Mandala

di Kourin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Passato ***
Capitolo 2: *** Sorgente ***
Capitolo 3: *** Mandala ***



Capitolo 1
*** Passato ***


Passato

 

 

Volse lo sguardo verso il finestrino della nave da trasporto, e in primo piano gli apparve nitido il riflesso del volto annoiato di Yzak. Da quando erano partiti non gli aveva rivolto una sola parola, ma trattandosi di lui il solo fatto di stare seduto lì era una grande concessione. In secondo piano erano ben visibili le immense clessidre di Junius, che galleggiavano perfettamente allineate nel vuoto dello spazio. Iniziò a contarle: uno, due, tre, quattro, cinque, sei... e il vuoto. Quel lungo spazio tra il sei e l'otto era così profondo che gli parve di annegarvi dentro. Quando le sue mani si serrarono d'istinto per trovare un appiglio, il riflesso del compagno di viaggio si mosse e Athrun Zala venne richiamato nella dimensione reale. La consapevolezza di essere fissato dal rivale durò un istante, quanto bastava perché Yzak si voltasse sdegnato dall'altra parte incrociando le braccia sul petto. Athrun allora chiuse gli occhi e si rilassò lasciandosi sprofondare nel sedile.

 

I Plant di Junius non erano particolarmente popolosi ed erano adibiti per lo più a colture agricole oppure ad attività di ricerca sugli organismi vegetali. Junius Four era uno di questi. Vi era stato ricostruito un ecosistema basato sul modello della foresta tropicale terrestre, progettato in modo da essere perfettamente funzionante e indipendente dall'intervento dell'uomo. Perfino la composizione atmosferica era in grado di mantenersi costante, tanto che i sofisticati impianti per lo scambio di ossigeno e anidride carbonica erano stati smantellati e trasferiti sui Plant di più recente costruzione.

Su Junius Four non c'erano altre strutture all'infuori di due laboratori, uno sul disco superiore, l'altro sul disco inferiore. Non erano stati utilizzati molto. Pochi anni dopo l'installazione, parte dei fondi dedicati erano stati trasferiti sulle tecnologie militari. Per un certo periodo i ricercatori erano riusciti a mantenere vivo l'interesse per il progetto adibendo una parte del disco inferiore ad attività didattiche. Ma non era stato sufficiente: le spese di gestione continuavano a superare la somma dei contributi governativi e dopo altri cinque anni il Plant era stato definitivamente chiuso al pubblico.

Recentemente Zaft aveva deciso di utilizzarlo come locazione per le esercitazioni dei soldati che sarebbero stati inviati sulla terra. Attualmente nei laboratori venivano studiate le capacità di adattamento dei Coordinator alle condizioni ambientali della fascia tropicale.

Athrun conosceva quella clessidra. Quando era piccolo, sua madre lo aveva portato a visitarla. Già allora i sentieri, invasi dalle felci, erano difficili da percorrere e pianticelle di ogni tipo si attorcigliavano sui cartelli dei percorsi botanici rendendoli illeggibili.

Ricordava la sensazione di mistero e inquietudine che aveva provato nell'entrare nei tunnel di liane e foglie giganti. Era come trovarsi in mezzo ad una dilatazione del tempo e dello spazio, che avrebbe potuto richiudersi da un momento all'altro inghiottendolo insieme ai piccolissimi moscerini che gli volavano intorno.

Lenore lo aveva tenuto stretto per mano ripetendogli che non bisognava avere paura di quel luogo, perché era in mezzo ad un insieme di macro e microorganismi che si era formato il DNA degli uomini delle specie Natural e Coordinator. Questi ultimi erano molto fieri delle conoscenze raggiunte dalle loro menti, ma spesso dimenticavano che il lavoro in campo genetico non era altro che un pallido tentativo di imitare tecniche che la Natura terrestre aveva collaudato e affinato in milioni di anni.

Forse proprio per l'emozione forte che aveva provato, l'immagine di Lenore in quel giorno era rimasta bene impressa nella sua mente, nitida come una fotografia scattata in una giornata di sole. Sua madre indossava una camicia di lino gialla e dei pantaloni color kaki e aveva fermato i capelli scuri imperlati dall'umidità con delle forcine rosse. Anche vestita in modo semplice, a lui appariva così bella da togliere il fiato.

Il programma della visita di gruppo prevedeva un'intera giornata di cammino tra i sentieri appena abbozzati. La guida era un ricercatore dall'aspetto saccente che parlava in continuazione, ma sua madre non sembrava dargli troppo ascolto. Di tanto in tanto Lenore e Athrun restavano indietro perché lei si era inginocchiata per mostrare un'orchidea che cresceva su un tronco, o per osservare l'oscillare lento delle ali di una farfalla che si riposava su una felce. Richiamati dalla guida indispettita, raggiungevano il gruppo di corsa, ma subito le occhiate complici di Lenore facevano capire al figlio che doveva stare pronto a sgattaiolare via per tornare tra i formicai costruiti tra i grovigli di radici coperti da muschi e funghi.

Athrun si chiedeva sotto quale forma fossero custoditi i suoi ricordi: negli ultimi otto anni in quel luogo non era stato fatto nessun tipo di intervento. Piante e animali erano nati, vissuti, morti e si erano decomposti senza che l'occhio umano registrasse l'avvenimento.

Athrun amava le cose artificiali, che si potevano costruire, regolare, aggiustare, distruggere. Trascorreva con esse quasi tutto il tempo libero, una dimensione fatta di un tempo e di uno spazio di cui era assoluto padrone. Su quel Plant invece i ruoli erano invertiti, e sapeva che di lì a poco si sarebbe sentito come una delle sue piccole creature meccaniche, indifesa davanti ad una natura che lo capovolgeva e che toccava dall'interno i suoi meccanismi biologici cercando di farlo funzionare secondo il suo ancestrale progetto.

 

Non appena furono sbarcati vennero invitati ad accomodarsi sull'ascensore. I sessanta chilometri di discesa passarono piuttosto in fretta. Gli altri occupanti, tutti giovani militari come loro, rimasero in piedi pieni di curiosità mentre cercavano di scorgere qualcosa attraverso le nuvole formate dalla condensa. Nel frattempo scherzarono sull'utilità del progetto in cui erano stati reclutati (per un motivo o per l'altro nessuno era giunto lì di sua spontanea volontà) e infine lanciarono un'esclamazione di stupore quando il panorama si aprì intorno ai loro occhi. Gli alberi raggiungevano altezze mai viste su altri Plant e in lontananza si vedevano volteggiare delle aquile.

Yzak se ne stava seduto, assorto in chissà quali pensieri, come se la cosa non lo riguardasse minimamente.

Seguì un breve meeting in una sala conferenze che aveva tutta l'aria di essere stata un'aula scolastica. Venne illustrato a grandi linee lo scopo della ricerca e poi venne spiegato il significato dei dati clinici che il team stava raccogliendo. I “volontari” ricevettero l'equipaggiamento di sopravvivenza, le istruzioni per le apparecchiature di misura dei parametri biomedicali e i files contenenti le mappe dei percorsi da seguire. In pratica avrebbero dovuto camminare per tre giorni nella foresta, fermandosi ogni due ore per comunicare i dati ematici richiesti dal laboratorio.

Zaft aveva ottenuto dal governo di Junius il permesso di utilizzare il Plant a patto che l'equilibrio dell'ecosistema non venisse danneggiato. Gli ex-ricercatori, affiancati dagli ecologisti, avevano raccolto migliaia di firme per la sua salvaguardia e così il governo aveva dovuto tenere in considerazione le loro richieste per non inimicarsi l'opinione pubblica.

All'esercito non era permesso di introdurre nella foresta troppe persone alla volta, né di aprire nuove strade. In definitiva i soldati di Zaft dovevano muoversi sui sentieri preesistenti e diventare come tutti quei piccoli animali elusivi che popolavano il territorio.

Con grande sorpresa di entrambi, Athrun venne mandato in missione proprio insieme ad Yzak.

 

A Yzak quel posto non piaceva. Faceva fatica ad ammetterlo, ma i brividi che sentiva assomigliavano a quelli della paura. Come quella che si ha da bambini nel momento in cui si entra in una stanza buia. Anche se qualcuno accende la luce resta sempre un po' di oscurità sotto ad un letto, dentro ad un armadio, o nel ripiano più basso di una libreria. Da quei posti, l'istinto dice che non si sa mai che cosa può saltare fuori. Anche se tutti rassicurano che non è niente.

Su Junius Four non c'erano pericoli seri, gli avevano spiegato che un diametro di dieci chilometri non poteva racchiudere un territorio sufficiente per la riproduzione di grossi predatori. Si trovavano diverse specie di anfibi, uccelli, rettili, roditori e piccoli primati. E insetti. Tanti, troppi insetti, perfino quelli ingegnerizzati geneticamente. Sembravano essere lì apposta per camminare sotto ai vestiti con le loro innumerevoli zampe, per impigliarsi in modo inestricabile nei capelli e infilarsi ronzando nelle orecchie.

