Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Non forte, non un vero e
proprio diluvio: bastava ascoltare il cadere ritmico e lento per capire che era
solo una lieve pioggerellina; una di quelle che vengono dette “azzuppa
viddrani” perché quasi non ti accorgi che sta cadendo, almeno finché
non senti i vestiti ormai fradici completamente incollati sulla pelle. Ecco, la
pioggia che stavo osservando era una di quelle.
Continuai a tenere lo
sguardo fisso fuori dal finestrino, muovendo leggermente la testa, inclinandola
così da poter vedere chiaramente le sottili gocce che cadevano davanti a me.
Fu una schiarita di gola
particolarmente marcata che mi riportò alla realtà, costringendomi a voltarmi
per capire chi fosse tanto brusco in quel momento delicato da pretendere la mia
attenzione.
Incontrai lo sguardo del
tassista che mi fissava attraverso lo specchietto retrovisore: aveva
un’aria tutt’altro che cordiale e continuava ad accennarmi con il
mento verso l’esterno.
- Siamo arrivati! Glielo sto
ripetendo da quasi un quarto d’ora: si decide o no a scendere!?-
La gentilezza in persona,
pensai acida: che fastidio gli potevo mai dare?
Mossi la mano verso la
borsa, cercando all’interno il portafogli ma lui mi fermò con una
sottospecie di ringhio gutturale: tornai a guardarlo e lui sospirò scuotendo la
testa sconfortato.
- Ha già pagato-
Annuii distrattamente,
lanciandogli al contempo un’occhiata molto prossima alla disperazione.
Lui sembrò accorgersene e
preso un bel respiro, si girò verso di me, guardandomi negli occhi e
lisciandosi i lunghi baffi biondi. Spostò un attimo lo sguardo fuori dalla
vettura, osservando con aria saputa il lussuoso hotel dall’altro lato
della strada. Annuì, come se avesse capito tutto e dentro di me sperai fosse
davvero così: avrebbe forse trovato un modo di farmi forza, chissà.
- Ricevimento importante,
eh? Cos’è un anniversario, un matrimonio?-
Mossi impercettibilmente la
testa alla seconda ipotesi, lui sorrise e prese un altro bel respiro prima di
continuare, stava per dire qualcosa quando si interruppe di colpo. Studiai
l’espressione del suo viso che cambiava piano: le labbra si strinsero in
una sottospecie di ghigno e uno scintillio malizioso gli passò rapido negli
occhi. Si sporse verso di me, superando di qualche centimetro lo spazio oltre i
sedili, per poi sussurrare con voce roca:
- Se vuole, invece di andare
ad un matrimonio a cui chiaramente non vuole essere presente, la porto con me
da qualche parte, ci divertiamo…-
Spalancai gli occhi in un
moto di sorpresa, ritraendomi istintivamente. Con un solo movimento aprii la
portiera scendendo subito e chiudendomela altrettanto velocemente alle spalle.
Feci per attraversare
immediatamente la strada, incurante della pioggia che effettivamente non
sentivo, quando uno stridere forte e prolungato mi fece bloccare sul posto: mi
girai quasi al rallentatore, alzando piano lo sguardo su una moto enorme ferma
a pochi millimetri da me.
Ringraziai mentalmente tutti
i santi che conoscevo, mentre con le gambe che mi tremavano mi poggiavo al taxi
alle mie spalle. Poi ricordai il rumore dei freni e capii di essere invece in
debito con il misterioso pilota che era stato tanto misericordioso da decidere
di risparmiare la vita a quella ragazza con la testa non proprio a posto che
attraversa senza guardare a destra e a sinistra.
Feci per dire qualcosa,
anche solo un flebile grazie, ma non mi uscì un solo suono dalle labbra mentre
studiavo la figura in moto: non riuscivo ad identificarvi niente, il viso
coperto da un casco nero integrale e con la visiera oscurata. Lui fece
arretrare la moto di qualche metro, per poi rivolgermi un cenno con il capo,
come un saluto, ed allontanarsi silenziosamente.
Scossi la testa, cercando di
contenere le emozioni che rischiavano di farmi implodere o peggio esplodere.
Non potevo crollare, non ora che doveva iniziare ancora tutto.
Feci per attraversare,
guardando ripetutamente se la strada fosse libera questa volta. Prima di
entrare nell’enorme albergo però lanciai un’ultima occhiata al taxi
ancora fermo dall’altra parte e vidi chiaramente l’autista
sorridermi incoraggiante e salutarmi con la mano.
Imprecai a denti stretti
mentre l’auto partiva: quel grandissimo figlio di buona donna con i baffi
mi aveva presa in giro! Lo aveva fatto apposta a spaventarmi: per farmi scendere!
Aprii la porta ed
attraversai l’atrio a passo svelto, nervosa ed irritata: raggiunsi il
primo salone e mi fermai davanti ad un lungo tavolo bianco coperto di
cartoncini plastificati. Iniziai a scorrerli con gli occhi: su ognuno
c’erano nome e numero del tavolo. Trovai dopo poco il mio:
“Isabella Swan, tavolo
dieci”
Lo presi e con un unico
movimento afferrai anche quello posizionato giusto affianco al mio: quello di
Mike, mio marito. Li misi entrambi in borsa, con un gesto stizzito.
Ero lì sola: Mike mi aveva
lasciata sola! Non riuscivo ancora a crederci!
Che razza di marito ti
lascia andare sola ad un ricevimento di nozze!?
Quasi mi veniva da piangere:
sia chiaro che non sono il tipo di ragazza che non sa cavarsela da sola, anche
se già in quei primi venti minuti mi sembrava di aver dimostrato l’esatto
contrario, solo non mi andava di stare lì.
Non mi andava per vari
motivi: perché non ero stata al matrimonio, tanto per cominciare. Che bisogno
c’era quindi di invitarmi al ricevimento, dico io?!
Con un ghigno sadico pensai
che era esattamente un’azione degna di Jessica, la sposa.
Jessica era il mio ex datore
di lavoro: ci tengo a specificare ex!
Avevo pregato mille volte
Mike di venire con me o almeno di non costringermi ad andare, ma lui non
mi aveva accontentata: non era potuto venire perché aveva un’importante
riunione di lavoro e voleva che andassi perché altrimenti sarebbe sembrato
sgarbato.
Gli lanciai varie
imprecazioni mentali, avviandomi verso il salone principale. Non se le meritava
forse, non riuscii ad evitarlo però. Qualunque donna di trentacinque anni,
messa nella mia stessa posizione, avrebbe subito pensato che il marito aveva
un’amante: semmai la segretaria in ufficio, e che mi aveva letteralmente
costretta ad andare fuori città per avere campo libero.
Non io, però: Mike non era
il tipo da tradimento. Ragazzo epico, come si dice: quello del liceo, sempre al
mio fianco. Non mi avrebbe mai tradita, ne ero sicura: anche perché troppo
pigro per farlo. Semplicemente e alquanto più noioso a dirsi, doveva veramente
lavorare.
Mossi qualche passo tremante
all’interno del salone, guardando sconvolta l’enorme stanza, a dir
poco immensa, piena di tavoli e decorazioni bianche e rosa. Tutto estremamente
chic ed estremamente costoso pensai allibita. Lanciai poi uno sguardo sulla
miriade di persone che si muovevano confusamente fra i tavoli e le sedie: non
conoscevo assolutamente nessuno e la cosa mi terrorizzava. Sì, perché non dico
di essere sociopatica o asociale, ma socialmente inadeguata lo ero sicuramente
ed io in una situazione come quella ci avrei potuto lasciare la pelle.
A farmi mancare l’aria
successivamente, bloccandomi il respiro con brutalità, fu un’altra
sconcertante scoperta: mi resi conto che tutti gli altri ospiti si aggiravano a
coppie e lo sconforto più totale mi assalì. Non era possibile: non ce
n’era uno che fosse da solo!
Continuai ad osservarmi
attorno, spostando lo sguardo da giovani che si scambiavano effusioni a dir
poco imbarazzanti, di quelli a cui va di gridare “Prendetevi una
stanza!”, a quarantenni mano nella mano. Arretrai ancora, cercando una
via di scampo che temevo di non avere.
E fu allora che vidi una
porta beige con una minuscola scritta affianco: “Toilette”.
Con uno scatto da corridore
professionista, rischiando di rompermi l’osso del collo per via dei
tacchi troppo alti che portavo, mi diressi al bagno, nella speranza di trovarvi
sollievo.
Entrai e mi poggiai con il
respiro corto alla lunga fila di lavandini in marmo: guardai il mio riflesso
nello specchio e l’immagine che vidi non mi confortò. Ricambiai lo
sguardo terrorizzato che mi lanciavano i due occhi verdi nello specchio e con
la mano cercai di ravvivare i lungi capelli neri.
Mi diedi qualche pizzicotto
sulle guance, per riportare un po’ di colore sulle guance troppo bianche
e mi inumidii le labbra con la lingua. Iniziai a tormentarmi gli orecchini: due
piccoli cerchi brillantinanti, come facevo sempre quando l’ansia stava
per avere il sopravvento.
