Capitolo Modificato
Gary
Quattordici
anni dopo…
Gary
sospirò mentre percorreva le scalette che dal lago lo
avrebbero
portato a casa sua.
Non
aveva gran voglia di tornarci: di certo, i suoi già sapevano
di ciò
che aveva fatto...
Non
capiva cosa gli fosse capitato: era lì, all'allenamento,
quando
all'improvviso aveva perso la testa e dopo una piccola discussione
aveva colpito un ragazzino più giovane di lui. Conseguenza:
l'allenatore lo aveva escluso dalla squadra e gli aveva promesso che
avrebbe chiamato i suoi genitori.
Strinse
le labbra e ripensò alla furia con cui era saltato addosso
al suo
compagno. Non era da lui... In quel momento aveva sentito come se una
parte di lui prima sconosciuta avesse preso il sopravvento,
perché
non era in sé quando era successo, come guardare la scena
attraverso
gli occhi di un altro.
A
metà della scalinata, si fermò come sempre ad
osservare uno spiazzo
poco lontano dal lago. Era circondato da alberelli e cespugli e la
parte priva di arbusti era un cerchio perfetto, al cui centro era
sdraiato un enorme masso rettangolare simile ad un altare.
Ovviamente, quel posto tempo prima era stato preso d’assalto
da
specialisti e semplici curiosi, alla ricerca di qualche spiegazione
sul motivo per cui all’interno del cerchio non crescesse
nemmeno un
fiore, lasciando spazio alla nuda terra. Le spiegazioni erano state
fin troppe, e per la maggior parte comprendevano folletti o
extraterrestri. Poi era semplicemente passato di moda.
‘Quante
cavolate’ pensò Gary con una smorfia. Aveva smesso
di credere in
quelle cose da quando aveva cinque anni. A lui semplicemente piaceva
quella porzione di terra brulla, per quello di tanto in tanto
scendeva al lago e si dirigeva alla pietra rettangolare. Si sedeva
lì
accanto e si sentiva a casa.
Cosa
che non succedeva mai nella sua abitazione.
Mestamente
percorse gli ultimi metri che lo separavano dalla villa, come un
condannato a morte.
“Gary
Armstrong!” esclamò infatti sua madre non appena
ebbe superato la
porta d’ingresso: era appostata di fronte alle scale e lo
fissava
con sguardo furente.
“Mamma,
io… mi dispiace” disse, pur sapendo che era
inutile.
“Ti
dispiace?” ripeté lei, arrabbiata.
“Vorrei anche vedere!”
“Non
so cosa mi è preso” tentò lui, invano.
“Punizione.
Per almeno tre mesi” replicò la donna.
Lui
non disse nulla: quando sua madre diventava così telegrafica
era
meglio non parlare.
“Adesso
va’ in camera tua, ne riparleremo quando ci sarà
anche tuo padre”
sbottò lei.
Gary
strinse i pugni, contrito, poi ubbidì. Richiudendo la porta
alle sue
spalle, sospirò e lanciò il borsone accanto alla
scrivania,
ripromettendosi di svuotarlo in un secondo momento, quindi si sedette
sul letto e cominciò a pensare a ciò che era
successo.
Non
si era mai tirato indietro quando c’era da fare a botte,
certo, ma
si scontrava sempre con ragazzi della sua taglia, a volte
più
grandi, e sempre con un buon motivo. Ora se l’era presa con
un
ragazzino mingherlino con l’unica colpa di aver sbagliato un
passaggio… ed era solo un allenamento; aveva concluso nel
peggiore
dei modi una discussione che lui aveva cominciato.
Non
biasimava sua madre, anche lui sapeva che quella punizione se
l’era
meritata, ma avrebbe voluto che lei lo ascoltasse di più. Il
loro
rapporto si stava deteriorando in quel periodo, anche perché
quando
Gary cercava di spiegare le sue motivazioni per un determinato
comportamento lei non voleva sentire ragioni. Era da circa un anno e
mezzo che Gary passava la maggior parte del suo tempo in punizione.