Ma Yzak Joule era un uomo e un soldato di Zaft. Aveva una reputazione da difendere con le unghie e con i denti: nell'ultimo anno di Accademia aveva sputato sangue per costruirla. Di certo il suo aspetto non entrava nello stereotipo del soldato, e se avesse mostrato a qualcuno la sua innata paura per quel luogo, non avrebbe fatto altro che dare soddisfazione a chi in passato lo aveva chiamato “bellezza”.

Non sapeva se considerare una fortuna o una sventura il fatto di essere lì con Athrun. Fortuna, perché non era il tipo da andare in giro a spiattellare i problemi altrui. Sventura, perché si trattava del suo rivale e, sebbene stavolta non si fosse azzardato a lanciare una sfida aperta, era praticamente certo di perdere l'inevitabile confronto.

La Vesalius sta preparando i piani di battaglia e noi invece che facciamo? Stiamo qui a perdere tempo in mezzo alla verdura!” sbottò mentre estraeva la mappa con il percorso.

Sai benissimo che ce la siamo cercata,” replicò il compagno lanciandogli un'occhiata torva.

Yzak si limitò a grugnire. Quello che diceva Athrun era vero.

Nell'ultima esercitazione, anziché aspettare i compagni rimasti indietro, avevano provato un combattimento con le spade dei Ginn. Non avevano causato nessun danno, ma stavolta Miguel Ayman non aveva lasciato correre. Non aveva fatto rapporto al Capitano Klueze (cosa che, in effetti, sarebbe stata imbarazzante) ma aveva colto la palla al balzo quando la divisione medica aveva chiesto ad ogni squadra presente nel Quartier Generale di Aprilius due soldati da coinvolgere in uno studio sulla capacità di adattamento dei militari.

Dato che siete così bravi, immagino che concludere il ciclo di esercitazioni con i compagni sia per voi tempo perso. La Patria però vi viene incontro,” aveva detto il Sergente prima di spiegare i dettagli della trasferta.

Godetevi la vacanza ai tropici, chiaritevi tra voi e non tornatemi incinti,” aveva poi concluso con un ghigno. Quando Athrun aveva afferrato Yzak per il braccio per impedirgli di saltare addosso a Miguel e staccagli a morsi il naso, questi si era limitato ad osservarli divertito. “E' evidente che siete fatti l'uno per l'altro, chissà che non siate geneticamente compatibili. Ci rivediamo fra tre giorni, bellezze.”

Dei secondi che erano seguiti, Yzak non ricordava assolutamente niente. Si era risvegliato steso nella sua stanza, mentre Dearka gli appoggiava un panno imbevuto d'acqua fredda sulla fronte bollente.

 

La prima parte del percorso era comune con quella di altri due gruppi, uno formato da tre ragazze un po' più grandi di loro e l'altro formato da due uomini sulla trentina.

Era stato detto che la prima giornata sarebbe stata terribile, perché anche un fisico resistente da Coordinator aveva bisogno di tempo per adeguare la fisiologia del proprio organismo all'ambiente. Specialmente se l'ambiente era profondamente diverso da quello in cui si era nati e cresciuti.

L'aria era talmente densa di umidità che pareva non volere entrare nei polmoni. Per riuscire ad incamerare una sufficiente quantità di ossigeno bisognava mantenere il respiro regolare così come il passo di marcia, cosa impossibile in un luogo dove si incespicava di continuo. Gli alberi erano molto alti e permettevano a pochi raggi solari di filtrare in un sottobosco costituito da un groviglio caotico di radici contorte, a cui faceva da controparte ad un altrettanto caotico groviglio di liane pendenti dall'alto.

Trascorse due ore, che parvero a tutti un'infinità, si sedettero in una specie di radura. Qui il sole si rifletteva sulle minuscole goccioline d'acqua che ricoprivano le foglie ampie di una strana specie di piante. Il verde era così brillante da abbagliare gli occhi, e dal fusto spuntavano dei fiori giganti di un color fucsia che attiravano varie specie di insetti, per fortuna poco interessati al gruppo di soldati che si preparava a trasmettere la prima serie di dati. L'umidità, la luce intensa e il continuo ronzio condussero Yzak in uno stato di torpore profondo. Pur essendo un Coordinator dovette fare un grande sforzo di concentrazione per svolgere il semplice compito che gli era stato assegnato.

Per trasmettere i dati ematici bisognava prelevare un campione di sangue, trasferirlo sul sensore apposito e inserire quest'ultimo nel trasmettitore. Il battito cardiaco e la temperatura corporea venivano invece monitorati in tempo reale da uno speciale braccialetto piuttosto stretto e fastidioso da sopportare. Almeno i medici avevano risparmiato alle cavie l'applicazione di elettrodi intorno al cervello, cosa che avrebbe provocato la trasmissione istantanea delle maledizioni che aleggiavano minacciose nella mente di Yzak. Comunque lì era proprio in buona compagnia: tutti avevano qualcosa di cui lamentarsi, tranne, ovviamente, Athrun Zala, che aveva già svolto diligentemente il suo compito e che ora stava riponendo la strumentazione. Chissà se si rendeva conto che in quel momento lo stavano osservando tutti. Specie una delle ragazze, che pareva completamente rapita dalla fine arte di chiudere le cinghie di uno zaino.

Andiamo, Yzak” disse allora Athrun.

Non permetterti di darmi ordini,” minacciò Yzak.

Non era un ordine.”

Era vero. A giudicare dallo sguardo, quella era una specie di supplica.

Andiamo,” disse allora Yzak. “E' un ordine,” aggiunse sogghignando.

 

Si divisero così dagli altri. Per un po' dovettero procedere in mezzo a quelle piante dalle foglie immense. Spesso capitava di inciampare tra i gambi turgidi, che si spezzavano producendo un rumore netto che pareva terribilmente sinistro. Ma era meglio non pensarci e concentrarsi per andare avanti perché, se si fossero voltati indietro, avrebbero potuto scorgere le ombre delle creature che li stavano osservando dileguarsi furtive dietro ai tronchi degli alberi.

Probabilmente sono scimmie” disse Athrun interrompendo il silenzio.

Lo so benissimo, per chi mi prendi?” ringhiò Yzak.

Athrun sospirò. “Dobbiamo farci l'abitudine, qui è tutto così.”

Ci sei già stato?”

Sì, tanto tempo fa,” rispose Athrun fissando lo sguardo lontano. Per quanto lontano si potesse guardare lì in mezzo. Ma in effetti un qualcosa di strano c'era. Una forma quadrata, lì dove tutto era informe e irregolare.

Che cos'è quello?”

Il cartello di un percorso botanico, credo.”

Yzak avanzò per primo. Athrun lo stava seguendo, ma non sembrava avere fretta.

Provò a scostare le foglie dell'edera che avevano avvolto quell'oggetto, ma sotto trovò solo un intreccio di rami. Al diavolo l'ecosistema. Yzak strappò (non senza una certa soddisfazione) sia le foglie che i rami. Una scheggia gli si conficcò nel palmo, ma non diede alla pianta la soddisfazione di sentirlo urlare. Si accovacciò e si mise a leggere la vecchia didascalia mentre succhiava le gocce di sangue che erano fuoriuscite dalla mano.

Athrun finì di togliere i ramoscelli dell'edera e poi si sedette accanto ad Yzak.

Qui una volta c'era un sentiero, quindi” disse infine Yzak interrompendo quello strano momento di meditazione.

Già, e pare che dovremo seguirlo, sempre che ce ne sia rimasta qualche traccia,” replicò Athrun.

 

Per avanzare di una decina di metri si impiegava un'eternità. Le piante, quando non erano così grosse da dover essere aggirate, andavano scostate con le braccia nude (nella speranza che non fossero urticanti) oppure calpestate (senza sapere che cosa potevano nascondere). Dopo qualche ora Yzak si ritrovò con le braccia completamente arrossate e il respiro affannoso. Il suo organismo si stava adattando all'ambiente, ma questo, quasi per fargli dispetto, stava diventando sempre più ostile.

Quando era piccolo Yzak aveva dovuto rinunciare ai primi anni di scuola perché, nonostante fosse un Coordinator, si ammalava spesso. E quando veniva in contatto con le piante, o anche senza un motivo preciso, la sua pelle si ricopriva di macchie rosse.

In giro si diceva che fosse colpa della madre che, perseguendo l'obiettivo della purezza della specie, aveva fatto pressioni sui genetisti per ottenere un genoma complesso che però non garantiva al figlio una risposta immunitaria stabile.

La verità era un'altra.

