La Tata Contro i MEREH.

di Beads and Flowers
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La mitica Tata. ***
Capitolo 2: *** Il Maniero. ***
Capitolo 3: *** "M" di "Metallara" ***
Capitolo 4: *** "E" di "Emo" ***
Capitolo 5: *** "R" di "Rapper" ***
Capitolo 6: *** "E" di "Esplosivo" ***
Capitolo 7: *** "H" di "Hippie" ***
Capitolo 8: *** Giochi da Tavolo. ***
Capitolo 9: *** La Prova dei MEREH. ***
Capitolo 10: *** Un Compleanno Bilingue. ***



Capitolo 1
*** La mitica Tata. ***


Cap. 1 La Prescelta

“Quindi, Signora Rizzi, lei afferma di avere una relazione... come dire... avversa nei confronti dei bambini?”
“Sono dei mostri, dottore! Vanno eliminati tutti! Dal primo all’ ultimo! Ne va della sopravvivenza dell’ umanità!”
“Sta cercando di dirmi che è favorevole alla clonazione?”
“Sono una cristiana convinta, dottore, e fino a due mesi fa avrei detto che i cloni sono il frutto del diavolo... ma sono i bambini i veri diavoli!”
“Signora, temo che lei soffra di pedofobia.”
“Mi dica qualcosa che non so, dottore! Mi pare chiaro che ho aquistato la fobia dei bambini. Quel che voglio sapere è come è successo.”
“Prego?”
“Ora le spiego. Lei è uno psicologo da quanti anni, esattamente?”
“Beh... quindici... ma non vedo cosa abbia a che fare con...”
“Mi risponda. Lei quanti anni ha?”
“Quarantadue.”
“Quindi aveva 27 anni quando si è sposato?”
“E lei come fa a sapere che...”
La vecchina si alzò di scatto dal divano su cui era sdraiata, si scagliò sul pover uomo, prendendolo per la gola.
“Giovanotto, se non avessi occhi attenti e non sapessi come pensare, sarei morta da almeno due mesi.”sibilò.
“...”
Camilla riprese il suo posto.
“Ho notato quel foglio che esce dal cassetto della sua scrivania. “Auguri per il tuo nuovo lavoro e per aver sposato la mamma”... quindi sua moglie era una madre singola quando l’ avevate incontrata.”
“Già, ho conquistato il cuore di mia moglie Maria soprattutto con le attenzioni che rivolgevo a suo figlio Marco, ormai ventunenne, dimostrandole che sarei stato un buon padre.”
“L’ ha un po’ usato, insomma.”
“Già, ma non è stato facile.”
“ Se avesse avuto l’ aiuto del programma televisivo in cui do consigli alle povere famiglie che non sanno come comportarsi con i propri figli, l’ oggi famoso
Tate alla Riscossa ... beh, ci avrebbe impiegato molto meno ed io sarei venuta molto volentieri, fino a due mesi fa, quando la mia vista sul mondo infantile cambiò radicalmente.”

 

La sede delle Tate alla Riscossa due mesi prima della visita di Camilla Rizzi dallo psicologo.

 

In una piccola casetta accogliente, tre simpatiche donne giocano sorridendo con i numerosi bambini che vengono da loro per imparare giocando. Cucinare i biscotti per la mamma, organizzare spettacoli di marionette e leggere simpatiche storielle sono attività all’ ordine del giorno nella sede delle più famose tate italiane: la bella Franca, l’ astuta Arianna e la mitica Camilla Rizzi!
Mentre le tre amiche sorseggiano allegramente il the delle cinque, dopo il buon vecchio pisolino pomeridiano, scatta un allarme che rimbomba per tutta la casa.
Col sorriso stampato sulle labbra, le tate si avviano allegre verso la sala delle chiamate.
“Chissà quale mammina avrà bisogno del nostro aiuto per i suoi angioletti?” trillò Tata Franca.
“Chissà quale di noi andrà ad assistere quei bei agnellini per riportare l’ ordine e l’ armonia nel gregge per la tosatura della vita?!” esclamò felicemente Tata Arianna, sorridendo alle due amiche.
Sorridevano, anche se dentro dentro pensavano solo ad una cosa: “Oh, chi capperi sarà mai quel maleducato che si rivolge a noi durante l’ ora del the? Certa gente non sa assolutamente che cosa sia l’ educazione!”
Finalmente, il telefono squillò.
Con un’ espressione calma ed armoniosa dipinta sul volto, Tata Franca alzò la cornetta.
“Pronto? Sono tata Franca, avete digitato il numero per la pace, l’ armonia e la felicità nei vostri cuori.”
“Eh?! Yo, bella zia, scusamè.  Io stavo cercando er postino der nostro vicolo.”
Sotto a questa scusa, sicuramente pronunciata da una voce infantile, si potevano chiaramente distinguere delle risatine trattenute.
“Ah, comunque, bella zì, te devo dì na’ cosa.”
“Cosa mi vuoi riferire, tesoruccio?”
“Apri n’ attimo a finestra, sennò Titti sbatterà a’ testa.”
“C-come hai detto scusa?”
In quel momento, si sentì un rumore sordo, come un battito di tamburo, venire dalla finestra. Le tate si voltarono, per assistere ad uno spettacolo che assomigliava vagamente ad una scena di Harry Potter. Un corvo, con una scatola legata ad una zampa sanguinante con una catena arruginita, si schiantava con tutte le sue forze sulla finestra, ed ogni volta che lo faceva, cadeva per un attimo, per poi rialzarsi in volo e riprovare.
“È-è quello T-titti, piccolo?”
“Yo, non sò piccolo, hai capì!? Io sò un rapper quattordicenne, riddillo n’ atra volta e ti stacco e’ penne.”
Tata Franca riattaccò, con movimento secco.
“Devono aver sbagliato numero.”
Si guardarono per un po’, non sapendo cosa dire.
Toc...toc-toc-toc... toc... toc... toc-toc...
“Oh, per l’ amor del Cielo! Camilla, vai ad aprire tu, scaccia quell’ uccellaccio maledetto.” Arianna si coprì immediatamente la bocca, chiedendo scusa con gli occhi per aver detto parole così disdicevoli come “maledetto” e per aver nominato il Cielo.
Camilla aprì la finestra, l’ uccello svolazzò all’ interno della stanza, inzozzando di terra le pareti, i mobili e le decorazioni dritte dritte dall’ Inghilterra. All’ improvviso si fermò davanti a Camilla, che nel frattempo si era riseduta sulla sua sedia per la paura. La Tata, titubante, slegò la scatola dalla zampa del corvo, il quale si levò subito in volo fuori dalla finestra. Le due si riunirono dietro alla tata più anziana, ad osservare la scatola. Era fatto di latta di un rosa spento, incrostato agli angoli e ai lati di ruggine e qualcosa che assomigliava vagamente al...
“Ma è sangue, quello?!”
“Aprila, Camilla... Aprila!”
E così fece.
La scatola conteneva una lettera, un’ altra scatolina (questa era più piccola, rilegata in velluto rosso e verde spento), una videocassetta e una specie di candelina rossa. Camilla aprì, per prima cosa, la lettera.
Era scritta con un inchiostro blu chiaro, in un corsivo ordinato. All’ angolo destro, in alto, della carta, c’ era disegnato  una rosa dai petali azzurri.  L’ anziana Tata lesse ad alta voce:

Carissime Tate,

Mi chiamo Gabriele, e vivo con mia cugina Klara, la sua amica Roberta,l’ ex compagno di cella di questultima, Nik, e suo fratello Bum. Viviamo in questa villina di campagna da circa cinque anni, da soli. Non posso riferirvi il perchè. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci pulisca la casa dopo che Bummino abbia giocato, che rammendi le bambole di Klara, che vari un po’ in cucina (Roberta è brava nel settore, ma la carne non è mai abbastanza tenera o troppo poco speziata) e che lucidi lo stereo di Nik. Io non ho bisogno di nulla, tanto non riuscirete a rendermi la vita più bella. In molti hanno provato a farmi vedere la luce che rischiarava la loro esistenza, tutti hanno fallito. Io mi rivolgo a voi per chiedervi di aiutare la mia famiglia, che ammiro con tutto il cuore, perchè, in questo suplizzio che è la vita, loro riescono ancora a sorridere e ad andare avanti.
La  Tata prescelta deve venire qui con l’ occorrente non per una settimana, ma per un mese e mezzo. Capirete in seguito.
Vi abbiamo fatto tutti un regalino, spero vi piacciano,

Gabriele dei Mereh.

P.S. Se una di voi non viene entro tre giorni, il mio piccolo Titti tornerà ogni giorno, fino a quando non risponderete.


“Ragazze, se quell’ uccellaccio torna anche solo una volta, io mi sparo!” Urlò istericamente tata Arianna.
“M-magari non sono tanto male, vero Camilla? Ci mandano persino dei regalini...”
“Apriamoli!”
La scatolina di velluto era cosparsa da un leggero strato di muffa. All’ interno, si celavano numerose teste di bambole, tra i quali si agitavano diversi scarafaggi. Arianna lanciò un urlo. Un biglietto leggeva:

“Da Klara e Gabriele”

La videocassetta fu vista nella sala mensa, dove le cuoche erano solite guardare romantici telefilm strappalacrime. Iniziava con una stanza completamente rivestita di mattonelle bianche, che le davano l’ aspetto di una vasta doccia pubblica. Una ragazza sui quindici anni si fece avanti. Aveva lunghi capelli castani e attenti occhi marroni. Indossava una larga maglietta nera, con sopra disegnato lo slogan dei Metallica. Due logori pantaloni stracciati coprivano, larghi, le sue gambe.
“Che indecenza nel vestirsi!”
La ragazza si inchinò.
“Beh, almeno conosce la buona educazione.”
La ragazza, sorridendo, si posizionò dietro al tavolo. Si presentò.
“Ehi, salve. Il  mio nome è Roberta. Per ringraziarvi del vostro aiuto, cucinerò per voi un piatto davvero speciale, di mia invenzione: ‘Postino alla Metallara’!”
Un ragazzino di un anno di meno si fece avanti. Indossava anch’ esso pantaloni larghi, una larga felpa grigia, pesanti gioielli d’ oro e un berretto da rapper.
“Yo! Ah Robè, a me piace con un pezzeco de rap!”
Le tre sobbalzarono. Franca balbettò: “M- ma quello n-non è il ragazzino al telefono?”
Arianna svenì.
La candelina aveva un solo pezzo di carta attaccato sopra. C’ era scritto:

“Bum”

Pensarono bene di non accenderla. Camilla chiese alle amiche:”Allora, chi andrà tra noi?”
Aveva fatto questa domanda per abitudine,la risposta era chiara. Arianna era svenuta e Franca era pallida come uno straccio.
“Caspita, tocca sempre a me, eh?! Allora andrò io. Dopotuto, questi ragazzi hanno bisogno di molto aiuto, e credo che la mia esperienza sia la cosa che faccia proprio al caso loro. Quanto è vero che mi chiamo Camilla Rizzi.”

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Capitolo 2
*** Il Maniero. ***


Camilla Rizzi fissava, incredula, quella costruzione davanti al quale era arrivata da più o meno 5 minuti.
Non ne era sicura neppure lei. Tre ore fa era in un piccolo villaggio, chiedendo spiegazioni agli abitanti sulla locazione del “Maniero”, il nome che Gabriele aveva dato alla sua casa in un bigliettino allegato alla lettera.
La cosa strana, tuttavia, era che ogni volta che Camilla chiedeva spiegazioni agli abitanti del grazioso paesino molinesiano, essi rispondevano con un pallore improvviso, una scossa violenta della testa e, infine, la maggior parte di loro scappava via, come se rimanere accanto a colei che nominava quel luogo fosse peccato capitale.
Solo una giovane madre, parlandole a voce bassissima, guardandosi continuamente intorno e stringendo a sè una bambina dall’ aria imbronciata che si succhiava ancora il pollice, le rivelò dove si trovava il luogo.
“Senta, se proprio ci tiene a morire, le dirò dove si trova il Maniero. Esca dal paese, verso le montagne opposte al fiume Trigno, seguendo il sentiero. Ad un certo punto arriverà di fronte ad un cancello alto e nero, che separa la strada da un bel giardino ordinato, pieno di fiori, morbida erbetta e numerosi alberi da frutta... non tocchi nulla,però, mi raccomando! Quel terreno appartiene ai...” esitò un attimo “... ai Mereh. Non mi chieda cosa vuol dire, nessuno lo sa... sappiamo solo che si chiamano così dato il fatto che un cartello con quel nome è appeso all’ entrata. Il Maniero è poco più avanti, al limite opposto del terreno. E’ un po’ vasto, ma la costruzione è talmente grande che si può vedere dai 2 Km che lo separano dall’ entrata senza problemi. Le riuscirà facile orientarsi, ne stia certa.”
“E lei come sa tutto ciò?”
La donna arrossì.
“Vede, da bambina io e miei amici ci andavamo spesso per giocare con la padroncina del luogo. Uno dei ragazzi, Paolo, venne attirato con una mela dalla bambina nella casa. Nessuno l’ ha più visto. Quando raccontai alla nonna cosa era successo, lei mi rivelò che lei, e sua madre prima di lei, arano andate a giocare da quella bambina che aveva offerto una mela simile ai loro amici... da bambina non ci credevo, ma qualche anno fa andai lassù, e la trovai immutata. Era ancora una bambina. Io non ci voglio avere niente a che fare, e lo stesso deve valere per te!” Diede uno strattone alla figlia, la quale smise subito di succhiarsi il pollice.
Riprese, in tono più calmo, “Vede, qualche anno fa altri quattro bambini si diressero là: una bambina molto vivace, un bambino vestito come uno di quegli strambi adolescenti che fanno della musica strampalata e un piccolo bimbo in fasce, tutti guidati da un bambino un po’ più grande dall’ aria mesta. Da allora strane cose sono successe... beh, io le ho detto già troppo, addio.” Esitò nuovamente, poi aggiunse “Buona fortuna, ne avrà bisogno.”
Camilla fece come la donna le aveva detto. La passeggiata, molto faticosa per la maggior parte delle vecchiette, non la scoraggiò minimamente. Una volta arrivata a destinazione, rimase a bocca aperta. Il prato ben tenuto aldilà dell’ imponente cancello era, in effetti, molto grazioso, pieno zeppo di fiori e coperto fino all’ orlo di splendidi meli da cui pendevano numerosi frutti dall’ aria succosa e saporita. Molto più in là si stagliava una possente sagoma nera. Capì che si trattava del Maniero dei Mereh. Si chiedeva cosa stesse a significare quello strano nome. Magari era il nome di quella che aveva tutta l’aria di essere un’ antica casata, forse di origine turca o araba. Si fermò ad esaminare il cancello. Era coperto  pesantemente di ruggine ed era di un nero pece, sormontato da numerosi simbololi bianchi: rune. Su entrambe le colonne, ad ambo i lati dell’ entrata, erano inchiodati dei... crani? Sì, erano proprio crani umani, su cui era intagliato con un coltello: “Tenuta dei Mereh, attraversate il bosco ed arriverete al Maniero.”
Ora, la Tata aveva una abnormale dose di sangue freddo, ma una volta constatato il fatto che quelli erano effettivamente crani umani e non modellini di plastica... diciamo che la sua stabilità vacillò. Ma si riprese subito. Una volta scoperto che il cancello era aperto, entrò senza esitare. Il giardino era proprio ben tenuto, solo dopo un po’ si poterono scorgere alcune insignificanti zolle d’ erba secca. Più in avanti, però, si notava chiaramente la mancanza dei fiori. Alcuni alberi erano secchi. Alla fine, non rimasero che sassi, erba secca e vecchi ceppi carbonizzati. Dopo un quarto d’ ora di caldo, sete e stanchezza, finalmente Camilla arrivò a destinazione. Ora, tutto la Tata si aspettava, tranne questo. Lei si era abituata a graziose casette, ben arredate, dove i bambini erano allegri  spensierati, al massimo ubriachi di TV. Ma non questo. Davanti a lei si ergeva una costruzione a due piani, in stile vittoriano, completamente diroccata. I vetri taglienti erano rotti, il legno era tarlato, dal tetto cadevano mattonelle scheggiate e la porta si reggeva a malapena attaccata alla parete.
“A’ Robè... NO! NO! O’ devano no!... MA KE SI’ MATTA?”
Un divano uscì volando da una finestra, schiantandosi a terra in mille frantumi, e creando un buco nel muro da dove due ragazzini guardavano allibiti. La Tata li riconobbe come Roberta e Nik, i due ragazzi nel filmato. Si guardarono stupiti, un po’ incerti sul da farsi. Poi si schiantarono a terra picchiandosi come ossessi.
“ A’ Robè, sei n’ idiota de m****”.
“Io non miravo mica alla finestra, io miravo a te!”
“Te recordo che sò io che procuro li dindi belli per comprà tutte le cose che tu rompi sempre!”
“Ma che sarà mai! Bum-bum distrugge molto di più di quanto distrugga io.”
“Bum-bum è ancora piccoro, nun ce’ o sai? È poi e fratemo’, non posso mica picchià fratemo’!”
“Tu mi sembri trentamila volte più piccolo di lui!”
Intanto continuavano a picchiarsi. La Tata prese dalla valigia un quadernino e scrisse alcune righe frettolosamente, per poi procedere verso il portico.
Aveva scritto:

I ragazzi risiedono in un’ abitazione decisamente bizzarra, il che potrebbe condizionare seriamente le loro inclinazioni mentali e psicologiche. A questo proposito, i loro intrattenimenti sono alquanto brutali ed incivili.

Provò a suonare il campanello, ma preferì evitare una volta che ne uscì una lucertola. Bussò. La porta si aprì. Davanti a lei si presentò una ragazzina sui quattordici anni, coi lunghi capelli raccolti in una lunga treccia. Indossava un lungo vestito rosso acceso, decorato qui e lì con simboli del cashemere argentati. La salutò col capo, sorridendo.
Una hippy, pensò Camilla.
“Ciao, piccola, come ti chiami?”
Sempre sorridendo, la raggazzina scosse la testa tristemente. Alle sue spalle si fece avanti un ragazzo quindicenne, che teneva in braccio un bambino sorridente. Il ragazzo aveva l’ aria mesta, vestiva di pantaloni, maglietta e mantello (anche se era estate) completamente neri. Il bambino aveva più o meno tre anni, e si agitava in una vecchia uniforme da marinaio in miniatura. Il ragazzo si avvicinò alla bambina e le disse:
“Senti Klara, prendi Bum-bum e vai sopra da quei due a zittirli.” Sospirò “Certo che la vita è proprio ingiusta.”
Diede un pugno al muro, il quale si sbriciolò. Ritirò la mano, e Camilla si sorprese nel notare che non si era minimamente graffiato.
La ragazza, che nel frattempo gli aveva sfilato Bum dalle braccia, salì le scale (scricchiolanti e diroccate) con un’ aria sognante e rassegnata, mentre Gabriele introdusse la Tata nella casa.
“Alla fine è venuta. Ammiro molto il suo coraggio, sa? Venga le faccio vedere la casa, poi ceneremo ed infine potrà anche conoscerci meglio.” Camilla entrò nella casa. L’ atrio era tappezato completamente di un tessuto tarlato, di un rosa carne sbiadito. A destra, a sinistra e in fondo cerano delle porte. Un logoro tappetino grigio copriva svogliatamente una botola nel tereno. Le scale (di un bianco legno scheggiato) erano a chiocciola, e ricordavano molto lo stile ottocentesco. Gabriele la guidò nella stanza a destra, la quale si rivelò ad essere un sala da pranzo molto elegante, tappezzata ancora di un tessuto, stavolta viola e non era tarlato. La tavola era imbandita di piatti di rame arrugginiti. Nel caminetto un fuocherello scoppiettava allegramente. I mobili dal legno scuro avevano tutta l’ aria di essere molto antichi. La stanza seguente era la stessa del video: una vasta sala completamente ricoperta di piastrelle bianche, qua e là macchiate di sangue rappresso. Un tavolo scheggiato, un porta-coltelli e un baule pieno di frutta e verdura. In quella entrò Roberta. I capelli castani erano spettinatissimi, gli occhi lanciavano fulmini e la maglitta “metallicatizzata” stracciata pesantemente. Si voltò di scatto, urlando:
“SE NON FOSSE L’ ORA DEL PISOLINO DI BUM-BUM, T’ AVREI GIA SPACCATO OGNI TUO SINGOLO CD!!!”
“TU NON TA TENGHI DA TOCCA’ A ROBA MIA, AI CAPI’?”
“FACCIO UN FAVORE AL MONDO: IL RAP FA SCHIFO!”
“A’ SEMPRE MEJO DE CHELLA ROBACCIA CHE T’ ASCORTI TU!”
“NON INSULTARE MAI PIU’ IL  METAL, LURIDO VERME!”
“BRUTTA PORCA!”
“MUSICISTA DELLE MIE BORCHIE!”
Senza nemmeno notare i due presenti, si scagliò come una furia sul tavolo,  dove incominciò a tagliuzzare un pezzo di carne.
La Tata scrisse:

Non conoscono il linguaggio appropriato: sono maleducati assai e si insultano a vicenda.

“Che fai, bella bambina?”
Roberta la guardò, infuriata, e senza rispondere ricominciò  a tagliuzzare. Dopo un po’ mormorò:
“Cucino.”
“Ah, che bello! Aiuti in casa, eh? Bene, bene! Molto brava davvero,... e che cucini oggi, di bello?”
“Il pompiere.” disse.
“Ah... ah.”  la Tata non proferì più niente.
Seguì, poi, il bagno. Stranamente, qui tutto sembrava normale. Era un bagno occidentale, con water, box-doccia e bidè. Tutto era rigorosamente di un bianco sporco. Cerano tre porte: una riconduceva all’ atrio, l’ altra alla cucina e l’ ultima al salone, dove si diressero i due.  Era molto grande, anch’ esso tappezzato in velluto, stavolta tarlato come l’ atrio, di un blu scuro. Vari sofà e poltrone erano disposti attorno al fuoco nel caminetto.  In un angolo c’ erano un tavolo da ping-pong e un tavolino con una bambola sopra. Sopra una poltrona erano poggiati 5 libri. La Rizzi lesse i titoli.