Non voleva certo l’assoluzione, solo che sua madre capisse
che lui
non avrebbe voluto fare tutte quelle cose…
Gary
non sapeva cosa gli stava accadendo e cominciava ad esserne
spaventato, ma a chi rivolgersi? I suoi genitori l’avrebbero
presa
come una patetica scusa, i professori idem, i suoi amici…
rise alla
sola idea di confidarsi con loro su quell’argomento,
l’avrebbero
preso come una femminuccia isterica. L’unica a cui ne aveva
parlato
era Sarah, che era stata piuttosto comprensiva, ma l’unico
consiglio che era riuscita a tirar fuori era di consultarsi con uno
psicologo. E dove lo andava a pescare? Per non parlare del fatto che
tutti lo sarebbero venuti a sapere e lui sarebbe diventato lo
zimbello della scuola intera.
Ma
il problema rimaneva, e lui non vi aveva trovato una soluzione.
I
suoi scatti d’ira peggioravano e con essi scemava la sua
forza nel
contrastarli; si sentiva in balia di sentimenti che non avvertiva
come propri.
Si
sdraiò sul letto; l’indomani aveva un compito in
classe di
scienze, ma lui non aveva né la voglia né la
concentrazione per
mettersi a studiare, almeno per il momento.
***
I
tre uomini stavano preparando il piccolo battello che di solito
usavano per la pesca, ma non stavano uscendo a lavorare, non
caricavano lenze e reti, bensì una cassa di legno intarsiata
e ben
lavorata. Era leggera, nonostante misurasse mezzo metro per lato, e
loro non sapevano cosa mai contenesse di tanto importante per essere
costretti ad usare tanti accorgimenti nel muoverla.
Una
quarta figura incappucciata li osservava. “State molto
attenti, è
fragile” sibilò, quando uno dei due uomini che
avevano raccolto la
cassa incespicò.
Ed,
l’uomo che era quasi caduto, sbiancò terrorizzato
da ciò che
l’altro gli avrebbe fatto se avesse lasciato andare la cassa.
“M-mi
scusi…” mormorò, quella strana presenza
lo inquietava non poco.
Insieme al suo amico Frank si incamminò verso il battello,
facendo
più attenzione, mentre John preparava i motori.
Posarono
il forziere a terra e lo assicurarono con delle cime.
Ed
si rivolse al quarto uomo - sempre che umano fosse, cosa di cui
cominciava a dubitare - e stentò a formulare la domanda che
voleva
porgli. “Ma non capisco… perché vi
serve il nostro aiuto? Perché
non prendete il nostro battello e…” Si
bloccò: pur non potendolo
vedere in faccia, percepiva l’irritazione del misterioso
interlocutore.
“Perché
è così che vogliamo” replicò
lui, la voce intrisa di odio e
rabbia. “E tu, piccolo essere inutile, farai ciò
che ti dico senza
discutere” Si avvicinò minaccioso
all’uomo che aveva osato
troppo e lui arretrò di scatto, inciampò in un
asse non assicurata
al pavimento e questa volta cadde. “Ho cose più
importanti da fare
che ascoltare i tuoi piagnistei. Ora partite, i miei compagni vi
stanno aspettando”
Frank
temette per la vita dell’amico, ma per sua fortuna la figura
gli
voltò le spalle e scese dal battello; pochi istanti dopo,
svanì
alla loro vista, nel bosco.
Ed
si rialzò aiutato dall’amico, poi
lanciò un’occhiata alla
cassa. “Cosa contiene, secondo te?” chiese.
Frank
deglutì e scosse la testa. “Non lo so e non voglio
saperlo. Questa
storia non mi piace” borbottò. “Vado a
dire a John che possiamo
partire, te la senti di stare di guardia?” chiese. Tutti e
tre,
dalla prima volta che l’avevano toccata, ne avevano avuto una
folle
paura.
“N-non
preoccuparti per me” rispose Ed, gli occhi fissi su di essa.
Una
volta solo, Ed ripensò al loro compito. Dovevano risalire il
fiume,
stando attenti che ciò che trasportavano non subisse alcun
danno,
fino al lago; lì avrebbero ritrovato i tizi incappucciati
che li
avevano incaricati di trovare lo strano contenitore.
