Il bamboliere

di Mrcctld
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trauma infantile ***
Capitolo 2: *** Un regalo decente ***
Capitolo 3: *** Delusione d'amore ***
Capitolo 4: *** Ricordi d'infanzia ***
Capitolo 5: *** Trauma adolescenziale ***
Capitolo 6: *** Anamnesi di una malattia, parte prima ***
Capitolo 7: *** Anamnesi di una malattia, parte seconda ***



Capitolo 1
*** Trauma infantile ***


Africa centrale, 1855

Il sole stava sorgendo sul vasto altipiano, creando lunghe ombre nere fra le fronde dei radi alberi della savana. Nei vasti prati tra le nodose acacie e i possenti baobab non vi era traccia di nessun animale. Era tutto immenso nel silenzio del primo mattino.
I soldati avevano iniziato a marciare da un paio di ore, cantando i loro cori che spezzavano l'immane silenzio. Erano diretti ad un villaggio tribale nei pressi delle cascate dedicate alla loro regina Vittoria.
Una volta avvistate le capanne, le avrebbero bruciate e ne avrebbero catturato gli abitanti,  aumentando  il numero dei negri che seguivano incatenati l'uno all'altro il manipolo degli Inglesi.
La savana era una terra arida e povera di cibo. Quando uno dei prigionieri moriva di stenti, fuggendo così al suo destino di schiavo, i soldati non lo seppellivano. Lo spogliavano dei pochi beni rimasti e, dopo una rudimentale depilazione, l'arrostivano al fuoco. La gustosa testa era riservata alla truppa, mentre i resti degli arti venivano concessi agli indigeni, che osservavano questo orribile rituale senza più emozionarsi.
Il caldo opprimente di quei giorni aveva fatto delirare gli uomini, rendendoli meno coscienti e liberandoli da ogni inibizione. La prossima preda sarebbe stata la valvola di sfogo degli istinti più sanguinosi del predatore.

Il piccolo Joseph era andato a caccia di scimmie verso mezzogiorno. I suoi genitori non si spaventavano più se si avventurava da solo nel bosco ai piedi delle grandi cascate. Sapevano che loro figlio era coraggioso e abile, nonostante avesse solo otto anni. Joseph si arrampicò con agilità su un albero di baobab, facendo attenzione a non spaventare la scimmia che vi si era nascosta.
La caccia gli dava un piacere enorme. Quando prendeva la preda fra le sue mani e la fissava negli occhi terrorizzati provava un senso di invincibilità e lo sferrare colpi col sasso appuntito era per lui la liberazione della propria libidine più feroce.
Ora la scimmia si era rifugiata sulla sommità dell'albero. Per Joseph non era molto difficile raggiungerla, ma doveva essere il più cauto possibile e ciò richiedeva un certo impegno.
Stava saltando verso un ramo, quando si sentirono in lontananza colpi di fucile e schiamazzi di gente. Cadde rovinosamente a terra. Il bambino disperava nel ritrovare la scimmia e si concentrò allora ad individuare la fonte del rumore sempre più crescente. Quello che vide da dietro un cespuglio fu la prima delle spaventosi visioni a cui dovette assistere.
Una lunga nuvola di polvere procedeva per la savana e puntava al villaggio. Al centro si riconoscevano degli uomini non molto alti, con una strana uniforme rossa e dalla pelle bianca. In mano avevano lunghi fucili, molti dei quali sparavano verso gli abitanti del villaggio, che si erano già accorti di tutto e iniziavano a gridare disperati. Alla fine della colonna, Joseph vide alcuni suoi simili legati con catene che procedevano lentamente in un penoso corteo. Sembravano morti ritornati in superficie dalle viscere della Terra.

Iniziò a correre verso casa il più veloce possibile, graffiandosi con i rovi e sporcandosi tutto. Non sapeva perchè stesse tornando al villaggio, forse sperava di poter salvare i genitori. Qualcosa però gli diceva che era troppo tardi. Il bosco era esteso e i soldati erano di sicuri già arrivati. Ma lui continuava a correre a più non posso.
L'aria iniziò ad essere impregnata del fumo dei roghi, mentre le grida si facevano più vicine. Inciampò in un sasso. Joseph lo osservò meglio e scoprì con orrore che quello era un braccio umano mutilato. Capì di essere giunto al villaggio. Si trovava nello spiazzo centrale, invaso dal fumo e dalla polvere. Uomini dalla camicia rossa entravano nelle capanne, ne portavano fuori gli abitanti e poi le bruciavano. Nei visi terrorizzati riconobbe amici e parenti, che lo fissavano come se volessero dirgli di fuggire. Ma lui rimaneva in piedi al centro della turba, paralizzato dalla paura e dallo choc.

Una mano lo afferò alle spalle e lo tirò indietro.
"Guarda John, che bel negretto!"
" Ah ah ah, lo uccidiamo o vuoi farlo soffrire un pò? Sarebbe un peccato non vederlo piangere"- la mano di un altro uomo gli aveva preso il viso e lo tastava con violenza - "Sai una cosa? Mettiamolo insieme agli altri schiavi, al mercato nero i ricchi froci pagano fior di sterline per giovanotti così!"
"Hai sempre ragione John, incateniamolo e poi continuamo a divertirci con gli altri negri."
Con una forte presa gli tesero le mani all'indietro e gli misero delle pesanti catene. Joseph non sapeva perchè non avesse reagito. Aveva però temuto di morire, ma sentendo quella lunga discussione in quell'idioma sconosciuto, aveva posto un'ingenua fiducia nei due soldati. Lo scaraventarono in un angolo e lo lasciarono lì.
Poi i due uomini iniziarono a perquisire altre capanne, finchè non entrarono in quella dei suoi genitori. Rimasero dentro un tempo che per Joseph sembrò infinito. Si sentirono urla, scossoni, risate, colpi di fucile. Joseph ormai sapeva di essere solo al mondo e di non avere più speranza di rivedere i suoi genitori. Pianse.
 
I due inglesi riemersero all'esterno.
"Hai ragione sulla prestanza fisica dei negri! Hai visto quanto è lungo questo coso!" - il soldato con aria divertita mostrò all'altro un lungo pezzo di carne nera penzolante - "Poi John, le negre sono delle vere puttane, te la danno anche se le stai uccidendo."
"Ah ah ah ah ah ah!" - la risata beffarda era un linguaggio che anche Joseph capiva.
I due entrarono di nuovo nella capanna e uscirono tenendo fra le mani una testa mozzata
"Ora giochiamo un pò a calcio! Tieni!"
"Presa, era un tiro semplice, prova questo" - la lunga gamba sferrò un calcio alla testa, formando una parabola nell'aria polverosa e acre.
Quel tetro pallone colpì Joseph e rimbalzò vicino a lui. Il bimbo riconobbe il viso della madre, con gli occhi aperti in una smorfia di estremo dolore.