Ezalia era una Coordinator di Prima Generazione. I suoi genitori, che possedevano un profilo genetico ordinario, avevano speso tutti i loro averi e si erano indebitati fino al collo pur di ottenere un figlia irrealmente bella e completamente diversa da loro. In quel paese non vigevano leggi che limitavano la manipolazione dei cromosomi e così la coppia venne accontentata su tutto: intelligenza, attitudine per le discipline scientifiche, pelle chiarissima e capelli bianco argento. Fu un lavoro rischioso che avrebbe potuto comportare serie conseguenze sulla salute, ma questo Ezalia lo scoprì molto più avanti, una volta stabilitasi su Martius.

Quando aveva da poco compiuto sei anni, i genitori morirono in un incidente stradale. Il patrimonio di famiglia venne confiscato per pagare i debiti e lei venne accolta in un istituto. Dato che le scuole per Coordinator, oltre ad essere rare, erano appannaggio delle classi benestanti, Ezalia non ebbe altra scelta che vivere tra i Natural e frequentare il loro sistema di istruzione.

Non fu facile crescere tra quelle persone portando un fenotipo esteriore da Coordinator così marcato. Lei non parlava mai di quel periodo della sua vita, ma quando Yzak aveva chiesto spiegazioni riguardo ad una cicatrice che le segnava il braccio destro, Ezalia aveva risposto che era stata presa a sassate dai compagni di classe. Non aveva voluto rimuovere quella ferita perché segnava il momento in cui aveva deciso di combattere per i diritti della sua specie, giurando che un giorno nessuno si sarebbe permesso di trattare un Coordinator così come era stata trattata lei.

Quando i genetisti si trovarono davanti all'embrione che sarebbe diventato Yzak, dovettero affrontare una serie di problemi. Nel DNA di Ezalia era stata inserita una quantità di modifiche superiore a quella prevista dalle regole di base dell'ingegneria genetica umana. Le sue cellule somatiche erano perfettamente sane, ma in quelle germinali la replicazione dei cromosomi non poteva avvenire correttamente. Come risultato, diversi geni caratteristici della specie Coordinator risultavano interrotti o spezzati, e quindi inattivi. A molte imperfezioni venne posto rimedio grazie alla compensazione dei cromosomi paterni, ma per il cromosoma X non ci fu nulla da fare. Un'alternativa sarebbe stata quella di prelevare un cromosoma X da un altro spermatozoo in modo da trasformare l'embrione in femmina, ma Ezalia aveva rifiutato, affermando che suo figlio sarebbe andato benissimo così com'era.

Quella decisione aveva causato una strana inversione di destini: quanto i Natural avevano attaccato Ezalia perché troppo perfetta, così i Coordinator attaccarono Yzak perché imperfetto. Quando gli altri bambini lo prendevano in giro, lui semplicemente reagiva. Dato che si sentiva costretto reagire di continuo, iniziarono a dire che fosse pazzo per colpa di sua madre. Yzak finiva con il prenderli a botte, e genitori ed insegnanti andavano a lamentarsi da Ezalia dicendo che era troppo aggressivo. Una volta a casa, lei ascoltava le ragioni del figlio, ma non lo rimproverava. Si limitava a sincerarsi che non fosse lui ad attaccar briga e soprattutto che non se la prendesse con i più deboli.

Era davvero una fortuna che Athrun fosse tutto fuorché debole, pensò Yzak. Poteva prendersela con lui quanto voleva.

 

Quando gli strumenti iniziarono a di nuovo a pigolare, l'atmosfera era divenuta davvero irrespirabile. L'umidità del Plant, condensatasi sotto forma di nubi, stava per scaricarsi al suolo sotto forma di pioggia: così funzionava Junius Four.

Prelevarono i campioni e inviarono i dati senza scambiare una parola. Poi accadde ciò che Yzak temeva.

Yzak,” esordì Athrun con lo sguardo levato verso gli squarci grigi di cielo che si aprivano tra i rami alti. “Sicuro di stare bene?”

Non è affar tuo,” tagliò corto Yzak.

Athrun non disse nulla ma spostò gli occhi verso il compagno.

Stammi lontano!” ringhiò allora Yzak spingendolo via.

Gli insetti smisero di frinire e le foglie degli alberi circostanti vennero scosse dal battito delle ali degli uccelli impauriti.

Come vuoi,” disse Athrun incrociando le braccia visibilmente irritato.

Yzak allora levò a sua volta gli occhi verso l'alto e si accorse delle gocce d'acqua che iniziavano a scendere. Poche, pesanti, gocce isolate seguite da un violento scroscio. Ma la pioggia non lo bagnò: il compagno stava reggendo un telo impermeabile in modo da proteggere entrambi.

Hmpf!” soffiò Yzak mentre strappava una parte del telo dalla mano di Athrun per potersi coprire da solo. Non che servisse a molto: tutt'intorno l'acqua scendeva in cascate a partire dagli alberi più alti fino a scivolare sulle foglie e perdersi nel sottile tappeto di muschio. Era evidente che il loro destino era quello di inzupparsi completamente.

Si sedettero sulle radici che si dipanavano a raggiera dal tronco inclinato di un grosso albero. Athrun teneva le ginocchia piegate contro il petto. Yzak si soffermò ad osservare il profilo del compagno coperto da ciocche di capelli blu bagnati e spettinati, poi seguì lo sguardo perso in chissà quale orizzonte e lasciò che rumore violento e avvolgente della pioggia ipnotizzasse anche lui.

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Capitolo 2
*** Sorgente ***


 

Sorgente

 

 

Quando si rimisero in cammino l'aria si era fatta più respirabile. Era un peccato, pensò Athrun, perché si era quasi fatta sera e presto avrebbero dovuto fermarsi. In compenso l'acqua che aveva lasciato l'atmosfera stazionava ora sulle foglie e sul terreno: erano bastati pochi passi in mezzo alle felci giganti per ritrovarsi completamente fradici da capo a piedi.

Yzak aveva, per così dire, assunto il comando. Procedeva con passo fin troppo veloce, giustiziando e strappando le foglie che osavano pararsi sulla strada che aveva deciso di seguire. Non voleva essere toccato, ma i medici probabilmente si erano già accorti delle anomalie del suo sistema immunitario quando avevano letto i valori delle ultime misurazioni. Si trattava di reazioni piuttosto rare nei Coordinator ed erano considerate un difetto genetico. Non doveva essere piacevole per Yzak trovarsi in queste condizioni davanti ad un'altra persona, soprattutto se si trattava del suo rivale dichiarato. Quando era entrato nell'Accademia di Zaft, Athrun l'aveva spodestato dal trono di miglior studente, e lui non l'aveva mai perdonato. Nulla di strano, quindi, che lo evitasse in quel modo.

Eppure Athrun era rimasto sollevato quando gli avevano comunicato che avrebbe svolto l'esercitazione con lui. Dopotutto Yzak non gli faceva domande, non lo guardava come se fosse un alieno ed era in grado di seguire senza fatica il suo passo e i suoi ragionamenti.

Athrun si chiedeva che cosa lo spingesse ad accettare la presenza di quel ragazzo che lo teneva distante, lo fissava con odio e si avvicinava solo per combatterlo in una gamma di sfide che andava dalla zuffa alla partita a scacchi. Perché si lasciava sempre coinvolgere? Se avesse posto questa domanda ad altre persone, sicuramente queste gli avrebbero risposto che lo faceva per correttezza, iniziando poi a confrontare le sue qualità con i difetti caratteriali dell'altro. Ma Athrun sapeva che la verità stava in un'altra risposta che, ogni tanto, di notte, si faceva strada nel suo animo. Quando lui la ricacciava indietro spariva insinuandosi chissà dove, pronta a sbucare fuori per togliergli il sonno un'altra volta.

Athrun aspettava con ansia le provocazioni di Yzak.

Quello che per gli altri era un insulto, per lui diventava una mano tesa a cui aggrapparsi per uscire dal pozzo di solitudine in cui era precipitato quando aveva lasciato gli studi per arruolarsi. Era improbabile che questo modo di sentire fosse reciproco, e in Athrun si stava consolidando la consapevolezza di trovarsi in una situazione patetica. Per quanto sarebbe stato in grado di sopportare la vergogna di essersi ridotto così, a pregare che una persona che lo disprezzava gli rivolgesse la parola?

Mentre cercava, senza successo, di condurre i pensieri su una via meno tortuosa, terminarono il percorso programmato per la giornata. Si fermarono vicino ad un vecchio capanno di osservazione fatto di fasci di canne diradati e spezzati dai rampicanti. L'interno era ricoperto di dense ragnatele e, non volendo incontrare i proprietari, decisero di accamparsi in tenda a qualche decina di metri di distanza. Non avrebbero passato la notte all'addiaccio, ma l'idea di dormire tra pipistrelli, lemuri e ragni giganti non era ugualmente confortante.

Mangiarono il cibo fornito da Zaft. Era risaputo che non fosse un granché, ma lo stress dell'adattamento gli aveva fatto venire un grande appetito e così riuscì a mangiare di gusto sia la tavoletta proteica che quella contenente frutta ed integratori minerali. Tra un boccone e l'altro Athrun sbirciò con la coda dell'occhio il compagno impegnato a controllare le chiazze arrossate che gli punteggiavano le braccia.

