Dodici ore di follia

di miseichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 19.30 ***
Capitolo 3: *** 20.23 ***
Capitolo 4: *** 21.05 ***
Capitolo 5: *** 22.15 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


twi prologo

 

All night long

 

Pioveva.

Non forte, non un vero e proprio diluvio: bastava ascoltare il cadere ritmico e lento per capire che era solo una lieve pioggerellina; una di quelle che vengono dette “azzuppa viddrani” perché quasi non ti accorgi che sta cadendo, almeno finché non senti i vestiti ormai fradici completamente incollati sulla pelle. Ecco, la pioggia che stavo osservando era una di quelle.

Continuai a tenere lo sguardo fisso fuori dal finestrino, muovendo leggermente la testa, inclinandola così da poter vedere chiaramente le sottili gocce che cadevano davanti a me.

Fu una schiarita di gola particolarmente marcata che mi riportò alla realtà, costringendomi a voltarmi per capire chi fosse tanto brusco in quel momento delicato da pretendere la mia attenzione.

Incontrai lo sguardo del tassista che mi fissava attraverso lo specchietto retrovisore: aveva un’aria tutt’altro che cordiale e continuava ad accennarmi con il mento verso l’esterno.

- Siamo arrivati! Glielo sto ripetendo da quasi un quarto d’ora: si decide o no a scendere!?-

La gentilezza in persona, pensai acida: che fastidio gli potevo mai dare?

Mossi la mano verso la borsa, cercando all’interno il portafogli ma lui mi fermò con una sottospecie di ringhio gutturale: tornai a guardarlo e lui sospirò scuotendo la testa sconfortato.

- Ha già pagato-

Annuii distrattamente, lanciandogli al contempo un’occhiata molto prossima alla disperazione.

Lui sembrò accorgersene e preso un bel respiro, si girò verso di me, guardandomi negli occhi e lisciandosi i lunghi baffi biondi. Spostò un attimo lo sguardo fuori dalla vettura, osservando con aria saputa il lussuoso hotel dall’altro lato della strada. Annuì, come se avesse capito tutto e dentro di me sperai fosse davvero così: avrebbe forse trovato un modo di farmi forza, chissà.

- Ricevimento importante, eh? Cos’è un anniversario, un matrimonio?-

Mossi impercettibilmente la testa alla seconda ipotesi, lui sorrise e prese un altro bel respiro prima di continuare, stava per dire qualcosa quando si interruppe di colpo. Studiai l’espressione del suo viso che cambiava piano: le labbra si strinsero in una sottospecie di ghigno e uno scintillio malizioso gli passò rapido negli occhi. Si sporse verso di me, superando di qualche centimetro lo spazio oltre i sedili, per poi sussurrare con voce roca:

- Se vuole, invece di andare ad un matrimonio a cui chiaramente non vuole essere presente, la porto con me da qualche parte, ci divertiamo…-

Spalancai gli occhi in un moto di sorpresa, ritraendomi istintivamente. Con un solo movimento aprii la portiera scendendo subito e chiudendomela altrettanto velocemente alle spalle.

Feci per attraversare immediatamente la strada, incurante della pioggia che effettivamente non sentivo, quando uno stridere forte e prolungato mi fece bloccare sul posto: mi girai quasi al rallentatore, alzando piano lo sguardo su una moto enorme ferma a pochi millimetri da me.

Ringraziai mentalmente tutti i santi che conoscevo, mentre con le gambe che mi tremavano mi poggiavo al taxi alle mie spalle. Poi ricordai il rumore dei freni e capii di essere invece in debito con il misterioso pilota che era stato tanto misericordioso da decidere di risparmiare la vita a quella ragazza con la testa non proprio a posto che attraversa senza guardare a destra e a sinistra.

Feci per dire qualcosa, anche solo un flebile grazie, ma non mi uscì un solo suono dalle labbra mentre studiavo la figura in moto: non riuscivo ad identificarvi niente, il viso coperto da un casco nero integrale e con la visiera oscurata. Lui fece arretrare la moto di qualche metro, per poi rivolgermi un cenno con il capo, come un saluto, ed allontanarsi silenziosamente.

Scossi la testa, cercando di contenere le emozioni che rischiavano di farmi implodere o peggio esplodere. Non potevo crollare, non ora che doveva iniziare ancora tutto.

Feci per attraversare, guardando ripetutamente se la strada fosse libera questa volta. Prima di entrare nell’enorme albergo però lanciai un’ultima occhiata al taxi ancora fermo dall’altra parte e vidi chiaramente l’autista sorridermi incoraggiante e salutarmi con la mano.

Imprecai a denti stretti mentre l’auto partiva: quel grandissimo figlio di buona donna con i baffi mi aveva presa in giro! Lo aveva fatto apposta a spaventarmi: per farmi scendere!

Aprii la porta ed attraversai l’atrio a passo svelto, nervosa ed irritata: raggiunsi il primo salone e mi fermai davanti ad un lungo tavolo bianco coperto di cartoncini plastificati. Iniziai a scorrerli con gli occhi: su ognuno c’erano nome e numero del tavolo. Trovai dopo poco il mio:

“Isabella Swan, tavolo dieci”

Lo presi e con un unico movimento afferrai anche quello posizionato giusto affianco al mio: quello di Mike, mio marito. Li misi entrambi in borsa, con un gesto stizzito.

Ero lì sola: Mike mi aveva lasciata sola! Non riuscivo ancora a crederci!

Che razza di marito ti lascia andare sola ad un ricevimento di nozze!?

Quasi mi veniva da piangere: sia chiaro che non sono il tipo di ragazza che non sa cavarsela da sola, anche se già in quei primi venti minuti mi sembrava di aver dimostrato l’esatto contrario, solo non mi andava di stare lì.

Non mi andava per vari motivi: perché non ero stata al matrimonio, tanto per cominciare. Che bisogno c’era quindi di invitarmi al ricevimento, dico io?!

Con un ghigno sadico pensai che era esattamente un’azione degna di Jessica, la sposa.

Jessica era il mio ex datore di lavoro: ci tengo a specificare ex!

Avevo pregato mille volte Mike di venire con  me o almeno di non costringermi ad andare, ma lui non mi aveva accontentata: non era potuto venire perché aveva un’importante riunione di lavoro e voleva che andassi perché altrimenti sarebbe sembrato sgarbato.

Gli lanciai varie imprecazioni mentali, avviandomi verso il salone principale. Non se le meritava forse, non riuscii ad evitarlo però. Qualunque donna di trentacinque anni, messa nella mia stessa posizione, avrebbe subito pensato che il marito aveva un’amante: semmai la segretaria in ufficio, e che mi aveva letteralmente costretta ad andare fuori città per avere campo libero.

Non io, però: Mike non era il tipo da tradimento. Ragazzo epico, come si dice: quello del liceo, sempre al mio fianco. Non mi avrebbe mai tradita, ne ero sicura: anche perché troppo pigro per farlo. Semplicemente e alquanto più noioso a dirsi, doveva veramente lavorare.

Mossi qualche passo tremante all’interno del salone, guardando sconvolta l’enorme stanza, a dir poco immensa, piena di tavoli e decorazioni bianche e rosa. Tutto estremamente chic ed estremamente costoso pensai allibita. Lanciai poi uno sguardo sulla miriade di persone che si muovevano confusamente fra i tavoli e le sedie: non conoscevo assolutamente nessuno e la cosa mi terrorizzava. Sì, perché non dico di essere sociopatica o asociale, ma socialmente inadeguata lo ero sicuramente ed io in una situazione come quella ci avrei potuto lasciare la pelle.

A farmi mancare l’aria successivamente, bloccandomi il respiro con brutalità, fu un’altra sconcertante scoperta: mi resi conto che tutti gli altri ospiti si aggiravano a coppie e lo sconforto più totale mi assalì. Non era possibile: non ce n’era uno che fosse da solo!

Continuai ad osservarmi attorno, spostando lo sguardo da giovani che si scambiavano effusioni a dir poco imbarazzanti, di quelli a cui va di gridare “Prendetevi una stanza!”, a quarantenni mano nella mano. Arretrai ancora, cercando una via di scampo che temevo di non avere.

E fu allora che vidi una porta beige con una minuscola scritta affianco: “Toilette”.

Con uno scatto da corridore professionista, rischiando di rompermi l’osso del collo per via dei tacchi troppo alti che portavo, mi diressi al bagno, nella speranza di trovarvi sollievo.

Entrai e mi poggiai con il respiro corto alla lunga fila di lavandini in marmo: guardai il mio riflesso nello specchio e l’immagine che vidi non mi confortò. Ricambiai lo sguardo terrorizzato che mi lanciavano i due occhi verdi nello specchio e con la mano cercai di ravvivare i lungi capelli neri.

