Papà, ti presento tuo nipote!

di vannagio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sorpresa ***
Capitolo 2: *** Il babysitter scodinzolante ***
Capitolo 3: *** La Grande Capa ***



Capitolo 1
*** Sorpresa ***


Per la serie...
"Quando vannagio vaneggia!"



Papà, ti presento tuo nipote!


1. Sorpresa





“Calma e sangue freddo, Rebecca. Calma e sangue freddo”.
Ripeteva mentalmente quella filastrocca da quando l’aereo era decollato, alternando alle parole respiri profondi.
“Andrà tutto bene, vedrai”, cercava di auto-convincersi. “Inspira, espira. Inspira, espira”, provava a far tesoro dei preziosi insegnamenti che le erano stati impartiti al corso preparto. “Inspira, espira. Inspira, espira”.
Al diavolo!
Quel corso era la cosa più stupida che avesse fatto in vita sua, secondo solo all’essersi dipinta i capelli di verde per partecipare a una manifestazione contro la deforestazione dell’Amazzonia. Il marito e la suocera l’avevano convinta - forse sarebbe stato più corretto dire costretta - a iscriversi al corso preparto, ma Rebecca era sempre stata scettica a riguardo: stare semidistesa su un tappetino di spugna, per far entrare e uscire aria dai polmoni a intervalli regolari, non era il modo migliore per trascorrere il pomeriggio, secondo lei.
Tuttavia, mentre artigliava i braccioli del sedile a causa della tensione accumulata e fissava con apprensione le nuvole attraverso il vetro del finestrino, Rebecca si rese conto che presto l’aeroplano sarebbe entrato in fase di atterraggio e che i discutibili insegnamenti appresi in quel corso rappresentavano l’unico appiglio cui potesse aggrapparsi per non farsi prendere dal panico.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
L’uomo di mezza età che sedeva accanto a lei lanciava occhiate preoccupate all’enorme pancione, forse augurandosi che Rebecca aspettasse di raggiungere la terra ferma per partorire. La ragazza - non riusciva ancora a vedersi come una donna adulta, sebbene fosse ormai sposata da tre anni - gli rivolse un sorriso tirato, nella vana speranza che il tizio la smettesse di fissarle la pancia come se si fosse trattato di una bomba sul punto di esplodere. Infondo mancavano ancora alcune settimane alla data prevista per il parto e Rebecca non aveva nessuna intenzione di far nascere suo figlio a bordo di un aeroplano.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
«Non abbia paura, si rilassi!», esclamò improvvisamente l’uomo, distraendola dai suoi pensieri e dedicandole un’occhiata comprensiva e… paterna?
«Scusi?».
Rebecca non era dell’umore giusto per ricevere consigli da un perfetto estraneo, ma cercò comunque di suonare educata.
«Le statistiche dicono che volare è il modo più sicuro di viaggiare», continuò l’uomo, sorridendo in modo rassicurante.
L’irritazione di Rebecca raggiunse il culmine, perciò mandò al diavolo i buoni propositi.
«E che cosa le fa credere che io abbia paura di volare?».
Lo sguardo carico di risentimento che Rebecca gli rivolse sembrò ferire profondamente i sentimenti dell’uomo, il quale infossò la testa nelle spalle neanche fosse stato una testuggine e tornò a leggere il giornale senza aggiungere altro.
Ma Rebecca non si sentiva in colpa, per niente! Il suo stato estremamente estremo giustificava in pieno la sua reazione.
Rebecca era una ragazza di ventuno anni.
Una ragazza di ventuno anni e incinta di sette mesi.
Una ragazza di ventuno anni, incinta di sette mesi e dagli umori facilmente irritabili.
Una ragazza si ventuno anni, incinta di sette mesi, dagli umori facilmente irritabili, che stava facendo ritorno a casa dopo tre anni di lontananza.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
No, la paura di volare non c’entrava assolutamente nulla con il suo particolare stato d’animo… ma l’idea che di lì a poco avrebbe affrontato suo padre, be’, quello sì che le causava qualche problemino!
Perché lei non era soltanto una ragazza di ventuno anni, incinta di sette mesi, dagli umori facilmente irritabili, che stava facendo ritorno a casa dopo tre anni di lontananza… no, proprio no!
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Rebecca era la figlia primogenita di Billy Black e si trovava su quell’aereo per un motivo ben preciso: far visita alla sua famiglia, che non vedeva da quando - alla veneranda età di diciotto anni suonati - aveva rifiutato una prestigiosa borsa di studio di un altrettanto prestigioso college, per sposare un surfista samoano e trasferirsi stabilmente alle Hawaii.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Stava tornando a La Push per informare il suo caro paparino che presto sarebbe diventato nonno.
“Inspira, espira. Inspira, espira” .
Ma se Rebecca non cominciava a darsi una calmata, quel presto rischiava di diventare adesso e la testuggine al suo fianco non ne sarebbe stata molto entusiasta!



Alcune ore più tardi e numerosi “inspira, espira” dopo, Rebecca aveva raggiunto la riserva indiana in taxi. Posò il bagaglio a terra e, prima di raggiungere il portico e suonare il campanello, si concesse qualche minuto per prendere coraggio.
Eccola di nuovo lì, a casa, più vecchia di tre anni, sposata e con un figlio in arrivo. Sembrava passata un’eternità da quando era fuggita con Sol. Si erano sposati a Las Vegas in jeans a zampa di elefante e maglietta di Greenpeace. Poi si erano trasferiti alle Hawaii, dove suo marito aveva trovato un lavoro stagionale come bagnino. A quei tempi Rebecca era una scavezzacollo, una ragazza che agiva sempre e solo d’impulso e che amava l’avventura. Non era cambiata molto, a dire il vero. Certo, i pantaloni a zampa di elefante erano fuori moda ormai, i piercing al naso erano storia vecchia e stava per diventare mamma, ma il suo cuore sarebbe stato sempre quello di una ragazzina vivace, pazza, idealista e casinista, maestra nel combinare guai e far infuriare i genitori.
Rebecca si guardò intorno e notò con nostalgia che non era cambiato nulla da quando era andata via.
La casa in cui era nata, ad esempio, era identica a come la ricordava: una piccola costruzione in legno, con finestre basse e larghe, verniciata di un rosso che adesso, dopo tanti anni, appariva sbiadito e sporco.
Anche il capanno degli attrezzi, in cui Jacob trascorreva le sue giornate a riparare vecchie ferraglie, sembrava lo stesso di sempre. Era stata Rebecca a spingere Jake a coltivare la sua passione per le auto e la meccanica in generale. Era stata così convincente che il ragazzino, all’insaputa del padre, aveva smontato il motore della macchina pezzo per pezzo. Voleva ‘studiarlo’, si era giustificato Jake. Peccato che non avesse la più pallida idea di come rimontarlo. Per pagare le spese del meccanico, Rebecca e il fratello furono costretti a lavorare al negozio dei Call per tutto il periodo estivo.
Il grande abete là in fondo pareva fissarla complice. Nascosta dietro il suo tronco, all’età di quattordici anni, Rebecca aveva ricevuto il suo primo bacio da Sam Uley. Quando Leah Clearwater l’aveva scoperto non le aveva più rivolto la parola, anche se si era trattato solo di un bacio innocente. In fondo… che cosa aveva fatto di male? All’epoca Leah e Sam non stavano insieme.
L’altalena dondolava mossa dal vento. Rebecca, Rachel e Jake avevano trascorso pomeriggi interi su quell’affare cigolante. Una volta le due bambine avevano spinto l’altalena con troppa forza: il povero Jake era finito disteso per terra con un braccio fratturato.
Insomma, era tutto uguale. Tutto identico a come lo ricordava. Anche se…
C’era troppo silenzio! Dove si erano cacciati tutti quanti? Trascinandosi dietro la valigia pesante come un macigno, Rebecca raggiunse il portico e suonò il campanello.
Din don.
Silenzio.
Din don.
Che fosse successo qualcosa?
«Papà! Rachel! Jake!», provò a chiamare.
Nessuna risposta.
“Così impari a non avvisare”, si rimproverò Rebecca, rendendosi conto che non vi erano auto parcheggiate nelle vicinanze dell’abitazione. Non aveva informato nessuno del suo arrivo. L’unico membro della famiglia con cui aveva mantenuto dei contatti costanti era sua sorella gemella Rachel. In quell’ultimo periodo, però, non si erano sentite spesso. Sapeva soltanto che l’estate precedente Rachel era tornata a La Push per le vacanze e che da allora non se n’era più andata.
«E adesso?».
Le faceva male la schiena, aveva le caviglie gonfie e la vescica stava per straripare: in quei momenti Rebecca odiava essere incinta. Aveva bisogno di andare in bagno e distendersi su un letto. Purtroppo non poteva fare nulla di tutto ciò, visto che la casa era deserta e che lei era chiusa fuori.
“Chiusa fuori”.
La chiave di emergenza! Chissà se esisteva ancora.
Con grande difficoltà si inginocchiò per terra. Usando un sottile ramo come leva, sollevò un’asse del pavimento del portico e…
«Bingo!», esultò la ragazza, ammirando la mitica chiave che in passato l’aveva salvata diverse volte. Era stata sua madre a inventare quell’escamotage: spesso, quando la sera usciva con gli amici, Rebecca dimenticava di portare con sé le chiavi di casa. Grazie a quell’espediente, ogni volta che rincasava tardi, la ragazza non era costretta a svegliare tutta la famiglia per farsi aprire la porta. A quanto pareva, anche le vecchie abitudini erano rimaste immutate a casa Black!
Una volta dentro, si precipitò in bagno. Subito dopo chiamò Sol per informarlo che era arrivata sana e salva. Infine, non sapendo se e quando qualcuno si sarebbe fatto vivo, esausta per il lungo e faticoso viaggio, si distese sul letto della camera che per anni aveva condiviso con la sorella gemella. Si rannicchiò sotto le coperte - non era più abituata al freddo di La Push - e si addormentò quasi subito.