Quando venne il momento di inviare i dati al laboratorio, Yzak sistemò il necessario, estrasse una goccia di sangue dalla mano, la trasferì sul sensore e rimase fermo a guardarla mentre si spandeva sul microcircuito. Poi iniziò a rigirarlo tra le dita e infine lo gettò a terra. Prese anche lo strumento per la trasmissione, e fece per scagliarlo contro un albero.

Athrun allora scattò in avanti e gli bloccò il braccio.

Yzak, sei impazzito?”

Yzak lasciò cadere a terra ciò che teneva in mano. “Perché te ne importa tanto? Hai paura che questo lasci una macchia nella tua immagine? Oppure di un rimprovero del papà?”

Per Athrun quelle parole furono come una lama di ghiaccio piantata tra costole. In qualche modo erano vere, ma sentiva anche che erano ingiuste: un gesto stupido avrebbe finito per nuocere anche ad Yzak, ma lui ora dava più importanza alla sua rabbia.

Athrun lo spinse via e gli voltò le spalle. Aveva la vista annebbiata, stava ansimando e soprattutto si stava rendendo conto di tenere una mano su un fianco come per placare il dolore di una ferita immaginaria. Calma, calma, doveva calmarsi, stava anche lui per fare cose senza senso.

Non hai più il coraggio di guardarmi negli occhi, adesso?” continuò a provocarlo l'altro. Allora Athrun si voltò, i pugni serrati per la rabbia e gli occhi piantati su colui che si stava permettendo di giocare con i suoi sentimenti.

Yzak lo stava guardando con soddisfazione. Evidentemente era consapevole di tenerlo in pugno. “Athrun Zala, ti sfido,” annunciò con calma mentre allontanava con un piede lo strumento che intralciava la sua strada.

E a cosa, Yzak!” ringhiò Athrun allargando le braccia.

Non fare l'ipocrita! Si vede, sai, che hai voglia di farmela pagare” gli urlò di rimando l'altro scagliandoglisi addosso.

Athrun lo evitò per un soffio, rischiando di inciampare sulle radici che si intrecciavano sotto ai loro piedi. Non c'era una buona visibilità: gli ultimi raggi di luce che filtravano attraverso le chiome degli alberi erano sempre più deboli. E come se non bastasse c'erano anche le liane ad impedire i movimenti. “E anche se fosse? Dove vuoi arrivare? Piantala!”

Ti ho già detto che non voglio ordini da te!” ringhiò l'altro lanciandosi di nuovo in avanti. Athrun stavolta non fu fortunato nello scansarsi e cadde. L'attrito con le liane gli provocò un dolore lancinante alle spalle che lo lasciò quasi tramortito. Quando si riprese vide che anche il suo avversario era caduto a terra e si stava girando. Riuscì ad allontanarlo con un calcio. Preso in contropiede, Yzak ricadde in malo modo lanciando un grido di rabbia ma subito, come un felino, si girò su sé stesso spinto da una misteriosa determinazione. Perché tanto odio, che cosa gli aveva fatto Athrun per giustificare quella reazione?

Si studiarono girando intorno, finché Athrun decise che ne aveva abbastanza, e si fermò.

Yzak, qui quello che accade a me accade anche a te. Anche se non è ufficiale, sai bene che siamo stati mandati qui per una punizione disciplinare. E' vero che non ho nessuna intenzione di prendermene un'altra, ma lo stesso dovrebbe valere per te!”

Il suo rivale incrociò le braccia sul petto e lo scrutò. “Che bravo ragazzo, pensi anche agli altri” disse in tono serio. “Ti aiuterà a fare carriera, sai?”

Athrun gli diede uno schiaffo.

Yzak rimase immobile, la testa girata di lato, come se non si rendesse conto di ciò che gli era appena capitato.

Ho capito che mi odi, ma io non ci posso fare niente.” Athrun sentì la sua voce alterata uscire direttamente dalle viscere. Poteva sentire il diaframma contrarsi, come se il suo corpo volesse impedire alle parole di trovare un varco. Ma ormai il suo animo aveva deciso di lasciarle passare. E così, soffocate ma forti di convinzione, uscirono. “Io ero felice di essere qui con te.”

Allora il corpo si arrese. La stretta dei pugni serrati si allentò, le braccia scesero lungo i fianchi e gli occhi iniziarono a bruciare: le lacrime erano così dense di sale da non riuscire a scendere.

Yzak si girò a guardarlo. Non lo schernì. Pareva incredulo, gli occhi chiari spalancati e la bocca aperta incapace di replicare. Lentamente, gli appoggiò le mani sulle spalle. Si avvicinò. E posò le sue labbra su quelle riarse di Athrun come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Fu un bacio tranquillo. Unica, assurda conclusione di ciò che era accaduto pochi minuti prima.

Athrun non si rese conto di ciò che stava accadendo finché il braccialetto che portava al polso non iniziò a lampeggiare di una luce rossa, segno che la frequenza del battito cardiaco era superiore alla norma. Fu allora che si accorse che il suo volto era bollente. Staccò le labbra da quelle di Yzak e lo fissò negli occhi azzurri, ancora fermi in un misto di incredulità e pace. Sentì le mani fresche di lui sfiorargli le guance e il solletico provocato dalle ciocche di capelli scostate con gentilezza. Athrun abbracciò il compagno trascinandolo a terra, e stavolta fu il braccialetto di Yzak a lampeggiare furiosamente.

 

Dormire sul suolo di Junius Four non era propriamente come dormire nelle stanze della Vesalius. Lì era tutto luminoso, ordinato, asettico. Qui era tutto buio, irregolare, umido. I rumori imprevedibili facevano destare Athrun di continuo. Una volta che si abituava al gracidio delle raganelle, iniziava a sentire i sibili degli uccelli notturni, e poi l'udito si spostava via via più lontano finché i suoni si espandevano all'infinito fuori e dentro al cervello. Per tornare al presente bastava un nulla, come lo scalpitare degli zoccoli di una gazzella o l'ansimare di una qualche creatura indefinibile. Allora Athrun spalancava gli occhi portando istintivamente la mano al coltello, ma trovava Yzak già alzato con l'arma stretta in pugno.

Lo sai che questo posto è innocuo. Non possiamo farci niente, prova a riposarti un po',” sospirò dopo aver capito di essere scattato l'ennesima volta per un nonnulla.

Che ne sai tu di quello che c'è lì fuori?” replicò l'altro, per niente rassicurato.

Stare tutta la notte con il coltello stretto in pugno ti farà venire solo i crampi alle mani,” disse Athrun ponendo la sua mano sulle nocche di Yzak, tese per lo sforzo. Le sentì lentamente rilassarsi. E poi, chissà come, si trovò a stringergli la mano.

Starò io di guardia,” propose prendendo il coltello.

Yzak fece per distendersi, ma poi afferrò Athrun per un braccio costringendolo a cadere sui gomiti. “Non mi lascerei proteggere da te neanche se mi minacciassero di morte,” gli sussurrò nell'orecchio.

Athrun allora voltò le spalle al compagno mettendosi disteso su un fianco. “Fa' come ti pare,” replicò stizzito. Il suo orgoglio era già stato duramente provato e non gli andava di essere punzecchiato ulteriormente.

Yzak lo avvolse tra le braccia e lo strinse dolcemente fino a premere il torace contro la sua schiena. “Quanto scommettiamo che tra un po' ti addormenti?” sussurrò appoggiandogli le labbra sul collo. Il respiro caldo del compagno si tradusse in uno strano brivido che attraversò tutto il corpo.

E' una sfida?” chiese Athrun sforzandosi di mantenere un contegno.

Sì, ma non hai speranza.”

Smettila.”

Yzak continuò a tenerlo stretto a sé senza dire più nulla, e Athrun un po' per volta si abituò al calore del corpo di lui, alla leggera pressione delle braccia che cingevano le costole e al contatto delle mani affusolate appoggiate così vicino al suo cuore. Quando era stata l'ultima volta che si era sentito così? Era passato tanto tempo. Mentre cercava di identificare l'origine quell'intenso sentimento di nostalgia, il suo respiro tornò regolare. Tutti i suoni trovarono la loro dimensione e si addormentò in una melodia di echi sempre più lontani.

 

Si era addormentato per davvero. Yzak sentiva la cassa toracica del compagno che si espandeva e si contraeva in un ritmo regolare.

Era assurdo. In quel luogo, uno degli ultimi angoli dell'universo dove avrebbe voluto trovarsi, stava abbracciando Athrun. Che aveva fatto una dichiarazione che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di fare. Che lo aveva lasciato sconvolto. Che gli stava facendo capire come mai il loro valzer di sfide continuasse da mesi e mesi senza che nessuno dei due cedesse. Ci tenevano troppo, allo stare vicini l'un l'altro, ma entrambi temevano di ricevere un rifiuto, un giudizio che avrebbe frantumato il loro amor proprio.

