Amore e Maledizioni

di valecullen_thedevil93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° CAPITOLO: “ULTIMO GIORNO” ***
Capitolo 2: *** 2° CAPITOLO: "DIPLOMA" ***
Capitolo 3: *** 3° CAPITOLO: “DECISIONE DIFFICILE” ***
Capitolo 4: *** 4° CAPITOLO: “INSIEME PER L’ULTIMA VOLTA” ***
Capitolo 5: *** 5° CAPITOLO: "LA FUGA E LA LONTANANZA" ***
Capitolo 6: *** 6° CAPITOLO: "CAMBIAMENTI E NOVITA' (prima parte)" ***
Capitolo 7: *** 6° CAPITOLO: "CAMBIAMENTI E NOVITA' (seconda parte)" ***
Capitolo 8: *** 6° CAPITOLO: "CAMBIAMENTI E NOVITA' (ultima parte)" ***



Capitolo 1
*** 1° CAPITOLO: “ULTIMO GIORNO” ***


AMORE E MALEDIZIONI

1° CAPITOLO: “ULTIMO GIORNO”

POV RAF

Erano tutti in fibrillazione, l’atmosfera che si respirava nella scuola era di eccitazione mista a paura. E questo perché il momento che tutti stavamo aspettando era giunto: lo stage era finito e presto avremmo saputo chi avrebbe conquistato la sua aureola radiante e sarebbe diventato un guardian Angel a tutti gli effetti. Per i Devil valeva la stessa cosa, anche per loro era arrivato il momento di sapere chi sarebbe diventato un guardian Devil a tutti gli effetti, conquistando le tanto sospirate corna brucianti.

In occasione della vicina festa di diploma, durante la quale a tutti gli stagisti diplomati sarebbe stato conferito ufficialmente il ruolo di guardian, tutti i nostri doveri erano stati temporaneamente sospesi, inclusi i nostri obblighi verso i terreni. Il professor Arkhan ci aveva detto di prenderla come una vacanza, visto che avevamo lavorato sui nostri terreni senza mai fermarci dall’inizio dello stage.

Quindi quel giorno eravamo libere. Ma, nonostante questo, non avevo voglia di stare in compagnia, tutto il contrario. Subito dopo il discorso del prof ero tornata immediatamente in sognatorio, presa da una strana mescolanza di inquietudine e dolore. Ero alla fine dello stage e i miei voti erano ottimi, perciò con tutta probabilità sarei stata promossa, e anche le mie amiche avevano voti eccellenti, quindi sarebbero state promosse anche loro; eppure, nonostante stessi per coronare il mio sogno di diventare guardian Angel e avessi tutte le motivazioni per essere felice, il mio cuore era stretto in una morsa di agonia che, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a rimuovere. Stesa sul mio letto a pensare, cercavo di capire il motivo che scatenasse la mia agonia, anche se in realtà lo conoscevo e mi sforzavo con tutte le mie forze di non ammettere che fosse proprio quello che mi faceva star male.

Quando però, dopo l’ennesimo tentativo di rilassamento, il suo volto apparve di nuovo nella mia testa, mi arresi e lo fissai; il volto della persona che più amavo al mondo e che mi faceva vivere contemporaneamente il più bello dei sogni e il peggiore degli incubi per le emozioni che mi scatenava dentro: Sulfus.

Era inutile girarci intorno, era arrivato il momento che lo ammettessi, almeno a me stessa; ero così triste perché ora che lo stage era finito, io e Sulfus saremmo stati divisi per sempre. Io sarei tornata ad Angie town e lui a Zolfanello city. Due mondi diversi, due razze diverse, due popoli diversi, così lontani l’uno dall’altro. Eppure, nonostante tutto, nonostante tutte le diversità, le divergenze e i problemi, io e Sulfus non avevamo potuto impedire che in noi nascesse un sentimento completamente diverso da quello che ci si aspetterebbe ci fosse fra Angel e Devil. Un sentimento che, per la sua potenza, ci aveva portati una volta sull’orlo del baratro e che, da allora, avevo cercato con tutte le mie forze di reprimere: l’amore.

Fissai il suo volto nella mia mente, cercando di memorizzarne ogni particolare: il colorito pallido, i lineamenti così definiti che lo rendevamo terribilmente affascinante, i capelli corvini dai riflessi bluastri che tanto amavo sentire fra le dita, le labbra carnose e rosso sangue che mi attiravano sempre con la forza di una calamita e gli occhi, i suoi occhi grandi color ambra, così intensi che sembravano d’oro fuso; tutte le volte che li guardavo finivo col perdere il filo del discorso perché mi ci perdevo. Volevo fissarmi il suo volto nella mente, scolpirmelo nella memoria per quando non l’avrei più rivisto.

Poi mi ritornò in mente il ricordo di quel bacio, quell’unico bacio proibito che ci aveva portato sull’orlo della catastrofe ma che mi aveva regalato emozioni indescrivibili. Mi sembrava ancora adesso di risentire le sue labbra sulle mie, un tocco bollente che le infuocava, che mi faceva venire voglia di averne ancora. Dopo il sacrilegio però, mi ero sforzata con tutta me stessa di dimenticare Sulfus, di togliermelo dalla mente. L’avevo evitato in tutti i modi possibili, gli avevo a malapena parlato, ma spesso, senza farmi notare, lo fissavo da lontano, inebriandomi di quella figura che era la mia vita. E adesso saremmo stati separati per sempre, senza possibilità di rivederci e, quel che è peggio, senza aver chiarito i nostri sentimenti. Sarei rimasta sempre nel dubbio di ciò che lui provava per me dopo quello che era successo, non avrei mai saputo se mi amava ancora oppure se mi odiava per quello che gli avevo fatto.

Il pensiero scatenò dentro di me un’ondata di dolore insopportabile; se immaginavo la mia vita senza Sulfus vedevo solo un tunnel nero, lungo e vuoto, impossibile da eliminare, impossibile da ignorare.

Mi rannicchiai su un fianco, il viso rivolto verso la finestra, e cominciai a piangere, ripensando a tutto quello che avevamo vissuto e a tutto quello che non avremmo mai avuto.

Non so per quanto tempo rimasi li  a singhiozzare, ma ad un certo punto, sentii la porta della camera aprirsi. Mi sforzai di regolarizzare il respiro e di fermare le lacrime; mi rannicchiai in modo che sembrava che stessi riposando.

«Raf», mi chiamò qualcuno. Riconobbi la voce di Uriè. «ecco dove eri finita. Comunque visto che vogliamo rilassarci pensavamo di andare al centro commerciale a fare un po’ di shopping. Dolce e Miki ci stanno aspettando giù e anche le devil si sono unite a noi». Non mi stupì che ci fossero anche loro, durante la lotta contro Reina, Angel e Devil erano diventati molto uniti. «ti va di venire con noi?», mi chiese poi.

No che non ne avevo voglia. Se c’erano anche i devil allora ci sarebbe stato anche Sulfus con loro e non mi andava certo di vederlo ora. Stavo già male al pensiero che presto ci saremmo separati per sempre e, se lo avessi rivisto adesso, con tutta probabilità non avrei resistito alla tentazione di parlargli. Inoltre sarei stata anche peggio a causa dell’imminente separazione.

Cercai di tenere un tono indifferente mentre rispondevo ad Uriè, «grazie Uriè, ma oggi sono un po’ stanca, credo che rimarrò qui a riposare. scusa». La voce roca rendeva più credibile la recita.

«d’accordo Raf», mi disse con voce dubbiosa Uriè. Non osavo voltarmi per guardarla, avevo ancora la faccia lucida di pianto. Se mi avesse visto in quello stato mi avrebbe fatto delle domande e non doveva venire a scoprire che il mio sentimento per Sulfus non era affatto diminuito come tutti credevano. «allora io vado cerca di riposarti» e uscì dalla stanza. Per fortuna non aveva indagato.

Mi rigirai nel letto e fissai il soffitto. Domani ci sarebbe stata la consegna dei diplomi e la festa, e il giorno dopo ognuno sarebbe tornato a casa. Non volevo rivedere Sulfus, il distacco sarebbe stato ancora più doloroso, ma mi resi conto che avevo bisogno di stare in un luogo che mi ricordasse lui e allo stesso tempo mi permettesse di stare da sola. C’era un solo luogo che corrispondeva a quel requisito.

Mi alzai di scatto dal letto e andai alla finestra. Mi stupii che, a furia di pensare, ormai si era fatto pomeriggio inoltrato. Guardai il sole infuocato, che cominciava la sua lenta discesa verso l’orizzonte, e, con un salto deciso, volai fuori dalla finestra.

 

POV SULFUS

«allora vieni o no?» mi urlò per l’ennesima volta Kabalè nelle orecchie. Le volevo bene ma a volte era talmente impicciona e egoista che avrei voluto ucciderla. E la voce acuta con cui parlava di solito non la aiutava di certo.

Sbuffai sonoramente e mi rigirai nel letto, guardandola in cagnesco. «me l’hai chiesto prima e io ti ho risposto, ma visto che sei terribilmente dura di comprendonio te lo ripeterò molto lentamente, per fare in modo che anche una ritardata come te lo capisca. “non-ne-ho-mezza-voglia-chiaro?!” e ora lasciami in pace». Detto questo mi girai bruscamente dall’altra parte. Ero proprio di umore nero, e sfogare la mia rabbia e la mia frustrazione sugli amici era un ottimo modo per scaricarmi i nervi.

«oh insomma, ma che hai?», mi chiese Kabalè con voce scocciata, «sei talmente intrattabile che sembri strano perfino per un devil! Non esci mai, non sorridi più e non fai più scherzi a nessuno. Ma che diavolo ti succede si può sapere?», mi domando con una voce a metà fra il preoccupato e l’irritato.

«sono semplicemente di umore irritato e, senza offesa, una giornata di shopping non farebbe che peggiorarmi l’umore. E poi di che ti preoccupi scusa? C’è già che Gas che vi fa da facchino, a cosa vi servo io?», le dissi, girandomi per scoccarle un’occhiata sprezzante.

Mi lanciò un’occhiata furente e, di scatto, si voltò  e uscì dalla porta. Era talmente arrabbiata che potevo quasi vedere il fumo uscirle dalle orecchie.

Per un attimo mi sentii un po’ in colpa. Non avevo il diritto di trattarla così, in fondo aveva cercato di starmi vicina il più possibile in questi mesi. Poi però mi ricordai come lei e gli altri avevano fatto di tutto per separare me e Raf e il mio senso di colpa morì rapido com’era nato. Avevo tutto il diritto di trattarla così, eccome se ce l’avevo! Dopo tutto quello che non solo lei ma tutti ci avevano fatto passare, trattarla così mi sembrava il minimo.

Ecco c’eravamo di nuovo maledizione! Benchè mi imponessi con tutte le forze di non pensare mai a Raf, alla fine i pensieri che facevo in un modo o nell’altro, mi riconducevano sempre a lei. Era una cosa incredibile. Sembrava che qualunque cosa facessi o pensassi fosse sempre per lei.

Basta, basta. Dovevo togliermela dalla testa, presto saremmo partiti e non l’avrei mai più incontrata e non dovevo assolutamente permettere che una parte di me restasse con lei. Ma non ci riuscii. Il pensiero che presto ci saremmo separati aveva reso ancora più profondo il dolore che ormai da tempo mi attanagliava il cuore.

Era inutile. Per quanto mi sforzassi, non sarei mai riuscito a dimenticarla. Dopo tutto quello che avevamo passato, era impossibile per me farla andare via dal mio cuore in quattro e quattr’otto, la volevo troppo per farla andare via da me.

Mi presi il viso fra le mani. Forse per la prima volta mi resi davvero conto che presto l’avrei persa per sempre. O meglio l’avrei persa più di quanto non fosse già successo; dopo il nostro sacrilegio, Raf mi aveva evitato come la peste. All’inizio c’ero stato veramente male, ma poi avevo cercato di ignorarla, ne più ne meno di quello che faceva lei con me.

Ma mi sembrava assurdo che, dopo tutto quello che avevamo passato insieme, dopo tutto quello che avevamo condiviso, Raf mi avesse dimenticato così, come se non fossi mai esistito. Eppure ogni tanto mi sentivo i suoi occhi addosso, che seguivano ogni mio movimento, quasi non riuscissero a separarsi da me. Ma perché faceva così, era davvero così indifferente come sembrava? Oppure era stata tutta una montatura e mi aveva allontanato solo perché si sentiva in colpa per il nostro sacrilegio e non voleva causare altri problemi?

Il nostro sacrilegio… il nostro bacio… il ricordo mi ritornò vivido in mente, come se lo stessi rivivendo in quel preciso istante; le nostre labbra unite in un magico intreccio, le sue mani fra i miei capelli e le miei sui suoi fianchi, i nostri respiri spezzati e agitati che si mescolavano in un’unica, bellissima melodia. Il ricordo mi infuocò a tal punto che dovetti trattenermi dal correre al sognatorio per cercarla. Infatti, nonostante tutto, continuavo a credere che ci fosse un futuro per noi, che avremmo potuto, certo non senza delle difficoltà, vivere insieme e felici.

Sospirai. Nessuna quantità di speranza avrebbe aiutato. Perciò mi sedetti e mi allungai verso il comodino di fianco al letto. Aprii il cassetto, tirai fuori tutto quello che c’era dentro, sparpagliandolo sul letto, e alzai il doppio fondo, uno scomparto segreto che avevo creato per custodire una cosa molto importante.

Tirai fuori una scatola nera e l’aprii: protetto dal satin nero, un pendente d’oro a forma di cuore lanciava pallidi bagliori nella luce soffusa della stanza. Aprii il ciondolo, era una di quelle collane portafoto che aiutavano una persona a ricordarsi di un’altra persona, a portarla sempre con se nel suo cuore. Nello scomparto di destra avevo inserito una foto mia e di Raf, nella parte sinistra invece campeggiava la scritta “yours ever” che significava “tuo per sempre”. L’avevo preso per Raf, glielo volevo dare come simbolo del sentimento che ci legava, ma dopo quello che era successo, soprattutto per come Raf mi aveva trattato negli ultimi mesi, non avevo mai avuto il coraggio di darglielo.

Sospirai e mi misi il ciondolo in tasca. Quanto avrei voluto che, ora che stavamo per separarci, qualcosa di me le restasse vicino. Quanto avrei voluto passare con lei la mia ultima giornata sulla terra. Un’idea mi balenò improvvisa in testa. Forse non sarei potuto stare con lei ma sarei potuto andare in un luogo che me la ricordasse.

Mi alzai di scatto e mi diressi alla finestra. Con un balzo deciso uscii e volai rapido verso i raggi dorati e rossi del tramonto. Sapevo con esattezza dove andare.

 

RAF POV

Stavo volando verso il limite della città, verso i raggi del sole. C’era solo un posto impregnato davvero della sua essenza. Era diventato il nostro posto dopo che lì ci eravamo quasi dati il nostro primo bacio.

Era accaduto molti mesi fa, all’inizio dello stage. I nostri professori ci avevano sottoposto alla prova “vita da terreni”. Durante quella prova ce ne erano accadute di tutti i colori, da hot dog avariati a go kart fuori controllo. Ed era stato proprio per colpa di quei go kart che io e Sulfus ci eravamo ritrovati da soli su una spiaggia al tramonto, incapaci di fermare i nostri sentimenti. E proprio quando eravamo ad un passo dalla strapiombo erano arrivati cox e basilisco a fermarci. Una parte di me ne era contenta, anche se poi il sacrilegio si era compiuto comunque, mentre l’altra parte, più grande e rumorosa della precedente, protestava a gran voce per quell’intrusione indesiderata.

Sospirai e scossi la testa, nel tentativo di schiarirmi le idee, tanto il passato non si poteva cambiare.

Guardai il cielo. Il sole ormai non era tanto lontano dall’orizzonte e i suoi raggi dorati cominciavano a colorare le nuvole. Era più tardi di quel che pensassi, dovevo sbrigarmi se volevo tornare a scuola prima del coprifuoco.

«speed fly» urlai e mi lanciai in volo ancora più velocemente.

Ci misi poco più di due minuti a quella velocità per arrivare. La spiaggia si stagliò davanti a me, bella esattamente come la ricordavo. Posai i piedi sulla sabbia e mi avvicinai al bagnasciuga. L’aria era calma e tranquilla e il sole aveva cominciato a immergersi nelle onde del mare, colorando di rosso e arancio le nuvole che solcavano il cielo. Era uno spettacolo che mozzava il fiato. Per un momento, sentendo la serenità che spirava da quel luogo, mi sentii in pace con me stessa. Ma fu solo un attimo.

Sospirai mentre i ricordi tornavano ad avvolgermi, tutti i ricordi incentrati su me e Sulfus, dalla nostra prima sfida, quando avevamo violato il VETO per la prima volta, al nostro bacio e a tutti gli scontri contro Reina, che ci avevano unito ancora di più. Sentii le lacrime scivolare sul mio viso e me lo presi fra le mani. Non riuscivo a sopportare di separarmi da lui.

All’improvviso due braccia forti mi avvolsero e mi strinsero contro qualcuno. Il suo profumo invase le mie narici, facendomi andare il cuore a mille e mandandomi in iperventilazione. Ma non osavo voltarmi. Sentivo il suo respiro caldo sul mio collo.

«non piangere Raf», mi disse lui con voce bassa e dolce.

Mi voltai e lo abbracciai a mia volta, seppellendo il viso nel suo petto. Lui invece, premette il suo viso sui miei capelli. «Sulfus», sussurrai, e lui strinse ancora di più la presa.

Alzai il viso e lo guardai negli occhi. Per la prima volta da mesi, mi sentii di nuovo completa, integra, come se le settimane di dolore appena passate fossero state solo un brutto sogno. Sentii il miracolo delle sue braccia calde e dei suoi occhi fissi nei miei e, finalmente, mi sentii a casa.

«come mai sei qui?», gli chiesi con voce che tremava dall’emozione.

Lui mi sorrise dolce e mi accarezzò piano una guancia. «direi lo stesso motivo per cui sei qui anche tu no?». Ah la sua voce, i suoi occhi, il suo profumo… mi sembrava di vivere un sogno, era così tanto tempo che non mi concedevo il lusso di stare un po’ con lui che adesso mi sembrava di galleggiare su una nuvoletta rosa. No, ritorna con i piedi per terra Raf, urlò il mio lato pratico e razionale; ricordati che da domani sarete separati per sempre, e poi non credo che ti voglia parlare dopo come l’hai trattato. Questo pensiero mi provocò una fitta di dolore al cuore. Era vero, il modo in cui l’avevo trattato era orribile, anche se l’avevo fatto solo per  proteggere me stessa, nonché tutti noi.

Ma ora era li con me. Gliela dovevo una spiegazione, soprattutto volevo sapere se qualcosa era cambiato. Sicuramente sì, mi disse il mio lato realista, ora deve per forza odiarti. Il dolore si fece ancora più acuto.

Mi staccai bruscamente da lui e mi voltai verso il mare, dandogli le spalle, mentre le lacrime mi scendevano di nuovo sul viso. Non potevo sopportare di vedere nel suo sguardo il disprezzo che sicuramente vi avrei letto.

«Sulfus», gli chiesi con voce tremante; anche se mi faceva paura sapere, dovevo andare avanti, «tu mi odi per quello che ti ho fatto? Capirò se mi risponderai di sì».

Il suo respiro inchiodò e poi riprese più veloce di prima. Esitò prima di rispondere e io sentii il mio cuore sprofondare. Era chiaro, ormai l’avevo perso, per colpa delle mie stupide paure  e della mia arroganza l’avevo perso.

Lui fece per dire qualcosa ma io lo bloccai. «il tuo silenzio vale più di mille parole». Detto questo stavo già per prendere il volo, ma la sua mano si chiuse sul mio polso, costringendomi a voltarmi verso di lui. In un lampo mi ritrovai fra le sue braccia, i suoi occhi erano ardenti come fuoco, a pochi centimetri dai miei; erano talmente intensi da darmi le vertigini.

«odiarti?», mi chiese lui con un sussurro roco, in un misto di sorpresa, rabbia ma soprattutto desiderio, «Raf io non potrei odiarti neanche se volessi. So perché mi hai tenuto lontano da te, so perché non mi hai più permesso di starti vicino e capisco perché l’hai fatto. Anch’io ho paura di quello che potrebbe succedere, ma non ho intenzione di fermarmi solo perché qualcuno dice che è sbagliato».

Lo guardai stupefatta, non l’avevo mai sentito parlare così, con così tanta determinazione e dolcezza. Mi persi nei suoi occhi e lui nei miei e poi pronunciò le ultime parole che mi sarei mai aspettata di sentire da lui. «Raf io ti amo, e ti amerò per sempre, succeda quel che succeda».

Mi lasciò senza fiato, più che per le parole, già di per se stupefacenti, per il tono di voce con cui le aveva pronunciate; una voce carica di affetto, tenerezza ma soprattutto amore.

Non avevo bisogno di altre prove del suo amore verso di me, le avevo avute già tutte dal suo sguardo. Gli saltai praticamente addosso, seppellendo il viso nel suo petto, e scoppiando in lacrime di felicità.

Lui sotto di me scoppio a ridere e, felici come non mai, cominciammo a rotolarci nella sabbia. Poi lui mi porse la mano e ci rialzammo. Posai lo sguardo su di lui e ricordai cosa la mia mente, per la felicità del momento aveva rimosso; il momento, ormai vicino, della nostra separazione. Lo guardai straziata. Anche se ora eravamo insieme, domani non lo saremmo stati più, non serviva a niente parlarne ora, ci avrebbe solo fatto stare peggio dopo.

«che succede Raf?», mi domando Sulfus abbracciandomi, notando la mia espressione di dolore.

Nascosi il viso nel suo petto. «Sulfus forse ora siamo insieme ma domani saremo divisi per sempre. Cosa faremo quando arriverà il momento di separarci? Non possiamo impedirlo e fare così adesso ci farà solo stare peggio dopo».

Lui mi strinse di più a se. «anche se verremo separati, troveremo il modo per stare insieme, per vederci. Ci riusciremo in un modo o nell’altro». Quanto vorrei poterci credere; ma so che non sarà possibile, non voglio farmi illusioni.

Lo guardai negli occhi e annuii. Non volevo rovinare i nostri ultimi attimi insieme, volevo passarli con lui in serenità.

Mi asciugò dolcemente le lacrime dalle guance e mi sorrise dolce. Poi all’improvviso si staccò. Lo guardai male. Non volevo che si allontanasse.

Lui ridacchiò alla mia occhiataccia. «ho una cosa per te. Te lo volevo dare prima ma…». Non finii la frase sembrava imbarazzato, le sue guance erano rosse. Rosse?! Un devil che arrossiva? Per giunta Sulfus?! Il mondo doveva essere vicino all’apocalisse.

Mi si avvicinò e si chinò vicino al mio orecchio. «chiudi gli occhi», mormorò emozionato. Il suo respiro mi provocò dei brividi lungo la schiena ma obbedii.

Lo sentii tirare fuori qualcosa dalla tasca. Andai in iperventilazione. Non sapevo perché ma ero talmente emozionata che mi sembrava di svenire. Sentii le sue bracciai intorno al mio collo e qualcosa di freddo posarsi sulla mia pelle. trasalii sorpresa e lo sentii ridere silenziosamente. Poi ritirò le mani. «aprili».

Schiusi lentamente gli occhi e li abbassai. Mi portai una mano alla gola. Incontrai qualcosa di freddo, che sollevai per osservare meglio. Quando mi resi conto di che cos’era mi vennero le lacrime agli occhi per la felicità. Fra le mie mani si trovava un pendente d’oro a forma di cuore, che brillava alla luce del sole. Lo aprii e dentro vi trovai una foto di me e Sulfus abbracciati, che ci guardavamo come ipnotizzati. Ricordavo quella foto. Ce l’aveva scattata Uriè poco dopo il nostro sacrilegio. Ero da sola, lo avevo incontrato in corridoio, ma non volevo parlargli, perciò avevo abbassato la testa e avevo aumentato il passo. Ma mi ero tradita da sola; ero inciampata e, ironia della sorte, ero finita proprio addosso a Sulfus, che mi aveva sorretta senza pensarci due volte. I nostri sguardi si erano incrociati e ci eravamo persi l’uno nella sguardo dell’altro. Poi un flash. Uriè ci aveva sorpreso e ci aveva fotografato con la sua digidream. Inutile dire che l’avevamo rincorsa per mezza scuola per farcela dare.

Guardai Sulfus commossa. Era un regalo talmente bello che mi aveva lasciata senza parole. «Sulfus io… non so cosa dire…» balbettai con la voce che mi tremava.

«allora non dire niente», mi sussurrò lui avvicinandosi e abbracciandomi la vita. Io gli circondai il collo con le braccia, in quel momento non mi importava che quel momento fosse sbagliato, che io fossi un angel e lui un devil. 

I nostri volti si avvicinarono e, senza riuscire a trattenerci oltre, ci baciammo; un bacio prima leggero, delicato e poi all’improvviso forte e passionale. Infilai le mani fra i suoi capelli e lo strinsi a me, mentre lui affondava le mani nella pelle dei miei fianchi, facendomi rabbrividire di piacere.

Non so per quanto tempo continuammo. Quando ci staccammo, ci guardammo negli occhi. Non ci restava più nulla da dire. Poi ci voltammo, rimanendo abbracciati, verso il tramonto, facendoci cullare da quel dolce suono che era il nostro amore.

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Capitolo 2
*** 2° CAPITOLO: "DIPLOMA" ***


RAGAZZE SN LA VALE!!! ECCOMI CN 1 NUOVO CAPITOLO TUTTO X VOI!!! GRAZIE RAGAZZE, SN COMMOSSA DALLE VOSTRE RECENSIONI MI STATE DANDO LA CARICA X CONTINUARE A SCRIVERE... HO UN PO' DI CAPITOLI PRONTI, QUINDI AGGIORNERO' PIUTTOSTO IN FRETTA LE PRIME VOLTE, DP RALLENTERO' I RITMI XKE' DOVRO' CONTINUARE A SCRIVERLI... QUESTO CAPITOLO INTRODURRA' UNA SCENA MOLTO IMPORTANTE, CHE AVRA' CONTINUAZIONE ANCHE NEL PROSSIMO CAPITOLO... CAPIRETE SUBITO QUALE XD LE RISPOSTE ALLE VOSTRE RECENSIONI LE TROVERETE SOTTO AL CAPITOLO... BUONA LETTURA!!! AH IN UN PUNTO POTREBBE VENIRVI UN COCCOLONE MA NON PROCCUPATEVI, ANDRA' TUTTO BENE!!! XD *ME PERFIDA NON DICE ALTRO E SI DILEGUA*

2° CAPITOLO: “DIPLOMA”

POV RAF

Mi svegliai sentendo un calore scivolare sul mio viso. Aprii lentamente gli occhi mugolando qualcosa di incomprensibile, osservando i raggi del sole nascente rischiarare il cielo di rosa. Era stata proprio la luce a svegliarmi.

 Due braccia forti mi avvolgevano e la mia testa era posata sul petto di qualcuno. Non mi ricordavo esattamente cosa fosse successo il giorno prima, la mia mente ancora offuscata dal sonno non ne voleva sapere di riprendersi. Poi inspirai; il suo profumo mi arrivò forte e mi riportò all’improvviso alla mente cosa era successo la sera prima.

Io e Sulfus non eravamo rientrati, avevamo dormito li sulla sabbia,più morbida di un letto di piume, abbracciati l’una all’altro. Volevamo trascorrere la nostra ultima sera insieme.

Provai ad alzarmi per sgranchirmi le gambe, ma lui non me lo permise. Appena provai a muovermi, lui strinse inconsciamente la presa su di me. Quel gesto mi fece enormemente piacere; significava che, anche nel sonno, lui mi cercava, voleva la mia presenza.

Allora incrociai le braccia sul suo petto, vi appoggiai sopra il mento e lo fissai; i suoi pallidi occhi chiusi, i capelli pieni di sabbia (sorrisi fra me e me, ci sarebbe voluta un’eternità per toglierci tutta la sabbia dai capelli), il suo viso rilassato nell’incoscienza, le sue labbra carnose leggermente dischiuse. Mi soffermai su di esse, sentendo il desiderio dilagare in me. La tentazione era forte, molto forte e alla fine cedetti: avvicinai lentamente le mie labbra alle sue e lo baciai delicatamente. Lui gemette nel sonno, come se mi avesse riconosciuto, e strinse la presa su di me ancora di più. Poi mi staccai e, con mio sommo imbarazzo, mi accorsi che Sulfus aveva gli occhi aperti.

Arrossii fino alla radice dei capelli. «Sulfus!» esclamai, cercando di mascherare il mio imbarazzo, «eri sveglio! Non si fanno queste cose, non è per niente carino», sbottai, distogliendo lo sguardo dal suo viso, perfidamente divertito.

Era il colmo. Cercai di alzarmi, scocciata, ma lui non me lo permise e, con un rapido movimento invertì le nostre posizioni, ma senza mollare la presa su di me.

«e perché?», mi chiese, «ricordati che io sono un devil, faccio quello che voglio. E poi avresti dovuto vedere la tua faccia… impagabile!», sghignazzò.

Sbuffai irritata e cercai di cavarmelo di dosso, senza successo. Era molto più forte di me. Poi però mi si avvicinò, gli occhi infuocati. Il mio infantile attacco di irritazione sparì all’istante, mentre andavo in iperventilazione.

«e poi scusa perché hai smesso? Era molto piacevole», mi disse, guardandomi avidamente.

Ridacchiai.«molto piacevole eh?», dissi con voce seducente, gliela volevo un po’ far pagare per lo scherzetto di prima. «uhm e se io non volessi accontentarti?», gli domandai con un sorriso malizioso e un movimento del capo che speravo fosse accattivante.

Alla mia affermazione gelò. Evidentemente si era pentito di avermi fatto quello scherzetto; non volevo fargli vedere che in realtà anche io stavo morendo dalla voglia di baciarlo, gli avrei dato troppa soddisfazione.

Impaurito dalla mia reazione avvicinò ancora di più il suo viso al mio, tanto che ormai pochi millimetri separavano le sue labbra dalle mie. Ormai la voglia di baciarlo si era fatta irrefrenabile, ma dovevo trattenermi, avevo quasi raggiunto il mio scopo.

«e cosa potrei fare per farti cambiare idea?», mi chiese lui con voce supplichevole. Adoravo quando si comportava così, era un piacere vederlo prostrato ai miei per ottenere qualcosa. Ma decisi che il mio gioco era durato abbastanza. Dopotutto nemmeno io riuscivo più a trattenermi.

«così» dissi decisa. Lo presi per il bavero e lo attirai a me, baciandolo con forza. Lui non si fece certo pregare e rispose al mio bacio con tutto il desiderio che aveva in corpo. Ci rotolammo avvinghiati nella sabbia, protraendo il bacio per un tempo infinito.

Quando ci staccammo avevamo entrambi le guance rosse e le labbra gonfie. Lui ridacchiò e mi guardò teneramente ma con una punta di sarcasmo.

«immagino di essermelo meritato. Sai ho avuto davvero paura che non volessi più baciarmi», mi disse con un tono di rimprovero.

«te lo sei meritato, non si fanno quelle cose, non è ne carino ne corretto», gli dissi ridendo, accarezzandogli teneramente una guancia.

Lui mi fissò dolcemente negli occhi. Rimanemmo per un po’ in quella posizione, abbracciati, a guardarci negli occhi.

Poi mi ricordai un piccolo particolare, anche se non era proprio piccolo. Mentre me ne rendevo conto andai nel panico.

«Sulfus!», gridai in preda all’agitazione, «siamo rimasti fuori tutta la notte, se ci scoprono sono guai! Dobbiamo tornare subito a scuola se non vogliamo farci beccare».

Al mio discorso lui sgranò gli occhi, rendendosi conto della situazione. Ma fu solo un attimo, poi la sua espressione fu di nuovo determinata come prima. «andiamo subito allora. È appena l’alba, se ci sbrighiamo riusciremo a ritornare in tempo per la sveglia mattutina».

«quel che mi preoccupa è se gli altri si sono accorti della nostra assenza e lo hanno detto ai professori». Non potei non esprimere quel timore; i nostri amici non avevano mai fatto mistero della loro disapprovazione per la nostra storia e se sia angel che devil avevano detto ai professori che non c’eravamo, avrebbero fatto in fretta a fare due più due, intuendo che eravamo insieme.

«credi che ci detestino così tanto da tradirci?», mi chiese con una punta di dolore nella voce.

«non lo so… lo sai non hanno mai fatto mistero della loro disapprovazione», gli dissi con sincerità.

«spero proprio che ti sbagli», mi disse rialzandosi e tendendomi la mano per aiutarmi, che io accettai di buon grado.

Una volta in piedi lo fissai. Il suo sguardo era di nuovo dolce. Mi tese la mano e io intrecciai le sue dita alle mie. «andiamo su. Dobbiamo tornare».

Io annuii, persa nei suoi occhi d’ambra, e, mano nella mano, ci avviammo volando verso la scuola. 

 

SULFUS POV

Ero preoccupato, come lo era Raf del resto. Stavamo viaggiando alla massima velocità consentita dalle nostre ali per tornare a scuola in tempo per la sveglia, dopotutto era il giorno del diploma, ma le parole di Raf continuavano a vorticarmi nel cervello… davvero i nostri amici ci avrebbero tradito e avrebbero detto ai professori che non c’eravamo? Speravo proprio di no perché altrimenti non ci avrebbero pensato due volte a dividerci una volta per tutte, cosa molto facilitata dal fatto che dovevamo tornare ognuno nella sua città.

Guardai Raf: non avrei sopportato di essere separato da lei, non dopo quello che ci eravamo detti la sera scorsa alla nostra spiaggia. Il ricordo mi rapì con ferocia, mentre ricordavo gli abbracci e i baci infuocati che ci eravamo scambiati, presi dal desiderio troppo a lungo represso. Ricordai le sue  labbra sulle mie, il suo profumo di fiori che, anziché disgustarmi, mi inebriava la mente, i suoi lunghi capelli biondi che lambivano le mie braccia strette alla sua vita insieme alla sensazione della pelle dei suoi fianchi sotto i miei palmi. Era impossibile dimenticare cosa avevo provato in quei momenti, a come mi ero emozionato risvegliandomi con il suo corpo tra le mie braccia.

«Sulfus tutto bene?». La voce di Raf mi riportò con i piedi, be con le ali, per terra.

Io scossi la testa e sorrisi imbarazzato, quando mi resi conto che ero rimasto a fissarla imbambolato come un deficiente. «si Raf. Stavo solo guardando quanto eri bella», le dissi sorridendole dolcemente. Diamine mi ero proprio rammollito! Chissà che avrebbero detto gli altri sentendomi parlare così. Ma sinceramente non mi importava, non se significava avere Raf con me per sempre.

Lei arrossì e abbassò lo sguardo, visibilmente imbarazzata ma strinse molto di più la sua mano alla mia. Io ricambiai la stretta.

Non parlammo più finchè non arrivammo alla scuola. Atterrammo con cautela nel giardino, attenti a non farci vedere da nessuno; se i professori sapevano della nostra assenza era meglio non farci vedere mentre rientravamo a scuola. Se ci avessero sorpreso insieme altro che lampi sarebbero venuti fuori.

Cercammo di ripararci dietro i cespugli ma erano troppi piccoli per ripararci, così presi Raf fra le braccia. Non che mi dispiacesse.

«di la verità l’hai fatto apposta», disse lei ridacchiando.

Sogghignai a mia volta. «ovvio no? altrimenti» dissi accattivante, avvicinando il mio viso al suo, «quale altra scusa trovavo per baciarti?».

Senza darle la possibilità di replica, le baciai con forza le labbra, che si erano dischiuse per la sorpresa e la mia arroganza. Lei rispose al mio bacio con una passione  che non credevo esistesse in una angel. Preso dal desiderio la strinsi ancora più forte a me, appoggiando la sua schiena contro l’albero e facendo aderire ancora di più i nostri corpi. In quel momento non ero più io; ero un essere dominato dal fuoco e dal desiderio, che bruciavano alimentati da lei, da Raf, dalle sue labbra sulle mie, dai suoi capelli profumati, dalle sue mani fra i miei capelli. E Raf non faceva niente per tirarsi indietro, era stregata quanto me.

Forse avremmo fatto molto di più, fregandocene del fatto che qualcuno poteva vederci e anche del luogo inadatto, se all’improvviso due persone non si fossero intromesse con insistenza in quello che era uno dei momenti più belli della mia vita.

«ehm ehm», si schiarirono all’unisono due voci dietro di noi.

Noi sobbalzammo e interrompemmo il bacio bruscamente, ma rimanemmo abbracciati mentre ci voltavamo verso la fonte del rumore.

Uriè e Kabalè ci guardavano con espressione indecifrabile mentre noi, consapevoli di essere stati scoperti, precipitavamo nell’angoscia che questo avrebbe comportato: la nostra separazione.

«sentite ragazze non è come sembra…» cercai di dire io a nostra discolpa, anche se sapevo che dopo quello che avevano visto sarebbe stato difficile giustificarci con poche parole.

«e come dovrebbe essere Sulfus?» mi bloccò Kabalè, visibilmente adirata.

«abbiamo visto tutto, non cercate di prenderci per fesse» rincarò la dose Uriè che, benchè fosse una angel, sembrava arrabbiata tanto quanto la devil.

«ma ragazze, lasciateci spiegare…» cercò di intervenire Raf ma senza successo.

«e cosa ci dovreste spiegare? La coronazione di una grande storia d’amore?», dissero le due in coro cambiando improvvisamente espressione e cominciando a ridere.

Io e Raf ci guardammo allibiti; evidentemente non si sentivano tanto bene.

«ahah» ululò Kabalè, «avreste dovuto vedere le vostre facce».

Io e Raf eravamo sempre più confusi, ci scambiavamo lunghi sguardi interrogativi.

«oh andiamo davvero avete pensato che avremmo potuto tradirvi?» domandò Uriè ritornando improvvisamente seria. «quando siamo tornate e non ti abbiamo vista nel letto, abbiamo temuto che ti fosse successo qualcosa, così stavamo andando dal professor Arkhan per informarlo quando abbiamo incontrato Kabalè, Cabiria e Gas. Stavano andando dalla Temptel per lo stesso motivo, dirgli che tu», disse, indicando me, «eri sparito».

A quel punto si fermò e continuò Kabalè. «ci abbiamo messo poco a fare due più due e a capire che eravate insieme. Prima di andare abbiamo parlato tutti e sei insieme e abbiamo deciso di non dire nulla ai professori».

Ci lasciò sbalorditi; perché non avevano detto niente se in passato avevano fatto di tutto per separarci?

Sembrarono leggerci nel pensiero. «abbiamo capito che eravamo noi che stavamo sbagliando», ci disse Uriè con espressione piena di rimorso, «voi siete innamorati e anche se è una cosa strana non meritavate di venire trattati come vi abbiamo trattato noi. Vi avevamo già deluso abbastanza, non meritavate che vi facessimo anche questa», concluse abbassando gli occhi. Anche Kabalè sembrava d’accordo.

Raf si staccò e corse ad abbracciare Uriè. «tu non mi hai mai delusa, amica mia», le disse sorridendo.

Mi avvicinai a Kabalè e le circondai le spalle con un braccio. «ammetto che mi avete fatto passare l’inferno ma vi perdono questa volta». Kabalè sorrise.

Ci staccammo e io e Raf le guardammo. «ma come avete fatto a coprirci mentre eravamo fuori? Sicuramente il prof avrà notato la nostra assenza», disse Raf.

«gran parte del merito va a Kabalè, anche se abbiamo collaborato tutti», ci disse Uriè, mentre Kabalè gongolava visibilmente soddisfatta di se stessa.

«sapevamo che i professori avrebbero controllato le stanze perciò abbiamo messo in atto un piano di depistaggio», continuò Uriè, «mentre io, Kabalè e Gas eravamo nella stanza di Cabiria, Dolce grazie al suo potere ha creato una fantastica aurora boreale nel cielo sopra il giardino. Poi Miki e Cabiria sono corse rispettivamente da Arkhan e dalla Temptel per potarli fuori con la scusa che era successo “qualcosa di incredibile fuori”», sghignazzò Uriè.

«si ma come avete fatto a depistarli? In fondo non possono essere restati tutta la notte fissi a guardare una aurora boreale», dissi io dubbioso.

«infatti adesso arriva il bello», intervenne Kabalè, «intanto nella nostra stanza sono riuscita a combinare i miei poteri. Ho fatto fatica ma sono riuscita a unire il double fly con il metamorphosy fly. Prima ho creato due doppioni di me stessa e poi con il mio potere una l’ho modificata perché somigliasse a te Sulfus, l’altra l’ho modificata perché assomigliasse a Raf. Mi ci è voluto un po’ di tempo ed è stato stancante ma alla fine ne è valsa la pena», sogghignò.

«per questo Dolce ha creato l’aurora boreale», asserì Raf, «per permetterti di avere abbastanza tempo per usare i tuoi poteri».

«esattamente Raf», confermò Uriè, «così mentre i due erano impegnati a guardare un bel giochetto di luci, io e Gas abbiamo portato le vostre copie nelle rispettive stanze, giusto in tempo per l’ispezione della sera», concluse soddisfatta.

«wow Kabalè sei stata grande hai ideato un piano geniale», esclamai io facendole i complimenti.

Ma mi stupì. «si forse io ho usato i poteri per metterlo in atto, ma il piano è stato completamente ideato da Uriè», mi disse voltandosi per sorridere alla angel.

«cosa? Caspita! Allora non siete tutte ali e zucchero come credevo», ghignai non resistendo alla tentazione di prenderla un po’ in giro.

«Sulfus!», mi rimproverò Raf.

«tranquilla Raf stavo scherzando!», ribattei scoppiando a ridere, seguito a breve ruota dagli altri.

«ok però ora dovete tornare», aggiunse preoccupata Kabalè, «non so quanto reggeranno i vostri sosia e comunque tra poco ci sarà la festa del diploma, dobbiamo prepararci».

«d’accordo», dicemmo io e Raf all’unisono con un sospiro. Non mi andava di stare lontano da lei, non ora che presto ci avrebbero divisi per chissà quanto tempo prima che riuscissimo a rivederci.

Perciò, incurante della presenza delle due ragazze, strinsi forte a me Raf e la baciai con passione. Forse non avrei potuto rifarlo prima che ci separassero e volevo approfittare di quegli ultimi momenti.

Raf, dopo un attimo di sorpresa, rispose al bacio con tutta la forza che aveva, avvinghiandosi a me. Sentivo le risatine e i colpi di tosse delle due ragazze, ma sinceramente non me ne importava un fico secco. Che pensassero quello che gli pareva.

«Raf», disse con rimproverò Uriè.

«Sulfus» disse scocciata Kabalè.

Ne io ne lei ci badammo. In quel momento ci importava solo del nostro amore, null’altro contava. Perciò ci lasciammo sfuggire un gridolino di sorpresa quando fummo staccati a forza da quelle due. Le guardammo malissimo. Come si permettevano di interromperci?

«vi devo ricordare un’altra volta che tra poco i professori verranno a controllare le stanze e che con tutta probabilità se voi non ci sarete, le copie non reggeranno?», disse sarcastica Kabalè, che mi teneva stretto per la vita impedendomi di tornare da Raf. Lo stesso valeva per Uriè, per impedirle di tornare da me.

Sbuffai ma avevano ragione; dovevamo andare. Ci rassegnammo entrambi e quando capirono che non ci saremmo avvinghiati di nuovo, ci lasciarono liberi. Cavoli, però, Kabalè ne aveva di forza!

Mi avvicinai a Raf. Le presi il viso tra le mani e la baciai dolcemente, mentre lei altrettanto dolcemente rispondeva al mio bacio.

Ci staccammo subito. La guardai negli occhi e, le dissi con tutto l’amore possibile, «ti amo Raf. Ora e per sempre».

Lei mi guardò commossa e disse, «anch’io ti amo Sulfus, ora e per sempre». Ci guardammo negli occhi ancora per un istante, che mi sembrò protrarsi all’infinito, e ci voltammo dandoci le spalle. E, con le nostre rispettive compagne, ci avviammo ai dormitori senza mai voltarci indietro, per impedirci di constatare cosa avremmo perso di li a poco. 

 

POV RAF

Mi avviai dietro Uriè per raggiungere il sognatorio. Il fatto che finalmente i nostri amici avessero accettato la nostra storia mi rendeva immensamente felice, non volevo ammettere quanto l’odio e l’indifferenza dei miei amici mi avessero fatto male. Il disprezzo che avevo letto nei loro occhi mi aveva lasciata profondamente delusa e ferita: ferita perché non mi aspettavo che mi voltassero le spalle in questo modo, delusa perché credevo che la nostra amicizia fosse qualcosa di forte, che sarebbe durata per sempre, invece alla prima difficoltà si era sgretolata come neve al sole. Quando avevo dimostrato di voler restare lontana da Sulfus i rapporti con loro erano ripresi, anche se più freddi di prima.

Ora invece sembravano essersi resi conto che ci avevano trattato veramente male e sicuramente, a cominciare dal fatto che stanotte non ci avevano consegnato ai professori, cercavano di farsi perdonare.

Mi voltai verso Uriè e l’abbracciai di scatto. Lei un po’ stupita ricambiò l’abbraccio.

«a cosa devo questo abbraccio?», mi chiese.

«mi sei mancata», dissi io semplicemente.

Lei sorrise e mi strinse di più. Poi si staccò. «ora andiamo altrimenti ci facciamo beccare da Arkhan», e con un’occhiata maliziosa aggiunse, «e poi stasera c’è la festa di diploma, devi farti bella per Sulfus!».

Arrossii dalla punta dei capelli a quella dei piedi. «ma che dici Uriè?», ma non protestai oltre, anche a me andava l’idea di fare colpo su Sulfus. Lei rise.

Ci alzammo in volo e arrivammo rapidamente fino al sognatorio ed entrammo dalla finestra nella nostra camera dove trovammo ad aspettarci Dolce, Miki e la mia copia creata da Kabalè.

«Raf, grazie agli angeli sei tornata!», esclamò Dolce correndo ad abbracciarmi, mentre Miki faceva svanire la mia copia; sarebbe stato difficile spiegare la presenza di due Raf.

Poi corse ad abbracciarmi anche lei. «temevamo che non saresti tornata in tempo, non sapevamo per quanto il trucco delle copie avrebbe funzionato»esclamò preoccupata.

«ma dove sei stata tutta la notte?», mi chiese Dolce.

Io cercavo di staccarle ma senza successo, avrebbero finito per strangolarmi se continuavano così.

«ragazze», dissi con voce soffocata, «se non vi staccate finirete per uccidermi».

«oh scusa»esclamarono in coro staccandosi, «è che eravamo preoccupate per te», aggiunse Miki.

Ripresi fiato per parlare,  «e comunque ho passato la notte con Sulfus» dissi, anche se sapevo che era solo per confermargli una cosa che già sapevano.

Invece la loro reazione mi sorprese. Perfino Uriè, che mi aveva sorpresa con Sulfus, reagì in modo esagerato.

«COSA?!», gridarono in coro con gli occhi fuori dalle orbite.

«ra-ragazze che succede?», domandai io, sconvolta dalla loro reazione. Perché erano così scioccate?

«oh mio dio!», disse Uriè, facendo una faccia tale che mi spaventò.

«ma qual è il problema?». Sapevano che ero andata fuori con Sulfus e allora perché erano così scioccate?

«hai passato… con Sulfus… tu hai?», mi chiese Dolce, che sembrava impossibilitata a formulare frasi di senso compiuto in quel momento.

Arrossii fino alla radice dei capelli quando capii cosa intendevano, cosa credevano che avessi detto. Diventai di tutti i colori.

«no!», urlai, rossa come un peperone, «no, no che avete capito?», balbettai in preda al panico, «siete impazzite io non potrei mai…», ma non finii la frase, era troppo imbarazzante. Però, anche se non volevo ammetterlo, quell’idea mi aveva messo addosso un desiderio talmente potente che stentavo a controllarmi. Dannazione! Ma fino a dove ero disposta a spingermi nella mia storia con Sulfus? Perché io, nel profondo, speravo che un giorno una cosa del genere sarebbe successa fra noi. Era uno dei desideri segreti che non avevo il coraggio di confessare nemmeno a me stessa.

«ah meno male», disse Dolce con una specie di squittio, «mi era venuto un colpo».

«ammetto che come frase era un po’ ambigua, però dovreste conoscermi», protestai. Già il problema è che nemmeno io sapevo più cosa volevo.

«si sì scusa», si affrettò a dire Miki.

«iiiiiiiiiiih!»esclamò Dolce, facendoci sobbalzare tutte.

«ma Dolce sei impazzita, vuoi farci prendere un infarto per caso?», gli chiese arrabbiata Uriè. Ma Dolce non l’ascoltava, guardava me sconvolta.

«Raf dove sei stata tutta la notte per riuscire a ridurti i capelli in quello stato? Sono completamente pieni di sabbia», disse visibilmente alterata. Come fanatica dello shopping era sempre impeccabile, e per chi le era amico era meglio che fosse altrettanto se non voleva incappare nelle sue ire che poi si trasformavano in “manie da sessione Shopping/istituto di bellezza per rimettere a nuovo l’ignara persona”. E tutte sapevamo che era meglio evitarlo, anche se questa volta evidentemente non l’avrei scampata.

«tu ora viene subito con me che ti faccio la messa in piega! Devi sistemarti quell’obbrobrio!», disse prendendomi subito per mano e cominciando a trascinarmi verso il bagno.

«Dolce ti prego, so farlo da sola!» cercai di dire io fra le risate generali delle altre.

Proprio in quel momento il professor Arkhan entrò in camera. «ragazze vi si sente da fuori, abbassate il tono, è mattina presto ancora!», disse con voce dolce ma divertita alla vista della scena, «e poi Dolce la cerimonia è fra poco e non c’è certo tempo per la messa in piega», aggiunse rivolta a Dolce che mi lasciò la mano.

«uffi non è giusto però!»si lamentò lei.

«guarda il lato positivo, potrai rifarti per la festa, avrai tutto il tempo per prepararla come si deve», disse Uriè. Il mio sollievo morì rapido com’era nato. E io che credevo di averla scampata! Dovevo ricordarmi di uccidere Uriè.

«giusto e comunque sono venuto a dirvi che tra un’ora ci sarà la cerimonia, perciò dovete essere pronte. Ci vediamo dopo ragazze», disse Arkhan e uscì velocemente dalla stanza. Anche lui doveva prepararsi.

«dopo non mi sfuggi», disse con un sorriso sadico Dolce.

Argh! Perché a me?mi voltai arrabbiata verso Uriè. «non potevi evitare?», le chiesi.

«assolutamente no sennò come fai a farti bella per Sulfus? Vedrai ne varrà la pena, non ti staccherà gli occhi di dosso stasera, tanto più che dovremo andare in versione terrena», mi rispose con un sorriso malizioso sulle labbra. Io arrossii.

Per la festa di fine anno avevamo deciso di rompere gli schemi e di fare una festa in maschera in versione terrena, a cui avrebbero partecipato tutti i terreni della scuola e non solo angel e devil trasformati.

«ha ragione», disse Miki, «se dipendesse da te, andresti alla festa in pantaloncini e maglietta. Ma visto che stasera alla festa saremo mascherati e in forma terrena, dovrai essere più bella che mai per il tuo tesoro», concluse.

Sbuffai. Non c’era modo di sfuggire a quelle tre pazze. Perciò, esasperata, andai in bagno sbattendo la porta. Odiavo lo shopping!

Mi svestii e entrai nella doccia aprendo il getto dell’acqua calda, ne avevo proprio bisogno per rilassarmi. Dopo tutto era stata una serata movimentata quella di ieri. Arrossii ripensando a tutti i baci e alle sensazioni che mi avevano sconvolta stando con Sulfus. Non avevo mai sentito un desiderio tanto intenso percorrere il mio corpo, aveva una forza tale che mi spaventava. Ora capivo cosa voleva dire amare completamente una persona; voleva dire donarsi completamente a lui, desiderare che ti fosse sempre vicino, pensarlo sempre, in qualunque momento della giornata.

Scossi la testa e cercai di svuotare la mente. Dopotutto era il giorno del diploma e oggi sarei diventata una guardian Angel a tutti gli effetti. Era un giorno importante, non volevo rovinarmelo pensando continuamente al fatto che Sulfus e io saremmo stati divisi di li a poco.

Oh no, c’eravamo di nuovo maledizione! Insomma era troppo chiedere di pensare solo alla cerimonia per un po’?

Trascinata da quei pensieri mi resi conto per la prima volta che di lì a breve mi sarei diplomata ottenendo l’aureola radiante; prima la mia mente, preoccupata per Sulfus, non aveva realizzato completamente la cosa, ma ora c’era arrivata. Il mio sogno stava per realizzarsi!

Venni presa da un’ondata di euforia praticamente incontrollabile. Cominciai a ridere e a cantare, ballando sotto il getto dell’acqua, felice come non mai.

Uscii dalla doccia ancora ridendo. Mi avvolsi in un asciugamano bianco e uscii dal bagno. Dolce e Miki non c’erano più, molto probabilmente erano tornate nella loro stanza a prepararsi. Uriè invece era già pronta, con indosso toga e cappello, e mi aspettava vicino alla porta.

«dai Raf sbrigati, dobbiamo essere giù fra dieci minuti!», mi disse agitata.

Oh mamma fra dieci minuti? Meglio sbrigar mimi vestii velocemente con i vestiti di sempre, presi toga e cappello e me li misi velocemente.

Le toghe si differenziavano sia fra Angel e Devil che fra maschi e femmine: noi angel avevamo per le femmine una toga azzurro cielo, per i maschi una bianco nuvola, coordinate fra loro. I devil invece avevano per le femmine una toga rosso fuoco, per i maschi una nero pece. Arrossi pensando a come Sulfus sarebbe stato sexy con la toga nera.

Mi riscossi e andai da Uriè. La toga stava meglio a lei che a me. Recuperammo Dolce e Miki e, all’improvviso, sentimmo il suono di una fanfara riecheggiare per i corridoi e capimmo; era la fanfara che annunciava che la cerimonia stava per iniziare.

Immediatamente i corridoi si riempirono di angel diretti verso l’aula sfida, per l’occasione allestita ad aula magna per la premiazione. Oltre a me, Uriè, Dolce e Miki c’erano altri sedici angel in classe con noi che sarebbero stati diplomati. E c’erano altrettanti devil. Ma oggi non ci sarebbero stati solo gli stagisti, molti angel e molti devil arrivavano tutte le volte da Angie town e Zolfanello city per assistere alla cerimonia; era un evento importante, in quanto venivano nominati i nuovi angeli e i nuovi diavoli. Venivano perfino Serafini e Malebolge, gli emissari di alte e basse sfere, per presenziare alla premiazione. Era un evento che richiamava tutti.

Man mano che ci avvicinavamo all’aula sfida, aumentavano i devil per i corridoi finchè non diventammo un unico flusso che si dirigeva verso l’aula sfida.

Mentre camminavamo sentii una mano fresca posarsi sulla mia e stringerla. Mi voltai, continuando a camminare, sapendo già a chi apparteneva quella mano. Incontrai due grandi occhi d’oro e Sulfus mi sorrise. Dio quanto era sexy con la toga nera! Gli fasciava il corpo, mettendo in risalto i muscoli. I miei pensieri presero direzioni poco carine.

Mi riscossi. Ma che vai a pensare Raf! Mi urlai da sola.

I miei amici e i suoi si erano disposti casualmente intorno a noi, in realtà per non far vedere che ci tenevamo per mano. Apprezzai molto il gesto.

Vidi angel e devil scambiarsi occhiate d’intesa; chissà forse, con il nostro amore, qualcosa sarebbe potuto cambiare nei rapporti fra angel e devil. I nostri amici sembravano già essere più in sintonia di quanto lo fossero mai stati.

Quando entrammo in aula sfida rimanemmo a bocca aperta. Non era l’aula magna come ci eravamo aspettati; era un grande giardino, pieno di alberi e fiori, al cui centro sorgeva un enorme palco di legno, sul quale sedevano i nostri professori insieme a Serafini e Malebolge. Davanti al palco, numerose sedie ospitavano già angel e devil mentre le rimanenti si andavano via via riempiendo.

Io e Sulfus ci guardammo negli occhi e ci lasciammo. Per nostra sfortuna, oltre a non voler farci beccare dai professori, le sedie erano state divise fra angel e devil, con un corridoio in mezzo che portava direttamente al palco. A sinistra si sarebbero seduti gli angel, a destra i devil.

Ci avviammo per il corridoio e ci sedemmo in prima fila, in quanto stagisti avevamo posti riservati.

Quando ci fummo seduti tutti, Arkhan e la Temptel si alzarono per fare il discorso di chiusura, di cui non ascoltai una sola parola; ero troppo concentrata a lanciare occhiatine a Sulfus che, seduto in prima fila con i devil, ricambiava. Ero così persa nel mio mondo che quando Uriè mi toccò il braccio, sobbalzai.

«forza bell’addormentata», mi disse ridacchiando, «hanno finito il discorso, ora dobbiamo andare sul palco per ritirare i diplomi e ricevere l’aureola radiante».

Per una volta mi feci subito attenta, relegando ogni tipo di pensiero non inerente alla cerimonia, in un angolo del cervello; ero troppo emozionata.

Sia noi venti stagisti angel che i venti stagisti devil, ci alzammo e ci avviammo, da due scale differenti poste l’una di fronte all’altra ai lati del palco, verso i professori che ci attendevano per consegnarci i diplomi. Dopodiché serafini e Malebolge avrebbero attivato un incantesimo che ci avrebbe proclamato angel e devil a tutti gli effetti.

Ci mettemmo in fila per uno e cominciammo a salire la scala, man mano che il professore chiamava in nostro nome. Ci avrebbe chiamati in ordine alfabetico perciò, di noi quattro, la prima sarebbe stata Dolce, la seconda Miki, la terza io e l’ultima Uriè. Fra i quattro devil invece la prima sarebbe stata Cabiria, il secondo Gas, la terza Kabalè e Sulfus invece sarebbe andato per ultimo.

Fu incredibilmente veloce, considerando che era una cerimonia molto importante. Il professore chiamava lo stagista, gli consegnava il diploma e poi lo rimandava giù dal palco. Io non stavo più nella pelle. quando arrivò il mio turno, mi mossi con impazienza, non vedevo l’ora di ricevere il mio diploma. Ma non andò tutto liscio; quando salii sul palco, non mancarono i mormorii. Tutti sapevano del sacrilegio e, anche se i miei amici mi avevano perdonata, non voleva lo stesso per gli altri angeli di Angie town. Anzi, tutti non perdevano mai occasione di rinfacciarmelo, facendomi versare ogni volta calde lacrime di umiliazione.

Ma oggi no. Oggi era uno dei giorni più della mia vita e non me lo sarei fatto rovinare da un paio di malelingue il cui solo scopo nella vita era quello di rovinare gli altri. Perciò alzai la testa e camminai decisa verso il professore, senza timore degli sguardi degli altri puntati su di me. Arrivata, il professore mi mise in mano il diploma e mi disse, «complimenti Raf, hai conseguito il diploma con il massimo dei voti, sei stata la migliore della tua classe. complimenti» e mi mandò giù dagli altri. Io ovviamente, gongolavo di soddisfazione, alla vista degli altri stagisti che si rodevano le budella dalla rabbia per non aver ottenuto i miei stessi risultati, nonostante fossi stata tanto additata e oggetto di pettegolezzi.

Mi portai di fianco a Miki. «sai Raf, forse non dovrei», mi disse, «ma non sai quanto godo a vedere le facce degli altri che ti prendevano sempre in giro». E detto ciò scoppiammo a ridere.

Quando tutti, sia angel che devil, furono scesi dal palco Serafini e Malebolge si alzarono e si rivolsero a noi. «stagisti», dissero tutti in coro, «benvenuti nel mondo dei sempiterni!», e con questa semplice formula evocarono un incantesimo che avvolse tutti gli stagisti in una nebbia fitta. Quando si diradò noi angel avevamo la nostra aureola radiante, i devil invece le corna brucianti.

Un boato di giubilio esplose sia dai devil che dagli angel mentre i cappelli volavano in aria e un forte applauso si levava dal pubblico. Io e le altre ci abbracciammo forte e cominciammo a saltellare come delle matte, felici di aver finalmente coronato il nostro sogno. Quando mi staccai, cercai Sulfus con lo sguardo e, quando lo incrociai, si aprì in un sorriso esultante e mozzafiato, che io ricambiai. Avrei voluto correre da lui e festeggiare insieme ma non potevamo.

 E fu proprio quando la felicità era al culmine che un tuonò squarciò la quiete e, letteralmente, con una paurosa scossa di terremoto, si scatenò l’inferno.

YUHUUUUUUUUUU!!! ECCO LE RISPOSTE ALLE VOSTRE BELLISSIME RECENSIONI... GRZ DI CUORE UN KISS A TTT!!!^^

Alice19: CARA ALICE GRAZIE X LA FIDUCIA KE RIPONI IN ME E NELLE MIE STORIE... CMQ SI POSSONO BACIARSI SNZ PROBLEMI, XKE' IL VETO, DOPO AVER ESAURITO IL SACRILEGIO INIZIALE, NON HA PIU' ALCUN EFFETTO SUI DUE... UN PO' COME SE SI FOSSERO ABITUATI E NON VENISSERO PIù TOCCATI DAL VETO... CSI' PROBLEMA RISOLTO XD SPERO CHE QUESTO CAPITOLO NON ABBIA DELUSO LE TUE ASPETTATIVE... KISS ^^

_Elea_: ODDIO GRZ!!! ** CN TTT QUEI COMPLIMENTI MI FAI ARROSSIRE, NN SN POI CSI' BRAVA, SCRIVO QLL CHE PROVO... SN COMTENTA KE LA STORIA TI PIACCIA, ECCO IL NUOVO CAPITOLO TTT X TE... Sì LA MIA STORIA è ANKE SUL FORUM DI ANGEL FRIENDS, SEZIONE FAN FICTION... LI I CAPITOLI SN + AVANTI XKE' LI POSTO MAN MANO CHE SCRIVO, PERò LI VADO A POV NN A CAPITOLI.. SE VUOI PUOI ANDARE A LEGGERE I CAPITOLI PRIMA KE LI METTA QUI, PUO ACCEDERE AL SITO ANKE SNZ ESSERE REGISTRATA... KISS^^

Girl95Devil: SI FORSE ERANO + DI DUE PAROLE XD GRZ X LA BELLISSIMA RECENSIONE, MI HA FATTO MOLTO PIACERE LEGGERLA!!! SN CONTENTA KE LA MIA STORIA TI ABBIA COLPITA CSI' TANTO... AVREI VOLTUO VEDERE LA FACCIA DI TUA NONNA QND HAI GRIDATO DV ESSERE STATA DA OSCAR *RIDE AL SOLO PENSIERO* XD BEH X LA DANZA TRIBALE PUOI SEMPRE FARE 1 PIRA IN GIARDINO XD QST CAPITOLO SARA' + LUNGO RISPETTO AL PRIMO... IN EFFETTI + SCRIVO + I MIEI CAPITOLI INSPIEGABILMENTE SI ALLUNGANO --" IL MIO RECORD è TRENTASEI PAGINE PER UN CAPITOLO... EHM VABBE' LASCIAMO PERDERE... KISS GRZ!!!^^

kikka97/cloe97: MON AMOUR!!! KE BELLO TROVARTI ANKE QUI!!! SN DAVVERO CONTENTA KE CI SIA ANKE TU, HO BISOGNO DEL SOSTEGNO DI UNA LONG-FAN XD GRZ MILLE X I COMPLIMENTI, CM AL SOLITO 6 FANTASTICA!!! CONGRATULAZIONI TI SEI AGGIUDICATA IL PREMIO X LA PRIMA PERSONA KE MI HA MESSO FRA GLI AUTORI PREFERITI!!! I LOVE YOU!!! STO SCRIVENDO IL NUOVO CAPITOLO X IL FORUM TRANQUILLA KE NN VI ABBANDONO... KISS A PRESTO!!!^^

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Capitolo 3
*** 3° CAPITOLO: “DECISIONE DIFFICILE” ***


SALVE RAGAZZE!!! OGGI SONO DI BUON UMORE E SAPETE PERCHE'? PERCHE' IERI ERA IL MIO COMPLEANNO E MI HANNO FATTO DEI BELLISSIMI REGALI (NON PER ULTIMO IL CALENDARIO DI ROBERT PATTINSON *NO VALE NON SBAVARE* SBAV SBAV SBAV), E VISTO CHE SONO COSI' ALLEGRA VI VOGLIO FARE UN REGALO REGALONE ANCHE PER RINGRAZIARVI DELLE VOSTRE BELLISSIME RECENSIONI!!! OGGI METTO NON UNO MA BEN DUE CAPITOLI DELLA MIA STORIA CHE A PAGINE DI WORD CONTANO CIRCA 60!!! XD MERITO O NON MERITO UNA STATUA? XD LE RISPOSTE ALLE RECENSIONI LE TROVATE IN FONDO AL CAPITOLO, VI AVVERTO CHE IN QUESTI CAPITOLI ALTRO CHE COLPI DI SCENA CI SARANNO, PREPARATE UNA BELLA DOSE DI OSSIGENO NE VEDREMO DELLE BELLE... SOPRATTUTTO FRA I DUE PICCIONCINI XD

PS PICCOLA PRECISAZIONE; NEL MIO LIBRO MALACHIA NON E' IL PADRE DI RAF NE RAF E' NATA TERRENA PER POI ESSERE STATA TRASFORMATA IN ANGEL... VI RICORDO CHE DOPO LE PUNTATE DEL PROCESSO CONTRO RAF E SULFUS IL MIO LIBRO NON TIENE CONTO DI QUELLO CHE E' SUCCESSO NEL CARTONE, QUINDI TUTTO QUELLO CHE è SUCCESSO DOPO NEL MIO LIBRO E' COME SE NON FOSSE MAI ESISTITO... TENETELO A MENTE IN QUESTO CAPITOLO PERCHE' VI SERVIRA'

BENE VI LASCIO AL CAPITOLO!!!

3° CAPITOLO: “DECISIONE DIFFICILE”

POV RAF

Si udì un boato tremendo e all’improvviso la terra cominciò a tremare, ma non in maniera normale, in un modo talmente ritmico che sembrava voluto e non casuale. Poi, con uno schianto terribile un enorme crepa si aprì nel muro dell’aula sfida, anche se da dentro sembrò che si squarciasse un pezzo di cielo, e migliaia di pherox inferociti si riversarono famelici nello spiazzo. Nel cielo invece, delle enormi aquile di ferro, esattamente come quelle che avevano attaccato le mie amiche durante la trappola del labirinto del Minotauro, si libravano nel cielo che si andava scurendo.

A cavalcioni di una  di loro, con in mano la sfera nera, Reina ci fissava con un espressione di odio negli occhi, i capelli blu mossi dal vento che lei stessa aveva creato.

Il cielo limpido si oscurò di colpo, come se la natura avesse sentito l’avvicinarsi della presenza maligna, e lampi e tuoni lo squarciarono.

I devil, che si trovavano proprio di fianco all’enorme spaccatura, si ritirarono velocemente alla vista dei pherox che si avvicinavano pericolosamente a loro, andandosi a mischiare a noi angel che esattamente come loro cercavamo di arretrare il più in fretta possibile.

 Molti cercarono di alzarsi in volo, ma non ci riuscirono a causa delle lame letali delle aquile che non gli permettevano di librarsi, altri invece cercarono di scappare verso il fondo dell’aula sfida il più in fretta possibile, tutti con urla di sorpresa e terrore. Notai con orrore che Sulfus e gli altri erano proprio sulla linea di fuoco dei pherox.

Una risata malefica si riversò fuori dalle labbra di Reina, mentre guardava gli angel e i devil che cercavano di uscire dall’aula sfida senza successo. Evidentemente aveva fatto un incantesimo per impedirci di scappare. Voleva ucciderci tutti.

«è arrivato lo scontro finale, sempiterni», ghignò malefica, con un espressione di odio negli occhi, «finalmente, dopo tutto quello che mi avete fatto, quello a cui mi avete costretta, avrò la mia vendetta, per me e per il mio Malachia, che voi avete ucciso senza nessuna pietà».

Sussultammo a quelle parole. Due mesi fa Malachia, su ordine di Reina, ci aveva attaccato utilizzando i poteri della sfera nera. Noi ci eravamo difesi ma, soprattutto dopo aver sentito la sua storia, avevamo cercato di non fargli del male, consapevoli del fatto che era costretto a quella vita perché privato della sua volontà; ma non era servito a niente. Aveva usato il potere della sfera nera su se stesso, come aveva già fatto una volta, ma a differenza della precedente, il potere della sfera l’aveva ucciso, una volta che noi lo avevamo liberato dal suo influsso. Si era dissolto senza che noi avessimo potuto fare niente. Ovviamente Reina non aveva voluto sentire spiegazioni e ci aveva incolpati di tutto, perché nonostante tutto, lei era ancora innamorata di Malachia, anche se non faceva niente per dimostrarlo.

Da quel giorno la sua sete di vendetta e la sua rabbia erano aumentate a dismisura. Ci aveva lasciato quella volta con una terribile promessa. «ora il mio odio e la mia rabbia sono ancora più potenti; non vi sarà scampo per voi, distruggerò tutto ciò che troverò sul mio cammino verso la vendetta, che siano angel, devil o terreni. Perciò state attenti, perché la vendetta di Reina calerà violenta e terribile come mai prima d’ora e voi non potrete fare niente per impedirla!».

Con una risata a dir poco spaventosa e una violenta esplosione di luce viola, si era dissolta nel nulla.