Rebecca era sicura di trovarsi in un sogno.
Provava una strana sensazione di calore e a La Push non faceva mai caldo, nemmeno in agosto. Inoltre c’era qualcuno, sdraiato accanto a lei sul letto, che le accarezzava il braccio lentamente e faceva scorrere le dita sulla sua pelle, su e giù, dalla spalla al gomito. Non poteva che essere suo marito, perché anche nei sogni erotici Rebecca era sempre stata una moglie fedele.
Quasi sempre.
Ma, dopo tutto, sognare di trovarsi in atteggiamenti intimi con Johnny Depp non poteva essere considerato un vero tradimento, giusto? Ad ogni modo, Rebecca stava sognando: non aveva alcun dubbio. Tenne gli occhi chiusi per godersi quel dolce tepore, mentre qualcosa di morbido e altrettanto caldo - probabilmente le labbra di Sol - sfiorava la sua spalla.
«Finalmente ti sei svegliata», sussurrò lui.
«Uhm…», mugugnò lei come risposta.
«Non pensavo di trovarti a casa a quest’ora, per giunta tutta sola».
Da quando la voce di Sol era così roca?
Forse stava sognando Johnny Depp. Di nuovo.
Rebecca era sdraiata su un fianco, mentre Sol o Johnny, disteso dietro di lei, le baciava il collo. Le coperte in cui Rebecca era avvolta mantenevano i loro corpi separati. Ciononostante, la ragazza avvertiva il bacino di lui premere contro le sue natiche.
«Hai un odore diverso», constatò lui, fiutando l’aria come un cane da caccia. «Sei stata in spiaggia? Odori di mare».
«Ti piace?», chiese lei, sorridendo.
«Certo, mi piace tutto di te», rispose lui, malizioso e sensuale.
Una mano si insinuò sotto le coperte, si chiuse a coppa sul seno della ragazza e le strappò un ansito di piacere.
«Anche il tuo sapore è diverso», continuò, leccandole il lobo. «Sei… salata».
«Chi sei? Il lupo cattivo?».
Nell’udire quella battuta, le dita del ragazzo si strinsero possessive sul seno di Rebecca. Poi, senza alcun preavviso, la fece voltare e la baciò. Mentre le loro lingue si accarezzavano a vicenda, Rebecca sentì la mano del ragazzo lasciare libero il seno e spingersi più in basso, fino a raggiungere il…
«Cazzo!».
…pancione.
Il ragazzo le strappò bruscamente le coperte di dosso. Rebecca aprì gli occhi e il panico la paralizzò per alcuni secondi. Quella faccia, quegli occhi che stavano fissando sconvolti il suo pancione…
E finalmente comprese.
Rebecca non stava sognando. No, no, no! Rebecca era sveglia.
Si trovava nel letto della sua vecchia camera.
Nella casa di suo padre.
A La Push.
E cosa ancora più importante…
«Tu non sei Sol!».
«Chi?».
«E nemmeno Johnny!».
«Come?».
Le bastò un attimo.
Rebecca afferrò l’abatjour che si trovava sul comodino accanto al letto e con tutta la forza che aveva in corpo colpì in pieno volto l’uomo che ancora la stava sovrastando.
«Ahia! Sei impazzita? Perché lo hai fatto?».
La ragazza non credeva ai propri occhi. L’arma impropria si era frantumata in mille pezzi. Il pervertito, invece, non si era fatto neanche un graffio e continuava a fissarla con sguardo ebete.
«Tu non sei Rachel!», esclamò lui. Gli occhi illuminati da una nuova consapevolezza.
«Cosa?».
Proprio in quel momento la luce della stanza si accese e il tipico rumore delle uova che si rompono attirò la loro attenzione.
«Rachel!», urlarono all’unisono il maniaco e Rebecca.
La nuova arrivata, che aveva fatto cadere le buste della spesa sul pavimento, sembrava essersi cristallizzata sul posto. Gli occhi castani di Rachel, sgranati per lo stupore, si posarono sulla sorella gemella.
«Rebecca!».
Poi si spostarono sul pervertito.
«Paul!».
Infine tornarono nuovamente su Rebecca, la quale con un sorriso tirato sulle labbra esclamò: «Sorpresa!».





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Nota autore:
Salve a tutti!
Come giustificare questa pazzia?
Beh…
È successo che l’altro ieri avevo un disperato bisogno di scrivere qualcosa di nuovo per prendermi una pausa dalla long a cui sta lavorando, così ho aperto un nuovo documento word e dopo qualche minuto ho avuto la folgorazione.
Non ho mai letto una ff su Rebecca Black, la sorella gemella di Rachel. Nei libri della Meyer viene nominata in tutto due volte:
“…Rebecca ha sposato un surfista samoano, adesso vive alle Hawaii…” (Twilight, capitolo sei).
“… Ai membri del consiglio, nessuno escluso, è venuto quasi un colpo quando mia sorella ha rifiutato una borsa di studio parziale e si è sposata…”(New Moon, capitolo sette).
Rebecca è l’unico membro della famiglia Black che non è stato coinvolto nei fatti dei libri e che non sa assolutamente niente riguardo agli eventi verificatisi a Forks mentre era via (perfino sua sorella Rachel conosce la verità, visto che è l’oggetto dell’imprinting di Paul).
Perciò mi sono chiesta, che cosa succederebbe se lei tornasse a La Push, dopo gli avvenimenti di BD?
Con questa ff cercherò di rispondere a tale domanda.
Sarà un fan fiction breve: al massimo tre capitoli.
Il prossimo aggiornamento è previsto tra due settimane.
Spero che questo primo capitolo sia stato di vostro gradimento.

A presto, vannagio.

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Capitolo 2
*** Il babysitter scodinzolante ***


Papà, ti presento tuo nipote!