Athrun” accennò con le labbra mentre con la fronte sfiorava la nuca del compagno. Lui faceva parte delle paure che lo aveva accompagnato per tutta la giornata.

C'erano una paura per ciò che stava fuori, e una per ciò che stava dentro. Quest'ultima aveva la forma di un giovane dai capelli scuri e arruffati, dall'aspetto dolce e dall'animo di cui nessuno aveva mai osato sondare le profondità.

Athrun,” ripeté. Quel giovane attirava sempre le persone. Le ragazze per l'aspetto e il nome che portava, i ragazzi per la bravura e l'onestà, gli adulti per la maturità di giudizio. Tutte cose che, per Yzak, o erano stupide o erano false.

Che di cognome facesse Zala e che i suoi capelli ispidi fossero blu, non gliene importava un accidente. Che fosse bravo nella teoria e nelle simulazioni, non voleva dire nulla. Onesto lo era forse con gli altri, ma non con sé stesso, e per quanto riguardava la maturità di giudizio...doveva ammettere che un po' ce n'era. Ma non aveva importanza, perché il ragazzo che dormiva tra le sue braccia aveva poco a che fare con il celebre Asso dell'Accademia.

Come ci era rimasto male quando, dopo poche settimane di corso, Athrun Zala lo aveva umiliato di fronte a tutti battendolo nelle discipline in cui aveva sempre primeggiato. Da allora Yzak aveva continuato a cercarlo, provocarlo, combatterlo con tutte le sue energie. Ma a forza di farsi male sbattendo contro quell'animo che pareva fatto di roccia, aveva scoperto delle fratture, anfratti di cui nessuno conosceva l'esistenza. Dove lui solo poteva entrare e contemplare la bellezza del rivale in silenzio, senza che lui se ne accorgesse. Era lì che si trovava fonte sotterranea da cui sgorgava l'intensità dello sguardo di Athrun, che affiorava in superficie forte e limpido dopo aver percorso tortuosi cunicoli nella completa oscurità.

Ciò che lo aveva sconvolto quella sera era che Athrun era consapevole della sua presenza. Probabilmente lo aveva riconosciuto fin dal principio, al di là del velo di parole aspre che Yzak usava per nascondersi. Non lo aveva cacciato via, né era fuggito. “Ero felice di essere qui con te,” aveva detto semplicemente.

Sapere che c'era una parte di Athrun che apparteneva a lui, e a lui solo, gli bastò per sopravvivere a quella notte senza impazzire.

 

Il giorno successivo trascorse con più tranquillità. Yzak era un po' stordito a causa della notte insonne e della leggera febbre che era nel frattempo sopraggiunta. Aveva gli occhi gonfi, che mal sopportavano la luce mattutina. Ogni tanto una farfalla variopinta si posava sulla sua spalla, e lui scattava come se si fosse trovato davanti ad un'imboscata dell'Alleanza Terreste. Allora Athrun si metteva a ridere come un bambino.

Yzak, che in circostanze normali avrebbe sfoderato il coltello, restava ancora una volta completamente spiazzato. Restare imbambolato non era da lui, così si avvicinava comunque al compagno, e quando arrivava vicino, abbastanza vicino da poterlo colpire, finiva con l'abbracciarlo. Athrun allora lo spingeva a terra, gli posava le mani sul torace e lo baciava finché Yzak, ritrovando a fatica qualche briciola di amor proprio, rotolava su sé stesso immobilizzando Athrun con il peso del proprio corpo. Lo guardava dritto negli occhi, come per inchiodarlo a sé, ma lo sguardo di lui si spostava sulla farfalla che si era nuovamente posata su Yzak. E iniziava di nuovo a ridere, senza riuscire a fermarsi. A Yzak, sconfitto ancora una volta su tutti i fronti, non restava altro che mettersi seduto e osservare la farfalla che, trovata una compagna, danzava volteggiando verso l'alto fino a perdersi nei raggi intensi di luce che filtravano tra i rami degli alberi.

Era come se Athrun lo avesse preso per mano per condurlo in un mondo cristallino che non gli era mai stato concesso di vedere. Nella sua vita aveva potuto toccarne brevemente solo pochi frammenti, gli stessi che sua madre Ezalia stava tentando con tutta la volontà di rimettere insieme. Yzak pregava che non si trattasse di uno quei concetti che si colgono nei sogni e che poi svaniscono la mattina dopo senza che ci sia la possibilità di recuperarli.

 

Era trascorso da poco mezzogiorno e il caldo si era fatto insopportabile. L'umidità si stava condensando in sottili nubi che conferivano al cielo una colorazione grigiastra, simile a quella dell'asfalto del piazzale che avevano appena raggiunto. O meglio, di ciò che restava dell'asfalto, ora frantumato dalle radici in blocchi che andavano sbriciolandosi. Si trattava dei resti di una delle due strade che avevano attraversato il diametro del Plant per permettere il trasporto di viveri, strumentazioni e turisti. Un chiosco in legno dalle assi divelte, un negozio di souvenir dalle vetrate infrante e delle panche arrugginite accatastate a caso conferivano al luogo un aspetto piuttosto tetro.

Athrun iniziò a girare intorno al piazzale. Se la memoria non lo ingannava, da quelle parti si trovava un luogo che gli sarebbe piaciuto rivedere. Per la prima volta dopo mesi, sentiva il suo animo alleggerito. Dalla scelta di partire in guerra, dal rapporto con il padre, dalla competizione in Zaft. Non che queste cose fossero sparite. Si trovavano semplicemente in un'altra dimensione del tempo e lui le vedeva come ombre velate e lontane. Gli venne quindi spontaneo sorridere quando trovò in terra un cartello in legno a forma di freccia.

Di qua, Yzak!” disse levando il braccio per chiamare il compagno.

Yzak si alzò dalla panca su cui si era disteso e lo raggiunse. “Athrun Zala, guarda che la strada è dall'altra parte.” Nonostante le parole contrariate, il suo volto era sereno.

Lo so, ma da qui in poi ci aspetta una strada semplice, abbiamo tempo,” spiegò. “Su, seguimi, faremo presto.”

 

Man mano che salivano lungo il sentiero, ancora delimitato da una staccionata, Athrun poteva sentire il rumore dello scorrere di un ruscello farsi sempre più forte. Accelerò il passo finché non si trovò davanti ad una cascata che ricordava bene. L'acqua si divideva in sottili fili chiari che scendevano in una pozza delimitata da rocce artificiali, che nel tempo avevano conservato il colore bianco e l'aspetto levigato.

Al contrario del territorio di Aprilius One, che era pianeggiante, quello di Junius Four era in leggera pendenza. La conformazione del suolo permetteva di far confluire l'acqua in eccesso in un sistema di piccoli torrenti. A fine corso veniva purificata e raffreddata per simulare il passaggio ad alte quote che avveniva sulla Terra, e quindi riportata all'origine per essere inserita di nuovo nel ciclo climatico del Plant.

Athrun si chinò, raccolse l'acqua fresca tra le mani e bagnò il viso accaldato. Anni fa, Lenore aveva fatto lo stesso gesto, e lui l'aveva imitata.

Mi sto trattenendo dal buttartici dentro. Mi hai trascinato fin qui solo per questo?” chiese Yzak interrompendo il flusso di ricordi.

Mica mi dispiacerebbe, con questo caldo.” Detto questo, Athrun si tolse la maglia e gli anfibi ed entrò nell'acqua fredda che gli arrivava alla cintola. Sul momento gli parve gelida, ma pensò che si sarebbe abituato. Si girò verso il compagno per invitarlo a fare altrettanto.

Si vedeva che Yzak era provato dalla permanenza nella foresta. I capelli raccolti all'indietro erano incredibilmente spettinati, mentre il volto era arrossato e rigato da gocce di sudore. Lo sguardo pulito e tagliente invece era quello di sempre. Quant'era strano sentirlo puntato su di sé senza doversi mettere in guardia per il timore di venirne ferito. All'improvviso qualcosa balenò nelle iridi azzurre, spezzando in un istante l'incanto in cui entrambi si erano perduti. Fu allora che l'istinto fece levare ad Athrun gli occhi verso l'alto. Tra le rocce, aggrappato ad un albero con braccia ossute che sembravano le zampe di un insetto, c'era un essere umano che lo fissava con occhi gialli. Non ebbe il tempo di riordinare i pensieri. Sentì una fitta sulla spalla e quando portò la mano nel punto da cui si era propagato il dolore, si accorse che si trattava di una specie di siringa. Le gambe lo abbandonarono, le pupille rotearono verso l'alto. L'ultima cosa che sentì fu l'abbraccio gelido dell'acqua.