  • Cucina Cannibale degna d’ Annibale.
  • Chi dice che i soldi non sono tutto nella vita?
  • La morte: l’ unico orizzonte dell’ uomo.
  • Alice nel paese delle meraviglie.
  • Il bel trenino rosso che andò al mercato ed esplose uccidendo tutti i bambini.

La seconda porta riconduceva all’ atrio. Gabrile aprì la botola. Camilla si strinse a sè il golfino, vedendo il fitto buio dall’ interno che preannunciava un gran freddo. Le ripide e scivolose  scale sembravano condurli in una specie di cantina, considerando i numerosi ratti che incontravano e la spaventosa umidità. Scendevano sempre più giù, sempre più giù. Arrivarono davanti ad una piccola porta di legno marcio, che sembrava vecchia di mille anni o giù di lì.
“Questa è la camea di Nik e di Bum-bum.” Disse Gabriele.
Aprì piano la porta, e subito Camilla pensò di essere diventata cieca. La luce che proveniva da quella stanza era abbagliante, incredibilmente abbagliante! Una volta ripresasi, la Tata si fece coraggio ed entrò nella stanza. Era completamente placata in oro! Le mattonelle per terra, le piastrelle sui muri, il gigantesco stereo al centro della stanza, il letto in un angolo (coperto da un leggero strato di lenzuoli in seta), la culla (anch’ essa coperta da lenzuoli di seta che coprivano il piccolo Bum-bum, il quale dormiva beato nonostante tutta quella luce), la piccola gabbia che aveva tutta l’ aria di esere stata strappata da un laboratorio (era aperta e vuota), il tavolo pieno di carte e di scontrini, la scrivania con sopra un lap-top modernissimo e un’ altra gabbia dorata (stavolta per uccelli, e all’ interno svolazzava Titti, il corvo che aveva portato la scatola), e anche il gigantesco armadio (sul quale erano posizionati, in ordine alfabetico, tutti i CD della storia del rap): ogni singola cosa era dorata, completamente dorata.
Alle loro spalle si aprì la porta. Ne uscì Nik, che teneva per mano un cucciolo di scimpanzè, tutto infuriato e brontolante.
“Chella là nun cià o’ diritto de trattarme così. Dopotutto, le ho solo detto che a’ cucina sua fa schifo.”
“Nik, sai come sono le donne.”
“Chella nun è mica na’ donna: è un lupo mannaro.”
“...”
Mentre rinchiudeva lo scimpanzè nella gabbia, il quattordicenne spiegò:
“ Te spiego: prima è tutta gentire e carena con mì. Me fa i mei piatti preferiti, un fruttevendolo  o un esattore delle tasse qua e là... poi ce sedemo a tavola. È là che comenciano li casini! Parlemo del più e del meno, ma poi chella se mette a parlà de musica! Me dice :‘ Nik, ma ce o’ sai der nuovo disco metal!? Na’ figata!’ E io le dico :‘ Sì, ciai raggiò, a’ Robè, ma o’ rap è mejo.’ Poi ce mettemo a discutere. Poi ce picchiemo. Ed infine, cando meno te l’ aspetti, quella pazza te lancia addosso o’ devano, che IO ho comprato, coi dindi miei!”
“Hai scelto tu di dirigere gli affari in casa nostra, conoscevi le conseguenze, no? Comunque hai ragione: la viata fa così schifo!”
“Ciai raggiò, Gabriè! Ciai proprio raggiò!”
Detto questo, si sedette alla scrivania ed incominciò a scrivere qualcosa sul suo moderno computer.
Camilla scrisse:

Hanno poco rispetto l’ uno dell’ altro, ignorono completamente la presenza di un ospite estraneo e svolgono compiti non adatti alla loro età.

Ritornarono all’ atrio, ed incominciarono a salire le scale. Più volte il piede di Camilla sprofondò nel legno (anch’ esso marcio) delle scale. La prima cosa che notò al piano di sopra, fu che non c’ era traccia del gigantesco buco che si era creato con l’ incidente del divano. Lo stesso divano era tutto intero ed al suo posto lungo il corridoio, rivestito in legno chiaro di betulla. C’ erano due porte, ad ambo i lati del mobile. Ad entrambe le fini del corrido, c’ erano due porte-finestre che conducevano al grande terrazzo che coincideva col portico al piano di sotto. Entrarono nella prima porta. Era la cameretta di Klara. Qui camilla si sentì un po’ più a suo agio. Era una piccola cameretta, in stile vittoriano, per bambine. C’era un’ unica finestra, che dava sull’ unico albero vivo nei dintorni: un pino. La stanzetta, dipinta di arancione, era completamente rivestita di scaffali, sui quali erano poggiate innumerevoli bambole di porcellana. Su una scrivania, oltre alle immancabili bambole, c’ erano diversi libri di fiabe ingialliti, della carta da lettere, un calamaio ed una graziosa gabbietta con all’ interno un bel conglietto nero. Sull’ antico letto di mogano, sedeva Klara, la quale dava le spalle ai due, trafficando con le mani qualcosa.
“Oh, che bella cameretta che hai, cara!”
La ragazza si voltò, e le rivolse un sorriso completamente spaesato, che incuteva un non-so-che simile al timore.
“C-che fai, tesoro?”
La ragazzina ridacchiò. Alzò piano piano un cosa che sembrava, a prima vista, un pezzo di plastica grigia bagnata. Ma, guardando meglio, vide che era una bambola. Il calore e l’ accoglienza di quella cameretta svanirono un istante. Era una bambola nuda, senza occhi, impregnata dal colore della polvere. Non aveva le braccia ed aveva una sola gamba. I capelli neri erano stati tagliuzzati in modo orribile, vari tagli li erano stati imposti dalle forbici che Klara, che continuava a sorridere in quel modo orribile, teneva in mano.
Gabriele dovette spingerla fuori.
Mentre procedevano, la Tata lanciò uno sguardo verso la porta dell’ uscita.
“Non ci pensi neanche: è chiusa a chiave.”
Lo guardò con orrore.
“Ma dove sono i vostri genitori?”
“Quelli di Klara sono morti molti anni fa, di vecchiaia. I miei sono stati portati via da... una persona. Quelli di Nik e Bum-bum sono stati soppressi nel laboratorio dove erano rinchiusi insieme a Roberta.”
“E... e quelli di Roberta?”
“Oh, nulla. Li ha uccisi lei.”
Per poco Camilla non svenì.
La stanza seguente era quella di Roberta. Era in pietra. Al centro si ergeva un trono, fatto completamente di... NO! ALTRE OSSA NO! E invece sì. Un trono fatto di ossa! Ai suoi piedi, due Dobermans giocavano e saltellavano intorno ad un pezzo di carne andata a male. Le pareti erano letteralmente tappezzate di arme di ogni genere, dalle fionde alle bombe a mano.
La Tata non resse.
Svenne.



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Capitolo 3
*** "M" di "Metallara" ***


Cap.3 “M” di Metallara.

Camilla si svegliò in una stanzetta buia, piena zeppa di polvere. Era abbastanza vasta, da quel che poteva vedere. Si accorse di un interrutore lì accanto e lo premette. Una piccola lampadina che pendeva dal soffitto con un filo scagliò una lucetta che infastidì i suoi occhi. Ora poteva distinguere chiaramente un altro lettino (assomigliava a quello di un ospedale), una gabbia piena di topolini bianchi ammassati l’ un sull’ altro, un tavolino con dei bicchieri di carta sopra e una specie di ghigliottina in minatura accanto ad uno sgabellino di plastica bianca. La Tata si alzò dal letto, curiosando intorno alla stanza. Ma dove si trovava? Notò dell’ assenza della porta. Era chiusa dentro? A cosa seriviva la ghigliottina? La paura l’ attanagliò. Si voltò di scatto, sentendo un cigolio dietro di lei. Solo allora si rese conto di una botola nel pavimento, serrata dall’ interno, che veniva forzata da qualcuno.
“CHI SEI?! COSA VUOI DA ME!?”
La botola smise di sobbalzare sotto ai colpi che le venivano imposti. Una voce femminile rispose.
“Sono Roberta. Aprimi, t’ ho portato la colazione.”
Allora Camilla si ricordò di quel che era successo. Si slanciò verso il letto, afferrando il quadernino su cui scriveva sempre le sue note sui ragazzi. Rilesse quelle che aveva scritto fino ad allora, poi appuntò:

Danno del “tu” agli sconosciuti. Non hanno il rispetto per la privacy e credono di avere libero accesso alla vita personale altrui.

Sbloccò la serratura. Dal basso spuntò il viso vivace della ragazza cannibale.
“Ehi! Salve, come te va? Ti ho portato un’ ottima colazione!”
In effetti le brioches, il cappuccino, l’ omelette ed i panini cosparsi di burro e marmellata che la ragazza aveva portato emanavano un fragrante profumino. La Tata addentò una brioche.
“Spero te piaccia... oh, mi scusi, stando così tanto tempo con quel rapper da strapazzo di Nik mi ha installato un po’ di dialetto. Sa, lui non è del Molise. Viene dal Lazio, da qualche parte nei Castelli Romani... poi l’ hanno catturato e rinchiuso in un laboratorio insieme a me per studiare ed esaminare le ‘specialità’ della sua famiglia. Io sono nata in Umbria. Gabriele è sempre vissuto a Venezia, ma poi i suoi genitori sono stati portati via dalla Gazza Ladra...”
“Gazza Ladra?”
“Oh, è solamente il nome che le abbiamo dato noi. Dovrà parlarne con lui, io ne so poco. Comunque, da allora ha cercato Klara, che dovrebbe essere un sua lontana parente. Durante il viaggio ha incontrato me, che volevo vedere il mondo, e Nik, Bum-bum e Ganza.”
“Ehrm... Ganza?”
“Lo scimpanzè. Lo hanno salvato dal laboratorio dove ci tenevano rinchiusi per sottoporci ad esperimenti vari. Comunque, una volta conosciuta Klara, abbiamo  fondato il gruppo Mereh.
“M-ma cosa v-vuol dire ‘Mereh’?”
“Eh? Ah, è una sigla. Vedi, ‘M’ sta per... Ehi! Che appetito! Hai già finito tutto! Vedo che ti piace l’ etanolo!”
“Il.. IL COSA!!??”
“Beh... l’ etanolo. Sa, alcol puro al 99%. Ne metto sempre un po’ nella colazione. Sa, ti da la buon vecchia carica per una dura giornata di lavoro. Io lo dico sempre: ‘La colazione è il pasto più importante’?”
La tata non ascoltava. Voleva vomitare. Ma non sapeva dov’ era il bagno.
“S-scusami... dove p-posso t-trovare una toilette?”
“Beh, questa è la camera di Gabriele... devi scendere al primo piano.”
“M-ma dove m-mi t-trovo?!”
“Gliel’ ho detto! Nella stanza di Gabriele: la soffitta. Quelli laggiù sono i suoi topolini. Carini, eh? Oh, ma la natura sta urlando il suo nome a pieni polmoni! Mi segua...” la condusse giù per le scale della botola, e poco dopo si ritrovarono al secondo piano del Maniero “Ecco, qua, ora suppongo che lei sappia dirigersi verso il bagno. Ah, mi ero dimenticata di dirgli che ho organizzato un bel concertino in suo onore, più tardi venga nel salotto e le darò prova della mia arte."
La sentì appena, perchè si stava precipitando giù per le scale con solo un pensiero nella testa: ‘Qui sono tutti matti! L’ etanolo per colazione!”.
Dopo aver risposto al richiamo di Madre Natura, la Tata riflettè sulla situazione. Non poteva scappare. Aveva notato che questo gruppetto tendeva a mangiare chiunque non concludeva il suo lavoro o chi lo concludeva entro l’ ora di pranzo. Allora decise che l’ avrebbe compiuto, dopotutto, era per quello che era venuta lì. Dunque iniziò. Decise che avrebbe usato una tecnica classica nel suo lavoro: avrebbe osservato la famiglia a cui era assegnata. Aveva deciso che avrebbe iniziato con Roberta. Dopotutto, le aveva appena dato prova della sua grande loquocità, magari avrebbe scoperto qualcosa in più su quel gruppo strampalato.Si diresse verso la cucina. Non incontrò nessuno per la via, nonostante erano già le undici. Arrivata a destinazione, trovò Roberta intenta ad intingere delle fette di pancetta nel liquido pericoloso.
‘Meno male che ho uno stomaco di ferro.’ pensò la Tata.
“D-dove sono i tuoi amichetti?”
“Beh, dormono tutti, tranne Gabriele che è andato per la montagna a cercare topolini per la sua collezione. Quando muoiono di solito li magiamo.”
La Tata si portò una mano alla bocca, ma si trattenne dal rigurgitare di nuovo.
“A-allora, quali sono i miei copiti? Cosa devo fare?”
“La cucina la lasci a me. Devi lucidare ogni giorno la stanza di Nik, rammendare le bambole di Klakly, spolverare qua e là e badare a Bum quando gioca. Ai danni che crea, comunque, rimedio io”
“A proposito, perchè la mia presenza è richiesta per un mese e mezzo?” chiese Camilla, chiedendosi che razza di danni potrebbe causare un bambino di tre anni.
“Perchè il compleanno di Bum è allora. Noi vogliamo fargli una sorpresa, anche se non abbiamo ancora le idee chiare. Non avremo certo il tempo di mettere in ordine e badare al piccolo.” Disse, infilando ora le brioche nell’ etanolo.
“D’ accordo. Vi aiuterò. È positivo che voi vi ingeniate nel costruire qualcosa per far piacere ad un bambino più piccolo di voi. Anch’ io dipingevo trenini di legno per mio fratello, da bambina.”
“A Bum-bum piacciono i treni. Anche quello fa parte della sorpresa. A proposito, dovrà anche leggere a Bumminno e a Klara le loro storielle della buonanotte. Noi non ne abbiamo il tempo.”
Una volta finito di intingere l’ ultima fetta di pancetta nell’ etanolo, la ragazza si asciugò le mani sul grembiule da macellaio (qua e là imbrattato di sangue) ed uscì dalla stanza, dirigendosi verso il salotto.
“Io incomincerò a preparare il palcoscenico. Lei inizi pure il suo lavoro.” disse allegramente.
Solo allora la Tata si ricordò che avrebbe dovuto assistere al concerto che la ragazza aveva allestito per lei. L’ idea non l’ entusiasmava affatto, ma si impose questo sacrificio ricordandosi delle reazioni culinarie della giovane.
‘E poi, è positivo che la ragazza dia prova del suo talento nel campo musicale, no?’ pensava Camilla, non dimenticandosi di scribacchiare qualcosa sul suo quaderno. Aveva deciso che avrebbe iniziato col pulire la sala da pranzo. Mentre si chianava sul caminetto per togliere la cenere accumulata negli anni,  all’ improvviso sentì un acuto rumore di trapani, martelli e di quello che aveva tutta l’ aria di essere uno spara-chiodi.
“Oh, cielo, la povera Roberta non sa forse che quegli attrezzi non possono essere utillizzati senza l’ aiuto di un adulto?”
Come una scheggia, la donna si slanciò nell’ ampio salone, ma, prima di entrare, la colpì un pensiero:
‘Ma di che mi preoccupo? Quella ragazza non è come le altre. Dai, Camilla, usa il cervello. Insomma: HA UCCISO I SUOI GENITORI!  Come puoi preoccuparti!? Perchè sei qua, poi? Basta un pugno e questa casa casca in mille pezzi! Scappa, idiota, prima che loro ti mangino! SCAPPA!’
Diede numerosi colpi alla porta. Ma essa non cedette. Prese dal camino in sala da pranzo un attizzatoio di ferro appuntito e, con tutte le sue forze, sferzò un colpo ad una parte del muro più ammuffita. Neanche un graffio. Cinque, otto, sedici colpi. Nulla. Era come se quella casa fosse magica. QUALCOSA stava impedendo a quella casa di cadere... cosa? O, forse, si sarebbe dovuta chiedere CHI? Si prese il volto fra le mani. Quel rumore assordante! Basta! Doveva far smettere quella ragazzina!
Aspetta un attimo!
Ragazzina... ma... ma Roberta non POTEVA tenere in mano uno spara-chiodi! Non importa quanto era forte o pericolosa. Ci riesce a malapena un uomo...
Ma cosa stava succedendo in quella casa?
Con molto coraggio, aprì la porta. Rimase a bocca aperta. Nell’ immenso spazio che separava la porta dalle poltrone accanto al caminetto, si ergeva un palcoscenico incredibile. Lunghe tavole di legno erano disposte sopra ad una elaborata piattaforma in ferro. Lunghi drappi neri fungevano da sipario. Qua e là vecchi manifesti dei concerti dei Metallica erano attaccati lungo le pareti. Il risultato era assai impressionante se si teneva conto il fatto che tutto questo era stato eretto in dieci minuti.
“Ehi, attenta ai chiodi!”
La Tata fece appena in tempo a girarsi per vedere una nube di chiodi volanti a mezz’ aria che si dirigevano, veloci come la luce, verso di lei! Con i riflessi di una lucertola in agguato, la Tata si accasciò al suolo, proprio mentre i chiodi la sorpassavano per dirigersi verso Roberta.
La Tata, disperata tese una mano verso la giovane: “Noooooo!”
I chiodi volarono indisturbati verso il loro bersaglio. La ragazza non si mosse. È indifesa. La paura la tiene inchiodata al suolo. Non può fare nulla. Verrà trafitta dappertutto, rimanendo stecchita e piena di buchi sul petto e sul viso.
“ Oh, che fine tragica! Aveva appena sedici anni! Oh, mondo crudele! Oh, sfortuna! Oh, quale disgraziaI Oh, quale grande, orribile, orrenda fine che la povera Roberta dovrà subire! Oh, quale...”
“Signora Tata?”
“Oh, dolore! Oh, infame destino! Oh, ma io giuro che...”
“Ehi, signora Tata!? Guarda che io sto benissimo.”
Solo allora Camila si rese conto che qualcuno la chiamava. Alzò lo sguardo dal pavimento su cui piangeva. Roberta era là, sicuramente non ferita o morta, ma bensì sorridente, quasi divertita. Davanti a lei, sospesi a mezza’ aria, c’ erano i chiodi.
“Ammettilo, ti ho fatto prendere un colpo, eh?! Beh, si, in effetti sono dotata per la recitazione. Vedessi che faccia che avevi!” ridacchiò la ragazza.
“M-ma cosa è successo?!”
“Stavo appendendo le ultime decorazioni per il concerto quando sei entrata tu...” Spiegò Roberta con un ghigno “...Proprio quando indirizzavo i chiodi verso i manifesti. Mi hai fatto prendere un colpo, e questo e una cosa rarissima, credimi.”
“I... io... aspetta un attimo! Cosa intendi per ‘indirizzare’?”
“Intendo far spostare un oggetto nel punto esatto che desidero. Sai, no? La telecinesi.”
“CHE COSA!!!???”
“Oh, ma certo! Gabriele non te l’ ha spiegato, vero? Beh, ognuno di noi ha dei talenti un po’... particolari. Io ho la telecinesi dalla nascita. È per questo che mi hanno rinchiuso nel laboratorio nel Lazio.”
“E gli altri bambini che poteri hanno?”
“Questo non te lo posto dire! È già tanto se hai scoperto della telecinesi! Ora via! Fila a lavorare!”
Detto questo, la ragazza si diresse verso la cucina.
In quel momento la donna si ricordò di un particolare della lettera che Gabriele le aveva critto.
“Ma non devo cucinare io!?” chiese, speranzosa in una risposta affermativa. Non era esattamente desiderosa di mangiare carne umana per il prossimo mese, e poi i ragazzi dovevano mangiare assolutamente un po’ di cibo normale: ne andava della propria salute.
“NO! NON DEVI NEMENO PENSARE DI CUCINARE AL POSTO MIO! SE GABRIELE NON SA DISTINGUERE UN AUTENTICO BANCHETTO A BASE DI PETTO DI ALLEVATORE DI POLLI, PER DI PIù COMPLETAMENTE RIVESTITO DI SALSA TARTARA, DA UNA SEMPLICE INSALATINA DI RISO, NON è UN PROBLEMA MIO! TU DEVI SOLO PULIRE, GIOCARE COL PUPINO E IMPICCIATTE DEGLI AFFARRACCI TUOI!”
Con questo la metallara rientrò nella cucina sbattendosi dietro la porta, chiaramente offesa. E chi poteva darle torto? Dopotutto, qualsiasi donna (dal più pacifico angelo del focolare alla più scatenata metallara mangia-uomini ) si offende parecchio quando qualsiasi persona insulta la propria cucina.
Camilla sospirò, e con grande calma, ma con la morte nel cuore, si diresse verso il salotto per ripulire la cenere nel camino.