Feci per lisciarmi il
vestito nero quando sentii un movimento fuori la porta.
Senza alcun motivo mi
infilai nella cabina più vicina all’uscita, chiudendomi dentro e
smettendo quasi di respirare: sentii delle risate acute accompagnare
l’entrata di alcune ragazze. Chiusi gli occhi, sperando di scomparire, mentre
i loro discorsi arrivavano alle mie orecchie:
- Bellissimo ricevimento,
vero?-
- Sì, assolutamente
stupendo! Adoro poi il fatto che sia un “All night long”!-
Temetti di svenire sentendo
quelle parole: me ne ero dimenticata! No! Dovevo scappare!
Non potevo rimanere: non ad
un “All night long” per la miseria! Come avevo fatto a venire?
Andavano di moda
quell’anno: ricevimenti che esattamente duravano per tutta la notte.
Prima la festa con tanto di cena in un lussuoso albergo e poi festeggiamenti fino
all’alba. Cosa fantastica per alcuni, e che in quel momento era sul punto
di farmi venire una crisi isterica.
- Tuo marito è
simpaticissimo, cara-
- Oh, niente in confronto al
tuo ragazzo, Tanya-
- Non è il mio ragazzo,
Carmen-
Avevo appena ripreso ad ascoltarle
che già me ne ero pentita:
- Come non lo è?!-
Dopo qualche istante di
silenzio, una risatina accompagnò la risposta:
- L’ho conosciuto
stamattina e l’ho convinto a venire: sai com’è non potevo certo
presentarmi da sola. Sarebbe stato a dir poco patetico e voi altre ragazze poi
mi avreste mangiata viva!-
Sussultai, stringendo
convulsamente l’orlo del vestito: lo sapevo! Non c’era modo di
superare la serata: non da sola! Ero patetica e sarei finita in pasto alle
iene…
Aprii la cabina e feci per
uscire dal bagno a passo svelto, sperando che le ochette non mi notassero.
Tutto inutile: sentii un
gridolino di sorpresa alle mie spalle e un ticchettare di passi al mio seguito.
Cercai di affrettarmi, ma
ero appena nell’atrio e mi avevano già trovata:
- Aspetta: non ci siamo
presentate!-
Disperata finsi di non aver
sentito, ma ormai mi avevano raggiunta: l’intero gruppetto mi si parò
davanti, squadrandomi dall’alto in basso con un’aria snob che mi
fece venire la nausea.
Perché ero ancora lì? Non mi
conosceva nessuno, potevo dire di aver sbagliato hotel e scappare.
- Io sono Tanya, lei Carmen
e lei Laure. Tu sei?-
- Bella-
Avevo risposto?! Perché?
Perché!?
- Bella, eh? Sei qui da
parte di chi?-
- Della sposa: Jessica era
la mia datrice di lavoro-
Stavo ancora parlando con
loro, cosa mi saltava per la testa? Io e la mia innaturale sincerità… non
ce la facevo proprio ad andarmene. Ne ero sicura ormai: non ne sarei stata
capace.
Sarei rimasta lì: cibo per
iene.
- Sei una giornalista
allora! Che bello!-
- Sposata? E lui
dov’è?-
Avevo annuito
automaticamente alla prima domanda, rimanendo pietrificata alla seconda: cazzo.
Le vidi scambiarsi occhiate
d’intesa, sembrava quasi sapessero già che ero sola: ma che avevano, un
radar? Erano venute appositamente per tormentarmi?
Loro continuarono a
fissarmi, chi con aria impietosita, chi spietata.
Arrossii probabilmente fino
alla radice dei capelli, sentii gli occhi inumidirsi mentre prendevo a mordermi
ferocemente il labbro inferiore: volevo andarmene, avevo bisogno di
aiuto…
Feci per rispondere
qualcosa, con un filo di voce tremante, quando l’espressione delle
ragazze davanti a me mi confuse: sembrava che fossero sul punto di prendere a
sbavare. Avevano spalancato tutte gli occhi e cominciato a fare mosse da donne
in calore.
Fu in quel momento che
sobbalzai sentendo un braccio avvolgermi la vita.
Non mi voltai subito e lo
stesso braccio mi strinse forte, sorreggendomi gentilmente.
Le ragazze che avevo di
fronte avevano smesso di respirare, guardandomi allibite: iniziarono a temere
di aver sbagliato le loro previsioni.
Sentii l’inaspettato
salvatore muoversi, spostandosi dietro di me, e abbracciarmi da dietro. Il suo
mento si poggiò dolcemente sulla mia testa, poi sentii la sua voce: profonda,
sensuale ed allo stesso tempo piena di gentilezza involontaria.
- Signore, buonasera a
tutte. Scusate se vi rubo un attimo questa meravigliosa ragazza ma ho un
improvviso ed irrefrenabile bisogno di mia moglie-
Continuando a stringermi per
la vita mi fece girare, guidandomi verso il salone con sicurezza.
Rabbrividii quando sentii le
sue labbra poggiarsi sul mio collo e avvicinarsi caute al mio orecchio:
Non c’erano altre
spiegazioni. Per quale motivo altrimenti un perfetto sconosciuto mi si sarebbe
avvicinato, salvandomi da un attacco calcolato di un gruppo di carogne?
Guardai ancora il ragazzo fermo
di fronte a me: mi fissava con due occhi di un celeste talmente chiaro da
essere disarmante nella sua innocenza. Era una finta però: bastava abbassare lo
sguardo sulle labbra atteggiate in un sorriso malizioso e scaltro per capire
che era tutt’altro che innocuo.
Era alto, almeno venti
centimetri più di me; indossava quello che doveva essere uno smoking ma era
incompleto: pantaloni neri che gli cadevano a pennello ed una camicia bianca,
senza cravatta e con i primi bottoni aperti. Si intravedeva la pelle bronzea
del petto e si intuivano chiaramente muscoli ben definiti sotto quel po’
di stoffa chiara.
Non aveva alcuna giacca ed
era quello che stonava leggermente, distinguendolo dal resto degli uomini nella
sala: tutti in nero dalla testa ai piedi.
Mi osservava silenzioso con
un accenno di divertimento sul viso. Mosse la mano verso l’alto,
portandola nei capelli neri che scompigliò con un gesto fluido, quindi si
avvicinò a me leccandosi le labbra rosse che risaltavano particolarmente nel
viso abbronzato.
Io arretrai spalancando gli
occhi: ma che stava succedendo quella sera?
Lui sorrise, atteggiando il
viso in un espressione rassicurante a cui non credetti neppure per un istante:
non mi piaceva quel ragazzo. Era troppo.
Soprattutto poi troppo
giovane: non poteva avere più di venticinque anni e a dirla tutta non poteva
essere veramente attratto da me! Doveva avere sicuramente un qualche giochetto
in mente.
Scossi violentemente la
testa, mentre mi rendevo improvvisamente conto di essermi dimenticata una cosa
a dir poco fondamentale e che mai avrei dovuto dimenticare: ero sposata, santo
Dio!
Lui rise, distraendomi dai
miei pensieri: sembrava realmente interessato al mio comportamento che a quanto
pareva non riusciva a spiegarsi. Si avvicinò ancora di qualche passo, facendomi
arretrare fino a trovarmi con le spalle al muro. Lui mi bloccò ogni via di
uscita posando le sue mani sul muro dietro di me: esattamente ai lati del mio
collo, tanto vicine che riuscivo a sentirne il calore.
Presi un bel respiro,
ricordando di trovarmi in un salone pieno di gente: non poteva succedermi
niente. Non poteva succedermi niente. Sì, l’importante è crederci!
- Cosa vuoi da me?-
- Farti compagnia fino a
domani mattina-
Rispose con naturalezza,
come se la cosa fosse ovvia. Arrossii e abbassai lo sguardo, non riuscendo più
a reggere il suo. Iniziai a temere che volesse approfittare di me in qualche
modo: forse era un ricercato, forse doveva nascondere qualcosa, forse avrebbe
tentato di violentarmi!
Sentii due dita sollevarmi
il mento e incontrai i suoi occhi: mi studiavano assorti e impensieriti.
Quando parlò lo fece
seriamente, con un tono che non ammetteva repliche e che non nascondeva niente:
nessuno avrebbe potuto pensare che stesse mentendo.
- Non ho intenzione di farti
niente: semplicemente ho fatto la grandissima stronzata di promettere allo
sposo di essere qui stasera. E ancora peggio, sono venuto da solo. Non so se
hai notato ma per superare una serata come questa bisogna essere per forza in
due. Ora, mi è sembrato di capire che fossi sola anche tu: ti ho vista in
difficoltà e sono intervenuto. Ti spiace?-
Scossi la testa, piano,
senza smettere di fissarlo negli occhi.
No! No, che non mi
dispiaceva! Oh, mio Dio… avrebbero dovuto ricoverarmi.