2. Il babysitter scodinzolante





«Come hai potuto fare una cosa del genere?».
Rebecca sbuffò e roteò gli occhi, esternando platealmente tutta la sua esasperazione.
«Sono tua sorella!».
Rebecca era famosa per avere un colabrodo al posto della memoria, ma quel particolare lo ricordava benissimo. Purtroppo.
«Sorella gemella!».
Non aveva dimenticato neanche quel dettaglio, ma apprezzava il fatto che Rachel lo stesse ripetendo più volte: adesso Rebecca era sicura che non l’avrebbe mai più scordato.
“Grazie, Rachel”, pensò sarcastica.
«Mi è quasi venuto un infarto».
Rebecca rivolse uno sguardo scocciato al perver… - ops! - al ragazzo di sua sorella, che spaparanzato sul divano con le gambe divaricate si ingozzava di patatine e teneva gli occhi fissi sullo schermo del televisore. Possibile che non provasse nemmeno un filo di imbarazzo per quello che era successo?
«Non sei cambiata per niente».
Rebecca si costrinse a riportare lo sguardo sulla sorella, senza smettere di domandarsi che cosa ci avesse visto Rachel in un tale troglodita.
«Mi stai ascoltando, sì o no?», chiese infine Rachel. Portò le mani ai fianchi, inarcò il sopraciglio e la squadrò con espressione stizzita.
Rebecca sorrise istintivamente. Nonostante sembrassero fatte con lo stampino, era Rachel quella che, delle due, assomigliava più alla madre. Non si trattava di una somiglianza fisica ma di gesti, espressioni, modo di parlare… tutto un insieme di cose che evocavano il volto di Sarah Black in una maniera impressionante. Non era difficile capire, quindi, perché Rachel fosse di gran lunga la preferita del padre.
«Rebecca!», esclamò Rachel al limite della sopportazione.
«Ehm… sì, sì! Ti ascolto», rispose frettolosamente, anche se in realtà si era persa gli ultimi cinque minuti di ramanzina.
Rachel sospirò, scosse la testa con fare rassegnato e si lasciò cadere sulla poltrona accanto alla sorella. Rebecca aveva cercato di spiegare a Rachel che l’increscioso incidente accaduto poco prima non fosse colpa sua. Lei stava dormendo e non poteva farci nulla se il perver… - ops, un'altra volta! - se Paul le era saltato addosso, troppo arrapato per accorgersi che stava irretendo la gemella sbagliata.
«Insomma, sto per diventare zia e non mi hai detto niente?».
Rebecca si voltò di scatto verso la sorella, fissandola con occhi sbarrati.
«Come?».
«Perché sei così sorpresa? Dovevi immaginare che mi sarei infuriata, scoprendo che mi avevi nascosto una cosa tanto importante», continuò Rachel. Il suo volto si era addolcito improvvisamente. Posò una mano sul pancione di Rebecca e cominciò ad accarezzarlo affettuosamente. «E poi sei piombata qui, all’improvviso, senza degnarti di avvisare».
Rebecca era rimasta spiazzata da quella rivelazione.
«Pensavo che…», la frase le morì in gola, quando Rachel prese a guardarla con espressione perplessa. Rebecca lanciò un’occhiata in tralice a Paul, che non sembrava interessato alla loro conversazione, e poi tornò a scrutare il volto della gemella con sguardo interrogativo. «Non sei arrabbiata per…».
«Cosa? No, no!». Rachel si lasciò scappare una risata allegra. «Non è colpa di nessuno: tu stavi dormendo nella mia stanza e, insomma, abbiamo la stessa faccia. Paul ha tratto le conclusioni sbagliate. Tutto qui. Certo, da parte sua non mi sarei mai aspettata uno sbaglio del genere, soprattutto considerando alcune sue capacità».
“Capacità?”.
Ma Rachel non sembrava incline a spiegarsi meglio. Scrollò le spalle e le rivolse un sorriso mite.
«Errare è umano. Paul non mi tradirebbe mai».
Così dicendo, Rachel si alzò, raggiunse Paul e gli scoccò un bacio sulla fronte.
Il ragazzo rimase impassibile di fronte a quella pubblica dimostrazione d’affetto, ma quando la ragazza gli diede le spalle per tornare a sedersi sulla poltrona, con un gesto fulmineo l’afferrò per la vita e la fece cadere tra le sue braccia.
«Dove pensi di andare, dolcezza?».
La baciò sul collo, senza alcun pudore, mentre il soggiorno si riempiva delle risate ilari di Rachel.
Rebecca fissava la coppia come se stesse assistendo al rituale di accoppiamento di due marziani. Quella non era sua sorella. La dolce e pudica Rachel. La ragazza dedita esclusivamente allo studio che conosceva lei non si sarebbe mai comportata in quel modo in casa del padre. Quelle erano cose che faceva Rebecca, non Rachel!
Ripresasi dallo shock iniziale, Rebecca si schiarì la voce per ricordare ai due piccioncini che lei si trovava ancora nella stanza. Senza nascondere un certo fastidio per l’essere stato interrotto, Paul lasciò andare Rachel.
«Sta’ tranquilla, non sono arrabbiata con te, come potrei? Sei la mia pazza sorellina e ti voglio un mondo di bene». Rachel si lanciò su Rebecca e la abbracciò di slancio con tutta la forza che aveva in corpo. «Sono felice che tu sia tornata, finalmente».
Rebecca ricambiò l’abbraccio con entusiasmo. E una parte dei suoi timori vennero dissipati dall’affetto incondizionato della sorella.
«Anche se…». Un sorriso sornione comparve sul volto di Rachel, quando si slacciò dall’abbraccio di Rebecca. «A essere onesta, trovo inquietante la facilità con cui finisci sulle labbra dei ragazzi altrui. Pensavo che con il matrimonio avessi messo la testa a posto».
«Che cosa intendi?».
Rebecca fece la finta tonta e incrociò le braccia al petto in atteggiamento difensivo.
«Ti concedo tre parole», rispose Rachel, mettendole davanti al naso tre dita. «Abete, bacio, Sam!».
Rebecca sbuffò per la seconda volta nel giro di pochi minuti. Erano passati sette anni e ancora veniva perseguitata per quel misero bacio. Certo, tanto misero non era stato. Sam Uley se la cavava abbastanza bene come baciatore e il fatto che fosse anche un bel ragazzo non guastava. Tuttavia Rebecca trovava ridicolo quell’accanimento.
Okay, era vero. Leah Clearwater - a quei tempi una delle sue migliori amiche - aveva sempre avuto una cotta pazzesca per Sam e probabilmente Rebecca avrebbe dovuto tenere in considerazione quel piccolo particolare. Ma era stato Sam a baciarla per primo!
Certo, lei lo aveva desiderato con tutta se stessa - non poteva negarlo - ma la cosa si era fermata lì: un bacio e una storia estiva della durata di un mese. La prima cotta, il primo amore. Quello che non si scorda mai e che fa sorridere come dei cretini ogni volta che ci si ripensa.

Accadde tutto durante l’estate insolitamente calda del duemila.
A La Push non faceva mai veramente caldo - nemmeno ad agosto -, ma quell’anno sembrava che l’inferno fosse emerso dal centro della terra e si fosse trasferito definitivamente alla riserva.
Per sfuggire alla calura di mezzogiorno, Rebecca aveva preso l’abitudine di rifugiarsi sotto la chioma del grande abete, che sovrastava lo spiazzo di fronte alla casa dei Black. Quel giorno, seduta ai piedi dell’albero con la schiena appoggiata al tronco, teneva gli occhi chiusi e in silenzio, persa nelle sue fantasie di quattordicenne, ascoltava il canto degli uccellini e il cicaleggio ipnotico delle cicale impazzite.
«Ciao».
Rebecca sorrise automaticamente, senza aprire gli occhi. Non aveva bisogno di
vedere per riconoscere il proprietario di quella voce.
Sam Uley.
Le loro madri si frequentavano spesso e così era nata una strana amicizia tra i due ragazzini. E nelle ultime settimane quel legame si era intensificato parecchio.
Rebecca avvertì uno spostamento d’aria accanto a lei.
Sam si era seduto al suo fianco.
Il braccio del ragazzo sfiorò appena quello di Rebecca, e lei, già in fibrillazione per la sua vicinanza, dovette mordersi il labbro inferiore per impedirsi di sussultare a causa di quel contatto inaspettato.
Rebecca era talmente sudata che la camicetta di cotone le si era appiccicata addosso come una seconda pelle e non era una sensazione piacevole.
Faceva troppo, troppo caldo.
«Dormi?», chiese Sam.
Il fiato caldo di lui le solleticava il viso -
era troppo, troppo vicino - e il suo cuore perse un battito nel giungere a tale consapevolezza.
«No», rispose Rebecca con un filo di voce. Deglutì a vuoto.
La sua gola era troppo, troppo secca.
Le goccioline di sudore scorrevano lungo le tempie e scendevano giù, giù fino a raggiungere il mento. Il dito di Sam si posò sulla guancia di Rebecca e ne raccolse una.
La ragazzina avvertiva sulla sua pelle il calore emanato dal corpo dell’amico -
decisamente troppo, troppo vicino - ma non aveva il coraggio di aprire gli occhi: temeva che anche il più piccolo dei movimenti avrebbe rotto l’incantesimo e infranto i suoi sogni.
All’improvviso, le labbra di Sam - così calde, morbide, bagnate - si posarono su quelle di Rebecca. E il suo cuore parve esplodere per l’emozione.
Sam, impacciato e tremendamente inesperto, sfiorava timidamente gli angoli della sua bocca, chiedendo il permesso per osare di più. E lei, ancora più imbranata di lui, cercava di trarre insegnamento da tutti quei film romantici e strappalacrime che sua sorella Rachel l’aveva costretta a guardare.
Finalmente dischiuse le labbra, affacciandosi così a un mondo fatto di sensazioni nuove e sconosciute, dal sapore esotico e proibito.
Il sapore di Sam.