Se Roberta lasciava a desiderare nella cucina (anche se, la Tata doveva ammetterlo, tralasciando i bizzarri ingredienti che utilizzava, come l’ etanolo e la carne umana, il sapore dei suoi manicaretti era sensazionale ), era un’ autentica maestra nella musica, anche se lo dava a vedere a modo suo. Il concertino stava per iniziare, e tutti erano seduti su alcuni cuscini disposti per terra, dando le  loro opinioni.
“Seconno mè, sarà’n fiasco merdoso.”
“Secondo me, invece, la sua musica è anche bella, ma inutile. Tanto dobbiamo morire tutti, a che serve suonare, dipingere, leggere o dedicarsi a qualsiasi arte?”
“Bum... Bum!” ripeteva Bummino, tutto eccitato.
Klara sfoggiava quel suo ghigno spaesato, ma non diceva niente, gli occhi sgranati fissavano la bambola di porcellana sul tappeto davanti a se. La Tata rimaneva in disparte, con il suo quadernino alla mano. Ormai aveva riempito quasi cinque pagine, ed erano appena trascorse 16 ore dal suo arrivo al Maniero.
Il sipario si alzò.
Roberta era vestita di jeans strappati, una logora maglietta nera con la parola “METAL” scritta in apparescenti lettere fosforescenti. Le luci erano state spente.
‘Quando è successo?’ pensò la Tata. Poi si ricordò della telecinesi e tornò a chiedersi quali poteri potevano mai avere il resto dei bambini.
Roberta cantava benissimo. Le parole si diffusero per la stanza, lanciando un brivido di ammirazione lungo la schiena della Tata.
‘Non capisco perchè dicano che sia tanto violento... dopo tutto è accettabile.’ Pensò.
Ma Roberta smise di cantare.
“Bene quella era la “Ballata” dei Metallica. Ora inizia il Metal vero.” Prima di riniziare a cantare, Roberta alzò il volume al massimo. Prima che potesse minimamente accorgersene, la Tata era per terra, a gambe all’ aria, colpita da quella che poteva essere benissimo una bomba atomica.
Quando rinvenne, era nuovamente nella camera di Gabriele, e il ragazzo era là, davanti a lei.
“Beh, signora Camilla Rizzi, finalmente si è svegliata. Ho detto a Roberta di non esagerare, ma lei non mi da mai retta...”
“Mio caro, ma... cosa è successo?!”
“Oh, nulla. Semplicemente non ha retto alle onde sonore del concerto. E c’ era da aspettarselo, dopotutto il volume era a 1000.”
“A...capisco.”
“Beh, quella era Roberta, la metallara, signora Tata.”
“...”
“...”
“...Quindi... Gabriele...”
“Sì?”
“Ti dispiace se ti faccio qualche domanda?”

Cap.3 “M” di Metallara.

Camilla si svegliò in una stanzetta buia, piena zeppa di polvere. Era abbastanza vasta, da quel che poteva vedere. Si accorse di un interrutore lì accanto e lo premette. Una piccola lampadina che pendeva dal soffitto con un filo scagliò una lucetta che infastidì i suoi occhi. Ora poteva distinguere chiaramente un altro lettino (assomigliava a quello di un ospedale), una gabbia piena di topolini bianchi ammassati l’ un sull’ altro, un tavolino con dei bicchieri di carta sopra e una specie di ghigliottina in minatura accanto ad uno sgabellino di plastica bianca. La Tata si alzò dal letto, curiosando intorno alla stanza. Ma dove si trovava? Notò dell’ assenza della porta. Era chiusa dentro? A cosa seriviva la ghigliottina? La paura l’ attanagliò. Si voltò di scatto, sentendo un cigolio dietro di lei. Solo allora si rese conto di una botola nel pavimento, serrata dall’ interno, che veniva forzata da qualcuno.
“CHI SEI?! COSA VUOI DA ME!?”
La botola smise di sobbalzare sotto ai colpi che le venivano imposti. Una voce femminile rispose.
“Sono Roberta. Aprimi, t’ ho portato la colazione.”
Allora Camilla si ricordò di quel che era successo. Si slanciò verso il letto, afferrando il quadernino su cui scriveva sempre le sue note sui ragazzi. Rilesse quelle che aveva scritto fino ad allora, poi appuntò:

Danno del “tu” agli sconosciuti. Non hanno il rispetto per la privacy e credono di avere libero accesso alla vita personale altrui.

Sbloccò la serratura. Dal basso spuntò il viso vivace della ragazza cannibale.
“Ehi! Salve, come te va? Ti ho portato un’ ottima colazione!”
In effetti le brioches, il cappuccino, l’ omelette ed i panini cosparsi di burro e marmellata che la ragazza aveva portato emanavano un fragrante profumino. La Tata addentò una brioche.
“Spero te piaccia... oh, mi scusi, stando così tanto tempo con quel rapper da strapazzo di Nik mi ha installato un po’ di dialetto. Sa, lui non è del Molise. Viene dal Lazio, da qualche parte nei Castelli Romani... poi l’ hanno catturato e rinchiuso in un laboratorio insieme a me per studiare ed esaminare le ‘specialità’ della sua famiglia. Io sono nata in Umbria. Gabriele è sempre vissuto a Venezia, ma poi i suoi genitori sono stati portati via dalla Gazza Ladra...”
“Gazza Ladra?”
“Oh, è solamente il nome che le abbiamo dato noi. Dovrà parlarne con lui, io ne so poco. Comunque, da allora ha cercato Klara, che dovrebbe essere un sua lontana parente. Durante il viaggio ha incontrato me, che volevo vedere il mondo, e Nik, Bum-bum e Ganza.”
“Ehrm... Ganza?”
“Lo scimpanzè. Lo hanno salvato dal laboratorio dove ci tenevano rinchiusi per sottoporci ad esperimenti vari. Comunque, una volta conosciuta Klara, abbiamo  fondato il gruppo Mereh.
“M-ma cosa v-vuol dire ‘Mereh’?”
“Eh? Ah, è una sigla. Vedi, ‘M’ sta per... Ehi! Che appetito! Hai già finito tutto! Vedo che ti piace l’ etanolo!”
“Il.. IL COSA!!??”
“Beh... l’ etanolo. Sa, alcol puro al 99%. Ne metto sempre un po’ nella colazione. Sa, ti da la buon vecchia carica per una dura giornata di lavoro. Io lo dico sempre: ‘La colazione è il pasto più importante’?”
La tata non ascoltava. Voleva vomitare. Ma non sapeva dov’ era il bagno.
“S-scusami... dove p-posso t-trovare una toilette?”
“Beh, questa è la camera di Gabriele... devi scendere al primo piano.”
“M-ma dove m-mi t-trovo?!”
“Gliel’ ho detto! Nella stanza di Gabriele: la soffitta. Quelli laggiù sono i suoi topolini. Carini, eh? Oh, ma la natura sta urlando il suo nome a pieni polmoni! Mi segua...” la condusse giù per le scale della botola, e poco dopo si ritrovarono al secondo piano del Maniero “Ecco, qua, ora suppongo che lei sappia dirigersi verso il bagno. Ah, mi ero dimenticata di dirgli che ho organizzato un bel concertino in suo onore, più tardi venga nel salotto e le darò prova della mia arte."
La sentì appena, perchè si stava precipitando giù per le scale con solo un pensiero nella testa: ‘Qui sono tutti matti! L’ etanolo per colazione!”.
Dopo aver risposto al richiamo di Madre Natura, la Tata riflettè sulla situazione. Non poteva scappare. Aveva notato che questo gruppetto tendeva a mangiare chiunque non concludeva il suo lavoro o chi lo concludeva entro l’ ora di pranzo. Allora decise che l’ avrebbe compiuto, dopotutto, era per quello che era venuta lì. Dunque iniziò. Decise che avrebbe usato una tecnica classica nel suo lavoro: avrebbe osservato la famiglia a cui era assegnata. Aveva deciso che avrebbe iniziato con Roberta. Dopotutto, le aveva appena dato prova della sua grande loquocità, magari avrebbe scoperto qualcosa in più su quel gruppo strampalato.Si diresse verso la cucina. Non incontrò nessuno per la via, nonostante erano già le undici. Arrivata a destinazione, trovò Roberta intenta ad intingere delle fette di pancetta nel liquido pericoloso.
‘Meno male che ho uno stomaco di ferro.’ pensò la Tata.
“D-dove sono i tuoi amichetti?”
“Beh, dormono tutti, tranne Gabriele che è andato per la montagna a cercare topolini per la sua collezione. Quando muoiono di solito li magiamo.”
La Tata si portò una mano alla bocca, ma si trattenne dal rigurgitare di nuovo.
“A-allora, quali sono i miei copiti? Cosa devo fare?”
“La cucina la lasci a me. Devi lucidare ogni giorno la stanza di Nik, rammendare le bambole di Klakly, spolverare qua e là e badare a Bum quando gioca. Ai danni che crea, comunque, rimedio io”
“A proposito, perchè la mia presenza è richiesta per un mese e mezzo?” chiese Camilla, chiedendosi che razza di danni potrebbe causare un bambino di tre anni.
“Perchè il compleanno di Bum è allora. Noi vogliamo fargli una sorpresa, anche se non abbiamo ancora le idee chiare. Non avremo certo il tempo di mettere in ordine e badare al piccolo.” Disse, infilando ora le brioche nell’ etanolo.
“D’ accordo. Vi aiuterò. È positivo che voi vi ingeniate nel costruire qualcosa per far piacere ad un bambino più piccolo di voi. Anch’ io dipingevo trenini di legno per mio fratello, da bambina.”
“A Bum-bum piacciono i treni. Anche quello fa parte della sorpresa. A proposito, dovrà anche leggere a Bumminno e a Klara le loro storielle della buonanotte. Noi non ne abbiamo il tempo.”
Una volta finito di intingere l’ ultima fetta di pancetta nell’ etanolo, la ragazza si asciugò le mani sul grembiule da macellaio (qua e là imbrattato di sangue) ed uscì dalla stanza, dirigendosi verso il salotto.
“Io incomincerò a preparare il palcoscenico. Lei inizi pure il suo lavoro.” disse allegramente.
Solo allora la Tata si ricordò che avrebbe dovuto assistere al concerto che la ragazza aveva allestito per lei. L’ idea non l’ entusiasmava affatto, ma si impose questo sacrificio ricordandosi delle reazioni culinarie della giovane.
‘E poi, è positivo che la ragazza dia prova del suo talento nel campo musicale, no?’ pensava Camilla, non dimenticandosi di scribacchiare qualcosa sul suo quaderno. Aveva deciso che avrebbe iniziato col pulire la sala da pranzo. Mentre si chianava sul caminetto per togliere la cenere accumulata negli anni,  all’ improvviso sentì un acuto rumore di trapani, martelli e di quello che aveva tutta l’ aria di essere uno spara-chiodi.
“Oh, cielo, la povera Roberta non sa forse che quegli attrezzi non possono essere utillizzati senza l’ aiuto di un adulto?”
Come una scheggia, la donna si slanciò nell’ ampio salone, ma, prima di entrare, la colpì un pensiero:
‘Ma di che mi preoccupo? Quella ragazza non è come le altre. Dai, Camilla, usa il cervello. Insomma: HA UCCISO I SUOI GENITORI!  Come puoi preoccuparti!? Perchè sei qua, poi? Basta un pugno e questa casa casca in mille pezzi! Scappa, idiota, prima che loro ti mangino! SCAPPA!’
Diede numerosi colpi alla porta. Ma essa non cedette. Prese dal camino in sala da pranzo un attizzatoio di ferro appuntito e, con tutte le sue forze, sferzò un colpo ad una parte del muro più ammuffita. Neanche un graffio. Cinque, otto, sedici colpi. Nulla. Era come se quella casa fosse magica. QUALCOSA stava impedendo a quella casa di cadere... cosa? O, forse, si sarebbe dovuta chiedere CHI? Si prese il volto fra le mani. Quel rumore assordante! Basta! Doveva far smettere quella ragazzina!
Aspetta un attimo!
Ragazzina... ma... ma Roberta non POTEVA tenere in mano uno spara-chiodi! Non importa quanto era forte o pericolosa. Ci riesce a malapena un uomo...
Ma cosa stava succedendo in quella casa?
Con molto coraggio, aprì la porta. Rimase a bocca aperta. Nell’ immenso spazio che separava la porta dalle poltrone accanto al caminetto, si ergeva un palcoscenico incredibile. Lunghe tavole di legno erano disposte sopra ad una elaborata piattaforma in ferro. Lunghi drappi neri fungevano da sipario. Qua e là vecchi manifesti dei concerti dei Metallica erano attaccati lungo le pareti. Il risultato era assai impressionante se si teneva conto il fatto che tutto questo era stato eretto in dieci minuti.
“Ehi, attenta ai chiodi!”
La Tata fece appena in tempo a girarsi per vedere una nube di chiodi volanti a mezz’ aria che si dirigevano, veloci come la luce, verso di lei! Con i riflessi di una lucertola in agguato, la Tata si accasciò al suolo, proprio mentre i chiodi la sorpassavano per dirigersi verso Roberta.
La Tata, disperata tese una mano verso la giovane: “Noooooo!”
I chiodi volarono indisturbati verso il loro bersaglio. La ragazza non si mosse. È indifesa. La paura la tiene inchiodata al suolo. Non può fare nulla. Verrà trafitta dappertutto, rimanendo stecchita e piena di buchi sul petto e sul viso.
“ Oh, che fine tragica! Aveva appena sedici anni! Oh, mondo crudele! Oh, sfortuna! Oh, quale disgraziaI Oh, quale grande, orribile, orrenda fine che la povera Roberta dovrà subire! Oh, quale...”
“Signora Tata?”
“Oh, dolore! Oh, infame destino! Oh, ma io giuro che...”
“Ehi, signora Tata!? Guarda che io sto benissimo.”
Solo allora Camila si rese conto che qualcuno la chiamava. Alzò lo sguardo dal pavimento su cui piangeva. Roberta era là, sicuramente non ferita o morta, ma bensì sorridente, quasi divertita. Davanti a lei, sospesi a mezza’ aria, c’ erano i chiodi.
“Ammettilo, ti ho fatto prendere un colpo, eh?! Beh, si, in effetti sono dotata per la recitazione. Vedessi che faccia che avevi!” ridacchiò la ragazza.
“M-ma cosa è successo?!”
“Stavo appendendo le ultime decorazioni per il concerto quando sei entrata tu...” Spiegò Roberta con un ghigno “...Proprio quando indirizzavo i chiodi verso i manifesti. Mi hai fatto prendere un colpo, e questo e una cosa rarissima, credimi.”
“I... io... aspetta un attimo! Cosa intendi per ‘indirizzare’?”
“Intendo far spostare un oggetto nel punto esatto che desidero. Sai, no? La telecinesi.”
“CHE COSA!!!???”
“Oh, ma certo! Gabriele non te l’ ha spiegato, vero? Beh, ognuno di noi ha dei talenti un po’... particolari. Io ho la telecinesi dalla nascita. È per questo che mi hanno rinchiuso nel laboratorio nel Lazio.”
“E gli altri bambini che poteri hanno?”
“Questo non te lo posto dire! È già tanto se hai scoperto della telecinesi! Ora via! Fila a lavorare!”
Detto questo, la ragazza si diresse verso la cucina.
In quel momento la donna si ricordò di un particolare della lettera che Gabriele le aveva critto.
“Ma non devo cucinare io!?” chiese, speranzosa in una risposta affermativa. Non era esattamente desiderosa di mangiare carne umana per il prossimo mese, e poi i ragazzi dovevano mangiare assolutamente un po’ di cibo normale: ne andava della propria salute.
“NO! NON DEVI NEMENO PENSARE DI CUCINARE AL POSTO MIO! SE GABRIELE NON SA DISTINGUERE UN AUTENTICO BANCHETTO A BASE DI PETTO DI ALLEVATORE DI POLLI, PER DI PIù COMPLETAMENTE RIVESTITO DI SALSA TARTARA, DA UNA SEMPLICE INSALATINA DI RISO, NON è UN PROBLEMA MIO! TU DEVI SOLO PULIRE, GIOCARE COL PUPINO E IMPICCIATTE DEGLI AFFARRACCI TUOI!”
Con questo la metallara rientrò nella cucina sbattendosi dietro la porta, chiaramente offesa. E chi poteva darle torto? Dopotutto, qualsiasi donna (dal più pacifico angelo del focolare alla più scatenata metallara mangia-uomini ) si offende parecchio quando qualsiasi persona insulta la propria cucina.
Camilla sospirò, e con grande calma, ma con la morte nel cuore, si diresse verso il salotto per ripulire la cenere nel camino.

Se Roberta lasciava a desiderare nella cucina (anche se, la Tata doveva ammetterlo, tralasciando i bizzarri ingredienti che utilizzava, come l’ etanolo e la carne umana, il sapore dei suoi manicaretti era sensazionale ), era un’ autentica maestra nella musica, anche se lo dava a vedere a modo suo. Il concertino stava per iniziare, e tutti erano seduti su alcuni cuscini disposti per terra, dando le  loro opinioni.
“Seconno mè, sarà’n fiasco merdoso.”
“Secondo me, invece, la sua musica è anche bella, ma inutile. Tanto dobbiamo morire tutti, a che serve suonare, dipingere, leggere o dedicarsi a qualsiasi arte?”
“Bum... Bum!” ripeteva Bummino, tutto eccitato.
Klara sfoggiava quel suo ghigno spaesato, ma non diceva niente, gli occhi sgranati fissavano la bambola di porcellana sul tappeto davanti a se. La Tata rimaneva in disparte, con il suo quadernino alla mano. Ormai aveva riempito quasi cinque pagine, ed erano appena trascorse 16 ore dal suo arrivo al Maniero.
Il sipario si alzò.
Roberta era vestita di jeans strappati, una logora maglietta nera con la parola “METAL” scritta in apparescenti lettere fosforescenti. Le luci erano state spente.
‘Quando è successo?’ pensò la Tata. Poi si ricordò della telecinesi e tornò a chiedersi quali poteri potevano mai avere il resto dei bambini.
Roberta cantava benissimo. Le parole si diffusero per la stanza, lanciando un brivido di ammirazione lungo la schiena della Tata.
‘Non capisco perchè dicano che sia tanto violento... dopo tutto è accettabile.’ Pensò.
Ma Roberta smise di cantare.
“Bene quella era la “Ballata” dei Metallica. Ora inizia il Metal vero.” Prima di riniziare a cantare, Roberta alzò il volume al massimo. Prima che potesse minimamente accorgersene, la Tata era per terra, a gambe all’ aria, colpita da quella che poteva essere benissimo una bomba atomica.
Quando rinvenne, era nuovamente nella camera di Gabriele, e il ragazzo era là, davanti a lei.
“Beh, signora Camilla Rizzi, finalmente si è svegliata. Ho detto a Roberta di non esagerare, ma lei non mi da mai retta...”
“Mio caro, ma... cosa è successo?!”
“Oh, nulla. Semplicemente non ha retto alle onde sonore del concerto. E c’ era da aspettarselo, dopotutto il volume era a 1000.”
“A...capisco.”
“Beh, quella era Roberta, la metallara, signora Tata.”
“...”
“...”
“...Quindi... Gabriele...”
“Sì?”
“Ti dispiace se ti faccio qualche domanda?”

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Capitolo 4
*** "E" di "Emo" ***


Scusate per il terzo capitolo. Andavo di fretta perchè dovevo uscire per andare sul pullman per andare in vacanza, ero in ritardo e l’ ho copiato 2 volte (  XD  ). Volevo anche aggiungere che il mio computer è rotto e non corregge automaticamente, ecco perchè compaiono così tanti errori. Comunque, ecco a voi il nuovo capitolo:

Cap. 4: “E” di “Emo”.