Lui sorrise, mostrando una
fila di denti bianchissimi e accarezzandomi con un dito la guancia continuò:
- Mi permetti di essere tuo
marito stanotte?-
Mai come in quel momento mi sembrò
di essere impazzita.
Dovevo aver perso la testa,
non c’erano altre spiegazioni.
Sicuramente dovevo essere
ancora nella cabina del bagno, raggomitolata su me stessa, a versare amare
lacrime. Perché era impossibile che un sensualissimo venticinquenne di nome Edward
si fosse appena offerto di interpretare la parte di mio marito!
Cioè… dovevo star
sognando: quella sarebbe stata semplicemente un’opportunità incredibile e
inaspettata, ma soprattutto irrifiutabile, di concludere la serata a testa
alta.
A me, Bella, non accadevano
cose del genere.
Lui però era ancora davanti
a me, sentivo ancora una scia infuocata sul punto in cui mi aveva sfiorata,
avevo ancora i suoi occhi di cristallo fissi nei miei. Allungai con lentezza
calcolata una mano verso il suo viso, sfiorandogli indecisa la guancia, come
per accertarmi che fosse reale.
Sentii sotto il palmo un
solleticare diffuso, un pizzicore dovuto a piccoli peli che cercavano di
crescere; continuai a far scorrere le dita, arrivando fino al collo e fu a quel
punto che la sua mano mi strinse il polso, fermando la mia. Lessi un accenno di
tormento nei suoi occhi che scomparve però non appena sentii ancora la sua
voce:
- E’ un sì o un no,
Bella?-
Annuii, non sapendo più che
fine avesse fatto la mia voce: sembrava essere scomparsa improvvisamente. Il
sorriso di Edward mi stordì, abbagliandomi. La sua mano lasciò il mio polso e
prese posto velocemente nella mia, stringendola forte.
- Andiamo-
Mi trascinò con sé verso i
tavoli, senza darmi modo di fare o dire alcunché: era lui a condurre il gioco.
Un gioco sbagliato, pericoloso, che non avrei dovuto fare.
Un gioco anche terribilmente
eccitante, avrei dovuto aggiungere.
Pensai a Mike, bloccato nel
suo ufficio e sommerso dai fascicoli e mi sentii in colpa: cosa stavo facendo?
Mi ero trovata un marito sostituto. Si poteva o c’era qualche regola non
scritta che lo vietava? Non ebbi modo di rispondermi che Edward si fermò di
colpo.
Mi colse di sorpresa e quasi
gli sbattei contro, lui ebbe ottimi riflessi però: mi sorresse immediatamente,
mettendo le sue mani sui miei fianchi.
- Che tavolo hai, amore?-
- Il dieci-
La voce era tornata, ma lo
stupore non se ne era andato: mi aveva chiamato “amore?”
Sorrisi fra me e me mentre
raggiungevamo il tavolo, pensando alla risposta che mi ero data ancora una
volta da sola: in fondo aveva ragione, eravamo sposati o no?
Edward lanciò
un’occhiata ai segnaposto sul tavolo, trovò il mio e spostò la sedia per
farmi sedere.
Rimasi sconcertata da quel
gesto di cavalleria: quanto… quanto tempo era che qualcuno non faceva una
cosa così per me? Lui mi sorrise ancora, sembrava quasi che non riuscisse a
smettere.
Presi posto, accomodandomi e
continuando a studiare i suoi movimenti: lui prese il segnaposto della
posizione accanto alla mia e si allontanò velocemente. Qualche tavolo più in là
scambiò due segnalini e tornò da me. Quindi poggiò il segnaposto appena preso e
si sedette con un sospiro:
- Ora siamo allo stesso
tavolo-
- Edward Cullen-
Lessi in un sussurro dal suo
cartellino. Lui annuì, leggendo al contempo il mio e poi ridacchiò:
- Ah, tesoro, ma allora non
hai voluto prendere il mio cognome!-
Sorrisi, contagiata dalla
sua euforia: sembrava un bimbo a Natale, un bimbo bellissimo, certo.
Gerardo avvicinò la sua
sedia alla mia, attaccandole quasi e mi avvolse con un braccio la vita.
Si piegò su di me, iniziando
a baciarmi il collo languidamente. Io mi irrigidii di colpo: cosa diavolo stava
facendo?! Si era parlato di fingere ma non…
- Bells, devi
scioglierti… rilassati, dolcezza-
Feci per scostarlo brutalmente:
non avevo alcuna intenzione di lasciarmi coinvolgere fino a quel punto in
quella recita malsana. Marito e moglie sì, ma non in quel modo! Non erano
quelli i patti!
Mi sentivo un’attrice
da quattro soldi che per altro interpretava una parte già vista in milioni e
milioni di film: solo che io non ne ero nemmeno in grado.
Ero sul punto di mollargli
un sonoro ceffone, forte abbastanza da slogargli la mandibola, quando mi
accorsi che tutte le altre sedie del tavolo si stavano riempiendo: presero posto
i nostri quattro compagni e finalmente capii il perché del gesto di Edward.
Lo sentii ridacchiare vicino
al lobo del mio orecchio mentre lo stringeva piano con i denti, attaccandosi
ancora di più a me: a quel punto non riuscii più a fermarmi e mettendogli le
mani sul petto tentati di allontanarlo. Lui oppose un po’ di resistenza,
poi si staccò di buon grado con un sospiro abbastanza sonoro e mormorò, a voce
bassa ma facilmente udibile dai presenti:
- Piccola, tu così mi farai
impazzire-
Lo disse con un tono tale da
farmi salire un brivido lungo tutta la schiena: ci volle tutta la mia forza di
volontà per impedirmi di girarmi verso di lui. Ma non potevo farlo: sapevo che
in quel caso il leggero rossore che mi colorava le guance avrebbe raggiunto
livelli di allarme.
Mi distrassi invece,
ignorando volutamente il suo braccio che mi stringeva e la sua mano che
lentamente mi solleticava il fianco; mi concentrai sulle altre persone del
nostro tavolo: con sollievo mi accorsi che non conoscevo nessuno e che non
c’era nemmeno una ragazza del gruppo delle iene.
Con sconforto invece notai
che fra i componenti delle due coppie, due dovevano avere all’incirca
l’età di Edward e due la mia: mi assalì il solito senso di ansia mentre
iniziavo a riflettere su cosa potessero star pensando di noi due che avevamo
circa dieci anni di differenza.
- L’amore non ha età-
Sgranai gli occhi sentendo
le parole che Edward mi aveva sussurrato: come aveva fatto a capire a cosa
stessi pensando? Lo guardai con un misto di sorpresa e gratitudine: era
riuscito con quattro parole ad arginare la mia crisi, lui mi sorrise e quindi
si rivolse agli altri, cercando di eliminare il disagio che regnava su tutti.
- Non ci conosciamo, vero?
Permettete che mi presenti: io sono Edward e lei è mia moglie Bella-
Si presentarono anche gli
altri: il primo a parlare fu Jasper, il più giovane, che parlò anche per la sua
fidanzata Alice; entrambi timidi e minuti sembravano usciti da un film di elfi:
era come se fossero fatti di porcellana, sottili e delicati. Poi prese invece
la parola Rosalie: alta, molto più di me anche senza i tacchi pensai con un
briciolo di invidia, una cascata di capelli ricci e rossi ed una voce
squillante; il marito era un omone calvo e leggermente sovrappeso, con un
sorriso tanto bonario quanto ingenuo, che sembrava non respirasse nemmeno senza
il permesso della compagna. Il genere di coppia di cui ci si chiede insomma
“Cosa ci fa una come lei con lui!?”
Edward al mio fianco
sembrava aver ascoltato gli altri per davvero, rispondendo e commentando cose
da loro dette e a cui io non avevo prestato attenzione: uno dei miei tanti
difetti è proprio quello di non riuscire a concentrarmi a lungo, finisco sempre
per distrarmi prima del dovuto.
Ricominciai ad ascoltare la
conversazione mentre gli uomini avevano appena cominciato un’accesa
discussione sul calcio, cosa di cui non mi sorpresi affatto: avevo letto un
articolo una volta, in cui si vedeva come il cervello dei maschi fosse
unicamente diviso fra sport, auto, sesso e cibo.
C’era poi anche il relativo
per le donne che avevo preferito non guardare.
- Ti vanno gli antipasti,
Bells?-
Ritornai alla realtà con un
sobbalzo, girandomi di scatto e trovando il viso di Edward vicinissimo al mio
che mi guardava interrogativo. Cosa mi aveva chiesto?
Lui sembrò capire qualcosa,
perché con un mezzo sorriso annuì fra sé e sé. Quindi si rivolse ad un
cameriere appena alla mia destra di cui non mi ero per niente accorta, dicendo
che due porzioni miste andavano benissimo, grazie.