Ricordò
con orrore il momento in cui se li erano trovati davanti con le loro
tuniche nere…
Avevano
avuto paura mentre eseguivano i loro ordini e si erano messi a
cercare seguendo le loro indicazioni. C’erano voluti mesi, in
cui
ogni tanto qualcuno di loro veniva a controllare come procedesse il
lavoro, ma alla fine erano riusciti nel loro intento, grazie
soprattutto alle conoscenze di Frank, che prima di tornare a fare il
pescatore come suo padre e suo nonno, aveva avuto una travagliata
carriera da archeologo, conclusasi prematuramente a causa di uno
scandalo da cui non si era mai risollevato: era stato infatti
accusato di aver trafugato alcuni reperti e averli rivenduti al
mercato nero; Ed non sapeva se fosse vero o no e Frank non voleva
parlarne, ma era un buon pescatore e tanto bastava a John per
assumerlo nella loro minuscola impresa.
Quegli
ultimi avvenimenti avevano riportato a galla tutte le conoscenze di
Frank, ma anche il dolore per la fine ingloriosa della sua carriera.
Era
stato proprio Frank ad opporsi alla loro curiosità di sapere
cosa
contenesse, impedendo loro di aprire il forziere.
Ed
sospirò e si sedette su una panca. Quando
l’avevano trovata, aveva
sperato che quell’incubo finisse lì, ed invece ora
dovevano
soddisfare anche quella richiesta. Non vedeva l’ora di averla
consegnata e di potersene tornare a casa, ma aveva ancora un bel
viaggio da affrontare, tanto valeva mettersi comodo.
Era
passata un’ora, quando Frank lo sentì gridare.
Accorse subito e lo
trovò seduto a terra con la schiena contro il bordo del
battello,
con gli occhi sbarrati dal terrore.
“Ed!
Cos’è successo?!” esclamò.
Ed
sollevò un dito tremante e lo puntò contro
ciò che stava
osservando con tanta paura.
Frank
si voltò e trattenne un urlo: dai bordi della cassa filtrava
una
luce giallastra, intermittente.
“Che
cazzo è?!” gridò Ed non appena ebbe
ritrovato la voce.
“Non
lo so…” mormorò Frank.
“Questa storia mi piace sempre meno…”
“Oh,
santo cielo!” Ed si rialzò, camminando avanti e
indietro. “Senti,
liberiamocene!” sbottò poi. “Scapperemo,
cambieremo nome, ci
metteremo al sicuro, ma non possiamo lasciarla in mano loro!
Chissà
per cosa la useranno!”
Frank
continuava a fissare la luce. Era d’accordo con Ed, di certo
era
qualcosa di pericoloso, ma se se ne fossero disfatti avrebbero
scatenato l’ira dei loro mandanti e dubitava che sarebbero
riusciti
a nascondersi da loro…
“La
consegneremo” disse infine.
“Ma
Frank…”
“No,
senti: io ho già abbastanza problemi senza pestare i piedi a
degli
individui del genere! Tra qualche ora saremo arrivati e consegneremo
il carico, poi potremo dimenticarci tutto”
Ed
non sembrava convinto.
“Oramai
che possiamo fare?” chiese Frank. “Ci daranno una
ricompensa,
hanno detto che i nostri problemi economici non dovranno più
preoccuparci. Io ho bisogno di soldi!”
Ed
deglutì. A lui non sembrava una buona ragione, ma la paura
di quelle
persone stava prendendo il sopravvento. Annuì.
Frank
si sedette con lui sulla panca, deciso a fare la guardia con lui.
Rimase a guardare quella luminosità sempre più
intensa che andava e
veniva, seguendo un ritmo particolare. Si accigliò e
cercò di
seguirne la cadenza.
Ci
mise qualche minuto per capire cosa gli ricordava.
Luce
- piccola pausa - luce - lunga pausa. La pausa tra i due lampi di
luce era sempre più corta.
Sembrava
il battito di un cuore.
