo capitolo *minaccia*.

Baci, chiaki-chan

 

vannagio: Mi inchino, grata, di fronte ai nuovi complimenti! Grazie mille, carissima! Speravo proprio di incontrare la tua approvazione! Riguardo alla reazione più melodrammatica…in realtà io ritengo la mia troppo poco “melodrammatica”, però ho pensato che quello fosse stato il momento in cui la nostra licantropa ha cominciato ad indurirsi ed ho agito di conseguenza. Sarei curiosa di leggere la tua! Mi lasci il link?

È incredibile come tu sia capace di rassicurarmi in tutte le mie paure, ero terrorizzata dalla possibilità che, scrivendo una fine di capitolo troppo “leggera”, avrei spezzato il senso del dolore di Leah...mi hai davvero fatto tirare un sospiro di sollievo! ^_^

Parlando di musica e altro…io ti accompagno in quanto a odio nei confronti della musica commerciale (fondiamo la lega anti-Lady Gaga? XD) ma mi oriento più verso il symphonic metal (Within Temptation, After Forever, ecc.), anche se in realtà ascolto quasi tutto!

Al prossimo capitolo carissima, spero!

Baci, chiaki

 

Faffina: ciao cara! Ti ringrazio moltissimo! Non solo per la recensione, ovviamente, ma anche per il “premio extra”! Mi sembrava strano che stessero aumentando così tanto le visite per la one-shot!

La mia è stata la prima che hai ricominciato? Non posso esserne che profondamente felice e onorata! E chiaramente sono anche contenta (anzi, contentissima) di essere riuscita a comunicarti certe sensazioni, benché Leah non sia propriamente il tuo personaggio preferito!

Per ora progetto di continuare a scrivere, spero solo che l’università non uccida il mio entusiasmo! Fai anche tu l’università? *autrice impicciona parte seconda*

Baci, chiaki

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Capitolo 13
*** Incidente - prima parte ***


INCIDENTE

prima parte

 

 

Jeremy ha appena incontrato la sua cantante.

La reazione fu immediata.

Sei vampiri e una mutante cominciarono a parlare contemporaneamente, mescolando parole come “impossibile”, “sconvolgente” e “terribile”. Jeremy fissava tutti, attonito.

Al di sopra di tutto il fracasso si udirono le voci di Jacob e della sottoscritta.

“Che cavolo è una cantante?”, sbraitammo in contemporanea.

Il silenzio finalmente calò su tutta la puzzolente compagnia. Ci guardavano come se fossimo gli idioti di turno: digrignai i denti, irritata.

Il leggipensieri si fece avanti cautamente: probabilmente aveva captato i miei istinti omicidi.

“Vedete,  per noi vampiri una cantante è un umano che possiede un odore particolarmente…attraente. Ci attira così tanto da farci perdere ogni controllo, per questo Jeremy non è riuscito a trattenersi. Bella stessa era la mia cantante.”.

Ci voltammo verso la sanguisuga in questione, ricevendone uno sguardo di conferma. Che situazione assurda: un problema del genere rischiava di allontanare il momento in cui avrei detto addio definitivamente a quel platinato. Senza contare che, chiunque fosse la sua cantante, era decisamente in pericolo di vita.

“Chi è la sua…ehm, cantante?”, domandò Jake, dubbioso.

“È una ragazzina dell’Ohio, si chiama Tracey. È qui in campeggio con la famiglia e non ne è per niente contenta. Preferisce di gran lunga la California.”, rispose Edward, che chiaramente aveva dato un’occhiata nei pensieri dell’adolescente.

“E quanto resterà qui?”, fu la domanda di Esme, preoccupata per la sorte di una povera ragazza innocente.

Stavolta rispose Alice. “Due settimane, non di più. Suo padre deve tornare al lavoro.”, spiegò piatta.

“Quindi?”, chiesi pratica. “Che si fa?”.

“Jeremy dovrà rimanere chiuso in casa, temo. Purtroppo non possiamo correre rischi in questa situazione. Tu hai qualcosa in contrario, Jeremy?”. Il tono di Carlisle era calmo e posato come sempre, solo il suo sguardo tradiva un poco di tensione latente.

L’imbecille scosse la testa, arrendevole, poi guardò Jasper. “Ehi, amico, ti ringrazio.”, disse riconoscente. Poi notò alcuni sguardi perplessi. “Ha usato il suo potere per calmarmi.”, spiegò. Emmett gli posò una mano sulla spalla: più che comprensivo, sembrava essere deluso per la mancata scazzottata.

“Sentite, io adesso che dovrei fare? Insomma, non pretenderete che io resti chiusa in questa…casa!”, sibilai acida, quasi stravolta dallo sforzo di non aggiungere l’aggettivo “puzzolente”.

“Non te lo chiederemmo mai, Leah. Tu puoi stare tranquillamente a casa tua.”, mi blandì Carlisle.

“La verità è che quella lupastra ha troppa paura di rimanere in una casa zeppa di vampiri.”, insinuò Rosalie. Che traditrice. Da lei non mi aspettavo proprio una cosa simile.

Jeremy sospirò teatralmente, prima che potessi rispondere a tono. “Non pensavo che la nostra razza ti terrorizzasse tanto, lupacchiotta. Mi ero fatta un’idea diversa di te.”, disse affranto.

Mancava poco che mi uscisse del fumo dalle orecchie, o che mi trasformassi lì, nel salotto dei Cullen.

“Sentitemi bene. Non osate mai più insinuare che io sia una codarda! Non ho nessun problema a venire qui ogni giorno per controllare la situazione! Sarà una tortura per il mio naso ma ho affrontato di peggio!”, urlai seccata.

Rosalie e Jeremy esibirono un identico sorrisetto di trionfo. E capii. Che schifosi bastardi.

Esme mi si avvicinò, gli occhi luminosi, e mi prese le mani con dolcezza. Per un istante divenni anch’io una statua di marmo.

“Leah, ti ringrazio per la tua continua disponibilità verso la nostra famiglia. Ti siamo davvero grati.”, disse affettuosamente.

Il disgusto verso i succhiasangue e la tenerezza provocata da quella vampira troppo materna ingaggiarono una frenetica lotta nella mia mente.

Scagliarla dall’altra parte del salotto –il leggipensieri ringhiò- oppure accettare i suoi ringraziamenti? Che dilemma terribile.

Infine sospirai. “Prego.”, replicai asciutta e quasi educata.

Per fortuna mi mollò le mani subito dopo.

“Vi andrebbe di spiegare cosa è successo anche a noi?”, domandò Emmett.

Mi rifiutai di aprir bocca: non ne avevo proprio voglia. Allora fu l’idiota con il codino a parlare di quello che aveva combinato, mentre io annuivo pigramente di quando in quando.

“Fammi capire bene.”, disse Jasper alla fine del discorso, “Leah è riuscita a contrastare il tuo potere di controllo? Com’è possibile?”.

Appunto. Era quello che mi stavo chiedendo da una buona mezz’ora, arrovellandomi senza risultato. Fissammo tutti Jeremy, minacciosi. Cosa ci aveva nascosto?

Lui fece un sorriso timido, temendo per la sua incolumità. “Forse non vi ho detto tutto del mio potere.”, informò.

Ma davvero? Che idiota: il paladino delle ovvietà.

“Il mio potere può essere contrastato con un estremo sforzo di volontà. In genere io rivelo la portata delle mie capacità per rendere gli avversari più arrendevoli e meno determinati. In questo modo il mio potere può agire liberamente.”, spiegò.

Jacob si grattò la testa, perplesso. “Ehm, temo di non aver capito gran che.”. Sbuffai scocciata. Possibile che noi licantropi dovessimo fare la figura dei deficienti grazie al nostro alfa? Un mugolare sconsolato fuori dalla casa confermò il fatto che anche gli altri la pensavano come me, per una volta.

Il leggipensieri cercò di far comprendere qualcosa a quella zucca vuota. “Jeremy rivela subito la portata del suo potere perché in questo modo i suoi avversari si convincono di non poterlo contrastare. Di conseguenza manca loro la forza di volontà necessaria per opporre una vera resistenza.”.

“Psicologia inversa. Interessante.”, bisbigliò il succhiasangue che influenzava l’umore.

Jake annuì, apparentemente convinto.

“In tal caso Siobhan dovrebbe essere immune al potere di Jeremy.”, disse Carlisle, pensieroso,  scrutando il platinato come se fosse un animale da laboratorio.

Edward sembrava entusiasta. “Lo credo anch’io, Carlisle.”.

Cercai nei meandri della mia mente una corrispondenza al nome di quella Siobhan: una figura imponente e nebulosa fluttuò tra i miei pensieri. Era il capo del clan irlandese, lo stesso di quella vampira dai capelli rossi per la quale mio fratello si era preso una colossale sbandata.

“Perché dovrebbe esserne immune, eh?”, chiesi già sul piede di guerra.

Carlisle mi fissò conciliante. “Diciamo che Siobhan ha il potere della ‘forza di volontà’. Può far accadere ciò che desidera semplicemente volendolo.”.

Spalancai gli occhi, incurante della pessima figura che stavo facendo. Esistevano succhiasangue con poteri simili? Pensavo di aver visto tutto con i Cullen e quei due gemelli rivoltanti dei Volturi ma a quanto pareva mi sbagliavo di grosso.

Poi scrollai le spalle. “Se nessuno ha niente in contrario io me ne vado a casa.”, dissi stancamente, ignorando lo sguardo comprensivo di Nessie. La mezzo-vampira ce la metteva sempre tutta per farsi piacere da tutti i membri del branco. Con me aveva avuto vita dura, ma alla fine mi ero rassegnata ad un rapporto di neutrale cordialità. Non mi sembrava il caso di rendere le cose troppo difficili a Jacob, in fondo non era colpa sua se aveva avuto l’imprinting con la figlia dei succhiasangue. Mi faceva quasi pena.

Senza aspettare risposta mi avviai rapida verso la porta.

“Torni domani?”, domandò la mia disgrazia numero uno.

Lo guardai di sfuggita. “Certo.”, ribattei caustica, prima di sbattermi la porta alle spalle.

Mi avevano incastrato proprio per bene.

***

Le due settimane di clausura in casa Cullen furono meno spiacevoli del previsto, tanfo escluso. La famiglia vampiresca evitava di rivolgermi troppo la parola, ad eccezione di Rosalie.

Ovviamente Jeremy, annoiato oltre ogni dire, cercava in tutti i modi di instaurare una parvenza di conversazione con me, approfittando del fatto che ero in forma umana.

In genere i suoi tentativi si concludevano con lui che volava dall’altra parte della stanza ed uno dei Cullen che lo recuperava prima che sfasciasse qualcosa.

Avevo vagamente sentito Jasper ed Emmett scommettere forte su quante volte l’avrei fatto volare nel giro di una giornata.

Dopo la prima settimana i miei scatti d’ira si ridimensionarono. Non perché Jeremy avesse diminuito i suoi tentativi –era troppo stupido per afferrare il concetto- ma per il mio umore leggermente più disteso.

Le insistenze combinate di Joshua, Jacob e Seth (che non avrei augurato neanche al mio peggior nemico) mi avevano costretta ad uscire un po’ di volte insieme al branco. Persino Rosalie si era votata alla causa, con la solita finezza che riservava solo a me. Gli altri avevano addirittura cominciato a parlarmi civilmente da quando si erano accorti che non li avrei pestati a sangue per ogni singola battuta. Però erano ancora cauti, per loro fortuna.

I miei commenti acidi erano diminuiti un poco, ma nulla di eclatante. Tuttavia gli altri cominciavano a farci l’abitudine.

Sentivo che stavo ricominciando a vivere, come non succedeva da quando Sam mi aveva lasciata. Mi sembrava un cambiamento positivo, in fondo. Ma ero ancora ben lontana dall’ammetterlo con chiunque.

I miei pensieri fluttuavano per conto proprio mentre mi trovavo con i ragazzi al Smuggler’s Landing, come era diventata abitudine. Era ormai la quarta volta che ci andavo –mi pareva- eppure non mi annoiavo particolarmente.

Quel gruppetto di idioti riusciva sempre a fare qualcosa di assurdo per attirare la mia attenzione.

Come quella sera, ad esempio. Seth aveva notato che ero distratta ed aveva improvvisato l’abituale teatrino con Jared e Collin, visto che la sua solita spalla –Jacob Black- era leggermente distratto dalla presenza di Nessie.

Sorrisi vagamente per i tentativi di mio fratello. Ero stata così cieca, in precedenza.

Mai avevo notato i suoi maldestri approcci votati alla missione “facciamo star meglio Leah”. Ma adesso stavo aprendo gli occhi, pian piano.

Joshua si sedette accanto a me con una birra in mano. Restò un attimo in silenzio, a godersi il caldo chiacchiericcio della compagnia. Persino il rissoso Paul si stava moderando; anzi, ogni tanto lanciava qualche battuta divertente. Eravamo l’immagine della normalità, noi che di normale non avevamo proprio nulla.

“Come va, Leah?”, chiese mio cugino.

Io lo guardai di sfuggita e storsi leggermente la bocca. “Abbastanza bene”, risposi asciutta.

Lui sorrise allegramente. “Allora vuol dire che ti stai divertendo. Ottimo”.

“Ehi, non ho mai detto una cosa simile…”.

Mi interruppe prima che potessi finire la frase, sventolandomi una mano davanti alla faccia. “Ti conosco, smettila di fare la testarda orgogliosa”.

Quello era davvero mio cugino? Quello che era incapace di controbattere ad ogni mia richiesta e che si lasciava rimproverare anche se non aveva fatto niente?

Doveva esserci stato un cambiamento di personalità.

Soffocai una risatina. Beh, si poteva dire lo stesso di me.

Cosa mi costava provare a fare un piccolo passo?

“Come va il lavoro?”, domandai. Lui mi guardò totalmente scioccato. Non gli avevo mai fatto delle domande di mia spontanea volontà. Domande che differissero da “quando te ne vai?” o “hai finito di rompermi le scatole?”.

Poi parve riprendersi dallo sconcerto. “Va davvero bene. Mi piace lavorare lì, ho molti colleghi simpatici”.

Qualcosa nel suo tono mi fece scappare, quasi involontariamente, un’altra domanda.

“Colleghi simpatici?”.

Joshua assunse un’espressione buffa: imbarazzata, allegra e sulla difensiva al tempo stesso. Non avrebbe mai imparato a nascondere i suoi sentimenti, nonostante tutto. In quello era rimasto uguale.

“Anche colleghe”, sussurrò incerto.

Lo fissai curiosa: non ero mai stata il tipo che si trastullava nell’antica arte del pettegolezzo eppure quell’insinuazione mi aveva decisamente solleticata.

“Quindi?”, chiesi.

“Quindi…c’è una ragazza molto carina che lavora alla stazione di polizia. Si chiama Karen ed è…straordinaria”. Arrossì.

Io non sapevo cosa dire. In quel momento avrei davvero voluto essere l’amica che ero anni fa per Joshua; ma per tornare come prima ci sarebbe voluto del tempo.

Perciò mi limitai a picchiettare il suo braccio con fare incoraggiante. Di più non ero in grado di elaborare ma lui parve comunque soddisfatto e continuò a parlare.

“Mi piacerebbe chiederle di uscire, ma ci conosciamo da così poco che non vorrei sembrarle un pazzo che ci prova con la prima ragazza carina in circolazione. Perché lei è carina. Anzi, è davvero bellissima. I capelli biondi, gli occhi azzurro cielo, l’aria dolce e simpatica. Quella modestia inutile, perché è una ragazza meravigliosa, piena di belle qualità…Accidenti, sembro un folle. Non ti pare, Leah?”. Aveva uno sguardo smarrito e…tenero. Santo cielo, si stava innamorando. Alla velocità della luce.

Sorrisi nostalgica: l’ultima volta che avevamo avuto una discussione del genere io ero al posto suo e stavamo parlando di Sam.

Stavolta mi sforzai per dargli un po’ di sostegno. Glielo dovevo, dopo tutto quello che lui aveva fatto per me.

“Dovresti chiederglielo, invece. Non perdere inutilmente le occasioni, avrai il tempo di dimostrarle che non sei uno squilibrato”, dissi, stupendomi io stessa dell’assennatezza delle mie parole.

Lui sembrava pensarla come me, tuttavia non fece commenti.

“Grazie, Leah”, ribatté quasi commosso.

“Ehi, voi due! Vedete di partecipare un po’ di più alla serata!”, ci apostrofò Embry.

Quil, che aveva fatto la sua eccezionale apparizione proprio quella sera, gli diede corda. “Giusto! Dovreste aiutarmi ad uscire dalle grinfie di Brady, sta cercando di fregarmi tutti i risparmi!”.

“Se sei una schiappa a poker non è colpa mia!”, rispose l’altro, fintamente scocciato.

“Da quando questa serata si è trasformata in una bisca clandestina?”, chiesi allibita. E ancora più allibiti erano gli altri, nel sentirmi parlare normalmente.

“Da quando Jake ha chiesto che gli mostrassero le regole del poker”, rispose Sarah, la ragazza di Embry.

“Ovviamente con questi idioti la situazione è degenerata”, concluse Paul, causando un violento moto di protesta da parte di tutti gli altri.

Li osservai pigramente minacciarsi di morte nei modi più fantasiosi possibili, il tutto condito da coloriti insulti e raffinate imprecazioni.

Nascosi il mio sorrisino dietro ad un bicchiere. Che idioti.

 

 

 

*Note dell’autrice*: eccomi tornata, fortunatamente puntuale! Ho temuto fino all’ultimo di non riuscire a pubblicare oggi e invece…ci sono riuscita!

Spero che il capitolo (o meglio, la prima parte del capitolo) vi sia piaciuto, anche se l’ho dovuto spezzare in due parti visto che, di nuovo, ho scritto un capitolo troppo lungo. Nel caso a qualcuno sia venuto il dubbio…no, non prevedo una storia d’amore tra Jeremy e la sua cantante. Se possibile vorrei evitare certi cliché.

Il prossimo capitolo verrà pubblicato tra due settimane, nel frattempo cercherò di scrivere il più possibile in modo da riportare il ritmo degli aggiornamenti settimanali. Mi spiace dover mettere in piedi tutto questo casino, ma gli impegni universitari (tra cui si inserisce una tesi sperimentale e quindi più impegnativa del previsto) mi stanno sommergendo.

Vi ringrazio tutti immensamente per il sostegno, mi illuminate davvero le giornate.

Grazie a chi inserisce la storia tra le seguite, tra le preferite e tra le storie da ricordare: mi spronate sempre a dare il meglio, nei limiti delle mie possibilità.

Un enorme e speciale grazie a chi recensisce, perché mi date sempre una utilissima misura dell’andamento della storia. Senza di voi, probabilmente non riuscirei ad andare avanti.

Ringrazio immensamente anche chi legge in silenzio, vi vedo (sembra una minaccia, XD) e mi rendete felice.

 

TerryDreamy 93: felice di averti stupito! XD speravo proprio in un effetto sorpresa! Mi auguro però che non ti dispiaccia il fatto che la cantante di Jeremy non avrà un grande ruolo ai fini della storia (non in se stessa, almeno), d’altronde la protagonista della storia è Leah, non Jeremy! E riguardo al posticino nel suo cuore…chi vivrà, vedrà! O meglio, chi leggerà, vedrà! XD

Alla prossima, spero!

Baci, chiaki

 

Zenobia_vampire: tranquilla, non c’è problema! Anzi, grazie per questa recensione! Mi ha fatto immensamente piacere il sapere che ti piacciono Jeremy e Joshua, ormai mi ci sono affezionata pure io come a dei figli (non prendermi per pazza, però!) ed ogni apprezzamento a loro è motivo d’orgoglio per me! Alla prossima, spero!

Baci, chiaki

 

@mary whitlock: non ti preoccupare! Non ti spedirò a casa Jeremy solo perché non mi hai recensito un capitolo! Sei stata fin troppo gentile a recensirmi l’ultimo! Sono contenta che l’effetto sorpresa sia riuscito perfettamente e che tu abbia apprezzato i “modi gentili” di Leah quando porta a casa Cullen il povero Jeremy! E poi è vero che il suo potere è impressionante, ma come vedi in questo capitolo ha delle falle…e il resto si scoprirà un po’ più avanti!

Al prossimo aggiornamento, spero!

Baci, chiaki

 

vannagio: carissima! Ho letto tutto quello che mi hai mandato, spero che tu abbia visto la recensione! Per quanto riguarda la tua serie, vorrei leggerla dopo aver finito di scrivere “Harvest Moon”: la motivazione è che non voglio rischiare plagi di nessun tipo, mi sembrerebbe di farti un enorme torto. E purtroppo io ho lo spaventoso difetto che, se leggo qualcosa che mi piace particolarmente, tendo poi a riversarlo nelle mie storie. È un ragionamento strano, lo so, ma credimi che è così!

Grazie per i complimenti riguardo alla descrizione delle situazioni e del ritrovo del branco, ci tenevo che riuscisse bene! E per il potere di Jeremy…beh, direi che questo capitolo spiega praticamente tutto! Mi ha fatto sorridere quello che hai detto sulla trama lineare…in effetti finora è stato così, ma era solo una fase preparatoria! Da adesso direi che ci saranno un pochino di colpi di scena, anche se saranno abbastanza “staccati” l’uno dall’altro!

Al prossimo aggiornamento, spero!

Baci, chiaki

 

@Shin_Igami: Caro! Grazie mille per i complimenti! Sai che mi fanno sempre piacere le tue recensioni, mi innalzano a mille l’autostima per almeno dieci minuti!

Sono felice che tu abbia apprezzato i miei tentativi di bilanciare estroversione ed introversione, azione e riflessione. È una cosa che adoro fare, ma ho sempre il terrore di non farlo bene. Quindi, grazie per l’incoraggiamento!

Avevo anche il timore che Jeremy potesse sembrare troppo Gary Stu, anche se in realtà io trovo che abbia molti punti deboli (che ancora non sono venuti alla luce) che lo rendono più umano, anche sotto la prospettiva vampiresca.

Alla prossima, spero!

Baci, chiaki

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Capitolo 14
*** Incidente - seconda parte ***


INCIDENTE

seconda parte



Tornammo a casa tardi, ma per una volta non me ne lamentai. Era sempre più evidente il fatto che mi stavo lasciando trascinare dal branco e da Joshua. E, ancora più stranamente, nemmeno l’irritante e onnipresente vocina della mia coscienza si faceva sentire.

Forse non tutti i cambiamenti vengono per nuocere, pensai filosoficamente.

Faticavo quasi a riconoscermi: stavo davvero cambiando. Non ero più, come mi aveva accusato Rosalie, bloccata nella mente quanto nel corpo.

Allora non avevo creduto fino in fondo alle sue parole, ma adesso quelle sentenze che mi ero gettata noncurante dietro le spalle stavano tornando a punzecchiarmi.

Come al solito ci pensò mio cugino a distogliermi dalle mie sporadiche riflessioni.

“Leah, tutto bene?”, chiese dopo aver salutato mio fratello, che crollava dalla stanchezza.

Sbuffai e mi avviai verso la cucina per prendermi un bicchiere d’acqua. Lui mi seguì imperterrito.

“Senti, ti spiacerebbe concedermi un po’ di privacy almeno mentre bevo?”, sibilai sommessa, per evitare di svegliare mia mamma.

Lui fece uno sguardo triste, quasi lacrimoso. E io mi sentii in colpa.

Poi colsi un movimento infinitesimale dell’angolo della sua bocca. E mi infuriai, capendo. Quell’opportunista…

“Non ci posso credere!”, ringhiai. Lui parve perplesso per un attimo. “Tu!”. Gli piantai un dito nel petto. “L’ho capito, sai? Tu ti fingi un cane bastonato solo per ammorbidirmi! E io che ci cascavo pure! Sei un…un…”.

“Ragazzo estremamente furbo. Sì, lo so, Leah. Ti ringrazio.”, sorrise dolcemente. “Sono disposto a fare la femminuccia se questo serve ad aiutarti.”

“E come mi potrebbe aiutare, di grazia?”, chiesi rabbiosa. Lui mi fissò con uno di quegli sguardi che ti fanno sentire profondamente stupido, come se la risposta alla domanda fosse stata ovvia.

In effetti lo è.

Grazie, vocina della coscienza. Mancavi solo tu.

“Leah, tu sai che ti voglio davvero bene. Sei la sorella che non ho mai avuto, io ti considero tale; quando ti ho visto così cambiata, così diversa da quella che eri…ho capito che dovevo fare qualcosa per aiutarti. Non ho mai finto con te, mi sento davvero in colpa per non esserti stato vicino quando ne avevi bisogno. Ho solo…enfatizzato un po’ le cose. Non ho mentito quando stasera ho parlato di Karen.” , si interruppe un attimo ed arrossì lievemente. Non c’era nulla da fare, restava sempre il solito timido senza speranze. “Se ne ho parlato proprio con te, e solo con te, è perché la fiducia che ho nei tuoi confronti è di gran lunga superiore a quella che ho nei confronti dei nostri amici. Il nostro è un legame che si è cementato anni fa.”.

“Non sono miei amici.”, borbottai nervosa, sviando il discorso. Lui si infuriò: un evento più unico che raro.

“Non mentire, non a me. E a dirla tutta, ormai non riesci più a mentire neanche a loro.”. Feci per aprir bocca ma lui non mi lasciò parlare. “Secondo te perché loro continuano ad accettarti in compagnia, nonostante la tua schiettezza e la tua velata aggressività? È perché si sono accorti che tu stessa stai cercando di cambiare e ti vogliono aiutare; stanno apprezzando i tuoi tentativi.”.

Solo Joshua poteva definire il mio essere “acida e stronza” con le parole “schiettezza e velata aggressività”. E poi lui non conosceva tutta la storia del branco…

Però non aveva torto su ogni cosa: prima gli altri fratelli cercavano di starmi il più possibile alla larga, ma da quando avevamo cominciato ad uscire insieme in effetti qualcosa era cambiato.

Non solo mi salutavano quando ci incontravamo, ma si fermavano anche a fare quattro parole con me.

Mi avvisavano quando dovevamo uscire e non si lamentavano in caso di pattuglie di gruppo in mia compagnia.

Erano piccole cose, eppure solo le parole di Joshua mi avevano permesso di vederle davvero.

Però…il mio orgoglio non potevo buttarlo via tutto in una volta.

Puntai il naso per aria, ostentando un’aria offesa, e sfilai davanti a Joshua senza dire una parola. Arrivata alle scale ci ripensai e, senza voltarmi indietro, feci qualcosa che neppure nei miei sogni –o incubi- più sfrenati avevo immaginato di fare.

“Sai, Joshua? Forse hai ragione.”. Un violento colpo di cannone alla fortezza del mio orgoglio.

E salii i gradini.

L’eco della sua risatina incredula mi raggiunse mentre stavo chiudendo la porta della camera.

Già. Forse non tutti i cambiamenti vengono per nuocere.

***

“Quando parte la ragazzina?”, chiesi scocciata a Carlisle. Ero decisamente stanca di entrare quotidianamente a casa Cullen. Bleah.

Ormai puzzavo anche dopo una doccia, al punto che pure gli altri del branco mi prendevano in giro. Per poi subire le mie ire, ovviamente. La nascente amicizia con i miei fratelli aveva i suoi risvolti negativi.

“Parte domani.”, mi rispose al posto suo Alice. Un’ondata di sollievo e tranquillità mi invase. Sbirciai furtivamente verso Jasper, quasi temendo che fosse lui la fonte di tutta quella calma, tuttavia dovetti ricredermi. Il succhiasangue con le cicatrici stava parlando con Emmett riguardo a delle modifiche da apportare alla Ferrari di Bella. Che fissati.

Jeremy come al solito si divertì a distrarmi dagli affari miei.

“Lupacchiotta, sei così contenta di andartene da questa bellissima casa?”, chiese quasi sarcastico.

Stavo per rispondergli con un secco “sì” quando vidi con la coda dell’occhio la figura di Esme intenta a risistemare dei fiori. Preferivo evitare di essere così villana in presenza di quella vampira dall’aria materna.

Perciò mi limitai a grugnire e a guardarlo male. Lui ridacchiò.

“Quanti anni hai, lupacchiotta? Non te l’ho mai chiesto! Tu invece sai la mia età!”.

“Non che mi importi in modo particolare.”, risposi annoiata. Svariati secondi di silenzio, poi lui scoppiò.

“Allora? Quanti anni hai?”, domandò di nuovo. Sbuffai. Con quell’idiota fare i sostenuti era un suicidio.

“Ne ho ventisei, d’accordo? E adesso lasciami in pace.”, sibilai.

“Uhm, ventisei…davvero giovane…ma non li dimostri, lo sai?”.

Spalancai gli occhi, furibonda. Mi stava dicendo che sembravo più vecchia? Quel cretino dai capelli ossigenati decisamente non sapeva trattare con le donne; avevo come l’impressione che le mie orecchie stessero cominciando a fumare.

“Tu!”, sbottai rabbiosa, e feci per muovermi verso di lui. Probabilmente aveva previsto le mie intenzioni omicide e si scansò giusto in tempo. Lo trafissi con il mio migliore sguardo assassino e lui ridacchiò di nuovo.

“Cercavo di farti un complimento, a dire la verità. Sembri più giovane.”, disse divertito.

Questa poi. Un complimento.

Lanciai un’occhiata spaventata fuori dalla casa: nessuna Apocalisse in arrivo. Strano, avrei pensato il contrario.

Poi riportai lo sguardo su di lui ed articolai una risposta molto intelligente.

“Oh.”.

E mi sedetti sul divano riflettendo sulle straordinarie stramberie dei succhiasangue.

“Sei davvero un idiota.”, scandii convinta. Per tutta risposta scoppiò a ridere.

“E tu sei davvero gentile. Ma insomma, cosa ti ho fatto? Sei strana, te l’hanno mai detto?”, disse sorridendo.

“No, mai.”, mentii spudorata. “E poi non mi lascio definire ‘strana’ da uno che usa il suo potere per non rovinarsi i vestiti.”, precisai acidamente.

Mi fissò incredulo per tre interminabili secondi, poi si piegò in due, squassato da una violentissima risata.

“Si può sapere cosa c’è da ridere?”, esclamai irritata.

Alzò lo sguardo, incrociò i miei occhi ma prima di poter rispondere venne preso da un altro attacco di risa. Cominciai a far crocchiare le nocche in maniera molto minacciosa.

Lui se ne accorse e cercò di rimettersi dritto, senza però abbandonare la sua espressione divertita.

“Tu mi sorprendi ogni giorno, Leah. Sul serio.”. Ridacchiò di nuovo, ma più discretamente.

“Senti, vedi di spiegarti se non vuoi…”, cominciai.

“…finire mutilato o pestato come al solito. Lo so, lo so.”, mi interruppe. Sorrise condiscendente. “Mi sembra incredibile che tu sia arrivata a pensare che io usi il mio potere di controllo per non rovinarmi i vestiti.”.

“Perché, non è forse così?”, sbottai nervosa. Cos’è, stava cercando di farmi passare per scema?

“Leah.”. Scosse la testa, quasi rammaricato. Non mancai di notare che mi aveva chiamato due volte consecutive per nome: doveva essere una cosa seria, benché mi sembrasse assurdo da parte sua.

“Io uso il mio potere per non far del male inutilmente alle mie vittime.”, spiegò piatto. Io spalancai la bocca. Stava dicendo sul serio?

“Non ricordo più quando ho cominciato a farlo. È stato automatico per me, quasi istintivo. Non volevo che le persone che uccidevo per nutrirmi soffrissero. Già odiavo me stesso perché ero responsabile della loro morte…non volevo essere colpevole anche della sofferenza. Perciò li ‘tramortivo’-diciamo- con il mio potere, costringendoli in uno stato di semi-coscienza nel momento in cui li attaccavo. Così non si rendevano quasi conto di ciò che stava loro accadendo. O almeno l’ho sempre sperato. Con gli animali faccio lo stesso un po’ per abitudine e un po’ perché trovo che anche loro non meritino di soffrire. Non hanno nessuna colpa, d’altronde.”. Si interruppe e mi guardò, valutando la mia reazione a quelle parole.

Scioccata. Assolutamente e totalmente scioccata.

Non mi aspettavo minimamente una risposta del genere. Per me Jeremy era solo un vampiro irritante, superficiale e vanitoso oltre i limiti dell’umana –e licantropa- sopportazione.

Forse dovevo rivedere almeno la parte sulla vanità. Storsi il naso.

“Non so cosa tu pensi di me, Leah. O meglio, credo di immaginarlo.”. Ridacchiò tranquillamente. “Ma non sono per niente felice di essere un mostro. Per questo mi sto sforzando al massimo delle mie possibilità per cambiare ‘dieta’. Io non voglio uccidere. Io non voglio essere un mostro senza cuore. Io voglio essere una persona. Lo capisci, Leah?”.

Annuii. Sì, lo capivo. Purtroppo lo capivo.

Chi avrebbe mai immaginato che Jeremy avrebbe tirato fuori più spessore caratteriale di un foglio di carta velina? Ero completamente basita.

Ma se aveva detto la verità –e lo sguardo comprensivo di Edward, accanto al pianoforte, sembrava confermarlo- forse mi ero sbagliata riguardo a quel fastidioso platinato. Giusto un pochino.

“Ammetto che non ti facevo così…”. Frugai nella mia mente alla ricerca della parola adatta. “magnanimo.”, conclusi con una smorfia.

Lui rise di gusto. “Ti ringrazio per il complimento elargito così volentieri.”, insinuò alludendo a quanto fosse evidente che mi era costato parecchio non insultarlo come al solito.

Accennai un sorriso, molto simile alla smorfia che avevo prima. E considerai chiuso il discorso.

Jeremy mi stava ancora fissando, quasi curioso. Io gli lanciai un’occhiataccia, invitandolo a desistere, ma lui era decisamente cocciuto.

Lo ignorai e chiesi a Rosalie quando sarebbe partita per quel viaggio in Italia di cui parlava tanto. Sembrava che fosse affascinata da quel paese che Alice definiva “la culla del buon gusto”. A me ricordava solo quei viscidi Volturi. Bah.

Lei stava per rispondere quando un debole ma prolungato ululato spezzò la quiete della giornata. Sentii un brivido freddo scorrere lungo la schiena: era un segnale d’allarme. Incrociai per un momento lo sguardo di Rosalie e lei parve condividere la mia ansia. Corsi fuori di casa e, arrivata vicino agli alberi, mi tolsi il vestito e mi trasformai.

Leah! Urlò la voce di Seth nella mia mente. Poche volte l’avevo sentito così sconvolto.

Cos’è successo, Seth? Calmati per favore, altrimenti non capirò nulla! Dissi agitata.

Joshua…Una serie di immagini penetrarono nella mia mente con la violenza di coltelli.

Una telefonata, una terribile notizia, l’ospedale…

Joshua ha avuto un incidente.

Tutto vorticò intorno a me in modo confuso, e per un istante il mondo perse il suo centro di gravità. Ma non avevo tempo per lasciarmi prendere dal panico. La mia mente doveva rimanere lucida, a tutti i costi. Dovevamo andare all’ospedale immediatamente, volevo vedere come stava e capire cos’era successo. Ma abbandonare la sorveglianza…forse avrei dovuto chiamare Jake per un cambio…

Il mio cervello snocciolava ragionamenti logici come se non fossi stata io quella a formularli.

“Leah, vai. Ci pensiamo noi.”, disse Edward dall’interno della casa. Annuii, grata, e mi lanciai come una scheggia verso Forks.

Doveva stare bene. Joshua doveva stare bene.

Doveva rompermi le scatole. Doveva uscire con Karen. Doveva sorridermi come se al mondo non esistesse nessun problema.

Doveva.

Arrivata in città mi trasformai e mi cambiai rapidamente. Incurante di tutto, continuai a correre a velocità sovraumana verso l’ospedale, evitando per miracolo gli sguardi degli umani. Ero troppo veloce.

Seth mi sentì arrivare e mi raggiunse alla reception.

“Leah!”, esclamò.

Male. Quando mio fratello mi chiamava così…

Mi strinse delicatamente il polso e mi fece strada. Stavo per aprire la bocca per rovesciargli addosso una marea di domande quando mi accorsi di mia madre, con il volto tirato, ferma davanti ad una porta chiusa.

La paura serpeggiò nel mio petto. Non era reale. Non poteva esserlo.

“Che è successo?”, chiesi con voce malferma. La mamma voltò leggermente il capo verso un individuo che, nell’angoscia del momento, non avevo notato.

Non poteva avere più di vent’anni, stava seduto su una sedia e si tirava disperatamente ciocche di capelli castani. Sembrava distrutto. Gemette più sonoramente nel sentire la mia domanda.

Seth mi si avvicinò. “Sappiamo soltanto che si chiama Andrew e che Joshua lo stava difendendo in un processo. Nulla di più.”, sussurrò. Poi guardò un istante la porta chiusa. “Non ci lasciano entrare, per ora. Dicono che vogliono fare dei controlli…”. Annuii rigidamente.

Feci qualche passo cauto verso il ragazzo, Andrew. Lui si accorse del mio approccio ed alzò lo sguardo su di me. Ignorai le lacrime che gli stavano scorrendo sulle guance e lo agguantai per la collottola, sotto lo sguardo scioccato della mamma e di mio fratello.

“Si può sapere cos’è successo?”, sibilai furiosa. Avevo già fatto due più due: quello doveva essere l’autista che aveva investito mio cugino.

Non gliel’avrei fatta passare liscia.

Ma lui rimase floscio tra le mie mani, abbassando la testa. “È colpa mia…è tutta colpa mia…”, singhiozzò.

Cosa pensava? Che mi sarei sentita più buona dopo tutte quelle scene? Non aveva idea con chi avesse a che fare.

“Voglio i fatti, moccioso. Ogni dettaglio.”, gli sputai addosso.

Lui annuì, nuove lacrime si formarono nei suoi occhi. “Joshua mi stava difendendo. Sono accusato di omicidio plurimo…”.

Lo sbatacchiai con violenza, furente. Era già un assassino!

“Ma non sono stato io! Lo giuro!”, esclamò disperato. “E Joshua mi credeva! Però…era l’unico.”.

Senza preavviso le sue ginocchia cedettero e il ragazzo cadde a peso morto sul pavimento. Lo mollai immediatamente, stupita e perplessa.

“Non ce la facevo più…non ce la facevo più…”, sussurrò, fissando le piastrelle della corsia con occhi spiritati. “Tutti mi guardavano come se fossi stato un assassino…ma ero innocente…per questo volevo buttarmi! E Joshua…Joshua…sempre troppo buono, non voleva…”.

Non stava dicendo quello che mi aspettavo. Quel ragazzo era chiaramente impazzito di dolore, non potevo negarglielo. Eppure non capivo il senso delle sue farneticazioni.

Lo scossi delicatamente stavolta. “Cos’è successo, Andrew?”, gli chiesi con decisione ma senza astio. Non avevo la forza per essere acida, o arrabbiata, o velenosa.

Lui deglutì. Il groppo che aveva in gola sembrava spaventosamente grande.

“Volevo buttarmi della scogliera di LaPush. Volevo suicidarmi.”, ammise tremando.

E compresi.

Joshua, che capiva le persone. Joshua, così bravo a leggere i sentimenti. Joshua, il buono.

Colui che non riusciva ad abbandonare nessuno al proprio destino. Non senza aver provato il tutto per tutto.

Joshua…

“Mi stavo per lanciare. Era un bel volo, non sarei certo sopravvissuto. Ma Joshua aveva capito cosa volevo fare. È arrivato a tutta velocità, in macchina. L’ha parcheggiata su un lato della carreggiata e poi ha attraversato correndo la strada per fermarmi…”, si bloccò. Le sue dita si strinsero nuovamente tra i capelli.

“Non si è guardato intorno…ed è successo…”, terminò in un singhiozzo.

Mi appoggiai al muro, svuotata. Come potevo essere arrabbiata con quel ragazzo? Al massimo potevo arrabbiarmi con quell’idiota di Joshua, che attraversava la strada senza controllare…

Strinsi i pugni, conficcandomi profondamente le unghie nei palmi.

Senza preavviso, la porta della camera si aprì.

Un medico si avvicinò con la solita faccia di circostanza.

“È vostro parente?”, chiese. Mia madre rispose di sì con un semplice cenno del capo.

“Signora, mi duole dirvi che le condizioni sono davvero gravi. Ha fratture multiple del bacino, numerose costole incrinate, senza contare il tremendo trauma che ha subito alla testa. Inoltre sospettiamo che abbia un’estesa emorragia interna.”.

“Quanto tempo gli occorrerà per riprendersi?”, chiese Seth, cercando di ignorare l’evidenza. Per una volta la pensavo come lui.

Il medico lo guardò con sincera compassione. “Stiamo facendo il possibile, figliolo, ma…penso non ci sia più nulla da fare.”, sussurrò contrito. Mio fratello prese a tremare e mia madre lo abbracciò, cercando di calmarlo. Ero sicura che già aveva chiamato i genitori di Joshua.

Entrai nella stanza, senza parlare.

Un nugolo di infermieri si muoveva incessante intorno al letto su cui stava sdraiato mio cugino.

Non c’era un punto del suo corpo che non avesse tagli, lividi o escoriazioni. Il volto era gonfio, gli occhi tumefatti e chiusi, una maschera per l’ossigeno copriva il naso violaceo e la bocca pesta.

Tubicini dappertutto, infilati nelle sue braccia, e il penetrante bip dei macchinari rendeva tutto surreale. Non poteva essere vero. Non era accaduto sul serio, non a Joshua.

Il bip era debole, mi resi conto con una stretta allo stomaco.

Ebbi un terribile senso di deja-vù: in quello stesso ospedale, circondato dalle stesse persone, era morto mio padre. Non doveva accadere di nuovo. No.

Mi avvicinai come una zombie al letto dove mio cugino stava scivolando inesorabilmente verso la morte; gli infermieri si scansarono un poco senza fermare il loro incessante lavorio.

Accarezzai con una tenerezza che non sapevo di possedere la guancia di Joshua, sentendo il cuore stringersi in una morsa spaventosamente dolorosa. Lui aprì un istante gli occhi, giusto uno spiraglio. Mi mise a fuoco a fatica, ma poi parve riconoscermi e mosse leggermente le labbra. Solo il mio udito sovraumano mi permise di capire quello che aveva detto.

Vivi.

Strinsi i pugni, di nuovo. Perché io, dotata di poteri sovrannaturali, non potevo fare nulla per salvare mio cugino? Gli volevo davvero bene, non poteva andarsene prima che io avessi la possibilità di diglielo…

Ma ero così impotente…e stava accadendo di nuovo. Un’altra morte sotto i miei occhi.

No. Non dovevo arrendermi. C’era un’ultima possibilità, e stavolta non avrei esitato. Mi chinai verso Joshua e sussurrai “ti voglio bene”, poi mi voltai e uscii dalla stanza.

Seth mi seguì senza comprendere. “Lee, si può sapere dove stai andando?”, chiese disperato.

Io mi voltai un attimo e lo fissai. “Vado a cercare Carlisle.”, risposi.

E scattai all’inseguimento dell’ultima speranza.

 

 


*Note dell’autrice*: ed infine, ecco qui la seconda parte del capitolo! Penso che si commenti da solo, quindi non aggiungerò altro. Solo, non fucilatemi!

Il prossimo capitolo verrà pubblicato tra due settimane, come sempre al sabato.

Ringrazio infinitamente tutte le persone che continuano ad aggiungere la storia alle preferite, alle seguite o alle storie da ricordare. Davvero, in questo periodo sfiancante mi aiutate davvero tantissimo ad andare avanti!

Un ringraziamento speciale a chi recensisce: d’ora in poi risponderò alle vostre recensioni con la nuova funzione “rispondi” che ha introdotto Erika (santa subito! ^_^), comprese quelle del capitolo scorso.

E un grazie dal profondo del cuore va anche a chi legge silenziosamente, senza lasciare traccia. Davvero, grazie.

Ci tengo a segnalare una bellissima fanfiction, (purtroppo) non mia, che vi consiglio vivamente di leggere. L’autrice è vannagio, e questa è la storia:  Io, me e il lupo.

Fidatevi!

Al prossimo aggiornamento!

Baci, chiaki

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Capitolo 15
*** Pioggia ***


Una piccola nota: questo capitolo è nato sulle note di una canzone che ho voluto linkare ad un certo punto, in corrispondenza del simbolo:

*******

Vi consiglio di ascoltarla mentre leggete, l’effetto è assicurato! In fondo troverete testo e traduzione, quest’ultima adattata allo scopo che ha la canzone in questo capitolo. E ricordatevi che l’amore, in questo caso, è considerato “amore fraterno”.

Bando alle ciance, buona lettura!

 

 

PIOGGIA

 

 

 

 

Non mi ero mai lamentata della mia velocità.

Mai.

Ma in quel momento…imprecai. Ero troppo lenta.

Non mi trasformai, non ne avevo il tempo. Potevo solo affidarmi alle mie gambe, comunque scattanti.

Un solo pensiero fisso in testa.

Sto voltando le spalle a tutto ciò che credo.

I succhiasangue erano miei naturali nemici. Li odiavo per la loro semplice esistenza: loro erano la mia condanna.

Ma stavolta sarebbero stati la mia salvezza. O meglio, la salvezza di Joshua.

Non m’importava più essere dura, acida, coerente con le mie idee. Un enorme chissenefrega campeggiava nella mia mente sconvolta.

Fracassai rami, strappai radici, spaventai animali nella mia disperata corsa verso casa Cullen.

I piedi si sporcavano sempre più di terriccio umido, i tenui raggi del sole mi colpivano il viso come minuscole schegge affilate. E io correvo.

Il cuore in gola, il respiro spezzato e doloroso, mentre l’odore bruciante dei vampiri si faceva sempre più forte.

Poi udii dei fruscii avvicinarsi.

Non me ne curai, troppo concentrata sul mio obiettivo. Il mio cuore esplose di speranza mal trattenuta quando vidi uscire dalla boscaglia Edward e Carlisle.

Il leggipensieri doveva aver recepito le mie intenzioni da ben prima che arrivassi e aveva chiamato il vampiro medico.

Grazie.

Feci un immediato dietrofront, affiancata dalle sanguisughe, e ci lanciammo a velocità ancora più folle verso il centro abitato.

Sei salvo, Joshua. Sei salvo.

Mi ripetevo queste parole come un mantra, incurante del fatto che stavo per condannare mio cugino ad un’esistenza…come quella.

Ma almeno sarebbe stato vivo. Chissà, forse avrebbe potuto continuare la sua carriera di avvocato. E sarebbe uscito con Karen. Edward l’aveva fatto, aveva trovato il suo amore con un’umana…

Cercai di scacciare il pensiero di quello che era poi seguito. Non era importante, adesso.

I suoi sogni non sarebbero svaniti, questo era l’importante.

I suoi sogni di giustizia, di felicità, di un mondo migliore.

L’unico prezzo da pagare…erano quegli occhi scarlatti. Poi sarebbe stato invulnerabile.

Quanto alla clausola di convivenza tra licantropi e succhiasangue…ero sicura che i miei fratelli, i miei amici, non avrebbero obiettato.

Tutti amavano Joshua.

Era un sole reincarnato, ancora più luminoso e confortante di Jacob. Non aveva senso negare, in quel momento. Volevo bene a Joshua, come tutti. Lui era speciale.

Arrivammo all’ospedale e ci precipitammo verso la stanza. Il mio cuore sbatteva forte contro le costole, per la fatica e per il sollievo che, ne ero certa, sarebbe giunto.

Sentii battere altri cuori, all’interno della stanza.

Il battito profondo e sordo di Seth. Il battito leggermente più superficiale e delicato di mia madre.

E poi il silenzio.

Lo hanno spostato da un’altra parte, per questo non lo sento.

Era ovvio. Non poteva essere altrimenti.

Entrammo nella camera. Mio fratello e la mamma si girarono contemporaneamente verso di noi, ma io non li guardai.

Il mio sguardo si era fissato sul letto, dove c’era ancora lui.

Mio cugino. Joshua.

Lui.

Ma il suo cuore non batteva. Non c’erano più tubicini. Non c’erano più macchinari attaccati o la maschera dell’ossigeno a coprirgli il volto.

Sentii una voragine aprirsi all’altezza del mio stomaco, mentre i brividi serpeggiavano a partire dalla base della colonna vertebrale poi più su, fino al cervello.

Percepii distintamente il sangue abbandonare il mio viso e la mente ammutolire. I pensieri si ritirarono in un angolo, lasciando solo del vuoto.

Vuoto come il corpo di Joshua.

Non più Joshua. Solo un guscio privo di vita.

Era la terra che stava tremando? O ero io?

*******   [Link alla canzone]

Mi avvicinai piano, come se temessi di svegliarlo. Gli toccai la mano, sfiorandolo appena con le dita.

Nessun palpito sotto la sua pelle. Nessuna reazione al mio tocco.

Avanti, Joshua. Alzati e dimmi che questo è un incubo. E che quando mi sveglierò –tra poco- tu sarai lì a rompermi le scatole come sempre.

Dimmelo, Joshua.

Ti prego.

Ma lui non mi avrebbe più risposto.

No.

No!

Portai una mano tra i suoi capelli. Erano anni che non li toccavo. Adoravo farlo quando eravamo bambini, lui si arrabbiava sempre quando lo facevo…e poi mi sorrideva, buono e solare.

Joshua, il ragazzo incapace di portare rancore.

Joshua, il ragazzo troppo altruista.

Joshua…era morto.

Non avrebbe più…

Bloccai le lacrime sul nascere e volsi le spalle al cadavere steso sul letto. Non volevo vederlo.

Mi avviai a grandi passi fuori dalla stanza, respirando lentamente e profondamente.

Ignorai le occhiate di Seth e di mia madre, gli sguardi comprensivi dei succhiasangue.

Nulla esisteva ai miei occhi.

I passi si fecero più lunghi e più rapidi, fino a trasformarsi in una corsa. Una corsa selvaggia.

Superai il centro abitato e, di nuovo, mi addentrai nella foresta, lasciando che i rami mi frustassero il viso. I tagli si chiudevano immediatamente, senza che ne rimanesse traccia.

Tutto pian piano svaniva, pennellate di nebbia nascondevano tutto. Una nebbia che solo i miei occhi e la mia mente potevano vedere.

I can almost see your smile

Feel the warmth of your embrace

 

Quello che ancora vedevo era il suo sorriso, ormai spento. Sentivo il suo abbraccio, ora freddo.

Mille aghi affilati penetrarono sotto pelle. Erano roventi, dolorosi.

Il corpo non mi apparteneva più. Nulla esisteva.

There is nothing but silence now

 

C’era solo il silenzio, dentro di me. Intorno a me.

Non esisteva la pioggia, che aveva cominciato a cadere torrenziale.

Persino il cielo piange…

Non esisteva la radura nel bosco.

Non esisteva il fango sul quale le mie gambe avevano ceduto.

Non esisteva il tronco contro il quale mi ero appoggiata.

Nulla esisteva.

Solo il dolore. Quella massa nero pece, soffocante, che mi si premeva addosso. Mi penetrava nei pori della pelle, si sostituiva all’aria, riempiva i miei polmoni.

Mi strofinai violentemente, illudendomi di poterlo strappare dalla superficie del mio corpo.

Ma il dolore non se ne andava. Anzi.

Era sempre più spesso, più nero, più bruciante.

Il mio dolore scottava. Era fuoco liquido.

Il calore del mio corpo, che mi era sempre sembrato confortante come le braccia di mia madre, improvvisamente era troppo.

Troppo caldo, troppo incandescente.

Bruciavo. Stavo bruciando dall’interno.

Portai una mano –era una mano, giusto?- al petto, da dove tutto il calore si originava.

Era troppo. Faceva male.

Ma non potevo fare nulla per diminuirlo. Aumentava e basta.

Poi una sensazione fresca, di sollievo, partì dalla schiena e dall’incavo delle ginocchia. Mi sembrava di essere senza peso. Cosa stava succedendo? Non vedevo nulla…

La sensazione del vento che mi lambiva mi distrasse un attimo.

La nebbia nei miei occhi e nei miei pensieri si diradò un istante, permettendomi di vedere.

Jeremy.

Mi aveva preso in braccio e stava correndo, non troppo velocemente, evitando che la pioggia mi schiaffeggiasse con violenza.

Era freddo. Gelido.

Un balsamo per il mio dolore rovente. Non pensai più.

Lasciai che la mia testa cadesse sul suo petto, sentendo il calore alleviarsi un poco.

Non sentivo il suo odore, era coperto totalmente dal tenue sollievo che stavo provando.

 

We had no time to say goodbye

 

Non l’avevo previsto. Tutto era accaduto troppo in fretta; non avevo potuto fare niente. Niente!

Neppure salutarlo…

Joshua, dannato rompiscatole…perché sei sempre stato così perfetto?