Mentre il cameriere
aspettava che anche gli altri ordinassero, Edward mi fece l’occhiolino,
dandomi un bacetto a stampo e sussurrando a fior di labbra:
- Soffri di calo
dell’attenzione, tesoro?-
Spalancai gli occhi al suo
gesto, sentendomi ancor più a disagio, prima di rispondere con aria fintamente
afflitta:
- Sì, la mia è a breve
termine, che ci vuoi fare?-
Lui rise, cogliendo forse
l’accento aspro nelle mie parole che non era dovuto alla sua domanda
quanto al fatto che continuava a non mantenere alcuno spazio fra di noi.
Fece per rispondere ma venne
interrotto da un altro cameriere che ci servì, poggiando due diversi piatti sul
tavolo. Diedi un’ occhiata distratta al contenuto del mio, quasi
completamente indifferente.
Aspettai che anche gli altri
fossero pronti e infilzai una carotina con la forchetta. L’avevo appena
messa in bocca quando Edward mi chiamò con un leggero pizzicotto che mi fece
sobbalzare:
- Rosso o bianco?-
Accennò con il mento alle
bottiglie di vino e mi rivolse uno sguardo interrogativo.
- Perché?-
Si avvicinò come suo solito,
tanto da abbracciarmi quasi del tutto prima di sussurrare con il tono di chi
spiega qualcosa di molto semplice ad un bambino molto piccolo:
- Sono tuo marito, ti sembra
che non debba sapere che vino beve mia moglie? Come ti servo poi, tesoro? Non
posso avere lacune di questo genere!-
Sorrisi, per poi sussurrare
a mia volta, in tono quasi cospiratorio ed alquanto divertito:
- Bianco, allora. E tu?-
- Io no-
Si sporse per afferrare una
bottiglia e riempì il mio calice: un bicchiere lungo e affusolato di vetro
pregiato. Si accorse probabilmente della mia aria sconcertata alla sua risposta
secca, perché poco dopo si decise a spiegare:
- Non posso bere, amore: poi
mi prendo una bella sbronza e chi ci sta attento a te?-
Lo disse con sicurezza, come
fosse una cosa normale e che aveva sempre fatto. Eppure non riuscii a
credergli: non saprei dire il perché ma non mi sembrava fosse quella la verità,
come se un qualcosa nei suoi occhi, per un momento non più limpidi come al
solito, mi avesse lanciato un’avvisaglia.
Edward intuì che il discorso
non era ancora finito e con un sospiro allontanò il braccio dal mio fianco per
estrarre le posate dal suo tovagliolo.
Sorrisi, in parte divertita
da come riuscisse a capire le mie intenzioni fin da subito e aprii la bocca per
interrogarlo ancora. Non la feci però quella domanda: delle fette di prosciutto
nel suo piatto mi distrassero, facendomi dimenticare il mio intento.
- Posso?-
Mi sentii ridicola nel
momento stesso in cui lo domandavo: non ero mica una bambina, insomma. Non era
normale che una cosa qualsiasi non in mio possesso potesse distrarmi a tal
punto!
- Cosa?-
Edward mi guardò senza
capire: era sorpreso che la domanda fattagli non fosse quella che si aspettava
e non era riuscito a capire cosa volessi. Sorrisi imbarazzata, indecisa se
continuare o meno, alla fine mi decisi per il sì: cosa avevo da perderci in
fondo?
- Il prosciutto: io non ce
l’ho-
Dissi tutto d’un
fiato, riuscendo a mala pena a trattenere una risatina nervosa.
Lui sgranò gli occhi,
meravigliato e quando rispose lo fece con entusiasmo, come se il mio buon umore
fosse riuscito a farlo tornare anche a lui:
- Naturalmente, non
c’è da chiedere!-
Ridacchiando e avvicinandosi
di nuovo continuò, allungandosi verso il mio piatto:
- Io invece ti rubo le
mozzarelle-
Ne prese un paio senza che
avessi ancora realizzato, per poi trasferire tutte le sue fettine di prosciutto
dal suo al mio piatto. Il mio sorriso si allargò ancora di più a quel suo
gesto.
Adoravo quel suo modo di
comportarsi tranquillo, sicuro e sempre pronto a tutto: giocoso e brioso tanto
quanto serio e riflessivo. Era come se al tempo stesso impersonasse un
ragazzino ed un adulto.
Continuammo a scambiarci gli
antipasti, scambiandoli di posto, rubandoceli in un coro di risate, incuranti
del fatto che al nostro tavolo ci fossero altre persone e di cosa queste
potessero pensare.
Non erano cose che in quel
momento ci toccavano.
Avevamo trovato un
equilibrio, un nuovo giochino da aggiungere al nostro e non ci facemmo scrupolo
di godercelo fino in fondo.
*
Premesso che solo i primi aggiornamenti
saranno così veloci (li ho già pronti ^^)
Ci tengo a ringraziare di cuore chiunque
passi di qui e riesca a leggere senza scappare a gambe levate **
Se poi lasciaste anche un mini commentino,
così per sapere com’è, mi farebbe ancora più piacere!! ^^
Mi pettinai i capelli con la
mano sinistra, tenendo al contempo il cellulare con la destra.
Avevo lasciato Edward pochi
minuti prima per rispondere alla chiamata di Angela: ero corsa in bagno, fermandomi
di fronte allo specchio. Doveva essere la terza volta che la mia amica mi
ripeteva la stessa cosa, eppure ancora non l’avevo capita: semplicemente
perché non l’ascoltavo.
Tutta la mia attenzione era
per l’immagine che lo specchio rifletteva: la guardai meglio, non
riuscendo a credere che fossi davvero io quella ragazza. Una ragazza felice.
Solamente quello: felice.
Studiai le mie guance
imporporate, gli occhi lucidi e luminosi, le labbra gonfie e rosse…
normalmente per ottenere un effetto del genere mi ci sarebbero volute ore di
lavoro massacrante, ed invece era possibile che la sola presenza di Edward al
mio fianco avesse potuto tanto?
Scossi la testa,
convincendomi di star dando i numeri: probabilmente avevo bevuto troppo e gli
effetti iniziavano già a sentirsi.
- Ho detto e ripeto
per l’ennesima volta che Mike non ti sta tradendo!-
Aggrottai le sopracciglia
afferrando finalmente le parole di Angela e con un sospiro sconsolato risposi
cercando di farle sentire tutto il mio sconforto:
- Lo sapevo già, Angy. Non
l’ho mai sospettato e lo sai anche tu-
- Sì, sì! Ma io da ottima
migliore amica quale sono, l’ho chiamato tipo quaranta volte in ufficio:
ha sempre risposto subito e verso la fine con voce alquanto stanca e depressa-
- Forse per colpa di certe
telefonate estenuanti?-
Mi fece il verso, sentendo
perfettamente l’ironia nella mia voce, per poi continuare, con tono
diverso: leggermente più curioso e carico di aspettativa.
- Che mi racconti? Sei sola
ad una All night long in fin dei conti! Fossi stata io ci avrei già
provato con tutti i maschi respiranti presenti, sposo compreso-
Ridacchiai, sapendo che era
la verità ed immaginandomi la scena. Prima di rispondere presi un bel respiro,
decidendo alla fine di raccontarle qualcosa: era pur sempre Angela!
- Io invece sto facendo un
bel giochetto sai? Un gioco di ruolo…-
Mi aspettavo una qualche
domanda impaziente in risposta ma questa non venne.
- E allora? Non mi chiedi
niente?!-
La sentii riscuotersi, come
se quasi non mi avesse ascoltata:
- Cosa? Oh, scusa, Bella!
E’ solo che da te non mi aspetto niente, sai com’è: tu sei la brava
ragazza. Tu non rischi, tu non provi, tu non fai niente che possa essere anche
solo un pochino compromettente! Se sapessi che poi non ci rimarrai male
aggiungerei anche che secondo me tu non vivi! Non lo dico però…-
Mormorò l’ultima frase
a voce bassissima, e attese che ribattessi in qualche modo.
Io non dissi niente. Fu lei
poco dopo a chiudere di colpo la conversazione, dicendo che il caporeparto si
era accorto della sua assenza e che doveva assolutamente scappare.
Non riuscivo a crederci.
Aveva… aveva detto che
non vivevo! Non vivevo!
Ma come si era permessa? Non
era affatto vero!
Tentai di ricordare
l’ultima volta che avevo fatto una pazzia: una di quelle di cui ti
vergogni al solo pensiero, di quelle per cui scoppi a ridere anche nei momenti
meno opportuni… quelle che un giorno avresti voluto raccontare ai tuoi
figli. E non me ne venne in mente nessuna.
Nemmeno una.
Con un movimento nervoso e
irato chiusi lo slide del cellulare, rimettendolo in borsa e mi affrettai fuori
del bagno, tornando in sala.
Era un’idea che mi era
appena venuta: me ne stavo già pentendo e proprio per questo sentivo di doverla
mettere in atto. Lo avrei assecondato.
Avrei tenuto il gioco a
Edward, come diceva lui però.