***
Suo
padre era silenzioso mentre consumavano la cena e Gary non ce la
faceva più a sopportarlo. Respirò a fondo,
concentrando lo sguardo
sul proprio piatto, e inforchettò una montagnola di insalata
di
pollo. Masticando, lanciò uno sguardo alla sala da pranzo e
trattenne una smorfia: i suoi genitori gli avevano riempito la testa
di storie sulla sua nascita e a detta loro era avvenuta proprio in
quella stanza. Ne parlavano sempre come se fosse una cosa
meravigliosa, ma lui ne era solo disgustato: come poteva mangiare
nello stesso posto dove era nato?
Una
volta inghiottito l’ultimo boccone, sperò di poter
sgattaiolare di
sopra, ma suo padre non aveva ancora finito con la ramanzina. Quando
la moglie fece per alzarsi e sparecchiare, le posò una mano
sul
braccio e le fece segno di aspettare, quindi si rivolse al figlio.
“Sto
ancora aspettando una spiegazione” disse.
Gary
sapeva che quello era il momento per rivelare ciò che
sentiva, la
sua unica occasione per essere capito, ma non aprì bocca.
Sentì un
acuto mal di testa.
“Quindi
l’hai colpito così, perché ti
andava?” insistette l’uomo,
pacato, come la quiete prima della tempesta.
Gary
incrociò le braccia mentre la rabbia cresceva di nuovo.
Avrebbe
davvero voluto parlare, ma era troppo arrabbiato.
“Gary,
ti avverto…” minacciò il signor Stuart.
“Che
te ne importa?!” sbottò Gary
all’improvviso, con violenza.
“Tanto in punizione mi ci mettete comunque, quindi
perché
spiegare?!”
L’uomo
era rosso di rabbia. “Come ti permetti di parlare
così a tuo
padre?!”
Ma
Gary non riusciva a sentirsi spaventato dalle conseguenze di
ciò che
stava facendo. “Io ti parlo come mi pare! Non fate altro che
punire
e punire e punire! Non sapete niente di ciò che provo, e mai
lo
saprete!” gridò balzando in piedi.
“Gary!”
Sua madre sembrava scandalizzata.
“E
tu sta’ zitta! Non…” Gary non
riuscì a finire la frase che un
sonoro schiaffo gli arrivò in faccia e lui cadde a terra, ai
piedi
del padre.
“Ora
basta! Vai in camera tua!” gli urlò
l’uomo. “Starai in
punizione fino a quando non deciderò che va bene! Niente tv,
niente
feste, niente uscite con gli amici! Uscirai da questa casa solo per
andare a scuola!”
Gary
si rialzò rosso in volto quanto suo padre e lo
fronteggiò per un
attimo con aria di sfida, poi si voltò e corse al piano di
sopra.
Sbatté la porta dietro di se così forte da far
tremare i vetri
dalla finestra e si gettò sul letto, stringendo tra le mani
la testa
dolorante.
Quando
la rabbia prese a scemare, il ragazzo cominciò a
singhiozzare per la
vergogna e il pentimento. ‘Ma che mi prende, oggi?’
si chiese,
bagnando il cuscino di lacrime.
Aveva
avuto un’opportunità: suo padre finalmente gli
chiedeva
spiegazioni e lui perdeva la testa così? Ormai aveva toccato
il
fondo, urlando a quel modo ai suoi genitori. L’avrebbe pagata
a
caro prezzo…
Fuori
dalla finestra, una figura incappucciata sorrise dal ramo che la
ospitava e rimase a fissare per qualche istante il ragazzo che si
struggeva nei suoi dubbi, poi balzò giù dalla
cima dell’albero.
Da un’altezza simile, un uomo normale si sarebbe come minimo
slogato qualcosa, ma lui atterrò con grazia, quasi senza
produrre
rumore, e subito cominciò a correre veloce.
I
suoi compagni lo aspettavano sulla cima del colle, immobili come li
aveva lasciati; quando lo videro, voltarono appena il capo
coperto.
“È
pronto” si limitò a dire, ma
l’eccitazione era palpabile nella
sua voce.