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Capitolo 3
*** Mandala ***


 

Mandala

 

 

Quando provò a riaprire gli occhi vide solo delle macchie colorate che si dilatavano procurandogli un gran mal di testa. Dove si trovava? A casa? Al Quartier Generale? Lentamente riuscì a capire da che parte stava il soffitto. L'alone delle macchie si restrinse fino a definire le forme di innumerevoli oggetti: suppellettili, scatole, attrezzi e una serpentina di fotografie incollate alla parete che si stava scrostando. Persone sorridenti che indossavano camici bianchi, persone al lavoro in mezzo alle piante, persone in posa ad una serata di gala. Per vedere oltre dovette girare il collo, ma la fitta di dolore causata da quel movimento gli appannò di nuovo la vista e dovette ricominciare daccapo. C'era un'immagine con del blu, del giallo e del rosso che divenne via via più limpida, come una fotografia scattata in una giornata di sole. “Mamma” provò a dire mentre tendeva il braccio verso di lei. Ma dalle labbra intorpidite uscì solo una specie di rantolo e il braccio non si mosse. Provò ancora, e ancora, ma era come trovarsi in un sogno da cui non riusciva a destarsi.

Allora sentì le mani fresche di qualcuno che gli prendevano il viso, costringendolo a spostare lo sguardo da un'altra parte. E quegli occhi gialli furono di nuovo fissi nei suoi. Non poteva fare altro che guardarli, anche il solo pensiero di ribellarsi gli procurava un mal di testa che gli faceva perdere la concentrazione così faticosamente raggiunta. Stava cercando di capire se la sensazione delle dita che gli sfioravano le guance corrispondesse a realtà, quando un urlo entrò violentemente nelle sue orecchie per esplodergli nel cervello in un firmamento di stelle, lasciandolo completamente tramortito.

 

La bocca di Yzak stava iniziando a riempirsi del gusto dolciastro e metallico del sangue: nell'urto doveva essersi morso un labbro. La fronte gli faceva un male incredibile, ma il dolore non era niente in confronto alla soddisfazione di essere riuscito a sorprendere ed atterrare il nemico. Rimase a guardarlo dall'alto del letto su cui aveva adagiato Athrun (ad Yzak era toccata una più scomoda sistemazione sul pavimento in legno) e aspettò che aprisse i suoi schifosi occhi per potergli ridere in faccia.

Stordito dalla violenta testata, l'avversario stava ora tentando di rialzarsi. Era un uomo alto e magro che indossava vecchi abiti consunti dai colori indefinibili. Aveva folti capelli di un biondiccio tendente al verde raccolti in una treccia piuttosto voluminosa e delle vitree, irreali iridi giallastre che spiccavano sulla pelle abbronzata del viso. Doveva avere passato la quarantina, anche se era difficile definirne l'età: la pelle iniziava a raggrinzirsi, ma nell'insieme il fisico e il volto davano l'idea di una persona giovane.

Se avesse provato a toccare di nuovo Athrun gliela avrebbe fatta pagare cara. Non aveva idea di come, dato che aveva ancora braccia e gambe legate, ma era certo che un essere come quello non avrebbe mai potuto avere la meglio su Yzak Joule.

L'uomo si rialzò massaggiandosi la fronte.

“Oh, sei già sveglio,” mugugnò rivolgendosi a colui che lo aveva appena colpito. “Strano, l'anestetico non lascia scampo ai Coordinator. A meno che...” Gli occhi, ora brillanti di curiosità, si assottigliarono. “A meno che tu non lo sia!” concluse puntando con entusiasmo l'indice verso il prigioniero.

“Io sono un Coordinator, cretino!” sibilò Yzak di rimando.

Il nemico lo guardò come se fosse stato sorpreso dall'affermazione, ma si riprese presto, e dopo aver soffocato una risata esclamò: “Sì, sì, certo, tutti noi siamo convinti di essere grandi, geniali e perfetti Coordinator! E dimmi, tesoro” continuò, “cosa sono queste belle reazioni immunitarie tutte Natural che porti su di te?” Nel dire questo avvicinò la mano alla fronte di Yzak, arrivando quasi a sfiorargli la frangia.

“Non toccarmi!” minacciò quest'ultimo allontanando l'uomo con una spallata.

“Giusto, altrimenti mi mordi. Che umanità evoluta!” sospirò l'altro levando lo sguardo verso l'alto. Oltre ad essere irritante, quel tizio era pure stupido. Yzak era già pronto a scattare per atterrarlo di nuovo, quando Athrun interruppe il diverbio.

“Che cosa...vuoi da noi?” rantolò. Era riuscito ad aprire gli occhi e a girarsi su un fianco, ma era chiaro che stava facendo uno sforzo terribile per connettere le parole.

“Stai tranquillo, piccolo Lenore. Sono uno scienziato, e sono molto meno criminale di tanti miei colleghi,” lo rassicurò l'uomo.

Yzak dovette fare un certo sforzo per mantenere il contegno e non strabuzzare gli occhi davanti a quell'inaspettata dichiarazione. Lenore non era il forse il nome della madre di Athrun? Ad Yzak non piaceva il modo in cui quell'individuo continuava a guardare il compagno, né la familiarità con cui si era rivolto a lui.

“Chi sei?” chiese Athrun aggrottando le sopracciglia nel tentativo di mettere a fuoco il nemico.

“Non ha importanza chi sono. Anche se te lo dicessi, non cambierebbe niente.” Colui che si era definito uno scienziato spostò lo sguardo altrove. “Che cosa siete venuti a fare qui? Non voglio soldati dalle mie parti. Spero che non vi abbiano mandato qui per fermarmi. Sappiate che resisterò fino all'ultimo, voi esaltati di Zaft non mi fate paura” minacciò abbassando il tono della voce. “A proposito, da quando in qua mandano in guerra i ragazzini? Immagino che vi avranno fatto il lavaggio del cervello con tante, tante belle parole...”

Aveva parlato al plurale, ma stava fissando solo Athrun. In circostanze normali Yzak avrebbe iniziato a ribollire di rabbia: le parole di disprezzo per gli ideali di Zaft erano pari ad un insulto rivolto alla sua persona. Tuttavia, memore della divisa rossa che gli era stata affidata, si sforzò di lasciar raffreddare la mente. Che quel tizio fosse un pazzo, oppure un terrorista, non aveva importanza. Bisognava trovare al più presto il modo per sfuggirgli. A giudicare da come stava blaterando, e soprattutto da come si era lasciato sorprendere, non sembrava esperto né nelle tecniche militari, né nella lotta. Yzak avrebbe potuto immobilizzarlo per offrire ad Athrun la possibilità di liberarsi, ma non era certo di poter fare affidamento sui riflessi ancora appannati del compagno. Nel frattempo quest'ultimo stava spiegando che si trovavano lì per una semplice esercitazione.

“Hai sentito, no? Non siamo venuti per portarti in manicomio” disse Yzak inserendosi nella conversazione e pentendosi subito delle parole che aveva pronunciato nonostante il proposito di controllarsi. Si sforzò di ammorbidire il tono. “Quindi ti pregherei di slegarci.”

“E vi dovrei credere?” chiese l'uomo portando una mano al mento, come se stesse soppesando le alternative.

“Non abbiamo armi e hai visto le attrezzature che stanno nei nostri zaini,” rispose Athrun. “A parte il coltello non c'è niente di offensivo.”

L'uomo sospirò. “Athrun, non so se è il caso di restituirti a Zaft. Proprio tu a fare il soldato...Avrai spezzato il cuore a tua madre. Lei non era mai stata militarista, ed io non ho ancora capito come abbia fatto a sposare quell'uomo. Non è giusto che tu ti sia unito a loro.”

Nelle pupille appannate di Athrun si mosse qualcosa: forse era stupore, forse era rabbia. L'uomo fece come per avvicinarglisi, ma Yzak si parò nel mezzo. “Per tua informazione, lui si è arruolato dopo che quei vigliacchi dei Natural hanno ucciso sua madre. Non ha potuto materialmente spezzarle il cuore. E adesso, dato che ti piace chiacchierare, spiega veramente chi sei. E lo spieghi a me, che sono Yzak Joule” intimò alzandosi sulle ginocchia per avvicinare il più possibile lo sguardo a quello del suo interlocutore. “Piacere,” aggiunse mellifluo e glaciale in un tono, se possibile, ancor più ostile di quello che riservava all'insopportabile Nicol Amalfi.

“Joule? Non dirmi che sei il figlio del Consigliere!” esclamò l'altro strabuzzando gli occhi.

L'uomo sospirò per l'ennesima volta e si sedette su una sedia di fronte ai suoi prigionieri. Poi, come se avesse avuto un ripensamento, si rialzò, girò la sedia e si mise a sedere incrociando le braccia sullo schienale e appoggiandovi il mento sopra, come avrebbe fatto un ragazzino. “Mi chiamo Decimus Maxwell,” annunciò prima di iniziare il suo racconto.