Da veri marito e moglie
innamorati, da novelli sposini impazienti di sentirsi per davvero.
E se questo implicava
languidi baci e appellativi svenevoli tanto meglio.
Presi posto, con Edward che
mi dava le spalle. Accostai la sedia alla sua e gli poggiai una mano sulla
spalla, facendola scorrere piano fino al fianco. Lo sentii sobbalzare
distintamente, preso del tutto in contropiede dal mio gesto. Quando si girò
però fui io a rimanere sorpresa.
Teneva seduta sulle
ginocchia una bimbetta di pochi anni: quattro, cinque al massimo.
Aveva lunghi capelli biondi
legati in due simpatiche trecce ed indossava un vestitino bianco e rosso che
non so perché mi ricordava Minnie. Era bellissima, con il suo visino tondo e
dolce e quei due occhioni neri, tanto da sembrare una bambolina da collezione.
- Ti presento Amanda,
tesoro-
Lasciai immediatamente il
fianco di Edward, sorridendo imbarazzata e sentendomi una stupida.
- Molto piacere Amanda, io
sono Bella. Hai conosciuto Edward, vedo-
La bambina mi sorrise
subito, illuminandosi tutta in viso. Allungò una manina verso di me e io
assurdamente mi ritrassi, quasi spaventata. Edward mi lanciò un’occhiata
indagatoria e poi, afferrata la bimba per la vita, la girò sulle proprie gambe
così da tenerla a cavalcioni.
- Oh, sì. Ci siamo
conosciuti poco fa: è stata Amanda a portare le fedi all’altare, lo sai
Bells? E poi è una bambina bellissima: assolutamente stupenda-
Continuai ad osservare la
scena con una strana sensazione al cuore: era magnifica.
Edward trattava la bimba con
un tatto a dir poco inimitabile, parlandole e guardandola dolcemente, tenendola
con cura ed attenzione. Era perfetto.
Avevo sentito dire da altre
donne di essersi innamorate perdutamente di alcuni ragazzi solo per il modo in
cui si comportavano con i bambini e fino a quel momento non avevo mai capito il
perché.
Almeno fino ad allora: poi
avevo visto Edward ed Amanda e finalmente avevo capito.
Era un’immagine che
scaldava il cuore, una di quelle che sembrano irreali nella loro perfezione.
Era come se la dolcezza che
lui dimostrava in quel momento, nei confronti della bambina, stesse facendo
impazzire i miei ormoni già sballati.
Quel sorriso, quello che
stava regalando alla damigellina, mi stava facendo letteralmente impazzire.
Ero ancora distratta nei
miei pensieri quando mi sentii tirare in piedi: alzai lo sguardo, notando solo
ora che Edward si era alzato e che Amanda non c’era più.
Lui mi sorrise caldamente,
stringendo la mia mano e tirandomi dolcemente verso di lui, fino a portarmi a
pochi centimetri di distanza dal suo petto:
- Ti va di ballare,
piccola?-
Rimasi qualche istante
incantata dal suo profumo: non ci avevo fatto caso e la cosa mi sorprese.
Era tremendamente
provocante. Come tutto in lui, del resto.
Poi capii con terrore:
sembrava fossi un’ assatanata, in piena crisi ormonale per di più.
Dovevo stare attenta.
- Lo prendo per un sì-
Non aspettò un attimo di
più, portandomi con sé sulla pista da ballo: enorme e ricoperta interamente da
parquet era già occupata da tantissime altre coppie.
Edward rimase fermo
inizialmente, come aspettando qualcosa, poi mi strinse con fare quasi
possessivo: con una mano prese la mia e con l’altra mi strinse la vita,
trascinandomi incontro a sé, facendomi poggiare la testa contro il suo petto
caldo.
Il mio cuore perse qualche
battito mentre si posizionava, con il suo profumo che mi offuscava la mente e
il battito del suo cuore a scandire il tempo che mi sembrava essersi bloccato.
Cominciammo a ballare con la
nuova canzone: un lento che non riuscii ad identificare, completamente fuori
dalla realtà. E ballava, Edward ballava.
Mi dissi che dovevo imparare
a non sorprendermi più e che non era tanto assurdo che un uomo sapesse ballare:
la cosa però mi colpì e tanto, soprattutto perché ballava tremendamente bene.
Io non feci altro che
seguire i suoi passi, assecondandolo sempre.
Fu lui poi a piegare la
testa verso il mio orecchio, per poter sussurrare:
- Ho sentito male o quella
di prima era una carezza?-
Non risposi, limitandomi a
carezzargli la mano con il pollice e solleticargli il fianco, sollevandogli di
un dito la camicia. Lui rabbrividì, colto di sorpresa e mi guardò negli occhi
per diversi minuti senza dire niente. La domanda che mi fece dopo, non me la
sarei mai aspettata:
- Vorresti avere figli?-
- Come?-
Lui scosse
impercettibilmente la testa, come pentendosi di avermi posto la domanda, poi
però continuò con un coraggio che sembrava non credere di possedere:
- Ho visto come guardavi
Amanda: con un misto di paura e desiderio. Soprattutto però mi sei sembrata
triste. Non mi piace vederti triste: devi sempre sorridere, dolcezza-
Una vampata di calore mi
avvolse mentre lo ascoltavo. Scossi la testa, rapidamente, cercando di
riprendermi e fargli capire che non ero triste: semplicemente non mi andava di
parlarne.
Non ora che le cose stavano
andando così bene.
Lui capì, come suo solito
sorrise ed annuì, stringendomi un po’ di più ed accarezzandomi la schiena
delicatamente. Sentii le gambe tremarmi e mi poggiai a lui con tutto il corpo:
di questo passo avrei rischiato di farmi venire un infarto prima della
mezzanotte.
- Sei astemio?-
Si irrigidì di colpo alla
mia domanda, non aspettandosela. Continuò a ballare come se non fosse successo
niente e solo quando lo sollevai il viso per guardarlo negli occhi, si decise a
rispondermi in un sussurro a mezza voce:
- Sì-
- Perché?-
Lo avevo chiesto con tono
innocente: in fondo la mia era pura e semplice curiosità.
Volevo conoscerlo meglio,
niente di più.
Annuì, come se si fosse
finalmente deciso a rispondermi:
- Uno scherzo. Ero uscito
con degli amici e avevamo bevuto, io più degli altri. La mattina dopo mi sono
svegliato nudo, al settimo piano di un palazzo, sulla scala antincendio-
Sgranai gli occhi, mentre mi
spiegava e rimasi sorpresa dalle sue parole: mi sembrava strano che un tipo
come lui avesse smesso di bere solo a causa di uno scherzo come quello.
Fu quando aggiunse
quell’ultima frase che capii:
- Soffro di vertigini-
Aprii la bocca come per dire
qualcosa ma non ne uscì niente.
Era terribile.
Non riuscivo nemmeno ad
immaginare come potesse essere svegliarsi talmente in alto, dopo una sbronza,
per chi soffre di vertigini. Doveva essersi preso un colpo, poverino.
- Questo non significa che
non bevo più, però. Non preoccuparti tanto. Tuttavia lo faccio solo se mi fido
davvero di chi è con me e in ogni caso non esagero mai-
Gli sorrisi, nella speranza
che il sorriso tornasse anche a lui: fortunatamente tornò.
Gli lasciai il fianco,
portando la mano verso il suo viso.
Fu più forte di me: un gesto
involontario.
Infilai le dita nei suoi
capelli, accarezzandoli piano e giocando con i ciuffi neri più lunghi.
I suoi occhi non
avevano lasciato i miei nemmeno per un istante e ormai iniziavo a temere di non
riuscire più a fare a meno di quel colore indefinito e assolutamente
incantevole.
In quel momento erano
trasparenti, come traslucidi e brillavano ogni volta che le mie dita gli
sfioravano il viso. Feci scendere lentamente la mano, percorrendo
l’intero contorno dell’orecchio, indugiando un po’ sul collo,
divertita dai suoi brividi leggeri.
Quando ricominciai a
risalire le sue labbra si schiusero di qualche millimetro, come se volesse dire
qualcosa. Ne uscì invece solo un sospiro represso, di felicità.
Gli presi il labbro
inferiore fra pollice ed indice, giocandoci per un po’ e solo dopo
qualche minuto lui si mosse, mordendo giocosamente il mio indice. Senza farmi
male, con affetto.
Vidi un lampo di desiderio
attraversargli gli occhi e quando si sporse verso di me, annullando il
dislivello che ci divideva, non mi spostai nemmeno di un millimetro.
Dovevo giocare, no?
Quale modo migliore che
assecondarlo?
Strinse la mia mano nella
sua, allontanandola piano dal suo viso e lasciandovi un leggero bacio.
Con un sorriso appena
accennato poi poggiò le sue labbra sul mio collo, risalendo piano, come avevo
fatto io. Quando arrivò all’angolo della bocca non respiravo quasi più.
Completamente in suo potere.