“Ne
sei sicuro?”
“È
da mesi che lo seguiamo! E oggi ho avuto la conferma che ormai
possiamo intervenire!” rispose lui con urgenza. “Il
ragazzo non
ha più il controllo delle sue azioni! Lui è
pronto. Se aspettiamo
ancora rischiamo che il nostro nemico si risvegli prima di lui, e
allora sarebbe la fine!”
“Giusto
in tempo, allora” replicò una voce vagamente
più acuta. “Ciò
che da tanto aspettiamo giungerà a breve”
Un’ondata
di soddisfazione si allargò nel gruppo. Erano due ottime
notizie,
che arrivavano proprio quando cominciavano a disperare.
“Allora
prepariamoci. Abbiamo ancora molto da fare” tagliò
corto la figura
che aveva spiato Gary.
Mentre
gli altri si voltavano verso il sentiero, lui lanciò uno
sguardo al
panorama: presto il mondo sarebbe stato di nuovo nelle loro
mani.
“Come
lo prenderemo?” chiese un altro.
Lui
sorrise. “Oh, penso proprio che sarà lui
a venire da noi”
***
Gary
non riusciva a dormire.
Si
rigirava nel letto, inquieto. Non era la prima volta che gli capitava
e come sempre sentì il bisogno di alzarsi. Con passo
felpato, uscì
nel corridoio, sperando di non svegliare i suoi genitori; li aveva
sentiti andare a letto poco dopo che lui si era chiuso in camera e
avevano continuato a parlare a lungo, forse discutendo di cosa fare
con lui.
Scese
le scale e si diresse in cucina, dove si riempì un bicchiere
d’acqua, nella speranza che placasse la sua ansia. La bevve a
piccoli sorsi, senza smettere di pensare al suo problema. Doveva fare
qualcosa, non poteva più far finta di nulla con gli altri.
L’indomani avrebbe dovuto parlare con i suoi genitori, in un
modo o
nell’altro, e…
“Ah”
gemette lasciando cadere il bicchiere. Il dolore sordo che lo aveva
colpito al petto sparì com’era venuto e lui si
ritrovò piegato in
due. Lanciò uno sguardo preoccupato alle scale, ma nessuno
scese,
quindi si chinò a raccogliere i frammenti di vetro. Non
riusciva a
capire cosa gli fosse accaduto, ma non era più una
novità per lui,
ormai.
L’ansia,
invece di diminuire, cresceva. Forse, una boccata d’aria
fresca
glia avrebbe fatto bene…
Guardò
di nuovo verso le scale, incerto. Era già in punizione, se
l’avessero beccato sarebbe stato peggio. Ma, del resto, la
sua
situazione non poteva peggiorare, giusto?
Il
bisogno di uscire era impellente, quindi tornò di soppiatto
in
camera e si infilò un maglione, le scarpe e il giaccone;
afferrata
la torcia che teneva nel cassetto, scese di nuovo e
oltrepassò
silenziosamente la porta.
Inspirò
a pieni polmoni l’aria fredda della notte. Era da tanto che
non
tornava al lago…
***
Frank
non ce la faceva più.
Il
battello per conto suo procedeva troppo lentamente, ma ormai era
notte e non potevano rischiare di scontrare qualche sasso affiorante.
Guardò
la cassa dove la luce pulsava più intensa che mai.
“Signore,
aiutaci…” mormorò.
***
Gary
riconobbe il familiare senso di pace quando si avvicinò alla
pietra.
Andava
spesso lì, di notte, quando non riusciva a dormire. Mai una
volta i
suoi se n’erano accorti e del resto non correva pericoli: gli
animali sembravano sfuggire quel posto, cosa che inquietava non poco
la gente del posto, che, seguendo il loro esempio, ne stava alla
larga.