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Capitolo 2
*** Un regalo decente ***


Londra, 1865

Benchè la schiavitù in Inghilterra fosse stata abolita da una cinquantina d'anni, era ancora largamente diffusa nell'epoca vittoriana. Il mercato di nero di Londra era invaso ogni giorno da borghesi e aristocratici che speravano di concludere convenienti affari con i mercanti di frode. Ma da quando il commercio degli schiavi era stato vietato, averne uno era diventato un lusso. I prezzi erano lievitati a dismisura perchè i mercanti, oltre a dover pagare personalmente i cacciatori, dovevano corrompere le numerose autorità governative che controllavano gli scambi.
I traffici nonostante ciò continuavano fiorenti durante il regno della regina Vittoria. L'alta società pensava fosse sconveniente non possedere un essere umano al proprio servizio, considerato un vero e proprio status symbol.

Lady Eleanor Kirkpatrick ne poteva vantare ben sei, tutti bambini dagli otto ai dieci anni provenienti da Africa, India e Caraibi. Erano il suo orgoglio e l'invidia dell'aristocrazia londinese. Ora erano tutti vestiti in uniforme da cameriere, pronti a servire alla festa che la loro padrona aveva organizzato per la nascita della figlia Elizabeth.
L'elegante Belgrave square era affollata delle carrozze degli ospiti, avvolte nell'oscurità rischiarata appena dai lampioni. Anche le luci della sontuosa villa dei Kirkpatrick erano accese e dalle finestre si poteva scorgere il movimento degli invitati al ricevimento. Raggruppati nel salone secondo amicizie, affinità, status, chiacchieravano amabilmente, sorseggiando champagne francese servito da negretti con gli occhi tristi. Stavano aspettando l'arrivo della signora di casa insieme alla sua bambina.
"Oh guarda George, ha ben sei schiavi! È una donna triviale, non fa nulla per nascondere la sua ricchezza, vuole essere invidiata."
"Pensa, suo marito è capitano della Guardia navale, dovrebbe vietare questi traffici, mentre invece fa fortuna con le mazzette."
"Però caro, adesso vorrei una cosa..."
"Dimmi, cosa vuoi che ti compri?"
"Voglio avere anch'io un indiano nella servitù!"

Una piccola mulatta dalle lunghe trecce nere annuncìò con la sua esile voce l'arrivo di Lady Kirkpatrick e si apprestò ad aprire da sola un pesante portone di legno. Appena i battenti si furono spalancati, Eleanor apparve in tutta la sua maestosità.
Era una donna bellissima, ma algida nello stesso tempo. La sua aggraziata figura era circondata da un'aura di nobiltà e alterigia, valorizzata dall'elegante abito di foggia vagamente medievale che indossava. Il suo viso ceruleo senz'età era attorniato da lisci capelli biondo miele, che contrastavano con la vacuità dei suoi profondi occhi scuri. Alle sue spalle una vecchia balia teneva in braccio Elizabeth, avvolta in fasce di pizzo che la facevano sembrare una piccola nuvola.
Congedata l'anziana signora, Eleanor prese in braccio la figlia e andò a salutare gli ospiti. Tutti rimasero incantati dalla gioia della bimba dagli occhi blu e dai riccioli dorati, il cui viso paffuto sorrideva a tutti senza fare distinzioni. L'intera aristocrazia londinese contemplava lo spettacolo delle due donne che procedevano per la sala con elegante dolcezza, accostandosi ad ognuno e porgendogli gentili saluti.
"George, hai visto? È troppo tenera!"
"Un piccolo angelo, ha preso la bellezza della madre."
"Per fortuna, Sir Kirkpatrick è un vero mostro, ma a proposito, non c'è alla festa!"
"È andato nelle Filippine perchè gli indigeni delle piantagioni si sono ribellati."
"Vere bestie, portiamo loro la civiltà e ci ringraziano così!"
" Hai ragione cara. Uh guarda! La piccola Elizabeth ha accarezzato con la manina il naso di Sir Thomas!"
 
La festa procedette fino a tarda notte in un'atmosfera di gioia e convivialità. Gli ospiti discutevano fra loro mentre gli schiavetti si occupavano di rifornirli di caviale e champagne.
Lady Eleanor rimase in disparte su un divano a cullare la piccola Elizabeth. Quando si addormentò, chiamò la balia che la portò nella sua cameretta al piano superiore. Eleanor decise che era ora di scartare i regali per la neonata. Si avvicinò alla bambina con le trecce nere e le ordinò di richiamare gli ospiti e di farli avvicinare a lei con i loro doni.
"George, secondo te le piacerà?"
"Non ti preoccupare cara, la bambola che hai scelto è davvero bellissima."
"Ci credo! Con quello che ho speso dovrebbe apprezzarla. Ma Lady Eleanor ha dei gusti particolari e non le va mai bene niente!"
Seduta sul divano, la signora di casa riceveva i vari invitati in coda davanti a lei. Le porgevano i pacchi, lei li scartava e, dopo un formale ringraziamento, li faceva portare via dagli schiavi. Il suo volto nascondeva bene il disgusto che provava di fronte ad abitini di pizzo, collanine, peluche e altri regali sempre uguali, il cui costo era proporzionato alla bruttezza.
"George! È quasi il nostro turno!"
"Stai calma cara, il nostro regalo è davvero migliore degli altri"
"Vero, questi pezzenti non si sono per niente sprecati!"
Finalmente la coppia di vecchiettini giunse al cospetto di Lady Eleanor, a cui porsero il loro pacco uguale a tanti altri. La donna non sperava in niente di speciale e lo scartò con gesti annoiati.
"Oddio! È magnifica!" - Lady Eleanor urlò di sorpresa e fece sussultare l'intera sala - "Finalmente un regalo degno di questo nome! Grazie."
"Di niente signora" - i due anziani avevano le lacrime agli occhi per la commozione - "È un vero onore per noi. Non sa quanto siamo felici."

La festa terminò a mezzanotte passata. La sala da vuota era ancora più grande ed era una fatica per i sei bambini pulirla tutta. Eleanor non aveva fatto portare via il regalo della coppia perchè voleva ammirarlo ancora.
Era una classica bambola, ma a dimensione naturale. La pelle era pallida e al tatto, benchè fosse probabilmente di porcellana, era talmente morbida da sembrare vera. Gli scuri occhi vitrei brillavano in un'espressione di melanconica rassegnazione, come se fosse conscia di essere solo un oggetto. Era una bambola estremamente affascinante e realistica. I lunghi capelli corvini raccolti in una treccia e l'abito d'adulta in pesante broccato nero la rendevano vagamente inquietante, ma a Lady Eleanor piaceva lo stesso. Prima di posarla sulla mensola del soggiorno, notò una piccola etichetta cucita su un risvolto dell'abito. Era l'indirizzo della bottega dove era stata creata: "Il bamboliere, Savile Row 15"
 
 




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Capitolo 3
*** Delusione d'amore ***



Il giorno dopo Lady Eleanor decise andare a visitare il negozio. Era molto curiosa di conoscere il creatore di quel capolavoro.
Si preparò con cura e fece sellare i cavalli della carrozza. Prima di uscire di casa diede una rapida occhiata al giornale. La prima pagina riportava ancora la notizia del misterioso rapimento dei due gemelli Vaughan, di appena due anni. Era il terzo caso dall'inizio dell'anno di scomparsa di bambini a Londra. Lady Eleanor però non era preoccupata per la sua Elizabeth. Forse, poichè era convinta di essere superiore, non temeva nessun pericolo e pensava di essere immune a qualsiasi disgrazia.