Mi sembrava di star vivendo
un momento non mio: uno di quelli che si osservano in terza persona, come
spettatori di un film o davanti alla pagina di un libro.
E invece no, era mio.
Non riuscivo a crederci:
tutte le sensazioni che provavo di solito erano amplificate alla decima
potenza, quasi non riuscivo a provarle tutte assieme. Temevo che il cuore mi
potesse scoppiare.
E così come tutto era
iniziato, tutto finì di colpo.
Con un solo grido, un unico
richiamo, la magia che si era creata sparì in pochi attimi.
Ci voltammo insieme verso la
ragazzetta minuta che aveva ci aveva chiamato, a pochi metri da noi,
riconoscendoci la nostra elfica vicina di tavolo. Ci lanciò uno sguardo che
oscillava fra l’imbarazzo ed il terrore e quando parlò lo fece con una
vocina piccolissima:
- Scu… scusate
l’interruzione: ma c’è un telefonino che suona al tavolo. Crediamo
sia vostro, non sapevamo se venire a chiamarvi o meno ma sarà la terza volta
che squilla e…-
Edward mi lasciò le mani,
scostandosi da me e rispose ad Alice con un sorriso rassicurante.
- Non preoccuparti hai fatto
benissimo: è il mio, vengo subito. Perdonatemi invece se vi ha infastidito, non
era assolutamente mia intenzione-
Detto questo si avviò a
passo svelto verso il tavolo, lasciando Alice e me indietro.
Lei scuoteva ancora la
testa, come incantata dal comportamento gentile di lui che invece aveva
lasciato me basito: non era da lui lasciarmi così. Non me lo aspettavo.
Lo osservai mentre guardava
il numero sul display e si avviava fuori dalla sala, verso l’atrio.
Non sapevo cosa fare: una
parte di me ancora confusa per quello che era successo poco prima, avrebbe
voluto tornare al tavolo e bere un paio di sorsi di vino; l’altra parte
invece, quella che si sentiva immotivatamente offesa, voleva seguirlo per vedere
con chi stesse parlando.
Forse era successo qualcosa
di grave, mi dissi mentre decidevo per la seconda.
Continuai a ripetermelo
uscendo dalla sala senza farmi notare, sapendo perfettamente al contempo che
era solo una scusa: una banalissima scusa. La verità era che ero gelosa.
Assurdamente,
inconsapevolmente, inopportunamente e indebitamente gelosa.
Sentii una voce dietro di
me, mentre mi chiudevo la porta alle spalle e notai solo in quel momento un
uomo che mi seguiva, guardandomi in modo strano.
Mi aveva chiesto di
mantenergli la porta e lo feci, senza dire niente, semplicemente impaziente di
poter trovare Edward. Lui passò e io lasciai andare la porta, continuando a
camminare per l’atrio cercandolo con lo sguardo: poco dopo sentii la sua
voce, ma non riuscivo ancora a vederlo.
- Tutto bene?-
Cercai di seguire la sua
voce, incamminandomi verso l’entrata e fu a metà strada che mi bloccai
intravedendolo finalmente seminascosto dietro una pianta: con le spalle
poggiate al muro ed il telefonino all’orecchio. Teneva lo sguardo basso e
non si accorse di me, continuando a parlare, giocando al contempo con i bottoni
della camicia, in un modo che trasudava nervosismo.
Non disse niente per un
po’, ascoltando la risposta dall’altra parte del telefono.
Prima di parlare ancora poi
si passò una mano fra i capelli, più volte, scombinandoli ed arruffandoli più
di quanto già non fossero. Riuscì solo a sembrare più bello di prima.
- Mi mancate lo sai?-
Lo aveva appena sussurrato e
io sentii un colpo nel petto, mentre una consapevolezza si faceva strada dentro
di me. Continuai ad ascoltare, sapendo perfettamente di non doverlo fare.
- Dà un bacio ai bambini da
parte mia-
Chiusi gli occhi, sentendo
il respiro farsi affannoso.
Non poteva essere.
Quando li riaprii ne ebbi la
conferma purtroppo: Edward aveva appena estratto la mano dalla tasca dei
pantaloni e giocherellava con qualcosa che aveva fra le dita.
Non mi ci volle molto ad
identificare quel piccolo oggettino dorato per quello che era.
- Ti amo anch’io-
Una fede nuziale.
*
Sono tornataa!!
^^
Siete contente??*Tutte scuotono il capo con decisione*
Hihi, no sul serio, volevo ringraziarvi….
Ma proooprioootantoo!! Uno
di quei grazie enormi ed infiniti!!
Non solo avete letto infatti, ma alcune
hanno anche commentato!! Angeli senza cui non avrei saputo come fare **
Siete troppo buone con me =D
Continuate così però mi raccomando:
consigli, correzioni, insulti… accetto di tutto!!
Ancora non riuscivo a farmene una ragione: era
sposato.
Lui… lui aveva una moglie! Aveva già una moglie!
E anche dei figli Santo Dio!
Io poi, cosa diavolo mi aspettavo?! Non dovevo
rimanerci male: non mi era concesso.
Ero sposata anch’io, perché tendevo a
dimenticarlo quella notte?
Mi poggiai al muro con la schiena, improvvisamente
stanca.
Mi sembrava di non riuscire più a sorridere.
Era uno stronzo. Nient’altro che uno stronzo.
- Qualche problema?-
Mi girai lentamente verso il
punto da cui era arrivata la voce, accorgendomi con sgomento che era a pochi
centimetri da me. Mi scostai di scatto, riconoscendo lo stesso uomo che era
uscito dietro di me. Non mi piaceva, per niente.
Aveva uno strano sguardo,
come se avesse bevuto troppo o semplicemente non ci stesse tanto con la testa.
In ogni caso nessuna delle due ipotesi mi piacque.
Scossi la testa e lui si
avvicinò pericolosamente.
Socchiuse gli occhi
completamente neri e si accarezzò con due dita la sottile barbetta sul mento.
- Ti va di venire con me,
bellezza?-
Scossi ancora la testa, con
decisione questa volta, facendo per allontanarmi.
Lui non me lo permise: con
una mano mi afferrò saldamente l’avambraccio, stringendolo violentemente.
Mi guardò con cattiveria, sorridendomi tetro:
- Non era davvero una
proposta, bambola. Voglio solo divertirmi, non preoccuparti. Ora usciamo e
andiamo in un bel posto-
Sentii un brivido di paura
pervadermi tutta mentre diceva quelle cose.
Lo guardai con terrore, rendendomi
conto che non scherzava per niente e che era davvero fuori.
Scossi ancora la testa,
disperatamente stavolta e cercai di divincolarmi dalla sua stretta.
Lui sembrò sul punto di
scoppiare a ridermi in faccia per quell’inutile tentativo e io stavo per
crollare quando una parola mi giunse alle spalle:
- Lasciala-
Riconobbi subito quella
voce.
Sospirai e sentii gli occhi
inumidirsi tanto era il sollievo di sentirla.
Mi ero completamente
dimenticata della sua presenza: Edward.
- Non mi hai sentito? La
signora ti ha già risposto: non vuole venire. Lasciala immediatamente-
Quasi stentai a credere che
fosse davvero Edward a parlare: c’era una vibrazione minacciosa e
tremendamente intimidatoria nella voce che mise paura anche a me.
Mi sembrava incredibile che
potesse cambiare tanto un modo di parlare: da che lo avevo sentito rivolgersi a
me sempre dolcemente, con un modo di fare gentile anche quando non doveva,
ascoltarlo ora che sembrava pronto a ricorrere alle mani mi stordì non poco.
L’uomo di fronte a me
non allentò la presa nemmeno un po’ e soltanto si voltò a guardare
Edward, ormai al mio fianco. Quando parlò lo fece con una voce strascicata e
monca, mangiandosi alcune lettere e unendo parole diverse fra di loro.
- Non ti impicciare
stronzetto. Non sono affari tuoi-
Edward rise di una risata
che metteva i brividi, breve e sarcastica.
- Non mi sono spiegato: hai
dieci secondi per lasciarla e sparire-
La presa sul mio braccio a
quelle parole si irrigidì, arrivando a sembrare quella di una morsa.
Mi lasciai sfuggire un
gemito quando le unghie dell’uomo mi penetrarono la carne, ma non passò
nemmeno un secondo che quell’accenno di dolore sparì del tutto.
Quasi non ebbi modo di
rendermi conto dello svolgersi delle azioni e solo in seguito riuscii a capire
cosa era successo: Edward non era più riuscito a mantenersi e aveva colpito
l’uomo.
Un sinistro micidiale.
Proprio sotto il mento, di
una potenza brutale.
Ogni pressione sul mio
braccio sparì e l’uomo crollò sul pavimento, momentaneamente fuori uso.
Edward al mio fianco
respirava con affanno, come se stentasse a trattenersi dal continuare a
pestarlo a sangue. Non riuscivo a trovarmi in disaccordo: quel rifiuto umano si
meritava quello e molto di più. Non era però il caso e tantomeno il luogo.