Quello
era il suo posto, non era turbato da altri esseri
viventi. La
superstizione teneva lontani i più e anche i curiosi che ne
avevano
turbato la tranquillità qualche anno prima si erano
stancati. Gary
ricordava quanto aveva sofferto in quel periodo in cui il suo rifugio
era stato violato, si era arrabbiato molto, ma per fortuna ora era
tornato suo, solo suo. Gli archeologi che avevano profanato quel
terreno erano rimasti delusi da ciò che avevano trovato: il
nulla. E
non si erano dati una spiegazione su quei quattro semicerchi si
pietra che spuntavano dalla superficie, quasi agli angoli della
pietra.
Avevano
anche osato vietare l’accesso e tecnicamente questa
proibizione era
ancora valida, ma dato che nessuno se ne interessava più i
controlli
erano pressoché inesistenti.
E
comunque quella notte nessuno avrebbe potuto impedirgli di visitare
la sua pietra.
Con
un sorriso vi passò sopra la mano, accarezzandola. Era
coperta da
dislivelli posti a distanza regolare, come se il tempo avesse
mangiato precedenti incisioni di cui rimaneva però il
ricordo.
Probabilmente segni di un’antica popolazione. O
qualcos’altro?
Quel
pensiero turbò Gary, che si accigliò: lui non
credeva a sciocche
leggende. ‘È solo una pietra!’
cercò invano di convincersi e,
all’improvviso, l’unico posto in cui si fosse mai
trovato a suo
agio lo spaventò.
Indietreggiò
di scatto, atterrito.
Forse
era solo la notte, ma tutto sembrava aver preso una prospettiva
agghiacciante, ogni cosa sembrava diversa.
Di
nuovo, fu colto da un dolore al petto e il suo cuore prese a battere
all’impazzata. Lasciandosi andare al panico, si
voltò e cercò di
correre via, ma inciampò sui suoi piedi e cadde faccia a
terra. Si
portò una mano sul torace, con una smorfia sofferente, poi
cercò di
rialzarsi, ma una luce in lontananza gli suggerì di non fare
mosse
brusche. Col respiro spezzato dal dolore e dalla paura, si
alzò
molto lentamente e raggiunse gli alberi, nascondendosi dietro ad uno
di essi per sbirciare ciò che accadeva accanto al lago. Non
scorgendo bene chi tenesse la fiaccola in mano, avanzò piano
e
attento, poi, giunto al limitare del bosco, si fermò a
spiare.
Si
appiattì dietro ad alcuni massi, spaventato, e
guardò sgomento lo
strano spettacolo che poteva scorgere poco lontano.
Una
decina di figure avvolte in una tunica nera come la pece e
incappucciate avanzavano lentamente nella notte senza fare rumore, a
due a due. La coppia a metà della fila trasportava una cassa
di
legno, come uno scrigno.
Gary
trattenne il fiato, spaventato a morte, quando una tenue luce
pulsò
dalle fessure del coperchio, ma non osò muoversi. Chi erano?
Cosa
portavano? Si pentì di essere uscito, quella notte, e prese
a
tremare; cercò di strisciare via, ma il suo corpo era come
congelato.
Il
gruppo si fermò accanto ad un piccolo molo a cui
attraccavano le
barche che portavano la gente a fare il giro del lago ma che in quel
momento era sgombro; sembravano in attesa di qualcosa. Il ragazzo si
trovò suo malgrado a scrutare l’orizzonte oscuro
per capire
cos’altro dovesse accadere: sentiva, senza alcun dubbio, che
qualcosa di tremendo stava arrivando dalle acque. Eppure non riusciva
a scappare.
Il
suo cuore ebbe un sussulto quando riuscì a scorgere un
battello in
mezzo al lago. La sua paura si tramutò in terrore puro;
eppure,
sentì una sorta di macabra curiosità di scoprire
cosa trasportava.
Una
delle nere figure alzò la fiaccola e la tenne ben alta. Gary
deglutì: un’altra luce rispose
dall’imbarcazione; la fiaccola fu
dunque coperta e mostrata tre volte e altrettanto fu fatto dal
battello. Il terrore del ragazzo salì a dismisura mentre
esso
puntava dritto verso il molo. Con la bocca arida, si
aggrappò ai
massi coperti di muschio; voleva scappare, ma non ce la faceva,
qualcosa lo teneva fermo sul posto. Il suo corpo non gli
rispondeva…
‘Ora
mi sveglio. È un incubo, non c’è altra
spiegazione…’ pensò.
