L'ultimo Re di Dreaming_Archer (/viewuser.php?uid=99769)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
L'ultimo Re - capitolo 1
L'ultimo Re
Capitolo I
Un giorno di metà
marzo del 1254 – Landshut, Baviera
Il borgo fortificato sulla cima della collina offriva
un’ottima visuale sul paesaggio della campagna bavarese sottostante.
La primavera era alle porte, ma l’aria frizzante e la neve
depositata ancora sulle montagne, lasciavano intendere che ancora l’inverno non
se ne voleva andare.
Il cielo era plumbeo, annunciava un nuovo temporale. Si
sentivano già i tuoni in lontananza.
Le prime leggere goccioline presero i braccianti alla sprovvista.
Stavano cominciando a preparare i fienili e i campi per i raccolti primaverili,
e non si accorsero subito di quella pioggia.
In breve tempo le fini goccioline simili a delicato
vapore acqueo, si condensarono in pesanti gocce copiose. Cadevano dal cielo
come se un Dio arrabbiato le stesse lanciando sui malaugurati contadini, colpendoli
violentemente e inzuppando i loro unici vestiti. Cercavano di correre verso le
loro case ai confini del borgo, ma velocemente come aveva iniziato a piovere,
la terra si era trasformata in un pantano, e si rischiava di scivolare.
Anche le loro scarpe adesso erano zuppe. Se ci fosse
stato il silenzio che poco prima aleggiava sulla pianura, avrebbero ascoltato i
loro passi, e sentito le leggere scarpe di stoffa che assorbivano e
rilasciavano rumorosamente l’acqua ad ogni passo di corsa.
I tuoni erano fragorosi e potenti, sembrava che la terra
tremasse. I fulmini che squarciavano il cielo sembravano il ghigno del Dio
arrabbiato, che si divertiva a vedere quelle piccole persone, ormai zuppe fino
all’osso, che correvano e scivolavano nel fango, per raggiungere le loro case.
***
Dall’alto della torre del castello degli Hohenstaufen, al
centro del borgo, la regina Elizabeth di Wittelsbach osservava quella tempesta,
immobile come una statua di marmo. Eretta e fiera, guardava la campagna con
sguardo impenetrabile. La pioggia che cadeva e schizzava il balconcino dove si
trovava non sembrava sfiorarla, né tanto meno darle qualche problema.
Il suo pesante abito di velluto blu si muoveva
delicatamente intorno alle maniche larghe, e il vento tirava indietro i sottili
boccoli biondi lasciati ricadere sulle spalle dalle morbida acconciatura.
Osservava lo spettacolo della natura all’opera senza
nemmeno battere ciglio, gli occhi azzurri aperti sul grigiore del temporale, ma
velati da pensieri cupi come il cielo.
<< Vostra Maestà … >> La voce della cameriera
alle sue spalle era così flebile che per poco non pensò di essersela
immaginata. Mantenne la sua posizione, le mani in grembo e la schiena dritta,
ma voltò la testa e guardò la donna da sopra una spalla.
<< Il bambino piange. Chiama suo padre. >>
Disse quella. << E’ impossibile calmarlo. >>
La regina sospirò. Alcune volte avrebbe voluto mettersi a
piangere e ad urlare anche lei, chiamando Corrado. Non si erano sposati per
amore, ma per motivi politici, eppure negli anni lei aveva iniziato ad affezionarsi
a quel marito perennemente assente, ma che almeno riusciva sempre a
tranquillizzarla con uno sguardo affettuoso. E invece lui non c’era mai,
occupato ad organizzare un’altra assurda Crociata, invece di pensare ai terreni
in Italia, che giorno dopo giorno conquistavano più indipendenza.
Non chiedeva molto a Corrado: solo un po’ di tempo per
stare con lei, e liberarla per qualche ora della presenza ingombrante di
Manfredi, che si voleva imporre sempre di più, soprattutto adesso che le
notizie da Corrado si facevano sempre più rare.
Anche loro figlio sentiva la mancanza del padre, e anche
se aveva già due anni era difficile calmarlo, come fosse molto più piccolo.
Immersa nei suoi pensieri, Elizabeth tornò a guardare la
campagna per qualche secondo, e inspirò profondamente l’aria umida del
temporale.
Incrociò le braccia sul petto, insicura. Non avrebbe
dovuto andare da lui, perché come diceva suo cognato Manfred (lo zio del
piccolo): “un principe non piange per la paura, anche se egli ha appena due
anni”. Ma il bambino non era suo figlio, e solo Elizabeth sapeva che dolore si provava
a sentir piangere il proprio figlio senza fare niente. Ancora una volta
infatti, non riuscì a trattenersi, si voltò di scatto e si avviò verso la
camera dove Konrad stava piangendo.
La cameriera la osservò fino a che non scomparve dietro
la porta. L’aria di fierezza e determinazione che inspirava quella regina era
una delle cose che non avrebbe mai dimenticato.
***
Konrad sembrava perfetto. Come uno di quei delicati
angeli che spesso decoravano le sale del castello. Gli mancavano solo le ali.
I suoi grandi occhi azzurri, che sembrava aver strappato
alla madre per quanto erano simili, ora erano colmi di lacrime, e velati di
striature rosse per il troppo pianto. La bocca rosea era spalancata in un
triste urlo infantile, e tutto il viso era inondato di lacrime. Anche i suoi
leggeri e sottili capelli biondi erano arruffati e sudati. Invano una nutrice
cercava di calmarlo accarezzandoglieli dolcemente. Era l’unica tra tutte le
domestiche che stavano intorno alla culla, che manteneva un po’ la calma. La
altre erano in preda al panico e vedere il principino in quello stato, e le
loro orecchie reclamavano silenzio per essere stato troppo tempo a sentire
quelle urla acute e penetranti.
Appena si aprì la porta, e ne entrò la regina, sembrò che
anche il rumore del temporale si fosse ovattato. Le domestiche si zittirono, ma
Konrad non sembrò accorgersi del cambiamento e continuò ad urlare e piangere
come prima, sembrando ancora più forte visto il silenzio.
<< Perché non fate niente? >> Tuonò la regina
con voce scura. << Accarezzargli la testa non calma la paura. >>
Osservò con rabbia.
La nutrice si scostò dalla culla e parlò col capo chino,
sapendo che la risposta avrebbe provocato l’ira della regina. << Re Corrado
è lontano, e lui vuole suo padre. Inoltre il principe Manfredi ci ha vietato di
cullarlo. Dice che un principe … >>
<< So quello che dice. >> La interruppe la
regina. << Ma Manfred non può
ordinare nulla a me. >> Lo aveva chiamato Manfred, con il suo nome di
battesimo, e non “principe”, come avrebbe dovuto fare, perché non lo aveva mai
considerato degno di portare la corona, e sapeva che anche quelle piccole cose
lo ferivano. Era il suo unico divertimento.
Si voltò a allungò le braccia nella culla per prendere il
bambino. Stava per sfiorare le sue manine paffute, quando una voce forte e
spaventata raggiunse la stanza.
<< La regina Elizabeth! Devo parlare con la regina
Elizabeth! >>
La donna si alzò di scatto; e per un attimo il suo
sguardo si fece vacuo e perse la solita fierezza. Ma subito dopo riprese la sua
posa nobile, e la sua voce aveva tutta la solita sicurezza. << Occupatevi
di Konrad. >> Ordinò alla nutrice. << Come si deve al vostro ruolo.
>>
Poco prima di uscire riuscì a vedere con la cosa
dell’occhio la donna che si fiondava verso la culla e sollevava il bambino, per
poi stringerlo al petto.
***
Pochi minuti dopo, la fiera e superba regina era buttata
sul trono della sala delle udienze, e singhiozzava senza ritegno.
Per il momento era sola, il messo che prima la chiamava a
gran voce era stato portato da un guaritore, perché era ferito, e tutte le
guardie e le cameriere erano state fatte allontanare prima che la regina
scoppiasse definitivamente a piangere.
Si aprì timidamente una porta secondaria vicina al trono,
e ne entrò l’unico amico e consigliere che in quel momento era rimasta alla
regina: il Duca Luigi, suo fratello. Rimase un attimo immobile, stupito e
triste allo stesso tempo di vedere la sorella in quello stato. Scordò in un
lampo il protocollo e l’etichetta, che l’avrebbero voluto vedere baciare la
mano alla donna, e parlarle in tono rigoroso e con un testimone. Si accostò a
lei e le passò una mano sulla testa, come faceva suo padre quando erano
bambini. Lei lo riconobbe subito da quel gesto. I suoi singhiozzi diminuirono,
e disse: << Leggi quella lettera. >>
Luigi non si stupì che anche se distrutta, sua sorella
non lasciava il suo tono da regina. Raccolse il piccolo rotolo di pergamena
gettato a terra vicino al trono, ancora un poco arrotolato, e sbirciò il timbro
sulla ceralacca.
Le sue folte sopracciglia biondo scuro si incresparono, e
si fece attento: quello era il sigillo reale.
Aprì la pergamene e la lesse velocemente. Era breve, e
scritta in tedesco, segno che non era ancora un proclama ufficiale. La
calligrafia incerta e tremolante era resa ancora più incomprensibile dalle
macchie di umidità sulla pergamena, ma Luigi, come la regina prima di lui, capì
subito: << Il re è morto. Lunga vita a Corrado V Hohenstaufen. 24
febbraio 1254 >>.
Il cuore di Luigi perse un colpo. Si portò una mano alla
barba, segno che voleva riflettere.
<< Mio figlio Konrad ha due anni. >> Disse la
regina, guardandolo in faccia. << Come faremo, Luigi? Ora è l’unico Hohenstaufen
che può portare la corona. >>
La porta in fondo al salone si aprì solennemente e ne
entrò un uomo; che si avvicinò con lunghi passi da militare. << No, lui non
è l’unico. >> Constatò Manfredi gonfiando il petto. << Sono io.
>>
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
L'ultimo Re - capitolo2
L' ultimo Re
Capitolo 2
Stesso anno –
Landshut, Baviera
Non era bello da vedere. Come già Elizabeth pensava,
Manfred non portava bene la corona. Lei lo vedeva tremendamente fuori luogo: il
figlio cadetto con la corona del fratello maggiore sulla testa, che gonfiava il
petto davanti ai nobili e agli ambasciatori.
Non le piaceva per niente, ma doveva ammettere che visto
da qualcuno che non lo conosceva, che non sopportava tutti i giorni i suoi
ordini; faceva bella figura. Manfred, re Manfredi, era un uomo alto, prestante,
che rinchiuso nella sfarzosa armatura da battaglia, tirata faticosamente a
lucido, sembrava veramente un grande sovrano.
Era questo che preoccupava Elizabeth: che Manfred
sembrava nato per fare il re, salutare la folla impettito col la mano sul pomo
della spada. Ma non sapeva niente del vero
lavoro del re: battaglie, consigli di guerra, strategie. Tutte cose a cui
vedeva Manfred inadatto. Lui era capace di sembrare
un re, aveva molto prestigio, ma non sarebbe mai stato come Corrado.
Molte volte lei e Luigi glielo avevano ripetuto: <<
E’ meglio che fino a quando Konrad non potrà essere incoronato, sia io a
gestire il regno. >> Aveva consigliato la regina; ma l’unica persona
dalla sua parte era Luigi, perché tutti i nobili e gli ambasciatori non
vedevano nella donna le attitudini al comando.
Far incoronare Luigi era fuori discussione, perché li
avrebbero accusati di voler solo conquistare il regno approfittando della morte
di Corrado.
Invece questo era proprio quello che stava facendo
Manfred, ma i nobili non ci pensavano. Un re inetto era quello che gli serviva
per prendere il potere e riconquistare i loro territori. Per questo spingevano
Manfredi ad una campagna in Italia: ci avrebbe lasciato la testa, e loro
avrebbero ritrovato il loro antico sfarzo.
E una volta morto Manfredi, il vero erede, Konrad,
sarebbe stato comunque troppo piccolo per considerarlo una minaccia, e uccidere
un bambino in fasce era niente in confronto alla loro sete di potere.
Elizabeth quindi si ritrovava nella condizione di dover
augurare una lunga vita a re Manfredi, perché se fosse morto in Italia come
speravano i nobili; lei, Luigi, e soprattutto Konrad, sarebbero stati in grande
pericolo. Se invece Manfredi viveva, aumentava la possibilità di far crescere
Konrad e poi prendere la corona. Solo per questo adesso Elizabeth si ritrovava
ad applaudire e ed esultare: << Lunga vita al re! >> Anche se il
suo sorriso era tutt’altro che sincero.
***
Fine del 1265 –
Roma, dimora del Pontefice
<< C’è solo una cosa che posso fare … >>
Stava rimuginando il papa, buttato su una poltrona di velluto rosso, nelle sue
stanze private.
Davanti a lui, il suo più fedele consigliere lo ascoltava
attento. << Chi ci è fedele? >> Chiese il pontefice con voce dura.
<< Chi segue la causa Guelfa? >> Incalzò.
Il consigliere
scosse la testa. << Posso fare delle ricerche, ma il re di Francia
è ancora in debito con sua Santità … >>
Gli occhi dell’altro brillarono. << Manda un messo
a Parigi. >>
Il consigliere strinse i pugni. << Ma non possiamo
nominare re di Sicilia un sovrano che ha già un regno. >>
Obiettò.
Papa Clemente IV si sfregò le mani. << Ma sono
sicuro che tu troverai una soluzione. >>
L’altro chinò la testa. << Una soluzione si sarebbe.
Il re d’Oltralpe ha un fratello, che parteggia per la causa Guelfa. >>
L’altro sorrise, un sorriso malefico. << Ero sicuro
che avresti risolto tutto. Manda un messo da questo fratello. >> Fece una
pausa. << Non mi hai detto il suo nome … >>
<< Carlo. Carlo delle terre d’Angiò. >>
Il papa fece un cenno di allontanarsi. Il consigliere
fece un profondo inchino, poi uscì tirandosi dietro la porta.
<< Carlo d’Angiò … >> Stava riflettendo il
papa. << Questa sarà la resa dei conti. >>
***
26 febbraio 1266 –
Benevento
La spada nel pugno dava una sensazione di onnipotenza.
L’armatura aveva un’importanza che solo i soldati
potevano capire appieno. Ci si sentiva protetti, invincibili, nulla poteva
scalfire l’armatura di un re.
L’elmo sulla testa, la visiera calata sugli occhi. Ora
non si era più una persona, nemmeno un guerriero. Si diventava parte della
battaglia, nessuno poteva riconoscere un soldato da un altro: si uccideva senza
ritegno. In battaglia, con l’elmo calato sul capo, si compiono i più grandi
massacri; quelli che nessuno mai farebbe a testa alta e guardando in faccia
l’avversario.