Giunse alla bottega di Savile Row verso le undici di mattina. Era un edificio di mattoni rossi simile a tanti altri. L'insegna in caratteri gotici recitava "Il bamboliere", mentre le vetrine erano coperte da tende di seta cremisi.
Lady Eleanor, scesa dalla carrozza, aprì la porta e si ritrovò in una vasta sala senza persone dentro. Alle pareti erano affisse lunghe mensole disposte in numerose file. Su ognuna erano poste ordinatamente circa una cinquantina di bambole intervallate a tratti da candele accese. Non c'era altra forma di illuminazione e l'atmosfera era vagamente tetra. Camminando verso il bancone sul fondo, Eleanor sentiva su di sè gli sguardi tristi e melanconici di quelle realistiche bambole.
"Buongiorno" - fece una calda voce maschile alle sue spalle - "Posso aiutarla?"
Eleanor trasalì e si girò. Un alto negro le stava sorridendo garbatamente. Era un bel ragazzo muscoloso ed era vestito in modo curato. Si sentì leggermente attratta.
"Stavo cercando il suo padrone."
"Ma signora! Il proprietario sono io!"
"Ah, mi scusi!"
Lady Eleanor era sbalordita e cercò di non farlo vedere. Oltre ad essere nero era anche molto giovane, non doveva avere più di vent'anni.
"Volevo soltanto fare un giro. Ieri mi hanno regalato una delle sue opere d'arte e volevo conoscere il genio che l'ha realizzata."
"Oh signora, non sia così, facciò solo il mio lavoro. Se vuole comunque mi chiami Joseph."
I due iniziarono un giro per la bottega. Il ragazzo le spiegava le tecniche e la realizzazione di ogni bambola mentre la signlora ascoltava affascinata, non si sa se maggiormente dai racconti del giovane o dalla sua prestanza fisica.

Joseph era abituato alla gente che lo scambiava per uno schiavo e non si offendeva più. Tuttavia il suo sorriso garbato e le sue maniere cortesi erano una maschera ai suoi desideri più nascosti e feroci.
Mentre raccontava migliaia di frottole sulla creazione delle bambole, notò lo sguardo rapito di quella signora così bella e arrogante. Si capiva che era attratta da lui e se ne compiaceva. Avrebbe potuto divertirsi un po'.
Quando la bionda si chinava per osservare meglio qualcosa, Joseph la sfiorava in modo sensuale e lei ricambiava con un sorriso languido. Era riuscito anche a palparle il seno, i cui capezzoli erano turgidi dall'eccitazione. Voleva vedere fino a che punto sarebbe arrivata quell'elegante dama che ora sembrava una cagna in calore. Alla fine tanto l'avrebbe delusa con suo grande compiacimento.
Chiuse la porta del negozio e si levò la camicia benchè fosse pieno inverno.
"Fa caldo signora, le dispiace?"
"Oh no, si figuri!" - Eleanor alla vista di quei muscoli si sentì tutta bagnata - "Non mi scandalizzo."
"Meglio così, vuole vedere il laboratorio al piano di sotto?"
"Certo Joseph." rispose, sperando in chissà quale piacevole proseguimento.

Andarono verso una porta sul fondo del negozio. Una volta aperta iniziarono a scendere ripidi gradini. Eleanor si teneva a malapena in piedi. Entrarono in un'enorme cantina di pietra, dalla cui volta scendeva un lampadario di ferro acceso da numerose candele. Al centro troneggiava una vasca di marmo che ricordava vagamente una bara. Al suo interno uno strano liquido bolliva a causa di qualche ingegnoso sistema di riscaldamento.
"Quella è una vasca per le tinture" - spiegò Joseph - "Adesso sta bollendo del colorante, sotto c'è una fornace che riscalda il pavimento."
"In effetti adesso fa caldo. Posso spogliarmi?" - azzardò Eleanor.
"Faccia pure, tanto anch'io mi levo le braghe."
Con un gesto elegante, la donna si sfilò l'abito di velluto verde e lo stesso fece il nero. Alla vista del corpo della signora, non resistette e mostrò con orgoglio la sua lunga verga eretta. "Non deve andare così, resisti Joseph" - pensò - "Non devo scoparmela, altrimenti che divertimento c'è a dargliela vinta."
L'uomo le mise una mano sul morbido sedere, indirizzandola verso una galleria oscura. Eleanor, vogliosa di concludere al più presto il rapporto, percorse il corridoio senza accorgersi degli orribili strumenti di metallo appesi alle pareti e delle urla disperate provenienti dal fondo.

Una gabbia enorme occupava un'intera cantina. Era quadrata, fatta di ferro, con una sola porticina su un lato. All'interno l'inferno.
Al centro era scavata una vasca riempita di acqua sporca, tutt'intorno era stesa della paglia nella quale si notavano escrementi umani e residui di cibo. Le spaventose urla erano quelle dei dieci bambini rinchiusi dentro.
Eleanor riconobbe i due gemelli Vaughan, il cui corpo nudo era sporco e puzzolente, ma stranamente non denutrito. Stavano gridando aiuto, piangendo alle sbarre della gabbia come tutti gli altri loro compagni.
"I bambini non devono essere denutriti" - disse Joseph con voce tetramente cambiata - "Altrimenti si disfano tutti nella cera. Sei stata ingenua a credere alle frottole che ti ho raccontato. Come fanno ad essere bambole realistiche se non essendo bambini veri?"
Eleanor era impietrita, nuda di fronte alle piccole creature che non sembravano essersi accorte di lei, talmente erano prese dalo strillare.
"Dopo che ho tinto loro i capelli e li ho vestiti con abiti carini" - proseguì Joseph - " li mettò in vendita e nessuno se ne accorge, tanto non marciscono essendo solidificati con la cera. Ho iniziato con i figli delle prostitute, di cui a nessuno frega molto, poi ho incominciato a rapire i bei bambini di voi bianchi riccastri. Stavo pensando anche alla tua Elizabeth, ma adesso ho cambiato idea. Userò la madre! Però non ti metterò in vendita, non sei mica una misera schiava. Ti terrò in un angolino e ti lascerò in pace. Contenta?"