La sua promessa di vendetta ci aveva a dir poco terrorizzato. Sapevamo che Reina sapeva essere terribile se voleva perciò nella prima settimana, tesi come non mai, avevamo fatto attenzione a ogni piccolo spostamento, a ogni piccola cosa fuori posto, vedendo dappertutto pericoli e trappole. Ma, più il tempo passava, più ci tranquillizzavamo perché nonostante fossero passati quasi due mesi, di tentati attacchi di Reina non ce n’era stato neanche l’ombra. Ci eravamo illusi che finalmente avesse rinunciato a tutti i suoi propositi di vendetta, che finalmente avesse deciso di lasciarci in pace; evidentemente ci sbagliavamo. Aveva solo aspettato il momento propizio, radunando le sue forze per sferrare l’attacco finale, quello che secondo lei ci avrebbe completamente distrutto. E aveva scelto di agire, con una certa dose di cattiveria e perfidia, nel giorno dei diplomi, per rovinare uno dei momenti più belli della vita di noi sempiterni sia che fossero angel, che fossero devil.

In quel momento, ferita da tale consapevolezza, unita al fatto che eravamo tutti in pericolo di vita, specialmente Sulfus, la odiai; in quel momento capii cosa volesse dire odiare davvero, era talmente forte che mi sentii in bocca il sapore di bile.

Guardai verso Reina, mentre la mia rabbia si trasformava in determinazione; l’avrei sconfitta una volta per tutte, avrei liberato il mondo dal suo luridume. Io e Sulfus insieme l’avevamo già sconfitta, l’avremmo fatto di nuovo.

«raggiungiamo i devil», dissi concitata alle mie amiche, «se uniamo i nostri poteri potremo sconfiggerla».

Le mie amiche annuirono. Ci stavamo per avviare quando, con un movimento improvviso della sfera nera e un ghigno malefico sul volto, Reina fece scaturire delle fiamme che incendiarono in poco tempo tutto il parco che, essendo composto da vegetali, si ridusse in poco tempo a un’unica distesa di fiamme.

Le alte lingue di fuoco si erano propagate in modo strano, non casuale, quasi a voler delineare un percorso ben definito. Attraverso le fiamme vedemmo gruppi, anche misti, di angel e devil che cercavano di combattere sia i pherox che le aquile. Se però contro i pherox potevamo poco, perché ai nostri poteri erano immuni, le aquile potevamo sconfiggerle, come le mie amiche avevano già una volta dimostrato.

«attente!!!», urlò Arkhan dal palco, che stava rapidamente andando a fuoco. Noi ci voltammo, le fiamme ci avevano isolate dal resto del gruppo, e vedemmo uno degli alberi del parco che, corroso dalle lingue fuoco, ci stava per cadere addosso. Purtroppo le fiamme ci impedivano di scappare, perciò dovevamo fare subito qualcosa se non volevamo diventare peggio di alcuni paté che avevo visto mangiare a volte ai terreni.

Mi parai davanti a loro e urlai «rock fly!». Subito fummo avvolte da una spessa corazza di protezione. Speravo che funzionasse, non avevo mai protetto più di due persone contando me. Ora eravamo in quattro.

Non feci in tempo a pensare queste cose che l’albero si abbatté su di noi con violenza. La protezione resse, ma per miracolo. Rilasciai il potere e mi accasciai a terra per lo sforzo. Le mie amiche mi si fecero subito vicino e mi aiutarono a rialzarmi.

Le fiamme ci avevano circondato e se volevamo cercare di raggiungere Sulfus e gli altri dovevamo trovare il modo di eluderle. Ci liberammo delle toghe. Se volevamo combattere avevamo bisogno di agilità e quelle toghe non erano certo l’ideale.

«mi è venuta un’idea», disse Uriè che si piazzò davanti al muro di fiamme attraverso il quale l’ultima volta avevamo visto i devil. «meteo fly!», urlò e subito un potente acquazzone si riversò sul fuoco per spegnerlo. Ma non funzionò. Per quanta acqua ci piovesse sopra, le fiamme non si spegnevano.

Uriè interruppe il flusso d’acqua frustrata. «evidentemente sono fiamme magiche che non possono essere spente», disse alquanto arrabbiata.

«ma forse congelate sì», disse Miki scansando Uriè, «Ice!» e il ghiaccio si riversò fuori dalle sue mani. Ma anche questa volta non funzionò. Le fiamme, troppo roventi, scioglievano subito il ghiaccio che Miki ci depositava sopra.

«oh accidenti! Non funziona neanche questo!», urlò Miki esasperata.

Non sapevamo più che fare, avevamo esaurito le idee per spegnere il fuoco, sul quale i nostri poteri sembravano risultare totalmente inefficaci. Poi però, mi balenò in mente un’idea; forse avevamo affrontato il problema in modo sbagliato. Forse non dovevamo spegnere le fiamme ma solo controllarle; e guarda caso, il mio inflame mi consentiva di controllare e usare il fuoco a mio piacimento.

Ero sul punto di usarlo quando mi bloccai. Ne io ne Sulfus avevamo mai detto a professori e amici che avevamo acquisito i nostri poteri strani. Di comune d’accordo, durante il procedimento disciplinare, avevamo deciso di non dire niente delle nostre nuove abilità per evitare che ciò aggravasse la nostra posizione. Infatti eravamo stati molto attenti a non usarli mai in loro presenza.

Ma adesso eravamo in pericolo di vita, non contava più cosa era pericoloso e cosa no. Chissà come avrebbero reagito al mio potere da devil, pensai sarcastica. Speravo che funzionasse e che la mia intuizione fosse giusta.

«indietro ragazze», le dissi con voce determinata, «mi è venuta un’idea… Inflame!» e dalle mie mani uscirono due lingue di fuoco blu che si fusero con le fiamme rosse per poi allargarsi e aprire un varco sufficiente a farci passare. Fortunatamente nello spiazzo successivo non si vedeva traccia di pherox o aquile di ferro. Ma sentivo comunque i suoni delle battaglie che sia angel che devil avevano ingaggiato per distruggere i nemici.

Evvai!!! Esultai mentalmente. La mia idea aveva funzionato.

Mi voltai verso le mie amiche con un sorriso a trentadue denti ma, non appena vidi le loro facce, il sorriso mi morì in gola. Erano stupite e inorridite da ciò che avevo appena fatto. Più inorridite che stupite.

Sospirai e mi preparai a sorbirmi tutte le loro lamentele e critiche. La prima a riprendersi fu Miki, che era sempre stata la più pratica delle tre.

«Raf! Ma quello è un potere da devil! Come fai tu che sei un angel ad averlo?», mi chiese con gli occhi fuori dalle orbite. Dolce e Uriè annuirono di rimando.

«beh è una storia un po’ lunga e non mi pare questo il momento di raccontarvela… prometto che una volta fuori da questo inferno vi racconterò tutto ma adesso sbrighiamoci prima che il mio potere svanisca».

Le altre annuirono e ci affrettammo a passare attraverso il varco che si richiuse non appena fummo passate. Non facemmo in tempo a fare neanche un passo che un terribile stridio proveniente dal cielo ci fece alzare inorridite lo sguardo. Tre enormi aquile si dirigevano verso di noi con gli artigli protesi. Dovevamo contrattaccare, era anche la nostra unica possibilità per alzarci in volo e raggiungere più velocemente Sulfus e gli altri.

Ma non c’era più tempo per reagire: le aquile erano troppo veloci, i loro artigli troppo lunghi e noi troppo spaventate per poter tentare un’offensiva di alcun tipo. D’altronde, se non appena ti volti ti vedi degli enormi mostri a un palmo dal naso non puoi fare alcunché.

Urlammo e ci mettemmo le mani davanti, per cercare di ammortizzare lo scontro che sarebbe sicuramente arrivato. Però, fu proprio quando tutto era perduto che Dolce prese l’iniziativa e agì d’istinto, per salvare se stessa e noi, le sue amiche.

Si parò davanti a noi e, battendo forte le mani verso le aquile, urlò «Wave!» e una potentissima onda d’urto si riversò fuori dalle sue mani per abbattersi sulle aquile, disintegrandole.

Noi guardammo stupite Dolce, che sembrava più sbigottita di noi.

«e da quando puoi generare onde d’urto?», gli chiesi stupita Uriè.

«veramente non sapevo nemmeno io di poterlo fare!», esclamò sbigottita Dolce, «anche se questo potere è figosissimo!!!» disse eccitata.

Noi scoppiammo a ridere per un momento ma poi ritornammo subito serie. Poi mi venne in mente una cosa che mi chiarì tutto sulla natura del nuovo potere di Dolce.

«ma certo!», esclamai facendole sobbalzare. Mi guardarono confuse. «non vi ricordate cosa aveva detto Arkhan all’inizio del torneo di luce e ombra?». Loro fecero delle smorfie, in fondo era stata in quell’occasione che io e Sulfus avevamo infranto definitivamente il VETO. Scacciai il pensiero dalla mia mente e continuai la mia spiegazione. «ci aveva detto che avremmo acquisito dei nuovi poteri e così è stato per tutti tranne che per Dolce. All’inizio lei ci era rimasta male ma alla fine avevamo concluso che, evidentemente, lei non aveva dei nuovi poteri da scoprire. Ci sbagliavamo. Lei aveva i suoi poteri, ma non era il momento giusto per usarli; ora invece, sentendo la situazione di pericolo si sono risvegliati!», conclusi sorridente guardando Dolce, che mi fissava, come le altre del resto, a occhi sgranati.

Poi Dolce emise un urlo e cominciò a svolazzare per tutto lo spiazzo, felice come non mai di avere finalmente anche lei il suo nuovo potere. Anche noi scoppiammo a ridere ma le nostre risate furono interrotte da un boato spaventoso che ci fece rinsavire; ci ricordammo che intorno a noi infuriava la battaglia perciò rapide ci alzammo in volo approfittando del fatto che il cielo era libero dalle aquile.

Lo spettacolo che si presentò ai nostri occhi era allo stesso tempo incredibile e terrificante: il parco era un’unica landa di fuoco e gli angel e i devil cercavano contemporaneamente di combattere i pherox e le aquile e di raggiungere l’unica via di fuga rimasta, lo squarcio aperto da Reina per entrare in aula sfida. Ma lei lo presidiava e chiunque le si avvicinava per provare a uscire veniva colpito dalla sfera nera con una violentissima scarica elettrica che lo faceva volare stordito e dolorante a svariati metri di distanza. Evidentemente voleva lasciare il lavoro sporco alle sue care creature.

Cercammo con lo sguardo Sulfus e gli altri; li trovammo in uno spiazzo non distante da noi che cercavano di combattere un’orda di pherox che li incalzava. Si vedeva che erano in difficoltà, dopotutto i pherox erano immuni ai nostri poteri.

Stavamo per andare ad aiutarli quando inorridimmo. Quattro aquile spaventose, approfittando del fatto che Sulfus e gli altri erano impegnati contro i pherox, si stavano lanciando su di loro da dietro per colpirli alle spalle. Non si erano accorti di nulla.

«NO!», urlai in preda al panico, non solo per Sulfus, ma anche per gli altri devil, che ormai consideravo degli amici, «presto ragazze andiamo!», urlai rivolta alle altre che annuirono. Anche loro si erano affezionate ai devil.

Ci buttammo verso di loro, volando veloci come non mai, e ci parammo davanti a loro per proteggerli dalle aquile che, con gli artigli protesi, ormai li avevano quasi ghermiti.

Miki si parò davanti a Gas e urlò «Wall Fly!». Tutto sommato, avevano finito per affezionarsi l’una all’altro. Un muro solido e resistente si parò davanti a lei e a Gas, e l’aquila ci si schiantò proprio sopra, sbriciolandosi.

Dolce si parò davanti a Cabiria, con la quale aveva stretto una forte amicizia, soprattutto per quanto riguardava la moda, e utilizzò ancora una volta il suo nuovo potere. «Wave!», urlò e dalle sue mani si riversò una seconda onda d’urto che polverizzò l’aquila.

Uriè si parò davanti a Kabalè con decisione, era molto affezionata alla devil, avevano scoperto di avere molte cose in comune. «Meteo Fly!», e un fulmine potente si schiantò dal cielo sull’aquila, che fece la stessa fine delle precedenti.

Io infine mi parai davanti a Sulfus. Non gli avrei permesso di toccarlo con un solo artiglio. «Inflame!» e scatenai il potere delle mie fiamme in tutta la loro potenza. Una potentissima bomba di fuoco di riversò dalle mie mani per schiantarsi sull’aquila, che svanì in uno sbuffo di fumo.

I quattro devil ci guardarono stupiti e ci sorrisero riconoscenti; Sulfus accompagnò al suo sorriso una dolce carezza che mi fece vibrare nell’animo. Poi un ringhio ci fece riportare alla realtà e noi angel e devil facemmo fronte compatto contro l’orda di pherox che si avvicinava, mentre intorno e sopra di noi i boati della battaglia infuriavano inesorabili.

Provammo ad utilizzare i nostri poteri ma fu inutile; contro i pherox non servivano a niente. Ormai avevamo esaurito le idee quando con uno svolazzo il professor Arkhan e la professoressa Temptel ci raggiunsero sullo spiazzo con la sfera bianca, l’unica cosa in grado di uccidere i pherox. Arkhan scagliò un raggio che eliminò i pherox.

Si voltarono verso di noi. «dobbiamo riuscire ad uscire dall’aula sfida», disse Arkhan, «ma sia Reina che le sue creature presidiano il varco. Dobbiamo trovare il modo di distrarli per poter scappare».

«ma non possiamo farcela! I poteri della sfera nera sono troppo forti e comunque i pherox sono troppo numerosi per essere contrastati», ribattè la Temptel scettica, che in quanto devil, era molto realistica.

«beh forse contrastati no, ma distratti si prof», disse una voce suadente che, mio malgrado, conoscevo. Ci voltammo simultaneamente verso la voce e realizzai che non mi ero sbagliata. Misha, la vecchia guardian devil di Sulfus atterrò nello spiazzo, un po’ di fuliggine sparsa sul capo. Ma ciò che ci sorprese fu che non era sola; al suo fianco c’era Gabi, il mio vecchio guardian angel. «Gabi! Misha!», esclamammo in coro.

«ma che ci fate qui? Non ve ne eravate andati?», chiese Sulfus, aggiungendo un’occhiataccia a carico di Gabi. Era sempre stato molto geloso di lui; quando lo vedeva insieme a me ci mancava poco che si scatenasse il finimondo. Ridacchiai ai miei pensieri.

«beh siamo venuti qui per vedere la premiazione. Dopotutto è un evento importante non potevamo mancare», disse Misha. Forse era solo una mia impressione ma mi sembrava che avesse lanciato un’occhiatina a Sulfus. Come si permetteva?! La gelosia dilagò in me e le scoccai un’occhiata assassina. Oh insomma avevo preso in giro tanto Sulfus e poi guarda come finivo io!

«comunque, ritornando al discorso dei pherox, grazie al mio potere potrò distrarli abbastanza a lungo per potervi dare libero accesso a Reina. Ma poi dovrete essere voi a sconfiggerla», disse lei.

«io andrò con lei, così potremo usare la sfera bianca per bloccare i pherox», aggiunse Gabi. «anche se non credo che ce la faremo», aggiunse sconsolato.

«e perché mai Gabi?», chiese Arkhan.

«quando ci avete raccontato di Reina, ho fatto delle ricerche sui neutri nella grande biblioteca universale e ho scoperto che l’unico modo per uccidere una neutra è quello di unire due poteri di un angel e un devil che scatenino lo stesso effetto. Solo così una neutra potrà essere eliminata. Ma come sappiamo questo è impossibile, un angel non può avere potere da devil e viceversa», concluse lui con aria sconsolata.

I professori scossero la testa, anche loro abbattuti, ma noi ci guardammo pieni di speranza; un potere che un angel e un devil condividevano. Guarda caso io e Sulfus avevamo in comune il potere del fuoco e si sa, l’unione fa la forza.

I nostri otto visi si aprirono in sorrisi felici e determinati. Sapevamo cosa dovevamo fare, perciò ci voltammo verso i professori. Ora cosa era giusto e sbagliato non contava più, saremmo venuti allo scoperto.

«mi dispiace contraddirti meringa alata» disse Sulfus, mentre insieme ridevamo, «ma sull’ultima parte ti sbagli», ghignò poi rivolgendosi a me.

«già hai proprio ragione», ribattei io con un sorriso furbo sul volto.

I professori, Gabi e Misha ci guardavano stupiti, mentre i nostri amici, che avevano già capito cosa volevamo fare, ci sorridevano.

Ignorando i professori io e Sulfus attivammo contemporaneamente i nostri poteri. «Fire fly!», urlò lui. «Inflame!» urlai io; e per un secondo il mio fuoco azzurro e il suo fuoco rosso si fusero in un’unica spirale di fiamme.

Dire che i professori avevano gli occhi fuori dalle orbite era un eufemismo. «m-ma Raf», balbettò Arkhan visibilmente sconvolto, «il fuoco è un potere da devil non dovresti averlo tu, che sei una angel!», esclamò pallido in viso.

«infatti non sappiamo come io faccia ad averlo, però l’ho ottenuto. Questo vuol dire che io e Sulfus abbiamo le caratteristiche per uccidere la neutra», conclusi con tono feroce. Odiavo Reina con tutta me stessa.

«allora facciamo così», disse la Temptel, «io, Arkhan, Misha e Gabi, distrarremo i pherox e le aquile così voi potrete avere libero accesso a Reina».

«ma non possiamo lasciarli da soli a combattere!», urlò Arkhan preoccupato per noi.

«è l’unico modo per salvarci tutti. Misha e Gabi da soli non potranno tenerli a bada tutti e comunque ci sono almeno duecento sempiterni che stanno combattendo in questa piana e se abbiamo una sola possibilità di sconfiggere Reina non dobbiamo sprecarla, almeno per salvare la vita di tutti loro», ribattè la Temptel.

Arkhan capitolò. La sua logica era inoppugnabile. «però dovete fare in fretta. Non li terremo a bada per molto e si dissolveranno del tutto solo quando Reina morirà anche le creature svaniranno», ci disse Arkhan.

A quelle parole sudai freddo. La vita di tutte le persone presenti in aula sfida dipendeva da me e Sulfus; era una responsabilità schiacciante. Poi sentii la sua mano prendere per un momento la mia e infondermi forza e coraggio. I suoi occhi esprimevano fiducia e determinazione, al che anche io mi calmai.

«andiamo!», disse Misha e tutti e quattro si librarono in volo. «Aromatic fly!» urlò Misha. A quelle parole, un dolce profumo si sparse per tutta la radura e sia le aquile che i pherox ne furono attratti, lasciando liberi di allontanarsi coloro che avevano preso sotto tiro.

«presto muoviamoci», urlò Sulfus e tutti e otto ci alzammo rapidissimi in volo dirigendoci verso Reina, che aveva il volto trasfigurato dalla rabbia per il fatto che le sue adorate creature erano state deviate. Ora era senza difese, aveva in mano solo la sfera nera, che l’avvolgeva in un campo di forza protettivo.

Arrivammo davanti a lei, circospetti perché sapevamo che comunque il potere della sfera nera era notevole. «arrenditi Reina, ritira le tue truppe e non ti sarà fatto alcun male!», le urlai. Essendo un angel non ero propensa alla violenza e, nonostante tutto, avrei preferito una soluzione pacifica della cosa.

«certo che sei proprio stupida, mia cara angel», ghignò sadica Reina e subito dalla sfera nera fuoriuscirono dei lampi che cercarono di colpirci. Noi ci sparpagliammo per evitare di venire colpiti e subito si levò un urlo. «Raf! Sulfus! Ora!», esclamarono Kabalè e Uriè in coro.

Noi ci guardammo e annuimmo. Non sapevamo come avremmo potuto fare per poter unire i nostri poteri, perciò provammo prima nella solita maniera, scagliando una palla di fuoco insieme su di lei. Ma non funzionò; oltre al fatto che i poteri non si unirono, ma si schiantarono separatamente sulla barriera innalzata dalla neutra, la barriera non mostrò segni di cedimento alla nostra offensiva.

«accidenti non funziona! La barriera, unita ai poteri Reina è troppo forte!», urlai esasperata. Maledizione ma non c’era modo di sconfiggerla?

Poi mi venne in mente un’idea. «Think fly!», urlai e mi collegai mentalmente con tutti quanti, ovviamente escludendo Reina. Lei non doveva sentire cosa ci dicevamo.

«ragazzi mi sentite?», pensai.

Sette risposte affermative mi rimbombarono nella testa. «bene. Sentite ho un piano. Gas il tuo potere ti permette di attirare oggetti metallici no?», chiesi, rivolgendomi direttamente a lui, anche se tutti potevano ascoltare la nostra conversazione.

«si ma perché? Come potrebbe esserci utile?», mi chiese lui, che da solito tontolone non aveva ancora capito dove volevo andare a parare.

«perché il sostegno che riveste la sfera nera è fatto di metallo. Se tu riuscissi col tuo potere a sottrarglielo…», non riuscii a finire.

«Reina rimarrebbe senza difese!», esclamò Sulfus mentalmente, «geniale Raf!». Altri risposte affermative mi raggiunsero.

«bene allora ci provo», disse Gas, fissando determinato la neutra. «Magnetic force!», urlò e spedì il raggio verso la sfera nera. All’inizio sembrò non voler cedere e Gas aumentò il flusso. Poi vedemmo Reina digrignare i denti dalla rabbia e stringere più forte lo scettro tra le mani, mentre quello cominciava a tremare. Gas aumentò ulteriormente il flusso di potere e lo scettro, dopo una momentanea resistenza, sfuggì dalle mani di Reina per atterrare in quelle di Gas, che con un ghignò di trionfo ci mostrò la sfera nera.

«bravo Gas!», urlammo tutti in coro. Ora Reina era indifesa.

Ora toccava a me e a Sulfus. Dovevamo fare in fretta, non sapevo quanto ancora gli altri avrebbero potuto resistere contro i pherox. Ci parammo davanti a lei; non sapevamo che fare, prima i nostri poteri non si erano uniti.

Poi successe qualcosa. Come se in noi fosse scattato qualcosa che ci aveva rivelato cosa fare, capimmo la procedura da seguire per poter unire i nostri poteri. Ci prendemmo per mano e chiudemmo gli occhi, concentrandoci solo su di noi, per sentire i nostri poteri diversi ma allo stesso tempo gemelli, per sentire le nostre dita intrecciate e per avvertire le nostre menti fondersi insieme.

Aprimmo gli occhi e attivammo i  nostri poteri contemporaneamente, le mani rivolte verso le fiamme che dilagavano nello spiazzo sotto di noi. «Inflame!», urlai io, «Fire fly!», urlò lui. E successe una cosa che nessuno si aspettava. I nostri poteri risucchiarono le fiamme dal parco, lasciandolo carbonizzato, mentre le lingue di fuoco si riversavano nelle nostre mani, per darci forza e aumentare il nostro potere. E più risucchiavamo le fiamme, più ci sentivamo potenti. Stringemmo con più forza le nostre mani e puntammo le altre verso il cielo. «vortice!», urlammo in sincrono e dalle nostri mani si riversò un vortice di fuoco che salì verso il cielo formando qualcosa di maestoso; le fiamme si modellarono, si restrinsero in alcuni punti e si allungarono in altre e quello che si parò davanti a nostri occhi, fu una magnifica fenice di fiamme rosse screziate di azzurro nelle lunghe piume di fuoco. Era uno spettacolo da mozzare il fiato.

Ci rendemmo subito conto che, tenendoci per mano, potevamo controllare la fenice e contemporaneamente pensare come una persona sola. E in questo momento il nostro obiettivo era uno solo: uccidere Reina.

A  questo pensiero la fenice emise un lungo verso dalla gola e si lanciò su di lei, che era rimasta pietrificata dalla paura quando aveva visto che cosa volevamo fare, e la avvolse completamente nelle lingue di fuoco. Si udì un solo straziante urlo inumano prima che la fenice distruggesse Reina e scomparisse.

Ma prima sentii nella mia testa ciò che poi avrebbe influenzato tutto il corso degli eventi futuri. «credi di avermi sconfitto mia cara angel? Beh ti sbagli di grosso, io non son affatto morta e, anzi, ritornerò un giorno, proprio grazie a te, che sei stata la causa della mia morte, e lo farò torturando le persone a cui vuoi bene, facendoti soffrire tanto quanto tu hai fatto soffrire me. Non ci sarà scampo per te dalla furia di Reina, io ritornerò e allora rimpiangerai quello che mi hai fatto! ahahahah». La risata malefica e agghiacciante si dissolse nella mia mente, e contemporaneamente la fenice sparì in uno sbuffo di fumo, segno che aveva finito il suo compito. Di Reina non vi era traccia, ma sapevo che non era affatto finita come tutti credevano, perché avevo sentito la voce nella mia testa. Non sapevo come fosse possibile che Reina fosse sopravvissuta, ma quello che avevo sentito era inequivocabile. Non sarebbe mai finita.

Urla di giubilio e felicità esplosero intorno a noi, mentre l’aula sfida finalmente, libera dal sortilegio di Reina, ritornava alla sua forma originale. Ma io quasi non me ne accorsi; ero troppo spaventata da quello che avevo sentito, da quello che sarebbe potuto succedere a causa mia a tutti quanti.

Mi riscossi all’improvviso solo quando Sulfus, in preda all’euforia, mi strinse fra le braccia e mi fece ruotare sollevandomi da terra come se fossi su una giostra. Al che, non potei trattenermi dal ridere come una pazza, anch’io contagiata per un secondo dalla felicità momentanea.

Lui mi rimise giù. Stava quasi per baciarmi ma io lo fermai. Mi sarebbe piaciuto ma non potevamo. «Sulfus, ci vedono», gli bisbigliai.

Lui triste annuì e rinunciò ai suoi propositi. Poi fummo assaliti da Uriè, Dolce, Miki, Kabalè, Cabiria e Gas che ci saltarono praticamente addosso per congratularsi con noi. In fondo, almeno per quello che sapevano loro, avevamo appena salvato il mondo dei sempiterni.

Mentre intorno a noi i festeggiamenti continuavano, Arkhan, la Temptel, Gabi e Misha, facendosi spazio fra i sempiterni, ci raggiunsero, chiedendo subito un resoconto dettagliato su quanto era accaduto. Sulfus e gli altri non si fecero pregare e cominciarono subito a raccontare per filo e per segno quanto era accaduto. Io mi limitai ad ascoltarli, fissando ognuno dei loro volti escluso uno. Poi da loro passai a tutti quelli di angel e devil sparsi nella sala che esultavano per la vittoria, senza essere consapevoli del fatto che non erano ancora al sicuro e che la minaccia, indirettamente, ero io.

Poi mi voltai verso di lui, verso il ragazzo che occupava la mia mente e il mio cuore e che amavo con tutta me stessa. E guardando lui capii cosa dovevo fare; lo amavo troppo per metterlo in pericolo e, comunque, non avrei potuto sopportare di mettere uno qualsiasi dei miei amici in pericolo, sia che fosse angel, sia che fosse devil.

La consapevolezza mi scavò un solco nel cuore e una lacrima, una sola, mi scivolò sul viso, prima che la pulissi con la mano.

Alzai lo sguardo e notai che Sulfus mi guardava. Io gli sorrisi cercando di essere il più sincera possibile, anche se in realtà mi sentivo morire dentro; per attuare il mio piano non dovevo destare sospetti. Guardandolo negli occhi seppi che la mia decisione lo avrebbe fatto soffrire moltissimo, e non solo lui, ma tutti coloro che mi volevano bene. Mi avrebbero odiato ma, per proteggerli, non c’erano alternative.

Sulfus potrai mai perdonarmi?, pensai.

 

POV SULFUS

Mi allontanai con Kabalè verso l’incubatorio. Vi arrivammo senza difficoltà e entrammo nella mia stanza, dove trovammo Gas, Cabiria e la mia copia ad aspettarci.

«Sulfus sei tornato!», urlò correndo ad abbracciarmi, mentre la mia copia svaniva.

«Cabiria!», sbuffai infastidito mentre la scansavo; non mi piacevano le dimostrazioni d’affetto, ovviamente se non comprendevano Raf. In quel caso mi ci prestavo molto volentieri. I miei pensieri presero direzioni ben poco caste; in quanto devil non me ne vergognai, ma dubitavo che il mio angelo li avrebbe apprezzati.

«allora Sulfus», esordì Gas con un sorrisetto strano, «passato une bella serata eh?», ridacchiò.

«sì molto bella», dissi con sguardo sognante ripensando alla notte appena trascorsa, ma comunque preoccupato per il sorrisetto che Gas continuava ad avere.

«oh beh anch’io sarei contento se avessi avuto a disposizione una splendida ragazza per tutta la notte», disse scoppiando apertamente a ridere, leccandosi avido le labbra.

«Gas!», urlai sia imbarazzato che arrabbiato. Anche se l’imbarazzo presto cedette il posto alla rabbia. Come si permetteva di pensare in certi termini a Raf! Lei era solo mia!

«meglio per te che cominci a correre», gli dissi quasi ringhiando, «altrimenti potrei ucciderti».

Gas sbiancò, rendendosi conto di aver detto una parola di troppo, e cominciò a indietreggiare tenendo le mani alzate, «e-eddai Sulfus scherzavo…», provò a scansarsi ma non lo lasciai finire. Aveva oltrepassato il segno.

Mi buttai addosso a lui e cominciammo a rotolare avvinghiati mentre ciascuno cercava di sottomettere l’altro con morsi, calci, graffi e pugni.

Kabalè e Cabiria scoppiarono a ridere e si sedettero sul mio letto per osservare meglio la scena.

Dopo un po’ sentimmo un battito di mani. «bene mie cari devil sono felice di vedere che utilizzate i sani principi della forza bruta ma ora gradirei che la smetteste visto che la cerimonia è alle porte», disse la professoressa Temptel, che era entrata in camera.

Io e Gas ubbidimmo e, non appena ci alzammo, ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere. A volte mi faceva arrabbiare ma non c’era amico migliore di lui.

«ragazzi preparatevi, tra poco inizia la cerimonia». E detto questo la Temptel si dileguò, non era tipo da perdersi in chiacchiere.

Le ragazze si ritirarono nella loro stanza per prepararsi mentre noi, dopo una doccia veloce, ci infilavamo rapidamente la toga nera sopra i vestiti di sempre; in quanto devil non perdevamo tempo dietro all’estetica, qualcosa di sportivo ed eravamo a posto. Ovviamente non valeva per le devil, che facevano di tutto per apparire sexy e provocanti, indossando vestiti molto succinti e mettendo sempre del trucco pesante.

Non appena fummo pronti sentimmo la fanfara che annunciava l’inizio della cerimonia, perciò uscimmo, recuperammo Cabiria e Kabalè e ci avviammo verso l’aula sfida. Tutti e quattro non stavamo più nella pelle, morivamo dalla voglia di diventare guardian devil.

Man mano che procedevamo gli angel per i corridoi aumentavano fino che non diventammo un unico flusso che si dirigeva verso l’aula sfida.

Voltai lo sguardo e mi si bloccò il respiro. Raf camminava con le sue amiche davanti a noi, bellissima nella sua toga azzurro cielo, che le metteva in risalto le forme. Oh porca miseria, non doveva vestirsi così! Non se non voleva venire assalita da me davanti a tutto il corpo studentesco! Era… era… non c’erano parole per descriverla, anzi una ce n’era: terribilmente sexy!

“ok Sulfus controllati, ricordati che sbaciucchiartela davanti a tutti non è una scelta praticabile”, parlò il mio lato bianco, quello della razionalità (anche se, a dir la verità, non ci davo retta quasi mai).

“solo sbaciucchiarla? Se continua a rimanere vestita così, credo che non risponderò di me”, replicò la mia parte nera, quella egocentrica (che mi dominava 99 volte su 100).

“non è comunque praticabile! Devo ricordarti cosa succederebbe se…” , urlò la parte bianca.

“uffa, lo so, ho capito, non rompere”, sbottò la parte nera infastidita, e quella bianca finalmente si azzittì.

Ritornato in me, ero deciso, benchè molto a malincuore, a non avvicinarla. Decisione che fu rapidamente mandata a farsi fottere non appena mi resi conto degli sguardi che tutti i ragazzi, sia angel che devil,le lanciavano. Eh no, questo è troppo!

Feci cenno agli altri di seguirmi e ci avvicinammo a Raf e alle sue amiche. Mentre camminavo, non riuscii a trattenermi dal lanciare occhiate di fuoco a chiunque la fissasse con occhio lascivo. I ragazzi, impauriti, distolsero subito lo sguardo e io ghignai soddisfatto.

Mi avvicinai da dietro a Raf, mentre i miei amici e i suoi si disponevano apparentemente a caso intorno a noi per non farci scoprire. Apprezzai. Raf si voltò e mi sorrise.

Quando arrivammo in aula sfida, trasformata in un parco, fummo costretti a separarci e a sederci ognuno al proprio posto.

Del discorso non ricordai quasi niente, avevo fissato Raf per tutto il tempo; mi riscossi solo quando fu il momento di ritirare i diplomi.

Quando prima Raf, e poi io, salimmo sul palco, non mancarono occhiatine e mormorii, ma ne io ne lei ci badammo, era il nostro momento e non ce lo saremmo fatto rovinare da loro.

Dopo che tutti ebbero ritirato i diplomi, Serafini e Malebolge attivarono l’incantesimo e finalmente entrammo fra gli adulti. Tutti noi stagisti esplodemmo in urla di giubilio e io e i miei amici ci abbracciammo felici. Mi voltai verso Raf per dividere quel momento con lei e quando i nostri occhi si incontrarono, le sorrisi esultante. Sorriso a cui lei rispose.

E in quel momento tutto precipitò. Ci fu un terremoto e, con un rombo terrificante, il cielo dell’aula sfida si squarciò a poche decine di metri da noi, facendo riversare nell’aula decine di pherox e aquile della morte, con Reina sopra a una di loro.

Noi devil subito cercammo di allontanarci dalla massa inferocita di pherox che ci veniva addosso, ma facemmo appena in tempo a mischiarci con gli angel che Reina, dopo il suo discorso, con un movimento della sfera incendiò il parco, spezzandoci in vari gruppi. Per fortuna noi restammo insieme, ma avevamo perso di vista le angel e soprattutto di Raf. Stavo per fiondarmi a cercarla, ma non feci neanche un passo che un urlo mi bloccò.

«Sulfus attento!», urlò Kabalè. Mi voltai e vidi che l’orda di pherox ci stava caricando e che uno stava per saltarmi addosso. Visto che su di loro i nostri poteri non funzionavano decisi di ricorrere alle care e vecchie maniere: caricai il colpo e, non appena il pherox stava per saltarmi addosso, gli mollai sul muso un bel manrovescio che lo fece volare a vari metri di distanza.

Facemmo fronte compatto; anche se ero preoccupato per Raf, in questo momento dovevo aiutare me stesso e miei amici.

«Fire fly!», urlai e scaglia dei raggi di fuoco sull’orda di pherox inferocita ma, ovviamente, non funzionò. Imprecai.

«aspetta in fondo i pherox sono animali feroci, invece di distruggerli posso provare a controllarli», urlò Cabiria. «Wild Fly!» e spedì un raggio verso di loro con l’intento di soggiogare le loro menti. Per un momento sembrò funzionare ma ci ricredemmo subito; dopo un primo attimo di smarrimento, tornarono subito padroni di loro stessi.

«cazzo!», borbottò Gas a mezza voce, mentre i pherox ci accerchiavano. Poi, all’unisono, ci saltarono addosso, e allora Kabalè agì d’istinto; si parò davanti a noi e gridò «Potion!» e fra le sue mani comparve una boccetta che fece volare addosso ai pherox; la boccetta esplose e, all’istante, tutti i pherox si ritrovarono bloccati in una sostanza appiccicosa che sembrava colla. Ci voltammo increduli verso Kabalè.

«da quando in qua puoi evocare delle pozioni», le chiese Cabiria incredula.

«veramente non sapevo nemmeno io di poterlo fare», ci disse sbigottita lei, «però questo nuovo potere mi piace da matti». E scoppiammo a ridere.

Mentre i pherox erano bloccati dalla pozione di Kabalè ne approfittammo per uscire dal loro accerchiamento e portarci fuori dalla linea di tiro. Non facemmo in tempo però a spiccare il volo, che i pherox si liberarono della sostanza collosa e ci saltarono di nuovo addosso. Noi cercavamo di difenderci come potevamo, ma avevamo a disposizione solo calci e pugni, visto che i nostri poteri erano inefficaci. Eravamo talmente presi dalla lotta che non badavamo a cosa ci succedeva intorno, e quella distrazione rischiò di esserci fatale.

Ci accorgemmo che della aquile della morte stavano per colpirci solo quando sentimmo quattro schianti provenire da dietro di noi. Ci voltammo ed esultammo: le angel ci avevano raggiunto e ci avevano appena salvato al vita eliminando le aquile che stavano per assalirci alle spalle. Tutti sorridemmo alle angel ma io feci anche una dolce carezza a Raf; nonostante fossimo rimasti lontani per poco tempo, mi era comunque mancata da morire.

I ringhi dei pherox ci riportarono alla realtà; eravamo praticamente spacciati, quando i nostri prof intervennero in tempo e li fecero svanire con la sfera bianca. A sorpresa ci raggiunsero anche Gabi e Misha, che ci spiegarono come sconfiggere Reina; io e Raf perciò rivelammo i nostri poteri e, di comune d’accordo con i prof, che avrebbero organizzato un diversivo, noi otto insieme ci alzammo in volo e raggiungemmo Reina.

Provammo a fare come aveva detto Gabi, a unire i nostri poteri, ma non funzionò. Reina ci restituì il favore e, mentre eravamo impegnati a schivare i fulmini della sfera nera, la coscienza di Raf ci toccò la mente; aveva usato il suo potere per poterci parlare col pensiero.

L’idea che aveva avuto era geniale: utilizzare il potere di Gas per privare Reina della sue difese, così forse saremmo riusciti a scalfirla un minimo.

Dopo una momentanea resistenza, la sfera nera volò fra le mani di Gas, che ce la mostrò con un ghigno di trionfo sul viso.

Ora toccava a me e a Raf; ci librammo in alto, anche se non sapevamo come fare. Poi, con un’illuminazione, ci venne tutto in mente. Ci prendemmo per mano, fondemmo le nostre menti e attivammo contemporaneamente i nostri poteri; dalle nostre mani si riversò una maestosa fenice di fuoco che, obbedendo ai nostri ordini attaccò Reina, avvolgendola nella sue spire. Reina lanciò un urlo straziante e vidi Raf impallidire di colpo, mentre fissava Reina inorridita; probabilmente era uno spettacolo che le aveva fatto un certo effetto, dopotutto, aveva praticamente visto una persona bruciare viva. Intendiamoci non che questa persona non lo meritasse, ma, se era uno spettacolo che faceva rabbrividire persino un devil, per cui le cattiverie erano all’ordine del giorno, figuriamoci un angel che è tutto zucchero e bontà; per loro doveva essere spaventoso.

Reina svanì in uno sbuffo di fumo e l’aula sfida tornò finalmente normale. Era finita, era finita davvero, per sempre!

Boati di felicità esplosero da ogni singolo sempiterno presente, mentre saltellavamo, ridevamo e ballavamo inebriati dalla vittoria. I nostri amici ci saltarono addosso per farci i complimenti, dopotutto gli eroi eravamo noi. Ma Raf continuava ad essere apatica, come se avesse appena visto un fantasma; probabilmente era ancora scioccata per ciò che aveva appena visto. Per farla riprendere la presi fra le braccia e, in preda all’euforia, la sollevai e la feci girare in tondo mentre lei rideva come una matta; fui felice che finalmente stesse ritornando alla normalità. La posai a terra e, felice come non mai, mi dimenticai del luogo in cui ci trovavamo, mi chinai per baciarla. Lei per un attimo si incantò e si avvicinò a me a sua volta ma, quando mancavano pochi centimetri alle sua labbra calde e invitanti, si riscosse e mi fermò. «Sulfus ci vedono», mi ammonì con voce triste; capii che anche lei avrebbe voluto lasciarsi andare, solo che era molto più razionale e aveva capito che li sarebbe stato una follia. Perciò, con uno sbuffo e un’occhiataccia, mi staccai da lei, appena in tempo per evitare di farci scoprire dai prof.

«Raf, Sulfus!», urlarono contemporaneamente Arkhan, la Temptel, Gabi e Misha che stavano correndo verso di noi.

«abbiamo visto la fenice di fiamme, cos’è successo?», ci chiese la Temptel.

«sapesse prof… quei due sono stati fantastici. Anche se alla fine il contributo fondamentale l’ho dato io», disse Gas, che non vedeva l’ora di pavoneggiarsi con la Temptel nella speranza di impressionarla.

«Gas non è vero!», urlò Miki indignata, «sono stati Raf e Sulfus ad uccidere Reina, mica tu».

«si ma senza di me non sarebbe mai rimasta senza difese, quindi non avrebbero potuto sferrare il colpo finale», ribattè Gas sicuro di se.

Durante lo scambio Raf non si era mossa ne aveva parlato, osservandoci tutti ad uno ad uno, lasciando me per ultimo. Probabilmente non si era resa conto che me ne ero accorto; la sua espressione straziata mi colpì con la forza di un pugno allo stomaco. Perché stava così male? Sempre per ciò che aveva con Reina? Ormai mi sembrava improbabile.

Abbassò la testa un momento, fece un respiro profondo e, quando rialzò lo sguardo, un sorriso felice le illuminava il volto.

«adesso basta ragazzi», disse sempre sorridendo rivolta agli altri, che continuavano a bisticciare, «è stato merito di un lavoro di squadra, ognuno ha il suo merito», disse cercando di sedare la discussione. Era assolutamente vero, ognuno aveva fatto qualcosa.

«uff, già è vero», ammisero quei due in coro e facemmo un abbraccio di gruppo noi otto ridendo felici.

Ora Raf sembrava perfettamente normale, solare e felice come lo era sempre stata. Che mi fossi immaginato tutto?

«ora però, c’è un’altra questione da risolvere», disse serio Arkhan indicando Gas.

Noi, perplessi, ci voltammo verso di lui, curiosi perché non capivamo cosa intendeva, ma non appena posammo gli occhi su Gas capimmo; lui teneva ancora fra le mani la sfera di Reina.

«dobbiamo decidere cosa fare con la sfera», disse pensierosa la Temptel, «anche se secondo me dovremmo tenerla, in un luogo sicuro certo, ma tenerla».

Quello che disse la Temptel ci lasciò sbigottiti. Voleva tenere un oggetto malvagio? Ma era pazza? Vabbè che era una devil, e come a tutti piaceva trasgredire, ma questa era pura follia!

«ma sei pazza Temptel?!», urlò Arkhan sbigottito.

«io dico che va distrutto è un oggetto troppo pericoloso», disse Raf fissando con intensità lo scettro. Ma nel suo sguardo, anche se cercava di nasconderlo, c’era una stilla di terrore. Poteva ingannare tutti ma non me.

«io concordo con Raf, è troppo pericoloso tenere un oggetto del genere», rincarò Arkhan.

«forse nelle mani sbagliate», ribattè la Temptel, «ma la sfera nera racchiude un grande potere. Se riuscissimo a controllarla, avremmo accesso a delle conoscenze straordinarie. Immaginate le cose che potremmo fare per tutti».

In effetti, vista da questo punto di vista, la soluzione poteva essere presa in considerazione.

«beh non lo so», disse titubante Arkhan, «potrebbe essere una scelta che ci si ritorcerà contro».

«io non credo», la Temptel non voleva dargliela vinta, «dopotutto Reina è morta, nessuno potrebbe usarla a scopi malvagi».

«e va bene», si arrese Arkhan; l’idea di poter usare quella sfera per aiutare gli altri lo allettava troppo, «però la conserveremo sempre nella stanza dei ritratti, è l’unico posto abbastanza protetto per custodire la sfera».

La Temptel annuì, sapeva che Arkhan aveva ragione.

«no!», urlò qualcuno. Ci stupimmo nel constatare che era stata Raf a lanciare quell’urlo. Di solito lei non urlava mai, «ma non capite? Non c’è vantaggio per cui valga la pena di correre un rischio simile!», continuò; sembrava davvero fuori di se. Mi lasciò perplesso; non era un suo comportamento normale, cosa aveva? Mi stavo preoccupando sempre di più ogni minuto che passava.

«no Raf basta discutere, la decisione è stata presa», la liquidò Arkhan con tono duro.

Lei abbassò lo sguardo rassegnata. Aveva capito che era inutile discutere.

Arkhan e la Temptel si voltarono e richiamarono l’attenzione dei duecento e passa sempiterni presenti.

«oggi è un giorno di festa, perciò occupate il pomeriggio come più vi aggrada, stasera alla festa potrete scatenarvi», disse Arkhan, «con moderazione», sottolineò lentamente rivolto a noi stagisti.

«oh andiamo Arkhan, sono ragazzi, lasciali divertire», ribattè la Temptel. In quel momento avrei voluto ergerle un monumento.

«e va bene potrete divertirvi, ma coprifuoco a mezzanotte», concesse Arkhan.

«Evvai!», urlò Dolce all’improvviso, «ho tutto il pomeriggio per fare shopping». Noi scoppiammo a ridere.

«ok ragazzi potete andare, impiegate il pomeriggio come più vi aggrada», dissero in coro Arkhan e la Temptel e noi ci disperdemmo.

Cabiria mi si avvicinò con un sorriso sadico sulle labbra. «non mi sfuggi».

«cosa?», chiesi stupito io.

«devi diventare un vero strafigo stasera per lei», disse Cabiria, senza nominare Raf perché i prof erano a un tiro di schioppo da noi, «perciò ti rapisco e ti porto al centro commerciale per comprare uno smoking».

«nooooooo! Cabiria non mi puoi fare questo! Lo sai che io detesto lo shopping!», provai a protestare io.

«quello che vuoi tu è irrilevante», intervenì Kabalè con decisione, «perciò tu verrai con noi». E detto questo entrambe scattarono per acchiapparmi e portarmi al centro commerciale con la forza, ma io fui più rapido e mi scostai.

«no prima mi dovrete prendere», dissi con scherno e cominciai a correre.

«Sulfus! Torna subito qui!», urlarono le due cominciando a inseguirmi, mentre Gas e le angel scoppiavano a ridere.

Io corsi fuori dall’aula sfida come una furia e mi nascosi dietro un arazzo che nascondeva un corridoio segreto che collegava il sognatorio all’incubatorio. L’avevo usato spesso per andare di nascosto al sognatorio e osservare Raf mentre dormiva. Ovviamente lei questo non lo sapeva.

Mi nascosi dietro l’arazzo e vidi Cabiria e Kabalè passare avanti senza notarmi. Ghignai, gliel’avevo fatta.

Poi sentii un altro urlo di protesta, «dai Dolce non farmi questo!». Riconobbi la voce di Raf e capii cosa stava succedendo; Dolce voleva portare Raf a fare shopping e lei, essendo una sportiva, non ne voleva sapere.

Scostai di un poco l’arazzo che mi nascondeva e vidi Raf correre come un razzo per sfuggire alle sue amiche. Non appena mi si avvicinò, sporsi fuori una mano e le acchiappai un polso; poi la tirai dentro al passaggio con me giusto pochi istanti prima che le sue amiche passassero come furie. La strinsi a me per non farci scoprire, il corridoio era un po’ stretto. Lei mi sorrise.

«ottimo salvataggio», mi disse ridacchiando e con sguardo dolce, «e poi hai avuto un ottimo tempismo»., mi disse maliziosa. Io la guardai interrogativo, «avevo una gran voglia di fare una cosa».

Non feci in tempo a metabolizzare le sue parole, che mi ritrovai con le labbra incollate alle sue. Risposi immediatamente al bacio, anche io ne avevo una voglia matta.

Mi resi conto però che non era un bacio normale; le labbra di Raf erano si impazienti, smaniose come sempre, ma erano anche disperate; come se Raf fosse sicura che ci rimanesse poco tempo da passare insieme.

Il risultato? Un bacio passionale come non ne avevamo mai avuti, un fuoco che divampava nei nostri corpi inarrestabile. Strinsi Raf a me con foga, non l’avevo mai voluta come in quel momento. Lei mi rispose con tutta se stessa. Preso dalla frenesia del momento, la spinsi contro il muro e feci aderire i nostri corpi, stringendo la presa sui suoi fianchi. Lei gemette e approfondì il bacio, cosa che non credevo possibile. Ormai non avevamo più fiato. Mi staccai, ma non ero pronto a interrompere il contatto con la sua pelle, quindi feci una cosa che non avevo mai fatto prima: scesi con le labbra sul suo collo e lì la baciai, gustando il sapore della sua pelle. lei gemette di nuovo e mi accorsi che ormai il suo respiro era completamente fuori controllo. Questo non fece che eccitarmi ancora di più. Dopo aver esplorato ogni centimetro della pelle del suo collo, risalii e mi attaccai nuovamente alle sue labbra mentre lei, con un’audacia di cui non l’avrei mai ritenuta capace, allacciava una gamba al mio bacino e faceva aderire ancora di più i nostri corpi. Questa volta fui io a gemere.

Ormai eravamo a un punto di non ritorno, eravamo talmente eccitati che sapevo che stavolta non ci saremmo fermati. Non che volessi fermarmi.

Purtroppo (o forse per fortuna visto il luogo in cui eravamo) qualcuno ci interruppe. «beccati!», dissero quattro voci in coro.

Ritornammo lucidi improvvisamente e ci staccammo con violenza, eccitati come non mai e con il respiro affannato.

Ancora sconvolti per quello che era appena successo, ci guardammo intorno e vedemmo Uriè e Dolce, che occupavano il corridoio dalla parte dell’arazzo, e Cabiria e Kabalè che ostruivano l’altra parte. Ci guardavano con un ghigno soddisfatto sul volto.

«oh oh», mormorai io stringendo inconsciamente la presa su Raf.

«mi sa che stavolta non riusciremo a scappare», mi disse Raf con espressione terrorizzata. Come darle torto; la prospettiva di un pomeriggio di shopping con quelle pazze era a dir poco allucinante. Eravamo in trappola.

Le quattro si avvicinarono a noi e ci afferrarono. Uriè e Dolce presero per le braccia Raf, mentre di me si occuparono Cabiria e Kabalè.

«no dai ragazze per favore!», cercò di protestare Raf. Inutilmente.

«oh adesso basta», sbottò Cabiria esasperata, «voi due adesso venite con noi al centro commerciale».

«va bene», acconsentì  Raf. Io la guardai allucinato. Ma era impazzita? «a patto che voi non ci costringerete a comprare niente. Voi potrete consigliarci, ma saremo noi a prendere la decisione finale». Cavolo, quando ragionava così sembrava una devil. Che idea!

Loro ci guardarono truci ma alla fine acconsentirono; sapevano che altrimenti non sarebbero mai riuscite a portarci lì.

Finalmente soddisfatti ci guardammo e sorridemmo.

Uscimmo dal passaggio segreto e ci facemmo trascinare fuori dalla scuola. Ci alzammo in volo e, tutti e sei, ci dirigemmo al centro commerciale. Quando vi arrivammo, ci posizionammo dietro gli alberi, dove i terreni non potevano vederci, e azionammo la metamorfosi.

Una volta umani, uscimmo dal nostro nascondiglio e ci mescolammo ai terreni.

«bene a questo punto ci separiamo», disse Dolce con uno sguardo complice a Cabiria che non mi piacque affatto.

«cosa?», dissi io contrario. Volevo restare con Raf.

«niente storie», disse Cabiria, «abbiamo deciso che non dovrete vedervi fino alla festa, di conseguenza non potete fare acquisti insieme».

«ma perché scusate?», mise il broncio Raf stringendosi a me, mentre io ricambiavo la stretta.

«per non rovinarvi l’effetto sorpresa no? Vogliamo tenervi la sorpresa per stasera alla festa», disse Uriè come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Detto questo ci staccarono a forza e ci trascinarono in direzioni opposte. Prima che io o lei potessimo fare qualunque cosa, eravamo già mescolati ai terreni e ci eravamo persi di vista.

«ma che palle ragazze!», dissi io divincolandomi ma continuando a seguirle, «non potevate almeno farmela salutare?», chiesi imbronciato. Sarebbe stato un pessimo pomeriggio.

Loro ridacchiarono ma non risposero, continuando a camminare.

«allora», esordì Cabiria, «per prima cosa direi di cominciare dallo smoking», mi disse con un sorriso e mi trascinò verso un negozio dall’altra parte del corridoio.

Eh no non c’eravamo proprio. Se dovevo vestirmi, volevo farlo a modo mio. «un momento!», dissi contrariato puntando i piedi.

«che c’è Sulfus?», mi chiese Kabalè perplessa.

«io lo smoking non me lo metto. Sembrerei solo un pinguino impomatato e farei la figura dell’idiota», spiegai a loro. Mi era già venuta qualche idea.

«ma sei matto?», rimbeccò Cabiria, «lo smoking è il massimo dell’eleganza, è perfetto per stasera».

«ma non mi rappresenta», non volevo cedere, non me lo sarei messo per nulla al mondo, «io non voglio sembrare un damerino, voglio essere me stesso».

Cabiria stava per ribattere, ma stranamente Kabalè intervenì in mio aiuto. «io credo abbia ragione, Cabiria. Deve piacere a Raf per come è, non per come appare», e detto questo mi fece l’occhiolino. La adoravo.

«uff d’accordo», si arrese Cabiria, «ma allora come vuoi vestirti?», mi chiese stupendomi e lasciandomi libera scelta.

«come sono io. Bello, dannato e impossibile», le risposi ridacchiando.

« e soprattutto modesto», mi rimbeccò Kabalè. Io sorrisi a trentadue denti.

«conoscete un negozio di pelle qui vicino?», le chiese. A loro si illuminarono gli occhi, capendo un po’ cosa volevo fare e mi portarono dritto al negozio che stavo cercando.

Una volta entrato mi persi a contemplare gli infiniti capi di pelle esposti. Dopo infinite indecisioni, rimproveri e consigli, decisi di prendere una giacca di pelle lunga fino alla vita, aderente anche da slacciata in modo che mettesse in risalto i miei muscoli.

Poi ci spostammo in un negozio per uomini per decidere i vestiti. Alla fine optai per una camicia bianca che metteva in risalto i pettorali, giusti per dare quel tocco di eleganza che serviva, e un paio di jeans neri che mettevano in risalto i muscoli del polpaccio. Mi ritenni soddisfatto. Quelli erano vestiti, altro che smoking!

Una volta usciti da lì, il mio libero arbitrio si esaurì. «ora dobbiamo andare al negozio di intimo», mi disse Cabiria e io per poco non mi strozzai con la saliva.

«come scusa?», le domandai incredulo.

«eddai non fare quella faccia», sghignazzò Kabalè, «quando si va a fare acquisti si rinnova tutto il guardaroba e poi scommetto che tu non ti compri qualcosa di nuovo da un casino di tempo». a malincuore dovetti capitolare in fondo era vero. Però, che imbarazzo! Oh andiamo Sulfus sei un devil tira fuori le palle!

Perciò andammo verso il negozio di intimo più vicino e vi entrammo. Mentre giravamo fra gli scaffali, mi parve di vedere una chioma fucsia vicino ai camerini. Ci avvicinammo e trovammo Uriè e Dolce agli scaffali di fronte a una tendina che guardavano due completi. Io distolsi lo sguardo. Ma non vedevo Raf. Dov’era?

«ragazze che ci fate qui?», chiesero Cabiria e Kabalè in coro, facendo la faccia contrariata. E meno male che non dovevamo incontrarci.

Ma loro non ci badarono e guardarono terrorizzate me. «Sulfus?! Che ci fai qui? Presto devi andare via prima che…», dissero provando a spingermi via ma non fecero in tempo.

La tendina del camerino si spostò e sentii una voce celestiale dire, «ragazze ma siete sicure che la lingerie serva per stasera?».

Quello che vidi rischiò di farmi venire un infarto. Davanti a me, in tutto il suo splendore, era apparsa Raf con solo addosso un misero completo di intimo in pizzo nero che lasciava ben poco spazio all’immaginazione. Oddio! Bip, bip, biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip… Cervello andato, ripeto, cervello andato! Sapevo che sembravo un maniaco e un pervertito, ma non riuscivo a distogliere gli occhi dalla stupenda visione che mi era apparsa. Non avrei mai creduto che Raf potesse avere un corpo così perfetto, coperto dai vestiti non avevo mai potuto ammirarlo nella sua totale perfezione: curve al punto giusto, gambe snelle e flessuose, ventre piatto, seno ne troppo grande ne troppo piccolo e quel leggero accenno di muscoli sulle braccia che mi faceva impazzire.

Sentii un violento calore nel basso ventre, mentre quella visione spediva la mia eccitazione dritta nel girone dei violenti dell’inferno. Se non me la cavavano da sotto gli occhi, avrei rischiato di sbatterla contro il muro del camerino!

Sapevo che non dovevo farlo ma, come un assatanato, percorsi avido con gli occhi tutta la silhouette del suo corpo magnifico per memorizzarlo nella mia testa. Mi sembrava di essere in paradiso (e che le basse sfere mi passassero il termine!).

Ne io ne lei avevamo proferito parola da quando era uscita dal camerino, troppo sorpresi per muovere un muscolo ma fu lei a rompere l’idillio. «Sulfus?!», gridò arrossendo di botto, «ma cosa… cavolo… non guardare!!!», urlò tirando di nuovo la tenda del camerino e nascondendosi alla mia vista.

Quel gesto mi riportò lucidità e, arrossendo, mi voltai di scatto per nascondermi la vista del camerino. Perché niente mi assicurava che avrei resistito alla tentazione di sbirciare per avere di nuovo quella afrodisiaca visione davanti agli occhi. «Raf scusa!», le urlai in un patetico tentativo di scusa. Diavolo, che imbarazzo! «mi dispiace, non avevo idea che…».

La sua voce ovattata dall’imbarazzo giunse dallo stanzino, «non ti preoccupare avrei dovuto controllare che non ci fosse nessuno». Beh a me non era dispiaciuto alla fine.

«ehm si beh ecco io ora vado», balbettai ancora un po’ imbarazzato, «ci vediamo stasera». E senza aspettare risposta ne aver salutato Uriè e Dolce, uscii a passo di carica dal negozio, mentre le altre due mi seguivano.

All’improvviso le sentii scoppiare a ridere e le guardai stralunato. Ma che c’era di divertente?

«oddio Sulfus avresti dovuto vedere la tua faccia quando hai visto Raf», ululò Kabalè senza un minimo di ritegno.

«che faccia scusa?», le chiesi io, anche se avevo paura di conoscere la risposta.

«completamente assatanata! Eri talmente sconvolto che ho temuto che potessi prendertela lì», mi rispose candidamente lei. Io per poco non soffocai. Oddio chissà che faccia mi era uscita! Chissà cosa aveva pensato Raf! Probabilmente che ero un maniaco! Ah non volevo pensarci!

“anche se per quello che hai pensato quando l’hai vista, sei un maniaco”, mi stuzzicò la mia parte nera. Che ci potevo fare se era così dannatamente irresistibile?

«uff lasciamo perdere, mancano le scarpe, andiamo», le dissi per cercare di interrompere la loro presa per il culo. Normalmente avrei fatto di tutto per evitare quella tortura, ma se in questo caso serviva a distogliere l’attenzione da me e da Raf, ben venga.

«certo, certo», mi risposero in coro quelle due ma non obiettarono.

Ci avviammo al negozio di scarpe più vicino e, fortunatamente, decidemmo in fretta. Optai per un paio di scarpe da ginnastica nere non troppo sportive, in modo che non stridessero con quello che avevo già comprato.

Finalmente a posto tirai un sospiro di sollievo. Quella tortura era finita.

«bene, ora che Sulfus è a posto, possiamo pensare a noi», disse Cabiria a Kabalè, che annuì.

Cosa?! No! E io che pensavo che la tortura fosse finita!

«voi? E no mie care, voi ve la cavate da sole, io me ne torno a scuola a fare niente con la mia roba», le dissi ghignando. Mi sarei vendicato per quel pomeriggio di torture.

«come? Oseresti lasciare delle povere donne da sole a fare shopping senza nessuno che le aiuti», mi disse Kabalè facendo lo sguardo da cucciolo che sbriciolava sempre ogni mia resistenza. «vero che rimani Sulfie?».

Mossa sbagliata. Detestavo farmi chiamare Sulfie. Era un nomignolo che avevo sempre detestato. «puoi scordartelo», le dissi ridendo e corsi via portandomi dietro la mia roba. Sentii le loro urla di protesta ma non ci badai.

Avevo altro per la testa; non per ultimo il corpo di Raf avvolto solo da quel misero completino intimo. Pensarla mi fece ritornare in mente che questa sarebbe stata la nostra ultima sera insieme per chissà quanto tempo e capii di volerle fare un regalo speciale di arrivederci, qualcosa che le restasse nel cuore.

Ci stavo rimuginando, quando, poco prima di uscire dal centro commerciale, vidi un negozio di musica, con esposto in vetrina un bellissimo pianoforte a coda nero lucido. Mi fermai di botto; nessuno lo sapeva, perché non era una cosa che si addicesse ad un devil, ma in realtà io sapevo suonare il pianoforte, anche meglio di certi pianisti angel, per i quali suonare il piano era una forma d’arte. Se gli altri devil lo avessero saputo mi avrebbero preso in giro a vita, ma io avevo sempre considerato il pianoforte uno strumento affascinante e, di nascosto da tutto e da tutti, avevo coltivato la mia passione per anni. Ora potevo sfruttare questa passione per fare il mio regalo a Raf.

Illuminato da nuova determinazione, attivai la metamorfosi inversa, volai verso la scuola e mi misi al lavoro.

ECCO LE RECENSIONI:

GIRL95DEVIL: SONO FELICE CHE LA MIA STORIA TI PIACCIA COSì TANTO, NON CREDEVO CHE AVREBBE SUSCITATO TANTO INTERESSE SAI? GIA' NON SAI CHE DAREI PER ESSERE AL POSTO DI RAF QUANDO SULFUS LA BACIA SBAV... OK LA FINISCO DI SBAVARE XD E' VERO RAF SI VUOLE GODERE I MOMENTI CON SULFUS PRIMA DELLA PARTENZA MA COME AVRAI LETTO DA QUESTO CAPITOLO E COME LEGGERAI DAL PROSSIMO, LE COSE SI STANNO PER FARE MOLTO PIU' COMPLICATE DI COSì, SOPRATTUTTO PER QUANTO RIGUARDA LA DECISIONE DI RAF... PERCIO' PREPARATI PERCHE' I CAPITOLI DIVENTERANNO MOLTO TRISTI E MALINCONICI DA QUI A POCO TEMPO... EH LO SO CHE FACCIO FINIRE SEMPRE SUL PIU' BELLO SENNO CHE GUSTO CI SAREBBE? XD ANCH'IO VI VOGLIO BENE SPERO CHE APPREZZERAI IL MIO REGALO DI COMPLEANNO XD KISS

_ELEA_: D'ACCORDO ALLORA, ASPETTERAI... ODDIO GRAZIE PER IL COMPLIMENTONE OoO... IO SONO UNA FAN SFEGATATA DELLA MEYER E SENTIRTELO DIRE (ANZI SCRIVERE) MI HA FATTO UN PIACERE ENORME, NON SAI CHE ONORE PER ME ESSERE PARAGONATA A STEPHANIE... Sì ANCHE IO AVEVO LA STESSA IDEA SUL TOCCO CREDO SIA PROPRIO COSì!!! GRAZIE PER AVERLA INSERITA FRA LE PREFERITE!!! KISS

KIKKA97/CLOE97: IHIH LO SO CHE TI PIACE, TI PUOI VANTARE CON LE ALTRE FAN XD GRAZIE ANCHE A TE PER IL COMPLIMENTO SULLA MEYER, PER ME E' STATA DAVVERO UNA BELLA COSA!!! AHAH NON CREDO CHE RIUSCIRò MAI A PUBBLICARE UN LIBRO SAI? NON SONO COSì BRAVA COME CREDETE... AHAH PUOI ANCHE FARE MILLEDUE TANTO A ME NON DISPIACE XD E POI TU NON ROMPI MAI!!! KISS

GINA1:CHE BELLO UNA NUOVA FAN! FELICE DI AVERTI NEL GRUPPO!!! AHAH LO SO SONO CATTIVA MA NON TI PREOCCUPARE OGGI CON IL MIO REGALO SPECIALE POTRAI FARE IL PIENO!!! SPERO DI RIVEDERTI PRESTO ALLA PROSSIMA!!! KISS

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Capitolo 4
*** 4° CAPITOLO: “INSIEME PER L’ULTIMA VOLTA” ***


RAGAZZE ECCO A VOI COME PROMESSO IL 4° CAPITOLO DELLA STORIA!!! IO DEVO ANDARE PERCHE' MI DEVO METTERE IL GHIACCIO SULLA CAVIGLIA PERCHE' ME LA SONO STORTA SIGH SIGH T_T KISS A TUTTE ALLA PROSSIMA!!!

4° CAPITOLO: “INSIEME PER L’ULTIMA VOLTA”

POV RAF

Dolore. Non sentivo nient’altro che dolore. Un dolore talmente vivo, bruciante che sembrava corrodermi le carni e consumarmi le ossa. Non credevo che una persona potesse provare un’agonia interna così maledettamente devastante. Molte volte avevo pensato di aver raggiunto il livello massimo di dolore che potevo provare: quando avevo capito che io e Sulfus non saremmo mai potuti stare insieme, quando ero stata quasi espulsa dalla scuola e avevo quasi perso le mie amiche più care, quando, solo poche ore prima, ero stata convinta di dover lasciare Sulfus per molto tempo prima di poterlo rivedere.

Ma quello in confronto era niente; questo dolore, questa consapevolezza, facevano dieci volte più male di qualunque cosa avessi mai provato prima. Mi sembrava che mi stessero strappando il cuore a morsi, molto lentamente per prolungare l’agonia.

E ne sapevo il motivo: anche se le volte precedenti ero stata disperata, avevo sempre avuto una qualche speranza che non sarebbe stato così, che le cose sarebbero potute andare diversamente e cambiare nonostante tutto; stavolta sapevo che per me non c’era più speranza, sapevo che stavolta le cose non sarebbero mai tornate come prima, che questa volta, almeno per me, era tutto perduto. E se tutto questo dolore derivava semplicemente dalla consapevolezza di aver deciso, non osavo immaginare quanto questa agonia sarebbe stata insopportabile una volta che avessi messo in pratica la mia decisione. Mi feci forza: lo dovevo fare per loro.

Oltretutto la preoccupazione che provavo non mi aiutava affatto: la consapevolezza che la sfera nera era ancora a “piede libero” mi stringeva lo stomaco in una morsa. Avevo provato a convincere gli altri a distruggerla ma non c’era stato verso e, quando avevo capito che con il mio comportamento stavo attirando l’attenzione, avevo desistito. Per attuare il piano che si stava formando nella mia testa avevo bisogno di passare inosservata e risultare il più normale possibile, così nessuno avrebbe sospettato niente.

Avrei potuto rivelare ciò che era successo per convincerli che distruggere la sfera era la scelta migliore ma non lo feci: era un problema mio e non volevo metterli in pericolo.

Le risate delle ragazze mi riportarono alla realtà e cercai di assumere la mia solita espressione rilassata per non tradire la mia angoscia interiore. Vidi Sulfus correre via rapidissimo mentre le devil lo rincorrevano intimandogli di fermarsi: lo volevano portare a fare shopping. Nonostante la desolazione che albergava nel mio cuore, non potei impedirmi di farmi scappare un piccolo sorriso: Sulfus a fare shopping proprio non ce lo vedevo.

«ehi tu cos’è quel sorrisetto ironico?», mi apostrofò Dolce, «non credere che ti risparmierò», continuò con uno scintillio malefico negli occhi. Perché la prospettiva di un pomeriggio di shopping con Dolce mi terrorizzava tre volte di più della prospettiva di dieci attacchi di Reina in contemporanea?

«dai Dolce non farmi questo», la supplicai con gli occhi da cucciolo e la voce tenera per cercare di farla desistere dai suoi propositi omicidi.

«oh sì invece!», rincarò Uriè, avvicinandosi minacciosa a me. E a quel punto scappai. Infilai alla velocità della luce la porta dell’aula sfida e mi fiondai in corridoio, mentre quelle due urlavano e mi rincorrevano. Mi dovevo nascondere ma non avevo idea dove.

Proprio mentre passavo davanti a un arazzo, una mano sbucò da dietro il tessuto e mi afferrò un polso, trascinandomi dietro un corridoio segreto di cui non conoscevo l’esistenza.

Due braccia forti mi strinsero e il suo profumo mi avvolse. Incatenai i miei occhi ai suoi e gli sorrisi, mentre le mie amiche passavano avanti senza notarci.

In quel momento però, non me ne importava niente di loro: in quel corridoio angusto, il dolore per l’imminente separazione, il desiderio di lui, il suo profumo e la sua vicinanza, si stavano combinando in un mix esplosivo che mi stava dando alla testa.

Perciò, senza tanti preamboli, dopo un breve scambio di battute, incollai disperatamente le mie labbra alle sue, smaniosa di riappropriarmene. Lui, dopo un attimo di smarrimento, dovuto alla mia insolita irruenza, mi strinse a se con foga come se non volesse più lasciarmi andare e ricambiò con passione il mio bacio. Quel pensiero mi scatenò un’agonia insopportabile dentro e approfondii ancora di più il bacio, accorgendomi solo in quel momento che mi aveva appoggiata al muro.