“Ti dispiace se ti faccio qualche domanda?”
“Dipende dal tipo di domanda...cosa riguardano?”
“Vedi, sono qui da circa tre giorni e ho trovato numerossisime particolari della vostra famiglia che posso solo definire... come dire... fuori dal comune. Di solito ne parlo con i genitori, ma visto che non ci sono ho deciso di parlarne con te, che mi sembri il più normale... oh, scusa, voglio dire, il ‘più vicino alla società’.”
L’ ultima cosa di cui ha bisogno è considerare strana la sua unica famiglia, lo traumatizzerebbe.
Ma questo non è il suo compito. Lei deve, in sintesi, pulire e dare uno sguardo a Bummino.”
“Ma questo non è il mio lavoro!”
“Lei non è forse una tata?”
“SI! Cioè... NO! Ma non quel genere di tata! Non la tata inglese... INSOMMA... NON SONO UNA BALIA! SONO UNA PSICOLOGA!”
“Una psicologa che deve, in sintesi, pulire e dare uno sguardo a Bummino.” Disse lui, alzandosi e dirigendosi verso la gabbia dei topolini e pescandone uno dalla massa.
“NON E’ QUESTO IL MIO COMPITO! IO DEVO SOLO SPIEGARTI IL PROBLEMA DELLA TUA FAMIGLIA E DIRTICOME RISOLVERLO!”
“La... Mia... Famiglia... Non... Ha... Nessun... PROBLEMA!!!” urlò lui, quasi soffocando il topolino.
“N-no... ce-cert-to c-che n-no!”
Il ragazzino si calmò.
“Senta, mi rivolga pure le sue domande. Vedrò a quali posso rispondere. Ma non garantisco nulla.”
La Tata riafferrò il suo block-notes, lì accanto sul letto.
“Bene. Per prima cosa, da quanto esattamente siete qui al Maniero? Quali sono esattamente i vostri poteri? E  i tuoi genitori? Chi è la Gazza Ladra? Cosa vuol dire Mereh? Roberta mi dice che è una sigla, è vero? Ma chi cavolo siete voi?”
Gabriele cambiava espressione di continuo. Prima era serio, poi arrabbiato e poi sul volto gli si dipinse una cosa che avrebbe dovuto essere un sorriso, ma che assomigliava più a una smorfia di disgusto.
“Sai che è la prima volta che ti sento dire una parola più forte di ‘cerebrolabile’?”
“S-scusa... quale parola?”
“Cavolo.”
La Tata si fece pallidissimissima. Fece scivolare il quadernino e la penna dalla sua presa. Cosa aveva fatto? Per quale pazza ragione aveva detto una parola orribile come quella davanti ad un bambino? Ora tutto quello in cui credeva era, in un lampo, svanito. Si prese la testa fra le mani, disperata.
“OhmioDiocosahofattosonounastupidanonavreimaidovutomachimicredodiesseredadovevengocomemichiamochièquestoquidavantiameperchèsonoinquestastanza? Oh, santo cielo, VOGLIO MORIRE!!!”
“Ehi, non è roba da prendere tanto alla leggera, la morte. Non capisco perchè così tanta gente lo dica senza volerlo veramente.”
“Cosa?”
“Voler morire.”
“M-ma se t-tu lo dici sepre?”
“Mi sembra logico, visto che voglio morire.”
“CHE COSA?!”
“Voglio morire, è un problema?”
“Bhè,... sì!”
“Vedi, è questo il tuo problema. Vedi il lato positivo in ogni cosa e mai quello negativo. La vita fa schifo, è questa la realtà.” Disse, avvicinandosi alla ghigliottina in miniatura.
“Ma cosa dici? Sei fin troppo giovane per questo tipo di affermazioni!”
“Non è vero. È da quando sono piccolo che ci penso. Perchè la gente piange e non ride?Perchè ci sono le guerre? Perchè i fidanzati si lasciano e i genitori si separano? Perchè mio padre mi ha lasciato?”
“Tuo padre ti ha lasciato?” chiese la Tata con un’ insolita nota di comprensione nella voce.
“E’ CREPATO!!! COME MIA MADRE, I MIEI AMICI, TUTTA PER COLPA SUA!” urlò tra le lacrime, mentre posizionava la sua mano nella ghigliottina. Per un attimo la Tata temette che volesse tagliarsela via. Poi si accorse che  colui che doveva essere giustiziato era nientemeno che il povero topolino.
“Ma che cosa fai?!” chiese la Tata, anche se la risposta era ovvia.
Lui la guardò per un lungo, interminabile attimo.
Poi le rispose :“Il mio hobby.”
Poi tornò a guardare il topolino.
“Ora non devi più soffrire.”
Camilla non ebbe il coraggio di guardare.
“M-ma lei chi?” provò a ritornare alla conversazione di prima.
“L-la Gazza-Ladra.” disse il ragzzino con un singhiozzo.
“Ma chi è?”
Lui la guardò.
“Per scoprirlo, devi venire con me.”
Aprì la botola e la guidò al piano di sotto.
“A’ Robè, nun me fa’ venire laggiù!” diceva chi sappiamo noi dalla rampa delle scale.
“E dai! Se non metti il dito nella zuppa, come faccio a sapere sela zuppa e buona o meno?”
“Perchè nun t’ assaggi da te a’ sbobbaccia tua!?”
“Perchè io non la devo assaggiare... non ora almeno. Ho solo bisogno di un po’ di carne umana per vedere come sarà il sapore quando ce l’ aggiungerò...”
“E a’ che te serve o’ dito mio?”
“Devo tagliartelo così potrò metterlo a mollo nel brodo e dargli un po’ di sopore in più di carn...”
“SEI UNA F****** CANNIBALE!”
“E TU UN CODARDO FIGLIO DI P******!”
“VIENI QUA SE NE HAI IL CORAGGIO!”
“SEI TU QUELLO CHE DEVE VENIRE QUA, NON IO!”
“Falla finita, Nik.” disse Gabriele.
Li sorpassarono. Si erano abituati, dopotutto, alle loro chiacchere. La Tata si ritirò nei suoi pensieri. Chi era la Gazza ladra? Cosa aveva fatto ai genitori di Gabriele? Perchè quel ragazzo era così depresso?
“Vieni.” la scosse lui dai suoi pensieri.
Con gran sorpresa della Tata, Gabriele stava aprendo la porta del giardino.
“Andiamo fuori?” chiese, con una nota di sorpresa e speraanza nella voce.
“Già.”
Sarebbe scappata. Ora. Là. Appena lui avrebbe aperto la porta.
Attese paziente che lui le aprisse la porta alla sua salvezza.
Ecco. ORA!
Scappò via con un balzo. Corse. Corse come una pazza verso i primi alberi con un po’ di verde sui loro rami. Via da quell’ inferno. Guardò indietro. Voleva accertarsi che nessuno la seguisse. Che gabriele fosse troppo assorto nei suoi pensieri per accorgersi della sua fuga. Ecco, quell’ orribile relitto che chiamavano casa si allontanava sempre più. L’ albero che s’ affacciava alla cameretta dell’ esorcista di bambole era seempre più piccolo. Il viso di quell’ emo depresso era sempre più... sempre più... sempre più triste.
Cosa stava facendo?! Non importa quanto una famiglia sia strana, papà ossessionato dal denaro, una mamma cannibale, un fratellone depresso, una sorella psicopatica e un... un... beh, non era esattamente sicura di cosa fosse Bummino, ma anche lui faceva parte di quella stramba famigliola, una famigliola che aveva bisogno del suo aiuto. Un po’ imbarazzata, tornò da Gabriele, ancora fermo al suo posto. Non le rivolgeva lo sguardo.
“M-mi dispiace Gabriele. Non ero in me. Non c’ è bisogno di essere così tristi, ho capito quanto avete bisogno del mio aiuto, e non vi lascierò mai più.”
Il ragazzino alzò lo sguardo.
“Certo che tu salti sempre a conclusioni affrettate. Stavo solo pensando alla tua punizione se fossi entrata nella foresta. O avrei risparmiato il dito di Nik e ti avrei messo nella pentola di Roberta, o ti avvrei messo nel pozzo insieme alla Gazza Ladra.”
“M-ma allora perchè avevi un’ espressione così triste?”
“Quale espressione?”
“Quella che hai ora!”
“Ma questa è la mia solita espressione, la cambio pochissimissime volte.”
“Oddio, è vero!”
Che stupida, come aveva fatto a scordarsene? Non avrebbe dovuto lasciarsi intenerire. Ora era nei guai fino al collo. Sapevano che avrebbe cercato di scappare e avrebbero aumentato la guardia. Ora doveva stare al gioco per forza se voleva salvarsi la pelle. Lo seguì attraverso il giardino, e arrivarono in una specie di parco giochi sotto all’ albero su cui si affacciava la camera di Klara. Era deserto. Proseguirono oltre. Gabriele si fermò qualche km più in là, vicino a un a un botola nel bel mezzo di un prato di erba secca talmente alta che arrivava al mento della Tata.
Gabriele aprì la botola e fece segno alla Tata di seguirlo. All’ entrata della botola era appoggiata una scala di legno marcio che conduceva nella più totale oscurità. Gabriele incominciò a scendere e lei lo seguì come un cagnolino. Lanciò un ultimo sguardo al cielo, pensando che quella era probabilmente l’ ultima volta che vedeva la luce del sole. Proseguirono per qualche minuto in quel buio soffocante ed, infine, arrivarono in una specie di tunnel dalle pareti di terra battuta. Ricordava vagamente una miniera, con un piccolo sentiero di mattoni neri e una lucina pendente dal soffitto qua e là. Camminarono per un po’ lungo il sentiero ed arrivarono ad una porticina di legno tarlato. Con lentezza estenuante, Gabriele l’ aprì, e loro entrarono.
Camilla non aveva mai visto nulla del genere.
Erano in una gigantesca grotta illuminata da delle fiaccole che lanciavano un tenue bagliore. Le pareti di roccia scura erano interamente ricoperte di rune fosforescenti e, con gran stupore della Tata, riusciva a leggerle:

Ecco, qui regna la Gazza Ladra.
Ti avvogeranno le mie ali d’ ombra,
Ti guiderò verso la tomba:
Su di te si chiuderà la bara.

Scappa, sciocco mortale!
Il peso della maledizione grava su di te!
Se non hai un sacrificio, qui per me,
Scoccherà l’ ora fatale!

Io e te condividiamo la stessa sorte,
Ma io ci son nata, a te è stata imposta.
Quindi, se non vuoi finire nella fossa:
Fammi vivere: spalanca le porte!

La mia richiesta è giunta alla fine.
Se anche mi eviti, come la scabbia,
Ti ordino ora di aprire la gabbia!
Beh,... ora basta! Ho finito le rime!”


“N-non ha molta fantasia, questa Gazza Ladra, eh?”
“In quanto a rime è totalmente negata. Ma fidati, nello squarciare e infliggere maledizioni è imbattibile.”
Camilla sorrideva vagamente, ma in realtà era talmente impaurita da non riuscire a muoversi. Da quel che aveva capito, la Gazza Ladra aveva imposto una sorte di maledizione a Gabriele che lo legava a lei. Quindi, entrambi avevano qualche strano potere. Ma, se l’ uno moriva, probabilmente sarebbe morto anche l’ altro. Quindi Gabriele teneva rinchiusa la Gazza Ladra per impedirle di causare altri guai, e poi le portava sacrifici vari per non farla morire di fame. Si ricordò che la mattina tornava a casa con volpi, conigli e uccelli di cui poi non aveva più visto l’ ombra. Ecco spiegato il mistero. Magari anche alcuni di quei topolini eranoo destinati a finire quaggiù. Ma dov’ era la Gazza Ladra? Continuò a guardarsi intorno. A un certo punto scorse nell’ angolo più buio della grotta quella che aveva tutta l’ aria di essere una bara. All’ interno sedeva una bambina dai lunghi capelli neri e gli occhi grigi, che fissava il tetto della caverna come se non esistesse altro. Oddio, ormai doveva essere abituata a sangue, morte e tutte quelle pazze stregonerie che accadevano lì. Beh, non era così. Magari una vita piena di coccole, regole e amore per la più completa normalità e perfezione. Ma almeno ora poteva dedurre che quella era la Gazza Ladra. Era davvero una bella ragazzina, dalla pella diafana e il viso espressivo. Le labbra erano violacee. Indossava una vestaglia bianca come il latte e una collana di rubini. Pesanti orecchini d’  oro le pendevano dalle orecchie, coperte dai lunghi capelli legati in una treccia.
All’ improvviso, una sagoma spuntò dal nulla. Era grosso, nero e veloce. Passo velocemente sulla ragazza, poi scomparve. Camilla spese i pochi secondi che seguirono nel cercare la sagoma, ma Gabriele teneva gli occhi fissi sulla ragazzina. Anche se intuiva ciò che avrebbe visto,la Tata guardò comunque nella stessa direzione, per poi vomitare sul pavimento di pietra. La bambina giaceva morta, fuori dalla bara, con la faccia completamente sfregiata dai tagli lasciati da quell’ essere. Con gli occhi fuori dalle orbite, in un’ espressione di assoluto terrore e sorpresa. Il sangue le scendeva copiosamente sul collo bianco e sul pavimento. Solo allora Camilla vide quanto era magra. Non doveva mangiare da giorni. La splendida vestaglia era completamente impregnata di quell’ orribile rosso sangue che, Camilla glielo leggeva negli occhi, Gabriele conosceva anche troppo bene.
Allora si ricordò che la ragazzina guardava in alto prima di morire. Fece lo stesso. Rimase a bocca aperta. Una gabbia d’ oro massiccio pendeva dal soffito. Era gigantesca, e dall’ apertura si slanciava in volo un’ enorme... gazza ladra. Era veramnete una gazza ladra?! Incredibile.
“E’ un demone.” Disse Gabriele.
La Gazza si adagiò sul corpicino della bambina ed incominciò a sbranarlo.
“Questo accadde ai miei genitori, la Gazza fece un patto con me: avrei dovuto portarle sacrifici e, almeno una volta al mese, questi sacrifici devono essere umani. Così lei mi risparmia la vita. Mi ha imposto una maledizione, se muoio io, muore anche lei, e viceversa.”
Lo guardò. Solo ora si rese conto di quanto fosse stanco. Stanco della vita. Stanco di tutto. Tutto ciò che voleva era morire, tornare dai suoi genitori, rivederli almeno una volta.
“Allora... perchè non la fai finita?”
“...”
“Tu VUOI morire! E se lo fai, anche questi sciocchi sacrifici finiranno!” puntò il dito contro la bambina, che, nel frattempo, era stata divorata dalla Gazza. Di lei non rimaneva altro che ossa.
“Io... è solo che io... ecco, vedi, io...”
“SEI SOLO UN CODARDO, ECCO COSA SEI!!!”
“NON PUOI DIRLO! NON E’ VERO! E’ SOLO CHE NON POSSO!”
“PERCHE’ NON PUOI???”
“PER COLPA DELLA MALEDIZIONE!”
“QUALE MALEDIZIONE?!”
“QUELLA DELLA GAZZA LADRA!”
“E IN COSA CONSISTEREBBE?”
“NEL FATTO CHE SONO INDISTRUTTIBILE!”
“COSA?!”
“SONO INDISTRUTTIBILE!!! NIENTE PUO’ TAGLIARMI, NULLA PUO’ PENETRARE LA MIA CARNE, ROBERTA NON MI DA’ MAI DEI PIATTI AVVELENATI, NONOSTANTE IO INSISTI SEMPRE. IL MIO CORPO E’ UN’ ARMATURA DI PELLE... SONO INDISTRUTTIBILE.”
“... NON CAPISCO...”
“LASCIA PERDERE, TI FARO’ DEGLI ESEMPI A CASA!”
“VA BENE... GABRIELE?”
“SI?”
“PERCHE’ STIAMO URLANDO?”
“...NON NE HO LA PIU’ PALLIDA IDEA!!!”

Nel frattempo, a casa della scrittrice...

“Papààà! Il pulsante Caps Lock non funziona piùùù!”
“Come!? Di nuovo!? Fa po’ vedere?”
“Guarda...”
“Oh, Dio! Oh, beh, te lo aggiusto subito.”

Una settimana più tardi.

“Ecco qua! Come nuovo!”
“Credo sia arrivato il tempo per un nuovo computer, papà.”
“Ma che dici! Ha appena qualche annuccio...”
“Papà, ha venti anni suonati!!!”
“Vedremo, vedremo...”

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Capitolo 5
*** "R" di "Rapper" ***


 “R” di “Rapper”.

Era vero. Gabriele era indistruttibile. Non poteva essere trafitto da nulla. La sua pelle era resistentissima al punto di sembrare gomma mischiata a ferro. La Tata era sempre più spaventata, ma anche sempre più decisa a scoprire i segreti di quella banda di teppistelli. E dire che solamente ieri mattina li aveva definiti una famigliola un po’ stramba. Pensava a tutto questo mentre ripuliva il bagno che, appena ieri sera, era stato utilizzato da Nik come pista da ballo.
‘Dovrò fare due chiacchere con quel ragazzino!’ pensò lei, mentre si dirigeva verso il water.
Non aveva neanche fatto in tempo ad infilare lo sturalavandini nella tavoletta,  che all’ improvviso un gigantesco coccodrillo si levò dall’ aqua, distruggendo completamente il gabinetto.
Dopo anni ed anni di esperienza passati a difendere bambini da zanzare, mosche o api usando qualsiasi cosa avese in mano, la sua mira si era fatta precisa e potente. Colpì ripetutamente il coccodrillo, urlando come una forsennata:
“Gianni! Stai indietro, Gianni! Esterina, quell’ orribile essere può ucciderti! Lascia fare a me, Emanuele!” eccetera eccetera, immaginando, per darsi grinta, che tutti i bambini del mondo allergici alle api o alle vespi che conosceva fossero lì e che solo lei poteva difenderli.
Dopo un po’ il povero rettile ritornò nelle viscere da cui proveniva, con il peso della sconfitta sulle spalle.
“E ora chi pulirà codesto tafferuglio?” mormorò, fissando il caos di ciottoli ed aqua davantia sè.
“ORA BASTA! Quel ragazzino ed io non discuteremo solo dei suoi balli sfrenati. Dovrà anche darmi una spiegazione logica a tutti i suoi ‘animaletti domestici’. Sono fin troppi! O li regala a qualche zoo o li insegna a controllare i loro raptus omicida! ROBERTA! VIENI A PULIRE QUI!”
“Per caso Ticchete ne ha combinate una delle sue?”
“NON LO SO! SO SOLO CHE UN COCCODRILLO HA DISTRUTTO IL BAGNO!!”
“Ah, beh, in quel caso non è stato lui. Sai, Ticchete non è un coccodrillo, bensì un alligatore. E poi, è molto educato. Non distruggerebbe mai il bagno, ma solo il trono. E’ stato addestrato benissimo.”
“IL TRONO??!!”
“Sì, sai... o’ cesso!”
“Dobbiamo parlare del tup linguaggio, signorina. “
“Sei tu che non sei informata. Nel Medioevo, il trono dei nobili e del re aveva uno speciale scompartimento dove poteva fare tranquillamente i suoi bisogni senza allontanarsi. Poi veniva un servo per svuotarlo e così il re poteva risedersi tranquillamente. Aveva persino una specie di tavolo pieghevole che lo faceva assomigliare ad un seggiolino così che il re poteva tranquillamente mangiare. Vedi, l’ IKEA non ha inventato un bel niente! Persino le dame, i feudatari ed i vassalli ne avevano uno accanto al letto in camera loro, così che potevano fare colazione a letto e fare i bisogni durante la notte. Ma poi, nel XV secolo...”
“SENTI ROBERTA, NON M’ IMPORTA!!! PER FAVORE, PULISCI QUA, D’ ACORDO?”
“...Veramente, questo sarebbe il tuo lavoro...”
Non la sentì, perchè era uscita sbattendo con violenza la porta.
Passò velocemente per camera sua, dovè afferrò il quadernino, ormai così pesantemente scritto che le pagine bianche erano quasi completamente nere d’ inchiostro. Poi corse velocemente giù per le scale, arrivò di fronte alla botola, entrò, percorse il cunicolo per arrivare alla porta ed la spalancò, per essere subito abbagliata dalla luce dell’ oro. Tastando l’ aria con una mano, entrò barcollando nella stanza. Bummino giocherellava con un sasso dalla forma e dal colore strano. Nik scriveva freneticamente sul computer, senza neanche fermarsi a guardarla.
“Ehrm-ehrm.”
Nulla.
“Ehrm-ehrm?”
Niente, nothing, rien, nichts, nada, ingenting, intet,  هیچ, 何も.
“EHRM-EHRM!!!”
“EH? Cosa? C-che me cerca?”
“Io...”
“Ah! Si’ tu! Ma che cacchio te salta in testa a’ urlà così?”
“Veramente ti sto chiamano da circa cinque minuti.”
“Mica te ho sentito, sai?”
“Lasciamo stare. Comunque, Nicola, dobbiamo affrontare certi argomenti, io e te.”
“Se, se, magari dopo...”
“No,ora.”
“Dopo, ora sto a lavorà.”
“In che senso, stai lavorando?”
“Lavoro. Come credi che ci’ arrivano li dindi belli ca’?”
“E che ne so io? Senti, sono stanca di questo attegiamento: un po’ di maturità va bene, ma il fatto che tu creda di poter lavorare è un po’ troppo. Mi dispiace, ma è così.”
“No, no, bella zì, sei tu chella che se sbaglia. Io lavoro, e ho anche molto successo.

Non capiscono la differenza tra realtà e finzione, sono completamente attratti dalla vita surreale.

“Ah, veramente? E in che cosa consisterebbe il tuo lavoro?”
Con una punta d’ orgoglio nella voce, Nik spiegò:
“Sono o’ fortunato possesore de a’ più grande società per la produzione de a’ roba buona , con sedi piazzate in tutto o’ Stivale.”
“Che cosa intendi con ‘roba buona’... ah, capisco! Come ti piacciono, arancioni, rosa o verdi?”
“Ma che ca*** me stai a’ dì? Non posso mica mica esse’ più chiaro di così!”
“Scusa? Di che parli?”
“Sto’ a parlà de droga, chiaro.”
“In che senzo, DROGA?! Ah, beh, è vero, le caramelle possono creare dipendenza, anche se io non sarei mai arrivata ad usare una metafora simile, questo è certo!”
“Ma se’ scema, allora! Io parlo de’ erba!”
“C- COME!?”
Nik si schiarì la voce, forse per dare più effetto alle sue parole, o forse perchè aveva bisogno di molto fiato per elencare tutti quei nomi:
“Anfetamine, cocaina, crack, barbiturici, oppio, morfina, eroina, marijana, hashish, LSD. Questo è o’ grande della mia azienda... Tutto bene?”
Lo disse perchè la Tata era diventata pallidissima. Ora, sono convinta che troverete strano il fatto che Camilla non si sia abituata a tutte queste stranezze, ma aveva dedicato metà della sua vita con le famiglie in bisogno di aiuto (di una quantità misera in confronto a quello di cui avevano bisogno i MEREH) e l’ altra metà negli edifici scolastici. Il solo fatto di sentire Nik menzionare la droga sarebbe stato fatale per lei, se non avesse visto una ragazzina venire squartata e divorata da un vorace demone gazza. Quindi si sforzò di sorridere e domandò, la voce impastata come se avesse bevuto:
“Ma in che razza di scuola siete andati, voi?”
“La scuola e inutile, non serve a un ca***.”

Poco rispetto per l’ educazione e per i maestri di vita.

ATTENZIONE: SPOILER

“Sono sicura che ti sbagli, magari un giorno ti dimostrerò che la scuola è importante e può persino essere emozionante.”
“Sarà, sarà...”

FINE SPOILER.