Lady Eleanor iniziò a strillare e dimenarsi. Fuggì nel corridoio, ma il negro fu più rapido di lei. La bloccò e le incatenò le mani con pesanti cinghie, poi la riempì di botte nel tentativo di stordirla. Ma lei, scossa dalla rivelazione e da una scarica di adrenalina, non sveniva.
"Peggio per te!"
La caricò sulle sue spalle e la portò nella sala della vasca, dove non bolliva del colorante ma cera. La buttò dentro.
Ora non restava che aspettare tre ore affinchè il corpo si solidificasse per bene, stando anche attento che non si spappolasse perchè era molto magro e delicato.
Eleanor appena dentro la vasca, sentì un liquido caldo che la ricopriva tutta. Cercava di non ingerirlo, ma era difficile. Quando aprì la bocca una sostanza vischiosa la riempì tutta. Si sentiva sempre più pesante. La cera si stava solidificando al suo interno, nel cuore, nelle vene, nel cervello. Chiuse gli occhi e poi più niente.






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Capitolo 4
*** Ricordi d'infanzia ***



Joseph si rivestì e si sedette soddisfatto ad aspettare il termine delle tre ore. Era stata una conquista semplice ma tuttavia appagante. Era riuscita ad alienarla e a sottometterla al suo potere semplicemente spogliandosi. Non aveva fatto domande e non si era lamentata e così, adesso, si ritrovava in una vasca piena di cera, deceduta ma immortalata per sempre nella sua belllezza.
"Mica male!" - pensò Joseph.
Nell'attesa, i suoi pensieri iniziarono a vertere sul passato, come se cercassero prepotentemente di riempire il vuoto mentale che ora l'uomo provava.

Era stato anche lui una bambola. Una bambola uguale a tante altre stipate su una nave diretta verso l'ignoto. In quei giorni non si sentiva un essere umano, nono pensava, non respirava, non si muoveva. I primi giorni aveva pregato incessantemente, ma poi, nono vedendo nessun cambiamento, era caduto in una sorta di stato vegetativo durato un limbo infinito di tempo.
Quando sbarcò in una landa fredda e nuvolosa, si svegliò improvvisamente e si ritrovò in una piazza gremita di gente bianca che gesticolava e urlava fragorosamente davanti a file di uomini simili a lui incatenati fra loro. 
Iniziò a sentire numerose voci indirizzate a lui.
"Perfetto, centomila sterline vanno bene, lo compro." Furono quelle le prime parole, di significato oscuro, ma di grande impatto emotivo per il piccolo Joseph, che pronunciò Sir Mortimer Bradlaugh, conte di Cambridge. Questo vecchio lo prese con gentilezza e lo portò con sè su una carrozza. Durante il viaggio Joseph non proferì parola, rimanendo a scrutare quell'eccentrico signore che considerava già il suo salvatore.
Era alto, allampanato, dimostrava una sessantina d'anni. I suoi capelli grigi cadevano sul viso in morbidi boccoli in una capigliatura vagamente femminile. Aveva un naso con la punta innaturalmente all'insù e le sue labbra erano piegate perennamente in una smorfia altezzosa. Indossava una giacca di velluto rosa e una calzamaglia di foggia settecentesca di seta gialla. Fra i capelli, nelle tasche e nelle asole erano collocati fiori freschi di ogni colore e specie che emanavano un dolce profumo. Sembrò subito un personaggio particolare anche al piccolo Joseph, che di uomini bianchi non aveva molta esperienza.
Nel tragitto Sir Mortimer offrì al bambino dolcetti e tazze di thè, che portava sempre con sè in un vezzoso cestino di paglia, e gli chiese il nome, Joseph riuscì a capirlo dopo un pò che mimava la domanda e rispose, poi iniziò a divorare la merenda con rinnovato appetito.

Giunsero ad una villa settecentesca immersa in un enorme parco, dove scorazzavano allegramente una decina di bambini, che, dal colore della pelle, sembravano provenire da ogni parte del mondo. La carrozza si fermò davanti all'ingresso, l'uomo scese e prendedogli la mano con un gesto cavalleresco, fece saltare giù Joseph.
"Benvenuto a Bradlaugh Manor!" - esclamò con gioia.
Il vecchio poi aprì il portone della villa e lo accompagnò, passando fra saloni e gallerie di lusso mai visto prima dal bimbo, verso la sua camera da letto.
"Dormirai qui d'ora in poi" - disse e li mostrò la stanza. Era luminosa, elegante e aveva cinque letti disposti in fila - "Starai con i bambini più grandi."
Joseph non aveva capito nulla ma fece cenno di comprensione con la testa.
"Ecco i tuoi nuovi abiti" - aprì un armadio e tirò fuori un completo di velluto blu - "Mettitelo, devi essere elegante per la cena di presentazione".

La sala da pranzo era pronta per la cena. Joseph aveva visto apparecchiare la tavola rotonda da due giovani mulatti, che dimostravano una quindicina d'anni e avevano il viso triste e rassegnato che contrastava con quello ridente dei bambini del parco. Pensò spaventato se quello avrebbe dovuto essere il suo destino. Fu soltanto un attimo, poi si tranquillizzò.
Al tavolo erano sedute dodici persone. Joseph era affiancato da Sir Mortimer e da una coppia di gemelli, un maschio e una femmina. Avevano dieci anni ed erano i più grandi, ma si differenziavano anche per l'aspetto fisico. Infatti erano nordici, con la pelle bianca, i capelli biondi e gli occhi azzurri. Lo fissavano con curiosità come tutti gli altri, che invece erano neri o mulatti.
"Presentatevi a Joseph, il nuovo arrivato" - esclamò Sir Mortimer.
Ognuno si alzò in piedi e indicandosi con la mano disse il proprio nome.
"Sasha" - disse il maschio dei gemelli.
"Irina" - fece la femmina. Poi tutti gli altri.
"Maria", "Pablo", "Robert", "Francis", "Brigitte", "Carl", "Juanito", "Ester".
Sorridevano tutti e sembravano aver accolto Joseph, che ricambiò il sorriso.
Cenarono abbondatemente serviti in silenzio dai due ragazzi misteriosi, che non sembravano turbare gli altri bambini. Joseph voleva chiedere chi fossero, ma non sapeva come esprimersi e quindi lasciò perdere.
Sir Mortimer fu molto gentile e cordiale per tutta la durata della cena. Si congedò per primo, dicendo ai bambini di tornare nelle proprie stanze. Obbedirono e Joseph scoprì di essere in camera insieme ai gemelli, per i quali nutriva molta simpatia, anche se non sapeva il motivo. Si addormentò subito, veramente felice dopo tanto tempo.