Mi diedi qualche pizzicotto sulle guance, per riportare un po’ di colore sulle guance troppo bianche e mi inumidii le labbra con la lingua. Iniziai a tormentarmi gli orecchini: due piccoli cerchi brillantinanti, come facevo sempre quando l’ansia stava per avere il sopravvento.

Feci per lisciarmi il vestito nero quando sentii un movimento fuori la porta.

Senza alcun motivo mi infilai nella cabina più vicina all’uscita, chiudendomi dentro e smettendo quasi di respirare: sentii delle risate acute accompagnare l’entrata di alcune ragazze. Chiusi gli occhi, sperando di scomparire, mentre i loro discorsi arrivavano alle mie orecchie:

- Bellissimo ricevimento, vero?-

- Sì, assolutamente stupendo! Adoro poi il fatto che sia un “All night long”!-

Temetti di svenire sentendo quelle parole: me ne ero dimenticata! No! Dovevo scappare!

Non potevo rimanere: non ad un “All night long” per la miseria! Come avevo fatto a venire?

Andavano di moda quell’anno: ricevimenti che esattamente duravano per tutta la notte. Prima la festa con tanto di cena in un lussuoso albergo e poi festeggiamenti fino all’alba. Cosa fantastica per alcuni, e che in quel momento era sul punto di farmi venire una crisi isterica.

- Tuo marito è simpaticissimo, cara-

- Oh, niente in confronto al tuo ragazzo, Tanya-

- Non è il mio ragazzo, Carmen-

Avevo appena ripreso ad ascoltarle che già me ne ero pentita:

- Come non lo è?!-

Dopo qualche istante di silenzio, una risatina accompagnò la risposta:

- L’ho conosciuto stamattina e l’ho convinto a venire: sai com’è non potevo certo presentarmi da sola. Sarebbe stato a dir poco patetico e voi altre ragazze poi mi avreste mangiata viva!-

Sussultai, stringendo convulsamente l’orlo del vestito: lo sapevo! Non c’era modo di superare la serata: non da sola! Ero patetica e sarei finita in pasto alle iene…

Aprii la cabina e feci per uscire dal bagno a passo svelto, sperando che le ochette non mi notassero.

Tutto inutile: sentii un gridolino di sorpresa alle mie spalle e un ticchettare di passi al mio seguito.

Cercai di affrettarmi, ma ero appena nell’atrio e mi avevano già trovata:

- Aspetta: non ci siamo presentate!-

Disperata finsi di non aver sentito, ma ormai mi avevano raggiunta: l’intero gruppetto mi si parò davanti, squadrandomi dall’alto in basso con un’aria snob che mi fece venire la nausea.

Perché ero ancora lì? Non mi conosceva nessuno, potevo dire di aver sbagliato hotel e scappare.

- Io sono Tanya, lei Carmen e lei Laure. Tu sei?-

- Bella-

Avevo risposto?! Perché? Perché!?

- Bella, eh? Sei qui da parte di chi?-

- Della sposa: Jessica era la mia datrice di lavoro-

Stavo ancora parlando con loro, cosa mi saltava per la testa? Io e la mia innaturale sincerità… non ce la facevo proprio ad andarmene. Ne ero sicura ormai: non ne sarei stata capace.

Sarei rimasta lì: cibo per iene.

- Sei una giornalista allora! Che bello!-

- Sposata? E lui dov’è?-

Avevo annuito automaticamente alla prima domanda, rimanendo pietrificata alla seconda: cazzo.

Le vidi scambiarsi occhiate d’intesa, sembrava quasi sapessero già che ero sola: ma che avevano, un radar? Erano venute appositamente per tormentarmi?

Loro continuarono a fissarmi, chi con aria impietosita, chi spietata.

Arrossii probabilmente fino alla radice dei capelli, sentii gli occhi inumidirsi mentre prendevo a mordermi ferocemente il labbro inferiore: volevo andarmene, avevo bisogno di aiuto…

Feci per rispondere qualcosa, con un filo di voce tremante, quando l’espressione delle ragazze davanti a me mi confuse: sembrava che fossero sul punto di prendere a sbavare. Avevano spalancato tutte gli occhi e cominciato a fare mosse da donne in calore.

Fu in quel momento che sobbalzai sentendo un braccio avvolgermi la vita.

Non mi voltai subito e lo stesso braccio mi strinse forte, sorreggendomi gentilmente.

Le ragazze che avevo di fronte avevano smesso di respirare, guardandomi allibite: iniziarono a temere di aver sbagliato le loro previsioni.

Sentii l’inaspettato salvatore muoversi, spostandosi dietro di me, e abbracciarmi da dietro. Il suo mento si poggiò dolcemente sulla mia testa, poi sentii la sua voce: profonda, sensuale ed allo stesso tempo piena di gentilezza involontaria.

- Signore, buonasera a tutte. Scusate se vi rubo un attimo questa meravigliosa ragazza ma ho un improvviso ed irrefrenabile bisogno di mia moglie-

Continuando a stringermi per la vita mi fece girare, guidandomi verso il salone con sicurezza.

Rabbrividii quando sentii le sue labbra poggiarsi sul mio collo e avvicinarsi caute al mio orecchio:

- Edward, molto piacere-

 

*

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Capitolo 2
*** 19.30 ***


twi 1

 

All night long


* 19.30 *

 

Doveva essere uno scherzo.

Non c’erano altre spiegazioni. Per quale motivo altrimenti un perfetto sconosciuto mi si sarebbe avvicinato, salvandomi da un attacco calcolato di un gruppo di carogne?

Guardai ancora il ragazzo fermo di fronte a me: mi fissava con due occhi di un celeste talmente chiaro da essere disarmante nella sua innocenza. Era una finta però: bastava abbassare lo sguardo sulle labbra atteggiate in un sorriso malizioso e scaltro per capire che era tutt’altro che innocuo.

Era alto, almeno venti centimetri più di me; indossava quello che doveva essere uno smoking ma era incompleto: pantaloni neri che gli cadevano a pennello ed una camicia bianca, senza cravatta e con i primi bottoni aperti. Si intravedeva la pelle bronzea del petto e si intuivano chiaramente muscoli ben definiti sotto quel po’ di stoffa chiara.

Non aveva alcuna giacca ed era quello che stonava leggermente, distinguendolo dal resto degli uomini nella sala: tutti in nero dalla testa ai piedi.

Mi osservava silenzioso con un accenno di divertimento sul viso. Mosse la mano verso l’alto, portandola nei capelli neri che scompigliò con un gesto fluido, quindi si avvicinò a me leccandosi le labbra rosse che risaltavano particolarmente nel viso abbronzato.

Io arretrai spalancando gli occhi: ma che stava succedendo quella sera?

Lui sorrise, atteggiando il viso in un espressione rassicurante a cui non credetti neppure per un istante: non mi piaceva quel ragazzo. Era troppo.

Troppo attraente, troppo alto, troppo atletico, troppo bello, troppo sconosciuto, troppo tutto.

Soprattutto poi troppo giovane: non poteva avere più di venticinque anni e a dirla tutta non poteva essere veramente attratto da me! Doveva avere sicuramente un qualche giochetto in mente.

Scossi violentemente la testa, mentre mi rendevo improvvisamente conto di essermi dimenticata una cosa a dir poco fondamentale e che mai avrei dovuto dimenticare: ero sposata, santo Dio!

Lui rise, distraendomi dai miei pensieri: sembrava realmente interessato al mio comportamento che a quanto pareva non riusciva a spiegarsi. Si avvicinò ancora di qualche passo, facendomi arretrare fino a trovarmi con le spalle al muro. Lui mi bloccò ogni via di uscita posando le sue mani sul muro dietro di me: esattamente ai lati del mio collo, tanto vicine che riuscivo a sentirne il calore.

Presi un bel respiro, ricordando di trovarmi in un salone pieno di gente: non poteva succedermi niente. Non poteva succedermi niente. Sì, l’importante è crederci!

- Cosa vuoi da me?-

- Farti compagnia fino a domani mattina-

Rispose con naturalezza, come se la cosa fosse ovvia. Arrossii e abbassai lo sguardo, non riuscendo più a reggere il suo. Iniziai a temere che volesse approfittare di me in qualche modo: forse era un ricercato, forse doveva nascondere qualcosa, forse avrebbe tentato di violentarmi!

Sentii due dita sollevarmi il mento e incontrai i suoi occhi: mi studiavano assorti e impensieriti.

Quando parlò lo fece seriamente, con un tono che non ammetteva repliche e che non nascondeva niente: nessuno avrebbe potuto pensare che stesse mentendo.

- Non ho intenzione di farti niente: semplicemente ho fatto la grandissima stronzata di promettere allo sposo di essere qui stasera. E ancora peggio, sono venuto da solo. Non so se hai notato ma per superare una serata come questa bisogna essere per forza in due. Ora, mi è sembrato di capire che fossi sola anche tu: ti ho vista in difficoltà e sono intervenuto. Ti spiace?-

Scossi la testa, piano, senza smettere di fissarlo negli occhi.