“Viè qua, te faccio vedè o’ bisness mio.”
La poveretta si chinò sull’ apparecchio, a lei praticamente sconosciuto e considerato arma di distruzione di massa, per vedere un’ immagine su internet raffigurane la formula di Erone. Nik ci cliccò sopra. Subito apparve una finestra verde acido, con le parole “ROBA BUONA” spiccanti in un rosso sangue. Un’ introduzione, spazio per digitare dose, qualità e prezzo e alcune immagine dei prodotti.
“Ma come hai fatto a...”
“Vieni con mì, e capirai.”
Conoscendo gli effetti del seguire uno dei MEREH (assistere ad un sacrificio e rischiare di essere trafitti da una pioggia di chiodi) una persona normale ci avrebbe pensato due vote rima di dare retta a Nik. Ma, se doveva scoprire tutti i loro segreti, per riportarli poi sulla buona strada, era un rischio che doveva correre. Ma, stranamente, non ci fu poi così tanto da preoccuparsi. Nik si accontentò di portarla nel frutteto, dove le splendide mele pendevano dagli alberi circondati da foglie di un verde brillante. Con le lacrime agli occhi, vide il cancello a pochi metri di distanza. Ma, ricoradandosi delle punizioni che il gruppo poteva infliggerle, si concentrò sui frutti che Nik le indicava.
“Ecco o’ segreto de’ o’ successo mio. Queste mele sono intrise de tutti i’ tipi de droga possibili ed immaginabili. A poco a poco se so’ evolute in veri e propri frutti de droga, e crescono così che basta estrarre o’ succo per avere un po’ de cocaina al gusto de mela... figo, no?”
Non rispose. Era troppo scioccata per proferir parola. Nik sembrò accorgersene perchè le consigliò di rientrare in casa.
“Senti un po’. A proposeto de’ Ticchete, non te a’ prende’ con lui. Ha solo avuto un’ infanzia difficile.” disse, mentre proseguivano verso il Maniero.
“Io, Bummino, Ticchete, Titti, Colecisti, Cogli, One e Banana semo stati tutti rinchiusi in un laboratorio nel Lazio. Io e Bummino semo stati separati dai nostri genitori, che furono riputati un po’ troppo pericolosi per esse’ esaminati. Ce renchiusero nel laboratorio insieme agli animali per esaminare il nostro potere. Un giorno Bummino stava a’ gioca’, e’ gabbie vennero distrutte e noi uscimmo ensieme a’ gli anemaletti belli.”
“...”
“Bhè?”
“ ‘Bhè’ cosa?”
“De solito me fa’ una de quelle sue strambe domande da strezzacervelli. Mo’ nun me dice nulla?”
“No. Per qualche ragione non mi fa alcun effetto, in questo caso. E poi, è positivo il fatto che tu rispetti ed ammiri gli animali.”
“Siii... Ceerto. Dobbiemo parlà de o’ linguaggio tuo, è orribile.”
“Potrei dire lo stesso di te, caro, potrei dire lo stesso di te.”
“Stà tranquilla. Un paio de gorni con mì e parlerai anche tu in romanaccio, fidate.”
“Scongiuro Iddio che non sia così. Comunque, tanto per abitudine, ti accontenterò e ti rivolgerò una domanda. Dimmi: chi sono Arpo, Cogli, One e Banana? Sono forse gli animaletti del laboratorio?”
“Già. Ticchete è o’ alligatore che sta nel bagno. Titti o’ corvo che ve ha consegnato o’ messaggio e vive sull’ albero vicino al Maniero. Colecisti è o’ coniglietto nero de Klara. Cogli e One sono i Dobermans de a’ Metallara e Banana o’ scimpanzè. Tutti so’ stati modeficati geneticamnete.”
La casta Tata arricciò il naso. Tutto quello che era modificato genicamnete era il frutto del diavolo.
“Ma perchè tu e la tua famiglia siete stati condotti nel laboratorio?”
“Mamy e Bummino avevano o’ stesso potere. Io e Papy eravamo entrambi in grado di fare esto’...”
Si voltò verso il castello vittoriano, mentre un lampo di malefica distruzione gli saettò negli occhi. Alzò le mani, con una lentezza angosciante, verso l’ edificio.
A un certo punto le abbassò e si voltò con fare prudente verso la Tata.
“Senti un po’, forse dovresti tapparte le orecchie.”
Ubbidiente, la Tata si coprì le orecchie con le mani.
Come stavo scrivendo prima della rude interruzione da parte di Nik (che ha rovinato un momento di perfetta suspence solamente per avvertire quell’ orribile Tata, che non piace a nessuno, di un pericolo), il ragazzino si voltò verso il castello vittoriano, mentre un lampo di malefica distruzione gli saettò negli occhi. Alzò le mani, con una lentezza angosciante, verso l’ edificio. All’ improvviso, ci fu come una specie di grossa onda invisibile che attraversò velocemente il giardino. Camilla abbassò velocemente lo sguardo, come per proteggersi. Si sentì un forte rumore, come se un gigantesco vaso di vetro si fose rotto. Ma, quando rialzò lo sguardo, la Tata vide con immaenso stupore che tutte le finestre erano scomparse.
“Ecco, è isto o’ potere mio. So controllare gli ultrasuononi e, in isto modo, posso distruggere calsiasi cosa io voglia.”
Solo allora, Camilla Rizzi vide che, in effetti, le finestre non erano semplicemente scomparse nel nulla, ma erano per terra, in frantumi, fracassate in mille scheggie.
“Ah...ah...”
Senza dir una parola, seguì come un cagnolino Nik, il quale parlava a vanvera delle sue allegre vite geneticamente modificate e clonate, frutti del diavolo, che tenevano compagnia a quegli animali chee erano i MEREH.

 

SPAZIO DELL’ AUTRICE.

 

A Caos:  Il tuo commento è stato il primo, e l’ ho molto apprezzato. Ti ringrazio molto, davvero. Spero che continuerai a leggere le avventure dei MEREH.

 

A GreedFan: Grazie mille Roberta! Spero che ti sia piaciuto anche questa storia anche se non fa molto ridere, lo ammetto. Bhè, che dire, sono ancora agli inizi. Ma migliorerò, te lo prometto.



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Capitolo 6
*** "E" di "Esplosivo" ***


“E” di “Esplosivo”

Da quel giorno in poi, Camilla si guardò dal mangiare le mele che le venivano offerte a pranzo.
A tavola, infatti, la poveretta doveve fare molta attenzione. Non era raro che Roberta le offrisse etanolo, stufato di postino, pompiere arrosto, torta di mele-cocaina e, di tanto in tanto, qualche topolino sott’ olio.
L’ unica cosa che poteva digerire erano le piccole noccioline che Bummino raccoglieva nel giardino. Ah, Bummino, un bel bambolotto così calmo e dolce, che gattonava per la casa in quell’ adorabile mini-divisa da marinaio. Era l’ unico che poteva vantare delle buone note nel quadernino della Tata.

Il piccolo trascorre il suo tempo in attività molto costruttive.
Invece di spendere un quantità infinita di ore davanti all’ apparecchio televisivo, ho notato con sommo piacere la sua presenza all’ aperto, dove è sempre sulle giostre.

Questo, in effetti, era un po’ strano. Le giostre su cui andava erano sempre in moto costante, non si  fermavano mai! Bummino, che era molto piccolo, appena tre anni, non aveva certo la forza di girare la giostrella da solo, andare sull’ altalena senza che nessuno lo spingesse e, per di più, andava su e giù sull’ altalena a dondolo senza un altro peso per equlibrare il suo. All’ inizio pensava che andassero ad elettricità, ma nessuno aveva mai premuto un interruttore o qualcosa del genere. Solo dopo qualche giorno (erano passate ormai passate due settimane dal suo arrivo al Maniero e la casa era in perfetto ordine) si rese conto che non era altro che Roberta che, dalla cucina, dove lei e gli altri ragazzi stavano lavorando alla sorpresa per Bummino, con la sua telepatia, muoveva le giostrine ogni volta che Bummino glielo chiedeva.
Ma come faceva a chiederglielo? L’ unica parola che sapeva dire era “bum”. Bhè, a dire il vero no, non è così. Sapeva anche dire “bum-bum”, “bummino”, “bummetto”, “bumparapà”, “bum-bummino” ecc., assomigliando vagamente a uno di quei chibi nei manga che Roberta sfogliava tra una zuppa di studente liceale e una bella torta di pantegane farcita con una golosa crema al cioccolato (ma non troppo, fa male ai denti). Inevitabilmente, Bum-bum si era ritrovato una cattiva nota:

Nonostante l’ età in cui potrebbe usufruire di termini di cui si serve il mondo adulto, il giovanotto non vanta che del costante vocabolo che indica l’ esplosione.

Più Camilla aveva indagato sul nome del piccolo, dando per scontato che Bum fosse un soprannome. Ma nessuno, neppure Nik, suo fratello, lo sapeva.
“Mi’ padre un nome gliel’ ha dato, ma non me lo ricordo mica, ero solo picciotto!”
Le giostre nel giardino non erano gli unici divertimenti di Bum. Quando non era occupato col puzzle da diecimila pezzi che Gabry gli aveva regalato per il suo primo compleanno (“Gabry, guarda che è troppo piccolo per farlo” “Lo so. Ma a lui piaciono tanto i puzzle, Roberta. È diventata la mia unica ragione di vta guardarlo mentre prova nuove combinazioni: gli angoli con i lati, i verdi con i rossi, le parti dell’ albero e quelli del campo di fiori” “Ma mi spieghi come li trova divertenti?” “Oh, ma lui non li trova divertenti, li trova gustosi!” “... Gustosi?” “Lui mangia i pezzi del puzzle, dice che sanno di limone!” )  Bum-bum giocava al piccolo minatore. Il gioco consisteva nello scavare un grosso tunnel con una piccola paletta di plastica rossa, mentre la Tata, che aveva il compito di badargli, rimaneva fuori ad aspettarlo. Stranamente, ogni volta che era lì sotto, Camilla Rizzi poteva chiaramente sentire dei rumori soffocati dalla profondità. E, cosa anch’ essa molto strana, notava dei piccoli bagliori dai diversi colori. Dopo un po’, Bum riusciva dalla terra, sporca di qualcosa che sembrava fuliggine sulla faccia angelica incorniciata dai morbidi capelli biondi. Un giorno, la Tata decise che sarebbe entrate lei stessa nel tunnel a controllare cosa mai maneggiava quel piccolo angioletto dagli occhi azzurri. Il buio cunicolo era stretto, molto stretto. Dopotutto l’ aveva scavato un bambino di 4 anni. A un certo punto, si trovò di fronte ad un bivio. Stava scegliendo quale sentiero percorrere, quando udì di nuovo quei rumori. Questa volta, però, non erano soffocati. Anzi, erano sopraffacenti, simili ai tuoni durante un temporale in aperta campagna. Un gigantesco bagliore rosso venne dal tunnel di destra. Improvvisamente terrorrizzata per la sorte del piccolo angelo caduto, neanche fosse stato attacato da un gigantesco drago sputafuoco dalle mille teste che cantava “Bop to the Top” nonestop, Camilla si mise a correre per il tunnel a perdifiato, urlando con tutto il fiato
“BUMMINO! Non ascoltare quella canzone mostruosaaa!!!”  E, per una volta, tutti ci trovammo daccordo con lei. Ma, una volta arrivata, la poveretta non vide alcun drago sputafuoco. A dire il vero, non vide assolutamentte nulla. Era tutto buio!
“Mi servirebbe un po’ di luce...” E luce fu. Ma non era stato Dio ad esaudire il desiderio della Tata. Era stato il piccolo Bum, con una luce accesa nella mano.
“Bum!”
“Oh, bravo, piccolo! Avevi una candelina e l’ hai accesa per laTata... Certo è un po’ strano che tu sappia già usare così bene il fuoco, ma dopo aver visto con chi sei cresciuto, credo che non mi posso più meravigliare di null... ma che strana candelina, Bum caro. Emana una luce assai impressionante. Fa’ un po’ vedere a Camilla...” Bum-bum scosse la testa. Ma tenne alta la candelina, così che la Tata potesse vederla meglio. E lei la vide meglio, oh se la vide meglio.
“Tesoro.” Bisbigliò “Tesoruccio, dammi la candelina. Sù da bravo dammi la candelina.”
Bum-bum sorrideva quel satanico sorrisetto che Camilla aveva già visto sul volto di Klara al suo arrivo al maniero.
Con voce leggermente più alta, la Tata ordinò: “Senti, Bummino, devi obbedire alla Tata. Quella che hai in mano non è una candelina, è...”
“Bum! Bum-bum!”
“Sì, tesoro, è bum-bum! Ma non sta bene interrompere, caro. Ma ancora peggio è disobbedire e ora dammi. quella. candelina!
“Bum! Bum! Bum-bum!”
“DAMMI QUELLA MALEDDETTISSIMA  CANDELINA!” ringhiò Camilla con una voce che avrebbe terrorrizato qualsiasi persona, ma, d’ altro canto, Bum-Bum era cresciuto con Roberta ed il suo glorioso Metal.
“Eh-Eh!... Bum...BUM!”
Un secondo dopo, del tunnel non rimase altro che macerie.

“Ma mi spiegate perchè ogni volta che mi sveglio ero svenuta?”
“Se tu non andassi in cerca di guai...”
“Non è per quello, Roberta. La vita fa schifo.”
“Bummino ta’ dato na’ bella batosta, eh?”
“Beh, il dottore ha detto che devi rimanere a letto e non muoverti, così avrai tutto il tempo di leggere a Bummino il suo libro.”
“Il dottore?”
“Certo! Ne vuoi un po’?” disse Roby, mostrando raggiante uno stufato pieno di organi e muscoli.
“Credo che passerò, grazie.”
“Come vuoi. Oh, ecco il nostro angioletto!” esclamò la metallara, quando entrò il bambino con il libro che la Tata aveva visto nel salotto.
“Vi lasciamo soli.”
“Me raccomendo, eh! Nun te dementica’ delle vocine!”
Ed uscirono. Bum-bum si sedette sul letto accanto a lei.
“Bum!”
“Sì, sì. Ora ti leggo ‘bum’. Vediamo un po’, dunque:

Il bel Trenino Rosso che andò al mercato ed esplose, uccidendo tutti i bembini!

C’ era una volta un bel trenino rosso. Si chiamava Thommason. Era piccolo, brutto e stupido. Quindi era emarginato da tutti. Ora, bambini, secondo voi il piccolo trenino cercava di mostrare i lati migliori di se, lavorando duramente ed essendo gentile con gli altri trenini? Certo che no! Il piccolo Thommason sparava parole come ‘ma vaffan****’, ‘lurido pezzo di me***’ e il buon vecchio ‘figlio di putt***’ a tutti i suoi coetanei. Un giorno, andò al mercato. Comprò la fuliggine a 2€, il carbone a 3€ e l’ olio a 1€. Poi diede al negoziante 5€, perchè pagarne 6 è una vera e propria fregatura. I bambini lo presero in giro perchè pensavano che non sapesse far di conto, e lui gli rispose che se la loro mamma avesse saputo far di conto, ora non farebbe il lavoro che vanta per le strade. Ma loro continuarono ad insultarlo. Allora lui, inca***** nero, esplose e li uccise tutti!
                                                               FINE!

“ROBERTA! CHI HA SCRITTO QUESTO LIBRO?!”
“UN MIO CARO AMICO:  FELICE MASTRONZO!” urlò di rimando Roberta dalla cucina.”
“...Tre settimane, Camilla, tre settimane e, in un modo o nell’ altro, sarà tutto finito.”

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Capitolo 7
*** "H" di "Hippie" ***


“H” di “Hippy”

“Guarda che devi anche leggere a Klara.”
“Come?”
Camilla e Roberta erano nel salotto. La Tata era tutta immersa in un libro, dal titolo “Quando pensi di aver visto tutto”. Ne aveva proprio bisogno. Roberta, invece, si dava all’ uncinetto. Stava completanto una bella copertina dai mille colori, e ci metteva tutta l’ anima.
“Per chi è la copertina?”
“Per il mio mitra. Ora che arriva l’ inverno, inizierà ad avere freddo notte.”
“S-siii. Ceeerto. Comunque, cosa mi stavi dicendo?”
“Nel contratto era previsto che tu leggesti “Alice nel paese delle meraviglie” a Klara, non appena lei te lo chiedesse.”
“Prima di tutto, non ho firmato nessun contratto. E poi, lei NON me l’ ha mai chiesto! Anzi, non mi ha mai rivolto la parola! A dire il vero, non l’ ho mai sentita parlare con chiunque!”
Roberta la guardò, con evidente stupore.
“Ma come, non te sei accorta?!”
“Di che, scusa?”
“Di Klara! Non hai capito che lei non sa... insomma, lei è... come dire?”
“Balzana? Se posso essere franca, tutti voi lo siete.”
“E chi te l’ ha chiesto?! Comunque, intendevo dire che lei non sa parlare, è muta.”
“Come, muta?!”
“Bhè, non è che sia essattamente muta. Prima poteva parlare, alcuni secoli fa, quando era ancora viva. Ma poi si è scordata di mettere le corde vocali e la storia è finita lì:”
“...”
“Che c’ è?”
“MA MI SPIEGHI PERCHE’ VOI TEEN-AGERS NON POTETE MAI SPIEGARVI CHIARAMENTE??!! Tutto ciò che voglio sapere è perchè Klara è muta e tu parti con il filmino ‘Il ritorno della Mummia’!”
“TU hai visto ‘Il ritorno della Mummia’?”
“Sì, perchè? E’ un film che ti si è presentato gradevole?”
“... Fammi indovinare! Mi hai chiesto se mi è piaciuto, vero? L’ho visto con Bummino, agli altri non andava, era per bambini e  avevano di meglio da fare. Te l’ ho chiesto perchè non mi sembri il tipo che guarda la TV”
“Trovo che il televisore sia il frutto di satana nel cuore degli uomini, sopratutto per  la sua influenza sugli infanti. Lo vedevo per fare rapporto alla mia migliore amica, che ha l’ onore di essere a capo del MOIGE.”
“Oddio! E come è andata?”
“Benissimo! La censura mi è sembrata perfetta e... ma che cos’ hai, cara?”
“Vai subito a leggere il libro a Klara, ti spiegherà tutto lei.”
“Ma che cos...”
“VIA SUBITO DALLA MIA VISTA, SENNO’ RISPARMIERO’ LA VITA AL FALEGNAME, TI AVVERTO!!!”
“V-vado, vado!”
Corse frettolosamente su per le scale, e fu sicurissima di sentire Roberta dire cose come:
“Quella stronza del MOIGE! Dovevo immaginarlo! Ma non finisce qui! Mi si rompa la chitarra se non bollirò in pentola quella stregaccia!”
“Credo proprio che appena uscirò di qui dovrò farmi una nuova migliore amica.” Pensò tritemente la povera Tata.

 

Klara stava pettinando una dele sue bambole di porcellana. Quella torturata era per terra, in un angolo. Quando la Tata entrò, la tredicenne si voltò, per rivolgerle uno dei suoi sorrisi da psicopatica.
“C-ciao, Klara! Vogliamo leggere ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’?”

La bambina scosse la testa ben pettinata, e le fece segno di sedersi su di una sedia a dondolo lì accanto.
Mentre si sedeva, Camilla chiese:
“Scusa, Klara. Mi vuoi spiegara questa faccenda? A quanto pare tu non puoi parlare perchè sei muta?”

Con immensa sorpresa della Tata, che immaginava che Klara non le avrebbe risposto o che, almeno, avrebbe assunto un’ espressione triste, la teen-ager annuì e afferrò dalla scrivania un block-notes di carta azzurrina e un calamaio dall’ inchiostro blu scuro che Camilla non aveva notato. Iniziò a scrivere, in una calligrafia ordinata e senza commettere errori.

 

Io sono Klara, colei che vive in un corpo di bambola.  Quando i miei genitori morirono e mi lasciarono in eredità il Maniero, io mi sposai per portare avanti la mia famiglia. Quando, pochi anni dopo la nascita di nostra figlia, mio marito morì. Fu allora che iniziai lo studio della stregoneria. Volevo garantire a mia figlia la vita eterna. Ma poco prima di raggiungere il mio scopo, mia figlia si amalò di variceella e morì. Era il diciottesimo giorno del mese sesto nell’ anno trentaduesimo del secolo XVIII. Imparai il metodo di scambiare le anime. Costruii una bambola a dimensione umane, per contenervi l’ anima di mia figlia che avrei spostato dalla tomba. Il giorno previsto per la completazione della bambola, il giorno in cui dovevo aggiungere le corde vocali, il villaggio scoprì di ciò che avevo fatto e mi bruciarono sul rogo. Ma, prima che la mia anima volasse via per sempre, riuscii a trasferirla nella bambola che avevo costruito per mia figlia. Ma le corde vocali non sono presenti, gli occhi sono di vetro, lo stomaco di legno. Conclusione? Non vedo, non mangio, non bevo e non parlo. Trascorro le mie giornate a rassettare queste bambole, tutte tranne una... con lei io compio i miei riti.

 

La Tata lesse le parole tutte di un fiato, credendoci a malapena. La guardò. Le manine liscie e delicate, i capelli marroni racchiusi in una crocchia, gli occhi nocciola (che in effetti, avevano qualcosa che ricordava il vetro), il vestito lungo e pieno di simboli della cultura indiana. Aveva veramente così tanti anni?

“Mi... mi vorresti dire...”

 

Scrivere.

 

“Già, scrivere, scusami... Mi vorresti scrivere che genere di riti... ecco... compi?”
Ricominciò a scrivere, e stavolta la Tata notò che non guardava la carta. Era veramente cieca?

 

Mi concentro su una persona tenendo in mano Serafina, la bambola che vedi là.
 

E indicò la bambola torturata in per terra in un angolo.

 

Con lei, solo con lei io compio i miei riti. Quando faccio qualcosa a quella bambola, la stessa cosa accade alla persona a cui penso mentre la tengo in mano. Perchè quella era la bambola di colei che mi denunciò, colei che mi diede la morte. Le altre che vedi erano di mia figlia. I miei sono riti satanici. Riti vodoo. Gabriele, invece è un mio discendente, e io una sua ava.
 

Poteva essere vero? Poteva davvero essere vero?

“... No. Non ci credo.”

“Aho’! Ma’ sei de coccio fija mia! Dubiti che a’ certezza pare na’ fobia” disse Nik, entrando improvvisamente nella stanza.
“E tu da dove salti fuori?!”
Senza darle retta, Nik si slanciò su Klara. Le strattonò con violenza un braccio, fino a che non si sentì un violento ‘crack’.
“OhmioDiocosahaifatto...” mormorò la Tata scioccata, e proprio in quel momento il braccio di Klara venne via. Ma... non uscì sangue. Non uscì nulla.
Il braccio era di legno.
Klara afferrò il blocco di carta, e scrisse velocemente.

 

Ma sei IMPAZZITO!? Ora me lo riaggiusti tu il corpo!!! LURIDO BASTARDO!!!"