Nei mesi che seguirono Joseph comprese di trovarsi in una sorta di scuola, benchè sembrasse di essere in una grande famiglia allargata. Ogni giorno frequentava assieme agli altri bambini corsi di galateo, cucito, cucina e di altre numerose materie, tenuti da Sir Mortimer, il quale però non dava voti e non interrogava. In questo modo imparava in fretta e aveva stretto amicizia con tutti, favorito anche dalle lezioni di inglese del vecchio. Ogni giorno andava nel suo studio tappezzato di libri di ogni genere, dal greco antico all'ayurveda, e imparava la lingua, acquisendo un accento da vero lord e un lessico forbito ed elegante, che non contemplava i termini più comuni del linguaggio.
Tutti i pomeriggi invece giocava nel parco con gli altri e nascevano rivalità, invidie, ma anche simpatie e teneri amori. Joseph baciò Irina a nove anni, l'unica donna per la quale provò tale sentimento. Anche con suo fratello nacque un forte legame di amicizia.
Ogni tanto Sir Mortimer scompariva per qualche giorno, ma ritornava portando con sè dei peluche talmente morbidi da sembrare veri. Raffiguravano animali particolari, quali coniglietti, canarini e altri esseri di piccola taglia. Joseph ne era affascinato e voleva sapere da dove provenissero, il vecchio rispose sempre evasivamente, lasciando che la sua curiosità crescesse.

Alla gioia collettiva però non partecipavano i due ragazzi mulatti, che lavoravano come domestici nella casa e spesso si appartavano nello studio di Mortimer, uscendone affaticati e ancora più tristi.
Quando Joseph compì dieci anni, essi scomparvero e non si fecero più vedere. Sir Mortimer disse che li aveva mandati via perchè ormai erano troppo grandi...

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Capitolo 5
*** Trauma adolescenziale ***



I due iniziarono a diventare sempre più irrequieti e nervosi, stavano per compiere dodici anni. Joseph una sera chiese al ragazzo il motivo della sua agitazione.
"Presto lo scoprirai anche tu" - rispose triste - "Quando sostituiremo i due mulatti nel ruolo di servitù." Joseph rimase sconcertato.
"Quando compirò dodici anni, Sir Mortimer ha detto che mi chiamerà nel suo studio insieme a mia sorella."
"Ma io ci vado sempre!"
"Dovremo fare una sorta di corso per diventare adulti, ha detto. Poi non potremo più parlarvi e vi serviremo come gli altri ragazzi prima di noi. Ha anche aggiunto che saremo obbligati ad andare da lui ogni volta che vuole, non ha detto però per cosa fare!"
Giunse il giorno fatidico. Irina e Sasha entrarono nello studio rassegnati. Le porte si chiusero e si aprirono soltanto tre ore dopo. Tutti e due piangevano copiosamente e il loro viso era affaticato e rosso. Avevano anche il collo macchiato da una strana sostanza bianca.

Quella stessa sera i due gemelli vennero nella stanza di Joseph per prendere le proprie cose. Poi si sarebbero trasferiti negli appartamenti di Sir Mortimer. L'incontro con il piccolo Joseph, a cui erano teneramente affezionati, fu drammatico.
"Cosa vi ha fatto Sir Mortimer?" - chiese il negretto con infantile ingenuità.
"Niente di che, davvero, ci ha soltanto parlato." - rispose Irina con voce incerta.
"Ma piangevate!" - replicò - "Sembravate così tristi!"
"Uffa, vuoi proprio saperlo! Sir Mortimer è un vecchio pedofilo bavoso!" - disse piangendo il ragazzo - "Ha violentato me e Irina, ma non è finita. Dovremo soddisfarlo ogni volta che vuole, altrimenti ci butta fuori di casa!"
Joseph ammutolì, colpito dalla forza di quelle parole. I ricordi del suo passato riaffiorarono violentemente, che si stavano lentamente dissolvendo nella memoria. Già un'altra volta delle persone avevano fatto del male ai suoi cari e glieli avevano portati via. Rivide la testa di sua madre usata come palla e immaginò anche quella dei due gemelli. Avrebbe voluto reagire, salvarli, vendicarsi, ma era soltanto un bambino e non poteva fare nulla.
Si limitò ad abbracciarli il più forte possibile, mentre il loro viso era rigato dalle lacrime.

Joseph passò i giorni seguenti in silenzio. Irina e Sasha avevano iniziato a lavorare come domestici. Gli altri bambini però non si erano stupiti e non avevano detto nulla nemmeno della scomparsa dei due mulatti. Sembrava che se ne fossero abituati e sapessero già che sarebbe stato il loro destino. Joseph però si commuoveva quando i due gemelli gli lanciavano sguardi supplicanti, sapendo che non potevano avere risposta perchè Sir Mortimer li vigilava con occhio discreto ma sempre fisso.
Lo stesso vecchio si accorse del cambiamento del carattere di Joseph.

Un giorno lo invitò nel suo sudio, rivolgendogli parola con la sua calda cortesia che ora il bambino non sopportava più. Lo seguì silenziosamente all'interno della stanza e si sedette di fronte a lui. Sir Mortimer sospirò e iniziò a parlare.
"Avevo notato la simpatia nata fra te e i due gemelli, hai anche baciato Irina" - sorrise amabilmente, mentre Joseph lo fissava con espressione vacua - "Hai davvero buon gusto. Quei due ragazzi sono il mio orgoglio. LI avevo incontrati durante un mio viaggio in Russia. Ero fra le campagne a passeggiare e mi ero fermato da una coppia di contadini per riposarmi. Avevano ben sei figli e loro non potevano mantenerli tutti. Così in lacrime mi supplicarono di prendere meco i due più piccoli. Io accettai e li offrii anche del denaro!
Quei gemelli li ho cresciuti io, da quando avevano sei anni ad adesso. Ho insegnato loro l'inglese, ma anche a come comportarsi nel mondo. Io li ho sempre solo aiutati!" - disse in un solo fiato.
Joseph però lo fissava sempre con durezza.
"Vorrei farti capire, mio caro Joseph, che io agisco nel vostro interesse. Da quando avevo tren'anni, momento in cui ho ereditato questa villa, ad adesso ho adottato un centinaio di bambini e li ho allevati con tanto amore. Adesso molti di loro hanno fatto fortuna e sono ricchissimi. I due mulatti, per esempio, hanno aperto un'attività di successo a Londra e tra un pò anche tu potrai diventare come loro. Non ti piace l'idea?"
"Allora perchè hai violentato i miei due amici! Brutto porco!" - urlò Joseph con rabbia - "Perchè li sfrutti per soddisfare i tuoi impulsi animali? Non è vero che tu li vuoi bene, per te sono solo oggetti! Semplici buchi dove infilare il tuo cazzo malato!"
Il vecchio trasalì, poi con calma rispose.
"Devi capire che io, per loro, provo più che affetto. Io li amo con tutto il mio cuore. Lo so che certe cose potrebbero essere considerate perverse dalla gente, ma io faccio di tutto per ripagare questa mia passione a cui non posso resistere. Se vuoi consideralo un piccolo prezzo da pagare, la prospettiva di un futuro roseo è certamente una consolazione."
"Io non mi farò mai inculare da te!"
Joseph tacque mentre fra i due alleggiava una forte tensione.
"Direi che puoi andare" - si decise a dire dopo un pò Sir Mortimer - "Spero che tu abbia capito."
Joseph uscì di corsa dallo studio e andò nella sua camera, dove pianse a lungo sui letti lasciati vuoti dai gemelli.