Senza fiato ci staccammo ma lui non volle allontanarsi dalla mia pelle ed esplorò con le sue labbra il mio collo, scatenando i miei brividi di piacere e facendomi gemere. E quando risalì e si attaccò di nuovo alla mie labbra, allacciai una gamba al suo bacino per avvicinarlo di più a me, desiderosa di un contatto più profondo fra noi. Lo sentii gemere.

La parte del mio cervello non ancora disconnessa e pensante continuava a lanciarmi domande: perché non mi fermavo? Perché, anzi, non volevo che smettesse, che mi stringesse di più? Perché volevo così disperatamente sentire la sua pelle sulla mia e le sue mani che, accarezzandomi, mi avrebbero mandata in estasi? Perché?!

Erano domande senza risposta. E intanto, un unico ordine, che il mio corpo stava volutamente ignorando, si stagliava nella mia mente: fermati, fermati, fermati!!! Ma il mio problema era che non mi volevo fermare.

Fortunatamente fummo costretti a staccarci; quelle quattro maniache dello shopping ci avevano trovato e intrappolato. Fummo presi a forza e condotti fuori dal corridoio. Normalmente non mi sarei mai sottoposta a quel supplizio ma quel giorno mi resi conto che era proprio quello che volevo; era la mia ultima occasione  per poter passare un po’ di tempo con le mie amiche e non me la sarei fatta sfuggire, volevo passare il mio ultimo pomeriggio con loro. Però posi la mia condizione e loro, a malincuore, la accettarono; sapevano che altrimenti non sarebbero mai riusciti a trascinarci a fare shopping.

Finalmente d’accordo ci lasciammo trascinare al centro commerciale. Una volta arrivata venni presa da un senso allo stesso tempo di euforia e di tristezza; era l’ultima giornata che avrei trascorso con le mie amiche.

Avevo programmato di restare sempre appiccicata a Sulfus, volevo stare con lui il più possibile, ma i propositi di quelle pazze fecero sfumare i miei piani. Infatti, senza darci tempo di replicare, ci trascinarono in due direzioni opposte dividendoci perché avevano deciso che non potevamo vederci fino alla festa.

Ero arrabbiata e triste perché avevano deciso per me ma, quando fui lontana da Sulfus, capii che, in realtà, era quello che volevo; volevo passare un po’ di tempo da sola con le mie amiche come non mi accadeva da tanto, troppo tempo. perciò relegai ogni pensiero triste in fondo alla mia mente e decisi che quell’ultima giornata con loro non me l’avrebbe rovinata niente e nessuno.

«allora, da dove vogliamo cominciare?», le chiesi, lasciandole stupite. Ma si ripresero subito e approfittarono di quell’unica occasione in cui mi mostravo accondiscendente.

«ma dal vestito ovvio!», esclamò Dolce e subito mi prese per mano portandomi verso l’unico negozio del centro che vendeva vestiti adatti al ballo di fine anno. Uriè ci seguì pronta a dare man forte a Dolce nel caso avessi cercato di scappare.

Entrammo nel negozio e subito Dolce entrò in modalità iperattiva, «bene direi subito di cercare qualcosa di elegante ma innovativo», disse dirigendosi verso il reparto dei vestiti più elaborati, lunghi e scomodi. Da evitare come la peste!

«no Dolce!», dissi fermandola. Stava già per ribattere ma la precedetti, «non voglio qualcosa di eccessivamente elegante, anzi, voglio qualcosa di informale che rispecchi la mia personalità», e anche sexy avrei voluto aggiungere ma non lo feci, dopotutto non sapevo nemmeno io perché volessi un vestito sexy.

A Dolce si illuminarono gli occhi, aveva capito cosa intendevo e subito tutte e tre ci precipitammo verso il reparto dei vestiti più “sportivi”. Passammo ore a provare vestiti su vestiti, mentre le commesse, sconvolte dalla pazzia delle mie amiche, cercavano di accontentarci indicandoci i capi che secondo loro facevano al caso nostro, capi che sistematicamente Dolce scartava, spesso senza neanche farmeli provare, dicendo che non si adattavano alla mia figura. Dopo un po’ esasperata, visto che Dolce non mi interpellava quasi mai, sgattaiolai via nella corsia adiacente che Dolce non aveva considerato perché diceva che non c’erano capi adatti a me; in effetti quello era più un reparto per le devil che per le angel. Tuttavia, spinta da non so cosa, cominciai a girare in quella corsia dando un’occhiata ai vestiti esposti in quella sezione, leggermente più provocanti rispetto a quelli casti e puri su cui volevano puntare Dolce e Uriè.

Stavo per tornare da loro, quando un vestito su un manichino nascosto in un angolo della corsia attirò la mia attenzione; mi ci avvicinai per guardarlo meglio, visto che la luce in quel punto non era delle migliori, e rimasi senza fiato: era un vestito nero che arrivava a metà coscia, molto aderente. Era senza spalline e si allacciava dietro al collo e lasciava le spalle scoperte passando da sotto le ascelle. Per finire il tutto, un motivo curvilineo di strass si propagava per tutto il vestito. Lo fissai estasiata e ne fui sicura: avevo trovato il vestito perfetto per me.

«Dolce, Uriè!», urlai attirando la loro attenzione. Si precipitarono al mio fianco in un batter d’occhio.

Mi guardarono interrogative, chiedendosi perché avessi urlato in quella maniera, e io, prima che potessero parlare, le indicai con un sorriso enorme il vestito di cui mi ero innamorata a prima vista. Non appena ci posarono i loro occhi sopra i loro sguardi si illuminarono anche se Dolce non sembrava proprio convinta.

«Raf sei sicura che questo vestito sia adatto? A me sembra un po’ troppo provocante», mi disse infatti dubbiosa.

«oh andiamo Dolce», mi disse Uriè venendomi in aiuto, «direi che per una volta possiamo passare sopra agli schemi. Dopotutto dobbiamo portare a termine la missione “come far impazzire Sulfus stasera” e direi che per una volta uno strappo alla regola possiamo permettercelo». La fissai stralunata; di solito un angel non diceva mai queste cose. Mi affrettai però a ringraziarla con lo sguardo, se l’avevo come alleata Dolce non avrebbe potuto opporsi alla mia volontà. Dentro di me gongolai di soddisfazione.

«uffa e va bene però voglio vedere prima come ti sta», disse Dolce che voleva come al solito esserne sicura al cento per cento. Detto questo, senza tanti complimenti, prese il vestito dal manichino , me lo mise fra le mani e mi spinse dentro un camerino.

Mi sfilai jeans e maglietta e mi infilai il vestito facendolo passare dalle gambe; me lo allacciai dietro al collo e me lo posizionai bene intorno al corpo in modo che aderisse bene e non facesse pieghe. Con il vestito a posto mi rimirai nello specchio e rimasi senza fiato; ero davvero io quella ragazza provocante e affascinante riflessa nello specchio? Insomma non per vantarmi ma ero davvero splendida. Non fosse stato per un particolare. In tutto quello l’unica cosa che faceva a pugni era la mia biancheria che, oltre a essere bianca, era sportiva, quindi totalmente inadatta a quell’abito. Dentro di me mi maledii; perché non avevo mai ascoltato Dolce e Uriè quando mi dicevano che nel guardaroba di una ragazza dovrebbero esserci anche dei completini sexy invece che solo sportivi? Infatti, essendo una sportiva, avevo sempre preferito la roba comoda a quella elegante e, di conseguenza, nel mio armadio potevi trovare brassiere a non finire, ma non un solo completo che avrebbe potuto essere adatto per la serata.

A parte quel piccolo particolare, il vestito mi stava d’incanto; aderente ma non in modo volgare, mi metteva in risalto le forme del sedere e delle cosce e la leggera scollatura metteva in risalto il mio decolté. Un sorriso mi illuminò il viso.

Spalancai la tendina e uscii. Quando le ragazze mi videro per poco non le schizzarono gli occhi fuori dalle orbite. «Raf sei stupenda!», riuscì a dire Dolce dopo un primo attimo di muta sorpresa, «non l’avrei mai detto ma questo vestito ti sta d’incanto». E capii che ora anche lei era convinta dell’acquisto.

Perciò, finalmente soddisfatte, pagammo e uscimmo e, prima di andarcene, feci in tempo a vedere le commesse accasciarsi sfinite a terra. Dolce sapeva essere devastante quando voleva e oggi lo era stata più del solito.

«ora passiamo alla biancheria», urlò Dolce in preda all’entusiasmo.

Avrei voluto ribattere, comprare biancheria era l’ultima cosa che volevo, ma non lo feci; dopotutto avevo ammesso io stessa che avevo bisogno di qualcosa di più adatto all’occasione in camerino. Perciò mi lasciai trascinare al negozio di intimo più vicino. Appena entrammo Dolce e Uriè mi condussero nel reparto dei completi più provocanti. Non appena vidi le cose esposte in quel reparto, mi venne un colpo.

«ragazze ma siete diventate matte?!», quasi urlai, «devo andare a una festa in maschera non ad un party di playboy». Non mi sarei messa quei cosi per nessuna ragione al mondo, «io opterei per qualcosa di non eccessivamente appariscente», dissi loro prendendo un semplice completo nero, ne troppo appariscente ne troppo semplice, elegante quanto bastava per quella serata.

«no no non se ne parla», ribattè Dolce decisa, «tu adesso ti provi questo», mi disse mostrandomi un completino di pizzo nero che veniva dalla sezione lingerie; era minuscolo e provocante, perfetto decisamente per un altro tipo di intrattenimento. A quel pensiero, imbarazzatissima e rossa come un peperone, trasalii.

«oh poche storie e non fare quella faccia», mi rimbeccò Uriè, «tanto da sotto il vestito non si vedrà niente e devi trovare qualcosa di abbastanza delicato che si abbini. Quindi questo è perfetto. Ora va dentro al camerino e provatelo» e detto fatto mi spinsero dentro il camerino senza possibilità di replicare. Perciò, con un sospiro, cominciai a spogliarmi. Feci scivolare a terra i vestiti e poi, con un attimo di esitazione perché il mio sesto senso inspiegabilmente si era risvegliato, mi tolsi anche l’intimo. Deglutendo un po’ imbarazzata da quel completo, me lo indossai con mani tremanti dando le spalle allo specchio. Avevo paura di guardarmi.

Facendo attenzione a non guardarmi per evitare di strapparmelo di dosso, uscii dal camerino per farmi vedere dalle altre.

«ragazze ma siete sicure che la lingerie serva per stasera?», dissi con sguardo basso un po’ imbarazzata. Tuttavia l’unica cosa che sentii fu un respiro trattenuto bruscamente, perciò alzai lo sguardo e gelai; davanti a me, che mi fissava con un espressione a metà fra lo stupito e l’eccitato, c’era Sulfus. Troppo sorpresa per fare alcunché rimasi a fissarlo con la bocca spalancata mentre lui, con lineamenti ora molto più eccitati che stupiti, percorreva tutta la mia figura. Il suo sguardo affamato scatenò in me una reazione che non avrei mai ritenuto possibile; perché in quel momento il suo desiderio era evidente nei suoi occhi infuocati che mi guardavano, e quel desiderio stava risvegliando in me una parte che non sapevo neanche di avere fino a che non aveva cominciato a farsi sentire. La parte del desiderio e dell’amore, che in quel momento gridava solo una cosa: “prendimi Sulfus, sono tua, prendimi e fa di me quello che vuoi”. Ero completamente soggiogata dal suo sguardo, succube della sua persona, sottomessa alla forza del suo desiderio che si rifletteva anche in me. Il suo sguardo percorse nuovamente la mia figura dall’alto in basso, lentamente, beandosi del momento che  si era creato. Fu quello sguardo però, quando incrociò di nuovo i miei occhi, che mi fece rinsavire; mi resi improvvisamente conto che ero davanti a Sulfus praticamente nuda!

Arrossii di botto. «Sulfus?! ma cosa… cavolo… non guardare!!!», urlai tirando la tendina e nascondendomi alla sua vista, non prima di averlo visto girarsi per non vedere. Era rosso come un pomodoro.

«Raf scusa!», mi urlò tentando di scusarsi, «mi dispiace, non avevo idea che…», cercò di parlare ma non lo lasciai finire; in fondo dovevo stare più attenta io.

«non ti preoccupare avrei dovuto controllare che non ci fosse nessuno», dissi con voce rotta dall’imbarazzo. Il problema era che, anche se non l’avrei mai e dico mai ammesso, lo sguardo con cui mi aveva fissato, il suo sguardo, mi aveva eccitata da morire e mi era piaciuto.

Mi salutò e se ne andò velocemente, imbarazzato tanto quanto me. Il problema era che non mi calmavo; il desiderio che il suo sguardo aveva scatenato dentro di me non accennava a diminuire, anzi, cresceva sempre più ogni minuto che passava. Mi appoggiai alla parete fresca cercando così di spegnere il fuoco che imperversava senza sosta dentro di me: perché il suo sguardo aveva scatenato pensieri e istinti che una angel non dovrebbe mai avere.

Scossi la testa, cercando di schiarirmela e di fare luce sui miei sentimenti. Insomma, ero sempre stata con Sulfus al mio fianco ma non avevo mai provato delle emozioni così intense; erano talmente forti che mi stordivano con la loro intensità e non trovavo la causa. Perché ora doveva essere diverso?

 E finalmente trovai la risposta: il mio desiderio era aumentato quando avevo preso la drastica decisione di andarmene dopo lo scontro con Reina. Questo voleva dire solo una cosa: che la consapevolezza che presto ci saremmo separati per sempre, senza la possibilità di rivederlo, aveva portato a galla ciò che il mio inconscio e il mio lato da angel avevano volutamente ignorato e represso. La passione, l’amore  e il desiderio, il desiderio di condividere per un’unica volta nella mia vita l’esperienza più appagante che una coppia potesse avere.

Finalmente tutti i tasselli andavano al loro posto, avevo finalmente capito cosa scatenasse le mie violente reazioni: la voglia di fare l’amore con Sulfus, di sentirmi completa, un’unica volta nella mia vita prima di sparire per sempre e così cadere nel vortice della disperazione. Sorrisi per la prima volta sinceramente dopo la battaglia; il mio sorriso era però velato di determinazione. Volevo fare l’amore con Sulfus e l’avrei fatto, fosse l’ultima cosa che avrei fatto nella mia esistenza, e il bello era che non mi scandalizzavo più di tanto perché, alla fine, la mia era solo una ricerca della felicità, un piccolo momento di felicità prima di cadere nel vortice della disperazione.

Finalmente consapevole di quello che volevo fare, mi rivestii e uscii dal camerino, dove trovai ad aspettarmi Dolce e Uriè, che mi fissavano con espressione preoccupata. «Raf tutto bene?», mi chiese Uriè apprensiva.

Io fui solo capace di annuire con un sorriso smagliante sulle labbra. Loro si fissarono interrogative ma poi scossero la testa e sorrisero. «allora Raf lo prendiamo?», mi chiese Dolce, indicando il completo che avevo ancora in mano.

«certo!», dissi io. Sulfus aveva già dimostrato di apprezzarlo e quindi era sicuramente un ottimo alleato per farlo impazzire. Rimasi scioccata dai miei stessi pensieri: da quando in qua una angel aveva il fegato di pensare certe cose? Ma in quel momento non m’importava. Avevo un obiettivo e l’avrei raggiunto a qualsiasi costo.

Andammo a pagare alla cassa ed ebbi una sorpresa a dir poco piacevole; abbinato al completo che avevo provato c’era una sottoveste in pizzo nero che veniva in regalo insieme al completo. Non potevo sperare in niente di meglio.

Decidemmo, una volta fuori, di passare agli accessori. Perciò ci dirigemmo senza indugio verso il negozio di scarpe più vicino. Lì, dopo un’attenta ed estenuante scelta ad opera di Dolce, decidemmo di comprare un paio di scarpe col tacco: i laccetti di pelle erano stile infradito con dei lustrini che richiamavano gli strass del vestito, ma il vero colpo di genio era che i laccetti della scarpa si intrecciavano su tutto il polpaccio fino quasi al ginocchio, slanciandomi ancora di più del solito.

Poi passammo ai gioielli anche se optammo per qualcosa di semplice; un braccialetto e una collana a pendente di cristalli Swarovski, che alla fine non costavano neanche troppo. Avevo dovuto lottare per avere una cosa semplice, perché avrei tenuto anche il ciondolo a cuore che mi aveva dato Sulfus, e alla fine la spuntai.

«ma perché vuoi tenere a tutti costi quel ciondolo a forma di cuore? Chi te l’ha regalato?», mi chiese curiosa Dolce dopo essere uscite dal negozio. Ecco lo sapevo; avevo insistito, ma sapevo che alla fine avrei dovuto affrontare la loro curiosità.

«è un regalo di Sulfus», ammisi imbarazzata. Loro mi fissarono incredule.

«sul serio? Cioè Sulfus, che è un devil, ha fatto un gesto così romantico? Oddio che dolce», mi disse Uriè incredula con gli occhi che le luccicavano, «fa vedere!», urlarono poi in coro, e si fiondarono su di me per osservare meglio il ciondolo, che non avevo più tolto da quando Sulfus me lo aveva regalato.

Lo tastarono, lo aprirono, rimirarono la foto e si persero nei complimenti per il gesto romantico del mio amore. Intanto ci stavamo dirigendo verso l’uscita con tutte le nostre sporte quando, passata davanti a un estetista mi bloccai. Loro mi fissarono interrogative, ma io non dissi niente mentre nella mia testa si formava un’idea altamente folle per la mia sanità mentale e allo stesso tempo perfetta per raggiungere il mio scopo.

«ragazze se io vi proponessi un bel trattamento da estetista per prepararci alla serata, voi cosa mi rispondereste?». Loro mi fissarono con gli occhi luccicanti e esplosero in un entusiastico «sìììììììììììììì!!!».

Detto fatto entrammo dall’estetista, che per fortuna non aveva  fila e poteva occuparsi subito di noi. Lasciammo le nostre sporte all’ingresso, perché anche Uriè e Dolce, mentre io cercavo la mia roba, avevano trovato i loro vestiti e accessori, e ci lasciammo trasportare nei vari stanzini. Facemmo tutte un trattamento completo: manicure e pedicure, pulizia del viso, massaggio, ceretta e vari trattamenti per far risplendere ogni singola parte del nostro corpo. Alla fine ci sentimmo come rigenerate. Poi facemmo tappa anche dal parrucchiere che ci tagliò i capelli: Dolce optò per una semplice scalatura, Uriè decise per una volta di piastrarseli, solo per quella sera, mentre io me li feci un po’ regolare e mi feci i capelli che partivano lisci ma vaporosi dall’alto e che finivano in soffici boccoli sulle punte.

Dolce aveva detto di volersi occupare del trucco personalmente. Infatti, con i trucchi, nemmeno le più esperte truccatrici reggevano il confronto con lei.

Finalmente soddisfatte, uscimmo dal centro commerciale che era ormai il tramonto. Ci guardammo sbalordite: avevamo trascorso tutto il pomeriggio al centro commerciale? Per di più senza mangiare niente. Su quel punto decidemmo di aspettare; sapevamo che alla festa ci sarebbe un buffet con ogni ben di dio. Ma avevamo poco tempo per preparaci, la festa sarebbe iniziata di lì a un’ora. Perciò ci ritrasformammo in sempiterni e volammo rapidissime verso la scuola. Una volta arrivate lì ci fiondammo in camera mia, dove trovammo Miki ad aspettarci con la sua roba. Andammo dentro e subito, a turno, ci facemmo una bella doccia. Poi passammo ai vestiti, che indossammo rapidissime, ma quello era il meno. La parte difficile veniva con il trucco; Dolce infatti aveva insistito perché fosse lei la truccatrice per tutte e quattro, e visto che la festa sarebbe iniziata di lì a venti minuti circa, sarebbe stato difficile fare in tempo. Invece ci preparò tutte in un batti baleno, finimmo addirittura con largo anticipo. Eravamo ufficialmente pronte: Miki indossava un vestito verde mare, lungo e classico, era uno di quei vestiti senza spalline con le maniche che si aprivano a zampa di elefante. Aveva i capelli sciolti e girocollo di pietre verdi e ai piedi portava delle delicate ballerine glitterate, visto che lei non sopportava i tacchi; Uriè aveva optato per un vestito fresco, come lei. Era giallo con un motivo azzurro di filo brillante, corto fino alle ginocchia, si allacciava dietro al collo e la gonna non era aderente e si apriva leggermente. Completava il tutto con un paio di stivali abbinati, un paio di scalda muscoli gialli aderenti alle braccia e i capelli raccolti in un elegante chignon con due ciuffi laterali a ricaderle  sul viso; Dolce aveva optato per un vestito classico, un tubino rosa senza spalline con la gonna a balze fino alle ginocchia. Poi completava con un paio di stivali bianchi col tacco vertiginoso, dei guanti bianchi e un girocollo di piccole perle. I capelli erano raccolti in un elegante coda alta; io invece avevo messo tutto quello comprato e avevo lasciato i capelli sciolti, solo che Dolce aveva raccolto i capelli che di solito erano legati dal ciuffo con un delicato pettine di acquemarine. Avevo un trucco delicato, con un ombretto glitterato, un po’ di lucidalabbra, l’eye-liner, un velo di fard e il mascara.

Eravamo in perfetto orario, perciò uscimmo e ci dirigemmo verso il salone delle feste della scuola; infatti l’edificio aveva una sala apposita, alla quale si accedeva da una scalinata, utilizzabile esclusivamente per le feste.

Trasformate in terrene, ci unimmo agli umani e ai sempiterni trasformati che, tutti in ghingheri, stavano salendo lo scalone che portava alla festa. Sospirai mentre un improvviso moto di tristezza mi invadeva; la mia ultima serata con le mie amiche prima di andarmene.

Scossi la testa: non volevo pensarci adesso.

Stavamo per entrare quando quelle tre pazze mi fermarono. «no tu devi entrare dopo di noi, da sola», mi disse Miki.

Strabuzzai gli occhi. Da sola?! Davanti a tutte quelle persone?! Nemmeno morta! «ma perché scusate?», chiesi io.

«perché tu stasera sei di gran lunga la più bella di tutte noi», affermò Dolce convinta, «e, di conseguenza, farai di sicuro più effetto se scenderai lo scalone all’interno della sala da sola». E detto fatto entrarono dentro senza darmi la possibilità di replicare.

«tu aspetta che inizi la nuova canzone e poi seguici», mi disse Uriè e seguì dentro le altre.

Io rimasi li fuori da sola, schiumante di rabbia e imbarazzo; scendere le scale sotto lo sguardo di tutti era molto al di la delle mie capacità, visto che odiavo essere al centro dell’attenzione. Ma non potevo fare altrimenti ormai.

Più i minuti passavano, più le persone che entravano si erano diradate, fino a scomparire del tutto. Ah perfetto; la scala me la facevo proprio da sola.

Finalmente sentii l’inizio della nuova canzone e per poco non mi strozzai. Sapevo che musica era: era la canzone del film cinderella story, quando lei scendeva lo scalone della festa in maschera. Mi sfuggì quasi un ringhio; sapevo che dietro tutto questo c’era lo zampino delle mie care migliori amiche.

Beh se dovevo essere masochista, tanto valeva farlo fino in fondo. Perciò presi il coraggio a due mani e spalancai i battenti della porta, entrando nel salone. Davanti a me la scala, alla fine della quale molti corpi si dimenavano a ritmo di musica. Una stroboscopica pendeva dal soffitto al centro esatto della pista da ballo. Su un lato della sala si poteva vedere il fantastico tavolo del buffet e, al suo fianco, il bar per i drink. In fondo alla sala, dietro alla pista da ballo si poteva vedere la piattaforma del dj, che notai con sorpresa essere Gas. Infine numerosi tavolini erano sparsi per tutto lo spazio restante. Pregai che le numerose persone che si muovevano a ritmo di musica non mi notassero.

Cominciai a scendere lo scalone sulle note della canzone, regolando, senza rendermene conto, il mio passo al ritmo della melodia. Immediatamente molte teste, soprattutto maschili, si voltarono nella mia direzione; in un primo momento avvampai ma poi, illuminata da nuova determinazione, alzai fiera il viso e continuai a scendere, ancheggiando.

Arrivata alla fine dello scalone, mi guardai intorno nella speranza di trovare le mie amiche, che non si sarebbero risparmiate una ramanzina con i fiocchi. Dopo una accurata ricerca le vidi sedute a un tavolino con le devil che chiacchieravano; mi lanciarono tutte e cinque uno sguardo di approvazione per la mia entrata. Ah anche le devil? Bene adesso erano anche loro nella lista delle persone da uccidere.

Tuttavia Sulfus non era con loro; mi prese il panico. Dov’era finito? Lo stavo cercando con lo sguardo quando qualcuno mi afferrò un polso delicatamente. All’istante mi irrigidii; non era Sulfus, avrei riconosciuto il suo odore fra mille e non era neanche nessuna delle mie amiche. Spaventata mi voltai divincolandomi: davanti a me c’era un ragazzo con un sorriso strafottente sul viso, dai capelli biondi e gli occhi chiari. Avevo subito inquadrato il tipo: il classico playboy.

«ehi dolcezza», mi disse con uno sguardo rapace che non mi piacque per niente, «dove ti eri nascosta tutto questo tempo? volevi farti bella per il grande Max?», mi disse lui guardandomi maliziosamente.

Quello sguardo mi fece andare in bestia. «no grazie non uscirò con uno come te ne ora ne mai», gli dissi e feci per andarmene e raggiungere le mie amiche al tavolo.

Ma lui mi afferrò di nuovo, «eddai, è ovvio che a queste feste i più belli devono stare insieme e mi sembra altrettanto ovvio che questa sera i migliori siamo noi». Provai a divincolarmi ma questa volta non ci riuscii. Un brivido di paura mi percorse la schiena, quel ragazzo non mi piaceva per niente. Con la coda dell’occhio vidi le mie amiche con sguardo preoccupato alzarsi per venire ad aiutarmi, ma all’istante si rilassarono, guardando qualcosa alle mie spalle. Non feci in tempo a chiedermi cosa fosse che sentii un braccio attorno alla mia vita tirarmi contro qualcuno, liberandomi così dalla presa di Max. E questa volta seppi con esattezza chi era.

«non posso che darti ragione», disse Sulfus stringendomi possessivamente a se mentre io ricambiavo la stretta, «perciò converrai che io e lei dobbiamo stare insieme no? Sono molto meglio di te», disse con un’occhiata sprezzante all’interessato. Aveva ragione: camicia bianca e giubbotto di pelle slacciato che mettevano in risalto i muscoli, un paio di jeans neri che gli fasciavano le gambe e i capelli ribelli che gli incorniciavano il volto. Nessuno era meglio di lui quella sera. «perciò ti conviene smammare e prova a toccare di nuovo la mia fidanzata e ti spezzo le gambe». Come come come?! Aveva detto che ero la sua fidanzata? Lo fissai a bocca aperta, rapita dal suono che quelle parole producevano se pronunciate dalla sua meravigliosa voce vellutata. Un sorriso dolce ed emozionato spuntò sul mio volto.

Il ragazzo, terrorizzato, scappò senza pensarci due volte. Lui ghignò e poi si voltò con sguardo tenero verso di me.

«tutto ok?», mi chiese premuroso abbracciandomi alla vita.

Riuscii solo ad annuire e ad appoggiare le mani sul suo petto, troppo emozionata da quello che aveva detto.

«Raf, tutto bene?», mi chiese lui preoccupato perché non aprivo bocca.

«quindi sono la tua fidanzata?», sussurrai emozionata guardandolo negli occhi.

Ma lui fraintese le mie parole, «beh se non ti piace posso anche evitare di dirlo… insomma era solo un modo per farlo andare via ma se ti da fastidio posso…», imbarazzato, aveva preso a parlare a macchinetta. Lo zittii posando un dito sulle sue labbra.

«è che mi piace più del lecito sentirtelo dire», gli dissi con uno sguardo pieno d’amore.

Lui fece la faccia stupita ma poi sorrise a trentadue denti aumentando la presa sulla mia vita. Si abbassò vicino al mio orecchio e, con voce sensuale mi sussurrò, «sei la mia fidanzata».

Brividi numerosi fecero su e giù lungo la mia schiena e strinsi forte le braccia intorno al suo collo, «uhm decisamente mi piace più del dovuto», dissi col fiato corto.

Lui ridacchiò e, finalmente, facemmo unire le nostre labbra in un bacio dolce, lento e pieno d’amore; non avevamo fretta, questa serata sarebbe stata solo per noi. Infilai le dita nei suoi capelli per stringerlo a me e prolungare il bacio e lui, in risposta, mi accarezzò la schiena nuda facendomi ansimare.

«eddai ragazzi non vorrete dare spettacolo», dissero le devil interrompendoci. Ci voltammo e vedemmo le nostre amiche ridere al tavolo come delle matte. Sbuffai e le feci la linguaccia e loro risero ancora più forte.

Mi voltai verso Sulfus e mi accorsi che mi stava guardando rapito, «stasera direi che sei bella è un insulto», mi disse tenero, «sei molto più che stupenda». A quelle parole il cuore mi balzò in gola.

«beh tu non sei da meno», gli dissi ridacchiando e squadrandolo con sfacciataggine da capo a piedi.

Lui scoppiò a ridere. «dato una bella occhiata?», mi disse per prendermi in giro. Io avvampai dalla testa ai piedi.

«dai raggiungiamo le altre prima che ci prendano in giro a vita», gli dissi sbuffando, avrei voluto passare un po’ di tempo da sola con lui.

Stringendomi la vita, si incamminò verso il tavolo, con me attaccata a lui. Quando vi arrivammo feci per sedermi sulla sedia ma Sulfus, già seduto, mi tirò sulle sue gambe,facendomi appoggiare al suo petto muscoloso. In un primo momento la situazione mi imbarazzò ma mi rilassai quando mi resi conto che per una sera potevamo essere noi stessi senza doverci nascondere agli occhi degli altri. Mi rilassai completamente contro il suo petto, mentre lui mi abbracciava alla vita e io appoggiavo il capo sulla sua spalla. Voltai appena la testa e gli sorrisi e lui mi diede un rapido bacio sulle labbra.

Sentimmo un verso di disgusto e vedemmo le devil che facevano finta di vomitare, «per favore siamo devil evitate le smancerie», dissero in tono schifato.

«siete solo invidiose perché non siete innamorate, vedrete che quando sarà il momento farete peggio di noi», le canzonò Sulfus e tutti insieme scoppiammo a ridere.

In quel momento partì una canzone ottima per essere ballata in discoteca e tutti e sette guardammo verso Gas che ci salutò: era evidente che si stava divertendo un mondo.

Le devil subito si alzarono e si fiondarono in pista a scatenarsi. Uriè, Dolce e Miki aspettarono ma quando tre ragazzi si avvicinarono per chiedere loro di ballare, dopo un attimo di esitazione, accettarono e si diressero in pista. Io e Sulfus rimanemmo al tavolo per un po’ a coccolarci ma, ad un certo punto lui si alzò trascinandomi con sé.

«mi concedi questo ballo?», mi disse lui malizioso.

Io lo fissai sconcertata, «ma io non so ballare», gli dissi provando a dissuaderlo. Ma lui non fece una piega.

«è musica disco», mi fece notare lui, «non occorre saperla ballare. È istintiva» e detto questo mi trascinò in pista. Fu molto più facile di quello che mi aspettassi. I nostri corpi, sempre a contatto, si muovevano sensualmente insieme a ritmo di musica; per tutto il tempo che ballammo, non facemmo altro che stuzzicarci a vicenda, tanto che la mia eccitazione ben presto si fece sentire. Quando la canzone finì ero ormai al limite e voltandomi mi accorsi, dallo sguardo infuocato dei suoi occhi, che anche lui lo era. Questo mi fece enormemente piacere; era evidente che anche lui mi desiderava e quindi non sarebbe stato difficile raggiungere il mio obiettivo. Ma quello non era certo il momento perciò ci dirigemmo verso il tavolo, tentando di calmarci, e ci sedemmo esattamente come prima. Rimanemmo lì per un po’.

«uhm amore», lo chiamai stupendomi della parola che mi era uscita istintivamente. Lui mi guardò piacevolmente sorpreso e mi sorrise come non gli avevo mai visto fare, abbagliandomi. Io sorrisi, felice che non gli dispiacesse, «amore che ne dici di andare a prendere qualcosa da bere? Ballare mi ha messo sete».

«certo tesoro andiamo», mi disse con voce dolce e io per poco non mi sciolsi sotto il suo sguardo ardente.

Ci alzammo e ci dirigemmo verso il bar dove ordinammo dei drink. Io presi qualcosa di analcolico, una bevanda al gusto di frutti di bosco, mentre lui un mohito con menta e limone, che a quanto sapevo era leggermente alcolico.

«uhm il tuo drink sembra buono me lo fai assaggiare?», mi chiese lui con sguardo malizioso.

«certo», gli dissi. Ma prima che potessi porgergli il bicchiere lui mi attirò a se e mi fece sentire il sapore delle sue labbra mentre lui assaporava le mie. Con un braccio, visto che l’altro teneva in mano il bicchiere, gli circondai il collo e mi aggrappai a lui, mentre lui mi teneva per la vita. Approfondimmo il bacio, che divenne molto passionale.

Sentimmo, di nuovo, delle risatine e vedemmo le ragazze davanti a noi che ci squadravano divertite, «oh ma insomma», disse Miki falsamente indignata, «è possibile che non passino cinque minuti senza che voi finiate avvinghiati?», chiese per poi scoppiare a ridere seguita a breve ruota da tutti.

«ridi ridi», la sbeffeggiai, «tanto vi ho viste con quegli affascinanti ragazzi», le dissi per vendicarmi. Tutte e tre arrossirono mentre le devil le prendevano in giro.

Dopo aver esaurito l’attacco di ridarella, fu Dolce a prendere la parola, «che ne dite di fare un salto al buffet? È da stamattina che non mangiamo e, non so voi, ma io sto morendo di fame».

Anche noi eravamo affamati perciò ci dirigemmo tutti al tavolo del buffet a prendere qualcosa: io e Sulfus prendemmo una fetta di torta in due, Cabiria e Kabalè optarono per un po’ di pasticcini assortiti, Uriè e Dolce presero un insalatona e Miki ripiegò su una coppa di gelato. Portammo tutto al tavolo e mangiammo, mentre io e Sulfus facevamo a gara come dei bambini per accaparrarci il boccone migliore, ridendo come dei matti.

Intanto mi accorsi degli sguardi che molti ragazzi lanciavano a Cabiria e Kabalè e solo allora mi resi conto che non avevo fatto caso a come erano vestite e ci prestai più attenzione. Mi resi conto che erano un vero schianto:Kabalè indossava un vestito viola acceso che si allacciava dietro al collo e si intrecciava sulla schiena, molto scollato e aderente e con uno spacco sulla gonna sul lato sinistro. Completava con stivaletti in pelle col tacco, calze nere a rete e delle retine che le avvolgevano gli avambracci; Cabiria invece aveva un vestito classico. Lungo fino a terra, blu elettrico e senza spalline, a cui aveva abbinato dei guanti bianchi e dei sandali col tacco, blu anch’essi. Aveva raccolto i capelli neri in una crocchia e aveva lasciato ricadere davanti i ciuffi violetti. Entrambe avevano il trucco molto marcato. Non ci voleva molto a capire che i ragazzi erano rimasti stregati da loro.

Notai però che, benchè molti ragazzi guardassero le mie amiche, che erano molto belle stasera, ancora di più guardavano me, nonostante fossi in braccio a Sulfus.

Dopo un po’ sbuffai infastidita e Sulfus sembrò leggermi nel pensiero, «non sai che darei per dargli un bel pugno sul naso, a tutti loro. E meno male che non ho la capacità di leggere nel pensiero, altrimenti avrei già fatto una strage. A giudicare da come ti guardano i loro pensieri non devono essere molto casti». Io arrossii come un peperone alle sue parole che, tutto sommato, rispecchiavano i miei sentimenti verso di lui. Lo sentii stringermi e lanciare occhiatacce a chiunque mi guardasse ma vedevo che era molto irritato.

All’improvviso mi guardò negli occhi. «che ne dici di andarcene? Io questi bellimbusti non li sopporto più e poi devo farti vedere una cosa», mi disse emozionato. Che tenero il mio gelosone. Ma aveva ragione, nemmeno io sopportavo più quegli sguardi fissi su di me.

Ci alzammo e guardammo le ragazze, che stavano finendo le loro porzioni. «noi ce ne andiamo, abbiamo voglia di stare un po’ da soli». Loro ci guardarono sorprese ma non obiettarono.

Mano nella mano risalimmo lo scalone e ci avviammo fuori. Mi voltai verso di lui in attesa, curiosa di sapere quale fosse la cosa che mi voleva far vedere.

Lui sorrise, capendo il mio pensiero e mi condusse fino all’aula sfida. Corrugai la fronte, «come mai siamo qui?», gli chiesi interrogativa. Non avevo idea di cosa volesse fare.

Lui ridacchiò senza rispondermi e, per tutta risposta, aprì la porta dell’aula sfida rivelando uno spettacolo che mi lasciò senza fiato: l’aula si era trasformata in una spiaggia tropicale al tramonto, come di quelle che vedi solo nei film romantici, con al centro un bellissimo gazebo dentro al quale troneggiava, maestoso, un pianoforte. Entrati, ci chiudemmo la porta alle spalle, isolandoci dal mondo. Guardai Sulfus commossa. «grazie non potevi farmi regalo più bello», gli dissi commossa abbracciandolo.

Ma lui, a sorpresa, scoppiò a ridere, «se ti piace questa, che è l’ambientazione, cosa farai quando ti darò il mio regalo vero e proprio?», mi disse incredulo.

Lo guardai stupefatta, « e cosa potrebbe essere migliore di questo?», gli chiesi sinceramente confusa. Lui si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò con voce sensuale, «forse questo». E subito mi trascinò con sé al gazebo e fu li che mi resi conto di una cosa: perché aveva fatto apparire anche un pianoforte?

«sediamoci», mi disse e mi trascinò con se sullo sgabello del piano. Lo guardai confusa; cosa aveva intenzione di fare?

Lui sorrise della mia confusione, «vedi ti ho portato qui perché voglio condividere con te uno dei miei segreti più segreti», mi spiegò guardandomi dolcemente, « e voglio farlo in modo speciale».

Lo vidi appoggiare le mani sui tasti e chiudere gli occhi per un momento. Poteva essere che…? Ma no, era impossibile! I devil non praticavano il pianoforte, era una cosa da angel.

Eppure non finii di formulare questo pensiero che Sulfus riaprii gli occhi e cominciò a suonare. Una melodia dolce e tenera, veloce in alcuni punti, delicata in altri. Lo guardai sbalordita; le sue dita volavano leggere sui tasti d’avorio, il suo sguardo concentrato mandava bagliori. Era una cosa indescrivibile, ancora più incredibile perché era lui a suonarla, lui che era un devil e che riusciva a suonare meglio della maggior parte dei pianisti angel. Le note si susseguivano armoniose e delicate, intrecciandosi in una melodia che toccava il cuore. La dolcezza che riversava nella canzone era qualcosa di magico, che arrivava dritto all’anima. Le note cominciarono a rallentare malinconiche verso quella che era la fine fino a spegnersi.

Lui si voltò verso di me e mi sorrise dolcemente. «Sulfus è… è stato…», solo quando cercai di parlare mi resi conto delle lacrime che uscivano copiose dai miei occhi per bagnarmi il viso.

Lui mi prese il viso fra le mani e mi asciugò le lacrime con i pollici, «ricorda per sempre questa canzone Raf, perché sei stata tu a ispirarmela. Io sono come quella melodia: senza di te, la mia musa, la mia aria, la mia vita, non riuscirei a vivere. E io senza di te non esisto. Ti amo Raf, perché sei il mio sole, la mia luce, la mia fonte di vita».

Quella canzone l’aveva scritta per me? Oh Sulfus… e quelle parole mi avevano toccato nel profondo. Senza riuscire a trattenermi, saltai al suo collo e scoppiai a piangere, commossa dalla sua dolcezza, dal suo amore. Lui mi strinse forte a se seppellendo il viso nell’incavo del mio collo, «Raf amore mio, non piangere», continuava a ripetermi cercando di calmarmi, ma le mie erano lacrime di gioia.

Alzai il viso per incrociare i suoi occhi, «oh Sulfus non potevi fare una cosa più stupenda di questa. Grazie, grazie, grazie infinite. Ti amo» e detto questo lo baciai, un bacio dolce e entusiasta. Lui rispose subito e, ben presto, ci ritrovammo senza fiato.

Ci staccammo e lui mi guardò felice, «no grazie a te di aver scelto me» e ci baciammo di nuovo.

«non mi avevi detto di saper suonare il pianoforte», gli dissi cercando di regolarizzare il respiro, ancora scombussolato dal bacio e dal pianto.

«beh sai com’è, non è proprio una cosa da devil», mi disse lui imbarazzato, «sai altrimenti che risate si sarebbero fatte gli altri? Ma sapevo che tu lo avresti accettato perciò ho voluto condividerlo con te». Che tesoro! Lo amavo sempre di più ogni minuto che passava.

Non dissi niente e mi limitai ad abbracciarlo, mentre anche lui mi stringeva a se e affondava il viso fra i miei capelli. Era stato così dolce e premuroso; era il ragazzo perfetto. Come potevo lasciarlo e andarmene? Avremmo potuto avere una vita felice insieme, forse con difficoltà, ma ce l’avremmo fatta. Ma non potevo restare, era troppo pericoloso per lui e per gli altri. Mi sarebbe mancato da morire, soprattutto perché ora sapevo con esattezza a cosa stavo rinunciando, cosa stavo rifiutando, per sempre. Il dolore mi mozzò il respiro e mi fece scendere una lacrima, una sola, sul viso. Scossi la testa, imponendomi di non pensarci, non in quel momento.

Lui si staccò e mi asciugò con i pollici le lacrime. «sai il cristallo è un materiale che mi è sempre piaciuto», mi disse lui enigmatico. Io aggrottai la fronte; dove voleva arrivare? «una cosa pura, preziosa e luminosa ma che, all’occorrenza, sa essere più pericolosa del vetro. E lo amo ancora di più perché è il colore dei tuoi occhi, che brillano solo per me», mi spiegò fissandomi negli occhi. Oh Sulfus, non mi dire queste cose ora. Altrimenti separarci sarà ancora più difficile di quanto non lo sia adesso. Se pensavo che, una volta uscita da quest’aula sarei dovuta tornare alla realtà e andarmene, provavo talmente tanto dolore che mi sembrava di svenire.

Nascosi l’agonia dai miei occhi per evitare che lui la vedesse e capisse qualcosa.

All’improvviso lui si alzò e mi tirò con se, «mi concedi questo ballo?», mi chiese per la seconda volta quella sera.

«ma non c’è nemmeno la musica», gli dissi io divertita.

«e chi ha bisogno della musica?», mi disse lui con sguardo dolce porgendomi una mano. Io l’afferrai titubante e lui mi attirò a se, una mano sul mio fianco e una sulla mia. Cominciammo a muoverci sulle note di una canzone che non c’era, lentamente, in circolo, e all’improvviso mi venne in mente la canzone così vicini di come d’incanto, uno dei miei film preferiti, che esprimeva esattamente il mio stato d’animo. E all’improvviso il pianoforte sparì e, dal nulla, partì una canzone, la canzone a cui stavo pensando. Io e Sulfus ci guardammo stupiti e, sorridendo, continuammo a ballare sulle note di quella melodia bellissima e al contempo triste, che mi riportava alla mente ciò che stavo cercando con tutte le mie forze di reprimere.

Quando la canzone finì Sulfus mi strinse più forte a se, «se penso che domani a quest’ora saremo a chilometri di distanza…», cominciò ma io lo bloccai poggiandogli delicatamente le punte delle dita sulle labbra. Sapevo che per lui avevano un significato diverso ma per me erano fin troppo dolorose.

«non pensiamo a questo, non stasera», gli dissi dolcemente e lui mi attirò a se in un bacio pieno di dolcezza. All’inizio il bacio era tenero, casto, ma non ci mise molto a diventare passionale come il fuoco. Ci stringemmo l’una all’altro con foga, approfondendo il bacio in un modo che non ci eravamo mai concessi. Sospirai quando sentii la sua mano alzare il tessuto del vestito e posarsi sulla mia coscia, stringendo avida.

«accidenti quanto ti voglio», mi sussurrò roco lui in uno dei rari momenti in cui le nostre labbra si separavano e io scoppiai internamente dal caldo e dal desiderio. Lo volevo, lo volevo con tutta me stessa.

Eravamo praticamente al punto di non ritorno quando sentimmo una fanfara. Ci guardammo sbalorditi e scocciati per l’interruzione. Ma era mai possibile che ogni volta che ci trovavamo in quella situazione, qualcosa dovesse per forza interromperci?

Poi realizzammo che quella era la fanfara del coprifuoco e che, a rigor di logica, saremmo dovuti essere già in camera perché i professori sarebbero passati di lì a un minuto per fare l’ispezione.

Ci guardammo terrorizzati e uscimmo di corsa dall’aula sfida. «non ce la faremo mai a tornare in tempo», gli dissi.

«scommetti?», disse lui e si infilò nel passaggio in cui ci eravamo fermati la mattina. Percorse fino in fondo il corridoio e cominciò a salire gli scalini alla fine di quest’ultimo.

«devi sapere che ho scoperto questo passaggio un po’ di tempo fa. È tutta una scalinata che collega sognatorio e incubatorio», mi spiegò.

«cioè vuoi dire che, volendo, un angel potrebbe andare all’incubatorio senza essere visto e viceversa?», gli chiesi incredula.

«esattamente», sorrise lui con fare cospiratorio. Oddio chissà quante volte era venuto nella mia stanza a mia insaputa.

Arrivammo a una porta chiusa. Mi si strinse il cuore; la favola era finita, era ora di tornare al mondo reale. Presto ci saremmo separati e non l’avrei rivisto mai più, ne lui, ne nessun altro. Il solo pensiero mi fece quasi morire.

Lui socchiuse la porta e sbirciò fuori, «bene è tutto tranquillo, puoi andare», ma quando si voltò verso di me si bloccò all’improvviso.

«Raf stai piangendo», mi disse angosciato. Io mi portai una mano al viso e solo allora mi accorsi che lacrime copiose mi scorrevano rapide sulle guance. Mi strinse in un abbraccio tenero e delicato, di conforto, mentre io, senza riuscire a trattenermi, singhiozzavo sulla sua spalla. Intensificò la presa, cullandomi fra le braccia.

«scusa è che… pensavo a domani», gli dissi fra i singhiozzi. Lui non potè impedirsi di trasalire e stringere ancora di più la presa.

«ce la faremo Raf. Insieme, in un modo o nell’altro, ce la faremo», mi disse per confortarmi guardandomi negli occhi.

Io annuii consapevole che le sue parole, anche se lui non lo sapeva, non si sarebbero mai avverate. Per proteggerli da Reina, avevo preso la decisione più difficile della mia vita; andarmene in gran segreto, far perdere le mie tracce, sparire dalla circolazione. Nessuno avrebbe saputo dove mi trovassi dopo la mia partenza, sarei sparita dalla faccia della terra. Avrei interrotto i contatti con tutti, nessuno escluso: Sulfus, le mie amiche, i miei professori, la mia famiglia… nessuno saprà dove io mi nasconderò. A dire il vero non lo sapevo nemmeno io, sapevo solo che dovevo andarmene il più lontano possibile da lì, nella speranza che così sarebbero stati tutti al sicuro. Ma non potevo evitare di soffrire; anzi, la separazione faceva ancora più male perché sapevo che anche tutte le persone a cui volevo bene avrebbero sofferto con me, Sulfus più di tutte. E sapevo anche che non potevo fare niente per impedirlo.

Ma cercai di nascondere tutto questo dai miei occhi, prima che lui potesse capire qualcosa. Cercai di sorridere come meglio potevo, «lo so amore mio, lo so». Lui sembrò crederci.

In un momento carico di tensione ci avvicinammo e facemmo unire le nostre labbra. Mai un bacio fu più desiderato di quello; ci stringemmo l’una all’altro come degli assetati che bevevano dell’acqua dopo una camminata nel deserto. Approfondimmo con passione il bacio, desiderando che non finisse mai.

A malincuore, fui io staccarmi per prima, «devo andare, non posso tardare al coprifuoco», gli dissi triste. Lui mi fissò rassegnato: loro sarebbero partiti la mattina seguente circa alle dieci, perciò, a rigor di logica, non ci saremmo più visti.

Mi guardò ardendo, «ti amo Raf», mi disse a un soffio dalle mie labbra.

Mi strinsi ancora di più a lui, «anch’io ti amo Sulfus. Anche quando saremo lontani non dubitarne mai». Non potei resistere da dire quelle parole ad alta voce. Volevo che lui sapesse che l’avrei amato per sempre, nonostante tutto. Nessuno avrebbe mai preso il suo posto nel mio cuore, avrebbe sempre battuto solo per lui. Per fortuna quelle parole poteva interpretarle in un’altra maniera.

Dopo un ultimo e rapido bacio ci staccammo e, aperta la porta, che poi si rivelò essere uno dei quadri di storia angelica appesi in corridoio, mi fiondai in camera, che trovai stranamente vuota. Aggrottai la fronte; dov’era Uriè?

Feci appena in tempo a richiudere la porta che il professor Arkhan entrò in camera per l’ispezione, «ah Raf buonasera, ero solo venuto a controllare», mi disse, facendo per andare fuori, «ah Uriè mi ha detto di dirti che hanno fatto un party in camera di Miki e Dolce e, solo per questa volta, ci saranno anche le devil. Mi ha detto di chiederti se volevi unirti a loro».

Avrei voluto ma non ero dell’umore adatto per queste cose, inoltre questa cosa giocava a mio favore per poter preparare la mia fuga senza interferenze. Con camera libera avrei potuto fare tutto tranquillamente. Inoltre volevo stare un po’ da sola a crogiolarmi nel mio dolore.

«no professore, sono molto stanca. Credo che andrò direttamente a dormire», gli dissi cercando di fare la faccia più assonnata possibile.

«d’accordo Raf, allora buonanotte», mi disse e uscì. Io sospirai e mi buttai sul letto, mentre l’agonia mi avvolgeva di nuovo. Non avrei potuto nemmeno salutarle.

Sentii un ronzio e Cox mi si posò sulla testa. Volevo che almeno lui salutasse le sue amiche mascotte perciò gli dissi, «vai al pigiama party con le ragazze e divertiti con le altre mascotte. Digli che io ero stanca e non sarei venuta d’accordo?». Lei mi guardò triste, sapeva cosa sarebbe successo la mattina dopo, e svolazzò via. La mia mascotte sarebbe venuta con me perché avevo bisogno di trasformarmi in terrena nella mia fuga.

Mi alzai e me ne andai in bagno. Mi struccai e mi lavai il viso, tolsi vestito e tacchi e misi i gioielli sopra al comò, tranne il ciondolo di Sulfus. Finalmente libera dal vestito e pulita, presi la sottoveste di pizzo e me la infilai.

Ora era il momento di organizzare la fuga. Presi il mio trolley e lo aprii; ci misi dentro tutti i vestiti e la biancheria che ci poteva stare, la trousse da bagno, un altro paio di scarpe, il mio diario, il portafogli con tutti i soldi terreni, e da ultimo, ma non meno importante del resto, il mio computer portatile con tutti gli accessori. Mouse, caricatore e scheda per la connessione internet.

 Guardai la roba che mi ero messa quella sera: sapevo che non avrei avuto più occasione di mettermeli, ma mi resi conto che non potevo lasciarli indietro, perché erano il simbolo della più bella serata della mia vita. Perciò, con un sospiro, presi e misi tutto in valigia.

Ora mancava solo un’ultima cosa, che si trovava nella biblioteca universale. Mi misi maglietta e pantaloncini sopra la biancheria e sgattaiolai fuori dalla stanza verso la biblioteca. A quell’ora la biblioteca era chiusa e inaccessibile ma avevo ideato un piano che speravo funzionasse. Arrivata alla porta della biblioteca senza intoppi per fortuna, mormorai «Think fly!» e mi concentrai. Sapevo che oltre ai poteri telepatici avevo anche quelli telecinetici, cioè la capacità di muovere gli oggetti, ma non li avevo mai usati perché mi costavano molta fatica. Ora mi concentrai e tesi la mano verso la serratura, muovendo i meccanismi al suo interno per sbloccarla. Un click rassicurante mi fece capire che c’ero riuscita. Sorrisi ed entrai nella biblioteca, chiudendomi la porta alle spalle. Ero buio pesto perciò mormorai, «Inflame!» e una palla di fuoco levitò sulla mia mano, rischiarando l’ambiente. Cominciai a percorrere i corridoi della biblioteca fino ad arrivare al banco dove di solito sedevano i bibliotecari. Mi avvicinai all’ultimo cassetto e, dopo un’altra dose di telecinesi, lo spalancai. Rimasi sorpresa; era vuoto, dov’era finito? Secondo le mie informazioni, avrebbe dovuto essere lì. Poi mi venne un’illuminazione. Cautamente cercai di sollevare il fondo del cassetto e, dopo un po’ di tentativi, ci riuscii. E finalmente esultai; il dischetto era lì.

Infatti i bibliotecari avevano inciso su un disco magico, quindi a capienza illimitata, tutti i libri della biblioteca universale. Così nel caso dei volumi fossero stati smarriti o distrutti, grazie al dischetto non se ne sarebbero persi i testi. Lo presi e lo misi in tasca; sapevo che non era giusto ma avevo bisogno dei manuali di combattimento per aumentare i miei poteri, visto che Reina aveva promesso vendetta, e non potevo certo portarmi dietro tutti i libri della biblioteca universale. Quella era di sicuro la soluzione più pratica.

Richiusi il cassetto e me ne andai in fretta. Ritornai in camera e tirai un sospiro di sollievo. Misi il disco dentro alla valigia e mi tolsi i vestiti, rimanendo in sottoveste e biancheria. Ora dovevo fare solo un’ultima cosa, che sapevo sbagliata, ma che era il mio ultimo desiderio prima di andarmene.

Presi un bel respiro, improvvisamente mi sentivo le gambe molli. Ma sapevo quello che volevo perciò determinata uscii dalla camera e mi fiondai, non vista, al passaggio. Mi ci fiondai dentro e, con il cuore in gola, cominciai a scendere le scale. Le scesi fino in fondo e arrivata a una parete, mi fermai. E adesso come facevo a uscire? Non ero arrivata fino a lì per farmi fermare da una parete.

Irritata, diedi una manata al muro e, nel farlo, premetti un mattone che lo fece spostare. Esultai. Misi fuori la testa dal passaggio e controllai che non ci fosse nessuno, e quando riconobbi il corridoio esultai; la porta davanti a me era proprio quella di Sulfus.

Uscii rapida ed entrai senza far rumore nella stanza. Sulfus era seduto sul letto e mi dava le spalle, mentre guardava fuori la luna. Indossava solo dei boxer neri e la luce pallida della luna che entrava dalla finestra metteva in risalto i suoi fantastici muscoli. Rimasi lì a fissarlo incantata per qualche minuto fino a quando lui sospirò. Chissà se stava pensando a me.

Senza far rumore, cosa agevolata dal fatto che non avevo scarpe ai piedi, salii sul letto e lo abbracciai da dietro, appoggiando la testa nell’incavo del collo.

Lui sussultò e si voltò, sorpreso, «Raf cosa…», cominciò ma non continuò. Probabilmente voleva anche lui trascorrere con me la sua ultima sera. Si voltò completamente e mi fece sedere sulle sue gambe, abbracciandomi forte, mentre io lo circondavo con le braccia all’altezza del collo e, istintivamente, stringevo le gambe intorno alla sua vita. Trasalì e percorse con lo sguardo il mio corpo, coperto solo dalla biancheria.

«tu vuoi farmi impazzire, angioletto», mi sussurrò con voce roca, gli occhi di oro fuso. E io scoppiai internamente dal caldo. Non c’era imbarazzo in quel momento, eravamo troppo presi l’una dall’altro.

Con lentezza esasperante i nostri volti si avvicinarono e, finalmente, unimmo le nostre labbra in un bacio che di casto non aveva proprio niente. Come una miccia che prende fuoco e divampa, la nostra passione esplose tutta insieme. Troppo a lungo repressa, ci divorava l’anima e ci spingeva dove non ci eravamo mai spinti.

Senza sapere come, ci ritrovammo stesi sul letto, lui sopra di me, sempre avvinghiati, le nostre mani che esploravano il corpo dell’altro, facendoci ansimare.

Quando arrivò alla camicetta cominciò a levarla ma si bloccò all’improvviso «Raf sei sicura? Non si torna indietro», mi sussurrò eccitato. Ma io sentivo che non si voleva fermare, che lo voleva tanto quanto me.

Io annuii e lui rapidamente mi tolse la camicetta, incollando le sue labbra alle mie. E finalmente lì, su quel letto, la nostra passione troppo a lungo repressa ebbe libero sfogo. Ci amammo con passione  e dolcezza, con ardore e tenerezza e, come inconsciamente volevamo da tempo, sentimmo il piacere dilagare in noi, appagandoci. E quando, esausti, ci addormentammo l’una fra le braccia dell’altro, non potemmo fare a meno di sorridere, felici perché finalmente sentivamo di appartenerci completamente. Non sapevo ancora che quella notte avrebbe cambiato per sempre le nostre vite.

 

Un pallido raggio di sole mi risvegliò la mattina dopo. Fra le braccia di Sulfus, stesa sul suo petto, mi sentivo rilassata come non mai. Per pochissimo tempo ebbi l’illusione che tutto fosse al suo posto. Ma poi l’amara realtà mi costrinse a ritornare con i piedi per terra. Guardai fuori dalla finestra e sospirai; era giunto il momento. Il dolore mi mozzò il respiro.

Facendo attenzione a non svegliarlo, mi districai dal suo abbraccio e mi alzai. Lo guardai dormire; il ricordo di quella notte mi sarebbe rimasta per sempre nella mente, l’avrei custodita come il più prezioso dei tesori.

Mi voltai per evitare di scoppiare a piangere, e cominciai a rivestirmi. Presi il ciondolo che mi aveva regalato fra le mani e lo strinsi come se fosse un talismano contro il dolore.

Poi mi avvicinai al cassetto e presi un foglio e una penna. Cominciai a scrivere:

Caro Sulfus,

amore mio perdonami se me ne vado così, ma proprio non vedevo altra soluzione. Sapevo che se ti avessi detto cosa avevo intenzione di fare non me lo avresti mai permesso e avresti cercato di impedirmi di partire, e io non ce l’avrei mai fatta a salutarti. Devo andarmene Sulfus, non posso fare altrimenti. Non posso spiegarti cosa mi ha spinto a prendere questa terribile decisione, posso solo dirti che è per il bene di tutti che lo faccio e che un giorno mi ringrazierai.

Non riesco nemmeno a spiegarti il dolore che provo lasciando te e tutti gli altri, ma se penso a cosa potrebbe succedere se restassi, capisco che è la cosa giusta.

Questa è stata la notte più bella della mia vita, grazie per aver esaudito l’unico desiderio che mi rimaneva. E lo so che non ne ho diritto ma ti prego, promettimi che ricomincerai da capo, che ti lascerai tutto alle spalle e che continuerai a vivere la tua vita. Lo so, ti chiedo tanto, ma noi non ci rivedremo mai più e non riuscirei a vivere con la consapevolezza che anche tu non ci riesci. Perciò, per favore, prova a dimenticarmi.

Grazie per aver portato luce nella mia esistenza, per avermi fatto sentire amata e speciale e per aver riempito le mie giornate con il tuo amore. Sappi che comunque nessuno prenderà mai il tuo posto nel mio cuore, apparterrà per sempre a te, perciò prenditene cura perché te lo affido.

Saluta le ragazze da parte mia, io non ho potuto. Me ne vado con la morte nel cuore Sulfus, ma con la consapevolezza che è la cosa giusta. E per favore, non cercatemi.

Ti amerò per sempre,

Raf.

Finito di scrivere, riposi la lettera in una busta e la poggia sul comodino di Sulfus. Con la consapevolezza che quella era l’ultima volta che lo avrei visto, lo fissai per un momento eterno e poi, con la morte nel cuore. Mi voltai e uscii dalla stanza.

Controllando che non ci fosse nessuno, feci a ritroso tutto il percorso e risalii fino al sognatorio e rientrai in camera, le lacrime che premevano per uscire dai miei occhi. Non ancora Raf, mi dissi, devi prima portare a termine il tuo compito.

Era vero, perciò mi feci forza. Presi i vestiti che avevo preparato la sera prima e mi cambiai. Poi riposi il completo, unico testimone della mia notte d’amore con Sulfus, nel trolley.

Quando lo richiusi, sentii un ronzio e vidi Cox arrivare svolazzando. Ma fu quello che vidi dietro di lei a sorprendermi. Tutte le mascotte si erano radunate sul mio letto: Lampo di Uriè, Butterfly di Dolce, Lula di Miki, Gracida di Gas, Arakno di Cabiria, Nosferatu di Kabalè e Basilisco di Sulfus. Li guardai confusa; cosa ci facevano tutti qui?

Poi capii; Cox li aveva chiamati così, una volta partita, avrebbero potuto far vedere ai ragazzi la mia immagine.

Mi inginocchiai di fianco al letto e aprii le braccia. Le mascotte, con un mugolio di dolore, ci si fiondarono e io le abbracciai tutte. «dite agli altri che mi mancheranno da morire», dissi loro con la voce rotta dal pianto, «e che gli vorrò sempre un mondo di bene. E di perdonarmi se potranno».

Poi mi staccai e presi direttamente Basilisco in mano. Lui mi guardò intelligente e dispiaciuto, sapeva quanto Sulfus tenesse a me. «e tu di a Sulfus che lo amo, d’accordo?», gli dissi straziata. Lui con un sibilo annuì e strofinò la testa in un muto segno di conforto. Lo rimisi giù e guardai le mascotte un’ultima volta e vidi che erano tutte tristi e piangevano. Io sorrisi triste a tutte loro e feci nascondere Cox nella cintura. Poi presi il trolley e mi avviai.

Facendo attenzione a non farmi vedere da nessuno, uscii dalla scuola e mi avviai in strada. In un luogo appartato, mi trasformai in terrena, e mi mischiai ai pochi passanti che erano in strada a quell’ora del mattino.

Guardai un’ultima volta la scuola, il cuore stretto in una morsa di agonia, anche se sapevo che era la cosa giusta. Voltai le spalle all’edificio e mi allontanai senza mai voltarmi indietro. Finalmente libera di farlo, piansi tutte le mie lacrime.

NARRATORE: tuttavia nessuno sapeva che, in una landa di ghiaccio sperduta, un uomo, in una casa diroccata, osservava la nostra angel sparire alla sua visuale.

Tuttavia la cosa non lo turbò e un ghigno malefico spuntò sul suo volto, «scappa, scappa pure Raf, ma un giorno io ti troverò e allora rimpiangerai di tutto il male che hai fatto alla mia famiglia. Vedremo chi la spunterà!», e con una risata da far venire i brividi, suggellò la sua terribile promessa.

SPERO CHE VI PIACCIA E ORA VI FACCIO UNA DOMANDA... SECONDO VOI CHI E' IL NUOVO E MISTERIOSO PERSONAGGIO? FATE LE VOSTRE SUPPOSIZIONI E AL PROSSIMO CAPITOLO!!!

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Capitolo 5
*** 5° CAPITOLO: "LA FUGA E LA LONTANANZA" ***


RAGAZZEEEEEEEEEEEEEEE!!! ECCOMI QUI CON UN NUOVO CAPITOLO TUTTO PER VOI!!! DIRE CHE VI AMO è POCO, CONTINUATE A RECENSIRE CHE SIETE LA MIA FORZA PER CONTINUARE A SCRIVERE, SOPRATTUTTO PERCHè CON I COMPITI DELLE VACANZE IN PIU' DA FARE PER RECUPERARE I DEBITI DI LATINO E MATEMATICA A VOLTE LA VOGLIA DI SCRIVERE E' PROPRIO POCA... MA NON DISPERATE NON VI ABBANDONO... FOSSI MATTA!!! XD ORA QUESTO è L'ULTIMO DEI CHAPPY GIA' PRONTI CHE AVEVO PERCIO' ORA STO CONTINUANDO A SCRIVERE E GLI AGGIORNAMENTI RALLENTERANNO UN PO'... QUESTO SARA' ALTRO CHE CAPITOLO STRAPPALACRIME (ALMENO A ME NEL FORUM HANNO DETTO CHE LO E' XD) PERCIò PREPARATE UNA BUONA DOSE DI FAZZOLETTI... NE AVRETE BISOGNO T^T NEL PROSSIMO CHAPPY CI SARANNO DELLE RIVELAZIONI MOLTO IMPORTANTI PER I NOSTRI PROTAGONISTI (CHE RIGUARDANO LA NOTTE DI FUOCO DEI DUE PICCIONCINI XD) E L'ENTRATA IN SCENA DI UN NUOVO PERSONAGGIO CHE SO GIA' CHE ODIERETE CON TUTTO IL VOSTRO CUORE... MA NON VI DICO PERCHE' XD

LE RECENSIONI SONO COME AL SOLITO IN FONDO AL CAPITOLO... SPERO CHE IL CHAPPY VI PIACCIA KISS A TUTTE!!! ^^

PS: CAPITOLO A RATING ROSSISSIMO!!! PERCIO' GLI ANIMI CASTI EVITINO LA PARTE SCRITTA IN CORSIVO XD E' LA PARTE IN CUI RAF RACCONTA NEL DETTAGLIO LA SUA NOTTE CON SULFUS... PERCIO' OCCHIO PERCHE' VI POTREBBE VENIRE UN'ANEURISMA XD

5° CAPITOLO: “LA FUGA E LA LONTANANZA”

POV SULFUS

Non seppi perché ma quella notte i miei sogni furono molto agitati. Beh più che di sogni si trattava di incubi. Avevo addosso come la sensazione che fosse successo qualcosa di grave. Ma alla fine non ci badai e concentrai tutti i miei pensieri sulla meravigliosa notte appena trascorsa. Nonostante stessi dormendo, riuscivo a rievocare nella mia mente la notte appena passata, le emozioni appena vissute. Non avevo mai provato delle sensazioni del genere e, solo rievocarle, mi sembrava di annegare nel fuoco che producevano: ricordai la felicità che avevo provato nel sentire la sua pelle contro la mia, l’eccitazione che si era scatenata in me al contatto delle sue labbra, al piacere che mi aveva devastato quando finalmente mi ero ritrovato dentro di lei; oddio al solo pensarci mi sembrava di svenire, non avevo mai provato un piacere così totalizzante in tutta la mia esistenza. Era stata una cosa assolutamente fantastica.

Eppure quella strana sensazione non mi abbandonava; sentivo che c’era qualcosa che non andava, un misto di inquietudine e dolore che mi faceva intuire che qualcosa di terribile era successo, qualcosa che avrebbe devastato e distrutto tutti noi.

Eppure, nonostante questa orribile sensazione fosse predominante, non era l’unica perché latente, nascosta, quasi invisibile sotto l’amarezza e l’appagamento, vi era anche la sensazione che quella notte fosse accaduto anche un miracolo, qualcosa che avrebbe portato incommensurabile felicità a tutti noi.  E che, specialmente a me, avrebbe cambiato la vita.

Ma quell’angoscia che mi attanagliava il cuore sembrava non voler abbandonarmi. Mi dissi che ero uno stupido e che sarebbe bastato risvegliarmi con Raf fra le braccia per far svanire tutta quell’assurda preoccupazione; avevo le cose che più desideravo al mondo, Raf e il mio diploma di guardian devil. Cosa sarebbe potuto andare storto?

Perciò cominciai a svegliarmi, ansioso di sentire il suo corpo nudo rilassato fra le mie braccia, trepidante di vedere di nuovo il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi capelli, il suo corpo… di rivedere lei. Un sorriso si disegnò sulle mie labbra prima che la mia mente, ottenebrata dal sonno, registrasse che qualcosa non andava davvero. Troppo felice per quanto era accaduto la scorsa notte, non mi ero reso conto di un particolare fondamentale: fra le mie braccia non c’era nulla, non sentivo niente steso sul mio petto, non avvertivo la sua pelle calda contro la mia. E un pensiero mi balenò improvviso e terrificante in testa: dov’era Raf? Dov’era il mio amore?

Aprii gli occhi di scatto e mi alzai a sedere velocissimamente facendo volare per aria le lenzuola, cercandola con lo sguardo. Non la trovai. Il sole oltretutto inondava la stanza con i primi raggi del mattino e sapevo che le ombre non sarebbero bastate a nasconderla, se avesse deciso di farmi uno scherzo. No, ero proprio da solo. Non c’era nemmeno Gas, aveva passato la notte fuori a dormire.

Scattai in piedi mentre l’angoscia e la paura mi avvolgevano da capo a piedi. La sentivo scorrere prepotente in me, corrodendomi dall’interno e aumentando il mio dolore. Un’unica domanda mi rimbombava nella testa: perché, perché te ne sei andata, perché non sei rimasta nella stanza e mi hai lasciato da solo?

Rapidissimo, senza preoccuparmi di indossare altro oltre ai boxer che la sera prima erano finiti sul pavimento, mi diressi a passo di carica fuori dalla stanza, cominciai a correre rapido verso il sognatorio, ignorando gli sguardi scocciati che alcuni devil mattinieri mi lanciavano al mio passaggio. Sapevo che le ragazze avevano fatto un pigiama-party in camera di Dolce e Miki su al sognatorio ed era lì che ero diretto, sperando con tutto me stesso che Raf fosse lì e mi spiegasse perché mi avesse lasciato da solo senza darmi spiegazioni. Entrai di corsa al sognatorio ignorando gli sguardi increduli e scioccati degli angel, e mi diressi rapido fino al corridoio dove c’erano le camere di Uriè e Raf e di Miki e Dolce. Entrai prima in quella di Uriè e Raf, magari sperando che fosse lì. Non c’era. Cominciai ad andare nel panico: dove sei Raf? No, non ti preoccupare, appena entrerai in quella e scoprirai che era stata lì tutto il tempo, riderai sopra a queste stupide paure, mi dissi per farmi forza. Ma qualcosa mi diceva che ritrovarla non sarebbe stato così facile.