Sentii che il mio corpo stava entrando in contatto con il terreno. Non violentemente, ma con insospettabile delicatezza. La pioggia non scorreva più sulla mia pelle, ero al riparo.

Jeremy mi aveva adagiato a terra, facendomi appoggiare la schiena contro una parete di roccia muscosa, e si era inginocchiato di fronte a me.

How can the world just carry on?

 

Io fissavo la terra, silenziosa. Non mi capacitavo del fatto che il mondo stesse continuando ad esistere, persino dopo una disgrazia del genere. Come poteva il mondo andare avanti, ora che una persona come Joshua non c’era più ad illuminarlo?

Sentii delle dita fredde insinuarsi lievi tra i miei capelli. Il freddo era sollievo. Capivo solo quello; per questo non mi ritrassi.

“Leah”, un sussurro leggero, come quello del vento. “Ora puoi piangere.”.

Udii distintamente lo schianto delle dighe del dolore che esplodevano con violenza inaudita.

Il mio cuore accelerò dolorosamente, come se non avesse abbastanza spazio per battere.

Nessuno, nessuno mai…mi aveva detto che potevo piangere. Io, che avevo sempre cercato di arginare le mie lacrime, nonostante tutti i miei problemi…nessuno mi aveva mai concesso di essere così debole.

Forse, solo Joshua.

Joshua.

E cedetti. Spossata da tutte le emozioni, lasciai che le parole di Jeremy agissero, come dovevano fare.

Mi portai le ginocchia al petto e strinsi le gambe in una morsa convulsa; abbandonai la testa e…

Piansi.

Senza singhiozzi, senza urlare, senza gemiti. Solo lacrime silenziose che scendevano, copiose.

Tantissime. Per tutti i dolori che avevo passato e per quello che stavo passando.

La gelida mano di Jeremy restava tra i miei capelli, accarezzando con tocchi cauti e impalpabili.

Forse anche lui ha un cuore, fu l’unico pensiero razionale che riuscii a concepire.

Poi mi immersi nuovamente nella stretta ferrea del dolore, lasciando che mi stritolasse, che scuotesse le mie ossa e le mie terminazioni nervose.

Ero sola, dovevo superare tutto da sola. Lo sapevo. Ma…

 

You are not alone in life

Although you might think that you are

 

Sentivo, vagamente, degli odori e dei suoni giungere da tutt’intorno a me. Dapprima pensai a delle allucinazioni dovute a quello che stavo provando.

Poi lo vidi.

Seth era arrivato, e mi guardava piangendo. Anche lui.

Ma non c’era solo mio fratello.

Jacob mi fissava con uno sguardo profondo e triste: non mi sentii compatita, stranamente.

Rosalie non aveva nulla della dea bionda che era di solito: sembrava un angelo della morte venuto a confortare coloro che erano rimasti indietro.

Lentamente, facendo perno con una mano, mi alzai. La stretta fredda del braccio di Jeremy intorno alla vita mi aiutò; mi resi confusamente conto che ero malferma sulle gambe.

Mi costrinsi a mettere un piede davanti all’altro, mentre continuavo a fissare Seth, le sue lacrime che scendevano senza dare nessun segno di potersi fermare.

Quando fui a meno di un metro da lui, le sue braccia si mossero con una rapidità impressionante e mi afferrarono.

Risposi al suo abbraccio con disperazione, capendo che condividevamo lo stesso lancinante, devastante dolore. Affondai il viso nel suo petto, continuando a piangere.

Quando le mie lacrime si furono attenuate un poco, osai alzare lo sguardo oltre la spalla di mio fratello.

C’erano tutti.

Embry, Quil, Nessie.

Ma anche Jared, Paul, Collin, Brady, Sam, Emily, Kim, Rachel, Sarah, Chad, Tommy, Duncan…

Persino i Cullen.

Nessuno mancava.

E se loro erano lì…io lo dovevo solo a Joshua.

Mio cugino, che mi aveva insegnato a vivere, di nuovo. Che mi aveva restituito degli amici. Che mi stava aiutando a tornare quella che ero.

Strinsi di nuovo Seth, forte.

Grazie.

Grazie, Joshua.

 

So sorry, your world is tumbling down

I’ll watch you trough these nights

Rest your head and go to sleep

Because my child, this is not our farewell

This is not

Our farewell

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: Presumo che quasi tutti immaginassero una fine diversa per Joshua. Vi posso assicurare che mi è costato molto continuare con la linea che mi ero scelta e non modificare la storia alla luce delle vostre aspettative. Senza contare che io adoro il personaggio di Joshua. Ma anche per questo motivo ho impedito che venisse vampirizzato; ne scoprirete bene tutte le ragioni nei prossimi capitoli.

Vi prego, non sparatemi!

Se vi siete chiesti chi sono alcuni dei personaggi che ho nominato sappiate che sono i nuovi licantropi (quelli più giovani, che la Meyer aveva solo nominato): uno di questi personaggi non mi appartiene, ma al contrario è ispirato alla fanfiction (per ora sospesa) di AutumnReace che si intitola “Rising Moon”. Il personaggio in questione (e protagonista della citata fanfiction) è Chad.

Come sempre ringrazio immensamente tutti coloro che continuano ad aggiungere la storia alle preferite, alle seguite e a quelle da ricordare. Siete davvero importanti, ognuno di voi.

Grazie anche a chi legge in silenzio, riesco comunque a sentire il vostro sostegno.

Ed infine un ringraziamento speciale a chi recensisce: vi ho già risposto grazie alla nuova funzione, ma mi sembrava giusto ringraziarvi di nuovo.

Se andrà tutto bene, il prossimo aggiornamento sarà, come al solito, tra due settimane. Però non posso assicurare nulla, visto che sono rimasta bloccata con la scrittura per un po’ di tempo (maledetta università!). Vi prometto che ce la metterò tutta!

E come sempre, commenti e critiche sono sempre più che ben accetti! Per migliorare e per capire se la storia vi sta piacendo o meno!

Grazie di tutto, gente! ^_^

 

La canzone è "Our farewell" dei Within Temptation:

 

In my hands
A legacy of memories
I can hear you say my name
I can almost see your smile
Feel the warmth of your embrace
But there is nothing but silence now
Around the one I loved
Is this our farewell?

Sweet darling, you worry too much, my child
See the sadness in your eyes
You are not alone in life
Although you might think that you are

Never thought
This day would come so soon
We had no time to say goodbye
How can the world just carry on?
I feel so lost when you are not at my side
But there is nothing but silence now
Around the one I loved
Is this our farewell?

Sweet darling, you worry too much, my child
See the sadness in your eyes
You are not alone in life
Although you might think that you are

So sorry your world is tumbling down
I'll watch you through these nights
Rest your head and go to sleep
Because my child, this is not our farewell.
This is not our farewell.

 

 

Nelle mie mani
Un retaggio di memorie
Riesco a sentirti dire il mio nome
Quasi vedo il tuo sorriso
Sento il calore del tuo abbraccio

Ma c'è solo silenzio ora
Intorno a colei che ho amato
Questo è il nostro addio?
 
Dolcezza cara ti preoccupi troppo, bimba mia
Vedo tristezza nei tuoi occhi
Non sei sola nella vita
Anche se potresti pensare che lo sei
 
Non ho mai pensato
Che questo giorno sarebbe arrivato così presto
Non abbiamo avuto il tempo di dirci ciao
Come può il mondo andare avanti?
Mi sento persa quando non mi sei affianco

Ma non c'è che silenzio ora
Intorno a colei che ho amato
Questo è il nostro addio?
 

Dolcezza cara ti preoccupi troppo, bimba mia
Vedo tristezza nei tuoi occhi
Non sei sola nella vita
Anche se potresti pensare che lo sei


Mi dispiace tanto che il tuo mondo stia capitolando
Ti guarderò in queste notti
Riposa il tuo capo e va’ a dormire
Perché bimba mia, questo non è il nostro addio.
Questo non è il nostro addio.

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Capitolo 16
*** Funerale ***


FUNERALE

 

 

 

Mi svegliai nel mio letto, terribilmente indolenzita. Sentivo gli occhi doloranti e gonfi, e una morsa al petto che impiegai due minuti buoni per riuscire ad identificare.

I ricordi si riversarono tutti insieme nella mia mente assonnata, in una valanga travolgente. Non bianca, ma nera. Non una valanga che celava le cose, ma una che le portava in superficie con nitidezza dolorosa.

Alla realtà non si poteva sfuggire.

Mi avviai con passo pesante in cucina, senza avere davvero intenzione di mangiare. Sapevo solo che avevo bisogno di sentire qualcuno accanto a me, anche se non l’avrei mai detto ad alta voce.

Mi sedetti al tavolo davanti a Seth, che rimirava assorto il cibo nel suo piatto: un comportamento decisamente anomalo. La mamma si aggirava per la stanza, sistemando cose che non necessitavano di essere sistemate. Eravamo un piccolo nucleo di dolore che si univa per non collassare su se stesso.

“Oggi arrivano Sheila e Jonathan.”, disse mia madre. Annuii debolmente, immaginando lo strazio che aveva sicuramente provato nel comunicare ai genitori di Joshua la morte del figlio.

Strinsi forte la forchetta che non stavo utilizzando. Si piegò con un cigolio sordo.

Ma nessuno disse niente.

“Quando?”, sbottai.

“Domani.”, rispose la mamma. E tornò il silenzio.

Solo ieri mattina eravamo a colazione insieme, io stavo ancora fingendo di essere offesa con Joshua…

Sono una deficiente.

Se l’avessi saputo…sarebbe stato tutto diverso. Non mi sarei comportata da stupida orgogliosa, non avrei fatto l’acida solo per il gusto di dimostrare –mentendo palesemente- che i suoi tentativi di cambiarmi non stavano dando dei frutti.

Mi veniva da vomitare al pensiero di quanto ero stata stupida. Un disgusto per me stessa che non avevo mai provato prima d’ora. Quando era morto mio padre era stato diverso, sentivo di non avere rimpianti; solo un immenso dolore.

Ma per quanto riguardava Joshua…

Frenai il corso dei pensieri immediatamente, per impedire al ricordo di mio cugino di lacerare quel velo di razionalità che ancora riuscivo a mantenere.

Autoconservazione.

Ero straordinariamente abile a riguardo: anni di esperienza.

Mi alzai di botto, ignorando colpevolmente il sussulto di mia madre a quel mio gesto così improvviso.

Autoconservazione.

Tornai in camera, senza un motivo. Mi sentivo come sabbia erosa dal mare, da ondate di dolore che salivano sempre più alte, più invadenti. Una marea scura e soffocante.

Il mio pugno si abbatté sulla scrivania con una forza inaudita, spaccando il legno e facendo volare schegge in tutte le direzioni. Alcune si conficcarono nella mia pelle, ma non me ne curai.

Mi sedetti poi sul letto, mettendomi le mani nei capelli. Cercavo nella mia mente, con frenetica disperazione, il barlume della mia vecchia forza che mi avrebbe fatto rimanere in piedi, anche questa volta.

La mia acidità, la mia irritabilità, il mio essere “dura”.

Ma la realtà era che non avevo voglia di trovarlo. Una stanchezza più interiore che esteriore mi fiaccava, impedendomi di rintanarmi, come avevo sempre fatto, dietro la mia resistente corazza.

Ero stanca di essere qualcosa che non ero, o almeno non fino in fondo.

Joshua aveva ragione.

La Leah che aveva vissuto negli ultimi sette anni…semplicemente non era Leah.

Non ero io.

Era una maschera e un’armatura senza un’anima a sostenerle. Avevo nascosto il più a fondo possibile, dentro al mio cuore, tutto ciò che pensavo mi rendesse debole; avevo forgiato e manipolato come metallo tutto ciò che ritenevo mi rendesse forte ed invulnerabile nei confronti del mondo.

Stupida.

Avevo esagerato, ora lo sapevo. E lo dovevo solo a Joshua.

Mi morsi un labbro, fino a farlo sanguinare. Ma si rimarginò immediatamente.

Imprecai.

Non potevo neanche avere il beneficio del dolore fisico.

Lo scricchiolio della ghiaia schiacciata dalle ruote di una macchina mi distrasse. Il rombo del motore, dapprima fioco persino alle mie orecchie, crebbe sempre di più. Quando udii due portiere sbattere compresi che non potevo più temporeggiare.

Feci il percorso inverso e scesi giù per le scale, lentamente.

L’immagine che mi si presentò di fronte mi colpì con la forza di un maglio, più nitida di ogni fotografia.

Nell’ingresso c’erano i genitori di Joshua, devastati dal dolore.

Sheila stringeva forte mia madre, lacrime copiose cadevano dai suoi occhi scuri e scorrevano sul viso delicato. I lunghissimi capelli, che arrivavano fin quasi alla vita, erano opachi e annodati, come se li avesse torturati tutto il tempo.

Era l’ombra di se stessa.

Jonathan le stava accanto con lo sguardo fisso, senza vedere in realtà nulla. La mascella forte innaturalmente tesa, gli occhi rossi e i pugni stretti in una morsa dolorosa.

Mi fermai a metà della rampa, senza riuscire a smettere di guardarli. Loro erano la realtà che scavava un buco sempre più profondo nella mia mente, fino ad arrivare al luogo in cui mi tentavo di barricare, rifiutando ciò che era successo.

Ma non c’era via di scampo, non c’era nascondiglio.

Joshua era morto, e non sarebbe più tornato.

***

Il funerale si tenne direttamente nel tatilhtal, come chiamavamo noi Quileute il cimitero della riserva.

Il consiglio degli anziani aveva deciso di concedere un grande onore a Joshua: benché lui non fosse un Quileute a tutti gli effetti, avrebbe ricevuto la stessa sepoltura.

Un cugino, per me. Un fratello, per tutti.

Cercai di isolarmi da tutto quello che stava succedendo. Non volevo vedere Sheila e Jonathan che piangevano, aggrappati l’uno all’altra; non volevo sentire le nocche scricchiolanti dei miei amici, mentre serravano i pugni in modo convulso.

Non volevo avvicinarmi a mia madre, che stringeva forte il braccio di Seth come se fosse stato un bastone a cui sostenersi: i loro volti erano lucidi dalle lacrime.

Io non potevo far altro che rifugiarmi nella mia testa e trovare conforto da sola.

Non potevo dimostrare fino in fondo quello che stavo provando: l’avevo già fatto quel giorno, piangendo davanti a vampiri e licantropi, senza distinzione. Ora non potevo concedermi di mostrare dolore.

Come potevo farlo, se c’era chi soffriva più di me? I genitori di Joshua erano quelli che avevano subito il trauma più grande, il cordoglio di tutti andava indirizzato a loro.

Non a me, semplicemente la cugina del defunto, che non era stata neanche capace di essergli amica…una stupida che l’aveva spinto via quando in realtà voleva solo essere raggiunta dal suo buon cuore.

Basta.

Adesso basta.

Era inutile lagnarsi in quella maniera. Mi mossi a disagio, sentendomi troppo stretta in quel vestito nero che mi ero costretta ad indossare. Il tessuto aderente mi strofinava la pelle, la soffocava, dandomi una sensazione terribilmente spiacevole: terribilmente simile al dolore che stavo provando.

Un odore bruciante mi distrasse lievemente.

Voltai un poco lo sguardo alle mie spalle, scorgendo in lontananza i Cullen. Erano venuti anche loro, benché non ne comprendessi il motivo.

Rosalie era la più vicina. Si era mossa diversi passi avanti rispetto alla sua famiglia, senza curarsi del fatto che stava sconfinando.

Mi guardava negli occhi, immobile e perfetta nel suo abito da lutto. Non l’avrei ammesso neanche sotto tortura, ma ero felice che fosse lì.

Jeremy era a metà strada tra lei e gli altri vampiri: gli lanciai un’occhiata fuggevole. Non mi stava compatendo. Sembrava che nel suo sguardo ci fosse un dispiacere autentico, forse eco di morti che aveva già visto in passato.

Non me ne curai. Tuttavia feci un breve cenno nella loro direzione.

Jacob si avvicinò lentamente a me e mi mise una mano sulla spalla. La strinse leggermente, senza parlare. Poi mi guardò: le parole non avrebbero saputo rendere tutto ciò che quello sguardo mi stava dicendo. Concessi ai miei occhi di velarsi di tristezza, che stavo nascondendo da ore, ormai; alzai una mano e la appoggiai sulla sua, ancora posata sulla mia spalla.

Una stretta discreta, fraterna, che mi scaldò il cuore.

Ma la lasciai cadere rapidamente, senza fare però nulla quando lui continuò a tenere il suo palmo rovente lì dov’era.

“Grazie”, sussurrai pianissimo, in modo che solo lui potesse sentirmi.

Con grande buonsenso, cercò di mascherare la sua sorpresa: non era proprio il momento per le battute stupide.

Tornai a guardare la solenne cerimonia. Il vecchio Ateara aveva appena finito di parlare e la bara cominciava ad essere calata nella fossa profonda.

Il tonfo del legno che toccava il fondo riverberò dolorosamente nel mio cuore, che diede un battito più forte. Deglutii, chiudendo gli occhi, e fui attraversata da un breve tremito.

Lentamente, ogni persona si avvicinava alla fossa e lanciava una manciata di terra, accompagnata da parole sussurrate a mezza voce o da lacrime che gridavano un muto dolore.

Mi svincolai dalla stretta di Jacob e raccolsi un pugno di polvere brunastra.

Un passo davanti all’altro, Leah, ce la puoi fare.

Guardai, con sottile paura, il buco nero davanti ai miei piedi.

Simile alla voragine che ho dentro.

Aprii le dita: le avevo strette così forte che adesso, a rilassarle, facevano male. La terra cadde sul coperchio di legno chiaro, tamburellando come gocce di pioggia.

Addio, Joshua.

“Possa il tuo spirito vegliare sempre sulle persone che ti hanno amato”, declamò il vecchio Ateara.

È vero, non è un addio.

Tornai al mio posto, accanto alla mamma e a Seth, e mi estraniai di nuovo.

Mi riscossi solo quando udii i gemiti di Sheila e Jonathan farsi più alti, mentre la fossa veniva finalmente riempita. Ogni rumore si impennò, diventando più sottile e più vivido, penetrando nell’aria e riempiendo ogni spazio.

Potevo sentire il suono delle lacrime che scendevano sulle guance di mia madre.

E poi, il nulla.

***

Ci spostammo, sparsi come oggetti alla deriva, verso First Beach.

Un ultimo rito andava svolto, secondo le tradizioni Quileute. Ognuno di noi aveva portato qualcosa che ci ricordasse Joshua; io stringevo il piccolo lupo di legno che spesso ci contendevamo, durante la nostra infanzia. Un presagio del mio futuro.

Una canoa era arenata sulla spiaggia e, lentamente, tutti ci avvicinammo. Uno per uno, tutti i nostri ricordi di Joshua vennero adagiati sul fondo: una foto, un bigliettino, la sua felpa preferita…anche il lupo di legno.

Restammo fermi per un momento interminabile, poi il vecchio Ateara pronunciò le parole che chiudevano la cerimonia. E che erano impresse nella mia memoria, dal funerale di mio padre.

Papà…mi manchi.

“Che il mare, culla di vita, porti via tutto ciò che ancora ti lega a questa vita terrena. Possa il tuo spirito essere libero e ritornare parte del tutto.”.

E con una spinta delicata la canoa venne affidata alle acque. Silenziosi, la osservammo avvicinarsi a James Island, il luogo dove i nostri antenati erano sepolti da tempi immemorabili. Sfiorò lievemente la costa rocciosa, illuminata dal bagliore aranciato del sole morente, e poi filò rapida verso il largo.

Come se avesse ricevuto una benedizione.

In pochi minuti, della canoa non rimase che un puntolino scuro in lontananza, immerso nella luce violenta del tramonto; restammo immobili finché non sparì del tutto.

Guardai un attimo Seth, cercando di spiegargli con gli occhi che volevo tornare a casa da sola. Lui parve capire, perché annuì.

Misi un piede davanti all’altro, beandomi dell’automatismo della cosa: il non pensare mi dava sollievo. Ma dovevo sapere che il destino non amava concedermi dei momenti di tranquillità.

Fatti pochi passi incrociai un volto conosciuto: Andrew, il ragazzo che Joshua difendeva. Si stava torcendo le mani e mi guardava con sguardo dubbioso, facendo scattare gli occhi dalle proprie dita intrecciate al mio viso inespressivo.

Forzando me stessa, decisi di avvicinarmi.

“Le mie condoglianze”, sussurrò contrito. Lo osservai con aria di sufficienza: tutto qui quello che aveva da dire? Dal suo atteggiamento mi sembrava tutt’altro. Feci per andarmene.

“No!”, esclamò. Poi abbassò lo sguardo, mortificato. “Cioè, volevo dire, aspetta un attimo, per favore.”.

Lo guardai, incrociando le braccia, senza dissimulare la mia impazienza: quel ragazzo non aveva colpa, ma io ero una bomba in procinto di esplodere. Non riuscivo a comportarmi diversamente.

“Ecco, giusto ieri sono arrivate nuove prove che mi scagionano da tutte le accuse.”, disse titubante.

Sentii, inaspettatamente, il sollievo allargarsi nel mio petto. Joshua aveva ragione, non si era sbagliato riguardo a quel ragazzo. Aveva visto la verità, dove tutti erano ciechi.

“Sono felice per te, Andrew”, risposi, sforzandomi di essere vagamente gentile.

Il suo viso parve illuminarsi. “Devo tutto a Joshua. Forse anche questo.”. Compresi quello che stava dicendo: lo spirito di mio cugino forse era intervenuto, chissà. Tutto era possibile, nel mio mondo.

“Ma ho deciso che voglio fare di più. Joshua ha fatto tanto per me, e vorrei portare avanti una parte di lui, una parte dei suoi desideri.”. Sorrise con dolcezza, un po’ imbarazzato. “Voglio diventare un avvocato e fare per gli altri quello che Joshua ha fatto per me. Forse non varrà molto, ma  è il minimo che posso fare per ringraziarlo.”.

Tentai di ignorare il groppo che mi si era formato in gola.

Forse non tutti i sogni di Joshua sono perduti.

Gli posai una mano sulla spalla, lasciando che quello che stavo provando facesse capolino per qualche istante sul mio viso. Pochi istanti, ma sufficienti affinché lui capisse.

“Credimi, vale molto. Buona fortuna, Andrew.”. E me ne andai senza voltarmi più indietro. Il suo grazie raggiunse le mie orecchie quando ormai ero troppo lontana per l’udito umano.

Ero quasi arrivata ai margini della foresta quando un’altra voce mi raggiunse.

“Leah!”. Mi voltai per incrociare gli occhi dorati di Rosalie. Si avvicinò rapidamente, posando una mano gelida sul mio avambraccio in un gesto impacciato –impacciato? Rosalie?- e lieve. Il suo modo per confortarmi.

“Ciao, Rosalie.”, risposi senza scostarmi da quel contatto.

“Non azzardarti a sentirti in colpa. Hai capito, lupastra?”. Ma non c’era derisione nelle sue parole, solo una sincera preoccupazione ed una velata rabbia.

Scossi la testa. Come faceva, tutte le volte, a cogliere i miei timori più profondi? Era impossibile che si facesse aiutare dal leggipensieri, giusto?

“Ci proverò.”. Lei strinse più forte poco sopra al mio polso.

“Non essere stupida, Leah Clearwater. Sai benissimo che non potevi fare più di quello che hai fatto.”.

Grugnii in modo poco elegante e lei sbuffò. “Anzi, forse è meglio che sia andata a finire così.”, rifletté ad alta voce. Io spalancai gli occhi, improvvisamente furiosa. Come si permetteva di dire una cosa del genere? Amica o no…

“La pianti di reagire così, Leah? Ormai dovresti conoscermi…”, sussurrò un po’ piccata. “Ho un motivo per dirti una cosa del genere.”.

Incrociai le braccia, sfidandola con lo sguardo. “Davvero?”, sibilai.

“Riesci davvero ad immaginarti come sarebbe diventato tuo cugino, se Carlisle fosse riuscito a fare ciò che gli avevi chiesto?”, esclamò. “E come si sarebbe sentito Joshua, nel diventare un vampiro neonato assetato di sangue? Te lo sei domandato?”.

Certo che ci avevo pensato. Per non più di cinque secondi, comunque. Volevo solo che Joshua continuasse a vivere.

Anche una non-vita.

Tentai di immaginarmi Joshua come un vampiro.

Quanto avrebbe sofferto nello scoprirsi una macchina per uccidere con l’istinto per il sangue? Quanto sarebbe cambiato nel carattere? Sarebbe rimasto lo stesso Joshua?

“Non sarebbe rimasto lo stesso, Leah.”, disse Rosalie, intuendo i miei pensieri. “La trasformazione ci cambia: alcuni di più, altri di meno. Ma da quello che le tue parole mi hanno fatto capire, un carattere come quello di Joshua non sarebbe stato immune ai cambiamenti che avrebbe provocato la trasformazione. E tu lo sai.”. Strinsi i pugni, consapevole che quello che stava dicendo era la verità. Eppure non volevo accettarla. Io volevo che Joshua vivesse…

Egoista.

Ma lui ne sarebbe stato felice? Avrebbe accettato una vita del genere?

Probabilmente no.

Sospirai. “Avresti davvero voluto che anche lui facesse parte di questo incubo sovrannaturale, Leah?”. Rosalie diede l’ultima stoccata. Che andò puntualmente a segno.

Scossi nuovamente la testa. No.

Lei sorrise dolcemente, per una volta. “Io avrei preferito morire, piuttosto che diventare un vampiro immortale. Ma non ho avuto scelta. Forse, questa volta, il destino è stato più saggio di noi.”.

Si guardò rapidamente intorno, poi mi abbracciò per un istante brevissimo. Un abbraccio lieve e delicato, quasi impossibile da percepire: mi lasciò comunque scioccata.

“Vai a casa a riposarti, lupastra. Alla sorveglianza pensiamo noi.”, disse brusca, in un rapido ritorno alle sue vecchie maniere. Alzai un angolo della bocca, accennando un sorriso. Lei mi diede una pacca sulla spalla, molto leggera, spingendomi ad andare.

Avevo fatto pochi passi quando una mano si materializzò improvvisamente di fronte a me, bloccandomi senza toccarmi. Alzai gli occhi, incontrando quelli marroni di Jeremy.

Marroni? Ah, già. Le lenti a contatto.

“Mi dispiace.”, disse semplicemente. Cioè, mi aveva fermato solo per questo? Assottigliai lo sguardo, per fargli capire quanto poca fosse la mia pazienza, soprattutto in quel momento.

“Non sei debole, Leah. E non hai fatto le scelte sbagliate.”, aggiunse lui, con un sorriso mesto. Lo fissai un istante, completamente stupefatta.

Come l’aveva capito? Come aveva fatto a comprendere alcuni dei miei più profondi timori, proprio come aveva fatto Rosalie? Abilità vampiresca, probabilmente. Bah.

Agitai la mano, noncurante, e ricominciai a camminare, superandolo.

“A presto, Leah”.

Sbuffai. Certo, contaci.

E corsi verso casa.

***

Ogni giorno era uguale all’altro.

Sveglia, colazione, apatia, pranzo, apatia, cena e sonno.

Poi tutto si ripeteva.

Nessuno osava dirmi nulla. Jacob ogni tanto passava a vedermi, a volte da solo, altre volte con i fratelli del branco.

Ma ancora non era il momento di uscire dal mio letargo di dolore. Volevo solo concedermi un po’ di tempo, era così difficile da capire? Il tempo per leccarmi le ferite, il tempo per accettare che una persona che amavo molto non sarebbe più tornata; il tempo per abbracciare l’idea che ero cambiata, che ero diventata più simile alla Leah pre-Sam.

Ne ero contenta? Non lo sapevo, non lo capivo. Mi serviva solo del tempo.

Al quinto giorno dopo il funerale mi telefonò Rosalie. Per una volta mi ritrovai a detestare il patto di non invasione Cullen-Quileute: avrei preferito vederla, piuttosto che parlare attraverso quell’aggeggio che odiavo.

Non le spiegai tutto, ma lei parve capire. “Sentimi bene, lupastra. A volte ci sono domande che non devono per forza trovare una risposta. L’importante è andare avanti ed agire, non fossilizzarsi dentro il proprio cervello in attesa che le risposte ti cadano in testa come un meteorite! Davvero, Leah, se non la pianti di fare la reclusa ti verrò a prendere per i capelli, patto o no. Me ne frego.”.

Eccome se se ne fregava. Rosalie era davvero fatta così: non dubitai neppure per un istante delle sue minacce.

Però da qui a darle soddisfazione…

“Ci penserò, succhiasangue.”, risposi asciutta. Lei sibilò e mi parve di sentirla digrignare i denti. “Arrangiati, lupastra dei miei stivali!”, e mi sbatté il telefono in faccia.

Restai a guardare la cornetta, sorridendo in solitudine.

***

Cinque minuti dopo sfrecciavo nella foresta, diretta verso casa Cullen. Come sempre, correre mi rilassava. Il pensiero di Joshua era fisso nella mia mente, eppure, più che bloccarmi, stava diventando un talismano che mi aiutava ad andare avanti. Lui avrebbe voluto così. Inspirando a fondo l’odore della boscaglia mi accorsi di un altro odore; poche falcate dopo ne incontrai il proprietario, che sorrise allegramente nel vedermi arrivare.

“Bentornata, lupacchiotta. Ti stavo aspettando.”.

Puntai il naso per aria, in un gesto sprezzante, mentre Jeremy ridacchiava. Incrociai le braccia e lo osservai con blando interesse; feci un paio di respiri lenti, raccogliendo il coraggio e tentando di accantonare, per qualche secondo, il mio orgoglio. Lui mi guardava palesemente incuriosito.

“Grazie.”, gli sputai addosso, quasi fosse un insulto.

L’idiota dai capelli troppo biondi non si preoccupò di nascondere lo stupore: lo guardai male. Maledetto. Poi lui scoppiò a ridere. “Hai davvero un modo tutto tuo di ringraziare, lupacchiotta! Comunque, prego.”. Distolsi lo sguardo, nervosa. Mi scocciava il fatto di aver ringraziato un succhiasangue anche se, in fondo, glielo dovevo.

Lo sentii avvicinarsi e portai di scatto i miei occhi su di lui, minacciosa. L’imbecille non ne parve minimamente toccato, comunque. “Anche Rosalie ti sta aspettando.”, disse invece. Annuii e, senza dire altro, ricominciai a correre verso la casa delle sanguisughe. Lui mi seguiva senza sforzo, perciò accelerai. Lo sentii ridacchiare distintamente, mentre aumentava di risposta il ritmo della sua corsa.

“Comunque non dovevi ringraziarmi, davvero.”, riprese, incapace di stare zitto. Gli scoccai un’occhiataccia, ma evidentemente non se ne avvide.

“Insomma, ho una naturale propensione a soccorrere le fanciulle in difficoltà, era ovvio che…”. Una spallata, e l’imbecille volò dentro ad una pozza di melma. Ridacchiai compiaciuta e continuai la mia corsa senza preoccupazioni.

La sua voce mi raggiunse poco dopo. “Bentornata, Leah.”.

 

 

 

*Note dell’autrice*: rieccomi qua, con solo un giorno di ritardo sulla tabella di marcia!

Lo so, questo aggiornamento non è un gran che,  è giusto un capitolo di transizione: ci sono poche cose, ma tutte necessarie. Riguardo al rituale del funerale Quileute mi sono documentata: l’ho un po’ modificato rispetto ai riti originari, ma alla fine è molto simile. Spero davvero che vi sia piaciuto.

Il prossimo aggiornamento sarà, di nuovo, tra due settimane, augurandomi di fare in tempo. Colgo quindi l’occasione per farvi i più sinceri auguri di Buon Natale, che possa essere pieno di felicità e belle sorprese!

Ringrazio, come sempre, tutti coloro che aggiungono la storia alle preferite, alle seguite e alle storie da ricordare; mi date davvero un grande sostegno. E un enorme grazie anche a chi legge questa fanfiction in silenzio, spero sempre di regalarvi dieci minuti piacevoli e di relax.

Un ringraziamento speciale a chi recensisce: vi ho già risposto attraverso l’opzione “rispondi”, ma è bello poter rinnovare i ringraziamenti. Nell’ultimo capitolo sono arrivate nove recensioni! Nove! Non potete immaginare quanto mi avete resa contenta! E le recensioni totali sono più di 60!

Davvero, grazie.

 

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Capitolo 17
*** Proseguire ***


PROSEGUIRE

 

 

 

Entrai in casa Cullen senza preoccuparmi di bussare. Rosalie mi venne subito incontro, con uno sguardo tra il lieto e il sornione. “Avevi paura che ti strapazzassi il pelo?”, mi chiese. Io la fissai perplessa. Lei sospirò elegantemente: quanta scena. “Ti avevo minacciato di prenderti per i capelli, no? Certe volte dubito delle tue capacità intellettive…”.

Lanciai un vago ringhio, non completamente irritata. Jeremy era appena entrato e all’urlo di Alice “cosa hai fatto alla camicia di Armani?” era stato immediatamente preso in ostaggio dalla nana con la fissa per la moda. Ridacchiai.

Rosalie mi squadrò con occhio critico. “Cosa hai intenzione di fare adesso, lupastra?”, sussurrò, invitando gli altri succhiasangue a sgomberare con uno sguardo cordialmente glaciale. Saggiamente, le sanguisughe si finsero occupate in faccende fuori casa. “Ehm, Rosalie, non ti sembra di essere un po’ troppo protettiva nei miei confronti? Me la so cavare perfettamente da sola…”, sibilai nervosa.

“Lo so, sottospecie di lupa troppo cresciuta. Così come sono perfettamente consapevole del fatto che il tuo istinto alla polemica è persino più forte di quello della caccia ai vampiri. Semplicemente non mi piace avere scocciatori intorno mentre parlo. Intesi?”.

Sbuffai. “Certo, certo.”. Poi mi morsi la lingua. Accidenti a Jacob…

“Quindi? Cosa hai intenzione di fare?”, chiese di nuovo, con scarsissima pazienza.

Allargai le braccia, esasperata. “Cosa pensi che faccia, hm? Posso continuare a piangermi addosso, ma Joshua non tornerà indietro. E non ho alcuna intenzione di farlo. Forse sono cambiata, forse no, ma sinceramente non ho voglia di serrarmi nei miei pensieri per non uscirne più. Non sono una ragazzina piagnucolante e depressa. Perciò, continuerò la sorveglianza.”. Risposi così precipitosamente che quasi mi mancò il fiato.

La sanguisuga bionda fece un sorrisetto irritante e mi si avvicinò di un passo. “Era ora che ti riprendessi, Leah.”, disse semplicemente. Le mie labbra si incurvarono leggermente all’insù. La solita Rosalie dai modi spicci riusciva sempre a toccare i punti più delicati della mia mente, senza farmi del male. Era una capacità che ormai le dovevo riconoscere, per quanto non l’avessi mai ammesso davanti a nessuno. Tantomeno a lei. Ma ci capivamo, e non era necessario parlare.

Mi riscossi dalle riflessioni pseudo-filosofiche e tornai alle mie maniere educate.

“Dov’è quell’imbecille biondo?”, chiesi caustica. E ovviamente Rosalie ebbe la brillante idea di prendermi in giro. “Stai parlando di Jasper, vero? Penso che sia con Emmett a straparlare di macchine…”. Colse il mio sguardo omicida e si corresse. “Ah, no, intendevi Carlisle, giusto? Sarà con Esme…”. Il mio piede iniziò a battere impaziente contro il pavimento. La sanguisuga bionda e deviata ridacchiò. “Jeremy sarà ancora tra le grinfie di Alice, presumo. Basta dargli una voce e arriverà.”.

Lanciai un ringhio abbastanza forte e in un attimo il platinato ci raggiunse in salotto. “Jeremy a rapporto, lupacchiotta! Ma è così difficile per te chiamarmi per nome?”, chiese storcendo il naso.

“Sì.”, ribattei seccamente. “Ora muoviti, la sorveglianza ricomincia.”.

Lui sorrise e mi trotterellò dietro mentre uscivamo da casa Cullen. Con uno sguardo straordinariamente fulminante lo invitai a lasciarmi modo di trasformarmi in santa pace: non avevo intenzione di avere a che fare con dei succhiasangue guardoni. Bleah.

Mi stiracchiai piacevolmente, godendomi la sensazione del terreno sotto le zampe. Raspai leggermente e inalai il profumo della foresta, mischiato all’olezzo delle sanguisughe. Ed infine piantai lo sguardo in quello di Jeremy.

“Al solito?”, domandò incrociando le braccia con un sorrisetto. Inclinai il capo, leggermente infastidita, poi annuii. Recuperando la routine di qualche settimana prima –ma sembrava una vita fa- ci dirigemmo come d’abitudine verso la superstrada.

***

Lo controllai con attenzione, ricordando cos’era successo l’ultima volta che mi ero rilassata troppo in sua compagnia. Ma il succhiasangue senza cervello sembrava essere immune all’odore umano che arrivava dal centro abitato, benché fossero giorni che non andava a caccia. Contro ogni previsione, l’aver incontrato la sua cantante aveva aumentato la resistenza verso il sangue umano. Un’ottima notizia, per me. Per buona misura, osservai i suoi occhi, che stavano diventando di un color fango assolutamente repellente. Ma vagamente umano. Forse con le lenti a contatto…

“Ehi, lupacchiotta! Ti sei finalmente arresa al mio fascino?”, ridacchiò lui. Alzai gli occhi al cielo. Non cambiava davvero mai.

“Come stai, lupacchiotta?”, chiese all’improvviso, con uno sguardo sorprendentemente serio.

Lasciami in pace.

Lui sbuffò e continuò a camminare tra gli alberi, mentre io mi tenevo nascosta. Proprio non capivo quella sua dannata volontà di parlarmi: forse mi considerava la sua sfida personale, la donna acida dal carattere impossibile da far capitolare.

Nonostante tutto quello che aveva fatto ancora non riuscivo a dargli neanche un briciolo di fiducia. Però avevo imparato a considerarlo almeno vagamente come una persona; non potevo negarglielo, aveva dimostrato di saper provare dei sentimenti, cosa che prima non riuscivo assolutamente ad attribuirgli.

Mollai una zampata contro la sua spalla per attirare la sua attenzione; lui mi fissò, con la fronte aggrottata, cercando di indovinare il motivo di quel gesto così improvviso ed apparentemente immotivato.

Caccia.

Sperai che capisse, ma ovviamente era impossibile, anche se ormai era diventato piuttosto abile a decifrare le mie espressioni. Alzando per l’ennesima volta gli occhi al cielo, gli feci cenno di seguirmi, e lui obbedì senza dire una parola. Mi inoltrai nel fitto della foresta, correndo a briglia sciolta, fiutando il sentiero che ci avrebbe portato in una zona di caccia abbastanza isolata e sicura. L’imbecille biondo mi stava alle calcagna e dopo un po’ parve comprendere.

“Caccia?”, chiese. Feci segno di sì con il muso, senza fermarmi. Lui si lanciò avanti, seguendo una pista che anche io avevo iniziato a percepire, e si preparò a quella sua danza di morte.

Quante volte l’avevo guardato uccidere senza farmi il minimo problema? Eppure il vedere i corpi accasciarsi tra le sue braccia mi diede la nausea. Era passato troppo poco tempo dall’ultima volta che avevo vissuto la morte. Joshua era impossibile da dimenticare.

Era un talismano e un simulacro al tempo stesso. Mi faceva andare avanti in certi momenti, in altri mi bloccava. E stavolta aveva pietrificato le mie zampe sul terreno.

“Stai bene, Leah?”, domandò cauto. Lo fulminai con uno sguardo furibondo. Lui non doveva permettersi di portare alla luce le mie debolezze. Non gliel’avrei mai concesso. Mai.

Anche se lui mi aveva visto precipitare negli abissi della sofferenza.

Invece di sbuffare come prima, si limitò a fissarmi con quegli occhi dal colore indefinibile, facendomi sentire una scema. Era come se mi stesse urlando che sapeva che stavo mentendo. Ma almeno questa volta stavo mentendo solo a lui, e non anche a me stessa.

Jeremy distolse lo sguardo e riprese la sua caccia, lasciandomi in balia dei miei pensieri.

***

Tornammo alla casa delle sanguisughe tre ore dopo, su mia decisione: avevo cose importanti di cui parlare con tutti loro. Jeremy entrò per primo, vagamente perplesso, mentre io mi trasformavo ai margini della foresta. “Ho bisogno di tutti in salotto.”, ordinai, marciando decisa verso la porta d’ingresso.

Come previsto, i Cullen avevano sentito le mie parole e avevano fatto come avevo detto. Sembravano tutti ansiosi di venirmi incontro in quel periodo, e sospettai che dietro ci fosse la pietà nei miei confronti. Questo mi rese soltanto più acida. Indicai l’idiota platinato.

“Sembra pronto per camminare in mezzo alla gente. Da domani si va a Seattle. Vi sta bene?”, chiesi fingendo che mi interessasse davvero la loro opinione. Edward fece una smorfia, percependo i miei pensieri.

Carlisle ed Esme si guardarono dubbiosi, mentre Rosalie si mostrava totalmente indifferente. Jasper stava probabilmente scandagliando le emozioni di Jeremy ed Alice vagliava attentamente le possibili conseguenze della loro decisione, cercando di escludermi dalle sue visioni. Altrimenti, come prevedibile, avrebbe visto solo un enorme buco nero.

“Ma in caso di problemi non potrei arrivare abbastanza velocemente, Leah.”, disse Bella, tentando di suonare ragionevole e accomodante.

“Non è più necessario, ormai. Il suo autocontrollo è aumentato.”, sputai fuori malvolentieri, era quasi un complimento. “E comunque adesso so come contrastare il suo potere. Potete star sicuri che la mia forza di volontà è decisamente ferrea.”. Annuirono tutti, probabilmente timorosi di irritarmi.

“Non ti serve una spalla con cui fare sorveglianza?”, chiese Emmett, scrocchiando le nocche con aspettativa. Storsi il naso. “Non ho bisogno di aiuto.”, ribattei orgogliosa. Lui scoppiò in una risata tonante.

“Ma non lo faccio per aiutare te, Leah! Lo sai che non disdegno mai una scazzottata!”. Mio malgrado feci un mezzo sorriso. “Lascia stare, ci penso io.”, risposi irremovibile.

“Questo vuol dire che non potrai sorvegliarlo in forma di lupo, non trovi?”, disse Jasper. Complimenti. Il premio per la frase più scema e ovvia dell’anno.

“Ne sono perfettamente consapevole, succhiasangue. E il mio parere resta lo stesso. Altre obiezioni?”. Feci vagare uno sguardo irritato su tutta la compagnia presente. Edward si fece avanti e soffocai a fatica un ringhio. “Spero che tu non lo faccia solo perché hai fretta di liberarti di Jeremy.”, disse cordiale, ma quelle parole furono peggio di uno schiaffo in piena faccia. Quell’infido bastardo…

“Edward!”, esclamò Esme, fissandomi poi mortificata. “Non oseremmo mai pensare una cosa simile…”.

“E perché no?”, chiesi caustica. Che andassero al diavolo, tutti loro. “Non ho scelto volontariamente la sorveglianza, e quell’idiota è una maledetta spina nel fianco. Come voi, del resto.”. Iniziai a tremare, nervosa in un modo incontrollabile. Non bastava che io avessi ancora una ferita aperta dopo la morte di Joshua, nossignore. Dovevo anche farmi sbattere in faccia la cruda verità da parte delle sanguisughe. Era così difficile da comprendere il mio bisogno di allontanarmi al più presto da quella dannata sorveglianza?

“Mi dispiace, Leah.”.

Ma le scuse non venivano da Edward, come mi sarei aspettata. Erano di Jeremy. Per cosa si stava scusando quell’imbecille? Per una volta che non aveva aperto bocca…

“Non era mia intenzione essere una spina nel fianco, per te. Posso tornare in Alaska, se la situazione ti è troppo insostenibile. Sono certo che riuscirò a cavarmela lo stesso.”, disse pacato.

E per una minuscola, insignificante, frazione di secondo mi sentii in colpa. D’accordo, era stata un’idea di Jeremy trasferirsi dai Cullen. Ma non era stato lui a richiedere la sorveglianza, e non era lui ad avermela imposta. Forse, in quel caso, il meno colpevole era proprio lui.

Scossi la testa. “Non abbandono il mio compito per dei futili battibecchi.”. Lanciai un’occhiataccia ad Edward. “Non sono mai venuta meno alle mie responsabilità e non lo farò neanche stavolta. Perciò tu resti qui, hai capito bene, imbecille?”, gli sibilai contro orgogliosamente. Lui rimase un attimo perplesso, poi annuì.

“Ti chiedo scusa, Leah, sono stato troppo brusco, so che stai attraversando un periodo difficile…”.

“Non una parola di più, leggipensieri. Ne hai già dette a sufficienza.”.

Edward mi guardò ostile, poi abbassò la testa. Bella gli si avvicinò, prendendogli dolcemente la mano.

“Quindi? Cosa avete deciso?”, chiesi per l’ultima volta. Stavolta fu Carlisle a rispondere; con lui il dialogo era nettamente più facile. “Ho piena fiducia nelle tue capacità e nella tua valutazione. Ma ti chiedo soltanto di aspettare che arrivi Jacob, forse è meglio che tu ne parli anche con il resto del branco. Lo dico per evitare malintesi e scontri.”, spiegò ragionevole.

Annuii lentamente, persuasa dall’assennatezza delle sue parole. Anche se in realtà ne avevo intenzione già da prima.

“Perfetto. Convocherò una riunione per stasera, in modo da parlare con i miei fratelli, e domattina vi farò immediatamente sapere. Tu”, puntai il dito verso Jeremy, “tieniti pronto per ogni evenienza. Intesi?”. Fece cenno di sì, obbediente come un cagnolino. Ridacchiai tra me e me: a volte era davvero patetico.

***

La riunione era fissata per quella sera alle dieci. Mi ero limitata a trasformarmi nel pomeriggio e a contattare Jacob, poi lui aveva organizzato tutto. Non avevo decisamente voglia di chiamare tutti i miei fratelli, uno per uno.

Eravamo stipati nel salotto di casa nostra, dove tanti ricordi continuavano ad aleggiare; forse era per quello che l’atmosfera era così diversa dalle solite riunioni, sempre costellate da prese in giro e chiacchiere allegre.

“Jacob ci ha detto che hai qualcosa di importante da discutere, Leah.”, disse Sam con la sua voce calma. Annuii, fiera di non sentire più né brividi né anomale strette allo stomaco quando parlava il mio ex-fidanzato.

“Oggi ho ripreso la sorveglianza, come saprete. Era da parecchio che Jeremy non andava a caccia, eppure non è sembrato minimamente influenzato dall’odore umano. Trovo che sia arrivato il momento di portarlo in un centro abitato, in mezzo alle persone. Voglio sapere se anche voi siete d’accordo.”.

Nel breve silenzio che seguì, mi parve di udire il suono degli –scarsi- ingranaggi mentali dei miei fratelli. Ma stavolta non c’era molto da ragionare: il nocciolo della questione era se potevano fidarsi del mio giudizio oppure no.

La posta in palio, quella sera, era la fiducia del branco.

“Il suo autocontrollo è davvero così forte?”, chiese Paul, diffidente. “Sì, trovo che sia aumentato ancora dopo l’incontro con la sua cantante.”, ribattei convinta, riportandogli lo stesso ragionamento che avevo fatto quel pomeriggio.

“Ma se perdesse il controllo? Il suo potere potrebbe bloccarti, e nessuno potrebbe arrivare in tempo per aiutarti. Sarai in forma umana e non potrai chiamarci, Leah.”, disse Brady. Duncan, accanto a lui, annuì partecipe. Io scossi la testa. “Sentite, ormai so come contrastare il suo potere, l’ho già spiegato anche ai succhiasangue. Se necessario, mi allenerò con lui fino ad esserne immune. Sono disposta anche a questo.”.

“Ma non sarebbe meglio portarlo a caccia, prima di lanciarlo in quest’impresa?”, domandò ragionevolmente Jared. Chad si inserì rapidamente. “Penso che l’abbia già fatto, Jared. Leah non è una che lascia le cose al caso. O sbaglio?”.

Feci un brusco cenno del capo nella loro direzione, che voleva essere una sorta di ringraziamento nei confronti di Chad. “Hai detto bene, ragazzino.”. Lui sbuffò sorridendo, ormai abituato al mio trattamento verso i membri più giovani del branco.

“Per quanto mi riguarda, io sono d’accordo. Mi fido di Leah.”, affermò Jacob con voce decisa. Gli scoccai un mezzo sorriso, grata. Un mormorio di assenso seguì le sue parole, a suggellare la fiducia del branco verso di me. Un sentimento indefinibile e caldo si allargò nel mio petto, rendendomi conto del traguardo raggiunto. Quasi per sbaglio il mio sguardo cadde sulla poltrona su cui si sedeva sempre Joshua, alla sera; in quel momento era occupata da Collin, ma io vedevo solo mio cugino. Lui, grazie al quale avevo raggiunto quel traguardo totalmente insperato.

Dopo poche, pigre chiacchiere, i fratelli iniziarono a sgomberare. Solo Jacob rimase un attimo indietro.

“È incredibile come tu ti sia presa a cuore la sorveglianza, Leah.”, insinuò stupidamente. Lo guardai male. “Lo sai benissimo che è perché voglio liberarmi di quella palla al piede il prima possibile. Per il resto è solo il mio senso di responsabilità che parla.”.

“Certo, certo. Ma presto sarai costretta a riconoscere che Jeremy non è una persona così pessima.”.

“È un succhiasangue e tanto basta. Può fare tutto quello che vuole, ma non me lo farò mai piacere, è matematico. E lo sai.”, risposi caustica.

“Ma la bionda psicopatica…”, cominciò.

“Rosalie non c’entra niente. Lei è diversa, lei non voleva essere una sanguisuga, e mi capisce spesso meglio di un’umana.”. Poi mi tappai la bocca, consapevole di aver detto decisamente troppo.

“Nessuno di loro desiderava essere vampirizzato, Leah. Ad eccezione di Bella, ovviamente. Le tue affermazioni non hanno né capo né coda. Riflettici.”.

Sbuffai poco convinta e lui scosse la testa, esasperato. Si mise le mani in tasca, avviandosi verso l’ingresso. “Buonanotte, Leah. In bocca al lupo.”, ridacchiò, prima di sbattersi la porta alle spalle.

Accennai una risatina, sconvolta dalla stupidità di quella battuta. Seth mi guardò sorridendo, chiaramente sollevato nel vedermi così normale. Non più chiusa in me stessa come prima.

“Io vado a dormire, ho come idea che domani sarà una giornata intensa.”.

Lui annuì, senza staccarmi gli occhi di dosso. “Buona fortuna, Lee.”.

Lo ricambiai con un leggero sorriso pieno d’affetto, e andai in camera mia.

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: ed ecco a voi il primo capitolo del 2011! Buon Anno a tutti voi!

Mi dispiace di non essere riuscita a pubblicare prima, purtroppo però sono riuscita a riprendermi dal capodanno giusto oggi. Senza contare il fatto che mia madre mi ha preso in ostaggio per tutto il periodo delle vacanze.

Questo capitolo non è particolarmente ricco di avvenimenti, eppure quello che può sembrare una svolta insignificante avrà più valore di quanto non appaia, per ovvi motivi. Entro un paio di capitoli prevedo che entreremo nella “fase finale” della storia, nonché la parte più movimentata e sorprendente.

Cercherò in tutti i modi di pubblicare entro due settimane, perché ci tengo io per prima a proseguire questa storia che ormai amo. Purtroppo a causa degli esami, delle lezioni e dei laboratori il mio tempo sarà decisamente scarso, quindi non posso assicurarvi nulla. Mi dispiace davvero tanto.

Ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite e alle storie da ricordare. Un enorme grazie anche a chi legge in silenzio, il vostro sostegno è altrettanto importante, credetemi.

E ovviamente un ringraziamento speciale a chi recensisce, perché mi date la possibilità di capire a fondo dove devo migliorare e quali sono le vostre aspettative. Grazie di cuore.

Come sempre, critiche e commenti sono più che graditi!

Per chi è interessato ho un profilo di Facebook dedicato alle persone che ho conosciuto tramite EFP, se desiderate aggiungermi non mi può che fare piacere. Il mio profilo è questo.

Di nuovo tantissimi auguri di Buon Anno! Che sia un 2011 meraviglioso per tutti voi!

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Capitolo 18
*** Tentativi ***


Ancora una volta mi vedo costretta a mettere delle note prima del capitolo. Tranquilli, non morirà nessuno stavolta. Semplicemente vi chiedo, prima di fucilarmi per un capitolo che –mi rendo conto- doveva (e voleva) essere migliore, di leggere le note dell’autrice a fine capitolo. Vi ringrazio.