Era questo che stava succedendo nella piana di Benevento,
questo che stava osservando Luigi di Baviera. Era stato chiamato alle armi
sperando che ci lasciasse la testa, perché era un consigliere troppo prezioso
per la regina, e non poteva essere ucciso in altro modo.
Invece, oltre ad essere un astuto stratega, Luigi era
anche un mediocre combattente, e malgrado i lunghi mesi di battaglie contro l’esercito
angioino, aveva solo perche ferite.
Sentiva il clangore acuto delle armi, le urla disumane dei
combattenti, ma non provava tutta quella smania di uccidere che sembrava invece
caratterizzare i suoi compagni d’arme. Una volta abbassato l’elmo, si
trasformavano, e urlavano di gioia quando la loro spada trapassava un nemico, e
questi sputava sangue.
Lui lo trovava disumano, tutto quel sangue, tutto quel
dolore. Che onore c’era nel provocare sofferenze agli altri?
In quel momento anche il re sembrava contagiato da quella
smania di violenza e morte che pervadeva i suoi uomini. Il baio Hannover che
montava stava scalpitando, avvertendo la tensione del cavaliere. Il suo respiro
si condensava in candide nuvolette che fluttuavano per poi dissolversi nell’aria
poco dopo. Luigi poteva immaginare quello che stava provando Manfredi in quel
momento. Le sensazioni di potenza e invincibilità che infondevano le armi, l’odore
di metallo dell’elmo, così simile a quello del sangue che gli ovattavano la
mente; i muscoli tesi del cavallo sotto di lui, trattenuto ancora dalla sua
voglia di galoppare al centro del campo di battaglia.
Era la smania di entrambi, cavallo e cavaliere, non si
capiva cosa ancora li bloccava.
Qualunque cosa fosse, infatti, non li trattenne ancora
per molto. Manfredi scoccò violentemente le redini, il cavallo si alzò sulle
zampe posteriori, mostrandosi in tutta la sua potenza. Partì subito al galoppo,
lasciandosi leghe alle spalle. Manfredi, con la sua affilata spada, falciava
chiunque sulla sua strada, come avrebbe fatto un vero re.
Manfredi era un grande guerriero, ma spesso anche i
migliori sbagliano. Si trovò di fronte il suo nemico, Carlo l’Angioino, così si
tolse l’elmo, in modo che l’altro capisse che avesse di fronte.
Carlo partì all’attacco, Luigi non ebbe nemmeno bisogno
di guardare. Fece voltare il suo cavallo mentre l’angioino arrivava al galoppo
mulinando la spada, e chiudeva il regno di re Manfredi.
Luigi galoppò fino al campo, alcune leghe più a nord. Ai pochi
soldati rimasti a guarirsi, non era ancora giunta la notizia della morte del
re. “Due re in pochi anni. Il regno è ormai allo sfascio.” Pensò mestamente
Luigi entrando nella tenda di Manfredi. Sapeva benissimo dove andare: aprì la
piccola cassapanca vicino al letto da
campo, e raccolse senza indugiare un panno di velluto scuro e il suo contenuto.
Montò di nuovo a cavallo e non si guardò indietro. Doveva
tornare subito a Landshut, quella corona doveva andare il prima possibile sulla
testa dell’erede che era stato legittimo fin dall’inizio. Ormai era cresciuto,
per fortuna il regno di re Manfredi era servito almeno a qualcosa.
***
Ciao!!
Sono così entusiasta di questa nuova storia!! spero che vi
piaccia e che la trama vi incuriosisca... mi andava di specificare che
tutto quello che racconto è successo veramente, escluso il
"salvataggio" della corona da parte di Luigi. Nella storia reale lui ha
provato a cercarla, ma non è riuscito a riportarla a Landshut.
Purtroppo questo stonava dalla mia idea, così ho fatto una
"piccola" modifica...
Comunque, continuo a ringraziare le mie due mitiche "fans": Hivy e
nemesis 18.. non so che altre parole usare per dirvi quanto mi fa
piacere sentire tutti i vostri compliemnti.
Hivy: so che Manfredi non era il massimo di simpatia, ma comunque ha
fatto una breve e triste fine (spero che tu adesso non stia godendo per
questo capitolo), invece per quanto rigurada la simpatia per Luigi,
credo si sia capito che vale anche per me, è un mito!
Grazie per i complimenti, sono propro contenta che ti piaccia.
Lo stesso vale per Nemesis 18: grazie mille per i tuoi complimenti, ti adorooo!!
Grazie di cuore anche a Tracywelsh e ad Elliepotter per le vostre
recensioni, e spero che questo capitolo vi piaccia come l'altro!
per Tracywelsh: grazie mille dei complimenti, mi lusinghi!
per Elliepotter: grazie anche a te per i complimenti. sono felice che
la descrizione del temporale sia venuta bene, ci ho messo molto, e
volevo farla al meglio, perchè mi sono trovata personalmente in
un temporale simile, e volevo che sembrasse reale! un rigraziamento
speciale anche per avermi aggiuto tra i preferiti!!
adesso chiudo,
ciao a tuttee!! =)
Archer
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
L'ultimo Re - capitolo 3
L'ultimo Re
Capitolo 3
Alcuni mesi dopo –
Landshut, Baviera
Il principe aveva una risata contagiosa, glielo avevano
sempre detto. Anche se stava allenandosi con spada ed elmo, sul suo viso
restava comunque quel leggero sorriso sfacciato, il sorriso di uno che è abituato
a vincere.
Ormai già da tempo gli Hohenstaufen non erano più vincenti,
ma lui, da degno discendente dei suoi avi, non temeva nulla. Non badava alle
misere condizioni in cui era caduta la sua casata. Si erano dovuti spostare in
un podere esterno alla mura di Landshut, perché per essere incoronato, Manfredi
aveva dichiarato che il nipote fosse morto, ed Elizabeth non poté fare altro
che portarlo via.
Alcuni mesi dopo, era partito anche Luigi, per tornare
quasi una volta all’anno, in inverno, e poi ripartire quando i valichi tra le
Alpi erano di nuovo attraversabili. Nei mesi in ci era a Landshut, Luigi
insegnava a Konrad tutto ciò che sapeva, gli piaceva vedere che quel ragazzo
amava apprendere. Lo ascoltava attentamente, isolandosi da tutto e da tutti, e
ogni volta le sue domande erano più pungenti e ragionate.
Era entusiasmante per Luigi vedere che stava facendo
qualcosa di buono, che anche se era lontano, Konrad stava crescendo bene.
E poi, era più che gratificante sapere che stava formando
un futuro re. Nei mesi in cui era lontano, era sicuro che Konrad continuava a
migliorare; imparava ad usare le armi, ma non aveva mai brillato in strategia, perché
diceva che se bisognava vincere una battaglia lo si doveva fare alla luce del sole,
in uno scontro aperto. Le prime volte Luigi lo aveva assecondato, aveva esaltato
le sue qualità di giustizia e fierezza. Capì solo dopo che avrebbe dovuto
insistere, ma Konrad era troppo testardo per cambiare idea.
Era cresciuto in fretta, la vicissitudine degli eventi
gli aveva affinato lo spirito, e solo quando si allenava con la spada insieme
al suo amico Federico di Baden, dimostrava i suoi quindici anni. Anche se era
solo un gioco, un allenamento, e non si perdeva mai veramente, lui non si
risparmiava mai. Colpiva Federico come se volesse fargli veramente male, come
se in un lampo non fosse più il suo fidato amico, ma un nemico qualunque,
magari un discendente dell’Angioino, uno sporco traditore.
Federico pensava a questo: cosa spingeva Konrad ad
attaccarlo con tanta forza ogni volta, a volerlo vedere ogni volta disarmato e
sfiancato nella polvere. Forse Konrad sognava in cuor suo di vedere un giorno Carlo
ai suoi piedi come adesso lo era Federico. Capiva che quando succedeva così, l’amico
aveva paura di lui. Anche se era un paio di anni più piccolo, Konrad non si era
mai fatto battere, e a differenza di Federico, combatteva con uno scopo:
vincere sempre. Forse perché la sua famiglia stava perdendo da troppo tempo, e
il suo ego fiero e orgoglioso aveva bisogno di vittorie. Anche se piccole e
futili, lui doveva vincere.
Nel suo sguardo queste emozioni apparivano chiaramente,
per questo Federico, di nuovo a terra, non poteva non provare un pizzico di
paura. I chiari occhi azzurri di Konrad, incorniciati dall’elmo, brillavano per
la luce del sole, e si ridussero a due fessure. Gettò a terra la spada, poi si
tolse l’elmo e scosse la testa per muovere i capelli biondo paglia, che gli si
erano attaccati alla fronte.
Federico allora si accorse che gli occhi erano così
stretti perché stava sorridendo, e presto la sua bocca si aprì in una risata
delicata, che cercava di non offenderlo. Federico non riuscì a non ridere a sua
volta: aveva sempre detto che la risata di Konrad lo contagiava di ilarità,
anche quando non doveva. Federico, ogni volta che veniva sconfitto, si trovava
a riflettere sulle emozioni di Konrad, ma quando questi subito dopo scoppiava a
ridere, tutto finiva lì.
L’amico gli tese una mano per aiutarlo a rialzarsi. Federico
la accettò senza indugiare. << Non c’è niente da ridere. >>
Farfugliò, cercando di tornare serio.
<< A me fa ridere. >> Disse l’altro come se
la risposta fosse ovvia.
Federico guardò in basso. << Solo perché non hai
mai perso. >> La sua voce si fece più dura di quanto non volesse. Konrad infatti
non ripose, e si avvicinò velocemente al cortile del podere. Federico non poteva
vedere cosa aveva bloccato Konrad. Il suo amico si era fermato in mezzo alla
strada e guardava in un punto oltre il portone spalancato del cortile.
Si fece subito pensieroso: il portone doveva stare chiuso,
era una regola da anni: nessuno doveva vedere chi abitava nel podere. Federico aumentò
il passo e raggiunse Konrad mentre un cavallo ancora bardato da battaglia si
fermava in una nuvola di polvere ad un metro dal ragazzo.
Il cavaliere si tolse il cappuccio del mantello, mostrando
il viso sporco e stanco del duca Luigi.
<< Zio! >> Urlò Konrad avvicinandosi a lui.
<< Cosa è successo? Perché sei qui in autunno? >>
Luigi scese dal cavallo tenendo stretto un sacchetto di
velluto, e si appoggiò al nipote. << Dobbiamo parlare, Konrad. >> Rispose.
<< Federico, per piacere … >> Il ragazzo si fece attento.
<< Vai a cercare mia sorella Elizabeth e facci
raggiungere nello studio. >>
Federico annuì: << Certo, signore. >> Stava
voltando le spalle, quando la voce di Konrad lo bloccò: << … E
raggiungici anche tu nello studio. >> Ordinò.
Federico annuì di nuovo, poi se ne andò preoccupato. La voce
del principe non era mai stata così seria.
***
Pochi minuti dopo, tutti e quattro erano seduti nello studio
e si fissavano a vicenda. L’unico che non si guardava introno era Konrad, che
teneva lo sguardo fisso su ciò che aveva in mano. La Corona di Germania brillava
leggermente alla luce delle candele.
Era da tanto che nessuno di loro parlava. Luigi si
schiarì la voce diverse volte, e infine parlò: << E’ tua. Sei un re,
adesso. Manfredi è stato ucciso da Carlo l’Angioino a febbraio. Io ho cavalcato
il più velocemente possibile per venire qui da voi. >> Disse, con la voce
ancora roca.
<< Grazie. >> Disse infine Konrad, senza
guardarlo negli occhi. << Hai rischiato molto per riportami la corona di
mio padre. >> Rimase silenzioso per lungo tempo.
Federico, a quel punto, non riuscì più a trattenersi:
<< E cosa facciamo adesso? >>
Konrad prese fiato: << Ora solo io posso portare
questa corona. E non permetterò che la nostra famiglia perda il regno e cada in
disgrazia. >> Guardò Federico dritto negli occhi. << Finché io
vivrò gli Hohenstaufen possono sperare di risorgere. E io non mi farò più
aspettare. >>
Il cuore di Elizabeth perse un colpo, e una lacrima le
scivolò lungo la guancia. Konrad la vide, e si avvicinò, per stingerle con
dolcezza una mano. << Non temere, madre. >> Mormorò. <<
Riporterò la nostra famiglia allo splendore dei tempi del nostro avo Federico.
>> Poi aggiunse, con voce rotta: << E di mio padre. >> Strinse
la presa sulla mano della madre, e cercò il suo sguardo per guardarla negli
occhi. << Incoronami. >> Chiese, ma la sua voce non ammetteva
repliche. Lei strinse forte le labbra, il mento ebbe un fremito. << Ti
farai ammazzare … >> Mormorò. << Sei così giovane, figlio mio …
>> Gli accarezzò con dolcezza una guancia.
Lui strinse il pugno. << Sto per compiere quindici
anni, non sono piccolo. Ti prego, incoronami. >>
Lei lasciò la mano del figlio, e si alzò con le lacrime
che le imperlavano le ciglia.
<< Fallo. >> Insistette Konrad. <<
Incoronami re! >>
Luigi si alzò a sua volta e raggiunse la sorella vicino
alla finestra. << E’ pronto, Elizabeth, e comunque non si può più
aspettare. >>
Lei tornò vicino al figlio e prese la corona dalle sue
mani. La guardò con tristezza, ricordando Corrado, che l’aveva portata con
tanta fierezza.
Federico si sentiva a disagio. Era sicuro che Konrad l’avesse
voluto con sé per non sentirsi solo davanti al corso degli eventi, ma adesso
sembrava essere più spaventato lui di Konrad.
Tra i due, lui era sempre stato il più riflessivo, forse il principe
ancora non pensava veramente a cosa lo aspettava. Federico sperava di non
esagerare, ma era veramente preoccupato per l’amico. Lo avrebbe seguito ad ogni
costo, questa era la sua unica certezza.
Però continuava a pensare ai nemici di Konrad. Così vecchi,
con così tanta esperienza. L’altro non aveva nemmeno la barba, il viso angelico
era ancora lo stesso dell’infanzia. “Ma che fine ha fatto l’età in cui volevamo
crescere in fretta?” si chiese. Quasi per sbaglio incrociò lo sguardo di Konrad,
e non ebbe bisogno di chiedergli nulla per capire che anche lui si stava facendo
la stessa domanda. Una ruga dovuta alla concentrazione increspava la fronte del
principe. “Principe ancora per poco.” Si disse Federico.
***
ciao a tuttee!!
grazie mille delle vostre recensioni, continuo a leggerle e rileggerle, non vi ringrazierò mai abbastanza!!
Tracywelsh: ecco cosa ne è di Konrad, come mi avevi scritto nella recensione ... che ne pensi?