 Ignorai bellamente quella sensazione e mi diressi in camera di Miki e Dolce. Entrai sbattendo la porta senza neanche bussare. Erano già sveglie, anche se si vedeva che si erano appena alzate,  e stavano scegliendo i vestiti da indossare quel giorno e quali mettere in valigia per il viaggio. Tutte tranne Kabalè che stava uscendo in quel momento dal bagno della stanza avvolta solo da un misero asciugamano bianco.

Saltarono tutte per la mia entrata e mi guardarono stupite. Kabalè invece urlò «ah Sulfus esci!», e mi tirò addosso un soprammobile in ottone che si trovava sulla cassettiera li a fianco, che schivai prontamente abbassandomi. Ma porca miseria! Era mai possibile che queste cose succedessero solo a me? Kabalè richiuse la porta del bagno.

«Sulfus ma sei impazzito a entrare così?», mi sgridò Uriè, «avremmo potuto essere nude! E poi perché…», fece una pausa arrossendo di botto, resasi conto del mio vestiario alquanto essenziale, «oh mamma! E perché hai addosso solo un paio di boxer?!», mi urlò quasi scandalizzata.

La ignorai, non mi importava di quello che pensava, Raf era più importante di tutto. «Raf è qui? Vi prego ditemi che lo è», le chiesi disperato, stavo per avere una crisi di nervi.

Tutte mi guardarono confuse, «no, non è qui», mi disse Dolce facendomi sprofondare nella più totale disperazione, «aveva detto che era stanca e che sarebbe rimasta a dormire in camera sua stanotte».

Un lamento strozzato mi uscì dalle labbra. La preoccupazione stava crescendo di minuto in minuto e ci si stava mettendo anche il mio settimo senso che ronzava peggio di uno sciame di api impazzito, «no Dolce in camera sua non c’è, era…», ma mi bloccai all’improvviso. Non sapevo come avrebbero reagito al fatto che io e Raf avevamo fatto l’amore e poi, era una cosa solo nostra, mia e di Raf,  e, per il momento, non volevo condividerla con altri.

Kabalè uscì vestita dal bagno, «era cosa Sulfus?», mi chiese interrogativa. Poi il suo sguardo si soffermò sul mio abbigliamento e, all’improvviso, una luce maliziosa le si accese negli occhi. «ahhhhhhhhhhh», cominciò con lo sguardo di una che la sapeva lunga. Cazzo, aveva capito! «Raf non è in camera sua, Sulfus la cerca mezzo nudo in tutta la scuola e Raf ieri sera ci ha detto che era stanca e voleva stare da sola. Due più due fa quattro. Scommetto che lei e il nostro Sulfus hanno passato una bella notte di fuoco, vero?», mi chiese ridacchiando sotto i baffi.

Io arrossii come un peperone, mentre le ragazze mi guardavano con gli occhi fuori dalle orbite. «cioè tu e Raf avete fatto l’amore?», mi chiese incredula Miki, talmente sbigottita da aver dimenticato il significato della parola tatto.

«beh, insomma, ecco, noi…», borbottai in maniera indefinita qualcosa. Patetico, un devil imbarazzato!

«eddai ammettilo», mi chiese ridacchiando Kabalè venendomi vicino e dandomi una gomitata per gioco.

Esasperato alla fine sbottai, «si va bene!», urlai mentre un sorriso si faceva strada sul mio volto al ricordo della notte appena passata, «io e Raf abbiamo fatto l’amore ed è stata la notte più bella della mia vita!».

Mi preparai alla loro sfuriata, ma reagirono in modo totalmente diverso da come mi aspettavo. Esplosero in urla di giubilio talmente forti da spaccare i timpani e cominciarono a saltellare come pazze per tutta la stanza. Se c’era qualcuno ancora addormentato, ora sicuramente non lo era più.

Le angel si abbracciarono, mentre Cabiria e Kabalè si diedero il cinque saltando. Poi si precipitarono da me e mi saltarono praticamente addosso, stritolandomi.

«evviva!», era l’unico urlo che proveniva dalle loro labbra. Le devil mi diedero una pacca sulle spalle talmente forte che mi lasciò senza fiato. «e bravo il nostro Sulfus, era ora che vi faceste avanti!», e poi scoppiarono tutte e cinque a ridere.

«siamo grandi, il nostro piano ha funzionato», esultò a sorpresa Uriè.

«il vostro piano?», chiesi confuso. Di che parlavano?

Tutte e cinque risero rumorosamente alla vista della mia faccia stranita, «beh sapevamo che da soli non avreste mai avuto il coraggio di compiere un passo del genere, perciò abbiamo cercato un modo efficace per spingervi», spiegò Cabiria mentre tutte ridacchiavano.

E mi venne un flash che mi portò a capire, «l’intimo! Altro che caso voi eravate d’accordo», sbottai incredulo.

Gongolarono, visibilmente soddisfatte di se stesse, «ovvio no!», dissero all’unisono e scoppiarono a ridere. Poi diventarono improvvisamente serie, «sapevamo che volevate farlo, ma da soli non avreste mai avuto il coraggio di parlarne, e se non l’aveste fatto, sapevamo che l’avreste rimpianto per tutto il tempo in cui sareste stati lontani», asserì Miki.

Era vero. Volevo fare l’amore con Raf con tutto me stesso, ma non avrei mai avuto il coraggio di parlarne apertamente con lei. E questo pensiero mi riportò alla gravità della situazione.

«si ma ora non è questo il problema», dissi loro concitatamente, «quando mi sono svegliato non era con me. Così ho controllato in camera sua ma non è nemmeno lì, e voi mi avete detto che non l’avete vista per tutta la notte. Quindi dov’è?», chiesi terrorizzato.

I loro sorrisi sparirono lentamente, mentre metabolizzavano le mie parole e si rendevano conto della gravità della situazione.

«no-non era con te?», mi disse Dolce terrorizzata, « m-ma allora dove potrebbe essere? Non è da Raf questo, lasciarti da solo nel bel mezzo della notte. Non lo farebbe mai!», sbottò cercando di trovare un appiglio che giustificasse una tale stranezza.

«torniamo in camera mia, magari avremo qualche indizio», propose Uriè, che come al solito aveva la soluzione pronta.

Annuimmo e , senza aspettare oltre, uscimmo e dopo aver attraversato il corridoio, entrammo in camera di Uriè e Raf. Tutti ancora in pigiama, tranne Kabalè che nel bagno si era vestita, cominciammo a guardarci intorno per cercare di capire cosa era successo.

Vidi Uriè guardare pensierosa il letto di Raf. «che c’è Uriè?», le chiesi ansioso.

«guardate il letto», ci disse indicandolo, mentre le altre si avvicinavano per vedere, «è completamente intatto, le lenzuola non sono nemmeno sgualcite». Le osservai e mi resi conto che era vero. «se non sono state toccate vuol dire che non ha dormito qui».

Sbuffai, «grazie lo so, è stata con me stanotte». Era un’affermazione che mi aveva fatto salire l’irritazione alle stelle, dovevamo scoprire qualcosa che già non sapessimo.

«se prestassi più attenzione capiresti cosa vuol dire. Se le lenzuola non sono sgualcite e Raf non ha dormito qui, e allo stesso tempo al tuo risveglio non l’hai trovata, allora dove ha dormito Raf stanotte?», mi chiese lei come se fosse ovvio.

Mi paralizzai. Come avevo fatto a non pensarci? Il panico stava per prendere il sopravvento su di me.

«oddio guardate!», urlò Miki aprendo l’armadio di Raf. Ci avvicinammo subito e gelammo, «è completamente vuoto! Dov’è tutta la sua roba?» chiese, nella sua voce si distingueva chiaramente il panico.

«anche il diario di Raf è sparito», urlò Dolce che stava rovistando sotto cuscini e coperte, «l’ha sempre lasciato qui e non l’avrebbe mai spostato». Questa affermazione mi gelò ancora di più. Raf non si separava mai dal suo diario e se l’aveva spostato voleva dire una cosa sola, un ipotesi che non volevo nemmeno prendere in considerazione.

Mentre continuavamo a cercare, Cabiria si chinò sotto al letto per vedere qualcosa, «il suo trolley è sparito, non c’è più», disse agitata.

Ci guardammo angosciati, mentre tutti gli indizi che avevamo trovato, ci portavano inesorabilmente verso una soluzione che il mio cuore e la mia mente si rifiutavano di accettare. La respingevano con tutte le loro forze.

«guardate perfino il suo portatile è sparito. Anche i cassetti di scrivania e cassettiera sono vuoti. Non è rimasto nulla», ci disse con voce di tomba Kabalè, rovistando mesta fra i cassetti.

Ormai mi sembrava di non respirare più, il peso che mi opprimeva il cuore si faceva più pesante ogni secondo che passava, trasformando lentamente il mio cuore in un macigno, che mi trascinava lentamente ma inesorabilmente lungo una china lunga e buia dalla quale non c’era ritorno.

Era praticamente lampante quello che fosse successo ma mi rifiutavo di credere che fosse veramente così. Non poteva essere così, non dopo tutto quello che avevamo passato insieme e tutti i pericoli che avevamo affrontato. E, intanto, milioni di domande si susseguivano rapide nella mia mente, domande che difficilmente avrebbero trovato risposta: perché Raf? Perché te ne sei andata? Perché non sei rimasta con me, perché hai mentito a me e a tutti quelli che ti volevano bene? Perché?!

«no», sussurrai, completamente impietrito sul posto dalla verità che mi si parava davanti, «non può averlo fatto. Non può essersene andata. Non può!!!», dissi urlando. Senza rendermene conto, avevo alzato la voce fino ad urlare per la disperazione. Mi rifiutavo con tutto me stesso di credere a una cosa del genere.

Le ragazze avevano tutte le lacrime agli occhi, specialmente le angel, che conoscevano Raf da una vita. All’improvviso il professor Arkhan entrò in camera, probabilmente richiamato dal mio urlo, «per tutti gli angeli, cos’era quell’urlo? E perché tu sei qui, in mutande per di più?», mi chiese ovviamente scandalizzato. Se fosse successo in condizioni normali avrei riso alla sua faccia, ma in quel momento mi sembrava di trovarmi in una dimensione parallela nella quale tutti i suoni sembravano essere ovattati e distanti. Riuscivo solo a pensare che Raf era sparita ed io non avevo la minima idea ne di dove fosse ne di come stesse.

«chi non c’è più Sulfus?», mi chiese il nonnetto e io mi tappai la bocca. Non mi ero reso conto di aver espresso le mie sensazioni ad alta voce, intontito com’ero, perciò mi affrettai a smettere.

«Raf signore», rispose Cabiria con un espressione talmente disperata che faceva paura, «siamo venute a cercarla ma non è rimasto più niente di suo, trolley compreso. La nostra ipotesi è che se ne sia andata», disse con voce rotta e sguardo basso mentre a quelle parole Dolce e Miki cominciavano a singhiozzare. Arkhan impallidì.

«NO!!! LEI NON SE NE E’ ANDATA, NON PUO’!!! non può…», dissi cadendo in ginocchio a terra e prendendomi il viso fra le mani, come se fossi una marionetta a cui hanno tagliato improvvisamente i fili. Sentii lo sguardo confuso di Arkhan su di me.

«urlare e disperarsi non serve a niente ragazze», disse Uriè cercando di mantenere la voce ferma e di prendere in mano la situazione, anche se dai suoi occhi era evidente che le costava una grande fatica, «la cosa più importante ora è trovarla. Perciò dividiamoci e cerchiamola».

Sentii una mano sulla mia spalla e mi voltai verso Kabalè che mi sorrideva determinata, e io capii che non avrei lasciato che finisse così; avrei lottato con tutte le mie forze per trovarla e riportarla tra le mie braccia, l’unico posto in cui sapevo che lei avrebbe dovuto stare. Perciò mi alzai, illuminato da nuova determinazione e fissai le ragazze che mi sorridevano fra le lacrime (le angel) e i singhiozzi (le devil), anche loro decise come lo ero io.

Uriè si voltò verso di me, «e tu vai a vestirti altrimenti ci verrà un infarto». Guardandola però capii cosa in realtà voleva dirmi; non potevamo dire che io e Raf avevamo passato la notte insieme, sarebbe scoppiato il finimondo, ma con questa scusa sarei potuto tornare in camera, il luogo dove era iniziato tutto e trovare qualche indizio su cosa fosse successo. Perciò annuii e corsi fuori rifacendo a ritroso tutto il percorso fino alla mia camera nell’incubatorio, ignorando gli sguardi che mi lanciavano.

Entrai in camera e vi trovai Gas che stava preparando la valigia per tornare a Zolfanello city. Era tornato. Si voltò verso di me con un sorrisone a trentadue denti stampato in faccia, «ehi Sulfus dov’eri finito, tra poco dobbiamo tornare indietro».

Ma quando vide la mia faccia il suo sorriso si spense, «ehi Sulfus come mai hai quella faccia sconvolta?», mi chiese evidentemente preoccupato.

«tu stanotte sei stato fuori, hai per caso visto Raf?», gli chiesi velocemente. Era la mia ultima spiaggia, speravo che almeno lui che era stato via tutta la notte potesse dirmi qualcosa.

Si grattò la testa in un modo che in altre circostante mi avrebbe fatto morire dal ridere. Sembrava un personaggio dei fumetti quando faceva quelle smorfie. Dopo un attimo di riflessione mi rispose, «veramente no, comunque», mi disse cambiando discorso, come faceva sempre da perfetto cretino tutte le volte che si tentava di fare un discorso serio con lui, «come mai c’è una lettera sul tuo comodino? Ho letto il mittente, è indirizzata a te e non l’ho letta», mi disse, facendomi ghiacciare sul posto.

Poteva essere che Raf avesse voluto parlarmi un’ultima volta prima di partire? Mi vestii, non potevo continuare a girare in boxer, mi precipitai al comodino e vidi che Gas aveva ragione. Sul mio comodino c’era una lettera indirizzata a me e sapevo con assoluta certezza a chi apparteneva la scrittura: a Raf!

La presi in mano e la aprii con mani tremanti. E quello che lessi bastò a farmi sprofondare nella disperazione più nera:

 

Caro Sulfus,

amore mio perdonami se me ne vado così, ma proprio non vedevo altra soluzione. Sapevo che se ti avessi detto cosa avevo intenzione di fare non me lo avresti mai permesso e avresti cercato di impedirmi di partire, e io non ce l’avrei mai fatta a salutarti. Devo andarmene Sulfus, non posso fare altrimenti. Non posso spiegarti cosa mi ha spinto a prendere questa terribile decisione, posso solo dirti che è per il bene di tutti che lo faccio e che un giorno mi ringrazierai.

Non riesco nemmeno a spiegarti il dolore che provo lasciando te e tutti gli altri, ma se penso a cosa potrebbe succedere se restassi, capisco che è la cosa giusta.

Questa è stata la notte più bella della mia vita, grazie per aver esaudito l’unico desiderio che mi rimaneva. E lo so che non ne ho diritto ma ti prego, promettimi che ricomincerai da capo, che ti lascerai tutto alle spalle e che continuerai a vivere la tua vita. Lo so, ti chiedo tanto, ma noi non ci rivedremo mai più e non riuscirei a vivere con la consapevolezza che anche tu non ci riesci. Perciò, per favore, prova a dimenticarmi.

Grazie per aver portato luce nella mia esistenza, per avermi fatto sentire amata e speciale e per aver riempito le mie giornate con il tuo amore. Sappi che comunque nessuno prenderà mai il tuo posto nel mio cuore, apparterrà per sempre a te, perciò prenditene cura perché te lo affido.

Saluta le ragazze da parte mia, io non ho potuto. Me ne vado con la morte nel cuore Sulfus, ma con la consapevolezza che è la cosa giusta. E per favore, non cercatemi.

Ti amerò per sempre,

Raf.

 

Strinsi convulsamente le mani intorno alla carta, quasi lacerandola talmente la stringevo forte. Le dita mi tremavano incontrollabili e, benchè fosse una cosa stupida e insensata, soprattutto per un devil, avevo voglia di mettermi a piangere come non avevo mai fatto in vita mia, per vedere se almeno così avrei potuto eliminare quel dolore insopportabile che si stava facendo strada nel mio corpo in quel momento. Perché, perché se n’era andata? Perché mi, ci aveva fatto questo? E cosa voleva dire che sarebbe stato meglio per noi se lei ci fosse stata lontana? Non aveva senso, ecco cosa significava. Perché lontano da lei, tutto quello che conoscevo perdeva significato.

Crollai a terra in ginocchio stringendo a me quell’insignificante pezzo di carta che in poche e semplici righe mi aveva completamente rovinato la vita. Lo portai al volto e inspirai forte; sulla carta era ancora impresso il suo profumo di fiori, che si era fissato mentre lei scriveva quelle atroci parole.

Le lacrime cominciarono a uscire senza che potessi fare niente per fermarle, e i singhiozzi di dolore mi squassarono il petto. Mi sembrava di morire; ogni singhiozzo che mi usciva dalle labbra mi provocava una fitta di dolore lancinante al petto, proprio lì, all’altezza del cuore, che lei, la mia Raf, il mio unico amore e la mia unica esistenza mi aveva rubato. Mi sentivo svuotato di ogni energia, la mia forza e la mia voglia di vivere erano sparite insieme a lei, perché era lei l’unica ragione che mi spingeva a continuare la mia esistenza altrimenti priva di significato. No, non potevo vivere senza di lei, come avrei fatto a sopravvivere?

I miei singhiozzi si fecero più forti e mi importava poco del fatto che per un devil fosse una cosa orribile piangere perché non riuscivo a sopportare tutto quel dolore. Le lacrime scendevano copiose, abbondanti e bollenti lungo le mie guance e non ne volevano sapere di arrestarsi.

Sentii una mano posarsi sulla mia spalla e riconobbi la presa di Gas, «ehi Sulfus, amico che ti succede? Perché stai piangendo?», mi chiese scandalizzato; di certo ero l’ultimo devil al mondo che si aspettasse si mettesse a piangere.

Senza starlo a sentire mi alzai e, con sguardo basso, mi sforzai di muovere il mio corpo, che in quel momento sembrava fatto di piombo, verso l’atrio della scuola, dove gli altri si stavano riunendo per decidere la divisione delle zone della città dove avremmo cercato Raf. Non poteva essersene andata da molto e aver fatto molta strada. Ma ormai non importava.

Arrivai all’atrio e vidi che erano tutti lì, compresi Arkhan e la Temptel, che stavano discutendo sul da farsi. Non appena mi videro, tacquero.

«oddio Sulfus! Ma cosa ti è successo? Sembri un morto che cammina», mi chiese Kabalè preoccupata, sgranando gli occhi ancora di più di quanto non lo fossero normalmente, nel studiare i segni lucidi che le lacrime avevano lasciato sul mio viso.

Senza dire niente le allungai la lettera, il dolore che provavo era troppo per riuscire a parlare, e Kabalè la prese, in silenzio come me.

La aprì e la lesse in silenzio. Più leggeva, più i suoi occhi si incupivano. Quando arrivò alla fine, anche i suoi occhi si riempirono di lacrime, anche se lei riuscì a impedire all’ultimo momento che scendessero dai suoi occhi; aveva un grande autocontrollo a differenza mia ma era anche vero che il dolore che provava lei per la perdita di Raf era solo una puntura di rigetto in confronto a quello che provavo io.

Tuttavia non potè impedire che un singhiozzo le sfuggisse, e le altre ci guardarono perplesse.

«ragazzi, ma si può sapere che vi prende? Prima Sulfus e ora Kabalè; andiamo non può essere niente di atroce», disse Gas sghignazzando come un deficiente, cosa che in effetti era.

La sua affermazione fu come un accendino gettato dentro una tanica di benzina: non era successo niente?! Certo, cosa aveva da preoccuparsi lui? «NIENTE?! NON E’ SUCCESSO NIENTE?! MA DICO SEI STUPIDO O COSA?! RAF SE N’E’ ANDATA PER SEMPRE E TU DICI CHE NON E’ SUCCESSO NIENTE?! CERTO, INFONDO DI COSA TI PREOCCUPI TU,, DOPOTUTTO NON SEI TU CHE HAI PERSO L’AMORE DELLA TUA VITA NEL PEGGIOR MODO POSSIBILE!!!», gli urlai in faccia tutta la rabbia, il rancore e il dolore che provavo in quel momento. Gas mi guardò sconvolto. Sbattei forte la mano contro un albero li di fianco e il mio potere ormai fuori controllo, lo fece esplodere con un grosso boato in tante minuscole schegge di legno.

«Sulfus ti prego calmati», mi supplicò Kabalè, spaventata, come tutti gli altri, da quello sfogo di pura rabbia. Io, svuotato di ogni energia, abbassai le mani lungo i fianchi.

Non potevo credere che Raf mi avesse lasciato per sempre, che non avrei potuto più godere della sua risata, dei suoi occhi di cristallo pieni d’amore fissi nei miei, del suo profumo di fiori che mi annebbiava completamente i sensi, della sua pelle sotto le mia mani, delle sue labbra premute sulle mie, del mio corpo sopra al suo… non potevo accettare di non poter più provare tutte quelle sensazioni che per me erano come aria. Senza di lei, la mia vita non aveva senso.

«come se n’è andata? Cosa vuoi dire Sulfus?», mi chiese terrorizzata dalle mie parole Uriè. Mi fissava con gli occhi pieni di lacrime che non si sforzava di reprimere; uno dei vantaggi di essere angel era che potevi piangere quando ti pareva senza che nessuno ti additasse come debole o fallito; in quel momento era una cosa che invidiavo a quelle meringhe alate.

Senza aggiungere altro prese la lettera dalle mani di Kabalè, anche lei incredula per quello che avevo detto, o meglio urlato, e, con mani tremanti, lesse la lettera ad alta voce, affinchè tutti sentissero.

Vidi tutti inorridire di più a ogni lettera che scorreva dalla pagina e, alla fine, quando Uriè sconvolta richiuse il foglio, le angel scoppiarono in un pianto disperato e si abbracciarono, mentre Cabiria e Kabalè si girarono per non far vedere che nonostante tutto, anche loro avevano le guance rigate di lacrime. Gas invece sembrava una statua; era immobile e sembrava non aver realizzato appieno quello che era appena successo. I professori ci guardavano con gli occhi fuori dalle orbite per la disperazione.

Poi sentimmo sibili e svolazzi e ci voltammo appena in tempo per vedere le nostre mascotte atterrare ognuno fra le mani del suo proprietario. Vidi gli altri accigliarsi e in effetti era strano che non fossero nascosti nei loro oggetti, ma non me ne preoccupai; ormai niente mi sembrava importante.

Mi ricredetti solo quando le mascotte ci proiettarono nella mente ciò che non avremmo mai voluto vedere. Era lei; era Raf. Stava facendo la sua valigia con le lacrime agli occhi e, in quella visione, stava mettendo il suo computer portatile dentro al trolley. Poi lo richiuse, si voltò verso le mascotte e le abbracciò, sussurrando loro di dirci quanto ci volesse bene e quanto le costasse lasciarci. Le ragazze singhiozzavano sempre più forte. La visione per gli altri si interruppe, ma non per me; io vidi anche Raf chinarsi su basilisco e sussurrare un “ti amo” pieno di dolore e passione, quella stessa passione che ci aveva portato a unirci in camera mia quella stessa notte appena passata.

Quel “ti amo” mi fece più male di qualunque cosa scritta o detta da Raf finora. Come poteva avermi lasciato, se diceva di amarmi? Come poteva essersene andata se diceva di provare tutto questo amore per me?

Completamente distrutto appoggiai la schiena al muro della scuola e mi lasciai scivolare a terra completamente privo di forze. Era finita per sempre e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad accettarlo.

«Sulfus perdonami se te lo chiedo», cominciò Arkhan con voce timorosa, come se avesse avuto paura di ferirmi; come se fosse stato possibile in quel momento, «non vorrei infierire ma dobbiamo sapere. Tu e Raf vi amate vero? Il vostro sentimento non era dovuto al ragno di Reina», mi disse e mi resi conto della gaffe fatta in precedenza; quando avevo sbraitato contro Gas, avevo accidentalmente rivelato cosa legava me e Raf.

Mi diedi dello stupido ma poi mi dissi che non aveva più importanza, considerato il fatto che ormai la mia angel del cuore se ne era andata, perciò sussurrai un doloroso «sì», ancora seduto a terra e abbandonato completamente al muro, come un guscio vuoto che non ha di che vivere; perché era proprio così che mi sentivo in quel momento.

«la ami davvero?», mi chiese la Temptel, fissandomi con occhi critico.

«sì», sussurrai di nuovo, più deciso però stavolta perché quello era un dato di fatto che non poteva essere cambiato.

I prof si guardarono e annuirono. Infine sorrisero verso di me, «sai lo sospettavamo», ci disse Arkhan, lasciandoci sbigottiti, «anche se siete sempre stati attenti a non farvi scoprire, abbiamo capito che qualcosa in voi due era cambiato. La luce nei vostri occhi era diversa, la luce che solo l’amore può portare. E abbiamo intuito che fra voi due non fosse finita come voi tutti volevate farci credere. E abbiamo deciso di lasciarvi fare; per una volta volevamo provare a fidarci di voi e non ci avete deluso».

Arkhan ci lasciò sbigottiti. Dovevo rivalutare il vecchietto e la nonnetta.

«ma non ha importanza ormai», asserii convinto, «lei se n’è andata e non tornerà più», dissi sconfitto e impotente. Solo pensarlo mi faceva male.

Improvvisamente sentii un sonoro schiocco e un bruciore sulla guancia. Alzai lo sguardo sbigottito e vidi che la Temptel, furiosa, mi aveva mollato uno schiaffo in pieno volto. «cazzo Sulfus ma che ti prende? Dov’è finito il devil che combatte per quello che vuole? Se la ami tanto come dici, allora alzati in piedi, valla a cercare e riportala qui», mi urlò furiosa.

Le sue parole mi lasciarono esterrefatto ma capii che aveva ragione. Illuminato da nuova determinazione, mi alzai e me ne convinsi; l’avrei riportata a casa.

«ragazze andiamo a cercarla», dissi alle altre e scattai. Rapidi ci alzammo in volo e, determinati come non mai ci disperdemmo nella città per ritrovare colei che era più importante di tutti.

 

POV RAF

Camminavo a testa bassa, sforzandomi di guardare dove andassi e fingendo di avere un’idea su cosa fare ora. Avevo pensato a tutto per organizzare la mia fuga dalla scuola, ma a quello che ci sarebbe stato dopo non avevo minimamente pensato. Insomma, dovevo allontanarmi da loro, questo era vero, ma non avevo la minima idea di come farlo. Non potevo certo andare raminga per il mondo, senza un mezzo di trasporto e con pochi soldi che prima o poi sarebbero finiti. Era una pazzia; dovevo trovare qualcosa, farmi venire un’idea.

Solo una parte del mio cervello era persa nelle sue elucubrazioni mentali; l’altra parte invece, si sforzava con tutte le sue forze di non pensare e di trattenere le lacrime perché, se avessi osato sciogliere la presa ferrea con cui mi trattenevo, non sarei più riuscita a frenarmi. Ma ero ancora vicina a loro, troppo vicina, e non potevo permettermi di abbassare la guardia finchè non fossi stata sicura che fossi stata abbastanza lontana perché non mi ritrovassero e mi riportassero indietro. Sapevo che era una possibilità reale e, benché sperassi con tutto il mio cuore che succedesse, sapevo anche che non sarebbe mai potuto accadere, altrimenti avrei messo in pericolo tutte le persone a cui tenevo di più, Sulfus in primis, e non potevo permetterlo.

Tuttavia l’amarezza, la tristezza e l’immenso dolore che provavo non accennavano a svanire, nonostante la consapevolezza di star facendo la cosa giusta le rendesse più sopportabili. Ogni tanto però, una lacrima scendeva, che spazzavo via rapida con la mano.

Mi stavo muovendo come un automa, senza neanche sapere dove stessi andando, finchè non trovai ciò che, inconsciamente, mi serviva; davanti a me, come un salvagente lanciato nel mare in tempesta che era la mia mente, si stagliava maestoso il cartellone pubblicitario del porto, che annunciava le migliori crociere prenotabili in tutta la regione, e i traghetti verso molte mete turistiche. Feci per andarmene, infondo avevo bisogno di restare lontana dalla gente, ma poi ci ripensai e capii che un luogo affollato era quello che faceva per me; tutti si sarebbero aspettati che, scappando, avrei prediletto i luoghi isolati per poter essere rintracciata meno facilmente. Per questo era più sensato pensare di andare in un posto molto trafficato, in cui mi sarei potuta anche confondere meglio. Nessuno penserebbe che avrei potuto prendere una decisione del genere, completamente contro la logica, per cui era ovvio che la mia seconda scelta sarebbe diventata la prima.

Ripresi a camminare in direzione del porto, fra le persone sempre più numerose che camminavano nelle strade. Avevo deciso di rimanere trasformata in terrena finchè non avessi trovato un modo per camuffare il mio potere angelico. Infatti, in forma sempiterna, le Alte sfere non ci avrebbero messo niente a rintracciare me  e il mio potere, in quanto la loro identità di sovrane del mondo angelico dava loro la capacità di trovare chiunque, dovunque e in qualunque momento. Perciò, a meno che non volessi farmi beccare subito, mi conveniva evitare di trasformarmi in sempiterna. Non potevo negare però, che una parte di me voleva che mi trasformassi, così avrei avuto la scusa per ritornare dagli altri, da tutti coloro che avevo lasciato. Avrei voluto con tutta me stessa ascoltare quella parte di me, per una volta, cedere alla tentazione e fare ciò che era meglio per me stessa e non per gli altri. Lo volevo, ma non potevo farlo: non potevo dimenticare le parole della neutra e non potevo permettere che a causa mia facessero del male ai miei amici, a Sulfus in particolare.

Sulfus… il ricordo della notte appena passata mi colpì con la forza di cento coltellate, ma vi erano anche calore e dolcezza, al ricordo delle sensazioni che lui mi aveva regalato: le sue mani che lasciavano scie roventi sulla mia pelle, la sua bocca avida che esplorava la mia e ogni centimetro del mio corpo, il suo petto premuto contro il mio, i suoi capelli fra le mie dita, il suo corpo dentro al mio e il piacere che mi stravolgeva da capo a piedi mentre si muoveva sinuoso e potente su di me, possedendomi..

Senza neanche accorgermene mi ero fermata e le lacrime che avevo tanto cercato di reprimere, ora uscivano copiose dai miei occhi; il dolore mi squarciava da capo a piedi, come se mille lame mi avessero trapassato il corpo e il cuore in un colpo solo. Era impossibile sopravvivere senza di lui, lo sapevo con certezza. E il peggio era che sapevo che avevo fatto tutto da sola, che ero stata io a prendere la decisione più terribile della mia vita, e perciò ero io stessa la fautrice del mio atroce dolore.

La mia mente, libera dai catenacci in cui la tenevo rinchiusa per evitare il dolore dei ricordi, fu libera di rievocare alla memoria cosa era successo questa notte, la notte più magica della mia vita.

Finimmo stesi sul suo letto, lui sopra di me, che mi baciava con passione, mentre le sue mani esploravano ogni centimetro del mio corpo coperto solo dalla camicetta e dall’intimo. Fece scivolare una mano lungo la mia gamba nuda, stringendo avido la pelle della mia coscia; gemetti per le scariche di piacere provocate da questo suo gesto, e lo strinsi di più a me, prima affondando le mani fra i suoi capelli e poi percorrendo con le dita e i palmi il suo torace muscoloso e perfetto. Sulfus rabbrividì sotto le mie carezze e io sospirai nel sentire la consistenza morbida e setosa e, allo stesso tempo, tonica e terribilmente eccitante dei suoi muscoli, che si contraevano di riflesso non appena li sfioravo.

Le sue mani, sempre più avide, strinsero i miei fianchi portandomi ad aderire al suo corpo e ad aprire le labbra sotto la pressione delle sue; la sua lingua si intrufolò nella mia bocca e giocò insieme alla mia, si rincorsero, si attorcigliarono, si cercarono, in una danza passionale che sembrava non finire mai. Io strinsi forte le braccia attorno al suo collo. Lo volevo, lo volevo con un’intensità tale che mi sembrava di impazzire.

Sentivo che ormai era stanco di sentire le nostre pelli separate l’una dall’altra per colpa della mia camicetta. Perciò, esasperato, cominciò rapidamente a sfilarmela, sfiorando la pelle del mio ventre e dei miei fianchi con le mani, scatenandomi dei brividi tali che temetti per un momento di essere sul punto di perdere la testa.

All’improvviso si fermò e, con un grande sforzo, vidi che era così, si alzò leggermente dal mio corpo, puntellandosi suoi gomiti, mettendo fine al contatto fra noi. Fu come se mi venisse strappata una parte di me; staccarmi da lui in quel momento, fu un dolore sia mentale che fisico. No!!! Urlò la mia mente; perché ti sei fermato? Continua ti prego, non smettere, imploravo fra me e me, il mio respiro veloce e irregolare; il mio desiderio era talmente potente che non sapevo cosa mi aveva impedito fino ad allora di saltargli addosso nel vero senso della parola.

Ormai in quella stanza non eravamo più una angel e un devil, ma solo un ragazzo e una ragazza che volevano amarsi quell’unica notte prima di venire separati per sempre; per questo motivo, la mia ragione era andata già da tempo a farsi una vacanza alle Bahamas per lasciare spazio all’istinto, un essere che non conosceva regole e che per me, in quel momento, trasudava lussuria da tutti i pori. Mi sarei fatta fare di tutto da lui quella notte, volevo che mi amasse fino a sfinirmi.

«Raf», mi bisbigliò con voce roca, che mi eccitò ancora di più, «sei sicura che questo è quello che vuoi? Dopo non si torna indietro e non voglio che tu non faccia niente di cui non sei certa».

Ma era pazzo? Pensava davvero che non lo volessi tanto quanto lui voleva me? E io, ovviamente ero andata fino in camera sua coperta solo dalla biancheria intima per fare quattro chiacchiere. No io volevo fare l’amore con lui sopra ogni altra cosa, e non mi sarei fatta certo sfuggire l’occasione.

Perciò annuii, «si Sulfus sono sicura. Non ho mai voluto qualcosa quanto ora voglio fare l’amore con te».

Lui trasalì e i suoi occhi passarono dal caldo e rassicurante color ambra a un cupo e eccitante color onice, probabilmente dovuto al desiderio e all’eccitazione. Annuì, negli occhi pura passione,  e mi sfilò rapidamente la camicetta, incollando di nuovo le sue labbra alle mie, e attirandomi nuovamente a se. Io sospirai di piacere quando sentii la sua pelle posarsi finalmente sulla mia. Il mio sospiro fu catturato dalle sue labbra, che avide esploravano le mie.

Era un bacio diverso da quelli che ci eravamo dati finora: era più passionale, più profondo, più avido, più smanioso… perché la sicurezza che ci davano i  nostri desideri e le nostre pulsioni ci avevano finalmente liberato di tutti i freni avuti fino ad allora.

Mi fissò negli occhi, con una luce dolce e al contempo maliziosa in essi, «io l’avevo detto che questo completo ti stava molto bene. Sei terribilmente sexy», mi disse percorrendo avido con gli occhi la mia figura, coperta solo dal completino-ino-ino che avevo comprato per l’occasione. Poi si avvicinò di nuovo alle mie labbra ma si fermò a pochi millimetri da esse. Il suo respiro, saturo del suo profumo, mi arrivò forte e potente sulle mie labbra aperte, che potevano quasi sentirne il sapore, annebbiandomi i sensi e acuendo, per quanto fosse possibile, il mio desiderio. «non oso pensare a cosa c’è sotto al completo ma credo che lo scoprirò presto», disse leccandosi avido le labbra.

Era possibile morire di autocombustione? Perché, se così fosse stato, a me restava ben poco da vivere. Voleva provocarmi? Bene, gli avrei reso pan per focaccia. «hmm», mugugnai senza dire niente e, quasi fosse un gesto casuale, cominciai ad accarezzargli il petto, con movimenti lenti e sensuali. Lui trasalì e i suoi occhi si ingrandirono ancora di più. Decisi che era ora di mostrargli che anch’io, nel gioco della seduzione, potevo condurre la partita. Perciò con le mani scesi più giù, fino ad arrivare ad accarezzargli il ventre e i suoi addominali, che sembravano scolpiti nella roccia. Sentirne la consistenza sotto le mani spedì la mia eccitazione a livelli mai visti. Il suo respiro era accelerato e aveva chiuso gli occhi per bearsi completamente delle mie audaci carezze. Ma non ero ancora soddisfatta; volevo vederlo completamente in mio potere. Perciò abbassai le carezze ulteriormente, percorrendo il suo basso ventre ma fermandomi ogni volta che entravo in contatto con l’elastico dei suoi boxer.

Adesso i suoi occhi erano spalancati e mi guardavano con la più eccitante delle espressioni che gli avessi mai visto, «Raf», sussurrò quasi senza fiato, «fossi in te non mi provocherei», mi disse cercando di suonare minaccioso, anche se in realtà suonò tutto tranne che quello. Io sorrisi, molto più che maliziosa, e non mi fermai. Stavo raggiungendo il mio scopo.

Al che lui sgranò prima gli occhi, sorpreso, e poi sorrise, perfidamente seducente, «l’hai voluto tu», mi sussurrò all’orecchio. Velocissimo mi prese i polsi con le mani e me li portò sopra la testa, bloccandomi anche con il peso del suo corpo. Sentivo la pelle bruciare a contatto con la sua, era come un fuoco che ardeva da dentro; ma non mi bruciava, anzi, mi riscaldava e mi faceva sentire come mai prima. Perché niente in quel momento, era più importante di noi due insieme.

Ghignando, si avvicinò col viso al mio ma all’ultimo momento, deviò verso il mio collo. Cominciò a baciarlo in modo lento, sensuale, assaporando la mia pelle. Mi scatenò brividi di piacere che si propagarono lungo il mio corpo, facendomi ansimare; chiusi gli occhi e gettai la testa all’indietro, dandogli libero accesso per continuare la sua dolce e, al contempo, terribilmente eccitante tortura. Di riflesso, come fosse stato automatico, allargai le gambe, permettendogli di sistemarsi meglio sul mio corpo. Le nostre intimità vennero a contatto e mi sfuggì un gridolino eccitato. Sulfus era… era… completamente eccitato! Sentivo la sua erezione premere sul mio ventre.

La sua tortura intanto continuava sul mio collo, ormai completamente arrossato dai suoi baci e dai morsi leggeri. Dopo aver esplorato ogni singolo centimetro di pelle delle mai gola, cominciò lentamente, a scendere verso la base del mio collo per poi proseguire lungo la mia spalla. Ormai le mie mani erano libere; le sue erano andate a stringermi a lui e ad accarezzare la mia schiena, soffermandosi spesso sul gancetto del reggiseno, perciò afferrai con decisione la sua nuca, affondando le dita fra i suoi capelli, e la premetti più forte contro la mia pelle.

Ormai ansimavo senza ritegno e sentii Sulfus ghignare soddisfatto sulla mia pelle. con le labbra abbassò la spallina destra del mio reggiseno e poi, segnando il percorso fra l’una e l’altra spalla con baci ben poco casti, abbassò anche la sinistra, facendomela scivolare lungo il braccio. Le sue mani, sempre sulla mia schiena, armeggiarono un po’ e, finalmente, il mio reggiseno di pizzo volò per la stanza e atterrò sul pavimento.. Sulfus fissò la mia figura, illuminata dalla luce lattea della luna che entrava debolmente dalla finestra, come incantato e all’improvviso mi prese la paura: e se non gli fossi piaciuta? Se non fossi stata abbastanza per lui? Dopotutto lui era perfetto mentre io…

Ma lui smentì subito ogni mia preoccupazione o timore. Si abbassò sulle mie labbra, dandomi un bacio dolcissimo e pieno d’amore, mentre le sue mani si perdevano lungo le curve del mio corpo, facendomi scappare ansiti eccitati che Sulfus catturò con la sua bocca.

Poi si staccò e mi fissò ardente negli occhi. «sei stupenda», mi sussurrò con uno sguardo che esprimeva tutto il desiderio e l’amore che lo avvolgevano in quel momento. Ritornò a tormentarmi il collo mentre una sua mano andava a chiudersi su un mio seno, massaggiandolo con movimenti lenti e circolari che mi fecero impazzire. Le mie mani vagavano libere sulla sua schiena, stringendo i muscoli tonici e guizzanti fra le dita; mi sembrava di massaggiare una statua di marmo caldo terribilmente eccitante.

Sulfus ricominciò a scendere con la sua bocca; superò la base del collo, scese sulla clavicola e, con baci e movimenti volutamente molto lenti, cominciò a passare le labbra sulla curva del mio seno. Il fuoco cominciò a divampare più feroce di prima, facendomi ansimare peggio di quanto non stessi già facendo. La sua esplorazione continuò implacabile e culminò sul mio capezzolo, ormai inturgidito a causa dell’eccitazione. Lo prese fra le sue labbra e lo succhiò, lo leccò, lo torturò, e io mi feci quasi scappare dei sonori gemiti.

Lui si fermò all’improvviso ma non alzò il viso, rimanendo chinato sul mio petto . «non trattenerti», mi sussurrò roco, con una voce sensuale che mi fece impazzire, «voglio sentirti», e ricominciò a baciarmi il capezzolo in maniera molto più ardente di prima, affondando il viso fra i miei seni; i miei ansiti e gemiti non si fecero attendere e ben presto la stanza ne fu satura. Dopo qualche minuto di quella tortura, decise di dare un po’ di attenzioni all’altro seno, già completamente esasperato dai suoi massaggi. Mi inarcai verso di lui, completamente in suo potere, offrendogli me stessa.

Sentivo che ormai Sulfus era al limite, percepivo la sua eccitazione appoggiata al mio ventre crescere sempre di più di minuto in minuto. Perciò decisi che ora di prendere un po’ in mano le redini del gioco.

Mentre continuava, avido, a baciarmi i seni, abbassai le mani facendole scivolare dalla sua schiena al suo petto, e cominciai lentamente e rifare lo stesso percorso che avevo fatto prima. Lui quasi non se ne accorse fino a che, raggiunta la linea dei boxer, non mi fermai e continuai il mio percorso. Accarezzando la stoffa leggera dei boxer, la mia mano entrò in contatto con la sua poderosa erezione. Non avevo mai fatto una cosa del genere e visto che era molto imbarazzante, per un attimo il mio lato pudico da angel si fece sentire. Esitai un momento, ma subito la mia parte irrazionale riprese il controllo di me stessa.

Attraverso la stoffa strinsi la presa sul suo membro e lui si lasciò scappare un gemito sorpreso ed eccitato, denso di piacere; alzò la testa dal mio petto e mi fissò con occhi di fuoco. Cominciai ad accarezzarlo lentamente e fu Sulfus, questa volta, ad ansimare con forza. «Raf…», ebbe a malapena la forza di dire, prima che decidessi di intrufolare la mia mano dentro i boxer per venire a contatto direttamente con lui. Questa volta lo sentii crescere direttamente sotto le mie mani e lui emise dei sonori gemiti che invece di imbarazzarmi, mi eccitarono ancora di più. La sensazione di potere derivante dal fatto che ero consapevole di avere del controllo su di lui, mi rese audace; perciò con l’altra mano, mentre massaggiavo il suo membro con sempre più energia, tolsi i suoi boxer, e lui rimase nudo davanti a me, anzi sopra di me. Non avevo mai visto niente di più bello in tutta la mia vita. Persa nel mio momento di contemplazione avevo interrotto la mia opera, e Sulfus ne approfittò subito. Mi afferrò le mani per immobilizzarmele, «se continui così, rischio di avere ben presto sulla testa una condanna per averti fatto violenza», mi sussurrò quasi senza fiato e a voce bassa e praticamente inesistente.

«chi ti dice che io non abbia voglia di sentirmi tua?», gli chiesi io, completamente assuefatta dalla sua presenza e completamente eccitata al solo pensiero di ciò che stava per succedere.

«uhm», mi disse lui, baciandomi il lobo, «una angel non dovrebbe mai pensare certe cose», proferì, tanto ormai sarcasmo e malizia correvano fra di noi a ruota libera.

«ma io questa sera non sono una angel, come tu non sei un devil», gli spiegai io, «siamo solo Sulfus e Raf». E lo baciai dolcemente.

«solo Sulfus e Raf», ripeté con tenerezza, baciandomi e ritornando ad aderire col suo corpo al mio. Sentii la sua erezione premere direttamente sul mio ventre e mi scappò un gemito. Ormai completamente persa, allacciai le gambe intorno al suo bacino, attirandolo di più a me. La sua mano scattò in risposta, e mi arpionò con forza e passione la coscia sinistra; ansimai con forza, i miei sospiri catturati dalle sue labbra. I nostri corpi aderivano perfettamente l’uno all’altro, come fossero stati creati apposta per questo e io, intimamente, gongolai di soddisfazione; era la prova definitiva che eravamo perfetti per stare insieme, nonostante le diversità.

Per le terza volta, Sulfus cominciò a scendere con le sue labbra lungo il mio collo, proseguendo poi attraverso la cavità fra i miei seni; con mia sorpresa non si fermò e cominciò a delineare il profilo del mio ventre, giocando con la punta della lingua col mio ombelico. Dopo un attimo ricominciò a scendere,  e arrivò fino all’elastico delle mie mutandine, ormai l’unico ostacolo che ci impediva di diventare una cosa sola. Le sensazioni che stavo provando mi stavano facendo impazzire: sentivo un calore tale al basso ventre che avrei voluto dimenarmi come una pazza.

Dopo avermi torturato per un po’, percorrendo con le labbra la linea di pelle vicino all’elastico, fece una cosa che mi eccitò dieci volte di più di tutto quello che aveva fatto quella sera; prese fra i denti l’elastico degli slip e lo tirò, lasciandomi nuda di fronte a lui.

Ritornò con le labbra sulle mie. «sei la creatura più bella e più pura che io abbia mai visto», mi sussurrò lui dolcemente, «almeno, era quello che credevo fino a stasera», ridacchiò malizioso.

Ridacchiai a mia volta e lo attirai nuovamente a me, facendo incollare le nostre labbra e stringendo di più la presa delle mie gambe, che lui strinse con avidità.

Una delle sue mani, mentre l’altra mi cingeva la vita per stringermi a lui, con una carezza audace scese fra le mie gambe, sfiorando la mia intimità. Sensibile com’ero in quel momento, quella semplice carezza mi provocò un piacere tale che fui costretta a staccarmi da Sulfus per riprendere fiato, gemendo con forza il suo nome. Lui non abbandonò la mia pelle e riprese a torturarmi il collo. Poi le sue dita, fattesi più audaci, andarono a stuzzicare il mio centro, provocandomi delle scariche di piacere incredibilmente intense, come non credevo di poter provare. Mi contorsi sotto le sue mani, completamente frastornata da quelle fortissime sensazioni. E quando le labbra di Sulfus sostituirono le dita, persi completamente il lume della ragione, annegando nel piacere che mi provocavano le sue labbra e la sua lingua a contatto con la mia femminilità.

Ansimavo, gemevo e mi inarcavo, completamente succube di lui che mi sfiorava. «Sulfus», riuscii a dire fra i gemiti e gli ansiti, «io… sto per…», ma fui costretta a interrompermi per una scarica di piacere più potente delle altre; questa volta cacciai fuori un urlo soffocato. Riuscii a finire di parlare non senza difficoltà, «ti prego… non… resisto più».

La tensione sessuale che si era creata fra noi, non solo durante la serata ma anche negli ultimi giorni, aveva ormai raggiunto il limite, sia per me che per lui; avevamo bisogno di sentirci uniti. E non per un semplice fatto di desiderio, volevamo sentirci l’uno parte dell’altro, due metà di un intero che, separate, non sarebbero mai potute sopravvivere. Era una questione di esistenza, di volermi sentire sua e di volerlo sentire mio, di appartenerci in modo definitivo e permanente, un legame indissolubile che ci avrebbe unito per l’eternità nonostante la distanza il tempo e il dolore.

Sulfus si sistemò meglio su di me, facendo combaciare i nostri bacini, e mi guardò amorevolmente negli occhi. «farò piano te lo prometto», mi sussurrò premuroso all’orecchio, dandomi un dolce bacio di rassicurazione. Ecco perché l’amavo: si preoccupava sempre prima per me che per se stesso. Gli accarezzai dolcemente il volto, in un gesto di assenso che non rivelava nessuna insicurezza o indecisione.

Guardandomi negli occhi, lo sentii entrare dentro di me, lentamente per non farmi sentire dolore. Tuttavia sentii un forte bruciare, segno che avevo perso la verginità. Mi irrigidii istintivamente e non potei impedire che una lacrima sfuggisse dai miei occhi.

Sulfus si immobilizzò all’istante, «ti sto facendo male», mi disse angosciato. Non era una domanda.

Scossi la testa, cercando di nasconderlo. «no», ansimai, «devo solo abituarmi».

Lui mi baciò la guancia, scacciando via la lacrima con le labbra, e poi mi baciò dolcemente per rassicurarmi. Io, siccome il dolore era passato, azzardai qualche movimento, a cui Sulfus rispose, incoraggiato. Altro che dolore! Cominciai a sentire un dolce languore propagarsi in tutto il mio corpo a partire dal basso ventre, ma volevo ancora di più. Ansimando sempre più velocemente, io e Sulfus aumentammo contemporaneamente le spinte, come se ci fossimo messi d’accordo.

Incollammo le nostre labbra, spinti da un disperato bisogno di appartenerci, i nostri corpi praticamente saldati l’uno all’altro, le mie mani fra i suoi capelli, le sue sui miei fianchi; le mie gambe spinsero di più il suo bacino contro il mio, acutizzando ancora di più il piacere di entrambi.

Le scariche elettriche che si propagavano lungo il mio corpo erano diventate potentissime e ormai non riuscivo più a rimanere attaccata alle labbra di Sulfus senza andare in carenza d’ossigeno. Ci staccammo, facendo combaciare le nostre fronti, ansimando e gemendo i nostri nomi l’uno sulle labbra dell’altro. Il momento di massimo piacere stava ormai arrivando e le spinte si fecero veloci e incalzanti, dettate dalla passione e dal piacere sempre più intensi. Sentivo milioni di brividi propagarsi dal mio basso ventre in tutto il mio corpo, che mi fecero contorcere e inarcare sotto le mani di Sulfus. Mi sembrava di avere mille farfalle nello stomaco che facevano a pugni fra loro, ma senza farmi male; al contrario, mi stavano mandando fuori di testa.

Il piacere diventava sempre più forte e intenso e Sulfus afferrò di scatto i miei glutei, affondando così le nostre spinte e aumentando il nostro appagamento, facendo un altro passo verso l’apice. Le sue labbra andarono di nuovo sui miei seni e i miei gemiti si trasformarono in urli, che molto spesso erano suppliche perché lui non si fermasse.

Decisi di passare in posizione di comando; con un rapido movimento di bacino invertii le nostre posizioni cosicché lui si ritrovò sotto di me. Incollai le mie labbra alle sue, abbassandomi sul suo petto e muovendomi veloce e sicura su di lui. Sulfus strinse la presa sui miei glutei, facendomi inarcare all’indietro; ne approfittò per baciarmi il ventre, scatenandomi dei brividi che si aggiunsero a quelli che stavano già operando.

Le scosse cominciarono a farsi più forti e frequenti e l’apice arrivò. Venimmo insieme, urlando l’uno i nomi dell’altro. Mi accasciai ansante sul suo petto, mentre le sue braccia mi avvolgevano e mi stringevano al suo torace; sentivo sotto il mio orecchio il battito del suo cuore e il suo respiro affannato che per me erano come musica.

Ma non ero soddisfatta, non ne avevo ancora abbastanza di lui; non ero ancora sazia della sua pelle, del suo profumo, del suo piacere. Ricominciai a baciargli il petto, tracciando con la lingua il segno dei suoi pettorali e addominali. Lui quasi ringhiò e, arpionando i miei fianchi e ribaltando le posizioni, entrò in me con passione facendomi urlare di piacere. La nostra danza ricominciò, stavolta molto più lussuriosa di prima, e venimmo di nuovo rapidamente, lui arpionando le mie cosce.

Sulfus si accasciò su di me e mi diede un dolcissimo bacio, accarezzandomi tenero la schiena. Si voltò e mi fece accoccolare sul suo petto; non lo feci uscire da me, mi piaceva la sensazione di averlo mio.

«dio Raf», mi disse lui roco all’orecchio, «che sensazione», sospirò di felicità, stringendomi di più a se. Ricambiai la stretta, affondando il viso nel suo petto e ascoltando il battito del suo cuore.

Eravamo completamente rilassati, i nostri corpi si modellavano fra loro perfettamente e i nostri cuori battevano praticamente all’unisono. Non ci restava niente da dire, era tutto lì, fra noi, in quell’abbraccio dolce e allo stesso tempo possessivo.

All’improvviso mi venne in mente una cosa assurda che mi fece ridacchiare.

«cosa c’è di divertente?», mi chiese interrogativo Sulfus. Io alzai la testa e lo abbracciai all’altezza del collo, stendendomi completamente su di lui.

«stavo solo pensando una cosa», gli dissi ancora divertita, «chissà cosa direbbero gli angeli se scoprissero che un malvagio devil ha rubato la virtù di una povera e ingenua angel». Lo baciai in maniera scherzosa ed entrambi scoppiammo a ridere.

Poi ribaltò le posizioni e mi strinse di più a se, baciandomi dolcemente. «E chissà cosa direbbero i diavoli se scoprissero che un’astuta e calcolatrice angel ha rubato la virtù di un focoso devil», mi disse scherzoso.

Mi pietrificai e lo guardai con gli occhi fuori dalle orbite; che aveva detto?! Che aveva perso la sua virtù con me? Ma allora, questo significava che…

«Raf stai bene?», mi chiese Sulfus preoccupato, visto che non aprivo bocca, «ho detto qualcosa di sbagliato?».

«Sulfus tu sei, cioè eri…», non riuscii a finire, a dire quella parola, tanta era l’emozione del momento; non potevo credere che Sulfus non si fosse mai lasciato andare con una ragazza. Era risaputo che i devil perdevano la verginità durante lo stage, per loro era un rito, come passare all’età adulta.

«vergine», terminò lui per me, guardandomi negli occhi con dolcezza infinita, «lo so quello che pensi Raf, ma ti assicuro che stai pensando male. Non avrei mai potuto tradirti, perché per me che eri nel mio cuore sarebbe stato un vero e proprio tradimento», mi disse gli occhi fieri fissi nei miei, «e per questo ti ho aspettata Raf. Non avrei potuto fare diversamente». E mi baciò con una dolcezza tale che mi sciolsi letteralmente sotto il suo tocco.

Lacrime di felicità mi scivolarono sul viso al pensiero di quanto Sulfus avesse saputo essere dolce e attento verso di me. Mi asciugò le lacrime dalle guance con teneri e casti baci poi si stese al mio fianco e mi attirò a se, facendomi stendere e accoccolare sul suo petto. «ti amo Sulfus». Lo sentii sorridere e baciarmi i capelli. «ti amo Raf». Poi mi sussurrò all’orecchio, «ora dormi amore mio».

Stretti l’una all’altro, stesa sul suo petto roccioso e fresco, ben presto ci rilassammo e stanchi, felici e appagati ci abbandonammo al sonno l’uno fra le braccia dell’altra.

Riemersi da quel fantastico ricordo, il dolore che mi attanagliava il petto e le lacrime che scorrevano copiose lungo il mio viso. Nonostante la dolcezza che quel ricordo mi trasmetteva, sentivo anche il profondo dolore dell’abbandono che mi attanagliava freddo e spietato il cuore. Perché i ricordi, per quanto fossero piacevoli, mi ricordavano non solo i bei momenti ma anche cosa avevo perso, a cosa avevo rinunciato per sempre. E quel momento in particolare, rappresentava sia il massimo della felicità che avevo raggiunto ma anche il massimo dolore che potevo provare se lo rivivevo.

Le lacrime scorrevano copiose e bollenti lungo il mio viso, ma non riuscivano a riscaldare il mio corpo ormai completamente immerso nel gelo della disperazione. Le mani mi tremavano incontrollabili e stavo facendo un grande sforzo per non mettermi a urlare in quel momento dal dolore.

«signorina, signorina si sente bene?», la voce ruvida di un uomo mi riportò alla realtà. Mi voltai e vidi un signore anziano che mi fissava con aria preoccupata mentre studiava le lacrime che mi scendevano dal viso.

«si, non si preoccupi sto bene», dissi con voce rotta e spazzandomi via le lacrime dalle guance con dei rapidi gesti delle mani.

Lui sorrise comprensivo, «problemi di cuore vero?», mi disse indovinando all’istante il motivo che mi scatenava il mio stato d’animo così doloroso.

Sospirai e annuii, «si devo andarmene dalla città per proteggere il mio ragazzo. Potrebbero ucciderlo se restassi», confessai, abbassando la guardia. Almeno con quel signore potevo parlare, tanto lui non essendo coinvolto, non avrebbe corso nessun pericolo ne avrebbe detto qualcosa a nessuno.

Lui trasalì alla mia affermazione, «ha pensato di andare alla polizia? Così avrebbe della protezione», mi disse con faccia preoccupata.

«no, non posso farlo. Non voglio mettere le persone a cui tengo in pericolo più di quanto già non lo siano», ribattei, completamente distrutta dalle mie affermazioni, nonostante fossero veritiere.

«faccia quello che vuole signorina, ma ascolti il mio consiglio; nessuno può risolvere i suoi problemi da solo, si ha sempre bisogno di un aiuto, perché se portati da soli, alla fine i problemi ti schiacciano», e detto questo mi sorrise e si incamminò, senza darmi la possibilità di salutarlo, «buona fortuna signorina, spero che riuscirà a risolvere i suoi problemi».

Gli feci un sorriso riconoscente mentre si allontanava, mentre le sue parole continuavano a rimbombarmi nella testa; che voleva dire che avevo bisogno di aiuto? Che forse dovevo contattare qualcuno di fidato che mi aiutasse a portare a termine il mio compito? No era fuori discussione; ci ero già dentro fino al collo, non potevo permettere che qualcun altro ci rimettesse per causa mia. E poi chi avrei potuto chiamare? Le uniche persone di cui mi fidavo ciecamente erano anche quelle persone che non dovevano assolutamente venire a sapere della mia situazione. Sì forse in altre circostanze avrei seguito il suo consiglio ma non in questo caso.

Un enorme e improvviso boato mi distolse dalle mie riflessioni. Mi voltai sbigottita e mi resi conto con orrore che una colonna di fumo si alzava dalla scuola; mio dio, avevano scoperto che me ne ero andata. All’istante, nel mio cuore, seppi chi aveva scatenato quella terribile esplosione; poteva essere stato solo Sulfus, evidentemente, per colpa della rabbia, aveva perso il controllo dei suoi poteri.

Mi portai una mano alla bocca, mentre altre lacrime scendevano copiose lungo le mie guance. Una fitta di dolore straziante mi squarciò il petto in due e fui costretta a piegarmi leggermente su me stessa per attutire il dolore. Non avevo mai provato qualcosa di così straziante in tutta la mia vita. In quel momento pensavo solo una cosa: “Sulfus perdonami, se puoi…”.

Mi riscossi quando mi resi conto che non potevo indugiare; se avevano scoperto la mia fuga, conoscendoli, non ci avrebbero messo molto per decidere di venire a cercarmi. E se volevo andarmene dovevo fare molto in fretta.

Mi voltai, il trolley in una mano, e cominciai a correre in direzione del porto. Prendere un taxi non sarebbe servito; la via principale della città, che purtroppo era anche quella che portava al porto, era completamente imbottigliata in un ingorgo a causa di un incidente. Di conseguenza avrei fatto molto prima a piedi che non in taxi. Il problema era che io ero a piedi mentre gli altri avevano le ali visto che io per il momento non mi potevo ritrasformare in sempiterna.

Continuavo a correre fra le persone che camminavano, ignorando gli sguardi che mi lanciavano; ero stanca, le gambe cominciavano a farmi male, ma non potevo mollare proprio in quel momento che ero a un passo dal mettere la distanza necessaria fra me e i miei amici.

Finalmente riuscii a vedere le indicazioni del porto. Tirai un sospiro di sollievo e sperai che ci fossero navi in partenza. Entrai, col fiatone, nell’agenzia viaggi proprio di fianco ai moli. Il ragazzo che stava al bancone mi guardò stralunato, probabilmente per il fatto che stavo per avere un attacco di cuore e avevo le guance praticamente in fiamme.  

«sì? Desidera qualcosa?», mi chiese con un cipiglio preoccupato sul viso, forse perché temeva che potessi svenire da un momento all’altro.

«ci sono navi in partenza da qui a pochi minuti?», gli chiesi io, sedendomi e cercando di recuperare fiato dopo quella folle corsa.

Lui si chinò sul computer e smanettò un po’, probabilmente  stava cercando nei database delle agenzie che facevano partire le loro navi dal porto.

«c’è n’è una che parte fra venti minuti. È diretta ad Atene, è una nave da crociera dopo farà altre tappe. Desidera un biglietto d’imbarco?», mi chiese lui gentile. Perfetto era la mia occasione, così avrei potuto girare per l’Europa e lasciare delle tracce false di depistaggio.

«no», negai scuotendo la testa, «a dir la verità a me servirebbe un imbarco come staff. Ho bisogno di un lavoro e, sa, mi è sempre piaciuto viaggiare. Così ho pensato, perché non imbarcarmi? Concilierei l’utile al dilettevole», gli dissi io guardandolo maliziosamente, almeno speravo. Accavallai le gambe in modo seducente e lui deglutì rumorosamente. Puntavo a una specie di seduzione; non avendo ancora documenti falsi con me, se me li avesse chiesti non avrei potuto fare niente. Se invece veniva distratto da altro, avrebbe potuto passare sopra alle regole per aiutare una bella ragazza.

«ehm, sì un momento prego», disse lui rosso come un pomodoro e balbettando in maniera sconnessa. Dentro di me esultai; stava funzionando. Certo se avessi avuto il potere di leggere nel pensiero avrei fatto molto prima. Avrei potuto puntare direttamente sui suoi punti deboli per addolcirlo, mentre così dovevo andare alla cieca.

«c’è giusto un posto come cameriera nel ristorante della nave. Posso farle avere immediatamente la carta di lavoro per l’imbarco», mi disse sorridendomi in maniera viscida. Mi provocò un brivido; erano uomini con cui detestavo avere a cha fare, che pensavano solo a portarsi a letto la prima ragazza carina che trovavano.

Tuttavia mi sforzai di sorridergli, «grazie lei è molto gentile», dissi chinandomi in avanti e poggiando il viso su una mano, che era sorretta dal gomito appoggiato al tavolo. Con questa mossa mi guadagnai una sua bella occhiatina al mio seno; mi sarebbe piaciuto molto in quel momento tirargli una manata in faccia.

Subito mi stampò i documenti necessari e me li porse. Io lo ringraziai e uscii, sospirando di sollievo, sia perché non ne potevo più di quel ragazzo sia perché il mio piano aveva funzionato e non mi aveva chiesto i documenti. Era una cosa a cui avevo intenzione di rimediare al più presto, visto che ero più che sicura che ci fosse un incantesimo fra i numerosi file del disco che avevo rubato, che mi permettesse di falsificare gli oggetti.

Uscii e, guardando verso il cielo mi pietrificai; svolazzanti, sopra le macchine che si stavano mettendo in coda per salire sulle altre navi in partenza di lì a qualche ora, c’erano Sulfus e Uriè, che stavano perlustrando le macchine sicuramente alla mia ricerca. Mi erano talmente vicini che li potevo sentire mentre parlavano.

«Sulfus, hai visto qualcosa?», gli urlò la mia migliore amica per sovrastare il frastuono delle macchine.

«no, niente, non ho visto niente maledizione!», urlò Sulfus con una rabbia tale nella voce che mi uccise sentirla. Perché quella rabbia era tutta rivolta a me; sapevo che sarebbe successo ma fra immaginarla e sentirla c’era una distanza di anni luce, perché sentirglielo dire mi aveva fatto milioni di volte più male che immaginarmelo. E sapevo anche che quella rabbia e il dolore per la nostra lontananza avrebbero finito per trasformare il suo amore in odio. E questa era la consapevolezza che faceva più male, nonostante lo avessi pregato io stessa nella lettera di rifarsi una vita.

Mi voltai lentamente, dando loro le spalle e mi calcai in testa il cappuccio della felpa, in modo che non un solo capello o spiraglio del mio viso ne uscisse. Cominciai a camminare a passo spedito verso l’imbarco per il personale, ma senza correre per evitare di attirare la loro attenzione. Speravo solo che non riconoscessero il mio trolley, altrimenti sarebbe stato un bel guaio.

Mi mischiai alle persone che si avviavano agli imbarchi, sperando che così non mi avrebbero notato. Notai il cartello che indicava l’imbarco per il personale alla mia destra, perciò fui costretta a lasciare la folla per recarmi all’imbarco, meno frequentato, per il personale.

All’improvviso sentii dietro di me, mentre stavo per entrare nell’edificio dove si trovava il gate, quello che speravo, al contempo, di sentire e di non udire mai.

«Sulfus, guarda! Quello non è il suo trolley?», urlò Uriè sopra il frastuono delle macchine per farsi capire. La sentii anche io e sudai freddo; era più che chiaro che si stavano riferendo a me.

Perciò, con finta naturalezza, aprii la porta e me la richiusi dietro. Lo spostamento d’aria mi fece volare via il cappuccio dalla testa e i miei lunghi capelli biondi mi ricaddero liberi sulla schiena. Oh cavolo! Imprecai fra me  e me.

La porta non aveva fatto in tempo a finire il movimento che io ero già scattata lungo il corridoio, schizzando fra gli altri addetti che si stavano per imbarcare, superando quanti più ne potevo prima di arrivare al gate. Non sapevo quanto distavano da me e se mi stavano inseguendo e non potevo certo voltarmi a controllare, altrimenti sarebbe stato lampante che la ragazza mascherata ero io.

Per una volta la fortuna fu dalla mia parte; quando arrivai non c’era nessuno in fila, perciò fui libera di consegnare i documenti alla guardia che stava di controllo all’imbarco, che mi fissava confusa poiché io continuavo sempre a guardarmi alle spalle e a scrutarmi intorno.

E all’improvviso li vidi sbucare dall’angolo che svolazzavano cercandomi. Fortunatamente non mi avevano ancora notato, perciò recuperai i documenti, che avevano superato il controllo, e, senza farmi notare da quei due, infilai il corridoio che portava alla nave.

Però feci in tempo a udire una frase di Sulfus, che mi spezzò il cuore, «mi ero quasi illuso di averla trovata. Mi era parso di vedere proprio i suoi capelli biondi…», disse con voce rotta, le lacrime parte di essa. Mi bloccai stupita in mezzo al corridoio; non l’avevo mai sentito piangere, per un devil era considerata un’ignominia. Dovevo averlo ferito in maniera irreparabile se lo avevo spinto a fare una cosa del genere.

Strinsi le mani talmente forte da conficcarmi le unghie nella carne, pur di resistere al disperato bisogno che sentivo di tornare indietro e buttarmi fra le sue braccia forti che sapevano di casa, di amore e protezione. Con passi strascicati mi incamminai lungo la passerella, cercando di combattere col mio corpo che voleva disperatamente voltarsi e tornare nell’unico luogo che sapeva di casa.

Arrivai alla porta che conduceva nella stiva; mi fermai, il cuore in gola e le lacrime agli occhi, conscia che se avessi attraversato quella porta, nulla sarebbe stato più come prima. Esitai, il dolore che mi attanagliava il respiro, e mi voltai indietro, verso la strada che mi indicavano i sentimenti e poi guardai la porta, la strada che mi indicava la mia testa. E alla fine, soppesando tutto, feci la scelta che sapevo essere giusta.

Entrai nella nave, segnando il mio destino. Ormai non si tornava indietro, non che io, a quel punto, avessi voluto farlo. Cercai, senza successo, di reprimere le lacrime che avevano ripreso a scorrere lungo il mio viso.

Una volta entrata, mi trovai di fronte una donna dai capelli scuri e dal viso materno ed estremamente dolce, che mi chiese i documenti. Dopo averli esaminati me li restituì.

«sai generalmente non abbiamo tante donne a bordo, sono principalmente uomini, ma per le poche donne che ci sono, visto che non c’è la sezione donne nei dormitori, le facciamo dormire nelle cabine inutilizzate destinate ai passeggeri. La tua è la duecentosessanta, con vista sull’oceano», mi disse, e mi guardò per la prima volta in faccia. Trasalì alla vista del mio viso deformato dal dolore e solcato dalle lacrime. «oddio, ma che ti è successo? Stai bene?», mi chiese con fare apprensivo.

Tirai su col naso e mi pulii il viso con le mani, «si tranquilla sto bene. Solo… ho dovuto lasciare delle persone a cui tenevo». Ripensai alla voce piena di rabbia di Sulfus e a quella disperata di Uriè e mi sembrò di morire dal dolore. Sapevo che se mai fossi tornata, per loro sarei stata un’estranea, se non peggio; sarei stata qualcuno che li aveva traditi, non importava per quale motivo l’avessi fatto, neanche per salvare loro la vita. Mi avrebbero odiato e l’avevo accettato quando avevo deciso di andarmene; sapevo che sarebbe stata una conseguenza inevitabile.