 

 

TENTATIVI

 

 

 

Il giorno dopo mi presentai a casa Cullen in forma umana. L’unica cosa positiva era che l’olezzo era meno penetrante per il mio naso: feci un respiro profondo e mi preparai ad entrare.

Jeremy mi aspettava stravaccato su un divano, gli occhi scintillanti di entusiasmo. Le altre sanguisughe gli stavano intorno come una bizzarra scorta d’onore. Persino Nessie era presente.

“Mi raccomando Leah, se hai bisogno di aiuto non esitare a chiamarci”, disse Carlisle gentilmente. Storsi un poco il naso, infastidita, ma replicai in modo vagamente educato. “Non sarà necessario. Se dovesse fare qualcosa di strano può star certo che non sopravvivrà alla giornata e che appiccherò personalmente fuoco ai suoi resti.”. L’imbecille biondo ridacchiò, incurante delle minacce. “Prometto che farò il bravo.”.

“Forse vi conviene tenervi lontani dal centro, oggi ci sarà un po’ di sovraffollamento a causa di una manifestazione.”, disse la nana, ed io annuii. Non ero così stupida da rifiutare un buon consiglio.

“Jeremy oggi è su di giri, ma sembra perfettamente sotto controllo nei suoi istinti da vampiro.”, aggiunse Jasper.

“Ottimo.”, risposi asciutta, impaziente di andarmene.

“Jake sarà qui a momenti, se lo vuoi aspettare per discutere ancora della sorveglianza.”, disse Nessie dolcemente. Io scossi la testa con veemenza. “Ne abbiamo già discusso ieri, non sarà necessario.”.

“E…”, provò a dire Bella, ma io la bloccai. “Sentite, se andiamo avanti di questo passo non cominceremo mai la “seconda fase” della sorveglianza. Lasciatemi andare con questo idiota a Seattle risparmiandomi le vostre inutili raccomandazioni. Me la caverò, d’accordo?”, sibilai caustica.

Loro annuirono, apparentemente convinti. Rosalie mi si avvicinò e le lanciai un’occhiata sospettosa.

“Vedete di non fare troppi danni a Seattle, okay?”, modulò con la sua voce più melodiosa. Odiavo quando faceva l’esibizionista. “Non riesco a capire cosa intendi, biondastra.”.

Sospirò come l’eroina di un film romantico. “Quando lo pesti nella foresta potreste rischiare giusto un albero o due, se lo fai a Seattle non so come potreste spiegare un paio di muri sfondati. Non trovi?”.

Una risatina uscì dalla mia bocca quasi contro la mia volontà. Recuperai in fretta il mio solito cipiglio. “Ovviamente vedrò di…ah…contenermi. Non sono stupida, Rosalie.”. Lei mi fissò, fingendosi dubbiosa. Sbuffai e mi voltai verso Jeremy, che seguiva i nostri scambi notevolmente interessato.

Per la sua salute, chiaramente.

“Ti muovi?”, gli sibilai addosso. Con uno scatto rapidissimo mi fu accanto, poi mi aggirò e aprì la porta come un gentlemen. Alzai un sopraciglio, stupita e vagamente scocciata. Si tirò dietro l’orecchio una ciocca bionda sfuggita al suo codino, mentre diceva “prego, madame”.

Lo sorpassai senza degnarlo di un’occhiata. “Nel caso tu non te ne sia accorto, non stiamo andando a fare una scampagnata.”, borbottai inviperita.

“Lo so perfettamente! Ma un po’ d’allegria non guasta mai!”, rispose. Anche senza guardarlo potevo immaginare il sorriso scanzonato che si era aperto sul suo viso.

Cominciammo a camminare nella foresta in direzione est. Lui fece per lanciarsi in avanti a tutta velocità ma io lo bloccai bruscamente per un braccio. Era strano usare le mie mani per toccare lui: non l’avevo mai fatto prima, per ovvie ragioni.

“Che succede?”, chiese perplesso, fissandomi dall’alto. Anche questo era strano. “Per caso in forma umana non sei veloce come al solito?”.

“Idiota. Non dire assurdità. Voglio che tu utilizzi il tuo potere su di me, ed io proverò a liberarmi. Devo essere pressoché immune al tuo potere prima di arrivare a Seattle.”.

Lui annuì lentamente. “Dimmi quando sei pronta.”.

“Anche subito, succhiasangue.”, risposi orgogliosa. Immediatamente percepii il controllo di Jeremy e mi bloccai, contro la mia volontà, al centro del sentiero. Provai a muovermi, ma non ci riuscivo. Chiusi gli occhi, tentando di concentrarmi sulla sensazione dei miei piedi che ricominciavano a muoversi. Raccolsi la mia determinazione come se fosse qualcosa di reale e tangibile, e la spinsi contro la barriera che sentivo afferrarmi il corpo. Dopo un paio di minuti di intensa concentrazione, il potere di Jeremy si spezzò con uno schianto secco, facendomi barcollare.

“Molto brava. Mi ero pure impegnato, non mi aspettavo che ci mettessi così poco a liberarti.”.

Gli sorrisi trionfante, incapace di rispondergli a causa del fiatone. Gli feci semplicemente segno di riprovare. “Non mi sembra il momento, devi riposarti un attimo, prima.”, disse incrociando le braccia. Mi raddrizzai e lo afferrai per il bavero con violenza. Poco importava che i miei occhi fossero più o meno allo stesso livello del suo collo. “Tu farai quello che ti dico, intesi? E adesso fallo di nuovo!”, gli ordinai, il fiato ancora spezzato.

Lui mi scrutò un attimo, con uno sguardo che sembrava quasi ammirato. Sicuramente era una mia impressione. Poi mi circondò di nuovo con il suo potere.

***

Un paio d’ore dopo ero spossata ma soddisfatta. Ero riuscita a contrastare il potere di Jeremy più volte, e sempre più rapidamente. Se fosse successo qualcosa a Seattle ero certa che sarei stata in grado di risolverlo. Diversamente da quando avevamo incontrato la sua cantante.

Inspirai a fondo l’aria fresca e umidiccia della foresta, tralasciando le gocce di sudore che mi costellavano la fronte e il collo. Anzi, ne ero parecchio orgogliosa.

Percepii Jeremy avvicinarsi, ma lo ignorai. Un istante dopo sentii un tocco fresco spostarmi indietro i capelli e un’altra carezza gelida passare alla base della nuca. Rabbrividii e mi voltai con violenza.

“Cosa stavi pensando di fare, deficiente?”, ringhiai ostile.

Mi guardò leggermente perplesso. “Ti ho solo visto accaldata e ho pensato di darti un po’ di sollievo. In fondo è colpa mia se ti ritrovi in questo stato.”, si giustificò. Grugnii concorde, per una volta. In effetti andava molto meglio.

Iniziammo a camminare con un passo più sostenuto. Parecchie domande mi frullavano in testa e alla fine mi rassegnai a dar loro voce.

“Senti, succhiasangue, mi puoi spiegare come diavolo funziona il tuo potere? Insomma, potresti far fare tutto alle persone…praticamente potresti avere l’intero mondo tra le tue mani. Perché non lo fai?”, chiesi dubbiosa.

Lui ridacchiò, spensierato come sempre. “Vorresti che lo facessi, Leah?”.

“NO! Sei pazzo, non…”. Una risata decisa interruppe la mia replica.

“Prima cosa, non desidero farlo. Non voglio il mondo, voglio solo vivere serenamente, insieme a chi amo. Seconda cosa, non posso farlo.”, spiegò.

“Ah.”, risposi brillantemente. “Non puoi?”.

Il suo sorriso si allargò. “No, non posso. Il mio potere è limitato nello spazio e nel tempo. Non mi è possibile controllare persone che siano eccessivamente lontane, e di conseguenza appena mi distanzio troppo da loro il mio potere svanisce. E mi è anche difficile mantenere il potere troppo a lungo su una persona: lentamente si affievolisce e si perde nel nulla. Non sono onnipotente, Leah.”.

Annuii, assimilando le informazioni per un eventuale futuro. Conosci il tuo nemico, la saggezza popolare parla.

“Ma puoi far fare di tutto? Insomma, potresti farmi dire certe parole o farmi compiere specifiche azioni?”, chiesi interessata. Lui si permise qualche attimo di riflessione, senza fermare la corsa. Per una volta attesi pazientemente.

“Non sono capace di controllare la mente ad un livello così raffinato. Finora sono in grado di bloccare il corpo delle persone, di fargli eseguire dei movimenti non eccessivamente complessi…”. Si interruppe un istante, mentre il ricordo dell’occasione in cui mi aveva costretto a rincorrere la mia coda si ripresentava nitido nella mia mente, e sicuramente anche nella sua. Tossicchiò artificiosamente e riprese. “Tuttavia non sono in grado di costringere nessuno a dire parole che non pensa. In effetti il mio potere è molto più efficace su me stesso, da questo punto di vista.”.

Lo guardai perplessa, non comprendendo. “Scusa?”, domandai confusa.

“Lascia stare, non è importante.”. Lo guardai malissimo, irritata dal fatto che aveva appena bloccato la mia indagine sul suo potere.

***

Arrivati a Seattle, decisi che avrei seguito il consiglio della nana, perciò restammo in periferia, in luoghi non eccessivamente affollati.

Ero tesa allo spasimo, mentre ascoltavo con attenzione il respiro di Jeremy. L’odore umano era davvero fortissimo, il più intenso con cui lui avesse mai avuto a che fare, ne ero certa. Inspirava con scatti secchi e bruschi, come se stesse avendo un attacco. Mi avvicinai discretamente, senza farmi notare.

“Va tutto bene?”, sussurrai, mio malgrado preoccupata dalla possibilità che Jeremy scattasse proprio lì, in mezzo alla gente. D’accordo, ormai ero praticamente immune al suo potere, però…

Tutte le mie riflessioni si interruppero nel momento in cui Jeremy mi prese le spalle in una morsa ferrea e mi portò più vicina al suo petto: c’erano giusto una decina di centimetri fra il mio naso e la sua pelle. Prima che potessi divincolarmi accostò il suo viso ai miei capelli e bisbigliò forzatamente: “Non muoverti, per favore.”.

Mi immobilizzai, capendo. Tentai di ignorare le sue dita gelide che premevano delicatamente ma con decisione sulla pelle nuda delle mie spalle; il respiro freddo –e puzzolente- giocava con i miei capelli corti. Passarono lunghissimi secondi, poi lui cominciò lentamente a staccarsi.

“Mamma, quei due signori stanno facendo cose strane nell’angolo!”. Mi girai giusto in tempo per vedere un bambinetto impudente venir strattonato da un’imbarazzata madre. Arrossii di botto, senza poterci far nulla, comprendendo qual era l’impressione che avevamo dato ai passanti. Imprecai tra me e me. Non arrossivo mai, accidenti!

“Stava passando una scolaresca, non volevo rischiare la vita dei bambini.”, mi distrasse Jeremy. Lo fissai negli occhi, ostile, poi dovetti riconoscere che la sua non era stata un’idea così pessima. Il mio odore, così disgustoso per lui, aveva schermato quello dei ragazzini che erano appena passati a pochi metri. Scostai con un piccolo schiaffo la sua mano, che era rimasta abbandonata sulla mia spalla, e gli feci cenno di andare avanti.

***

Giorno dopo giorno, un mese passò. L’imbecille platinato migliorava a vista d’occhio e poche volte c’era stata necessità del teatrino imbarazzante del primo giorno.

Approfittando del fatto che ero in forma umana Jeremy cercò più che mai di farmi parlare e non potendolo –purtroppo- pestare nel bel mezzo di Seattle, pian piano mi ero rassegnata a rispondergli. Secca e stringata.

“Lupacchiotta, mi spieghi perché sei sempre stata così acida con tutti? Sei migliorata giusto negli ultimi tempi! Ci ho fatto caso, sai?”. Ecco, nel caso qualcuno non l’avesse notato, lui aveva la straordinaria capacità di irritarmi in mille modi possibili. Ma perché cavolo doveva essere così incredibilmente perspicace e ficcanaso?

“Fatti gli affari tuoi, sanguisuga.”.

Lui si limitò a scuotere la testa. “No, ho voglia di romperti un po’ le scatole.”, rispose irriverente. Lo fissai stupita: mai aveva confessato con tanta nonchalance i suoi veri intenti. Feci scrocchiare le dita con aria minacciosa.

“Andiamo, lupacchiotta, lo sai che non mi puoi pestare in mezzo alla gente! Qualcuno si potrebbe chiedere perché l’asfalto si sfonda quando tu mi ci lanci contro!”. Sbuffai, costretta a dargli ragione. Controvoglia.

“E poi già un po’ di cose me le hai dette!”. Cominciò ad elencare sulla punta delle dita affusolate. “Hai un fratello che si chiama Seth, tuo padre è morto da anni, il tuo gelato preferito è quello allo yogurt, odi i succhiasangue –in effetti questo l’avevo capito da solo- , non sopporti l’odore degli hamburger bruciati, se fossi andata all’università avresti fatto lettere e hai un’incomprensibile attitudine a sentirti responsabile di ogni cosa.”.

“Ehi! Quello non l’ho mai detto!”, ringhiai irritata.

“Certo che no, ma ogni tua parola urla quel concetto. Scommetto che ti senti in colpa persino per la morte di tuo padre.”, insinuò. Che schifoso bastardo.

“Non sono affari tuoi.”, sibilai abbassando gli occhi. Lui non sapeva…io ero colpevole della sua morte.

Diede una risata amara. “Tu non hai la minima idea di cosa significhi davvero essere colpevole della morte di chi ami.”. La rabbia montò nel mio petto, facendomi tremare come una foglia. Cosa ne sapeva lui di quello che avevo passato. Cosa?

“Tieniti le tue stupide considerazioni, succhiasangue dei miei stivali. Tu non sai quello che mi è successo! Quindi evita di giudicarmi!”, gli sputai addosso.

Lui si fermò, osservandomi con sguardo insondabile, e si appoggiò al muro grigiastro della via isolata che stavamo percorrendo.

“Neanche tu lo sai.”, sussurrò titubante.

“Scusa?”. Che diavolo intendeva con quelle parole?

“Non puoi sapere quello che ho passato io, Leah. Eppure non ti fai problemi a giudicarmi e a ritenermi una persona priva di sentimenti e di pensieri umani.”.

Mi sentivo totalmente presa alla sprovvista. Cos’era quel suo sguardo serio? Perché le parole che erano appena uscite dalla sua bocca mi sembravano così piene di dolore e amarezza? Ma soprattutto, perché mi vergognavo del mio comportamento?

Cercai di recuperare il mio solito contegno. “E allora forza, dimmi un po’ quello che hai passato.”, replicai con aria di sufficienza. Lui mi sorrise, ma non era un sorriso spavaldo. C’era pietà, tristezza e rimpianto, tutti insieme.

“Non è una bella storia, Leah. Già mi odi, non so come mi considererai dopo il mio racconto.”. Sentii il pungolo della curiosità premere nel mio cervello. “Beh, tanto peggio di così non posso pensare, non trovi? Io aspetto.”, dissi fingendo noncuranza.

Fece un lungo sospiro, fissando il cielo per parecchi istanti, come se stesse raccogliendo le idee.

“Sono nato nel 1800…”

“Questo già lo sapevo.”, lo interruppi, ma dal suo sguardo compresi che era meglio che tacessi. Chiusi la bocca di scatto.

“Dicevo, sono nato nel 1800, e a diciotto anni ho assunto la direzione dell’azienda di famiglia. Dieci anni dopo sono stato vampirizzato, in una squallida via Savannah. Non ricordo da chi, e neppure come. So soltanto che mi sono svegliato tre giorni dopo nel letto di casa mia, preda della più bruciante sete di sangue che io abbia mai sentito. Ancora non sapevo del mio potere, e non potevo utilizzarlo per controllarmi.”. Iniziò a respirare profondamente, ma a scatti, come se quello che mi stava per dire gli costasse un dolore immenso. Era davvero quello il Jeremy superficiale che avevo conosciuto?

“C’erano solo i miei genitori in casa. E mia sorella Rebecca. In quel momento non li ho neppure riconosciuti, non capivo che fossero loro.”. Si portò una mano al viso, artigliandosi la pelle in un gesto tormentato. Mai l’avevo visto così terribilmente debole, quasi fragile. E iniziai a comprendere, mentre il gelo si faceva strada nel mio corpo.

“Capisci, Leah? Li ho uccisi io, senza neppure rendermene conto. Solo dopo ho capito quello che avevo fatto. Avevo distrutto la mia famiglia, completamente. Spazzata via. Non so chi mi abbia riportato a casa, mentre il veleno scorreva nelle mie vene ormai sigillate, mentre la trasformazione avveniva. Chiunque l’abbia fatto, ha firmato la condanna a morte della mia famiglia. Non per questo rifuggo le mie responsabilità: è stata colpa mia, io ho assassinato le persone che amavo più della mia vita. Poi ho tentato di suicidarmi. Ma non ci riuscivo, mai. Volevo piangere, e non potevo. E per quasi duecento anni ho dovuto rivivere quel mio terribile, imperdonabile delitto, finché non ho conosciuto i Cullen. Ma niente potrà mai lavare le mie mani.”, concluse, sedendosi a terra, privo di forze.

Aveva ragione. Io non lo conoscevo, non sapevo che dietro il suo atteggiamento sfacciato e allegro ci fosse una persona così tormentata. Avevo visto i neonati, anni prima. Erano poco meno che delle belve, conservavano solo la forma umana: per il resto erano solo istinto e forza bruta. Quella ragazzina, Bree, non era riuscita a trattenere la sua sete neppure quando ne andava della sua stessa sopravvivenza. Contro ogni previsione, non disprezzavo Jeremy. Lo capivo, e stranamente mi faceva persino pena.

Nessuno merita di affrontare un dolore simile. Ed incancellabile.

Mi appoggiai a mia volta al muro, mentre Jeremy continuava ad osservarsi, con estremo interesse, le proprie mani.

“Non dovevo diventare un licantropo. Non io, non era previsto. Mio padre era malato di cuore da parecchio tempo, perciò cercavamo di evitargli ogni stress. Poi Seth si è trasformato. Era troppo giovane.”, sospirai, travolta dai ricordi. “E già quello era un duro colpo, per tutti noi. Ma non potevamo immaginare che anche io sarei stata coinvolta in questo scherzo del destino. Mio padre mi adorava. Non l’ha sopportato, e il suo cuore ha ceduto, semplicemente.”.

Jeremy alzò lo sguardo, incredulo e comprensivo al tempo stesso. “È diverso, Leah. Non è colpa tua, e lo sai.”. Annuii. “A volte la mente ne sembra totalmente convinta. Ma il cuore continua a dirmi il contrario.”. Non volevo che la mia voce risultasse così triste, accidenti. Non volevo sembrare debole.

“L’unica cosa che possiamo fare, quando il passato preme così forte sulle nostre spalle, è andare avanti e costruirci un futuro migliore. Non trovi?”, disse lui, con un mezzo sorriso.

“Dove cavolo lo scovi tutto quest’ottimismo, Jeremy?”, chiesi allibita. Eppure, mio malgrado, mi sentivo…alleggerita. Poi mi morsi la lingua. Era la prima volta che lo chiamavo per nome! Pregai che non se ne fosse accorto, ma dal suo sguardo stralunato compresi che non era così. Merda.

“Senza l’ottimismo tutto è più difficile da affrontare. Gli ostacoli della vita sono già sufficientemente duri, vogliamo farli diventare totalmente insormontabili? Io non ne ho la minima intenzione. E tu?”, domandò sorridendo in modo coraggioso.

Lo fissai per diversi istanti, indecisa se rispondere oppure no a quella sua domanda retorica.

“Muoviti, dobbiamo tornare a casa.”, gli dissi distogliendo lo sguardo e fissandolo sull’orizzonte.

Lui si alzò senza parlare, spazzolandosi i pantaloni, e mi accorsi che un vago sorriso lieto aleggiava sul suo volto. Evitai di chiedermi il perché.

Ci mettemmo in marcia, lentamente nella città, e di corsa non appena entrammo nella foresta.

C’era solo il suono dei nostri passi leggeri a spezzare il silenzio tra gli alberi. Un silenzio che, stavolta, sapeva di comprensione.

 

 

 

 

*Note dell’autrice*:  Ecco qui il passato di Jeremy, senza più veli. Anche se in realtà ancora non è stato rivelato tutto. Mi rendo conto che molto probabilmente il capitolo poteva essere migliore, e mi dispiace, ma provo a giustificarmi come posso, aggiungendo le scuse per le mancate risposte alle recensioni.

Il capitolo l’ho scritto durante le vacanze, ed ero convinta di avere tutto il tempo che volevo questa settimana per rispondere a tutti e per sistemarlo come si deve. Domenica sera sono tornata alla residenza universitaria presso la quale alloggio durante il periodo delle lezioni; il lunedì mattina, subito dopo una di quelle lezioni, una telefonata di mia madre mi ha avvisato dell’improvvisa morte di una zia. Mi sono fiondata a casa, prendendo il primo pullman disponibile: sono stati due giorni pieni, poi sono tornata in università di nuovo. Al giovedì sera, un’altra telefonata mi ha informato della morte di un’altra zia, e giusto oggi pomeriggio c’è stato il funerale.

Non mi piace parlare di queste cose, in genere, ma sentivo di dovervi una giustificazione: quando faccio qualcosa mi piace farla bene, e stavolta non è stato così.

Spero davvero di riuscire ad essere puntuale con la pubblicazione del prossimo capitolo, tra due settimane.

Detto questo, ringrazio come sempre tutti coloro che aggiungono la storia alle preferite, alle seguite e alle storie da ricordare, ed un enorme grazie va anche a chi segue in silenzio.

Un ringraziamento speciale a chi recensisce: davvero, mi illuminate le giornate.

Alla prossima!

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Capitolo 19
*** Colpa - prima parte ***


COLPA

Prima parte

 

 

 

Quando arrivammo a casa Cullen un leggero senso di disagio scese tra me e Jeremy, ma tentai di ignorarlo. Lo salutai con un gesto noncurante e mi avvicinai a Rosalie, che mi fissava impaziente.

“Era ora che arrivassi! Vi eravate persi per caso? Che senso dell’orientamento…”, borbottò infastidita.

“Nessuno ti ha chiesto di aspettarci, di grazia.”, ribattei caustica come al solito, mentre la seguivo verso il giardino sul retro della casa.

“Devi per forza farmi ammettere che avevo voglia di parlare con te, lupastra?”. Mi guardò storto, trafiggendomi con quegli occhi dorati così schietti. Ridacchiai di buonumore. “Sì, direi che è estremamente appagante.”.

Alzò lo sguardo al cielo, esasperata. “Come è andata oggi? Siete tornati a casa senza litigare, devo segnarlo sul calendario?”, domandò ironica.

Feci una smorfia, infastidita dalla maledetta perspicacia di Rosalie. “Abbiamo litigato a sufficienza mentre eravamo a Seattle.”, mentii disinvolta. L’unico risultato fu che la succhiasangue mi tirò violentemente una ciocca di capelli.

“Sei una pessima bugiarda, almeno con me. Non avrò le capacità di Maggie, ma tu in certi momenti sei un libro aperto, ormai.”, si vantò. Evitai di rispondere, ancora intenta a lanciarle mentalmente ogni possibile impropero, mentre mi massaggiavo la cute dolente. Quando mi fui ripresa a sufficienza da essere sicura di non urlare insulti a destra e a manca –l’accenno a Maggie non mi aveva messo dell’umore giusto, tra l’altro- le mugugnai malvolentieri una risposta.

“Abbiamo parlato dei sensi di colpa, va bene?”. Possibile che quel ghiacciolo riuscisse sempre a farmi apparire come una bambinetta recalcitrante? Avrà avuto giusto una cinquantina d’anni più di me…

“Insomma, avete parlato di un pilastro portante della tua vita.”, rispose, tentando invano di trattenere una risata. La fulminai con lo sguardo più aggressivo del mio repertorio. “Senti…”, cominciai, ma lei mi interruppe subito, agitando elegantemente una mano davanti al mio naso. “Stavo scherzando, ammasso di pelo. Tutti noi dobbiamo fare i conti con il nostro senso di colpa, non riusciamo a farne a meno.”.

La guardai poco convinta. Per cosa poteva sentirsi in colpa lei, la splendida vampira bionda con il dono della bellezza? Ma un dubbio iniziava a farsi strada nella mia mente.

“Prima che arrivasse Bella molte cose erano diverse, Leah. Lei mi ha fatto pensare al mio passato più di quanto non avessi fatto in anni. Mi sono fatta moltissime domande, sai? Cosa sarebbe successo quella sera, se non fossi andata a trovare la mia amica? Come sarebbe stato il mio matrimonio con Royce? Avrei avuto figli? Avrei visto i miei genitori invecchiare, diventando nonni affettuosi e indulgenti? Interrogativi senza fine, su come sarebbe potuta essere la mia vita se quella sera non mi fossi trovata alla mercé di quei…”. Inspirò violentemente. Non per l’angoscia, ma per la rabbia. “Ma ho sempre pensato che, avendo Emmett al mio fianco, non mi sarei dovuta lamentare. Lo amavo e lo amo. Lui è tutto il mio mondo, e per lui posso accettare il pensiero di aver rinunciato alla mia maternità. Eppure, quando Bella è rimasta incinta…tutto si è infranto. Capisci?”. Mi fissò, ansiosa. Voleva davvero che io comprendessi quello che mi stava per dire. Poche volte l’avevo vista così simile alla Rosalie che tentava di nascondere dietro ai modi superbi ed egocentrici. Inconsciamente, mi avvicinai di più a lei.

“Non avevo mai pensato al contrario. Emmett aveva mai desiderato dei figli? Io non potevo darglieli, ma una donna umana sì. Certo, probabilmente sarebbe stato necessario vampirizzarla per tenerla in vita –se ce ne fosse stata l’intenzione- ma non era impossibile. Era un’eventualità. E per quasi tutta la durata della gravidanza di Bella mi sono logorata con questo dubbio, temendo ad ogni momento che Emmett si rendesse conto che stava con un pezzo di roccia sterile –per quanto bellissimo- e che avrebbe potuto correre da una donna umana in grado di farlo diventare padre. So che Emmett mi ama, ma non avevamo mai parlato del suo desiderio di avere figli…avevamo sempre parlato dei miei desideri, e così poco dei suoi!”.

“Rosalie, se non fossi così assolutamente certa che i vampiri non si possono ubriacare, ti avrei detto che l’alcool ti aveva dato alla testa, in quei giorni. Seriamente.”, la interruppi, scuotendo la testa in un gesto di compatimento. Lei tentò una risatina, decisamente mal riuscita.

“Probabilmente era il sangue di Bella che mi rendeva un po’…”

“Deviata, sì.”, la aiutai con tutta la gentilezza del mio buon cuore.

“Sei incredibilmente di conforto, Leah.”, bofonchiò piccata. Poi scosse la chioma bionda, riprendendosi. “Tornando a quello che stavo dicendo. Il dubbio, in ogni caso, si esaurì in fretta. Poco dopo la nascita di Renesmee mi decisi a chiedere delucidazioni al diretto interessato. Potrai immaginare le sue risate…”. Annuii partecipe. In effetti non assomigliava ad un orso solo per l’aspetto fisico, quanto per l’intrinseca sensibilità che mostrava in ogni situazione. Cioè zero.

“Mi ha detto che voleva solo me, non dei pargoletti urlanti e sbrodolanti che giravano per la casa interrompendoci durante i nostri momenti di intimità. Io non avrei mai definito in questi termini i miei figli, ma preferii non contestare la scelta del lessico. In ogni caso mi rassicurò, e ne ero felice. Ma il senso di colpa era dietro l’angolo e mi si è attaccato addosso in un lampo.”.

Cominciavo a capire. Non avrei mai immaginato che anche Rosalie fosse preda delle stesse fisime mentali che si sarebbero potute ritrovare in una qualsiasi donna. Me compresa.

“Io mi sento in colpa” sussurrò appoggiandosi al muretto del delizioso giardino di Esme “perché se Emmett non mi avesse conosciuto e amato, probabilmente la sua vita sarebbe stata diversa. Avrebbe potuto avere dei bambini –avrebbe avuto una scelta- e invece è legato a me, la donna immortale e bellissima che non è in grado di dare la vita. Un vicolo cieco.”.

Un vicolo cieco genetico. Mi ero definita così, una volta. Mi sentivo decisamente in grado di comprendere Rosalie. Le diedi una lieve pacca sul braccio, l’unico gesto comprensivo che fossi in grado di fare; eppure andava bene anche così. Rosalie mi lanciò una breve occhiata e fece un lieve sorriso. Che si trasformò, con una velocità impressionante, in un ghigno furbesco.

“E tu, lupastra? Come ti stai destreggiando nella jungla dei tuoi pensieri?”, chiese quasi maliziosa.

Mi accigliai un attimo, senza capire. “Ma come, il fatto che sei cambiata, i tuoi rapporti con gli altri…”, rispose vaga, agitando la mano in un gesto elegante.

Sbuffai. “Non sono molto contenta di essere cambiata. Certo, l’avere degli amici non è così male. Però ci sono altri risvolti che non mi rendono particolarmente felice.”. La biondastra annuì, seria.

“Hai paura, vero?”.

“Io…che…ma che cavolo dici?”, sbraitai furibonda. Io avrei avuto paura? Ma non diciamo assurdità!

Scosse il capo, apparentemente esasperata. “Un giorno spero che sarai in grado di essere sincera con te stessa e con tutti gli altri.”.

“Nei tuoi sogni, succhiasangue.”, replicai seccamente. “La gente dovrebbe avere di meglio da fare che impicciarsi degli affari miei.”.

“Non quando è così divertente farti arrabbiare.”, ridacchiò compiaciuta. Feci una smorfia. “Sei consapevole del fatto che stai cominciando ad assomigliare a quell’idiota di Jeremy?”, sibilai, effettivamente irritata.

“Da quando lo chiami per nome?”, chiese, ormai gongolando senza nessun ritegno. Mi misi una mano sulla fronte, imprecando sottovoce. “Io vado a casa, Rosalie. Ci vediamo domani. Forse.”.

Lei sorrise, salutandomi con un gesto della mano. “Ci vediamo domani.”, replicò. “Di sicuro.”.

Imprecai di nuovo, tra me e me. Maledetta succhiasangue.

***

“Ehi, lupacchiotta! Ci sei?”.

Sbuffai, tentando di ignorare il vampiro più scocciante del mondo che mi stava sventolando una mano davanti alla faccia.

“Il semplice fatto che io ti stia ignorando deliberatamente dovrebbe farti intuire che non ho voglia di parlare, non trovi?”.

“Magari io sto ignorando il fatto che tu mi stia ignorando.”, ribatté compiaciuto del suo giochetto di parole. Mi portai una mano alla testa, sconsolata. Presagivo un’emicrania entro fine giornata, come minimo.

“Cosa vuoi, Jeremy?”, chiesi alla fine, troppo stanca per quelle inutili schermaglie.

“Parlare, come sempre.”, rispose allegramente. Certo. Lui adorava parlare. Peccato che la stessa cosa non potesse dirsi di me, almeno nei suoi confronti, e che le sue continue insistenze stessero minando a fondo la mia scarsissima pazienza.

Ma eravamo in pieno centro abitato, e dovevo stringere i pugni. Lui dovette udire le mie dita scricchiolare, perché inclinò la testa con il tipico atteggiamento da cucciolo bastonato. Assolutamente privo di effetto su di me. Perché continuasse a farlo era un vero mistero, visto che ormai aveva capito perfettamente che le sue moine mi rimbalzavano addosso.

“Se ti dicessi che ieri sera vi ho sentite?”, domandò fingendosi noncurante, infilando le mani nelle tasche e puntando lo sguardo dritto davanti a sé. Il sibilo furibondo che uscì dalla mia bocca lo spinse a riportare gli occhi su di me. Deglutì nervoso ed aggiunse precipitosamente: “Non era mia intenzione, eravate troppo vicine ed io stavo passando di lì proprio in quel momento…”.

Lo agguantai per la collottola, senza curarmi delle occhiate curiose dei passanti. “Non azzardarti mai più. Fatti gli affari tuoi, intesi?”, ringhiai velenosa. Non m’importava che giusto il giorno prima avessimo condiviso frammenti del nostro passato. Non poteva impicciarsi in quella maniera, punto. Lo mollai di colpo, spingendolo rudentemente. Ricominciai a camminare, lasciandolo indietro.

“Perché hai paura di essere cambiata, Leah?” Il suo sussurro mi raggiunse serpeggiando in mezzo alla gente, colpendo le mie orecchie con una forza non proporzionata al tono cauto che aveva usato. Mi bloccai all’improvviso e mi concessi un paio di respiri profondi. Odiavo essere presa così di sorpresa; di recente mi era diventato molto più difficile nascondere rapidamente i miei pensieri dietro alla cortina di irritabilità con la quale mi proteggevo sempre.

È colpa tua, Joshua.

Una riflessione dolceamara, inaspettatamente carica di nostalgia. Non mi stava aiutando, tra l’altro. Intanto Jeremy si era portato davanti a me, e per una volta mi fissava senza il suo solito sorriso scanzonato. “Quando ti ho conosciuto eri diversa. Molto più antipatica, se devo essere sincero.”

Nessuno ti ha imposto di essere sincero, idiota.

“Sei cambiata, ma non in peggio. Il tuo odore mi dice che sei meno sola, rispetto a prima. Mi parli ogni tanto, e in alcuni –rarissimi- momenti sei persino amichevole nei miei confronti. Niente di eclatante, probabilmente non te ne rendi conto nemmeno tu, però da qualche tempo a questa parte mi sento trattato come una persona. E non posso fare a meno di chiedermi perché questo cambiamento ti turbi così tanto.”

Lo squadrai da capo a piedi, valutandolo. Da quando quel puzzolente succhiasangue teneva in conto la mia opinione? Cosa gliene doveva importare se io lo trattavo come la sanguisuga che era o come una persona?

“E perché questo dovrebbe interessarti?”, chiesi di rimando. Ma di tutto quello che mi avrebbe potuto rispondere -e che variava da un’allegra ammissione di volermi rompere l’anima alla tetra constatazione che era il caso che conoscesse il suo nemico- niente avrebbe potuto stupirmi più di quello che uscì dalla sua bocca.

“Perché sei mia amica, Leah.”

Uno, due, cinque secondi di attonito silenzio.

Poi scoppiai a ridere come non facevo da tempo. Dovetti tenermi lo stomaco, mentre gli occhi mi si appannavano per le risate. Amare e sarcastiche. Lui mi guardava, paziente. Ma dal brevissimo assottigliarsi dei suoi occhi compresi che si era anche offeso.

“Non dire assurdità.”, biascicai continuando a ridacchiare.

“Spiegami perché questa dovrebbe essere un’assurdità.”. Perfetto, eravamo ripartiti con il gioco dei perché. Pessima cosa, visto che era un gioco che non prevedeva vincitori, mai. Ma prima che potessi aprire la bocca per elencare gli innumerevoli motivi per cui noi non potevamo essere amici, lui si premurò di interrompermi per rendermi noto il suo pensiero.

“So che io sono un succhiasangue e tu una mutaforma fatta per uccidere quelli della mia specie. So che all’inizio non siamo andati molto d’accordo, anzi. Ma so anche che in questi mesi ci siamo visti tutti i giorni, almeno otto ore al giorno. Ho imparato a leggere le tue espressioni, e tu le mie. Sono stato il primo ad arrivare quando…beh, lo sai. Ti ho raccontato del mio passato e tu hai fatto altrettanto. E le nostre storie non sono così diverse. Nonostante i mugugni e le battute velenose parliamo insieme, ci stiamo conoscendo e…siamo diventati amici. Puoi negarlo finché vuoi, Leah, ma questa è la realtà.”. Era estremamente serio, mentre lo diceva. Quasi come se ci tenesse a farmi accettare quella cosa.

Io e lui amici? Era semplicemente assurdo. E poco importava che tutto quello che aveva detto fosse, a conti fatti, veritiero. Jeremy non poteva essere mio amico. No.

Lui parve intuire alla perfezione tutti i miei pensieri; mi morsi un labbro, frustrata.

“Perché non sei contenta di essere cambiata, Leah?”, mi chiese di nuovo, fissandomi come se mi volesse mettere a nudo con una sola occhiata. Le parole mi uscirono di bocca prima che me ne rendessi conto.

“Perché non voglio essere debole.”, sputai fuori, stupita dalla mia stessa arrendevolezza. Ecco un’altra conseguenza del mio cambiamento. Prima non mi sarei fatta problemi a prendere Jeremy a male parole, fino a fargli ingoiare le bestemmie che aveva detto fino a quel momento.

Ma adesso mi ritrovavo a riflettere davvero sulle sue parole e a trovarvi un fondo di verità, che mi spingeva a dirgli cose che non sarebbero mai dovute essere espresse ad alta voce. Compresa quella.

Si concesse un lungo attimo per scrutarmi. “Non vedo come questo sia possibile, Leah. Sei una delle donne più forti che io abbia mai conosciuto.”. Non c’era scherno nelle sue parole e neppure sarcasmo. Sembrava che lo pensasse sul serio.

“Mi hai conosciuto come una donna forte, ma prima non ero così. E adesso sto tornando indietro, alla Leah debole ed incapace di affrontare i problemi della vita. Capirai che non sono contenta di questo, nonostante alcuni vantaggi che sono derivati.”. Soprattutto i rapporti con i fratelli del branco, che si erano fatti sempre più buoni.

“Dici che stai tornando indietro…ma è davvero così? Come puoi essere sicura che tu stia tornando la Leah di prima? E se invece tu stessi diventando una Leah nuova? Quello che hai affrontato e che ti ha cambiato la prima volta non può essere cancellato, fa parte di te ormai. Lo stesso riguarda ciò che ti ha permesso di cambiare di nuovo, fino ad arrivare a quella che sei adesso. Nessuno di noi è immune al mutamento, ma esso si muove solo in avanti. Non dovresti essere scontenta di questo, Leah.”.

Inspirai bruscamente, mentre ad ogni sua parola il mio cuore batteva più forte. Sentivo, dentro di me, un’emozione che da troppo tempo non provavo più. La speranza. C’era della verità in quello che stava dicendo? Anche se tutto ciò cozzava con le mie convinzioni, pregai che il vampiro avesse ragione. Forse avevo davvero fatto dei passi avanti, non ero tornata indietro. Avevo semplicemente ammorbidito quei lati del mio carattere che mi impedivano di avere rapporti con le persone, niente di più, niente di meno. Lentamente un peso si stava sollevando dal mio petto, lasciandomi libera di respirare a fondo quel senso di sollievo e felicità che pensavo non avrei mai più percepito.

Ed era tutto merito di un succhiasangue, chi l’avrebbe mai detto? Rosalie, Jacob e Seth si sarebbero sganasciati dalle risate se l’avessero saputo. Per una volta l’idea che qualcuno si prendesse gioco di me non mi irritò in modo particolare: al contrario, un vago sorriso si aprì sul mio volto.

Jeremy mi guardava stralunato, chiaramente stupito dalla mia reazione fin troppo positiva. Recuperai velocemente la mia espressione impassibile e mormorai un “sarà” che tentava di nascondere tutte le mie riflessioni. Senza riuscirci, dovetti ammettere. Ma non me ne importava.

***

“Ciao, Joshua.”.

Quella sera, colta da un’inspiegabile ispirazione, avevo deciso di recarmi al tatilhtal. Gli alberi che circondavano il cimitero stormivano dolcemente nella brezza, cullando i miei sensi sovraccarichi da quelle giornate troppo piene di rivelazioni. Stare di fronte alla tomba di Joshua, le braccia incrociate a difendermi da un freddo inesistente, portava pace nella mia mente affollata.

Come se lui ci fosse ancora.

Non avevo portato dei fiori. Ero semplicemente lì, a guardare quella modesta lapide di pietra grigiastra, senza nulla tra le mani.

“Vorrei poter sapere cosa ne pensi. Forse è vero che sono diventata una persona nuova, come ha detto Jeremy. Non mi dispiacerebbe affatto, lo sai? E devo tanto a te, Joshua. Non sono mai riuscita a dirtelo, scusami se lo faccio solo ora. Adesso ho degli amici, Joshua, e ho capito che non sono sola. Mi sono costruita intorno tante barriere, dopo quello che è successo con Sam. Insieme a te ho imparato ad aprire dei varchi, e…non voglio smettere. Sto meglio, anche se mi manchi.”.

Strinsi le dita sui gomiti, finché non sentii il dolore pungolare i miei nervi. Un sospiro uscì dalle mie labbra e si perse nel vento che giocava lieve intorno a me. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che ero stata davvero sincera con me stessa, stavo lasciando cadere a terra i minuscoli frammenti della Leah insensibile e piena d’odio che ero stata fino a quel momento. Ma senza perdere la forza infusa nel mio cuore dagli eventi che avevano spazzato la mia vita come un uragano.

Ridacchiai, pensando che solo il giorno prima avevo detto a Rosalie che non sarei mai stata sincera con me stessa.

La verità era che tutto stava cambiando, e al tempo stesso rimaneva uguale a prima. Era qualcosa che non avevo mai sperimentato, che mi confondeva e mi faceva sentire sul punto di precipitare. Ma era quel tipo di vertigine piacevole, che mi prendeva quando, sulla scogliera, mi preparavo ad un tuffo. Dovevo stare attenta a bilanciare ciascun movimento, per evitare di spezzarmi davvero, calibrando la pressione che imprimevo ai piedi e ad ogni singolo muscolo. Lo stesso riguardava quello che stava accadendo dentro di me; un passo sbagliato, troppo lungo o temerario, avrebbe potuto recarmi più danno che beneficio. Eppure non avevo intenzione di smettere di muovermi.

Lì, davanti alla tomba di mio cugino, del mio migliore amico, di Joshua, riuscii ad accettare me stessa.

***

Altri giorni di sorveglianza, costellati da liti e brevi chiacchierate, da minacce e da vaghissime risate.

Accettazione e controllo.

Jeremy forse stava diventando mio amico, ma ero io a dirigere il gioco, a prendermi i miei tempi. Anche se le sue insistenze mi spingevano a cedere con più facilità, per preservare la mia sanità mentale e la sua fisica, visto che non potevo aggredirlo nel bel mezzo di Seattle.

Ma andava tutto bene. Ero tranquilla, cosa che non succedeva da anni. Così come erano anni che non venivo invitata alle riunioni per l’organizzazione dei Quileute Days. Per questo rimasi completamente basita quando Jacob mi venne a prendere al martedì sera, blaterando del fatto che ero in ritardo per l’incontro.

“Non ne sapevo nulla.”, dissi piccata. Lui sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Questo perché sei sempre distratta, anche mentre sei con noi. È da due settimane che ne parliamo, Leah. Dobbiamo mettere a punto tutte le sfide, in modo da non essere visti dagli umani.”.

Annuii, comprendendo. Ogni anno, a luglio, nella riserva si festeggiavano i Quileute Days, eventi fatti per celebrare la nostra cultura e il nostro stile di vita. Erano compresi, durante i tre giorni di festeggiamenti, delle gare di vario tipo, alle quali noi licantropi non potevamo partecipare; ovviamente dei normali umani non potevano avere chance contro di noi, perciò tutto il branco si era rassegnato a tenere delle competizioni parallele, note solo a noi, coperte dall’anonimato dell’oscurità. Tutti gli anni i licantropi si riunivano per organizzare, ma io non avevo mai partecipato, né alle riunioni, né alle gare. In parte per volontà mia, in parte perché non ero mai stata invitata. Eppure dovevo aspettarmi che quell’anno sarebbe andata diversamente.

Nessuno parve stupito nel vedermi arrivare. Paul alzò lo sguardo dalle fiamme del falò che era stato acceso sulla spiaggia, intorno al quale erano tutti riuniti, e mi fissò impertinente.

“Avevi intenzione di farci aspettare ancora molto?”, berciò. Seth fece per aprir bocca, probabilmente per difendermi, ma non ne avevo decisamente bisogno. “Se avessi saputo che ti avrebbe irritato tanto, sì, l’avrei fatto.”. Lui si esibì in un’espressione indignata, e gli altri ridacchiarono. Mi sedetti con calma su un tronco, incuneata tra Duncan e Jacob.

Immediatamente Sam iniziò a parlare. “Molto bene. Dobbiamo decidere quali gare tenere quest’anno, e dove.”.

Collin tossicchiò. “Beh, Sam, ogni anno sono uguali. Di solito ci troviamo solo per concordare le squadre.”.

Brady lo guardò con aria di sufficienza. “Certo, amico, ma forse è il caso di far sapere qualcosa a qualcuno che non aveva partecipato gli anni scorsi, non trovi?”. Mi mossi a disagio, capendo di chi stavano parlando, e della cortesia dimostrata da Sam. Piuttosto sgradita, tra l’altro.

“Hai ragione, Brady. Ehm, mi spiace, Leah”, balbettò Collin. Feci un gesto noncurante con la mano.

Sam riprese la parola, spiegando che le gare si sarebbero tenute per due sere, mentre alla terza le due squadre organizzate si sarebbero sfidate in una partita di baseball. Le gare delle serate precedenti avrebbero avuto lo scopo principale di accumulare punti di vantaggio in vista della partita finale.

Ascoltai attentamente, sentendomi finalmente parte di qualcosa.

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: contro ogni previsione, ecco a voi il nuovo capitolo, con solo un giorno di ritardo! Spero davvero che vi piaccia, finalmente si comincia a cogliere un più profondo cambiamento in Leah –era anche ora!- e dei suoi rapporti con le persone che la circondano. I Quileute Days non sono una mia invenzione, esistono davvero e si tengono ogni luglio alla riserva di LaPush: prevedono gare e manifestazioni culturali.

Avrei voluto far betare il capitolo, ma sfortunatamente il mio beta è stato irrintracciabile. Temo che dovrò mettere annunci per un/una nuovo/a beta. Se qualcuno sa a chi potrei rivolgermi, sarebbe graditissimo un suggerimento (anche per messaggio privato).

Come sempre i miei ringraziamenti vanno alle persone che aggiungono questa modestissima storia alle preferite, alle seguite e alle storie da ricordare.

Un grazie speciale va a chi ha recensito lo scorso capitolo, sostenendomi in un momento difficile. Davvero, grazie. E ovviamente ringrazio anche chi legge in silenzio, spero sempre che la storia continui a piacervi.

Critiche e commenti sono più che graditi, lo ripeto sempre perché è davvero così per me. Se la storia non vi soddisfa più, per un qualsiasi motivo, fatemelo sapere. Sarebbe uno sprono per migliorare, e so di averne davvero bisogno.

Grazie a tutti voi, che mi state accompagnando in questa “avventura” che mi regala bellissimi momenti nella frenetica vita di tutti i giorni.

Ne approfitto per farmi un pochino di pubblicità, visto che è un sacco che non lo faccio:

Emotions, la mia prima one-shot su Twilight che, inaspettatamente, ha vinto un concorso sul forum di EFP;

Anime nere, la mia prima one-shot originale, l'argomento è un po' impegnativo, ma mi farebbe piacere conoscere pareri altrui.

Grazie ancora di tutto.

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Capitolo 20
*** Colpa - seconda parte ***


Per prima cosa mi scuso per l’imperdonabile ritardo, spero che non capiti mai più. In cambio però ho scritto un capitolo così spaventosamente lungo che non mi vorrete vedere almeno per un mese. Avevo pensato di spezzarlo, ma in fondo vi ho già fatto aspettare troppo. Spero di aver fatto la scelta giusta.

Questo capitolo è dedicato a vannagio, come promesso e come dovuto. Ti ringrazio per avermi seguito praticamente dall’inizio, senza mai dimenticarti di me. Mi hai dato un grandissimo sostegno, davvero. Grazie di nuovo.

 

COLPA

Seconda parte

 

 

 

 

Erano passati velocemente i giorni, inghiottiti dalla frenesia dei preparativi e dalla sorveglianza continua, che non era certo riposante. Soprattutto con un essere asfissiante come Jeremy.

Ma alla fine il venerdì era arrivato. Il giorno dopo sarebbero iniziati i Quileute Days e, inaspettatamente, mi sentivo impaziente e su di giri. Cosa che ovviamente cercavo di nascondere a tutti, a volte con scarso successo.

Dopo una giornata relativamente piacevole a Seattle accompagnai Jeremy fin dentro a casa Cullen; lui mi guardò perplesso, ma –miracolosamente- tenne la bocca chiusa. Come al solito i succhiasangue erano raccolti tutti in salotto, probabilmente per accogliere calorosamente il caro Jeremy che ormai era considerato parte della famiglia. Contenti loro.

I loro sguardi riflettevano perfettamente quello dell’imbecille biondo che ancora stazionava al mio fianco.

“Volevo solo avvisarvi che nei prossimi tre giorni la sorveglianza è sospesa, i Quileute Days ci impegneranno parecchio. L’ho già detto a Jeremy”, scoccai un’occhiataccia al diretto interessato, persuasa del fatto che lui non ne avesse parlato con i Cullen e costringendomi così a dirglielo in prima persona, “ma mi sembrava giusto informarvi, dato che dovrete controllarlo voi.”.

Nessuno questionò la mia pretesa. Altrimenti avrebbero dovuto fare i conti con me.

Il battito di due cuori in avvicinamento ci informò dell’imminente arrivo del sommo alfa e della sua adorata mutante. Mi stupivo tutte le volte di come persino i loro battiti paressero in sincrono. Era un’altra conseguenza dell’imprinting?

L’entrata trionfale di Jacob mi distrasse irrimediabilmente dai miei pensieri, non particolarmente piacevoli, a dirla tutta. Nessie lo seguiva da vicino, la mano stretta nella sua.

“Leah! Speravo proprio di trovarti qui!”, esclamò allegro e fuori luogo. Lo guardai con blando interesse. Ormai avevamo discusso tutto il discutibile per l’organizzazione dei Quileute Days, non potevano esserci novità particolari.

Ma come al solito mi sbagliavo.

“Ci siamo resi conto che la nostra squadra conta, oltre a me, te, Seth, Quil ed Embry, i quattro licantropi più giovani. Ne abbiamo parlato con i ragazzi dell’altra squadra ed in effetti ci era sembrata una disparità decisamente esagerata. Quindi Sam si è offerto di sostituire Tommy e Chris, che sono i due più giovani. In questo modo le squadre sono molto più equilibrate, non trovi?”. Mi fissò attentamente, ed io colsi la domanda implicita in quel discorso.

Sei ancora innamorata di Sam?

No, non lo ero più. Ma questo non cambiava il fatto che una vena di rancore continuasse a scorrermi sotto pelle; non volevo Sam in squadra con me, non avrei saputo collaborare davvero con lui, accantonando tutti i ricordi un tempo felici che ormai erano avvelenati.

Amarezza.

Quello che provavo non era più amore, non era più semplice rancore. Qualcosa di diverso che si tradusse in un’espressione infastidita sul mio volto; un lieve assottigliarsi degli occhi e una contrazione brusca della piega delle labbra. Colsi lo sguardo interrogativo di Jeremy, constatando con sollievo che non doveva sapere nulla della mia storia con Sam. I succhiasangue, per una volta, erano stati discreti: un miracolo da segnare sul calendario. O era meglio una targa commemorativa?

Mi riscossi a sufficienza per rispondere: “Non c’è problema, Jake. L’importante è vincere.”.

Lui rise sguaiatamente. “Pensavo che l’importante fosse partecipare.”.

“Quando si tratta di me è perfettamente equivalente. Devo ricordarti della gara di corsa, Jake? Quella in cui ti farò mangiare la polvere?”, ribattei con modestia.

Rise ancora più forte, e qualche temerario si unì alla sua risata. Gettai un’occhiata rapida intorno e sbuffai.

Rosalie, Jeremy ed Emmett. Prevedibili.

“Certo, certo. Come l’ultima volta? Devo ricordarti che…”. Un ringhio irritato gli tappò la bocca, che rimaneva tuttavia piegata in un sorriso irriverente. Alzai gli occhi al cielo, rassegnata alla stupidità dell’alfa al quale rispondevo. Disgraziatamente.

“Andiamo, ho fame.”, dissi secca e concisa. Lui annuì, sempre d’accordo quando si parlava di cibo. Baciò Nessie –mi voltai dall’altra parte con uno sbuffo disgustato- e poi mi si avvicinò, dandomi un’amichevole pacca sulla spalla.

“Buona fortuna!”. Guardai un attimo Jeremy, cercando di capire il significato di tanto coinvolgimento. Probabilmente doveva essere in nome di quella che a malapena potevo chiamare amicizia. Feci un rapido cenno con il capo, quasi un ringraziamento, ed uscii da casa Cullen insieme a Jacob.

“Il tuo rapporto con Jeremy sta migliorando, a quanto vedo.”. Lo fissai gelida, sfidandolo a dire una parola di più. Ridacchiò. “Beh, Leah, qualche mese fa a quel ‘buona fortuna’ avresti risposto con una delle tue battute al vetriolo. Ammettilo.”, insinuò.