No! No, che non mi dispiaceva! Oh, mio Dio… avrebbero dovuto ricoverarmi.

Lui sorrise, mostrando una fila di denti bianchissimi e accarezzandomi con un dito la guancia continuò:

- Mi permetti di essere tuo marito stanotte?-

Mai come in quel momento mi sembrò di essere impazzita.

Dovevo aver perso la testa, non c’erano altre spiegazioni.

Sicuramente dovevo essere ancora nella cabina del bagno, raggomitolata su me stessa, a versare amare lacrime. Perché era impossibile che un sensualissimo venticinquenne di nome Edward si fosse appena offerto di interpretare la parte di mio marito!

Cioè… dovevo star sognando: quella sarebbe stata semplicemente un’opportunità incredibile e inaspettata, ma soprattutto irrifiutabile, di concludere la serata a testa alta.

A me, Bella, non accadevano cose del genere.

Lui però era ancora davanti a me, sentivo ancora una scia infuocata sul punto in cui mi aveva sfiorata, avevo ancora i suoi occhi di cristallo fissi nei miei. Allungai con lentezza calcolata una mano verso il suo viso, sfiorandogli indecisa la guancia, come per accertarmi che fosse reale.

Sentii sotto il palmo un solleticare diffuso, un pizzicore dovuto a piccoli peli che cercavano di crescere; continuai a far scorrere le dita, arrivando fino al collo e fu a quel punto che la sua mano mi strinse il polso, fermando la mia. Lessi un accenno di tormento nei suoi occhi che scomparve però non appena sentii ancora la sua voce:

- E’ un sì o un no, Bella?-

Annuii, non sapendo più che fine avesse fatto la mia voce: sembrava essere scomparsa improvvisamente. Il sorriso di Edward mi stordì, abbagliandomi. La sua mano lasciò il mio polso e prese posto velocemente nella mia, stringendola forte.

- Andiamo-

Mi trascinò con sé verso i tavoli, senza darmi modo di fare o dire alcunché: era lui a condurre il gioco. Un gioco sbagliato, pericoloso, che non avrei dovuto fare.

Un gioco anche terribilmente eccitante, avrei dovuto aggiungere.

Pensai a Mike, bloccato nel suo ufficio e sommerso dai fascicoli e mi sentii in colpa: cosa stavo facendo? Mi ero trovata un marito sostituto. Si poteva o c’era qualche regola non scritta che lo vietava? Non ebbi modo di rispondermi che Edward si fermò di colpo.

Mi colse di sorpresa e quasi gli sbattei contro, lui ebbe ottimi riflessi però: mi sorresse immediatamente, mettendo le sue mani sui miei fianchi.

- Che tavolo hai, amore?-

- Il dieci-

La voce era tornata, ma lo stupore non se ne era andato: mi aveva chiamato “amore?”

Sorrisi fra me e me mentre raggiungevamo il tavolo, pensando alla risposta che mi ero data ancora una volta da sola: in fondo aveva ragione, eravamo sposati o no?

Edward lanciò un’occhiata ai segnaposto sul tavolo, trovò il mio e spostò la sedia per farmi sedere.

Rimasi sconcertata da quel gesto di cavalleria: quanto… quanto tempo era che qualcuno non faceva una cosa così per me? Lui mi sorrise ancora, sembrava quasi che non riuscisse a smettere.

Presi posto, accomodandomi e continuando a studiare i suoi movimenti: lui prese il segnaposto della posizione accanto alla mia e si allontanò velocemente. Qualche tavolo più in là scambiò due segnalini e tornò da me. Quindi poggiò il segnaposto appena preso e si sedette con un sospiro:

- Ora siamo allo stesso tavolo-

- Edward Cullen-

Lessi in un sussurro dal suo cartellino. Lui annuì, leggendo al contempo il mio e poi ridacchiò:

- Ah, tesoro, ma allora non hai voluto prendere il mio cognome!-

Sorrisi, contagiata dalla sua euforia: sembrava un bimbo a Natale, un bimbo bellissimo, certo.

Gerardo avvicinò la sua sedia alla mia, attaccandole quasi e mi avvolse con un braccio la vita.

Si piegò su di me, iniziando a baciarmi il collo languidamente. Io mi irrigidii di colpo: cosa diavolo stava facendo?! Si era parlato di fingere ma non…

- Bells, devi scioglierti… rilassati, dolcezza-

Feci per scostarlo brutalmente: non avevo alcuna intenzione di lasciarmi coinvolgere fino a quel punto in quella recita malsana. Marito e moglie sì, ma non in quel modo! Non erano quelli i patti!

Mi sentivo un’attrice da quattro soldi che per altro interpretava una parte già vista in milioni e milioni di film: solo che io non ne ero nemmeno in grado.

Ero sul punto di mollargli un sonoro ceffone, forte abbastanza da slogargli la mandibola, quando mi accorsi che tutte le altre sedie del tavolo si stavano riempiendo: presero posto i nostri quattro compagni e finalmente capii il perché del gesto di Edward.

Lo sentii ridacchiare vicino al lobo del mio orecchio mentre lo stringeva piano con i denti, attaccandosi ancora di più a me: a quel punto non riuscii più a fermarmi e mettendogli le mani sul petto tentati di allontanarlo. Lui oppose un po’ di resistenza, poi si staccò di buon grado con un sospiro abbastanza sonoro e mormorò, a voce bassa ma facilmente udibile dai presenti:

- Piccola, tu così mi farai impazzire-

Lo disse con un tono tale da farmi salire un brivido lungo tutta la schiena: ci volle tutta la mia forza di volontà per impedirmi di girarmi verso di lui. Ma non potevo farlo: sapevo che in quel caso il leggero rossore che mi colorava le guance avrebbe raggiunto livelli di allarme.

Mi distrassi invece, ignorando volutamente il suo braccio che mi stringeva e la sua mano che lentamente mi solleticava il fianco; mi concentrai sulle altre persone del nostro tavolo: con sollievo mi accorsi che non conoscevo nessuno e che non c’era nemmeno una ragazza del gruppo delle iene.

Con sconforto invece notai che fra i componenti delle due coppie, due dovevano avere all’incirca l’età di Edward e due la mia: mi assalì il solito senso di ansia mentre iniziavo a riflettere su cosa potessero star pensando di noi due che avevamo circa dieci anni di differenza.

- L’amore non ha età-

Sgranai gli occhi sentendo le parole che Edward mi aveva sussurrato: come aveva fatto a capire a cosa stessi pensando? Lo guardai con un misto di sorpresa e gratitudine: era riuscito con quattro parole ad arginare la mia crisi, lui mi sorrise e quindi si rivolse agli altri, cercando di eliminare il disagio che regnava su tutti.

- Non ci conosciamo, vero? Permettete che mi presenti: io sono Edward e lei è mia moglie Bella-

Si presentarono anche gli altri: il primo a parlare fu Jasper, il più giovane, che parlò anche per la sua fidanzata Alice; entrambi timidi e minuti sembravano usciti da un film di elfi: era come se fossero fatti di porcellana, sottili e delicati. Poi prese invece la parola Rosalie: alta, molto più di me anche senza i tacchi pensai con un briciolo di invidia, una cascata di capelli ricci e rossi ed una voce squillante; il marito era un omone calvo e leggermente sovrappeso, con un sorriso tanto bonario quanto ingenuo, che sembrava non respirasse nemmeno senza il permesso della compagna. Il genere di coppia di cui ci si chiede insomma “Cosa ci fa una come lei con lui!?”

Edward al mio fianco sembrava aver ascoltato gli altri per davvero, rispondendo e commentando cose da loro dette e a cui io non avevo prestato attenzione: uno dei miei tanti difetti è proprio quello di non riuscire a concentrarmi a lungo, finisco sempre per distrarmi prima del dovuto.

Ricominciai ad ascoltare la conversazione mentre gli uomini avevano appena cominciato un’accesa discussione sul calcio, cosa di cui non mi sorpresi affatto: avevo letto un articolo una volta, in cui si vedeva come il cervello dei maschi fosse unicamente diviso fra sport, auto, sesso e cibo.

C’era poi anche il relativo per le donne che avevo preferito non guardare.

- Ti vanno gli antipasti, Bells?-

Ritornai alla realtà con un sobbalzo, girandomi di scatto e trovando il viso di Edward vicinissimo al mio che mi guardava interrogativo. Cosa mi aveva chiesto?

Lui sembrò capire qualcosa, perché con un mezzo sorriso annuì fra sé e sé. Quindi si rivolse ad un cameriere appena alla mia destra di cui non mi ero per niente accorta, dicendo che due porzioni miste andavano benissimo, grazie.