La  donna mi fissò comprensiva e impietosita ed ebbe abbastanza tatto da decidere di non andare oltre.

«teoricamente dovresti cominciare stasera, vuoi che chieda una proroga per farti un attimo riprendere?», mi chiese premurosa, il viso una maschera di dolcezza che accentuava la sua aria da mamma vissuta e comprensiva.

«no, anzi, un po’ di lavoro mi servirà per tenere la mente occupata e non pensarci», le dissi, cercando di essere il più serena possibile.

«ok tesoro allora alle otto e mezza al ristorante per ritirare la divisa, il turno comincia alle nove», mi disse continuando a guardarmi preoccupata, probabilmente temeva che avrei potuto avere una nuova crisi di pianto da un momento all’altro.

Mi diede le indicazioni per raggiungere la mia cabina e mi avviai. Mi guardai intorno, cercando di memorizzare la strada e mi resi conto che doveva essere una nave di lusso. Poi mi accorsi del marchio riportato sui miei documenti d’imbarco e mi resi conto che questa era un “costa crociera”. Cavolo, non potevo trovarne una migliore.

Seguendo le indicazioni arrivai alla mia cabina, che si trovava sulla poppa della nave. Con la chiave che mi aveva dato quella donna prima di congedarmi aprii e mi trovai davanti una reggia; un grande letto a due piazze si trovava sul lato sinistro della stanza, incastrato nell’angolo fra il muro e la porta finestra che si apriva su un balconcino che dava sulla poppa della nave. C’erano anche un comodino di fianco al letto con una lampada e un cordless, un gigantesco armadio, una tivù a schermo piatto sulla parete opposta posta sopra a un comodino su cui spiccava anche il decoder di Sky e un lettore dvd; di fianco all’entrata, sulla destra, c’era una scrivania di legno lucido e, per chiudere in bellezza, c’era un’altra porta che dava sicuramente sul bagno privato della camera. Me ne avevano data una magica.

Sospirai di contentezza, almeno avrei potuto avere un luogo tranquillo dove stare un po’ da sola. Sistemai il trolley di fianco all’armadio e mi buttai di schiena sul letto, stanca come non lo ero mai stata in tutta la mia vita, anche se la mia era una stanchezza più di tipo psicologico che fisico. Quel giorno avevo dovuto affrontare la prova più difficile della mia vita.

Mi accorsi che ci stavamo muovendo; col pensiero, mentre insieme alla nave mi allontanavo dalla mia anima, ripensai a Sulfus che, la fuori, mi stava certamente cercando. Mi alzai di scatto e andai sul balcone per prendere una boccata d’aria. Non eravamo ancora usciti completamente dal porto. E fu in quel momento che un urlo disumano e pieno di dolore mi arrivò alle orecchie trasportato dal vento.

«RAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAF!!!». Sapevo a chi apparteneva quella voce; Sulfus stava gridando tutto il suo dolore al vento, che lo aveva trasportato fino a me. Mi accasciai sul parapetto del balconcino e piansi lacrime amare; perché in quel momento ero sicura che, nonostante nella lettera glielo avessi ribadito, Sulfus era convinto che io non l’amassi, o peggio, che non l’avessi mai amato, che mi fossi solo presa gioco di lui. Già una volta l’aveva pensato, avrebbe potuto farlo di nuovo.

No, pensai decisa fra me e me. Non finirà così; se io me ne andrò, lo farò con la consapevolezza che lui sa che lo amo. Perciò mi alzai, presi un bel respiro e urlai, «SULFUS!!! TI AMOOOOOOOOOOOOOO!!!». Mi lasciai scivolare senza fiato fino a terra, appoggiata al balcone e mi rannicchiai con le ginocchia tirate al petto, premendo il viso fra le mie ginocchia e ricominciando a piangere.

Pregai nel mio cuore che il vento gli avesse portato il mio messaggio di amore eterno e che lui ci avesse creduto. Lo so, era da egoisti cercare un legame che non avrebbe avuto ragione di esistere, ma senza questa sicurezza non ce l’avrei mai fatta ad andare avanti, sarei morta di dolore molto prima.

Presi il cuore che mi aveva regalato Sulfus in mano e lo fissai. Mi chiesi cosa sarebbe successo se invece di salire sulla nave, avessi deciso di prendere l’altra strada quella che mi avrebbe riportato da colui che amavo; ma ormai era troppo tardi per ripensarci e i se e i ma non mi avrebbero condotta da nessuna parte. Ora dovevo solo concentrarmi sulla mia missione, non farmi trovare e trovare il modo di debellare la minaccia incombente di Reina.

Mi alzai e mi stesi sul letto, avevo bisogno di fare un sonnellino prima di andare al lavoro. Presi la sveglia e la puntai per le sei, così mi sarei svegliata in tempo per una bella doccia. Mi stesi sul letto, stringendo il cuore fra le mani come un talismano contro il dolore e mi addormentai, pensando di nuovo a Sulfus e a quella strada che poco prima mi ero rifiutata di prendere. Non sapevo ancora quanto avrei fatto meglio a decidere di imboccarla.

 

NARRATORE: l’uomo si accasciò sfinito sulla bacinella colma d’acqua nella quale era riuscito a divinare, anche se per poco, Raf. Rintracciare un angelo o un diavolo in forma terrena era molto difficile; richiedeva un’enorme quantità di energia visto che il loro potere era nascosto per via della trasformazione.

Tuttavia, anche se a spezzoni, era riuscito a vedere quanto bastava per sapere dove si trovava Raf in quel momento, o almeno dove stava andando, in modo che la aspettasse per tenderle una trappola. Sarebbe stata sua, a qualsiasi costo.

Uscì dalla casa diroccata nella quale andava per compiere le sue magie più difficili e i suoi incantesimi più complicati, montò a cavallo e, ben imbacuccato per via della tormenta che impazzava sulla landa ghiacciata, si lanciò al galoppo. In dieci minuti di viaggio arrivò alla sua meta; un imponente castello, che sorgeva nel cuore di quel luogo dimenticato da dio. Quando si avvicinò le guardie, esseri reietti come lui che erano sotto il suo comando, si misero sul chi va la e gli intimarono di farsi riconoscere. Non appena si resero conto di chi avevano davanti, si inchinarono e si affrettarono ad abbassare il ponte levatoio sul profondo fossato che circondava le mura.

Dentro al castello, i servi lo aiutarono a smontare e gli presero il cavallo. Lui si avviò per i corridoi, mentre le guardie si inchinavano al suo passaggio, mormorando un devoto «mio signore». Gli piaceva il modo in cui suonava, così denso di devozione e rispetto ma venato anche di una punta di timore che faceva dei suoi uomini dei fedelissimi soldati. Ghignò soddisfatto, pensando a quanti uomini si erano uniti alla sua causa in così poco tempo.

Entrò nella sua sala del trono, dal quale impartiva gli ordini. Si sedette sul trono.

«ebbene? La missione?», chiese al soldato prostrato davanti a lui, il generale Lutalo, comandante delle sue truppe da combattimento.

«purtroppo il preavviso è stato troppo poco per riuscire a intercettare la angel ma, scrutando nelle menti degli abitanti, abbiamo trovato un indizio».

Fece un cenno con la mano e due soldati entrarono portando a braccia un vecchio, reso irriconoscibile dal volto tumefatto a causa delle percosse subite. Lui si alzò dal trono e gli si avvicinò, una luce minacciosa negli occhi.

«allora vecchio dov’è quella ragazza dai capelli biondi? Dov’è diretta?», gli chiese, fermandosi a un passo da lui.

«io non lo so», disse piagnucolando, «io l’ho incontrata per caso, non sapevo nemmeno chi fosse. Mi ha detto solo che se ne sarebbe andata perché sennò avrebbero ucciso il suo ragazzo. Per favore lasciatemi andare, io non so niente».

L’uomo si infuriò e scatenò i suoi poteri mentali. Il vecchio urlò, mentre una profonda ferita si apriva nel suo addome.

«dov’è!!! Dimmi dov’è!!!», urlò al colmo della rabbia, tirando per i capelli il povero vecchio, capitato in quella situazione solo per un errore.

«non lo so… io non lo so», disse il vecchio piangendo e accasciandosi fra le braccia dei due soldati che lo sorreggevano per i gomiti.

L’uomo si alzò e lo guardò glaciale, sistemandosi una ciocca di capelli blu scuro dietro l’orecchio. «uccidetelo. Non ci serve a niente», disse con voce glaciale come se uccidere fosse cosa da poco.

Le guardie lo presero e lo trascinarono fuori, mentre il vecchio urlava e scalciava e supplicava che gli venisse risparmiata la vita. Le sue urla si persero nei corridoi spettrali del castello.

L’uomo si voltò grave verso il suo fidato luogotenente. «sfortunatamente non sappiamo la posizione esatta della angel ma sono riuscito a scoprire dove sarà fra una settimana: ad Atene. Prendi un manipolo composto dagli uomini migliori e tendile una trappola. Voglio quella angel viva, sono stato chiaro?», disse con voce minacciosa. Il generale annuì, sapeva che la sua vendetta poteva essere terribile.

«lo farò mio signore Syper, porterò a termine il mio compito», e detto questo uscì dalla sala.

Syper si sedette sul trono, sfregandosi le mani con aria soddisfatta, pensando che presto avrebbe avuto fra le mani quell’odiosa angel.

“non preoccuparti, sorella mia, presto sarai vendicata”, e la sua risata, gelida e terribile, si propagò in tutto il castello, riecheggiando come le lugubri campane della morte.

 

POV SULFUS

Volavamo. Volavamo per la città, cercando di ignorare il dolore e di concentrarci solo sul nostro obiettivo: ritrovare Raf e riportarla indietro. Tuttavia mi era impossibile non pensare all’agonia che sentivo dentro in quel momento; mi sembrava impossibile che stesse accadendo per davvero, che avrei perso Raf per sempre se non mi fossi sbrigato a ritrovarla. Perché se l’avessi persa per sempre, non sarei sopravvissuto; sarei diventato solo l’ombra del devil che sono, perso nel dolore e nell’agonia, insopprimibili e incancellabili. Mi avrebbero consumato, corrodendo i miei sentimenti, trasformando il mio animo, mutando il mio cuore e la mia mente.

Se avessi fallito sarei cambiato per sempre, e c’era una cosa che più di tutto mi spaventava; il mio amore per Raf, completamente distrutto e lacerato, avrebbe potuto trasformarsi in odio? Sarebbe potuto cambiare fino a tal punto, tanto che, ad un certo momento, niente sarebbe rimasto di me se non un essere freddo e privo di motivazione che andava avanti solo per inerzia? Potrebbe davvero accadere che mi sembrerà che questo periodo sia stato solo frutto della mia fantasia a causa del dolore troppo intenso e prolungato? Che il legame che sento di avere con Raf scompaia senza lasciare traccia se non un profondo solco nel mio cuore impossibile da colmare, cancellare o guarire?

Non ci volevo neanche pensare. Era un’ipotesi agghiacciante e solo se ci pensavo sentivo dentro un’amarezza dieci volte peggiore della prospettiva di rimanere senza Raf per il resto della mia infinita esistenza. Perché il sentimento che mi univa a lei non doveva assolutamente venire spezzato perchè se avessi permesso a quel legame di svanire ero sicuro che sarei stato perso per sempre.

La voce di Uriè mi ridestò dai miei pensieri funesti, «ora dobbiamo dividerci; Kabalè perlustrerà le zone intorno al centro sportivo e al parco».

Sembrava una scelta sensata; visto che erano entrambe delle fanatiche dello sport, andavano spesso in quella zona della città per allenarsi insieme, e sia lei che Kabalè la conoscevano a menadito.

«Cabiria, Dolce, voi andrete a perlustrare la zona del centro commerciale e del centro», continuò Uriè, che aveva già un piano di azione in mente. Era sempre stata un’abile stratega, «è la zona che conoscete meglio, ci andate praticamente ogni giorno».

Era vero; se c’era una cosa che quelle due adoravano fare era lo shopping, e ogni occasione per loro era buona per fiondarsi al centro commerciale.

Poi si voltò verso Gas e Miki, «voi due invece vi dovrete fare la zona turistica e la periferia», disse loro e annuirono. Quei due conoscevano molto bene la zona perché andavano spesso a fare una visita alle sale giochi della città. Fra loro era una continua sfida, dovevano sempre trovare nuovi argomenti per la competizione.

«infine io e Sulfus andremo a perlustrare la zona del porto e delle spiagge. Sono il luogo che Raf ama, potrebbe essersi diretta lì», mi disse fissandomi negli occhi e capii; mi aveva assegnato il luogo in cui avevamo più possibilità di ritrovarla, così sarei stato io a vederla per primo. La ringraziai con lo sguardo; Uriè contro ogni aspettativa, e malgrado fosse una angel, si stava rivelando un’amica preziosa.

«teniamoci in contatto con i nostri magi-cellulari», si inserì, nel discorso, Miki, «chiunque la ritrovi invii una chiamata agli altri. Oppure…», continuò esitando, mentre una lacrima le scendeva lungo il viso, «mandate un messaggio quando avete finito di perlustrare la zona che ci siamo divisi».

Non continuò ma sapevo che se fossero arrivati messaggi allora voleva dire che Raf in quelle zone non c’era e che, di conseguenza, le possibilità di ritrovarla si sarebbero ridotte sempre di più a ogni nuovo sms.

Ma la mia determinazione non si scalfì; l’avrei riportata indietro a ogni costo, non mi importava quanto tempo ci avrei messo, ne la fatica che avrei dovuto per adempiere al mio compito, avrei portato a termine la promessa che avevo fatto a lei e anche a me stesso.

«andiamo, subito! Più aspettiamo e più le possibilità di ritrovarla diminuiscono».

Annuirono tutti e, dividendoci, ci sparpagliammo per la città, ognuno nella zona a lui assegnata. Io e Uriè ci lanciammo rapidissimi in volo verso la zona del porto, sperando e pregando di ritrovare Raf. Vedemmo che la città era imbottigliata in un ingorgo, questo voleva dire che Raf non avrebbe potuto spostarsi in macchina, e questo era un vantaggio per noi, visto che se avesse voluto muoversi avrebbe dovuto farlo camminando o volando.

Mi bloccai di botto quando mi resi conto di cosa avevo detto, o meglio pensato.

«Uriè!!!», la chiamai, bloccandola all’improvviso, «mi è venuta in mente una cosa molto importante», le dissi tutto agitato.

«che succede Sulfus? Che idea hai avuto?», mi chiese confusa e speranzosa che avessi trovato un’idea per rintracciare Raf più velocemente, senza andare alla cieca.

«chiama Arkhan col tuo cellulare, ti spiegherò poi», le dissi svelto. Se il mio piano voleva funzionare dovevamo agire in fretta. Uriè mi guardò confusa ma si fidò. Sapeva che per me Raf era più importante di tutto e che non avrei mai cercato di raggirarla in questa situazione.

Tirò fuori il suo magi-cellulare, un oggettino giallo e azzurro tutto scintillante, e pigiò uno dei tasti per la chiamata rapida.

«metti il vivavoce», le ordinai durante gli squilli d’attesa. Lei obbedì e pigiò il tasto che attivava l’altoparlante.

«pronto Uriè? Ci sono novità?», rispose Arkhan, agitato come non mai per tutto quello che stavamo passando, lui soprattutto visto che avrebbe dovuto poi fare rapporto alle Alte sfere sull’accaduto, indipendentemente da come fosse finita la faccenda.

«professor Arkhan sono Sulfus, ho bisogno del suo aiuto», gli risposi in fretta.

«Sulfus che succede?», mi chiese con una nota di viva preoccupazione nella voce.

«le Alte sfere possono rintracciare il potere angelico giusto? Esattamente come le Basse sfere col potere diabolico no?», gli chiesi io, aspettando una conferma alle mie supposizioni.

«sì, è esatto», mi confermò Arkhan confuso.

«allora se Raf è in forma angelica…», cominciai ma non riuscii a finire di parlare che Uriè, capito il mio piano, saltò sopra alle mie parole.

«le Alte sfere possono rintracciarla!», urlò tutta contenta, cominciano a svolazzare avanti e indietro, iperattiva.

«ma certo! Ottima idea Sulfus! Aspettate che controllo il rilevatore di potere angelico», ci disse, e lo sentimmo spostarsi verso qualcosa. Poi un rumore di tasti pigiati, qualche rumore strano e infine, un lungo sospiro.

«mi dispiace ragazzi, ma secondo l’ultima rilevazione Raf si è trasformata in terreno appena uscita dalla scuola. Poi se ne sono perse le tracce», ci disse con tono sconsolato.

La mia flebile speranza si sgretolò come neve al sole, morendo rapida come era nata. I miei occhi, che si erano accesi a causa di quella piccola speranza, tornarono vuoti e opachi, come erano sempre stati da quando Raf se ne era andata.

«Sulfus, coraggio non devi abbatterti! Se Raf non è in forma angelica ma terrena allora abbiamo un vantaggio su di lei, quello di essere molto più veloci grazie alle ali. Sono sicura che la ritroveremo, dobbiamo solo crederci», mi riscosse dal mio dolore Uriè, che mi fissava con aria determinata. La guardai negli occhi e capii che lei non avrebbe mai rinunciato a cercare Raf, qualunque cosa sarebbe successa, perché la amava troppo per lasciarla andare in quel modo. Fu quello che lessi nei suoi occhi che mi diede la determinazione necessaria a reagire; lo dovevo a lei, a Raf e anche a me stesso. Era mia e non avrei permesso a niente e nessuno di portarmela via.

«andiamo nella zona del porto! Sbrighiamoci!», le disse, preso dalla mia rinnovata determinazione. Lei annuì, felice che finalmente stessi reagendo.

Volammo rapidissimi verso la zona della periferia, scrutando intanto l’ingorgo sotto di noi per vedere se dentro qualche taxi ci fosse stata Raf, imbottigliata nell’ingorgo. Ma sapevo che la mia angel non era una sprovveduta; aveva pianificato tutto per questa fuga, ed era stata oltremodo abile a non farci sospettare niente.

Arrivammo al porto. Le macchine sotto di noi sfilavano lentamente per portarsi dentro ai traghetti e alle navi che poi sarebbero salpate. Ci sparpagliammo sulle macchine cercando di scorgere da qualche parte una matassa di capelli biondi oppure una valigia familiare in mezzo a tutto quel trambusto. Poco distante da noi c’erano gli edifici di imbarco.

All’improvviso mi arrivarono tre messaggi, così come a Uriè. Il mio cuore si strinse in una morsa letale mentre guardavo i mittenti degli sms sul display; Kabalè, Cabiria e Gas. Non l’avevano trovata. Sentii le fitte di dolore squassarmi il petto. Dove sei Raf?

Misi via il cellulare e mi ributtai con rinnovata determinazione nella sua ricerca. Ma stavolta nei miei movimenti si riconosceva anche un po’ di furore; furore perché mi mancava già da morire, furore perché se ne era andata senza nemmeno aver avuto il coraggio di dirmi addio, furore perché l’amavo disperatamente  e furore anche perché, anche se odiarla in quel momento probabilmente avrebbe alleviato le mie pene, non ci riuscivo. Non potevo odiarla; l’unica cosa che volevo fare in quel momento era prenderla fra le mie braccia e baciarla con passione e desiderio, prenderla e farla mia in tutti i modi possibili. Nonostante la situazione, continuavo a volerla come un disperato e probabilmente avrei continuato a volerla per sempre.

«Sulfus, hai visto qualcosa?», mi chiese Uriè, sovrastando il frastuono delle macchine. Dalla voce capiva che stava sperando con tutte le sue forze in un sì.

«no, niente, non ho visto niente maledizione!», urlai preda di una rabbia incontenibile; rabbia verso me stesso, perché non riuscivo ad adempiere a quel compito che era la mia vita.

La voce di Uriè mi riscosse dai miei pensieri, dandomi quella speranza di cui avevo bisogno, «Sulfus, guarda! Quello non è il suo trolley?», mi chiese con voce più che speranzosa.

Mi voltai di scatto a guardare e quello che vidi mi pietrificò. Una ragazza dal volto coperto si stava incamminando verso l’edificio per gli imbarchi delle crociere. Anche se non riuscivo a vederla in viso, una potentissima scarica elettrica si irradiò in tutto il mio corpo, come sempre quando guardavo la mia Raf, anche se non sapevo che fosse lei.

Fissai la sua valigia e ne ebbi la conferma; quello era proprio il trolley di Raf! La ragazza entrò nell’edificio e si chiuse la porta alle spalle e lo spostamento d’aria le fece scivolare il cappuccio della felpa sulla schiena. Una lunghissima cascata di capelli biondi come il sole di mezzogiorno e i campi di grano al tramonto le si riversò sulle spalle. Lei si irrigidì e, non appena la porta si chiuse, scattò rapida come un fulmine verso gli imbarchi.

«NO!», urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, «Uriè presto, corriamo», le dissi voltandomi verso di lei. In quel momento notai che stava mettendo via il cellulare; doveva aver chiamato gli altri e averli avvertiti che l’avevamo individuata.

Lei annuì e ci fiondammo all’interno dell’edificio, passando attraverso le pareti. C’era tantissima gente, la massa della folla si muoveva continuamente ed era difficile cercare di individuare qualcosa o qualcuno in mezzo a tutto quel trambusto. Poi un guizzo, vidi una macchia bionda sparire all’interno di un corridoio separato rispetto al resto dell’edificio.

«Uriè di là!», urlai fiondandomi immediatamente, seguito a ruota dalla angel. Quello era l’imbarco per il personale; cosa avrebbe potuto fare Raf lì?

Perlustrammo in volo il corridoio, cercando fra le numerose persone che si imbracavano ma non trovammo niente. Per un momento mi sembrò di vedere qualcosa ma, alla fine, non era niente.

Sentii le lacrime pungermi gli occhi un’altra volta, al pensiero di quanto fossi stato vicino a ritrovarla, «mi ero quasi illuso di averla trovata. Mi era parso di vedere proprio i suoi capelli biondi…», dissi fra me e me, mentre una lacrima scendeva sul mio viso. Me la spazzai via con una mano, «forza Uriè, continuiamo a cercare. Non può essere andata lontano», le dissi determinato. Lei annuì.

Perlustrammo ogni singolo corridoio, ogni singolo imbarco, ogni singola spiaggia, ogni singolo molo, sul quale avrebbe potuto trovarsi Raf. Ma non ci fu niente da fare; l’avevamo persa. Con la morte nel cuore e le lacrime agli occhi, fummo costretti a inviare il messaggio, quell’ultimo messaggio che segnava la fine delle mie possibilità e delle mie speranze di ritrovarla.

Le lacrime cominciarono a scendere prepotenti sulle mie guance, senza che potessi fare niente per fermarle. Mi voltai di scatto, dando le spalle ad Uriè, per evitare che mi vedesse nuovamente in lacrime. Ma d’altronde che cosa pretendevano? Avevo appena perso la possibilità di ritrovare la persona per me più importante al mondo. Come potevo evitare di lasciarmi andare alla disperazione?

Preso da una strana smania mi fiondai sul molo delle navi. Una era appena salpata e stava lasciando il porto in quel momento. Incapace di sopportare tutto quel dolore, presi un bel respiro e,

«RAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAF!!!», urlai al vento, sperando che portasse alla mia angel del cuore il mio messaggio d’amore. Non sapevo perché mi aveva lasciato, provocandomi un così grande dolore, ma ero sicuro che il mio amore per lei non sarebbe mai cambiato ne diminuito, perché lei era, è e resterà per sempre l’unico vero amore della mia esistenza.

Crollai in ginocchio e poggiai i pugni chiusi sul terreno, sostenendomi per evitare di cadere a terra. E proprio mentre le lacrime scendevano copiose sul mio viso, un urlo di dolore e d’amore giunse alle mie orecchie trasportato dal vento, «SULFUS!!! TI AMOOOOOOOOOOOOOO!!!». Scattai in piedi all’istante, guardando intorno a me per capire da dove fosse arrivata la sua voce, la voce della mia Raf.

Non riuscii a vedere niente ma capii il suo messaggio. Lei non aveva smesso di amarmi, lei non se ne era andata perché non mi amava più o perché non voleva più bene alle sue amiche, se se ne era andata doveva esserci un motivo più profondo, un qualcosa che l’aveva spinta ad allontanarsi da noi, anche se non avevo la minima idea di cosa fosse.

Le lacrime presero a scorrere più forti di prima sul mio viso e, come se qualcosa mi avesse tagliato le gambe, crollai nuovamente a terra. Era come se qualcosa mi stesse distruggendo dall’interno; sentivo le fiamme vive del mio dolore scavare una voragine nel mio petto, sempre più lacerato dalla consapevolezza che Raf da me non sarebbe mai tornata. Certo avrei potuto continuare a vivere la mia vita, ma per cosa? Per portare avanti un’esistenza vuota e priva di significato? Non aveva senso.

Sentii una mano posarsi sulla mia spalla. Alzai lo sguardo e incrociai quelli grandi di Kabalè. Gli altri ci avevamo raggiunto al porto dopo la chiamata di Uriè. Mi fissò col dolore che straziava i suoi bei lineamenti, «Sulfus… mi dispiace», mi disse con sguardo triste.

Tutti mi guardavano con commiserazione e pietà, come se fossi stato un invalido. Era una cosa che non avevo mai sopportato. Perciò mi scostai bruscamente e mi alzai rapido in volo, verso l’unico luogo che sapeva di noi. Atterrai sulla nostra spiaggia, osservando le scintillanti onde del mare, che erano state teatro del nostro amore.

Ripensai agli sguardi che avevano avuto gli altri e decisi che mai più avrei dato loro motivo di guardarmi in quel modo, che da adesso in poi avrei impiegato tutto me stesso per far capire loro che io non mi sarei arreso per niente al mondo.

E fu quel pensiero che mi diede la forza di reagire; avevo perso una battaglia, ma non avrei perso la guerra. Avrei impiegato tutte le mie energie per adempiere al compito che mi ero prefissato di portare a termine. Avevo un obiettivo e l’avrei raggiunto a qualsiasi costo.

“preparati Raf”, pensai, la voce piena di determinazione e amore, “sto arrivando”.

ECCO A VOI LE VOSTRE RECENSIONI:

_ELEA_: DIREI CHE CON LA TUA SUPPOSIZIONE CI HAI PIENAMENTE AZZECCATO... SI' E' PROPRIO LUI... LO SO CHE E' STATO UN CAPITOLO TRISTE E ASPETTATENE ANCORA UN BEL PO' PERCHE' NE VEDREMO ANCORA DELLE BELLE PRIMA CHE RITORNI IL SERENO... PER QUANTO RIGUARDA SULFUS CREDO CHE IL CAP TI ABBIA SPIEGATO SUFFICIENTEMENTE LA SITUAZIONE. EHM PER QUANTO RIGUARDA IL RITROVARSI NON POSSO DIRE NIENTE SE NON CHE PRIMA CHE SI RIVEDANO PASSERANNO NON MENO DI *DEGLUTISCE PREPARANDOSI A SCAPPARE*... NOVE ANNI!!! *SCAPPA ALLA VELOCITà DELLA LUCE*... NON MI UCCIDERE PLEASE!!! MA MI SERVE PER LA STORIA... CAPIRAI POI PERCHE' XD CIAO AL PROSSIMO CHAPPY KISS ^^

GIRL95DEVIL: GRAZIE PER I FANTASTICI COMPLIMENTI!!! SONO CONTENTA CHE LA MIA IDEA TI PIACCIA E VISTO CHE TI E' PIACIUTA LA SCENA DEL SUPERMERCATO NON OSO PENSARE A COSA FARAI QUANDO LEGGERAI "QUESTO" DI CAPITOLO XD E POI HO VOLUTO FAR VEDERE CHE L'AMORE HA CAMBIATO SULFUS IN MODO RADICALE, CHE L'HA RESO PIU' ROMANTICO E MENO STRONZO... ANCHE SONO SEMPRE PIACIUTI I RAGAZZI ROMANTICI E CREDO CHE SE RAF SAPESSE I MIEI DI PENSIERI SU SULFUS MI AMMAZZEREBBE XD PER LA TUA IPOTESI SULL'UOMO MISTERIOSO L'IPOTESI GIUSTA è LA PRIMA!!! ORA I CHAPPY SARANNO PIU' INCENTRATI SU RAF CHE SU SULFUS PERCHE' SARA' LEI A FARE UNA SCOPERTA IMPORTANTISSIMA PER LA SUA VITA... INDOVINA QUALE? XD AL PROSSIMO CHAPPY KISS ^^

KIKKA97/CLOE97: ODDIO MI DISPIACE CHE TU ABBIA DEI PROBLEMI SPERO CHE RIUSCIRAI A RISOLVERLI AL PIU' PRESTO!!! IHIH GRAZIE ANCHE LA TUA STORIA SUL FORUM E' STUPENDOSA E POI DEVI AGGIORNAREEEEEEEEEEE CHE NON STO PIU' NELLA PELLE!!! IHIH TANTO ORA LO SANNO ANCHE LORO CHI E' IL MALEDETTISSIMO TIPO XD  HO AGGIORNATO ANCHE SUL FORUM, VAI A VEDERE SE VUOI... CIAO KISS ^^

GINA1: NO NON E' REINA REINCARNATA IN UN UOMO, DOVRESTI CAPIRE DA QUESTO CAPITOLO... E SULFUS NON REAGIRA' BENISSIMO, COME POTRAI VEDERE DAL CAPITOLO!!! CIAO AL PROSSIMO CHAPPY ^^

ORA DEVO CHIEDERVI UNA COSA MOLTO IMPORTANTE: DOVETE SAPERE CHE IO SONO ABITUATA AD AGGIORNARE A POV NEL FORUM, NON A CAPITOLI COME FACCIO QUI PERCIò VI DEVO CHIEDERE COME PREFERITE CHE CONTINUI... SE POSTO A POV FARO' PIU' IN FRETTA MA SARANNO PIU' CORTI RISPETTO AGLI ATTUALI CAPITOLI, SE INVECE VADO A CAPITOLI SARANNO PIU' LUNGHI MA I TEMPI DI POST SARANNO PIU' LUNGHI A LORO VOLTA... POTREBBERO PASSARE ANCHE DUE MESI TRA UN POST E L'ALTRO SE VADO A CAPITOLI... PERCIò FATEMI SAPERE COME DEVO PROCEDERE DA ADESSO IN POI... IO INTANTO CONTINUERO' COMUNQUE A SCRIVERE

ORA UN'ALTRA COSA: SE VOLETE VEDERE DELLE FAN FICTION INTERESSANTI, IL FORUM DI ANGEL FRIENDS E' IL SITO CHE FA PER VOI... CI SONO UNA SACCO DI FICCY INTERESSANTI CHE NON SONO PRESENTI QUI E SE AVETE VOGLIA DI NOVITA' PASSATE A DARCI UN'OCCHIATA... ANDATE SU GOOGLE E DIGITATE "ANGEL FRIENDS FAN FICTION" E APRITE IL PRIMO LINK CHE VI APPARE, "FAN FICTION angel.friends.forumcommunity.net"... VI SI APRIRA' DIRETTAMENTE LA PAGINA DELLE FAN FICTION... A VOI LA SCELTA...

ARRIVEDERCI AL PROSSIMO AGGIORNAMENTO UN KISS A TUTTE!!! ^^

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Capitolo 6
*** 6° CAPITOLO: "CAMBIAMENTI E NOVITA' (prima parte)" ***


RAGAZZEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!! I'M BACK!!! ALLORA ALL'INIZIO AVEVO DECISO DI POSTARE A CAPITOLI, PERCHè VISTO CHE AVEVO INIZIATO COSì VOLEVO CONTINUARE NELLO STESSO MODO, MA POI MI SONO RESA CONTO CHE, VISTO CHE I CAPITOLI MI VENGONO MOLTI LUNGHI E PER SCRIVERLI CI METTO PARECCHIO, NON E' GIUSTO CHE VI FACCIA ASPETTARE ANCHE MESI PER AVERE I PEZZI NUOVI, PERCIO' HO DECISO DI POSTARE A POV... QUANDO AVRO' POSTATO TUTTI I POV DI UN CAPITOLO LI RIUNIRò SOTTO UN UNICO CHAPPY, COSI' SE QUALCUNO VORRA' RILEGGERE SARA' ANCHE PIU' COMODO... ORA PASSIAMO ALLE NOTIZIE IMPORTANTI XD 300 VISITE O_O ME COMMOSSA RAGAZZE... IL PRIMO HA RAGGIUNTO QUOTA 500 ^^ EVVIVA!!! ALLORA CAPITOLO MOLTO IMPORTANTE PER LE STORIA... TANTE, TANTE (L'HO GIA' DETTO TANTE? XD) RIVELAZIONI!!! PERCIò STATE IN CAMPANA, PERCHE' SE NE VEDRANNO DAVVERO DELLE BELLE... SO CHE I POV SARANNO PIU' CORTI RISPETTO AI CAPITOLI ATTUALI, MA NON MI SEMBRAVA GIUSTO FARVI ASPETTARE TANTO PER AVERE UN CHAPPY COMPLETO... E POI SONO ULTRA MEGA CONTENTA, HO PASSATO GLI ESAMI DI RIPARAZIONE!!! ^^ VABBE' LA SMETTO E VI LASCIO AL CAPITOLO... LE RECENSIONI IN FONDO!!!

CAPITOLO 5°: "CAMBIAMENTI E NOVITA'"
POV RAF
Me ne stavo semi-sdraiata sul dondolo nel portico della mia casa. Il cielo terso era di un bellissimo blu cobalto che riluceva grazie ai raggi dorati del sole, che splendeva come non mai nel punto più alto del cielo; brillava come la felicità che sentivo in quel momento nel cuore. La sabbia della spiaggia e le onde scintillanti del mare si stendevano di fronte a me e, fondendosi con il paesaggio ricoperto dalla foresta tropicale e dalle palme, creava un connubio perfetto che dava una tranquillità assoluta. Intorno a me i suoni della natura creavano una cacofonia perfetta.
Dei piccoli movimenti dentro di me attirarono la mia attenzione, distraendomi dall’ammirare quello spettacolo stupendo. Sorrisi felice, accarezzando la mia pancia di sei mesi, mentre sentivo il mio piccolino muoversi. Era un vero miracolo.
Improvvisamente sentii delle risate provenire da un lato della spiaggia e vidi due delle tre persone più importanti della mia vita uscire dalla boscaglia e venire verso di me. Sorrisi ancora di più, mettendomi direttamente seduta, con la schiena appoggiata a un bracciolo e le gambe stese sul sedile del dondolo.
Li salutai con la mano e subito entrambi sorrisero. Una voce squillante, proveniente dalla più bassa delle due figure, mi arrivò alle orecchie con velocità e forza, «Mamma!», urlò mia figlia correndo verso di me, scatenando le risate del suo papà, nonché di mio marito. A quel pensiero accarezzai la fede che portavo all’anulare sinistro.
Crystal attraversò di corsa la spiaggia e, saliti i pochi gradini che portavano alla veranda, si precipitò da me, stritolandomi in un abbraccio.
Le risate di Sulfus si interruppero bruscamente alla scena, «Crystal, dio mio, lasciala respirare! Lo sia che non può fare sforzi nelle sue condizioni!», la sgridò malamente lui, cominciano a venire a passo di carica verso di noi.
Lei fece una faccia tristissima e per poco non scoppiò a piangere. Lanciai a Sulfus un’occhiata di velato rimprovero e lui alzò gli occhi al cielo. Poi mi chinai e abbracciai mia figlia, stringendola a me dolcemente. «tranquilla piccola mia, non è successo niente. Allora, è andata bene l’escursione?», le chiesi, cercando di distrarla. Lei e Sulfus avevano fatto un’escursione ed erano tornati dopo due ore che erano stati a zonzo nella giungla dell’isola. Niente dava più piacere a Crystal che passare una giornata nella foresta a studiare gli animali.
Lei cominciò ad annuire in modo entusiastico ed iniziò a parlare a macchinetta, «sì, sì, è stato bellissimo, c’erano un sacco di pappagalli dalle piume coloratissime er poi un paio di insetti stranissimi e abbiamo visto persino un tucano, aveva il becco così strano e poi…». Oddio ma quanto parlava? E quando si fermava per riprendere fiato?
Sentii una risata e vidi Sulfus, bello e potente come un dio greco, salire le scale. Guardò divertito Crystal e poi disse, «d’accordo, ora lascia stare la mamma, che deve stare a riposo, e va subito a farti una doccia che ne hai un gran bisogno. Sei tutta sudata». Il suo sguardo era carico d’amore verso nostra figlia e la guardava come se avesse avuto davanti agli occhi un tesoro di inestimabile valore, la cosa più preziosa del mondo. Era un padre perfetto, attento, premuroso e dolcissimo. L’amore l’aveva cambiato in modo radicale.
Mi riscossi quando Crystal sbuffò, «ok vado. Ciao fratellino!», disse tutta contenta, dando un bacio al mio pancione. Sorrisi mentre la vedevo scomparire in casa diretta verso il bagno.
Mi voltai verso Sulfus e, quando posai gli occhi su di lui, il respiro mi morì in gola. Non avevo ancora notato come era vestito, o meglio svestito; indossava solo un paio di jeans super attillati, che gli fasciavano le gambe in modo fantastico, mentre il petto era completamente nudo e lasciava vedere i suoi muscoli in tutto il loro splendore. Il fatto che il sudore lo rendesse terribilmente sexy ai miei occhi non aiutava affatto.
Lo vidi ridacchiare malizioso mentre io avvampavo d’imbarazzo. Si avvicinò a me mi si sedette di fronte, sul dondolo. La sua mano destra si posò sul pancione, esattamente di fianco a lui, mentre la sinistra scattò a cingermi la vita e a tirarmi contro di lui. Le nostre labbra, avide, si scontrarono in un bacio pieno di passione. Le mie mani si immersero nei suoi capelli e lo strinsero a me, vogliose di quel contatto che desideravo non finisse mai.
A malincuore ci staccammo quando ci rendemmo conto che dovevamo riprendere fiato. Si allontanò lentamente da me, ma fece comunque rimanere le nostre fronti a contatto. I suoi occhi dolci e caldi ardevano a pochissimi centimetri dai miei.
«buongiorno», mi disse tenero, fissandomi negli occhi come solo lui sapeva fare. Era un padre e un marito perfetto, non avrei potuto chiedere di meglio per me.
«uhm se il buongiorno si vede dal mattino allora ne voglio tanti di buongiorno», gli dissi mormorando sulle sue labbra, prima che lui decidesse di riappropriarsene con voracità, stringendomi nuovamente a lui.
All’improvviso il bambino scalciò più forte; visto che Sulfus aveva la mano sul mio ventre lo sentì anche lui. Ci staccammo all’unisono sorridendo, mentre Sulfus si voltava verso il mio pancione.
«c’è qualcuno che vuole farsi sentire eh?», disse ridendo, appoggiando anche l’altra mano sul mio ventre.
Io scoppiai a ridere alla sua affermazione e misi le mie mani sulle sue, «qualcuno è geloso delle attenzioni del suo papà e vuole anche lui il buongiorno», scherzai, facendo ridere Sulfus ancora di più.
Poi lui abbracciò la mia vita e appoggiò il capo sul mio ventre, esattamente dove il bambino aveva scalciato, «buongiorno piccolino. Ti amo», disse alla mia pancia, accompagnando ogni parola con un bacio alla mia pelle, rimasta scoperta perché aveva alzato la stoffa della camicia da notte bianca lunga fino al ginocchio che usavo per dormire. Parlava spesso con la mia pancia, diceva che lo aiutava a sentirsi più vicino a nostro figlio, ed era un’abitudine che io trovavo dolcissima. Mi vennero le lacrime agli occhi vedendo Sulfus compiere un gesto tanto tenero. Gli abbracciai il capo, carezzandogli dolcemente i capelli. All’improvviso alzò il capo, puntando i suoi occhi nei miei e prendendomi il viso fra le mani, «così come amo da morire la tua mamma», mi disse con voce più morbida della seta, cancellando le lacrime con gesti lenti dei suoi polpastrelli.
Sorrisi fra le lacrime, «ti amo», gli dissi in un sussurro fioco.
Mi sorrise anche lui, abbagliandomi, e baciandomi dolcissimamente, sfiorando le mie labbra con le sue in un bacio che era solo un timido esplorarsi, un’intima carezza che si poteva avere solo con l’uomo della propria vita. Infatti io sapevo che sarei stata per sempre di Sulfus e la prova erano le difficoltà che avevamo dovuto superare negli ultimi anni.
«mammaaa, papààà!!!», urlò una voce squillante prima che un tornado ci investisse in pieno, costringendoci a separarci. Crystal si era praticamente buttata su di noi, abbracciandoci contemporaneamente. Scoppiammo entrambi a ridere, stringendo a noi la nostra bellissima bambina.
«papà, papà, andiamo a fare il bagno?», chiese a Sulfus con gli occhi da cucciolo indifeso che sbriciolavano sempre sia la mia che la sua resistenza.
«ma la mamma resta qui. Deve stare a riposo», disse Sulfus alzando gli occhi al cielo ma guardando nostra figlia con lo sguardo più dolce che gli avessi mai visto. Io invece misi il broncio, avrei voluto fare qualcosa che non fosse stato stare sdraiata su un letto o un divano.
Sulfus lo notò e scoppiò a ridere. Si chinò e mi diede un bacio veloce sulle labbra, «lo sai che non puoi fare sforzi. Pazienta ancora qualche mese e vedrai che potrai fare tutto il movimento che vorrai», mi disse con tenerezza, accompagnando le sue parole con una dolce carezza sulla mia guancia.
Mi sciolsi sotto la sua carezza e mi rassegnai; tanto quando ci si metteva era peggio di mamma chioccia. Era terrorizzato dal fatto che mi sarebbe potuto succedere qualcosa durante la gravidanza ed era disposto a ricorrere a qualsiasi mezzo per evitare che io il nostro bambino stessimo male. Per questo stava sempre attento al fatto che io non commettessi nessun tipo di sforzo e, se dovevo spostarmi, dovevo sempre aspettare che lui fosse vicino a me perché potesse sostenermi o prendermi direttamente in braccio.
Lui mi sorrise e si tolse i pantaloni di fronte ai miei occhi, rimanendo in boxer. Io avvampai all’istante di imbarazzo ed eccitazione, soprattutto eccitazione; anche se eravamo innamorati, rimanevamo comunque una angel e un devil, ed era inevitabile a volte avere comportamenti discordanti fra di noi, che altrettanto inevitabilmente finivano per contagiare l’altro. E se grazie a me Sulfus aveva preso un po’ della dolcezza degli angel, caratteristica che ormai lo contraddistingueva dagli altri devil, io da Sulfus avevo preso la sfacciataggine e l’audacia. Soprattutto per quanto riguardava la nostra vita intima. A quel pensiero trasalii e arrossii ancora di più, mentre Sulfus fissava il mio corpo con un’audacia e una sfacciataggine che poche volte gli avevo visto.
Si voltò verso Crystal e le disse, «tesoro, vai pure in acqua, ti raggiungo fra un momento che devo dire una cosa alla mamma». Lei annuì e corse verso la spiaggia, saltellando tutta contenta verso l’acqua cristallina del mare. Era bello vederla finalmente serena, sapevo che troppe responsabilità erano gravate sulle sue spalle negli ultimi anni. Aveva il diritto di vivere la sua vita come una qualunque bambina della sua età.
Sulfus si voltò lentamente verso di me, gli occhi d’oro ormai quasi neri, come sempre quando il suo desiderio per me diventava insopportabile. Gli sorrisi maliziosamente e lui subito si fiondò sulle mie labbra, stringendomi al suo petto. Gli passai le braccia attorno al collo e strinsi tra le mani le ciocche setose dei suoi capelli per approfondire il contatto.
Lui si staccò ansante, «dio Raf, se mi stuzzichi così ti salto addosso», mi disse con la voce ridotta ad un sussurro fioco ed eccitante, «e lo sai che adesso non si può», aggiunse severo. Il medico ci aveva tassativamente proibito di fare sesso, dicendoci che a questo punto avanzato della gravidanza sarebbero potuti sorgere dei problemi. Tuttavia lo sguardo di Sulfus tradiva la sua voglia di lasciarsi andare, di unirci ancora una volta in un unico corpo e in un’unica anima.
Sgranai gli occhi, fintamente innocente, «io? Stuzzicarti? Che dici Sulfus! Lo sai che gli angel sono pudichi!», gli dissi ridacchiando e facendo passare le mani sul suo collo in una carezza lenta e sensuale.
Lui ridacchiò, «certo pudichi come no… non la pensavi così quando solo un paio di mesi fa facevamo sesso sfrenato sul tavolo della cucina, vero?», mi chiese in una domanda retorica, facendo passare la sua mano lungo tutto il mio interno coscia. Le sue labbra corsero a stuzzicare il mio collo, mentre i miei occhi si rovesciavano all’indietro dal piacere.
Continuò la sua dolce tortura per qualche minuto e, all’improvviso, si interruppe. «scusa tesoro ma la piccola reclama la mia attenzione», mi disse e, prima che potessi fare alcunché, Sulfus si alzò e scattò rapidissimo verso la spiaggia, lasciandomi lì inebetita ed eccitata fino all’inverosimile.
Dopo un primo attimo di smarrimento la rabbia dilagò in me per il suo ennesimo tiro mancino. Maledizione, me l’aveva fatta di nuovo! «tanto prima o poi me la paghi sai!», gli urlai semi arrabbiata dal portico. Lo sentii scoppiare a ridere. Mi imbronciai e mi voltai dall’altra parte.
Ma ben presto mi accorsi che c’era qualcosa di strano; l’eco della risata di Sulfus, anche se non sapevo come fosse possibili che ci fosse l’eco proprio lì, si stava propagando nell’aria con un suono sempre più minaccioso che piano piano trasformò la sua risata scherzosa in una risata cattiva e derisoria. Il cielo si oscurò improvvisamente e l’isola, la casa e tutto il resto cominciò a sparire. Cominciai a tremare, terrorizzata da quello che stava succedendo.
Invocai il nome di Sulfus e di mia figlia, perché non li vedevo più, e la mia preoccupazione per loro si sommava a quella per me e per il mio bambino.
E all’improvviso li vidi, in piedi di fronte a me, «per fortuna state tutti e due bene», dissi, già sollevata e meno preoccupata di prima.
Ma poi notai il loro sguardo, uno sguardo che poteva essere descritto solo in un modo, ostile. Le loro labbra erano deformate in un ghigno malefico e si aprirono per farne uscire le più atroci parole, «davvero credevi che ti avremmo perdonata dopo tutto quello che ci hai fatto? Povera stupida», dissero in coro, e scoppiarono in una risata atroce e lugubre, «per quel che ci riguarda puoi anche morire così come sei». Continuavano a parlare insieme, con voce metallica e lo sguardo assassino. Io tremavo fino all’inverosimile di paura e di dolore. Non riuscivo a capire cosa stessa succedendo.
All’improvviso sbarrarono gli occhi e cominciarono a dimenarsi in preda a spasmi di dolore. Vidi delle altissimi lingue di fuoco viola avvolgerli da capo a piedi e bruciarli vivi. Io urlai di terrore e, con mio sommo orrore, mi scoprii incapace di muovermi, nonostante volessi disparatamente correre ad aiutarli. L’unica cosa che potevo fare era restare lì, impotente, a guardarli bruciare. Una risata malefica che ben conoscevo si propagò nell’aria, mischiandosi alle urla di Sulfus e Crystal che continuavano a bruciare davanti ai miei occhi.
Reina apparve dal nulla proprio di fianco a loro, «allora Raf, che cosa si prova a vedere tutto il tuo mondo sbriciolarsi davanti ai tuoi occhi?», mi disse con una cattiveria che poche volte le avevo visto, nonostante io e lei avessimo avuto più di uno scontro.
Urlai e mi accasciai su me stessa, impossibilitata a fare alcunché, e scoppiai a piangere, i singhiozzi di dolore che mi laceravano il corpo e l’anima. Strinsi le mie braccia intorno al ventre, sperando di riuscire almeno a proteggere l’ultima persona più importante della mia vita.
Dalle due lingue di fuoco si levarono due voci che mi spezzarono il cuore, «è colpa! È solo colpa tua! Tu sei solo un pericolo per chi ti sta accanto! Sei un mostro!», urlarono mia figlia e mio marito, prima che le fiamme, e di conseguenza loro, sparissero nel nulla.
Scattai in piedi, cercando disperatamente di correre verso il punto in cui erano scomparsi, ma non riuscivo a muovere un muscolo. Se prima almeno potevo piangere, urlare o dimenarmi in qualunque modo, ora non riuscivo a fare più niente. Cercai disperatamente di fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non ci riuscii.
Vidi Reina avvicinarsi lentamente a me, per assaporare appieno il suo momento di trionfo. Il suo sguardo era un misto di felicità e follia e io intanto pregavo con tutto il mio cuore che succedesse qualcosa che mi permettesse di salvare almeno me stessa e mio figlio, perché lui aveva diritto di assaporare quella vita che rischiava di essere stroncata sul nascere.
«ora tocca a te mia cara», mi disse la neutra in tono falsamente gentile, scrutandomi come un cacciatore scruta la sua preda indifesa, «ora tu e quell’abominio che nono merita di esistere, quel mostro che tu chiami figlio, finalmente morirete», mi disse con una risata cattiva che mi fece tremare dalla punta dei capelli a quella dei piedi.
Si parò di fronte a me, spietata come non mai, e io cercai con tutte le mie forze di spostarmi, di allontanarmi, di fare qualcosa per potermi difendere. Ma niente, ero completamente immobilizzata. Tremavo di terrore.
Reina allungò la sua mano e, senza accorgersi dei miei sforzi per liberarmi, mi squarciò il ventre. Il dolore fu lancinante ma non un suono potè uscire dalla mia bocca, ancora sotto l’effetto dell’incantesimo che Reina mi aveva lanciato.
Infine la visione più atroce di tutte, quella che non avrei mai voluto vedere; il mio bambino, il bambino che portavo in grembo, ridotto a un grumo lacerato di sangue e liquido amniotico sul palmo di quell’essere abietto.
Sbarrai gli occhi a quella visione atroce e il mio dolore, sia fisico che mentale, mi liberò da quei lacci che mi avevano tenuta immobilizzata fino ad allora. Finalmente libera di farlo, urlai al buoi tutto il mio dolore.

Mi svegliai sul letto urlando impazzita, terrorizzata da quello che avevo appena visto. Scattai a sedere e mi portai le mani al ventre, per convincermi che quello che avevo visto non era reale, era solo un incubo. Il mio respiro era affannato, , il sudore scorreva a fiumi sul mio corpo e il mio cuore batteva con un ritmo forsennato.
Per cercare di calmarmi, mi concentrai sulla prima parte del sogno, quella che ritraeva me e Sulfus come una famiglia felice, con una bambina e un altro piccolo in arrivo, uniti come dovrebbe essere far due persone che si amano, come dovrebbe essere se non ci fosse il destino, crudele e implacabile, che distrugge sempre le possibilità di un amore.
Ripensai a quella parte; si dice che i sogni siano lo specchio dei desideri di una persona e in questo caos era stato proprio così. Perché quello era esattamente il tipo di vita che avrei voluto con lui, con i nostri figli e sicuramente anche con i miei amici più cari. Avere una casa, continuare il mio lavoro di guardian, tornare ogni tanto ad Angie Town e, magari, visitare qualche con lui e i nostri figli Zolfanello City. Era la vita migliore che ognuno avrebbe potuto desiderare ma per me sarebbe rimasta per sempre un’utopia, irrealizzabile. E il motivo era chiaramente spiegabile grazie alla seconda parte del sogno. Perché anche le nostre paure più recondite prendono forma nel nostro inconscio e quello che avevo visto era la chiara dimostrazione che tutte le mie speranze e i miei sogni non si sarebbero mai potuti realizzare. Reina incombeva minacciosa su di me e non mi sarei mai liberata dalla sua minaccia, perciò non potevo permettermi di mettere in pericolo le persone a cui volevo più bene al mondo.
Mi rituffai nel letto e cercai di soffocare le urla di paura e di dolore fra le pieghe del cuscino. Cercavo disperatamente di non pensare e di sprofondare nel limbo che era stata la mia vita per tutta la settimana che era appena trascorsa. Gli unici segnali che dicevano che io ero ancora in vita erano questa specie di sogni/incubi che mi tormentavano non appena chiudevo gli occhi. Erano giorni che non dormivo decentemente.
Le lacrime ricominciarono a scendere, come succedeva ogni volta che ripensavo alle varie possibilità del mio futuro che non avrei mai avuto, alle persone che avevo lasciato, ai bellissimi e magici momenti vissuti con loro e, soprattutto, alle sensazioni provate stando con lui, il mio amore, il mio Sulfus, il ragazzo a cui sarei appartenuta per tutta l’eternità. Forse lui si sarebbe rifatto una vita, avrebbe sposato una bellissima devil, avrebbe avuto dei figli in una famiglia unita e mi avrebbe dimenticata, archiviandomi come un’assurda scappatella giovanile, ma io sapevo che non avrei mai potuto fare altrettanto; lo volevo, lo desideravo, lo amavo, e niente e nessuno avrebbe potuto togliermelo dal cuore, perché lui era il mio centro, il mio tutto, la mia fonte di vita, e si sa, senza la propria fonte di vita e la propria anima, non si può vivere.
Nonostante fossi stata io stessa a chiedergli di rifarsi una vita, l’immagine di Sulfus sposato e con una famiglia mi provocò una fitta di dolore atroce al cuore. Urlai, ripiegandomi su me stessa, cercando di tenere a bada la scosse di dolore lancinanti che mi perforavano il petto. La voragine che si era aperta al posto del mio cuore quando avevo lasciato Sulfus non voleva accennare a richiudersi e, anzi, con il passare del tempo sembrava che il suo dolore aumentasse in maniera esponenziale, a pari merito con la distanza che mettevo fra me e lui.
i singhiozzi mi perforavano il petto, le lacrime scendevano lungo le guance e le labbra, le fitte di dolore mi stringevano il cuore in una morsa letale, il sudore scorreva inarrestabile lungo il mio corpo e i battiti del mio cuore procedevano a singhiozzo e sembravano uccidermi per l’intensità con cui il suono vuoto e cupo del loro rimbombo si propagava dentro di me. Era come se dentro non avessi più niente, come se avessi perso la voglia di vivere.
Le immagini di Sulfus e dei miei amici, come sempre quando non tenevo il cuore sotto controllo, invasero prepotenti la mia mente squarciandomi in due e non potei evitare di gridare ancora più forte di prima.
All’improvviso qualcuno bussò alla porta con insistenza, facendomi sobbalzare con violenza, «Raf, lo so che sei tu! Apri ti scongiuro!», urlava dal di là della porta Agnese, ossia la signora che stava a capo del personale e anche quella che mi aveva controllato i documenti all’inizio del viaggio.
«Raf, giuro che se non apri butto giù la porta!», mi urlò da dietro l’anta, ma io non riuscivo a reagire, le forze sembravano svanite in quel momento e non riuscivo a fare altro che non fosse stare raggomitolata su me stessa, piangere e urlare.
«d’accordo te la sei cercata!», disse Agnese con determinazione, facendomi preoccupare per un millesimo di secondo prima che il dolore tornasse ad impossessarsi di me.
Sentii uno scatto stridente di metallo contro metallo e, all’improvviso, la porta si spalancò. Agnese aveva usato il passepartout per aprire la porta della mia camera; non faceva mai una cosa del genere, diceva che rispettava la privacy degli occupanti, si azzardava a farlo solamente in caso di estrema urgenza. Doveva aver ritenuto che questo fosse uno di quei casi.
Lei mi fissò sconvolta dalla porta, mentre io cercavo di mettere a fuoco i suoi tratti sfocati dalle lacrime che, mio malgrado, continuavano a scendere. Lei trattenne bruscamente il respiro e, rapidamente, si avvicinò a me, ancora rannicchiata sul letto e preda delle convulsioni. Mi strinse delicatamente a se e io mi aggrappai a lei come se fosse stata un’ancora di salvezza.
«Raf, oh Raf», continuava a mormorare, carezzandomi teneramente la schiena. Affinchè le potessi spiegare il mio stato d’animo e le mie continue crisi, le avevo raccontato una storia inventata basata però sui fatti reali della mia vita; le avevo detto che io e il mio fidanzato ci amavamo ma erano sorti dei problemi per cui io ero stata costretta a partire e a lasciarlo, e per farlo ero stata costretta a mentirgli. Ora il ricordo dei momento passati insieme mi tormentava, ma in fondo, questa, era la pura verità.
Agnese mi tenne stretta a se finchè i miei singhiozzi non si placarono. Era diventata un’amica preziosa per me, sempre pronta ad ascoltarmi e consolarmi. «di nuovo gli incubi Raf?», mi chiese con voce dolce, guardandomi con saggezza con i suoi occhi color nocciola. Agnese era un po’ una madre per tutti noi della nave, che variavamo da un’età di diciassette anni, cioè io, a un’età di trentacinque anni per i più vecchi, per esempio Angela, la responsabile del ristorante dove lavoravo. Agnese, che di anni ne aveva quarantacinque, era la persona più vecchia sulla nave, perciò era diventata la confidente di tutti e aveva assunto il ruolo di mamma collettiva.
Sospirai, staccandomi da lei, pulendomi il viso dalle lacrime e cercando di regolarizzare inutilmente i battiti e il respiro, perché il dolore che provavo è e sarà sempre troppo grande per essere controllato o contenuto; avevo perso l’amore della mia vita nel peggior modo possibile e immaginabile, cioè per colpa mia. La stretta al cuore ritornò violenta e implacabile e mi portai una mano al cuore, stringendo fra le dita la stoffa della camicia da notte per cercare, invano, di trovare un po’ di sollievo alle fitte lancinanti che mi perforavano il petto e l’anima. Agnese mi strinse ancora delicatamente a se, cercando, con le sue carezze di conforto, di alleviare almeno una parte del mio dolore.
La fissai dritta negli occhi, «non mi libererò mai del suo ricordo Agnese», le dissi, rispondendo ad una domanda che mi aveva fatto qualche giorno prima, «non posso e non voglio farlo. Lo amo così disperatamente che credo sia impossibile da spiegare a parole. È il mio centro e la mia ragione di vita, se lo dimenticassi, dimenticherei anche per che cosa combatto e per cosa vivo. Ti assicuro che se non fossi sicura del mio sentimento per lui, mi sarei già uccisa da tempo».
Agnese sussultò sconvolta alle mie parole; non avrebbe mai creduto che avrei potuto dire o pensare una cosa del genere, «Raf, non ti sembra un po’ drastico?».
Io scossi la testa, «no Agnese. È lui la persona che amo, di quell’amore che trovi solo una volta in tutta la vita, di quella’amore che, se lo perdi, perdi anche la motivazione per vivere». Poi mi venne da sorridere, pensando a una frase che mi era venuta in mente proprio in quel momento, «ti sei mai sentita come se fossi stata destinata a quel preciso istante, come se tutta la tua intera esistenza si fosse ridotta a giungere a quel singolo avvenimento, a quel singolo momento di totale pace e completezza interiore che poi ti segna per tutta la vita?», le chiesi guardandola negli occhi, sperando che capisse quello che provavo io quando stavo fra le braccia di Sulfus.
Il suo sguardo stupito diventò uno sguardo consapevole e gli occhi le si illuminarono, di una luce che si trova solo in coloro che hanno provato le incredibili sensazioni che ho provato io, «sì mi è successo una volta, quando ho sposato mio marito», mi disse, osservandosi commossa e malinconica la fede sul suo anulare sinistro. mi sentii improvvisamente triste; il marito di Agnese era morto due anni fa per un incidente d’auto, «ho sentito come la sensazione di essere perfetta per lui, come se il mio posto non fosse stato altro che fra le sue braccia, accanto a lui».
Io annuii mentre le lacrime ricominciavano a scendere, «è esattamente quello che provo stando con Sulfus. Io sono fatta per lui Agnese, non ci sarai mai nessun altro, ne tanto mento un luogo in cui vorrò stare che non sia con lui. Lo amo Agnese, e non posso farci niente. Il suo ricordo mi tormenterà fino alla fine della mia vita, perché il suo posto non potrà mai essere preso da nessuno e perché io sono e sarò legata a lui per tutta l’eternità¬. Niente e nessuno mi farà cambiare idea. È per lui e per i miei amici che sto facendo tutto questo, e non mi pento delle scelte che ho fatto, nonostante il dolore che hanno portato con sé», le dissi determinata sorridendole dolcemente, mentre le lacrime scendevano silenziosamente lungo le mie guance.
Lei sorrise e mi accarezzò una guancia, stupita dalle mie affermazioni, «non ho mai conosciuto una ragazza come te Raf», mi disse, fissandomi negli occhi, «sei giovanissima, eppure sai già quello che vuoi. Ed hai la forza, nonostante il dolore che queste scelte ti portano, di portarle avanti. Hai la forza di volontà necessaria per raggiungere gli obiettivi che ti sei prefissata e hai anche un cuore talmente grande che puoi provare sentimenti che la maggior parte delle persone non trova in tutta la loro vita. Devo dire che ti ammiro moltissimo, Raf; hai una grande determinazione e passione dentro di te, che ti possono portare a fare tutto. Io non so se sarei stata in grado di fare quello che hai fatto tu per amore. Sono egoista di natura e non credo che sarei stata capace di privarmi dell’uomo della mia vita per salvarlo».
Io le sorrisi mesta, rannicchiandomi su me stessa come facevo sempre quando volevo difendermi dal dolore, «spero vivamente che tu non debba mai scegliere fra felicità e la salvezza delle persone a te più care e di tutti, e l’amore della tua vita. Perché non esiste scelta più atroce che scegliere fra due cose a te indispensabili che però sai che non potrai mai avere contemporaneamente. È lacerante, spero veramente che non ti ritroverai mai a farci i conti», le dissi, fissando il vuoto di fronte a me.
Lei mi fissò triste, e seppi, dalla sua espressione, che aveva capito. Riuscivo a leggere nei suoi occhi il dubbio che la scelta a cui l’avevo messa di fronte le provocava; dal suo sguardo riuscivo a capire che lei non sarebbe mai riuscita a scegliere fra due cose così importanti per lei. Io invece ce l’avevo fatta; avevo scelto di sacrificare me stessa per farsi che gli altri stessero bene e il mondo fosse in salvo e, alla fine, non mi pentivo della mia scelta. Dopotutto ero una angel.
All’improvviso Agnese mi guardò e sorrise, «senti Raf, che ne dici oggi di non andare al lavoro?», mi chiese con gli occhi che le brillavano.
Io sgranai gli occhi, stupita. Non andare al lavoro? Ma era matta? Non potevo bidonare il mio turno, sarebbe stato un disastro; avevo bisogno dei soldi di quel lavoro se volevo continuare a scappare. Sospirai, «no Agnese, sai che quei soldi mi servono», le dissi contrariata e delusa. Lei era l’unica che sapeva realmente quanto ne avevo bisogno, quindi come poteva farmi una proposta del genere?
«andiamo Raf», sbuffò lei infastidita, «sai meglio di me che ti serve una pausa. Hai lavorato peggio di una macchina in questa settimana e sei talmente provata emotivamente che ormai sei allo stremo, sia fisicamente che mentalmente. Hai bisogno di una pausa altrimenti non resisterai per molto».
La fissai negli occhi e capii che aveva ragione. Non avrei retto ancora per molto in quelle condizioni; se la mia volontà riusciva ad impedire che ritornassi da loro, non riusciva ad impedire che deperissi giorno dopo giorno. Non fisicamente; internamente. Il dolore che provavo a causa del distacco che si era creato fra noi era talmente forte che , lentamente, mi stava letteralmente uccidendo. Forse aveva ragione. Forse avevo bisogno di un pomeriggio di svago per riuscire a distrarmi.
La fissai rassegnata, tanto quando ci si metteva era più cocciuta di un mulo. Lei cominciò a saltellare, contenta, per tutta la stanza. Sembrava una ragazzina quando faceva così.
Cominciò a parlare a raffica, «allora facciamo così. Tu oggi hai la giornata libera, vado a parlare subito con Angela per farti dare il permesso, e noi oggi ci vediamo alle quattro al molo per fare un bel giro in città. Che ne dici?», mi chiese con gli occhi che le brillavano.
Mi irrigidii all’istante alle sue parole. Da quando era cominciata la crociera io non ero mai scesa dalla nave. Non volevo rischiare di farmi riconoscere da qualcuno. Sicuramente Sulfus e gli altri non si erano arresi, e avevano cominciato ricerche su larga scala. Se era come pensavo io, a quest’ora tutti i distretti degli angeli in giro per l’Europa erano stati informati della mia scomparsa e ora tutti sarebbero stati all’erta. Non volevo che qualche angelo mi riconoscesse dalle foto, perché altrimenti avrei dovuto combattere per evitare di farmi riportare indietro e non volevo fare del male ai miei simili.
Mi stavo già voltando, pronta a dirle di no, quando il mio occhio cadde sull’immagine riflessa dallo specchio. Quello che vidi mi fece inorridire; i capelli sfibrati mi ricadevano sul viso dal colorito cadaverico, così pallido che da lontano avrei potuto benissimo essere scambiata per una devil. Gli occhi erano gonfi, pesti e arrossati dal pianto e spiccavano in maniera inquietante sul volto scavato. Fissai il mio corpo e per la prima volta mi accorsi di quanto fossi dimagrita in una settimana. Avevo già perso almeno un chilo in questo lasso di tempo, ed era decisamente tanto.
Gli occhi mi si riempirono nuovamente di lacrime. Ero veramente messa male, tanto male che a stento mi riconoscevo io stessa. Dov’era finita la ragazza solare che affrontava le prove della vita con il sorriso sulle labbra? Dov’era la luce che aveva sempre animato i suoi occhi? Dov’era lo sguardo dolce che l’aveva sempre contraddistinta? E dov’era quella forza interiore che l’aveva sempre sorretta nei momenti di difficoltà? Dov’era ora quella ragazza, quel lato di me stessa che avevo perduto, che mi mancava da morire?
Avrei tanto voluto tornare ad essere quella ragazza ma sapevo che non sarebbe mai stato possibile. Quella parte di me era ormai persa, andata distrutta da un dolore che corrodeva il cuore e l’anima, che non lascia vie di scampo, talmente atroce che accoglieresti la morte con un sorriso pur di liberarti dalla morsa di agonia in cui ti tiene prigioniera.
Fissai di nuovo la mia immagine allo specchio. Forse Agnese aveva ragione; avevo bisogno di respirare un po’ di aria fresca. Tanto, in forma terrena, per gli angel sarebbe stato assai difficile riconoscermi e poi sarei stata attenta a camuffarmi bene. Fissai nuovamente la mia immagine riflessa dallo specchio; ne avevo decisamente bisogno.
Perciò, quando mi voltai, Agnese colse nel mio sguardo il tacito consenso alla sua richiesta. Quando se ne rese conto iniziò a saltellare, «perfetto!», urlò con forza, perforandomi i timpani, «allora è deciso. Oggi pomeriggio alle quattro precise sul molo. Mi raccomando non fare tardi», mi disse cominciando a uscire. Mentre se ne stava andando sentii alcuni spezzoni di frase, «devo parlare… Angela… chiedere permesso…», fino a che non sentii la sua voce entusiasta svanire per il corridoio. Sorrisi mestamente del suo entusiasmo.
Sospirai e decisi di uscire sul balcone. Feci scorrere la porta a vetri ed uscii. Osservai le scintillanti onde del mare che si perdevano dietro alla nave in movimento. Mancava poco più di un’ora e poi saremmo attraccati ad Atene, capitale delle Grecia nonché prima tappa della nostra crociera a cinque stelle. A seguire ci sarebbero state Istanbul, una tappa alle rovine di Troia tre giorni dopo, poi Alessandria d’Egitto e la piana di Giza e a seguire Tunisi, per poi risalire, visitare la Corsica, fare una tappa in costa azzurra e infine approdare a Barcellona. Era une bel giro, che durava due mesi esatti, esclusi eventuali contrattempi che avrebbero potuto ritardare la tabella di marcia. E a me quel giro era molto utile, visto che stavo progettando di lasciare delle false piste in alcuni dei luoghi in cui saremmo approdati, per evitare che mi rintracciassero dalla lista delle navi che sono salpate il giorno in cui sono partita.
Improvvisamente, in risposta ai miei pensieri, mi sembrò che il ciondolo a forma di cuore che portavo intorno al collo fosse diventato rapidissimamente un macigno, lo stesso macigno che gravava sul mio cuore. Portai la mano al collo e fissai il ciondolo che riluceva alla luce del sole. Da quando ero partita non avevo avuto il coraggio di aprirlo e guardare al foto, quella foto simbolo del nostro amore. Questo semplicemente perché non ci riuscivo; riguardare quell’immagine, rivedere il suo bellissimo volto, rivederci insieme, abbracciati, e con lo sguardo perso l’uno negli occhi dell’altra, mi avrebbe fatto incredibilmente male, e non ero sicura di riuscire a sopportarlo. Strinsi forte la catena e gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Il vero problema er che io volevo aprire quel ciondolo, volevo osservare di nuovo il suo volto in qualcosa che non fossero i miei ricordi. Volevo rivederlo in qualcosa di tangibile, non in qualcosa che col tempo sarebbe potuto svanire senza lasciare traccia. Perché io temevo proprio questo sopra ogni altra cosa; temevo che se avessi continuato a rivederlo solo nei miei ricordi alla fine la sua immagine sarebbe cominciata a svanire, diventando solo qualcosa di lontano e indistinto.
Ed io non volevo che succedesse, non volevo dimenticarlo. Era arrivato il momento di affrontare i miei demoni. Perciò mi asciugai le lacrime e, dopo aver preso un respiro molto profondo, spalancai il ciondolo. Mi si bloccò il respiro; la foto spiccava in tutto il suo splendore e romanticismo e mi riportava alla mente tutti i bei momenti passati con lui. Osservai rapita la sua immagine; il contorno netto della mascella, il colorito pallido, i capelli bluastri, ribelli e con un ciuffo che ricadeva sulla fronte, la stella rossa intorno ai suoi grandi occhi color oro, il naso dritto e le labbra carnose e rosso sangue. Oddio, quelle labbra, che avevano accarezzato il mio corpo nella più audace delle carezze, che avevano urlato il mio nome in preda al piacere, che mi avevano detto ti amo innumerevoli volte. Quelle labbra che appartenevano a quel corpo che mi aveva fatto impazzire. Quel corpo di quella persona, di quel ragazzo, che mi aveva donato tutto se stesso, senza chiedere nulla in cambio se non che io lo amassi con la stessa intensità con cui lui amava me.
Al ricordo della nostra notte di passione, una sensazione di incredibile calore mi invase con violenza il corpo, concentrandosi soprattutto nel basso ventre, facendomi ansimare vergognosamente per l’ondata di passione che si era riversata impetuosamente nel mio corpo. Serrai le mani attorno al cornicione del balconcino per evitare che le gambe, tremanti come gelatina, cedessero di botto, facendomi accasciare a terra come un sacco di stracci. Infatti un altro problema per me molto importante era la passione e il desiderio che vagavano liberamente dentro di me, pronti a riaccendersi ad ogni minimo pensiero contraddittorio che si poteva formare nella mia mente. La mia prima volta con Sulfus era stata a dir poco magnifica, e il pensiero che anche per lui fosse stata la prima esperienza, come lui mi aveva detto, aveva reso tutto tremendamente romantico. Il problema era che adesso il ricordo di quelle sensazioni mi tormentava e il mio corpo ne chiedeva a gran voce ancora. Il fatto che fossi consapevole che probabilmente non l’avrei rivisto mai più in tutto l’arco della mia vita, contribuiva a rendere insopportabile il crescente desiderio dentro di me, che ogni giorno si espandeva sempre più. Sapevo che prima o poi tutto sarebbe diventato insopportabile e che ripensare a quella notte non avrebbe affatto giovato alla mia salute psichica, ma non riuscivo a trattenermi dal ricordare quella che era stata la serata più bella della mia vita, dal ballo della scuola, alla composizione che aveva creato per me, a quando avevamo ballato insieme e alla nostra notte d’amore.
Scossi la testa con violenza, riscuotendomi da quei pensieri decisamente poco consoni a una angel. La sensazione di calore non accennava a diminuire, perciò decisi che avevo bisogno di una doccia fredda. Molto fredda, questa volta.
Sospirai nuovamente, presi l’asciugamano bianco posato la sera prima sulla sedia al sole perché si asciugasse e andai in bagno. Feci scivolare a terra la camicia da notte di seta bianca che avevo addosso, presi il bagnoschiuma, lo shampoo, il balsamo e il pettine ed entrai nel box. Girai la manopola verso l’acqua fredda e lascia che il potente getto gelato freddasse i miei bollenti spiriti. Quando mi calmai e cominciai a tremare per il freddo, cambiai la regolazione dell’acqua e girai la manopola sul tiepido. Poi mi insaponai e mi lavai i capelli, cercando di districare i nodi che si erano formati.
Finalmente pulita e lavata, uscii dalla doccia e mi avvolsi l’asciugamano intorno al corpo, prendendone poi uno più piccolo per tamponarmi i capelli ondulati per via dell’acqua di cui erano impregnati.
Decisi di lasciarmi asciugare i capelli al naturale, visto che la temperatura era aumentata notevolmente da quando ci eravamo lasciati alle spalle l’Italia. In Grecia le temperature erano molto più elevate. Perciò lasciai i capelli liberi di ricadere sulle spalle, coperte da un asciugamano per evitare che mi bagnassi i vestiti. Per abiti optai per un semplice top azzurro, un paio di short di jeans e le immancabili converse, che preparai di fianco alla porta pronte per essere indossate prima di uscire.
Controllai l’orologio; erano le undici passate. Quindi era ora dell’allenamento speciale. Andai alla porta, presi la chiave, diedi un giro per far sì che la porta fosse chiusa dall’interno e lasciai la chiave nella toppa per evitare che qualcuno, per esempio Agnese, entrasse con un passepartout.
Finita questa operazione, andai al trolley e tirai fuori il computer portatile insieme al dischetto che avevo rubato dalla biblioteca. Mi sentivo in colpa per averlo fatto, ma era la mia unica speranza per imparare a difendermi adeguatamente da eventuali minacce.
Presi il portatile e mi sedetti sul letto, pronta per un’altra sessione di allenamento. Attaccai il caricatore alla presa di corrente di fianco al comodino e attesi che il computer si accendesse e inizializzasse il sistema operativo.
Quando finalmente fu pronto a fare il suo dovere, inserii il dischetto nel lettore cd e aspettai che caricasse il programma. Considerato il fatto che il disco conteneva milioni di volumi, ossia tutti quelli della biblioteca universale, i bibliotecari, per facilitare la ricerca a chiunque avesse avuto accesso al disco, avevano inserito anche un motore di ricerca in grado di trovare i libri richiesti una volta digitate le parole chiave della ricerca che si intendeva effettuare. Successivamente si potevano salvare su una biblioteca privata i testi che si ricercavano più frequentemente, in modo da non dover effettuare la ricerca tutte le volte.
Aprii la mia biblioteca personale e osservai i tomi che avevo selezionato: avevo “i neutri: cosa sono e come sconfiggerli”, nel quale cercavo le conoscenze che mi illuminassero sulla minaccia di Reina; poi “i fly power: corso di base per aumentare i poteri”, decisamente utile per aumentare le proprie forze in vista di una battaglia; anche “storia dei sempiterni volume V: Tyco e Sai”, un libro decisamente molto utile, attraverso il quale contavo di capire gli effetti del VETO su me e Sulfus; poi “corso di medicina di base”, se mi fossi ferita mi sarei dovuto curare da sola e documentarsi era certo un ottimo inizio; poi avevo selezionato anche “il combattimento: corso di inizializzazione alle armi”, visto che avevo deciso di imparare a difendermi anche combattendo con le armi; “storia del Kung-fu”, utile per imparare a difendermi a mani nude, e infine “inizializzazione alla ginnastica”, ossia tutti quegli esercizi che servivano per elasticizzare i muscoli, allungarli e aiutare la persona a compiere degli esercizi di atletica incredibili.
Per ora avevo sfruttato il libro sulla storia di Tyco e Sai e avevo fatto un po’ di esercizi di ginnastica, senza forzare troppo per evitare di farmi male. Oggi avrei iniziato ad aumentare i miei Fly Power, cercando di fare degli esercizi che mi permettessero di ampliare sia il mio raggio di azione sia di aumentare la mia resistenza e potenza.
Perciò aprii il link relativo al libro che mi serviva. Si aprii una finestra che mi chiedeva di dire se desideravo consultare i documenti riservati ai devil o quelli riservati agli angel. Scelsi quelli degli angel, anche se pensai che forse mi conveniva fare una capatina anche nella sezione devil visto che il mio Inflame era un potere riservato ai diavoli.
Mi ritrovai in un’introduzione che specificava le origini e anche la classificazione dei fly power:

“i fly power sono speciali poteri che sono presenti
In ogni sempiterno dalla nascita. Fanno parte del
patrimonio ereditario di ogni angel e si manifestano
in base sia ai poteri presenti nei genitori, sia in
base al carattere del sempiterno che è appena nato.
Ogni sempiterno può raggiungere un massimo di
cinque fly power, quattro se si considera che il prisma
fly, il potere dell’essenza cromatica, è presente in
ogni sempiterno cambiando colore di volta in
volta.
Nonostante la maggior parte dei sempiterni creda
che, in quanto presenti dalla nascita, i fly power
non si possano aumentare, ebbene, non è così. In verità
ogni potere può essere ampliato, sia in potenza che in
resistenza, fino a scoprire lati dei propri fly power che
si erano sempre ignorati.
Questo libro è stato creato a questo scopo, e contiene
ogni potere presente in ogni singolo angel. Di
conseguenza ogni angel, grazie a questo testo,
può sapere esattamente come ampliare i propri poteri.
I fly power possono dividersi per potenza in cinque classi
e più si sale di classe, più i poteri sono potenti.
Tuttavia nessun angel è mai salito al di sopra della
classe tre. Le possibilità che nasca un angel
classe quattro sono irrisorie, mentre che ne nasca
uno di classe cinque decisamente nulle. Se accadesse,
probabilmente quell’angel potrebbe fare qualsiasi cosa.”