“Ammetto di avere un’insana voglia di sfogare la mia violenza repressa su di te. E adesso valuta se hai voglia di andare avanti a parlare.”, gli risposi sorridendogli soave. Gli sentii borbottare qualcosa che assomigliava terribilmente a “sempre la solita acida” e continuò a correre, senza più aprir bocca.

***

Erano le due di notte passate del sabato sera. L’eccitazione serpeggiava stuzzicante fra tutti i membri del branco, riuniti sulla riva del fiume che attraversava l’intera riserva. Impazienti, attendavamo che Sam prendesse la parola e ci desse il via per salire sulle diciassette canoe allineate di fronte a noi. Cominciai a battere ritmicamente il piede, sperando che si desse una mossa.

“Fratelli, come tutti gli anni ci ritroviamo per celebrare a modo nostro i Quileute Days…”, cominciò.

“E come tutti gli anni ti chiediamo di evitare il discorsetto…”, borbottò alla mia destra Sebastian, uno dei licantropi più giovani.

“L’essere i protettori della riserva ci rende più forti e più capaci degli umani normali…”, continuò Sam, imperterrito, fingendo di non averlo sentito.

“Oltre che più belli…”, insinuò Alex, il fratello di Sebastian, e suo eterno compare di scherzi. Sam si interruppe un attimo e li guardò severo, invitandoli a tacere. Soffocai una risatina. Era la prima volta che partecipavo, ma non avevo immaginato che sarebbe stato così assurdamente divertente. Vedere Sam che tentava di mantenere la sua proverbiale pazienza a dispetto delle intenzionali provocazioni dei fratelli più smaliziati era decisamente spassoso.

Si schiarì un istante la voce, modulandola  nuovamente nel suo tono calmo e avvolgente che lo rendeva un buon capo, facile da seguire. Sam non ordinava mai.

“Queste capacità diverse ci lasciano responsabilità superiori, e in questi giorni di gare vi prego di ricordarvi degli obblighi che portiamo nei confronti della nostra terra e del nostro sangue, che ci hanno resi i capaci guardiani di LaPush. Divertiamoci, ma senza dimenticare le radici della nostra forza.”. Il silenzio del branco era totale. Le parole di Sam risuonavano nel cuore di ognuno, diciassette organi pulsanti che vibravano d’emozione e di orgoglio. Vidi i licantropi più giovani annuire, guardando Sam con aria rapita ed ispirata. Embry invece alzò gli occhi al cielo, con un sorriso vagamente esasperato. Intuii che quella scena piena di pathos si ripetesse ormai da parecchi anni.

“E adesso, cominciamo!”, urlò Jacob, senza più riuscire a trattenersi. Sam non se la prese, benché Jake gli avesse appena sottratto il compito di aprire le gare.

Veloci come solo noi sapevamo essere, corremmo verso le canoe che ci attendevano arenate sulla spiaggia ghiaiosa, scapicollandoci in maniera confusionaria e fintamente impacciata. Gli spintoni amichevoli non si risparmiarono e persino io rischiai di inciampare addosso al povero Chris, che si levò subito dai piedi con uno sguardo semi-terrorizzato.

Ehm, forse devo ancora migliorare i rapporti sociali.

Afferrai una canoa e la spinsi in acqua, guardando solo di sfuggita Jared e Paul che stavano facendo lo stesso ai miei lati. L’adrenalina iniziò a salire.

Udii tutti i battiti accelerare, mentre le sensazioni che sentivo scorrere sotto pelle come scariche elettriche si espandevano verso i miei fratelli, e da loro verso di me. Era come un’enorme rete di emozioni che tutti noi potevamo condividere, anche senza il beneficio del collegamento mentale che avevamo in forma lupesca; un’altra particolarità della nostra razza, che io non avevo mai sperimentato prima d’ora.

Era inebriante, coinvolgente. Il legame del branco anche in forma umana.

Strinsi la pagaia, attenta a non frantumarla per la troppa foga, ed iniziai a vogare. L’acqua buia scorreva sotto di me, rapida e liscia come una tavola. I tenui suoni della foresta vennero sostituiti dai frequenti tonfi delle pagaie che si immergevano nella corrente e del mio cuore che martellava frenetico nelle mie orecchie. Scorsi Jacob, Sam e Richard sorpassarmi in un lampo, ma cercai di non infuriarmi. D’altronde loro tre erano ritenuti i più forti fisicamente, all’interno del branco.

Poco dopo venni superata anche da Paul, che pagaiava come un indemoniato, e da Seth, il cui vogare era controllato ma altrettanto efficace. Tentai di tenermi dietro la maggior parte degli altri fratelli che mi tallonavano, ma dovetti ammettere che non era la forza fisica il mio cavallo di battaglia.

Vedrò di rifarmi nella gara di corsa.

Un ghigno compiaciuto si dipinse sul mio volto, mentre immaginavo di lasciare a bocca asciutta tutti gli uomini forti del branco. Un lieve sbandare della canoa mi distrasse dai miei pensieri di rivincita.

Avevamo raggiunto la zona in cui il fiume diventava un ammasso tumultuoso di rapide e di acque infide che nascondevano i massi sporgenti sul fondo. La cautela e il controllo in quel momento erano d’obbligo. Scorsi in lontananza il gruppetto di testa, costituito da Richard e Jacob, seguiti a breve distanza da Seth. Sorrisi compiaciuta.

L’adorabile alfa e Richard, il più vecchio tra quelli che avevamo ribattezzato “i nuovi licantropi”, erano sicuramente avvantaggiati quando si parlava di forza fisica. Ma tra le rapide non era necessaria solo quella.

Equilibrio.

Con uno scossone sinistro, la canoa di Jacob si ribaltò, segnalando che probabilmente il suo occupante non aveva scorto uno spuntone nascosto sotto il pelo dell’acqua a causa dell’impeto eccessivo. Lo vidi riemergere pochi istanti dopo, sputacchiante ed irritato.

Senza riuscire a trattenermi, scoppiai a ridere, mentre altre tonanti risate facevano eco alla mia. Seth e Richard lo sorpassarono cautamente, per evitare di fracassargli il cranio con la prua delle canoe.

In effetti non ci sarebbe una grande differenza.

***

Lo stomaco mi faceva ancora male dal troppo ridere quando arrivai al traguardo. Il vecchio Ateara e altri due membri del consiglio erano presenti e stavano stilando la classifica, visto che se fosse dipeso da noi probabilmente sarebbe finito tutto in una delle nostre amichevoli risse.

Quando vidi uno dei tre sollevare in alto il braccio di Seth il petto mi si gonfiò d’orgoglio. Il mio fratellino non era il più forte, ma aveva qualcosa in più rispetto agli altri. L’equilibrio, il controllo.

Un’attitudine interiore che si rifletteva anche all’esterno e che gli aveva permesso di vincere la gara.

Chad mi arrivò da dietro ed appoggiò un gomito sulla mia spalla. Gli scoccai un’occhiataccia e lui sbuffò. “Andiamo, Leah, sorridi un po’! Grazie a tuo fratello siamo già in vantaggio di un punto!”.

Alzai un angolo della bocca in un accenno di sorriso, contagiata dal suo buonumore e dal senso di competizione.

Dopo qualche minuto di pausa ci preparammo per la gara successiva: dovevamo semplicemente tornare al punto di partenza. Nuotando controcorrente.

Era una prova di resistenza, oltre che di forza.

Il tuffo nell’acqua fredda mi rinfrancò e poche bracciate dopo la corrente turbolenta si portò via tutti i problemi e i pensieri troppo contorti che si affastellavano sempre nella mia mente. Persi il senso del tempo, lasciandomi pervadere dal movimento automatico delle mie braccia e delle mie gambe.

Fu per puro miracolo che fui in grado di accorgermi di essere arrivata al traguardo: solo all’ultimo istante avevo visto il corpo fermo di uno dei miei fratelli, giusto davanti a me. Riemersi, incontrando lo sguardo gioviale di Collin.

“Beh, a quanto pare siamo in parità.”, disse. Lo fissai perplessa, e lui mi indicò il gruppetto riunito sulla riva, tra cui spiccava un affaticato ma soddisfatto Richard. I suoi compagni di squadra gli stavano affettuosamente scompigliando i capelli bagnati, nonostante i suoi deboli sforzi per sottrarsi a quel trattamento bambinesco. Uno sbuffo mi raggiunse dalla mia destra.

Sia io che Collin fummo costretti a morderci le labbra per non far sfuggire le risate. Jacob era come minimo scontento, anche se in realtà pareva più vicino al furibondo. O all’omicida.

“L’ho lasciato vincere, non mi sembrava giusto che vincesse proprio l’alfa.”, affermò con sussiego. Che si frantumò quando Quil gli passò accanto, canzonandolo con un “certo, certo” che fece scoppiare tutti a ridere. Jake fremette un attimo, prima di unirsi alle risate come tutti gli altri.

***

Svegliarsi il mattino dopo fu una vera impresa. Ero convinta che neanche le cannonate sarebbero state in grado di schiodarmi dal letto prima delle dieci, ma non avevo tenuto in conto il pugno di ferro di mia madre. La porta della mia stanza si spalancò con un fracasso degno di un colpo di pistola, mentre la mamma faceva irruzione blaterando qualcosa sulla colazione e sulle manifestazioni alle quali non potevo mancare. Prima che potessi connettere bocca e cervello, lei era già uscita. Mi stiracchiai debolmente, ricordando che il consiglio aveva imposto a noi licantropi di presentarci almeno per qualche ora agli eventi giornalieri dei Quileute Days, per non destare sospetti.

Scesi le scale sbadigliando ed entrai in cucina, dove mi raggiunse poco dopo mio fratello, palesemente stravolto dalla stanchezza. “Mamma, era proprio necessario svegliarci alle nove del mattino?”, mugugnò. Lei si limitò a rispondere con uno sguardo inflessibile.

Ma fu impossibile non notare che la colazione era decisamente più abbondante del solito e che, con un gesto apparentemente casuale, la mamma fece scivolare nel piatto di Seth una generosa porzione di salsicce. Incrociai il suo sguardo ed un senso di comprensione si allargò tra noi due. Lei era come me. Quei piccoli gesti d’affetto, mai sbandierati sotto il naso, erano il suo modo di esprimere l’immenso amore che provava nei nostri confronti.

Dopo esserci adeguatamente sfamati –il tipico stomaco senza fondo dei licantropi mi metteva ogni volta in imbarazzo- uscimmo tutti e tre di casa, avviandoci verso l’area adibita alle esposizioni.

L’aggirarsi tra gli stand mi riportò ricordi sepolti sotto anni di nostalgia e senso di colpa.

Il ricordo di mio padre che mi correva dietro senza sosta, mentre ancora bambina scorazzavo vivace tra le bancarelle traboccanti di ogni meraviglia. E il senso di divertito dispetto quando riusciva ad acchiapparmi, le mie braccia intorno al suo collo, la sua cortissima barba che solleticava la mia guancia. Tutto perduto, ma cristallizzato nella mente come il più prezioso dei diamanti. I ricordi non me li avrebbe portati via nessuno, e io potevo andare avanti. Finalmente.

***

La sera arrivò quasi troppo lentamente.

Ero incredibilmente impaziente di sostenere le gare: stavolta erano alla mia portata, ne ero sicura.

Quelle che avevamo sostenuto la sera prima erano principalmente basate sulla forza fisica, ma la gara di corsa che si sarebbe svolta di lì a poco doveva essere una mia vittoria.

Sapevo, nel profondo, di non dover necessariamente dimostrare qualcosa al branco. Ma volevo comunque vincere, affermarmi una volta di più come la più veloce in assoluto. L’unica donna, eppure non di certo l’ultima ruota del carro, quella che rallenta tutto il resto.

“Fratelli miei, a breve inizierà la gara di corsa. Ricordatevi che è vietato trasformarsi, chi dovesse farlo subirà un’immediata squalifica. Seconda cosa: sul percorso di ognuno di noi è stato lasciato un oggetto diverso, che dovrete raccogliere e portare al traguardo. Quindi, veloci come potete ma con gli occhi ben aperti!”. Si interruppe per mettersi in posizione, accanto a noi. “Al tre, ragazzi.”.

Mi accucciai al suolo, i piedi premuti con forza contro il terreno e pronti a darmi la spinta per mettermi immediatamente in vantaggio. Sentivo la testa leggera ed una piacevole stretta allo stomaco. Ero così concentrata sulle mie sensazioni che quasi non udii Sam parlare.

“Tre!”.

Scattammo avanti, rapidi e silenziosi come le ombre di notte. La foresta scorreva velocissima accanto a me, fracassai qualche rametto sporgente senza curarmi dei graffi che mi procuravano. Non stavo correndo al massimo delle mie possibilità, per paura di lasciarmi sfuggire il misterioso oggetto che mi avrebbe assicurato la vittoria, insieme alla mia proverbiale velocità. Un barlume biancastro nascosto tra i cespugli che si trovavano sul mio percorso attirò la mia attenzione e, persuasa di aver scovato il mio obiettivo, afferrai quella cosa con un gesto fulmineo.

Senza distrarmi ulteriormente, accelerai la mia corsa, convinta che al traguardo qualcuno mi avrebbe dovuto spiegare qualcosa.

***

Arrivai prima, come era prevedibile. Nessuno si prese la briga di protestare per quello che era un risultato più che atteso. Ma, chissà perché, il mio umore non era ancora alle stelle.

“A chi cavolo è venuta l’idea di farmi raccogliere un calzino sporco?”, urlai a pieni polmoni.

“Ecco dov’era finito!”. Il commento fuori luogo di Alex gli attirò addosso le mie ire. Stavo per saltargli addosso –e le mie intenzioni non erano propriamente amichevoli- quando un boato di risate mi bloccò. “Scusami Leah!”, ululò Sebastian, “non ho proprio saputo resistere!”. Il volume delle risate raddoppiò. A nessuno era capitato un oggetto assurdo come il mio. Cioè, fosse stato pulito, almeno…

Lanciai un’occhiata sdegnosa a tutti, ma nessuno ci fece caso. Forse perché non ero stata così brava a nascondere l’ombra del sorriso che si stava aprendo sul mio volto. Era stranamente confortante il fatto che i fratelli mi considerassero veramente parte del branco, al punto da rendermi la protagonista di uno dei loro ridicoli scherzi.

Per la seconda gara ci spostammo verso un’ampia radura, che la sera seguente avrebbe ospitato la partita di baseball. Stavolta il punto focale della competizione era la mira. Sapevo di non essere male, tuttavia non mi ero mai confrontata con i miei fratelli. Ero decisamente curiosa di sapere chi si sarebbe aggiudicato l’ultimo punto disponibile.

Con mio grande stupore, fu il timido e silenzioso Tommy a vincere, il più giovane del branco e l’unico che andasse ancora a scuola. Nonché membro dell’altra squadra. Venne portato in spalla da Brady, Chris, Collin e Jared, mentre suo cugino Duncan, che faceva parte del nostro gruppo, lo fissava con quella che potevo definire solo come affettuosa invidia. Sam gli si avvicinò, mormorando qualche parola di incoraggiamento.

Maledizione.

Come avrei potuto giocare in squadra con Sam, dopo tutto quello che era successo tra noi? Il rancore ancora non era svanito, come invece aveva fatto l’amore. La collaborazione tra noi due era impossibile, lo sapevo. Perché diavolo Jacob aveva imposto uno scambio del genere? Non poteva non immaginare che mi avrebbe messo in difficoltà. In seria difficoltà.

Improvvisamente nervosa ed irritata, salutai brevemente il branco e me ne tornai a casa da sola, fosca come una nube temporalesca.

***

Per tutta la giornata seguente tentai di non pensare a quello che mi attendeva. Che senso aveva crogiolarmi nelle mie insicurezze e preoccupazioni come una bambina piagnucolosa? In compenso preferivo fare la falsa donna matura che evitava di affrontare i propri problemi.

Complimenti, Leah. È esattamente questo l’atteggiamento giusto.

Sbuffai infastidita dalla mia incapacità di mentire in modo convincente almeno a me stessa. Prima ero molto più brava. Continuai a vagare pigramente e senza meta tra le bancarelle, mentre la mamma e Seth erano a vedere uno spettacolo di acrobati a cavallo. Avevo declinato l’offerta di accompagnarli, bisognosa di un po’ di solitudine. Mi fermai assorta davanti ad un espositore di pietre grezze e lavorate, scorgendo una scultura finemente intagliata che risplendeva alla luce del sole come cosparsa di minuscoli diamanti. Mi ricordò immediatamente il giorno in cui avevo incontrato per la prima volta quel rompiscatole di Jeremy, il modo in cui, stupido come solo lui sapeva essere, si era esposto in pieno giorno e mi aveva scambiato per un uomo. Scatenando le mie ire, ovviamente. Cosa che non aveva mai smesso di fare. Accennai una risatina.

“Leah?”.

Quella voce, l’unica voce che non avrei voluto sentire, interruppe i miei pensieri. Mi voltai lentamente, quasi spaventata da quell’incontro.

“Ciao, Sam.”.

Era da solo, stranamente. Pensavo che avrebbe accompagnato Emily e i due pargoletti ai Quileute Days…

“Emily e i bambini sono allo spettacolo con i cavalli. Quelle piccole pesti li adorano.”. Annuii lentamente, cercando di capire quali fossero le sue intenzioni.

“Possiamo parlare un attimo, Leah?”, chiese gentilmente. Come sempre. Un senso di frustrazione ribollì alla bocca del mio stomaco. Perché era sempre così cortese? Così perfetto, così uguale a quello che era quando stavamo insieme.

“Cosa vuoi, Sam?”, sibilai secca. Lui non si scompose.

“Solo parlare.”. Lo guardai un attimo, indecisa. Poi gli feci uno svogliato cenno di seguirmi. Ci sedemmo su due panchine diverse, miracolosamente libere e ci fissammo pensierosi.

Sospirò.

“Devo chiederti scusa, Leah.”. Il mio cuore perse un colpo a quell’affermazione repentina. “Per cosa?”, domandai di getto. Fece un sorriso storto. “Per tutto quello che ti ho fatto. So di non aver avuto scelta, e non mi pento di come ho agito. Non potevo continuare a stare con te, sapendo di amare Emily. Non sarebbe stato giusto nei tuoi confronti, nei miei, in quelli di Emily. Ma mi dispiace. Ti ho amato sinceramente, e continuo a volerti bene come ad una sorella.”.

E così, il momento era arrivato. Improvviso, ma non imprevisto. Rimasi zitta, tentando di assorbire quello che mi stava dicendo. Tentando di capire se potevo accettare quello che mi stava dicendo. A fronte del mio silenzio, riprese a parlare.

“Sapevo che ci sarebbe stata sofferenza. Ma finché non ti ho visto cambiare, in questi ultimi mesi, non ho compreso quanto tu avessi davvero sofferto. So che lo negheresti, Leah, ma sarebbe inutile. Come uno stupido cieco, mi ero convinto che la vera Leah fosse quella acida ed irritabile che eri diventata i primi tempi dopo la nostra rottura. Mi faceva comodo questa spiegazione, mi alleggeriva di molte responsabilità ed alleviava il mio senso di colpa. Adesso, però, la realtà mi ha messo di fronte al vero. Ti ho fatto molto più male di quanto non pensassi e, quel che è peggio, non ho mai tentato di aiutarti. Non ti chiedo perdono, perché non lo merito. Però voglio dirti che mi dispiace, immensamente. E che spero che un giorno tu possa trovare la felicità che meriti.”.

Lentamente, con un dolore che mai era stato più piacevole, sentii le ultime spine ancora conficcate nel mio cuore staccarsi, precipitare e frantumarsi. Il rancore non aveva senso. L’astio di cui erano impregnati i miei pensieri non aveva senso. Non avevo deciso di andare avanti? Tutto quello che era accaduto, anni prima, non era stato una nostra scelta. Quello che invece avevo scelto era di rinchiudermi su me stessa, senza lasciare avvicinare nessuno, rendendomi impermeabile ad ogni affetto. Come una stupida.

E di questo Sam non aveva colpa.

“Sam, va bene così.”, dissi, cercando di rendere la mia voce il più possibile calma e ferma. “Non ho più nulla da perdonarti. Abbiamo tutti commesso degli errori in questa storia, ma non è più il caso di rivangarli. Io sto bene, non preoccuparti più.”.

Lui mi guardò, quasi spaesato, poi iniziò a comprendere il significato delle mie parole. E allora un sorriso si aprì sul suo volto, che fino ad un attimo prima era stato tormentato.

“Sono contento di sentirtelo dire, Leah.”.

Mi alzai lentamente, senza sfuggire al suo sguardo indagatore. Sapevo che aveva dei dubbi riguardo la mia sincerità, ma per una volta quei dubbi non avevano ragione di esistere.

“Ci vediamo stasera, Sam. Non mangiare troppo, devi essere scattante se vogliamo vincere. E io voglio vincere.”.

Lo salutai con un cenno della mano, sentendomi leggera come non lo ero da tempo.

***

La partita finale a baseball fu un vero spettacolo.

Ero davvero indecisa su quale fosse stato il momento migliore: Jared che invece di battere la pallina lanciava fuori campo la mazza, tranciando un innocente abete, o il povero Chris spalmato sotto Paul e Sebastian, nel tentativo di non fargli raggiungere la base.

Alla fine, comunque, la vittoria era stata nostra. Tutti avevano dovuto ammettere che l’eccezionale collaborazione tra tutti i membri della nostra squadra era stato quel “qualcosa in più” che ci aveva permesso di vincere.

Ed era vero.

Ormai avevo accantonato tutte le ultime riserve che conservavo nei confronti di Sam, ed eravamo stati in grado di giocare davvero insieme. Mi sentivo finalmente forte, libera, leggera.

Senza l’onnipresente peso di infiniti ed insensati rancori. Potevo essere sincera con me stessa, ora; ero cambiata e ne ero felice. Ed era incredibile come fosse facile ammettere tutto questo. Liberatorio.

La serata si era conclusa con una colossale grigliata, a misura di licantropo, alla quale non avevo mancato di partecipare. Le chiacchiere, gli scherzi, le risate non si erano risparmiati: persino io ero riuscita a divertirmi, circondata da una famiglia della quale mi sentivo finalmente parte. Avevo notato più volte Jacob e Seth fissarmi con uno sguardo lieto, quasi orgoglioso. Mi era venuto automatico accennare un sorriso, consapevole che dovevo loro molto. Il ringraziarli direttamente, tuttavia, era un’altra storia.

Solo all’alba ci degnammo di smontare tutto, sapendo che di lì a poco sarebbero arrivati i partecipanti alla versione “umana” dei Quileute Days. Io e Seth tornammo a casa insieme, affiancati per un pezzo da Sebastian ed Alex, che abitavano vicino a noi.

Entrai in camera quasi barcollando dalla stanchezza, salutata da un Seth altrettanto esausto; eppure entrambi eravamo contenti, e lo sapevamo. Ancora una volta, i nostri sguardi comunicavano molto più delle parole.

Crollai sul letto, esalando un sospiro di soddisfazione. Nel giro di pochi istanti, scivolai in un sonno privo di incubi.

***

“Allora, lupacchiotta, come sono andate le gare?”.

Ebbene sì, avevo ricominciato la sorveglianza. E ovviamente Jeremy non era riuscito a trattenere la sua solita, inopportuna curiosità. Ma ero così soddisfatta di quello che era avvenuto negli ultimi giorni che evitai di mettere su il mio solito cipiglio ostile.

“Abbiamo vinto, ovviamente.”, risposi orgogliosa. Lui sorrise, come se non fosse per niente stupito.

“Qualche gara di corsa?”, chiese poi. Io annuii, per una volta desiderosa di fare l’esibizionista. “Una sola, e sono arrivata prima, come prevedibile.”. Ridacchiò senza un minimo di contegno. “Sì, in effetti me lo aspettavo. Ti faccio i miei complimenti, Leah”.

Fingendo noncuranza, sventolai la mano in un gesto elegante. Continuammo a camminare, inoltrandoci in viuzze di Seattle che non avevamo mai esplorato; non c’era moltissima gente, il che era preferibile. Non mi sentivo abbastanza in forma da stuzzicare l’autocontrollo di Jeremy.

Per qualche minuto regnò il silenzio, tra noi due, e me ne stupii parecchio. In genere quell’idiota troppo biondo non stava mai zitto un attimo, a meno che…

“Chi è Sam?”.

…non dovesse sparare una cavolata particolarmente grande. Appunto.

Feci una smorfia, tremendamente infastidita da quella domanda. Possibile che non sapesse mai farsi gli affari propri?

“Niente che ti riguardi.”, risposi senza nessun tentennamento.

Lui si fermò, appoggiandosi al muro, e mi guardò con quello che sembrava compatimento.

“Dunque, Leah, ormai siamo amici e ci conosciamo.”. Storsi il naso, ma non lo interruppi. “Quindi sai benissimo che adesso hai due possibilità. O continui a rifiutarti di parlare, e com’è ovvio io insisterò finché tu, sfinita, non vuoterai il sacco, oppure puoi dire tutto subito così ci risparmiamo dieci minuti di inutili battibecchi il cui risultato è già ovvio.”.

Solo diversi secondi dopo mi resi conto che la mia bocca era rimasta aperta dallo stupore. Da quando il nostro rapporto aveva raggiunto tali livelli di…quotidianità? Al punto che ormai tutti i nostri confronti avevano effettivamente un risultato scontato. Più ci riflettevo, più mi rendevo conto che aveva ragione. Maledizione.

Rimasi in silenzio per parecchio, al punto che Jeremy, convinto che io avessi appena ideato una nuova strategia per sfuggire alla sua curiosità, stava ricominciando a camminare.

“È il mio ex-fidanzato.”. Si bloccò immediatamente, immobile in maniera innaturale. “Il tuo ex-fidanzato?”, chiese, contraendo lievemente la mascella.

“Ci siamo lasciati parecchi anni fa, ha sposato mia cugina e hanno due bambini.”. Parve riflettere un attimo, poi mi fece un’altra domanda inattesa. “E allora perché quando Jacob ti ha detto che saresti stata in squadra con lui hai fatto una smorfia terribile?”. Il suo sguardo mi inchiodò, invitandomi ad essere sincera.

Amicizia e sincerità.

Sbuffai pesantemente. “Hai una vaga idea di cosa sia l’imprinting?”, sputai fuori.

“Non è quello che ha fatto innamorare Jacob e Nessie?”, chiese perplesso, senza capire.

“È una specie di colpo di fulmine, assolutamente totalizzante. Irresistibile.”, spiegai lentamente. D’accordo, ormai avevo superato il trauma, però non era comunque piacevole parlarne. “Io e Sam ci siamo fidanzati al liceo e ci dovevamo sposare. Poi ha subito la trasformazione, ma com’è ovvio all’epoca non me n’ero accorta. Pensavo che avesse la febbre, ero preoccupata per la sua salute. Senza contare le assenze continue…”, mi ero persa nei miei pensieri e stavo dicendo più del necessario. Mi fermai un attimo, tentando di riprendere le fila del discorso. “Un giorno ha incontrato mia cugina Emily, che era tornata alla riserva proprio per conoscere il mio fidanzato. E Sam ha avuto l’imprinting con lei.”. Feci qualche respiro profondo, constatando che il dolore che di solito provavo nel ricordare tutto quello che era successo si era notevolmente affievolito.

Joshua ha fatto davvero un ottimo lavoro.

Lui e le sue parole, gelosamente conservati in fondo al mio cuore, mi stavano permettendo di andare avanti. Mi mancava ancora. Sempre.

“Oh.”, rispose brillantemente il succhiasangue, confermando una volta di più le sue limitate capacità intellettive. “Hai sofferto molto, immagino.”.

Sbuffai esasperata. “Secondo te?”, chiesi sarcastica. Lui ebbe il buonsenso di star zitto.

Giusto per tre secondi.

“Quindi nutri ancora rancore nei suoi confronti?”, domandò insinuante. Alla faccia delle limitate capacità intellettive. Quel succhiasangue era una continua sorpresa. Scrollai le spalle. “No, ora non più. Questi ultimi giorni sono stati…illuminanti.”.

Sorrise, sistemandosi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio. “Sono felice per te, allora. È bello vederti serena, una volta tanto.”. Alzai gli occhi al cielo, fingendo che le sue parole non mi avessero minimamente toccato. In realtà aveva espresso perfettamente il mio stato d’animo attuale.

Serenità.

Ero una pagina bianca, sulla quale scrivere una nuova storia. Niente più macchie d’inchiostro lasciate cadere da una mano maldestra, niente più strappi per un tocco troppo violento. Mi sentivo nuova, pronta finalmente ad andare avanti.

“Non hai più avuto storie dopo questo Sam?”, chiese poi, discreto come sempre. Sovrappensiero, feci scrocchiare le nocche, portandolo a ritrarsi impercettibilmente; una leggera risata vibrò nella mia gola. “Pochissime, e di breve durata.”, risposi con tono definitivo.

“Questo perché non hai mai permesso a nessuno di avvicinarsi, Leah. Lo sai perfettamente.”.

Mi voltai a guardarlo, irritata. Chi si credeva di essere per giudicarmi in questa maniera? Ignorando il mio cipiglio, lui si avvicinò. “Perché continui a negare, Leah? Anche se tutto è così incredibilmente evidente? Tu non ti lasci toccare, in nessun senso.”. E mentre lo diceva, mi sfiorò l’interno del polso in punta di dita, tracciando con delicatezza il reticolo di vene appena visibile sotto la superficie della mia pelle abbronzata. Sobbalzai con un tremito, scioccata dal contatto con i suoi polpastrelli gelidi.

“Vedi?”, disse imperturbabile. “Cammina, imbecille.”, lo rimbeccai, ancora leggermente scossa da quel gesto sconsiderato. Quell’idiota di un succhiasangue.

Ridacchiando, si rimise in marcia al mio fianco.

***

Un giorno dopo l’altro, tre settimane passarono. Ed erano anni che non passavo un periodo così straordinariamente sereno e spensierato. I rapporti con i fratelli del branco erano sempre ottimi; Emily, poco tempo dopo la fine dei Quileute Days, mi aveva invitato a casa sua ed io avevo accettato. Sapevo che non saremmo mai tornate amiche come prima, eppure riuscii a farle visita, tollerando anche la presenza dei suoi marmocchi. Che, dovetti ammettere, non erano poi così male. Avevo visto Sam solo di sfuggita, poche volte. Avevo apprezzato il suo tentativo di procedere per piccoli passi verso un rapporto civile, anche se in realtà mi sentivo abbastanza forte da affrontare tutto.

La sorveglianza procedeva bene, Jeremy si rivelava ogni giorno sempre più…sopportabile. Un amico, più o meno. Solo perché non avrei trovato altro modo di definirlo, ovviamente. Ogni tanto mi faceva addirittura ridere –come quando si era imposto di mangiare del cibo umano: le sue smorfie erano state assurdamente divertenti-, ogni tanto riusciva a strapparmi parole e confidenze, mi aveva raccontato qualcosa di più di sé, facendomi scorgere una persona un po’ diversa dal Jeremy che credevo di conoscere.

Tutto andava per il meglio, insomma.

Eppure dovevo immaginare che un periodo così piacevole non poteva durare a lungo.

Mi trovavo a casa Cullen, alla fine di una giornata a Seattle. Come al solito avevo accompagnato Jeremy fin dentro l’abitazione, per poter poi godere di qualche minuto di chiacchiere con Rosalie. Ero ferma nel salotto, circondata da tutta la famiglia, compresi Nessie, Jacob e Jeremy. In un modo che mi era del tutto sconosciuto, avevamo intrapreso tutti insieme una piacevole conversazione. Certo, il mio contributo consisteva di qualche grugnito d’approvazione o un cenno di negazione con il capo, ma ero lì, comunque.

È nei momenti più normali che tutto precipita.

All’improvviso, con la coda dell’occhio, vidi Alice barcollare. Il suo fidanzato l’afferrò immediatamente, mentre lei si afflosciava contro il suo petto. I suoi occhi erano vacui, fissi su qualcosa che nessuno di noi poteva vedere.

Quasi nessuno.

Edward la stava guardando, estremamente concentrato. Sussultò repentinamente, stringendo le dita in una morsa ferrea e stridente. Poi si voltò verso Jeremy.

I loro sguardi si incrociarono, e per un lungo, interminabile attimo parve che tra loro si stesse svolgendo un’accanita battaglia mentale. Un istante dopo l’equilibrio si spezzò.

Edward scattò in avanti, afferrò Jeremy per la camicia e lo sbatté a terra con una violenza sconcertante.

Il parquet si sfondò con uno schianto inquietante e schegge di legno volarono ovunque. Quasi inconsapevolmente feci un passo avanti, come per sottrarre Jeremy a quel trattamento insensato.

Che più volte gli avevo riservato io. Ma ora non più.

“Edward?!”, disse Esme, con una vena vagamente isterica nella voce. “Figliolo, perché…”, iniziò a chiedere Carlisle, mentre tutti noi eravamo gelati sul posto, confusi ed indecisi su cosa fosse il caso di fare. Il leggipensieri doveva aver perso qualche rotella…

Gli occhi di Jeremy, che era ancora inchiodato nel pavimento, trovarono i miei. Era uno sguardo…triste, dispiaciuto, spaventato.

Come se si stesse scusando. Come se mi stesse chiedendo di capire.

Edward ringhiò, fissando prima Jeremy e poi Carlisle.

Un brivido freddo scese lungo la mia schiena, alle parole che pronunciò.

“Ci ha venduto ai Volturi.”.

 

 

 

*Note dell’autrice*: sorpresa, sorpresa, sorpresa! Vi invito caldamente di non linciare ancora il povero Jeremy, dategli l’opportunità di difendersi. Come ho detto all’inizio, avrei voluto spezzare il capitolo, ma a mio parere se ne sarebbe perso il senso. Anche per questo mi ci è voluto così tanto a scriverlo: l’idea c’era tutta, ma mi ha preso un sacco di tempo, molto più del previsto. E a causa degli esami l’ho dovuto scrivere in 3/4 giorni. Spero che non sia uscita un’oscenità, sinceramente è un capitolo che scalpitavo per scrivere. Mi auguro anche che la presentazione degli ultimi “nuovi licantropi” non vi sia sembrata troppo fuori luogo, a me sembrava il momento migliore.

Come sempre ringrazio tutti coloro che aggiungono la storia alle preferite, alle seguite e a quelle da ricordare. Senza questo sostegno probabilmente non andrei avanti a pubblicare.

La stessa cosa riguarda anche chi legge in silenzio e chi recensisce: grazie per il vostro sostegno. Grazie davvero.

Riuscite sempre a migliorarmi la giornata, in qualche modo: non pensavo che sarebbe stato così, quando ho pubblicato il primo capitolo di questo “tentativo di scribacchiamento”. Vi ringrazio di cuore.

Critiche e commenti sono più che ben accetti, sono consapevole di dover migliorare ancora parecchio, e chiedo il vostro aiuto. Grazie ancora.

Baci, chiaki

Mi faccio ancora una volta un po’ di pubblicità, stavolta nel fandom di Harry Potter, che ho colonizzato di recente:

-Another lonely Christmas: prima classificata al “Christmas Carol Contest” e inserita tra le scelte del sito (ancora non me ne capacito, sinceramente);

-Lettera di una madre: vi dico solo che ho amato scriverla, in modo particolare.

Se vorrete leggere e lasciare qualche parere…beh, non può farmi che piacere.



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Capitolo 21
*** Arrivi ***


Questo capitolo è dedicato a Shin_Igami, che per molti capitoli mi ha fatto da beta-reader. È grazie a lui se ho cominciato a pubblicare, senza cancellare questa storia dopo pochi capitoli. Perché nonostante qualche problema, continui sempre ad essere il mio migliore amico. Ti voglio bene, disgraziato.

Buona lettura a tutti! E vi prego di leggere le note a fine capitolo! ^^

 

 

ARRIVI

 

 

 

Ci ha venduto ai Volturi.

Non poteva essere vero. Quello che era appena uscito dalla bocca di Edward doveva essere un colossale fraintendimento, nulla più. Perché non era possibile che i Volturi stessero tornando, di nuovo, a mettere in pericolo le vite di tutti coloro che amavo.

Ma, soprattutto, non era possibile che Jeremy ci avesse traditi.

Sarei stata io la prima a spergiurare sul fatto che fosse un idiota senza speranze; che potesse tradirci, invece, era un pensiero che mai aveva attraversato la mia mente. Eppure era un succhiasangue, in fondo. Perché non lo avevo mai pensato come un traditore?

Mi fidavo di lui.

Suonava quasi come una bestemmia. Ma era vero, accidenti. Passo dopo passo, giorno dopo giorno, era riuscito a conquistarsi la mia fiducia. Mi rompeva le scatole, a volte mi irritava, ma mai mi aveva ferito. E, chissà come, mi ero convinta che non l’avrebbe mai fatto.

Sono una stupida.

Certo. Perché delle sanguisughe non ci si può fidare. Di Jeremy non mi potevo fidare.

“Lasciatemi spiegare, per favore!”, urlò concitato, mentre sguardi freddi lo trafiggevano implacabili. Solo io non lo guardavo; non ne ero in grado, al momento.

“Cosa c’è da spiegare? Ho visto tutto!”, gridò furente il leggipensieri. “La visione di Alice parlava chiaro. C’era una persona che avevo già scorto in precedenza, nella tua mente. Una persona che ti è particolarmente vicina.”.

Jeremy rimase silenzioso, mentre Edward si allontanava da lui, lasciandolo incastrato tra i resti delle assi del parquet. Sembrava voler parlare, come se avesse capito quello che era successo, ma alla fine non fiatò. Così continuò il leggipensieri.

“Sai, mi stupiva che tu continuassi a mantenere il controllo sulla tua mente persino in casa, tuttavia avevo pensato che servisse per non abbandonarti al naturale istinto per il sangue umano. Invece ci stavi tenendo nascosto questo. Il tradimento premeditato.”.

“Ti abbiamo accolto in casa nostra, Jeremy, perché hai fatto questo?”. La voce di Esme trasudava una sincera afflizione, che scosse persino me.

Ha ragione. Perché?

“Se solo…”, provò a dire.

“Solo cosa, Jeremy? Cosa? Hai appena messo in pericolo tutta la nostra famiglia! Tutti i licantropi e tutti gli umani di questa zona!”, sbottò Edward. “Pensavo che non volessi essere un mostro! Maledizione!”. Scagliò un pugno contro il muro, sfondandolo. Bella gli si avvicinò cauta e gli toccò delicatamente il braccio, per impedirgli altri gesti sconsiderati. Il ringhio soffocato di Rosalie mi fece intuire che, benché non avesse detto una parola, anche lei condividesse appieno i pensieri del fratello adottivo. Emmett, vicino a lei, scrocchiò le nocche e gonfiò i bicipiti, come se si stesse già preparando alla battaglia. Jasper stava ancora tenendo stretta la nana, appoggiata contro il suo petto. Lo sguardo di Jacob era smarrito e terrorizzato. Sapevo che stava pensando all’incolumità di Nessie, la quale, probabilmente, era proprio quella più in pericolo.

Io mi rifiutavo di elaborare un qualsiasi ragionamento di senso compiuto. Il blackout totale, per ora, era la soluzione migliore. Non potevo permettermi di cadere nel panico, pensando alla mia famiglia e ai miei fratelli. Non potevo permettermi di infuriarmi come avrei voluto nei confronti di Jeremy. Lasciavo che tutto mi passasse attraverso, senza trattenerlo, posticipando il momento in cui mi sarei trovata faccia a faccia con quello che finora avevo ignorato. Avevo bisogno di elaborare con calma, mantenere la freddezza era indispensabile.

“Spiegaci cos’è successo, leggipensieri.”, dissi glaciale, con un distacco tale che stupì persino me stessa. Continuavo a non guardare Jeremy.

Fu Alice, invece, a rispondere. Venne avanti con un’espressione innaturalmente seria, che mal si sposava con i suoi lineamenti vivaci.

“Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, dall’ultima volta che i Volturi ci hanno fatto visita. E adesso hanno deciso di venire qui, per acquisirci o distruggerci completamente. Ho tentato di risalire alla fonte della decisone e ho visto una della nostra razza denunciarci ai Volturi. Erano così impazienti di trovare una scusa che si sono accontentati di una semplice telefonata…”.

“E cosa c’entra questo con Jeremy?”, chiese Jacob, mostrando per una volta tutto il suo carisma di alfa nel tono della voce.

“Quella vampira fa parte del suo clan. E ne è probabilmente il capo.”, chiarì Edward, asciutto. “L’ho vista nella mente di Jeremy quando è arrivato qui la prima volta, poi quella parte dei suoi pensieri non si è più mostrata. Come uno sciocco mi ero convinto che fosse per non sentire troppo la nostalgia della sua ‘famiglia’. Avrei dovuto accorgermene, che si trattava di tutt’altro.”.

“Figliolo, non rimproverarti di qualcosa che non è tua responsabilità.”, lo confortò Carlisle. Stavamo tutti parlando come se lui non fosse neanche lì.

“Che si fa, ora?”, chiese Emmett, deciso e come sempre pronto a dar battaglia. E forse questa volta sarebbe stato davvero necessario.

“Da quello che ho percepito arriveranno alla prossima luna nuova, quindi tra circa un mese. Loro non hanno fretta, si stanno preparando a questo viaggio con tutto il compiacimento con cui si pregusta una vittoria data per scontata.”, spiegò Alice, piegando le labbra in una smorfia di disgusto.

“Dovremmo avvisare il clan di Denali. Devono saperlo, ricordiamoci che Aro aveva messo gli occhi anche su Kate.”, disse Carlisle, mentre Esme annuiva con veemenza. “Aveva messo gli occhi anche su questi cagnacci, se vogliamo dirla tutta.”, borbottò Rosalie.

“E anche su Renesmee.”, sussurrò Bella angosciata. Jacob strinse a sé la fidanzata con più forza.

“Per favore.”.

Tutti ci voltammo verso Jeremy, che aveva appena aperto bocca. Si alzò lentamente, senza spolverarsi i vestiti com’era sua abitudine. “Per favore”, ripeté, “lasciatemi modo di spiegare.”.

“Hai qualcosa da dire a tua discolpa?”, domandò Edward, chiaramente scettico ma vagamente speranzoso. Oh, sì, lui odiava pensar male delle persone.

Illuso. Quello era un succhiasangue, non una persona.

“No.”, disse lui. Ma prima che qualcuno lo potesse interrompere, continuò a parlare. “Però penso che ci sia un motivo se c’è stato questo…cambiamento di piani. Vorrei far venire qui il mio clan, loro sapranno sicuramente dirvi di più.”.

“Cambiamento di piani?”, esclamò Jasper. “Avevate organizzato tutto, quindi.”.

“No, io non…mi spiace, finché non arriveranno preferisco non parlarvene. Potrei peggiorare la situazione, ed è l’ultima cosa che voglio. Ma credetemi se vi dico che non è mai stata mia intenzione mettervi in pericolo. Mai. Ti prego, Edward, tu sai che non mento.”, disse Jeremy, quasi incespicando sulle parole.

“Potresti farlo, invece.”, rispose inflessibile il leggipensieri.

“Ma non lo sto facendo.”.

Il silenzio cadde per lunghi secondi, mentre ognuno di noi sembrava immerso nei propri pensieri. Io stavo cominciando a riflettere su come mettere in salvo la mia famiglia, soprattutto mia madre. Lei non aveva le nostre stesse possibilità.

“Per favore, aspettate il loro arrivo. Poi accetterò ogni conseguenza, e ogni vostra decisione.”.

“E sia, allora.”, stabilì Carlisle, ignorando le occhiatacce poco convinte di alcuni dei presenti. Me compresa. Jeremy afflosciò le spalle, come svuotato dal sollievo. Incapace di rimanere lì un istante di più a contemplare la mia stupida ed insensata fiducia fatta a pezzi, mi voltai verso la porta ed uscii velocemente. Con un gesto rabbioso me la sbattei alle spalle, incurante della possibilità di danneggiarla, ed iniziai a correre.

Il rumore della porta che si chiudeva raggiunse le mie orecchie solo molto più tardi. Udii vaghi fruscii di passi che inseguivano i miei e, voltandomi leggermente, vidi Jeremy che mi seguiva.

“Aspettami, Leah, ti prego.”, disse nervoso. Senza degnarlo di una risposta, mi limitai ad accelerare. I piedi divoravano velocemente il terreno, lo schiacciavano con forza, come se volessi imprimere tutta la mia rabbia in quella corsa. Ero delusa. Molto.

Questo perché avevi delle aspettative.

Speravo di aver chiuso ogni rapporto con la vocina della mia coscienza, ma a quanto pareva aveva scelto un ritorno in grande stile. Proprio nel momento peggiore.

Lui non demorse e continuò a tallonarmi. “Lasciami in pace.”, sibilai, ma lui finse di non avermi sentito. Si avvicinò, addirittura, e alla fine riuscì ad afferrarmi l’avambraccio in una morsa decisa che probabilmente mi avrebbe lasciato un livido. Mi fermai di scatto e lui allentò leggermente la presa, rendendosi conto della sua stretta troppo violenta. “Ti ho detto di lasciarmi in pace, maledetto succhiasangue.”, gli sputai addosso con cattiveria. Non paga di ciò che gli avevo appena detto, aggiunsi: “Non ho tempo da perdere con un traditore. Devo andare a mettere al sicuro la mia famiglia.”.

“Leah…”.

“Leah un corno, Jeremy!”, urlai, finalmente libera di lasciar scorrere le emozioni che avevo bloccato dietro ad una fragile diga, finché ero a casa Cullen. “Perché? Maledizione, perché? Il fatto che tu sia un imbecille non è una spiegazione sufficiente. Evidentemente sei stato abbastanza intelligente da ingannarci tutti.”. Straparlavo, e lo sapevo. Ma al momento mi sembrava una buona idea seppellire sotto un torrente di parole prive di senso tutta quella confusione che si affastellava nella mia testa. Scrollai il braccio e lui lo mollò immediatamente, con espressione colpevole.

“Leah…”, riprovò.

“E quello che più mi dà fastidio è che in questi mesi ho sprecato ore della mia vita a fare da balia ad una sanguisuga da strapazzo che ha sempre avuto l’intenzione di distruggere me e chi mi sta intorno! Senza contare le tue continue insistenze, ma cosa volevi guadagnare? Volevi conoscere meglio il tuo nemico? Tu sei…”. Ma non riuscii mai a dirgli cosa esattamente ritenevo che fosse, perché, per la prima volta da quando l’avevo conosciuto, sbottò veramente.

“Lasciami parlare, accidenti a te, lupastra! Piantala di lanciarmi addosso accuse insensate!”, gridò, stringendo i pugni. “Non ho mai avuto intenzione di distruggere chi ti sta intorno, e tantomeno te! E non stavo cercando di ‘conoscere il mio nemico’!”. Cominciò a camminare avanti e indietro, respirando affannosamente. Poi ricominciò a parlare, gesticolando con le mani come non aveva mai fatto. Tranne quando era estremamente nervoso. “Pensi davvero che io sia arrivato qui con la precisa intenzione di fare del male a qualcuno? Che senso avrebbe avuto, me lo spieghi, l’impegnarmi a diventare un vampiro vegetariano e il cercare di integrarmi nella famiglia Cullen, se già avevo in mente di tradire? Soprattutto visto che ho saputo di tutti i loro poteri pochissime ore dopo che li avevo incontrati la prima volta. Non sono stupido, avrei capito che le probabilità di farla franca sarebbero state praticamente nulle. Eppure come si spiega, secondo il tuo pensiero, il fatto che io sia rimasto qui?”.

Rimasi zitta, incapace di ribattere. Se la metteva giù in quella maniera…

“Non si spiega, ecco la verità!”, riprese lui, fermandosi davanti a me con uno sguardo bruciante. “Come puoi convincerti tanto facilmente che io abbia tradito? Avrebbe avvalorato una volta di più la tua assurda teoria secondo la quale tutti i vampiri sono crudeli e sleali, vero? Leah…”. All’improvviso parve sgonfiarsi, e si allontanò di un passo da me. La mia rabbia per quello che aveva appena insinuato –ossia che fossi cieca e testarda- sfumò nel momento esatto in cui pronunciò il mio nome. Non tanto per averlo fatto, quanto per il tono. Come se duecento anni di sofferenza gli fossero repentinamente caduti sulle spalle.

“Come hai potuto non vederlo?”. Con un atteggiamento che aveva dell’assurdo, sorrise. “Come hai potuto non notare quanto mi sono affezionato a tutti voi? Non potrei mai farvi del male. Mai e poi mai. E questa è la verità, Leah. Nient’altro.”.

Deglutii, fissandolo dubbiosa negli occhi ambrati.

È cambiato sotto i miei occhi. Siamo cambiati insieme.

“Perché non l’hai detto subito ai Cullen?”, chiesi, del tutto fuori luogo.

“Perché loro mi hanno dato il beneficio del dubbio. Tu invece no. Oppure sì?”, domandò, quasi speranzoso.

Sospirai pesantemente, senza più capire quello che stavo provando. C’era la logica che premeva da una parte, il bruciore del tradimento che lambiva il mio corpo dal basso, il battito del cuore che mi diceva di fidarmi di quello che sentivo. Ma non ero la protagonista di un romanzetto rosa: il cuore sarebbe venuto per ultimo, in questa situazione. Era necessario.

“Non lo so, Jeremy. Forse. Diciamo che aspetterò l’arrivo del tuo clan, prima di condannarti definitivamente.”.

“Mi basta, per ora.”. Io mi limitai ad annuire svogliata, senza capire cosa intendesse con quel ‘per ora’. Ma decisi di soprassedere. “Mi accompagni fino a casa…Cullen?”, chiese, incespicando sulla parola ‘casa’. Di certo non era più il luogo in cui l’avrebbero accolto a braccia aperte.

“No. Ho da fare.”, risposi seccamente. “Cosa devi fare?”, domandò impiccione come sempre, incurante della situazione che aveva generato. Come se tutto potesse essere uguale a prima.

“Devo andare a convincere mia madre ad andarsene per un po’ di tempo, per la sua incolumità. E dovremo indire una riunione del branco per discutere sul da farsi. Siamo in pericolo, non sono così sciocca e orgogliosa da negare una cosa simile.”.

Jeremy mi fissò, sofferente, e fece per allungare una mano verso di me: prima ancora che facessi scattare il naturale istinto di indietreggiare –un po’ ritardato, al momento, a causa dello stato di agitazione in cui versava la mia mente- lui abbassò il braccio con un sospiro pesante.

“Mi dispiace, credimi. Spero che tutto si possa risolvere al più presto, e che tu possa tornare a considerarmi un amico.”, disse adagio, quasi titubante. Come se avesse già previsto la mia successiva replica; sapevo che non l’avrei deluso, a riguardo.

“Non ti ho mai considerato un amico.”, mentii senza il minimo tentennamento. Sfortunatamente per me, giusto da pochissime settimane avevo cominciato a farlo. Non era una cosa di cui andassi fiera, visto il modo in cui tutto mi si era ritorto contro: di conseguenza non avevo la minima intenzione di ammetterlo, se non a me stessa.

Tuttavia sapevo che lui aveva imparato a conoscermi, ed ero sicura che avesse subodorato la menzogna nelle mie parole. Per una volta, però, non mi contestò e rimase zitto.

“Beh, io vado.”, borbottai asciutta, spezzando il silenzio che si stava adagiando su di noi come un velo.

“Qualsiasi cosa tu pensi, sappi che ho detto la verità. Sono stato sincero su tutto.”, disse velocemente, come se avesse paura di sparire e non potermi più dire quelle ultime cose.

Feci una smorfia scettica. “Anche sul fatto che ti sei affezionato a tutti noi?”, sibilai. Quella mi sembrava la bugia più grande in assoluto: perché tirare in ballo dei sentimenti inesistenti solo per avvalorare l’ipotesi della sua innocenza?

Lui mi fissò con uno sguardo cristallino. “Sì, è vero anche quello. Mi sono affezionato a tutti.”, ripeté con forza.

Scrollai le spalle e mi voltai. Forse era sbagliato lasciare quel succhiasangue a piede libero, forse era sbagliato offrirgli la schiena con tanta noncuranza.

Scacciai quei pensieri, pressata dall’urgenza di tornare a casa e di avere ragione del temperamento forte di mia madre. Cominciai a camminare velocemente, per poi trasformare i miei passi rapidi in una vera corsa.

Era sempre così: correvo per sfogarmi, per lasciare che l’aria soffiasse via, almeno per un po’, i miei problemi. Spinta da un istinto sconosciuto, mi gettai un’occhiata indietro.

E vidi Jeremy, una sagoma ormai lontana, fermo immobile nel punto in cui l’avevo lasciato.

Poi accelerai.