Hivy: grazie!!! contino sempre a ringraziarti!! sapevo che avresti
goduto per la morte di Manfredi... lo sapevo! adesso dimmi cosa ne
pensi dei "giovanotti".. sono curiosa!
nemesis 18: grazie mille dei tuoi complimenti! mi lusinghi!!
vi saluto... ciaoo =)
Archer
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
L'ultimo Re - capitolo 4
L'ultimo Re
Capitolo 4
Primi mesi del
1267 – Castello di Landshut, Baviera
Konrad era seduto con fierezza sul trono, anche se sapeva
che in molti lo trovavano ridicolo. Non sua madre, che lo guardava con
orgoglio, e gli aveva confidato apertamente che era comunque migliore di
Manfredi. Non suo zio Luigi, i cui occhi brillavano nell’ammirare il nipote
seduto sul torno con la corona di Germania che gli cingeva il capo. Non il suo
fidato Federico, vestito di tutto punto come si doveva al consigliere del re.
Non loro, ma tutte le altre persone che affollavano la sala delle udienze.
Una deputazione di nobili, baroni, conti, marchesi, che a
Konrad sembrava si fossero accorti solo adesso che oltre a Manfredi c’era un
altro erede. Prima, quando suo zio portava la corona, mai una lettera era
giunta a lui, mai nessuno aveva oltrepassato il portone del podere con lo scopo
di incontrarlo.
Adesso come non mai quella corona pesava così tanto sulla
sua testa, con tutti quegli occhi che lo fissavano intensamente, aspettando un
proclama. Ma Konrad non sapeva cosa fare, cosa dire.
Aveva davanti sé
una deputazione di Ghibellini, come
venivano chiamati in Italia i sostenitori dell’imperatori. I suoi, sostenitori. Era un imperatore,
certo, ma si sentiva così piccolo in confronto a quel colosso del Papa, che
anche se doveva essere discendente di Pietro l’Apostolo, con tutti i suoi
intrighi e sotterfugi, sembrava tutt’altro che buono. La sua corporazione,
quella dei Guelfi, aveva sostenitori in ogni regione dell’Impero, e soprattutto
dell’Italia, m ciò che preoccupava di più Konrad erano i Guelfi non dichiarati. I traditori, i voltafaccia,
le spie. Quando aveva insistito così tanto per farsi incoronare da sua madre,
non pensava a tutti i problemi che avrebbe avuto. Ora si trovava a scrutare
attentamente il volto di ogni singolo uomo di fronte a lui, cercando di capire
se fosse suo fedele oppure no.
Ma non ci riusciva, non era in grado di decifrare nessuna
di quelle espressioni.
Il conte Galvano Lancia, per esempio, uno nel mucchio,
con i suoi piccoli e freddi occhi grigi e baffoni dello stesso colore. Lui gli
era fedele? Avrebbe combattuto per lui, oppure alla prima occasione lo avrebbe
allontanato?
E il fratello minore di Galvano, Federico lancia? Con i
suoi stessi occhi grigi e le folte sopracciglia scure, increspate in un
cipiglio pensieroso? Lui che avrebbe fatto?
Oppure gli altri fratelli; Corrado e Marino Capece, loro
erano dalla sua parte? E lo sarebbero stati fino a che glielo avrebbe chiesto?
Konrad non lo sapeva, in quel momento non gli sembrava di
sapere nulla, a malapena il proprio nome, che era diventato Corrado V di
Svevia. Per quei nobili che lo guardavano, lui era semplicemente Corradino, ma
si sentiva comunque che quello non era non era il nome per lui. Né uno, troppo
altezzoso, né l’altro, che lo era troppo poco: preferiva a avrebbe sempre
preferito Konrad, ma solo Federico, Luigi e sua madre ormai lo chiamavano così.
Gli sembrava che loro tre fossero le uniche persona che gli erano rimaste, le
uniche di cui si poteva fidare. Tutti gli altri erano nel dubbio. Come le
persone davanti a lui, nessuno era fedele, oppure lo erano tutti.
Konrad poteva capire cosa li aveva spinti a presentarsi
al suo cospetto, dichiarandosi “esuli siciliani”: coloro che erano fuggiti a
Carlo d’Angiò. Il re sapeva che i veri esuli erano molto pochi, ma non lo aveva
detto, e ascoltava ciò che esponevano con apparente calma calcolatrice, anche
se in realtà era profondamente inquieto.
Dicevano di voler essere liberi, di volere un capo da
seguire per riconquistare la terra dei loro padri all’usurpatore Angioino.
Inoltre, i sudditi italiani erano sottomessi ala tirannia di Carlo, e pregavano
Corradino di andare in loro aiuto.
La mente di Konrad era in continuo movimento, doveva
pensare, decidere, me non riusciva a farlo con tutti quegli occhi puntati su di
lui, che lo squadravano continuamente giudicandolo e studiandolo.
Così, per trovare un po’ di pace, Konrad si alzò si
scatto dal trono, interrompendo a metà il racconto di un esule siciliano, e si
avviò verso una porta secondaria. Sentiva il brusio della folla alle sue
spalle, poteva immaginare l’espressione sconcertata dipinta sul viso di sua
madre. Voltò leggermente il capo e parlò ai suoi sudditi da sopra una spalla:
<< Ho sentito abbastanza, e adesso ho bisogno di riflettere sulla
sciagura che avete riferito si sta profilando all’orizzonte. >> Lo disse
con voce scura, capendo la pesantezza delle proprie parole.
Il conte Galvano e altri si fecero avanti per
raggiungerlo e fermarlo, ma uno sguardo di Luigi bastò a farli desistere.
<< Ma Sire … >> provò a ribattere il conte.
<< L’assemblea si riunirà domani a mezzodì.
>> Decretò Konrad, sentendosi finalmente padrone della situazione.
<< E questo è tutto. >>
La maschera di serietà e fierezza si sciolse non appena
si voltò, e incontrò lo sguardo di Federico di Baden, che aveva ascoltato l’assemblea
in piedi dietro il trono, insieme a Luigi e alla regina.
<< Vieni con me, parliamone. >> sussurrò
Konrad, poi guardò intensamente lo zio e la madre, e Federico capì subito che
doveva farsi seguire anche da loro. Konrad era già uscito, nello sconcerto
generale, così si affrettò ad eseguire i suoi ordini.
***
<< Prima di tutto devo farti i miei complimenti per
come hai gestito quel branco di testoni. >> Esordì Luigi appena si
sedette di fronte al nipote.
<< Veramente un’ottima uscita. >> Costatò
ironico Federico, cercando di sdrammatizzare. Purtroppo non ebbe molto
successo, perché Konrad non si mosse, e continuò a fissarsi le mani come poco
prima.
<< Secondo me dobbiamo rimandarli a casa loro tutti
quanti, e tanti saluti. Queste lamentele sono insulse. >> Sbottò Federico,
osservando la reazione dell’amico. Proprio come temeva, lo vide scuotere la
testa. << No, invece. >> Osservò, a voce bassa. << E’ giusto
che vengano dal loro re ad esprimere le loro inquietudini e le loro speranze.
Vogliono essere salvati dall’Angioino, e l’unico che può farlo sono io.
>>
Luigi sorrise mestamente, e si allungò per poggiargli una
mano sul ginocchio. In questo modo interruppe anche una violenta risposta di Federico.
<< Hai parlato con un vero re. >> Gli disse con voce affettuosa.
Konrad alzò gli occhi e lo guardò intensamente, sentendo che la tensione gli
stava facendo salire le lacrime agli occhi. << Ma non sappiamo se quelli
che abbiamo davanti sono dei veri sudditi o no. >> Lo sguardo di Konrad
si fece interrogativo.
<< Intendo dire. >> Continuò Luigi. <<
Che non sabbiamo se ci possiamo fidare di loro oppure no. >>
<< Ci avevo pensato anche io. I loro sguardi mi perseguitano. >>
Ammise il nipote. << Chi tra loro era fedele a mio padre? >>
Chiese.
Le regina chinò la testa. << Ormai chi era fedele a
Corrado non ha fatto una bella fine. Da tempo … >> Mormorò.
<< Capisco. >> Borbottò Konrad. <<
Quindi gli unici di cui mi posso fidare ciecamente siete voi. >> Fece
scorrere lo sguardo sui tre, che uno dopo l’altro annuirono con sicurezza.
<< Fino alla morte. >> Aggiunse Federico.
Konrad sorrise a quelle parole, poi prese un profondo respiro: << Allora è
giusto che sappiate quello che penso. >>
Federico e luigi pendevano dalle sue labbra, mentre
Elizabeth era profondamente dubbiosa. Poteva immaginare cosa progettava il
figlio, e già sapeva che non avrebbe accettato nessuna obiezione, nemmeno da
lei.
<< Già vi avevo detto che la mia intenzione è
sempre stata quella di riprendere il regno all’usurpatore. >> Spiegò. <<
Voglio che il nostro regno torni allo splendore, come quando lo era con
Federico II. Rivendicherò i diritti della nostra Corona. >> Guardò sua
madre dritta negli occhi, anche se nel profondo sapeva che non l’avrebbe mai
convinta. << Restaurerò l’onore e il prestigio, e immaginate quale eco
avrebbe qui, la nostra vittoria in Italia! >>
<< E la sconfitta, invece? >> Domandò la
regina, ma Konrad continuò con il suo discorso: << Gli uomini che sono
venuti a Landshut non hanno portato solo lamentele e futili speranze, ma sono
l’appoggio pratico di un’intera fazione. Sono tutte le nostre forze. >>
Restò un lungo silenzio a gravare sui quattro, finché
Federico non parlò. << Mi sembra che tu, una scelta, l’hai già fatta.
>> Scosse la testa. << Tu sai cosa vuoi fare, allora perché ci chiedi
consiglio? >>
<< Perché non so se è giusto. >> Rispose Konrad abbassando
la testa.
<< Non lo puoi comunque sapere. >> Costatò
Luigi. << Ma sicuramente in molti ti seguiranno. Vogliono fare fortuna
nel Mezzogiorno. E ciò gli gioverebbe. Lo stesso purtroppo, vale anche in caso
di una tua sconfitta. Morto tu … >> Disse, con un cipiglio tristemente
serio. << Loro si dividerebbero le tue poche, ultime, proprietà.
Vincerebbero lo stesso, capisci? >>
Konrad annuì a capo chino. << Certo che sì.
>> Rispose. << Domani emetterò un proclama. >> Decise infine,
e frenò subito l’impulso di Federico: << Ma non so ancora cosa ci
scriverò sopra. >> Guardò Luigi. << Ora so tutto quello che volevo
sapere. Buonanotte. >> e uscì, visibilmente inquieto.
***
Il giorno seguente, poco dopo il sorgere del sole, una
ventina di messi a cavallo partirono al galoppo dal castello di Landshut.
Portavano un proclama ad ogni città del regno: vi era scritto che re Corrado V
aveva organizzato una campagna militare. Per riconquistare il regno
all’usurpatore Angioino.
ciao!!
eccomi tornata! sono
così contenta di tutte le vostre recensioni! mi fa sempre tanto,
ma che dico: tantissimo, piacere leggerle!!
Hivy: ahah, che bello
il collegamento con Amy, dell'altra storia, ma... per quanto riguarda
l'epoca, amy vive nel settecento, quindi o Konrad è vissuto fino
a 500 anni, oppure non si incontreranno mai! ...e poi non fa swish
quando toglie l'elmo, scuote la testa!! e su, non è stupido...
è orgoglioso, e se vince vuole farlo davanti a tutti! comunque
mi fa piacere che federico ti piaccia... leggi le risposte alle altre
recensioni se vuoi saperne di più! in conclusione.. grazie mille
dei complimenti!!
Tracywelsh: grazie
dei complimenti, e sono molto felice che ti piaccia Federico, è
un personaggio che piace molto anche a me, ma anche nella storia "vera"
di Konrad ha un ruolo abbastanza privilegiato, perchè anche se
non è un nobile molto agiato, è il migliore amico del
principe, e sta sempre con lui. alcuni siti riportavano anche di un
amore omosessuale tra i due, ma io ho preferito evitare, perchè
come ho letto da molte altre parti, ci sono vari leggende sul re, e io
ho preferito racconare la storia più "reale" e "affidabile",
spero comunque che continui a piacerti.
nemesis 18: per
quanto riguarda le descrizioni fisiche... almeno in questa storia mi
piace lasciare un po' di libertà al lettore...soprattutto
perchè questi non sono personaggi inventati, quindi (anche se
morti da tempo) non mi va di reinventarli a modo mio. so soltanto che
Konrad era molto bello, alto, biondo e con gli occhi azzurri (fa testo
Wikipedia, mi fido!) e invece di Federico ho trovato molto poco,
così ho deciso di farveli immaginare come volete, non voglio
dare canoni, ma nei prossimi capitoli forse qualche accenno al loro
fisico ci sarà.
Farrahlennington:
ciao! grazie di avermi consigliato quel sito per vedere la "attuale"
principessa Hohenstaufen, ma avevo già letto alcune cose durante
le mie "ricerche", che ho fatto su internet e sui libri prima di
iniziare a buttare giù questa storia... so che gli Hohenstaufen
ci sono ancora oggi, ma ho dato questo titolo alla storia per creare un
po' più di pathos... altrimenti che titolo posso dare? e konrad
comunque non lascia eredi, infatti credo che i seguenti Hohenstaufen
siano parenti... comunque Konrad è un re abbastanza originale
perchè è veramente buono, forse un po' troppo ingenuo,
effettivamente, ma è per questo che è un personaggio
interessante... e la sua parte cattiva comunque ce l'ha anche lui: non
accetta di perdere, ed è pieno di sè. io lo considero un
grande difetto... comunque spero che continuerai a seguire la
storia...
al prossimo capitolo, ciaooo
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
L'ultimo Re - capitolo 5
L'ultimo Re
Capitolo 5
20 ottobre 1267 –
Verona, Italia settentrionale
La gente si inchinava al passaggio dell’imperatore. Gli
uomini lo guardavano con ammirazione, notando la giovane età del loro sovrano,
ma anche con timoroso riguardo, sapendo quanto era importante quel ragazzo
sbarbato.
La città era completamente in festa, rallegrata
dall’arrivo del re. Anche il re stesso era contagiato da quell’euforia
generale. Gli sembrava che la sua spedizione fosse cominciata con una buona
stella: forse avrebbe sconfitto l’Angioino.
Arrivavano cittadini e nobili da molte città delle
vicinanze. Konrad aveva anche conosciuto Martino Della Scala, un capitano di
ventura veronese, che gli aveva giurato fedeltà, e insieme a lui i signori di
Padova, Vicenza, Mantova, Ferrara, Brescia e Bergamo, che si dichiararono
Ghibellini e pronti ad aiutarlo. Konrad si sentì scaldare il cuore davanti a tutte
quelle promesse. Ciò che desiderava era che qualcuno gli giurasse fedeltà, per
poter capire cosa fare, e per aver conferma di fare la cosa giusta.