La loro piccola storia d’amore era durata un mese. Si era estinta insieme al caldo torrido di quella strana e indimenticabile estate. Sam si era fidanzato con Leah Clearwater mezz’anno più tardi, Rebecca aveva incontrato Sol, l’uomo della sua vita…
E vissero tutti felici e contenti.
Più o meno.
Rebecca decise che era meglio cambiare argomento.
«Dove sono Jake e… papà?», chiese, mostrando titubanza sull’ultima parola.
Rachel sembrò non fare caso al repentino cambio di argomento.
«Papà è andato a pescare con Charlie Swan. Ti ricordi di lui? L’Ispettore Capo Swan?».
«Sì, sì, certo», la interruppe Rebecca, annoiata. «Ha una figlia dal nome italiano, noiosa come un ghiro in letargo e fredda come un ghiacciolo».
«E non hai idea di quanto lo sia adesso. Fredda, intendo», si intromise Paul, sghignazzando come un cretino e guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Rachel.
«Bella non è fredda», si affrettò a replicare Rachel. «È una ragazza molto timida, poco espansiva forse, ma tutto sommato simpatica».
Paul non voleva smettere di ridacchiare e Rebecca iniziava a temere per le facoltà mentali del perver - ehm - ragazzo.
Tuttavia lo ignorò e si rivolse ancora una volta alla sorella.
«E Jake?».
Non vedeva l’ora di riabbracciare il suo piccolo, dolce, tenero, impacciato fratellino.
Purtroppo per lei, fu di nuovo Paul a rispondere.
«È molto preso dal suo nuovo lavoro».
«Lavoro? Che tipo di lavoro?», chiese Rebecca, aggrottando la fronte.
Dare corda al deficiente era l’ultimo dei suoi desideri, ma la curiosità era più forte del suo orgoglio. Possibile che Jake avesse iniziato a lavorare presso un’officina, proprio come aveva sempre desiderato?
«Il babysitter scodinzolante», rispose lui e scoppiò in un’altra, fragorosa risata. Assomigliata tantissimo a un latrato, pensò Rebecca. Ma dove diavolo l’aveva trovato? In un manicomio?
«E guadagna bene?», chiese poi. Non riusciva a trattenersi.
«Sicuramente gli è andata meglio che a Quil. Quel poveretto dovrà aspettare ancora molto tempo prima di… riscuotere. Ma sono io quello davvero fortunato». Rivolse un’occhiata lasciva a Rachel, che avvampò come una scolaretta in calore.
Stavano ancora parlando di bambini?
Rebecca aveva dei seri dubbi in merito. Inoltre stava veramente perdendo la pazienza. Aveva la netta sensazione che tra quei due ci fosse una sorta di linguaggio in codice che lei non riusciva a decifrare.
«Vado a farmi una doccia», annunciò offesa.
Lasciò la stanza senza degnare di uno sguardo il demente, che presto, sfortunatamente, sarebbe diventato suo cognato.



Dopo una rigenerante doccia calda, Rebecca si diresse in cucina. Fu subito costretta, però, a deviare il percorso verso il giardino, poiché una certa sorella gemella di nome Rachel e un individuo ancora-in-attesa-di-una-qualche-classificazione, rispondente al nome Paul, avevano avuto la bella pensata di darsi alla pazza gioia sul ripiano da lavoro della cucina.
«Rebecca potrebbe tornare da un momento all’altro».
Rachel ansimava in maniera indecente, mentre si aggrappava alle spalle di lui.
«In questo momento non mi importa un granché di tua sorella», aveva risposto Paul, impegnato in chissà quali attività.
Quasi correndo, Rebecca raggiunse la porta sul retro, la spalancò con violenza e si ritrovò nel giardino di casa Black. Si sedette sulla vecchia panca che risaliva ai tempi di suo nonno e fece finta di non sentire i sospiri che provenivano dall’interno della casa.
Rebecca era semplicemente allibita e ciò, già di per sé, non era una cosa molto rassicurante.
Non era una ragazza che si faceva sconvolgere tanto facilmente e il ripiano da lavoro della cucina non era il posto più strano in cui avesse fatto l’amore. Tuttavia la nuova versione di sua sorella l’aveva decisivamente spiazzava.
Che diavolo stava succedendo?
Quando era scesa dal taxi, Rebecca aveva avuto la sensazione che tutto fosse rimasto uguale a come lo aveva lasciato. Adesso, invece, cominciava a pensare che il detto ‘l’apparenza inganna’ facesse proprio al caso suo.
Chiuse gli occhi e cercò di calmarsi.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
L’inutilità del corso preparto diventava sempre più evidente.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Come avrebbe reagito suo padre, se avesse scoperto che la sua bambina prediletta - dalla fedina penale immacolata - trascorreva il suo tempo con un aitante ragazzone super pompato in un modo tutt’altro che casto?
Probabilmente sarebbe esploso.
Rebecca ridacchiò tra sé e sé. Stava ripensando alla volta in cui Billy Black l’aveva colta in flagranza di reato con Sol nel capanno degli attrezzi. Sul momento, a dire il vero, non si era divertita un granché. A distanza di tre anni, però, Rebecca doveva ammettere che si trattava di un aneddoto davvero esilarante da raccontare.
Anche se non condivideva i suoi gusti in fatto di uomini, Rebecca era felice per Rachel. In fondo… chi era lei per giudicare? Lei che aveva fatto il diavolo a quattro pur di sposare Sol? Per la prima volta Rachel si stava godendo la vita.
«Nice guys finish last. E ti assicuro che vale anche per le ragazze. Molla i libri e trovati un pollo: troppo studio fa male». Rebecca glielo aveva ripetuto spesso.
Finalmente Rachel aveva cominciato a darle retta.



«Chi sei?», chiese qualcuno.
Rebecca si era addormentata sulla panca senza rendersene conto: un altro effetto collaterale della gravidanza che non sopportava. Aprì gli occhi, sbattendo stupidamente le palpebre, e per la seconda volta nello stesso giorno pensò di stare sognando.
In piedi di fronte a lei, una bellissima bambina la stava fissando con espressione curiosa e sinceramente interessata.
«Rebecca. E tu?», rispose la ragazza.
Da dove era saltata fuori quella bambina? Si guardò intorno ma non c’era nessun altro nei paraggi. Forse era la nipote o la figlia di qualche vecchio conoscente. La esaminò attentamente, nel tentativo di riconoscere qualche tratto somatico familiare. Il viso tondo e paffuto era incorniciato da piccoli boccoli castano-rossicci che le ricadevano oltre le spalle. La pelle era così bianca da sembrare trasparente, ma le guance erano colorate da una spruzzata di rosa. Gli occhi castani, troppo intelligenti per una bambina di sei anni, trapassavano Rebecca da parte a parte, come per capire quali fossero le sue intenzioni.
«Ti sei persa?», domandò ancora Rebecca con un sorriso gentile. «Sei da sola? Come sei arrivata qua?».
La bimba scosse la testa.
Prima che potesse aggiungere qualcos’altro, un richiamo ansioso attirò la loro attenzione.
«Nessie, Nessie!». Le grida provenivano dal bosco. Si trattava di un ragazzo, forse un uomo. «Quante volte devo dirti di non scomparire in questo modo?». Insieme alla voce profonda, che per Rebecca aveva un non so che di familiare, dalla vegetazione emerse una figura imponente e massiccia. «E se non ti avessi ritrovata? Hai idea di che cosa mi avrebbero fatto tua madre e quella psico-bionda che ti ostini a chiamare zia? Per non parlare di tuo…». Il ragazzone, che inizialmente si era chinato per prendere in braccio la bambina, si era bloccato a metà del movimento. Lo sguardo puntato su Rebecca.
No, non poteva essere lui.
La bimba stava osservando la scena incuriosita.
«Rebby?».
«Jake? Sei tu?».
No. Rebecca scuoteva la testa, incredula e frastornata. Quel coso enorme, alto quasi due metri, con i capelli corti e spettinati, non poteva essere davvero suo fratello. Il suo piccolo, dolce, tenero, impacciato fratellino!
«Jake!», urlò di gioia Rebecca.
Raggiante, gli corse incontro e si buttò tra le sue braccia. Il ragazzo la sollevò da terra e ruotò su se stesso, ridendo allegramente.
«Non ci posso credere! Che cosa ti è successo?», chiese Rebecca, alludendo a quell’incredibile cambiamento fisico. Jake non dimostrava per niente i suoi diciassette anni: sembrava più grande. Molto più grande!
«Sono cresciuto», rispose lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Gettò la testa indietro e scoppiò a ridere come un matto. «Tu, piuttosto», aggiunse tra una risata e l’altra. «Ti mancavo talmente da annegare il dispiacere nel cibo?», domandò, indicando la pancia di Rebecca.
«Sono incinta, idiota!», lo rimproverò lei scherzosamente.
Jacob impallidì.
«Vuoi dire che… che…», balbettò impacciato.
Fisicamente poteva passare per un uomo adulto, ma Jake rimaneva lo stesso ragazzino imbranato di sempre. Quel pensiero la rincuorò un po’: forse, in fondo, non proprio tutto era cambiato. Un sorriso materno attraversò il viso di Rebecca.
«Sì, stai per diventare zio. Tanti auguri, Jake», disse, ridendo dell’espressione scioccata del fratello.
Mentre Jake fissava la pancia di Rebecca con la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite, la bimba di nome Nessie gli andò vicino. Strattonò un lembo dei suoi bermuda consumati e costrinse il ragazzo ad abbassare lo sguardo nella sua direzione. Indicò il pancione di Rebecca e dopo aver posato una manina paffuta sul polpaccio di Jake, rimase in attesa di chissà che cosa.
«Sì, mostriciattolo. Lì dentro c’è un bambino. Lei è mia sorella Rebecca. Ti ho parlato di lei qualche volta, ricordi?››, spiegò Jake, rivolgendole un sorriso dolcissimo. Sotto lo sguardo da cerbiatto della bimba, Jake si sciolse letteralmente, neanche fosse fatto di burro. Rebecca assisteva a quella strana conversazione - sempre che conversazione fosse il termine corretto, visto che la bambina non aveva aperto bocca - senza nascondere stupore e meraviglia: quei due riuscivano a capirsi senza bisogno di usare le parole.
«Ma allora è vero!», esclamò infine Rebecca, incapace di trattenersi.
«Cosa?», chiese Jake, allarmato.
«Che fai il babysitter».
Un latrato li raggiunse dall’interno della casa, interrompendo lo scambio di battute.
«Giuro che prima o poi lo ammazzo», ringhiò Jake, fissando con espressione torva l’entrata dell’abitazione.
La risata aumentò di volume. Paul aveva sentito tutto.
Proprio il quel momento, però, sopraggiunse un altro ragazzo, che era sbucato dal bosco proprio come Jacob.
«Per fortuna l’hai trovata!».
Il nuovo arrivato sembrava sinceramente sollevato di vedere Nessie accanto a Jake.
«Tutto a posto, Seth».
Seth? Seth Clearwater? Il fratello minore di Leah? Che cosa mangiavano per colazione i ragazzi della riserva? Latte e steroidi? Se i calcoli di Rebecca erano esatti, Seth aveva circa quindici anni. Ne dimostrava venti, invece, come minimo.
«Ho preso due piccioni con una fava. Ti ricordi di mia sorella Rebecca?», chiese Jacob, mettendo un braccio intorno alle spalle della sorella.
Fu solo in quel momento che Seth si accorse della ragazza.
Nel momento esatto in cui suoi occhi incontrarono quelli di Rebecca, sul piccolo giardino di casa Black cadde un silenzio inquietante e carico di tensione, che venne interrotto soltanto dalla…
«Merda!».
…elegante esclamazione di Jacob.