Joseph nei giorni seguenti pensò a molto alle parole di Sir Mortimer e giunse ad una conclusione diversa da quella iniziale. Quel vecchio pervertito in fondo non era cattivo. Era conscio che la sua attrazione per gli adolescenti fosse insana e malata, e, proprio per questo, cercava di espiare questo suo peccato allevando e istruendo le sue vittime. Il bambino non riusciva ad odiarlo, perchè, in fondo, lo aveva salvato da un destino peggiore. D'ora in poi avrebbe accettato tutto ciò che gli sarebbe successo con fatalismo.
I mesi seguenti passarono nella reciproca indifferenza fra Joseph, Sir Mortimer e i due gemelli russi. Questi ultimi tra poco se ne sarebbero andati e Joseph avrebbe preso il loro posto.

Arrivò il dodicesimo compleanno di Joseph. Durante la notte, il ragazzino aveva sentito Irina e Sasha che partivano via con una carrozza. Non li aveva salutati, ma aveva pregato che avessero fortuna nella loro vita. Non versò nessuna lacrima.
Sir Mortimer lo venne a prendere in camera la mattina presto e in silenzio lo accompagnò nello studio. Una volta chiuse le porte, lo baciò in bocca con tanta passione e iniziò a spogliarlo. Poi si sfilò anche lui gli abiti.
Joseph si era preparato psicologicamente a quest'evento. Sarebbe rimasto passivo e inerme, con la mente altrove per non pensare al disgusto di tutto ciò.
Tuttavia la saliva calda di Sir Mortimer sulla sua pelle lo riportò alla realtà o, meglio, nell'incubo. Era troppo tardi per fuggire via. Era bloccato in quella stanza, leccato da un vecchio che presto lo avrebbe penetrato. Urlò di spavento, ma una mano rugosa lo bloccò mentre l'altra lo spinse a terra con il sedere all'insù.
Sentì all'improvviso una fitta di dolore fra le gambe e girò la testa.
Ormai l'uomo si muoveva dentro di lui con spinte forti e regolari. Non pensava avrebbe pianto, ma il dolore lo costrinse a farlo.
Al termine del rapporto, Sir Mortimer si complimentò con Joseph e gli disse di ritornare domani...




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Capitolo 6
*** Anamnesi di una malattia, parte prima ***



Il giorno dopo, Joseph andò nello studio di Sir Mortimer, pensando già a quale pratica sessuale avrebbe dovuto subire. Il vecchio, però, al suo arrivo lo fece sedere e iniziò a parlargli, come aveva già fatto numerose altre volte.
"Ieri sei stato bravissimo!" - si complimentò - "Continua così e avrai una bella sorpresa."
"Non ho fatto nulla, è stato lei a svolgere tutto." - rispose Joseph con indifferenza.
"Non dire coosì, pensiamo ad altro però. Al compimento dei tuoi sedici anni, dovrai andare via da qui, come hanno già fatto numerosi ragazzi prima di te. Ovviamente non ti lascerò andare senza soldi."
"Ah!" - esclamò il nero.
"Io uso questo sistema per determinare il lascito finale. Più sarai bravo a servire, interessato alle mie lezioni e disponibile alle mie visite, più avrai denaro. Parto sempre da cinquantamila sterline. Soltanto i due mulatti hanno guadagnato questa cifra, non valevano niente!"
"Sasha e Irina quanto hanno ricevuto?" - chiese con rinnovato interesse.
"Loro hanno raggiunto il massimo, duecentomila sterline a testa! Erano eccezionali, unici" - Sir Mortimer si stava commuovendo a parlare di loro - "Ma ora basta, voglio soltanto dirti di impegnarti il massimo possibile! So che hai le capacità e la volontà!"
"Grazie, cercherò di fare il mio meglio."

Sir Mortimer non lasciò andare Joseph. Si intrattenero tutta la giornata. Oltre a fare sesso, il vecchio ppropose al ragazzo di imparare un antico metodo di conservazione cinese. Sir Mortimer lo usava per fabbricare quei bellissimi pupazzi che piacevano tanto a Joseph. Accettò volentieri.
Seguendo il conte per corridoi, scale e cunicoli, giunse ad una piccola cantina, dove al centro troneggiava un paiolo di  appeso al soffitto e sotto di esso ardeva vivacemente un fuoco.
"Cosa c'è dentro il paiolo?" - chiese Joseph con curiosità.
"Cera fusa, dove ora sta bollendo un fagiano. Devi sapere che quando scomparivo per diversi giorni era per cacciare gli animali da trasformare in peluche."
Joseph si avvicinò all'enorme pentola e vide la carcassa dell'animale che sussultava a causa dei moti convettivi della cera bollente. Rimase affascinato a fissarla per diversi minuti, fino a quando Sir Mortimer non lo richiamò per fare di nuovo l'amore. Decise che avrebbe seguito le lezioni di soldificazione con impegno e costanza. Stava già pensando a quali soggetti immortalare per l'eternità...

Negli anni seguenti Joseph seguì le lezioni di Sir Mortimer, imparando le tecniche e i segreti di quest'arte che ormai era diventata la sua passione. Ogni tanto, dentro al paiolo, immaginava il corpo squartato del vecchio che bolliva, ma rimuoveva subito il pensiero. Tuttavia gli sarebbe piaciuto adoperare la sua testa per fabbricare un bel pallone da calcio.
Il ragazzo continuava a venire abusato e ormai sapeva quali posizioni piacevano al conte. Non piangeva più, talmente era abituato ai rapporti. Non ne rifiutò mai uno e venne sempre complimentato al termine di essi. Sperava di guadagnare il più possibile per il suo futuro, che tuttavia gli sembrava sempre incerto. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto nel mondo esterno e di come avrebbe campato da vivere. L'unica cosa certa è che avrebbe cercato Irina e Sasha, il cui ricordo era sempre vivo nella memoria. Li immaginava ricchi e felici, soddisfatti dalla loro vita e non più traumatizzati come nel loro ultimo incontro.
Gli altri bambini, a cui si era aggiunto un cinesino di otto anni, crescevano spensierati, consci del loro destino con Sir Mortimer. La piccola Maria stava per compiere dodici anni e avrebbe sostituito Joseph. Il negro spesso le fissava il seno e le altre curve, che erano fiorite e prosperate.
"Chissà come piacerebbero a Sir Mortimer da strizzare!" - pensava, mentre un sorriso beffardo compariva sulle sua labbra.