Il
battello nel frattempo aveva raggiunto la meta. Gary riusciva a
scorgere due uominia volto scoperto che scendevano lungo una
passerella di legno, trasportando una cassa simile a quella che
già
era in possesso del gruppo.
Alla
luce della luna, i due uomini apparivano terrorizzati almeno quanto
Gary, abbastanza vicino da scorgere i loro volti.
Ed
e Frank posarono il forziere di fronte al gruppo e si raddrizzarono
tutti tremanti. Attesero gli ordini, senza il coraggio di parlare.
Uno
degli incappucciati si chinò e aprì la cassa,
studiandone il
contenuto. I due uomini furono abbagliati dalla luce e non riuscirono
a scorgerlo. “Ora andatevene” disse minaccioso.
“Ma…”
Frank si interruppe subito.
“Per
la ricompensa
saremo noi a trovarvi” ruggì lui.
I
due sbiancarono e a Ed non piacque il modo in cui aveva pronunciato
quella parola. Terrorizzato, si affrettò a risalire, seguito
a ruota
da Frank.
Gary
guardò il battello ripartire e si accorse di respirare a
fatica per
il dolore. L’imbarcazione era quasi sparita, quando dal
ragazzo si
levò un gemito acuto.
Con
le lacrime agli occhi per la sofferenza e la paura, vide inorridito
che una delle figure stava guardando dritto verso di lui e ne
percepì
un ghigno. Il ragazzo boccheggiò, mentre una parte di lui
ruggiva la
sua approvazione, e vide due incappucciati incamminarsi
tranquillamente verso il nascondiglio ormai rivelato.
Lanciò
un grido e, balzato in piedi, prese a correre verso la scalinata, ma
le due figure gli sbarrarono la strada con una velocità
impossibile
per un uomo. Gli finì praticamente addosso e loro lo
afferrarono per
le braccia, mentre lui strillava e scalciava. Imperturbabili,
cominciarono a trascinarlo verso lo spazio brullo che conteneva la
pietra.
“Mio
signore, il tempo del vostro risveglio è finalmente
giunto” disse
uno di loro.
Gary
urlò con tutto il fiato che aveva mentre il dolore gli
squarciava il
petto. Lottò piangendo contro le due figure incappucciate
mentre la
pietra si avvicinava. “Lasciatemi!”
gridò. “Lasciatemi andare,
bastardi!”
Fu
spinto sull’altare e gambe e braccia gli furono divaricate a
forza,
mentre i quattro semicerchi di pietra ruotavano sotto i suoi occhi
increduli, intrappolandogli polsi e caviglie. Immobilizzato
continuò
ad urlare ma nessuno sembrava sentirlo.
Le
dieci figure si strinsero a cerchio attorno a lui e quelli che
portavano le casse le deposero sulla pietra e cominciarono ad
aprirle.
Gary
fissava la scena con orrore, ma il peggio doveva ancora arrivare:
mentre armeggiava con le chiusure, la mano di uno degli incappucciati
scivolò fuori dalla lunga manica. Gary temette di svenire:
era
marroncina e coriacea, tutta ritorta, artigli lunghi almeno dieci
centimetri al posto delle unghie. Il ragazzo boccheggiò e fu
solo la
paura a tenerlo cosciente.
“Oddio,
no! NO!” sbraitò, mentre il dolore al petto
raggiungeva picchi
altissimi. Si agitò come impazzito, ma non poteva muoversi
molto.
“Non
temete, mio signore, presto verrete liberato” disse il
proprietario
della mano.
Il
ragazzo gridava sempre più forte, divincolandosi con furia,
ma uno
dei rapitori lo colpì sul viso e lui si accasciò
stordito dalla
botta. Quel pugno era duro come una roccia…
Singhiozzò e aprendo
gli occhi vide la mano terrificante strappargli di dosso il maglione
e la maglia del pigiama, lasciandolo a rabbrividire. Quella strana
figura infilò la mano nella cesta più vicina e
tirò fuori un
pugnale con l’elsa contorta piena di pietre dall'aspetto
prezioso,
che brillavano di luce propria. La sollevò in aria, proprio
sopra il
suo petto.