Mentre il cameriere aspettava che anche gli altri ordinassero, Edward mi fece l’occhiolino, dandomi un bacetto a stampo e sussurrando a fior di labbra:

- Soffri di calo dell’attenzione, tesoro?-

Spalancai gli occhi al suo gesto, sentendomi ancor più a disagio, prima di rispondere con aria fintamente afflitta:

- Sì, la mia è a breve termine, che ci vuoi fare?-

Lui rise, cogliendo forse l’accento aspro nelle mie parole che non era dovuto alla sua domanda quanto al fatto che continuava a non mantenere alcuno spazio fra di noi.

Fece per rispondere ma venne interrotto da un altro cameriere che ci servì, poggiando due diversi piatti sul tavolo. Diedi un’ occhiata distratta al contenuto del mio, quasi completamente indifferente.

Aspettai che anche gli altri fossero pronti e infilzai una carotina con la forchetta. L’avevo appena messa in bocca quando Edward mi chiamò con un leggero pizzicotto che mi fece sobbalzare:

- Rosso o bianco?-

Accennò con il mento alle bottiglie di vino e mi rivolse uno sguardo interrogativo.

- Perché?-

Si avvicinò come suo solito, tanto da abbracciarmi quasi del tutto prima di sussurrare con il tono di chi spiega qualcosa di molto semplice ad un bambino molto piccolo:

- Sono tuo marito, ti sembra che non debba sapere che vino beve mia moglie? Come ti servo poi, tesoro? Non posso avere lacune di questo genere!-

Sorrisi, per poi sussurrare a mia volta, in tono quasi cospiratorio ed alquanto divertito:

- Bianco, allora. E tu?-

- Io no-

Si sporse per afferrare una bottiglia e riempì il mio calice: un bicchiere lungo e affusolato di vetro pregiato. Si accorse probabilmente della mia aria sconcertata alla sua risposta secca, perché poco dopo si decise a spiegare:

- Non posso bere, amore: poi mi prendo una bella sbronza e chi ci sta attento a te?-

Lo disse con sicurezza, come fosse una cosa normale e che aveva sempre fatto. Eppure non riuscii a credergli: non saprei dire il perché ma non mi sembrava fosse quella la verità, come se un qualcosa nei suoi occhi, per un momento non più limpidi come al solito, mi avesse lanciato un’avvisaglia.

Edward intuì che il discorso non era ancora finito e con un sospiro allontanò il braccio dal mio fianco per estrarre le posate dal suo tovagliolo.

Sorrisi, in parte divertita da come riuscisse a capire le mie intenzioni fin da subito e aprii la bocca per interrogarlo ancora. Non la feci però quella domanda: delle fette di prosciutto nel suo piatto mi distrassero, facendomi dimenticare il mio intento.

- Posso?-

Mi sentii ridicola nel momento stesso in cui lo domandavo: non ero mica una bambina, insomma. Non era normale che una cosa qualsiasi non in mio possesso potesse distrarmi a tal punto!

- Cosa?-

Edward mi guardò senza capire: era sorpreso che la domanda fattagli non fosse quella che si aspettava e non era riuscito a capire cosa volessi. Sorrisi imbarazzata, indecisa se continuare o meno, alla fine mi decisi per il sì: cosa avevo da perderci in fondo?

- Il prosciutto: io non ce l’ho-

Dissi tutto d’un fiato, riuscendo a mala pena a trattenere una risatina nervosa.

Lui sgranò gli occhi, meravigliato e quando rispose lo fece con entusiasmo, come se il mio buon umore fosse riuscito a farlo tornare anche a lui:

- Naturalmente, non c’è da chiedere!-

Ridacchiando e avvicinandosi di nuovo continuò, allungandosi verso il mio piatto:

- Io invece ti rubo le mozzarelle-

Ne prese un paio senza che avessi ancora realizzato, per poi trasferire tutte le sue fettine di prosciutto dal suo al mio piatto. Il mio sorriso si allargò ancora di più a quel suo gesto.

Adoravo quel suo modo di comportarsi tranquillo, sicuro e sempre pronto a tutto: giocoso e brioso tanto quanto serio e riflessivo. Era come se al tempo stesso impersonasse un ragazzino ed un adulto.

Continuammo a scambiarci gli antipasti, scambiandoli di posto, rubandoceli in un coro di risate, incuranti del fatto che al nostro tavolo ci fossero altre persone e di cosa queste potessero pensare.

Non erano cose che in quel momento ci toccavano.

 Avevamo trovato un equilibrio, un nuovo giochino da aggiungere al nostro e non ci facemmo scrupolo di godercelo fino in fondo.

 

*

 

 

Premesso che solo i primi aggiornamenti saranno così veloci (li ho già pronti ^^)

Ci tengo a ringraziare di cuore chiunque passi di qui e riesca a leggere senza scappare a gambe levate **

Se poi lasciaste anche un mini commentino, così per sapere com’è, mi farebbe ancora più piacere!! ^^

Un bacio e alla prossima!

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Capitolo 3
*** 20.23 ***


twi 3

 

All night long

 

* 20.23 *

 

- Non ti sta tradendo-

Mi pettinai i capelli con la mano sinistra, tenendo al contempo il cellulare con la destra.

Avevo lasciato Edward pochi minuti prima per rispondere alla chiamata di Angela: ero corsa in bagno, fermandomi di fronte allo specchio. Doveva essere la terza volta che la mia amica mi ripeteva la stessa cosa, eppure ancora non l’avevo capita: semplicemente perché non l’ascoltavo.

Tutta la mia attenzione era per l’immagine che lo specchio rifletteva: la guardai meglio, non riuscendo a credere che fossi davvero io quella ragazza. Una ragazza felice.

Solamente quello: felice.

Studiai le mie guance imporporate, gli occhi lucidi e luminosi, le labbra gonfie e rosse… normalmente per ottenere un effetto del genere mi ci sarebbero volute ore di lavoro massacrante, ed invece era possibile che la sola presenza di Edward al mio fianco avesse potuto tanto?

Scossi la testa, convincendomi di star dando i numeri: probabilmente avevo bevuto troppo e gli effetti iniziavano già a sentirsi.

- Ho detto e ripeto per l’ennesima volta che Mike non ti sta tradendo!-

Aggrottai le sopracciglia afferrando finalmente le parole di Angela e con un sospiro sconsolato risposi cercando di farle sentire tutto il mio sconforto:

- Lo sapevo già, Angy. Non l’ho mai sospettato e lo sai anche tu-

- Sì, sì! Ma io da ottima migliore amica quale sono, l’ho chiamato tipo quaranta volte in ufficio: ha sempre risposto subito e verso la fine con voce alquanto stanca e depressa-

- Forse per colpa di certe telefonate estenuanti?-

Mi fece il verso, sentendo perfettamente l’ironia nella mia voce, per poi continuare, con tono diverso: leggermente più curioso e carico di aspettativa.

- Che mi racconti? Sei sola ad una All night long in fin dei conti! Fossi stata io ci avrei già provato con tutti i maschi respiranti presenti, sposo compreso-

Ridacchiai, sapendo che era la verità ed immaginandomi la scena. Prima di rispondere presi un bel respiro, decidendo alla fine di raccontarle qualcosa: era pur sempre Angela!

- Io invece sto facendo un bel giochetto sai? Un gioco di ruolo…-

Mi aspettavo una qualche domanda impaziente in risposta ma questa non venne.

- E allora? Non mi chiedi niente?!-

La sentii riscuotersi, come se quasi non mi avesse ascoltata:

- Cosa? Oh, scusa, Bella! E’ solo che da te non mi aspetto niente, sai com’è: tu sei la brava ragazza. Tu non rischi, tu non provi, tu non fai niente che possa essere anche solo un pochino compromettente! Se sapessi che poi non ci rimarrai male aggiungerei anche che secondo me tu non vivi! Non lo dico però…-

Mormorò l’ultima frase a voce bassissima, e attese che ribattessi in qualche modo.

Io non dissi niente. Fu lei poco dopo a chiudere di colpo la conversazione, dicendo che il caporeparto si era accorto della sua assenza e che doveva assolutamente scappare.

Non riuscivo a crederci.

Aveva… aveva detto che non vivevo! Non vivevo!

Ma come si era permessa? Non era affatto vero!

Tentai di ricordare l’ultima volta che avevo fatto una pazzia: una di quelle di cui ti vergogni al solo pensiero, di quelle per cui scoppi a ridere anche nei momenti meno opportuni… quelle che un giorno avresti voluto raccontare ai tuoi figli. E non me ne venne in mente nessuna.

Nemmeno una.

Con un movimento nervoso e irato chiusi lo slide del cellulare, rimettendolo in borsa e mi affrettai fuori del bagno, tornando in sala.

Era un’idea che mi era appena venuta: me ne stavo già pentendo e proprio per questo sentivo di doverla mettere in atto. Lo avrei assecondato.