***

Arrivata a casa, ancora non avevo idea di cosa avrei detto a mia madre. L’ultima volta, quando i Volturi erano arrivati, ero troppo immatura e inconsapevole della loro pericolosità. Mi ero lasciata cullare in un senso di illusoria sicurezza, convinta della mia forza e di quella del branco. Quando li avevo incontrati, tuttavia, avevo finalmente compreso che quei succhiasangue secolari sapevano il fatto loro, e che era necessaria cautela.

Non avevo intenzione di rischiare, stavolta. Appoggiai una mano allo stipite della porta, senza decidermi ad aprirla, e strinsi cautamente il legno tra le mie dita. Minuscole schegge si infilarono sotto pelle, troppo poco dolorose per schiarirmi davvero la mente. E mi ricordavano il parquet fatto a pezzi, dove Jeremy era stato scagliato con violenza dal leggipensieri.

Se lo meritava.

“Leah?”. La voce di Jacob alle mie spalle mi riscosse.

“Ehi.”.

Per un attimo regnò un silenzio assorto, interrotto solo dallo stormire degli alberi nella brezza leggera e dai minimi suoni che soltanto il nostro udito poteva percepire. “Dobbiamo organizzare una riunione del branco per stasera.”, disse Jake. Io annuii. “Il consiglio?”, domandai immediatamente, sperando che la sua risposta fosse quella che mi aspettavo.

“Forse è il caso di attendere almeno fino a domani, quando sarà arrivato il clan di Jeremy.”. Lo ringraziai con uno sguardo, grata per avermi dato la possibilità di parlare prima con mia mamma, piuttosto che con il membro del consiglio. Sarei riuscita a farla ragionare, magari.

“Dove ci troviamo?”, chiesi piatta. “Da Sam, penso. Tu hai…”. Mugugnai un assenso, troppo distratta per poter davvero rendere giustizia al tentativo di gentilezza di Jacob. Ormai non avevo più particolari problemi a rapportarmi con Sam e inoltre la situazione era troppo delicata perché mi potessi permettere di fare la schizzinosa. Lui mi fece un rapido cenno con il capo, senza mascherare la tensione che incatenava tutto il suo corpo; come biasimarlo, d’altronde? La sua fidanzata, la donna-bambina che amava, era sospesa tra i due mondi più in pericolo al momento. Finché aveva pochi mesi sarebbe stato possibile convincerla ad andarsene ma adesso, che la sua mente e la sua determinazione erano cresciute e maturate, difficilmente sarebbe stato possibile. Speravo di avere più fortuna con mia madre. “Vado da Nessie. Preferisco…”. Si interruppe, per evitare di dire quelle parole che avrebbero reso tutto più reale. Annuii, agitando la mano in un saluto lento. Un istante dopo se ne era già andato; sospirai, preparandomi a una delle missioni più impegnative della mia vita.

***

“Non se ne parla.”.

Sbuffai. “Mamma, è solo una precauzione.”, tentai di minimizzare. “Vogliamo solo avere intorno meno gente possibile, sareste solo un intralcio.”.

“Smettila, Leah.”, rispose irremovibile. Possibile che mia madre dovesse essere così simile a me? Testarda e orgogliosa fino all’inverosimile. Ritentai.

“Mamma, voi del consiglio siete in pericolo, in quanto particolarmente vicini a noi. Non possiamo permetterci di rinunciare a degli elementi del branco per proteggervi, perciò la soluzione migliore è che vi allontaniate per una settimana nel periodo in cui arriveranno quei freddi italiani. Volete davvero metterci così in difficoltà?”.

“Leah, adesso basta. Non mi imporrai di allontanarmi dalla riserva e dai miei figli. Minacce, suppliche e ragionamenti sensati non avranno alcun effetto. Non insistere più ed impiega il tuo tempo per prepararti a questo…pericolo.”. Soffiò fuori l’ultima parola, lasciando trapelare un poco della sua tensione latente. Sue Clearwater non era fredda come voleva apparire, e nemmeno io. Avevo cercato di convincerla con i miei modi bruschi e lei aveva ribattuto usando lo stesso sistema; sapevo che sarebbe andata così, ma dovevo provare. Mi giocai l’ultima carta.

“E Charlie? Vuoi mettere in pericolo anche lui?”.

Strinse i denti per un istante, trafiggendo il tavolo con uno sguardo che non nascondeva la sua angoscia. Ero consapevole di aver giocato sporco, sommandole la paura per la sicurezza mia e di Seth a quella di Charlie. Non avevo scelta.

“Cercherò di metterlo al sicuro. Lui non conosce tutto. Io ho delle responsabilità qui, lui invece no. Troverò una soluzione.”.

“Vai con lui, mamma. Per favore.”. Pochissime volte mi ero ridotta al punto da pregare mia madre; anzi, per inciso, difficilmente avevo pregato qualcuno nella mia vita.

“No, Leah, non chiedermelo più. Non puoi pretendere che io abbandoni voi. Se potessi farlo sarei la prima a trascinarvi via, per non farvi affrontare tutto questo. Ma non posso. Non rendermi le cose più difficili.”, sussurrò. E mi arresi.

Mia mamma non mostrava mai così apertamente i suoi timori e i suoi desideri più profondi: se lo stava facendo, in quel momento, significava che davvero non sarebbe tornata sulle sue decisioni. Lo capivo, per quanto non l’approvassi.

Certe volte odiavo l’ingiustizia della vita.

***

La riunione a casa di Sam era stata breve e significativa. Non servivano molte parole per spiegare quello che era successo, e non ne avevamo sprecate. Troppi pensieri, troppe preoccupazioni. I volti dei licantropi più giovani erano illuminati dal fervore della battaglia imminente; ma noialtri, che avevamo già preso davvero parte ad una battaglia, eravamo assorti, cauti, quasi preoccupati.

In quegli anni avevamo sviluppato una maturità diversa, meno precipitosa, per quanto la nostra stessa natura tendesse all’istintualità. Non eravamo cresciuti esteriormente, ma interiormente invece sì.

Avevamo deciso che saremmo andati solo io e Jacob ad incontrare il clan di quell’imbecille traditore di Jeremy, non serviva l’intera scorta. Saremmo stati sufficienti: Jake perché non voleva mai staccarsi da Nessie, io perché non vedevo l’ora di trovare una scusa per menare le mani. E quattro vampiri in arrivo erano un’ottima motivazione.

Perciò, nervosi e tesi come corde di violino, la mattina dopo ci presentammo a casa Cullen. Non pensavo che perfino i succhiasangue fossero soggetti a certe emozioni; sembravano tutti sulle spine, agitati, continuavano a scoccarsi sguardi furtivi senza parlare.

“Quando arrivano?”, chiesi piatta. Si guardarono tutti di nuovo, senza decidersi a rispondere. Il che non fece che aumentare a dismisura il mio nervosismo. Alla fine fu Jeremy a rispondere.

“Tra poco.”.

Mi rassegnai ad aspettare, consapevole che con quei succhiasangue era inutile discutere.

Tempo pochi minuti, tuttavia, dei suoni lontani e quasi impercettibili attrassero la nostra attenzione. Rametti spezzati, fruscii non dovuti al vento, il silenzio terrorizzato delle creature nella foresta. Stavano arrivando.

Jeremy, per un motivo del tutto sconosciuto, si spostò pochi passi dietro di me. Lo guardai male per un istante, poi venni distratta dal rumore di scarpe che calpestavano con delicatezza i gradini del portico di casa Cullen.

“Avanti.”, disse Carlisle, senza che avessero bussato. La porta si aprì lentamente, facendo vibrare l’aria già sottile come un filo troppo teso.

Entrò un vampiro alto e smilzo, con i capelli arruffati e un’espressione assurdamente svagata che non avevo mai visto su altri della sua specie. Era seguito a ruota da una succhiasangue esile, che gli arrivava a malapena alla spalla, appiccicata a lui come se fossero stati attaccati con la colla. Se i suoi capelli color miele potevano ricordami Rosalie, lo sguardo mite e quasi spaurito la collocavano agli antipodi rispetto alla biondastra. Subito dopo di lei fece il suo ingresso un altro membro del clan, un vampiro più basso e robusto del primo, il cui viso era animato da un così feroce istinto di protezione che mi misi immediatamente sulla difensiva. Stringeva la mano di un’altra sanguisuga, che entrò quasi titubante, passandosi nervosamente la mano tra i capelli di un mogano scuro, lunghi fino alle spalle. Lei era l’ultima. Si guardò rapidamente intorno, facendo scorrere i suoi occhi rossi su tutti noi; il suo sguardo si bloccò su Jeremy e si illuminò.

Aprì le braccia in un muto invito e l’idiota platinato alle mie spalle la raggiunse immediatamente, stringendola in un abbraccio serrato. Ma gli pareva il momento di indugiare in smancerie del genere? Intanto anche gli altri si erano avvicinati a quel cretino, incuranti del clima irrequieto che li circondava. Alla fine Jeremy si decise a darsi una svegliata e li presentò uno ad uno.

“Lui è Fredrick e lei la sua compagna Amanda.”, disse indicando il succhiasangue più alto e dai capelli bruni e la vampira bionda stretta al suo fianco, che fece un sorriso dolce. Davvero vomitevole.

“E questi sono George”, continuò sventolando la mano verso il vampiro iperprotettivo e dalla carnagione lievemente olivastra, sotto il pallore tipico della loro specie, “e Sabrina.”.

Sapevo che non era un caso che l’avesse lasciata per ultima. Bastava lo sguardo duro del leggipensieri per capirlo; lei rispose con un’occhiata altrettanto ferma, senza vacillare.

Una domanda fece immediatamente capolino tra i miei pensieri, e probabilmente non solo nei miei.

“Sì, è stata lei a denunciarci.”, sibilò Edward, gelido. Jeremy si avvicinò a Sabrina, che era rimasta rigida sotto gli sguardi implacabili di tutti i presenti. Le sussurrò all’orecchio qualcosa, senza farsi sentire da nessun’altro, scatenando di nuovo la mia irritazione. Non mi sembrava proprio il momento di bisbigliare paroline dolci a quella sanguisuga che ci aveva messo tutti in pericolo. Lo scricchiolare delle mie nocche penetrò il silenzio come un colpo di pistola.

Infine lei annuì con un sorriso, e Jeremy si allontanò di un poco. “Edward, sai quanto desidero che questa situazione si risolva al più presto. Spiegare tutto quello che è successo richiederà parecchio tempo, ma io vorrei subito potervi rassicurare sul fatto che non c’è stato nessun tradimento, sicuramente non intenzionale. Perciò Sabrina si è offerta di mostrarti rapidamente tutti i fatti, in modo che tu possa scacciare quest’atmosfera ostile. Puoi farlo?”. Il leggipensieri parve soppesare le sue parole per qualche istante, poi annuì, mentre una vaga speranza si faceva strada nei suoi occhi.

Lui e Sabrina si fissarono per qualche secondo, e man mano il viso di Edward si faceva sempre più sorpreso e al tempo stesso corrucciato. Poi distolse lo sguardo con un sospiro.

“Non cambia quello che è successo. Loro arriveranno.”, disse assorto. Io e Jacob –e anche Emmett, sospettavo- ci preparammo a lanciarci addosso a quella sanguisuga, per mettere in atto la nostra vendetta. La voce di Edward ci bloccò.

“Ma è il caso di sentire cosa hanno da dire.”.

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: dunque, direi che questo capitolo si commenta da solo. Sono felice di essere riuscita a pubblicare in tempo, ho temuto fino all’ultimo di non riuscirci. Il prossimo aggiornamento, purtroppo, sarà tra tre settimane invece delle solite due, perché ho un esame davvero preoccupante in arrivo. Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, mi piacerebbe davvero sapere i vostri pareri, anche negativi. Stiamo entrando nella parte finale e più importante, e vorrei fare le cose per bene.

Con mia grande gioia, una mia carissima amica si sta dedicando a delle fanart ispirate a questa storia. Ha un grandissimo talento nel disegno, sicuramente superiore al mio per la scrittura. ^_^

Vi linko subito le prime due fanart: la prima è una trasposizione in fumetto del primo capitolo di Harvest Moon (per ora incompleto) e la seconda è la cover del secondo capitolo “Specchi”.

Inoltre è stata così gentile da fare una specie di "foto di famiglia" del clan di Jeremy, che potete vedere qui.

Vi consiglio di dare un’occhiata, sono veramente bellissime, e se vi va lasciate un commentino, anche per messaggio privato. Farebbe molto piacere sia a me che a lei.

Ringrazio come sempre tutti coloro che mi seguono e mi sostengono, aggiungendo la storia alle seguite, alle preferite e alle storie da ricordare.

E grazie anche a chi segue in silenzio, spero che la storia continui ad incontrare il vostro interesse.

Infine un ringraziamento speciale a chi recensisce, dandomi la possibilità di capire davvero qual è l’effetto di questa modesta fanfiction.

Grazie a tutti, di cuore.

Come sempre commenti e critiche sono più che ben accetti!

Baci, chiaki

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Capitolo 22
*** Segreti ***


Questo capitolo è dedicato alla mia meravigliosa onee-chan Naoko, nonché eccezionale autrice di splendide fanart. Vi consiglio di visitare la sua pagina di DeviantArt (qui), è piena di piccoli capolavori!

Grazie di tutto tesoro, ti voglio un mondo di bene!

 

 

SEGRETI

 

 

 

 

Da quello che aveva detto la sanguisuga si sarebbe trattato di un racconto decisamente lungo. Sfortunatamente per me, ormai ero incastrata e non potevo sfuggire a tale rottura. Sbuffai senza curarmi degli sguardi storti dei nuovi succhiasangue e mi sedetti di malagrazia sul divano.

Ancora una volta, Jeremy si portò alle mie spalle. Gli rifilai un’occhiataccia, alla quale rispose con un sorriso irriverente. Cos’è, ci teneva così tanto a sbattermi in faccia che avrei dovuto avere piena fiducia in lui?

Mi voltai di nuovo, incrociando lo sguardo scarlatto di Sabrina. Mi fissava curiosa, come se fossi un oggetto da esibizione, alternando delle occhiate all’idiota platinato dietro di me. Sentii un ringhio crescere nel mio petto.

“Allora, questa storia?”, sbottai, fissandola. Parve infastidita dalla mia scarsa diplomazia, poi ricominciò a torturarsi le mani.

“Non so davvero da dove cominciare…”, disse incerta.

“Ti consiglio dall’inizio di tutto”, consigliò Edward gentilmente. Storsi il naso. Che venduto. Prima era pronto ad accogliere con la violenza i nuovi arrivati, e adesso mancava soltanto che stendesse il tappeto rosso. Ovviamente il succhiasangue finse di non aver letto i miei pensieri poco lusinghieri.

“Molti anni prima che arrivasse Jeremy, il nostro clan era costituito da sei persone. Noi quattro…”, spiegò muovendo elegantemente la mano per indicarli, “Sive ed Ossian”. Fece una pausa assorta, mentre i suoi occhi si riempivano di tristezza. Sembrava sincera.

“Per noi erano come dei genitori. Soprattutto per me. Sono stata la prima ad unirmi a loro e non avevo mai conosciuto una famiglia, prima d’allora. Sono nata e vissuta orfana fino alla mia trasformazione, e ancora per anni a seguire. Ossian e Sive erano persone meravigliose: gentili, amorevoli, generose. Non si nutrivano finché la loro fame non era insopportabile. Quando sono arrivati George, Amanda e Fredrick, per molto tempo la vita ci era sembrata perfetta: eravamo una vera famiglia, un po’ come voi. Ma dovevamo immaginare che prima o poi i Volturi sarebbero arrivati a dettare legge”, sibilò, stringendo i denti. La vampira bionda si accostò di più al suo compagno, che la circondò con un braccio.

“Per quale motivo?”, chiese Carlisle. “In genere non si spostano, se non per questioni più che importanti”.

“O per poteri particolarmente seducenti”, sussurrò il leggipensieri amaramente. Ah, ora si spiegavano molte cose.

“Chi di voi?”, chiese Rosalie, secca.

“Io e Fredrick”, disse Sabrina. “Lui ha il potere di controllare la forza di gravità. È poco utile per un vampiro, in realtà, ma Aro era affascinato dall’idea dei viaggi nel tempo. Avete presente, no? Distorsioni spazio-tempo, eccetera…”. La nota di scherno era chiaramente percepibile nella sua voce. “Il mio potere, invece, è quello di saper prendere le decisioni”.

Silenzio totale. Non ero l’unica a non aver capito, intuivo.

Edward intervenne. “Il suo potere è curiosamente complementare a quello di Alice. Lei…”, spiegò indicando la nana. “…vede le conseguenze delle decisioni altrui. Sabrina, invece, è consapevole del momento migliore in cui prendere una decisione”.

“Migliore per chi?”, insinuai con un sorrisetto.

“Per le persone che amo”, rispose la succhiasangue velocemente. Fin troppo. “D’accordo, anche per me”, ammise poi. “Quando i Volturi sono venuti da noi, decisi ad acquisire i nostri poteri, ci siamo opposti totalmente. E loro…li hanno uccisi. I nostri genitori. Le persone che ci avevano accolto ed amato come figli. Solo per la loro assurda sete di potere: speravano di indurci ad andare con loro, una volta spezzato quel legame così forte. Ci avrebbero accolti persino a coppie. Ma loro non sanno nulla dell’amore e dell’affetto sinceri: niente è stato in grado di smuoverci dalle nostre posizioni. Alla fine se ne sono dovuti andare, per conservare almeno un minimo di credibilità come ‘giudici corretti ed imparziali’”. Rise sguaiatamente, folle e triste al tempo stesso. “In quel momento ho odiato davvero il non poter piangere. Ma ancora di più ho odiato loro. Volevo vendicarmi con tutto il cuore, spazzarli via, distruggerli finché di loro non fossero rimaste che ceneri sparse sulla terra fredda. Eppure il mio potere mi diceva che ancora non era il momento”.

Pian piano la comprensione iniziava a farsi strada nei miei pensieri. Minuscoli tasselli andavano al loro posto con inesorabile lentezza.

Sabrina fece un sorriso mesto e crudele, contemporaneamente. “Tutto è cambiato sei anni fa. Il mio potere ha percepito un mutamento: le carte si erano improvvisamente rimescolate e l’occasione per la mia vendetta si faceva più vicina. Solo in seguito ho scoperto cosa fosse successo. Voi li avete messi in fuga con la coda tra le gambe”.

Jake tossicchiò artificiosamente, ad indicare che aveva poco apprezzato l’immagine; io mi limitai ad un’occhiata velenosa. Che sanguisuga scema. Non mi sarei dovuta aspettare nulla di meno da qualcuno così legato a quell’imbecille di Jeremy.

“E ho capito che avremmo dovuto fare qualcosa. In fretta, per scongiurare disastri ancora più gravi del previsto”.

Si divertiva a farci fondere il cervello ogni tre minuti o giù di lì? Ma si rendeva conto che stava dicendo cose totalmente incomprensibili?

“Non capisco”, disse quietamente Carlisle, diplomatico come sempre. Fosse dipeso da me mi sarei divertita a strappare qualche arto.

“Come vi ho detto, ho saputo che era tutto merito vostro se i Volturi erano stati costretti a tornare in Italia con un pugno di mosche, sei anni fa: di conseguenza, solo voi sareste stati in grado di ripetere l’impresa, e la mia –la nostra- vendetta nei loro confronti avrebbe dovuto coinvolgere anche voi, senza alcun dubbio”.

Bene, e così si delineava il motivo del tradimento. Perché diavolo nessuno si muoveva a dare a quei succhiasangue la lezione che meritavano? L’aveva ammesso, no? Era tutto intenzionale.

“Ma non è finita qui, giusto?”, domandò Edward. Che scoperta, le aveva letto nel pensiero! D’accordo il voler usare cortesia, ma si stava rendendo giusto un pochino ridicolo.

Sabrina annuì. “Esatto. Ero a conoscenza del fatto che, a breve, sarebbe arrivato il momento giusto di prendere la decisione di coinvolgervi nella vendetta contro i Volturi, ma non volevo fare nulla contro la vostra volontà. Perciò ci siamo trattenuti come avevamo sempre fatto. Tuttavia, circa un anno fa, qualcosa si è smosso: il momento di prendere quella decisione si è fatto improvvisamente più vicino. Avrei voluto trattenermi nuovamente, ma il mio potere ha una falla enorme”. Fece una pausa brevissima, durante la quale tutta l’attenzione parve condensarsi ed assumere consistenza: l’aria stessa sembrava più densa.

“Quando il momento arriva, io sono costretta ad eseguire quella decisione, senza possibilità di scelta”.

La squadrai con diffidenza. Ma che bel sistema per levarsi dagli impicci! “È il mio potere che lo impone!”, bella scusa. Ridacchiai sarcastica, spingendo la sanguisuga a voltarsi verso di me.

“Andiamo, per favore! Stai dicendo che se il tuo “potere” ti imponesse di uccidere…che ne so, Jeremy…”, dissi ignorando il sussulto infastidito dell’idiota in questione, “…pur di salvarti la pelle, tu lo faresti? In tal caso sarebbe una maledizione, non un potere! Non trovi anche tu?”, insinuai fingendo cortesia.

“Non ho mai detto di essere felice del potere che mi ritrovo, giovane donna”, rispose seccamente. “Pochissime volte posso oppormi a quella che tu hai –molto opportunamente- chiamato ‘maledizione’, e solo attraverso un immenso sforzo di volontà. E, lasciamelo dire, sapevo di desiderare troppo la vendetta per riuscire ad esercitare una resistenza degna di tale nome”.

“Quindi ci avete condannati senza appello, in sostanza”, fece presente Jacob, aggressivo e decisamente poco propenso al perdono.

“No!”, esclamò Jeremy all’improvviso. “Non è così, non state capendo le sue –le nostre- intenzioni”. Sabrina gli sorrise riconoscente ed io mi voltai verso di lui. “E allora, sottospecie di succhiasangue senza cervello, vedi di spiegare le vostre intenzioni”, sibilai furibonda. Si limitò a guardarmi, preso in contropiede. Manco a dirlo, intervenne la sorgente delle disgrazie.

“Come vi ho già detto, non era mia intenzione coinvolgervi contro la vostra volontà. Per questo motivo Jeremy, che già aveva espresso il desiderio di abbracciare il vostro…particolare stile di vita, si è offerto di venire qui da voi. Volevamo lasciargli un anno per integrarsi bene nella vostra famiglia e poi saremmo arrivati noi, a fare la nostra proposta. Speravamo che Jeremy conquistasse la vostra fiducia, in modo che poi ci avreste almeno ascoltato, invece di rifiutare immediatamente quello che avevamo da dire. Ci era sembrato un buon compromesso, tenendo in conto che il mio potere, purtroppo, già ci aveva condannato. Tutti noi”.

“Ma non avete aspettato un anno. Sono passati a malapena sei mesi dall’arrivo di Jeremy”, fece notare Jasper, in un angolo.

Sabrina sorrise stancamente, come appesantita da un fardello troppo grande. “Non so cosa sia cambiato, ve lo giuro. Ma l’altro ieri il momento è arrivato, e io non ho potuto fare nulla per oppormi. Mi dispiace, so di aver messo in pericolo tutti voi, mai ho odiato così tanto il mio potere come ora. Davvero”. Abbassò la testa, nascondendo il viso tra le mani. Esme le si avvicinò, posandole delicatamente le dita su una spalla. Come faceva ad essere così buona? Quella vampira aveva condannato tutti! Non meritava di essere consolata!

Con la coda dell’occhio, vidi Jeremy stringere la stoffa del divano in una morsa convulsa. Bene, anche lui si sentiva coinvolto dallo spettacolo della sofferenza di quella succhiasangue. Vicino alla porta, il vampiro bruno che rispondeva al nome di George sembrava fremere d’impazienza, come se si stesse trattenendo a malapena dal soccorrere il capo del suo clan.

“Insomma, non c’è più molto da dire”, esalò infine Carlisle, con un sospiro. Il buono ed ingenuo Carlisle. “Mi sembra evidente che Sabrina e gli altri membri del clan non intendevano farci del male intenzionalmente. Nel nostro mondo a volte accadono cose che vanno al di là della nostra comprensione e previsione. Ora non ci resta che decidere che fare”.

“Posso consegnarmi ai Volturi, spiegando che ho commesso un errore nel denunciarvi”, propose Sabrina. L’immagine di Irina, la succhiasangue bionda che anni prima aveva fatto lo stesso, attraversò rapida la mia mente. Era stata fatta a pezzi e bruciata in un nanosecondo e a Sabrina sarebbe toccata la stessa sorte. Beh, dubitavo che avrei pianto.

Tutti i membri del suo clan –e non solo loro, notai- si opposero fermamente.

“Tu sei pazza, ti uccideranno senza pensarci due volte”, le fece notare Rosalie con poca finezza. “Ho ancora il mio potere da offrire, potrebbero risparmiarmi…”, tentò lei.

“Vuoi dirmi che ti offriresti come arma ai Volturi? Complimenti, avevamo proprio bisogno di problema in più”, sibilò la bionda psicopatica. Se non ne fosse andata della mia dignità, probabilmente mi sarei alzata e le avrei fatto un applauso.

“Sabrina, per favore, non dire cose simili”, sussurrò Amanda, facendo udire per la prima volta la sua voce dolce come il miele. Era in arrivo una crisi iperglicemica. Bleah.

“Esatto, non pensare neanche ad un’eventualità del genere. Ci metterebbe solo più in pericolo, sappilo. I Volturi non si fermeranno, come non l’hanno fatto neppure l’altra volta”, disse Edward, irremovibile. Bella gli lanciò un’occhiata vagamente adorante, ammirando la perfezione del marito.

Dov’è il sacchetto per vomitare?

“Per prima cosa, dobbiamo sapere qual è il motivo della denuncia. Allora potremo decidere il da farsi”, spiegò Carlisle, pragmatico.

Sabrina si afferrò una ciocca di capelli, guardandola con estremo interesse. “Ho detto che vi stavate riunendo per attaccarli”, sussurrò, evidentemente consapevole di tutte le implicazioni che ne seguivano.

“Basterà non riunirsi, no? Voi e i licantropi starete lontani, in modo che non ci possano accusare!”, esclamò precipitosamente Esme, senza crederci davvero. Il suo ingenuo tentativo di tenerci lontani da quella faccenda era almeno…apprezzabile. Ma inutile.

“Non si fermeranno, Esme. Anzi, coglieranno l’occasione per attaccarci ed acquisire quelli di noi che Aro desidera da tempo. E solo noi non siamo sufficienti, avremmo bisogno di alleati per difenderci”, disse Alice ragionevole.

“Ma se dovessimo reclutare degli alleati andremmo immediatamente ad avvalorare la denuncia!”, fece notare Nessie, trattenuta a stento da Jake.

“Esattamente”, scandì lentamente Jasper, assorto. “Sto riflettendo attentamente, ma al momento vedo una sola soluzione”. Edward annuì, consapevole dei suoi ragionamenti.

La risata tonante di Emmett fece esplodere la tensione all’improvviso. “In sostanza, dobbiamo combattere, no?”. Non si preoccupò di nascondere l’entusiasmo. Certe volte il compagno della biondastra era davvero folle a livelli inconcepibili.

“Temo di sì. Ma abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile”, stabilì il fidanzato della nana, già calato nei panni dello stratega. E noi cos’eravamo, i soldatini?

“Noi ci siamo”, affermò Jacob fermamente, spostando un attimo gli occhi su di me come a chiedere conferma. Non c’era molta scelta: quei vampiri rivoltanti sarebbero arrivati in ogni caso, l’unica soluzione attuabile era lottare per difendere la riserva. Quindi, allearsi –di nuovo- con i Cullen e compagnia era d’obbligo, per quanto mi andasse di traverso l’idea. Annuii, e Jake mi ricompensò con un sorriso appena accennato.

“Ci siamo anche noi, ovviamente”, disse Sabrina, mentre gli altri membri del clan esprimevano l’approvazione con vaghi cenni del capo.

“Dovremmo chiamare anche il clan di Denali, almeno per avvertirli”, disse Carlisle.

“Sarebbe opportuno chiedere aiuto anche alle Amazzoni, se lo desiderano”, fece Alice, assorta.

“Pure Benjamin potrebbe darci una mano”, ricordò Bella.

“E il clan irlandese”, insinuò Rosalie, guadagnandosi un’occhiataccia da parte mia. Accidenti, la vampira dai capelli rossi non la volevo!

“Io potrei chiamare dei miei vecchi amici”. La voce sconosciuta –sino ad allora- di Fredrick ci spinse tutti a voltarci verso di lui. Si passò una mano tra i capelli ribelli, totalmente incurante degli occhi puntati su di lui. “Ho detto qualcosa che non va?”, disse distrattamente.

Si guardarono tutti, imbarazzati all’inverosimile, poi ripresero a parlare come nulla fosse.

***

Dopo parecchie ed inutili chiacchiere riuscii ad attirare l’attenzione di Jacob su di me: si avvicinò lentamente, quasi non volesse farsi notare. Il che era impensabile, se si considerava il fatto che l’adorabile alfa era una sottospecie di armadio quattro stagioni alto due metri o giù di lì. Di conseguenza tutti erano perfettamente consapevoli di quello che stava facendo e si disposero ad origliare con studiata nonchalance.

Li ignorai platealmente. “Jake, io adesso torno a casa. Posso radunare il branco e dire a Sam di contattare il consiglio, se a te va bene”, gli sussurrai fissandolo con uno sguardo deciso. Era il momento di assumere il ruolo di beta: sapevo che Jacob voleva passare più tempo possibile con la sua mutante e mi sembrava giusto concederglielo.

Da quando ero diventata così sentimentale?

Dopo l’approvazione di Jake uscii praticamente senza salutare, attirandomi probabilmente l’antipatia dei nuovi succhiasangue –e l’ira della biondastra.

Solo parecchi passi dopo mi resi conto che qualcuno mi stava seguendo. Annusai l’odore senza voltarmi ed imprecai.

“Lupacchiotta, aspettami! Non fare la suscettibile come tuo solito!”, sghignazzò tranquillo. Ci teneva ad infilare il dito nella piaga riguardo al fatto che avrei dovuto avere fiducia in lui e sapeva che questo suo adorabile nonché irritante atteggiamento mi mandava in bestia.

“Dai, voglio solo parlarti un attimo!”.

“Il problema è che io non voglio parlare con te!”, sibilai. “Possibile che tu debba essere sempre così insistente?”.

“Sempre e comunque! Andiamo, lupacchiotta, fermati almeno un secondo!”.

“Piantala, cretino. Sono già abbastanza incavolata anche senza ascoltare le tue stupidaggini irritanti”.

“Non sono irritante! Io sono affascinante!”. Santo cielo, riusciva a pavoneggiarsi persino correndo. Un’idea passò all’improvviso nella mia mente e ghignai sadica. Frenai di botto, al punto che lui continuò correre in avanti verso di me senza fermarsi. Con uno scatto troppo veloce persino per lui, tesi la gamba.

L’urto del suo piede contro il mio polpaccio fece un po’ male, ma ne valse la pena quando lo vidi volare in avanti per poi impattare contro un albero secolare, lasciando un’inconfondibile impronta.

Con un sorrisetto, ripresi la mia corsa e lo superai. “Spero che tu abbia capito che non sono in vena di chiacchiere”.

Lui non badò alle mie parole e mi raggiunse, afferrandomi un polso per bloccarmi. Prima che potessi protestare a dovere –rinfrescandogli la memoria riguardo a certe mutilazioni un tempo meravigliosamente frequenti- lui mi interruppe precipitosamente.

“Sei riuscita a convincere tua madre a mettersi al sicuro?”, chiese, sorprendentemente gentile. Sgranai gli occhi per qualche istante, stupita, poi scossi la testa, assottigliando le labbra. “Non ne ha voluto sapere, ovvio”, risposi amaramente.

“Mi dispiace davvero”. Mi limitai a fare spallucce. “Ormai non posso fare più niente, a parte cercare di proteggerla come possibile”. Lui annuì assorto per qualche istante, poi parve illuminarsi.

“Potrei aiutarti a convincerla!”. Lo squadrai, decisamente scettica. “Ma sì, insomma, potrei spaventarla al punto da farla fuggire da questa zona per un po’!”, disse entusiasta. Non riuscii a trattenere una risatina. Certo che era davvero idiota.

“Punto primo: tu non puoi entrare nella riserva. Punto secondo…”. Lo fissai un attimo, pregustandomi le prossime parole. Lui fremeva d’aspettativa. “Beh, diciamo che le pantofole con gli orsacchiotti di mia cugina Claire sono più terrorizzanti di te”.

Lo vidi sgonfiarsi di botto, mentre mi fissava con sguardo oltraggiato. “Stai esagerando!”, si difese, sfoggiando un broncio degno di un bambino delle elementari. Risi di nuovo, per un attimo dimentica della situazione –decisamente poco divertente- nella quale eravamo impantanati. Poi fece un buffo sussulto, ed iniziò a ridacchiare pure lui.

Fu in quel momento che mi accorsi davvero che le sue dita erano ancora intorno al mio polso. Il contrasto con la mia pelle bollente mi fece rabbrividire e, con uno scatto repentino, mi liberai.

“Tornatene a casa Cullen. Non vorrai far aspettare la tua Sabrina”, sibilai, improvvisamente irritata. Tutta colpa di quel contatto inaspettato ed indesiderato.

Per tutta risposta lui scoppiò a ridere. “La mia Sabrina? Andiamo, Leah! Lei è sposata con George da prima che io nascessi, praticamente! Come ti è venuta un’idea simile?”. Distolsi lo sguardo, cercando di nascondere l’imbarazzo che mi aveva sommerso senza preavviso. Durò solo un attimo.

“Era ovvio che giungessi ad una conclusione del genere, viste le smancerie che vi siete scambiati!”, perorai con convinzione. “Per me è come una madre, le sono molto affezionata. Così come lei mi considera alla pari di un figlio…un po’ strano, a dirla tutta, ma mi accetta così come sono”. Sorrise spensierato, contagiandomi un pochino con il suo buonumore.

“Beh, che sei strano ormai l’abbiamo capito tutti”, feci presente. “Già”, disse lui, fissandomi con i suoi occhi dorati ed incredibilmente acuti. Mi guardò per alcuni istanti, durante i quali divenni estremamente consapevole del battito del mio cuore, che pompava con una forza inaspettata.

“Sei gelosa, Leah?”. La domanda improvvisa mi spiazzò, facendomi sussultare leggermente.

“Non…dire assurdità!”, esclamai veemente. Lui fece un sorriso storto. “Già”, ripeté, “è assurdo pensare una cosa simile”, aggiunse meditabondo.

Il pulsare del sangue nelle vene trasmise un’ondata di calore in tutto il corpo, che associai all’irritazione per quello che poteva suonare un insulto alle mie orecchie. Io? Gelosa di lui? Ma per piacere!

“Penso che tornerò indietro”, disse poi. Io annuii, a disagio. “Va bene”. E feci per andarmene.

Di nuovo lui mi bloccò, stavolta prendendomi la mano. Il contatto con le sue dita gelide fu peggio di una scarica elettrica, che serpeggiò lungo il braccio.

“Ci vediamo domani?”, chiese rapidamente.

“Stanno per arrivare dei nuovi succhiasangue, è ovvio che io debba tenere d’occhio la situazione”, risposi con sussiego, aggirando la domanda e tentando di ignorare la sua stretta –fredda e delicata- che contribuiva a distrarmi.

Poi scossi leggermente la mano, abbastanza per fargli rendere conto che doveva staccarsi. Lui lo fece, ma troppo lentamente per i miei gusti.

Senza neanche salutarlo, mi voltai e corsi via veloce come solo io sapevo essere. Avevo moltissime cose da fare, non potevo certo lambiccarmi sui comportamenti eccentrici di una sanguisuga rompiscatole.

Sentii il cuore accelerare all’improvviso. Una normalissima reazione alla mia corsa forsennata.

Sicuramente.

Sicuramente non ero più capace di mentire a me stessa.

Maledizione!

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: e finalmente, dopo tre settimane, rieccomi qui! Per prima cosa vi chiedo scusa per la lunga attesa, ma tra esami, impegni e anche un po’ di mancanza di ispirazione (lo ammetto) non sono riuscita ad aggiornare prima, come invece speravo.

Con questo capitolo si scoprono –quasi tutti- gli altarini, mi auguro che sia stato comprensibile per tutti: mi rendo conto che ho cercato di esprimere un concetto piuttosto complicato e magari non ci sono riuscita alla perfezione. Fatemi sapere!

Noterete che ho un particolare debole per i poteri “imperfetti”: insomma, già i vampiri hanno delle capacità fuori dal normale, perché devono avere poteri superlativi e senza difetti?

Comunque spero che il capitolo vi abbia soddisfatto, direi che è stata messa parecchia carne sul fuoco. ^^ Il prossimo aggiornamento dovrebbe essere tra due settimane, quindi sabato 2 aprile.

Ringrazio come sempre tutti quelli che aggiungono la storia alle preferite, alle seguite e alle storie da ricordare. Ancora non riesco a capacitarvi di quanti siete!

Grazie anche a tutti quelli che leggono in silenzio, è anche merito vostro se continuo ad andare avanti!

Un ringraziamento più che speciale, infine, va a chi recensisce, perché mi date l’opportunità di migliorare e di rendermi conto dell’impatto che la storia ha sui lettori. Davvero, grazie!

Qualche giorno fa ho pubblicato una one-shot che partecipa ad un contest, indetto sul forum di EFP da Jakefan e Kagome_86. Il protagonista è uno dei nuovi licantropi a cui io stessa ho dato il nome e che già avete incontrato nel capitolo “Colpa – seconda parte”. Verrà menzionato nel prossimo capitolo, per ovvi motivi che comprenderete, in ogni caso qui c’è il link per la one-shot, per chi vorrà leggerla! ---> My Dawn

Di conseguenza, Harvest Moon è ufficialmente una serie! *gioisce da sola*

Vi invito a leggere anche le storie degli altri partecipanti, tutte linkate nel bando di concorso qui. Ve le consiglio, sono tutte delle piccole perle!

Detto questo, mi eclisso. Alla prossima!

Baci, chiaki

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Capitolo 23
*** Stranieri ***


Questo capitolo è dedicato alla mia adorata gem, che è sempre pronta a sostenermi in ogni momento difficile e a gioire con me nei momenti più belli. Un grazie non basta ad esprimere la gratitudine che provo nei tuoi confronti. Ti voglio bene, davvero.

 

 

STRANIERI

 

 

 

 

Ero uscita dalla riunione del consiglio più furibonda che mai. Era ovvio che ad accogliere i nuovi succhiasangue ci saremmo stati io, Jacob e Sam, in modo da rappresentare il branco, ma avevo sperato che Seth non mettesse becco in quel frangente. Speranze inutili, infrante non appena la parola “irlandese” aveva attraversato l’aria. L’avevo visto fremere, per poi incrociare il mio sguardo.

Fratellino idiota.

E alla fine si era proposto, senza che nessuno trovasse nulla da ribattere. Avrebbero dovuto sentire gli improperi che stavo lanciando mentalmente; ma, chissà perché, avevo deciso di non esternarli.

Mi stavo avviando verso casa a passo di marcia, ignorando il mio stupido fratello che trotterellava dietro di me, quando notai che una buona parte del branco si era riunita intorno a Tommy, il membro più giovane. Duncan gli teneva un braccio intorno alle spalle con fare cospiratorio, mentre Paul lo stuzzicava con le sue solite battute delicate come una mazza ferrata sui denti. Gli altri semplicemente gli stavano accanto, chiacchierando come se nulla fosse.

Apprezzai il tentativo di solidarietà, stranamente ben mascherato –per gli standard di quei ragazzoni la cui sensibilità toccava dei minimi storici. Anche io mi sentivo coinvolta dalle preoccupazioni di Tommy, ma l’andare a fare la simpaticona per tirarlo su di morale superava di gran lunga le mie capacità. Per molti motivi.

Avevo visto giusto pochi giorni prima la piccola Marie, esuberante e vivace come sempre. La sorellina di Tommy si era conquistata una specie di posticino speciale nel mio cuore non appena l’avevo conosciuta di sfuggita, attraverso i pensieri del fratello. Non ci eravamo mai presentate di persona, ma ero consapevole che il nostro unico punto in comune –ossia il gene mutaforma- mi legava in qualche modo a lei. Marie era tutto quello che io non potevo più essere; non la invidiavo, non più, ma mi ritrovavo a sperare con un’insolita veemenza che non venisse coinvolta nel mio stesso destino. E l’arrivo di uno squadrone di sanguisughe aumentava vertiginosamente le probabilità dell’ingresso di una seconda femmina nel branco. Strinsi i pugni, continuando per la mia strada. Odiavo essere così impotente.

***

Ci presentammo a casa Cullen in tarda mattinata. Mentre ci predisponevamo ad attendere il clan di Denali, Sam riferì alle sanguisughe che il consiglio aveva approvato la decisione di dar battaglia. Mi guardai un attimo in giro, notando –con una smorfia disgustata- che Fredrick e Amanda sembravano non essersi scollati dal giorno prima. George invece orbitava chiaramente intorno a Sabrina, tanto che mi stupii vagamente di non essermi accorta prima della loro relazione. Jeremy –manco a dirlo- sembrava fare di tutto per rompermi l’anima. Era sempre, perennemente, in mezzo alle scatole. Mi si ingarbugliava lo stomaco per il nervoso. Possibile che non sapesse comportarsi come una persona normale? Ma in effetti lui non era normale per niente, e l’avevo già appurato da un pezzo.

Ringraziando il cielo la famiglia di Denali arrivò poco dopo, dirottando l’attenzione dell’idiota platinato e dei suoi compari verso le educatissime presentazioni d’obbligo. Risposi con un cenno del capo al saluto generale che avevano fatto i nuovi arrivati, prima che mi venissero trapanate le orecchie a causa di uno strillo eccitato di Nessie. La vidi fiondarsi addosso alla vampira dai tratti ispanici con un entusiasmo sincero e travolgente: a volte dimenticavo che la mutante aveva solo sei anni e che, ogni tanto, qualche sprazzo di infantilità veniva fuori. “Carmen!”, disse contenta, mentre l’altra la abbracciava teneramente. “Mi querida, sei cresciuta così tanto!”. Il suo compagno, Eleazar, sorrise benevolo alla scena, per poi puntare i suoi occhi dorati verso i succhiasangue riuniti. “Nuovi poteri, vedo”.

Notai la vampira dai capelli rossicci –Tanya, come aveva ripetuto poco prima- avvicinarsi dapprima ad Edward e poi deviare con nonchalance verso il medico. “Carlisle, siamo venuti per darvi pieno sostegno”.

“Esattamente! Non possiamo rimanere fermi a guardare i Volturi strapparci tutto ciò che amiamo!”, scandì con voce tonante Garrett. Jeremy lo fissò, apparentemente ammirato, e tra i due corse uno sguardo fiero ed affine. Sbuffai: ci mancava proprio qualche problema in più.

Per fortuna ci pensò Kate a ridimensionare gli slanci guerrafondai del suo compagno, con una scossa elettrica ben piazzata. Non me la ricordavo così…simile a me. Certo, io probabilmente non mi sarei limitata ad una scossetta così blanda.

Cercai di ignorare l’ininterrotto cicaleccio di Carmen e Nessie e le chiacchiere di benvenuto di tutti, che trovavo decisamente fuori luogo. Non era un party, accidenti! Avremmo dovuto discutere il da farsi, le strategie da mettere a punto, non quelle banalità che si scambiano davanti ad un the all’inglese! Solo i succhiasangue potevano fare una cosa simile.

Sbuffando per la seconda volta nel giro di mezzo minuto, mi avviai verso la porta, intenzionata a dirigermi verso il giardino che al momento mi sembrava l’unico luogo di pace disponibile. Venni raggiunta quasi immediatamente da Rosalie.

“Ehi, lupastra”, disse, amorevole e cordiale come sempre.

“Oh, una psicopatica”, risposi sorridendo, soddisfatta dalla smorfia che si dipinse sul suo viso. “Comincio a credere che l’avere quel botolo pulcioso come alfa abbia degli effetti negativi anche sul lungo termine. Oltretutto voi cagnacci non vi sforzate mai di trovare degli insulti un po’ più fantasiosi. Siete decisamente monotoni”, ribatté, scuotendo con enfasi i lunghi capelli biondi. La fissai con sufficienza. “Stranamente gli insulti si rivelano sempre efficaci. E poi io non mi abbasso a scopiazzare Jake, semmai è lui che ha rubato l’appellativo”, mentii disinvolta.

Lei scosse la mano, come a scacciare le mie parole. “Piantiamola con queste assurdità. Lo sappiamo entrambe perché siamo uscite”. Annuii, improvvisamente seria.

“Non ne potevo più di quelle chiacchiere sconclusionate. Non quando c’è così tanto da fare”, dissi frustrata. “Lo fanno per mantenere una parvenza di calma. Non tutti sono teste calde come te”. La guardai storta.

“Sei preoccupata?”, chiese dal nulla, puntando gli occhi in lontananza. Io seguii il suo sguardo e sospirai leggermente. “Già”, risposi cauta. “E tu?”. Si voltò verso di me con un’espressione sarcastica. “Secondo te?”. Alzai gli occhi al cielo: odiavo quando mi si rispondeva con un’altra domanda. Poi riprese a parlare, assorta. “Sai…pensavo che non mi farebbe piacere se tu…insomma, contro i Volturi…ecco…beh, hai capito, no?”.

La guardai stralunata. Che cavolo stava cercando di dire quel ghiacciolo?

Sbuffò con poca eleganza. “Non voglio che ti facciano del male, va bene? Possibile che tu debba essere sempre così ottusa?”, brontolò dandomi le spalle. Restai in silenzio per un po’, riflettendo sui cambiamenti che aveva subito il nostro rapporto. Chi avrebbe mai immaginato che sarei diventata amica di una succhiasangue? Soprattutto se la succhiasangue in questione era Rosalie.

“Vale anche per me”, dissi con tono casuale. Come se le mie parole non avessero avuto il significato che invece possedevano. Un’ammissione, una barriera infranta. Un nuovo pezzo di me che avevo impiegato fin troppo tempo per scoprire. Lei girò la testa, lasciandomi intravedere giusto l’ombra di un sorriso attraversarle il volto. “Bene”, ribatté fingendo indifferenza. Restammo a fissarci come due allocche per qualche istante, per poi virare saggiamente su altri argomenti.

Parlammo per un po’ della situazione corrente e lei si informò su mia madre, con una sensibilità che in Rosalie era piuttosto rara. O meglio, era poco evidente. Battibeccammo un attimo, quando lei osò insinuare che Jeremy mi ronzasse intorno con troppa insistenza. Quante assurdità. Sapevo che lo faceva soltanto per assillarmi e rompermi le scatole, come al solito. Era sempre stato così.

“Non osare dirmi cosa devo fare, Jacob Black! NON OSARE!”, l’urlo furibondo di Nessie ci distrasse, un istante prima di vedere tutti gli occupanti della casa uscire rapidamente dal portone d’ingresso.

“Modalità ira funesta?”, chiese pigramente Rosalie. Alice annuì, vagamente divertita. Bella invece sembrava imbarazzata ed i succhiasangue non appartenenti alla famiglia Cullen lanciavano occhiate perplesse alla casa abbandonata, fatta eccezione per la mezza vampira e Jake. Io mi limitai a ridacchiare.

L’imprinting non era tutto rose, fiori e miele a profusione. Ogni tanto qualche lite capitava, ed era stato in occasione della prima che tutti si erano accorti della pericolosità della mutante quando era infuriata. Il suo potere prendeva il sopravvento al punto da colpire anche senza il consueto contatto fisico che di solito era necessario: immagini e pensieri frustavano i presenti in maniera decisamente non piacevole. Perciò la fuga di massa pareva la soluzione più congeniale.

“Jacob ha tentato di obbligarla ad andare in vacanza da sola in qualche punto remoto della tundra siberiana. Dice che lì sarebbe più al sicuro”, spiegò Edward a Rosalie.

Lasciai sfuggire uno sbuffo dal naso, giusto un accenno di risata. “Che hai da ridere?”, chiese una voce appena dietro di me. Voltandomi incrociai lo sguardo divertito di Jeremy, che si era spostato così rapidamente da non farmi neppure accorgere della sua presenza. Ed in mezzo a tutto quel tanfo vampiresco era ovvio che non riuscissi a percepire il suo odore. Aprii la bocca per ribattere qualcosa di irrimediabilmente velenoso quando dei rumori in lontananza ci distrassero. Istintivamente mi irrigidii, preparandomi all’eventuale scontro. Jeremy posò una mano sul mio braccio e sussurrò: “Stai tranquilla, penso che siano gli amici di Fredrick”. Mi rilassai immediatamente, riconoscendo che non poteva essere che così: Edward non stava dando nessun tipo di allarme, benché chiunque stesse arrivando fosse alla portata del suo potere. Le dita di Jeremy scivolarono via senza nessun incoraggiamento –per una volta- e si lasciarono dietro delle scie di pelle d’oca, dovuti alla differenza di temperatura.

Pochi istanti dopo dall’ombra degli alberi secolari sbucarono cinque figure dal portamento elegante: erano due femmine e tre maschi, tutti con lineamenti marcatamente orientali. Fredrick si avvicinò immediatamente ad una vampira con lunghi capelli corvini, che le scendevano in morbide onde fino alla base della schiena. Chissà come, il suo sguardo sereno mi infondeva tranquillità. Parlarono per qualche istante in una lingua che mi era del tutto sconosciuta, poi la nuova arrivata si rivolse a Carlisle.

Hajimemashite, Carlisle-san”, disse con un accento curioso e musicale, inchinandosi aggraziata. “Il mio nome è Kiyoko e questi sono i membri del mio clan. Tamaki e Ryuu…”, spiegò indicando due vampiri dall’aspetto totalmente opposto, uno alto ed allampanato, l’altro basso e tarchiato: sembravano estremamente affiatati. “…Shirou e Yumi”, completò gesticolando elegante verso una coppia di succhiasangue, immobili mano nella mano. Osservai con scarso interesse Carlisle fare le presentazioni di rito, tra l’altro decisamente lunghe: ormai si erano riuniti già ventitré succhiasangue. E ancora ne dovevano arrivare. Gemetti sconfortata.

“Percepisco altri poteri”. La voce calma di Eleazar sovrastò il chiacchiericcio, facendo voltare tutti verso i nuovi arrivati. Yumi sorrise, spostando una ciocca dei suoi capelli neri dietro l’orecchio. Erano identici a quelli di Joshua, in lunghezza e colore. Una fitta di nostalgia mi attraversò senza preavviso, ricordandomi che non era possibile seppellire tutti i dolori.

La voce della succhiasangue mi riscosse, riportandomi al presente. “Ho il potere di controllare l’acqua. Niente di esagerato, ovviamente, perciò non aspettatevi tsunami o temporali che si scatenano da un momento all’altro”. Il suo accento era più marcato, fatto di vocali allungate e consonanti calcate.

Il capo del clan proveniente dal Giappone –così avevano detto- tese la mano verso Eleazar. “Penso che il mio potere sia perfettamente percepibile da tutti”, modulò dolcemente. Un senso di vago benessere scese subito su tutta la compagnia, com’era evidente dagli sguardi rilassati di tutti i presenti. Eleazar annuì. “Assomiglia a quello della defunta Didyme, che rendeva felici tutti coloro le stavano intorno. Tu invece metti tutti a proprio agio, a quanto pare”. Kiyoko si limitò ad annuire tranquilla. Nessie e Jacob, nel frattempo, sembravano aver concluso la loro sessione intensiva di litigio tra innamorati. Si presentarono anche loro, ed infine tornarono tutti in casa. Che iniziava ad essere decisamente sovraffollata.

***

Nel pomeriggio arrivarono anche Benjamin e Tia, giusto in tempo per incrociare Alice e Jasper in partenza verso il Sudamerica, alla ricerca delle Amazzoni. Come al solito i succhiasangue si erano lasciati andare ad entusiastiche e smielate dimostrazioni d’affetto, felici per la riunione dopo tanti anni. Che fosse in un’occasione tutt’altro che piacevole, ovviamente, non importava a nessuno.

Ero incastrata in un angolo con Sam e Seth, che per una volta non sembravano impazienti di mescolarsi con le sanguisughe, e parlavamo dell’organizzazione per l’imminente scontro. Ad un tratto Seth alzò lo sguardo verso la porta alle mie spalle.

Inspirò violentemente e sentii il suo cuore accelerare all’improvviso: il battito era così sonoro da sembrare uno dei tamburi utilizzati durante le festività Quileute. Un lampo di comprensione attraversò la mia mente, confermato dai suoi occhi spalancati ed assorti. Mi voltai di scatto, irrigidendomi alla vista di una figura incorniciata dalla porta d’ingresso.