Finii di leggere l’introduzione, sbalordita da quello che avevo letto. E così io avevo raggiunto il livello massimo che un angel poteva avere in materia di fly power. Ora potevo solo potenziarmi ed imparare a usarli per combattere. Mi chiesi anche di che classe fossi io. Di sicuro non sarei stata al di sopra della classe due; in fondo non avevo niente di speciale.
Decisi di aprire i file relativi ai fly power, in modo da cominciare con l’addestramento. Appena cliccai il file mi si aprì una nuova schermata, che mi segnalava un errore. Mi accigliai. Cosa c’era che non andava? Poi lessi cosa diceva il messaggio di errore: “eseguire il test relativo alla classe di potenza”.
Ah ora si spiegava tutto. Per aprire i file dovevo sapere prima a che classe appartenessi. Diedi l’ok al messaggio d’errore e, automaticamente, mi si aprì la schermata relativa al test. Al centro di una schermata bianca solo una scritta: “resta ferma”.
Improvvisamente un fascio di luce si proiettò dallo schermo del computer per passare in rassegna tutto il mio corpo. Capii cosa stava succedendo. Il programma mi stava scannerizzando in modo che potesse accedere a tutte le informazioni su di me e le mie potenzialità.
La luce si interruppe con uno scatto e sullo schermo lampeggiò il risultato della scansione. Quello che lessi mi lasciò senza fiato per l’importanza che rappresentava. In grassetto, che pulsava gentilmente la centro esatto dello schermo vi erano scritte solo due parole, due parole che erano sufficienti a cambiare le cose; classe 5. Fissai sbalordita quella che era l’evidenza, anche se mi sembrava impossibile che proprio io, una angel mediocre e senza niente di speciale, fossi una classe cinque, la potenza fatta persona.
Scossi la testa e mi diedi della stupida. Sicuramente non poteva essere così, ci doveva essere un motivo per il quale la classificazione dei miei poteri non era andata a buon fine. Sorrisi ironicamente, pensando a quanto fossi stata stupida a pensare che possedessi una tale potenza.
Stavo già per ripetere il test quando all’improvviso, un ologramma tridimensionale apparve dal portatile al centro della stanza. Era un angel molto anziano, dai lunghi capelli e dalla lunga barba bianca. Lo fissai sbalordita; da dove era spuntato?
Prima che potessi fare alcunché, il vecchio parlò, «io sono lo spirito del libro. E sono qui perché tu sei la prima angel della storia ad aver raggiunto il grado cinque nella scala di potenza. Ora il mio compito sarà quello di guidarti alla scoperta, al potenziamento e al controllo dei tuoi poteri», mi disse freddo e austero, senza alcuna inflessione nella voce.
Troppo stupita per parlare, impiegai diversi secondi per formulare una domanda di senso compiuto, «che cos’è uno spirito del libro?», gli chiesi con voce leggermente tremante a causa della sorpresa. Dopotutto mi ero ritrovata uno spirito nel bel mezzo della camera.
«ogni libro ne ha uno», mi disse con professionalità, squadrandomi dall’alto in basso, «ma non ci manifestiamo mai se non in casi di emergenza o assolutamente fuori dall’ordinario. E decisamente questo è uno di quei casi, accidenti, sei la prima sempiterna della storia che raggiunge un grado così elevato», mi disse incredulo, probabilmente per il fatto che io ero ancora una ragazzina di appena diciassette anni.
«comunque», mi disse, continuando il discorso che aveva interrotto, «io sono Peter, divinità protettrice di questo libro. Io sono colui che ti guiderà alla conoscenza e al controllo dei tuoi poteri», mi disse, con un leggero cenno del capo per farmi capire che mi rispettava nonostante la mia giovane età, e che il nostro sarebbe stato un rapporto alla pari.
Mi alzai dal letto e feci un leggero inchino anch’io, in segno di rispetto verso quello che era sicuramente un saggio e uno spirito molto potente, «io sono Raf e ho diciassette anni. I miei fly power sono lo speed fly, il rock fly e il think fly», gli dissi per spiegargli la situazione.
Lui mi fissò confuso, come se gli fosse sfuggito qualcosa, «scusa ma, il tuo potere speciale?», mi chiese con sguardo curioso.
Io avvampai e abbassai lo sguardo. E ora che gli dicevo? Che avevo un potere da devil? Ma non potevo mentirgli, e in ogni caso poi sarebbe venuto a saperlo, perciò decisi di dirgliela verità, sperando che non mi avrebbe dato del mostro.
«il mio potere speciale si chiama Inflame», gli dissi, alzando fiera la testa e guardandolo negli occhi. Dopotutto non avevo niente di cui vergognarmi, non era colpa mia se avevo ereditato per qualche strana ragione a me sconosciuta, un potere da devil.
«Inflame?», ripeté lui con una nota stupita nella voce, «non mi sembra che questo potere rientri fra quelli esistenti. Eppure l’ho già sentito ma dove…», e si bloccò all’improvviso, guardandomi con occhi fuori dalle orbite. «l’Inflame è il potere del fuoco. È un potere da devil!», esclamò sbigottito, guardandomi come si guarda un alieno.
Io fui capace solo di annuire, mentre aspettavo che cominciassero le urla e l’isterismo. «ma allora questo vuol dire che tu sei innamorata di un devil! E che lui ti ricambia!», urlò, lasciandomi sbigottita. E lui come faceva a saperlo? Solo i nostri amici più cari ne erano a conoscenza, e di certo non avrebbero avuto modo ne intenzione di dirlo a uno spirito di un libro.
Troppo tardi però, mi resi conto che quelle parole mi avevano riportato alla mente quello che prima, con fatica, ero riuscita a reprimere. Le lacrime fecero di nuovo capolino dai miei occhi e il respiro accelerò nuovamente. Questa volta cercai di controllarmi; non dovevo assolutamente ricadere nel baratro del dolore, almeno non in quel momento.
Vidi che Peter mi fissava dispiaciuto, «scusami, non volevo essere indiscreto. So che questo è un argomento molto delicato», mi disse con espressione contrita. Poi sorrise dolce, «sei innamorata di un devil vero?», mi chiese con voce tenera.
Io annuii e spazzai via la lacrima che era riuscita a sgattaiolare fuori dai miei occhi, «tu come fai a saperlo?», gli chiesi, sinceramente curiosa di sapere di come fosse venuto a conoscenza di una fatto così intimo e tenuto nascosto così bene.
Lui fece un sorrisetto, «devi sapere che se un angel e un devil si innamorano, si scambiano i poteri speciali», mi disse, divertito dalla mia espressione completamente sbigottita, «è un segno del loro amore puro e incondizionato, un segno che spiega che, per quella coppia, vale la pena rompere il VETO. Una cosa del genere è capitata solo una volta in tutta la storia, ma la coppia di quella volta non è stata fortunata come evidentemente lo siete stati tu e la tua perfetta metà», mi disse, spiegando la situazione.
Io invece raggelai sul posto. Sapevo a quale coppia si stava riferendo, perché l’avevo incontrata di persona, «vuoi dire che Tyco e Sai sono morti?», gli chiesi, mentre il mio cuore sanguinava per quei sempiterni che avevo sempre sentito vicini, nonostante ci fossero secoli a separarci.
Lui, sorpreso dal fatto che conoscessi la storia, annuì, «all’epoca le Alte e Basse sfere avevano un sistema decisamente più rigido di adesso e, quando seppero del sacrilegio, nonché del fatto che si erano innamorati, furono condannati a morte per decapitazione», mi disse freddo, senza un briciolo di dispiacere per quelle vite spezzate.
Mi accascia in ginocchio al suolo. Come avevano potuto essere così crudeli? Come avevano fatto a non rendersi conto che le diversità non contano se il sentimento che lega due persone è puro e potente? Dai miei occhi scesero lacrime di dolore al pensiero del terribile destino che era toccato a Tyco e Sai, destinati a morire solamente per la colpa di essersi innamorati. In quel momento feci un giuramento a me stessa, per onorare la memoria di quei sempiterni che sentivo quasi come parte della mia famiglia; giurai che in un modo o nell’altro, una volta finito l’incubo che era la mia vita in quel momento, avrei fatto di tutto per far capire agli angel e ai devil che una coppia come quella di Tyco e Sai o come quella di me e Sulfus poteva esistere.
Mi rialzai, determinata ora anche per loro, «dimmi cosa devo fare per aumentare i miei poteri», gli dissi, con gli occhi che bruciavano di tenacia.
Lui mi fissò compiaciuto e cominciò a spiegarmi come fare per aumentare i miei poteri, nel caso specifico della lezione di quel giorno, il think fly. Mi disse che avevo già degli ottimi poteri telepatici, anche se ero in grado di espanderli ulteriormente, ma che quelli telecinetici andavano assolutamente allenati. Mi spiegò che all’inizio era molto difficile usarli, perché richiedevano un’enorme quantità di energia, ma che con l’aumentare della mia resistenza e della mia forza, sarebbe aumentata anche la forza del mio potere. Perciò cominciò a farmi fare degli esercizi piuttosto blandi, giusto per testare le mie capacità di resistenza. Era come una specie di tutor, che ti seguiva e registrava i tuoi progressi.
Mi fece sollevare piccoli oggetti, come il vaso che avevo sul comodino di fianco al letto, provò a farmeli spostare attraverso la stanza, a volte senza successo perché mi stancavo e li lasciavo cadere durante gli spostamenti. Fortunatamente non ruppi niente. All’inizio mi ero preoccupata del fatto che mi avrebbero rintracciata se avessi usato i miei poteri ma Peter, a conoscenza della situazione solo dopo avermi dato uno sguardo, mi disse che avrebbe schermato i miei poteri fino a che non avessi concluso l’allenamento.
Andammo avanti per un’ora, poi lo implorai di smettere perché non ce la facevo più. Lui acconsentì, dicendo che era normale sentirsi così spossati le prime volte. Chiusi tutti i programmi del computer, lui ritornò all’interno del disco e poi spensi il PC, non prima però di essermi ritrasformata in terrena.
Non avevo la forza per andare fino al ristorante a mangiare, perciò, con il cordless posizionato sul comodino, chiamai il servizio della nave per farmi portare la roba in camera. Mangia sul letto la mia deliziosa bistecca al sangue con contorno di patate al forno, godendomi la vista che dava la vetrata sul mare, e poi decisi di farmi un riposino per recuperare le forze prima di uscire. Non ero ancora sicura che fosse la decisione giusta ma ormai non avevo altra scelta; avevo dato la mia parola e non potevo più tirarmi indietro.
Mi addormentai sul letto e, per la prima volta da settimane, dormii un sonno tranquillo, senza incubi, ma popolato solo dai bellissimi ricordi che mi avevano lasciato le persone a me care. Mi risvegliai al suono della sveglia, che avevo puntato alle tre e mezza, stupita che per una volta fossi riuscita a dormire bene. Supposi che ormai il mio corpo, avendo raggiunto il limite, aveva ceduto e mi aveva fatto fare un sonno senza sogni.
Siccome mi ero addormentata vestita, mi bastò prendere le scarpe per essere pronta. Decisi di mettermi un po’ d’ fard per nascondere il colorito cadaverico.
Misi la mano sulla maniglia pronta a uscire e di colpo l’angoscia m’invase. Sarebbe stata una buona idea rischiare così tanto? Ormai non riguardava più solo me ma tutto il mondo e tutte le nostre razze, angel devil e terreni. Potevo sopportare di correre un rischio così grande, sapendo che la posta in gioco era così alta. Soppesai pro e contro e decisi di prendere una felpa con cappuccio, per non farmi riconoscere nel caso avessi avvistato degli angel in giro per la città. Me la legai in vita e varcai la soglia della cabina, chiudendomela dietro, pronta a respirare aria fresca per la prima volta da quando ero scappata.

RECENSIONI:

GIRL95DEVIL: NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO, NON VOGLIO FARTI MORIRE!!! VORRA' DIRE CHE NON SCRIVERO' PIU' NON VOGLIO AVERE MORTI SULLA COSCIENZA XD SAI IN UN CERTO SENSO HAI RAGIONE, C'E' STATO UN PERIODO PER ME, CHE PORTA TUTTORA DELLE CONSEGUENZE, IN CUI SEMBRAVO CADUTA IN DEPRESSIONE... HO RIPENSATO A QUEL PERIODO, NON DEL TUTTO CONCLUSO, DELLA MIA VITA E HO CERCATO DI RIVERSARE QUELLO CHE HO PROVATO NEL RACCONTO... SPERO DI ESSERCI RIUSCITA... IHIHIH PORCELLINAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!! NON SI FA COSI' EH, NONO XDXDXD  LO SO CHE E' TANTO TEMPO MA QUALCUNO (NON DICO CHI) DEVE AVERE ABBASTANZA TEMPO PER CRESCERE E SVILUPPARSI... IHIH A TE LE IPOTESI... CHI LO SA SE HA LASCIATO IL RICORDINO NEL COROPO DI RAF... CHI LO SA IO NO!!! PRRRRRRRRRRRRRRRRRRR XD BACI SPERO TI PIACCIA IL CHAPPY ^^

KIKKA97/CLOE97: SI COME VEDI CONTINUO A POV ALTRIMENTI CI METTO TROPPO TEMPO... GRAZIE MILLE E HO GIA' LETTO... BELLISSIMO CHAPPY DI NOI DUE PER SEMPRE!!! CIAO KISS^^

THE_WEREWOLFGIRL_97/MAGIKAALE: CIAO ALE, SONO FELICE CHE TI TRASMETTA EMOZIONI POSITIVE, ANCHE SE MI SEMBRA UN PO' UN CONTRO SENSO CONSIDERANDO IL FATTO CHE E' UN CAPITOLO TRISTISSIMO XD SIAMO TUTTI PAZZI!!! XD ALLA FINE PROSEGUO A POV ANCHE QUI... CIAO KISS^^

GINA1: LO SO ANCHE A ME VIENE UNA GRAN TRISTEZZA QUANDO PENSO A CIO' CHE STO FACENDO PASSARE A QUEI POVERETTI, MA LO STORIA E' STATA CONCEPITA COSI' DALLA MIA MENTE MALATA E NON POSSO FARCI NIENTE XD NON POSSO DIRTI SE E' INCINTA O NO... SAPRAI TUTTO NEL PROSSIMO POV RAF, CHE PERO' NON SARA' QUESTO MA QUELLO DOPO, PERCHE' QUELLO SU CUI STO LAVORANDO ORA E' UN POV SULFUS... ALLA FINE STO POSTANDO A POV... BACI KISS^^

KRYSTAL86: CHE BELLO UNA NUOVA LETTRICE... BENVENUTA!!! GRAZIE SONO CONTENTA CHE TI PIACCIA, ERA QUELLO CHE VOLEVO, E' UN CAPITOLO TRISTE E DEVE TRASMETTERE EMOZIONI... NON TI PREOCCUPARE, COME SAI E' A LIETO FINE, PERCIO' PRIMA O POI SI REICONTRERANNO... PIU' POI CHE PRIMA XD LO SO SONO SADICA... E SI', TI ASSICURO CHE ALLA FINE SARANNO DAVVERO CAVOLACCI ACIDI PER RAF, PERCHE' TI ANTICIPO CHE NON RIUSCIRA' A SFUGGIRGLI IN ETERNO... E QUANDO LA TROVERA' SARO' MORTA PERCHE' MI LINCERETE, GIA' LO SO -_- SIGH T^T NON POSSO BIASIMARE RAF, ANCHE IO AVREI FATTO LA STESSA COSA... A PRESTO KISS^^

ALLORA RAGAZZE NEL PROSSIMO POV SULFUS SE NE VEDRANNO DELLE MOLTO BELLE... CI SARA', A META' DEL CAPITOLO, UN SALTO TEMPORALE, PER FARVI VEDERE IL TEMPO CHE PASSA... E CI SARA' ANCHE L'ENTRATA IN SCENA DI UN NUOVO PERSONAGGIO (SHEILA, E' UNA RAGAZZA... MA NON VI DICO SE TERRENA, DEVIL O ANGEL) PER IL QUALE MI ODIERETE E VORRETE UCCIDERMI... PERCIO', A MONITO, VI DICO CHE... SE MI UCCIDETE CHI LA CONTINUA LA STORIA?! SE VOLETE VI IMPLORO ANCHE... PER FAVORE RISPARMIATEMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!... OK MOMENTO DI SCLERO XD GRAZIE PER LE MERAVIGLIOSE RECENSIONI, GODETEVI IL CHAPPY!!! ^^

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Capitolo 7
*** 6° CAPITOLO: "CAMBIAMENTI E NOVITA' (seconda parte)" ***


RAGAZZE ECCOMI QUI!!! NUOVO CHAPPY, NUOVA AVVENTURA!!! IN QUESTO POV TROVERETE UN SULFUS PARECCHIO ABBACCHIATO E IN PROCINTO DI LASCIARSI ANDARE ALLA DISPERAZIONE PERCIO' QUESTO SARA' UN CAPITOLO DISTRUTTIVO DAL PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO... CI SARA' ANCHE UNA SORPRESA IN MEZZO AL CAPITOLO, UNA SCENA CHE HO INSERITO ALL'ULTIMO MINUTO E CHE SPERO VI PIACERA' XD E INFINE... FINALMENTE LA FANTOMATICA SHEILA APPARE!!! AHHHHHHHHHHHHH *VUOLE UCCIDERLA MA NON PUO', LE SERVE PER LA STORIA* XD VI ANTICIPO CHE LA ODIERETE A MORTE, PERCIO' AFFILATE I FORCONI... NON HO DETTO CHE LE FARO' LA VITA FACILE *GHIGNA MALIGNA COME POCHE VOLTE*
VI LASCIO AL CHAPPY RECENSIONI COME AL SOLITO IN FONDO!!! KISS A TUTTE^^

POV SULFUS
Tornammo a scuola sconfitti, esausti e distrutti. Erano sufficienti le nostre facce per far capire ai professori che non avevamo concluso niente. Non appena posai i miei piedi per terra, sentii qualcosa spezzarsi all’interno del mio petto; era il mio cuore che si stava frantumando in milioni di piccoli pezzi, impossibili, ormai, da rimettere insieme. E in quel momento, mi infuriai; con me stesso, perché non ero riuscito a fare quello che mi ero prefissato, ad adempiere a quello che era il mio obiettivo, e con Raf perché, nonostante tutto, il mio cuore sbriciolato continuava a battere per lei. Persino in quel momento, i milioni di minuscoli pezzi che avevano composto il mio cuore continuavano a pulsare d’amore per quella angel che, con poche e semplici parole, mi aveva distrutto la vita. Ero furioso perché non aveva avuto il coraggio di guardarmi negli occhi prima di partire, di dirmi in faccia quello che pensava, di spiegarmi di persona perché cavolo avesse preso una decisione del genere, dicendomela solo con una lettera.
Mi sentivo a pezzi, emotivamente e fisicamente; avevo corso e volato talmente tanto nelle ultime ore che, alla fine, stremato, ero caduto sull’asfalto senza più forza per rialzarmi, senza più la speranza per credere che ci fosse ancora una possibilità perché quello fosse solo un brutto sogno. Ma sapevo che non era così; il dolore che sentivo era troppo vivo, tropo reale per poter essere solo frutto della mia immaginazione. Tuttavia continuavo, di certo stupidamente, a sperare che Raf saltasse fuori all’improvviso da dietro un albero o un cespuglio, gridando qualcosa tipo “pesce d’Aprile”, anche se non era Aprile ma Giugno.
Mi diedi dello stupido da solo; ero veramente messo male se cominciavo a fare pensieri del genere. Alzai lo sguardo e incontrai gli occhi di Arkhan e delle Temptel; mi fissavano addolorati, Arkhan addirittura con le lacrime agli occhi, per farmi capire che mi erano vicini in un momento del genere.
Cominciai a tremare, gli occhi si offuscarono per le lacrime che cercavo in tutti i modi di non far scendere, il respiro accelerò fino a diventare un affanno insopportabile e il cuore sembrò voler uscire dal petto per la violenza con cui i suoi battiti si propagavano nel mio petto squarciato dal dolore. Capii che ero sul punto di crollare, che non avrei retto per molto sotto i loro sguardi. Il dolore che sentivo era troppo grande per poter essere tenuto dentro e, mischiato anche alla rabbia cieca che sentivo, chiedeva a gran voce di essere liberato, di trovare una qualsiasi valvola di sfogo per evitare di morire in agonia.
Fissai tutti gli altri; si erano accorti che ormai stavo per cedere e c’era chi mi fissava impaurito, memore di come avevo reagito quella mattina e spaventato dalla reazione che avrei potuto avere ora, e chi preoccupato per il grande dolore che si leggeva sul mio viso.
«E-ecco io… devo andare. scusate», dissi agli altri con voce rotta, voltandomi per non far vedere il mio viso rigato dalle lacrime, nonostante si capisse benissimo grazie al mio tono di voce saturo di pianto.
 Mi voltai e, senza aspettare risposte di alcun genere, mi fiondai verso la mia camera, l’unico luogo in cui sapevo sarei potuto essere me stesso senza vergognarmi. Quasi volai mentre correvo per arrivare alla stanza, cercando di trattenere le lacrime che premevano per uscire dai miei occhi. Cazzo, ero pur sempre un devil! Non volevo farmi vedere debole.
Ogni passo sembrava un’agonia che durava una vita intera, e il percorso che portava alla mia stanza non mi era mai sembrato così lungo. «solo un altro passo», mi ripetevo, «solo un altro passo e poi potrai fare quello che ti pare. Resisti solo altri pochi passi»; ma quei pochi passi mi sembravano lunghi un’infinità.
Finalmente raggiunsi l’incubatorio e, di conseguenza, la mia stanza. Aprii la porta con foga, entrai e me la richiusi dietro, dando dei giri di chiave per non far entrare nessuno. Avevo bisogno di stare da solo in quel momento.
Mi appoggiai con la schiena allo stipite, respirando affannosamente, cercando di buttare quanta più aria possibile in corpo, come se l’ossigeno avesse potuto lenire quel terribile dolore che sentivo dentro. Non resistevo più; le lacrime presero a scendere inarrestabili lungo le mie guance, impossibili in qualunque modo da fermare.
La rabbia e il dolore mi sopraffecero, facendomi perdere ogni freno inibitore e il controllo di me stesso. Preso da una voglia incontrollabile di sfogare in qualche modo tutto quello che sentivo dentro si me in quel momento, mi gettai furibondo su ogni cosa che si trovava nella stanza. Buttai le sedie all’aria, rovesciai i tavolini, sfasciai i comò di fianco ai letti, ribaltai tutto quello che si trovava sugli scaffali, sia libri che soprammobili, a volte rompendo qualcosa, sfasciai completamente il letto di Gas, stracciando il suo cuscino e spargendo le piume per la stanza. Insomma un vero e proprio sfacelo. Se qualcuno avesse visto lo stato della mia camera in quel momento, l’avrebbe sicuramente dichiarata zona disastrata.
Mi avviai furibondo anche verso il mio letto ma, prima di fare qualcosa di cui mi sarei sicuramente pentito, ritornai bruscamente in me, rendendomi conto della sciocchezza che stavo per fare. Come potevo distruggere quel letto? Come potevo sfasciare quel luogo che, anche se solo per una notte, era stato protagonista di un sogno, il più bel sogno che una persona potesse pensare, desiderare o sperare?
Sì, era stato un sogno; quello per cui mi ero illuso così stupidamente, era stato solo un fulgido e bellissimo sogno, un’utopia irrealizzabile. Come avevo potuto pensare che per me, un devil della peggior categoria, potesse esistere la felicità?
Caddi in ginocchio, il dolore che mi attanagliava il petto, un dolore talmente grande che non credevo potesse esistere. Affondai il viso tra le coltri del letto, stringendo il tessuto tra le mani con forza; riuscivo ancora a sentire il suo profumo intrappolato tra le lenzuola. Inspirai in profondità il suo profumo di fiori, in particolare di fresie e rose, riempiendomi fino allo sfinimento i polmoni. Una nuova fitta al petto mi ricordò che, molto probabilmente, non avrei più avuto occasione di respirare questa sublime fragranza per sempre. Le lacrime ripresero a scorrere inarrestabili lungo il mio viso e inspirai ancora più forte di prima. Mi mancava già terribilmente, e mi ero separato da lei solo da poche ore.
Mi alzai e salii direttamente sul letto, stendendomi a pancia in giù con il viso seppellito nel cuscino. Lì il suo odore era ancora più forte e mi riempiva la narici, stordendomi. Il suo profumo aveva sempre avuto quel potere; quando ero con lei mi dava sempre una sorta di annebbiamento e assuefazione che lasciavano spazio solo alla mia felicità e al mio desiderio di lei. In quei momento la desideravo così tanto che era difficile trattenermi dallo saltarle addosso, soprattutto quando vedevo la passione con cui ricambiava i miei baci infuocati e i miei assalti. E quando la scorsa sera l’avevo vista arrivare in camera mia, chiaramente intenzionata a lasciarsi andare alla passione e vestita solamente di quel provocante completino intimo in pizzo nero, non ci avevo visto più. Liberatomi da tutti i lacci che mi avevano tenuto legato fino a quel momento, non avevo pensato ad altro che a farla mia. E l’avevo fatto. Dio, se l’avevo fatto! Ed era stato veramente magico sapere che per lei ero stato il primo, esattamente come lei era stata la prima per me. Avevo aspettato e ne era valsa assolutamente la pena.; niente era stato più meraviglioso che perdere la verginità assieme.
Ma non sarebbe accaduto mai più; l’amara verità era che lei era sparita per sempre, e quelle sensazioni che mi avevano riempito l’anima non sarebbero mai più tornate. Che, volente o nolente, dovevo accettare il fatto che lei fosse sparita per sempre. Ma, mio dio, come accettarlo? Come potevo rassegnarmi alla sua perdita, se perdere lei significava perdere una metà di me stesso, la più importante?
Seppellii il viso nel cuscino e non mi feci remore; urlai, urlai soffocando il  mio dolore nel cuscino, cercano di sfogare, seppur in minima parte, l’amarezza e la rabbia che sentivo dentro e che mi stavano logorando.
Avevo bisogno di sfogarmi, ma con qualcosa che riguardasse il lavoro fisico, per tenere occupati corpo e mente. Mi alzai di scatto e, dopo aver aperto la porta, uscii dalla camera a passo di carica. Fuori, con mia sorpresa, trovai ad aspettarmi tutti i miei amici, sia angel che devil. Mi fissavano tutti preoccupati per quello che poteva essere successo dentro la camera. Io li degnai a malapena di uno sguardo e mi diressi fuori dall’incubatorio. Gli altri provarono a venirmi dietro ma con un flebile «non seguitemi», li convinsi a rimanere dov’erano.
Mi avviai lungo il corridoio ma, con la coda dell’occhio, li vidi inorridire di fronte al disastro che avevo combinato in stanza. Un po’ mi dispiaceva di aver distrutto la roba di Gas, perché se fosse capitato a me mi sarei incazzato come un iena, ma in quel momento era una sensazione talmente piccola che non mi sembrava neanche di averla. Perciò proseguii imperterrito verso la mia meta, ossia l’aula sfida. Forse non era il luogo adatto alla mia conservazione psicologica, considerato il fatto che era stato lì che io e Raf avevamo vissuto i nostri momenti più romantici, ma avevo bisogno di un luogo in cui sfogarmi e l’Aula sfida era di sicuro l’ideale.
Finalmente arrivai di fronte alla porta e, visualizzando prima nella mia mente il luogo in cui volevo andare, la aprì. All’istante mi apparve la palestra che avevo pensato, con la centro il tanto agognato sacco da boxe. Mi levai la maglia, restando a torso nudo, e, svuotata la mente, cominciai a prendere a pungi il sacco. Colpivo con rabbia e dolore e non mi curavo del fatto che, non avendo le mani protette, avrei potuto farmi seriamente male.
Quando il dolore fisico arrivò, lo accolsi con gioia e sollievo. Il dolore fisico non mi permetteva di pensare a quello mentale, faceva in modo che mi concentrassi solo sul presente e non su quei ricordi che, per quanto dolci, mi straziavano l’anima. Erano un simbolo di ciò che non avrei mai più potuto avere e ricordarli mi faceva solo stare ancora più male.
Colpivo il sacco con violenza, incurante del tempo che passava e del dolore che aumentava sempre di più a ogni colpo. Ben presto cominciò a dolere anche il mio corpo ed esultai; non chiedevo di meglio che ascoltare solo il mio corpo per esiliare e isolare la mia mente. Volevo diventare leggero, senza pensieri, una creatura fatta solo di carne e istinto, un essere dalla mentalità quasi animale e perciò impossibilitato a provare a provare un’agonia di tale entità. Volevo diventare un qualcosa senza possibilità di pensiero, per impedirmi di ricordare cose che avrebbero potuto distruggere la mia anima.
Non so per quanto tempo continuai; ormai le mia mani erano ricoperte di tagli e sangue e i muscoli mi facevano talmente male che probabilmente sarei caduta a terra senza forze entro breve. All’improvviso la porta dell’Aula sfida si aprì. Non mi curai di chi fosse entrato; per quel che mi riguardava poteva andarsene all’inferno, perciò continuai imperterrito la mia dolorosa attività.
Sentii il respiro di quel qualcuno arrestarsi bruscamente, quando all’improvviso gridò, «oh mio dio! Sulfus!». La voce che aveva parlato apparteneva all’ultima persona che mi sarei mai aspettato di vedere; Uriè.
All’istante sentii attorno ai miei polsi, che cercavano di fermare i miei pugni, «ti prego Sulfus fermati! Non risolvi niente così!»,mi disse con voce rotta, stringendo ancora di più la presa sulle mie mani sporche di sangue.
Non so per quale motivo ma, piano piano, quella smania che sentivo dentro di me di farmi male, di essere il più possibile masochista per evitare di pensare, si spense, facendomi ritornare in me. Mi accorsi, con orrore, che le lacrime avevano ripreso a scorrere sul mio viso. il dolore che sentivo in tutto il corpo era lancinante, ma era particolarmente atroce e concentrato sulle dita e sulle nocche.
Girai il viso incontrando i grandi occhi viola di Uriè che mi fissavano preoccupati. Distolsi immediatamente lo sguardo da lei; non volevo farmi vedere debole, soprattutto da una angel. E il mio gesto era un chiaro invito a lasciarmi in pace.
Ma Uriè mi sorprese; con estrema delicatezza, come se fosse stata un oggetto di cristallo fragilissimo che al minimo contatto si sarebbe potuta rompere, mi prese dolcemente una mano ferita e insanguinata fra le sue, incominciando ad esaminare i tagli che avevo e tastando per sentire se ci fossero eventuali fratture.
Rimasi sbalordito dal suo gesto, e la guardai con occhi spalancati; nessun angel era mai stato gentile con me a parte Raf. Con le sue amiche c’era di sicuro un profondo rapporto di rispetto e solidarietà, tipico delle persone che insieme hanno condiviso molto, ma arrivare a chiamare questo rapporto amicizia era già più difficile. Eppure il comportamento di Uriè, non solo adesso, ma anche nelle ore precedenti, denotava l’atteggiamento tipico di un’amica.
Lei fissò la mia mano e le sfuggì un singhiozzo, «per gli angeli Sulfus, ma che hai fatto? Vuoi per caso ucciderti in questo modo?», mi chiese impaurita e addolorata guardandomi negli occhi come pochi riuscivano a fare.
Abbassai lo sguardo ma lasciai la mia mano tra le sue. Le lacrime avevano smesso di scendere, ma i segni lucidi rimanevano comunque sulle mie guance e non volevo che lei li notasse.
All’inizio pensai di non risponderle ma poi mi resi conto che in un certo senso glielo dovevo. In fondo lei mi aveva aiutato, «volevo solo evitare di pensare», le dissi in un soffio. Lei mi guardò stupita; era raro, per non dire impossibile, vedere una angel e un devil scambiarsi confidenze, ancor più raro vedere una angel e un devil innamorati.
Singhiozzai in risposta a quel pensiero e sentii gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime; con uno sforzo riuscii a ricacciarle indietro. «credevo che se mi fossi concentrato su altro avrei evitato di…», le dissi, ma non riuscii a finire. Il dolore era troppo e mi tagliava le parole in gola.
Le sue mani stinsero di più la mia e io incontrai di nuovo i suoi occhi, con un’ombra di dolcezza ora sul fondo di quelle iridi scavate dal dolore, «la sofferenza per il suo abbandono non scomparirà mai, Sulfus», mi disse sorridendomi, di un sorriso a metà tra il dolce e il malinconico, «farti del male non ti aiuterà a dimenticare. Puoi solo imparare a conviverci, e fare di questo dolore la tua forza. Non arrenderti Sulfus; usa il tuo dolore per trovare la forza di andare avanti. Non è tutto perduto; distretti di angeli e diavoli sono sparsi per tutto il mondo, sicuramente abbiamo una possibilità di ritrovarla».
La guardai negli occhi e vidi che brillavano di determinazione. La ritrovai anch’io di rimando ma, di fatto, non l’avevo mia persa; avevo sempre saputo che non mi sarei mai arreso e che, nonostante il dolore, avrei lottato finchè le forze me lo avessero consentito per riportarla da me. Il problema era che non avevo la più pallida idea di come fare; come potevo io, da solo, rintracciare una angel che non voleva farsi trovare e che poteva essere in qualsiasi parte del mondo in quel momento? Era impossibile.
Tolsi la mano da quelle di Uriè e, sfinito e a pezzi, mi sedetti sulla panca di fianco al sacco da boxe, prendendomi la testa tra le mani da cui il sangue colava ancora. Uriè mi si avvicinò con degli asciugamani e una bottiglietta d’acqua trovati sul tavolo li vicino e mi si sedette di fianco. Mi prese di nuovo la mano e con l’acqua lavò via il sangue secco che era fuoriuscito dalle ferite in modo che rimanesse solo quel poco che ormai si stava fermando. Le nocche e le dita erano completamente scorticate e bruciavano in maniera atroce, specialmente quando Uriè ci passava l’acqua sopra. Quando mi pulì tutte le ferite, mi avvolse le mani in due asciugamani per fermare il sangue.
Guardai Uriè mentre tentava di medicarmi le mani. Il suo comportamento mi stava gettando in confusione e non per il fatto che lei fosse una angel ma per il fatto che, tutto ad un tratto, sembrava essersi interessata a me come amico. Non capivo e così decisi di chiederglielo, «perché mi stai aiutando?», le domandai a bruciapelo fissandola direttamente negli occhi.
Lei sussultò ma le sue mani non si fermarono e continuarono la loro opera, «perché Raf ti ama Sulfus», mi disse spiazzandomi, « e io sono convinta che lei non ti vorrebbe vedere ridotto in questo stato. Non te lo permetterebbe. E poi non sei l’unico a soffrire Sulfus», ribattè e la sua voce si riempì di tristezza, «lei è la mia migliore amica. Siamo cresciute insieme, abbiamo riso e pianto insieme e insieme abbiamo affrontato questo stage. Sempre unite contro tutte le difficoltà, eravamo una la forza dell’altra. Lei è la sorella che non ho mia avuto e ora se ne è andata», continuò e la sua voce si fece spezzata per via delle lacrime e dei singhiozzi che le scuotevano il petto, «è come se avessi perso una parte di me, la più importante», concluse fissando il vuoto persa nei ricordi.
Capii che in realtà io e lei eravamo molto simili; avevamo entrambi perso una parte fondamentale della nostra vita, una parte che non avremmo ritrovato mai più. Questo faceva di noi due anime affini e che, forse, avrebbero potuto supportarsi a vicenda per superare le difficoltà.
Sorprendendo sia me stesso che Uriè, le presi una mano in segno di conforto, sporcandola leggermente di sangue, «sai cosa direbbe se Raf fosse qui?», le chiesi sorridendo leggermente per darci forza in quel momento così buio della nostra vita.
Lei ricambiò il mio pallido sorriso e, insieme, parlammo, «sorridi sempre alla vita perché è meravigliosa e, anche se un giorno il futuro ti sembrerà buio e senza speranza, sorridi, perché dopo la tempesta torna sempre il sereno». Sorridemmo insieme a quel ricordo; quella frase era il motto di Raf e ce l’aveva detta un sacco di volte, soprattutto quando le cose diventavano difficili e si mettevano male. Quella frase aveva sempre il potere di ridarci fiducia in noi stessi, forza e speranza per il futuro.
Poi Uriè tornò seria, «è per questo che non voglio che ti riduci così Sulfus», mi disse indicando le mie mani ferite e piene di sangue, «lei avrebbe voluto che tu reagissi e ho ripromesso a me stessa che non avrei ceduto alle avversità e che non avrei permesso neanche a te di farlo», continuò, lasciandomi sbigottito, «Raf è la mia amica più cara e glielo devo. Mi ha aiutata tante volte e ora sento di doverle restituire il favore. E poi devo ammettere che mi incuriosisci; mi hai fatto rivalutare sul tuo conto. Credevo che fossi il classico devil sbruffone e antipatico, ma poi ho visto che sei cambiato stando con Raf, sei diventato più dolce, come lo è ogni ragazzo innamorato. Non ti nascondo che all’inizio anch’io non vedevo di buon occhio la vostra storia, soprattutto perché avevo capito che Raf era seriamente innamorata di te e non volevo che soffrisse per colpa tua. Poi però vi ho osservati, soprattutto te, e ho capito che non la stavi prendendo in giro, che anche tu eri innamorato tanto quanto lei, e da allora ho incominciato a osservarti nella mia testa non più come il devil stronzo ma come il ragazzo innamorato. È stato così che ho scoperto dei lati nascosti di te che non credevo potessi avere e automaticamente ho rivalutato anche la mia idea di devil. Mi hai fatto capire che non siete tutti uguali ed è stato grazie a te che io e anche Dolce abbiamo iniziato ad avvicinarci a Kabalè e Cabiria, seguite a ruota da Miki e Gas. Siamo diventate quello che si dice esattamente amiche e non mi vergogno con nessuno, che sia angel o devil, di ammettere che ho degli amici devil. Perciò ora vorrei provare a essere amica anche con te, perché non puoi essere lasciato da solo in questo momento della tua vita e perché sono sicura di essere quella che capisce maggiormente il tuo dolore», concluse guardandomi negli occhi. Il suo discorso mi aveva lasciato a corto di parole, perché era stato un discorso fatto col cuore e io me ne ero reso conto.
Perciò abbozzai un sorriso, di più con lei ancora non riuscivo a fare, e annuii semplicemente. Lei mi sorrise a sua volta, però con un sorriso molto più aperto e sincero del mio. Sapevo che ci sarebbe voluto un po’ di tempo perché mi fidassi di lei, ma ero convinto di farcela perché se Raf l’aveva scelta come migliore amica, un motivo doveva sicuramente esserci.
Lei mi guardò le mani ancora avvolte negli asciugamani ormai rossi per via del sangue che avevano assorbito, «ora però è meglio portarti in infermeria. Le ferite sembrano essere gravi e hai comunque bisogno di riposo», mi disse guardandomi dolcemente.
Mi prese per mano e mi fece alzare ma, non appena fui in piedi, ricaddi in ginocchio. Avevo talmente male ai muscoli, per via della boxe e della corsa disperata della mattinata, che non riuscivo a reggermi in piedi. Uriè allora si chinò di fianco a me e passandomi un suo braccio intorno alla vita e un mio braccio attorno al suo collo e, sostenendomi, mi fece alzare e andare fuori dall’aula sfida.
Fuori trovai tutti quanti ad aspettarmi e, quando videro le condizioni in cui ero ridotto, trattennero tutti bruscamente il fiato. Kabalè, senza dire niente, capendo benissimo il mio stato d’animo, mi si avvicinò subito e mi sostenne dall’altro fianco esattamente come Uriè, visto che da sola faceva molta fatica a trascinarmi.
Insieme mi portarono in infermeria, mentre gli altri ci seguivano senza dire alcunché, consapevoli che in questa occasione le parole non sarebbero servite a niente. Appena entrammo nell’infermeria dei devil, il medico ci guardò con espressione scioccata, non tanto per le mie condizioni ma per il fatto che delle angel si erano introdotte in un reparto teoricamente riservato ai devil.
Infatti subito scoppiò, «e voi zuccherini caramellati che ci fate qui? Lo sapete che non qui non ci potete stare perciò prendete quel sederino piumato che vi ritrovate e portatelo fuori da qui!», sbraitò veramente incazzato, da vero devil.
Una volta anch’io avrei risposto così ma quelle adesso erano delle mie amiche; si, ora lo sapevo, erano mie amiche, e non doveva permettersi di trattarle così. Stavo per rispondergli a tono, ma qualcuno mi precedette. Miki avanzò furiosa verso di lui e capii che stava arrivando una delle sue proverbiali sfuriate; quando l’avevo avuto come avversaria, avevo imparato che quando si arrabbiava era peggio di un toro inferocito, perciò era meglio non provocarla. Sghignazzai e le lasciai l’onore di uccidere verbalmente il poverino che si trovava davanti a noi.
«senti un po’ tu, piccolo fuoco di paglia con le corna al posto del cervello», esordì lei veramente infuriata, lasciando di sasso il povero dottorino, che sbiancò alla vista di Miki così inferocita, «punto uno, vedi un po’ di non chiamarci mai più zuccherini caramellati altrimenti ti infilo lo stetoscopio che ti ritrovi intorno al collo dove dico io; punto due, non me ne frega niente se non posso stare qui, ora come ora posso concedermi il lusso di stare dove voglio; punto tre, Sulfus è un mio amico, perciò starò qui finchè lui non mi dirà di andarsene; e punto quattro, sbrigati a curarlo altrimenti ti stacco quella testa vuota che hai attaccata a quel sudicio collo», concluse mandando saette e lampi con gli occhi in direzione del malcapitato. C’era una cosa fondamentale da sapere sugli angel; era meglio non provocarli perché, quando si arrabbiavano sul serio, facevano paura persino a noi devil, il che era tutto dire. E Miki in quel momento era più spaventosa di tutti gli angel inferociti che avevo visto finora.
Il povero medico, alla vista di una furia simile, si fece piccolo, sbiancò e, balbettando delle flebili scuse, fece segno a Kabalè e Uriè di depositarmi sul lettino al centro dello studio. Loro ubbidorono e poi tornarono accanto a una soddisfatta Miki, che sghignazzava soddisfatta. Le mandai un debole sorriso di ringraziamento e lei mi fece l’occhiolino.
I professori erano arrivati giusto in tempo per vedere la sfuriata di Miki e ora Arkhan la guardava scioccato, mentre la Temptel sorpresa e soddisfatta, «sai Miki», esordì la prof guardandola ammirata, «se non avessi ali e aureola in testa, dopo quel discorso che hai fatto ti avrei presa sicuramente per una devil», le disse con un malcelato sorriso di compiacimento in volto.
Lei si voltò e le fece un sorriso a metà tra il beffardo e il divertito, «quando vengo attaccata rispondo e comunque non si faccia illusioni professoressa, rimango comunque una angel», le disse scoppiando a ridere, seguita da tutti.
Intanto il dottore mi stava visitando; dopo aver tastato le mani, fece delle lastre  con le quali si assicurò che non avessi ossa rotte, e infine mi fece delle fasciature alle nocche per proteggere le numerose escoriazioni. Infine mi chiese di alzarmi ma, non appena vide che faticavo persino a mettermi seduto sul lettino, mi disse di lasciar perdere.
Infine si voltò verso gli altri con la sua diagnosi pronta, «le mani sono molto escoriate, ci vorranno almeno due settimane prima che possa riprendere la piena mobilità delle dita, quindi dovrete stare attenti a non fargli fare sforzi altrimenti il periodo di degenza potrebbe aumentare. Per il fatto che non riesce a stare in piedi non c’è da preoccuparsi, è solo mortalmente stanco. Un po’ di riposo e nel giro di un paio di giorni tornerà attivo come prima», disse agli altri mentre io cominciavo a sentire la vista annebbiarsi e le orecchie ronzare.
Ben presto le voci intorno a me cominciarono a svanire e, lentamente, caddi in un profondo e lungo sonno ristoratore.
 
Mi svegliai completamente riposato dal lungo sonno che avevo fatto. Stavo veramente bene sotto le coperte; provavo quella classica sensazione che si ha quando, appena svegliato, ti senti in pace con te stesso e con il mondo, perfettamente incastrato fra le coperte e il materasso, un incastro che non risulta fastidioso, come la maggior parte delle volte in cui ti svegli, ma rilassante e perfetto.
Non sapevo cosa mi potesse far stare bene in un momento del genere. Sentivo però che dipendeva da quello che avevo sognato mentre dormivo; non ricordavo esattamente cosa fosse, rammentavo solo la luce intensa del sole, una spiaggia, le onde del mare e i capelli biondi del mio angelo davanti ai miei occhi. Sentivo che quel sogno mi aveva messo addosso un senso di pace e perfezione ineguagliabile, perché quel sogno mi aveva fatto vivere uno spezzone della mia vita futura, una vita che era andata perduta per sempre.
Sospirai e riaprii gli occhi, intristito da quel pensiero. Fissai la finestra di fianco al letto; i raggi rosati del sole nascente illuminavano dolcemente il vetro, creando dei riflessi tra il rosa e l’arancio, segno che dovevo aver dormito per il resto del pomeriggio e tutta la notte. Quei colori tenui che brillavano in delicati giochi di luce sul vetro me ne ricordarono altri simili ma più intensi, colori che avevo visto insieme a Raf nella nostra ultima giornata trascorsa insieme, quella giornata magica e perfetta nella sua interezza.
La malinconia, la tristezza e il dolore mi avvolsero di nuovo e io, per difendermi, per non dover crollare e soffrire di nuovo, mi isolai in un mondo fatto di me e di lei, dei nostri ricordi felici e dei nostri sogni sulla nostra vita. Mi immaginai me e Raf, finalmente senza paura e con l’approvazione di alte e basse sfere, amarci liberamente davanti a tutti i devil e gli angel del pianeta. Ci immaginai mentre facevamo un gita in campagna con la mia moto, lei seduta  dietro mentre io guidavo; sapevo che si sarebbe tenuta stretta forte a me per la paura di cadere, sapevo anche che quell’abbraccio mi avrebbe emozionato fino all’inverosimile e che io, per farle un dispetto, sarei andato ancora più forte ma senza esagerare, perché non volevo metterla in pericolo. Ci pensai seduti su un telo in riva a un laghetto in una radura immersa nel bosco mentre mangiavamo le prelibatezze preparate dalla mia ragazza; a volte ci saremmo scambiati un tenero bacio. Poi avremmo fatto il bagno e avremmo giocato a schizzarci, a tuffarci e a rincorrerci fino allo sfinimento e infine, esausti, saremmo caduti insieme sul telo e, presi dalla passione, avremmo fatto ancora una volta l’amore; una coronazione perfetta di una giornata altrettanto perfetta.
Poi altre immagini seguirono quelle nella mia mente, alcune che non pensavo neanche di poter desiderare ma che, inconsciamente, avevo sempre voluto. Vidi me e Raf seduti a un tavolo, in una cenetta romantica e al lume di candela, tenerci per mano e mangiare di gusto quelle meravigliose pietanze; a seguire vidi un imbarazzato me tirare fuori una scatola da dentro la tasca dei pantaloni, inginocchiarsi davanti a Raf e, mostrandole l’anello nascosto dentro la piccola scatolina, chiederle di sposarmi. Vidi il mio angelo saltarmi addosso con le lacrime agli occhi e tempestarmi di baci e sì mentre mi stringeva spasmodicamente a se. Era così che mi immaginavo la mia proposta di matrimonio, perché avevo sempre saputo che avrei voluto trascorrere la mia vita al fianco della ragazza che amavo.
Un altro flash; io e lei in luna di miele in qualche posto esotico, mentre dividevamo il nostro tempo tra fare l’amore e visitare le meraviglie del luogo che avremmo scelto come destinazione. Ancora, io e lei che sceglievamo la casa in cui vivere, sicuramente in campagna e sulla terra, perché era li che era nato il nostro amore e perché non ci sembrava giusto vivere in una delle nostre due città sapendo che l’altro non l’avrebbe sopportato.
E poi Raf che mi aspettava a casa con un mise provocante e, dopo aver fatto l’amore in maniera paradisiaca (che le basse sfere mi concedessero il termine), mi comunicava, con voce rotta dall’emozione, appoggiandomi una mano sul suo ventre, che era incinta. L’avrei stretta a me, felice come non lo ero mai stato, e le avrei sussurrato il mio amore all’orecchio. Poi delle immagini successive, Raf che si accarezzava il pancione seduta sul divano di casa, io che tenevo il capo appoggiato sul suo ventre, la prima ecografia e il parto, quando per la prima volta avrei tenuto tra le mani un fagottino dai capelli blu come i miei e luminosi occhi azzurri come quelli di Raf. E poi il piccolo che cresceva, noi tre insieme come una vera famiglia, il primo compleanno di nostra figlia e quando sarebbe partita per la Golden School a fare lo stage.
Anche se non l’avevo mai ammesso con me stesso, da quando avevo capito che Raf sarebbe stata la donna della mia vita, avevo sempre avuto dentro di me un specie di istinto paterno che mi avrebbe sicuramente portato a fare una famiglia con lei. Avrei tanto voluto avere una bambina, un piccolo fagottino da coccolare e accompagnare nella crescita per poi terrorizzare i suoi spasimanti quando fosse diventata più grande.
Dio solo sapeva quanto avrei voluto che anche una sola di quelle immagini si potesse avverare, quanto avrei voluto trascorrere il resto della mia vita con lei. Sorrisi dolcemente ripensando nuovamente alla figlia che avremmo potuto avere. Incredibile, un devil con l’istinto paterno a 17 lampi! Davvero stupefacente!
All’improvviso una secchiata di acqua gelida mi arrivò in piena faccia, svegliandomi da quella mia specie di stato di trans. Perso com’ero nei miei pensieri, quel gesto mi colse di sorpresa, talmente tanto che cacciai un urlo altissimo e ruzzolai sul pavimento, incastrato fra le lenzuola del lettino e battendo così il fondoschiena.
Mi rialzai all’istante furioso, pronto a inveire in tutte le lingue del mondo contro chi mi avesse giocato un tiro mancino del genere, e incontrai gli sguardi preoccupati di Uriè e Kabalè, l’ultima con una brocca vuota in mano.
«ma siete impazzite?!», sbraitai infuriato, «ma si può sapere che cavolo mi avete una doccia all’acqua gelata? Cazzo, avrei potuto farmi seriamente cadendo dal lettino», urlai loro in faccia, che mi fissavano con uno sguardo a metà tra il dispiaciuto e l’incazzato.
Kabalè esplose per prima, «beh scusa tanto mister mi perdo nei miei pensieri», ribattè imbufalita come poche volte l’avevo vista, «l’ho fatto perché sembravi caduto in uno stato catatonico; avevi lo sguardo vacuo rivolto verso la finestra e poi ti avrò chiamato almeno dieci milioni di volte ma tu non mi hai mai risposto, neanche un uhm che mi dicesse che tu eri ancora qui con noi invece che perso per sempre da un’altra parte. Che dovevo fare secondo te? sembravi quasi entrato in coma!», mi attaccò, spiegandomi tutto per filo e per segno.
Mi sentii immediatamente in colpa; lei aveva solo voluto aiutarmi e io, da cretino, l’avevo subito aggredita. «scusa», le dissi poggiando una mano sulla sua spalla, «ero talmente perso nei miei pensieri che non ho nemmeno badato a te».
Lei mi sorrise e poi mi schioccò un’occhiatina divertita, «accidenti, un devil che chiede scusa. Dimmi che giorno è oggi, perché va assolutamente segnato sul calendario», mi disse per poi scoppiare a ridere fragorosamente, seguita a ruota da me e Uriè. In effetti era un evento più unico che raro che un devil chiedesse scusa; siamo per natura orgogliosi e per non ammettere che qualcuno all’infuori di noi ha ragione, ci trinceriamo dietro un silenzio che può durare anche mesi, durante i quali stiamo sempre sulle nostre e non rivolgiamo mai la parola al diretto interessato. Ma per me era diverso ormai; non solo sapevo che dovevo esserle riconoscente per tutto quello che non solo lei ma anche tutti gli altri cercavano di fare per me, ma sapevo anche che il mio amore per Raf mi aveva cambiato, rendendomi più buono. Una parola che un devil aberrava, ma che, di fatto, era quello che mi era accaduto.
Esaurito l’attacco convulso di riso, mi risedetti sul letto, ero ancora abbastanza debole e i muscoli erano ancora un po’ indolenziti, «come mai mi cercavate? A proposito, quanto ho dormito?», le chiesi, ancora un po’ spaesato dal salto temporale.
«hai dormito per tutto il giorno, Sulfus», mi rispose Uriè, «eri talmente esausto che appena hai toccato il cuscino ti sei addormentato come un ghiro. Sei andato avanti per diciotto ore. Adesso sono le sette di mattina», mi spiegò fissandomi comprensiva.
«comunque non era per questo che ti stavamo cercando», mi spiegò Kabalè con sguardo basso. Per la prima volta la vidi in difficoltà; cosa doveva dirmi di così difficile da metterla in imbarazzo? «ci sono due questioni molto importanti che dobbiamo risolvere; la prima riguarda la partenza per Zolfanello city e Angie town. Dobbiamo decidere o no se posticipare la partenza», mi spiegò con sguardo basso. In effetti quello era un problema; teoricamente saremmo dovuti tornare subito a Zolfanello ma, ora come ora, non avevo la più pallida idea di cosa fare. Se me ne fossi andato avrei automaticamente accettato che Raf se ne era andata per sempre dalla mia vita, e non sapevo se ero ancora pronto ad accettarlo.
«la seconda parte beh… ecco insomma…», cercò di dirmi in evidente difficoltà, torturandosi le mani e cercando di svicolare il mio sguardo.
Dopo un po’ di tempo che cercava di parlare senza ottenere niente, sbuffai spazientito, «insomma Kabalè, si può sapere che c’è? Dimmi quello che mi devi dire e falla finita», le dissi, innervosito dai suoi continui tentativi.
Kabalè lanciò con lo sguardo una disperata richiesta di aiuto ad Uriè, che prontamente decise di intervenire e salvarla dalla difficoltà di parlare, «la seconda questione riguarda la ricerca di Raf», mi disse guardandomi negli occhi, preoccupata dalla reazione che avrei potuto avere. A quelle parole, sentii l’ennesima fitta di dolore al petto. Mi portai la mano sul cuore, respirando affannosamente per cercare di calmare il battito impazzito. Loro mi fissarono preoccupate, ma io con lo sguardo la incitai a continuare, «beh hanno riaperto il centro ricerche dei sempiterni scomparsi e vogliono tutti porci delle domande su Raf, considerando che siamo le persone che la conoscono meglio. Il problema è che di certo non possiamo dire che tu e lei siete innamorati perciò volevamo parlarti per accordarci su come eludere le loro domande», mi disse addolorata.
Mi fissai le mani, nelle orecchie un fischio insopportabile. Come potevo mentire su di lei, su di noi? Come potevo fare finta di disprezzarla proprio ora che se ne era andata lasciandomi solo? Come potevo affrontare anche questa prova? Il mio cuore non era già stata dilaniato abbastanza anche senza dover affrontare questa ulteriore difficoltà? Evidentemente no. Il destino non era contento di tutta quella sofferenza che mi aveva inflitto e voleva continuare a infliggere colpi finchè non avessi implorato pietà.
Mi risollevai un po’ rendendomi conto che questo poteva aiutarci nella ricerca di Raf e che, se avessi recitato bene la mia parte, avrei potuto fornire informazioni e contemporaneamente, proteggere il nostro segreto. Risollevai lo sguardo verso di loro, determinato a cedere a qualunque mezzo pur di ritrovarla, «ditemi cosa dovrò dire e la dirò». Mi guardarono contente che finalmente stessi reagendo.
Passammo tutto il resto della mattinata a ripassare le varie teorie, in cui mi sarei dovuto fingere solo un compagno d’armi per Raf, esattamente come avrebbero fatto tutti gli altri, sia per non far capire il legame che univa me e Raf, sia per evitare che capissero anche il legame di amicizia fra tutti noi. Ci saremmo dimostrati indifferenti l’uno rispetto all’altro, perché ormai era impossibile insultarci, anche solo per finta.
Se ne andarono verso mezzogiorno, dicendomi che avremmo discusso la questione della partenza nel pomeriggio dopo l’interrogatorio delle forze speciali addette al settore della ricerca dei sempiterni scomparsi. Questo era un fatto strano nel mondo dei sempiterni; benchè fossimo immortali, ogni tanto un angel o un devil spariva nel nulla, non si sapeva per colpa di chi o per quale motivo, e così era nato un dipartimento volto al ritrovamento delle persone scomparse. Nessuno di loro però era mai stato ritrovato.
A mezzogiorno e mezza passò il dottore, che mi disse che ero libero di andare se volevo. Mi raccomandò però di non fare sforzi e di allenare, per quel che potevo, le dita alla mobilità, visto che ci sarebbe voluto un bel po’ prima che ritornassero alla normalità.
Finalmente libero, me ne andai da quel luogo che non sopportavo, e mi diressi in camera mia. Mi fermai esitante, ricordando il disastro che avevo combinato il giorno prima; mi chiese se Gas aveva messo a posto e se mi avrebbe voluto linciare, visto e considerato che avevo distrutto non solo la mia ma anche la sua roba.
Entrai esitante in camera; credevo di trovare ancora il casino che avevo combinato io ma, con mia sorpresa, trovai tutto pulito e in perfetto ordine. Perfino il letto, che avevo stracciato, ora era di nuovo integro e pulito. Perfino i soprammobili che avevo rotto erano di nuovo intatti. Sicuramente qualcuno aveva fatto un incantesimo che aveva riportato tutto quanto a come era prima che io distruggessi tutto.
Mi voltai e vidi Gas che mi fissava, in piedi di fianco al suo letto e con la valigia pronta per partire ai suoi piedi. A causa degli occhiali il suo sguardo era indecifrabile, ma sicuramente era incazzato con me per aver disastrato la camera. Mi avvicinai a lui cercando di assumere un’aria pentita, «ehi senti Gas io…», cominciai, ma lui mi sorprese, stringendomi in un abbraccio da orso da togliere il fiato.«Gas… non respiro, mollami», gli dissi boccheggiando, cercando di respirare.
Lui mi lasciò andare e mi diede una pazza sulla spalla, «non ti preoccupare di come avevi ridotto la stanza Sulfus. Avevi bisogno di sfogarti e questo era il metodo più rapido. Non te ne faccio una colpa, tanto più che è tornato tutto come era prima che ti dessi alla pazza gioia», mi disse scoppiando a ridere; come al solito Gas non si smentiva, ma era anche per questo che mi piaceva. Aveva la rara capacità di strapparti un sorriso anche nei momenti più difficili. Risposi al suo sorriso abbozzandone un altro, di più in quel momento non riuscivo a fare.
«vieni andiamo a pranzo», mi disse avviandosi fuori dalla porta per andare in sala mensa, «ah non dimenticarti di preparare la valigia. Presto si torna a casa», mi disse fermandosi un attimo sulla soglia per poi sparire inghiottito dal corridoio.
Io aggrottai le sopracciglia, che voleva dire che dovevo preparare la valigia perché presto saremmo tornati a casa? Non aveva senso; avremmo dovuto discuterne tutti insieme dopo gli interrogatori. E se avessero già deciso, senza chiedere la mia opinione? Scossi la testa in segno di diniego; non era da loro, sicuramente Gas voleva dire che lui voleva tornare a Zolfanello city, perché per quel che mi riguardava avrei preferito morire piuttosto che lasciare la terra senza aver prima ritrovato Raf.
Decisi perciò di non dare peso alle parole di Gas e mi avviai anch’io verso la mensa. Trovai tutti li ad aspettarmi, sia angel che devil. Tutti e sette ci sedemmo al tavolo con le nostre ordinazioni e cominciammo a parlare. Non furono chiacchiere piacevoli però; per tutto il tempo ripassammo cosa dovevamo dire agli interrogatori per evitare di tradirci, in modo che nessuno dicesse cose che entrassero in contraddizione con quello che avrebbe detto qualcun altro. Non sarebbe stato facile, ma avevamo una possibilità di riuscita se lavoravamo e pensavamo come una squadra.
Finito il pranzo stavamo per dirigerci nelle nostre stanze, quando un angel e un devil, entrambi vestiti in maniera austera e con cipiglio duro in viso, si avvicinarono a noi con passo militaresco intimandoci di fermarci. «siete voi gli amici e i compagni di Raffaella Serafini?», ci chiese l’angel, fissando noi devil con disgusto. Stesso dicasi per il devil, solo che fissava con disgusto le angel. Rimasi stupito nel sentire il nome completo di Raf; non mi aveva mai detto che il suo era solo un soprannome.
«si siamo noi», disse Uriè con una sicurezza che avrebbe fatto invidia a più abili dei bugiardi devil, «noi tre siamo le sue migliori amiche, mentre questi devil sono i nostri compagni di avventure», aggiunse con uno sguardo verso di noi carico di sufficienza. Tutti capimmo; la recita era appena iniziata. Perciò anche noi guardammo con lieve disgusto le angel, che, dal canto loro, cercavano di tenersi il più possibile alla larga da noi. Se qualcuno non ci avesse conosciuto bene, avrebbe sicuramente detto che se non ci odiavamo poco ci mancava, ma ad un occhio attento si sarebbero potuti notare i particolari discordanti con questa visione.
«bene seguiteci», disse il devil, voltandosi insieme al suo compagno ed inoltrandosi lungo il corridoio. Non avemmo altra scelta che seguirli.
Dopo pochi minuti ci fermammo davanti alla seconda sala più protetta della scuola dopo la sala dei ritratti; la sala del tracciatore. Era infatti in quella sala che era custodito il macchinario che, sfruttando gli stessi poteri di Alte e Basse sfere, poteva rintracciare angel e devil. Evidentemente era li che lo squadrone aveva stabilito il suo quartier generale. I due appoggiarono contemporaneamente la mano sui battenti della porta e queste, all’istante, si aprirono. Anche questa sala doveva essere regolata da un meccanismo di difesa magico.
Stavamo per seguirli dentro ma ci bloccarono, «entrerete uno alla volta per essere sottoposti alle nostre domande. La prima sarà l’angel Dolce», ci dissero con sguardo glaciale. Mi stavo veramente preoccupando, perché quei due facevano veramente paura. Avevano uno sguardo vacuo che metteva i brividi.
Dolce, visibilmente spaventata, si avviò dietro di loro torturandosi le mani. Uriè e Miki le diedero un abbraccio di conforto e noi, visto che non potevamo avvicinarci, le rivolgemmo delle occhiate incoraggianti. Lei si tranquillizzò un po’ quando vide che eravamo tutti li a sostenerla e, più sicura, si avviò dietro ai due stoccafissi. Le porte si richiusero dietro di lei con un tonfo sordo come quello dei film horror. Sperai che non fosse un brutto presagio.
«brutti vigliacchi!», sbottai una volta tornati in mensa, dando un pugno a un tavolo. Erano proprio degli stronzi, loro e il loro dipartimento del cavolo.
Gli altri mi guardarono stupiti, «che ti prende Sulfus?», mi chiese Kabalè, che mi conosceva meglio di qualunque altro.
«c’è che sono dei fottutissimi bastardi! Non avete notato che, per iniziare, hanno preso il più debole di noi?», domandai loro in una domanda retorica. Tutti sbiancarono quando si resero conto che quello che avevo detto corrispondeva al vero, «si sono subito accorti che Dolce era la più agitata di tutti, perciò era anche la più debole psicologicamente. L’hanno presa per prima perché sanno che lei è quella con più possibilità di tradirsi. Sono degli stronzi perché non hanno avuto le palle per affrontare qualcuno in grado di tener loro testa!», sbraitai incazzato. Sapevo che l’avrebbero torturata per bene e questo mi faceva andare in bestia perché sapevo che Dolce era la più fragile emotivamente e, forse, non avrebbe retto. Se avesse ceduto sarebbe stata la fine per noi e per Raf, che avrebbero lasciato allo sbaraglio.
Non ci muovemmo dalla sala mensa per tutto il tempo dell’interrogatorio di Dolce. C’era chi stava seduto fissandosi le mani, come Gas, chi invece cercava di distrarsi con una partita a carte come Kabalè, Uriè e Cabiria. Io e Miki invece sembravamo degli animali in gabbia; camminavamo avanti e indietro per tutta la mensa, lanciando ogni tanto occhiate al corridoio, sperando di veder arrivare Dolce che ci dicesse che era tutto apposto. Quando i nostri occhi si incontravano, leggevo nei suoi la stessa rabbia che c’era nei miei, lo stesso senso di impotenza quando pensavamo che una delle nostre amiche era sotto torchio da quegli animali. Dolce non era propriamente l’angel con cui avevo legato di più, ma ero comunque preoccupato per lei; i sempiterni di quel dipartimento erano noti per la loro ferocia, perché puntavano sempre a cercare il colpevole delle sparizioni fra le persone più vicine alla vittima, convinti che, visto che non avevamo nemici, i colpevoli si nascondessero per forza tra quelli della nostra stessa specie, in primis fra le più strette conoscenze. Per questo i loro interrogatori erano estenuanti, cercavano di minare la psicologia del sospettato per far si che si tradisse da solo. Ovviamente noi non centravamo niente con la sparizione di Raf, lei se ne era andata di sua spontanea volontà, ma avevamo qualcosa di altrettanto importante da proteggere; la nostra amicizia e la mia relazione con lei.
Sentimmo dei passi e subito tutti ci voltammo; Dolce veniva verso di noi con passo malfermo e sguardo basso. Chi era seduto si alzò per raggiungerla, mentre io e Miki, già in piedi, eravamo già al suo fianco.
«Dolce, Dolce, tutto ok?», le chiese Miki scuotendola per le spalle, visto che lei si era fermata e non accennava a reagire. Alzò gli occhi. Mi impietrii; aveva lo sguardo vacuo e pieno di lacrime. All’improvviso vacillò e io, prontamente, l’afferrai prima che si schiantasse al suolo. Miki subito mi si affiancò e la sostenne dall’altro lato. La portammo a sedere e lei si accasciò tremante sulla sedia, scoppiando a piangere convulsamente. Uriè subito si sedette di fianco a lei e la strinse a se per confortarla. Una rabbia cieca mi invase; che cosa le avevano fatto per ridurla in quel terribile stato? Era atroce vederla in quello stato, lei che era sempre stata quella più allegra, solare e piena di vita.
«Dolce rispondimi», dissi scuotendola per le spalle, cercando di essere delicato, ma la rabbia in corpo era tanta, «che ti hanno fatto quei bastardi? Cosa è successo in quella stanza?», le chiesi, non sapendo se volevo saperlo o meno.
«quelle non sono delle persone sono delle bestie», disse singhiozzando sulla spalla di Uriè, che le accarezzava la testa, «mi hanno fatto tante di quelle domande che ho perso il conto. Mi hanno persino chiesto se avessi un motivo per voler uccidere Raf», continuò singhiozzando talmente tanto che temetti le potesse venire un infarto.
Mi rialzai e mi voltai dall’altra parte, i pugni serrati, per non far vedere il mio viso trasfigurato dall’ira. Come potevano essere così stronzi? «bastardi!!!», urlai, e rovesciai un tavolo della mensa, preda della rabbia più folle. Quelli sono mostri. Non persone.
Kabalè mi mise la mano sulla spalla, in una muta richiesta di controllo e comprensione. Respirai a fondo, premendomi le mani sulle tempie, e mi calmai. «chi è il prossimo che deve andare sotto torchio?», le chiesi.
Lei ci fissò ad uno ad uno e, infine, si fermò su Gas, «adesso tocca a Gas», disse con voce tremante. Il secondo più debole; ancora più vigliacchi.
Gas, visibilmente tremante, si apprestò ad andare, ma io lo presi per un braccio, «non farti intimorire Gas. Loro stanno prendendo per primi i più deboli per instillare la paura dentro di noi. Non ti far intimorire da loro», gli dissi guardandolo negli occhi per cercare di infondergli un po’ di coraggio che sicuramente gli mancava dopo aver parlato con Dolce.
Lui mi fissò, poi raddrizzò la schiena e mi sorrise più determinato. Finalmente incoraggiato, andò a passo di carica verso la stanza del tracciatore. Speravo che lui non si facesse intimorire da quella specie di amebe e che facesse capire loro che anche noi potevamo essere terribili se volevamo.
Restammo in mensa per tutto il tempo degli interrogatori. Dopo Gas, fu la volta di Miki, che tornò soddisfatta di se stessa. Conoscendola aveva fatto il diavolo a quattro e aveva fatto mangiare loro la sua polvere. Dopo Miki andò Cabiria che tornò leggermente più bianca ma che tutto sommato poteva ritenersi soddisfatta. Poi fu il turno di Uriè, che tornò furibonda, dicendoci che non solo l’avevano accusata di aver ucciso Raf, ma anche di aver nascosto il suo cadavere per evitare che lo rintracciassero. Gliene aveva dette talmente tante che, in quel momento, sospettai che avesse origini devil visto il ricco e fantasioso vocabolario a cui si era lasciata andare, un vocabolario che faceva invidia perfino al mio.
A seguire andò Kabalè che tornò con l’espressione sconvolta e arrabbiata; ci disse che l’avevano accusata di essere in combutta con Reina e che l’aveva aiutata a vendicarsi di Raf. Io ero sempre più furibondo; come si permettevano di insinuare simili sciocchezze? Erano un insulto non solo per me ma anche per le amiche di Raf, che la conoscevano da una vita. Sicuramente essere accusate di averla uccisa doveva essere stata per loro l’insulto peggiore.
Ormai mancavo solo io. Sapevo che mi avevano tenuto per ultimo perché ero il più determinato emotivamente, anche se non sapevano il motivo. Io si invece; avrei lottato con tutte le mie forze per proteggere il nostro amore da quegli avvoltoi.
Tutti si voltarono verso di me, preoccupati dalla piega che avevano preso gli eventi. Io li guardai tutti in volto uno per uno; avevano tutti fatto la loro parte, nessuno si era tradito e ora mancavo solo io. Nonostante la rabbia mi imposi di fare l’indifferente, esattamente come voleva il mio personaggio, e mi avvia verso una delle prove più difficili della mia vita.
 