I sedici anni arrivarono velocemente. Sir Mortimer il giorno del suo compleanno lo chiamò nel suo studio per l'ultima volta. Fecero l'amore con disperata passione.
"Mi mancherai, tanto, ti amo" - diceva durante il rapporto, per la prima volta con le lacrime agli occhi. Joseph era impassibile come sempre, desideroso di finire al più presto.
Sir Mortimer alla fine si rivestì con cura e si sedette di fronte a Joseph, che rimase totalmente nudo.
"Sei stato il migliore che io abbia mai avuto, davvero, mi mancherai" - disse commosso - "Meriti cinquecentomila sterline. Ho già aperto un conto a tuo nome alla Royal Bank di Londra. Stasera un cocchiere ti porterà lì e poi, buona fortuna!"
Joseph, stupito dalla cifra, ringraziò il vecchio e gli diede, per la prima volta spontaneamente, un baciò in bocca. Poi tornò nella sua camera, dove si vestì e preparò le valigie. Guradandosi allo specchio vide l'uomo che era diventato, bello e forte, ma anche intelligente e volenteroso. Provava gratitudine nei confronti di Sir Mortimer, il vecchio conte che lo aveva cresciuto.
Di sera venne davanti al portone una carrozza
trainata da un grosso omone. Joseph ci salì sopra e partì diretto verso il mondo esterno, caotico e disordinato, dove le sue qualità sarebbero emerse. Alla finestra dello studio Sir Mortimer lo salutò piangente con un cenno della mano e venne ricambiato con lo stesso gesto.
La carrozza di allontanava sempre più nella scura campagna, mentre Joseph teneva lo sguardo fisso su quella villa che forse non avrebbe più rivisto.

Dopo circa un'ora di viaggio, la carrozza si fermò all'improvviso. Era ferma in mezzo alla foresta in prossimità di un ponticello su un fiume. Era tutto buio e immerso nel silenzio. Joseph sentì dei passi e percepì delle ombre.
"Cosa sta succedendo!" - gridò impaurito.
"Stai tranquillo, tra poco sarà tutto finito!" - il cocchiere si girò verso il ragazzo, puntandogli una pistola al petto. Era un uomo possente, barbuto, con lo sguardo maligno e avido. Joseph sbiancò dal terrore, ma non si fece prendere dal panico. Pensò rationalmente in che modo poterlo fermare, ma all'improvviso un'altra mano lo afferrò alle spalle e lo spinse fuori dalla carrozza, facendolo sbattere a terra con la pancia. Lo stesso criminale lo stava già per colpire con un calcio, ma Joseph si rialzò subito in piedi.
Si ricordò di quanto fosse agile e potente in Africa, sempre impegnato in lotte per la vita. Il pericolo gli affinò i riflessi...
Il carrozziere aveva appena sparato un colpo, ma il nero lo evitò e centrò il cuore dell'altro aggressore, che morì subito. Joseph corse verso l'uomo barbuto e in un'abile mossa riuscì a prendergli l'arma, con la quale poi gli sferrò una testata stordendolo leggermente.
"Sdraiati a terra!" - urlò inferocito - "Pancia all'insù!"
L'uomo, terrorizzato dalla rabbia del ragazzo, obbedì. Il negro si strappò un lembo della camicia e glielo legò alle mani come se fosse una catena.
"Prima di vedere cosa fare con te, ti chiederò un paio di cose" - disse beffardo.
"Ok, ok, basta che non mi fai male. Ti dirò tutto ciò che vuoi, te lo giuro" - rispose piangente l'uomo.
"Bene! Per primo, chi ti ha mandato per uccidermi?"
"Sir Mortimer Bradlaugh!"

Scusate il ritardo con il quale ho pubblicato questo capitolo, ma non riuscivo a scrivere qualcosa di decente, benchè avessi in mente le idee. Spero che questa versione vi piacerà... Eccezionalmente ho dovuto dividere il capitolo in due per motivi di spazio, non so quando riuscirò a postare la seconda parte, che pensò sarà molto interessante. Infine volevo ringraziare tutti i miei fedeli lettori che seguono la storia fin dal primo capitolo e che hanno scritto delle bellissime recensioni.



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Capitolo 7
*** Anamnesi di una malattia, parte seconda ***



Joseph, sentendo quel nome, impazzì definitivamente. Ora, però, doveva mantenere la calma davanti a quell'uomo e dimostrarsi forte e sicuro di sè. Si chinò vicino a lui tenendo puntata la pistola alla gola e continuò il suo interrogatorio.
"Perchè ti ha assunto per uccidermi?"
"Non sei l'unico" - rispose - "Lo fa da dieci anni. Mi paga per portare fin qui i suoi ospiti e poi ucciderli. Non so perchè lo faccia, ma io semplicemente devo eseguire le sue richieste."
Joseph non replicò subito, ma rimase un pò a riflettere.
Alla fine Sir Mortimer si rivelava un mostro. Aveva ingannato centinaia di ragazzi, illudendoli di un futuro roseo, mentre in realtà erano semplici oggetti per le sue fantasie perverse. Aveva architettato la storia dei premi per l'impegno in modo che le sue vittime dessero il massimo durante i rapporti sessuali. Anche il fatto che educasse i bambini rientrava in quest'ottica. Insegnandoli e allevandoli nei migliori dei modi, faceva nascere in loro un senso di gratitudine nei suoi confronti e così si sentivano obbligati a sdebitarsi.
La triste realtà si rivelava soltanto durante l'ultimo viaggio verso il mondo esterno. Sir Mortimer li faceva uccidere forse per avarizia, non volendo pagare il lascito promesso, forse perchè temeva che parlassero di ciò che era successo, forse perchè ne aveva semplicemente voglia. Le cause però non erano importanti per Joseph.
Riprese a domandare.
"Dopo che li uccidevi, dove seppellivi i cadaveri?"
"A destra del ponte, dove c'è quel sasso."
Il nero si girò verso il luogo e vide i corpi di Sasha e Irina stesi a terra, poi anche quelli dei due mulatti, e ancora, quelli di numerosi altri ragazzi, tutti insanguinati e sporchi di terrra. Joseph si riprese dall'allucinazione.
"Sir Mortimer, per poterti pagare, richiedeva certamente una prova del delitto compiuto."
"Si, si, non voleva vedere i cadaveri, non gli piaceva, così dovevamo tagliare il pene e il clitoride delle vittime."
Il tono dell'uomo era incerto e sembrava chiedere perdono, come se avesse capito le nefandezze che aveva compiuto con l'unico scopo del denaro. Piangeva e tremava dal terrore.
"Ultima cosa, dove siamo ora?"
"Ancora all'interno delle proprietà del conte, in fondo alla via c'è la sua villa."
"Bene, grazie delle informazioni, ora è il momento di espiare le tue colpe!"