Maggie si stagliava nel riquadro di luce, sorridente ed ignara dello sconvolgimento che stava portando. Subito dopo di lei entrarono Siobhan e Liam, accolti da benvenuti calorosi. Rabbiosa, pestai un piede a Seth, che era ancora imbambolato: fui ripagata da un’occhiata astiosa ed indispettita, prima che anche lui si unisse all’accoglienza dei succhiasangue irlandesi. Osservai dal mio angolino la conversazione tra Siobhan e Carlisle, il quale volle a tutti i costi sperimentare il potere di Jeremy sulla vampira. Come previsto, Siobhan non era sensibile al controllo di quel cretino dai capelli troppo biondi, confermando l’ipotesi che quella sanguisuga irlandese possedesse il potere della volontà. E io che pensavo di aver visto di tutto nella mia vita.

Strinsi i pugni con violenza nel vedere Seth avvicinarsi a Maggie. Tentai di respirare profondamente per calmarmi, ma l’unico risultato fu che la zaffata di odore vampiresco mi colpì al punto da stordirmi. Chiusi gli occhi, portando le dita alle tempie.

“Tutto bene?”. La voce gentile di Jeremy mi riscosse. Lo guardai un istante, leggermente annebbiata dal puzzo esagerato e dalla rabbia. Poi lo sorpassai senza rispondere e guadagnai la porta in quattro rapide falcate.

Mi fermai solo quando riuscii a respirare un po’ di aria pulita. Non mi stupii nel vedermi raggiungere immediatamente dall’idiota che era la mia palla al piede da ormai cinque –lunghissimi- mesi.

“Cosa ti succede?”, domandò, con una punta di quella che sembrava…preoccupazione? Impossibile. “Puzza”, grugnii appoggiandomi ad un albero. “Oh. Preferisci che me ne vada?”. Scrollai le spalle, indifferente. Anche se glielo avessi chiesto non l’avrebbe mai fatto. E ormai al suo odore mi stavo abituando, senza contare che era sicuramente meno spiacevole di quello di ventotto vampiri messi insieme. “Dimmi cos’hai”. Non più una domanda, ma un ordine malcelato. Gli lanciai un’occhiataccia.

“Mi sono improvvisamente ricordata del motivo per cui odio così tanto voi succhiasangue”, sibilai velenosa e cattiva come non lo ero da tempo.

“Cioè? E perché proprio adesso?”, domandò apparentemente rilassato. Tuttavia la tensione dei suoi tratti lasciava intendere tutt’altro.

“Perché…si stanno ricreando le stesse condizioni”.

“Temo di non capire”, ribatté lui, con un accenno di frustrazione nella voce. Sbuffai.

“La sorella di uno dei membri del branco rischia di diventare come me”, spiegai glaciale, piantandomi le unghie nei palmi.

“Ossia bella, forte e…pelosa?”, ridacchiò spensierato. Ringhiai furibonda. “No, maledizione! Tu non capisci, sei solo un idiota!”, gli urlai in faccia.

Si avvicinò di qualche passo, fino a trovarsi di fronte a me. “Allora spiegami”, disse con semplicità.

Abbassai lo sguardo a terra, sospirando. Per una volta sentivo davvero il bisogno di riversare fuori i miei pensieri. “Odio quello che sono. Uno scherzo della natura, un errore che non dovrebbe esistere. Nessuna donna era mai diventata licantropo, prima di me. Ti posso assicurare che non è per niente divertente condividere i pensieri di un branco di maschi più o meno arrapati, soprattutto se uno di questi è il tuo ex-fidanzato. Se a questo si aggiunge il fatto che sono entrata in menopausa a vent’anni forse riesci a capire perché vi odio con tutto il cuore. Se i succhiasangue non ci fossero, io non sarei diventata così. Infelice. Condannata”.

Lo percepii avvicinarsi ancora, ma non mi aspettavo di sentire le sue braccia avvolgersi delicate intorno alla mia schiena e spingermi leggermente contro il suo petto. Avvertii il suo torace gonfiarsi un paio di volte, lento e tremante, quasi a scatti, sfiorando il mio. “Mi dispiace, Leah”.

Restai ferma per qualche istante, pietrificata dallo stupore. Poi mi divincolai piazzandoli un calcio nello stomaco. Lo osservai rialzarsi, tentando di ignorare il martellare del mio cuore contro le costole. Non mi aspettavo minimamente un gesto simile da parte sua…

“Cercavo solo di confortarti. Sembravi triste”, brontolò massaggiandosi la pancia. Respirai affannosamente. “Non…beh, insomma…non era necessario”, dissi, incespicando nelle parole. “Questo tuo tentativo non mi farà piacere di più i succhiasangue, sappilo”.

Sorrise, finalmente tornato in posizione eretta. “Non l’ho fatto per quello”. Scrollai le spalle.

Restammo in silenzio per un po’, interrotti solo dallo stormire delle foglie nel vento fresco. Era una bella giornata, nuvolosa ma con meno umidità del solito, per gli standard della zona di Forks.

“Perché sei arrabbiata con tuo fratello Seth?”, chiese di punto in bianco. “Mmmh?”, mugugnai fingendo di non capire.

“Sai, è abbastanza evidente. Quello che non è evidente è la motivazione”, disse inclinando la testa da un lato. Il suo codino scivolò in avanti, catturando il lieve bagliore del sole che aveva appena fatto capolino. Sbuffai, mettendo da parte il desiderio di toccare quei capelli. Per strapparli, ovviamente.

“Quel cretino di mio fratello si è preso una cotta per la succhiasangue irlandese. E una cosa del genere non può esistere!”, esclamai veemente. Lui rimase zitto per un po’ e si morse il labbro inferiore.

“Perché?”, domandò infine.

Risi senza allegria. “Uno è un licantropo, l’altra una vampira. Non ti basta? Due specie diverse, così lontane da rendere inconcepibile una relazione”.

“Lui è un mutaforma”, chiosò. Agitai la mano davanti al suo naso. “Siamo comunque nemici giurati, al di là dell’alleanza che abbiamo sviluppato nei momenti di emergenza”.

“Ma Rosalie è tua amica. E anche io”, insinuò subdolo.

“L’amicizia è diversa”, risposi secca, iniziando a scorgere crepe nelle mie ferree convinzioni.

“È comunque una forma d’affetto. E l’amore è la forma d’affetto più pura e assoluta che ci sia, in grado di travalicare ogni confine ed ogni differenza”.

“Per piacere, evita di propinarmi questi squallidi cliché. Andavano di gran moda al tuo tempo, ma adesso sono superati, lo sai?”, lo derisi senza pietà. Il suo sguardo si fece duro.

“Ti sei innamorata anche tu, Leah. O mi sto sbagliando?”.

“Anni fa. E di un uomo”, precisai, cercando di capire dove volesse andare a parare con quella discussione.

Sorrise come un giocatore di poker con in mano una scala reale. “Quando il tuo Sam ha avuto l’imprinting hai rinunciato immediatamente a lui?”. Mi ritrassi di riflesso, senza essere in grado di nascondere abbastanza in fretta lo stupore e il disorientamento.

“Non c’entra nulla”, tentai di svicolare.

“Rispondimi, per favore”.

Allargai le braccia con fare esasperato, esplodendo. “E va bene! Sono rimasta innamorata ancora a lungo! E con questo? Non c’è nessun nesso con la questione di Seth!”, urlai.

“Come puoi imporre a tuo fratello di soffocare un sentimento che tu stessa hai provato, in tutta la sua forza? Lui ha una possibilità, cosa che tu, all’epoca, non hai avuto. Vuoi negargli l’opportunità di essere felice?”.

Sembrava credere davvero in quello che diceva. Ma io non potevo accettarlo.

Non potevo. Perché avrebbe comportato una serie di conseguenze e di ammissioni che non ero disposta ad affrontare. Non ancora.

“Dovresti superare questa storia dei “nemici giurati”. Non ha senso, Leah. Lo sai”, disse infine, piantando i suoi occhi nei miei. Il suo sguardo era estremamente serio e pieno di sottintesi. Per me, che ormai avevo imparato a conoscerlo, era impossibile non notarlo.

Abbassai la testa, stringendomi i pugni dietro la schiena. “Sarà”, bisbigliai sottovoce.

Tanto era inutile tentare di coprire con altri suoni il battito del mio cuore, intenso come non era da tempo.

Non doveva accadere.

Sono un’idiota.

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: eccomi qui puntuale! Questo è un capitolo di transizione come avrete notato ed introduce quelli che dovrebbero essere gli ultimi personaggi creati da me. Come al solito preferisco che siate voi a commentare il capitolo, spero davvero che vi sia piaciuto!

Ringrazio tutti coloro che aggiungono la storia alle seguite, alle preferite e a quelle da ricordare. Ognuno di voi è importante per il proseguimento della fanfiction, mi incoraggiate davvero moltissimo. Un grazie va anche, ovviamente, ai lettori silenziosi: mi auguro di continuare ad incontrare la vostra approvazione.

E naturalmente un ringraziamento speciale a tutti coloro che recensiscono, le vostre parole sono importantissime per me.

Come sempre, commenti e critiche (anche negative, non trattenetevi) sono più che graditi.

Linko nuovamente la mia ultima shot “My Dawn”, che ha come protagonista Tommy (che viene nominato all’inizio di questo capitolo) e che si è classificata seconda al contest “Quando divenni un lupo” indetto da Jakefan e Arahan86 sul forum di EFP.

Vi consiglio di visitare questa pagina DeviantArt, sono state aggiunte nuove fanart di Harvest Moon! Girate un po’ nella galleria di questa artista, è davvero bravissima e piena di talento!

Al prossimo capitolo, tra due settimane!

Baci, chiaki

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Capitolo 24
*** Strategie ***


Questo capitolo lo voglio dedicare a  Jora Sana  e a  Mary_(sorpresa!), che sono state tra le recensitrici più frequenti. Grazie, ragazze, non potevo dimenticare il vostro sostegno.

Baci, chiaki

 

 

STRATEGIE

 

 

 

Le Amazzoni arrivarono una settimana dopo l’incontro con i succhiasangue giapponesi. A quanto pareva c’era stato qualche problema nel rintracciarle, nonostante il potere di Alice.

Le osservavo da lontano, stupendomi nel pensare che forse loro erano le succhiasangue che sopportavo con più facilità. Donne selvagge, indipendenti, forti. Libere.

Come avrei voluto essere io, molte volte.

Nonostante la puzza terrificante, non ero in grado di stare lontana da casa Cullen. Ogni giorno speravo in un cambiamento, in un improvviso attivarsi delle sanguisughe in vista della battaglia.

Invece tutto continuava come sempre, con una monotonia che faceva a pugni con il mio desiderio crescente di combattere e distruggere ciò che ci minacciava. Tutta la situazione era così sfiancante da darmi l’impressione di nuotare in un vasetto di miele: appiccicoso, denso, stucchevolmente dolce. E continuavo a sbattere contro le pareti del barattolo.

Perché nessuno si muoveva, accidenti?!

Come in risposta ai miei pensieri, vidi Jeremy dirigersi verso la porta. Si voltò verso di me, incrociando il mio sguardo accusatorio e vagamente curioso. Dove cavolo stava andando?

Fece un cenno con la testa, invitandomi a seguirlo. Restai ferma per un po’, a braccia incrociate, prima di dirigermi verso la porta: un infantile tentativo per rimarcare la mia indipendenza. Io non seguivo lui. Semplicemente, in alcuni momenti ed in modo del tutto accidentale, la mia strada correva parallela alla sua. 

“Finalmente, pensavo non arrivassi più!”, disse allegramente. Perfetto, anche lui si lasciava contagiare dal clima disteso -ed assurdo- presente. Sbuffai.

“Che vuoi, idiota?”, lo apostrofai.

“Pensavo di andare a caccia, preferisco tenermi in forze per ogni eventualità”. Annuii, rendendomi conto che lui non si era fatto contagiare da niente e da nessuno: stava soltanto mantenendo il suo solito atteggiamento spensierato, senza dimenticare, tuttavia, la situazione pressante in cui ci trovavamo.

“D’accordo”, gli risposi seccamente. Poi mi avviai verso gli alberi, all’ombra dei quali mi trasformai rapidamente. Era da un bel po’ che non correvo in forma lupesca. Rimasi stupita dal sollievo e dalla sensazione di benvenuto che il mio corpo stava dando al lupo che era in me.

Mi scrollai come un cane appena uscito dall’acqua, riprendendo confidenza con le mie zampe muscolose e scattanti. Feci un ghigno letale mentre trotterellavo tranquilla verso Jeremy, che lui prese come un invito a muoversi.

“Avevo davvero bisogno di allontanarmi da tutta quella confusione”, sospirò durante la corsa. Lo fissai dall’alto, stupita. Da quando lui aveva voglia di solitudine? Quella che aveva la prerogativa di tale atteggiamento ero io, in genere. Mi ricordai all’improvviso delle parole che mio padre mi rivolgeva quando, ostinata come ero sempre stata, mi impuntavo su una certa opinione e non ero in grado di cogliere nient’altro.

Il mondo non è tutto bianco o tutto nero, Leah. Sono le sfumature di grigio a dominare, sempre.

Non avevo mai capito se il colore del mio pelo fosse casuale oppure una cosmica presa in giro nei confronti della mia testardaggine.

“Lupacchiotta, tutto bene?”, chiese Jeremy, attento come sempre alle mie espressioni. D’altronde era il nostro unico modo di comunicare quando io mi trovavo in quella forma. Mossi su e giù il muso un paio di volte, poi lasciai che quell’imbecille mi superasse per raggiungere la sua preda che già avevo fiutato.

Per una volta, osservai davvero la sua caccia. Non era elegante nelle sue movenze, o almeno non quanto altri succhiasangue che avevo avuto la disgrazia di vedere. Ma neppure sgraziato. Era semplicemente…misurato. Mi sarei aspettata di tutto da lui, non di certo quello. Forse perché faceva a pugni con il suo carattere scanzonato, irriverente e sconsiderato; eppure possedeva il potere del controllo. Finalmente mi stavo rendendo conto che Jeremy era una contraddizione vivente. D’accordo, non-vivente, ma non era il caso di essere pignoli.

Forse, sotto la superficie, c’era molto di più da vedere. Un forse grande come una casa, ovviamente.

Distratta da questi sgraditi pensieri, non mi resi conto che l’imbecille aveva finito il pasto. In mancanza di passatempi normali, decise di assillarmi con uno dei suoi scherzetti. All’improvviso lo sentii usare il suo potere su di me: benché immersa nei miei pensieri fino ad un istante prima, riuscii a liberarmi velocemente dal suo controllo, saltando indietro di riflesso. Un sinistro straap raggiunse le mie orecchie.

Merda.

Mi girai verso le zampe posteriori, pregando di aver frainteso il rumore. Imprecai di nuovo. Senza dire un’altra parola –e senza guardare quell’idiota- mi nascosi dietro dei cespugli fitti e tornai nella mia forma umana. Presi tra le mani il mio vestito, valutando il danno. Perfetto. Mi aveva accompagnato per quasi sette anni e grazie a Jeremy era da buttare. Si era impigliato in un ramo nel momento in cui ero saltata indietro e si era rovinato irreparabilmente. Non mi interessava nulla della moda, ma quel vestito era davvero comodo. Lo indossai lo stesso, decisa a tornare a casa di volata per cambiarmi. E ovviamente non potevo presentarmi davanti alla porta munita di pelo e zanne.

“Torniamo indietro”, dissi caustica. Lui sgranò gli occhi, fissandomi. “La pianti?”, sbraitai arrossendo un pochino. Balbettò qualche scusa e, dopo un attimo di incertezza, mi precedette.

Accidenti a lui! Poteva almeno fingere di non aver notato il considerevole strappo che attraversava la parte inferiore del mio abito, scoprendomi fino a metà coscia. In fondo era sua responsabilità se ero in quelle condizioni.

***

Arrivata a casa mi stesi di malagrazia sul letto, gettando in un angolo quel pezzo di stoffa ormai inutile. Chiusi gli occhi e sospirai, decisa ad approfittare di quel momento per riposarmi. Non volevo pensare, non volevo paragonare quel vestito a me stessa e cadere in un baratro di sterili considerazioni che mi avrebbero solo portato ad un’inquietudine estremamente controproducente, visto lo stato delle cose. Sprofondai in un sonno agitato, dal quale venni svegliata alcune ore dopo da un raggio di sole che colpiva direttamente le mie palpebre serrate.

Una volta scesa in cucina, notai un pacco informe appoggiato sul tavolo. Lo scrutai, vagamente curiosa. Un biglietto faceva bella mostra di sé proprio lì accanto, recante la dicitura “per Leah”.

“Me l’ha fatto avere Jeremy”, disse mite Seth, che era appena entrato nella stanza. Lo guardai un po’ scettica, poi riportai la mia attenzione sul pacchetto. Potevo facilmente immaginare cosa contenesse, viste le scuse accorate scritte sull’altro lato del bigliettino.

Beh, in fondo un vestito mi serve. Potrebbe risparmiarmi un’odiosa seduta di shopping.

Lo scartai velocemente, fingendo di non percepire lo sguardo perforante di Seth fisso sulla mia nuca.

L’abito era semplice, molto simile a quello che avevo già. Quello che mi lasciò completamente basita fu il colore.

Vivace, allegro. Un giallo spento che non aggrediva gli occhi, ma che sicuramente era più appariscente di qualsiasi altro colore avessi mai indossato.

È così inadatto a me

Io ero anonima, cupa, fredda. Grigia. Quel giallo diceva tutt’altro. Perché Jeremy aveva scelto proprio quel colore? Non potei fare a meno di chiedermelo, era più forte di me.

Resta ancora il fatto che di un vestito ho bisogno, ed in fretta.

“Vado a cambiarmi”.

***

Stare in casa Cullen era diventato parte della quotidianità, ormai. Eppure il senso di irrequietezza si faceva ogni giorno più intenso, insopportabile. Ero muta testimone dell’evolversi dei rapporti tra le sanguisughe: il clan di Jeremy si era integrato perfettamente con la famiglia Cullen, e soprattutto Sabrina pareva aver stretto amicizia con Alice. Yumi ed il suo compagno, Shirou, erano estremamente benvoluti e la presenza tranquillizzante di Kiyoko era perennemente richiesta, persino con delle scuse patetiche. Tamaki e Ryuu erano sempre per i fatti propri, stretti come due fidanzati, eppure quella loro riservatezza non suscitava ostilità. I clan che già conoscevo e che si erano riuniti sei anni prima trovavano che il modo migliore di passare il proprio tempo fosse chiacchierare ed andare a caccia per nutrirsi. Come se tutto fosse stato una vacanza imprevista.

Queste costatazioni non facevano altro che premermi addosso, mi spingevano verso una solitudine che stavolta era sgradita. Una sensazione di formicolante timore si faceva strada alla bocca dello stomaco, unita –o forse direttamente conseguente?- alla consapevolezza che stavamo andando incontro ad un grande pericolo totalmente impreparati.

La tensione nei miei muscoli aumentava e mi faceva tremare di rabbia. Era per questa fiera delle vanità che io avevo accettato, insieme ai miei fratelli, la presenza dei succhiasangue?

No.

No.

Avvertii i miei pensieri esplodere, travolta dalla frustrazione e dalla paura. Vidi Edward barcollare leggermente, per poi puntare i suoi occhi verso di me in un’espressione sofferente e –per una volta- non ostile.

Se capisci quello che sto provando, perché non fai nulla?

Il mio urlo interiore parve riscuoterlo un istante, prima che si voltasse da un’altra parte, ignorandomi totalmente.

“Va tutto bene?”. La voce di Jeremy era stranamente di conforto, in quella casa in cui quello che provavo veniva così brutalmente calpestato.

“Certo”, risposi amara. “Va tutto benissimo”.

Non pensare che sia finita qui, leggipensieri.

***

Avevo riflettuto tutta la notte sul pessimo andamento della situazione ed ero giunta ad una conclusione. Se i succhiasangue non avevano intenzione di darsi una mossa l’avrebbe fatto il branco. Ero la beta di Jake, perciò la mia voce aveva un certo rilievo e stavolta non mi sarei fatta scrupoli. In mattinata convocai tutti i fratelli, quasi stupendomi del mio spirito d’iniziativa. Ma non ero mai stata una che si piangeva addosso: potevano essere cambiate tante cose, tuttavia non avrei mai permesso a nessuno di mettermi i piedi in testa o minacciare la mia famiglia.

Tremate, tremate, Leah Clearwater è tornata.

Ridacchiai da sola per quello sciocco ritornello che per un attimo era risuonato nella mia mente.

Si presentarono tutti, prevedibilmente perplessi. Tuttavia mi resi conto che la perplessità derivava soltanto dal fatto che ero stata io a convocare la riunione e non dalla riunione stessa.

Il branco scalpitava, voleva mettersi in moto. In quel momento seppi che avevo fatto la scelta migliore. Riportai le mie proteste a Jacob e Sam, sottomettendomi alla loro giusta autorità.

“Siamo troppo fermi, non è nella nostra natura. Il momento dello scontro si avvicina e tutto quello che stiamo facendo è guardarci negli occhi e lustrarci il pelo. Sono stufa. Stufa marcia. O ci diamo una smossa e ci organizziamo come si deve –possibilmente pressando anche quelle stupide e vanesie  sanguisughe- oppure contate pure un membro in meno nel branco. Non me ne andrò, ma mi muoverò da sola. A voi l’ardua sentenza”. Lasciai trasparire una vena canzonatoria solo alla fine del discorso: non volevo rischiare di suonare troppo dura ed acida, i due alfa avrebbero potuto sentirsi feriti nella loro virilità per quella mia ribellione. E non era quello che mi serviva.

L’intero branco parve trattenere il fiato mentre Jake e Sam si fissavano. Una sottospecie di conversazione mentale, totalmente fasulla e fatta apposta per innervosirci e tenerci sulla corda. Trattenni uno sbuffo.

“D’accordo”, disse infine Sam. “Leah ha ragione, dobbiamo metterci al lavoro. E dobbiamo parlare con i vampiri, ci servono le loro informazioni e il loro aiuto”.

Un eccitato mormorio di consenso fu la risposta alle sue parole. Anche io annuii, consapevole che quella era la strategia più corretta, per quanto non fosse di certo la più piacevole.

***

“Trovo che abbiate perfettamente ragione”. La voce sicura ed autoritaria di Jasper fu la prima che si levò dalla compagnia riunita nel prato di fronte a casa Cullen. C’eravamo tutti, vampiri e licantropi. Sam aveva appena fatto presente le nostre intenzioni, premendo soprattutto sulla necessità di organizzarsi.

“Ci servono tutte le informazioni possibili su quei vampiri italiani”, disse Jacob, serissimo.

“Penso di potervi aiutare, in questo”. Eleazar era una risorsa preziosa in quel frangente: tutti si misero in attento ascolto. “Conoscete già le capacità di Aro e della maggior parte della guardia. Posso aggiungere qualcosa su Afton e Corin, tuttavia ritengo che siano minacce decisamente inferiori rispetto agli altri. Il primo è in grado di creare l’illusione della decomposizione del corpo: sicuramente inquietante, ma è nulla in confronto al potere di Alec. Corin invece è la cosiddetta “dama di compagnia” delle mogli, il suo potere è identico a quello di Kiyoko, con la cruciale differenza che la sua presenza diventa pari ad una droga. Impossibile staccarsi da lei, ci vorrebbe un’enorme forza di volontà”.

“Quindi dobbiamo riflettere sui loro poteri e su come contrastarli, in sostanza”, interloquì Siobhan, ragionevole.

“Temo che non sia così semplice”, ribatté immediatamente Jasper. Parecchi sguardi si puntarono su di lui, apertamente interrogativi. Lui si passò una mano tra i capelli biondi, pensieroso. “I Volturi non sono stupidi. Sono perfettamente a conoscenza dei nostri poteri e sanno che con le armi che avevano a loro disposizione sei anni fa di certo non otterrebbero la vittoria. La spiegazione logica è una sola, sfortunatamente”.

“Hanno nuove risorse”, sentenziò cupo Garrett, accanto ad una preoccupata Kate. Una ventata di tensione si abbatté sulla compagnia: tutti si mossero, anche se di pochissimo, preda di un’agitazione insinuante e gelida. Persino io ebbi un tremito.

“Di cosa potrebbe trattarsi?”, chiese Carlisle, fissando il nulla. Jasper fece spallucce. “Qualsiasi cosa. Anche se un sospetto l’avrei”, aggiunse titubante.

“Ebbene?”, domandai caustica. Dio, quanto odiavo quelle scenette fatte per incrementare la suspense. Ne avevamo proprio bisogno.

“Renata. Il suo potere si è sempre propagato per contatto. Ma da quando Aro ha visto Bella e le sue capacità, come minimo avrà messo sotto pressione Renata affinché facesse lo stesso. Inoltre lei sono decenni che ha confidenza con il suo potere e ha avuto sei anni per perfezionarsi, nel caso”.

“Quindi che si fa?”. Il vocione di Paul sovrastò il nervoso chiacchiericcio che aveva iniziato a diffondersi.

“Posso bloccarla io, credo”, disse incerto Jeremy, pochi passi alla mia destra. I nostri sguardi si incontrarono giusto un istante, durante il quale vidi davvero la portata della sua determinazione. Non ci avrebbe abbandonati per nessun motivo. Lo compresi con la stessa sicurezza con cui sapevo che odiavo la marmellata di albicocche. E ne fui lieta, in qualche modo.

“Almeno questa volta dobbiamo essere preparati, e non spartirci gli avversari sul campo di battaglia. Soprattutto combattendo da soli”, s’intromise Garrett, tutto compreso nel suo ruolo di soldato di ventura.

“Esatto. Preferirei che stavolta combattessimo almeno in coppie. Sarebbe un’ottima idea combinare anche i poteri”, aggiunse Jasper.

“Noi ci organizzeremo in gruppi in base all’esperienza sul campo”, disse Sam, annuendo.

“Io posso accecare tutti per alcuni istanti, ci garantirebbero almeno un certo margine di vantaggio”, propose rapidamente Zafrina. Prevedibile.

Intervenne anche Yumi, disinvolta e propositiva come sempre. “Potrei far piovere delle lame di ghiaccio su di loro. Purtroppo non sono abbastanza violente da ferire, ma potrebbe distrarli o rallentarli”.

“Se tu le crei, io posso tenerle sospese. C’è qualcuno che può farle muovere velocemente?”. La voce svagata di Fredrick venne dapprima accolta con occhiate di palese scetticismo, finché non parlò anche Benjamin. “Un’energica folata di vento può fare al caso vostro?”. Sia Yumi che Fredrick annuirono sorridendo.

“Toccando un vampiro potrei creare delle illusioni, confondendoli e facendo credere che l’attacco venga da un’altra direzione”. Il ringhio di Jacob bastò a far capire perfettamente chi aveva lanciato quell’idea.

“Non se ne parla”, sentenziò fermamente. Nessie lo fulminò con lo sguardo.

“Ottimo. Volevo chiederti di affiancarmi, ma non importa, a questo punto. Me la caverò da sola”.

“Non te lo lascerò fare, Ness”. C’era una sfumatura di intensa preoccupazione nella voce dell’alfa, così forte da ripercuotersi persino su di noi, in una certa misura.

Lei si erse fieramente in tutta la sua –scarsa- statura. Inspirò a fondo, prima di ribattere: “Non ti basterà legarmi al letto, Jacob Black. Se non vuoi combattere con me, lo farò da sola. Non sto scherzando, Jake”. La sua determinazione sembrava incrollabile: stavolta il poveraccio non avrebbe avuto vita facile.

Beh, niente di diverso dal solito.

Jasper si schiarì la voce in modo del tutto artificioso. “Altre proposte?”, disse, tentando di ignorare i due fidanzati che si guardavano in cagnesco.

***

Il resto del pomeriggio passò così: si discuteva delle strategie, dei gruppi da organizzare, degli allenamenti che si sarebbero tenuti nelle settimane rimanenti.

Troppo poche.

Io sarei stata in gruppo con Alex e Sebastian, i due fratelli novellini. Non avevo trovato nulla da ridire: i due erano affiatati e, all’occorrenza, si sottomettevano alla mia autorità.

Al tramonto decisi di staccarmi da quella puzzolente riunione e andare a fare quattro passi. Ormai le linee generali erano state tracciate, il resto del lavoro ci attendeva nei giorni successivi. Non mi stupii nel vedermi seguita da Jeremy, che sembrava soffrire la mancanza dei nostri battibecchi.

Vallo a capire.

Mi appoggiai con un sospiro ad un tronco illuminato dai raggi del sole morente, felice di poter godere di quegli ultimi sprazzi di una rara giornata soleggiata. Chiusi gli occhi, totalmente rilassata. Lo sentii avvicinarsi a dove mi trovavo, per poi fermarsi a qualche passo di distanza.

“Sei soddisfatta, ora?”, chiese. Anche se non potevo vederlo, era facile immaginare il sorriso che aveva sicuramente dipinto in volto. Sorrisi a mia volta. “Già”, risposi lapidaria.

Scese il silenzio. Quel tipo di silenzio pacifico, per nulla imbarazzante, quasi confortevole. Un silenzio che prelude spesso le sentenze più sorprendenti. O le più sofferte.

Come nel mio caso.

“Grazie”, dissi, spezzando quegli attimi di quiete. Tenni gli occhi saldamente chiusi, mentre continuavo a parlare. “Per il vestito, intendo. Non mi capita spesso di ricevere regali, a parte quelli che arrivano da Seth o da mia madre. Quindi…sì, insomma…grazie”. Non avevo voglia di vedere i suoi occhi allargarsi dallo stupore, o la sua bocca spalancarsi come quella di un idiota. Già avevo fatto fatica ad esprimere dei ringraziamenti…

Lo sentii invece avvicinarsi di nuovo, passo dopo passo. Era vicino. Forse troppo. Voleva farmi un altro dispetto?

Il mio cuore sussultò violentemente quando percepii qualcosa di freddo e delicato sfiorarmi la guancia. Non erano le sue dita. Erano le sue labbra.

Spalancai gli occhi, respirando velocemente per l’ovvio sbalordimento.

Sbalordimento, come no.

Il suo viso era esattamente di fronte al mio, illuminato dalla luce del sole. Il tramonto faceva brillare la sua pelle in modo discreto, evidenziando il naso dritto e sottile, la fronte alta, le labbra piegate in un sorriso storto. L’ovale del volto era accarezzato da ciocche bionde sfuggite –come succedeva sempre- dal suo codino. Beh, non era male, tutto sommato.

La mia mente turbinò di fronte a quell’ammissione. L’avevo mai guardato davvero?

No.

Sempre troppo occupata ad ignorarlo, a picchiarlo o a litigarci per un nulla. Troppo occupata ad uscire dalla gabbia che mi ero costruita. Ma adesso ero libera di vedere. Anzi, di guardare.

Sentii una stretta allo stomaco mentre lui si chinava verso di me. Non riuscivo a muovermi.

Non volevo muovermi.

Quando avevo permesso a quella sanguisuga da strapazzo di oltrepassare tutte le mie difese, fino a raggiungermi? Perché stare con lui, nonostante i battibecchi e le frecciatine, riusciva a farmi sentire bene?

Stupido muscolo, piantala di fare casino.

Decisamente la mia autorità non si estendeva al cuore, che sembrava godersela un mondo nel battere come un forsennato.

E Jeremy continuava a guardarmi, come se fosse stato consapevole di tutti i miei pensieri fino a quel momento. Accarezzò leggermente il punto in cui mi aveva appena baciata –baciata, maledizione!- con un sorriso ancora più largo di prima. Poi si sporse ancora di più, finché il suo respiro gelido non colpì la mia pelle. Le sue dita si appoggiarono dapprima sul mio polso per poi scivolare verso il dorso della mia mano, lasciandosi dietro una scia di freddo bruciore.

Quando tentò di intrecciare le sue dita alle mie tutti i miei allarmi interiori suonarono in una volta sola. Mi scossi dall’annebbiamento e mi allontanai di botto.

Deglutii a vuoto mentre lui mi guardava palesemente deluso. Era nella stessa posizione di un istante prima, solo il suo volto era voltato verso di me.

Accidenti, Jeremy, non guardarmi così.

Strinsi i pugni. Il mio cuore non accennava a diminuire la sua frenetica attività, ma adesso i battiti facevano male. Non sapevo se era per colpa del suo sguardo –adesso tormentato- o della comprensione che ormai era filtrata nella mia mente.

Stupida! Stupida! Stupida!

Mi voltai e corsi via, senza aggiungere una sola parola.

Volevo trasformarmi durante la corsa e dare libero sfogo ai miei istinti lupeschi: mi avrebbe dato sollievo. Ma facendo così avrei fatto esplodere il vestito che Jeremy mi aveva appena regalato.

Imprecai.

Perché mi importava?

La risposta era così semplice…eppure così insensata. Inaccettabile. Impossibile.

Scossi la testa, portandomi poi una mano ai capelli e stringendoli forte.

Impossibile.

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: eccomi qui, in imperdonabile ritardo! In realtà forse il ritardo è perdonabile, visto i ritmi che ho avuto in queste due settimane. Credetemi se vi dico che il mio cervello era in totale blackout, senza contare che il tempo per scrivere era decisamente esiguo. Non voglio trattenervi oltre, spero solo che il capitolo vi sia piaciuto. Soprattutto gli ultimi sviluppi.

Come sempre ringrazio di cuore tutti coloro che aggiungono la storia alle preferite, alle seguite o alle storie da ricordare. Un enorme grazie anche a chi legge la storia silenziosamente, è bello poter vedere che siete in tanti.

Un ringraziamento speciale va ovviamente a chi recensisce: per motivi di tempo non sono ancora riuscita a rispondervi, ma nei prossimi due giorni arriverà tutto. Non potrei mai ignorare i vostri meravigliosi commenti!

Come al solito, critiche e commenti sono più che ben accetti! Ci risentiamo sabato 7 maggio!

Baci, chiaki

 

 

 

 



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Capitolo 25
*** Voci ***


VOCI

 

 

 

 

Cosa si fa quando una persona ti manda la mente completamente in subbuglio, al punto che non si è più in grado di riconoscere se stessi? Beh, per me la risposta era una sola, semplice e concisa.

Evitare la persona in questione.

Poco importava che fossi costretta a vedere Jeremy tutti i giorni, in quanto erano finalmente cominciate le sessioni di quello che chiamavamo amichevolmente “allenamento”. Come se noi licantropi ne avessimo bisogno! Erano piuttosto i succhiasangue a necessitare di un po’ della disciplina che tutti noi avevamo imparato da Sam. Che poi la mettessimo in pratica raramente…beh, quella era tutta un’altra storia.

Ma alla fine erano persino interessanti quei loro sforzi per trasformarsi in uno pseudo-plotone di guerra. Era stato stupefacente osservare la collaborazione tra Yumi, Fredrick e Benjamin: le lame di ghiaccio generate dalla giapponese avevano falciato degli alberi come se fossero fatti di burro. Non ci si aspettava un effetto identico sui succhiasangue, ma si sperava in qualche crepa e, nei casi migliori, qualche arto mozzato.

Io e i fratelli avevamo ridacchiato parecchio –senza curarci particolarmente di nascondere l’ilarità- quando Jacob era arrivato, palesemente abbacchiato, al seguito della fidanzata. Nessie aveva tirato fuori tutta la determinazione a sua disposizione e l’aveva costretto a fare come voleva lei. Ero abbastanza sicura di aver sentito il caro Jake borbottare qualcosa di terribilmente simile a “maledetto imprinting”, e pensare che non se n’era mai lamentato prima d’ora. Non ad alta voce, perlomeno. Ma alla fine avevamo dovuto ammettere che l’idea di Nessie era buona. Pur di sfuggire al continuo stalking di Jeremy io stessa mi ero offerta come cavia per quella particolare collaborazione. Ero partita immediatamente all’attacco della mutante, che aveva agilmente schivato le mie mosse e contemporaneamente posato la punta delle dita sul mio braccio. Nella mia mente si era subito formata l’immagine di Jacob che mi attaccava dal lato sinistro ed istintivamente mi ero girata in quella direzione. Come previsto, l’adorabile alfa mi era piombato addosso dall’altro lato, riuscendo così a bloccarmi.

Un’altra strategia approvata.

***

“Jeremy, fuori dai piedi! Ho da fare!”. Per l’ennesima volta nel corso della giornata cercavo di rifuggire la sua compagnia. Non era solo l’imbarazzo che mi spingeva a farlo, ovviamente. C’era il fatto che io effettivamente desideravo la sua compagnia, pur non dovendolo fare. C’era il punto cruciale –tremendamente cruciale- che io il giorno prima non mi ero spostata. C’era quel dannato cuore che non voleva smettere di dare i numeri ogni volta che lui si avvicinava troppo.

“Leah, smettila di comportarti così. Dobbiamo parlare, lo sai”, bisbigliò, per evitare che altri sentissero. Lo fulminai con un’occhiataccia. “Non dobbiamo parlare di nulla”, sibilai, prima di fare dietrofront e tornare verso la compagnia. Come aveva fatto tante altre volte –accidenti, avrei dovuto ricordarmelo- mi afferrò un polso per fermarmi. Ruotai su me stessa, facendo perno su quella stretta, e gli piantai uno sguardo gelido addosso. “Lasciami immediatamente”.

Strinse i denti, probabilmente arrabbiato, poi abbassò la testa e sciolse la presa, arrendevole come sempre. Sospirò. “Leah, non voglio fare passi indietro”.

Mi massaggiai distrattamente il polso e deglutii, nervosa. Poi mi voltai e me ne andai via.

Raggiunsi Rosalie, ferma ai margini della compagnia, che osservava Emmett battersi agevolmente con tre succhiasangue in una volta sola. Mi guardò un istante, poi spostò lo sguardo verso Jeremy dall’altra parte dello spiazzo ed infine piantò i suoi occhi dorati nei miei.

“Lasciatelo dire, lupastra. Sei un’idiota”. Le rifilai uno schiaffo sul braccio: peccato che fosse impossibile farle del male con quella pelle di marmo. “Attenta a come parli, sanguisuga”. Rispose con uno sbuffo. “Vieni con me, muoviti”. Detto questo mi trascinò un po’ più in là, lontane da orecchie indiscrete.

“Ma è mai possibile…”, esordì minacciosa, “…che tu continui indefessamente a scacciare la gente che ti vuole stare vicino? Prima eri giustificata, adesso invece sto cominciando seriamente a considerare l’ipotesi della stupidità cronica”. Incrociai le braccia, offesa. Non appena aprii la bocca per parlare la biondastra mi interruppe. “Ah no! Tu adesso ascolterai tutto quello che ho da dire, e senza fiatare!”. Sollevai un sopracciglio e le lanciai un’occhiata scettica. Però rimasi zitta.

“Non sono cieca, Leah. Ho visto come Jeremy ti ruota sempre intorno. È stata una cosa graduale e me ne sono accorta da poco, lo ammetto. Ma è innegabile. Così come è innegabile il fatto che il tuo pensiero riguardo a lui è cambiato molto, rispetto all’inizio. Te ne sei resa conto anche tu, non è vero? Ed è per questo che lo stai spingendo via. Ci capiamo molto di più di quanto non vogliamo ammettere, Leah”. Si passò una mano tra i capelli in un gesto che non era vanesio, per una volta, ma nervoso. “Sei rimasta ferita troppo profondamente per poter dimenticare, lo so. Però stai sbattendo la porta in faccia ad ogni barlume di felicità che ti ritrovi sulla strada, e da troppo tempo. Smettila, lupastra. Ti stai facendo solo del male”.

Non ha torto, in effetti.

Silenzio, vocina della mia coscienza! Non avevo bisogno di qualcuno che mi dicesse cosa fare o cosa non fare. “Senti, Rosalie, lascia stare. Abbiamo ben altro a cui pensare in questo momento. Una battaglia in arrivo, ad esempio”. Lei scrollò le spalle. “Fai come ti pare. Sei una delle persone più testarde che abbia incontrato in vita mia”.

“È un complimento?”.

Si esibì in un sorrisetto vagamente divertito. “Non lo so ancora”.

Ci avviammo in due direzioni differenti, salutandoci con un semplice cenno della mano. “Ehi, lupastra!”, urlò all’improvviso. Mi girai perplessa verso di lei. Che aveva ancora da dirmi?

Ghignò. “Bel vestito”.

Digrignai i denti e strinsi i pugni. Maledetta sanguisuga.

***

I giorni si susseguivano lenti, quasi troppo lunghi. Ma in realtà era meglio così. Nessuno di noi aveva davvero voglia di arrivare al momento della battaglia. Ogni istante era speso per allenarsi, prepararsi, discutere: era una situazione logorante. Avevo persino perso la voglia di allontanare Jeremy e di trattare male i succhiasangue.

Ma alla fine quel giorno era praticamente arrivato. Eravamo alla vigilia dell’arrivo dei Volturi e, come prevedibile, ci eravamo tutti riuniti a partire dal mattino presto a casa Cullen per mettere a punto gli ultimi dettagli. Mentre i succhiasangue parlavano io mi ero incantata ad osservare Yumi che, poco distante, faceva danzare delle minuscole gocce d’acqua. Un raggio di sole le colpiva, originando un arcobaleno variopinto: era…bellissimo. Piegai un angolo della bocca in un sorriso appena accennato.

“Ti piace?”. La voce musicale della giapponese mi riscosse dalla contemplazione di quello spettacolo della natura in miniatura. La fissai un istante, poi feci un cenno non compromettente con la testa: poteva significare qualsiasi cosa. Lei sorrise saputa.

“Tu sei la ragazza lupo, vero?”. L’ultima che aveva ricevuto tale nomignolo era Bella Swan quando era ancora umana: dovevo sentirmi oltraggiata?

“È così che mi chiamate voi sanguisughe?”, chiesi acidamente.

“È così che ci chiamate voi palle di pelo?”, ribatté scaltra.

Touché.

“Il mio nome è Leah, non “ragazza lupo”, intesi?”, dissi puntando lo sguardo altrove.

“È un piacere conoscerti, Lee-a. Io sono…”.

“Lo so il tuo nome, grazie”. Lei fece una smorfia infastidita, ma non mi rispose. Cercando di non farmi notare osservai di nuovo i suoi capelli, così simili a quelli di Joshua. Quanto tempo era passato dalla sua morte? Un mese? Due? Odiavo aver perso il conto dei giorni in quella maniera. Non mi ricordavo più neanche se fosse giovedì o venerdì. O eravamo ancora a mercoledì?

Il suono di una risata cristallina mi distrasse. Tamaki aveva appena atterrato Ryuu durante una lotta e gli stava amichevolmente scompigliando i capelli. Dallo sguardo omicida dello sconfitto non sembrava che l’avesse presa bene.

“Ah, sono adorabili, non è vero?”. Yumi non sembrava volersi arrendere nei suoi tentativi di approccio nei miei confronti.

“Mmh-mh”, mugugnai distratta. Stavo guardando George ed Emmett impegnati in un incontro piuttosto agguerrito: il compagno di Sabrina era di una spanna più basso, ma compensava con un’agilità superiore ed una tecnica pressoché perfetta.

“È bello vederli così felici. Ma prima di arrivare alla comprensione del sentimento che li legava hanno dovuto accettare loro stessi, ed è stato un cammino lungo e difficoltoso”. Sentii le parole della giapponese solo di sfuggita e le accantonai immediatamente. Avevo di meglio da fare che ascoltare i problemi di cuore di quei due succhiasangue. Rosalie aveva appena fatto cenno di avvicinarci, probabilmente per discutere ancora di qualcosa.

Mi ritrovai –neanche troppo inaspettatamente- Jeremy accanto. “Che succede?”, chiesi sottovoce. Lui sorrise allegramente. “Ci spartiamo i nemici”.

Effettivamente Jasper stava facendo presente tale necessità: le armi dei Volturi che costituivano il pericolo maggiore dovevano essere immediatamente eliminate, e con criterio. Non potevamo fiondarci tutti su quei pochi, sarebbe stato disastroso.

“Siamo già d’accordo sul fatto che Jeremy farà crollare l’eventuale scudo di Renata; seguiranno Zafrina, che li accecherà tutti per alcuni istanti…”. L’amazzone annuì seria, vicino alle due sorelle. “…e le lame di ghiaccio di Yumi. Questo ci lascerà l’opportunità di attaccare per primi e con un minimo di vantaggio. È determinante riuscire a sconfiggerli il più velocemente possibile, visto che lo schieramento vincente è quello che brucia tutto”.

Capivo cosa intendeva. I succhiasangue potevano subire mutilazioni in abbondanza, ma erano davvero spacciati solo quando qualcuno gli appiccava il fuoco. E a tal proposito…

“Questo posso farlo io. Non è un problema, se lavoro in coppia con Tia posso intervenire appena uno di voi sconfigge uno dei membri della guardia”. Esattamente. Il potere di Benjamin comprendeva anche l’elemento fuoco, in fondo.

“Per lo stesso motivo bisognerebbe sottrarre immediatamente a Caius lo strumento con il quale genera il fuoco”, spiegò Eleazar.

“Me ne occupo io”, disse Garrett, facendo un passo avanti. “E noi ti guardiamo le spalle”, disse Paul, strattonando Duncan accanto a sé.

“Ottimo”, approvò Jasper, sempre molto compreso nel suo ruolo di stratega. “Gli altri bersagli importanti sono Jane, Alec e Demetri. Chi…?”.

Kate, Sabrina ed Edward si proposero subito, com’era prevedibile. Alzai gli occhi al cielo, già annoiata, in attesa che quella spartizione finisse.

***

“A che ora dovete tornare?”. La voce della mamma mi costrinse a distogliere l’attenzione dal mio piatto. La guardai un istante, la forchetta a mezz’aria, poi scrollai le spalle. “Dopo un buon sonno. All’alba arrivano i succhiasangue italiani e noi vorremmo riunirci prima”.

Seth, a bocca piena, si limitò ad annuire.

“Marie?”, chiesi seccamente, fissando il piatto.

“Ha la febbre altissima”. Sia io che Seth alzammo gli occhi di scatto e li puntammo sul viso inespressivo di nostra madre. “L’hanno già portata via. Non hanno intenzione di metterla a rischio”, aggiunse con amarezza. Non era difficile indovinare i suoi pensieri. Tuttavia, all’epoca della mia trasformazione, loro non potevano sapere che anche io avrei potuto esserne soggetta. Mia madre e mio padre non avevano colpe.

“Tu cosa farai, mamma?”, domandai fingendo indifferenza.

“Resto qui, Lee”. Annuii, sentendo un groppo alla gola enorme e soffocante. Fu il primo momento in cui odiai davvero il mio carattere ed il suo. Troppo simili, troppo orgogliose. Forse, se fossi stata una figlia più simile a Bella, capace di supplicare e piangere, all’occorrenza, mia madre avrebbe accettato di rifugiarsi da qualche parte, al sicuro. Se non fossi stata quella che ero. Se, se, se…potevo andare avanti all’infinito. Non cambiava la situazione.

Posai la forchetta. “Vado a dormire”.

Avrei dovuto abbracciarla. Avrei dovuto dirle qualcosa. Magari una di quelle frasi scontatissime e zuccherose degne di un film. Ma non avevo voce per dire menzogne: non a lei, perlomeno. Mi avviai verso le scale senza fretta, come se quello fosse stato un giorno uguale ad un altro. Il cuore mi si strinse in una morsa dolorosa quando mi resi davvero conto che non era così.

Sentii Seth che mi seguiva, dopo aver schioccato un rumoroso bacio sulla guancia della mamma. Meno male che c’era lui a coprire le mie manchevolezze: distribuiva le smancerie che io avrei dovuto donare, sussurrava le parole che io avrei dovuto pronunciare. Non era una femminuccia, era soltanto…attento. Molto più maturo di quanto non lo fossi io certe volte. Mamma aveva bisogno di quelle smancerie e solo lui era disposto a farlo, diversamente da me.

“Ragazzi”. La voce di Sue Clearwater serpeggiò su per le scale fino a raggiungere le nostre orecchie sensibili, in grado di percepire la lieve sfumatura tremante, terribilmente simile ad una crepa in un muro vecchio.

Ti prego, non crollare.

Se l’avesse fatto…non volevo neanche immaginarlo. Probabilmente avrei buttato tutto all’aria e sarei scappata insieme a lei e a Seth, solo per evitare di darle un dolore.

Ma nostra madre era forte.

“Fate attenzione e fatemi sapere al più presto”. Non un dubbio sul nostro ritorno, la sua voce era di nuovo d’acciaio.

Sospirai di sollievo.

***

A pochi minuti dall’alba eravamo tutti schierati nello stesso posto di sei anni fa. Alla faccia della fantasia.

Leah, c’è una battaglia in arrivo. Possibile che tu riesca a pensare solo a queste cavolate?

Taci, Alex. Sei irritante.

Ehi, non arruffare il pelo. In una donna non sta bene.

Sbuffai dal naso. Chissà per quale motivo avevo accettato di combattere con Alex e Sebastian: quei due non erano capaci di lasciarmi da sola con i miei pensieri neanche un istante.

E questo dovrebbe essere un male?

Sebastian!

Rimarcai il rimprovero mentale con un ringhio, che venne immediatamente ripreso da Jacob, fermo accanto a Nessie.

La smettiamo?

Lo ignorai totalmente. Osservai la radura, già stipata di succhiasangue. Ringraziando il cielo stavolta non erano sparpagliati in un disordine che di tattico non aveva nulla: Jasper li aveva messi in riga, sistemandoli come soldatini su un plastico. I Cullen ed il clan di Denali erano schierati in prima fila; le Amazzoni, il clan di Jeremy, Benjamin e Tia stazionavano pochi passi indietro. Nelle retrovie erano pronti i giapponesi e gli irlandesi.  Jeremy e Rosalie non erano molto lontani rispetto a dove mi trovavo io. Il platinato si voltò un istante a guardarmi con uno sguardo indecifrabile; alzai il muso di scatto, abbozzando un saluto veloce. Era praticamente in prima fila, quell’idiota. Come minimo aveva insistito per mettersi in quella posizione, giusto per fare l’eroe.

Sei preoccupata per quel succhiasangue? Non ci credo! Non era la tua eterna palla al piede?

Quella sei tu, Alex. E presto diventerai una palla al piede sgonfia, se non la pianti di dire assurdità. Intesi?

Su, Leah, non fare la permalosa. In fondo non è così brutto, potremmo anche approvarlo!

Piantala, Sebastian. Se…

SILENZIO!

L’urlo di Jake ci riscosse, e fu allora che iniziai a percepire i primi segni dell’arrivo dei succhiasangue italiani.

Tonfi di animali che si allontanavano, stormi di uccelli che si alzavano in volo dalla foresta.

Fruscii confusi con il rumore del vento.

Figure sfocate che emergevano lentamente dalla nebbia mattutina.

E senza fretta, come avevano fatto sei anni prima, i Volturi si schierarono davanti a noi. Ordinati, perfetti, superbi.

Edward dice che è attivo uno scudo fisico piuttosto vasto, come immaginavamo. Non attaccate. Attendete il mio segnale.

La voce di Jacob risuonò autoritaria nelle nostre menti, silenziose e concentrate.

Uno dei succhiasangue, avvolto in un prezioso mantello nero, si fece avanti con un’espressione angustiata dipinta sul viso. Lo riconobbi immediatamente come il loro capo, Aro.

“Carlisle, amico mio, dunque le informazioni che mi sono giunte erano veritiere! Hai costruito un esercito per distruggere la mia famiglia”.

“No, Aro. Ogni cosa io abbia fatto è stata per difendere la mia famiglia, nulla più”.

“Eppure qui vediamo schierati non meno di trenta della nostra specie e diciassette mutaforma. Questo non è difendersi, è tentare un attacco in piena regola”, intervenne il vampiro accanto ad Aro. Doveva essere Caius.

“Dove sono i vostri testimoni, Aro?”, gridò Sabrina, tremante e furente accanto al suo compagno George.

Aro sorrise lieto, come un bambino davanti ad un regalo inaspettato. “Mia dolcissima Sabrina. Sono passati decenni dal nostro ultimo incontro, ma la tua bellezza e il tuo portamento brillano come sempre di luce propria”, disse con un mezzo inchino galante. “Non mi è sembrato giusto scomodare altri per una questione che riguarda solo noi. Chiamalo eccesso di discrezione, se vuoi”.

Quel viscido succhiasangue arrotolava parole sulla sua lingua e le immergeva nel miele, prima di spedirle nelle nostre orecchie disgustate. Maggie sibilò, confermando la teoria della menzogna.

“Le tue bugie non hanno più presa, Aro. È giunto il momento di finire queste recite e mostrare il vostro volto al mondo. I Volturi hanno smesso da lungo tempo di essere i giudici giusti ed imparziali di cui avevamo bisogno. Anzi, forse non lo siete mai stati”, accusò Garrett, fiero e schietto come sempre.