Avrei tenuto il gioco a Edward, come diceva lui però.

Da veri marito e moglie innamorati, da novelli sposini impazienti di sentirsi per davvero.

E se questo implicava languidi baci e appellativi svenevoli tanto meglio.

Presi posto, con Edward che mi dava le spalle. Accostai la sedia alla sua e gli poggiai una mano sulla spalla, facendola scorrere piano fino al fianco. Lo sentii sobbalzare distintamente, preso del tutto in contropiede dal mio gesto. Quando si girò però fui io a rimanere sorpresa.

Teneva seduta sulle ginocchia una bimbetta di pochi anni: quattro, cinque al massimo.

Aveva lunghi capelli biondi legati in due simpatiche trecce ed indossava un vestitino bianco e rosso che non so perché mi ricordava Minnie. Era bellissima, con il suo visino tondo e dolce e quei due occhioni neri, tanto da sembrare una bambolina da collezione.

- Ti presento Amanda, tesoro-

Lasciai immediatamente il fianco di Edward, sorridendo imbarazzata e sentendomi una stupida.

- Molto piacere Amanda, io sono Bella. Hai conosciuto Edward, vedo-

La bambina mi sorrise subito, illuminandosi tutta in viso. Allungò una manina verso di me e io assurdamente mi ritrassi, quasi spaventata. Edward mi lanciò un’occhiata indagatoria e poi, afferrata la bimba per la vita, la girò sulle proprie gambe così da tenerla a cavalcioni.

- Oh, sì. Ci siamo conosciuti poco fa: è stata Amanda a portare le fedi all’altare, lo sai Bells? E poi è una bambina bellissima: assolutamente stupenda-

Continuai ad osservare la scena con una strana sensazione al cuore: era magnifica.

Edward trattava la bimba con un tatto a dir poco inimitabile, parlandole e guardandola dolcemente, tenendola con cura ed attenzione. Era perfetto.

Avevo sentito dire da altre donne di essersi innamorate perdutamente di alcuni ragazzi solo per il modo in cui si comportavano con i bambini e fino a quel momento non avevo mai capito il perché.

Almeno fino ad allora: poi avevo visto Edward ed Amanda e finalmente avevo capito.

Era un’immagine che scaldava il cuore, una di quelle che sembrano irreali nella loro perfezione.

Era come se la dolcezza che lui dimostrava in quel momento, nei confronti della bambina, stesse facendo impazzire i miei ormoni già sballati.

Quel sorriso, quello che stava regalando alla damigellina, mi stava facendo letteralmente impazzire.

Ero ancora distratta nei miei pensieri quando mi sentii tirare in piedi: alzai lo sguardo, notando solo ora che Edward si era alzato e che Amanda non c’era più.

Lui mi sorrise caldamente, stringendo la mia mano e tirandomi dolcemente verso di lui, fino a portarmi a pochi centimetri di distanza dal suo petto:

- Ti va di ballare, piccola?-

Rimasi qualche istante incantata dal suo profumo: non ci avevo fatto caso e la cosa mi sorprese.

Era tremendamente provocante. Come tutto in lui, del resto.

Poi capii con terrore: sembrava fossi un’ assatanata, in piena crisi ormonale per di più.

Dovevo stare attenta.

- Lo prendo per un sì-

Non aspettò un attimo di più, portandomi con sé sulla pista da ballo: enorme e ricoperta interamente da parquet era già occupata da tantissime altre coppie.

Edward rimase fermo inizialmente, come aspettando qualcosa, poi mi strinse con fare quasi possessivo: con una mano prese la mia e con l’altra mi strinse la vita, trascinandomi incontro a sé, facendomi poggiare la testa contro il suo petto caldo.

Il mio cuore perse qualche battito mentre si posizionava, con il suo profumo che mi offuscava la mente e il battito del suo cuore a scandire il tempo che mi sembrava essersi bloccato.

Cominciammo a ballare con la nuova canzone: un lento che non riuscii ad identificare, completamente fuori dalla realtà. E ballava, Edward ballava.

Mi dissi che dovevo imparare a non sorprendermi più e che non era tanto assurdo che un uomo sapesse ballare: la cosa però mi colpì e tanto, soprattutto perché ballava tremendamente bene.

Io non feci altro che seguire i suoi passi, assecondandolo sempre.

Fu lui poi a piegare la testa verso il mio orecchio, per poter sussurrare:

- Ho sentito male o quella di prima era una carezza?-

Non risposi, limitandomi a carezzargli la mano con il pollice e solleticargli il fianco, sollevandogli di un dito la camicia. Lui rabbrividì, colto di sorpresa e mi guardò negli occhi per diversi minuti senza dire niente. La domanda che mi fece dopo, non me la sarei mai aspettata:

- Vorresti avere figli?-

- Come?-

Lui scosse impercettibilmente la testa, come pentendosi di avermi posto la domanda, poi però continuò con un coraggio che sembrava non credere di possedere:

- Ho visto come guardavi Amanda: con un misto di paura e desiderio. Soprattutto però mi sei sembrata triste. Non mi piace vederti triste: devi sempre sorridere, dolcezza-

Una vampata di calore mi avvolse mentre lo ascoltavo. Scossi la testa, rapidamente, cercando di riprendermi e fargli capire che non ero triste: semplicemente non mi andava di parlarne.

Non ora che le cose stavano andando così bene.

Lui capì, come suo solito sorrise ed annuì, stringendomi un po’ di più ed accarezzandomi la schiena delicatamente. Sentii le gambe tremarmi e mi poggiai a lui con tutto il corpo: di questo passo avrei rischiato di farmi venire un infarto prima della mezzanotte.

- Sei astemio?-

Si irrigidì di colpo alla mia domanda, non aspettandosela. Continuò a ballare come se non fosse successo niente e solo quando lo sollevai il viso per guardarlo negli occhi, si decise a rispondermi in un sussurro a mezza voce:

- Sì-

- Perché?-

Lo avevo chiesto con tono innocente: in fondo la mia era pura e semplice curiosità.

Volevo conoscerlo meglio, niente di più.

Annuì, come se si fosse finalmente deciso a rispondermi:

- Uno scherzo. Ero uscito con degli amici e avevamo bevuto, io più degli altri. La mattina dopo mi sono svegliato nudo, al settimo piano di un palazzo, sulla scala antincendio-

Sgranai gli occhi, mentre mi spiegava e rimasi sorpresa dalle sue parole: mi sembrava strano che un tipo come lui avesse smesso di bere solo a causa di uno scherzo come quello.

Fu quando aggiunse quell’ultima frase che capii:

- Soffro di vertigini-

Aprii la bocca come per dire qualcosa ma non ne uscì niente.

Era terribile.

Non riuscivo nemmeno ad immaginare come potesse essere svegliarsi talmente in alto, dopo una sbronza, per chi soffre di vertigini. Doveva essersi preso un colpo, poverino.

- Questo non significa che non bevo più, però. Non preoccuparti tanto. Tuttavia lo faccio solo se mi fido davvero di chi è con me e in ogni caso non esagero mai-

Gli sorrisi, nella speranza che il sorriso tornasse anche a lui: fortunatamente tornò.

Gli lasciai il fianco, portando la mano verso il suo viso.

Fu più forte di me: un gesto involontario.

Infilai le dita nei suoi capelli, accarezzandoli piano e giocando con i ciuffi neri più lunghi.

 I suoi occhi non avevano lasciato i miei nemmeno per un istante e ormai iniziavo a temere di non riuscire più a fare a meno di quel colore indefinito e assolutamente incantevole.

In quel momento erano trasparenti, come traslucidi e brillavano ogni volta che le mie dita gli sfioravano il viso. Feci scendere lentamente la mano, percorrendo l’intero contorno dell’orecchio, indugiando un po’ sul collo, divertita dai suoi brividi leggeri.

Quando ricominciai a risalire le sue labbra si schiusero di qualche millimetro, come se volesse dire qualcosa. Ne uscì invece solo un sospiro represso, di felicità.

Gli presi il labbro inferiore fra pollice ed indice, giocandoci per un po’ e solo dopo qualche minuto lui si mosse, mordendo giocosamente il mio indice. Senza farmi male, con affetto.

Vidi un lampo di desiderio attraversargli gli occhi e quando si sporse verso di me, annullando il dislivello che ci divideva, non mi spostai nemmeno di un millimetro.

Dovevo giocare, no?

Quale modo migliore che assecondarlo?

Strinse la mia mano nella sua, allontanandola piano dal suo viso e lasciandovi un leggero bacio.

Con un sorriso appena accennato poi poggiò le sue labbra sul mio collo, risalendo piano, come avevo fatto io. Quando arrivò all’angolo della bocca non respiravo quasi più.

Completamente in suo potere.