Gli occhi dell'uomo si spalancarono dall'improvvisa preoccupazione, mentre gli veniva sfilato un pugnale appeso alla sua cintura. Con un gesto deciso Joseph gli tirò giù le braghe, mettendogli in mostra il membro. Lo tagliò di netto usando la massima precisione. Il sangue zampillò copiosamente e l'uomo gridò dal dolore e dallo spavento. Le mani forti del nero gli spalancarono ancora di più la bocca. Sentì un tozzo pezzo di carne all'interno del cavo orale che veniva spinto sempre più in fondo. Non riusciva a respirare e così morì asfissiato dopo un quarto d'ora di spasmi.
Joseph fissò il cadavere soddisfatto, poi cercò la vanga che avrebbe dovuto seppellirlo se non si fosse salvato dall'agguato. La trovò in un'intercapedine sotto i sedili della carrozza. Scavò una fossa e ci calò le due salme dei due uomini. Dalla faccia barbuta dell'ultimo spuntava un insanguinato salsiciotto di carne. Joseph incominciò a ridere beffardo, poi riempi la sepoltura , sistemò un pò la scena del delitto e, con pistola e coltello al fianco, diresse la carrozza verso la villa di Sir Mortimer.

Durante il breve tragitto, Joseph ripercorse mentalmente il folle progetto che tosto avrebbe compiuto. Giunto al portone della villa, scese dalla carrozza e si diresse all'entrata delle cucine. La trovò aperta come sempre. Sir Mortimer non temeva i ladri, ma non aveva ancora fatto i conti con gli assassini...
Joseph entrò nella stanza e si mise alla ricerca di un imbuto, di un mestolo e della mannaia che aveva usato molte volte durante la sua servitù. Presi questi attrezzi si diresse alla camera di Sir Mortimer, dalla quale proveniva già il suo pesante russare.
Girò il pomello della porta e si avvicinò al letto del suo aguzzino. Si mosse con freddezza. Stordì il vecchio con il manico della mannaia, gli sfilò la vestaglia da notte e gli penetrò l'ano con l'imbuto. Poi si coricò il corpo sulle spalle e s'incamminò verso il laboratorio della cera. Il conte sembrava già morto perchè non respirava e non dava cenni di vita.
Joseph lo appese con una catena a due ganci sul soffitto. Lo mise a testa in giù, con le gambe rivolte all'alto, come se fosse un crocifisso capovolto.  Poi accese il fuoco e la cera incominciò a bollire. Il suo insano piano si stava attuando alla perfezione. Presto si sarebbe vendicato di quattro anni di violenze, stupri e sfruttamento, ma anche di centinaia di giovani innocenti uccisi per l'unica colpa di essere capitati nelle mani di un pervertito.

La cera stava bollendo dolcemente e ciò significava che era pronta all'uso. Joseph immerse dentro il mestolo e con la solita fredda lucidità lo svuotò nell'imbuto conficcato fra le gambe di Sir Mortimer. Il liquido caldo scese attraverso il retto fino alle sue viscere lo risvegliò dal suo sonno. Gli occhi gli balenarono dalla confusione e dalla paura.
"Jo... Jo... Joseph! Non dovevi essere morto?"
"Sono tornato dall'inferno soltanto per vendicarmi!"
Svuotò un ulteriore mestolo al suo interno, poi ancora un altro e continuò così fino a dimezzare il paiolo. Il vecchio svennè e forse morì. Il suo addome si stava gonfiando lentamente. Se lo avesse bucato, sarebbe uscito fuori un getto di cera bollente.
Il ragazzo si tolse questa soddisfazione sferrando un colpo secco di mannaia. Un fiotto di nauseante liquido rossastro scaturì dal taglio e macchiò tutto il pavimento. Rideva divertito e riempì il retto con altra cera. Il flusso dello stomaco riprese copiosamente alimentato da Joseph, che smise quando svuotò tutta la pentola. Si ripulì e con la mannaia in mano si diresse verso le camere dei bambini, lasciando alle sue spalle un cadavere penzolante da cui ora sgorgava sangue.
Ora che si era vendicato del vecchio, avrebbe iniziato la sua missione esistenziale. Se i suoi due più cari amici non erano riusciti ad avere un futuro, nemmeno gli altri bambini ne avrebbero avuto diritto. Joseph ci aveva messo poco per capirlo. Era stata una sorte d'illuminazione improvvisa. Il suo destino era quello di stroncare ogni nuova vita umana.

Aprì la porta della sua prima camera da letto, senza rumore e fissò a lungo i quattro bambini che dormivano tranquillamente. Il cinesino si svegliò all'improvviso, si stroppicciò gli occhi e si vide calare una mannaia in testa. Joseph gli spaccò il cranio in due, poi ammazzò, senza che se ne accorgessero, gli altri con un colpo alla gola. Non toccò i loro cadaveri, decidendo di lasciarli nella loro ultima posa fino a che il tempo non li avrebbe consumati. Uscì dalla stanza e andò nell'altra, lasciando sul parquet una scia di impronte di sangue. Ripetè con accuratezza lo stesso rituale su altri tre bambini, poi decise di uccidere anche la piccola Maria, la ragazza che lo aveva sostitutio e che ora dormiva in un alloggio separato.
Joseph ci impiegò poco ad arrivare nella piccola e umida stanza dove per quattro anni si era addormentato sperando che ogni notte fosse l'ultima. La mulatta giaceva beata nel letto. Il suo respiro le muoveva sensualmente il seno semiscoperto, ma il negro non provò nessuna reazione. Calò invece la mannaia sulla sua gola senza troppi indugi e la uccise. Vide che si era imbrattato di sangue, così aprì l'armadio e fortunatamente trovò un suo vecchio completo di velluto nero. Dopo essersi cambiato, girò per tutta la villa, trafugando qualsiasi oggetto prezioso che incontrava. Caricò così due sacchi pieni di gioielli e libri rari sulla carrozza e partì per Londra. Era già l'alba.

Vendette il bottino ottenuto al mercato nero e ricavò circa duecentomila sterline. Con esse aprì una piccola bottega in Savile Row e fece costruire un attrezzato laboratorio di solidificazione nel sotterraneo. Passò poi notti intere a comprare neonati alle prostitute, con i quali produsse il primo lotto di bambole. Fu un successo e così decise di rapire i pargoli delle famiglie più ricche di Londra, in modo da compiere la sua malsana missione di stroncare le giovani vite destinate alla felicità.
Benchè fosse curioso per l'aristocrazia vittoriana, nessuno sospettò o fece domande su quel gentile ed educato ragazzo di colore. D'altronde aveva donato generosamente del denaro ad alcuni orfanotrofi...

Joseph si svegliò dal sonno in cui era caduto. Dovevano essere passate più di tre ore. Si avvicinò alla vasca di marmo e vide nella cera bollente le mebra spappolate di Lady Eleanor che galleggiavano in una schiuma di color indefinito.
"Maledizione" - esclamò - "Dovevo essere più attento! Uffa, adesso devo buttarla via!"



 

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