 

Per tutte risposta, Nik agitò la mano sul braccio di legno, e le onde sonore fecero volare scheggie per tutta la stanza.
“Ehrm... bhe, allora se non vuoi che ti legga ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’, io scendo giù a cucire con Roberta...” e se ne andò lasciando i due a litigare a forza di scritte e scheggiature.

Ora aveva scoperto tutti i loro segreti.

Metallara era Roberta, cannibale con il dono della telecinesi.

Emo era Gabriele, maledetto da un demone e indistruttibile contro la sua volontà.

Rapper era Nik, con le sue rime nonsense e le sue onde sonore.

Esplosivo era Bum, demone-dinamite dalle sembianze di angelo caduto.

Hippie era Klara, bambola delicata dai riti satanici.

 

I MEREH.

 

Ora conosceva i loro poteri. Il punto era: sarebe riuscita a sconfiggerli, magari usando le loro stesse armi a loro sfavore?
Ancora una volta, Camilla Rizzi decise di utilizzare il metodo Tata.





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Capitolo 8
*** Giochi da Tavolo. ***


Giochi da Tavolo

 

“Ragazzi, vogliamo parlare delle vostre emozioni?”
“Ma vaffa*****!!!”
“Bella zì, st’ idea nun me piace, a’ riceve’ n’ OK sei proprio n’ incapace!”
“...”
“Bum... bum-bum!”
“Allora... vogliamo parlare della famiglia?”
“Ma sei proprio scema?! T’ abbiamo detto di no!”
“Allora che ne dite di fare dei biscotti per la mamma?”
“Noi la mamma nun ce l’ avemo.”
“Allora... allora vogliamo colorare?”
“... Falla finita!” e Gabriele scoppiò a piangere, esausto.
Camilla non riusciva a crederci. Di solito almeno uno di questi metodi per far interagire i bambini funzionava, ma a quanto pareva i MEREH non ne volevano proprio sapere di collaborare. Ma ora basta! Era là da due ore a proporrere giochi e discorsi da fare insieme, ma nulla sembrava soddisfare le anime del gruppo. Avrebbe usato l’ ultimo asso nella manica, e, se non avesse funzionato, avrebbe ripreso a lucidare lo stereo di Nik.
“Vogliamo... vogliamo fare un bel gioco da tavolo?”
“Che?!” chiesero i ragazzi, che non avevano mai sentito quel termine prima d’ ora.
“Sì, sì: giochi da tavolo! Sapete, no? Monopoli, Supermilionario, Allegro Chirurgo, Pictunary...”
“Intendi forse dire: Ricco Spacciatore, Autopsia Splatter, Segni Maledetti?”
“Ehrm... be’, sì... credo...”
“A’ raga’, na’ bella partitina a Segni Maledetti me la faccio pure io!”
“D’ accordo! Una bella partita a Segni Maledetti, e magari anche a Ricco Spacciatore.”
“Bum!”
“Va be’, Bum-bum, va be’! Giocheremo pure a Autopsia Splatter.” poi, alla Tata “Lo so che è un gioco stramaledettamente noioso, ma è il suo preferito.” spiegò  con aria rassegnata.
Camilla, con l’ aria leggermente stranita, annuì. Ancora non le era entrato in testa che quei ragazzini dall’  aria così innocente erano in realtà assassini mangiauomini.
L’ emo andò a testa china nel salotto, dove erano riposti questi giochi da tavolo così originali. Tornò, a mani piene, nella sala da pranzo, dove erano riunita tutta la banda. Deposte le scatole sul tavolo, chiese:
“Quale facciamo per primo?”
“Ricco Spacciato’!”
“Va bene, Nik. Anche se non capisco perchè vi ostinate a cercare la felicità inesistente in dei ridicoli giochi da tavolo.”
“Se lo dici tu...”
Il gioco era composto da una coppia di dadi neri, alcune boccete piene di una polverina bianca e una tavola da gioco raffigurante alcuni bordelli, delle spiagge notturne e delle discoteche. Erano ben disegnate, e l’ espressione sui volti dei clienti della casella numero  34 erano fin troppo chiari...l’ illustrazioni raffigurava dei tossico-dipendenti!
  NO! Mai e poi mai avrebbepermesso a quei ragazzi di giocare a quel gioco così diseducativo!
  “NO! Mai e poi mai permetterò a questi ragazzi di giocare a questo gioco così diseducativo!” disse.
Che copiona!
“Non m’ interessa a cosa volete giocare e a cosa non volete giocare! Questo è il peggior gioco mai stato creato, e sarò costretta a vietarvelo!”
“CHE COSA!?”
“BELLA ZI’... MICA E’ GIUSTO, SAI!?”
“Mi dispiace ragazzi, ma è troppo velenoso per le vostre menti. Ora, che ne dite di prendere le carte da gioco e fare una bella partita a Briscol...”
Bummino scoppiò a piangere, e il silenzio totale calò.
“Tu... tu... TU HAI FATTO PIANGERE BUMMINO!!!” urlò Roberta, impugnando un lanciafiamme, tirato fuori da chissà dove, e agitandolo brutalmente vicino al viso della Tata.
“Io te squarto! Io te amazzo! Mo’ di carte te lo do io il mazzo!”
Klara incominciò a coccolare Bummino, mentre Gabriele, al massino della disperazione, afferrò il cucchiaino di plastica rossa, con cui Bum-bum stava mangiando il suo omogenizzato alla budella, e iniziò a passarselo velocemente per le vene, cercando invano di tagliarsi.
La Tata, persona molto intuitiva, capì subito che la persona che mai avrebbe dovuto offendere, se teneva all’ equilibrio della casa e alla vita, era Bummino.
“Mi dispiace, mi dispiace! C-che ne dite di giocare a... a... com’ è che si chiamava? Ah, già! Che ne dite di giocare a Autopsia Splatter?”
Il delirio finì, e dopo una fugace occhiata fra di loro, i MEREH annuirono.
“Bene. Allora prendiamo il gioco...”
Non so se avete mai giocato all’ Allegro Chirurgo. In pratica è una specie di pagliaccio di plastica su un letto di plastica, con altri pezzi di plastica color cacca (i muscoli infetti ) che bisogna riuscire a prendere con delle pinzette di plastica senza toccare la carne di plastica dell’ omino di plastica senza fargli del male. Questo insegna ai bambini la formidabile lezione che l’ anestetico non esiste, siamo fatti tutti di plastica, siamo dei pagliacci e che gli ospedali fanno così schifo che le operazioni chirurgiche vengono fatte da dei bambini di cinque anni che, almeno, non chiedono di essere pagati.
Autopsia Splatter, invece, consiste nel mettere un cadavere (non di plastica, ma vero, e anche in decomposizione) su  un tavolo (vero) e strappargli i muscoli (veri) con delle pinzette (quelle, però, rimangono di plastica: il metallo può essere pericoloso). Il cadavere non era, in passato, un pagliaccio. Era, anzi, probabilmente l’ idiota che ha inventato il gioco dell’ Allegro Chirurgo, o magari il produttore. Insomma, resta il fatto che questo era il gioco preferito di Bummino, e che, alla fine del gioco, il tavolo era talmente macchiato di sangue che Camilla dovette spendere 5 ore nel pulire solo il primo strato.

Il giorno dopo, i MEREH vollero a tutti i costi  giocare a Segni Maledetti.Ma, essendo il tavolo ancora macchiato, si spostarono nel salotto.  
“Bene, facciamo le squadre. Io e Nik saremo squadra 1, Klara e Gabriele la numero 2 e Camilla e Bummino la 3. Incominciamo!”
Avete presente Pictonary? Quel gioco in cui bisogna disegnare un allegro coniglietto e l’ altro membro della squadra deve indovinarlo? Be’, questo gioco è simile, ma non si disegnano conglietti...

“CERCHIO ALCHEMICO!”
“PENTACOLO!”
“SI’! SI’!” ALLA FACCIACCIA TUA, KLA’!”
“Ora è turno mio!”
“...”
“...”
“...”
“... Stellina!”
“... COSA!?”
“Be’... mi sembra una stellina a... 9 punte?”
“Scema! Quello è... boh...”
“Che vi dicevo, è una stellina a 9 punte!”
Klara minò “Ah, ho capito! È il simbolo della religione Bahai!”
“Brava!”
“Però mica vale, sai? Lei ha 300 anni, sa più cose di noi!”
“Non è vero, ne ha tredici!”
“Ne dimostra tredici solo perchè nel passato la gente era più bassa! Lei ne avrà... quanti ne avevi quando t’ hanno bruciato, Klara?”
“13.” mimò la ragazza.
“Ah! Smettila di fare la sapientona, Roberta!”
“Non è colpa mia se sei un idiota, Gabriele!”
“Ragazzi, ragazzi! Invece di litigare, perchè non cantiamo un canzoncina?”
“Se, se. Sti’ qua nun ce hanno mica o’ ritmo per cantà, bella zì!”
“Non è vero, ascolta:

               Quando tu mi lasciasti... io piansi!
               Quando tu mi respingesti... io piansi ancora!
               Quando tu mi dicesti che sono un fallito sentimentale... io ti diedi ragione!”

“Vedi, Cami’? Solo ‘n emo senza ritmo potreva canta’ na’ merda del genere, e guarda un po’ con chi mi capita vivere? Con un emo senza ritmo!”
“Be’, non è che tu hai tutto questo genio...”
“STA’ ZITTA, METALLARA!”
“ANCORA?! NON RINIZIARE, EH!”
“HAI PAURA, PICCIOTA, EH? HAI PAURA!”
“MA VAI A FARTI UN GIRO SULLA VERGINE DI NORIMBERGA, VA’!”
“B-basta... BASTA!” urlò, esasperata, la Tata.

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Capitolo 9
*** La Prova dei MEREH. ***


ATTENZIONE:  Gli Amish sono un gruppo cristiano, nell’ est dell’ America, che vive ancora come nel 1600. Sono anche chiamati Puritani o Capitondi. Visto che non possono usare la tecnologia (e quindi niente computer) ho pensato di usare loro come gruppo fanatico. Ma gli Amish sono gente di una cultura incredibile, se gli offendo in qualsiasi modo, è solamente perchè sono scarsa d’ immaginazione e sono una cretina. Mi dispiace per qualsiasi disagio:

LA PROVA DEI MEREH.

La cittadina di Castofiore, nel Molise, era una comunità Amish. Gli abitanti frequentavano il sesso opposto a partire dall’ età di 52 anni, 5 mesi, 23 giorni e 14 ore. Il rapporto amoroso era abolito a partire dall’ età di 52 anni, 5 mesi, 23 giorni e 16 ore. S’ imparava a leggere grazie alle preghierine scritte sulla lavagna dalla maestra Bertoldina CuordiLavanda, una casta donna celibe che manteneva la rispettabile tradizione d’ infliggere punizioni corporali se i bambini non si ricordavano tutti i numeri propri da 1 a 499. Se lo meritano, dopodutto, l’ aveva spiegato addirittura tre minuti prima. Vestivano tutti come nel 1600, e vivevano ancora così, per rimanere nella pura pace ed armonia.
Ma, tutto questa perfezione era controbilanciata dai MEREH, che ogni mese venivano a prendere in sacrificio una bambina o un bambino, per chissà quale satanico motivo. Era sempre quel ragazzo dall’ aria triste. Nessuno conosceva il suo vero nome
I paesani, sapendo che nessuno poteva sconfiggerli e sarebbe stato inutile opporrere resistenza, sceglievano il sacrificio e lo lasciavano alle porte del villaggio.
Tutti conoscevano anche la metallara, la quale veniva a prelevare anch’ essa dei sacrifici, ma tutti sapevano dove andavano a finire i cadaveri: nel pentolone  di quel gruppo di pazzi scatenati.
Conoscevano Klara solo grazie alle tombe settecentesche di una bambina, un uomo e una donna nella parte del cimitero destinata ai pagani, ai suicidi e alle streghe. Su tutte e tre le tombe era raffigurata una sabba di donne urlanti e dai ghigni stralunati. I nomi erani coperti dal muschio e dai licheni, ma nessuno entrava in quella sezione del cimitero per occuparsi delle tombe, in particolare a quelle tre.
Quindi, i Castofioresi non erano a conoscenza di tutta la potenza dei MEREH.
Ma a questo rimediò la Tata.

“E’ arrivato il momento della prova dei genitori!”
“Ma o’ voi capì che noi i genitori nun ce l’ avemo!?”
“Ah... scusate, è solo che... io, di solito, metto alla prova i genitori che ho assistito facendogli affrontare una situazione in cui si devono utilizzare i consigli da me dati a loro nel corso della mia permanenza nella loro casa. Che ne dite di fare lo stesso?”
Erano seduti a tavola, succhiando alcuni mandarini-marijuana. I suoi piccoli amici drogati la fissavano, come se fosse pazza.
“Prima di tutto, non mi sembra di ricordare che tu ci abbia insegnato nulla. Semmai è l’ incontrario. Ma questa cosa mi sa di divertente. Cosa proponi?”
“Pensavo... sì, beh, insomma, pensavo di fare un giro per Castofiore.”
Calò il silenzio. Camilla s’ aspettava che iniziassero ad urlare o a protestare. Ma a quantopare, non conosceva ancora abbastanza bene i MEREH. Risposero, con la massima tranquillatà:
“Però, l’ idea non è male. E’ da un bel po’ che non usciamo a divertirci.”
“No, aspettate, non avete capito bene. Dovete comportarvi... come dire... normalmente.”
“... Affare fatto. Ma decidiamo io e Nik come andarci.” disse Roberta.
Due ore dopo erano tutti e 6 su di un veicolo diverso, diretti a Castofiore. Roberta su una Harley Devidson  nera a fiamme rosso sangue, Klara su un camper stile anni ’60 che andava a batteria, Bum-bum su un passeggino con razzi incorporati, Nik su di una lussuosissima limousine, Gabriele su di un’ ambulanza ( non si sa mai ). La Tata viaggiava con Roberta, rimpiangendo la limousine di Nik. Ricordandosi improvvisamente del proprio lavoro, chiese alla ragazza:
“Roberta, perchè sei così silenziosa? Ho un’ idea! Parliamo un po’ delle nostre emozioni!”
“N-no... veramente, non fa nulla...”
“D’ accordo! Inizio io, va bene?”
“Davvero... non ce ne’ bisogno...”
“Be’ io sono molto emozionata e spero che tu passi con successo la prova.”
“E chi te l’ ha chiesto?!” mormorò Roberta. Ma la Tata sorrise e basta.
“E tu, come ti senti in questo momento?”
“Come mi sento?”
“Già!” rispose, battendo le mani allegramente.
“In questo momento?”
“Sì!”
“Ti spaccherei la testa.”
“Oh, ma che bella emozione, ci sono passata anch’ io la volta in cui... oh! Oh...” e silenzio fu.

La Buonadonna Ventozefiro Assunta, anziana consorte del panettiere di Castofiore, passeggiava tranquillamente per le strade, chinando il capo lentamente per salutare Bertoldina CuordiLavanda e Ezechiele PaneAzzimo, i quali, con gran disappunto della Buonadonna, discorrevano in un linguaggio assai osceno:
“Bertoldina, siete una così ammaliante figliuola.”
Bertoldina arrossì.
“La prego, Ezechiele. Ho appena 43 anni, 11 mesi, 3 giorni e 6 ore. Son fin troppo giovane per voi e per codesti volgari termini che arricchiscono il vostro linguaggio.”
“Ma voi... voi... siete così... così...”
Non ditelo, ve ne prego!”
“Son desolato, non c’ è altro modo per descrivervi! Perchè voi siete così flautata!”
“Oh, cosa mai imparo in vostra presenza... vi lascio, ora. Devo attendere ai miei pupilli... ma che cos’ è?”
Sentendo quest’ ultima frase, la Buonadonna si voltò, giusto in tempo per vedere un mostro ruggente che le veniva addosso. Non lo sapeva (era Amish) ma quel mostro in realtà era una moto.
“Ueeh! A’ Robe’, o capito che te vuoi mette’ in mostra, ma era necessario usare come rampa ’n albero?”
“Ma dai, stava per cadere comunque... Oh, scusa, Klara” disse la metallara  all’ hippy, la quale stava rivolgendo al pino un’ antica preghiera indiana.
“R-ragazzi... credo di sentirmi... un po’... male!” e la Tata Rizzi vomitò proprio al centro della piazza, dove tutti i Castofioresi fissavano quelle strane creature e quelle specie di pezzi di ferro su ruote da frantoio nere in miniatura.
Nik scese dalla sua lussuosissima limousine, giusto in tempo per afferrare il passeggino di Bummino, che  veniva a tutta velocità seguito dall’ ambulanza di Gabriele. Il giovane emo scese dal suo veicolo, guardandosi un po’ intorno, senza troppa emozione.
“Ragazzi, che dovremmo fare, ora?”
“Vediamo... per prima cosa, Roberta e Nik andranno a prendere un gelato... insieme. Gabriele dovrà andare ad attendere la S.S.Messa, per liberarsi della maledizione. Io e Klara andremo a portare dei fiori sulla sua tomba. Lasceremo Bum-bum dalla Signorina CuordiLavanda, per farsi installare un po’ di autocontrollo.  Nessuno  di voi dovrà assolutamente litigare, urlare, comportarvi in maniera strana, senza piangere perchè i fiori sono strappati e, sopratutto niente uso dei vostri poteri!”
“...”
“...”
“...”
“...”
“COME NIENTE POTERI? MA STAI SCHERZANDO? QUESTA DONNA E’ FUORI DI TESTA!”
“Mi dispiace ragazzi, ma questa è la prova. Niente poteri.”
Intanto gli Amish stavano conducendo al sicuro i bambini, sottomettendoli alle amorevoli cure dell maestra Bertoldina CuordiLavanda, che li picchiava ogni cinque minuti sulle spalle per farli stare dritti e li conduceva nell’ edificio scolastico vicino alla chiesetta della città.
“Bene bene, se qualcuno si perde, ci incontriamo qua alla piazza, va bene, ragazzi?” annunciò la Tata.
“Va beeene, Camilla. Fareeemo i braaavi...” Scherzarono gli adolescenti, mentre prendevano tutti strade diverse.
“...Sì, e intanto rimedierò anche alla cena.”
‘...La flora è il patrimonio della natura, e noi i suoi figli, nessuno dovrebbe avere il diritto di spezzargli.”
“...A che serve farsi benedire, quando la Gazza ha divorato già cinque preti, due rabbini e qualche sacerdotessa wicca?”
“Bum!”
“ Va be’, annemo, Robè!”
.....Che c’è? Vi aspettavate forse qualche qualche grande frase da parte di Nik? Be’ ve la potete scordare!

“Chi sono, mamma?”
“I MEREH, Linaria.”
“Ah... e chi sono i MEREH?”
Maria Pontentilla alzò le spalle: “Sono i messaggeri di Satana.”
“Oh... quella donna che un mese fa è venuta per salire la montagna è con loro?”
“Oh, no, tesoro: lei è morta sicuramente. Ora vai con la maestra CuordiLavanda, vai.”
“Sì, Mamma.”
Linaria non capiva: perchè sua madre non le parlava mai dei MEREH? Di Satana gliene parlava anche troppo: ‘Se non mangi i cavoletti di Bruxelles, viene Satana e ti porta all’ inferno!’, ma dei MEREH mai. Mentre la Maestra Bertoldina picchiava la povera Dalia GialloZenzaro , Linaria si voltò, giusto in tempo vedere una ragazzina sui tredici anni incitare un bambino più o meno della sua età verso la scolaresca. Vicino a loro, una donna dal viso familiare si guardava intorno, con l’ aria imbarazzata. Dove l’ aveva già vista? Ad un tratto esclamò:
“Ma certo! E’ la buffa Signora!”
Bertoldina CuordiLavanda guardò male la bambina, ma subito dopo si voltò verso il punto in cui si trovava il mini-marinaietto, vestiti futuristi a Castofiore.
“E tu chi saresti? Non mi ricoro di averti mai visto prima d’ ora.”
“B-Bum! Bum-bum!”
“...Chi?”
“Bum!”
“Non ho capito nulla. Ma non fa niente, vieni con noi, cosa ci facevi lontano dal gruppo?” e la maestra lo condusse vicino a Linaria.
“Come ti chiami?”
“Bummino!”
“Ih ih, che buffo nome, io sono Linaria. Sei un messaggero di Satana?”
“Ehrm... bum?”
“Non fa niente, andiamo, ora.” e, mano nella mano, la piccola catastrofe e il dolce fiorellino si diressero verso la scuola.

“Non avete il gelato al cianuro?! NON AVETE IL GELATO AL CIANURO?! Ma che razza di gelateria è questa! Protesterò! Voi non potete fare questo all’ umanità! Capito!? NON POTETE!”
“A’ Robè, ma che te urli?!”
“Nik, questa è una questione di vita o morte! Il gelato al cianuro è come dire il grano con il sole! E loro non ce l’ hanno. Non ce l’ hanno!”
“Vabbe’, dai! Prendemose due coppette alla fragola.”
Con le loro coppette in mano, i due amanti della musica percorsero le stradine del villaggio Amish in un silenzio quasi innaturale per loro. Ad un certo punto, una voce femminile, quasi da bambina, risuonò per le strade di sanpietrini. Nik non aveva mai sentito nulla di così raccapricciante. Non si era mai sentito così inquieto. Che bella senzazione!

Vieni, bambino.
Vieni con me.
Nella mia terra incantata.
Vieni bambino.
Gioca con me.
Nel mio giardino oscuro.
Seguimi, bimbo.
Lungo la via.
Di dolore e tristezza.
Povero bimbo.
La vita è così.
Le tentazioni e paure.
Zitto, bambino.
Dev’ esser così.
Sacrifici e passioni.
Dormi, bambino.
Sprofonda, così.
Nell’ oscurità e la calma.