Mi sembrava di star vivendo un momento non mio: uno di quelli che si osservano in terza persona, come spettatori di un film o davanti alla pagina di un libro.

E invece no, era mio.

Non riuscivo a crederci: tutte le sensazioni che provavo di solito erano amplificate alla decima potenza, quasi non riuscivo a provarle tutte assieme. Temevo che il cuore mi potesse scoppiare.

E così come tutto era iniziato, tutto finì di colpo.

Con un solo grido, un unico richiamo, la magia che si era creata sparì in pochi attimi.

Ci voltammo insieme verso la ragazzetta minuta che aveva ci aveva chiamato, a pochi metri da noi, riconoscendoci la nostra elfica vicina di tavolo. Ci lanciò uno sguardo che oscillava fra l’imbarazzo ed il terrore e quando parlò lo fece con una vocina piccolissima:

- Scu… scusate l’interruzione: ma c’è un telefonino che suona al tavolo. Crediamo sia vostro, non sapevamo se venire a chiamarvi o meno ma sarà la terza volta che squilla e…-

Edward mi lasciò le mani, scostandosi da me e rispose ad Alice con un sorriso rassicurante.

- Non preoccuparti hai fatto benissimo: è il mio, vengo subito. Perdonatemi invece se vi ha infastidito, non era assolutamente mia intenzione-

Detto questo si avviò a passo svelto verso il tavolo, lasciando Alice e me indietro.

Lei scuoteva ancora la testa, come incantata dal comportamento gentile di lui che invece aveva lasciato me basito: non era da lui lasciarmi così. Non me lo aspettavo.

Lo osservai mentre guardava il numero sul display e si avviava fuori dalla sala, verso l’atrio.

Non sapevo cosa fare: una parte di me ancora confusa per quello che era successo poco prima, avrebbe voluto tornare al tavolo e bere un paio di sorsi di vino; l’altra parte invece, quella che si sentiva immotivatamente offesa, voleva seguirlo per vedere con chi stesse parlando.

Forse era successo qualcosa di grave, mi dissi mentre decidevo per la seconda.

Continuai a ripetermelo uscendo dalla sala senza farmi notare, sapendo perfettamente al contempo che era solo una scusa: una banalissima scusa. La verità era che ero gelosa.

Assurdamente, inconsapevolmente, inopportunamente e indebitamente gelosa.

Sentii una voce dietro di me, mentre mi chiudevo la porta alle spalle e notai solo in quel momento un uomo che mi seguiva, guardandomi in modo strano.

Mi aveva chiesto di mantenergli la porta e lo feci, senza dire niente, semplicemente impaziente di poter trovare Edward. Lui passò e io lasciai andare la porta, continuando a camminare per l’atrio cercandolo con lo sguardo: poco dopo sentii la sua voce, ma non riuscivo ancora a vederlo.

- Tutto bene?-

Cercai di seguire la sua voce, incamminandomi verso l’entrata e fu a metà strada che mi bloccai intravedendolo finalmente seminascosto dietro una pianta: con le spalle poggiate al muro ed il telefonino all’orecchio. Teneva lo sguardo basso e non si accorse di me, continuando a parlare, giocando al contempo con i bottoni della camicia, in un modo che trasudava nervosismo.

Non disse niente per un po’, ascoltando la risposta dall’altra parte del telefono.

Prima di parlare ancora poi si passò una mano fra i capelli, più volte, scombinandoli ed arruffandoli più di quanto già non fossero. Riuscì solo a sembrare più bello di prima.

- Mi mancate lo sai?-

Lo aveva appena sussurrato e io sentii un colpo nel petto, mentre una consapevolezza si faceva strada dentro di me. Continuai ad ascoltare, sapendo perfettamente di non doverlo fare.

- Dà un bacio ai bambini da parte mia-

Chiusi gli occhi, sentendo il respiro farsi affannoso.

Non poteva essere.

Quando li riaprii ne ebbi la conferma purtroppo: Edward aveva appena estratto la mano dalla tasca dei pantaloni e giocherellava con qualcosa che aveva fra le dita.

Non mi ci volle molto ad identificare quel piccolo oggettino dorato per quello che era.

- Ti amo anch’io-

Una fede nuziale.

 

*

 

 

 

Sono tornataa!! ^^

Siete contente??  *Tutte scuotono il capo con decisione*

Hihi, no sul serio, volevo ringraziarvi…. Ma prooopriooo tantoo!! Uno di quei grazie enormi ed infiniti!!

Non solo avete letto infatti, ma alcune hanno anche commentato!! Angeli senza cui non avrei saputo come fare **

Siete troppo buone con me =D

Continuate così però mi raccomando: consigli, correzioni, insulti… accetto di tutto!!

Solo fatemi sapere che ve ne pare fino ad ora ^^

Alla prossima,

Miseichan

 

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Capitolo 4
*** 21.05 ***


twi 3

 

All night long

 

* 21.05 *

 

Era sposato!

Ancora non riuscivo a farmene una ragione: era sposato.

Lui… lui aveva una moglie! Aveva già una moglie!

E anche dei figli Santo Dio!

Io poi, cosa diavolo mi aspettavo?! Non dovevo rimanerci male: non mi era concesso.

Ero sposata anch’io, perché tendevo a dimenticarlo quella notte?

Mi poggiai al muro con la schiena, improvvisamente stanca.

Mi sembrava di non riuscire più a sorridere.

Era uno stronzo. Nient’altro che uno stronzo.

- Qualche problema?-

Mi girai lentamente verso il punto da cui era arrivata la voce, accorgendomi con sgomento che era a pochi centimetri da me. Mi scostai di scatto, riconoscendo lo stesso uomo che era uscito dietro di me. Non mi piaceva, per niente.

Aveva uno strano sguardo, come se avesse bevuto troppo o semplicemente non ci stesse tanto con la testa. In ogni caso nessuna delle due ipotesi mi piacque.

Scossi la testa e lui si avvicinò pericolosamente.

Socchiuse gli occhi completamente neri e si accarezzò con due dita la sottile barbetta sul mento.

- Ti va di venire con me, bellezza?-

Scossi ancora la testa, con decisione questa volta, facendo per allontanarmi.

Lui non me lo permise: con una mano mi afferrò saldamente l’avambraccio, stringendolo violentemente. Mi guardò con cattiveria, sorridendomi tetro:

- Non era davvero una proposta, bambola. Voglio solo divertirmi, non preoccuparti. Ora usciamo e andiamo in un bel posto-

Sentii un brivido di paura pervadermi tutta mentre diceva quelle cose.

Lo guardai con terrore, rendendomi conto che non scherzava per niente e che era davvero fuori.

Scossi ancora la testa, disperatamente stavolta e cercai di divincolarmi dalla sua stretta.

Lui sembrò sul punto di scoppiare a ridermi in faccia per quell’inutile tentativo e io stavo per crollare quando una parola mi giunse alle spalle:

- Lasciala-

Riconobbi subito quella voce.

Sospirai e sentii gli occhi inumidirsi tanto era il sollievo di sentirla.

Mi ero completamente dimenticata della sua presenza: Edward.

- Non mi hai sentito? La signora ti ha già risposto: non vuole venire. Lasciala immediatamente-

Quasi stentai a credere che fosse davvero Edward a parlare: c’era una vibrazione minacciosa e tremendamente intimidatoria nella voce che mise paura anche a me.

Mi sembrava incredibile che potesse cambiare tanto un modo di parlare: da che lo avevo sentito rivolgersi a me sempre dolcemente, con un modo di fare gentile anche quando non doveva, ascoltarlo ora che sembrava pronto a ricorrere alle mani mi stordì non poco.

L’uomo di fronte a me non allentò la presa nemmeno un po’ e soltanto si voltò a guardare Edward, ormai al mio fianco. Quando parlò lo fece con una voce strascicata e monca, mangiandosi alcune lettere e unendo parole diverse fra di loro.

- Non ti impicciare stronzetto. Non sono affari tuoi-

Edward rise di una risata che metteva i brividi, breve e sarcastica.

- Non mi sono spiegato: hai dieci secondi per lasciarla e sparire-

La presa sul mio braccio a quelle parole si irrigidì, arrivando a sembrare quella di una morsa.

Mi lasciai sfuggire un gemito quando le unghie dell’uomo mi penetrarono la carne, ma non passò nemmeno un secondo che quell’accenno di dolore sparì del tutto.

Quasi non ebbi modo di rendermi conto dello svolgersi delle azioni e solo in seguito riuscii a capire cosa era successo: Edward non era più riuscito a mantenersi e aveva colpito l’uomo.

Un sinistro micidiale.

Proprio sotto il mento, di una potenza brutale.

Ogni pressione sul mio braccio sparì e l’uomo crollò sul pavimento, momentaneamente fuori uso.