“Dunque la vostra è una vera ribellione, un tentativo di annientarci!”, esclamò immediatamente Caius, con un ghigno soddisfatto in volto.

Nessuna risposta giunse dalle nostre fila. Ne avevamo abbastanza di loro e della loro ipocrisia. Eravamo perfettamente consapevoli dei motivi della loro venuta, e loro sapevano che noi sapevamo.

Leah, non è che ti stai cacciando in ragionamenti un pochino troppo intricati?

Alex, stavolta non scherzo. Resta concentrato.

Lui scosse un po’ il pelo, ma mi diede retta. Intanto una figura alta ed incappucciata vicino ad Aro si era appena accostata a lui, toccandogli il braccio. Jane, una dei due rivoltanti gemelli che erano la punta di diamante del corpo di guardia, la osservò con palese gelosia. Lui parve non accorgersene, e invece scrutò rapidamente la compagnia di vampiri di fronte a sé fino a puntare il suo sguardo scaltro su Jeremy. Edward si irrigidì all’istante e fece per aprir bocca, ma venne interrotto da una risata squillante. Due mani bianche tirarono indietro il cappuccio in un gesto elegante, a scoprire una cascata di boccoli dorati lunghi fino alla schiena. La vampira accanto ad Aro era bellissima, al punto da poter competere con Rosalie. Tuttavia, guardarla instillava un senso di disagio che scivolava sotto pelle, decisamente spiacevole. Rabbrividii per un istante.

Aro batté le mani con espressione deliziata. “Che meravigliosa coincidenza! Mia dolce Kyla, non sei felice di poter ritrovare una persona che non vedi da lunghissimo tempo? In fondo questa piccola riunione ha più aspetti positivi di quanti non avessimo previsto, non trovi?”

Lei annuì, mentre il resto della guardia ridacchiava cupamente, e poi allargò le braccia, in un gesto che poteva quasi sembrare affettuoso se non fosse stato per la freddezza del suo sguardo.

“Jeremy, caro”, modulò con voce leziosa e musicale, “Non vieni ad abbracciare tua madre?”.

 

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: Rieccomi qui, dopo una lunga assenza! Dunque, direi che il capitolo si commenta da solo. Chiaramente si tratta di un capitolo di transizione, spero non sia troppo noioso e scontato. Ci tenevo a dare un’ultima panoramica ai rapporti tra i personaggi prima della battaglia vera e propria. Ebbene sì, gente, posso dire fin da ora che la questione con i Volturi non si risolverà in un’allegra chiacchierata tarallucci e vino (come disse una mia Adorabile amica), sarebbe davvero troppo semplice. Mi auguro di aver reso abbastanza bene l’arrivo di Aro e compagnia, e di aver mantenuto IC tutti i personaggi.

E ora passiamo alle note dolenti. La sottoscritta, se tutto andrà bene, si laureerà a luglio. Ma affinché tutto vada bene, deve studiare per gli esami. Questo vuol dire che il tempo per scrivere sarà poco o nullo. Alla fine di questa long mancano solo tre capitoli e con tutta sincerità non vorrei scriverli malamente solo perché ho la testa da un’altra parte. Per questo motivo non vi posso garantire di aggiornare in tempi brevi: se mi va di lusso, potrei pubblicare il prossimo tra un mese. Ripeto, se mi va di lusso.

Mi dispiace per quest’inconveniente, davvero, ma purtroppo devo mettere lo studio al primo posto. Detto questo, passiamo ai ringraziamenti.

Grazie a tutti. A quelli che aggiungono la storia alle seguite, alle preferite e alle storie da ricordare. Grazie a chi legge in silenzio. Grazie a chi recensisce, in modo particolare.

Grazie di cuore, come sempre.

Critiche –anche pesantemente negative, tanto non mordo- e commenti sono più che ben accetti!

A tutte coloro a cui non ho ancora risposto alle recensioni: tranquille, provvederò al più presto, approfittando dei momenti liberi! Grazie ancora, le vostre parole sono sempre preziose!

Baci, chiaki

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Capitolo 26
*** Avviso ***


Ho esitato a lungo prima di decidermi a pubblicare questo capitolo-avviso.

Prima cosa perché fino all'ultimo ho sperato di potermi ritagliare un po' di tempo per scrivere, la seconda...beh, è stata dura dover ammettere con me stessa che la storia doveva essere sospesa.

Mi spiace davvero tanto, ma purtroppo mi manca completamente il tempo per poter scrivere, per quanto io ne abbia una voglia matta.

A malincuore devo sospendere Harvest Moon fino a data da destinarsi, penso non prima del 20 luglio.

NON la abbandono, ovviamente, mancano davvero pochi capitoli alla fine e so già cosa devo scrivere.

Vi ringrazio per il continuo sostegno e vi chiedo scusa per questo casino.

Baci, chiaki

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Capitolo 27
*** Battaglia ***


BATTAGLIA

 

 

 

“Jeremy, caro”, modulò con voce leziosa e musicale, “Non vieni ad abbracciare tua madre?”.

 

Lo scompiglio fu totale. O almeno nella coscienza collettiva del branco. Tutti i vampiri si mossero, sorpresi e a disagio, e osservarono Jeremy con fare sospettoso. Fatta eccezione per il suo clan ed Edward, naturalmente. Un silenzio attonito regnava sovrano.

Aspettate, sua madre è morta. Quella sanguisuga sta dicendo un sacco di fesserie.

Il mio intervento parve sedare il tumulto del branco, ma ancora non aveva sciolto tutti i dubbi.

“Non capisco di cosa tu stia parlando”, disse freddamente il diretto interessato, fissando negli occhi quella sanguisuga bionda.

“Così mi ferisci, piccolo mio. In fondo è il mio veleno che ti ha reso il meraviglioso immortale che sei. Eri tanto carino anche da vivo, non mi stupisce che tu sia diventato così bello. Peccato che io me ne sia dovuta andare da Savannah prima che la tua trasformazione fosse completa, ti avrei portato con me, altrimenti”, aggiunse mordicchiandosi il labbro come un’attrice di serie B.

Vidi Jeremy perdere parecchio del suo autocontrollo: aprì e chiuse la bocca un paio di volte, per poi deglutire a vuoto. Sembrava quasi umano, in quel momento.

Aro li fissava affabile, Caius pareva trattenere a stento la sua impazienza. La figura apatica accanto a loro –Marcus- si limitava a fingere di non esistere.

“Sai Jeremy, ho sempre avuto un debole per i ragazzi belli e con un futuro luminoso di fronte a sé”, spiegò con voce sognante. “Mi piaceva cristallizzarli in quel momento di totale fulgore e renderli eterni, come opere d’arte. Quando sono arrivata a Savannah eri praticamente sulla bocca di tutti coloro che appartenevano all’elite. Tanto bello, tanto talentuoso! Così ho scelto te. Ma, come ti ho detto, sono dovuta partire prima del previsto. Perciò ti ho portato a casa tua, per essere sicura che, svegliandoti dal sonno della trasformazione, avresti trovato immediatamente del nutrimento. I neonati devono bere molto, lo sai? Restano forti più a lungo. Avevi parecchia servitù e quindi ero tranquilla. Hai visto caro? Ho pensato a tutto!”. Ridacchiò, frivola e spensierata.

Io ero gelata sul posto. Perché, sfortunatamente, sapevo esattamente cosa era successo dopo quel suo gesto sconsiderato. Jeremy strinse i pugni con una furia spaventosa, e urlò come un animale ferito a morte.

“C’era anche la mia famiglia lì!”, sbraitò. Non potei evitare di sentire una stretta al cuore. Tutta quella crudeltà era stata così ingiusta…

“Oh. Mi spiace”, disse piatta. Non c’era neppure l’ombra del rimorso nella sua voce. Jeremy si lanciò in avanti, determinato ad attaccarla.

Fermo!

Il mio urlo irrazionale si perse inutilmente, tuttavia l’idiota venne prontamente acchiappato da Emmett e Kachiri, che si erano mossi rapidamente per evitare il peggio. Cosa voleva fare? Attaccare da solo i Volturi e lasciarci le penne? Che imbecille.

Ma lo capivo. Probabilmente avrei reagito allo stesso modo se fossi stata al suo posto. Lo vidi rimettersi dritto, i lineamenti sconvolti da un dolore lacerante, per poi fissare gelidamente quella Kyla.

Uno sguardo, una promessa. E non ci voleva un genio a capire quale.

“Ora che questa toccante riunione si è compiuta, direi che il palco è tuo, Kyla”. Aro fece un gesto aggraziato, come un presentatore che inviti l’attore a farsi avanti. Lei piegò lievemente la testa e fece qualche passo nella nostra direzione.

È fuori dallo scudo fisico, adesso. Jake ci teneva aggiornati sugli sviluppi grazie al leggipensieri. Per una volta dovevo ammettere la sua utilità.

Ma è impazzita?

Sembra innocua, sinceramente…

Kyla sorrise. Un sorriso letale, impaziente.

Qualcosa non quadrava.

Cominciò a cantare. All’inizio fummo lì lì per scoppiare a ridere: voleva per caso metterci a tappeto con una ninnananna?

Poi percepii distintamente la coscienza collettiva del branco stiracchiarsi e tendersi verso quella voce meravigliosa e incantatrice. Gli sguardi spaesati dei succhiasangue specchiavano perfettamente quello che stavamo provando anche noi. Che melodia splendida e avvolgente…

Poi qualcosa cambiò, senza preavviso. La voce divenne più forte, stridente. Artigli affilati grattavano ferocemente i timpani, prostravano la mente con una brutalità accentuata dal nostro udito sviluppato. I pensieri si accartocciavano su loro stessi e venivano strappati e lanciati nel vuoto; mi accasciai a terra, imitata da molti fratelli e sanguisughe. A stento udii Jacob, che tentava disperatamente di proteggere la nostra psiche sconvolta.

Lo scudo…Bella…

E accadde.

La nostra principale difesa crollò. Urla di dolore si levarono tutt’intorno e una nebbiolina inquietante iniziò a farsi strada verso di noi. Jane ed Alec non avevano perso tempo.

Tutto perduto.

Nel giro di un istante, ogni possibilità di vittoria era stata spazzata via. Ringhiai frustrata, mentre la voce di quella maledetta Kyla continuava a torturarci.

“Sta’ zitta!”. Un grido furioso coprì i gemiti sofferenti; la sua intensità era tale da farmi tremare come sotto l’azione di un’onda d’urto.

E la canzone di Kyla si fermò. Jeremy ansimava, una mano protesa ciecamente verso di lei, sospesa nel nulla. Un ghigno malevolo distorse il viso della succhiasangue, ora costretta a tenere chiusa la boccaccia. Una frazione di secondo dopo, neppure il tempo di un battito, Jeremy urlò di nuovo.

“ORA!”.

Lo scudo fisico è caduto! Ragazzi, è il momento di attaccare!

Scattai in avanti, affiancata da Alex e Sebastian. Lame di ghiaccio fischiarono cupe sopra le nostre teste e piovvero sui Volturi, che ruppero il loro ordinato schieramento. Sorpassai rapidamente il gruppetto con i mantelli neri, ignorai Felix di fronte a noi –Emmett lo aveva preteso come avversario- e puntai verso il primo succhiasangue che aveva avuto la disgrazia di trovarsi tra i piedi. I due fratelli mi seguirono impazienti. L’avevamo quasi raggiunto ormai: i suoi occhi erano ancora ciechi grazie all’illusione di Zafrina, non ci aspettavamo nessun tipo di contrattacco. All’ultimo istante ci mise a fuoco e si scansò in un lampo. Chiusi le mascelle rabbiosamente, mancandolo per un soffio. L’attacco a sorpresa era finito. Ora tutto si basava sulle nostre abilità. Lo accerchiammo efficientemente, pronti a fare a pezzi quella sanguisuga troppo fortunata. Alex si fece avanti per primo, incapace di aspettare. E il succhiasangue sparì. Non si era mosso, ma all’improvviso non lo vedevamo più. Poi Sebastian urlò di dolore.

Il vampiro riapparve con un ghigno, a pochi passi da noi.

Maledizione! Sebastian, che…

Penso mi abbia incrinato qualche costola, posso continuare.

Leah, che facciamo?

Meditai freneticamente, cercando di non farmi distrarre dalle grida e dagli ululati, dal suono agghiacciante dei vampiri fatti a pezzi e dal rombo del fuoco appiccato. Doveva andare tutto bene. Doveva.

Attaccai il succhiasangue senza preavviso e con ferocia, facendogli capire che l’avversario in quel momento ero io.

Abboccò.

Sparì nuovamente, poi sentii la stretta di due braccia gelide sul dorso.

Ora! Attaccatelo!

Rimasi ferma mentre Alex e Sebastian si lanciavano su di me: grazie alla nostra connessione mentale sapevano perfettamente dove si era attaccata quella sanguisuga e riuscirono ad afferrarla, per poi sbatterla a terra con violenza. Diventò visibile giusto qualche istante prima che le mie mascelle si chiudessero sulla sua gamba. Nel giro di un secondo era già a pezzi. Ululai forte e Benjamin ci raggiunse immediatamente, pronto a dargli fuoco.

“NO!”. Una vampira dai capelli castani si gettò sui resti dell’altro. Le mancavano le braccia e probabilmente era stata ritenuta inoffensiva da chiunque l’avesse mutilata. Chissà a quale fratello avrei dovuto dare una sonora lavata di capo per quella leggerezza. “No!”. Ripeté. Ci preparammo ad attaccarla, ma Benjamin ci fermò.

“Chelsea…”.

“Vi rivolterò uno contro l’altro se non lo lascerete in pace!”, urlò minacciosa.

“Non puoi spezzare il legame tra membri del branco e neppure quello tra compagni. Il tuo potere adesso è inutile, Chelsea”, tagliò corto Benjamin, chiaramente ansioso di andare ad aiutare gli altri che stavano combattendo. La battaglia continuava furiosa intorno alla nostra minuscola bolla di fragile calma.

“Ma tra mutaforma e vampiri posso farlo!”, sibilò, determinata a non cedere. Che quello fosse il suo compagno?

“Il nostro non è un vero legame, siamo semplicemente spinti da uno scopo comune. E questo non è qualcosa che tu possa influenzare”. Lei si irrigidì, poi abbassò lievemente la testa.

“Va bene. Mi arrendo. Ma non bruciarlo”. La voce incrinata non lasciava dubbi riguardo alla sua resa.

Dunque persino loro sono in grado di amare.

“La tenete d’occhio voi?”, domandò Benjamin, incerto. Strinsi i denti, consapevole che in questo modo non avremmo potuto dare man forte agli altri, solo per un atto di pietà probabilmente immeritato. Ma in fondo era anche quello che ci rendeva diversi da loro. Annuii con il capo. Benjamin e Tia fecero un cenno e ritornarono in quel groviglio di corpi sfocati. Fissai duramente Chelsea, per dissuaderla da eventuali tentativi di fuga: rispose con uno sguardo altrettanto duro, ma non fece mosse strane.

Un grido fendette l’aria e raggiunse le mie orecchie. “Che tu sia maledetta! Vigliacca!”. Con una stretta allo stomaco, riconobbi la voce di Jeremy.

Mi voltai subito, cercando di individuarlo in mezzo a quella confusione, il cuore che batteva forte.

Era inginocchiato a terra, con alle spalle la bionda Kyla. Per uno stupidissimo, folle attimo, pensai che lo stesse baciando. Poi vidi che con una mano gli aveva afferrato il codino per tenergli la testa indietro, mentre l’altro braccio era ripiegato strettamente intorno al suo collo. Gli stava mordendo ferocemente il viso, strappando brani di pelle marmorea. Tremai violentemente quando capii che lo voleva distruggere pezzetto per pezzetto, e lui glielo stava lasciando fare. Perché quell’idiota non usava il suo potere su di lei?

Con un sussulto, compresi. Controllare due persone alla volta per Jeremy era difficile già in condizioni di perfetta calma, figurarsi in una situazione simile. E lui aveva dato la precedenza al controllo di Renata. Tutto per darci una possibilità in più di battere i Volturi.

E intanto Kyla lo stava facendo a pezzi.

No! No! No! Non lui!

Sentii qualcosa dentro di me ribellarsi, rifiutare totalmente la possibilità che lui venisse ucciso. Feci qualche passo verso di loro, ringhiando, intenzionata a distruggere quella maledetta che già una volta gli aveva rovinato l’esistenza. Era come se il mio stesso cuore mi stesse tirando nella sua direzione. Poi ricordai il mio ruolo di beta e mi fermai, incerta. Volevo aiutarlo, ma Alex e Sebastian…

Leah, vai. Muoviti, ha bisogno di aiuto!

Non me lo feci ripetere due volte. Scattai immediatamente verso Jeremy, ignorando completamente le battaglie che si stavano combattendo intorno a me. Ululati, urla e stridii agghiaccianti mi circondavano. Concentrai tutte le mie forze in quella corsa ai limiti della disperazione, gli occhi fissi e la vista risucchiata da quella scena orribile. Lanciai un ululato angosciato e potente, che spinse Kyla a sollevare il suo sguardo scarlatto su di me. Poi le fui addosso.

Con enorme soddisfazione chiusi le mascelle sulla sua testa, incurante del saporaccio, e la strattonai indietro. Un dolore fortissimo alla spalla mi costrinse a mollare la presa. Quella maledetta succhiasangue aveva tirato un calcio tremendamente ben piazzato: ma non avrebbe avuto gioco facile con me. La attaccai di nuovo, stavolta affiancata da Jeremy. Lei scoprì i denti, furibonda, e cercò di ricominciare a cantare. Ma io ero troppo veloce per lei: la afferrai per un braccio e Jeremy per l’altro. Poi tirammo. Con un cigolio raccapricciante, Kyla si spezzò.

Urlò impotente per un solo istante: poi Jeremy le passò i denti sulla gola, tagliandole la testa di netto. Quella rotolò grottesca per un paio di metri, gli occhi spalancati vitrei e malevoli. Una fine persino troppo rapida per colei che aveva causato una così lunga sofferenza.

Terminammo velocemente il nostro lavoro e richiamammo l’attenzione di Benjamin. Mentre i resti di Kyla prendevano fuoco, io guardavo Jeremy. La sua espressione era cupa, pensierosa, tormentata. Lo toccai con il muso su una spalla, sperando che non facesse caso al battito sonoro del mio cuore, così violento da far male. Stavolta il pericolo era stato terribilmente reale: non erano mutilazioni “amichevoli” quelle che aveva tentato Kyla. Si voltò verso di me: il suo viso era rovinato, solcato da cicatrici che non se ne sarebbero più andate. I buchi vuoti sarebbero stati riempiti, ma quei segni se li sarebbe portati per sempre. Eppure il suo sguardo era sereno, adesso.

“Non è ancora finita”, disse serio. Annuii, arresa ad un’emozione che non provavo da tempo.

Di comune accordo ci lanciammo nella battaglia, di nuovo. Insieme.

Controllai rapidamente Alex e Sebastian, ancora a guardia di Chelsea e del suo compagno fatto a pezzi. Riuscii a vedere Emmett e Rosalie impegnati contro Felix; poco più in là Sabrina e George stavano combattendo ferocemente contro un succhiasangue che non riconoscevo. Poi uno dei membri della guardia ci attaccò.

Mi colpì il fianco, lesto, ma Jeremy riuscì ad afferrarlo prima che potesse ritentare. Mollò l’avversario quasi subito, contorcendosi a terra come preda di un dolore indicibile. Scattai avanti per bloccare il succhiasangue e tutto sparì.

Joshua era steso sul letto, ormai privo di vita. Non avevo fatto in tempo a salvarlo, era tutta colpa mia. E io che mi vantavo tanto di essere la più veloce. Illusa. La sua morte era solo mia responsabilità.

La bara di papà calava nella terra fangosa. Sempre colpa mia. Bastava la mia esistenza a portare dolore: a mia madre, a mio fratello, all’intera comunità.

“Leah!”. Jeremy mi stava scuotendo con un’espressione angosciata sul viso. “Non ascoltare!”. Poi si dissolse e i ricordi si fecero di nuovo avanti.

Sam non mi aveva lasciato per l’imprinting. Lo aveva fatto perché ero sbagliata, più arida del deserto e falsa come l’oro degli stolti.

Seth era innamorato di Maggie, ma io gli volevo impedire di essere felice. Ero egoista, determinata a sacrificare la sua gioia a causa delle mie personali convinzioni.

Jeremy non mi sopportava perché io insistevo a cacciarlo via anche quando lo avrei voluto vicino. L’avevo perso ancora prima di poter capire che lo volevo. Ero testarda, ipocrita e destinata a rimanere sola. E non potevo scaricare su nessuno la colpa, perché era soltanto mia.

“LEAH!”. Un colpo violento mi restituì la vista sulla realtà. Jeremy era riuscito a spingermi via. Ricordai di botto: la battaglia, l’attacco del succhiasangue…eppure quello che avevo visto era semplicemente la verità.

Riversai il mio dolore in un ululato disperato, che ebbe il potere di schiarire ancora un poco il mio cervello. Jeremy digrignò i denti e ringhiò, per la prima volta simile al predatore che era. Afferrammo insieme il vampiro e finalmente riuscimmo a smembrarlo, mentre ricordi e sensazioni angoscianti si susseguivano nelle nostre menti. Mi bastava vedere il suo viso contorto dalla sofferenza per capire che eravamo nelle stesse condizioni. Anzi, forse per lui era persino peggio, dopo tutto quello che aveva passato. Attaccare insieme il vampiro era stata una mossa vincente: il suo potere, diviso tra noi due, era notevolmente più debole.

Tesi le orecchie, notando all’improvviso che i suoni della battaglia si stavano attenuando.

Sono rimasti in pochi! Accerchiateli, svelti!

La voce di Jake mi riscosse e mi affrettai ad eseguire. Jeremy mi si affiancò. Nel giro di pochi istanti al centro della radura era rimasto uno sparuto gruppetto dai mantelli stracciati, offuscati dal fumo che si levava dai resti carbonizzati dei succhiasangue.

Tutti noi ci eravamo disposti in cerchio e potei valutare i danni. Non c’erano tutti. Parecchi fratelli erano malconci, alcuni vampiri erano mutilati. Amanda, dall’altra parte del circolo, era completamente sfigurata.

Seth.

Dov’è Seth?

Iniziai a tremare, rendendomi conto che non era tra i lupi in formazione di accerchiamento.

Leah! È qui!

Spezzai il cerchio e mi avvicinai velocemente a Quil. Guaii, fermandomi attonita: Seth era riverso a terra, prono e completamente nudo. Su di lui era chinata una figura dai capelli rossi. L’odore del sangue mi colpì immediatamente. Con un ringhio mi gettai su di lei.

Fermati!

Il corpo massiccio di Jake si frappose tra me e Maggie.

Togliti di torno! Gli sta succhiando il sangue, lo vedi o no? sbraitai accecata dalla rabbia.

Lui si mantenne perfettamente calmo. È stato morso, Leah. Sta tentando di eliminare il veleno.

Strinsi i denti, improvvisamente spaventata. Per i licantropi il veleno dei vampiri era mortale.

Giusto in quel momento la sanguisuga si staccò: aveva gli occhi offuscati e dovette farsi aiutare da Liam per mettersi in piedi. Io mi avvicinai subito a mio fratello.

Come sta? È riuscita a…?

“Non c’è più veleno nel suo corpo”, disse Maggie, rispondendo alla mia muta domanda.

E di sangue ce n’è rimasto? pensai caustica. Carlisle ci raggiunse e io dovetti trattenere un sospiro di sollievo.

“È meglio portarlo via”. Annuii vigorosamente.

Chad, Chris, ci pensate voi? Non risposero neanche. Un attimo dopo lo stavano già portando via a braccia, seguiti dal medico.

Io rimasi al mio posto, nonostante l’apprensione. C’erano ancora questioni pendenti da sistemare.

Riportai lo sguardo sui succhiasangue al centro della radura, uno sbiadito spettro di quelli che erano stati i potenti Volturi.

La figura di Aro si stagliava rigida e orgogliosa, praticamente intoccata dalla battaglia. Nonostante l’evidente sconfitta il suo sguardo era calmo e lucido. Solo un pugno serrato lasciava intuire una tensione latente. Marcus, accanto a lui, era semplicemente assente, mentre Renata gli stava attaccata al mantello. Altri sette vampiri malconci stazionavano alle loro spalle.

Edward si fece avanti come portavoce, in mancanza di Carlisle e in virtù del suo potere. “È finita, Aro. Non vi resta che arrendervi”.

L’altro scosse la testa, con un’espressione affranta. “Edward, amico mio. Hai già distrutto la maggior parte della mia famiglia, cos’altro vuoi che io faccia? Desideri il potere? O sostituirti nella funzione che per tanti anni abbiamo svolto noi?”.

“Sai benissimo che questa non è mai stata nostra intenzione. Vogliamo solo proteggere la nostra famiglia”, rispose il leggipensieri, con disarmante semplicità. Per una volta mi ritrovavo d’accordo con lui.

“E allora abbiate rispetto di un’altra famiglia, che esiste da molto più tempo della vostra. Concedeteci di tornare a casa a piangere i nostri morti”. La voce di Aro era sofferente e carezzevole: riuscì quasi a muovermi a pietà. Quasi.

Maggie, ancora appoggiata a Liam, ringhiò sommessa ed Edward scosse il capo. Alice fece un passo avanti, scura in volto come non l’avevo mai vista. “Credi davvero che ti lasceremo andare così, Aro? So cosa vuoi fare, e non ti permetterò di mettere in pratica il tuo piano”. Notai parecchi sguardi interrogativi. Fu Edward a sibilare una spiegazione. “Intende ricostruire la guardia. Ne ha tutte le capacità” scoccò un’occhiata a metà tra l’ammirato e il disgustato. “Ovviamente l’obiettivo finale è spazzarci via”.

Aro alzò un angolo della bocca, in un sorriso stentato. “Suvvia. Edward, Alice, spero possiate comprendere il momentaneo desiderio di vendetta di un padre che ha visto cadere i propri figli. Non auguro a nessuno un tale dolore”.

“E il dolore di perdere un padre o una madre, allora?”, soffiò Sabrina, furibonda e con i capelli scarmigliati. “Sive e Ossian…”.

“…erano colpevoli di fronte alla legge. Hanno ricevuto la giusta punizione”. La voce di Aro si arricchì di una sfumatura inflessibile, dura come acciaio. Poi tornò gentile. “Per quanto io non intenda sminuire il vostro dolore, ovviamente”. Ci fu un attimo di silenzio, in cui tutti parvero soppesare Aro.

“Lasciateci liberi di tornare a casa”.

Edward si guardò intorno, l’incertezza stampata sul suo volto.

Jake, sussurrai decisa, per quanto mi riguarda non sono più una minaccia, a parte quella sanguisuga mielosa. Lui è pericoloso, dovrebbe essere eliminato.

Un mormorio di assenso serpeggiò nella mente collettiva del branco. Il leggipensieri fissò me, poi Jacob, e infine Sam. Quest’ultimo annuì.

Edward ripeté quello che avevo pensato ai succhiasangue nostri alleati; con la coda dell’occhio notai Aro irrigidirsi per un istante.

“Lo voglio uccidere personalmente”, ringhiò George, stupendomi. Di solito non si faceva notare e non sembrava così portato all’aggressività. Emmett scrocchiò le nocche. “Vuoi togliermi il piacere?”, sghignazzò scherzosamente. Eppure l’atmosfera era tutto meno che scherzosa. Era come se un senso di disagio fosse appena calato su tutti noi, rendendoci incapaci di guardarci negli occhi.

“No”. Un sussurro spezzò la quiete come uno sparo. “No. Non dovremmo farlo”. La voce di Esme era più forte stavolta, e si faceva via via più sicura. “Noi non…possiamo uccidere a sangue freddo. In battaglia, per difenderci, posso accettarlo. Ma io penso che ci sia già stata abbastanza morte, oggi”.

“Allora cosa suggerisci di fare, Esme? Vuoi che ci sia un’altra battaglia simile, in futuro?”. Esme boccheggiò e fissò Kate con uno sguardo smarrito. “Certo che no! Però io credo…”. Tacque e si torse le mani, angosciata. Era chiaramente in preda a una frenetica lotta interiore. Inaspettatamente, fu la silenziosa Tia a venirle in soccorso.

“Esilio”. Per un attimo gli occhi di Aro fecero trasparire un’espressione trionfante, poi tornò rapidamente impassibile. “Esilio, ma solo per Aro. Quale migliore punizione, per lui, del rimanere solo e privo dell’unica cosa che abbia mai amato, ossia il potere? Con le visioni di Alice, inoltre, non sarà difficile rendersi conto di eventuali tentativi di ricostruire ciò che aveva”.

Nessuno obiettò. Se completamente solo, Aro non era una grande minaccia. Soprattutto se eravamo uniti; Tia aveva ragione.

Aro sorrise affabile. “Saggia Tia, le tue parole sono dure, ma non le contesterò. Tuttavia non credo di poter tenere fede alle vostre richieste”. Sembrava sinceramente dispiaciuto di non poterlo fare. Sembrava. E io lo detestavo sempre di più per quell’insulsa tendenza al melodramma.

“Per quale motivo?”, domandò rapidamente Tanya. Lui si limitò a muovere la mano elegantemente, offrendo al nostro sguardo i vampiri dietro le sue spalle, temporaneamente dimenticati.

“La mia famiglia. Mi sono legati e non mi abbandonerebbero mai. Volete dunque ucciderci tutti a sangue freddo, come ha molto opportunamente sottolineato la dolce Esme?”. Quel…quel…cercai di trattenere la valanga di improperi che avrei voluto lanciare contro quella sanguisuga fin troppo scaltra. Aveva trovato il nostro punto debole e non si faceva problemi a stuzzicarlo all’occorrenza.

“Ti sbagli, Aro”.

Tra lo stupore generale, le parole non si levarono dalle nostre fila, bensì dal gruppetto di succhiasangue alle spalle di Aro. La vampira che avevamo risparmiato, Chelsea, lo fissava duramente, senza traccia di paura o di sottomissione. Anche senza braccia, emanava una dignità ammirevole. “I legami della famiglia” sottolineò la parola con una buona dose di amaro sarcasmo “li ho creati io, non tu. E come li ho creati, posso scioglierli. Soprattutto per salvare la mia vita e quella di Afton”.

Per la prima volta il viso di Aro espresse qualcosa di molto, molto vicino alla paura. Ma si riprese subito. “Non puoi”, disse lapidario.

“Sì invece”.

“No, Chelsea, non puoi. E permettimi –ti prego- di spiegarti il perché. Da quando ti sei unita a noi, ho avuto l’accortezza di esporti a Corin, in modo che tu risentissi della dipendenza nei suoi confronti. Non puoi separarti dalla famiglia, Charmion”.

Chelsea fece un gesto brusco in direzione di un gruppetto di vampire. “Domandati a chi è legata Corin, e a chi va la sua fedeltà. Ti posso assicurare, Aro, che non è più verso di te”.

Era incredibile. I nostri nemici si stavano rivoltando gli uni contro gli altri: il sogno di ogni stratega…e l’incubo di Emmett, da quello che potevo intuire dalla sua espressione delusa. In effetti vedeva sfumare l’occasione di menare le mani.

“Io preferisco la vita, Aro”, disse una succhiasangue mora dall’espressione mite, che faceva parte del capannello indicato da Chelsea.

“Corin, non ti permetto di voltarmi le spalle. Vorrei ricordarti che io ti ho accolto dopo la tua trasformazione, salvandoti da morte certa”.

Corin si irrigidì. “Per anni ho pagato il debito, Aro. Ma adesso getteresti via le nostre vite pur di sopravvivere e io non sono disposta ad accettarlo. Niente di più, niente di meno”.

Fu il turno di Aro di irrigidirsi. “Santiago? Tu…”. Non riuscì a finire la frase. Il vampiro che evidentemente rispondeva al nome di Santiago si avvicinò a Corin, stringendola a sé in modo poco meno che possessivo. Non c’era bisogno di parole.

“Renata? Ishtara? Alexander?”. Nominò i membri restanti del clan, ma questi sfuggirono al suo sguardo via via più sconvolto. “Athenodora? Sulpicia? Non vorrai andartene anche tu, spero…”.

Una bellissima vampira, altera ed elegante, si fece avanti fissandolo senza timore. Nonostante la mia naturale antipatia verso i succhiasangue, non potei fare a meno di ammirarla: lei riusciva a intimorire con il semplice portamento, io dovevo minacciare rissa per raggiungere lo stesso risultato.

“Aro, mio sposo, tu stesso hai insistito affinché accettassi la compagnia di Corin. Mi è impossibile staccarmene, lo sai”, spiegò dolcemente, con tono definitivo.

La facciata di calma che Aro aveva sempre mantenuto vacillò mentre ripeteva “Bene, molto bene” più volte di quanto non fosse normale. Poi si raddrizzò e ci fissò a testa alta. “Quindi qual è la vostra decisione? Mi manderete via, per poi uccidermi alle spalle?”. Fece una risatina così finta che mi mandò i brividi lungo la schiena. “Lascia stare, Edward carissimo, non necessito di false rassicurazioni. D’altronde, come potrei fidarmi della parola di chi mi ha strappato la famiglia, rivoltandomela persino contro?”.

Folle. Quel succhiasangue era folle. E la follia era ancora più evidente nella sua forzata lucidità. Tentava continuamente di far ricadere la colpa su di noi –senza riuscirci, peraltro- ma il suo sguardo leggermente vitreo tradiva lo sconvolgimento interiore che doveva provare. Aveva perduto ogni cosa.

Non mi faceva pietà. Per niente.

“Vattene, Aro, ti lasciamo libero di andare ovunque tu voglia. Sappi che se tenterai di fare del male a qualcuno non avremo esitazione a cambiare idea”, disse Edward autoritario, mentre molti annuivano.

“Spera, giovane Edward, che i nostri sentieri non si incrocino mai più. Potrei farti capire com’è perdere la famiglia”, sibilò l’ultima frase, con il tono più malevolo che gli avessi mai sentito.

Ma erano parole vuote. Lo sapevamo noi, e ancora di più lo sapeva lui. Lasciò la radura senza fretta, senza più lottare, e cadde il silenzio. Parecchi battiti di cuore dopo, il leggipensieri scrollò le spalle. “Se n’è andato. Non lo sento più”.

Un collettivo sospiro di sollievo si levò, e molti dei nostri si abbracciarono senza parlare. Jeremy si avvicinò a me e posò una mano gelida all’altezza della mia spalla. Infilò le dita nel pelo, stringendo delicatamente, e mi sorrise. Il mio cuore ricominciò a dare i numeri, ma stavolta rifiutai di lambiccarmi su questo strano fenomeno. Azzardai un sorriso tutto zanne e venni ricompensata dal suo sguardo sconcertato.

“Cosa intendete fare, voi?”, chiese Edward agli ultimi superstiti, tutto compreso nel suo ruolo di portavoce. Bah, se si divertiva a fare il diplomatico erano affari suoi.

“Costituiremo un clan a parte, è l’unica soluzione. Siamo dipendenti da Corin”, disse Sulpicia, autoritaria. “Sempre che non abbiate qualcosa in contrario”, aggiunse educatamente, anche se il suo sguardo diceva chiaramente che non si aspettava obiezioni e che, nel caso, non le avrebbe accolte. Che tipa.

“È sufficiente la vostra parola che non tenterete mai di attaccarci”, precisò Jasper.

“L’avete”, rispose Sulpicia con tono solenne. Renata, incastrata a metà strada tra noi e il nuovo clan, si mosse a disagio. “Il mio Si…Aro non mi ha mai esposto all’influenza di Corin…”.

“Sei comunque ben accetta in questo nuovo clan, se lo desideri”. Renata la fissò un istante, evidentemente in soggezione.

“Io…vorrei tentare lo stile di vita dei Cullen se…se loro me lo permetteranno”, spiegò velocemente, scoccando un’occhiata di scuse a Sulpicia: quest’ultima rimase fredda e non la calcolò neanche. Doveva essere brutto perdere immediatamente quella che sarebbe stata la principale difesa del nuovo clan. Bisognava ammetterlo, in questo Aro era decisamente più bravo.

“Per noi non è un problema accoglierti, Renata”, disse Edward, dopo aver discusso brevemente con gli altri Cullen.

“Neppure io verrò con voi, Sulpicia”. A queste parole lei si irrigidì, infastidita. “Marcus, hai intenzione di abbandonarci dopo tanti anni passati insieme?”.

“Desidero vivere come nomade. Forse un giorno le nostre strade si incroceranno di nuovo ma ora…ho bisogno di essere solo. Libero come non lo sono mai stato”. Lei tacque, e dal suo sguardo assorto non fu difficile intuire che stava cogliendo parecchi sottintesi. Infine annuì, rassegnata, e si voltò verso i membri del suo clan, i miseri resti dell’imponente guardia dei Volturi. “Andiamo”. E, senza un’altra parola, sparirono tra la vegetazione.

I Volturi non esistevano più.

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: pensavate che fossi sparita, vero? E invece no, rieccomi qui dopo mesi di attesa. Purtroppo tra laurea, vacanze e qualche problemino sono stata senza computer per lunghissimo tempo e quindi non ho avuto possibilità di aggiornare. Ma bando alle ciance. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, è stato sicuramente uno dei più difficili da scrivere e penso di averlo revisionato almeno venti volte. Qualche piccola precisazione a riguardo:

-Kyla esce dallo scudo fisico in quanto la voce, come potere, è di tipo fisico e non potrebbe agire con questo tipo di ostacolo;

-noterete che Afton ha un potere differente rispetto a quello del capitolo precedente, che si giustifica con l’uscita della guida della Meyer che mi ha scombinato un po’ i piani: per rimanere “canon” ho scelto di rispettare la guida, a parte qualche aggiunta personale;

-originariamente, questa storia prevedeva la morte di Aro. Poi qualcuno mi ha fatto cambiare idea e in effetti è meglio così: è stato più difficile gestire un Aro esiliato piuttosto che un Aro morto ma, come al solito, se non mi complico la vita io non sono felice.

Dopo queste (in)utili precisazioni, devo ringraziarvi per tutto il sostegno che mi state dando perché è infinitamente prezioso.

Grazie a tutti coloro che aggiungono la storia alle preferite, alle seguite e alle storie da ricordare. Un ringraziamento speciale va a chi recensisce, come sempre. Grazie anche a chi legge in silenzio, spero che questa modesta fanfiction continui a piacervi.

Al massimo tra due settimane pubblicherò il penultimo capitolo, che è in fase di revisione. Come sempre critiche e commenti sono più che graditi! A presto, e ancora grazie di cuore!

Baci, chiaki

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Capitolo 28
*** Harvest Moon ***


Questo capitolo è dedicato a tutte le meravigliose persone che ho conosciuto grazie a EFP: preferisco non nominarle tutte, visto che la mia pessima memoria me ne farebbe sicuramente dimenticare qualcuna.

Vi ringrazio per il sostegno, per avermi fatto ridere quando era il momento e per avermi consolato quando ne avevo bisogno. Grazie, perché ci siete sempre, anche se non vi merito. Siete fantastici.

 

HARVEST MOON

 

 

 

Era davvero finita.

Inspirai profondamente, ancora incredula. Il nostro cerchio si spezzò e ci riunimmo tutti al centro della radura, di nuovo in forma umana. Frugai con gli occhi l’intera compagnia, sussultando ogni volta che mi accorgevo di un’assenza.

Brady. Collin. Tommy. Jared. Non sapevo cosa gli fosse successo, ma speravo fermamente che fossero sotto le cure di Carlisle. E vivi.

Quasi senza rendermene conto controllai anche i succhiasangue. Mancavano all’appello Kachiri e Senna, Carmen ed Eleazar, Garrett, Kiyoko, Tamaki e Fredrick. Qualcuno di loro era morto? O erano solo stati fatti a pezzi e si sarebbero ripresi entro il giorno dopo?

Una figura ai margini del mio campo visivo si avvicinò: mi voltai e rimasi a bocca aperta, attonita.

“Che c’è, lupastra? Non apprezzi il mio nuovo look?”, mi schernì Rosalie, toccandosi con intenzione i capelli biondi, che ora le sfioravano a malapena le spalle. Feci una smorfia, riprendendomi dallo stupore. “Più che altro me l’hai copiato. Non riuscivi proprio a trovare nulla di più originale?”. Lei rise. “La prossima volta chiederò a Felix di farmi un taglio all’ultima moda. Peccato che i nostri capelli non ricrescano…e che Felix ormai sia cenere”.

“Non potevi perdonargli un affronto simile, vero?”.

“Già”, rispose allegramente. Poi si incupì. “Hai saputo?”. Il mio stomaco si contrasse all’improvviso, presagendo brutte notizie.

“Kiyoko e Kachiri. Sono morte”. Rischiai di farmi sfuggire un sospiro di sollievo e un po’ me ne vergognai. Giusto un pochino. Non ero felice della loro fine, ma non le conoscevo così a fondo da poterne essere troppo addolorata.

“Mi dispiace”, dissi sinceramente, e lanciai un’occhiata rapida ai membri del clan giapponese che si stavano stringendo tra loro, prostrati dalla perdita. Zafrina era china su un mucchietto di macerie, probabilmente di guardia ai pezzi della sua sorella sopravvissuta, Senna.

“Tuo fratello come sta?”, chiese dopo un attimo di silenzio. Rabbrividii, improvvisamente agitata. “Deve stare bene, altrimenti se la vedrà con me. Sai per caso…”.

“Carlisle ha portato Seth a casa vostra”, mi interruppe Maggie, che si era avvicinata rapidamente. Si appoggiò un istante a Rosalie, come se non riuscisse a stare in piedi, poi si raddrizzò. “Tienimi informata sulla sua salute, per favore”, aggiunse titubante. Annuii seccamente e mi avviai verso casa. Vidi Jeremy accanto a quelli del suo clan. Mi fissò perplesso e io sillabai il nome di Seth; annuì e mi salutò con un cenno.

Poi iniziai a correre.

***

“Leah!”. La voce di mia madre mi fece sussultare e per un lunghissimo istante temetti il peggio. Poi mi abbracciò rapidamente, sussurrando un tranquillizzante “adesso va davvero tutto bene”. Sospirai sollevata.

“Seth?”, chiesi più brusca di quanto non volessi. Non parve neanche farci caso, troppa era l’angoscia che aveva patito in quella giornata. Tentò comunque di recuperare il suo contegno di donna forte e autoritaria.

“È sveglio e continua a chiedere cibo. Tutto sommato trovo che stia benissimo”. Grugnii un assenso ed entrai in casa. Trovai Seth in salotto, sdraiato sul divano che a stento lo conteneva.

“Finalmente, Lee! Cosa stavi facendo mentre il povero fratellino moribondo aveva bisogno del tuo conforto?”.

“Volevi che ti tenessi la manina?”, ribattei caustica, ma intimamente felice di vederlo così vivace e pronto a scherzare. Lui ridacchiò sventolando la suddetta manina. “Nah, penso di poterne fare a meno. Piuttosto, hai qualche novità che io non so?”, disse facendosi improvvisamente serio.

 “Kiyoko e Kachiri sono morte. Altri sono stati fatti a pezzi, ma si riprenderanno. Maggie sta bene”, sibilai nervosamente, anticipando la domanda. “I fratelli…alcuni non li ho visti quindi…”.

“Collin è grave, me l’ha detto Carlisle. Molto grave”. Sussultai, spaventata. Seth se ne accorse e aggiunse precipitosamente: “Però pensa che se la caverà, a patto di rimanere praticamente immobile per una settimana. Tommy e Jared avevano qualche ferita profonda, ma guariranno anche loro. Brady è piuttosto malconcio, ha cercato di difendere Collin quando è stato attaccato. Carlisle è ottimista, se la caverà anche lui”.

Non riuscii a trattenere un sospiro di sollievo. “E tu come fai a sapere tutto questo?”

“Lee, esiste un’invenzione straordinaria chiamata telefono. Mai sentita nominare?”. Una cuscinata ben piazzata mi risparmiò la fatica di rispondere. “Idiota”.

Mi sedetti sulla poltrona accanto al divano e gli spiegai a grandi linee quello che era successo nella radura dopo che era stato portato via: lui ascoltò con attenzione, intervenendo di quando in quando.

“Adesso che si fa?”, domandai al nulla, intrecciando le dita di fronte al mio viso. Io e Seth ci fissammo con serietà.

La mamma si sporse dalla cucina con sguardo severo. “Adesso si mangia”.

Benedetta quotidianità.

***

Nel pomeriggio, su precisa insistenza di mio fratello, mi recai a casa Cullen, visto che di mia spontanea volontà non mi sarei certo infilata in quel buco puzzolente. I succhiasangue si aggiravano con degli enormi sorrisi stampati sulle labbra, che mi fecero alzare gli occhi al cielo. Quando entrai –rigorosamente senza bussare- un piccolo gruppetto mi si fece incontro.

“Lupacchiotta! Sentivi già la mia mancanza?”.

“Sei venuta a chiedere il copyright sul look, lupastra?”.

“Come sta Seth?”.

“Sei passata a vedere come stanno i fratelli?”.

Era difficile capire chi fosse il più irritante tra Jeremy, Rosalie, Maggie e Jacob. Trattenni un buon numero di imprecazioni tra i denti e provai a rispondere civilmente.

“No, no, bene, sì. Soddisfatti?”. Maggie sembrava leggermente sconvolta dalla mia personale interpretazione di “civilmente”, gli altri non fecero una piega. Ormai ci erano abituati.

Mi guardai rapidamente intorno, registrando altre assenze. “I giapponesi?”.

Fu Jake a parlare per primo. “Rimarranno nella radura finché Tamaki non si sarà ripreso. Poi torneranno immediatamente in patria, per loro è troppo doloroso restare qui”. Tentai una faccia contrita. “Capisco. E…?”.

Jeremy mi strinse la mano appena sopra il gomito e mi spinse verso l’assembramento di succhiasangue riunito nel salone. “Non vuoi partecipare alla riunione strategica post-guerra? Otterrai tutte le spiegazioni necessarie”. Sfoggiò un sorriso così abbagliante che mi contagiò. Annuii e gli altri ci seguirono.

In realtà non c’era molto da dire, ma ovviamente vennero usate molte più parole del necessario. In questo modo l’intero pomeriggio venne occupato dalla famigerata “riunione”: mi scoprii a rimpiangere di aver partecipato.

Con i Volturi eliminati, rimaneva scoperta un’istituzione che da sempre aveva protetto la segretezza del mondo delle sanguisughe, benché con metodi discutibili. Apparentemente a malincuore i Cullen si offrirono di svolgere questo compito, chiedendo inoltre l’aiuto di tutti i vampiri che si sarebbero voluti unire alla causa. Solo il clan di Denali accettò al completo: Tanya e Kate avevano parlato anche per gli altri membri ancora a pezzi. A quello che avevo segretamente ribattezzato il “clan delle sanguisughe ipocrite” si unirono anche Maggie, Renata (che aveva espresso la preferenza di rimanere attaccata alle costole dei Cullen) e Jeremy.

D’accordo, sapevo che probabilmente non si sarebbero mai comportati come i Volturi, però c’era da ammettere che non era il massimo della coerenza una decisione del genere. L’unico aspetto positivo era che si sarebbero trasferiti tutti in Alaska, nelle vicinanze del clan di Jeremy. E io mi sarei liberata completamente dai succhiasangue.

Quella sera, mentre tornavo a casa, mi chiesi amaramente perché non stessi facendo i salti di gioia. Ma temevo che la risposta mi piacesse ancor meno della domanda.

***

Mi svegliai il mattino dopo per colpa del telefono. Lo afferrai di malagrazia, rischiando di romperlo - non sarebbe stata la prima volta- e ringhiai un “pronto” reso impercettibilmente meno minaccioso dalla voce impastata dal sonno.

“Leah! Ci sposiamo tra due settimane! Capisci? Due settimane!”.

“Jacob. Black. Sono le…”, sbirciai la sveglia. “…sei del mattino. A meno che tu non voglia rendere vedova la tua bella ancor prima del matrimonio, ti consiglio di non rifare mai più una cosa simile. Buonanotte”.

“Aspetta!”, urlò nelle mie orecchie già sufficientemente stanche. “Volevo chiederti di farmi da testimone!”.

Ogni intento omicida diretto contro il mio alfa si sciolse come neve al sole. Io? Testimone? Un’emozione travolgente si allargò nel mio petto, cancellando sonnolenza e preoccupazioni: una gioia sincera, che da tempo non provavo, e un senso d’orgoglio per l’affetto dimostratomi da Jake. Non avevo parole per esprimere quanto fossi felice. Ma dovevo mantenere un contegno.

Tossicchiai artificiosamente. “Beh, credo di poterlo fare, si tratta soltanto di stare in piedi un paio d’ore ad annoiarsi a morte. Niente di impossibile”. Silenzio dall’altro capo della cornetta. Era svenuto, per caso?

“Grazie, Leah. Anche io sono contento”. E mise giù. Sibilai qualche impropero e scesi a fare colazione.

***

Nel giro di un paio di giorni il matrimonio tra Jake e Nessie divenne l’argomento più gettonato di tutte le conversazioni, sia dei succhiasangue che dei licantropi. In sostanza la noia mortale era iniziata con due settimane d’anticipo: ero stata fin troppo ottimista nelle mie stime. Per sfuggire alla rottura di scatole –onnipresente persino nelle serate passate insieme al branco a Port Angeles- mi limitavo a parlare con l’unica persona che non sembrava particolarmente interessata alla composizione floreale del bouquet della sposa.

La sorveglianza non era più necessaria, ormai era diventato “il perfetto vampiro vegetariano”, ma passeggiare per Seattle o per la foresta insieme a Jeremy mi faceva stare bene. Ormai era impossibile mentire a me stessa: la paura e l’angoscia che avevo provato durante la battaglia, quando avevo compreso che lui stava per morire, erano impossibili da ignorare. Era perfettamente chiaro, nel mio cuore, che Jeremy per me era molto più importante di quanto non avessi mai ammesso.

Ogni giorno che passava mi stupivo di quanto lui avesse imparato di me, e io di lui. Leggere i reciproci pensieri attraverso le espressioni del viso non era difficile, entrambi l’avevamo imparato durante la sorveglianza e, con un certo stupore, mi resi conto che ormai faceva parte di noi. Avevo persino tentato di analizzare le mie sensazioni e mi ero resa conto che con lui io mi sentivo…giusta. Non dovevo preoccuparmi di dire o fare la cosa sbagliata, non dovevo mettere su una “facciata civile” per coprire la mia naturale irritabilità. Lui mi aveva accettato così come ero fin dal primo momento, e continuava a farlo. Era una sensazione così liberatoria da essere aliena.

Certo, rimaneva il solito rompiscatole irritante e vanesio…ma tutto quello che era successo nel giro di sei mesi aveva cambiato me. In particolare aveva cambiato l’idea che io avevo di lui. Lungi da me l’ammetterlo ad alta voce, comunque.

In quei giorni si congratulò più volte per il mio ruolo di testimone dello sposo –sospettavo che lo facesse per irritarmi ulteriormente- e mi raccomandò di non addormentarmi durante la funzione. Si offrì addirittura di tenermi sveglia a suon di pizzicotti. Che simpatico.

***

“Sai, ho scoperto chi era il nostro avversario durante la battaglia. Me l’ha detto Eleazar”, disse un giorno, dal nulla.

“Oh”, ribattei, poco interessata. Jeremy non parve far caso alla mia risposta decisamente non entusiasta.

“Si chiama Miroh, nella guardia era soprannominato ‘lo specchio dei ricordi’”.

“Mh”. Non capivo esattamente dove volesse arrivare, anche se un sospetto l’avevo: tuttavia era lui a dover fare il passo avanti, non potevo costringerlo io.

“La cosa buffa è che non sapevo che fosse in grado di mostrare ricordi pressoché dimenticati. Sai, io non ricordavo come avevo ucciso la mia famiglia. Sapevo solo di averlo fatto”. Il suo tono era calmo mentre parlava di questo argomento così doloroso. Mi fermai accanto a un masso e mi ci sedetti sopra, facendogli capire che ero intenzionata ad ascoltarlo con la massima attenzione. Lui prese posto vicino a me, senza toccarmi. Anche se avrei potuto giurare di aver visto un sospetto movimento della sua mano verso la mia, che mi causò una stretta allo stomaco sfortunatamente prevedibile.

“I miei primi momenti da neonato erano confusi e frammentari, prima di incontrarlo durante la battaglia. Probabilmente ci ho messo del mio, in quella parziale perdita di memoria, lo ammetto. Ma quando Miroh mi ha toccato ho rivisto tutto, istante per istante”. Fissò assorto la volta degli alberi sopra di noi e prese profondamente fiato, in un gesto estremamente umano. “La prima è stata mia sorella Rebecca, era accanto al mio letto quando mi sono svegliato. Penso non si sia neanche accorta di quello che stava accadendo, tranne che per pochissimi attimi di paura alla fine. Mio padre stava salendo le scale diretto verso la mia camera: stava probabilmente avvertendo Rebecca che era ora di cenare. Gli ho spezzato il collo prima che potesse capire cosa ero diventato. Mia madre era in cucina. Si era voltata verso di me dopo avermi sentito ringhiare. Non so cosa abbia visto in quel momento, ma l’ultima cosa che ricordo del suo viso è l’espressione di completo terrore. Ero coperto di sangue, eppure non mi bastava”.