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Nota di fine capitolo.
*Nice guys finish last: titolo di una canzone dei Green Day, facente parte dell’album Nimrod.





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Note autore:
Allora?
Piaciuto il secondo capitolo?
Spero di sì.
Ho pubblicato il capitolo, prima di quando avevo annunciato, ma le mani mi prudevano per la voglia di scrivere... non so quando posterò il prossimo capitolo: rimaniamo di nuovo tra due settimane, prima sì, dopo no! :)
Non ci sono molte precisazioni da fare su questo capitolo, quindi lascio a voi la parola.
Dimenticavo…
Contrariamente a quanto avevo annunciato nel precedente aggiornamento, questa storia potrebbe contare qualche capitolo in più rispetto ai tre preannunciati. Non so ancora quanti, ma sicuramente il prossimo aggiornamento non sarà l’ultimo.
Prima dei ringraziamenti, inoltre, voglio consigliarvi una one-shot davvero carina: Everything is changed for you di Dackota. Anche questa ff vede protagonista Rebecca Black.
Poiché Dackota ed io abbiamo pubblicato le nostre storie su questo personaggio quasi in contemporanea, mi sembra giusto farle un po’ di pubblicità.
Perciò, andate a dare uno sguardo, ok?

Ringraziamenti.
Per noe_princi89: grazie! Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento. Fammi sapere. A presto, vannagio.
Per edwardina4e: grazie per i complimenti. Cosa ne pensi di questo capitolo? A presto, vannagio.
Per Dackota: ciao carissima! Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto e che apprezzi il carattere della “mia” Rebecca. Nei libri, vengono spese poche parole su di lei, ma stranamente mi sono bastate per delineare facilmente la sua personalità. Ho subito pensato a lei come a una ragazza che ha avuto un rapporto conflittuale con i genitori e che non ha risparmiato grattacapi al padre. Per questo motivo il rapporto con Billy non sarà dei più armoniosi (infatti nella mia storia Rebecca non tornava a La Push da tre anni, cioè da quando era “scappata” con il surfista samoano). Per quanto riguarda la scena con Paul, anch’io mi sono divertita un sacco a scriverla XD. Davvero stai scrivendo un’Originale? Non appena la pubblichi, fammi sapere, ok? Sono molto curiosa di leggerla! Grazie per i complimenti. Bacioni, vannagio.

Ringrazio anche coloro i quali leggono, preferiscono e seguono questa ff.
Mi piacerebbe molto conoscere il vostro parere.
Qualsiasi tipo di giudizio, nel limite della buona educazione, è ben accetto.

A presto, vannagio.

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Capitolo 3
*** La Grande Capa ***


Papà, ti presento tuo nipote!


3 - La Grande Capa





“Inspira, espira. Inspira, espira”.
«Che c’è? Stai male? Ti serve qualcosa? Un bicchiere d’acqua? Te la porto io!».
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
«Forse se la smettessi di sbavarle addosso, starebbe meglio, Seth!».
«È un ordine per caso, Jacob?».
«Potrebbe esserlo. Mi serve solo un pretesto, Seth».
La faccenda stava diventando davvero ridicola. Jacob e Seth battibeccavano da circa mezz’ora e Rebecca, seduta tra di loro sul divano, aveva fatto il possibile per tenerli a bada. Alla fine aveva abbandonato il suo intento. Sentiva che presto il panico avrebbe avuto la meglio, perciò si limitava a respirare profondamente per recuperare un po’ di calma.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
«E da quando ti piace il ruolo del fratello geloso, Jacob? Non mi pare che con Rachel e Paul ti sia fatto tanti problemi».
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Rebecca stava prendendo in seria considerazione l’idea di scappare e tornarsene alle Hawaii da Sol. Quanto tempo avrebbe impiegato una donna incinta al settimo mese di gravidanza come lei, per raggiungere a piedi la stazione dei pullman più vicina?
Probabilmente avrebbe partorito prima di arrivare.
Una vampata di calore la colse, facendola diventare paonazza.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Se i due mocciosi non ponevano fine a quel teatrino, molto presto - ne era certa – avrebbe maledetto il giorno in cui aveva deciso di tornare a La Push. La riserva era sempre stata un luogo tranquillo - quasi noioso - in cui vivere, ma al momento le sembrava solo una mini-gabbia per matti.
Un’altra vampata di calore le fece girare la testa.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Perché sentiva così caldo? Chi diavolo aveva acceso i termosifoni?
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
«Che c’è? Stai male? Ti serve qualcosa? Un bicchiere d’acqua? Te la porto io!».
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
«Per favore, Seth! Non starle così appiccicato, non vedi che le manca l’aria?».
«Sei tu che stai sempre in mezzo ai piedi. Perché non vai a farti un giro?».
Impegnata a intrattenere la piccola Nessie, Rachel lanciava occhiate preoccupate nella loro direzione. Paul, invece, ridacchiava senza posa. Si stava divertendo parecchio, a giudicare dalla sua espressione, e l’insofferenza di Jacob verso quelle risate mal celate non faceva altro che aumentare la sua ilarità.
Rebecca non riusciva a capire cosa stesse accadendo. A quanto pareva, il fratello di Leah Clearwater, Seth, si era invaghito di lei in meno di cinque secondi - cosa al quanto bizzarra - e Jacob non sembrava gradire.
Neanche Rebecca, a dire il vero.
Altre volte aveva visto ragazzi più giovani di lei mostrare interesse nei suoi confronti, ma non aveva mai conosciuto qualcuno di così… asfissiante! E poi, anche se si trattava di un adolescente in preda agli ormoni, quanto meno un po’ di contegno era d’obbligo, no?
“Sono una donna sposata e incinta, per Dio!”.
Caspita! Aveva davvero usato l’esclamazione ‘per Dio’? La situazione era più grave del previsto, allora.
L’ennesima vampata la costrinse ad afferrare una rivista di moda, abbandonata sul tavolinetto, e a usarla come ventaglio improvvisato.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
«Che c’è? Stai male? Ti serve qualcosa? Un bicchiere d’acqua? Te la porto io!».
«SETH!».
Al grido disperato di Jacob, si era aggiunto quello esasperato di Rachel. Paul continuava a sghignazzare come una iena isterica. Aveva perfino smesso di provare a nascondere le risate. La bambina di nome Nessie, invece, osservava la scena con occhi avidi e assorbiva ogni parola come una spugna. Sarebbe rimasta traumatizzata a vita e Jake avrebbe perso il suo lavoro come babysitter!
L’idea di tornare era stata davvero pessima, ormai Rebecca ne era convinta. Solo lei riusciva a creare tanto scompiglio nel giro di poche ore. Il Grande Capo non ne sarebbe stato molto entusiasta. Fortuna che per il momento non era nei paraggi.
«Che ho fatto di male?», piagnucolò Seth, imbronciato.
Nel frattempo il suo braccio era finito, accidentalmente, intorno alle spalle di Rebecca. Ovviamente Jacob non ne fu molto contento.
«Giù le zampe!», ringhiò minaccioso, facendo sussultare Rebecca.
«Paul? Potresti fare qualcosa, per favore?», domandò Rachel con tono supplichevole, rivolgendo al fidanzato un’occhiata disperata.
Con una smorfia dispiaciuta e un borbottio contrariato - che assomigliava tanto a un «Devo proprio? È così divertente» -, il ragazzone afferrò il giovane Seth per il bavero della camicia, lo trascinò senza sforzo lontano dal divano e lo costrinse a sedersi su una sedia accanto al televisore. Infine si lasciò sprofondare di nuovo tra i cuscini della poltrona. In quel modo riusciva contemporaneamente a seguire il programma televisivo e a tenere d’occhio il ragazzo. Per la serie ‘unire l’utile al dilettevole’!
Nonostante le proteste di Seth per l’essere stato trattato come una specie di bambolotto di pezza, la tensione si allentò immediatamente.
Le vampate di calore scomparvero. La tipica aria fresca di La Push entrava dalla finestra del soggiorno e solleticava il viso della ragazza dandole sollievo. Rebecca si tranquillizzò quasi subito e rivolse un sorriso riconoscente alla sorella, la quale scrollò le spalle come se non avesse fatto nulla di speciale.
In realtà Rebecca avrebbe dovuto ringraziare Paul, ma non si sentiva pronta a trattarlo come una persona normale. Prima voleva essere sicura che fosse davvero normale - ne dubitava fortemente -, poi, forse, in un futuro molto lontano...