“Vivo su Junius Four da quando ci crescevano solo erbacce e piccoli arbusti. Ho seguito passo per passo la manipolazione genetica di centinaia di specie di vegetali adattandone la fisiologia ormonale per far sì che potessero crescere su Plant. Che cosa sapete del progetto Junius Four?”

Mentre parlava, quell'individuo strano aveva subito un cambiamento repentino. Non era più un pazzo, ma un nemico indefinibile.

“E' stato chiuso per mancanza di fondi,” rispose Yzak, incuriosito.

“In parte corrisponde a verità. Ma c'è una parte di questa verità che non viene rivelata” sussurrò il ricercatore fissando i due ragazzi con intensità, come stesse per lanciare una sfida. “Perché i politici di Plant sono dei codardi” affermò quindi incrociando le braccia sul petto.

Non più di te”, furono le parole che Yzak dovette ingoiare quando le braccia, mossesi d'istinto, si scontrarono di nuovo con le corde che stringevano i polsi. Si limitò a ricambiare lo sguardo di Maxwell. Nessuno dei due pareva intenzionato a cedere.

“Continua” disse Athrun. Yzak grugnì. Non sapeva se dargli dello stupido per aver dato soddisfazione all'avversario o ringraziarlo per aver mandato avanti una conversazione di cui era ansioso di conoscere il seguito.

Maxwell rivolse al figlio di Zala un largo sorriso e continuò.

“L'insieme dei dati raccolti ha portato a risultati scomodi. Nulla di trascendentale! Uno scienziato li potrebbe trovare comprensibili e logici, ma l'opinione pubblica, i giornali e i politici no. E sapete perché? Perché i Coordinator sotto sotto hanno paura.”

“Paura un corno” sibilò Yzak tra sé, cercando di ignorare un grosso coleottero dalle ali lucenti che stava zampettando nella sua direzione.

La luce che entrava nella stanza si stava facendo sempre più scura. Un vento forte e caldo faceva ondeggiare le tende di lino e le sottili zanzariere, scoprendo a tratti il verde intenso di una vegetazione così rigogliosa che pareva voler approfittare degli spiragli offerti dalla situazione per invadere la stanza.

“La manipolazione genetica su Junius Four si è rivelata un fallimento. Un organismo geneticamente modificato cresciuto in un ambiente protetto può stabilizzare le caratteristiche volute. Ma quando viene lasciato interagire con un ambiente complesso, come un ecosistema tropicale, le probabilità che torni allo stato originario aumentano. Le insegnano ancora queste cose a scuola, oppure vi raccontano qualche fandonia per convincervi che i Coordinator sono divinità onnipotenti?” chiese alzandosi in piedi in modo da costringere i prigionieri a rincorrere il suo sguardo.

Yzak dovette scavare a fondo nella memoria per risalire ai ricordi dello studio degli ecosistemi. Alle elementari veniva insegnata la complessità genetica, ma a partire dalle medie le lezioni erano focalizzate sul lato tecnico e si concentravano sui rapporti causa-effetto di singole modifiche. La genetica applicata all'ecologia era considerata una materia per bambini, ed era infarcita di buoni sentimenti e belle parole che avevano portato Yzak ad odiarla istintivamente fin dalla tenera età.

Maxwell sorrise, consapevole che il suo colpo era giunto a segno. Ma la sfida venne di nuovo interrotta da Athrun, che stava tentando di mettersi seduto. Tuttavia quando ci riuscì non disse nulla, limitandosi a spostare lo sguardo sulla parete. Yzak cercò di identificare che cosa stesse fissando, e si accorse di una foto che ritraeva una donna dal volto stranamente familiare. Aguzzò gli occhi. Era Lenore Zala: anche se non l'aveva frequentata di persona, su Aprilus One anche i sassi erano in grado di riconoscerne il volto.

Il ricercatore, dopo aver atteso invano che Athrun si pronunciasse, continuò il suo monologo.

“Si può dire che a noi botanici il lavoro sia andato bene. I vegetali hanno rigettato molti geni, ma nell'insieme un buon numero delle modifiche sono rimaste parte integrante del genoma. Non è stato così per gli animali.” Maxwell allungò il braccio per afferrare il coleottero che si stava arrampicando sulla testiera del letto. L'insetto agitò le zampe pelose mentre l'uomo lo rigirava nella mano osservandolo con interesse. “Nei controlli eseguiti dopo una decina d'anni i miei colleghi non hanno trovato più nulla del loro esperimento. Nulla, nemmeno la traccia delle piccole sequenze di basi che si usano per l'inserimento dei geni. Era come se gli organismi fossero stati portati qui direttamente dalla Terra.”

Da un momento all'altro esplose l'acquazzone. Le gocce di pioggia si infrangevano violentemente sul tetto della costruzione facendo tremare le pesanti assi di legno che la componevano. Maxwell non sembrò farci caso. Prese un contenitore che stava su uno scaffale e vi mise dentro l'insetto, che ricadde sul fondo richiudendosi su se stesso.

“Nessuno è stato in grado di dare una spiegazione valida su come gli animali si siano adattati così bene alla gravità del Plant. Sono tecnicamente...Natural,” sussurrò. “Eppure funzionano benissimo. Ecco, forse non so dire se sono felici o meno di stare quassù, ma questo non è il mio lavoro. Il sospetto è che le modifiche, da noi ritenute indispensabili, abbiano dato degli svantaggi nel processo di selezione. Altrimenti non si spiegherebbe la loro scomparsa. Se fossero state, diciamo, neutrali, si sarebbero almeno conservate come DNA inattivo. Insomma, per vivere qui nello spazio, i geni Natural sembrano i più adatti. Basta concedere agli organismi il tempo per esprimere ciò che il loro genoma possiede già.

Maxwell fece una pausa e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza. Il rumore dei passi si perdeva completamente nel suono dell'acqua che stava precipitando sulle loro teste in un chiasso martellante di gocce e rivoli.

 

Uno spiffero d'aria fresca che conduceva con sé minuscole goccioline d'acqua accarezzò la fronte di Athrun, alleviando il mal di testa che lo immobilizzava. Tenendo le palpebre chiuse era riuscito a mantenere la concentrazione necessaria a seguire il filo del discorso. Non erano argomenti del tutto nuovi per lui anche se, a dire il vero, non si era mai sforzato di approfondirli.

Yzak era stranamente taciturno. Probabilmente stava riflettendo sulle conseguenze di una realtà che stava mettendo in discussione le sue convinzioni.

“In tutto questo che c'entra mia madre?” chiese Athrun.

“Dopo la laurea Lenore ha lavorato qui per quasi cinque anni, non te lo aveva mai detto?” rispose Maxwell, stupito.

Athrun, sorpreso a sua volta, si limitò a fissare l'interlocutore in attesa di dettagli.

“Anche lei si occupava di vegetali. Le Brassicacee per la precisione. Non chiedermi perché, ma con quelle è sempre stata una specie di genio. Poi è stata chiamata su Junius Seven ad occuparsi delle specie coltivate, perché con l'aumento esponenziale della popolazione Plant aveva dirottato tutte le risorse per aumentare la resa delle coltivazioni.” “Le Brassicacee sono cavoli, Yzak,” aggiunse ridacchiando mentre si rivolgeva al ragazzo che aveva ben stampata in faccia tutta la sua ignoranza in botanica.

Lui si voltò, offeso.

“Lenore è arrivata quando stavamo già controllando i primi risultati. E' stata la prima a dirmi che le piante ci stavano prendendo in giro. Era giovane, non aveva esperienza sulle statistiche, ma aveva già capito questo ecosistema. Sarà stato intuito femminile, sarà stata intuizione scientifica, non lo so davvero. Ma aveva ragione.”

“Io invece sono rimasto su Junius Four perché lo considero la mia vita, anche se quegli idioti del consiglio lo hanno ceduto a Zaft. Nessuno mi può impedire di continuare il mio lavoro. Andatelo pure a dire ai vostri genitori,” concluse con un tono e un'occhiata che stavano a metà tra la sfida e la minaccia.

 

“Al consiglio hanno meglio da fare che occuparsi di uno come te,” ringhiò Yzak. Maxwell gli si avvicinò e gli scompigliò i capelli, schivandosi prontamente quando il ragazzo tentò di morderlo.

Nel frattempo la pioggia si era fatta via via meno intensa. Maxwell scostò le tende e spalancò la finestra, rivelando l'ormai familiare scenario di colore verde intenso. Quindi mise le mani sui fianchi e disse: “Bene ragazzi, sarà ora che vi sleghi. Mi raccomando, niente scherzi. Sono stato gentile con voi, spero ricambierete.”

Yzak tirò un sospiro di sollievo. La sua mente iniziò subito ad escogitare piani di vendetta su quella specie di terrorista, che aveva preso un coltello e aveva iniziato a tagliare i nodi che stringevano le caviglie e i polsi di Athrun. Quest'ultimo, forse per colpa dell'anestetico, se ne stava con il capo chino. Si accorgeva o no degli sguardi che quel tizio stava rivolgendo alle curve della sua schiena nuda? Ma Yzak non poté fare altro che attendere.