Edward al mio fianco respirava con affanno, come se stentasse a trattenersi dal continuare a pestarlo a sangue. Non riuscivo a trovarmi in disaccordo: quel rifiuto umano si meritava quello e molto di più. Non era però il caso e tantomeno il luogo.

Sembrò arrivare a quelle stesse conclusioni anche Edward: mi prese gentilmente a braccetto guidandomi verso la porta del bagno. Lo seguii docilmente, ancora sotto shock.

Sentii distintamente il gelido contatto con le piastrelle di marmo contro cui mi aveva fatto appoggiare, eppure in quel momento non riuscivo a sentire nemmeno il freddo: fissavo semplicemente due iridi di ghiaccio che non mi perdevano di vista neanche per un istante.

Lui si fermò di fronte a me, a meno di un respiro di distanza, reggendomi con le mani sui miei fianchi, come se temesse che potessi svenire di lì a qualche minuto.

- Come stai?-

- Bene-

Avevo risposto subito, senza pensarci. Ed ero convinta fosse la verità.

Non mi aveva fatto niente quel bastardo: solo aveva una stretta un po’ pesante.

Quello gli dissi quando mi ripose la domanda, con tono preoccupato e inquieto: non mi credeva e da come mi osservava non dovevo avere un bell’aspetto.

Non era colpa dell’energumeno, avrei voluto dirgli: la colpa è tua. Di te che non sei altro che uno stronzo. Un maledettissimo stronzo.

- Non piangere, dolcezza-

Aveva detto anche altre cose, di incoraggiamento sicuramente, per rassicurarmi.

Io non lo avevo sentito, come al solito, distratta dai miei assurdi pensieri.

Non mi ero accorta di star piangendo.

La cosa di cui purtroppo mi accorsi però, fu l’effetto che mi facevano i pollici di Edward sulle guance che si muovevano piano, asciugandomi le lacrime.

Le stava asciugando tutte, con cura meticolosa.

E la cosa peggiore era che il sentire la sua presenza lì, mi faceva tremendamente piacere.

Anche quel piccolissimo gesto, dolce e delicato, mi stava facendo impazzire.

Ma non poteva essere così.

Non doveva essere così.

Lui era sposato.

E più di tutto, io ero sposata!

Lanciai un’occhiata alla fede che portavo all’anulare e fu un riflesso incondizionato guardare anche la sua. Lui si accorse di quel mio gesto e ritrasse la mano, come per nasconderla.

Si fermò giusto in tempo, bloccandola a metà strada, lasciandola pendere sopra la tasca dei pantaloni, con un dito appeso ai passanti della cintura.

- Sei sposato-

Non era una domanda, non era un’affermazione.

Non sapevo nemmeno io cos’era.

Lui non rispose, annuì semplicemente, continuando a guardarmi negli occhi.

Lo odiai per quello: non abbassò lo sguardo.

Non se ne vergognava, non si vergognava di avermi mentito.

Fu proprio perché non abbassò lo sguardo però che notai un lampo di dolore passare veloce per i suoi occhi. Lì per lì comunque non ci feci caso, troppo sconvolta dalla mia personale tragedia interiore per accorgermi che anche lui poteva starci passando.

- Stronzo-

Continuai a ripeterlo, alzando ogni volta un po’ di più la voce.

Non riuscivo a fermarmi: era come se in quel modo sperassi che a soffrire non sarei stata più soltanto io. Pretesa assurda, ma reale per me, assolutamente reale.

- Perché?-

Bastò quella domanda a fermarmi. Mi zittii all’istante, guardandolo come se fosse pazzo.

Lo allontanai da me con un gesto stizzito prima di rispondere, con rinnovato odio:

- Non me lo hai detto! Non me lo hai detto! Mi hai fatto credere…-

- Cosa? Cos’è che ti ho fatto credere? Ho parlato fin dall’inizio di finzione o sbaglio?-

Mossi qualche passo verso i lavandini, poggiandomi a quel piano di marmo mentre parlava e la verità delle sue parole mi colpiva appieno: aveva ragione.

Finsi di aggiustarmi i capelli allo specchio, osservando la sua figura che mi dava le spalle percossa da un leggero tremore. Osservai per un po’ il mio viso tornare a passare da un bianco cadaverico ad un rosso diffuso. In fondo era meglio così, mi dissi.

Era meglio che avessi continuato ad avercela con lui, anche se non ce n’era ragione.

Non potevo fare la pace, come fosse niente. Non dovevo.

Mi girai ancora verso di lui, questa volta decisa a continuare la lotta.

- Dovevi dirmelo. Dovevi dirmi che eri sposato!-

- Come si chiama tuo marito?-

- Mike-

Non mi resi conto del tranello implicito finchè non risposi alla domanda che mi aveva posto placidamente, girandosi verso di me senza sorridere, con uno sguardo malinconico.

- Sei sposata-

Era un’affermazione la sua. Una pura e semplice constatazione.

- L’ho sempre saputo: dal primo momento in cui ho visto la fede al tuo dito-

Continuò a parlare, con tono di voce incolore, basso e mesto, passandosi una mano fra i capelli:

- Anche io portavo la fede: non l’ho nascosta. Mai. Neppure un attimo. Se avessi prestato un po’ di attenzione…-

Si bloccò, indeciso se continuare o meno per quella strada che sapeva essere un mio punto dolente. Preferì di no e cambiò tattica, alzando di qualche decibel il tono di voce, avvicinandosi a me:

- Tu non l’hai voluta vedere. Non volevi. Per questo non l’hai vista. Non puoi incolpare me-

La porta del bagno si aprì in quel momento, prendendo entrambi di sorpresa.

Entrò a passo svelto la capo-iena che avevo conosciuto ad inizio serata: si accorse subito di noi e ci lanciò diverse occhiate senza ritegno. Cercava di capire se fossimo sul punto di fare qualcosa o se per caso avesse interrotto qualcosa, cosa di cui ero sicura sarebbe stata solo felice.

Non si scusò, non disse niente. Continuò a guardarci.

Edward uscì per primo, rivolgendosi a me con un tono freddo ed impersonale che mi fece venire la pelle d’oca. Le parole che disse erano in netta contrapposizione con la voce che le pronunciò:

- Amore, ti aspetto in sala: ormai avranno servito il primo. Non fare tardi mi raccomando, lo sai che non resisto a lungo senza di te-

Rimasi bloccata sul posto, non credendo alle mie orecchie.

Era una situazione assurda, più di quanto non lo fosse stata fin dall’inizio.

 

*

 

Ed ecco un’altra parte della storia ^^

Ora: devo dire che inizio ad avere sempre più dubbi: cioè se la trovate noiosa, banale, stupida…

… fatemi sapere e la cancello subito! Perché non potrei proprio biasimarvi! =D

Grazie comunque a tutte!

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Capitolo 5
*** 22.15 ***


4

All night long

 

* 22.15 *

 

 

“Non hai idea di chi ti sei messo contro, ragazzo”

 

- Sei tornata, finalmente! Ero in procinto di venire a ripescarti io, bambolina -

Socchiusi gli occhi, fissando il sorriso splendente di Edward: ah, no… così non andava proprio bene: tu come mi avresti chiamata? Bambolina, forse?!

Sorrisi anch’io, sadica, ricambiando falsamente la sua allegria.

Stava fingendo, no? Fingendo di essere contento di vedermi…

… fingendo di aver dimenticato che pochi minuti prima gli stavo urlando contro…

… fingendo che non fosse successo nulla…

Non era così.

Io avevo urlato. Contro di lui. E lui ero sposato.

Certo lo ero anche io e non era un particolare irrilevante, ma quello era un dato oggettivo che in quel momento non ero minimamente in grado di realizzare.

Sembrava quasi che Mike non esistesse più mentre ero con lui.

Sembrava che non fosse mai esistito o meglio desideravo inconsciamente che non fosse mai esistito.

Eppure Edward era sposato e questo avrebbe dovuto precludermi qualsiasi sbaglio: io con lui non avrei dovuto averci niente a che fare, assolutamente e categoricamente niente.

E se uscendo dal bagno mi ero decisa a continuare la serata, come niente fosse, fingendomi sposata con quella gran specie di stronzo… vedendolo era cambiato tutto.

Non potevo ignorare i sentimenti contrastanti e per lo più ancora sconosciuti che mi tormentavano.

Certo non riuscivo ad identificarli, ma erano sentimenti: potenti, trascinatori, ed era troppo che non li provavo per davvero.

Mi sentivo finalmente viva.

E poi lui se ne era uscito con… bambolina!

“Vuoi la guerra, cucciolotto? E guerra sia”

- Perdonami trottolino, prometto che non ti lascerò più solo -

Osservai compiaciuta la sua espressione sorpresa, ignorando il silenzio appena calato sul tavolo.

Lui si avvicinò cautamente con la sedia alla mia e io non feci niente per allontanarmi.