Stava osservando la città di Verona al tramonto, dal suo
balcone sulla torre del Palazzo del Comune. Non aveva più paura, adesso era
sicuro che la sua campagna sarebbe finita bene. Gli uccelli volavano alti nel
cielo limpido, stagliando le loro figure scure contro la forte luce rossastra
del tramonto. Konrad spinse il suo sguardo oltre la città, oltre le irregolari
mura che la circondavano. Era una sera così limpida, e la torre così altra, che
i suoi occhi riuscivano a vedere il profilo di una città in lontananza. Non
sapeva quale fosse il suo nome, e nemmeno conosceva a menadito la geografia di
quelle terre, ma era certo che non tutte le città gli avevano giurato fedeltà.
A ovest, oltre l’orizzonte, e a sud, alle sue spalle, covavano i nemici, ne era
sicuro. Quei pensieri incrinarono la sua felicità.
Alzò lo sguardo e evitò di pensarci, guardando verso la
corona di punte innevate a nord. Quanto avrebbe voluto poter riuscire a
guardare oltre, dove si trovava sua madre, che era rimasta a Landshut. Gli
feriva il cuore sapere che lei era in pensiero per lui, e che era da sola al
castello. Tutto doveva essere estremamente cupo e silenzioso senza lui e
Federico. Anche se non l’avrebbe mai ammesso, perché era troppo orgoglioso, sua
madre gli mancava, e in un certo senso anche la pace e la tranquillità di
Landshut. Prima avrebbe dato di tutto pur di partire, e andarsene, mentre
adesso il suo paese era lontanissimo al di là di quelle rosee montagne, e lui,
come il suo cuore, non capiva più niente: era o non era felice di essere
lontano? Quella terra pianeggiate, rigata da lunghi corsi d’acqua, gli sembrava
come non mai estranea. I luminosi fiumi, che brillavano come oro colato alla
luce del tramonto, sembravano tristi lacrime che rigavano un viso liscio e chiaro.
Era come se proprio lui stesse piangendo.
Per fortuna, alla sue spalle comparve Luigi, che lo
distolse da quei pensieri. Per un attimo osservò il paesaggio, fianco a fianco
col nipote. << Ho brutte notizie. >> Esordì. Non parlò per un po’,
aspettò che il ragazzo metabolizzasse la notizia.
<< Lo so. >> disse Konrad, ma riprese subito,
accorgendosi che la sua voce era più cupa di quanto non volesse. << Credo
di avere capito … >> Guardò Luigi negli occhi. << Non abbiamo tutte
queste città dalla nostra parte, giusto? >>
Luigi sospirò. << Ancora peggio, temo. >>
Lo sguardo di Konrad si fece subito ansioso.
<< Il papa ha unito una Lega di città Guelfe.
>> Spiegò Luigi. << Piacenza, Cremona, Milano, Lodi, Como,
Vercelli, Novara, Parma, Modena, Reggio … sono solo alcune. Sarà arduo farti
attraversare la penisola. >>
Konrad abbassò lo sguardo. << Dovevo immaginarlo …
>> borbottò, poi la sua attenzione si focalizzò sul fiume, che scorreva
placido dividendo a metà la città. << Ma potrei andare via mare, insieme ad
alcuni cavalieri. Le città nemiche non possono bloccare il mio esercito se non
ci sono io alla testa. >>
<< Buona idea. >> Assentì Luigi, posandogli
una mano sulla spalla. << Ma c’è un altro problema, forse più grave.
>>
Konrad lo guardò con gli occhi spalancati. Non si era mai
immaginato tutti i problemi che avrebbe dovuto affrontare. << Cosa?
>> domandò scoraggiato.
<< I soldi che ci hanno dato i nobili di Germania
stanno finendo. >> Sospirò. << E ci stanno già abbandonando. I
mercenari brontolano, vogliono la prima parte della paga. >>
Konrad si allontanò di qualche passo, si appoggiò alla
balaustra. << Maledetti figli di Satana. Prima mi hanno esaltato per
venire qui e poi, alla prima possibilità, se ne vanno. >> Strinse i
pugni, deciso a non cedere. << Era proprio quello che temevo … >>
Aggiunse a voce più bassa. Alcuni lo avevano già tradito, e non si erano ancora
scontrati con l’Angioino. Konrad non si era mai sentito così male. Tradito,
beffato dai suoi stessi sudditi, che invece gli dovevano rispetto e riverenza.
Luigi lo prese di nuovo per una spalla.
<< Abbiamo subito bisogno di fondi, ma non ne
abbiamo … >> Borbottò il ragazzo.
Lo sguardo di Luigi si indurì. << A meno che non ce
li procuriamo. >> Disse, serio.
Konrad si fece pensieroso. Lo sguardo dell’altro non gli
piaceva per niente. << Io mi fido di te, zio. >> Disse. << Ma
cosa hai in mente? >>
Luigi si voltò per andarsene. << Ti ricordi per
caso dove Federico tiene le carte da gioco? >>
***
Tre mesi dopo –
Verona
Federico e Konrad stavano osservando i ponti sul fiume
Adige, dopo una lunga giornata a cavallo.
<< Hai notizie del duca, tuo zio? >> chiese
Federico, che era sempre molto serio.
Konrad invece si voltò vero di lui, e sospirò. <<
Mi ha scritto un biglietto un paio di settimane fa, da Mantova. >>
Raccontò. << Ha fatto il giro della pianura giocando in tutte le osterie
di tutte le città. Ha detto di aver raccolto un buon gruzzolo. >> Poco a
poco tornò a sorridere. << La sua astuzia ha giocato con lui. Cambiava
città prima che potessero riconoscerlo, ma ormai dovrebbe essere sulla strada
di ritorno. >>
Federico storse la bocca. << Come ha fatto a
vincere tutti i soldi che ci servono con le carte? >>
Konrad tornò a guardare il fiume. << Qui in Italia
le puntate sono più alte: se si vince, si vince alla grande; se si perde, si
perde tutto. >>
Federico scosse la testa.
<< Ma Luigi ha avuto anche fortuna. >>
Continuò Konrad. << Un vecchio marchese, all’ultima mano, ha puntato
addirittura la sua terra, perché ormai non possedeva più nulla, e Luigi ha vinto.
Ma il marchese non poteva non avere la terra, così Luigi si è fatto scambiare
in denaro quel terreno. Ora ha molti soldi. >>
Anche Federico si ritrovò a sorridere, ma notò invece che
l’amico era serissimo. Gli chiese cosa avesse, ma Konrad non rispose subito.
<< So che ha fatto una cosa illegale, per questo se n’è andato di
nascosto, ma non posso non essere un po’ amareggiato. >> Guardò Federico
negli occhi. << Ha fatto di tutto per aiutarmi, è stato un vero re.
>>
L’amico dovette trovare alla svelta un modo per
consolarlo. << Ma tu non avresti potuto farlo! Se non ti avessero visto a
Verona per mesi, tutti si sarebbero chiesti che fine avesse fatto l’imperatore!
Credimi, è meglio così. >>
Konrad però era poco convinto. << Ma io non sto
facendo nulla per il Regno. >> Obiettò.
<< Avrai tempo per riscattarti, vedrai … >>
Il loro discorso fu interrotto bruscamente dal rumore
degli zoccoli di un cavallo al galoppo in avvicinamento.
<< E’ la seconda volta che Luigi ci arriva incontro
al galoppo. >> disse Konrad, mesto. << E non sono quasi più sicuro
che sia un bene quando succede. >>
***
Marzo 1268 – Vado,
presso Savona
Pur non avendo tutti i denari che progettava prima della
partenza, ora Konrad aveva a disposizione quasi tremila mercenari, insieme agli
aiuti considerevole di Pisa e Pavia. Luigi aveva deciso di tornare a Landshut
da sua sorella, perché il viaggio di tre mesi nella pianura lo sveva spossato,
così solo Konrad e Federico adesso stavano ammirando le dieci galee che i
pisani gli avevano messo a disposizione. Erano troppo poche per trasportare
tutte le sue milizie, ma Konrad già da quando era a Verona sapeva cosa avrebbe
dovuto fare una volta giunto a Vado.
Si voltò verso Federico, che guardava ammirato il mare
Ligure che si agitava intorno alle navi. Gli sarebbe mancato, Federico. Ormai
Konrad restava da solo, a compiere quel viaggio. << Le nostre strade si
devono dividere. >> Esordì, cercando di controllare il tremore della
propria voce. << Tu devi guidare le truppe a sud, io sono un pericolo per
voi. I nemici sono sulla strada, io attirerei le loro balestre … capisci?
>> osservò Federico, che lo guardava con i suoi occhi castani velati di
lacrime.
<< Me la caverò, Frederick. >> Disse, in
tedesco. << Ci rivedremo a Pisa, tra poco più di un mese. >> Konrad
continuava a parlare, come se stesse cercando di convincere sé stesso e
partire, e non Federico. L’altro continuava a guardarlo, con un’espressione
indecifrabile.
<< Sei il mio unico amico. >> Mormorò Konrad.
<< Non ti lascerei mai solo in una strada pericolosa. Ci rivedremo.
>>
Federico guardò Konrad dall’alto in basso. << Non è
per me che mi preoccupo. >> Alzò gli occhi al cielo. << Ma per
questo sbarbatello biondo che la Provvidenza mi ha affidato. >> Tornò a
guardare Konrad, e cercando di sdrammatizzare era riuscito a sorridere.
<< Me la caverò. >> Ripeté il ragazzo.
<< Lo spero. >> scherzò Federico. <<
Altrimenti ti verrò a cercare, e ti farò molto male … >>
Konrad rise, contagiando anche Federico, poi lo abbracciò
stretto.
<< Aufidersen, Bruder. >> Gli disse Federico,
guardando andare.
Arrivederci,
fratello.
***
ciao!!
allora? siamo arrivati a metà della storia, ormai... e che ne dite, vi piace? spero proprio di sì...
Tracywelsh: ciaoo!! grazie della recensione.. spero che questo capitolo ti sia piaciuto come l'altro!!
Hivy: eddai, basta
dire che Konrad è stupido!! poverino, ha 15 anni e deve fare il
re... è semplicemente umano e ha i suoi dubbi... Pesante questa
volta il commento malefico sui nobili di Konrad... ma non me ne fai
passare una! Sei incredibile! comunque, grazie dei complimenti... le
parti che piacciono a te sono anche le mie preferite!! spero che questo
capitolo ti sia piaciuto!!
Nemesis 18: ciaoo!!
grazie dei complimenti! mi fa molto piacere sapere che voi lettrici
(sembra una rivista tipo Vanity Fair... ahah XD) troviate il
personaggio molto vicino, era quello che volevo!! spero ti sia piaicuto
questo capitolo...
grazie mille a tutte, al prossimo capitolo! ciaooo
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
L'ultimo Re - capitolo 6
L'ultimo Re
Capitolo 6
15 aprile 1268 –
Pisa, Italia centro-settentrionale
L’avviso dell’arrivo di una grande compagine a cavallo
arrivò quasi inaspettato. Konrad era seduto nella sua stanza, e stava
controllando ancora una volta le carte su cui stavano elencati gli aiuti di
denaro, armi, cavalli, attrezzi da guerra che i pisani gli avevano affidato.
Era incredulo, non poteva immaginare quanto la città fosse attaccata alla sua
famiglia. Ora invece aveva delle prove eloquenti, ciò di cui aveva bisogno: un
po’ di sicurezza.
Gli mancava Federico, ma sapeva che ormai, con il grosso
delle truppe, era alle porte di Pisa. E adesso, finalmente, un’altra sicurezza:
le campane suonavano a festa, cominciava a sentirsi il rumore degli zoccoli sul
selciato. Federico era a Pisa.
***
Mentre Konrad si precipitava giù per le scale, Federico
le saliva di corsa dall’altro capo, mentre si toglieva mantello, guanti, e
lasciava su un pianerottolo di passaggio la pesante corazza. Si trovarono uno
di fronte all’altro circa a metà della rampa. Konrad aveva fatto quei gradini
con il cuore in gola, ma pieno di gioia. Federico lo guardò da sotto in su, con
il fiatone. Non riusciva a capacitarsi di quanto era felice di rivedere Konrad
sano e salvo. Durante il viaggio non aveva praticamente avuto il tempo di
pensare, ma ora il suo cuore traboccava di gioia, e lui non sapeva più come
contenerla. Voleva molto più bene a quel giovane biondino di quanto non ne
avesse mai voluto a nessun altro.
Konrad saltò gli ultimi tre gradini che li separavano e
gli si gettò addosso, abbracciandolo stretto.
<< Avrai molto da raccontarmi. >> Disse
Federico, notando che la sua gioia non era dovuta solo al fatto di rivederlo
vivo.
***
<< Ho deciso di mandare trenta galee pisane a sud.
Si imbarcheranno cinquemila soldati. >>
Federico guardò Konrad, che aveva appena parlato, con
sguardo ambiguo. << Non credi sia meglio avere tutti gli uomini a
disposizione con noi? >>
Konrad rispose indirettamente: << Credo che se
questa flotta partisse per Lucera; quando noi arriveremo a sud, avremo meno
armate angioine da combattere. >>
<< E chi guiderà la flotta? >> Chiese
Federico, capendo che non poteva farlo ragionare, ma sperando allo stesso tempo
di non doverlo lasciare ancora.
<< mentre eri in viaggio Martino Della Scala si è
dimostrato fidato e giusto. Credo che manderò lui. >>
L’espressione tesa di Federico si disciolse. <<
Ottima idea. >> Rispose.
Konrad sospirò, contento che l’amico fosse d’accordo con
lui.
<< E noi? >> Chiese dopo un po’.
<< Ho controllato più volte gli uomini e i fondi
dateci dai pisani. >> Rispose Konrad. << E riusciremo a continuare
verso sud. Intendo arrivare a Roma per l’estate. >>
<< Il papa non è più lì, lo sai, vero? >> Domandò
Federico, con il dubbio che l’amico volesse attaccare la corte pontificia.
<< E’ a Viterbo. >> Rispose sicuro il re.
<< Infatti voglio passare per la città con il grosso delle truppe.
>>
Federico lo guardò con uno sguardo un po’ interrogativo e
po’ triste.
<< Temo ci dovremmo separare ancora. >>
Mormorò Konrad. << Tu passerai per le Marche e la Valle sull’Arno; mentre
io mi dirigerò a Roma con le truppe pesanti. >>
<< Pensavo che questa avventura l’avremmo
affrontata insieme. >> Obiettò Federico, in tono infantile.