Non appena Athrun ebbe le mani libere, accadde l'inaspettato. Si voltò, colpì il polso di Maxwell facendogli lasciare il coltello, gli diede un pugno nello stomaco, afferrò l'arma e lo spinse sul pavimento puntandogliela alla gola.

“E adesso togli la foto di mia madre dalla tua stanza!” urlò. “Subito, se non vuoi fare una brutta fine!”

“No...non c'è bisogno di minacciarmi così!” si azzardò a dire Maxwell con un filo di voce Si stava trattenendo dal deglutire, gesto che gli avrebbe fatto penetrare il coltello nella giugulare.

Athrun lo rilasciò, alzandosi minaccioso con l'arma in mano. “Muoviti!”

L'avversario, ancora barcollante per lo spavento, si diresse verso la parete e staccò la vecchia foto di Lenore Zala.

“Tieni,” disse porgendola al ragazzo. “Ecco...se aspetti un attimo...cioé...se non mi ammazzi prima...avrei un'altra cosa da darti.”

Aprì una cartella ed estrasse un'altra foto, che accostò a quella che Athrun teneva in mano. Facevano parte della stessa immagine. Il secondo ritaglio ritraeva un bambino sorridente che indossava la maglietta e il cappellino di Junius Four. Dall'ombra della visiera e dai ciuffi di capelli scuri risaltavano degli occhi verde smeraldo leggermente più chiari di quelli della donna che gli era accanto.

“C'eri anche tu, quel giorno. Non ti staccavi mai da lei, e così vi ho fotografati insieme.”

“Ci siamo visti?”

“Certo che ci siamo visti, Athrun. Ero io la guida.”

Il ragazzo lo fissò con aria perplessa.

“Non mi riconosci? E' passato tanto tempo, e io avevo un aspetto diverso. I miei occhi erano color rubino e i miei capelli erano verdi. Ora, con la dieta che faccio qui, mi sono scolorito. Torno Natural, come ogni cosa. Sai, quando lavoravo giorno e notte sulle mie piante, Lenore prendeva sempre in giro il mio impegno dicendo che facevo Mandala. Vi hanno mai raccontato che cos'è un Mandala?” Il suo tono di voce di Maxwell si era ammorbidito, come se si stesse rivolgendo a dei bambini.

Athrun corrugò la fronte, cercando di ricordare, ma nella sua memoria quella parola non era mai stata impressa. Cercò Yzak con la coda dell'occhio, ma sembrava ancora più sperduto di lui su quell'argomento.

“E' un'antica usanza dei Natural. Sono disegni complicati fatti con la sabbia colorata. Rappresentano la visione dell'Universo di chi li crea. Per farne uno si impiegano giorni e giorni di lavoro, ma sapete qual è il loro scopo? Essere lasciati alle intemperie, affinché vengano cancellati dal vento e dalla pioggia. Tanto impegno, e poi non resta nulla.” Sul volto scuro del ricercatore si aprì un largo sorriso. “Però sono incredibilmente belli. Non trovate che il mondo di noi Coordinator sia un'opera meravigliosa?”

“Che intendi dire?” chiese Yzak.

“Quello che ho detto.” Maxwell allora liberò anche lui dalle corde e restituì ai due ragazzi i loro zaini.

Nel salutare quella persona, Athrun provò una strana gelosia. Gelosia di sapere che qualcun altro conservava un intenso ricordo di sua madre. In più, quell'uomo strano conosceva un passato di cui Athrun non era mai stato parte. Passando davanti alla cascata, che ora produceva un suono più cupo e impetuoso, si chiese se quella volta fosse stato troppo piccolo per capire appieno, o semplicemente troppo stupido.

Raggiunto nuovamente il piazzale si distese pesantemente su una panca, abbandonando le gambe ai lati e portando le mani sugli occhi. Che disastro. Lui e Yzak erano in ritardo di mezza giornata e, quel che era peggio, non avevano trasmesso i loro dati. Cercò di pensare ad una giustificazione plausibile, ma quelle che gli venivano in mente gli sembravano una più ridicola dell'altra. Era arrivato alla conclusione che una scenata di Yzak sarebbe stata la sua salvezza: in qualche modo, il rivale l'aveva avuta vinta. Ma non ebbe il tempo per rammaricarsene. Yzak lo aveva già spinto giù facendolo cadere sulle erbacce.

“Dovremo camminare di notte. Non ho intenzione di arrivare ultimo per colpa tua,” disse Yzak appoggiando un piede sulla panca e guardando il compagno dall'alto con la sua migliore espressione di sfida disegnata sul volto.

Athrun si alzò di scatto e lo spinse dalla parte opposta.

“Per quel che mi riguarda, noi arriveremo primi,” annunciò incrociando le braccia sul petto.

“Sicuro di non voler fare a pezzi quei cosi?” sogghignò Yzak indicando gli strumenti per la trasmissione dei dati.

“Ci penseremo insieme,” fu la risposta di Athrun che sorprese perfino lui stesso. Tese istintivamente la mano al compagno. Questi la afferrò, ma non sembrava intenzionato a farsi aiutare per alzarsi. Strinse invece con forza le dita fino a fargli dolere le ossa.

“Non è che ti lascerai suggestionare dalle parole di quel tizio?”

“Perché dovrei, secondo te?” replicò Athrun tirando nella sua direzione.

“Perché ti conosco meglio di quanto tu creda,” replicò Yzak piantandosi bene in terra. Athrun allora rilasciò la tensione dei muscoli, si lasciò cadere e appoggiò i gomiti sull'asse di legno.

“Non permetterò che i Natural ci spazzino via,” affermò sicuro, avvicinando il viso a quello del compagno fino a poter distinguere le venature delle sue iridi di ghiaccio.

Uno stormo di uccelli scuri passò radente sulle loro teste, costringendo i due ragazzi ad alzare gli occhi verso il cielo di Junius che, sgombro dalle nuvole, si stava tingendo di una tonalità intermedia tra l'indaco e il viola. Le sagome degli uccelli si persero tra le chiome degli alberi più alti, lasciando spazio a solitari pipistrelli che disegnavano nell'aria linee irregolari mentre inseguivano sciami di minuscoli insetti che si disperdevano in ogni direzione.

Athrun pose la mano sulla nuca del compagno, appoggiò la sua fronte su quella di lui e chiuse gli occhi. I sensi vennero subito invasi dai suoni caotici di una foresta che pareva ansiosa di inghiottirli di nuovo nella sua lunga notte. Le labbra di Yzak toccarono le sue, sfiorandole appena, e risalirono baciandogli gli zigomi e la fronte.

“Siamo Coordinator. Facciamo in modo che nessuno possa permettersi di dire che questa cosa è migliore di noi.”

Athrun riaprì gli occhi e annuì con un sorriso.

 

 

***

 

Note dell'autrice!

 

Era da un po' che mi frullava in mente l'idea di scrivere qualcosa di fantascientifico. E anche qualcosa di Boys' Love. I due propositi sono stati frullati insieme nella mia testolina di fan e ne è uscita questa storia, fatta di un'umanità alle prese con vari problemi razzial-genetici e di adolescenti un po' cupi dai sentimenti confusi. Spero che il mix sia stato divertente da leggere: di sicuro per me è stato divertente da scrivere.

Grazie sia a chi ha recensito sia a chi, semplicemente leggendo, ha condiviso anche per pochi attimi questa mia personale visione dell'Universo Seed.

 

Atlantislux: non ho mai concepito il rapporto tra Athrun e Yzak come qualcosa di tenero, o come qualcosa che si possa chiamare amore o amicizia. Li ho sempre visti come due adolescenti che riescono ad incontrarsi solo nelle parti più buie delle loro rispettive, difficili, esistenze. Ho pensato al bacio come segno della consapevolezza di questo incontro, nulla di più. Sono contenta sapere che hai apprezzato la scena anche perché, confesso, non è stato semplicissimo scriverla!

 

Lyl_Meyer: è un immenso piacere ricevere uno “Yay” per la prima storia Boys' Love della mia esistenza di fanwriter! Trovo che in Seed il rapporto tra Athrun e Yzak sia descritto magistralmente, con poche scene ma ben curate. E io, che ho sempre avuto un debole per le storie di rivalità adolescenziali, non ho potuto resistere dall'arruolarmi nel loro fandom. Sono contenta che ti sia piaciuta la storia di Ezalia. Per il momento non ho in mente storie incentrate su di lei, ma di certo la farò comparire ancora. Nel caso non si fosse capito, adoro i prequel ^^

 

Un ringraziamento particolare va a Sippu, che mi ha aiutato nella dura lotta contro i tempi dei verbi e che ha scovato un po' orrori a cui ho potuto porre rimedio.

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