Vieni, bambino.
Vieni con me.
Nella mia terra incantata.
Vieni, bambino.
Gioca con me.
Nel mio giardino oscuro.**

“A’ Robè. Ma lo sai che ciai na’ voce divina?”
“Guarda che non sono i che canto.”
“Che!?”
“Nik, questa è la voce di una bambina. Io canto growl. MA COME TI SALTA IN MENTE CHE SONO IO A CANTARE QUESTA CANZONE!?!?”
“Ah, già è  vero! Tu te metti a cantà solo quella merda!”
“MA VIENI QUI CHE TI SQUARTO!”
E l’ avrebbe fatto sicuramente, se non avesse visto due bambini, un maschietto e una femminuccia, mano nella mano venire da un edificio in fiamme. La raggazzina stava cantando quella canzoncina raccapricciante. Il mascchieto l’ ascoltava, rapito.
“Bummino! Non eravamo rimasti d’ accordo che saresti andato a scuola?”
“Bum!”
“In che senso ‘hai fatto esplodere la scuola?’. Chi è questa bambina?”
“Io sono Linaria. Voi siete i messaggeri di Satana?”
“Sì. Ce chiamano così... Ahio!”
“Scusatelo. E’ leggermente ritardato.” disse Roberta, che aveva dato una sonora gomitata a Nik “Comunque, “Bum-bum, cos’ è ‘sta storia?”
“Bum, bum-bum. Bum bum bummino. Bumparapà bum.”
“Mi stai dicendo che questa CuordiLavanda t’ ha dato un compito per casa impossibile? Fa’ un po’ vedere!”
Bum-bum le porse un foglio di carta, su cui erano stampati, ai lati in calligrafia gotica, l’ alfabeto e i numeri. Al centro, una serie di frasi su come si comporta il bravo piccolo Amish.

 

Il bravo bambino,
Prega in silenzio,

Serve i genitori,

Non guarda le femminuccie.
Il bravo bambino,
Gioca solo nel momento più indispensabile.

La brava bambina,
E’ silenziosa, pura e composta.
Non goca, non corre, non parla se non le è concesso.
La brava bambina non guarda i maschietti,

E non rivolge a loro la parola.

 

“... E tu dovevi...?”
“Bum-bum.”
“Imparare e applicare?!”
“Annemo a parlà con sta’ tizia, va’.”
Si avvicinarono all’ edificio in fiamme, da dove uscivano bambini e fissavano una donna dal viso sfregiato urlare contro di loro.
“DOV’ E’?! DOV’ E’ QUEL MEREH!? IO LO SQUARTO, LO DISTRUGGO!”
“Ehrm, signora?”
“Signorina prego, e io non sono... ohmioDiosietevoi...”
“...”
“...”
“...”

“...PANEAZZIMO! EZECHIELE PANEAZZIMO! PANEAZZIMO! SALVAMIII!”
E con questo, se ne andò correndo come una matta.
I ragazzini e i bambini si fermarono a guardarla per un po’, ma, dopo aver capito che non si sarebbe buttata da qualche palazzo, ritornarono a guardare il palazzo in fiamme.
“Signoua di Satana, uole autatti a uicottuiue la cuola?”
“Ma come come sei tenero! Ti mangerei!” disse Roberta, con un sorrisetto sadico, al bambinetto che le tirava la manica.
In quel momento scoppiò il delirio. I ragazzini incominciarono a scappare urlando, come la loro maestra, al suono di quelle parole.
“NO! NO! Ragazzi, avete capito male! Io... cioè, voi siete ancora troppo piccoli per essere mangiati!” le urla aumentarono di volume “Ma ragazzi, veramente, no!... Io... ehrm...”
“A’ Robè. Sei anche na’ cuoca formidabile, e canterai pure benissimo, ma non ce sai proprio fa’ coi picciotti...”
Roberta guardò l’ amico per un lungo, interminabile attimo.
“Tu... mi hai appena fatto dei complimenti...”
Nik ci pensò un po’ su, poi, meravigliato, le rispose:
“Oh mio Dio, ma ce o’ sai che ciai proprio raggio’, Robè?”
Calò un silenzio imbarazzante.”
“Senti, Nik. Dopotutto, la Tata ha ragione. Dobbiamo volerci bene, perchè litigare?”
“...”

“...”
“...”
“...Oh, ma sentimi! Sto parlando come quella donna delle pulizie. Ti prego, dimentica ciò che ho detto, e torniamo ad odiarci come prima.”
“Va be’, va.”
Si scambiarono, il pugnetto del rispetto, e la metallara si voltò verso la scuola, ricostruendola in pochi secondi.
“Bene, ragazzi, il nostro compito l’ abbiamo finito. Saluta Linaria, Bummino: torniamo al parcheggio ad aspettare gli altri.”
Il bambino annuì, lasciando, a malincuore, la manina dell’ angelo che, sorridendo sempre e senza mai impaurirsi, era riuscita a domare il demone,

 


“Gabriele fissava con incertezza la modesta cappella in legno, dove due uomini in abiti scuri lo guardavano in cagnesco.
‘Basta, dovrò pure fare qualcosa nella mia vita, e forse la Chiesa mi può aiutare.” Pensò il ragazzo.
Entrò nell’ edificio, giusto in tempo per vedere i due uomini correre da qualche parte. Un po’ impacciato, si inchinò profondamente, per poi inginocchiarsi vicino al confessionario.
“P-padre?”
“Dimmi, figliolo, dimmi.”
“Ehrm, ecco... io... non mi sono mai confessato, prima d’ ora... non so come si fa...”
“Tranquillo, figliolo. Ti aiuterò io. Dio perdona tutti, e non tralascia nessuno.” disse l’ uomo con dolcezza.
“D-daccordo... ecco... io non so come iniziare...”
“Dimmi semplicemente ciò che ti sta sulla coscienza. Io ti ascolterò, e le tue parole saliranno a Dio.”
“Ehrm... va bene, allora! Vede, Padre, i miei genitori sono stati uccisi quando ero piccolo, da un demone-uccello che richiede dei sacrifici in cambio della mia vita. Quando si rese conto che della vita non m’ inportava un fico secco, mi ha reso indistuttibile! Non so neanche perchè continuo a fare questi stupidi sacrifici, è solo la scrittrice che è ebete e non sa cosa inventarsi! Sono un caso disperato! Lei mi capisce, padre?!”
“Figliolo, figliolo, mentire è il peggior peccato. Anzi, è ancora peggio mettersi nei panni dei messaggeri di Satana, non lo sai forse?”
“Ma, Padre, io sono un MEREH. Sono la prima ‘E’.”
“Come, scusami?”
“La prima ‘E’. Quella di ‘Emo’. Non ha letto il quarto capitolo?”
“T-tu sei uno dei MEREH?”
“Già.”
“........... VIA! VIA DA QUESTA CHIESA! VIA DA QUESTA CITTA’! VIA DA QUESTO MONDO! TU, INFAME CREATURA! TU, DISGUSTOSO, ESSERE IMMONDO, DIAVOLO DEGLI INFERI!”
“Padre, padre! Vuol fare piano?! Siamo in una Chiesa!”
“VIA!”
“Vado, vado.” Mugugnò, deluso, il povero adolescente.

Uscendo dalla Chiesetta, e dirigendosi verso il parcheggio, incontrò la Tata e Klara.
“Ehi! A te come è andata?”

La ragazza, scuotendo la testa ben pettinata, afferrò un povero passante e, con una penna che si portava sempre dietro, gli scrisse su di una guancia:
“Quei poveri asfodeli! Quelle povere margheritine! Che avevano fatto di male?”
“LASCIAMI! LASCIAMI, FIGLIA DI LILITH!”
“Be’, questa è più o meno la reazione che ho avuto io.” disse Gabriele “E tu, Camilla? Come t’ è andata?.”
“Bene. Troppo bene, a dire la verità... non capisco perchè nessun abitante abbia fatto storie...”
“Sei troppo sospettosa. Perchè ti ostini a renderti peggiore la vita?”
“Ma la vuoi piantare di dire codeste cose da emo? La vita è un dono, è stupenda!”
“Facile dirlo, per te! Sei una hippy, che s’ illude di tutto e di più! Non capisco proprio perchè non caschi nel mare dell’ oscurità, come me. Una che vive per sempre, dopotutto, dovrebbe averlo capito, ormai, che la vita non ha nulla da offrire!”
“Sciocco che non sei altro! Non ti vergogni di ciò che dici!?”
“MA MI VUOI LASCIARE?!”
Camilla Rizzi a malapena. Anche se più raramente di quanto non facessero il rapper e la metallara, anche la proprozia e il propronipote litigavano. Avevano due modi completamente opposti di vedere la vita, e li capitava di discutere. In queste occasioni, la duecentenne era molto meno matura, paradossalmente, del quindicenne.
“Quanto sei stupida, a volte!”
“NON E’ VERO! NON E’ VERO, NON E’ VERO E NON E’ VERO!”

“Ragazzi, andiamo al parcheggio. Sono curiosa di sapere come è andata agli altri...”

 

“Male.”
“Da deprimersi.”
“ ‘Male nun fa' e paura 'n ave' ”
“... Come, scusa?”
“... Oh, scusame’, bella zì, ho sbaiato proverbio. Vedemo, vedemo... ah, eccoce: ‘De 'n cappotto ce sèmo remeddiato 'n bettone’. ” ***

Come anche lei ha constato, non molto bene. Purtroppo ho pianto di più per quelle povere rose che per la mia famiglia.”
“Ehrm... Bum-bum!...Bum!”
“Non fa’ tanto o’ fighetto, Bummino. O’ sapemo tutti che c’ hai... (pausa d’ effetto) na’ fidanzatinaaa!”
“Yuuhuuuu!”
“Bravo, Bummino!”
“Sei miticosooo!!!”
“Sì, sì... auguri e figli maschi. Torniamo al discorso deprimente di prima.”
“Ragazzi, così non va bene. Avevamo parlato di comportari in maniera normale, no?”
“Senti, hai rotto!” disse Nik.
“Come!?”
“Hai rotto. Chi lo dice che noi non siamo normali, eh?! Noi siamo sempre i cattivi, che tutti odiano, e gli altri fanno sempre la figura dei buoni! Dovrebbero farci un monumento. Noi facciamo ciò che riteniamo giusto, ciò che riteniamo un bene per l’ umanità. E lei arriva qua, una donna delle pulizie, e ci dice come vivere la nostra vita? NO! Non è giusto! E manca così poco al compleanno di Bum-bum! Il tuo compito non è ancora finito. Quindi, se non vuoi morire, dacci dentro con il tuo lavoro!”
“...”
“...Che c’ è?”
“...Ma lo sai che questo è il primo discorso che fai senza usare il dialetto?!”
“Ehi, è vero!”
“Io non l’ ho mai sentito parlare così!”
“Vedete, ragazzi, abbiamo fatto un passo avanti! Nik si è espresso correttamente e ha condiviso con noi le sue emozioni. Ascoltate, perchè non rimaniamo insieme fino al compleanno di Nik, così potrò andarmene con la coscienza pulita.”
“Va bene.”

“Sì, perchè no?”
“Finiamola una volta per tutte.”
“Allora, affare fatto.”
E intanto, porterò a termine il mio piano.’ pensò la Tata.

 

 

 

**Questa è la traduzione di “Come, Little Children”, una canzone che potete trovare su You-Tube.

***Primo proverbio: Non avere paura se non hai fatto nulla di male.
      
Secondo proverbio: Da tanto sforzo poco risultato.
Dal veliterno, o velletrano, dialetto di Velletri.

 

 

Ad Edwardelric1945: Grazie per la recensione! Questa ff mi piace un mondo, non c’ è pericolo che smetta. Nik parla il veliterno, il dialetto di Velletri, che mi sembrava il più adatto che mio fratello Nicolas mi ha gentilmente insegnato. In totale ci saranno 30 capitoli, 10 per ogni saga. Il prossimo capitolo concluderà la saga de’ “LaTata conto i MEREH”, ma le loro avventure non finiranno. Sì, avete capito bene! Vi torturerò per altri 21 capitoli! Ah ah ah! Che bello essere sadici!

A Black_Star: Grazie per la recensione! In effetti, anche io ero un po’ indecisa su dove metterla, ma non c’ era la sezione dark, e così ho pensato alla comica. In quanto alla Tata, è il mio personaggio preferito. Certo, non la trovo tra le più simpatiche, ma è lei che mi fa divertire di più.

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Capitolo 10
*** Un Compleanno Bilingue. ***


Eccomi qua, con l’ ultimo capitolo della prima saga. Scusate se vi ho fatto aspettare, ma ho iniziato il liceo e ho avuto un po’ di difficoltà nell’ adeguarmi con i tempi. Va be’, questo è un po’ una scusa di merda, perchè non è così divertente come l’ ultimo capitolo dovrebbe essere. Oh, be’, godetevi (se non aete paura di fare seriamente brutti sogni) il:

CAP. 10:  UN COMPLEANNO BILINGUE!

Per un mese e mezzo, Camilla era rimasta a contatto con i MEREH, cercando di risolvere i loro problemi e di riavvicinarli alla società. Aveva parlato, urlato, lusingato, spiegato, esaminato. Ma nulla. Quei cinque non ne volevano proprio sapere di ascoltarla.
Non le lasciavano altra scelta.
Non le piaceva usare la tecnologia, ma a mali estremi, estremi rimedi.
Aveva un... oddio, che parola disgustosa... un cellulare.
Con dei soldi abbastanza per una sola chiamata.
Avrebbe usato quella chiamata per chiamare lui.
Si ricordava ancora di quell’ incarico, portato a termine il gennaio dell’ anno scorso, così freddo e lontano da quell’ ottobre così insolitamente tiepido. Si ricordava ancora di quelle due bambine, così tenere e dolci, ma con un terribile vizio. Una ragazza che si rispetti, dopotutto, non può permettersi di mangiare con i gomiti sul tavolo. E tantomeno la figlia dell’ uomo più potente del mondo.
Non appena Klara uscì dal salone, Camilla Rizzi prese in mano il telefonino e digitò velocemente il numero per la sua salvezza.
“Hello? Is this the White House?


“CAMILLA! DOVE SEI!?”
“Mmmh... Sono nella mia stanza, Roberta. Sto cercando di dormire... Perchè? Che ore sono?” mormorò la poveretta, sbadigliando.
“Sono già le tre di mattina! Vieni giù! Oggi è il compleanno di Bummino!”
‘EchisenefregaiocredocheilcompleannodiBumminopuòanche...Oddio! Cosa vado a pensare! Sono rimasta a contatto con questi ragazzini per troppo tempo.Ma oggi tutto finirà, e io tornerò alla mia vita di sempre.’
Scese dalla soffitta, giù per il corridoio, dove trovò i suoi quattro adolescenti e il piccolo festeggiato, che esplodeva letteramente dall’ emozione.
“Be’ ragà, mo’ ve dovemo dì na’ cosuccia. Bummino e Camì se devono bendà, perchè il regalo è na’ suppresa e ve tenga da vederla solo fino all’ ultimo minuto.”
“Ci dovete dare il tempo di accendere il meccanismo che...” iniziò Roberta, prima di essere interrotta da un’ occhiataccia di Klara.
“Ah, scusa. Stavo per dirvelo. Be’ bendatevi con queste.” e porse alla donna e al bimbo due pezzi di stoffa viola, con cui si bendarono (anche se Camilla non ne era particolarmente entusiasta).
 Sentì la fredda mano di Gabriele e quella legnosa di Klara che la guidavano giù lungo le scale, attraverso il corridoio e davanti alla porta d’ ingresso.
Uscirono dal Maniero.
“Eccoce qua!”
La Tata sentì il rumore di una porta che s’apriva e qualcuno che le snodava il laccio dagli occhi.
Quando potè rivedere, le salirono le lacrime agli occhi.
Era... bellissimo!
Il peasaggio ritraeva la storia de: “Il Bel Trenino Rosso che andò al Mercato ed Esplose, Uccidendo tutti i Bambini ”. L’ intero giardino era attraversato da un trenino rosso a grandezza naturale, che procedeva velocemente su delle rotaie nuove di zecca. Ad un albero erano legati alcuni bambini castofioresi che, sotto minaccia di Roberta, ripetevano: “Analfabeta! Analfabeta!” ogni volta che il trenino passava. Vi era una bambola con un microfono all’ interno che recitava la parte del mercante di carburante, una stazione, con tanti trenini dai diversi colori che uscivano ed entravano. C’ erano persino delle mucchine robot che muggivano ogni cinque secondi.
“R-ragazzi ma... è stupendo! Come avete fatto a...”
“N’amico picciotto d’Hollywood.” disse semplicemente Nik.
“Chi? Conosci un regista?”
“Già! Siamo buoni amici di Jeffrey Oglethorpe, il genio che ha fatto il film del libro di Felice MaStronzo. Saliamo sul trenino, va bene, Bummino?” propose Roberta, agitando minacciosamente un mitra davanti ai bambini terrorizzati.
Incominciarono il loro giro, salutando i bambini che ripetevano quella frase come una litania, le mucche robot e i trenini che emettevano del fumo multicolore. Bum-bum batteva le mani ridendo, tanto era eccitato.
“Ragazzi, bravissimi. Sono f-fiera di v-voi.” disse singhiozzando la Tata. Forse, dopotutto, non meritavano quello che stava venendo per loro.
Al terzo giro, Nik mostrò a Bum-bum una piccola scatolina nera, con al centro un bottone rosso sangue.
“Te piace tutto chesto, Bum?”
“Bum... Bum-bum!”
“Be’, allora a te l’ onore.”
Gli tese la scatolina. Bum-bum, con un ghignetto sadico, premette il bottone e, improvvisamente, si sentì un grande-
A casa dell’ autrice (con suo fratello)

“ Scriverai ‘bum’, vero?”
“Vattene.”
“No, devo romperti le scatole mentre scrivi al P.C.”
“Non...lo...farai...”
“Potrei sorprenderti.”
“...Sei mio fratello, ma se non te ne vai entro cinque secondi io giuro che farò-”
“Bum, vero?”
“...Già.Ora sparisci.”
“Non fare la dura.”
“Non sto facendo la dura, voglio solo che tu te ne vada!!!”
“Klara, Klara... a quanto pare non sei un’ amante della scienza...”
“Scusa, ma cazzo centra tutto questo con la scienza?!”
“E’ un nuovo esperimento: cosa succede se una completa fallita sbrocca.”
“Tesorooo...”
“Cosa c’è, mamma?”
“Cosa abbiamo detto sui complessi d’ inferiorità di tua sorella?”
“...Che devo farli aumentare?”
“VA VIA!!! ”


“Cos’ è successo?”
“Credo ci sia stato un inutilissimo flash sul mondo reale, ma non ne sono sicura.”
“Perchè, questo non è il mondo reale?”
“Non mi risulta.”
“Ma siamo nel Molise! Non mi sembra che sia così irreale.”
“Be’... non lo so... allora perchè siamo dei mostri mutanti dai poteri incredibili?”
“Non lo so, Roberta.” la Tata alzò le spalle “Genetica, forse?”
“Ah, be’, sono i misteri della vita. Narratore, dove eri rimasto?”
...Ah, cosa? Siamo nel mondo irreale? Devo andare?
“Già”
Allora, vediamo... Qual è la mia battuta? Ah, giusto!
Gli tese la scatolina. Bum-bum, con un ghignetto sadico, premette il bottone e, improvvisamente, si sentì un grande:
BUM!
Ho detto bene?
“Sì, Narratore, hai detto bene. Torna pure al tuo... qualunque-cosa-tu-faccia...”
Narrare?
“Sssì. Quello.”
D’ accordo. Allora...
Non appena la Tata riaprì gli occhi, era circondata da una densa cortina di fumo. Quando esso fu un po’ meno denso, potè vedere Klara che raccoglieva un occhio e qualche dita e se le ricongiungeva al corpo.
“Mamma mia, ragà! Che figo!”
“Nik, ti prego non urlare. Vuoi rendere la vita più peggiore di quel che già è?”
“C-che è successo?”
“Abbiamo cosparso il terreno di dinamite, cosicchè quando Bum-bum ha premuto il bottone, tutto è saltato in aria.” spiegò Roberta, seguita dai bambini castofioresi, stranamente illesi, da Nik, Gabri e Bum-bum.
Erano tutti riuniti in un gruppetto. La Tata si alzò in piedi, guardandoli tutti. I MEREH scherzavano e ridevano fra loro, naturalmente, mentre i castofioresi si guardavano attorno, terrorizzati. Avrebbe voluto abbracciarli,per farli passare quella paura che quasi sicuratamente gli stava attanagliando. Ma ora aveva altro a cui pensare. Loro erano arrivati.
“Certo che ce ne avete messo di tempo.”
“Ci spiace, Camilla. Forse avremmo dovuto avvertirti.”
“Già forse avreste dovuto. Comunque non stavo parlando con voi.”
“E... allora con chi?”
“Voltatevi.”
I ragazzi, tranne i castofioresi  (troppo traumatizzati dall’ esplosione per fare qualsiasi cosa), si voltarono all’ unisono verso delle sagome oscure, appena intravedibili in mezzo a tutta quella nebbia.
“No.”
Ecco. Era questa la parola che la Tata voleva sentir dire da Roberta. Quella parola piena di terrore, che cercava di aggirare la realtà, la crudele realtà.
“Non ce credo.”
Ci dovrai credere, Nik. È la vita. Capire anche la più terribile delle cose.
“Bum!”
“C’ hai raggio’. Proprio raggio’. E’... è incredibile!”
Già, incredibile. Era incredibile ciò che aveva fatto. E con un semplice telefonata.
Klara scosse la testa.
Perchè, con quella telefonata, aveva chiamato...
“Hello, Camilla.”
Il presidente degli Stati Uniti d’ America.
E, naturalmente, lui era circondato dalla Squadra Speciale, dall’ FBI, dalle Forze Armate e persino dalla NASA.
“N-no.”
Ah, come era piena di terrore quella voce, come dovevano essere spaventati i MEREH, come ci godeva a sentire, nelle loro voci, tutto quel... tutto quel...
ENTUSIASMO!!??
“Ma che cavol-?”
“Camì, nun c’ avevi mica detto che volevi fare un regalo a Bummì.”
“Un rega-?”
“Forsa, ragazzi! Tutti al Maniero! Poi loro ci rincorreranno e noi potremo divertirci un po’. Ma la maggioranza deve andare da Bum.” si assicurò Roberta, rivolta alla Tata.
La quale era totalmente disorientata.
“Non... non mi vorrete mica... non penserete che...”
Ma i teen-agers erano già diretti al Maniero.
“Camilla, what’s going on?!”
“Signor Presidente, non è il momento... Io mi nasconderei nell’ elicottero, se fossi in lei.”
“And what about the aliens?”
“Gli ‘alieni’ sono lì dentro. Se vuole proprio rischiare, mandi degli uomini a cercarli. Ma l’ avverto, questo lo farà sentire solo peggio, perchè non funzionerà.”
“What?”
“Quei ragazzi... la stanno prendendo come un nuovo giocattolo...”
“Se, ma... chi cosa... ?” chiese il Presidente, con il suo italiano leggermente maccheronico.
“Vuole sapere che cosa? Questo!” disse Camilla, indicando tutte le guradie del corpo, l’ FBI al completo, la squadra speciale e un numero notevole di cecchini posizionati dappertutto. Una donna castofiorese stava riportando i bambini a casa. “Questo per loro non è niente. E’ un mosca da bruciare, una cacchetta da pestare, una pesca-marijuana da mordere...”
“*-*”
“...Che c’è? L’ ho imparato da loro!”
“Yeah, right...”
“TO’ SENTITO, GIOVANOTTO! ORA BASTA, SONO STUFA DI ESSERE DATA PER MATTA!” e, con questo, saltò al collo più vicino. E indovinate un po’ di chi era quel collo? Ma della First Lady, naturalmente!
E indovinate chi si incavolò? Ma il Presidente e tutte le guardie del corpo, naturalmente! E indovinate chi si slanciò sulla Tata, portandola via di forza, mentre la fortissima Prima Donna riceveva un appasionante respirazione bocca a bocca dal Presidente?
E io che ne so? Curiosoni, lasciate vivere la povera Tata in pace!
Resta il fatto che venne portata via di forza, dove lo scopriremo più tardi.