<< Purtroppo non è una questione che riguarda me e
te. >> Disse Konrad, serio. Anche se Federico era più grande di lui, non
si era mai sentito così inferiore rispetto all’amico. Ora era così serio e
deciso, che gli sembrava di non riconoscerlo.
<< Ci sono forze più grandi in gioco, Federico. Non
posso scegliere. >> Concluse Konrad. L’amico lo guardò con espressione
amara. << Combatti ancora più ferocemente di come facevamo a Landshut.
>> Lo congedò. << E vedi di arrivare intero al nostro prossimo incontro.
>>
<< Lo farò. >> Rispose Konrad, incredulo lui
stesso di quanto fosse seria la sua voce.
***
Metà del 1268 –
Viterbo, Dimora pontificia
Il coro nella chiesa sottostante dava un’aria cupa e
grave alla stanza. Scuri tenori alzavano le loro voci al cielo, ma per Giovanni
di Braisilva, che era insieme al pontefice in quel momento, erano soltanto
inquietanti. Lo sguardo dell’uomo era più buio, i pensieri che si agitavano
nella sua mente più mesti e intricati.
Giovanni sentì un brivido scendergli lungo la schiena
quando le voci del coro si spensero e il papa alzò la testa e lo guardò negli
occhi. << Non posso permettere che la marcia dello svevo continui ancora
verso sud. E’ troppo pericoloso. >> Quegli occhi fissavano Giovanni fin nel
profondo. Si chiese cosa lo avesse spinto a seguire quell’uomo, ma
semplicemente non trovò risposta. << Tuo compito è impedire l’avanzata
del nemico. >>
Giovanni trattenne un sospiro di sollievo. Aveva paura
che l’avessero convocato per punirlo.
Intanto il pontefice continuava con gli ordini. <<
Recati verso Roma per la via di Arezzo. Gli taglierai la strada. >> Lo
guardò ancora più intensamente. << Uccidi quel maledetto ragazzino.
>>
Giovanni rabbrividì. Non avrebbe mai immaginato di sentir
dire quelle parole da un pontefice. << Sì, mio signore. >> Rispose.
L’altro sentiva di potersi fidare del consigliere:
<< Io intendo affliggere entro domani l’avviso della sua scomunica in
tutte le città. >>
Giovanni rimase bloccato con la mano sulla maniglia.
<< Credete che questo lo fermerà? >>
Per un attimo il papa sembrò umano. << No. >>
Disse. << Ma lo farò lo stesso. >>
***
Stesso periodo –
Valle sull’Arno
<< Mio signore … >> Un soldato impettito
stava chiamando Federico dalla testa della fila, e si avvicinava velocemente, al
galoppo. << Uno degli uomini che abbiamo mandato in avanscoperta è
tornato con una notizia. >>
Federico si irrigidì in sella, e lo guardò con evidente
impazienza.
<< Hanno avvistato un gruppo di truppe guelfe a
Valle. >> Riferì il soldato.
<< Chi li guida? >> Chiese Federico, che
voleva a tutti i costi evitare uno scontro.
<< Giovanni di Braisilva, signore. >> Rispose
pronto l’altro.
Federico strinse nervosamente le redini. Giovanni di Braisilva
era il braccio destro del papa, doveva attaccarlo a tutti i costi. <<
All’erta le truppe. Ci prepariamo all’attacco a sorpresa. >>
***
Le truppe di Braisilva furono colpite veramente di
sorpresa. Era quasi il tramonto, e i soldati si stavano rilassando nel campo
appena allestito.
Federico e i suoi uomini piombarono su di loro come una
mortale massa nera, che falciava tutto e tutti al loro passaggio. Le prime file
con le lance in resta, i cavalli lanciati in uno sfrenato galoppo dopo la
precedente discesa.
Federico era in mezzo ai suoi uomini, arrivava lanciato
mulinando la spada. Non provava nulla. Gli zoccoli dei cavalli battevano sul
terreno veloce come il suo cuore faceva nella sua gola, sospinto dall’ansia; ma
non dalla paura. No, paura non ne aveva. Era pronto a morire per la riuscita
dell’impresa di Konrad, quindi era solo orgoglioso dei suoi uomini, che
eseguivano ciecamente i suoi ordini, anche incontro alla morte.
Ma la morte quel giorno non aspettava loro. Gli uomini di
Braisilva caddero quasi senza combattere, e anche il loro capo, Giovanni, venne
ucciso della spada di Federico.
Per un attimo il ragazzo si trovò spiazzato: senza
accorgersene aveva ucciso il nemico, e dovette scuotere la testa un paio di
volte prima di capire come mai i suoi uomini alzavano le armi insanguinate
verso di lui.
***
Stesso periodo –
Nei pressi di Viterbo
Konrad stava scrutando l’orizzonte sgombro, quando il suo
sguardo incontrò un vessillo rosso sventolare nella brezza. Un gruppo sparuto
di uomini portavano il vessillo e si avvicinavano.
Konrad strinse gli occhi per riuscire a vedere meglio.
Sulla stoffa scarlatta erano intrecciate due chiavi: una argentata e una
dorata. Intorno alle chiavi si avvolgeva un sinuoso nastro bianco, e in alto
era raffigurata una corona con una croce romana cucita d’oro.
Konrad era incredulo: quello era il vessillo del papa.
Mentre si voltava per chiedere spiegazioni ad un capitano, due messaggeri
giunsero al galoppo. << Ambasciatori del papa giungono per informare
Vostra Altezza della scomunica infierita dal capo della Chiesa. >> Disse
impettito il primo. Qualche secondo dopo prese la parola l’altro: << E
informano vostra altezza che non ci saranno scontri a meno che non lo vogliate
voi. La via per Roma è libera. >> Konrad però si focalizzò solo su quest’
ultima notizia. << Ma io è a Viterbo che voglio andare. >> Disse,
con un sorriso ambiguo.
***
Pochi giorni dopo –
Viterbo
Rivedere Federico rese Konrad euforico, non badava molto
alle buone notizie che portava; gli bastava sapere che ora l’amico era con lui.
Si stavano dirigendo a Roma, lungo la strada che si era
dimostrata veramente sicura, ma Konrad era sempre deciso a passare per Viterbo.
E anche se Federico temeva di passare così vicino al loro nemico, dovette
eseguire gli ordini di Konrad.
Quando entrarono in città, la trovarono praticamente
vuota. La popolazione li spiava dalle imposte, curiosi di vedere l’imperatore,
ma impauriti dagli ordini del pontefice, che in quei giorni che vedevano il
passaggio Konrad, aveva vietato di uscire. Probabilmente voleva dimostrare al
giovane re l’insofferenza che provava nei suoi confronti, ma lui non si
lasciava per niente intimorire.
Quando raggiunsero la dimora papale, se ne accorsero
subito. Come tutte le altre case, anche se molto più grande, le imposte erano
completamente serrate, ma non c’era nessuno a spiarli.
Il vessillo scarlatto si librava nell’aria da un alto
stendardo di bronzo, e sembrava beffarsi di loro.
Il silenzio era completo, pesante, e Konrad si guardava
introno con attenzione. Prima scrutava il suo imponente esercito, dopo al dimora
di fronte a loro.
Federico gli si avvicinò titubante. << Perché siamo
qui? >> Chiese, mostrando benissimo di non essere d’accordo con l’amico.
<< Stiamo perdendo tempo. Dovremmo continuare verso Roma per incontrarci con
Martino Della Scala tra qualche mese … >>
Konrad sbuffò, ignorando le sue parole. << Anche
mio nonno si trovò più volte a valutare questa ipotesi … >> Mormorò.
<< Quale ipotesi? >> Domandò Federico.
<< Siamo a pochi passi dal nostro nemico, e qui ci
sono pochissime guardie … >>
<< Vuoi assediare la Curia papale?! >>
Strillò Federico.
Konrad alzò le spalle. << … Ma immagino il disastro
propagandistico che causerei … >>
Federico sembrò tranquillizzarsi: << Quindi non lo
farai? >> Domandò insicuro. Proprio quello che temeva, ossia che Konrad occupasse
Viterbo, si stava avverando.
<< Fai schierare le truppe. >> Ordinò Konrad.
<< Voglio fare paura a questo pomposo Re di Roma. >>
Federico strabuzzò gli occhi. Poteva capire la scomunica,
ma dire una cosa simile era quasi un’eresia. Seguì comunque i suoi ordini, e
migliaia di punte argentate si alzarono verso le finestre della dimora.
Come in una notte stellata, le lance brillarono all’unisono
come tante piccole stelle.
***
ciao!!
scusatemi, questo
è uno dei capitoli più lunghi, ma stiamo arrivando alla
parte centrale della storia, ci vuole un bel po', anche se io
continuavo a dirmi che dovevo smettere di scrivere... comunque, che ne
dite?
passiamo ai ringraziamenti:
Hivy: ti capisco un
par de palle! mi hai fatto venire una paura quando continuavi a dirmi:
"questo capitolo è veramente un disastro!", "non potevi trovare
parole più inadatte"... ma vai un po' a quel paese là!
per spiegare a tutti:
noi due siamo sorelle, abitiamo nella stessa casa, quindi quando io ho
messo il 5^ capitolo sono andata tutta contenta da lei e le ha detto,
soddisfatta: "ho pubblicato un nuovo capitolo!"... e lei si mette a
leggere, mentre borbotta cose tipo sopra: "che schifo" , "è
il capitolo peggiore che tu abbia mai scritto"... mi ha fatto venire
una paura da tremare le gambe! e poi le piaceva... ma che terrore!
Hivy (di nuovo): non ti azzardare a farlo di nuovo!! affilo l'Ascia da Guerra, altrimenti! capito?!?
tracywelsh: mi fa
molto, ma mooolto piacere sapere che la storia ti piace! nella storia
vera Luigi riesce a trovare i fondi per Konrad e la sua spedizione, ma
in tutti i siti, libri ed enciclopedie in cui ho guardato non ho
trovato in che modo! quindi ho cercato di inventare... mi sono
scervellata per trovare qualcosa di credibile, spero sia risultato
decente! comunque, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!
...e poi: visto che Konrad e Federico si sono ritrovati subito? non si
potevano lasciare separati... e poi ancora una volta, nelle "cronache"
dell'epoca, non si racconta di niente di speciale accaduto durante i
due viaggi (di uno e dell'altro), così li ho fatti direttamente
incontrare a pisa...
nemesis 18: sono
felicissima che ti sia piaciuto lo scorso capitolo, e come al solito mi
fa tanto, ma tanto piacere sentirlo con parole così gentili come
le tue! luigi è veramente un grande, è uno dei miei
personaggi preferiti e uno di quelli che mi piace di più far
agire, invece adoro far "pensare" Konrad e Federico... non so, forse
perchè sono giovani, e di solito si immeginano i giovani come
degli sbarbatelli senza cervello, e gli adulti come riflessivi... spero
si sia capito che voglio far trapelare il contrario: che anche un
quindicenne può essere un re migliore di un vecchio (vedi
carlo... ahahah) e poi come vedi ho aggiornato presto...
un abbraccio a tutti, ciao e grazie!
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Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
L'ultimo Re - cap7
L'ultimo Re
Capitolo 7
24 Luglio 1268 –
Roma, Italia centrale
La capitale della Cristianità, attendeva Konrad e i suoi
uomini, in festa: con strade pavesate da bandiere e addobbi, e il gonfalone di
Svevia che sventolava da tutte le torri più alte. Il popolo inneggiava al re,
le donne applaudivano dalle finestre.
Konrad avanzava tra due ali di folla in sella al suo
Holstein morello. Salutava abbastanza timidamente, con il cuore che gli batteva
all’impazzata, e il viso in fiamme. Non avrebbe mai immaginato di sentirsi a
disagio davanti a molta gente. Per questo si guardava intorno titubante, ma
estremamente felice. Finalmente era tra amici, e dopo Pisa qualche altra città
riconosceva la sua autorità. Quell’improvvisa onnipotenza e quel sordo timore
erano le sensazioni più strane che avesse mai privato.
Federico avanzava con Konrad, pochi passi più indietro, e
alle sue spalle si estendeva la folla di Ghibellini. Prima i capi del partiti,
come i nobili e i baroni; alcuni dei quali partiti a loro volta da Landshut;
poi i capitani dei diversi reparti dell’esercito, e infine i soldati stessi.
Erano una fila lunga e movimentata che si insinuava scura
in quella città dai mille colori.
***
Konrad, Federico e i baroni si recarono in Campidoglio,
mentre i sodati ottennero qualche ora di libertà per le strade in festa di Roma.
I nobili e il re furono accolti con tutti gli onori; e
andò loro incontro il senatore Enrico di Castiglia, con cui si ritirarono per
organizzare le mosse seguenti.
<< Dovreste continuare verso Napoli. >>
Suggerì il senatore, tenendosi le mani tra i folti capelli scuri.
Il re invece scosse la testa. << Dobbiamo
assolutamente andare a Lucera. Lì ci aspettano le forze saracene. >>
<< Ma altezza, >> Si intromise Galvano
Lancia. << A Napoli troveremo Carlo d’Angiò, o quanto meno la sua corte!
>>
<< E li attaccheremo nella loro città? >>
Chiese Federico, freddo e sprezzante. << Con così pochi uomini all’assedio
di una città grande come Napoli? Vuole morire, conte? >>
Konrad ignorò i battibecchi tra i due, che era chiaro non
si sopportavano, e rimase a riflettere in silenzio. Odiava le riunioni con i baroni,
e adesso ci si metteva anche il senatore con quei consigli inutili. “A cosa
serve essere re,” Si chiedeva, “Se poi devo essere corretto ad ogni intervento
che pongo?” Inspirò profondamente prima di parlare. Federico e il conte si
zittirono all’istante. << Durante il viaggio da Viterbo a Roma abbiamo
ricevuto un messaggero proveniente da Lucera. >> Prima di continuare
puntò lo sguardo negli occhi freddi di Galvano, per fargli capire bene che era
serio. << La città è sotto assedio dagli Angioini, e buona parte delle
nostre truppe si trovano entro le mura. Io voglio combattere l’Angioino, quindi
di dirigeremo verso Lucera. >> La sua voce non ammetteva repliche.
<< L’usurpatore di certo leverà l’assedio per venirci incontro, così i
nostri soldati potranno riunirsi alle nostre truppe. >>
Il re stava già per alzarsi, quando il senatore disse: <<
Mi sembra un po’ azzardato … >> A voce bassa e titubante.
Konrad si voltò a guardarlo, e la sua cotta di maglia
tintinnò nel silenzio della stanza. Konrad capì dallo sguardo dell’uomo, che
quello aveva paura di lui. “Paura di un ragazzo di appena quindici anni.” Si
disse. “Che spreco.” Non si prese nemmeno il tempo di rispondere, si voltò e
lasciò la stanza.