Il pomeriggio trascorse lento e noioso.
Rachel era impegnata a preparare la cena. Rebecca la seguiva come un’ombra, ufficialmente per darle una mano, ufficiosamente per mantenersi alla larga da Seth che non voleva sapere di andarsene.
«Non ce l’ha una casa?», chiedeva scocciata.
Jacob orbitava tra il soggiorno e la cucina. Sembrava indeciso tra il passare del tempo con la sorella che non vedeva da tre anni e il litigare con Seth per convincerlo a sloggiare.
Paul era la tranquillità fatta persona. Con lo sguardo sempre fisso sul televisore, ogni tanto sbiascicava qualche avvertimento a non esagerare con i battibecchi. Solo in quel caso i due ragazzini facevano fronte comune per aggredire verbalmente il fidanzato di Rachel.
«Non puoi dirmi cosa fare, questa è casa mia!», gli ricordava Jacob.
«Chi ti credi di essere? Non sei il mio capo, non puoi darmi ordini», esclamava Seth, digrignando i denti.
Fortunatamente la piccola Nessie era tornata a casa e quindi non poteva assistere agli schiamazzi di quei tre pazzi. Jacob aveva telefonato alla sua famiglia, spiegando il perché non potesse riaccompagnarla personalmente. Dieci minuti dopo, il padre più giovane e bello che Rebecca avesse mai visto era venuto a riprendersi la figlia.
Il ragazzo aveva rivolto un educato saluto a tutti i presenti. Quando, però, il suo sguardo si era posato su Seth, un’espressione stupita si era dipinta sul suo viso perfetto. Aveva scosso la testa con aria profondamente turbata e poi se n’era andato prendendo in braccio la piccola Nessie.
«Accidenti!».
«Già!», commentò Rachel, annuendo con convinzione.
A quanto pareva, Rebecca non era l’unica ad aver notato l’anomala bellezza del ragazzo-padre.
«Per favore, non cominciare anche tu», la rimproverò Jacob, stizzito.
L’argomento Edward Cullen venne subito accantonato.
Poco più tardi, quando la cena era quasi pronta e Rebecca stava apparecchiando la tavola, ignorando lo sguardo di Seth che la seguiva costantemente, il tipico rumore di frenata annunciò il ritorno di qualcuno. Il motore dell’auto si spense e le portiere vennero chiuse, mentre voci familiari conversavano allegramente. Infine, dei passi sul portico, e la porta si aprì.
Per un soffio Rebecca non fece cascare i piatti per terra.
I due uomini - uno in piedi, l’altro sulla sedia a rotelle - si bloccarono sulla soglia di casa, visibilmente stupiti di vedere il soggiorno così affollato.
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Rebecca era terrorizzata e non sapeva come comportarsi. Suo padre non si era ancora accorto di lei. Doveva attirare l’attenzione su di sé e salutarlo? In realtà avrebbe preferito fuggire e non tornare mai più. Purtroppo, però, quell’opzione non era più disponibile.
Quando aveva deciso di far visita alla sua famiglia doveva essere sotto l’effetto di qualche strana sostanza stupefacente, non poteva essere altrimenti. Perché, adesso che il grande momento era arrivato, non riusciva a ricordare nessuno dei dieci buoni motivi che l’avevano spinta a salire sul quel dannatissimo aereo.
Gli occhi dei due uomini vagarono per la stanza, fin quando non si posarono su di lei.
«Rebecca? Sei veramente tu?», aveva chiesto sbalordito Charlie Swan.
«Sa-salve, Capo Swan. È un piacere rivederla», farfugliò lei.
«Questa sì che è una bella sorpresa, non è vero, Billy?».
Ma Billy Black non sembrava dello stesso avviso.
«Ciao papà», mugugnò la ragazza.
Suo padre la fissava intensamente con un’espressione indecifrabile.
«Sei incinta», costatò.
«Sorpresa», sussurrò lei. Un sorriso forzato le increspava le labbra.
«Congratulazioni! Quanto manca?», domandò Charlie.
Rebecca non ricordava che l’Ispettore Capo fosse stato mai così estroverso. Forse il suo era solo un disperato tentativo di allentare la tensione.
«Ehm, meno di due mesi», rispose distrattamente. Stava cercando di indovinare i pensieri del padre.
«Lui non c’è».
Un’altra concisa costatazione da parte del Grande Capo.
Seth ringhiò appena. Billy Black inarcò un sopraciglio e gli rivolse un’occhiata perplessa.
«A cuccia, Seth», lo richiamò Paul, che miracolosamente aveva spento il televisore e stava assistendo a tutta la scena con grande interesse.
«Ti riferisci a Sol, papà? No, non c’è. Il suo lavoro lo tiene molto impegnato nel periodo estivo», spiegò Rebecca, con tono sprezzante.
Non aveva mai sopportato l’atteggiamento del padre nei confronti di suo marito e quando si trattava di difendere Sol, la ragazza tirava fuori le unghie.
«E ha lasciato che sua moglie incinta prendesse un aereo da sola?».
«So badare a me stessa, papà. Sono cresciuta.», replicò lei, furiosa.
«Lo spero. Per te e per la creatura che porti in grembo».
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Rebecca represse a stento l’istinto di urlare. Come osava mettere in discussione le sue capacità di madre?
“Inspira, espira. Inspira, espira”.
Intanto Billy era tornato a osservare Seth, che si agita nervosamente sulla sedia.
«Che gli è preso?», chiese, rivolgendosi a nessuno in particolare.
«Ehm, è rimasto, come dire, colpito da Rebecca», rispose Jacob, imbarazzato.
«Intendi…».
«Sì».
Rebecca era confusa. Che diavolo c’entrava Seth con la loro discussione?
«Grandioso!», esclamò Billy, esasperato. Charlie gli diede qualche pacca sulla spalla, come a volerlo consolare. «Se solo potessi, mi alzerei da questa maledetta sedia e scapperei a gambe levate*. Che cosa ho fatto di male per finire in questo branco di spostati?».
E continuò a borbottare in quel modo, fin quando non raggiunse la porta della sua stanza e non vi si chiuse dentro.
«Però!», esclamò improvvisamente Rebecca, tirando un sospiro di sollievo. «La vecchiaia lo ha addolcito parecchio!».
Un silenzio imbarazzato seguì la sua battuta.
Poi Paul scoppiò a ridere come un demente.



I giorni seguenti trascorsero lentamente o troppo velocemente, a seconda dei punti di vista.
Rebecca e suo padre non si rivolgevano la parola. Di solito quando provavano a discutere finivano sempre con il litigare, quindi quel silenzio forzato era un netto passo in avanti nel loro rapporto padre-figlia.
Nonostante ciò, Rebecca stava male per l’atmosfera tutt’altro che allegra che si era instaurata in casa Black. Era tornata a La Push per riallacciare i legami con la famiglia, e soprattutto con il padre. Non voleva che suo figlio crescesse lontano - fisicamente e sentimentalmente - dal nonno. Rebecca aveva sofferto molto per la mancanza dei suoi familiari ma, a quanto pareva, il Grande Capo stava meglio senza di lei.
L’ultima volta che si erano visti Rebecca stava riempiendo una valigia, urlando che avrebbe sposato Sol anche senza la benedizione del padre e del Consiglio degli Anziani. Billy l’aveva minacciata: se avesse osato rinunciare al college e al suo futuro per un piantagrane qualunque, allora non avrebbe dovuto disturbarsi a tornare a casa.
Per questo la ignorava? Perché era tornata anche se lui le aveva intimato di non farlo?
Incomprensioni a parte, Rebecca voleva molto bene a suo padre. Non potevano mettere da parte il passato e provare a ricominciare da capo?
«Concedigli un po’ di tempo», la incoraggiava Rachel.
«Ma io non ho tempo», replicava seccata Rebecca. «Volare dopo la trentesima settimana di gravidanza non è consigliabile. Rimarrò solo qualche altro giorno, Rachel. Sol è preoccupato per me: pensa che tutto questo stress non mi faccia bene. E ha ragione».
«Così presto? Jake ci rimarrà malissimo, per non parlare di Seth. Sei proprio sicura che…».
Ecco un argomento che Rebecca cercava di evitare in ogni modo possibile e che invece Rachel, Jacob e perfino Paul riprendevano in continuazione. Seth!
Quante altre volte avrebbe dovuto ripeterlo? Non provava nulla per quel ragazzino troppo cresciuto! Le faceva una gran tenerezza, certo, quando non diventava appiccicoso come una gomma da masticare. Lo trovava simpatico e divertente, d’accordo, quando non lo sorprendeva ad annusarle i capelli.
C’era qualcosa di davvero strano e inquietante nel suo comportamento, ma gli altri sembravano - o fingevano di - non notarlo.
«No, no e ancora no! Insomma, vi siete messi tutti d’accordo? Volete convincermi a commettere adulterio? Che diavolo è successo alla brava e onesta gente di questo posto?».
In quei casi, Rachel scrollava le spalle e riprendeva a svolgere le sue mansioni senza aggiungere altro.
“Qui gatta ci cova!”.