ATTENZIONE!

Da qui in poi, i soldati americani parleranno italiano, anche se è inteso come inglese.
“Fate piano, non fate nessun rumore.” sussurrò il colonello  Jacob Toybroke, entrando di soppiatto nella casa degli alieni. Avrebbe dovuto saperlo! Avrebbe dovuto sapere che quei maledetti dei suoi superiori gli stavano mentendo. Vincere un concorso di cui neanche si ricordava l’ iscrizione, andare gratis nel paese dell’ arte e del mare blu (e della sporcizia, l’ aveva imparato a sue spese), dove le pollastre erano tante e il sole splendeva sempre per pura fortuna? No, a quanto pare no. C’ era del lavoro da fare, e lui era il tipo giuso per portarlo a termine. Tutta la sua famiglia aveva combattuto in almeno una guera americana, e lui non era da meno. Si era dimostrato pieno di tenacia e prontezza di spirito. Però... qui si stava esagerando! Dopotutto, là si trattava di umani, carri armati e armi di cui, almeno, conosceva la funzione. Ma qua si stava parlando di alieni! O mostri... cosi... be’, non importava cosa fossero, ma a quanto pare era tutta una faccenda che poteva mettere a rischio le vite di ogni umano su questa stupidissima Terra, poco importava se veniva compromessa la settimana di vacanza concessali per il compleanno della sua nipotina Susy!
Mentre guidava il proprio gruppo lungo quella bizzarra galleria a cui conduceva quella ancor più bizzarra botola, pensava a quanto fosse ingiusta la vita con lui.
... Ma che discorsi andava a fare! Qui si parlava dell’ amore per la patria. Del proprio onore! Avrebbe guardato in faccia la morte, l’ avrebbe sfidata e non avrebbe avuto paura.
Aprì la porticina alla fine di quell’ oscuro cunicolo, da cui usciva una luce più che abbagliante.
Non avrebbe dovuto dire quelle cose sui suoi superiori. Loro gli avevano dato  un’ occosione per provare il proprio coraggio e lui gli chiamava in modi così disdicevoli.
Ecco... il primo alieno (un orribile ragazzino vestito come una sottospecie di rapper) era seduto su di un gigantesco stereo dorato, a braccia incrociate, gli occhi scuri nascosti da un paio di occhiali a lenti nere.
Non sembrava pericoloso. Era un semplice ragazzino sui quindici anni. Era lui che doveva catturare?
Poverino, li faceva quasi pena.
“Ehi, ragazzino! Vieni giù. Ti porteremo in un bellissimo posto!”
“Bella, frate’! Ma che cazzo dici?”
“Ti porteremo in un laboratorio e ti faremo dei test. Possiamo toglierti da questa situazine, basta che vieni con noi!”
“...”
“...Allora, vieni giù?”
Nik aprì la bocca per parlare.
“Tu...”
Poveretto, certo che i suoi superiori erano proprio della grandi persone.
“... TU DE ME NUN CE SAI PROPRIO N’ ACCA!
       PERCIO’ SHUT UP, MOTHA FUCKAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA...”
Poverino, gredeva veramente di poter avvicinarsi lontanamente a qualcosa che si avvicinasse al rap.
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA...”
Cosa credeva, che ci volesse solo una stupida rima come quella? No, il rap non era solo quello. La sua voce non era... non era abbastanza... abbastanza...
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA-”
CRASH!
“...Potente.”
Il colonello Jacobe Toybroke era al centro di un oceano di scheggie di vetro, sangue o corpi sfracellati. Certo che quel ragazzino non scherzava.
Non avrebbe mai più assistito al compleanno della sua nipotina Susy.

“Hal water, miei prodi! Non fate i pampini! ”
Una fila infinita di soldati si diresse verso il bagno. Non avevano trovato nulla nel sala da pranzo, e neanche nella cucina. Il capitano (un donnone alto ben 2 metri) Katrina Volfwagen incominciò con l’ aprire i vari cassetti e la tavola del water. Non appena strapparono via la tenda del bagno, i loro occhi si posarono su un bambno sui tre anni, nudo, che faceva il bagno nel succo di ribes. Questo, almeno, fu ciò che si imposero di credere, perchè sotto sotto sapevano che quello era sangue.
“OmmioDio kesto kinder stare facendo bagno nel... nel succo di ribes!”
“E’... è ricco di vitamine, capitano...”
“ZITTO, SOLDATO! QUALCUNO DIA DEI VESTITI A QUESTO... a questo... questo piccolo angioletto!”
Tutti i soldati si radunarono attorno a quel piccolo angelo caduto in quell’ orribile inferno. I biondi boccoli che cadevano, incurati, sulle spalle; gli occhi, simili a zaffiri, che mettevano in risalto il suo raggiante sorriso: tutto lo faceva assomiliare ad un cherubino. Prima di tre secondi, Bummino era avvolto in un asciugamano, tirato fuori da chissà dove, ed era coccolato e strapazzato da tutti i soldati della squadra.
“Lui essere veramente pikkolo tesoro, ja?”
“Ehrm... capo? Abbiamo un problemino...”
“Zut! Tu non kapire nichts di amore materno! Kesto povero piccolo lieb essere rinchiuso in gabbia di matti e tu dire me kalkosa totalmente ovvio kome un problema?!”
“Ma capo, noi abbiamo un problema!”
Tu essere solo problema ka! Tu andare nell’ angolo con cappello d’ esel, di asino, e pensare a kanto tu essere maleducato!”
“Ok, ok. Ma poi non mi dica che non l’ avevo avvertita dell’ alligatore...”
“Kale alligatore?”
“Quello dietro di lei.”
“Ma ke kos... OH MEIN GOTT!”
Due colpi di pistola, e Ticchete cadde a terra, in un lago di sangue.
“Ma ke altro dovere aspettare noi da posto kome kesto... kinder , perkè tu piangere?”
“Uuh, bum... sigh, sob... buuhuum! Tikbum! Tikbum!”
“Oh, ke karino! Lui essere pikkolo animalista, ja?”
“Zittate...”
“Soldato, stare zitto, vuoi?”
“Non osà dì che so’ uno de’ tuoi soldati da quattro fioretti, brutta porcaccia...”
“S- soldato?”
Katrina si voltò, per poter ammirare la distesa di corpi sanguinolenti per terra, e non si erano aggiunti altri alligatori alla lista dei morti. I suoi uomini... i suoi soldati... tutti erano completamente scarnificati.
“Ma ke kos... RAGAZZI, NON E’ QUESTO IL MOMENTO DI DORMIRE NEL SUCCO DI RIBES!!!”
“Me sembra più che ovvio che so’ morti, no? Gli ho uccisi io, mentre sparavi a Ticchete’, brutta puttana che non sei altro.”
Katrina si voltò verso la porta che dava sull’ atrio, e impallidì vistosamente. Uno degli alieni, con in braccio un Bummino singhiozzante, la guardava con occhi di ghiaccio.
“L’ aveo messo a fare il bagnetto perche’ questo qua’ se doveva tenge’ da esse’ un giorno speciale per Bum-bum e a lui piace de esse’ pulito! Ma tu... tu hai... HAI AMMAZZATO TICCHETE! MA COME CAZZO TE PERMETTI, TU BRUTTA TROIA CHE NON SEI ALTRO? Lui... era l’ unico vero amichetto de Bummino... O’ picciotto e’ sempre stato solo, ma non da quando lui e’ entrato nelle nostre vite. E tu gli hai SPARATO!”
La Volfwagen  non sapeva proprio che dire, neanche quando Nik mise con delicatezza Bum-bum a terra e con dolcezza, gli disse di farle ciò che voleva, lei non disse nulla.
Il che era più che strano: infatti chiunque avrebbe com minimo urlato se un bambino di tre anni si fosse letteralmente trasformato in una bomba (ma una vera e propria bomba di metallo, non di quelle con la crema dentro) e le fosse esplosa in faccia.
L’ ultima che vide furono le ceneri della bomba che, lentamente, si ricomosero, fino a formare il corpo del bambino, che stringeva a se’ il corpo agonizzante di Ticchete, l’ alligatore che altro non voleva che fargli gli auguri.

La squadra speciale, con i suoi forti “hop, hop!” di incitamento, si diresse su per le scale, dirigendosi nelle due stanze e nella soffitta dove sicuramente avrebbero trovato gli ultimi tre alieni. Da una porta in particolare, veniva una strana ed attraente luce. Non appena i soldati entrarono nella stanza, si sentirono automaticamente coccolati e al sicuro, come tra le braccia della propria mamma. Una ragazzina sui tredici anni stava cullando una bambola, gli occhi vitrei carichi di un amore quasi triste.
“Ragazzina! Che ci fai qui? Sei una prigioniera deglia alieni?”
La ragazza non fece altro che accarezzare la bambola e darle un tenero bacio. I soldati non si erano mai sentiti tanto amati e a casa. La ragazza adagiò sul letto il pupazzo e i soldati si sentirono sprofondare in un piacevole sonno tranquillo.
All’ improvviso, la giovane sciolse il nastro color lavanda che le legava i capelli. Legò velocemente la bambola al letto e, con una lentezza straziante, tirò fuori un accendino dalla tasca del vestito e diede fuoco alla bambola.
Non tutti credono nel vodoo. Non tutti sanno cosa sia. Non tutti sanno che lo praticano le streghe. Non tutti sanno che la marmellata di limone spalmata sul sedano e’ deliziosa. Non tutti saanno cosa sia la cucina gourment. Non tutti sanno cosa centri questo con questa storia. Non tutti sono perfetti.
Oh, be’, rimane il fatto che il vodoo sia una forma di magia nera, dove si fa ad una bambola cio’ che non vorresti fosse fatto a te, ed automaticamente la pena viene inflitta alla persona che hai in mente. Comodo, eh? Visto che Klara era una strega, anche lei aeva il potere del vodoo.
Circa dopo dieci minuti di urla e gemiti strazianti, della famosa squadra speciale americana non rimase altro che cenere.

Chi non ando’ a destra e scelse la via a sinistra sicuramente non sapeva cosa sarebbe successo di li’ a poco, perche’ andavano incontro alla morte fishiettando e raccontando bazellette. Qualcuno cantava “Nella Vecchia Fattoria”. Li uccelli cantavano e l’ aria era piene di sole e di amore. L’ arcobaleno sfoggiava i suoi sette colori e i prati erano coperti da migliaia di fiori variopinti...
Ok, forse non era proprio cosi’, ma non c’ era una pioggia di meteoriti e nessuna eruzione di magma era in corso, va bene? Resta il fatto che, non appena entrarono nella stanza di Roberta, l’ allegria svani’ all’ istante. Non diamoli torto, non credo sareste molto allegri se vi avessero mandato a combattere contro un alieno che dorme beato come se fosse domenica su di un trono fatto di ossa, con le stanze completamente tappezzate da tutte le armi possibili ed immaginabili (a quanto pare, seppur inconsciamente, l’ Italia la bomba atomica ce l’aveva) e con due rozzi cagnacci neri che le leccavano affettuosamente le mani come se fossero fatte di caramella gusto lampone.
“Ehi, psst...Uomini! dobbiamo prenderla di sorpresa.”
“Giusto, sergente. No si deve svegliare per nessun motio al m...”
“Etciuuu’!!!”
“....Soldato.... che .... cosa.... stai.... facendo?””
“...Ehrm... scusatemi... e’ l’ emozione, sapete....”
“SOLDATO, MA SEI UN CRETINO? ORA L’ ALIENA SI SVEGLIA E NOI SAREMO...”
“Mmmh... e’ gia’ ora di alzarsi?”
“Oh cazzo! Presto, chi conosce un ninna nanna?”
“IO!”
“Bene, fai il tuo dovere, soldato...”
“... ehrm... va bene... ora ci provo...

Dormi, dormi, aliena bella.
Brilli piu’ di una stella.
Quando poi ti sveglierai,
Tanta violenza in TV troverai!”

“Ehi! Bravo!”
“Complimenti, soldato. Proprio un bel tenore!”
“Grazie, grazie. Troppi complimenti, davvero!”
La nostra metallara si stiracchiava beatamente, con il dito pronto a essere ciucciato in bocca, farfugliando qualcosa sullo sterminare le Winx. Improvvisamente, pero’, gli occhi di Roberta si spalancarono come finestrini durante un viaggio nel deserto d’ agosto. Si alzo’ di scatto, facendo quasi morire di paura i soldati. Ma questo  non cambiava molto, tanto in un modo o nell’ altro tutti quei soldati sarebbero morti quello stesso giorno in quella stessa stanza.
“Oh mio Dio! Devo essermi addormentata! Cogli! One! Attaccate!”
I due cani si slanciarono, con un balzo, contro i soldati.
“E ora... prendete QUESTO !!!” disse la metallara, con un movimento aggraziao della braccia. Nello stesso istante, migliaia di armi (tranne la bomba atomica, poi vallo a sentire Nik e le sue storie sul costo di manutenzione) si dirigevano a velocita’ della luce verso il piccolo esercito.
Capite anche voi quanto sia difficile pulire via tutto quel sangue: Roberta incomincio’ a pentirsi di non aver usato la boma atomica.

Furono la NASA e l’ FBI a salire nella soffitta.
In un angolo, trovarono Gabriele piangente, che era tutto intento a strofinarsi il polso con un bicchiere di plastica.
“Deve essere una loro usanza.” bisbiglio’ la prof. Ermentrude Surfendise, reparto ‘alieni ed altre cose a cui nessuno crede piu’ dagli anni ’50.’ “Coooosaaaa faaaaareeeeee tuuuuuuuu?”
“...Mi sto...sto cercando di... di tagliarmi i polsi.”
“Eseeeeereeee tuuuuuuaaaaaaa feeeeestaaaaaa naaaazioooonaaaaaleeee?”
L’ emo la guardo’ a lungo, poi disse:
“Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiioooooooooooooo paaaaaaarlaaaaaareeeee tuuuuuuuuuuaaaa liiiiiiiiiiiiinguuuuuaaaaaaaa!”
“Aaaaaaaaaaaaaaaah... cioe’, volio dire: ah.”
Il ragazzo alzo’  gli occhi al cielo, esasperato.
“Questa e’ l’ ultima cosa che mi rimaneva: nulla puo’ tagliarmi. Ora la Gazza Ladra avra’ per sempre il controllo su di me!”
Scoppio’ in lacrime. Un agente dell’ FBI guardo’ la professoressa come a die:
“La Gazza Ladra? Che cazzo eh?!”
‘La sua astronave’ mimo’ con le labbra la Surfinside.
Riabasso’ lo sguardo, per scoprire che Gabry fissava con interessa il mitra dell’ agente.
“Sparatemi.” mormoro’ il giovane.
“Cosa?”
“SPARATEMI, PER L’ AMOR DI DIO!!!”
“O-ok...”
Tattarattaraaattaaaarataara!
“Oh, mio Dio!”
“S-sono morto?”
“Non proprio.”
“...”
“...”
“... MA PERCHE’?! PERCHE’, PERCHE’ NON MI HANNO UCCISO! CAVOLO, NEANCHE LA BOMBA ATOMICA DI ROBERTA FUNZIONA SU DI ME! NON E’ GIUSTO!”
Il povero pargolo si ritiro’ nel suo cantuccio a piangere.
I componenti della NASA e dell’ FBI pensarono bene i cecare di fuggire, quando Roberta sali’ a controllare  che tutto fosse OK, ma non ce la fecero. La cannibale, vedendo lo stato in cui era  Gabry, trascino’ personalmente i prigionieri nel covo della Gazza ladra, con abbastanza sacrifici per un anno intero.

 
I MEREH erano rimasti da soli. Non c’ era piu’ la Tata li’, a dire loro come comportarsi e ad indicargli la retta via. Ora avrebbero dovuto vedersela da soli on la vita, e le mille avventure e disgrazie che essa comporta. Ma aveva lasciato un lettera la’ per loro. Le ultime paole della loro maestra di vita:
                                                            
                                                                     Cari ragazzi,
                                                                  Spero di non dovervi vedere mai piu’.
                                                                                  La Tata.
“Che belle parole!”
“E’ proprio na’ poetessa nata.”
“Perche’ non mi hanno ucciso? Perche’ non mi hanno ucciso?”
E’proprio una cara vecchia signora.
“Bum! BAM!”
“...”
“...”
“...OH MIO DIO! BUM HA DETTO QUALCOSA CHE NON SIA BUM!”
“Quella Tata, dopotutto ci ha aiutato in qualche modo!”
“Ragazzi, io propongo di festeggiare  con un po’ di stufato di Surfinsie mischiato a Volfwagen insieme ad una bella fetta di sedano e marmellata di limone!”
“Evviva!”
“MA PERCHE’ NON MI HANNO UCCISO!?”
E tutti (o quasi tutti) si diressero allegramente verso la cucina.
“A’ Robe’ danne un po’ anche a Ticchete, me raccomando!”
“Ha avuto una giornata pesante e non e’ in condizioni di mangiare nulla, per ora. Ma si riprendera’ presto, vedrai.”
“D’ accoro, brutta metallara he non sei altro.”
“BRUTTO FIGLIO DI... MA ORA TI METTO A CUOCERE AL POSTO DELLA SCIENZATA, FOSSE L’ ULTIMA COSA CHE FACCIO, IO TI...”
Certe cose nessuno le puo’ correggere.
E la Tata?
Che fine fece la Tata?
La poveretta ebbe cio’ che meritava. Camilla Rizzi era una matta, semplicemente una matta. Chi avrebe potuto scambiare quei cinque angioletti per alieni? Erano in campeggio, stando a quando aveva confermato il piu’ grande, semplicemente in campeggio. Tutti i soldati e scienzati erano morti in un tragico incidente stradale mente andavano a bordo di pullmini verso l’ aereoporto per tornare a casa, sempre a parer del ragazzo in campeggio. Purtroppo ne fu ritovato solo uno: un camper stile anni ’60 con dento l’ intera truppa degli uomini di Volfwagen  e le ceneri della squadra speciale. Quindi, la Tata era matta. E dove vanno a finire i matti? In manicomio! Piu’ precisamente, il suo era il ‘Cigno di Carta’, mantenuto dall’ associazione ‘ROBA BUONA.
Ma l’ aveva voluto lei, no?
Aveva accettato la sfida.
Aveva combattuto contro i MEREH.
E aveva perso.
 
Lo so, faccio pena. E non lo dico solo perche’ soffro i complessi di inferiorita’. Il punto e’: dopo un fallimento del genee, di solito le pesone normali smetterebbero qui, giusto? E invece no! Ho giurato di tormentarvi per 3 saghe. E questa era solo la prima!!! Chi e’ con me, mi segua, anche se non lo consiglio...
Comunque...
Ringraziamenti speciali vanno a:
Leo L. : Per le risate.
Leo S. : Per i consigli preziosi sulla saga numero 2.
Caos: Per la prima recensione.
Mamma e Papa’: Per non essersi scandalizzati del fatto che passo il mio tempo libero a scivere di ragazzini
                                che squartano vechiette (basta che studi, Klara).
Federico: Per gli ammonimenti e per gli incitamenti.
Agata M.: Per la grammatica.
Roberta, Gabriele, Nicolas e Thomas : che dire... siete il gran finele! Vi dovrei ringraziare per cosi’ tante cose                                                           che potrei stare le ore ad elencarle. Ma devo fare latino, quindi generalizzero’.

I MEREH, anche senza squartare i castofioresi, e’ tra i gruppi piu’ uniti e belli che conosca, e quando ci vedo tutti insieme non posso fare altro che sorridere.

E grazie anche a tutti coloro che hanno letto questa storia.             
 
 
 

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