***
Stesso periodo – Lucera,
Italia meridionale
Carlo d’Angiò camminava ai piedi della mura di Lucera,
nel silenzio di metà pomeriggio. Studiava la città da cima a fondo, ma odiava
gli assedi, e questo non era diverso dagli altri: tanto tempo perso, tempo che
poteva usare per organizzare un attacco al suo nemico svevo.
Da lontano, vide avvicinarsi un cavaliere al galoppo. Appoggiò
la mano sull’elsa della spada, per ogni evenienza, ma sapeva che quel
messaggero poteva essere solo un amico.
<< Lo svevo è in marcia su Lucera. >> Riferì
il messaggero, con il fiatone. << Intende liberare i soldati che si
trovano entro le mura della città. >>
Carlo rimase in silenzio, a riflettere. Sapeva che i
soldati di Lucera erano saraceni, e non poteva permettere a Corradino di avere
una forza così imponente. << Leva l’assedio. >> Ordinò. << E
all’erta gli uomini per una marcia serrata. Devo arrivare allo svevo prima che
raggiunga Lucera. >>
***
Fu una marcia rapidissima e durissima, sotto un sole
cocente e impavido, che brillava sopra i soldati come facendosi beffa di loro. Le
corazze delle armature riflettevano quella forte luce, facendo sembrare l’esercito
un lungo fiumiciattolo che brillava al sole.
Il silenzio era tale che si potevano seguire i loro passi
solo dal tintinnare degli anelli delle cotte di maglia e dei finimenti dei
cavalli. I soldati dovevano essere il più discreti possibile, perché si stavano
avvicinando al nemico, e non potevano permettersi di essere avvistati.
***
Alcuni giorni dopo
– Via di Sulmona, nei pressi di Lucera
Federico e una mezza dozzina di altri uomini andarono in
avanscoperta nelle quattro direzioni, e fu proprio Federico ad avvistare l’esercito
Angioino in marcia. Scese da cavallo e si nascose nell’erba alta, con il cuore
in gola, ma i sensi all’erta. Carlo d’Angiò marciava a pochi metri da lui,
incredibilmente Federico non si era accorto subito della loro presenza, erano
stati silenziosissimi.
La sua mano cadde sull’elsa della spada. Carlo era lì,
doveva solo saltare fuori e ucciderlo. Certo, sarebbe equivalso ad un suicidio,
ma almeno avrebbe ucciso l’usurpatore.
La sua presa ebbe un tentennamento. Si sentiva ancora
sulle mani il sangue di Braisilva, viscido e appiccicoso. Non voleva provare
ancora quella sensazione di repulsone verso sé stesso, non voleva avere più
paura delle proprie azioni.
Prese un profondo respiro, e si alzò lentamente, coperto
dalle fronde del bosco. Riprese il cavallo e galoppò fino ai suoi compagni.
***
<< Arrivano! >> Urlò, appena si trovò vicino
a Konrad. << Gli Angioini sono a sud, si avvicinano velocemente! >>
Riprese un attimo fiato, aveva la gola secca. << Non potremmo raggiungere
Lucera, a meno che non li attacchiamo! >>
Konrad rifletté pacatamente sulla notizia. << Non
ho nessun interesse di attaccarlo senza l’appoggio dei saraceni. Dobbiamo andare
sulla Via di Sulmona, e poi raggiungeremo Lucera. >>
***
Stesso periodo –
Più a sud
Per altri tre giorni e tre notti, Carlo e il suo esercito
seguirono gli Svevi da molto vicino, sempre minacciosi alle loro spalle.
Carlo era deciso a tagliare la strada a Corradino, così
fece accampare le sue truppe, ormai esauste, nella valle del fiume Aterno.
***
21 Agosto 1268 –
Scurcola, Appennino Abruzzese
Konrad decise di passare per i Monti della Laga, da cui
scendeva il fiume Aterno, così riuscì ad arrivare a Scurcola, un piccolo centro
costruito tra le montagne.
L’esercito era affaticato, e la tensione di avere così
vicino il nemico, si faceva sentire come stanchezza. Konrad non poté fare altro
che fermarsi, anche se il suo cuore gli diceva di continuare e di allontanarsi
il più possibile.
***
Alba del 22 Agosto
– Vicino Scurcola
Se c’era qualcuno che non si fermava mai, questi erano i
messaggeri di Carlo. L’Angioino inviò una decina di uomini in avanscoperta, e
apprese la notizia della sosta dello svevo.
Sul suo viso si dipinse un sorriso maligno. << A Scurcola!!
>> Ordinò con tutto il fiato che aveva in gola.
In giornata la milizie Angioine avevano preso posizione
sulle alture tutto intorno a Scurcola, e osservavano i nemici dall’altra parte
di un piccolo torrente che divideva a metà una stretta valle.
***
Stesso periodo –
Dall’altra parte del fiume
<< Scontro imminente, a quanto pare. >>
Esordì Federico sedendosi accanto a Konrad. Erano su uno sperone di roccia
nella parte più alta dei campi di Scurcola, e da lassù riuscivano a vedere il
campo dei nemici.
Konrad sospirò. << Le loro truppe sono stanche. Forse
è giusto approfittarne. >>
Federico non rispose.
<< Cosa ci direbbe Luigi? >> Domandò Konrad,
che mai come allora sentiva la mancanza dello zio.
<< Ti direbbe che è uno spreco di tempo, temo.
>> Borbottò l’amico. << L’Angiò è troppo astuto per cominciare una
battaglia prima che le sue truppe si riposino. >>
Konrad sospirò. << Affila la spada, Federico. Domani
si combatterà. >>
ciaoo!!!
scusate il ritardo, ma stiamo arrivando alla fine della storia! in tutto ci sono 10 capitoli, fate voi i conti!!!
allora, ringrazio prima di tutto:
Hivy: grazie della tua bellissima recensione!!! sei grande, grazieee
Tracywelsh: grazie
dei complimenti! mi spiace che lo scorso capitolo sia risultato un po'
caotico, non era mia intenzione! ...peccato, e mi spiace che anche in
questo, nella parte finale, ci siano molti cambiamenti di luogo...
purtroppo però non posso farne a meno, perchè io seguo
sì la storia di Konrad, ma nel frattempo succedono molte altre
cose! sorry...
Shenim (al tempo,
nemesis 18): grazie dei complimenti, sono molto felice che lo scorso
capitolo ti sia piaciuto, e spero anche questo! soprattutto, sono
felice che la descrizione dei suoni ti sia piaciuta. sei stata tu a
farmi notare che le descrizioni "sonore" mi vengono bene,così ci
ho fatto più caso e... è vero, se si descrive cosa si
sente, tutto sembra più reale... quindi un grazie ancora
più grande!
in conclusione spero che questo capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!
ciaoo
|
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Capitolo 8 *** Capitolo VIII ***
L'ultimo Re - capitolo 8
L'ultimo Re
Capitolo 8
23 Agosto 1268 –
Pianura di Scurcola
Il Salto era un fiumicello di appena due metri di
larghezza, e si allungava nella stretta pianura tra montagne di Scurcola, ma in
quel momento separava due grandi fazioni: dal lato nord erano schierati i Ghibellini
di Konrad; mentre a sud stavano i Guelfi di Carlo d’Angiò.
I due eserciti erano in formazione da battaglia, e si
scrutavano torvi dai due versanti della pianura. I campi e le tende dei soldati
erano stati smantellati, per dare spazio alla battaglia. Le armi brillavano
accecanti alla luce di un cielo limpido e sgombro.
L’unica cosa che mancava agli eserciti, erano i
rispettivi capi, che ancora preparavano la strategia, nelle retrovie delle
milizie.
***
<< Stiamo perdendo tempo. >> Sbottò Konrad. <<
I soldati si innervosiscono! >>
Federico scosse la testa e lo guardò di traverso.
<< Se non abbiamo una strategia; allora non avremo una vittoria. >>
Disse, serio. << Quante volte te lo ha ripetuto il duca Luigi? >>
Konrad, sentendo nominare suo zio, si scurì ancora di più
in volto. << E io gli ho ripetuto altrettante volte che non sono uno da
sotterfugi e giochetti … >>
<< Come il nostro avversario, temo. >> Si
intromise mesto il senatore Enrico di Castiglia. Tutti lo guardarono, ma lo
sguardo più interrogativo era quello del re. << Tra le file dell’Angiò c’è
Alardo di Valery. >> Sospirò. << Sapete di chi sto parlando?
>>
In molti, soprattutto veterani della Terrasanta,
abbassarono il capo, tristemente. Lo conoscevano di certo, perché era il più
noto e meschino stratega delle file Guelfe.
Konrad cercò di non far trasparire la propria tensione.
<< Voglio dividere l’esercito in due parti. >> Cominciò, attirando
a sé gli sguardi di tutti. << Una parte guidata da me e da Federico di Baden.
>> Osservò gli altri, e capì che non avevano nulla da ribattere,
soprattutto lo stesso Federico. << E l’altra da voi, senatore. >>
Guardò Enrico di Castiglia. << Se siete con me. >>
Tutti i baroni accettarono la strategia di Konrad, anche
se, come lui, non ne erano per niente sicuri.
***
Alardo di Valery stava riflettendo, glielo si leggeva in
viso da come scrutava tutti i baroni di fronte a sé. Sembrava molto interessato
al Maresciallo Enrico di Cousence, che osservava attentamente, in alternanza
con Carlo d’Angiò. Tra i due c’era una discreta somiglianza: stessa statura,
stesso fisico possente, ma una differenza palese: a Cuosence mancava un occhio.
Una grande cicatrice gli attraversava il volto, e l’occhio sinistro era chiuso
e attraversato da essa proprio a metà.
Carlo interruppe il filo dei pensieri del Maresciallo:
<< Alardo, il tempo scorre. >> Si capiva che era a disagio a
parlare in quel modo all’amico, di cui aveva grande stima. << Hai qualche
idea? >>
Alardo fece una smorfia, ma rispose serenamente. <<
Sire, posso chiedervi di togliervi la vostra armatura ed il vostro elmo?
>>
Carlo lo guardò un po’ stupito, ma seguì il consiglio di
Valery, perché era uno dei pochi di cui si fidava. Si ritirò dietro una tenda
con il suo scudiero, mentre Alardo continuava a spiegare il suo piano,
visibilmente soddisfatto. << Ho pensato di dividere il nostro esercito in
tre parti. Se teniamo una schiera nascosta nella valle a sud, avremo un numero
di uomini minore rispetto a quello dei nemici. >>
<< E lo trovate un fatto positivo? >> Domandò
Carlo, da lontano.
<< Certo che sì. >> Rispose Alardo lisciandosi
la barba. << Crederanno di avere la vittoria in tasca, e se venissero sconfitti
dalle prime due schiere, tornerete vittorioso che ottocento cavalieri incolumi,
e sarebbe una vittoria ancora maggiore. >>
<< E se le prime due schiere venissero sconfitte?
>> Domandò ancora Carlo, anche se sapeva già la risposta.
<< La terza uscirebbe allo scoperto. >>
Lo scudiero uscì dalla tenda con una pesante corazza tra
le mani. Lo seguiva Carlo. << Allora, Alardo, mostrami la Valle dove
staremo con la terza schiera. >>
Valery fece per andare seguito da tutti gli altri cavalieri.
Prima di andarsene, prese Enrico di Cousence per un braccio. << Voi no,
Maresciallo. >> Disse con il suo sorriso più malefico. << Ragazzo!
>> Chiamò lo scudiero. << Aiuta il maresciallo. >>
***
Le due schiere adesso erano al completo: Konrad stava in
testa ai suoi uomini dal suo morello, mentre Federico gli stava fiero alla
destra. Osservavano le file del nemico, quando questo si aprì in due ali per
far passare un uomo in sella ad un possente cavallo baio. Aveva un’armatura a
dir poco impenetrabile, senza un lembo
di pelle scoperta. L’unico punto debole erano le giunture: in vita la corazza
si congiungeva ai gambali tramite una sottile cotta di maglia, e la gola aveva
solo le protezioni di un pesante elmo calato sul viso.
Konrad non poté non farsi ancora più nervoso: non aveva
mai visto l’Angiò, ma era sicurissimo che fosse quell’uomo. Infatti, Federico
gli prese un braccio appena lo videro arrivare sul campo di battaglia.
<< Eccolo, l’usurpatore. >> Disse, tra i
denti. Lasciò un lungo silenzio, mentre scrutava il campo di battaglia. Era tutto
pronto, la tensione era palpabile.
<< Ricordi cosa ti ho detto prima di partire da Pisa?
>> Chiese Federico, con la voce resa molto sottile dall’ansia.
Konrad sembrava non avere intenzione di rispondere. Osservava
il suo nemico dall’altra parte del fiume. << Certo che mi ricordo.
>> Rispose dopo un po’, volandosi a guardare l’amico. << Di
combattere ancora più ferocemente di come facevamo a Landshut. >>
Federico lo guardò ancora più intensamente. << Mi
hai promesso di farlo. >>
Konrad tornò a guardare la pianura, e il suo sguardo corse
subito al nemico, nella sua stessa posizione, ma dall’altra parte del Salto. Portò
una mano sopra la testa, abbassò la visiera dell’elmo sugli occhi. << Lui
è mio. >> Disse, a denti stretti. Sfoderò la spada, con il suo che gli
batteva così forte che avrebbe potuto bucare la corazza. Puntò l’arma verso i
nemici, ma il suo sguardo vedeva solo l’Angioino.
Prese un profondo respiro. L’ordine che stava per dare
era il primo, ma poteva anche essere l’ultimo. Ma lui non si lasciava
intimorire. Doveva essere forte, altrimenti i suoi uomini sarebbero stati perduti.
<< All’attacco!! >> Urlò, sentendo che Federico, al suo fianco,
aveva paura. Lo capiva da come stava rigido in sella, lui che era un perfetto cavallerizzo,
e dalle parole che gli aveva detto prima.
Per lui non era la prima battaglia in assoluto come lo
era per Konrad, ma sapendo il re al suo fianco, temeva di non riuscire più a
fermarlo, una volta partito al galoppo verso il nemico.
Infatti fu così: i Ghibellini di Konrad partirono al
galoppo come fossero l’ombra del re, e superarono per la lunghezza il Salto. Ora
erano davanti ai nemici, nessun ostacolo più li separava.
La prima schiera di Angioini fu sbaragliata da Ghibellini
di Enrico di Castiglia, e non resistette all’urto, piegando verso le montagne.
La seconda schiera invece, fu assalita dagli uomini di
Konrad. L’urto fu violento, il clangore delle armi riempì in un istante il
silenzio della valle.
Gli Angioini furono disarcionati per la maggior parte, e
subito dopo venivano finiti dai cavalieri Ghibellini, che passavano in mezzo alle
schiere ormai disunite facendone strage.