Non seppi per quanto tempo rimasi li dentro a rispondere alle loro domande. Fatto sta che quando uscii ero a metà tra lo sconvolto e il soddisfatto. Sconvolto perché avevo finalmente capito cosa avesse turbato tanto gli altri; ti mettevano in una condizione di stress psicologico che faceva paura perfino ad un devil, figuriamoci cosa potevano aver provato le angel in una situazione del genere. Provai un’immensa pena per tutto quello che avevano dovuto sopportare li dentro.
Poi ero soddisfatto perché avevo superato me stesso; ero riuscito a rimanere totalmente impassibile ed a rispondere alle loro domande a trabocchetto senza tradirmi o rivelare dettagli compromettenti. Perfino quando avevano dato a Raf della sgualdrina ero riuscito a trattenermi, anche se era stato veramente difficile. L’unica cosa che era riuscita a fermarmi dall’ucciderli era stato pensare che se avessi reagito, avrei mandato tutto a puttane. Perciò, con un notevole sforzo che non era trasparito dai miei occhi, avevo fermato il mio immenso desiderio di spaccare a quelle specie di amebe la faccia.
Quando tornai in mensa non trovai nessuno ad aspettarmi. Mi accigliai; strano dove erano finiti? Avevano detto che mi avrebbero aspettato lì, dove erano andati a finire?
Pensai a tutti i posti possibili in cui potevano essere e decisi di provare in aula presidenza. Non potevano essere spariti tutti insieme, se lo avevano fatto dovevano essere per forza in un luogo comune.
Quando arrivai vicino all’aula presidenza, comincia a sentire delle voci. Preso da non so cosa, decisi di non entrare ma di fermarmi a origliare. Appoggiai un orecchio alla porta e mi preparai ad ascoltare la conversazione.
Sentii da subito che erano agitati, i toni di voce erano parecchio, «ma non possiamo farlo!», stava urlando in quel momento Kabalè, «se gli facessimo una cosa del genere ce l’avrebbe con noi a vita. E io gli darei ragione!», sbottò e sentii un palmo sbattere contro un tavolo. Doveva essere parecchio arrabbiata. Ma cosa più importante, di che stavano parlando?
«Kabalè», questa invece era la voce di Uriè, «sai meglio di me che è necessario. Volente o nolente lo dobbiamo portare via da qui. Se restasse potrebbe impazzire dal dolore», le disse con voce preoccupata ma allo stesso tempo autorevole.
«io sono d’accordo con Uriè», confermò Dolce. «anche io», ribattè Cabiria con voce meno sicura ma altrettanto risoluta.
«secondo me invece ci odierà a morte», disse Miki, schierandosi così dalla parte di Kabalè, «non possiamo obbligarlo ad andarsene se non vuole. Se vuole restare allora vuol dire che è in grado di gestire la situazione. Se lo portassimo via senza il suo consenso ce lo rinfaccerà per tutta la vita. È normale che non voglia staccarsi da questo luogo; per lui è troppo importante», concluse con un sospiro.
«cercate di ragionare», disse una voce profonda di uomo. Stupito, riconobbi il professor Arkhan, «se restasse qui il dolore lo distruggerebbe. Lui pensa di poterlo gestire ma non si rende ancora conto che non può. Non riuscirà mai a resistere se rimane qui», concluse. Ma di che diavolo stavano parlando? Anche se il contesto delle loro affermazioni, mi stava portando a pensare che l’oggetto delle loro discussioni fossi io.
«per una volta concordo con te, collega», continuò, con mia ulteriore sorpresa la voce della Temptel, «non è saggio farlo rimanere qui, gliela ricorderebbe troppo».
«quindi siamo tutti d’accordo?», chiese Uriè che, a quel punto, qualunque fosse la sua idea, aveva la vittoria in mano.
Tutti risposero di sì in coro. Sentii delle sedie spostarsi e capii che la loro seduta era finita. Mi incuriosii; cosa poteva esserci di così importante che non potevo venirne a conoscenza. Stavo per allontanarmi, per evitare che mi beccassero, quando udii una frase che mi lasciò completamente spiazzato, «quindi siamo d’accordo», disse Arkhan, «le angel rimarranno qui per coordinare le ricerche, mentre i devil torneranno a Zolfanello e porteranno Sulfus con loro. È la scelta più salutare per tutti», concluse.
Che cosa?! Come potevano credere che io sarei partito senza averla prima ritrovata? Non mi sarei mosso da lì per niente al mondo. «NON CI PENSATE NEANCHE!!!», urlai fuori di me, entrando come un toro inferocito in sala presidenza, «io non me ne vado da qui chiaro? Voi non potete obbligarmi ad andarmene!», urlai fuori di me dalla rabbia.
Tutti mi guardarono stupiti e spaventati perché il loro piano era andato in fumo, «Sulfus ti prego, cerca di ragionare», mi disse Uriè con aria supplichevole avvicinandosi a me, «restare qui non sarebbe salutare per te. questi luoghi ti ricorderebbero troppo Raf, dopotutto è in questo luogo che è iniziata ogni cosa. Se rimanessi qui verresti logorato dal dolore per la sua perdita e ti ridurresti a un fantasma. È questo che vuoi? Quando Raf tornerà, credi che vorrà trovare un zombie al suo ritorno? Io non credo», concluse, con l’aria di una so tutto io che mi fece andare ancor più fuori dai gangheri.
«ora non tirare in ballo Raf!», urlai, la sua ultima affermazione era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, «non cercare di rivoltarmi contro i miei stessi pensieri! Non intendo muovermi dalla terra, e spero di essere stato chiaro!», sbraitai al limite della sopportazione, guardandoli in volto uno per uno.
Uriè si scambiò un’occhiata con Cabiria che non riuscii a interpretare, prima che la devil si avvicinasse a me con un’espressione di scuse in volto, «scusami Sulfus. Ma è per il tuo bene», mi disse guardandomi negli occhi. Capii all’istante cosa voleva fare, ma ormai era troppo tardi.
«Hypnosis», disse Cabiria fissandomi negli occhi. Cercai di resistere al suo potere, ma era impossibile. Il suo controllo sulla mia mente era ferreo. Perciò, impotente, non potei non assecondare gli ordini di Cabiria e partire quello stesso pomeriggio con loro per Zolfanello.
 
Una settimana dopo
Era ormai passata una settimana da quando ero tornato a Zolfanello city contro la mia volontà. E stavo sempre peggio ogni giorno che passava; la consapevolezza che le angel erano rimaste sulla terra a cercarla mi riempiva il cuore di amarezza e di rabbia. Avevo cercato più volte di sgattaiolare via fino alle porte interdimensionali di collegamento con la terra, ma c’era sempre qualcuno che mi controllava, e alla fine avevo rinunciato. Avevo ripreso a parlare con gli altri dopo i primi giorni di mutismo, consapevole che quello che avevano fatto, lo avevano fatto solo per aiutarmi.
Le mie giornate passavano monotone. Stavo sempre in casa, alternando tv e playstation, ingozzandomi di schifezze varie. Cercavo di affogare i miei dispiaceri nel cibo, ma sapevo che non era la soluzione giusta. Infatti ogni mattina, quando la città era deserta, andavo a correre al parco cittadino per tenermi in forma. Poi a casa sfruttavo la mini palestra che avevo in camera per fare allenamento senza dover uscire. Non ero ancora pronto per affrontare il mondo di fuori.
La prima sera di ritorno, avevamo scoperto che i nostri genitori avevano organizzato una festa per celebrare il nostro diploma. Ero stato costretto ad andarci, ma non mi ero divertito nemmeno un po’. Quando una devil ci aveva provato con me, avevo pensato di adottare la classica teoria del chiodo scaccia chiodo; così ci ero stato ma, quando aveva cercato di baciarmi, l’avevo respinta, disgustato sia da lei che da me stesso per aver anche solo pensato di tradirla. Dopo, me ne ero subito tornato a casa, infuriato come non mai.
C’era un altro motivo per cui non uscivo di casa. Quel poco che ero stato fuori, ero stato preda di battutine e frecciatine di tutti i devil della città per il sacrilegio mio e di Raf e, quando uno più audace degli altri aveva dato a Raf della zoccola angelica, non ci avevo visto più; gli ero saltato addosso e lo avevo massacrato di botte. Probabilmente avrei finito con l’ucciderlo se Gas, Cabiria e Kabalè non mi avessero trattenuto in tempo. In compenso, dopo una settimana, era ancora in prognosi riservata all’ospedale. Quindi io non uscivo di casa non perché avessi paura dei commenti degli altri devil, ma perché avevo paura di saltare addosso a qualcun altro se questo qualcun altro avesse fatto volare una parola di troppo.
In quel momento ero a casa, seduto di fianco al mobiletto del telefono, sperando e pregando che mi arrivasse una telefonata dalla angel che mi facesse sperare in qualcosa. Infatti le angel avevano promesso che, se avessero avuto notizie importanti, io sarei stato il primo a saperlo. E passavo anche giornate intere accanto al telefono, aspettando una telefonata che non arrivava mai.
Sentii un rumore di tacchi avvicinarsi e Kabalè mi posò una mano sulla spalla, «Sulfus», mi disse con voce triste e incerta; sapevo quanto stesse male a vedermi così, io che avevo sempre avuto la fama di peggior diavolo di Zolfanello city, «dovresti andare a riposarti un po’. È da stamattina che stai attaccato al telefono; sarai stanco vatti a riposare», mi pregò con voce rotta. Sapevo che i miei amici stavano male a vedermi ridotto così, ma proprio non riuscivo a reagire, perché semplicemente non ne avevo la forza.
Scossi la testa in segno di diniego, deciso più che mai a non muovermi di lì finchè quella telefonata non fosse arrivata, perché non volevo nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi che non l’avrei mai ricevuta. Lei scosse la testa, esasperata, «andiamo Sulfus, non puoi continuare così. Devi reagire in qualche modo, non puoi smettere di vivere. Fallo anche per lei; voleva che tu andassi avanti, non privarla del suo ultimo desiderio», mi chiese supplichevole.
Quelle parole mi fecero più male di un ago conficcato nel cuore, «come posso dimenticare Kabalè? Come?!», urlai, scoppiando a piangere. Non avevo più versato una lacrima e ora il dolore di tutta la settimana premeva per uscire, «come mi potete chiedere di dimenticarla? Lei è la mia vita, non posso e non voglio scordarmi di lei. È stata lei che mi ha fatto assaporare la vera felicità e mi ha chiesto di dimenticare tutto quello che abbiamo passato insieme. Ma io non posso capisci? Non posso…», le dissi singhiozzando, prendendomi la testa tra le mani.
Kabalè teneramente mi abbracciò, facendomi posare il capo sul suo petto, «nessuno ti chiede di dimenticare Sulfus», mi disse con voce dolce, «ma devi imparare a convivere col tuo dolore, perché altrimenti non riuscirai mai a tirarti fuori dall’abisso nel quale sei precipitato».
Forse aveva ragione ma, in quel momento, non ne avevo la forza. Il dolore era ancora troppo vivo per permettermi di andare avanti e neanche io volevo ancora dimenticare tutto quello che era successo tra noi. Mi staccia lentamente da quell’abbraccio, «vado a farmi una doccia», le dissi mesto e lei mi sorrise.
Mi alzai un po’ malfermo sulle gambe, ero rimasto seduto per tutta la mattinata e per buona parte del pomeriggio, e ora avevo le gambe parecchio indolenzite. Mi avviai su per le scale, diretto al bagno privato di camera mia. Avevo decisamente bisogno di rilassarmi. Mi chiusi la porta alle spalle, mi spogliai e mi infilai sotto la doccia.
Ci rimasi per moltissimo tempo, sentendo il calore dell’acqua scivolare sul mio corpo, quel calore che mi ricordava tantissimo lei. Sospirai e, finalmente, dopo chissà quanto tempo, chiusi l’acqua. Presi l’asciugamano nero che avevo appoggiato li e me lo misi intorno alla vita, frizionandomi i capelli con un altro.
Stavo per uscire dal bagno per andare a vestirmi quando la porta si spalancò, facendo entrare una Kabalè tutta trafelata. Per poco non morii d’infarto e ringraziai il cielo che non fosse entrata dieci secondi prima, altrimenti mi avrebbe visto come mamma mi aveva fatto.
«Sulfus!», urlò lei, una luce vivida negli occhi e un sorriso a trentadue denti in faccia, un sorriso che non avevo più visto dopo la sua partenza, «hanno chiamato le angel! È comparsa la traccia angelica di Raf! Sono riuscite a rintracciarla!», urlò tutta contenta e io mi pietrificai. Che cosa?! L’avevano trovata? Allora io potevo…
Non finii nemmeno di formulare il pensiero che mi ero già fiondato in camera mia a vestirmi. Non avevo intenzione di perdere un secondo di più. Stavo per togliermi l’asciugamano dalla vita, quando Kabalè mi fermò, «ahhhhhh Sulfus che fai?! Fermo che sotto sei nudo!», urlò voltandosi all’istante verso la porta.
Arrossii di botto; preso dalla foga del momento mi ero dimenticato di quel piccolo particolare, «beh e allora esci!», sbottai spazientito. Non avevo intenzione di perdere del tempo.
Lei alzò gli occhi al cielo e si precipitò fuori, probabilmente per andare ad avvertire Cabiria e Gas. Io continuai quello che stavo facendo prima e in pochissimi secondi fui pronto. Mi fiondai fuori dalla mia camera e scesi le scale come un razzo, quasi scontrandomi con Kabalè che le stava salendo, «ah bene, sei pronto, gli altri sono già qui, andiamo», mi disse prendendomi per un braccio e trascinandomi fuori. In strada Cabiria, Gas e la professoressa Temptel ci aspettavano. Mi accigliai; che ci faceva la prof qui?
«prendete questo», ci disse allungandoci un foglio arrotolato su se stesso con un sigillo rosso, «è un diablogramma urgentissimo, un lasciapassare che vi consentirà di accedere direttamente alle porte senza dover aspettare il vostro turno. Passerete come gruppo prioritario di emergenza», ci spiegò. La ringraziai con lo sguardo; sapevo che i permessi erano difficili da ottenere ma lei era una delle poche persone che poteva emanarne uno e ce lo aveva dato. Non le sarei mai stato grato abbastanza.
Ci alzammo velocissimi in volo diretti alla piazza delle porte. «dove è stato ritrovato il segnale?», chiesi a Kabalè. Se volevamo andare sulla terra, dovevamo anche sapere la destinazione, altrimenti le porte non avrebbero potuto fare granchè.
«la traccia angelica di Raf è comparsa all’improvviso nel centro di Atene», mi disse lei, lasciandomi sbigottito. Che diavolo ci faceva Raf ad Atene? E soprattutto, come aveva fatto ad arrivarci?
Rimandai quelle domande a dopo, eravamo arrivati in piazza. Ci lanciammo davanti alla fila di devil che aspettavano il loro turno, scatenando le proteste piuttosto colorito della maggior parte di loro.
Mostrai subito al controllore delle porte il permesso speciale firmato dalla professoressa Temptel e subito lui scansò malamente dalla porte una devil che stava per effettuare il passaggio. Strepitò indignata ma poi si fece da parte, «destinazione?», ci chiese con professionalità.
«il centro di Atene», gli dissi, scalpitando per poter andare.
Lui subito smanettò con i controlli della porta e, all’istante, i battenti si spalancarono, irradiandosi di luce rosso sangue. Il controllore ci diede il via e subito ci gettammo dentro al varco tutti insieme. Fu come passare in un frullatore, esattamente come la prima volta.
Un flash e, bum, eccoci nel centro di Atene, dove delle persone correvano terrorizzate da una parte all’altra. Ma che stava succedendo? Notai che sembravano scappare da un punto preciso.
«ma che diavolo sta succedendo?», chiese Cabiria, svolazzando sulle teste dei terreni che correvano impazziti. Come per rispondere alla sua domanda, un enorme boato ci sorprese, facendo tremare tutta la terra. Ci guardammo stupiti, ma prima che potessimo avviarci verso la fonte del rumore, un flash di luce bianca ci colpì e le angel apparvero svolazzanti di fianco a noi.
«ragazzi!», urlarono in coro, sorridendo. Sorridemmo loro, felici di rivederle. Poi si voltarono e fecero scorrere lo sguardo sulla folla impazzita che scappava da non si sa cosa, «ma che accidenti sta succedendo?», chiese Miki, confusa quanto noi.
«non lo sappiamo, siamo arrivati adesso anche noi», le dissi, «ma poca abbiamo sentito un boato e…», non feci in tempo a finire che un secondo scoppio ci fece battere i denti. Era più vicino di prima.
«Sulfus», mi chiamò Uriè guardandomi negli occhi, «il tracciato dei poteri di Raf indicava che l’utilizzo dei suoi poteri era sicuramente a scopo bellico», mi disse guardandomi terrorizzata negli occhi. Gelai. Se Raf stava usando i suoi poteri per combattere allora voleva dire solo una cosa; che era in pericolo e che solo raggiungendo la fonte del rumore avremmo potuto arrivare a lei.
«andiamo!», urlai, e mi lanciai velocissimo verso la fonte di quei tremendi scoppi. Tutti e sette ci avviamo volando velocissimi e, quando fummo all’altezza giusta, cioè poco sopra i tetti dei palazzi, ci si presentò a nostri occhi uno spettacolo orribile; un’orda di almeno una dozzina di uomini stava attaccando una persona, che svolazzava in qua e in la cercando di difendersi. Subito ci avvicinammo e da vicino la situazione sembrava ancora più strana; quello era un esercito formato sia da angel che da devil. Sembravano addestrati perfettamente all’arte della guerra e capimmo che la persona che stavano attaccando non avrebbe retto per molto. Quasi svenimmo quando ci rendemmo conto che l’angel che stava combattendo era proprio Raf; un lungo taglio lungo lo zigomo e il corpo pieno di fuliggine facevano capire che non avrebbe retto per molto.
Strinsi i pugni e urlai il suo nome, «RAAAAAAAAAAAAAAAAF!!!». Lei subito si voltò, riconoscendo la mia voce. Mi fissò con occhi pieni di lacrime, occhi stupiti e segnati dal dolore. Vedevo dal suo sguardo quanto dolore le corrodesse l’anima. Non avevo bisogno di altre conferme; ora sapevo che lei soffriva quanto me per la nostra lontananza.
Troppo tardi mi resi conto però, di aver fatto un errore imperdonabile. Approfittando della sua distrazione, quello che sembrava il capo, un devil dalle ali e le corna nere, le scaglio addosso una palla di energia. «Raf, attenta!», urlai come un disperato, volando velocissimo verso di lei, cercando di arrivare in tempo.
Raf si voltò troppo tardi per proteggersi e la palla di energia la colpì in pieno. Uno forte boato e vidi Raf venire sballottata via, cadendo come un masso verso terra. Tutti ci precipitammo dietro di lei; si schiantò con violenza contro il muro di una casa abbattendolo. Ci infilammo nel varco aperto dallo scontro proprio mentre sentivamo l’esercito battere in ritirata, «andiamocene presto! Sono arrivati! Via, tutti via, ritirata!», urlarono per poi sparire in uno sbuffo di fumo.
Ci infilammo nel varco, il pavimento coperto di detriti. Mi guardai intorno disperato e la vidi; svenuta, semi coperta dalle macerie, un taglio profondo in testa e uno squarcio sul braccio.
«NO!», urlai, fiondandomi su di lei, scostando i pochi calcinacci che la ricoprivano e prendendola tra le braccia. «RAF NON MI LASCIARE, MI HAI CAPITO?! NON OSARE NEMMENO PROVARCI, NON ADESSO CHE TI HO RITROVATA!», urlai scuotendola come impazzito.
La speranza sembrò rinascere dentro di me quando aprì debolmente gli occhi per puntarli su di me, «Sulfus», sussurrò, la voce e gli occhi pieni di lacrime.
«si amore mio, sono qui, sono qui», le dissi, accarezzandole freneticamente il volto con una mano, «ora pensa solo a riposarti, ci sono io con te».
«fa male», sussurrò cercando di muoversi, senza successo. Mi accorsi con orrore che doveva avere parecchie ossa rotte. L’impatto era stato molto violento.
«shhhh tranquilla piccola, non sforzarti, ora ti porto subito in ospedale», le dissi, mentre lacrime di impotenza scendevano sul mio viso. mi sentivo inutile a vedere Raf soffrire e non poter fare niente per farla stare meglio.
Lei sorrise debole, un sorriso dolce e pieno d’amore, un sorriso solo per me, e all’improvviso, chiuse gli occhi. Il capo reclinò di lato e la mano che avevo preso nella mia scivolò sul terreno. Sentii il suo cuore balbettare, stava emettendo gli ultimi singhiozzi prima di spegnersi per sempre. Mi pietrificai sul posto. No, no, non adesso!!!
«NO, CAZZO RAF, NO!!!», urlai sentendo tutti gli altri singhiozzare alla vista di Raf morente, «NON PROVARE NEMMENO A LASCIARMI, CAPITO?! CONTINUA A COMBATTERE! NON SMETTERE DI COMBATTERE!!!», continuai, supplicandola di non lasciarmi da solo. Le lacrime scendevano senza fermarsi sul mio viso. Ma non c’era niente da fare; Raf si stava spegnendo fra le mie braccia e io non potevo fare niente per impedirlo.
Decisi che dovevo tentare il tutto per tutto. C’era ancora una possibilità per salvarla, una rimedio che aveva già funzionato una volta e che poteva funzionare ancora. Raccolsi tutte le forze in mio possesso e urlai, «RECOVER!!!», sparando l’energia guaritrice all’interno del corpo di Raf. Le scintille l’avvolsero, mentre sentivo gli altri trattenere il respiro per la scoperta di questo mio nuovo potere.
Sapevo che l’energia guaritrice prendeva forza dall’energia del soggetto che utilizzava quel potere. Perciò quando sentii le forze lentamente scemare non mi preoccupai, anche se mi stava togliendo più energia del previsto. Mi accigliai; era come se stessi emettendo energia per due persone anziché per una, e la cosa era assai strana. Relegai quei pensieri in fondo alla mia mente, non era certo quello il momento di pensarci.
Quando stavo per svenire, il flusso si interruppe. Fissai Raf con il cuore in gola; i tagli erano spariti, ma non decideva dei danni interni. Passarono alcuni interminabili istanti in cui l’ansia sembrò volermi uccidere ma poi, con lentezza, vidi gli occhi di Raf aprirsi. Si guardò intorno spaesata per poi soffermarsi su di me. I suoi occhi prima stupiti e poi dolci sembrarono ridarmi la vita, quella vita che avevo perso nell’ultima settimana.
Senza resistere oltre, la strinsi a me nella più soffocante delle prese, singhiozzando come un disperato sulla sua spalla. La paura, il dolore e l’angoscia uscirono fuori in quel pianto, ma fra quelle lacrime di dolore vi erano anche quelle di felicità, felicità perché finalmente era di nuovo con me, fra le mie braccia. Anche lei non si risparmiò e mi strinse a se con tutta la forza che aveva, facendo scorrere calde lacrime sulle sue guance.
Gli altri scoppiarono in urla di giubilio, saltellando felici per la stanza e abbracciandosi. Ma io non ci badai. Ero troppo concentrato a sentire le braccia di Raf intorno al mio collo, a odorare il suo profumo di fiori che mi entrava prepotente nelle narici, a gustare il piacere di sentire le sue labbra pronunciare il mio nome come una litania infinita. Dio, quanto mi era mancata!
Mi staccai da lei e le presi il volto tra le mani in una presa ferrea, appoggiando la mia fronte alla sua. Lei teneramente mi passò le mani sulle guance e sulle labbra, cancellando dolcemente i segni delle lacrime dal mio viso, lacrime che però continuavano a scendere. Non ce la feci più; in quel momento avevo anche un altro bisogno che volevo assolutamente soddisfare. Feci scontrare le nostre labbra in un bacio che sarebbe stato da dichiarare proibito; ci baciammo quasi con violenza tanta era la passione che ci dilaniava, stringendoci l’una all’altro come degli assetati, anche se in effetti era proprio così. Eravamo entrambi assetati di quelle labbra, che non si toccavano da troppo tempo.
La sua lingua trovò la mia e si intrecciarono in una danza che sembrava non avere mai fine. Il fuoco si divulgò per le mie membra, scacciando il gelo che le aveva dominate da quando lei mi aveva lasciato. Pura lussuria vagava nel mio corpo, pura voglia di stringerla a me, di sentire le sue labbra e il suo corpo sul mio, di sentirla mia ancora una volta.
Quando l’aria cominciò a mancare nei miei polmoni mi staccai da lei, che mi guardava negli occhi con la stessa luce che sapevo che animava i miei. Le mie mani non smettevano di accarezzare ogni parte del suo corpo, le mani, le braccia, il corpo, le gambe… volevo tutto di lei.
«perché?», sussurrai angosciato, «perché te ne sei andata?», le chiesi in un sussurro appena udibile da un orecchio umano.
Lei sussultò e i suoi occhi si fecero tristi, «io…», cominciò, mentre due lacrime si facevano strada sul suo volto. Cos’era di così terribile? Tutti gli altri si erano fatti intorno a noi per ascoltare la risposta di Raf. Lei mi fissò negli occhi e vi lessi dentro grande dolore, «scusami. Scusami tanto. Ti amo, non dimenticarlo mai», mi sussurrò, stringendo le mani sulla mia maglia.
Io la fissai interrogativa; che voleva dire. All’improvviso la vidi concentrarsi e capii cosa voleva fare. «no Raf!!!», urlai, troppo tardi però.
Raf disse, «Think fly!», e all’istante una nube di incoscienza ci avvolse come una nuvola, facendoci dimenticare il nostro incontro con lei.
 
Mi risvegliai bruscamente. Che ci facevo lì? Di fianco a me, i miei amici giacevano esanimi sul pavimento. Ma che diavolo era successo? Poi ricordai; la partenza per Atene, la battaglia, la figura di Raf che scappava senza che io potessi raggiungerla perché troppo impegnato a difendermi. Ricordavo solo un palla di energia che si abbatteva su di noi e sempre noi che volevamo a terra sfondando il muro. Poi un flash, un barlume talmente fioco che sembrava l’avessi sognato anziché vissuto realmente; rammentai che prima di svenire, avevo sentito le sue labbra posarsi sulle mie. Era accaduto davvero? O me lo ero solo immaginato? Probabilmente non avrei mai trovato la risposta.
Gli altri, con sonori gemiti, si tirarono su, «ma che è successo?», chiesero Kabalè e Uriè in coro, frastornate tanto quanto me.
«di nuovo», singhiozzai distrutto, cadendo in ginocchio tra i calcinacci, «se ne è andata di nuovo!», urlai, sbattendo un pugno per terra. Un dolore lancinante mi fece ricordare che le mie nocche non erano ancora del tutto guarite, prima di sprofondare nel buio dell’incoscienza.
 
Due mesi dopo
Eravamo tornati a Zolfanello con la coda tra le gambe. Ancora una volta le angel erano rimaste sulla terra, mentre noi eravamo tornati indietro. Avevo ripreso ad allenarmi in casa e ad aspettare una telefonata che, dopo altri due mesi, non era ancora arrivata.
Stavo ormai perdendo le speranze. E cosa più importante, rischiavo di impazzire; stare sempre chiuso in casa mi stava facendo diventare matto, dovevo trovare qualcosa da fare se volevo evitare di spaccare qualcosa. Ormai potevo farlo, le nocche erano completamente guarite.
Stavo per raggiungere il limite quando, come una manna dal cielo, arrivò la soluzione a tutti i miei problemi. O almeno della maggior parte. Sia a me che a Cabiria, Kabalè e Gas arrivò una lettera dalla Golden School, nella quale i professori ci chiedevano di tornare sulla terra come aiuto insegnanti, visto che la scuola stava per ricominciare. La nostra fama era cresciuta moltissimo dopo lo scontro con Reina, averci come insegnanti avrebbe dato un ottimo esempio agli allievi, per non parlare del fatto che saremmo potuti essere loro molto utili; avevamo sviluppato ottime arti di combattimento, molto di più dei normali stagisti e, oltretutto, essendo neo diplomati, avevamo ancora la mentalità giusta per interagire con i nuovi studenti e dar loro ottimi consigli.
Il problema era se io ero pronto ad affrontare i miei demoni e tornare in quel luogo in cui tutto era cominciato. Sapevo già la risposta; non aspettavo altro che farlo.
 
Partimmo tutti insieme il pomeriggio dello stesso giorno. Ci saremmo incontrati con le angel, anche loro lì per il nostro stesso motivo, e poi avremmo dovuto raggiungere i professori e i nuovi stagisti in aula sfida. Salimmo tutti sull’auto sfera, sotto gli sguardi orgogliosi di tutta Zolfanello city e, finalmente, partimmo per raggiungere la scuola. Mi faceva uno strano effetto fare quel percorso non più da stagista ma da insegnante.
Il caos nell’autosfera era insopportabile per la mia povera testa, perciò infilai nelle orecchie l’ipod, chiusi gli occhi e reclinai la testa all’indietro.
All’improvviso mi sentii scuotere la spalla e sobbalzai. Vidi Kabalè che mi guardava divertita, «forza dormiglione, siamo arrivati», mi disse, intimandomi di scendere. Capii di aver dormito per tutto il viaggio. Che figura! E l’ipod si era pure scaricato. Accidenti che bell’inizio anno, proprio da sballo.
La scostai in malo modo, presi la mia borsa da viaggio e scesi dall’auto sfera. Subito l’aria frizzante della terra mi colpii le narici riportandomi indietro nel tempo. Quando ero arrivato per la prima volta da semplice stagista, elettrizzato per l’imminente stage e pieno di aspettative per il futuro. La prima volta che avevo visto… lei.
Scossi la testa, bruscamente impedendomi di pensarci. Gli altri mi raggiunsero e ammirammo davanti a noi uno spettacolo che credavamo di non poter vedere mai più: la Golden School. Sorridemmo insieme, felici di essere tornati.
«i ricordi rapiscono, vero?», ci disse una voce che conoscevamo bene. Ci voltammo e vedemmo Uriè, Dolce e Miki ferme a pochi passi da noi, i loro trolley in mano. Anche se Dolce ne aveva due più la borsa a tracolla. Erano tornate ad Angie town un mese dopo che il dipartimento aveva sospeso le ricerche di Raf.
«ciao ragazze!», urlarono, Kabalè e Cabiria, correndo verso le angel. Si abbracciarono tutte e cinque in un intreccio affettuoso.
«ehi zuccherini alati!», urlò Gas correndo ad abbracciarle tutte e cinque insieme, stritolandole nel suo abbraccio da orso.
«Gas, mettici subito giù!», urlavano insieme, mezze arrabbiate e mezze divertite. Andai in loro soccorso, aiutandole a liberarsi. Quando furono a terra, assistemmo alla scena più comica del mondo; Miki che rincorreva Gas colpendola in testa con la sua stessa borsa da viaggio, intimandogli di non provare mai più a chiamarli zuccherini alati. Era da tempo che non mi sentivo così bene. Era proprio vero che l’affetto era la miglior cura.
Ci avviammo verso l’aula sfida, lasciando le borse in corridoio davanti alla porta. Bussammo e sentimmo le voci agitate degli studenti zittirsi subito.
«devono essere arrivati», disse la Temptel, «venite pure vi stavamo aspettando», ci urlò da dentro, e noi spalancammo la porta, entrando in aula sfida.
Davanti a noi i professori ci fissavano con affetto, mentre una quarantina di stagisti, venti devil e venti angel, ci fissavano senza fiato. Ci portammo di fianco ai prof. Vedevo già alcune devil sbavarmi dietro. Non che avessi intenzione di dar loro corda.
«bene ragazzi», iniziò il professor Arkhan, «credo che tutti voi sappiate chi sono i sette sempiterni davanti a voi», e tutti annuirono svelti alle sue parole. Lui fece un breve sorriso e continuò, «come sapete si sono diplomati lo stage precedente come i migliori allievi mai avuti alla Golden School, hanno solo due anni più di voi, e sono stati loro  a salvare il nostro mondo. Viste le loro enormi competenze, sia in ambito accademico, sia in ambito extra scolastico, e le loro enormi conoscenze tecniche e umanistiche, saranno loro che, oltre a me e alla professoressa Temptel, vi accompagneranno durante il vostro stage», concluse, lasciando gli stagisti sbigottiti.
Come era prevedibile si scatenò un putiferio mentre gli stagisti esultavano per la loro fortuna di avere come loro tutor dei personaggi del genere. Esaurito l’entusiasmo generale, i professori mandarono gli stagisti nelle loro stanze, e poi ci dissero che noi avremmo avuto le stesse che avevamo usato durante lo stage. Stavamo andando a prendere le valigie rimaste in corridoio per andare a disfarle, quando notai una delle stagiste guardarmi con insistenza; era una devil dagli occhi color ghiaccio, i lunghi capelli color mogano, un corpo da sballo e ali e corna blu notte. Mi fissava con insistenza, senza provare alcun briciolo di vergogna. Mi sentii nudo di fronte a quello sguardo profondo, che sembrava scrutarmi l’anima.
All’improvviso la sua amica la chiamò, dicendole che era ora di andare, togliendomi di dosso quello sguardo indagatore altamente indesiderato. La vidi avviarsi dietro alla sua amica, un nome che mi perforava la mente, non per interesse ma per inquietudine. Sheila.

KIKKA97/CLOE97: CIAO AMORE MIO!!! ESSI GRANDE ONORE, SEI LA PRIMA XD VIVA LA KIKKA XD GRAZIE MI FA MOLTO PIACERE CHE APPREZZI LE MIE IDEE, A VOLTE NON SO NEANCHE IO COME MI VENGONO XD ORA COME VEDI QUESTO CHAPPY E' PARECCHIO TRISTE, MA NON TI PREOCCUPARE, ARRIVERANNO TEMPI MIGLIORI... FORSE XD KISS ^^
THEBLACKANGEL/MARTY_ANGEL97: ODDIO ANCHE QUI O_O AIUTOOOOOOOOOOOOOO!!! SCHERZO, TI LOVVO TROPPO TESO XDXDXD MOLTO CONTENTA CHE TI SIA PIACIUTO E COME VEDI HO MANTENUTO LA PROMESSA... HO POSTATO IN GIORNATA ANCHE SE AVRO' I POLPASTRELLI FUORI USO PER UN BEL PO' XD OVVIO CHE NON VI ABBANDONO, QUESTA E' LA STORIA A CUI TENGO DI PIU' XD FORSE ADESSO I TEMPI SARANNO PIU' LUNGHI PERCHE' HO PIU' ORE DA FARE A SCUOLA TUTTI I GIORNI E SONO PIENA DI COMPITI DA FARE T^T SIGH CHE VITACCIA!!! CIAO KISS ^^
GIRL95DEVIL: CIAO TESO COME STAI? PUNTO UNO SCUSA SE NON HO RECENSITO MA HO VISTO SOLO ADESSO CHE AVEVI AGGIORNATO PROMETTO DI RIMEDIARE AL PIU' PRESTO... COMUNQUE NON SO DIRTI SE RAF HA PRESO LA DECISIONE GIUSTA O MENO, QUELLO CHE POSSO DIRTI E' CHE UCCIDERE UN NEUTRO NON E' FACILE COME SEMBRA... TRANQUILLA NON SMETTO DI POSTARE FOSSI MATTA, ANCHE SE ADESSO LA SCUOLA MI PRENDE UN CASINO DI TEMPO... QUESTA SETTIMANA HO UNA VERIFICA OGNI GIORNO T_T ODDIO SE TI FACCIO SALTARE TUTTE LE VOLTE CHE AGGIORNO FINIRAI PER FARE UN BUCO SUL PAVIMENTO XD E NON CRITICARE!!! è.é LEGGI LE FAN FICTION SU TWILIGHT E CAPISCI DA DOVE PRENDO SPUNTO PER LE SCENE SCONCE XD AHAHAH NO TRANQUILLA RAF E' DAVVERO DI LIVELLO 5, MA LA SUDDETTA FRUGOLETTA C'E' O NON C'E'? XD INDIZIO NEL CAPITOLO XD EH LO SO DEVO AMMETTERE CHE IN QUELLA PARTE HO DATO IL MEGLIO DI ME STESSA XD *SONO MODESTA EH?* BEH L'INCUBO ERA UN RIFLESSO DELLE SUE PAURE... MA NON E' DETTO CHE LA PARTE BELLA NON NASCONDA UN FONDO DI VERITA' XDXDXD PER SHEILA... CI HAI AZZECCATO PURTROPPO (TI ASSICURO, NON PIACE NEANCHE A ME >_<) MA MI SERVE PER LA STORIA... PERCHE' SARA' LEI A RIMETTERE, ANCHE SE INDIRETTAMENTE, INSIEME RAF E SULFUS... POI LA UCCIDO XDXDXD FACEBOOK TI HO GIA' AGGIUNTA CONTROLLA.... CIAO CIAO KISS^^
THE_WEREWOLFGIRL_97: TESO CIAO!!! FELICE DI SENTIRTI... DOMANDA SUL FORUM NON CI SEI PIU'? NON TI SEI PIU' CONNESSA T_T COMUNQUE FELICE DI SAPERE CHE TI PIACCIA, ANCHE PER IL SOGNO E' IL MIGLIORE XD ANCHE SE LA FINE E' TRISTE... E Sì ANCHE QUELLE PARTI SONO TRISTI, MA CHE CI VUOI FARE, SIAMO IN PIENA CRISI... NON POSSO FARE UN PERIODO DI CRISI ALLEGRO NO? XD FELICE CHE TI PIACCIA ANCHE LA PARTE SU TYCO E SAI, MI DISPIACE AVERLI FATTI CREPARE, MA MI SERVIVA PER LA STORIA... SCUSATE >_< ECCOTI SERVITA CON IL CHAPPY!!! CIAO ^^

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Capitolo 8
*** 6° CAPITOLO: "CAMBIAMENTI E NOVITA' (ultima parte)" ***


ALLORA SALVE A TUTTE... LO SO HO UN IMMENSO RITARDO MA QUESTO MESE E' STATO VERAMENTE DIFFICILE PER ME... PURTROPPO E' MORTA RECENTEMENTE MIA ZIA, A CUI VOLEVO UN MONDO DI BENE, E LA VOGLIA DI SCRIVERE ERA VERAMENTE SCESA AI MINIMI STORICI... POI IERI SONO VENUTA A VEDERE DA QUANTO NON AGGIORNAVO E HO CAPITO CHE NON POTEVO FARVI ASPETTARE TANTO PER IL NUOVO CAPITOLO... COSI' IERI MI SONO MESSA DI BUZZO BUONO E HO SCRITTO DALLE TRE FINO ALLE CINQUE E POI DALLE OTTO E MEZZA ALLE UNDICI E MEZZO DI SERA E HO FINITO IL CHAPPY... FINALMENTE VE LO POSTO, SPERO MI POSSIATE PERDONARE PER L'IMMENSO RITARDO E CHE MI POSSIATE CAPIRE... IN QUESTO CHAPPY VEDRETE UNA SCENA GIA' VISTA IN QUELLO PRECEDENTE MA DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA E AVRETE FINALMENTE LA CONFERMA AL VOSTRO DUBBIO: E' INCINTA? LO SCOPRIRETE SOLO LEGGENDO XDXDXD A VOI IL CHAPPY, RECENSIONI IN FONDO COME AL SOLITO ^^

6° CAPITOLO: "CAMBIAMENTI E NOVITA' (ULTIMA PARTE)"
POV RAF
Raggiunsi Agnese sul molo della nave, pronta a partire per il mio primo pomeriggio fuori dalla mia cabina. Sentivo però una strana inquietudine; il mio settimo senso ronzava come uno sciame di api in rivolta, e questo di solito significava grossi guai. Ma da chi e perché? Non avevo lasciato indizi dietro di me, quindi non poteva essere nessuno dei miei amici. Mi raggelai; poteva essere Reina? Se fosse sopravvissuta alla fenice, anche se ritenevo più probabile che adesso fosse uno spirito in cerca di vendetta, avrebbe voluto sicuramente vendicarsi, in primis di me, che ero stata la sua spina nel fianco per tanto tempo.
Fissai Agnese; se davvero qualcuno mi minacciava, allora anche lei era in pericolo e non potevo permetterlo. Stavo già pensando a una scusa che mi permettesse di tornare dentro la nave, lì non avrei sicuramente subito un attacco, quando la voce della mia compagna di viaggio mi distrasse dai miei pensieri funesti, «Raf, ehi Raf, mi senti?», mi chiese sventolandomi una mano davanti alla faccia e facendo schioccare le dita per attirare la mia attenzione.
Sobbalzai involontariamente e le feci un sorriso tirato, «si scusami. Ero sovrappensiero», le dissi cercando di nascondere la preoccupazione dai miei occhi.
Lei mi fissò con occhio indagatore e sospirò, «Raf, lo so che per te questo è un momento difficile», mi disse stringendomi la mano con fare affettuoso. Io mi irrigidii, come sempre quando parlavo di Sulfus, «ma non lasciare che la tristezza ti logori. Sei così giovane, hai tutta la vita davanti. Non lasciare che questo dolore ti distrugga. Devi essere forte, devi reagire, anche per lui. Credi che Sulfus ti vorrebbe vedere così?», mi chiese e io sobbalzai, mentre il dolore tornava prepotente in me, «non credo che vorrebbe vedere la ragazza che ama ridotta in questo stato. Non dico che sia facile, io per prima capisco e vedo che per te non è così, ma devi imparare a rialzarti dalle cadute della vita, altrimenti rimarrai sempre ferma al palo. Fa del tuo dolore la tua forza Raf; rialzati per affrontare più forte di prima le difficoltà, perché se sarai consapevole che eliminate quelle sarai libera di fare quello che vorrai, sarai libera prima di quanto tu pensi», concluse sorridendomi dolce. Nessuno mi aveva mai parlato così, nemmeno mia madre, che pure mi voleva un bene dell’anima. Le lacrime avevano preso già da un po’ a scorrere lungo il mio viso, il mio cuore toccato dalla dolcezza di quelle parole.
Singhiozzai e mi circondai il busto con le braccia, per cercare di ripararmi dall’ennesima fitta di dolore che avevo sentito vibrare gelida e implacabile come sempre all’interno del mio cuore distrutto e lacerato. La guardai afflitta, «mi manca da morire», le dissi singhiozzando, prendendomi il viso fra le mani, «ogni giorno che passa la lontananza diventa ancora più atroce. Lo sento fisicamente; è come se qualcuno mi stesse lentamente strappando una parte di me stessa. Percepisco i tessuti, le ossa, i tendini spezzarsi lentamente per la pressione e la forza esercitata su di loro e più mi allontano da lui, più sento il dolore farsi acuto e la pressione intollerabile. Quando arriverà il punto di rottura, come farò a sopravvivere? Se dentro di me sarò così danneggiata che neanche l’amore potrà più salvarmi?», le dissi singhiozzando, sapendo che le mie parole erano vere. Un giorno per me il dolore sarebbe stato insopportabile  e il mio corpo e il mio cuore avrebbero ceduto. Qualsiasi cosa, se sottoposta a troppa pressione, prima o poi si spezza, e il mio corpo stava raggiungendo il livello massimo di sopportazione. Avrei potuto raggiungerlo domani come fra due mesi, ma sarebbe sicuramente successo e allora, per me sarebbe stata la fine. Agnese mi abbracciò, stringendomi a se  e lasciandomi sfogare senza dire niente.
Quando finalmente riuscii a calmarmi mi staccai lentamente da quell’abbraccio che sapeva di casa e famiglia. Agnese mi fissò preoccupata, «Raf se non te la senti per oggi puoi restare sulla nave, faccio il giro da sola in città, non sei obbligata a seguirmi», mi disse dolcemente accarezzandomi una guancia.
Forse per me sarebbe stato meglio rimanere sulla nave considerato il fatto che la minaccia del mio nemico misterioso incombeva comunque su di me, ma, all’ultimo secondo, decisi di andare lo stesso. Non ce la facevo più a vivere segregata nella cabina della nave, dovevo rincominciare a vivere. Perciò presi un profondo respiro e le dissi, «no tranquilla vengo. Ho bisogno di respirare un po’ di libertà».
Lei mi fissò stupita ma felice che finalmente stessi reagendo. Annuì, mi prese per mano e mi trascinò fino alla fermata degli autobus. Il proto di Atene, il Pireo, non è collegato alla città, per raggiungerla serve una mezzoretta di macchina o bus. Ai lati della strada si notavano i resti delle mura che erano state costruite in modo che il porto, in caso di invasione, fosse protetto e potesse quindi rifornire la città di viveri e armi. Infatti mura della città e mura del porto erano collegate e non si interrompevano, permettendo quindi alla città assediata un contatto diretto con il porto.
Ci recammo alla biglietteria e prendemmo due biglietti andata e ritorno. Non potevamo stare molto in città, alle otto la nave sarebbe ripartita, ma avevamo comunque tre orette per spassarcela.
Quando scendemmo notai un tizio strano seduto tre file dietro di noi; era completamente bardato, con capello occhiali da sole e sciarpa. Mi accigliai; faceva un caldo assurdo, perché coprirsi in quel modo? Per soffrire un caldo terribile? Non aveva senso. Già quell’uomo non mi convinceva, in più il mio settimo senso, non appena lo avevo guardato, aveva cominciato a urlare pericolo in maniera assordante. Lo fissai bene, cercando di scorgere qualcosa sotto quell’ammasso di vestiti e quindi di capire chi si celasse veramente dietro a tutto quello. All’improvviso i suoi occhi incrociarono i miei e rabbrividii. Un brivido lungo e gelido, che scese lungo la mia spina dorsale come un cubetto di ghiaccio a contatto con la pelle. ormai ne avevo la certezza; era un devil in forma terrena. Il settimo senso produceva quella sensazione solamente quando un angel incontrava un devil sconosciuto e soprattutto con intenzioni non molto amichevoli. Questo voleva dire solo una cosa; era lui che mi minacciava.
Guardai preoccupata verso Agnese, seduta alla mia sinistra. Era ignara del pericolo che stava correndo e sapevo che era tutta colpa mia. Non dovevo assolutamente permettere che le facessero del male, era stata l’unica persona che, dopo essermene andata dalla Golden School, aveva dimostrato un minimo di compassione verso di me. Dovevo fare in modo che, quando mi avessero attaccata, sarei stata da sola.
All’improvviso il bus si fermò e capii che eravamo arrivati. Scesi con Agnese, stando attenta a non perdere il devil di vista. Purtroppo però, quando un gruppo di persone mi passò davanti, non lo vidi più e, quando finalmente le persone si tolsero dalla mia visuale, lui era sparito. Merda! Imprecai fra me e me. Ora lui avrebbe potuto attaccarmi senza problemi in qualsiasi momento, perché non potevo prevedere quando o come avrebbe diretto il suo attacco.
«allora Raf», cominciò Agnese, «da dove vogliamo cominciare?», mi chiese tutta eccitata perché finalmente era riuscita a trascinarmi fuori dalla cabina.
Ci pensai e decisi in fretta. Serviva un luogo che fosse chiuso e riparato in modo che, in mezzo ai terreni e in uno spazio chiuso, non avrebbe avuto possibilità di manovra. Perciò la mia decisione ovviamente ricadeva su, «un museo!!!», esclamai tutta contenta. Se fossi riuscita a tenere Agnese li dentro per tutto il resto del pomeriggio allora avrei scampato il pericolo. Poi non sarei più uscita dalla nave fino al termine della crociera, in modo che i miei nemici non avessero pretesti per attaccarmi in campo aperto.  
Ad Agnese si illuminarono gli occhi, «si ottima idea Raf!», urlò entusiasta lei, «ho sentito dire che vicino al centro c’è un fantastico museo di storia naturale», mi disse con gli occhi illuminati da una luce vivida. Mi sentii un po’ in colpa; se bastava così poco per farla felice avrei potuto farlo prima, «potremmo andare lì, che ne dici?», mi chiese entusiasta.
Io non potei fare a meno di sorridere del suo entusiasmo e le dissi di sì con il sorriso sulle labbra. Lei annuì e mi prese per mano per condurmi alla fermata d’autobus più vicina. Da lì studiammo un percorso adeguato e decidemmo quale autobus prendere per arrivare prima in centro e così guadagnare un po’ di tempo. aspettammo circa dieci minuti poi passò la nostra corsa e, svelte, salimmo. Dopo circa venti minuti di bus arrivammo proprio a circa cento metri dall’entrata del museo.
Dopo essere scese ci avviammo in quella direzione. Stavamo per entrare quando quel brivido mi colpì di nuovo. Mi voltai di scatto e incontrai gli occhi dello stesso devil di prima; occhi gelidi e freddi come quelli della notte, che mi scavarono nell’anima e mi fecero tremare di terrore. Non erano occhi normali, erano quasi spiritati. Quello che mi sorprese fu che non era solo; altre quattro persone stavano con lui, sempre bardate per non farsi riconoscere. Da quella lunga battaglia di sguardi fra me e loro, capirono che mi ero accorta che mi stavano seguendo e che non mi sarei fatta cogliere di sorpresa. Li vidi sogghignare e riprendere a parlare fra loro.
«Raf, ehi Raf, tutto bene?», mi chiese Agnese, scuotendomi una spalla e osservandomi preoccupata.
Sussultai e mi riscossi. La guardai negli occhi, fintamente rilassata, «si sto bene, ho solo avuto una sensazione di deja-vù», le dissi mentendo. Lei sembrò crederci.
Mi sorrise ed entrò nel museo, andando a fare la fila per i biglietti. Mi voltai di nuovo verso quel devil ma mi accorsi, con stizza, che lui e i suoi compagni erano spariti di nuovo. Perciò, con un sospiro di rassegnazione, mi affrettai e raggiunsi Agnese all’interno dell’edificio.
 