“NOOO!”
urlò Gary, singhiozzando. La pelle sul suo torace prese a
bruciare,
diventando rossa mentre una litania senza senso attraversò
il
gruppo.
Gary
era senza fiato per il dolore e inarcò la schiena, emettendo
un
verso agonizzante. Rovesciò all’indietro la testa,
la bocca
spalancata priva di voce.
La
litania crebbe e con questa la sofferenza della vittima, che sentiva
il suo corpo muoversi di propria volontà a ritmo di quella
nenia;divenne alta, quasi urlata, e si interruppe di colpo. Gary
ricadde giù, ansimando, e alzò gli occhi sul
pugnale. Lo vide
brillare nel buio e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
L’arma
calò inarrestabile su di lui, strozzando il suo grido in un
rantolio. Il dolore al petto esplose e il buio calò sui suoi
occhi.
La
figura estrasse con delicatezza il pugnale e si chinò
sull’altra
cesta. La litania riprese, più aspra questa volta, mentre
una boccia
piena di liquido rosso veniva aperta. Il suo contenuto fu sparso sul
ragazzo senza vita. Un cuore si ricompose a fatica e riprese a
battere.
Il
ragazzo fu liberato e rivestito con cura con una lunga tunica nera,
poi gli esseri incappucciati si ritrassero, osservandolo.
Gli
occhi vitrei si riaccesero e il ragazzo annaspò per
ritrovare aria,
come dopo essere stato troppo sott’acqua. Regolarizzato il
respiro,
Neshfir rimase per un attimo immobile mentre la ferita si richiudeva
del tutto. Infine si tirò su, guardandosi attorno: i suoi
compagni
lo fissavano immobili, tradendo apprensione.
Neshfir
si rialzò, con un ampio ghigno. “Amici
miei…” sussurrò.
“Signore,
siamo felici di rivederti!” Quello che aveva compiuto il rito
si
prostò ai suoi piedi.
“Alzati”
disse Neshfir, posando la sua mano sulla spalla del suo secondo. La
voce era sempre quella di Gary, il corpo era quello della patetica
forma di vita con cui aveva condiviso quei quattordici anni, ma ora
il ragazzo era morto. Ora lui era tornato. “Alzati, voi mi
avete
riportato effettivamente in vita e avete eliminato il potere che lui
aveva su di me. Non dovete più inginocchiarvi al mio
cospetto, senza
di voi avrei continuato ad essere niente più che un
parassita, a
vivere solo di quei momenti che il ragazzino abbassava la
guardia…
Ad osservare la sua inutile vita! Ma non fraintendetemi, avete fatto
bene ad aspettare fino ad adesso: prima non avrei avuto la forza di
dominare il suo corpo”
Guardò
le sue mani e aprì e chiuse i pugni, come per saggiarne la
forza,
poi si voltò verso la collina e individuò subito
la villetta
bianca.
“I
parenti del ragazzo domattina non lo troveranno nel suo letto e si
preoccuperanno” disse un incappucciato e il risvegliato
intuì un
ghigno sul suo viso coperto. “Non vorrai far soffrire quei
poveri
genitori...”
Il
volto un tempo appartenuto a Gary si aprì in un sorriso
diabolico.
“Oh, no, sarebbe crudeltà, fratello”
confermò. Ali membranose,
da pipistrello, strapparono la tunica che indossava. “Ci
metterò
poco” promise sollevandosi in volo. Un attimo dopo era
lanciato
verso l'abitazione e si gustava il vento che gli frustava la veste
addosso. Sciocchi umani!
Sono
tornato pensò.
continua....
Spazio autrice:
Eccoci qua!
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
Per Ely79: sono felice di averti interessato e spero di tenere alta
l'attenzione. Eh, sì, Neshfir è
un'entità molto
negativa e il suo desiderio di vendetta lo rende ancora più
cattivo. :-)
Alla prossima!
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