Konrad non badò a tutto questo. I suoi occhi guizzavano
alla ricerca del cavaliere che aveva visto prima, di Carlo d’Angiò. In sella al
suo cavallo, con la spada insanguinata in una mano, e lo scudo con il gonfalone
di Svevia nell’altra, scrutava il campo di battaglia alla ricerca del nemico.
Sentì la rabbia crescere dentro, montare a fargli salire
il sangue al cervello; il cuore gli batteva impazzito nelle tempie. Strinse la
presa sull’elsa della spada, anche se era ben salda, e alzò lo scudo vicino al
petto. Non aveva mai provato quelle sensazioni quando era a Landshut, e ipotizzava
una battaglia insieme a Federico. Ora tutto gli stava scivolando dalle mani:
mentre lui combatteva, il nemico era fuggito, e i suoi uomini si battevano con
ferocia contro soldati ormai allo sbaraglio.
C’erano sangue e morti ovunque, lo stesso Konrad aveva
addosso sangue non suo. No, proprio non si era immaginato così la guerra.
E finalmente lo vide: arrancava a cavallo nelle retrovie
dell’esercito, verso uno stretto valico tra i monti. “Sporco codardo.” Pensò Konrad,
facendo partire il cavallo al galoppo. Mentre la figura del nemico si faceva
sempre più vicina, si chiese se Carlo d’Angiò, il grande guerriero di cui si
parlava, fosse uno che scappava in mezzo ad una battaglia, e pensò che stava
facendo un errore.
Lo raggiunse che era ancora lontano dal valico. Il suo
cavallo era stanco, la fuga dalle milizie di Konrad lo aveva spossato.
Konrad strinse le armi. La rabbia si era trasformata in
timore, ora la paura era diventata spavalderia. << Un codardo. >>
Disse a voce alta con disprezzo. L’altro fece voltare il cavallo, e lo squadrò.
Konrad vide palpabile il riguardo che aveva nei suoi confronti. Scese da
cavallo e fece mulinare la spada, mentre anche l’altro lo imitava. “Chissà
quanti corpo a corpo ha affrontato nella sua vita.” Si disse il giovane re,
sentendosi infinitamente piccolo nei confronti dell’Angioino. Ora la sua
spavalderia era tornata ad essere un sordo timore.
Carlo fece mulinare la spada, e gli si gettò contro a
sorpresa. Konrad per un attimo rimase sopraffatto da quel peso inaspettato, ed indietreggiò
di qualche passo. Alzò lo scudo tra lui e il nemico, che cercava di fare della sua
mole un punto di forza, e riuscì a liberarsi.
Carlo allora alzò la spada, ma Konrad non si fece
prendere alla sprovvista e parò con prontezza un colpo che gli avrebbe
sicuramente rotto la testa. Mentre il nemico si preparava ad attaccare di
nuovo, Konrad ragionò sull’avversario: di certo non poteva battere la sua
forza, ma l’Angioino era vecchio e relativamente lento, lui era un ragazzo.
Non gli diede tempo di reagire, e iniziò una serie di
attacchi veloci e mirati, che lo fecero indietreggiare. Konrad parò numerosi
contrattacchi, ma un colpo dell’Angioino andò a segno. Colpì Konrad al volto,
con l’impugnatura della spada.
Il ragazzo indietreggiò barcollando. La ferita bruciava
incredibilmente, sentiva del sangue caldo scivolargli lungo il collo. Rispose all’attacco
colpendo il ginocchio dell’avversario con tutta la forza di cui era capace, e
questi cadde a terra, dando tempo a Konrad di controllare le proprie ferite. Il
colpo dell’Angioino aveva piegato il suo elmo, e la visiera gli aveva tagliato
la pelle. Strinse i denti, e si tolse l’elmo. Gli si annebbiò un attimo la
vista, e la ferita lanciò una stilettata di dolore, ma Konrad non si lasciò
sopraffare. Lasciò a terra lo scudo e buttò l’elmo lontano, pronto ad attaccare
di nuovo.
***
Sul capo di battaglia ormai restavano in piedi solo
Ghibellini, e i nobili di erano raggruppati per decidere casa fare. Federico e
Galvano stavano discutendo, quando da uno stretto valico sentirono provenire il
rumore di cavalli al galoppo.
<< E’ idea di Valery. >> Si infervorò Galvano
Lancia. << Ora noi siamo stremati e loro hanno cavalieri freschi. Abbiamo
anche perso Enrico di Castiglia. Quel vigliacco ha preso i suoi uomini ed è
scappato … >>
Tutti si aspettavano ordini da Federico, mentre lui era
occupato a guardarsi intorno. Un duello attirava la sua attenzione. Ci mise
qualche secondo per spronare il cavallo ed avvicinarsi a Konrad.
***
Il giovare re decise di giocare con la propria agilità, e
con la stanchezza dell’avversario. Fece un paio di finte, e una nuova serie di
attacchi che lasciarono il nemico scoperto sulla sinistra. Konrad se ne stupì:
l’Angioino aveva sempre la guardia alta, sulla sinistra, come se non riuscisse
a vedere. Se ne stupì, ma non si lasciò incantare. Anzi: prese il coraggio a
due mani, caricò la spada. Stava per colpire, quando il nemico si voltò per
evitare il colpo.
Konrad seguì il suo movimento, e girandosi sferrò il suo
attacco: si piegò sulle ginocchia, per dare più forza al colpo, cercò di
infondere all’arma tutta la forza che gli rimaneva. La lama affilata penetrò
nella cotta di maglia intorno alla vita. Lacerò la carne e i tessuti, strappò
un gemito all’Angioino.
Konrad lasciò la presa sulla spada, e l’altro cadde di schiena.
Il ragazzo tremava. Le sue mani erano viscide di sangue,
e tutto il suo corpo sembrava non rispondergli, mentre tornava vicino al nemico
per scoprirgli il volto. Voleva vedere chi aveva appena ucciso, divorato dai sensi
di colpa.
Sentì solo allora il fragore degli zoccoli di cavalli al
galoppo, qualcuno che lo chiamava. Una mano si posò sulla sua spalla, proprio
mentre stava per togliere l’elmo del nemico caduto.
<< Konrad! >> Lo chiamò Federico. <<
Cosa fai? >> I suoi occhi descrivevano al meglio la sua ansia. <<
Gli Angioini avevano dei cavalieri nascosti in una valle, dobbiamo andarcene!
>>
Konrad non disse nulla, prese tra le mani l’elmo del
nemico. << Devo sapere se è l’Angioino, ho troppi dubbi. >> Sapeva
bene che Federico lo trovava inutile, ma era una cosa che il suo cuore gli
diceva di fare. Dovette usare molto del suo coraggio per togliere l’elmo del
nemico, e quando lo fece, vide con orrore che egli non aveva l’occhio sinistro.
<< Non è lui. >> Disse mesto. << Carlo l’usurpatore non è
morto. >>
Federico non gli diede nemmeno il tempo di riprendere lo
scudo. Obbligò Konrad a salire con lui a cavallo, e lo portò via. << E
adesso? Cosa facciamo? >>
<< Enrico di Castiglia ci ha abbandonati. Gli uomini
sono morti quasi tutti e l’Angiò ci ha giocato proprio un brutto scherzo.
>>
<< Cerchiamo di tornare a Roma. E da lì a Pisa.
>>
Cavalcarono insieme per un po’, poi Konrad si decise a
parlare: << Non credevo che la guerra fosse così. >>
eccoci qua, di nuovo!
che ne dite di questo nuovo capitolo?
spero che un po' di azione mi sia venuta bene, è tutto quello che posso fare! xD
oltre, ringraziare come al solito le mie mitiche "recensitrici":
Hivy: i tuoi commenti
perfidi sono sempre divertenti, ed ecco qua, il nuovo capitolo è
dedicato a te, così puoi sognare di sferrare colpi con la tua
ascia di guerra xD
Tracywelsh: ho
preferito non lasciare troppo tempo tra il vecchio capitolo e questo,
comunque bando alle ciance: che te ne pare? spero veramente che ti
piaccia.
ciaoo
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Capitolo 9 *** Capitolo IX ***
L'ultimo Re - capitolo 9
L'ultimo Re
Capitolo 9
28 Agosto 1268 –
Roma, Italia centrale
Konrad ricordava Roma come una città allegra e colorata,
con gonfaloni di Svevia che sventolavano dalle torri; e addobbi tra casa e
casa, con la popolazione che lo applaudiva dalle finestre. Certo, non si
aspettava la stessa accoglienza ricevuta il primo ingresso in città, ma nel
giro di un mese Roma era stata completamente trasformata; diventando come la
triste Viterbo. La capitale della Cristianità era quasi vuota, le finestre chiuse,
e attraverso le poche e cui la gente era affacciata, si vedevano volti scuri e
inespressivi, che guardavano Konrad con riguardo.
<< A quanto pare il senatore non è tornato …
>> Borbottò Federico. << E il papa deve aver dato gli stessi ordini
di Viterbo. >>
Konrad rifletteva attentamente. << Meglio
raggiungere il mare il più presto possibile. Roma non è più dalla nostra parte.
>> Concluse. Era triste, perché strategicamente aveva perso una città ed
una posizione importante; ma affettivamente Roma gli era rimasta nel cuore, e
quell’accoglienza così fredda lo faceva soffrire.
***
31 Agosto 1268 –
Astura, sul Mar Tirreno
<< Siamo salvi! >> Esultò Federico, ispirando
l’aria salmastra.
Konrad invece non era del tutto sicuro. << Non
esultare troppo presto, porta sfortuna. >> Constatò, lapidario.
L’entusiasmo di Federico un poco si spense, e prese a guardarsi intorno. Erano
su una piccola nave, e avevano lasciato la città da poco, si vedeva una lunga e
opaca striscia di terra alle loro spalle. Un castello svettava su tutto: a strapiombo
sul mare, si ergeva la dimora di Giovanni Frangipane. Era Ghibellino e
beneficiato del nonno di Konrad, Federico II, così almeno sulla spiaggia, gli
uomini non persero tempo ad essere furtivi, sapendosi tra amici.
Rimasero infatti molto sorpresi, quando dalle pendici del
castello, videro partire un veliero, che li raggiungeva velocemente.
Konrad si mise subito sulla difensiva, perché ormai aveva
capito che non ci si poteva fidare di nessuno. Lo aveva capito completamente
quando aveva ucciso Enrico di Cousence, credendolo Carlo d’Angiò. Il suo nemico
non aveva onore, visto che si nascondeva durante una battaglia, quindi poteva
aver benissimo corrotto il Ghibellino Frangipane. << Pronti all’attacco!
State attenti! >> Urlò, ma l’unico che fece caso ai suoi ordini fu
Federico. Dopo la sconfitta a Scurcola aveva perso l’appoggio anche dei più
fidati, che come lui non vedevano l’ora di tornare a Pisa per ripartire alla
volta di Landshut.
***
La lenta nave degli sconfitti e il rapido veliero di Frangipane
erano ormai bordo a bordo, e il rumore della risacca delle onde era secco e fragoroso.
Risultava difficile sentire quello che il signore di Astura stava dicendo,
parlando faccia a faccia con Konrad.
Il giovane re aveva la spada in pugno, deciso e fiero.
Frangipane, però, era visibilmente soddisfatto, e si
faceva beffa di Konrad. << Quella non vi servirà, penso. >> Disse,
schiaffando via la spada del re con gesto non curante. Il ragazzo rimase
spiazzato da quell’azione, ma ascoltò cosa il Frangipane diceva con apparente
calma.
<< I miei soldati, altrimenti, farebbero scempio di
quelli che a voi sono rimasti. >> Indicò con il mento un gruppo di una
trentina di soldati molto ben armati alle sue spalle. Konrad guardò le loro
tuniche: rosse, con due chiavi e un nastro bianco ricamati sul petto.
<< Le vostre,
truppe? >> Chiese, sprezzante, cercando di nascondere la paura dietro una
maschera di strafottenza. << A me quelli sembrano soldati del papa.
>> Il suo cuore batteva impazzito. Scappare non potevano: il veliero del
Frangipane era tropo veloce, e il vento non era dalla loro parte. Se avesse
dato l’ordine, forse solo lui e Federico avrebbero combattuto; gli altri erano
troppo demotivati, e restii ad alzare le armi contro un loro vecchio compagno
in Terrasanta. Il re non vedeva altra vie di fuga, se non ascoltare cosa questo
borioso Frangipane aveva da dirgli. << Ora siete miei prigionieri.
>> Diceva soddisfatto. << Miei e del papa. Sarà l’assemblea a
decidere casa fare di voi. >>
<< Voi eravate Ghibellino! >> Lo incolpò
Konrad stringendo i pugni. << Voi avevate giurato fedeltà! >>
Frangipane rise di gusto poi, di colpo, tornò serio.
<< Prendeteli. >> Ordinò alle guardie.
Gli uomini di Konrad non poterono nulla contro di loro:
erano troppi e troppo ben armati.
Quando il giovane re fu incatenato, e di fronte la
traditore, questi si avvicinò, e gli parlò con il viso a poca istanza da quello
del ragazzo: << L’occasione fa l’uomo ladro, sire. Così è la vita.
>>
Lasciò il ragazzo recalcitrante in coperta, mentre lui
andava a prua, tutto soddisfatto.
Konrad allora, triste e demoralizzato, ebbe modo di
ragionare sulla situazione. Ma non c’era molto da fare, ormai. Erano
prigionieri del nemico, e fuggire era impossibile.
***
La notizia della cattura dello Svevo fece rapidamente il
giro della penisola, giungendo alle orecchie del papa, che astutamente aveva
comprato il Frangipane, e di Carlo d’Angiò, che tornò in fretta nella sua corte
a Napoli. Entrambi inviarono dei portavoce al castello di Astura, reclamando i
prigionieri. Il pontefice, con la voce del cardinale di Terracina, chiedeva che
gli fossero consegnati in quanto erano le sue truppe che li avevano catturati,
mentre l’ammiraglio Roberto di Laverna, inviato da Carlo d’Angiò, giocò
d’astuzia. Propose un meschino ricatto al pontefice; che anni prima aveva
chiesto l’aiuto di Carlo d’Angiò per occupare il Mezzogiorno. L’Angioino non
aveva ancora chiesto nulla in cambio, ed era arrivato quel momento. <<
Consegnatemi i prigionieri Svevi, e il vostro signore non dovrà più nulla al Re
di Sicilia. >> Disse al Cardinale di Terracina. L’uomo scrisse una
lettera disperata al papa; e alcuni giorni dopo tutto fu deciso.
***
Alcuni giorni dopo
– Roma
Konrad dovette opporre tutta la sua forza di volontà alla
propria rabbia, vedendo entrare trionfalmente Carlo d’Angiò a Roma. Erano
incatenati nella piazza centrale della città, osservando l’usurpatore che si
avvicinava a cavallo, tutto vestito d’oro, che ghignava meschinamente.