Dopo una settimana di permanenza a La Push, la situazione con il Grande Capo non era migliorata e Rebecca - nonostante il disappunto del fratello Jacob, che non era ancora disposto a vederla andare via - aveva deciso di ripartire per le Hawaii. Sarebbe salita su quell’aereo anche prima - sapeva riconoscere una causa persa quando la incontrava -, se non fosse stata invitata, insieme al resto dei Black, alla festa di fidanzamento di Emily Young e Sam Uley. Rebecca non poté fare altro che rimandare la partenza al giorno dopo la festa.
Quella sera il giardino di casa Uley era pieno zeppo di gente: una marmaglia di persone alte e massicce si accalcava sul buffet. Erano stati invitati anche i Cullen. La gente di La Push - in particolare Billy Black - aveva abbandonato gli stupidi pregiudizi nei loro confronti. Rebecca si accigliò nell’apprendere quella notizia: suo padre era riuscito a perdonare dei presunti vampiri, ma non la figlia scapestrata?
Jacob pretese di ballare con lei per buona parte della serata, nonostante la ragazza si lamentasse del mal di schiena e delle caviglie gonfie.
«Se avevi in mente di torturarmi, sappi che ci stai riuscendo alla grande», scherzò Rebecca.
«Me lo devi, Rebby. Sei stata via tre anni», replicò lui, ridendo. Ma durò poco, perché Jacob si fece improvvisamente serio. «È a causa del vecchio se scappi via un’altra volta?».
Rebecca non sopportava di vederlo così preoccupato. Gli accarezzò la guancia per consolarlo, come faceva quando era più piccolo e si sbucciava il ginocchio cadendo dalla bici.
«Jake».
Il ragazzo la strinse in un abbraccio caldo e stretto. «Mi mancherai».
«Anche tu, fratellino».
Rimasero così, abbracciati, dondolandosi impacciati a ritmo di musica, fin quando qualcuno non tossicchiò per attirare la loro attenzione.
«Non credi di averla monopolizzata abbastanza, Jacob?».
«Hai una fidanzata per ballare, no?».
Dopo tanti anni, Jacob era ancora geloso della sorella. Rebecca scosse la testa, divertita.
«Nessie ti cerca», gli comunicò Sam. «Credo che si senta un po’ trascurata».
La finta aria impensierita di Sam fece ridere Rebecca. Al contrario Jake prese molto sul serio la notizia. Sgranò gli occhi, preoccupato, e cominciò a guardarsi intorno cercando di individuare la bambina tra la folla. Quando la vide, sbiascicò delle scuse ingarbugliate e correndo via raggiunse Nessie in pochi secondi.
Sam e Rebecca cominciarono a ballare, tentando di non urtare le altre coppie. La ragazza non aveva mai visto tante persone stipate in uno spazio così piccolo.
«Sono arrabbiato con te», esordì Sam. «Sei qui da una settimana e ti vedo solo il giorno prima della tua partenza?».
Rebecca sorrise. Sam non parlava seriamente, era ovvio.
Il loro rapporto si era evoluto in modo particolare. Era nato come una semplice amicizia tra ragazzini. In seguito, era cresciuto, diventando qualcosa di più profondo, molto simile all’amore. Alla fine si era trasformato, definitivamente, in affetto fraterno.
Sam era una specie di fratello maggiore per Rebecca. Non c’era malizia o attrazione nei loro gesti, solo felicità di essersi rincontrati dopo tanto tempo.
«Il matrimonio ti fa bene. Sei sempre stato un ragazzo così cupo, adesso sembri più… sereno», commentò Rebecca. «Sono contenta per te».
Lui si limitò ad annuire con un sorriso aperto e sincero sulle labbra.
«Ho intravisto Leah tra la folla. Rachel mi ha detto che sarà la prima damigella di Emily».
Il volto di Sam si oscurò all’improvviso e Rebecca si diede mentalmente della stupida.
«Scusa, non avrei dovuto», cercò di rimediare, abbassando lo sguardo.
«Non preoccuparti. Leah è una ragazza forte. Ti hanno raccontato che a settembre comincerà il college? Ha affittato un appartamento a Seattle con due amiche. Ha ripreso in mano la sua vita», si fermò un attimo a fissare qualcuno o qualcosa alle spalle di Rebecca. La ragazza si voltò verso quella direzione.
Leah parlava con due ragazze, probabilmente le amiche di cui lui aveva appena accennato.
Sam sospiro. «A volte, però, ripensare a quello che le ho fatto… mi rattrista», spiegò, rabbuiandosi ancora di più.
«Ecco il Mister Musone che conosco. Mi stavo giusto chiedevo dove fosse finito», esclamò Rebecca, tentando di sdrammatizzare. Fortunatamente ci riuscì.
«Ti è sempre piaciuto inventare nomignoli, non è vero Grande Capa?».
«Dovevo pur trovare un modo per non annoiarmi a morte in questo buco di paese».
Scoppiarono a ridere e l’attimo di tristezza fu presto dimenticato.

«Mister Musone?».
«Non è colpa mia se tieni sempre il broncio».
Due ragazzini stavano passeggiando lungo la battigia della spiaggia di First Beach.
Sam, alto e allampanato, leggermente imbronciato per il soprannome che gli era stato affibbiato, camminava con passo calmo e controllato.
Rebecca, dalla corporatura minuta, più bassa di Sam di diverse spanne, saltellava al fianco del ragazzo con fare esuberante.
Sua madre diceva sempre che era una bambina iperattiva.
“Bambina!”.
Rebecca sbuffò a quel pensiero.
Lanciò un’occhiata in tralice a Sam, che fissava l’oceano con sguardo triste.
«Non ti sei offeso… vero?», domandò preoccupata.
Sam aveva un animo molto sensibile, con una spiccata tendenza alla solitudine e alla malinconia. L’idea di averlo ferito in qualche modo la faceva stare male.
«No, non è colpa tua», la rassicurò lui, senza smettere di scrutare le onde.
Finalmente Rebecca capì. Quando Sam guardava il mare, voleva dire che stava pesando all’uomo che aveva abbandonato sua madre. Il ragazzo non lo chiamava mai
‘mio padre’. Perché avrebbe dovuto, se non lo era mai stato?
«Sai quale soprannome ho dato a Billy?», chiese lei per distrarlo.
«No, quale?».
«
Grande Capo».
Sam inarcò un sopraciglio. «Perché è il Capo del Consiglio degli Anziani?».
«No, perché quando prende una decisione, non c’è modo di fargli cambiare idea».
Sam ridacchiò sotto i baffi.
«Un po’ come te, allora… anche tu sei una
Grande Capa!».

Anche in quel caso i cattivi pensieri erano stati scacciati da risate spensierate e teneri baci a fior di labbra.