“Basta, Jeremy. Hai già detto troppo. Quello che è successo non è colpa tua, ma di Kyla. E lei ha pagato”, lo interruppi, incapace di guardare oltre quella sofferenza così sincera. Era assurdo pensare che un tempo ero stata così sciocca da negare che Jeremy fosse una persona: quello che vedevo mi stava sbattendo in faccia la verità.

Non lo avevo convinto della sua innocenza, era impossibile. Ma parve sollevato dalle mie parole.

“Volevo che tu sapessi tutto. Non ti voglio nascondere niente, Leah. Siamo amici, no?”.

Io annuii, leggermente titubante. “Sì, lo siamo”.

Forse qualcosa di più.

Ma questo non riuscii a dirlo. Mi limitai, invece, a farglielo capire in qualche modo. Gli raccontai di quello che Miroh aveva mostrato a me –beh, non proprio tutto-, con la consapevolezza che era la prima volta che mi aprivo così tanto con qualcuno.

Ma andava bene così, no?

***

“Le scarpe! Santo cielo, Leah, non dimenticarti le scarpe!”. Sbuffai all’indirizzo di Alice che era appena entrata nella stanza sventolando un paio di strumenti di tortura generalmente denominati scarpe col tacco.

“Va bene, va bene”.

“L’acconciatura è a posto?”, chiese senza fermarsi un istante. Non capivo che motivo ci fosse per essere tutti così isterici. Era solo un matrimonio, accidenti!

“Considerato il mal di testa che mi stanno facendo venire queste forcine, direi che è più che a posto”, ringhiai.

“Sempre di buonumore, lupastra, a quanto vedo”. Era entrata anche Rosalie, fasciata in un bellissimo abito azzurro pallido. Era uno schianto, maledizione. Beh, lei sarebbe stata altrettanto bella anche con addosso il mio banale vestito di seta grigia. Insomma, era Rosalie.

“Non stuzzicarmi, fino a tre secondi fa ero intenzionata a non rovinare il grande evento e tu stai facendo a pezzi la mia determinazione”.

Esme infilò la testa nella stanza. “La sposa è pronta”, disse commossa, “Bella è con lei e a breve scenderà. Prendete i vostri posti?”. Colsi immediatamente l’occasione di sfuggire alle grinfie della nana e scattai –rallentata, sfortunatamente, dai tacchi- verso le scale. Un attimo dopo ero già accanto al povero Jacob, inchiodato vicino all’altare, che stava sudando abbondantemente strizzato dentro lo smoking blu notte. Gli rifilai la pacca più discreta che riuscii a dare. Lui mi fissò, vagamente smarrito.

“Leah, mi sto per sposare”, sussurrò con la stessa espressione di un bambino minacciato dall’uomo nero. Patetico.

“Bravissimo, te ne sei accorto. Adesso chiudi la bocca, respira, e cerca di dire “sì” al momento giusto, ok?”, sussurrai cercando di essere incoraggiante. A modo mio.

Una risatina dal pubblico mi distrasse un istante. Jeremy mi salutò, sulle labbra ancora l’ombra della risata. Sorrisi e gli feci un rapido cenno.

Nel giro di un paio di minuti tutti presero posizione, attentamente sorvegliati da Jasper che come sempre deteneva il ruolo di stratega/organizzatore. Osservai i miei fratelli in prima fila, alcuni accompagnati dalle fidanzate e, nel caso di Sam, da moglie e marmocchi. Non potei impedirmi di sorridere a tutti loro e quegli scemi dei miei fratelli si diedero di gomito, fingendosi totalmente sconvolti dal mio buonumore. Le suddette fidanzate si esibirono in espressioni esasperate e mi lanciarono occhiate solidali e piene di comprensione.

I succhiasangue erano tantissimi: tutti quelli che avevano presenziato alla battaglia, esclusi i giapponesi. Insomma, fin troppi. Mi toccava sopportare. Gli umani erano la minoranza e tra loro spiccava un commosso Charlie, seduto accanto a mia madre. Rosalie mi passò velocemente accanto, si concesse un rapido pizzicotto al mio fianco e infine si sedette al pianoforte. Cominciò a suonare la marcia nuziale e dopo qualche istante in cima alle scale apparve Renesmee Carlie Cullen in tutto il suo splendore, sostenuta dal padre. Era davvero bellissima, dovevo ammetterlo, con quel vestito bianco e semplice, le guance rosse e gli occhi raggianti. Sembrava brillare di luce propria. Controllai un attimo Jacob, per sapere se era necessario asciugargli la bava, ma mi aveva dato retta e aveva chiuso la bocca. Bravo ragazzo.

Tutti guardavano rapiti la sposa mentre scendeva i gradini con una grazia sovraumana. Sperai che si sbrigasse, comunque. Non avevamo tutta la giornata.

Fu meno noioso di quanto non mi aspettassi. Entrambi si comportarono bene, non svennero e non si incepparono sul “sì, lo voglio”. E io mi emozionai, nonostante tutto. Accidenti a loro.

***

Dovetti ammettere che anche il ricevimento non era male. Alice si era superata con le decorazioni, che erano curate senza essere eccessive. Azzardai persino un mezzo complimento che la fece rimanere in totale silenzio per un minuto intero: beh, qualcosa avevo guadagnato.

Mi lasciai trascinare nelle danze da Jacob, presto sostituito da altri fratelli desiderosi di approfittare del ballo per prendermi in giro con la loro proverbiale delicatezza. Il povero Collin zoppicava ancora, ma accettai lo stesso il suo invito. Era da tanto che non mi divertivo così.

Ballai persino con Emmett, che per tutto il tempo rievocò i momenti della battaglia che lui aveva trovato più memorabili, inframmezzando ogni tanto qualche complimento a noi licantropi, me compresa.

Dopo un po’, stanca dei troppi volteggi mi diressi verso gli ambiti drink. Nessuna paura di ubriacarsi, noi licantropi avevamo un metabolismo troppo rapido per poter risentire seriamente dell’alcool.

Lasciai scivolare pigramente gli occhi sulla pista: inciamparono immediatamente su Seth e Maggie, con il rischio di farmi strozzare con il mio drink. Ballavano insieme da fin troppo tempo. Poco distante da loro Tanya stava danzando con Richard e Sam aveva invitato Esme; Renata tentava di non farsi pestare i piedi da Chris, notoriamente un pessimo ballerino, ma entrambi sembravano comunque divertirsi. Ormai le barriere erano cadute. E, in fondo al cuore, sapevo che tutto questo non mi dispiaceva così tanto.

“È bello vederti sorridere”. Una voce alle mie spalle mi riscosse e fece allargare il mio sorriso. “Posso chiedertene il motivo?”.

“È un matrimonio, Jeremy”, spiegai con la pazienza di una madre con il figlio piccolo e un po’ stupido. “Sorridere è tra le condizioni obbligatorie per partecipare”.

“E lo è anche ballare?”, disse insinuante. Mi prese la mano e la tirò lievemente, in muto invito. Mi voltai con lentezza esasperante verso di lui. “Solo se il cavaliere è bravo”. Fece una smorfia, come se fosse indeciso tra il sentirsi oltraggiato e il ridere per la mia arguta presa in giro. Alla fine si limitò a portarmi al centro della pista, senza lasciarmi mai la mano. La canzone romantica di pochi istanti prima sfumò in una melodia allegra, che non conoscevo, ma Jeremy non si scoraggiò e mi impegnò in figure sempre più rapide e complicate finché, ridendo, non gli dissi di smettere. I tacchi mi stavano uccidendo.

“Devi ammettere che sono un ottimo ballerino”, si vantò puntando il naso in aria. Ridacchiai senza dargli soddisfazione e continuai a ballare. La musica cambiò e divenne un lento.

Prevedibile. Come minimo c’è lo zampino di Rosalie.

La notai accanto all’orchestra, il bel viso trasfigurato in un ghigno furbesco. Maledetta.

La mano di Jeremy sulla mia schiena mi avvicinò al suo petto e repressi a fatica un brivido. Intanto a livello dello stomaco sentivo delle strette sempre più forti, una dietro l’altra. Avevo per caso mangiato qualcosa di avariato?

Certo, come no.

Chiusi un istante gli occhi per calmarmi e aggrottai le sopracciglia. “Tutto bene?”, chiese subito. Accidenti a lui e alla sua mania di osservarmi sempre.

“Mal di testa”, grugnii poco elegantemente. “Forcine”, aggiunsi.

Mi squadrò meditabondo per qualche istante. Poi, veloce come il pensiero, mi tolse tutti quegli inutili fermagli: tintinnarono dolcemente sul pavimento e finirono calpestati dai ballerini. Che liberazione. Jeremy infilò un attimo le dita tra i miei capelli, per riavviarmeli, e dovetti costringermi a non abbandonare la testa contro la sua mano. “Alice ti ucciderà, sappilo”.

“L’ho fatto per salvare una damigella in difficoltà”. Sorrise e avvicinò le labbra al mio orecchio, per aggiungere sottovoce: “Una bellissima damigella”. Sentii un leggero calore a livello delle mie guance: con autentico orrore compresi che stavo arrossendo e nascosi precipitosamente l’imbarazzante fenomeno evitando in tutti i modi il suo viso. “Fino a prova contraria io ero la testimone di nozze”, ribattei acida. Scoppiò a ridere di gusto e dopo un attimo mi unii alla sua risata contagiosa.

Quasi inconsapevolmente diressi lo sguardo verso le vetrate del padiglione, riciclate dalla festa di fidanzamento di qualche mese prima. Il vetro mi restituì l’immagine di una donna sorridente, assurdamente felice, circondata dalle braccia di un uomo che mai avrebbe desiderato prima; intorno, amici e fratelli che ogni tanto le lanciavano un’occhiata velata d’affetto. Ed era sconvolgente rendersi conto che quella donna ero proprio io.

Non sono più sola.

Ma tutto questo non era solo merito mio. Era soprattutto di Joshua, il mio amato cugino, che sarebbe sempre rimasto nel mio cuore come il più prezioso dei talismani. E di Jeremy, il succhiasangue che si era fatto strada fino al mio cuore e lì aveva deciso di restare. Era decisamente il momento di ammettere la verità, almeno con me stessa.

“Vieni con me, voglio farti vedere una cosa”. Di nuovo parole sussurrate nell’orecchio, di nuovo brividi lungo la schiena. Quell’idiota faceva apposta.

Mi trascinò fuori dal padiglione quasi correndo. Si voltò, gettando una fugace occhiata alle nostre mani ancora unite, poi mi sorrise. “Vediamo se riesci a correre anche con quei cosi ai piedi”, mi sfidò. “Le sconfitte ti bruciano così tanto da obbligarti a usare questi mezzucci?”, gli sibilai sorpassandolo di un poco, giusto per mettere in chiaro chi era il migliore. Ossia la sottoscritta.

“Ehm, Leah, dovevamo andare a destra. Hai perso la svolta”.

“Ah”, risposi brillantemente. Poi scrollai le spalle. “Allora fai strada tu, no? Che imbecille…”, borbottai a mezza voce. Ridacchiò e mi guidò attraverso la foresta buia: respirai a fondo l’aroma dolciastro e pungente del terreno umido e il profumo familiare del legno, sentendomi finalmente al posto giusto. Lì, legata a Jeremy, e non soltanto a causa delle nostre mani unite. All’improvviso sbucammo fuori dalla vegetazione e io spalancai gli occhi per il panorama mozzafiato che avevamo di fronte.

A pochi passi da noi il terreno finiva e le ombre si gettavano in uno strapiombo dal quale proveniva un gorgoglio sommesso. Mi avvicinai cautamente, scorgendo un fiume argentato che scorreva placido sotto la luce della luna. Oltre il corso d'acqua una vastissima foresta si stendeva fin dove l’occhio poteva arrivare: le chiome degli alberi si piegavano docili alla brezza, come le onde del mare. Le foglie parevano minuscoli cristalli trasparenti, che rilucevano intermittenti seguendo il capriccio del vento e della luce lunare. In lontananza, incastonato nella foresta, brillava il lago Pleasant, simile a una lastra di candido alabastro sotto la luce della luna. Una luna piena e incantevole, che brillava con tale forza nel cielo notturno da oscurare le stelle.

“È bellissimo”, sussurrai, incapace di nascondere la mia meraviglia.

“Immaginavo che non l’avessi mai visto. Questo luogo fa parte del territorio dei Cullen”. Annuii senza spiccicare parola. Sapevo che avrebbe parlato lui per me. “Questa è la prima luna piena d’autunno. Dove sono nato io la chiamavano la ‘luna del raccolto’ e in quest’occasione tutti festeggiavamo fino all’alba la fine del nostro lavoro nei campi. Partecipavano tutti: vecchi, bambini, contadini, proprietari terrieri…nessuna distinzione”.

“Non doveva essere male”, dissi pigramente, spostando la vista sulla foresta frusciante.

“Già, non lo era. Fa parte di ciò che ho perso quando sono diventato un vampiro. Per fortuna il destino mi ha permesso di guadagnare qualcosa da questa maledizione eterna”. Sentii il suo sguardo su di me. Girai leggermente il viso per incontrare i suoi occhi, che poche volte erano stati così seri e intenti. Di nuovo una stretta allo stomaco.

Pititchu”, sussurrai piano, sicura che lui potesse sentirmi. La sua faccia perplessa era una vera soddisfazione. Ridacchiai tra me e me. “ Significa ‘luna’. È una parola del linguaggio Quileute”, spiegai.

“Ah, ehm, capisco”, balbettò.

No, non capiva. Non poteva sapere che ci era proibito insegnare anche una singola parola Quileute a qualcuno esterno alla tribù senza l’approvazione del consiglio degli anziani, tanto più se l’esterno in questione era una sanguisuga. Ma io lo sapevo perfettamente. E non l’avevo fatto per sbaglio o spinta da un impulso momentaneo. A Jeremy avevo concesso la mia fiducia, il permesso di superare delle barriere che fino a qualche mese prima erano insormontabili. Anzi, da tempo avevo abbassato parecchie difese con lui, altrimenti non si sarebbe spiegato il fatto che il mio cuore aveva iniziato a battere così forte da farmi pensare che potesse uscirmi dalle costole. E l’accorgermi improvvisamente che alla luce lunare lui era oggettivamente bello –nonostante le cicatrici- non aiutava di certo.

Tentando di nascondere questo groviglio di sentimenti e pensieri riportai lo sguardo alla luna.

“Leah”.

“Mh?”.

“Cosa faresti se, diciamo, io ti baciassi?”.

Probabilmente rischierei di morire d’infarto, come in questo momento.

Rievocare, anche solo vagamente, la morte di mio padre mi diede la lucidità necessaria per rispondere.

“Penso che ti tirerei un calcio nello stomaco”. La mia voce era perfettamente calma. Mi complimentai con me stessa.

Rimase zitto per parecchi secondi, apparentemente assorto nei suoi pensieri. Con la coda dell’occhio sbirciai il suo profilo elegante, la bocca leggermente contratta e il reticolo di cicatrici pallide che partivano dal sopracciglio destro e arrivavano al mento. Insomma, si arrendeva così facilmente? Era una vera delusione, lui non aveva neanche il coraggio di…

Le sue dita fredde mi sfiorarono il dorso della mano e poi si intrecciarono alle mie, trovando immediatamente l’incastro giusto. Inspirai bruscamente nel trovarmelo di fronte.

“Tutto sommato, direi che sono disposto a correre il rischio”.

Si chinò lentamente verso di me e per un istante fui totalmente terrorizzata. Sì, terrorizzata. Perché era tutto sbagliato, io non potevo volere lui, lui non doveva volere me. Era contro tutto quello in cui avevo creduto, era impossibile, era…

Poi un bacio delicato si posò sulla mia tempia e tutte le paranoie si sgonfiarono. Sospirai mentre le sue labbra sfioravano la fronte, la guancia, il mento. Ero incapace di muovermi e di parlare. Rosalie avrebbe pagato in oro per avere un risultato identico.

I pensieri futili evaporarono nel momento esatto in cui mi baciò davvero. Le labbra dure e fredde originarono un’esplosione di calore che attraversò ogni fibra del mio corpo, come un fuoco purificatore. Sentivo il cuore martellarmi nel petto, i battiti echeggiavano potenti fin dentro l’anima.

Jeremy era cauto, probabilmente spaventato dalla possibilità di un rifiuto che non sarebbe mai arrivato. Non ne avevo più la forza. Dopo alcuni leggeri sfioramenti a fior di labbra -che mi fecero quasi imprecare per l’impazienza- finalmente immerse una mano tra i miei capelli e mi portò più vicina. Il contatto improvvisamente più intimo mi fece tremare e mi aggrappai al tessuto morbido della sua camicia come in cerca di sostegno. Ma lui non mi avrebbe lasciata andare, lo sapevo bene. Lo capivo dal suo tremito, dalla mano che continuava ad accarezzarmi i capelli con insospettabile delicatezza, dalle nostre dita ancora saldamente intrecciate.

Si staccò un istante per darmi la possibilità di prendere fiato e mi baciò di nuovo, rubandomi il respiro e i frammenti della vecchia Leah che ormai avevo lasciato andare.

Quando ci separammo davvero tentai di calmare i battiti del mio cuore, mentre Jeremy regolarizzava il respiro con una certa difficoltà.

Il suo sguardo lieto, il suo sorriso così largo da farmi temere che si crepasse fino alle orecchie, la fronte appoggiata alla mia…parlavano di una felicità che lui non mi aveva mai mostrato prima d’ora e che rifletteva perfettamente la mia. Sentivo le labbra pulsare ed ero consapevole del fatto che stavo sorridendo come una tredicenne davanti al cantante dei suoi sogni, ma non potevo farci nulla.

Tuttavia, avevo una reputazione da mantenere. E una parola da rispettare.

Mi liberai velocemente dalla sua stretta e gli piantai un calcio nello stomaco. Volò contro un albero e lì rimase, a fissarmi più perplesso che mai. Scoppiai a ridere, spensierata, e feci per andarmene. Dopo pochi passi voltai leggermente la testa per guardarlo e piegai le labbra in un sorriso impertinente. “Lo sai che io mantengo sempre le promesse”. Mi girai di nuovo.

Non era passato neanche un secondo che sentii le sue braccia cingermi da dietro. “Sei davvero impossibile, Leah”. Posò le labbra sulla mia nuca, scatenando un brivido lungo tutta la spina dorsale. Torsi il collo per poterlo guardare negli occhi. “Sì, lo so”. Mi sporsi avanti e lo baciai. Si irrigidì per la sorpresa, ma si riprese in fretta e mi strinse così tanto da farmi quasi male. “Leah…”, mormorò contro le mie labbra.

Al diavolo tutto. Non avevo voglia di tornare a quel ricevimento rigurgitante di succhiasangue. Volevo stare lì, tra le braccia di Jeremy, fino a dove la notte ci avrebbe portato. Era un bene che i suoi baci avessero mandato in totale blackout il mio cervello; in caso contrario avrei continuato a essere preda delle mie paranoie e non avrei mai afferrato la felicità inaspettata -ma già intuita da tempo- che mi dava lo stare così, con lui.

Tuttavia era il matrimonio di Jake e io ero la testimone. Non potevo mancare alla festa e il muso lungo che mi avrebbe propinato l’adorabile alfa il giorno dopo non era l’unica motivazione per questa decisione. Volevo stargli vicina. E, insomma, dovevo ancora prendere in giro Rosalie per avermi scopiazzato il taglio di capelli.

Mi scostai un attimo da Jeremy, con il respiro leggermente accelerato. I suoi occhi brillavano nella semi-oscurità, offuscati e un po’ persi. “Lo so, dobbiamo tornare al ricevimento”, borbottò. Mi posò un ultimo bacio sulle labbra e sorrise. “Dai, andiamo”.

***

La strada del ritorno non fu propriamente lineare. Non che avessimo problemi di orientamento, ovvio. Semplicemente Jeremy –e anche io, giusto un pochino- era intenzionato a recuperare il tempo perduto in sei mesi di battibecchi e a fare scorta per…il futuro.

Santo cielo, sembravamo dei tredicenni alle prese con la prima cotta. Il che era poco meno che imbarazzante e poco più che disgustoso. Glielo –e mi- stavo concedendo quel momento di…ehm, decadenza neuronale solo perché ci eravamo appena scoperti, nulla più. Poi se la sarebbe sognata quell’arrendevolezza da parte mia. Ops, peccato, lui non sognava.

Leah, sei perfida.

Ridacchiai all’indirizzo della vocina della mia coscienza. Ormai avevo imparato ad accettare pure lei.

Entrammo lentamente nel padiglione, mano nella mano. Parecchi sguardi si diressero verso di noi, ma non lasciai quella stretta rassicurante. In ogni caso ero consapevole che non sarei mai riuscita a nascondere il lieve rossore sulle mie guance e l’espressione da “ho vinto un miliardo di dollari alla lotteria” spalmata sul viso di Jeremy.

La serata continuò, solo leggermente scombussolata dalla nostra apparizione, e mi resi improvvisamente conto che alla partenza di tutta la compagnia vampiresca mancava solo una settimana. Jacob e Nessie sarebbero rimasti qui, mentre tutti gli altri Cullen avevano come destinazione l’Alaska.

Detestavo ammetterlo, ma Rosalie mi sarebbe mancata, e pure parecchio. Accidenti a lei. Anche il suo compagno, Emmett…insomma, era decisamente spassoso quando ci si metteva. Carlisle ed Esme non erano male, li avrei potuti sopportare ancora per un po’, senza contare che il medico aveva fatto molto per la mia famiglia, il branco. Alice, per quanto rompiscatole, era sempre riuscita a farmi apparire dieci volte più bella di quanto non fossi grazie ai suoi trucchetti da modaiola incallita. Sospettavo inoltre che Jasper avesse cercato più volte, con discrezione, di calmarmi quando percepiva che ero sull’orlo di una crisi isterica. Bella ed Edward, quando non tubavano eccessivamente, erano persino tollerabili.

Quasi scoppiai a ridere quando mi resi conto che non mi sarei fatta troppi problemi ad avere tutti i Cullen tra i paraggi ancora per un po’. Il pacchetto completo, tra l’altro. Ormai, però, tutto era stato deciso.

Un’esplosione di risate mi distrasse. Jeremy era al centro della pista, circondato da alcuni dei miei fratelli e da qualche vampiro: l’allegria era così intensa che mi sembrava quasi di poterla toccare con mano. La luce di decine di lampade brillava sui capelli biondi del mio idiota platinato preferito –nonché l’unico, ecco perché- e mi ritrovai a sorridere senza motivo. Ma quella mia serenità durò poco.

Una settimana. Era quello tutto il tempo che avevamo.

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: e anche il penultimo capitolo è andato. Il prossimo sarà l’epilogo e spero di riuscire a pubblicarlo entro il 23 settembre, giorno della mia partenza per l’Irlanda. Altrimenti, come al solito, la data di pubblicazione sarà tra due settimane. L’epilogo è già scritto, è solo da revisionare, quindi non dovrebbero esserci imprevisti.

Qualche parola riguardo a questo capitolo. Sono negata per fluff e scene romantiche in generale. Ci ho messo tutto il cuore in questa, ma capirò se non vi dovesse piacere. L’atmosfera da “romanzetto” (luna, stelle eccetera) in genere non mi piace, perché poco realistica: personalmente non mi è mai capitata una cosa simile, e ho sempre ritenuto l’ambientazione di certi momenti totalmente ininfluente. In questo caso, però, ho voluto inserire l’immagine della luna piena dalla quale l’intera storia prende il titolo: la luna del raccolto, ossia Harvest Moon. Penso che sia evidente che Leah ha “seminato” nel corso della storia e questo capitolo era il momento di “raccogliere”. È un po’ patetico, lo so, ma l’ho pensata così dal primo istante in cui ho ideato questa fanfiction. Non posso che sperare nella vostra approvazione.

Ringrazio come sempre tutti coloro che aggiungono la storia alle seguite, alle preferite e alle storie da ricordare, e anche chi legge in silenzio rimanendo nell’ombra. Grazie di cuore.

Uno speciale ringraziamento a chi recensisce, le vostre parole sono sempre meravigliose e continuano a stupirmi.

Critiche e commenti, soprattutto in questi ultimi capitoli, sono più che graditi! ^^ A presto!

Baci, chiaki

 

*Angolo pubblicità*: Alcuni mesi fa ho scritto una one-shot che ha partecipato a un contest, classificandosi prima, ma solo la scorsa settimana sono riuscita a pubblicarla. Il fandom è quello di Harry Potter, se vi va mi farebbe piacere che ci deste un’occhiata. La storia è The last snapshot.

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Capitolo 29
*** Epilogo - Umani ***


Infine eccolo qui. L’ultimissimo capitolo, che mi ha fatto sudare sette camicie (è questo il motivo del ritardo, vi chiedo scusa). Desidero dedicarlo a tutti i lettori che hanno seguito questa storia, che mi hanno sostenuta e resa più felice di quanto non avrei mai potuto immaginare. Grazie di esserci stati.

 

EPILOGO

 Umani

 


 

Avevo deciso di godermi appieno la serata: avevo ballato di nuovo, anche con Jeremy, avevo riso e parlato con quasi tutti. Mi ero persino stupita della mia stessa socievolezza.

Ma la festa era finita ed io mi ritrovavo in macchina con Seth, diretta verso casa. Lui, esattamente come me, sembrava felice, benché privo di quella punta di amarezza che non mi voleva lasciare.

“Ehi Lee”, disse all’improvviso, gettandomi una fugace occhiata. “Si può sapere cosa è successo tra te e Jeremy?”. M’irrigidii, mio malgrado imbarazzata. Decisi di rispondere con un’altra domanda e pregai che il mio fratellino fosse meno furbo di me.

“Si può sapere cosa è successo tra te e Maggie?”, insinuai tranquilla fissandomi le unghie.

Ridacchiò. “Beh, ha deciso di rimanere in America, giusto? Diciamo che avremo l’occasione di vederci”. Sembrava parecchio soddisfatto. Seguì qualche momento di silenzio, che venne rotto nuovamente da lui.

“Certo che siamo i licantropi più strambi del branco. Chi l’avrebbe mai detto?”. Feci per ribattere con qualcosa di antipatico, visto che avevo capito perfettamente il sottinteso nella parola “strambi”, ma all’improvviso mi parve davvero inutile mentire.

“Già”, replicai sconsolata, scuotendo la testa.

E scoppiammo a ridere.

***

In quella settimana mi comportai come una scolaretta alle prese con la prima cotta. Di nuovo. Cercavo di stare il più possibile con Jeremy, intimamente persuasa che quelli sarebbero stati gli ultimi giorni che avrei passato con lui.

A volte mi davo della stupida per questi pensieri poco meno che catastrofistici: in fondo l’Alaska non era così lontana, considerata la velocità dei vampiri. Però…c’era un però. Una volta partiti i succhiasangue io potevo tornare umana: una possibilità c’era, neanche troppo remota. E da umana non potevo certo restare con Jeremy, era semplicemente assurdo. Io non ero Bella.

Jeremy era riuscito dove nessun altro aveva avuto successo: insegnarmi ad aprire il mio cuore, a dare fiducia, a mettere i sentimenti in gioco. Lui aveva contribuito al mio risveglio, insieme a mio cugino Joshua, e adesso toccava a me andare avanti. Mi sarei dovuta trovare un uomo perbene, lo sapevo, uno da amare e con il quale condividere la mia vita. Chissà, magari costruire una famiglia.

Perché era chiaro che con Jeremy non potevo restare. Lui non aveva neppure accennato alla possibilità di rimanere nella zona di La Push ed io non avevo la minima intenzione di obbligarlo: doveva essere una scelta sua. In ogni caso la separazione era la soluzione più logica.

Ma allora perché era tutto meno che indolore? Perché m’innervosivo ogni volta che pensavo a Jeremy che se ne andava per sempre? Forse era solo egoismo, forse era paura di perdere qualcuno della cui presenza mi ero ormai abituata. Forse.

Un pomeriggio sacrificai un po’ del poco tempo che avevo con Jeremy per andare a trovare il sommo alfa. Era un modo come un altro per non lasciarmi andare a pensieri deprimenti e inutili. Speravo che vedere il povero Jake alle prese con la difficile vita coniugale avrebbe contribuito a distrarmi: in fondo non ero cambiata così tanto, ancora tendevo crogiolarmi nelle disgrazie altrui.

Invece lui mi accolse luminoso come il sole, il viso attraversato da un sorriso così lieto e rilassato da farmi venire l’orticaria. Perfetto: ancora una volta, Leah Clearwater era l’unica scema a restare senza un vero lieto fine.

Quanto sei catastrofista. Si tratta solo di scegliere…

Misi a tacere la vocina della mia coscienza e mi rivolsi al neo-sposo. “Ehi, Jake. Mamma ha chiesto se tu e Nessie volete venire domani sera a cena da noi. Prepara una frittura di pesce a misura di licantropo, così ha detto”. Jacob si esibì in un sospiro estatico.

“Mmm, la famosa frittura di Sue. Non potrei mancare per nulla al mondo”.

Ci fu qualche istante di incerto silenzio. “Come stai, Leah?”.

“Io? Benissimo, perché?”, domandai svelta. Fin troppo.

Lui sporse un braccio per arruffarmi i capelli: gli lanciai un’occhiata omicida, corredata da un pestone violento a quel piede dimensione zattera.

“Suscettibile”. Cercai di ignorare il fatto che quell’aggettivo fosse il preferito di Jeremy.

“Te la sei cercata, Jake. Cosa pensavi di fare?”. Scrollò le spalle con fare noncurante.

“Sei tenera quando menti a te stessa, tutto qui”. Aprii la bocca per ribattere –probabilmente con qualche insulto- ma lui mi bloccò con un sorriso.

“Ascolta, Lee, non sarò io a dirti cosa devi fare. Non sarebbe giusto, non sono tuo padre e non so leggere nel pensiero. Sei tu che devi scegliere ciò che è meglio per te, e nessuno lo sa meglio di te. Ma ricordati che qualsiasi cosa succeda, avrai sempre il mio appoggio. Anche se farai qualcosa di stupido. Intesi?”.

Va bene, Jacob aveva una personalità nascosta che era appena venuta alla luce. Insomma, aveva fatto un discorso serio, e mi aveva lasciato carta bianca su ogni mia decisione. Niente fai così, fai cosà. Un miracolo, praticamente.

E mi aveva garantito il suo appoggio, molto più di quanto non avessi mai ottenuto da qualcuno. Forse qualcosa era cambiato, in fondo.

“Grazie, Jacob”. Lo dissi con forza, sperando che capisse quanto quelle sue parole contavano per me, soprattutto in quel momento. Parve recepire il messaggio, perché il suo sorriso si allargò come non mai.

“Allora a domani”, mi congedai, pronta ad andare a sprecare un po’ di tempo con un certo succhiasangue rompiscatole.

“Ehi Lee!”, urlò l’adorabile alfa, ancora a portata d’udito. Mi bloccai e feci un fischio, per fargli intendere che ero in ascolto.

“Rimani sempre la solita testarda irascibile”. Ringhiai e ricominciai a camminare: l’eco delle sue risate mi seguì per parecchio tempo.

***

“A cosa pensi?”. La voce di Jeremy mi fece aprire gli occhi. Ero sdraiata a terra, perfettamente rilassata, a godermi gli ultimi raggi del sole di un autunno impaziente di cedere il passo all’inverno. Lui mi guardava dall’alto, appoggiato su un gomito. Gli sorrisi, mentre lui passava una carezza in punta di dita sulla mia guancia.

“A niente”.

“C’è stato un tempo in cui questa risposta mi avrebbe confermato la tua mancanza di cervello, ma ora…ouch!”. Un pugno ben piazzato l’aveva sbattuto contro una pietra, originando un fracasso tremendo. “Permalosa”, borbottò. Si sporse leggermente per sfiorarmi le labbra in un bacio delicato. “Ma mi vai bene così”.

Sbuffai, fingendo indifferenza. “Intendevo che non stavo pensando a niente di importante”.

Bugia. Come al solito stavo riflettendo su noi due, sui dubbi che continuavano ad aleggiare nella mia mente, anche dopo che avevo preso la mia decisione. Era meglio seguire il cervello, piuttosto che il cuore. Invertire le priorità mi aveva portato solo dolore, in passato. Jake mi avrebbe appoggiato, l’aveva promesso. Anche Seth e la mamma avrebbero dovuto farlo. E i fratelli del branco non avrebbero potuto essere più contenti. Niente più succhiasangue, finalmente.

Ignaro dei miei pensieri, Jeremy sembrò accettare la mia spiegazione. Preferii cambiare argomento velocemente.

“A che ora partite domattina?”, chiesi fissando i rami sopra la mia testa.

“Poco dopo l’alba, credo. Perché? Vuoi venire a salutarci?”. Sorrideva, spensierato come sempre. Era evidente che non gli importava poi tanto della separazione. Meglio così, una scocciatura in meno.

“Non se ne parla neanche. Passerò oggi pomeriggio a salutare la biondastra e domattina ho intenzione di dormire fino a mezzogiorno”, risposi con sussiego.

“Capisco”, disse meditabondo, poi si sporse ad abbracciarmi. Accettai quel contatto senza protestare: dovevo godermi quegli ultimi momenti, giusto?

***

“Ehi, lupastra! Ormai mi ero rassegnata a non vedere la tua brutta faccia fino al prossimo anno”.

“Grazie, sottospecie di ghiacciolo. Come puoi notare non ho resistito alla possibilità di darti fastidio”.

Rosalie fece una smorfia a metà tra il divertito e il contrariato. “Dai, vieni in giardino”. La seguii con calma, dopo aver gettato un’occhiata alla casa semi-vuota. I succhiasangue si muovevano rapidi per sistemare le ultime cose. Emmett sventolò una mano nella mia direzione, mentre Esme stava preparando qualcosa in cucina; Alice e Jasper mi sorrisero. Incredibile come tante cose fossero cambiate.

Rosalie si sedette elegantemente a gambe accavallate sul muretto del giardino ed io presi posto accanto a lei, con una naturalezza che prima mi era sconosciuta.

“Non sei stata una cattiva compagnia, lupastra, devo ammetterlo”, disse noncurante, gli occhi fissi sulle piante davanti a sé.

“Neanche tu, in fondo. Molto in fondo”.

“Già, sei sempre stata deliziosamente irritabile e spassosa”, continuò come se non avessi parlato.

“E tu adorabilmente psicopatica e vanitosa”.

Rimase zitta un attimo, poi m’infilò sbrigativamente in mano qualcosa. Era un braccialetto semplice, con una L argentata che pendeva al centro. Lo fissai attonita per parecchi secondi e lei parve agitarsi.

“Insomma, non è niente di speciale, volevo essere sicura che tu ti ricordassi sempre il tuo nome. Sai che ho sempre avuto a cuore la tua sanità mentale e…”.

“È bellissimo, Rosalie. Grazie”. Le sorrisi, posandole una mano sull’avambraccio in un gesto amichevole. Sorrise anche lei.

“Ci vedremo ancora, lupastra. Non ti libererai facilmente di me”. Ridacchiai.

“Lo spero proprio”. La mia risposta la lasciò basita per un istante, ma si riprese in fretta.

“In questi mesi sei diventata più simpatica, vedi di sfruttare questa nuova capacità. Pretendo che tu sia felice, Leah. Intesi? Altrimenti te la vedrai con me”.

“Sto già tremando”

“Dovresti, amica mia”. Non mi sfuggirono quelle parole così importanti. Rosalie era un altro pezzo della mia felicità e neppure se ne rendeva conto. Ignorai le sue minacce e cambiai argomento, lieta di poter spendere quelle poche ore con un’amica.

***

“Davvero carino il braccialetto”.

Era sera ormai ed io ero di nuovo con Jeremy nel bel mezzo della foresta. Aveva preso la mia mano e portato il polso all’altezza dei suoi occhi, fingendo di averne bisogno. Era solo una scusa inutile per toccarmi. “Avrei dovuto pensare anche io a qualcosa da darti”, borbottò sovrappensiero, sfiorandosi la punta del codino.

“Sappi che se hai intenzione di regalarmi una ciocca dei tuoi capelli la prima cosa che farò sarà bruciarli”. Rise allegramente.

“Sarebbe stato molto romantico”.

“Sarebbe stato totalmente vomitevole, Jeremy”.

Fece spallucce. “Se lo dici tu…era per essere sicuro che non ti dimenticassi di me”, disse con leggerezza.

“Non c’è pericolo”, ribattei automaticamente. Il suo sguardo stupefatto mi fece rendere conto dello scivolone che avevo appena commesso. “Cioè, insomma, un rompiscatole come te non l’ho mai incontrato, sono stati dei mesi sfiancanti in tua compagnia…”, aggiunsi precipitosamente. Non parve prendersela, anzi. Mi cinse la vita con un braccio e appoggiò la fronte alla mia.

“Sei unica, Leah”. Il mio cuore accelerò, smosso da quelle parole così semplici ma cariche di significato. Gli occhi di quell’idiota biondo, che mi stavano fissando come se volessero leggermi dentro, fecero aprire un vuoto a livello del mio stomaco, presto riempito da quella sensazione attribuibile alle famigerate farfalle.

Perfetto, ero fritta.

Mi baciò con un impeto ai limiti della disperazione, privo della solita dolcezza. Ed io mi ritrovai a rispondere con pari intensità, stanca di negare la forza di quello che provavo e di allontanare il desiderio di stare con lui, anche solo per quella notte. Era così sbagliato? Avevamo solo una manciata di ore per stare insieme, così poche…

Mi staccai e, senza dire una parola, lo presi per mano e lo condussi attraverso la boscaglia. Arrivammo ai confini del territorio proibito a Jeremy, a pochi metri da casa mia. Mia madre era da Charlie, Seth era in campeggio con alcuni ragazzi del branco: sospettavo che quella coincidenza non fosse puramente casuale. Ma non avevo voglia di rifletterci su.

Jeremy mi fissava, serio, e attendeva la mia prossima mossa. Tutto dipendeva da me, in quel momento, da quanto volevo spingermi lontano. Inspirai ed espirai a fondo, per essere certa della mia decisione, poi feci un passo avanti tirandolo insieme a me.

“Sono nel vostro territorio, adesso”, disse pacato, senza distogliere lo sguardo dal mio viso.

“Lo so”.

Senza più parlare lo condussi in casa mia.

***

Mi svegliai a causa di un tocco delicato lungo la schiena. Rabbrividii un istante e aprii gli occhi: registrai con un angolo della mia mente il debole chiarore che rischiarava la mia camera, facendomi intuire che era l’alba, poi guardai il volto di Jeremy a poca distanza dal mio.

“Buongiorno”, sussurrò piano, senza smettere di accarezzarmi. Sorrisi e mi stiracchiai pigramente, cercando di convincermi che quello non fosse il miglior risveglio da sette anni a quella parte. Mi abbracciò stretta e posò un bacio sul mio collo. Restammo così qualche minuto ed io mi stupii nel rendermi improvvisamente conto che era da un pezzo che il suo odore vampiresco non mi irritava più il naso. La forza dell’abitudine.

Era tipico di me pensare a delle stupidaggini nei momenti più seri.

Cos’altro potevo fare? Ricordare che stava per andarsene? Non volevo sprecare in quel modo quegli ultimi istanti di vicinanza. Avevo deciso di affidarmi alla razionalità, avevo scelto di abbandonare il mondo sovrannaturale per costruirmi un futuro in quello umano e normale. Jeremy era lo scotto da pagare, lo sapevo. Eppure non riuscivo ancora a decidermi a lasciarlo. Ci pensò lui a ricordarmi che ormai era ora.

“È tardi”, mormorò. Annuii contro la sua spalla e sciolsi l’abbraccio. Mi girai dall’altra parte mentre si vestiva: non volevo fare la figura della protagonista melensa di un qualsiasi film sentimentale.

“Ci vediamo presto, Leah”. Si avvicinò e mi baciò lentamente, senza fretta, con una mano dietro la mia nuca e l’altra sul fianco coperto dal lenzuolo.

“Sì”, gli risposi semplicemente.

Bugiardo. Bugiarda.

Poi Jeremy uscì dalla mia stanza e dalla mia vita, così com’era entrato.

***

Sapevo che le ore seguenti sarebbero state le peggiori. Il distacco era sempre difficile, poi con il tempo le ferite sarebbero guarite, la nostalgia sarebbe scemata, il sentimento…sarebbe stato dimenticato. Ero forte, no? Stronza, suscettibile, irritante…ma queste rassicurazioni non mi bastavano.

Ero incapace di stare ferma: passeggiavo senza requie per la casa, evitando la mia stanza come la peste. Il letto era ancora impregnato di quell’odoraccio di vampiro.

Passai in cucina, teatro di infinite schermaglie tra me e Seth, costantemente sedate dagli ordini della mamma –e dai suoi piatti prelibati-.

I miei passi si diressero poi in salotto, dove fin troppe volte si erano tenute riunioni con il branco. La poltrona e il divano erano sfondati da anni. Una volta Joshua aveva suggerito che fosse stato il mio peso a produrre quegli effetti…

Entrando nel bagno, mi resi conto che persino lì trovavo dei ricordi: con docce fredde lavavo via il puzzo di Jeremy, quando ancora non lo sopportavo. Una traditrice stretta allo stomaco mi colse.

Ormai ho deciso. Basta pensieri. Basta.

L’ingresso non poteva crearmi danni, no? Passai pigramente il dito su un mobile mentre la mia mente si calmava. Sfiorai il portafoto e quello cadde con un tintinnio di vetri infranti; imprecai. Un licantropo non dovrebbe fare danni del genere, mi dissi.

Raccolsi la foto con calma, assorta nei miei pensieri. Poi la accarezzai amorevolmente, sorridendo al volto di mio padre. Per fortuna non c’era nessuno in casa a intercettare tali smancerie.

Papà cosa avrebbe pensato di me? Si sarebbe arrabbiato per quello che era successo con Jeremy? Era parecchio orgoglioso dell’eredità Quileute, forse non avrebbe apprezzato…

Ma lui amava me più della tradizione.

Era stato un episodio risalente a sette anni prima che me l’aveva fatto comprendere appieno. L’avevo visto nei pensieri di Sam e non l’avevo rivelato a nessuno. Dopo la mia trasformazione c’era stata una riunione d’emergenza del consiglio degli anziani. Mio padre si era alzato. Aveva fissato tutti negli occhi, senza nascondere il dolore che provava. Eppure la sua dignità non ne risentiva minimamente. Li aveva inchiodati ai loro posti.

Poi aveva fatto la sua richiesta. Voleva che mi fosse tolta quella responsabilità. Aveva detto che mi meritavo di vivere una vita felice, dopo tutto quello che avevo passato. Voleva che io avessi il diritto di scegliere.

Il consiglio non aveva accettato: per quanto fossero dispiaciuti, le regole erano regole. Li avevo odiati, quando l’avevo scoperto. E anche mio padre era diventato freddo nei loro confronti. La sua lotta era stata inutile.

Lui mi vorrebbe vedere felice.

Era vero. Non desiderava altro per me. E io? Ero davvero felice? Avrei rimpianto Jeremy?

Sì.

No! Non potevo permettermelo, accidenti! Ero già scesa a patti con me stessa! Non dovevo più pensare ai pro e ai contro.

Mi sentivo sull’orlo di un baratro. Avevo paura di sbilanciarmi e cadere nel buio, senza possibilità di tornare indietro. Temevo l’ignoto, ma, soprattutto, temevo di cambiare la decisione che avevo già preso. Eppure mi concessi un istante per pensarci. Cosa mi costava il tentare di stare con Jeremy?

Tutto. Mi costava tutto. Normalità, maternità, famiglia. E solo per cominciare. Però…se mettevo su una bilancia i sacrifici derivanti dalla presenza di Jeremy e lo stupido, insensato e innegabile dolore che mi dava la sua assenza…forse valeva la pena rischiare.

Che senso aveva cercare un altro uomo che potesse stare con me, quando avevo già trovato il migliore per me? Perché avrei dovuto costruirmi una favola di menzogne in cui vivere male, quando potevo dire la verità e stare bene, anche se a prezzo di un sacrificio? Per quale motivo dovevo negare quello che provavo?

All’improvviso mi sentii libera come non lo ero da anni. Era facile, facilissimo ammettere tutte queste cose: ero più leggera, più lucida.

Al diavolo tutto. Mi sarei presa quello che volevo davvero, senza preoccuparmi delle conseguenze. L’avevo già fatto troppe volte ed ero stanca, stanca di fare così: non me n’era venuto in tasca niente. Basta paranoie, basta paure. Avrei rinunciato a qualcosa, per avere ciò che desideravo davvero.

Jeremy.

Aprii la porta e corsi fuori, determinata a raggiungere quello stupido succhiasangue per riportarlo indietro, dove doveva stare.

Con me.

Rischiai di scontrarmi con Jacob, che evidentemente stava venendo a trovarmi. Magari era preoccupato per me, vista la partenza di Jeremy: non potei fare a meno di sorridere. Mi fermai giusto un istante per chiarire le mie intenzioni.

“Spero che non ti dia fastidio avere un succhiasangue in zona, perché ci resterà per un bel pezzo”, scandii con decisione, quasi troppo allegramente. Lo fissai un istante e rischiai di scoppiare a ridere. “Chiudi la bocca, Jake, ci entrano le mosche”.

Detto questo scattai e iniziai a correre con tutte le mie forze. Veloce, sempre più veloce.

Volevo Jeremy, lo volevo per me.

Seguii la scia delle sanguisughe, cercando di accelerare ancora, pervasa da un’euforia del tutto nuova, da una voglia di vivere la mia vita che mai era stata così intensa. Era come se volessi esplodere dalla mia stessa pelle.

Obbligai le mie gambe a correre alla massima potenza per più di tre quarti d’ora, incurante della stanchezza. L’avere di fronte a me un obiettivo chiaro mi dava forza, mi spingeva a non mollare. Potevo andare avanti ancora per un’ora senza nessun problema.

All’improvviso, senza nessun preavviso, vidi Jeremy sbucare dalla boscaglia, in direzione opposta alla mia. Si bloccò: sembrava sbalordito. “Leah?”.

Lo abbracciai di slancio, facendo cadere entrambi a terra. Lasciai che una risata sgorgasse spontanea dalla mia bocca. Stava tornando indietro! Questo confermava che stavo facendo la scelta giusta.

“Resta”, gli dissi semplicemente. Lui spalancò gli occhi, completamente sbalestrato. “Altrimenti ti costringerò con le botte, a te la scelta”, aggiunsi serissima. A quel punto lui si riprese e scoppiò a ridere. Mi diede un bacio veloce e, dopo essersi rimesso in posizione eretta, mi aiutò ad alzarmi in piedi. Non che ne avessi bisogno, ovviamente, ma era divertente vedere come tentava di fare il gentiluomo.

“Temo di non necessitare di pestaggi per fare quello che mi hai chiesto. Pardon, imposto. Semmai dovrai minacciarmi per costringermi ad andarmene via”.

“Per ora non credo che succederà”, risposi facendo spallucce.

Si fece serio. “Perché non mi hai chiesto prima di restare? Perché adesso?”.

“Potrei farti la stessa domanda, Jeremy”.

“Non è ovvio?”, esclamò allargando le braccia. “So cosa comporta la mia presenza accanto a te. So che rimarrai in questo stato di mutaforma finché ti sarò vicino. Non potrai…non potrai avere figli, tu stessa me l’hai detto. Quindi dovevi essere tu a scegliere, non io”.

“Siamo due idioti, tu più di me. Avresti dovuto chiedermelo. In ogni caso credo che la mia scelta sia lampante, no?”. Gli sorrisi, serena.

“Già. Abbiamo tutta l’eternità per stare insieme”. Mi strinse in un abbraccio serrato ed io ridacchiai.

“Non essere ridicolo, Jeremy. ‘L’eternità’”, declamai l’ultima parola con voce solenne. “Diciamo che vedremo quanto a lungo riusciremo a sopportarci. Non sono sicura di poter reggere l’eternità con te”.

“In effetti non è facile avere a che fare con una lupacchiotta suscettibile e irritante come te…”. Gli mollai una gomitata, leggermente ostacolata dalle sue braccia che ancora non mi lasciavano.

Mi guardò ed io ricambiai il suo sguardo. Era tutto assurdo. Tutto quello che io non volevo era improvvisamente ciò di cui non potevo più fare a meno.

I suoi capelli lunghi, molto più dei miei. I suoi occhi dorati. La sua pelle di marmo freddo. Il suo odore di vampiro.

Le cicatrici sul suo viso, pallida eco di quelle che aveva dentro di lui e che assomigliavano fin troppo alle mie. La sua capacità di capirmi. La sua abilità a mettere a nudo il mio cuore, senza mai farmi male. La sua vanità esilarante. E fin troppe altre cose.

Certo che mi ero cacciata in un bel guaio.

Mi sorrise, gli occhi che brillavano. “Non te lo dirò, Leah, lo sai. Non ancora”.

L’amore va costruito, anche se siamo già sulla buona strada.

Per una volta, non avevo nulla da ridire contro la vocina della mia coscienza.

“Neanche io”, gli risposi. Mi sporsi e posai le labbra sulle sue per un istante, godendo di quell’attimo pressoché perfetto.

E così, dopo dolori, paranoie, scoperte e cambiamenti, anche io ero riuscita a ottenere qualcosa di straordinariamente simile a un lieto fine.

Con un vampiro che luccicava al sole. Rosalie mi avrebbe preso in giro a vita.

Accidenti a me.

 

 

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: stento ancora a credere che questa storia sia finita veramente. Ero partita con l’idea di dare a Leah un lieto fine e mi sono imbarcata in quest’avventura che mi ha dato molte più soddisfazioni di quanto non mi aspettassi. In questo epilogo ho voluto tirare le fila di tutto quello che è accaduto nella storia: non solo del rapporto tra Leah e Jeremy, ma anche di quello con Jacob, con Rosalie, con Joshua (che continua ad aleggiare come una presenza nei pensieri della protagonista), con Harry Clearwater, con Sue, con Seth e il resto del branco. Persino il rapporto che Leah ha con se stessa fa parte di questo epilogo: l’ho sempre vista come una donna che vuole essere molto razionale e che al tempo stesso non può fare a meno di coinvolgere il cuore (senza neanche rendersene conto) nelle sue decisioni. Da qui derivano infinite pare mentali, che in questo capitolo raggiungono l’apice: mi sono sembrate giustificate, vista l’importanza della decisione da prendere. È solo quando Leah sceglie di essere completamente sincera con se stessa che riesce a seguire il suo cuore, gettando alle ortiche le pare mentali. Per questo si riconcilia con la “vocina della coscienza”, alla quale mi sono particolarmente affezionata.

Come al solito ringrazio tutti quelli che hanno inserito la storia tra le preferite, le seguite e a quelle da ricordare. Mi avete dato un sostegno prezioso, che mi ha permesso di non mollare anche quando le paranoie e i dubbi erano tanti.

Grazie anche a chi ha letto in silenzio, spero davvero che la storia vi sia piaciuta: mi sono sempre impegnata al massimo in tal senso.

Uno specialissimo ringraziamento a tutti i recensori: che avrei fatto senza di voi? Seriamente, vorrei abbracciarvi uno per uno, non avete idea di quanto le vostre parole abbiano aiutato questa povera autrice priva di autostima.

Impossibile non nominare due persone che sono state fondamentali nella stesura di questa storia: il mio adorato Taiki-san, mio beta di fiducia e migliore amico, e la straordinaria Giovanna, autrice di grande talento (e se lo dico io, fidatevi!) ma soprattutto amica preziosa. Grazie, davvero.

Come sempre critiche e commenti sono più che graditi! Cos’altro dirvi? The end? Fine? Naaaah. Arrivederci, piuttosto. E come diceva Steve Jobs: stay hungry, stay foolish. Che non c’entra una cippa, ma mi piaceva dirvelo.

Baci, chiaki

 

Piccolo angolino pubblicità:

Qualche tempo fa mi sono cimentata in una Kim/Jared per il compleanno di una mia amica. Sono abbastanza soddisfatta del risultato (inaudito, detto da me), quindi mi permetto di linkarvela. Se vi va di farci un salto…

Gomma

E un’altra storia, del fandom di Harry Potter, che pur essendo arrivata prima a un contest ha ottenuto pochissimi riscontri:

The last snapshot

 

Ora la pianto di tediarvi, promesso. Di nuovo grazie a tutti.

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