<< Finalmente ci incontriamo. >> Sputò tra i
denti quando si ritrovò accanto a Konrad, che lo guardava, suo malgrado, dal basso. << Avrei voluto
incontrarvi sul campo di battaglia. >> Rispose Konrad, che non voleva in
alcun modo darla vinta all’Angioino. << A quest’ora sareste morto.
>> Anche se non poteva scappare, voleva tenere comunque alto il suo
onore. Era un re, dopotutto.
Appena pronunciò quelle parole, Carlo si irrigidì in
sella. Konrad capì subito chi aveva davanti: il suo stesso orgoglio, il suo
stesso alto sento dell’onore. E Carlo, essendo scappato dal campo di battaglia,
era stato ferito proprio su quel punto.
Konrad intimamente esultò: anche da prigioniero
incatenato, riusciva a ferire l’Angioino. Si chiese se il proprio carattere
l’avrebbe portato, da adulto, a diventare come il suo nemico. Se adesso, a
quindici anni, sarebbe saltato al collo di chiunque avesse fatto
quell’affermazione, chissà allora a trent’anni, o più.
Il filo dei suoi pensieri fu intercorro da Carlo, che con
voce tonante, decretò: << Questi prigionieri sono rei di predizione e di
maestà, e verranno rinchiusi a Castel dell’Ovo fino a quando non decideremo una
punizione equa. >> Fissò i suoi occhi scuri in quelli limpidi e azzurri
di Konrad, infondendo in quello sguardo tutta la propria meschinità. << Così
è la vita, ragazzo. >> Disse tra i denti. Konrad sostenne il suo sguardo
finché non voltò il cavallo e uscì dalla piazza al galoppo, poi un gran numero
di guardie li prelevò, e chiuse in un carro ferrato. << Ora non c’è
proprio più niente da fare. >> Sospirò Federico, e non disse praticamente
più nulla.
***
Mese di Settembre
1268 – Castel dell’Ovo, Napoli
Federico e Konrad erano in cella insieme, mentre degli
altri baroni avevano perso la tracce, da quando li avevano sbattuti in quella
squallida cella.
<< Dietro le sbarre come due ladruncoli! >>
Sbottò Federico, dopo aver misurato a lunghi passi e per l’ennesima volta la loro
prigione. << Tu sei Re, e io sono Duca! Non ci possono chiudere qui dentro
a marcire! >> Konrad alzò la testa, perché per la prima volta Federico
sbandierava il suo titolo ad alta voce. Era veramente fuori di sé, così il
ragazzo provò ad infondergli un po’ della sua pacatezza. << Se noi
avessimo catturato l’Angioino, non lo avremmo trattato in modo diverso.
>>
<< Avrei dovuto ucciderlo quando era lì, di fronte
a me! Al diavolo la paura e i sensi di colpa! >> Sbraitò l’altro tornando
finalmente a sedersi accanto a Konrad. << Cosa ti fa stare così calmo?
>> Chiese dopo un po’. << Io sto impazzendo. >>
Konrad lo guardò tristemente. << Ormai non ho più
alcun dubbio sulla nostra sorte. Finiremo giustiziati davanti a tutti. Dobbiamo
solo aspettare che l’assemblea di Carlo decida quando. >>
Federico sbuffò. << Sei molto positivo. >>
<< Scusa se non mi metto a saltare dalla gioia, ma
penso a mia madre. >>
Federico si voltò a guardarlo, con sguardo colpevole.
Sulla ferita al viso di Konrad brillò una lacrima.
<< Lei ci aspetta ansiosa, e prega per noi. Questi
pensieri mi fanno soffrire. Almeno morirò nel giusto. Ha sofferto molto dopo la
mia scomunica, e ora il papa ha acconsentito a rimettermi in grembo alla Chiesa.
>>
Federico fece un sorriso tirato e mesto. << Tutto
quello che si può, per un condannato a morte. >>
***
Ciaooo!!
allora, che ne dite
di questo nuovo capitolo? chiedo scusa se è effettivamente un
po' corto e con poca sostanza, ma purtroppo i capitoli transitori sono
così... spero almeno di non avervi annoiati!
...e la prossima volta ci aspetta il gran finale!
grazie mille a Tracywelsh ed Hivy per le loro recensioni, siete sempre troppo buone!
alle prossima, ciaooo
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Capitolo 10 *** Capitolo X ***
L'ultimo Re - capitolo 10
L'ultimo Re
Capitolo 10
Metà Ottobre 1268
– Napoli, sede della corte di Carlo d’Angiò
Carlo d’Angiò era seduto svogliatamente sul trono, con il
mento appoggiato sul palmo della mano, e ascoltava con finta attenzione i
pareri dell’assemblea.
Aveva dovuto convocare per formalità i rappresentanti di
ogni città del regno, e da quasi un mese ormai il tribunale giudicava i
prigionieri.
Carlo era già deciso sulla loro sorte: dovevano essere
giustiziati. Non poteva permettere al giovane re di crescere ed aumentare la
sua potenza; non doveva tornare a Landshut, dove aveva un consigliere troppo
prezioso: il duca Luigi. Per fortuna dell’Angiò, la città bavarese era troppo
lontana perché la notizia vi giungesse in tempi utili, così non doveva
preoccuparsi di Luigi.
Era stanco di quei continui tira e molla: un giorno
sembravano essere giunti ad una decisione; quello dopo qualcuno si opponeva
proponendo come condanna la reclusione per alcuni anni.
Così, Carlo si decise: quello era il giorno della
decisione definitiva, l’assemblea doveva presentare un verdetto.
Si alzò in piedi, attirando su di sé gli sguardi di
tutti. << L’assemblea si è riunita abbastanza a lungo. Ognuno di voi,
ora, riferirà la propria decisione in merito. >>
Il silenzio che seguì non durò a lungo, il primo ad
alzarsi fu Alardo di Valery, che in quanto consigliere personale del re,
presenziava all’assemblea. << Io >> Disse con voce scura, guardando
Carlo negli occhi. Con quello sguardo sancirono un patto silenzioso. <<
Li condanno a morte per essersi ribellati al sovrano legittimo ed essersi
alleati con i saraceni. >>
Carlo fece alzare qualcun altro, me capì dal suo sguardo
che non aveva intenzione di seguire l’idea di Valery. Personalmente, non si
poteva imporre su di un’assemblea formale, quindi doveva persuadere i nobili per una condanna a morte. << Fin dove si
estendono le vostre terre, Conte? >> Chiese all’uomo che si era alzato. Sapeva
benissimo chi fosse, stava solo mettendo in atto il suo piano.
<< Fino al mare, signore. >> Rispose
titubante l’altro.
Carlo sorrise soddisfatto. << Volevo giusto
costruire una dimora estiva. >> Mormorò, poggiando la mano sull’elsa
della spada.
Il conte rimase sconcertato a fissare il tiranno.
<< Io li condanno a morte. >> Disse, con gli occhi bassi.
<< Forse il prossimo anno per il castello, che ne
dite? >> Chiese l’angioino sorridendo sornione.
Si stava alzando un altro barone, deciso a non condannare
a morte i prigionieri, quando Carlo lo bloccò. << Penso che due voti per
la condanna a morte siano sufficienti. La legge vince sempre, no? >>
Domandò alla sua zittita assemblea, poi si voltò a uscì dalla stanza. La decisione
era presa.
***
28 Ottobre 1268 –
Campo Moricino, Napoli
Gli operai erano alla prese con l’estenuante lavoro di svuotare
il Campo Moricino dal mercato, e costruirci un patibolo. Nella grande piazza c’erano
numerose bancarelle, e per far smuovere i venditori ci misero tutta la loro
forza di volontà, e pazienza.
Infine, la piazza era vuota, e sullo straordinario
paesaggio del golfo, spiccava il patibolo da poco eretto. Un palco di forma
quadrata alto quasi come un uomo, al sui centro avevano sistemato un ceppo,
reso lucido dalle lunghe esecuzioni. Da lassù, il prigioniero poteva vedere
tuta la bellezza del paesaggio, sentire la delicata brezza del mare
accarezzargli il volto. La bellezza della natura, e la crudeltà dell’uomo erano
unite in un insensato ossimoro. Una sadica idea di Carlo.
***
Stesso periodo –
Nelle prigioni di Castel dell’Ovo
Il rumore di passi proveniva dal corridoio delle
prigioni. Konrad alzò subito la testa dalla scacchiera che aveva davanti. Vi
stava giocando con Federico, anche se gli scacchi non erano un gioco che gli
piaceva molto: troppo ragionamento; ma
era tutto ciò che gli avevano permesso.
La finestrella posta sulla porta della cella si aprì,
mostrando il volto ghignante di Carlo d’Angiò.
Konrad si alzò in piedi e si mise in mezzo alla stanza,
spinto ancora una volta dall’orgoglio. << Non dovevate disturbarvi a
venire quaggiù. >> Disse, beffardo.
Carlo però non scherzava. << L’assemblea ha emesso
un verdetto. >> Spiegò. << E domani verrete decapitati. Tutti quanti.
>>
Konrad cercò di rimanere impassibile, e per un attimo Carlo
credette non avesse capito. << E’ tutto? >> Chiese dopo un po’ il
ragazzo, restando immobile.
Carlo allora sferrò un’altra delle sue frecciatine.
<< Tra poco passerà un prete per la confessione, e … >> Fece una
smorfia. << Di solito passa anche un barbiere, ma non ne hai bisogno!
>> Scoppiò a ridere e lasciò le prigioni, mentre Konrad tornava mesto al
suo posto.
<< Cosa ne pensi, Federico? >> Chiese, con
voce atona.
Federico non era triste, o spaventato dalla condanna, era
semplicemente infuriato. << Penso che è sbagliato, perché siamo
prigionieri di guerra … >> Intanto che parlava, Konrad tornò a guardare
la scacchiera. Prese in mano un alfiere di legno scuro, e lo soppesò
leggermente.
<< E non possiamo essere uccisi. L’intera assemblea
non può aver votato per la nostra condanna … Carlo li ha corrotti ancora una
volta … >> Guardò l’amico, cercando di capire cosa pensasse, ma non ci
riuscì. << E tu cosa pensi? >>
Konrad strinse l’alfiere nel pugno, e serrò gli occhi,
per non piangere. Lentamente riappoggiò il nero alfiere sulla scacchiera, ma Federico
non ci badava.
<< Credo che Carlo abbia appena fatto scacco matto.
>>
Il ragazzo lo osservò alzarsi e mettersi a scrivere
qualcosa su uno dei pochi fogli che gli avevano concesso. Il suo sguardo allora
cadde sulla scacchiera. L’alfiere era in centro, e svettava sulla pedina del re
bianco, buttato di lato.
***
29 Ottobre 1268 –
Campo Moricino, Napoli
La piazza era gremita da un’enorme folla, giunta anche da
fuori città per vedere l’esecuzione.
Carlo d’Angiò era seduto in alto su una torre che dava
sulla piazza, con tutta la corte al seguito, pronto a godersi lo spettacolo. Coma
aveva previsto, il paesaggio era bello da mozzare il fiato: a sinistra la nera
montagna del Vesuvio, e a destra lo spettacolo degli scogli dell’isola di
Capri, dove il mare si scontrava violentemente, come se fosse contrario al’esecuzione
di innocenti.
Quando giunsero i condannati, la folla si zittì all’istante.
Sembrava che anche il fragore delle onde si fosse fatto silenzioso. Konrad precedeva
i compagni, con passo fermo e sicuro. Il suo orgoglio lo spingeva ad andare
avanti, fin sotto la torre dove lo guardava beffardo l’Angioino.
Lo guardava come mai aveva guardato nessuno, provando
emozioni che mai aveva provato. Nemmeno quando combatteva a Landshut, e nemmeno
durante la battaglia. Lo voleva uccidere. Voleva vedere la sua testa rotolare
insanguinata sul patibolo, la testa di un colpevole.
Carlo sicuramente capì da quello sguardo le emozioni del
ragazzo, ma fece solo un cenno con la mano, e i soldati lo portarono sul
patibolo.
Adesso erano solo lui e il boia, a guardare quella folla
silenziosa ai loro piedi. Konrad sentì una ferita aprirsi nel suo cuore, una
ferita terribilmente dolorosa, che per un attimo incrinò la sua espressione
impassibile. Quelli erano i suoi sudditi, e ora assistevano alla sua
esecuzione.
Forse se non fosse partito da Landshut, tutto sarebbe
andato in modo diverso; e il suo pensiero volò subito alla madre, che
probabilmente non poteva sapere cosa stava succedendo al figlio, e continuava
ignara la sue giornate.
Proprio in quel momento, il boia spinse Konrad in
ginocchio, e lui poggiò il capo sul ceppo, costretto a guardare a terra. Il ragazzo
sentì allora crescere dentro la disperazione, e il suo sguardo cercò quello di Federico,
incatenato con gli altri in attesa della propria ora. Lo guardava con sguardo
implorante, come se potesse ancora fare qualcosa. Konrad scosse
impercettibilmente il capo.
La voce del banditore giunse acuta e dolorosa alla sue
orecchie. << Le ultime parole? >>
Konrad guardava ancora Federico, che si muoveva
irrequieto, dall’altra parte della piazza. << Il mio ultimo pensiero è
per mia madre. >> Mormorò con un filo di voce. << Quale dolore le
provocherà la mia morte. >>
Il banditore si fece da parte, e il carnefice alzò fin
sopra la testa la lama lucente dalla scure.
<< Aufidersen, Bruder. >> Sillabarono le sue
labbra per l’ultima volta, guardando Federico dritto negli occhi. Il ragazzo si
dimenava e scalciava, per riuscire a liberarsi, ma ormai era inutile. La scure
era già calata.
Fine
...Siamo ai titoli di coda... che tristezza...
Non so bene come fare
a scrivere i "saluti finali", perchè è la prima volta che
mi capita. però è strano mettere la parola "fine"...
suona così tragico. bhè, in un certo senso è
così, la storia è finita. a qualcuno di voi sarà
piaciuto il finale (Hivy, sicuramente), e ad altre no, ma è
così che è successo, e non me la sentivo di stravolgere
completamente un evento.
sono curiosissima di
sapere cosa ne pensate, e in generale, spero che la storia vi abbia
(anche se per poco) fatto passare dei bei minuti attaccati allo schermo.
come al solito grazie
mille alle mie assidue recensitrici: Hivy, Shenim e Tracywelsh. grazie,
grazie grazie, anche a quelli che hanno seguito e preferito (si dice?
;) questa storia....
quindi, per l'ultima volta in questa storia...
Ciaoo
La vostra,
Archer
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