Con un braccio mi circondò le spalle e piegando la testa vicino al mio collo sussurrò:

- Ho come avvertito un po’ di acidità nel tuo tono, micetta -

Annuii impercettibilmente, poggiando la mia mano sulla sua coscia: sentii un tremito percorrerlo e attesi qualche secondo prima di rispondergli, sussurrando come lui.

- Ma che dici? Sono rilassatissima: la perfetta e dolce mogliettina. Non trovi, cucciolotto? -

Avevo parlato piano, scandendo ogni parola, sorridendo ed accarezzandogli al contempo la gamba: dal ginocchio alla cintura, facendogli appena sentire i polpastrelli, leggeri e veloci.

Lui non fiatò: non subito.

Sembrò quasi che stesse trattenendo il respiro.

Di colpo mi bloccò la mano, fermando il mio polso e tenendolo ben stretto:

- Non chiamarmi cucciolotto -

Sollevai le sopracciglia, fingendomi stranita per quella sua reazione.

Non era dovuta al nome, ne ero sicura, quanto alla carezza: e quella consapevolezza mi diede la forza di continuare il gioco, rispondendogli per tono.

- E perché mai? Non ti piace? Eppure mi è sembrato che fossi stato tu ad iniziare… bambolotto -

Osservai il suo viso, compiaciuta di me stessa: non mi ero mai considerata una persona combattiva, vendicatrice… di solito tentavo di non pestare mai i piedi a nessuno: seguivo il detto “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te

Eppure ora, ora niente aveva più senso.

Non stavo seguendo un piano, non stavo pensando razionalmente.

Mi sentivo viva: una tigre affamata.

E lui era la preda.

Edward mi fissò, socchiudendo gli occhi, per poi lasciar andare il polso e sorridermi candidamente.

- Hai ragione, chiamami anche cucciolotto se ti va -

Contenni a stento la sorpresa: si arrendeva? Si era già arreso?!

Deponeva così le armi?

Ma no! Non era giusto, non poteva tirarmi un tiro tanto brutto: cos’è già mi conosceva a tal punto? Già aveva capito che se lui non avesse lottato, avrei smesso anche io?

Sbuffai, cercando con tutta me stessa di non cedere a quel sorriso. No. No, che non mi sarei arresa.

- Vino, tesoro? -

Sorrisi, sadica, sperando di aver preso una buona decisione.

Sperando che non me ne sarei pentita.

Mi voltai, con la bottiglia di vino in mano, pronta ad incontrare lo sguardo di lui.

Indugiava, indeciso su cosa rispondermi. Indeciso se rispondermi o meno.

E io sorrisi ancor di più, inarcando un sopracciglio:

- Non ti va, amorino? Forse non ti fidi di me? –

Qualcosa cominciò a farmi male dentro, qualcosa che mi sembrava essere molto vicino alla zona del cuore. Possibile? Possibile che già mi sentissi in colpa.

Certo che sì, mi risposi.

Perché? Perché sapevo di star sbagliando.

- Sì, un po’ lo accetto volentieri -

- Come? –

Sgranai gli occhi, fissando i suoi disorientata. Cos’è che aveva detto?

Che voleva un po’ di vino?

Scherzava, forse?

Fui io a tentennare questa volta, non credendo a ciò che aveva detto. E lui mi venne in soccorso, gentiluomo come sempre: strinse delicatamente la sua mano sulla mia e avvicinò la bottiglia al suo bicchiere, versando piano.

Continuavamo a guardarci, sfidandoci silenziosamente con gli occhi.

Quando tornammo a guardare il bicchiere era ormai pieno fino all’orlo: ci fermammo insieme, ritraendo la bottiglia e posandola al suo posto.

- Non devi se… -

Ecco che tornavo in me, mi dissi.

Già pentita e spaventata dalle mie azioni. Lui mi sorrise, scuotendo piano la testa.

Afferrò il bicchiere, stringendolo fra le dita.

- Mi fido -

Non aveva nemmeno finito di dirlo che portò il bicchiere alle labbra, svuotandolo tutto d’un fiato.

A stento mi trattenni dallo spalancare la bocca.

Lo aveva fatto davvero: aveva vuotato il bicchiere.

Lo aveva fatto.

Per me.

Aveva detto che si fidava, di me. Perché?

Sentii le lacrime salirmi agli occhi e smisi di guardarlo. Mi faceva troppo male.

Una ridda di sentimenti mi stava invadendo: rabbia, amore, desiderio, sorpresa… ed era per lui.

Sperando di distrarmi avevo cominciato a guardare i nostri vicini di tavolo e fu in quel momento che mi resi conto della tensione che aleggiava su tutti: evitavano di guardarci negli occhi, scambiandosi solo brevi parole.

A quanto pareva si erano accorti tutti che qualcosa non andava.

E come biasimarli?

Inghiottii a vuoto, allungando una mano tremante verso la bottiglia di vino.

Cosa dovevo fare?

Mi sentivo persa, totalmente persa. Alla deriva.

- Balliamo? Ti prego -

Era stato un sussurro e lo avevo a mala pena sentito: il suo fiato caldo mi aveva accarezzato il collo, facendomi rabbrividire.

Come si faceva… come si poteva dire di no a lui?

Senza rispondere mi alzai, stringendo la mano che mi porgeva e seguendolo.

Senza guardarlo negli occhi.

Arrivammo al centro della pista: era vuota. Non c’era nessuno a parte noi: tutti erano seduti ai tavoli, in attesa dell’arrivo dei secondi piatti che era imminente.

Per qualche attimo fui presa dalla foga di scappare, di sottrarmi subito a tutti quegli occhi che mi fissavano sorpresi e curiosi. Feci anche per arretrare, diretta alla porta che in quel momento mi attraeva più di quella del paradiso. Non riuscii a muovere un passo, però.

La musica prese a suonare, avvolgendo con noti dolci e trascinanti la sala.

Era una canzone che conoscevo: la canzone che per il resto della vita avrei continuato ad amare ed odiare incondizionatamente.

In the Arms of an Angel.

Struggente.

O almeno lo era in quel momento: quando mi sembrava di non riuscire più a capire niente. Quando l’unica cosa di cui ero certa, su cui riuscivo a contare, che mi sembrava reale, era lui.

Mi aveva tirata a sé, aumentando la presa sulla  mia mano e stringendomi i fianchi con il braccio.

Sollevai il viso e trovai il suo.

A pochi centimetri dal mio: a meno di un respiro da me.

Avvampai, riuscendo a stento a respirare.

E lui sorrise, complicandomi l’impresa. Sorrisi anche io, incapace di non farlo.

Era bellissimo ed era lì con me.

Non mi importava altro.

Sollevai un braccio e lo portai dietro il suo collo, poggiandomi a lui per rimanere in piedi.

Era il mio sostegno, forte e luminoso. Non avrei potuto desiderare di più.

Quando piegò il viso verso di me, un brivido riuscì a farmi tremare tutta. E dimenticai…

Dimenticai ogni cosa: gli sguardi attorno a noi, la telefonata, le fedi, i battibecchi.

Non esisteva altro che lui in quel momento.

Il suo viso, i suoi occhi, il suo sorriso. Lui. Lui che mi stringeva.

Lui che mi stava facendo ballare.

Lui che si fidava di me.

Lui che mi sorrideva.

E sentii gli occhi che mi si inumidivano mentre piegato su di me, avvicinava le sue labbra alle mie.  

- Pace? –

Sfiorai il suo naso con il mio, godendo di quel contatto.

Mi persi nei suoi occhi, convincendomi in quel momento che non avevo bisogno di altro.

A rispondergli fu il mio cuore.

- Pace –

 

*

 

 

 

Salve ! ^^     

Tanto per cominciare, buon luglio a tutti! E con questo è inteso anche buone vacanza, buon bagno, buon sole e tutti gli annessi e connessi!

Mi sembra, sempre che non sbaglio (colpa del sole) di avervi già parlato del mio confinamento in un paesino sperduto…

Ora come ora, sono ancora lì!

Non andate in ansia per me =D è oltremodo divertente ritrovarsi a socializzare con quelli del luogo, stando qui però c’è un lato oscuro della medaglia…

Niente Internet.

Niente connessione sta a significare niente efp e quindi niente aggiornamenti.

E’ orrendo quello che vi sto facendo lo so, proprio per questo avendo a disposizione solo pochi minuti mi sono premurata di aggiornarvi almeno di un capitolo tutte le storie.

Per chi ne segue più di una, spero di aver fatto bene, di non aver deluso nessuno.

E per chi ne segue solo una in particolare, bè non so che dire: io di più non posso fare in questo momento… perché non fate un azzardo allora e finito il capitolo non ne provate qualcun'altra di storia? C’è la ben remota possibilità che vi vada a genio ^^

Lasciandovi, posso solo assicurarvi che appena ho un minuto libero lo passo scrivendo.

Un bacione a tutti!

 

 

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