La festa andava avanti già da diverse ore.
Rebecca era esausta. Per miracolo aveva trovato una sedia libera e così, messa in disparte, concedeva una piccola tregua a schiena e piedi e contemporaneamente studiava i volti delle persone che si aggiravano per il giardino.
Conosceva circa metà degli invitati ma lei si sentiva ugualmente un’intrusa… un’estranea. I suoi familiari e gli amici le volevano un gran bene - non aveva dubbi in merito -, ma Rebecca si sentiva fuori posto.
Forse era troppo tardi. Forse aveva aspettato troppo tempo per tornare.
Sembrava quasi che in quei tre anni si fosse creato un muro tra Rebecca e le persone cui voleva bene. Perfino gli schivi e misteriosi Cullen si erano inseriti meglio di lei.
Oppure… forse erano solo la paranoia e la frustrazione per non aver risolto i problemi con suo padre a darle quell’impressione.
Lontano da dove si trovava Rebecca, vicino al tavolo dei regali, Billy stava conversando con il Dottor Carlisle Cullen.
La piccola Nessie lasciò andare la mano della madre e corse ad abbracciare le gambe del dottore, che le arruffò affettuosamente i ricci rossicci. Non contenta, la bimba si rivolse a Billy: tendeva le braccia in alto nel tentativo di raggiungerlo. Il Grande Capo sfoderò un caldo sorriso. Senza pensarci due volte afferrò la bambina e la fece sedere sulle sue ginocchia. Nessie posò una manina sulla guancia dell’uomo e questi cominciò a parlarle come se lei gli avesse chiesto qualcosa.
Chissà perché, quella scenetta così dolce e stucchevole trasmise a Rebecca una grande tristezza…
«Perché non me lo hai detto?».
Rebecca sussultò, presa alla sprovvista.
«Seth! Mi hai spaven…». Lasciò la frase in sospeso. Il ragazzo sembrava sconvolto. «Che cosa… che cosa ti è successo?», chiese preoccupata.
«Volevi andartene senza avvertirmi. Perché?», domandò lui, disperato, come se la ragazza lo avesse pugnalato alle spalle.
Stava per scoppiare in lacrime. Rebecca si mise faticosamente in piedi e tentò di spiegarsi.
«Seth, mi spiace. Credevo fosse meglio così. Sono incinta, ho un marito, sono sicura che presto incontrerai la ragazza giusta per te».
«No», sussurrò Seth. Scuoteva la testa e teneva gli occhi chiusi. «Non puoi lasciarmi».
Serrava i pugni e la mascella, le lacrime rigavano le sue guance e le spalle sussultavano come se stesse singhiozzando.
Non era una reazione normale. Seth sembrava… innamorato!
Era assurdo. Si conoscevano soltanto da una settimana. Com’era possibile che Seth provasse per lei un sentimento tanto profondo e sincero?
Ben presto l’istinto materno verso quel ragazzino troppo cresciuto ma triste ebbe la meglio. Rebecca voleva consolarlo, desiderava scacciare il dolore e renderlo felice. Allungò una mano per accarezzarlo…
Ma lui fu più veloce.
Afferrò il polso della ragazza e la trascinò fuori dal giardino, in direzione del bosco.
«Seth! Che cosa stai facendo? Mi fai male!», protestava Rebecca, tentando di divincolarsi.
Seth non le dava ascolto. Continuava ad avanzare, tirandosela dietro senza che lei potesse opporsi. In un attimo di lucidità, Rebecca si rese conto che la pelle di Seth era bollente. Proprio come quella di Jacob, Paul e Sam.
La ragazza si guardò indietro. Purtroppo nessuno si era accorto di nulla. Adesso cominciava ad avere paura.
«Lasciami, lasciami!».
Dopo un tempo che le parve infinito, Seth mollò la presa sul suo braccio.
Si trovavano in mezzo al bosco, intorno a loro c’erano solo alberi. L’oscurità li avrebbe avvolti completamente, se non fosse stato per le luci fioche che provenivano da casa Uley e che rendevano appena visibile la sagoma del ragazzo.
«Che diavolo ti è saltato in mente, Seth?», urlò improvvisamente lei, più per terrore che per rabbia.
«Devi sapere. Tu devi sapere prima di decidere».
La voce di Seth era cambiata. Era… strana, bassa. Roca.
Rebecca tremava dalla testa ai piedi.
«Sapere cosa? Ho già deciso, Seth. Niente mi farà cambiare idea».
Parlare era l’unico modo per non cedere al panico, ma quando la ragazza captò dei movimenti e si rese conto che il ragazzo si stava togliendo i vestiti, le sue gambe cedettero e lei cadde in ginocchio.
«Ti prego», farfugliò.
Chiuse gli occhi.
Attese, ma non accadde nulla.
Attese ancora.
Niente.
Passarono diversi minuti, durante i quali Rebecca avvertì, lì dove immaginava trovarsi Seth, soltanto uno spostamento d’aria e un rumore molto simile a uno strappo secco e deciso.
Infine udì un guaito.
Poi un altro.
E un altro ancora.
A un ritmo regolare e preciso.
Rebecca aveva la bizzarra impressione che quei versi la stessero pregando di aprire gli occhi. E contro ogni logica lei lo fece: non aveva mai temuto gli animali, aveva pensato irrazionalmente in quel frangente.
Quando però gli occhi si abituarono al buio e Rebecca riuscì a scorgere la nuova sagoma che le si stagliava di fronte e che aveva sostituito quella di Seth, la ragazza si disse - avvolta da una momentanea calma irrazionale - che di quell’animale, sì, doveva avere molta paura.
Il terrore ebbe il sopravvento.
Provò a urlare, ma un nodo le occludeva la gola.
E mentre la spaventosa creatura continuava a fissarla intensamente senza muovere un muscolo, Rebecca pensò che niente potesse andare peggio di così.
Si sbagliava ovviamente.
Al peggio non c’è mai fine: lo capì nel preciso momento in cui qualcosa di liquido e caldo prese a scorrere lungo l’interno coscia.
Perdeva acqua - pensò, ormai preda dell’isterismo -, aveva bisogno di un idraulico.





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Note di fine capitolo:
*Se solo potessi, mi alzerei da questa sedia e scapperei a gambe levate: con questa frase cito quanto detto da Dackota nella sua recensione al precedente capitolo. Grazie cara, stai diventando la mia fonte di ispirazione!





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Nota autore:
Ah, questi giovani licantropi impulsivi, che agiscono senza pensare! Sono una vera e propria fonte di guai^^
Sono passate esattamente due settimane dall’ultimo aggiornamento. Non potete lamentarvi, perché ho rispettato i tempi previsti.
Il capitolo è un po’ più lungo rispetto agli altri due e ci sono parti poco allegre, spero che non vi dispiaccia.
Non c’è molto da aggiungere, quindi vi cedo la parola.
La prossima puntata tra due settimane.

Ringraziamenti.

Per edwardina4e: ciao! Anche a me piace molto Seth: è dolce e tenero. Pensando a lui, mi viene in mente un orsacchiotto morbidoso da strapazzare di coccole. Grazie per la recensione, vannagio.

Per neo_princi89: ciao anche a te! Non tutti possiamo amare Bella incondizionatamente. Sì, Rebecca è rimasta sconvolta da diverse cose. In questo capitolo, ad esempio, non le ho risparmiato niente, poverina! Sono contenta che la mia storia ti diverta. Grazie per la recensione, vannagio.

Per Dackota: ciao carissima! Ti ringrazio per la recensione stupenda che mi hai lasciato. Purtroppo questa volta non sono riuscita ad aggiornare altrettanto velocemente, ma come tu ben sai, sono molto impegnata. Sono felice che l’incontro/scontro di Rebecca con le realtà “La Pusciane” ti abbia fatto sorridere: la poveretta si è davvero pentita di essere tornata XD. Beh… Paul è Paul e non potrebbe agire diversamente. Gli piace un mondo far incavolare le altre persone, in particolare Jacob. Sono contento che il flash-back sul primo bacio di Sam e Rebecca ti sia piaciuto: questa coppia mi stuzzica parecchio ;). A me piace leggere - e di conseguenza scrivere - storie che esplorano l’infanzia dei personaggi e credo che La Push sia un luogo ricco di potenziale da questo punto di vista. Nel mio piccolo, ci provo! Davvero pensi che il mio Jacob sia IC? Grazie! *me gongola felice* Ero un po’ in ansia a dire il vero, perché so quanto ci tieni a lui. Per le tue domande sull’imprinting di Seth dovrai aspettare, purtroppo. A proposito, grazie per lo spunto su Lazzaro “alzati e cammina”, come hai potuto leggere, l’ho inserito anche se in versione rivisitata. Grazie ancora! Visto che la citazione dei Green Day ti è piaciuta, vedrò di inserirne delle altre. Grazie, grazie, grazie! Bacioni, vannagio. P.S.: riguardo all’eventuale “What if” a quattro mani, ci sto, perché l’idea mi solletica il cervello! Prima però dovrei liberarmi da alcuni impegni. Ho troppe ff da completare, non ultime quelle per i contest (XD) e poi gli esami, ovviamente!

Per lady_violet: ciao anche a te! Paul è uno dei miei personaggi preferiti e lo adoro proprio per il suo carattere davvero irritante. Per le risposte alle tue domande, dovrai attendere, purtroppo. Grazie per la recensione e fammi sapere come ti pare questo capitolo. Bacioni, vannagio.

Per loli89: ciao! Che piacere leggerti anche qui. Sono felice che anche questa ff ti piaccia e che abbia stuzzicato la tua curiosità. Fammi sapere cosa pensi di questo nuovo capitolo e non preoccuparti: il lavoro è lavoro, prima il dovere, poi il piacere. Grazie. Baci, vannagio.

Per Razorbladekisses: ciao anche a te! Felice di aver catturato la tua attenzione. Grazie per la recensione. Spero avrai il tempo di farmi sapere come ti è sembrato questo capitolo. Baci, vannagio.

Per crazyfv: Ciao carissima! Anche tu qui? Me felicissima! Quindi la mia nuova ff ti piace? Purtroppo non sarà molto lunga, ma spero comunque di fare un buon lavoro. La scena del letto del primo capitolo mi è venuta quasi di getto. Sarà che ormai ho acquisito dimestichezza con Paul XD. Cmq, per la tua domanda, dovrai aspettare. Grazie per la recensione e i complimenti. Bacioni, vannagio. P.S.: quando aggiorni le tue ff?

Grazie a tutti quelli che leggono, preferiscono, seguono e ricordano questa ff.

A presto, vannagio.

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