Quando uscii dal museo avevo, inaspettatamente, un sorriso sulle labbra. L’uscita mi aveva fatto più bene di quel che sperassi. Avevo assaporato di nuovo il gusto di stare in compagnia di una persona amica e, tutto sommato, mi ero divertita nell’ascoltare le storie di tutti quei personaggi dell’antichità terrena. Personaggi come Teddy Roosvelt e Gengis Khan mi avevano affascinato moltissimo, anche se la mia parte preferita era stata quella dedicata agli animali e alla loro storia sull’evoluzione. Avevo scoperto che adoravo cavalli e felini, mentre mi facevano assoluto ribrezzo le iene e gli avvoltoi. Erano animali che non esistevano nel mio mondo e per questo avevo cercato di imparare il più possibile su di loro. Mi ero persino dimenticata dei loschi figuri che sapevo ci avevano seguite per tutto il tempo.
Una volta fuori Agnese si accorse della mia espressione più rilassata in viso. La beccai ad osservarmi e mi incuriosii, «che c’è?», le chiesi, «ho qualcosa in faccia?».
Lei scoppiò a ridere e io la fissai confusa al massimo, «l’uscita ti ha fatto bene. Si vede che sei più rilassata», mi disse teneramente, dopo che l’attacco di risa sparì.
Io arrossii violentemente e mi sentii in colpa; non avevo il diritto di essere serena dopo quello che sicuramente Sulfus e gli altri stavano passando a causa mia. Io ero proprio l’ultima persona al modo che aveva il diritto di essere serena. Qualche lacrima scese dai miei occhi e Agnese subito si pentì di quello che aveva detto. Fece per dire qualcosa ma io con la mano le feci segno di tacere. A quel punto le parole sarebbero servite a ben poco.
«senti Raf», mi disse Agnese con rinnovata allegria, «che dici di mangiare un bel gelato per risollevarci il morale?», mi chiese tutta pimpante.
Il gelato? Che cos’era? Non ne avevo mai sentito parlare eppure in qualche modo mi suonava familiare. Ah sì, Andrea e Ginevra ne parlavano spesso quando volevano rilassarsi. Io non l’avevo mai mangiato, ad Angie Town non c’erano alimenti del genere, ma avevo sentito dire che era assolutamente squisito.
Feci un debole cenno di assenso, non potevo rifiutare perché avrei dato nell’occhio. Sperai solo che quegli esseri non trovassero il pretesto per attaccarmi ora che ero fuori e non più in uno spazio chiuso. Speravo che almeno la grandissima quantità di persone presente in strada li dissuadesse dal loro proposito di attaccare, almeno per risparmiare delle vite innocenti.
Io seguii Agnese che, con la cartina in mano, cercava di trovare una gelateria nelle vicinanze. Camminando arrivammo fino al parco cittadino che, da quello che vedevo sulla cartina, era veramente enorme. Faceva invidia persino a quello di Angie Town.
E proprio di fronte all’ingresso del parco, dall’altro lato della strada, una gelateria faceva bella mostra di se. Agnese si illuminò e mi ci tirò con forza. Vi entrammo e notammo che non c’era fila, così poteva farci subito.
«allora che prendete?», ci chiese il gelataio, un uomo che sembrava piuttosto affabile.
«due gelati da due», disse Agnese. Vidi il gelataio prendere due coni e aspettare l’ordinazione, «per me direi fiordilatte, limone e lampone». Il gelataio la osservò sorpreso da quell’accostamento di gusti così azzardato ma la accontentò.
Agnese prese il suo cono tutta soddisfatta. Il gelataio poi si voltò verso di me, «e tu cosa prendi cara?», mi chiese.
Io mi bloccai sul posto; e ora che gli rispondevo? Non avevo la più pallida idea di come fossero fatti i gusti che c’erano sulla lista appena alle spalle del negoziante. La fissai e scartai subito i gusti alla frutta, era l’ultima cosa di cui avevo voglia. Poi fra i gusti notai dei nomi familiari e decisi di optare per quelli, «allora io prendo cioccolato, nocciola e…», mi bloccai quando vidi il nome di un gusto strano ma che mi ispirava particolarmente. Sorrisi e aggiunsi, «croccante». Il gelataio annuì, decisamente la mia era una scelta molto più azzeccata di quella di Agnese.
Mi porse il cono con un sorriso e io lo ringraziai. Stavo per dargli i soldi ma Agnese mi anticipò, pagando per tutte e due. Io sbraitai e mi infuriai ma non la convinsi a cambiare idea e alla fine mi dovetti arrendere.
Uscite dal locale decidemmo di andare a mangiare il gelato dentro al parco, per respirare un po’ di aria pulita. Avevo cercato di dire che ero stanca e che preferivo sedermi ai tavolini del bar, ma lei aveva insistito e non ero riuscita ad oppormi.
Dentro, finalmente, decisi di assaggiare quell’alimento che avevo in mano. Con il cucchiaino di plastica raccolsi un po’ di tutti e tre i gusti e me lo portai alla bocca; era molto più freddo di quanto mi aspettassi ma il gusto era delizioso. Una vera apoteosi per le mie papille gustative. Sorridendo inforcai un’altra porzione e me la portai alla bocca.
Parlammo del più e del meno, finendo di mangiare i nostri gelati, ma io in realtà, tesa al massimo, scrutavo tra le persone e fra gli alberi del parco un eventuale segno di pericolo. Il mio settimo senso, da quando avevo messo piede all’interno di quei viali così ben curati, aveva cominciato a ronzare come un sciame di vespe, segno che c’era un pericolo imminente. Perciò stavo allerta e cercavo di capire da quale lato sarebbe arrivato il pericolo.
All’improvviso una scossa più forte mi ordinò voltarmi e, quando lo feci, inorridii; un plotone di sempiterni svolazzanti sopra il viale del parco, mi fissava ridendo vittorioso come coloro che hanno in mano la vittoria. Vidi un devil dalle ali e le corna nere caricare un colpo: una palla di energia gravitò sulla sua mano e la scagliò alla velocità della luce verso di noi.
«Agnese a terra!», urlai e, all’istante, le presi la mano e, di peso, la buttai fra gli alberi. Lei gridò di sorpresa e un altro urlo le uscì quando, proprio dove fino a pochi secondi fa c’eravamo noi, con un boato si aprì un enorme solco dovuto alla palla di energia.
Lei guardò la direzione da cui era arrivata l’attacco ma non vide nulla. Fortunatamente ora gli alberi ci coprivano, offrendoci un riparo momentaneo. Vidi i sempiterni, sia angel che devil, sparpagliarsi e iniziare a scrutare fra i rami per individuarci. Gli altri terreni cominciarono a scappare terrorizzati da qui, non rendendosi bene conto di cosa stesse succedendo.
«vieni fuori!», urlò lo stesso devil di prima, «forza Raf, fatti vedere! Sai avevo sempre saputo che gli angel erano coraggiosi ma evidentemente mi sbagliavo, sono solo dei codardi!», urlò, cercando di farmi venire allo scoperto.
Io non mi scomposi; era la classica tecnica del “provoca il nemico e fallo venire allo scoperto”. Era una tecnica vista e stravista, a cui io sapevo resistere benissimo.
«ho capito ti sei nascosta perché non vuoi giocare con noi», disse con voce fintamente dispiaciuta, «vorrà dire che ci divertiremo in altro modo. Magari con un po’ di tiro al bersaglio, che ne dite ragazzi?», chiese e tutti quanti risposero con una risata gelida e derisoria che mi fece venire i brividi.
All’improvviso li vidi guardare i terreni  e, inorridita, capii cosa volevano fare. Volevano attaccare i terreni! Loro non li potevano vedere, non avrebbero in alcun modo potuto capire cosa stava succedendo ne difendersi. Mi voltai decisa verso Agnese che si stava guardando intorno cercando di capire cosa stava succedendo, «qualunque cosa accada tu resta qui e non ti muovere d’accordo?», le ordinai perentoria, senza ammettere repliche.
Stavo per uscire allo scoperto ma una mano mi trattenne per il polso. Mi voltai incredula e vidi Agnese che mi fissava a metà tra il preoccupato e l’arrabbiato. Cercai di divincolarmi ma lei me lo impedì, «tu sai cosa sta succedendo non è vero?», mi chiese diretta.
Io la guardai sbigottita; aveva capito subito che io centravo qualcosa con quello che stava accadendo. Inutile cercare di mentire, era troppo sicura di se stessa. Perciò sospirai e le dissi, «si so cosa sta succedendo».
Lei stava già per ribattere ma io prima che potesse continuare la fermai, «ora però non c’è tempo per spiegarti tutto. Se non faccio in fretta molte vite umane andranno sprecate e non voglio che succeda», le dissi guardandola negli occhi decisa, facendole capire che non mentivo.
Lei mi fissò sgranando gli occhi per la paura. Ma poi rafforzò la presa, «prometti che sulla nave mi spiegherai tutto?», mi chiese con voce decisa.
Io la fissai negli occhi e glielo promisi. Lei sorrise soddisfatta e mi lasciò andare. Poi mi fissò negli occhi preoccupata, «fai attenzione. Qualunque cosa ci sia la fuori, ti può uccidere. Non voglio perdere un’altra persona importante per me», mi disse con le lacrime agli occhi.
Le sorrisi e annuii. Poi chiamai Cox. Stavo per ordinare la trasformazione in sempiterna ma mi bloccai, se mi fossi trasformata, il mio potere sarebbe stato subito localizzato e sarebbero arrivati altrettanto velocemente a cercarmi. Ma non potevo permettere che per colpa mia quegli esseri facessero del male a delle persone innocenti. Perciò con sguardo determinato, e sotto gli occhi sbigottiti di Agnese che fissava incredula Cox, ordinai la metamorfosi inversa. Per la prima volta dopo una settimana, sentii l’energia angelica scorrere prepotentemente dentro di me, ridonandomi quel vigore che avevo quasi dimenticato.
Agnese fissò incredula il punto in cui, ai suoi occhi, io ero sparita, perché ora che ero in forma sempiterna non mi poteva più vedere. Prendendo un respiro profondo, mi alzai in volo sopra la chioma degli alberi proprio davanti a quel plotone che stava per cominciare a sparare sui terreni indifesi.
Tutti si voltarono contemporaneamente verso di me e mi fissarono con sguardo glaciale e carico di odio. Mi accigliai; cosa avevo fatto loro per farmi odiare così?
Il capo si fece avanti, «angel Raf», esordì con tono solenne e allo stesso tempo sprezzante, «ti sei macchiata di un crimine imperdonabile; l’assassinio di Reina, sorella del nostro signore e padrone Syper. Perciò, per quanto concernono le leggi del nostro popolo, sei stata messa a morte. Se ti arrenderai a noi e ci seguirai senza fare storie, nessuno si farà male», mi disse ghignando, sicuro che avrei ceduto al suo ricatto. Illuso; non mi conosceva.
«e cosa ti fa pensare che ti seguirò per farmi ammazzare dal fratello…», mi bloccai all’improvviso quando mi resi conto di quello che quel devil aveva detto. Oh santissimi Gesù e Maria!
«Reina aveva un fratello?!», urlai sconvolta, mentre tutti guardavano male il loro capo e lui si portava una mano alla bocca, forse pentito di ciò che mi aveva rivelato. Questa era un’importantissima informazione per me; se Reina aveva un fratello, quest’ultimo avrebbe potuto voler vendicarla. Ora cominciavo a capire cosa avesse voluto dire quella neutra in punto di morte; che suo fratello l’avrebbe vendicata. Alla parte del ritorno non riuscivo ancora a dare una spiegazione logica; se lei era morta come sarebbe potuta tornare? Un morto era morto punto. Non poteva tornare in vita. O sì? Ma per il momento le mie domande avrebbero dovuto attendere, la situazione in cui mi trovavo non avrebbe ammesso cali di concentrazione senza delle conseguenze molto care.
Vidi il devil imprecare furibondo e capii di aver visto giusto; aveva lasciato trapelare troppe informazioni segrete. Poi si voltò verso di me, mettendo a tacere ogni rimprovero da parte dei suoi uomini, «prendetela!», urlò furioso, e tutti si lanciarono verso di me.
«Speed fly!», urlai, e mi lanciai in volo, scappando da loro. Una palla di energia mi filò a fianco andandosi a schiantare a terra, proprio a pochi centimetri da un terreno. Il pandemonio a terra aumentò ancora di più e mi resi conto che dovevo portare la battaglia lontano dai terreni. Se fossi rimasta vicino a loro, qualcuno si sarebbe potuto fare male gravemente.
Perciò deviai e mi alzai rapida verso il cielo, distogliendo così l’attenzione da terra. Se avessero voluto colpirmi, ora avrebbero dovuto mirare in alto. «fermatela accidenti! Il padrone la vuole viva!», urlò il capo, lanciandosi con gli altri al mio inseguimento.
Capii che se volevo vincere dovevo giocare d’astuzia e non di forza. Aumentai la velocità, stupendo me stessa; non ero mai andata così veloce, stavo quasi raggiungendo la velocità della luce. Questo avrebbe sicuramente giocato a mio favore; essendo più veloce di loro e quasi invisibile per via della velocità che avevo acquisito, avrei potuto coglierli di sorpresa. Ma avevo bisogno di un riparo. Fissai le nuvole sopra di me; ora sapevo cosa poteva darmelo.
Mi lanciai in mezzo alle nuvole, nascondendomi alla vista. Per loro sfortuna, essendo una angel, ero perfettamente di vedere attraverso le nuvole, visto che erano il mio elemento. La mia incognita era se anche gli angel che erano con loro potevano farlo; a quel che sapevo quando un angel rinnegava la sua specie perdeva i suoi poteri ma, di fatto, loro mi erano saltati addosso bersagliandomi con palle di energia magiche, quindi non sapevo dire se quelli fossero i loro poteri originari, oppure poteri acquistati dopo aver perso quelli angelici. Sapevo che Reina, che era stata una angel, aveva acquisito dei poteri con la sua trasformazione in neutra, ma non sapevo se era lo stesso per tutti loro.
Li vidi fermarsi e cercare di scrutare fra le soffici nuvole bianche. Vidi che gli angel aguzzavano la vista e si guardavano confusi tanto quanto i devil, quindi capii che i loro poteri non erano quelli originari ma quello acquisiti dopo. Ghignai soddisfatta; le condizioni stavano volgendo a mio favore.
«sparpagliatevi!», ordinò il loro capo con sguardo assassino in volto, «siete autorizzati a farle del male, ma il padrone la vuole viva, perciò non provate nemmeno a lanciare attacchi mortali, sono stato chiaro?», ordinò con voce imperiosa. Uhm questo era interessante; il fatto che non potessero attaccarmi in maniera violenta era un altro punto a mio favore, significava che io potevo fare il mio gioco senza troppi intoppi.
Tutto il plotone si riversò senza indugio fra le nuvole. Io sogghignai; ora era il mio turno di condurre il gioco. Rimanendo sempre in modalità Speed fly, cominciai a zigzagare da una nuvola all’altra, sempre senza farmi notare, per controllare la situazione. Vidi che un devil e una angel si stavano avvicinando a me, cercando, invano, di scrutare fra le nuvole. Aspettai qualche secondo e mi portai alla velocità della luce dietro di loro. Sentirono lo spostamento d’aria e si voltarono ma non abbastanza velocemente per proteggersi.
«Inflame!», urlai, e scagliai due palle di fuoco verso di loro. Li colpii in pieno e li vidi precipitare svenuti al suolo. Avevo volontariamente lanciato una bomba a bassa carica, giusto quello che serviva per metterli fuori combattimento per un bel pezzo; non volevo uccidere nessuno. Perciò inorridii quando li vidi venire avvolti da una luce viola, la luce dei neutri, per poi divenire cenere e sparire nel vento.
Mi pietrificai; che diavolo era successo? Non ero stata di certo io a ucciderli. Quindi perché li avevo visti scomparire sotto i miei occhi?
Sentii una risata gelida e mi voltai di scatto. Mi resi subito conto del mio imperdonabile errore; a causa dello shock causato dalla morte di quei due individui, ero rimasta ferma, senza preoccuparmi del fatto che, attirati dallo scoppio, gli altri sarebbero venuti a controllare di corsa e soprattutto, immediatamente.
Uno sguardo d’odio passò sul volto del capo quando si rese conto di cosa era successo, sostituito subito da uno di disprezzo, «che idioti!», sibilò sprezzante al punto dove erano spariti i suoi compagni, «vedi mia cara, quando uno di noi si ritrova in posizione di essere catturato dai nemici, e quindi sottoposto a degli interrogatori, si attiva automaticamente un incantesimo che ci fa diventare cenere. È una delle condizioni che ci vengono poste quando entriamo nell’esercito», mi spiegò disgustato.
Mi si accapponò la pelle dalla testa ai piedi per il ribrezzo che sentivo in quel momento. Come potevano essere così crudeli? All’improvviso sentii un fruscio dentro di me e, grazie ai miei sensi angel molto sviluppati, riuscii a capire che qualcuno, approfittando della mia distrazione, si era portato dietro di me per colpirmi alle spalle. Subito mi voltai e mi accorsi di non avere tempo sufficiente per contrattaccare. Perciò raccolsi tutte le mie forze e, sperando che fosse sufficiente per difendermi urlai, «Rock fly!». Subito una spessa corazza mi avvolse.
Lo sentii caricare il colpo, che poco dopo si abbatté su di me. La forza con cui aveva colpito era stata devastante. Caddi come un masso verso terra svenuta ma sempre protetta dalla mia corazza. L’impatto col terreno fu violentissimo ma, per fortuna, il mio scudo resse e, alzandomi, non sentii altro che un sordo indolenzimento a tutte le ossa. Guardai gli alberi del parco che, grazie al cielo, avevano attutito la caduta. Ringraziai tutti i santi del paradiso per quell’insperato colpo di fortuna.
Mi rialzai velocemente, conscia che dovevo approfittare del riparo che mi offrivano gli alberi, ma un improvviso dolore alla testa mi costrinse a barcollare su me stessa e ad appoggiarmi a un albero per non stramazzare al suolo. Mi portai dolorante una mano alla testa e la ritirai sporca di sangue; nella caduta evidentemente la protezione non aveva retto del tutto e mi ero tagliata in testa. Per fortuna non era un taglio profondo; non era niente che non si potesse curare con una buona dose di disinfettante e cerotti.
All’improvviso una palla di energia si schiantò a pochi passi da me, sollevando nuvole di polvere, rami e foglie. Io scappai nell’altra direzione, senza alzarmi in volo, cercando di sfruttare al massimo il riparo degli alberi. Altre palle di energia caddero sia vicino a me ma anche lontano. Capii che stavano facendo una specie di tiro al bersaglio perché ora ero nascosta alla loro vista.
«forza Raf, vieni fuori!», urlò uno di loro sghignazzando, scagliando palle di energia a destra e a manca. Notai che per fortuna ormai nessun terreno era rimasto dentro al parco.
Non avevo neanche finito di pensarlo che una bomba si schiantò vicinissima a me e la sua onda d’urto mi scagliò verso un albero. Non mi preoccupai, sapevo di essere trasparente, perciò ci sarei passata attraverso senza farmi niente. Invece mi stupii; sbattei violentemente contro il tronco, facendomi una male cane. Ricaddi a terra, totalmente stupita da quello che era appena accaduto; ero in forma sempiterna, teoricamente avrei dovuto attraversare gli oggetti. Come poteva essere che non fosse più così?
Decisi di rimandare le spiegazioni a più tardi. Questo però mi complicava notevolmente le cose; avevo un grosso svantaggio ora rispetto a loro. Inoltre dovevo fare in fretta a liberarmi se volevo evitare di trovarmi ancora lì quando gli altri sarebbero arrivati. Perciò c’era un’unica cosa da fare. Presi un bel respiro e mi librai in volo di fronte a quegli esseri spregevoli.
Tutti all’istante si voltarono verso di me. Il capo ghignò soddisfatto perché finalmente mi aveva fra le mani e nettamente in svantaggio, «a quanto vedo ti sei accorta del nostri incantesimo. Interessante il tuo taglio, sai, ti dona», mi disse sarcastico, lanciandomi un’occhiata di pura fiele.
«che avete fatto bastardi!», urlai in preda all’ira, cercando di trattenermi dal buttarmi alla cieca contro di loro, consapevole che se l’avessi fatto probabilmente sarei morta molto prima di fare qualunque cosa.
«non ti consiglio di arrabbiarti mia cara. Non sei nella posizione di farlo», replicò lui gelidamente, facendomi scendere numerosi brividi lungo la schiena. Sembrava veramente che a nessuno di loro importassero i valori della vita, «comunque se proprio ci tieni ti rispondo», mi disse sprezzante, «devi sapere che il nostro signore ha sviluppato un incantesimo che toglie ai sempiterni la capacità di attraversare gli oggetti. in pratica ora da quel punto di vista sei una terrena. E pensa che non bisogna fare niente per iniettartelo, basta solo colpirti con uno dei nostri colpi e il gioco è fatto. Interessante vero?», mi chiese ghignando.
Fuori ero completamente immobile, senza mostrare alcun segno di paura o cedimento, ma in realtà dentro tremavo; quanto era potente il fratello di Reina se era riuscito a realizzare un incantesimo del genere. Nemmeno lei riusciva a fare queste cose, a toglierci i nostri poteri. Avevamo davvero di che temere da questo nuovo avversario.
«prendetela!», urlò, e tutto il plotone mi si scagliò addosso contemporaneamente, chi da destra, chi da sinistra e chi da davanti a me.
Rimasi inattiva fino a che non vidi che non si potevano più fermare. All’ultimo istante, urlai, «speed fly!», e, alla velocità della luce, mi spostai, facendo scontrare tra loro parecchi guerrieri. Quando sbatterono l’uno contro l’altro, parecchie imprecazioni poco signorili attraversarono l’aria. All’istante alcuni di quelli che non si erano scontrati mi scagliarono addosso della palle di energia ma io, più rapida di loro grazie al mio potere riuscii a schivarle tutte. Quando ne scansai una, questa andò a finire contro un altro di loro che mi stava attaccando alle spalle. Capii così che non dovevo combattere, ma dovevo cercare di rivoltare contro di loro i loro stessi attacchi così, tenendo sempre attivato lo speed fly, attivai anche il Think fly. Mi collegai con tutte le menti dei miei nemici, anche se  mi costava un leggero sforzo e cominciai a leggere nella loro mente; in breve riuscii a prevedere tutte le loro mosse, così cominciai a portarmi nelle posizioni in cui sapevo si sarebbero colpiti tra loro.
Con quel metodo riuscii a fare andare fuori combattimento almeno tre sempiterni ma poi, capito il trucco, non so come, riuscirono a isolare le loro menti in modo che io non potessi ascoltarli. Non sapevo se considerarla una fortuna o un bel guaio; usare i miei poteri in quel modo mi stava stancando molto velocemente ma, d’altra parte, così non sarei più riuscita a prevedere le loro mosse. Infatti per poco non venni colpita da una palla di energia scagliata da uno di loro, che scoppiò a ridere, «ora non ridi più vero stronza?!», urlò.
Non sapevo per quanto ancora sarei riuscita a resistere; erano in troppi e mi attaccavano continuamente in modo che io non avessi tempo di contrattaccare a mia volta. Inoltre la mia velocità stava rapidamente diminuendo, non potevo tenere quel ritmo ancora per molto. Ben presto sarei stata alla loro mercé.
Ma, contro ogni mia previsione, il mio settimo senso si attivò proprio quando ormai stavo per considerarmi spacciata. Un urlo potente venne da dietro di me, un urlo che mi chiamava con amore e disperazione, «RAAAAAAAAAAAAAAAAF!!!».
Mi pietrificai all’istante e mi voltai subito verso la fonte del rumore e quello che vidi mi immobilizzò al mio posto; i miei amici stavano tutti lì a pochi metri da me, e in mezzo a loro, il volto sfigurato dal dolore ma allo stesso tempo pieno d’amore e preoccupazione, stava lui. Sulfus. Mi fissava con occhi ardenti, l’oro dei suoi occhi sembrava una fiamma viva a contatto con l’azzurro dei miei. Nonostante tutto, il suo sguardo era velato di una dolcezza disarmante, una dolcezza che mi fece capire che non mi odiava per quello che gli avevo fatto. Improvvisamente sentii un peso, un grosso macigno togliersi dal mio cuore, perché la mia paura più grande durante tutta l’ultima settimana era stata proprio questa.
Ed a dispetto di tutta la situazione in cui mi trovavo, mi sentii improvvisamente felice; felice perché finalmente avevo l’occasione di vederlo di nuovo anche se sapevo che non sarebbe potuto accadere nient’altro che uno sguardo fugace prima che io scomparissi nuovamente dalla sua vita e anche da quella dei miei amici che, al pari di lui, erano venuti a cercarmi e mi fissavano con la stessa espressione angosciata.
All’improvviso vidi il viso di Sulfus venire trasfigurato dalla disperazione, «Raf, attenta!», urlò, lanciandosi in volo verso di me velocissimamente, seguito subito dagli altri. Mi voltai all’istante e mi accorsi, troppo tardi, che il capo, approfittando della mia distrazione, mi aveva lanciato addosso una bomba. Era troppo tardi per proteggermi. Portai le mani davanti a me, cercando vanamente di attutire l’impatto che sapevo sarebbe arrivato.
Lo scontro fu molto violento e doloroso; venni sballottata via e caddi come un masso verso terra. La mia corsa si arrestò contro il muro di una casa e visto che, per colpa dell’incantesimo, ora non ero più trasparente, lo sfondai. Il dolore fu atroce  e mi attraversò da capo a piedi come milioni di stilettate roventi.
Caddi in una brevissima incoscienza. Mi risvegliai con le urla di lui che mi scuoteva disperato per le spalle, «RAF NON MI LASCIARE, MI HAI CAPITO?! NON OSARE NEMMENO PROVARCI, NON ADESSO CHE TI HO RITROVATA!», gridò agonizzante.
Riaprii gli occhi e mi ritrovai a fissare quelli grandi e color oro di Sulfus; erano pieni di lacrime represse ma il suo petto era scosso dai singhiozzi. «Sulfus», riuscii a sussurrare debolmente. I miei occhi si erano riempiti di lacrime, alla vista di quanto dolore gli avessi causato; riuscivo, ora che era vicino, a vedere le occhiaie molto marcate che gli contornavano gli occhi, per non parlare del viso cadaverico o del colore della sua pelle, ancora più bianca di come sarebbe stata normalmente.
I suoi occhi si accesero di speranza quando vide che mi ero leggermente ripresa, «sì, amore mio, sono qui», mi sussurrò teneramente, accarezzandomi dolce una guancia nel tentativo di rassicurarmi, «ora pensa solo a riposarti, ci sono io con te», mi disse, stringendo leggermente la presa su di me, per comunicarmi quanto gli fossi mancata. Dio, quanto lo amavo! Strinsi una sua mano nella mia, appoggiandole al mio petto.
Il dolore tornò violento e improvviso, concentrandosi sul basso ventre, dove delle acute stilettate di dolore sembravano volermi togliere il respiro, «fa male», sussurrai, la voce distorta dal dolore, provando a muovermi. Il dolore intenso mi costrinse a desistere; dovevo avere parecchie ossa rotte a giudicare dal male che sentivo in tutto il corpo. L’impatto era stato parecchio violento.
«shhhh tranquilla piccola, non sforzarti, ora ti porto subito in ospedale», mi disse debole, mentre i singhiozzi si facevano più rapidi e disperati, sicuramente dovuti al fatto che praticamente gli stavo morendo tra le braccia. No amore mio, non piangere, pensai. Tu devi sorridere sempre.
All’improvviso sentii le forze venir meno e capii che per me stava arrivando la fine; non ci sarebbero più state albe per me, ne baci, ne abbracci, ne sogni, ne avventure. Niente di niente. Per me si fermava lì e forse era meglio così, visto che per colpa mia erano tutti in pericolo.
Sorrisi dolcemente a Sulfus, cercando di fargli capire quanto lo amassi. Quello era un sorriso intriso d’amore, un sorriso solo nostro, l’ultimo sorriso che volevo condividere con lui prima di congedarmi da questa vita. Lo vidi sgranare gli occhi, mentre una lacrima solitaria, di cui non sembrava nemmeno rendersi conto, scivolava lungo la sua guancia destra. La mia testa reclinò di lato, la mano che stringeva la sua scivolò per terra e i miei occhi si chiusero. Era davvero finita.
Riuscii a sentire solo vagamente le urla disperate di Sulfus prima di abbandonarmi al buio, una specie di freddo limbo nel quale non riuscivo a sentire niente di niente. In quel momento tutta la mia vita mi passò davanti; rividi i momenti belli della mia infanzia con i miei genitori, il mio arrivo sulla terra, quanto tutto era cominciato, il mio primo incontro con Sulfus, tutti i bei momenti passati con le mie amiche, le numerose sfide angel contro devil, le lotte contro Reina, per arrivare all’ultima notte, quella che mi aveva fatto diventare una donna e che mi aveva regalato emozioni inimmaginabili. Avrei tanto voluto poter tornare a rivivere quelle emozioni ma sapevo che non sarebbe mai successo.
All’improvviso un fortissimo calore mi avvolse, facendomi lasciare il luogo freddo e oscuro in cui mi trovavo. Risalii lungo quell’abisso che mi aveva portata a fondo e, più metri risalivo, più avevo distintamente la percezione dei miei muscoli e del mio corpo. Sentivo il dolore scemare piano piano da ogni parte del mio corpo, fino a che anche le atroci fitte al ventre cessarono. Mi ritrovai in uno stato di beatitudine completa perché, anche se indistintamente, sentivo le sue braccia calde avvolgermi.
Riaprii lentamente gli occhi. Mi guardai attorno, frastornata per un attimo dalla luce forte, fino a che non riuscii a mettere a fuoco il viso di Sulfus a pochi centimetri dal mio. La sua fronte era imperlata di sudore per lo sforzo di avermi guarita e l’angoscia era visibile nel suo sguardo. Angoscia che sparì non appena i miei occhi si puntarono sui suoi. Gli sorrisi dolcemente e vidi la felicità più pura dilagare in lui. Le lacrime tanto represse sgorgarono dai suoi occhi e, di scatto, mi strinse con forza a se, seppellendo il viso sulla mia spalla, singhiozzando senza freni. Mi aggrappai a lui spasmodicamente, come se ne andasse della mia vita, e in un certo senso era veramente così; senza di lui io non ero niente, non esisteva nessuno che avrebbe mai potuto sostituirlo nel mio cuore. Lo amavo talmente tanto che mi sembrava di scoppiare d’amore; ero troppo piccola per contenerne così tanto.
Anch’io scoppiai a piangere stringendomi a lui, riversando nelle mie lacrime tutta la felicità che provavo in quel momento. Dio, quanto mi era mancato! Inspirai il suo profumo di menta a pieni polmoni e cominciai a sussurrare in una litania infinita il suo nome. La voragine del mio cuore adesso si era chiusa senza lasciare alcuna traccia del suo passaggio; sentivo la felicità totalizzante e completa che derivava dal sentire il suo corpo tra le mie braccia.
A malapena sentii le urla di giubilio dei miei amici quando videro che stavo bene. Sulfus si staccò da me e mi prese il viso tra le mani, stringendomi in una presa ferrea e facendomi appoggiare la mia fronte alla sua. Ci guardammo per un momento infinito negli occhi, perdendoci l’uno nello sguardo dell’altra; le lacrime continuavano a scendere dai nostri occhi, perciò gli presi il viso fra le mani e cominciai a cancellare le lacrime dalle sue guance con dolci gesti delle dita. In realtà, volevo di nuovo sentire la morbidezza della sua pelle sotto le mie mani; il contatto con il suo corpo era la cosa che mi era mancata più di tutto.
Il mio sguardo si focalizzò sulle sue labbra rosse e carnose a pochi centimetri dalle mie; sarebbe bastato così poco per avvicinarmi e farle combaciare. Dio solo sapeva la voglia che avevo di baciarlo ma mi trattenni; non sapevo se avrebbe gradito dopo tutto quello che gli avevo fatto passare. Anche se la voglia di baciarlo era devastante dentro di me cercai di frenarmi.
Fu lui però a togliermi qualsiasi dubbio. Mi attirò a se con foga, incollando letteralmente le sue labbra alle mie; mi baciò quasi con violenza mentre io non riuscii a fare altro che lasciarmi andare. Ci baciammo in una maniera che avrebbe dovuto essere dichiarata illegale; con un gemito dischiusi le mie labbra, facendo incontrare le nostre lingue. Ci stavamo letteralmente divorando, e non ci importava niente degli altri che ci guardavano scioccati. Eravamo due cocainomani in astinenza e dovevamo assolutamente farci un'altra dose della nostra eroina preferita, perché senza non saremmo sopravvissuti. Un bacio come quello non ce lo eravamo mai dati; ero un concentrato di passione e lussuria, una carica di puro erotismo che ci stava letteralmente travolgendo. Se non ci fossimo fermati, non mi sarei affatto stupita di ritrovarci a fare l’amore su quel pavimento.
Fortunatamente l’aria cominciò a mancarci, perciò fummo costretti a staccarci. Il suo sguardo era animato da pura luce e sapevo che anche per me era così. Lui mi fissava teneramente, accarezzandomi le braccia, le gambe e il corpo come se volesse appropriarsi di me per non lasciarmi più andare.
All’improvviso la sua espressione cambiò; passò repentinamente dalla felicità più pura alla più nera disperazione, «perché?», mi sussurrò angosciato, il viso ridotto a un'unica maschera di sofferenza,  «perché te ne sei andata?», mi chiese.
Mi sentii morire; era l’unica domanda che speravo non mi facesse. Tutto il dolore e i motivi che mi avevano spinto ad andarmene tornarono prepotentemente a galla. Erano stati oscurati solo temporaneamente dalla felicità del momento ma ero sempre stata consapevole del fatto che, presto o tardi, io mi sarei dovuta separare di nuovo da loro. La tristezza e il dolore tornarono prepotenti ad invadere il mio cuore.
Fissai Sulfus negli occhi, «io…», sussurrai mentre due lacrime mi scorrevano lungo il viso. lo vidi sgranare gli occhi, evidentemente preoccupato da ciò che poteva avermi spinto ad andarmene senza dire niente a nessuno.
Per un momento fissai i suoi occhi e la mia sicurezza vacillò; ero sicura che se avessi detto loro tutta la verità mi avrebbero aiutata e mi avrebbero perdonata per averli fatto soffrire. Ma io ero disposta a metterli in pericolo solo per poter rimanere di fianco a loro? Sapevo che era un pensiero egoistico, ma la cosa mi tentava e non poco. Sarebbe sicuramente stata la via più facile per me ma non potevo permettere che per una mia debolezza ci rimettessero tutti. Perciò il mio cuore si straziò per il dolore che la consapevolezza di quello che dovevo fare aveva portato con se. «scusami. Scusami tanto. Ti amo, non dimenticarlo mai», gli sussurrai, gli occhi e la voce pieni di lacrime. Ma d’altronde, in che altro modo avrei potuto sentirmi? Per la seconda volta in una settimana ero costretta a strapparmi il cuore per permettere alle persone  a cui volevo bene di salvarsi. Lo facevo per loro, ma niente  e nessuno mi avrebbe impedito di soffrire come un cane, come del resto avevo fatto per tutta la settimana.
Lui capì all’istante cosa volevo fare ma era già troppo tardi per fermarmi, «no Raf!!!», urlò cercando di impedirmi di attivare il mio potere ma non ci riuscì. «Think fly!», mormorai e subito una nuvola di incoscienza avvolse Sulfus e tutti i miei amici. Sentivo le loro menti fondersi per diventare un tutt’uno con la mia; dentro vi lessi tutta la sofferenza che avevo causato loro e quello fu peggio di tutto quello che avevo dovuto sopportare durante tutta la settimana. All’improvviso un grumo di dolore molto più potente di tutti quelli dei miei amici mi attirò inesorabile verso l’unico luogo in cui, in quel momento, non sarei mai voluta entrare. La mente di Sulfus. Era piena di un dolore tale che mi sentii uno schifo. Il mio e il suo dolore erano esattamente identici, stavamo soffrendo esattamente nello stesso modo e questo mi faceva talmente male che mi sembrava di svenire. Volevo fermarmi ma strinsi i denti; non potevo ancora smettere. Perciò, mentre impiantavo loro dei falsi ricordi fui costretta ad assistere alla maggior parte degli ultimi ricordi di Sulfus. Lessi tutto il suo dolore, la sua disperazione, il suo desiderio di farsi del male come conseguenza del pensiero di non essere stato abbastanza per me, che me ne fossi andata perché non me ne importava di niente e di nessuno. Poi vidi la vergogna che aveva provato per aver formulato quei pensieri, a cui non credeva nemmeno lui. Mi commossi; nonostante tutto il dolore che stava provando, non aveva mai dubitato di me ne di quello che provavo per lui. La prova che il nostro legame era puro e incorruttibile.
Proprio mentre finivo il processo di installazione dei ricordi fasulli nelle loro menti, mi imbattei nel ricordo di Sulfus della nostra prima notte. Mi colpii profondamente quello che aveva provato, la stessa identica sensazione di intenso e totalizzante piacere che aveva travolto anche me. Sentii le emozioni che aveva provato stando con me e non potei far altro che scoppiare a piangere; non meritavo che mi amasse così tanto.
Finalmente finii. Tutti erano svenuti sul pavimento e, quando si fossero svegliati, non avrebbero ricordato nulla del nostro incontro se non me che fuggivo ancora prima di farmi avvicinare. Mi abbassai sul corpo di Sulfus e mi stesi sul suo petto. Lo abbracciai, facendo finta per un momento che quello non fosse un addio. Inspirai il suo fresco profumo, consapevole che non avrei avuto più occasione di farlo. Alzai il viso e fissai il suo; sembrava così sereno nell’incoscienza, come se niente potesse turbarlo. Ma io sapevo che, quando si fosse svegliato, avrebbe sofferto come e forse più di me. Le lacrime scesero lentamente sul mio viso; non meritavo un ragazzo come lui e nemmeno amici come loro.
Mi abbassai lentamente sul suo viso e, trattenendo il fiato per la paura che si potesse svegliare proprio in quel momento, poggiai le mie labbra sulle sue, per un ultimo, rapido e casto bacio di addio. Le sue labbra si modellarono perfettamente sulle mie mentre sentivo per l’ultima volta la sensazione di completezza, che mi avvolgeva sempre quando stavo con lui, invadermi. All’improvviso lui gemette e dischiuse leggermente le labbra. Mi staccai subito, spaventata che mi avesse scoperto. Ma mi tranquillizzai; era ancora incosciente. Non lo dicevo per me; se si fosse svegliato, non sarei riuscita a dirgli addio per una terza volta, e avrei finito per tornare a casa con loro. E questo non potevo permettermelo. Però lo sentii sospirare il mio nome. Rimasi scioccata; perfino sotto l’effetto del Think fly riusciva ad avvertire la mia presenza. Un’ulteriore prova di quanto mi amasse.
Mi staccai con il cuore a pezzi da lui, salutai con lo sguardo i miei amici e mi affrettai a lasciare quel luogo. Appena in tempo. pochi secondi dopo che uscii dallo squarcio nel muro e mi nascosi dietro l’angolo, vidi Sulfus e gli altri alzarsi un po’ intontiti dal pavimento. Vidi Sulfus portarsi per un attimo le mani alle labbra e mi pietrificai; che si fosse accorto del mio bacio? No era impossibile, era ancora sotto l’effetto del Think fly quando l’avevo fatto. Eppure, per un momento, temetti e allo stesso tempo sperai che non avesse funzionato.
Ma la mia paura e le mie speranze svanirono non appena lo vidi scuotere la testa, agonizzante, e cercarmi con lo sguardo. All’improvviso crollò a terra, le spalle scosse da violenti singhiozzi. Quella visione mi fece talmente male che per poco non svenni a terra. Era atroce vedere Sulfus ridotto in quello stato per colpa mia. Ma d’altronde, che altro avrei potuto fare?
Improvvisamente tirò un pungo al suolo e si accasciò a terra. In quel momento dovetti trattenermi dal lasciare il mio nascondiglio e correre in suo aiuto. Lo amavo così tanto che non riuscivo a sopportare di vederlo così. Con uno sforzo immane però riuscii a trattenermi.
Vidi Gas prenderlo in spalla come se fosse stato un sacco di patate. Poi tutti, il viso triste e le lacrime agli occhi, volarono via.
Priva di forze, mi accascia contro il muro e, impotente, mi lascia scivolare a terra. Seppellii il viso fra le ginocchia e scoppiai a piangere. Stavo male come non lo ero mai stata in tutta la mia vita, neanche quella notte di una settimana fa ero stata così. Ora avevo visto come li avevo ridotti, come stavano male per colpa mia, e non riuscivo a sopportarlo.
Non so per quanto tempo rimasi lì ma dopo un po’ mi ricordai sia che dovevo raggiungere Agnese sia che dovevo ritrasformarmi in terrena per evitare che, quando fossero tornati indietro, il mio potere fosse ancora rintracciabile. Perciò, fra le lacrime e i singhiozzi, ordinai a Cox la metamorfosi. Pochi secondi e mi ritrovai nuovamente terrena.
Mi alzai traballando un po’ sulle gambe e mi avviai verso il punto dove lasciato Agnese. Camminavo tutta barcollante, gli occhi annebbiati dalle lacrime e la mente offuscata dal dolore. In poco tempo avevo affrontato due prove per me devastanti e ora stavo raggiungendo il limite, in tutti i sensi.
Mentre camminavo verso il parco vidi Agnese di fronte e me. Mi fissava stupita. Il mio aspetto doveva essere orribile; occhi gonfi e pesti per il troppo pianto, spalle scosse da singhiozzi, capelli crespi, arruffati e pieni di fuliggine per colpa della battaglia. Mi guardò con un misto di preoccupazione e pena e subito mi abbracciò forte. Io mi aggrappai a lei e scoppiai sulla sua spalla, disperata. Mi lasciò sfogare per un po’ tra le sue braccia e poi, mentre ancora mi stringeva a se, mi condusse dolcemente verso la fermata della navetta che ci avrebbe riportate alla nave giusto in tempo per la partenza.
Salimmo sopra la navetta senza dire niente. Io semplicemente continuavo a piangere sopra la sua spalla, cercando di eliminare attraverso le lacrime il grosso peso che sentivo nel cuore. Nonostante volesse una spiegazione per quello che era successo, non mi chiese niente, capendo il mio dolore, lasciandomi sfogare contro di lei. Per tutto il tempo del viaggio mi tenne stretta a se, cercando di calmarmi.
Quando arrivammo alla nave mi ero finalmente calmata. Le lacrime e i singhiozzi si erano arrestati, ma il dolore era comunque lì, vivo e bruciante, che mi corrodeva senza pietà cuore, mente e anima. Agnese mi fissò dolcemente negli occhi, «Raf sento, se vuoi rimandare le spiegazioni a domani non c’è problema, non ti preoccupare», mi disse con sguardo teso, al pensiero che questa mia crisi era stata molto più forte delle precedenti. Ma non volevo più mentire; non a lei che era la mia amica più fidata ormai.
Perciò sospirai e, fissandola negli occhi, le dissi, «no Agnese. È tempo ormai che tu sappia tutta la verità. Vieni andiamo nella mia cabina», e la presi per mano. Lei mi fissò stupita ma non obiettò. Mi seguì, un po’ titubante, nella mia stanza.
Quando entrai, chiusi la porta a chiave, lasciandola infilata nella toppa, per evitare che qualcuno con un passepartout come quello di Agnese entrasse. Poi andai alle tende e le tirai, in modo che nessuno da fuori vedesse qualcosa. Infine accesi il computer ed entrai nel programma del disco; avevo bisogno di qualcuno in particolare.
«insomma Raf », sbottò Agnese, «mi stai facendo saltare i nervi con questo tuo comportamento», mi disse arrabbiata.
Io la fissai gelidamente, «se non ti sta benne quello che sto facendo la porta è quella. Non posso rischiare che qualcuno oltre a te scopra il mio segreto», le dissi, inflessibile. Stavo infrangendo il VETO per lei, che almeno rispettasse le mie condizioni.
All’improvviso l’ologramma di Peter apparve al centro della stanza, cioè proprio a pochi centimetri da dove si trovava Agnese, che urlò e balzò indietro per lo spavento e la sorpresa di ritrovarsi uno spirito a pochi centimetri da lei.
Lui la guardò incredulo e poi spostò il suo sguardo su di me, «dimmi mia cara, cosa posso fare per te?», mi chiese dolcemente.
Io gli feci un piccolo inchino, «scusa se ti ho disturbato un’altra volta oggi, ma ho bisogno del tuo aiuto. Devi isolare la stanza come quando facciamo esercizio e inoltre devi anche fare un incantesimo che le permetta di vedermi anche nell’altra forma», gli dissi, cercando di rimanere sul vago verso la fine del discorso.
Lui sgranò gli occhi, «vuoi rivelare a lei del nostro mondo?!», quasi urlò lui, guardando schifato Agnese, che per la sorpresa era ancora a bocca spalancata e non aveva preferito parola.
Io annuii, «sì, è quello che intendo fare. Oggi sono stata attaccata», gli dissi tristemente, ricordando cose che non volevo ancora rivivere; lui trasalì, «e lei era presente. Perciò sì, è quello che intendo fare», conclusi.
Lui mi fissò e annuì. Subito chiuse gli occhi e si concentrò e avvertii il familiare cambiamento dell’aria tipico di quando si attiva un incantesimo. Lui riaprì gli occhi e mi disse semplicemente, «fatto», e poi sparì.
Agnese, per la prima volta da quando era entrata nella cabina, riuscì a parlare, «ma che diavolo era quello?», urlò sbigottita.
All’improvviso Peter riapparve e lei urlò di nuovo. Cominciava a diventare fastidiosa, «ehi bada a come parli, piano con le offese. Io sono un angel, sai!», gli disse in faccia schiumante di rabbia.
Io scoppiai a ridere e lui mi guardò stupito ma poi alzò gli occhi al cielo. Agnese invece sembrava leggermente spaventata, «Raf, c-che sta succedendo?», mi chiese con un tremito ben udibile nella sua voce.
«questo», le dissi, sorridendole dolce per rassicurarla, «Cox», chiamai poi, facendo apparire la mia adorata mascotte, «attiva la metamorfosi inversa!», le ordinai e lei, con uno svolazzo contento, eseguì l’ordine. Sotto gli occhi sbigottiti di Agnese, mi trasformai in angel. Le ali e l’aureola riapparvero addosso a me, mentre i vestiti tornavano quelli di sempre.
Quando finì e Cox ritornò dentro la fibbia della mia cintura, rimasi ferma immobile al centro della stanza, aspettando la reazione della mia migliore amica.
Lei mi fissava con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata in una O muta. Si avvicinò lentamente  a me, quasi terrorizzata dal mio reale aspetto. Allungò una mano e, titubante, provò a toccare una delle mie ali. Quando la sfiorò con la punta della dita, ritirò la mano come scottata, «è fredda!», sibilò sorpresa, sfregandosi incredula la mano.
Io scoppiai a ridere per l’assurdità della sua affermazione. Lei mi fissò interrogativa; finalmente si era ripresa dal suo stato di semi catatonia, «ma che cosa c’è da ridere?», mi chiese un po’ irritata dalle mie risate.
Io continuai a ridere ancora più forte, «dopo aver visto una cosa del genere, tra tutte le cose che avresti potuto dire, te ne esci con “è fredda!”», le dissi, tenendomi la pancia dal troppo ridere. Con il mio riso convulso, riuscii a stemperare la tensione che aleggiava nella stanza da quando era apparso Peter e anche Agnese scoppiò a ridere.
Esaurito l’attacco di ridarella ritornò seria, «che cosa sei Raf?», mi chiese guardandomi preoccupata e curiosa ma non spaventata. Beh, era già un buon inizio.
Io sospirai e mi sedetti sul letto. Appoggiai una mano di fianco a me, facendole segno di avvicinarsi a me. Lei si sedette di fianco a me e attese la risposta alla sua domanda, «sono una angel», le dissi e lei sgranò gli occhi, «una custode dei terreni. Noi angel siamo nati per custodire voi terreni ed aiutarvi a compiere le scelte giuste, ovviamente senza mai farci scoprire», le spiegai in poche e brevi parole.
Lei mi fissò incredula, «cioè vuoi dire che ogni terreno ha il suo angel personale?», mi chiese, avida di sapere.
Sorrisi della sua impazienza, «sì è esatto. Ma non esistono solo gli angel», le dissi interrompendola, prima che potesse farmi domande a raffica e quindi smontare tutto il discorso che mi ero preparata, «ci sono anche i nostri opposti, i devil». A quelle parole io, inevitabilmente, mi rattristai e la famigliare ondata di dolore mi scosse da capo a piedi, mentre Agnese spalancò ancora di più gli occhi, cosa che credevo impossibile. Mi feci forza e continuai, «i devil sono i tentatori dei terreni; devono confonderli per poterli portare a fare la scelta sbagliata e quindi ad allontanarsi dalla retta via. Per questo angel e devil sono sempre in competizione», gli dissi e verso la fine, non potei impedire alle lacrime di lasciare i miei occhi. Sì competizione; ormai io non consideravo più i devil dei nemici ma degli amici, e anche qualcosa di più. Bloccai quel pensiero prima di inoltrarmi in strade per me pericolose.
Lei mi fissò interrogativa; stava riconoscendo l’inizio delle crisi di pianto e isterismo che avevo sempre, solo che, logicamente, non riusciva a collegarle a questo contesto. Scossi la testa e ripresi a parlare; le spiegai cosa era il VETO, le parlai delle nostre città, Angie town e Zolfanello city, le descrissi la gerarchia che albergava fra noi sempiterni, con le Alte e Basse sfere al vertice, le illustrai la differenza fra guardian angel e stagisti, come si svolgeva lo stage, sia le rivalità ma anche i momenti divertenti avuti sia con angel che con devil. In pratica le raccontai tutto quello che c’era da sapere sul mio mondo.
Alla fine lei aveva uno strano luccichio negli occhi. Cominciò a battere le mani e a saltellare sul letto come una bambina di cinque anni di fronte al suo regalo di natale, «tu lo sai che ora non ti darò tregua con le domande, vero?», mi chiese con occhio sadico e io scoppiai a ridere, seguita da lei. Ma c’era ancora qualcosa che doveva sapere.
«Agnese», le dissi, prendendole le mani, «ascoltami attentamente. La vita di un sempiterno non è tutta rose e fiori come potresti pensare. Devi comprendere che se accetterai di portare il peso di questo segreto, sarai in pericolo», le spiegai, guardandola negli occhi seria come non lo ero mai stata. Temevo per lei e volevo che avesse ben chiaro cosa la aspettava se avesse deciso di accettare la situazione, «se pensi che la cosa per te sarà troppo dura da sopportare, io posso cancellarti la memoria e fare in modo che questo pomeriggio non sia mai esistito. La decisione però spetta a te», conclusi, guardandola negli occhi.
La vidi riflettere per qualche secondo e poi fissarmi decisa negli occhi. Senza aver bisogno di parlare, seppi qual’era la sua decisione. La abbracciai di slancio, sentendomi al sicuro. Quando ci staccammo riprese la parola, «chi ti minaccia Raf?», mi chiese.
«la neutra Reina e suo fratello», le dissi, gelida.
Lei mi fissò confusa, così io le parlai di Reina e di tutto quello che ci aveva fatto passare durante lo stage, le varie trappole, le cattiverie, il Limbo, Malachia. Ma quando arrivò il momento di spiegare come aveva sfruttato me e Sulfus per i suoi loschi piani, mi bloccai; il dolore tornò violento e lacerante e fui costretta a piegarmi su me stessa per cercare di lenire le terribili fitte che si erano impossessate di me.
Agnese subito di chinò su di me per cercare di aiutarmi, «Raf, Raf, che succede, ti senti male?», mi chiese, sostenendomi per le spalle.
Presi un bel respiro e mi preparai a raccontare, «ti ricordi cosa ti dissi una settimana fa sul perché fossi dovuta andare via?», le chiesi e lei annuì. «beh, c’era un fondo di verità in quelle cose. Me ne sono andata perché Reina ha minacciato di vendicarsi di me facendo del male ai miei amici. E non potevo permettere che succedesse, soprattutto che facesse del male a… Sulfus», dissi con uno sforzo, mentre le lacrime riprendevano a scendere copiose sul mio viso.
Lei sussultò, «Sulfus? Anche Sulfus è un angel?», mi chiese incredula.
Io alle sue parole singhiozzai violentemente. Se fosse stato un angel sarebbe stato molto più facile per noi, e non ci sarebbero stati tutti quei problemi che la nostra relazione aveva portato con se. Scossi la testa, «Sulfus è un devil», dissi in un sussurro fioco, aspettando la sua reazione.
Lei mi fissò scioccata, incapace di proferire parola. Presi la collana che avevo al collo e gliela passai, «questa me l’ha regalata lui. All’interno c’è una nostra foto», le dissi.
Lei subito, incuriosita, lo aprì e rimirò la foto. Osservai il viso di Sulfus per qualche secondo e distolsi lo sguardo; non riuscivo a reggere di osservare il suo viso. «caspita Raf, devo dire che è bellissimo», disse stupita Agnese, richiudendo il ciondolo e ripassandomelo. Me lo rimisi al collo. Lei poi mi sorrise dolce, «è per lui che piangi sempre e ti disperi così». Un’affermazione più che una domanda.
Annuii, «io e Sulfus abbiamo la stessa età, diciassette anni. Ci siamo conosciuti per la prima volta allo stage sulla terra», la mia voce malinconica cominciò a raccontare quello che era successo tra noi; mi appoggiai alla spalliera del letto e mi tirai le gambe al petto,  «non sapevamo ancora cosa ci aspettava, sapevamo solo che, in quanto io angel e lui devil, dovevamo per forza odiarci. All’inizio forse può anche essere stato così ma, ripensandoci, penso che tutte le litigate che facevamo servissero in realtà per non ammettere che ci eravamo innamorati l’una dell’altro a prima vista. Avevamo lo stesso terreno, perciò fu impossibile per noi evitare di far crescere i nostri sentimenti. Poi Reina cominciò a mettersi in mezzo; ci fece mordere da un ragno che aumentò i nostri sentimenti. Il suo scopo era ottenere un nostro bacio perché, se ci fosse riuscita, si sarebbe compiuto il sacrilegio che le avrebbe permesso di liberarsi dal Limbo. Cominciò a creare occasioni per far sì che io e Sulfus rimanessimo da soli e quindi, in un certo senso, spingerci a baciarci. I professori ovviamente non rimasero inattivi e si adoperarono per farci stare separati il più possibile, prima togliendoci il nostro terreno comune, e poi mettendoci alle costole una specie di guardia del corpo che doveva controllare tutti i nostri spostamenti. Ma in mezzo a tutto questo casino, nessuno si accorgeva che io e Sulfus ci stavamo innamorando sempre di più e che eravamo noi quelli che soffrivano di più in quella situazione. Nessuno sembrava rendersi conto che eravamo noi quelli che ci stavamo rimettendo di più, quelli che, da tutti quegli intrighi, ne sarebbero usciti comunque distrutti, sia che fosse finita bene, sia che fosse finita male.
E infine Reina creò l’occasione perfetta. Ci spedì nel passato e, finalmente, riuscì a farci baciare. È stato il nostro primo bacio ed è stato magico sia per me che per lui. Ma le cose sono andate diversamente da quello che ci aspettavamo; il bacio provocò un’onda sacrilega che causò un terremoto che rischiò di far crollare la città e di uccidere decine di persone. Inoltre quello era ciò che Reina aspettava da tempo; grazie a noi riuscì a liberarsi dal Limbo. Io e Sulfus venimmo accusati di sacrilegio e processati. Saremmo stati espulsi se i nostri amici non avessero dimostrato il coinvolgimento di Reina. Tuttavia tutti credevano che fra me e Sulfus non ci fosse niente, convinti che il nostro sentimento fosse stato semplicemente indotto da Reina per riuscire a liberarsi. Non era affatto così; eravamo innamorati come e più di prima ma eravamo consapevoli che la nostra storia non sarebbe mai potuta cominciare. Soffrivamo moltissimo entrambi, inoltre il nostro senso di colpa per il sacrilegio appena compiuto, ci spingeva a stare lontani per paura di creare altri problemi.
È passato così il secondo anno di stage, io e lui che ci ignoravamo e stavamo sempre più male. Quella lontananza forzata ci stava logorando dentro. Poi una settimana fa è arrivata la fine della scuola; sapevamo che saremmo tornati nelle nostre rispettive città e che non ci saremmo rivisti mai più e non siamo più riusciti a trattenerci. Abbiamo superato paure e sensi di colpa e ci siamo dichiarati. Abbiamo passato insieme quell’ultimo giorno. La mattina successiva, alla consegna dei diplomi, Reina ci ha attaccato; io e Sulfus l’abbiamo sconfitta ma nella mia testa ho sentito la sua voce che diceva che sarebbe tornata grazie a me e facendo del male alle persone che mi erano più care. Le conseguenze della mia decisione credo tu le conosca. Ma sai prima di andarmene è successa una cosa tra me e Sulfus, una cosa che volevamo entrambi disperatamente anche se non avevamo mai avuto il coraggio di ammetterlo a noi stessi», ma mi bloccai, improvvisamente rossa. Mi ero fatta trascinare dai ricordi e quel particolare era decisamente imbarazzante, soprattutto se ripensavo alla sfacciataggine che avevo avuto.
Lei mi fissò interrogativa, «cosa Raf?», mi chiese, visibilmente curiosa.
«abbiamo fatto l’amore», le dissi in un sussurro fioco, imbarazzata e con le guance in fiamme, nascondendo il viso fra le ginocchia per l’imbarazzo.
Lei urlò e mi abbracciò felice, mentre scoppiava a ridere come una ragazzina, «oddio Raf sono così contenta», mi disse, stringendomi a se, «ve lo meritavate dopo tutto quello che avete passato. Sono veramente impressionata; nonostante tutto quello che avete passato, il vostro legame è rimasto solido e puro. Non c’è dubbio che il vostro sia vero amore», mi spiegò, carezzandomi dolcemente la schiena.
Io non potei fare a meno di scoppiare a piangere. Lo sapevo e proprio per quello Sulfus mi mancava da morire. Non sapevo quanto ancora sarei riuscita a resistere alla sua lontananza; la distanza da lui mi stava uccidendo lentamente giorno dopo giorno.
Lei mi strinse più forte a se, sussurrandomi parole dolci per farmi calmare. Io, finalmente consapevole di avere una spalla su cui contare, mi lasciai andare alle dolci braccia di Morfeo.
 
NARRATORE
Il plotone del generale Lutalo, acciaccato e ridotto di numero, riapparve nello spiazzo del castello in Siberia. Tutti sapevano che, molto probabilmente, non avrebbero visto l’alba del giorno successivo. Il loro signore detestava i fallimenti e molto probabilmente per questo, considerando che era la missione a cui teneva di più, sarebbero morti tutti.
«devo andare da Syper», disse Lutalo ai suoi uomini, che tremarono visibilmente, «buona fortuna a tutti voi», disse, facendo loro il saluto militare prima di avviarsi verso la sala del trono.
Percorse i corridoi con estrema lentezza, cercando, per quanto possibile di ritardare quel momento di quei aveva una grandissima paura. Intanto Syper, tutto tranquillo, aspettava l’arrivo del suo più bravo e fidato luogotenente. Non aveva nessun dubbio sulla sua vittoria, era il migliore e anche i suoi uomini erano i migliori, per non parlare del fatto che una sola angel non sarebbe mai riuscita a resistere contro un intero plotone dei suoi soldati.
Proprio in quel momento sentì qualcuno aprire la porta della sala e, tutto contento, convinto di trovare Raf inerme fra le braccia dei suoi uomini, si girò verso il portone. Quello che vide invece lo fece andare su tutte le furie; Lutalo stava davanti a lui con lo sguardo basso e l’aria colpevole e impaurita.
«che cosa cazzo è successo?!», urlò furibondo Syper, andando a passo di carica verso Lutalo, che sembrava essersi fatto ancora più piccolo al grido del suo signore, «ora spiegami in maniera convincente perché cavolo quella angel è riuscita a sfuggirvi, nonostante foste venti contro una!», urlò Syper, talmente arrabbiato che i suoi poteri, fuori controllo, lanciarono una saetta verso il povero generale, che venne mancato di pochissimi centimetri.
Lui deglutì e si preparò a parlare, «le assicuro signore che non ci sono stati problemi. Purtroppo avevamo sottovalutato la potenza dei sentimenti degli amici di Raf, che l’hanno raggiunta nella metà del tempo che avevamo programmato. Se non fosse stato per loro, l’avremmo sicuramente catturata stavamo per sopraffarla», gli disse Lutalo, sperando che questa versione dei fatti gli addolcisse la pillola e lo facesse ricredere sul suo omicidio.
Syper si portò le dita di una mano alla bocca, pensieroso, e cominciò a camminare avanti e indietro per la sala del trono, rimuginando su pensieri sconosciuti al suo interlocutore. All’improvviso si fermò e un sorrisino beffardo gli spuntò sul volto, «in fondo, non è una così grande tragedia; anzi forse è stato meglio così», disse ridendo selvaggiamente, negli occhi una luce crudele che non si era mai vista.
Lutalo lo fissò interrogativo, «meglio così, mio signore? Ma l’angel ci è sfuggita», disse, con un’evidente espressione confusa.
Syper si voltò lentamente verso di lui; la luce che Lutalo intravide nei suoi occhi, lo fece tremare da capo a piedi, «è vero ma non ti preoccupare. So esattamente dove sarà fra tre mesi; a Barcellona. E lì non potrà più difendersi», concluse scoppiando a ridere sguaiatamente.
Questo non fece altro che confondere ancora di più il generale al che Syper decise di rivelare ciò che aveva tenuto per se in quella settimana, «vedi, mio caro, Raf non sarà più in grado di difendersi perché avrà qualcuno di molto importante da proteggere», disse Syper e Lutalo, finalmente, capì cosa intendeva il suo signore con quelle frasi e nei suoi occhi, comparve la stessa luce di quella del suo re, «sarà molto più piacevole ucciderla sapendo che insieme a lei ucciderò anche lui!», concluse e scoppiò nuovamente a ridere.
A lui si unì Lutalo e, ben presto, anche tutti i soldati che, da fuori la porta, avevano ascoltato tutta la conversazione. Ben presto il castello risuonò di una cupa risata che prometteva dolore, angoscia e, soprattutto, vendetta.
 
POV SCONOSCIUTO
La osservai con la coda dell’occhio andare via. Per fortuna non si era accorta che su di me il Think fly non aveva funzionato. Non era ancora così potente da riuscire a cancellare la memoria di sette persone contemporaneamente. Quando tutti si svegliarono, finsi di non riuscire a ricordare niente, anche se in realtà ogni cosa era impressa a fuoco nella mia mente ormai in ebollizione.
Decine di domande affollavano la mia testa e la più importante era; da cosa stava cercando di proteggerci Raf? Cosa era di così pericoloso che le aveva fatto anteporre la nostra sicurezza alla sua? Cosa l’aveva spinta a compiere un gesto così drastico?
Per ora erano domande senza risposta ma avevo deciso cosa fare; anche se sapevo di fare un torto orribile a Sulfus, avevo deciso di tenere d’occhio Raf in segreto, magari per riuscire a capire cosa si celasse dietro il suo volto ormai diventato una maschera di dolore identica a quella del suo amato. L’avrei seguita e controllata e non avrei permesso a nessuno di farle del male e, quando avrei avuto la sicurezza delle mie considerazioni, avrei avvisato anche gli altri. Per ora potevo solo aspettare ma attenta Raf, perché ti tengo d’occhio!
 
POV RAF
Tre mesi dopo
Mi svegliai di soprassalto, sconvolta dall’ennesimo incubo. Il cuore tamburellava forte nel petto e il sudore mi aveva appiccicato la camicia da notte al corpo. Era sempre lo stesso sogno; la nostra famiglia felice poi straziata dall’arrivo di Reina, che uccideva tutte le persone a me più care e solo alla fine me, dopo avermi costretta ad assistere a tutto.
Sospirai mentre le lacrime mi scendevano prepotenti sul viso. Erano tre mesi che andava avanti così e ormai avevo raggiunto il limite; dormivo pochissimo e quel poco era costellato sempre da incubi che mi facevano svegliare più stanca di prima.
Mi buttai sul letto, seppellendo il viso nel cuscino, soffocando i singhiozzi sulla stoffa ruvida; da qualche settimana riuscivo a evitare di urlare nel sonno, ormai gli incubi erano diventati una routine tale che riuscivo quasi a controllarmi. Non che per questo facessero meno male di prima.
All’improvviso una fortissima nausea mi prese alla bocca dello stomaco. Mi alzai di scatto, una mano premuta sulla bocca, e corsi in bagno, sperando di arrivare in tempo. Mi accasciai sul water in preda a dei violentissimi conati e rigettai tutto quello che avevo mangiato al sera. Era da ormai una settimana che andava avanti così; tutti i giorni mi prendeva una strana nausea che spariva rapida esattamente come arrivava. Avevo anche attacchi di fame e voglie nei momenti più strani, per non parlare degli svenimenti e delle botte di sonno improvvise. All’inizio avevo creduto che si trattasse solamente di una qualche specie di virus ma ora stavo iniziando veramente a preoccuparmi.
All’improvviso qualcuno bussò alla porta della camera, «Raf, si può?», chiese Agnese. Non riuscii a rispondere; accasciata senza forze di fianco al water, i conati vomito si fecero risentire e mi ritrovai di nuovo piegata sulla tazza.
All’improvviso Peter apparve al centro della stanza e aprì la porta dall’interno permettendo ad Agnese di entrare. Lei entrò e si chiuse la porta alle spalle con sguardo interrogativo. Peter fissò il bagno e poi scomparve. Non appena Agnese si accorse che ero piegata sul wc, si precipitò da me, sostenendomi e tenendomi i capelli levati dalla faccia.
Quando anche l’ennesimo conato finì, mi aiutò ad alzarmi ed a sedermi sul letto. Poi mi posò una mano sulla fronte e, quando constatò che non avevo la febbre, mi fissò con aria preoccupata, «Raf, fra problemi vari è più di un mese che va avanti questa storia. Comincio a preoccuparmi, forse dovresti farti vedere da un medico», mi disse con sguardo teso.
Io scossi la testa e le sorrisi, «non preoccuparti, sarà solo qualche virus influenzale va e vieni. Passerà presto vedrai», le dissi cercando di rassicurarla. L’ultima cosa volevo era una visita da un medico.
Lei mi fissò ancora dubbiosa, «non lo so Raf, forse dovresti…», cercò di ribattere, ma la interruppi con un gesto della mano.
«sta tranquilla, si risolverà tutto», le sorrisi e poi, con un sospiro mi alzai. Oggi non avevo proprio voglia di andare al lavoro. Grazie all’impiego sulla nave ero riuscita a guadagnare un bel po’ di soldi; sommati a quello che avevo preso quando ero partita e a tutte le mance che i clienti elargivano, aveva guadagnato una discreta somma. Per quello oggi avevo voglia meno di zero di andare a lavoro, «ora scusami ma devo andare, mi aspettano al ristorante», le dissi, prendendo la divisa e infilandomela.
Lei sospirò e mi lasciò libera di fare, «tanto sei più cocciuta di un mulo vero?», mi chiese sorridendomi, e io le risposi con una linguaccia.
Lei scoppiò a ridere e, dandomi uno scappellotto sul sedere, mi intimò di andare a lavorare. Io scappai dalla stanza ridendo. Lungo il corridoio che portava al ristorante in cui lavoravo, mi soffermai a guardare il bellissimo tramonto che si vedeva al di la delle vetrate. Il sole si immergeva nel mare, creando dei contrasti di colori perfetti. All’improvviso mi venne un’intensa voglia di piangere; ecco era successo di nuovo! Da qualche settimana a questa parte, degli sbalzi d’umore improvvisi erano in grado di farmi passare dalla spensieratezza alla disperazione e, oltretutto, non sembravano essere causati da qualche reazione.
Scossi la testa, impedendo alle lacrime di scendere. Raggiunsi il ristorante, salutai Angela, il capo cuoco, e mi preparai ad iniziare. Come ogni altra sera fu un continuo susseguirsi di ordini, lamentele, vassoi, piatti e dio solo sa cos’altro.
Finalmente, dopo tre ore di tortura, staccai. Ero nello spogliatoio a cambiarmi quando, all’improvviso, un violento capogiro mi colse. Mi appoggiai all’armadietto ma fu tutto inutile; dopo pochi secondi sentii la vista annebbiarsi e caddi a terra priva di sensi.
 
Mi risvegliai; qualcuno mi stava scuotendo per le spalle, cercando di farmi rianimare. Incontrai gli sguardi preoccupati di Agnese e Angela, che mi fissavano angosciate. Appena videro che mi ero ripresa, tirarono un sospiro di sollievo.
«oddio Raf, tu mi farai morire uno di questi giorni», mi disse Agnese, stringendomi a se preoccupata. Da quando le avevo raccontato la mia storia era diventata molto più protettiva nei miei confronti; non che mi dispiacesse, anzi, ma a volte era davvero fastidiosa.
«ora non ammetto repliche Raf», mi disse, con cipiglio duro in viso, «adesso tu vai dritta alla farmacia della nave e ti compri un bel pacco di antibiotici, chiaro?», mi disse, l’espressione da mamma sul viso. era sempre un po’ così fra me lei; per come ci comportavamo, sembravamo un po’ madre e figlia.
«ma Agnese…», mi lagnai come una bambina piccola, sporgendo il labbro in fuori in un, speravo, tenero broncio. L’ultima cosa che volevo in quel momento era riempirmi di medicine e antidolorifici.
Lei mi fissò dura, il suo sguardo non ammetteva repliche, «no, non ammetto obiezioni stavolta. Ora muovi quel bel sederino che ti ritrovi e vai in farmacia», disse, facendomi la paternale.
Io sbuffai ma la accontentai. Mi incamminai di mala voglia verso il centro della nave, dove avevano sede tutti i negozi, di qualsiasi genere.
Finalmente li, cercai la croce verde che rappresentava la farmacia e, una volta trovata, ci entrai. Cominciai a girare fra le varie scaffalature, cercando gli antibiotici, quando mi fermai di botto davanti a una precisa sezione; quella degli assorbenti. Mi avvicinai a uno dei pacchi quasi ipnotizzata e solo in quel momento mi resi conto di una cosa fondamentale; non avevo il ciclo da più o meno tre mesi. Preda del panico, cominciai a fare i conti a mente dall’ultima volta che avevo avuto il ciclo e mi resi conto che il 26 maggio erano esattamente sedici giorni prima del giorno della cerimonia dei diplomi, ossia il giorno in cui io avevo…
Mi bloccai completamente sul posto quando mi resi conto che avrei potuto… avrei potuto… essere incinta! Era una cosa che faticavo persino a pensare! No resta calma Raf, mi dissi, il ritardo del ciclo può anche essere dovuto a forte stress, e io ero stata molto sotto stress no?
Si ma dovevo essere sicura che la mia ipotesi non fosse reale. Certo in condizioni normali sarei stata felicissima di avere un figlio da Sulfus ma adesso le cose erano radicalmente diverse. O meglio, io sempre lo volevo un figlio da lui, ma le circostanze non erano certo quelle migliori per far nascere un bambino. Perciò mi precipitai al reparto corretto e comprai un test di gravidanza, quello che sembrava più affidabile. Quando lo pagai, la commessa mi rivolse un’occhiata indagatrice, che io ignorai bellamente.
Presi il test e, senza dire niente a nessuno corsi in camera mia. Mi rinchiusi in bagno e lessi le istruzioni. Le seguii e poi aspettai il verdetto. Quei pochi minuti furono i più lunghi della mia vita; stavo per sapere se la mia esistenza sarebbe cambiata radicalmente, se davvero aspettavo davvero il figlio dell’unico uomo della mia vita, il frutto del nostro amore. Ma soprattutto avrei dovuto decidere cosa fare in caso di risposta affermativa; avrei dovuto tenerlo? Dio solo sapeva quanto volevo un bambino da Sulfus ma, in quel momento della mia vita, non avevo nemmeno una dimore fissa e rischiavo di essere attaccata e quindi di dover combattere in qualsiasi momento. Quale vita avrei potuto dare a mio figlio in quelle condizioni?
Mi bloccai al centro della stanza, interrompendo il mio camminare frenetico. Sorrisi come un’ebete ripensando alle parole “mio figlio”; sembravano perfette per essere pronunciate. Chissà come sarebbe stato bello tenere tra le braccia un piccolo frugoletto, un bambino frutto del sentimento puro e solido che legava me e Sulfus.
Guardai l’orologio; i minuti erano passati. Con il cuore in gola, afferrai il piccolo stick bianco posto sul lavandino, stando attenta a non vedere il risultato. Il colore che avrei visto lì sopra avrebbe determinato il cambiamento della mia vita nel bene o nel male. Ora mi restava solo da scoprire quale fosse delle due.
Con il cuore in gola abbassai gli occhi e quello che lessi mi lasciò senza fiato. Senza imprecisioni o sbavature, una perfetta linea rosa sembrava gridarmi solo una parola dal profondo del suo colore pastello, quella parola che mi avrebbe cambiato per sempre la vita e l’esistenza: INCINTA.

ORA RAGAZZE VOGLIO DARVI UNA BELLA NOTIZIA ANCHE SE ANCORA NON CONFERMATA; COME SAPETE DOVREBBE ANDARE IN ONDA SU ITALIA UNO IL FILM SU ANGEL FRIENDS INTITOLATO TRA SOGNO E REALTA' (NON VEDO L'ORA!!! ^^) E SECONDO FONTE ABBASTANZA SICURA LA DATA PREVISTA SAREBBE L'UNDICI DICEMBRE!!! ODDIO NON STO PIU' NELLA PELLE!!! CONSIDERATO CHE NEL CARTONE IN 52 PUNTATE LI HANNO FATTI BACIARE SOLO UNA VOLTA, NEL FILM PRETENDO ALMENO CINQUE BACI XDXDXD COMUNQUE NON HO SOLO LA DATA DEL FILM, SONO ANCHE RIUSCITA A TROVATE LA PRIMA IMMAGINE UFFICIALE DI RAF E SULFUS... ECCOLA QUI:
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NON SONO CARINISSIMI? **
BENE E ORA RECENSIONI:
_KIKKA97/CLOE97: CIAO TESORO QUANTO TEMPO!!! EH Sì SEI LA PRIMA, APPLAUSI!!! XDXDXD GRAZIE PER I TUOI FANTASTICI COMPLIMENTI MI FA SEMPRE MOLTO PIACERE RICEVERLI!!! ^^ ANCHE SE ALLA FINE NON CREDO DI ESSERE CHISSA' CHE COSA XDXDXD LO SO CHE ERA MOLTO TRISTE MA, PURTROPPO, ORA LA STORIA E' IN PIENA FASE SOFFERENZA... ANCHE QUESTA CHAPPY NON E' DA MENO, PURTROPPO T_T ANCHE A ME DISPIACE DI FARLI SOFFRIRE COSI', MA LA STORIA L'HO PENSATA IN QUESTO MODO E IN QUESTO MODO DOVRA' ANDARE AVANTI... VEDRAI PERO' NE FARO' SUCCEDERE DI COLPI DI SCENA XDXDXD SONO CONTENTA CHE LE MIE IDEE TI PIACCIANO E, SAI, PER IL PARTO DI RAF HO AVUTO UN'IDEA CHE.... A NO NON VE LA DICO, MA VI FARA' ANDARE FUORI DI TESTA!!! ^^ NON VEDO L'ORA DI SCRIVERE QUELLA SCENA ^^^^^^^ CIAO GRAZIE TANTE PER LA RECENSIONE E I COMPLIMENTI!!!! ^^
_NINAFALLENANGEL: NUOVA FAN!!! BENVENUTA TRA NOI!!! SONO MOLTO CONTENTA CHE LA MIA STORIA TI PIACCIA!!! ^^ SCUSA SE TI HO FATTO ASPETTARE MOLTO PER IL CAPITOLO MA COME AVRAI LETTO, E' STATO UN PERIODO DIFFICILE PER ME... GRAZIE PER IL COMPLIMENTO MA SAI, SONO ACCANITA LETTRICE E QUANDO LEGGI UN PO' LO IMPARI L'ITALIANO XDXDXD SPERO CHE QUESTO CAPITOLO SIA STATO DI TUO GRADIMENTO... CIAO!!! ^^
_GIRL95DEVIL: AHAHAH AMORE MIO, LE TUE RECENSIONI MI FANNO SEMPRE MORIRE!!! HAI RAGIONE LA ODIERAI PROPRIO TANTO (FIGURATI CHE LA ODIO PERSINO IO CHE SCRIVO DI LEI... SE NON MI SERVISSE L'AVREI GIA' BRUCIATA XDXDXD) MA ALLA FINE, ANCHE SE INDIRETTAMENTE, SARA' MOLTO UTILE PER RAF E SULFUS!!! XDXDXD NON DICO NIENTE, VEDRAI DA SOLA!!! XDXDXD GRAZIE ANCHE IO TI AMO!!! EH GIA' URIE' HA DECISO DI APRIRSI AL BEL DIAVOLETTO... COME HAI LETTO SI E' RICREDUTA SUL SUO CONTO E GLI VUOLE STARE VICINO... VEDRAI, ALLA FINE URIE' DIVENTERA' MOLTO IMPORTANTE PER SULFUS (IN SENSO BUONO OVVIO!!! XDXDXD) COMUNQUE Sì, ORMAI SI SONO TOCCATI TALMENTE TANTE VOLTE CHE IL VETO NON CONTA PIù TRA DI LORO, ESATTAMENTE COME PER I BACI FRA RAF E SULFUS... GRAZIE, IO CERCO SEMPRE DI ESPRIMERE LE EMOZIONI AL MEGLIO, PERCHE' SONO QUELLE CHE ANIMANO LA STORIA.... LO SO CHE HAI ODIATO CABIRIA MA CREDEVA DI FARLO PER IL SUO BENE E TI ASSICURO CHE ERA COSI'... SE NON SI FOSSE ALLONTANATO SAREBBE CADUTO PREDA DELLA DEPRESSIONE, GLI HA FATTO BENE ALLONTANARSI UN PO'...
NONONO AIUTOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!! NO FERMA NON MI PUOI UCCIDERE, ALTRIMENTI CHI TI CONTINUA LA STORIA?! EH LO SO CHE SONO PROPRIO UNA BASTARDA A FARE COSì, MA RAF E SULFUS DOVRANNO RESTARE SEPARATI PER NOVE ANNI E NOVE ANNI DOVRANNO ESSERE (SIGH SIGH FA TRISTE ANCHE ME CHE LA SCRIVO STA COSA T^T) PERO' E' VERO E' STATA MOLTO ROMANTICA... IHIHIH I PENSIERI DI RAF LI SAPRAI LEGGENDO IL CHAPPY *CENSORED* XDXDXD FELICISSIMA CHE IL CHAPPY TI SIA PIACIUTO E COME VEDI HO GIA' COMMENTATO^^ ORA PERO' DEVI POSTARE TU CHE ANCHE IO SONO CURIOSSISIMA SULLA TUA STORIA!!!  A PRESTO KISSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS ^^

_PUFFETTA98: NUOVA FAN!!!! SONO ULTRA MEGA FELICE!!! SONO MOLTO CONTENTA CHE LA MIA STORIA TI PIACCIA E COME PROMESSO, ECCOIL NUOVO CHAPPY. ALLA PROSSIMA!!!

E ORA ULTIMA NEWS... NONOSTANTE QUESTA STORIA SIA LA MIA PREFERITA E MI PRENDA MOLTO, NEGLI ULTIMI TEMPI MI E' VENUTA IN MENTE UNA NUOVA STORIA CHE NON POSSO NON PUBBLICARE... MI INTRIGA TROPPO XDXDXD VEDRETE RAF E SULFUS IN VESTI COMPLETAMENTE DIVERSE DA QUELLE A CUI SIAMO ABITUATI PERCHE', QUESTA VOLTA, NON CI SONO I PROFESSORI A TENERLI SEPARATI... CI SARA' LA GUERRA FRA ANGEL E DEVIL!!! LASCIATEMI UN COMMENTINO ANCHE LI, PER SAPERE SE VALE LA PENA CONTINUARE!!! CIAO CIAO AL PROSSIMO CHAPPY!!! ^^

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