Sembrò arrivare a quelle
stesse conclusioni anche Edward: mi prese gentilmente a braccetto guidandomi
verso la porta del bagno. Lo seguii docilmente, ancora sotto shock.
Sentii distintamente il
gelido contatto con le piastrelle di marmo contro cui mi aveva fatto
appoggiare, eppure in quel momento non riuscivo a sentire nemmeno il freddo:
fissavo semplicemente due iridi di ghiaccio che non mi perdevano di vista
neanche per un istante.
Lui si fermò di fronte a me,
a meno di un respiro di distanza, reggendomi con le mani sui miei fianchi, come
se temesse che potessi svenire di lì a qualche minuto.
- Come stai?-
- Bene-
Avevo risposto subito, senza
pensarci. Ed ero convinta fosse la verità.
Non mi aveva fatto niente
quel bastardo: solo aveva una stretta un po’ pesante.
Quello gli dissi quando mi
ripose la domanda, con tono preoccupato e inquieto: non mi credeva e da come mi
osservava non dovevo avere un bell’aspetto.
Non era colpa
dell’energumeno, avrei voluto dirgli: la colpa è tua. Di te che non sei
altro che uno stronzo. Un maledettissimo stronzo.
- Non piangere, dolcezza-
Aveva detto anche altre
cose, di incoraggiamento sicuramente, per rassicurarmi.
Io non lo avevo sentito,
come al solito, distratta dai miei assurdi pensieri.
Non mi ero accorta di star
piangendo.
La cosa di cui purtroppo mi
accorsi però, fu l’effetto che mi facevano i pollici di Edward sulle
guance che si muovevano piano, asciugandomi le lacrime.
Le stava asciugando tutte,
con cura meticolosa.
E la cosa peggiore era che
il sentire la sua presenza lì, mi faceva tremendamente piacere.
Anche quel piccolissimo
gesto, dolce e delicato, mi stava facendo impazzire.
Ma non poteva essere così.
Non doveva essere così.
Lui era sposato.
E più di tutto, io ero
sposata!
Lanciai un’occhiata
alla fede che portavo all’anulare e fu un riflesso incondizionato
guardare anche la sua. Lui si accorse di quel mio gesto e ritrasse la mano,
come per nasconderla.
Si fermò giusto in tempo,
bloccandola a metà strada, lasciandola pendere sopra la tasca dei pantaloni,
con un dito appeso ai passanti della cintura.
- Sei sposato-
Non era una domanda, non era
un’affermazione.
Non sapevo nemmeno io
cos’era.
Lui non rispose, annuì
semplicemente, continuando a guardarmi negli occhi.
Lo odiai per quello: non
abbassò lo sguardo.
Non se ne vergognava, non si
vergognava di avermi mentito.
Fu proprio perché non
abbassò lo sguardo però che notai un lampo di dolore passare veloce per i suoi
occhi. Lì per lì comunque non ci feci caso, troppo sconvolta dalla mia
personale tragedia interiore per accorgermi che anche lui poteva starci
passando.
- Stronzo-
Continuai a ripeterlo,
alzando ogni volta un po’ di più la voce.
Non riuscivo a fermarmi: era
come se in quel modo sperassi che a soffrire non sarei stata più soltanto io.
Pretesa assurda, ma reale per me, assolutamente reale.
- Perché?-
Bastò quella domanda a
fermarmi. Mi zittii all’istante, guardandolo come se fosse pazzo.
Lo allontanai da me con un
gesto stizzito prima di rispondere, con rinnovato odio:
- Non me lo hai detto! Non
me lo hai detto! Mi hai fatto credere…-
- Cosa? Cos’è che ti
ho fatto credere? Ho parlato fin dall’inizio di finzione o sbaglio?-
Mossi qualche passo verso i lavandini,
poggiandomi a quel piano di marmo mentre parlava e la verità delle sue parole
mi colpiva appieno: aveva ragione.
Finsi di aggiustarmi i
capelli allo specchio, osservando la sua figura che mi dava le spalle percossa
da un leggero tremore. Osservai per un po’ il mio viso tornare a passare
da un bianco cadaverico ad un rosso diffuso. In fondo era meglio così, mi
dissi.
Era meglio che avessi
continuato ad avercela con lui, anche se non ce n’era ragione.
Non potevo fare la pace,
come fosse niente. Non dovevo.
Mi girai ancora verso di
lui, questa volta decisa a continuare la lotta.
- Dovevi dirmelo. Dovevi dirmi
che eri sposato!-
- Come si chiama tuo
marito?-
- Mike-
Non mi resi conto del
tranello implicito finchè non risposi alla domanda che mi aveva posto
placidamente, girandosi verso di me senza sorridere, con uno sguardo
malinconico.
- Sei sposata-
Era un’affermazione la
sua. Una pura e semplice constatazione.
- L’ho sempre saputo:
dal primo momento in cui ho visto la fede al tuo dito-
Continuò a parlare, con tono
di voce incolore, basso e mesto, passandosi una mano fra i capelli:
- Anche io portavo la fede:
non l’ho nascosta. Mai. Neppure un attimo. Se avessi prestato un
po’ di attenzione…-
Si bloccò, indeciso se
continuare o meno per quella strada che sapeva essere un mio punto dolente.
Preferì di no e cambiò tattica, alzando di qualche decibel il tono di voce,
avvicinandosi a me:
- Tu non l’hai voluta
vedere. Non volevi. Per questo non l’hai vista. Non puoi incolpare
me-
La porta del bagno si aprì
in quel momento, prendendo entrambi di sorpresa.
Entrò a passo svelto la
capo-iena che avevo conosciuto ad inizio serata: si accorse subito di noi e ci
lanciò diverse occhiate senza ritegno. Cercava di capire se fossimo sul punto
di fare qualcosa o se per caso avesse interrotto qualcosa, cosa di cui ero
sicura sarebbe stata solo felice.
Non si scusò, non disse
niente. Continuò a guardarci.
Edward uscì per primo,
rivolgendosi a me con un tono freddo ed impersonale che mi fece venire la pelle
d’oca. Le parole che disse erano in netta contrapposizione con la voce
che le pronunciò:
- Amore, ti aspetto in sala:
ormai avranno servito il primo. Non fare tardi mi raccomando, lo sai che non
resisto a lungo senza di te-
Rimasi bloccata sul posto,
non credendo alle mie orecchie.
Era una situazione assurda,
più di quanto non lo fosse stata fin dall’inizio.
*
Ed ecco un’altra
parte della storia ^^
Ora: devo dire
che inizio ad avere sempre più dubbi: cioè se la trovate noiosa, banale,
stupida…
… fatemi
sapere e la cancello subito! Perché non potrei proprio biasimarvi! =D
“Non hai idea di
chi ti sei messo contro, ragazzo”
- Sei tornata, finalmente!
Ero in procinto di venire a ripescarti io, bambolina -
Socchiusi gli occhi,
fissando il sorriso splendente di Edward: ah, no… così non andava proprio
bene: tu come mi avresti chiamata? Bambolina, forse?!
Sorrisi anch’io,
sadica, ricambiando falsamente la sua allegria.
Stava fingendo, no? Fingendo
di essere contento di vedermi…
… fingendo di aver
dimenticato che pochi minuti prima gli stavo urlando contro…
… fingendo che non
fosse successo nulla…
Non era così.
Io avevo urlato. Contro di
lui. E lui ero sposato.
Certo lo ero anche io e non
era un particolare irrilevante, ma quello era un dato oggettivo che in quel
momento non ero minimamente in grado di realizzare.
Sembrava quasi che Mike non
esistesse più mentre ero con lui.
Sembrava che non fosse mai
esistito o meglio desideravo inconsciamente che non fosse mai esistito.
Eppure Edward era sposato e
questo avrebbe dovuto precludermi qualsiasi sbaglio: io con lui non avrei
dovuto averci niente a che fare, assolutamente e categoricamente niente.
E se uscendo dal bagno mi
ero decisa a continuare la serata, come niente fosse, fingendomi sposata con
quella gran specie di stronzo… vedendolo era cambiato tutto.
Non potevo ignorare i
sentimenti contrastanti e per lo più ancora sconosciuti che mi tormentavano.
Certo non riuscivo ad
identificarli, ma erano sentimenti: potenti, trascinatori, ed era troppo che
non li provavo per davvero.
Mi sentivo finalmente viva.
E poi lui se ne era uscito
con… bambolina!
“Vuoi la guerra,
cucciolotto? E guerra sia”
- Perdonami trottolino,
prometto che non ti lascerò più solo -
Osservai compiaciuta la sua
espressione sorpresa, ignorando il silenzio appena calato sul tavolo.
Lui si avvicinò cautamente
con la sedia alla mia e io non feci niente per allontanarmi.
Con un braccio mi circondò
le spalle e piegando la testa vicino al mio collo sussurrò:
- Ho come avvertito un
po’ di acidità nel tuo tono, micetta -
Annuii impercettibilmente,
poggiando la mia mano sulla sua coscia: sentii un tremito percorrerlo e attesi
qualche secondo prima di rispondergli, sussurrando come lui.
- Ma che dici? Sono
rilassatissima: la perfetta e dolce mogliettina. Non trovi, cucciolotto? -
Avevo parlato piano,
scandendo ogni parola, sorridendo ed accarezzandogli al contempo la gamba: dal
ginocchio alla cintura, facendogli appena sentire i polpastrelli, leggeri e
veloci.
Lui non fiatò: non subito.
Sembrò quasi che stesse
trattenendo il respiro.
Di colpo mi bloccò la mano,
fermando il mio polso e tenendolo ben stretto:
- Non chiamarmi cucciolotto
-
Sollevai le sopracciglia,
fingendomi stranita per quella sua reazione.
Non era dovuta al nome, ne
ero sicura, quanto alla carezza: e quella consapevolezza mi diede la forza di
continuare il gioco, rispondendogli per tono.
- E perché mai? Non ti
piace? Eppure mi è sembrato che fossi stato tu ad iniziare… bambolotto -
Osservai il suo viso,
compiaciuta di me stessa: non mi ero mai considerata una persona combattiva,
vendicatrice… di solito tentavo di non pestare mai i piedi a nessuno:
seguivo il detto “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a
te”
Eppure ora, ora niente aveva
più senso.
Non stavo seguendo un piano,
non stavo pensando razionalmente.
Mi sentivo viva: una tigre
affamata.
E lui era la preda.
Edward mi fissò,
socchiudendo gli occhi, per poi lasciar andare il polso e sorridermi
candidamente.
- Hai ragione, chiamami
anche cucciolotto se ti va -
Contenni a stento la
sorpresa: si arrendeva? Si era già arreso?!
Deponeva così le armi?
Ma no! Non era giusto, non
poteva tirarmi un tiro tanto brutto: cos’è già mi conosceva a tal punto?
Già aveva capito che se lui non avesse lottato, avrei smesso anche io?
Sbuffai, cercando con tutta
me stessa di non cedere a quel sorriso. No. No, che non mi sarei arresa.
- Vino, tesoro? -
Sorrisi, sadica, sperando di
aver preso una buona decisione.
Sperando che non me ne sarei
pentita.
Mi voltai, con la bottiglia
di vino in mano, pronta ad incontrare lo sguardo di lui.
Indugiava, indeciso su cosa
rispondermi. Indeciso se rispondermi o meno.
E io sorrisi ancor di più,
inarcando un sopracciglio:
- Non ti va, amorino? Forse
non ti fidi di me? –
Qualcosa cominciò a farmi male
dentro, qualcosa che mi sembrava essere molto vicino alla zona del cuore.
Possibile? Possibile che già mi sentissi in colpa.
Certo che sì, mi risposi.
Perché? Perché sapevo di
star sbagliando.
- Sì, un po’ lo
accetto volentieri -
- Come? –
Sgranai gli occhi, fissando
i suoi disorientata. Cos’è che aveva detto?
Che voleva un po’ di
vino?
Scherzava, forse?
Fui io a tentennare questa
volta, non credendo a ciò che aveva detto. E lui mi venne in soccorso,
gentiluomo come sempre: strinse delicatamente la sua mano sulla mia e avvicinò
la bottiglia al suo bicchiere, versando piano.
Continuavamo a guardarci,
sfidandoci silenziosamente con gli occhi.
Quando tornammo a guardare
il bicchiere era ormai pieno fino all’orlo: ci fermammo insieme,
ritraendo la bottiglia e posandola al suo posto.
- Non devi se… -
Ecco che tornavo in me, mi
dissi.
Già pentita e spaventata
dalle mie azioni. Lui mi sorrise, scuotendo piano la testa.
Afferrò il bicchiere,
stringendolo fra le dita.
- Mi fido -
Non aveva nemmeno finito di
dirlo che portò il bicchiere alle labbra, svuotandolo tutto d’un fiato.
A stento mi trattenni dallo
spalancare la bocca.
Lo aveva fatto davvero:
aveva vuotato il bicchiere.
Lo aveva fatto.
Per me.
Aveva detto che si fidava,
di me. Perché?
Sentii le lacrime salirmi
agli occhi e smisi di guardarlo. Mi faceva troppo male.
Una ridda di sentimenti mi
stava invadendo: rabbia, amore, desiderio, sorpresa… ed era per lui.
Sperando di distrarmi avevo
cominciato a guardare i nostri vicini di tavolo e fu in quel momento che mi
resi conto della tensione che aleggiava su tutti: evitavano di guardarci negli
occhi, scambiandosi solo brevi parole.
A quanto pareva si erano
accorti tutti che qualcosa non andava.
E come biasimarli?
Inghiottii a vuoto, allungando
una mano tremante verso la bottiglia di vino.
Cosa dovevo fare?
Mi sentivo persa, totalmente
persa. Alla deriva.
- Balliamo? Ti prego -
Era stato un sussurro e lo
avevo a mala pena sentito: il suo fiato caldo mi aveva accarezzato il collo,
facendomi rabbrividire.
Come si faceva… come
si poteva dire di no a lui?
Senza rispondere mi alzai,
stringendo la mano che mi porgeva e seguendolo.
Senza guardarlo negli occhi.
Arrivammo al centro della
pista: era vuota. Non c’era nessuno a parte noi: tutti erano seduti ai
tavoli, in attesa dell’arrivo dei secondi piatti che era imminente.
Per qualche attimo fui presa
dalla foga di scappare, di sottrarmi subito a tutti quegli occhi che mi
fissavano sorpresi e curiosi. Feci anche per arretrare, diretta alla porta che
in quel momento mi attraeva più di quella del paradiso. Non riuscii a muovere
un passo, però.
La musica prese a suonare,
avvolgendo con noti dolci e trascinanti la sala.
Era una canzone che
conoscevo: la canzone che per il resto della vita avrei continuato ad amare ed
odiare incondizionatamente.
In the Arms of an Angel.
Struggente.
O almeno lo era in quel
momento: quando mi sembrava di non riuscire più a capire niente. Quando
l’unica cosa di cui ero certa, su cui riuscivo a contare, che mi sembrava
reale, era lui.
Mi aveva tirata a sé,
aumentando la presa sulla mia mano e stringendomi i fianchi con il
braccio.
Sollevai il viso e trovai il
suo.
A pochi centimetri dal mio:
a meno di un respiro da me.
Avvampai, riuscendo a stento
a respirare.
E lui sorrise, complicandomi
l’impresa. Sorrisi anche io, incapace di non farlo.
Era bellissimo ed era lì con
me.
Non mi importava altro.
Sollevai un braccio e lo
portai dietro il suo collo, poggiandomi a lui per rimanere in piedi.
Era il mio sostegno, forte e
luminoso. Non avrei potuto desiderare di più.
Quando piegò il viso verso
di me, un brivido riuscì a farmi tremare tutta. E dimenticai…
Dimenticai ogni cosa: gli
sguardi attorno a noi, la telefonata, le fedi, i battibecchi.
Non esisteva altro che lui
in quel momento.
Il suo viso, i suoi occhi,
il suo sorriso. Lui. Lui che mi stringeva.
Lui che mi stava facendo
ballare.
Lui che si fidava di me.
Lui che mi sorrideva.
E sentii gli occhi che mi si
inumidivano mentre piegato su di me, avvicinava le sue labbra alle mie.
- Pace? –
Sfiorai il suo naso con il
mio, godendo di quel contatto.
Mi persi nei suoi occhi,
convincendomi in quel momento che non avevo bisogno di altro.
A rispondergli fu il mio cuore.
- Pace –
*
Salve ! ^^
Tanto per cominciare, buon luglio a tutti! E
con questo è inteso anche buone vacanza, buon bagno, buon sole e tutti gli
annessi e connessi!
Mi sembra, sempre che non sbaglio (colpa del
sole) di avervi già parlato del mio confinamento in un paesino sperduto…
Ora come ora, sono ancora lì!
Non andate in ansia per me =D è oltremodo
divertente ritrovarsi a socializzare con quelli del luogo, stando qui però
c’è un lato oscuro della medaglia…
Niente Internet.
Niente connessione sta a significare niente
efp e quindi niente aggiornamenti.
E’ orrendo quello che vi sto facendo
lo so, proprio per questo avendo a disposizione solo pochi minuti mi sono
premurata di aggiornarvi almeno di un capitolo tutte le storie.
Per chi ne segue più di una, spero di aver
fatto bene, di non aver deluso nessuno.
E per chi ne segue solo una in particolare,
bè non so che dire: io di più non posso fare in questo momento… perché
non fate un azzardo allora e finito il capitolo non ne provate qualcun'altra di
storia? C’è la ben remota possibilità che vi vada a genio ^^
Lasciandovi, posso solo assicurarvi che
appena ho un minuto libero lo passo scrivendo.