The Last Game di Yoshiko (/viewuser.php?uid=1750)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un brutto presentimento ***
Capitolo 2: *** Se la verità è un incubo ***
Capitolo 3: *** Una decisione difficile ***
Capitolo 4: *** L'incontro ha inizio ***
Capitolo 5: *** Le cose si mettono male ***
Capitolo 6: *** Una visita inattesa ***
Capitolo 7: *** Verso la fine ***
Capitolo 8: *** Finalmente libera ***
Capitolo 1 *** Un brutto presentimento ***
Leaves Time
Personalmente non amo le
introduzioni quindi cercherò di essere breve ed essenziale.
Per la trama di questa ff (cioè per l’incontro
della sua parte centrale) ho preso spunto dalla partita di uno speciale
di Capitan Tsubasa (manga) pubblicato in Giappone. Tutti i personaggi
non originali di questa storia sono naturalmente © di
Takahashi Yoichi.
1. Un brutto presentimento
Pronto per uscire di casa, la borsa già
accantonata davanti alla porta, Holly tornò zoppicando ad
affacciarsi alla finestra del salotto che dava sul giardino e da cui
poteva vedere il vialetto d’ingresso e la strada. Strinse i
denti ad ogni passo perché la caviglia gli faceva un male
cane. Maledetta partita contro la Corea del Sud! Maledetto portiere che
gli era finito sul piede provocandogli una distorsione tanto banale
quanto dolorosa. Nonostante i sedativi di cui si era imbottito per
tutto il giorno in vista dell’incontro della serata, sentiva
fitte lancinanti pulsargli fin nel cervello. Non si era fatto niente di
grave, se avesse lasciato il piede a riposo sarebbe guarito in una
settimana, ma accidenti quanto faceva male! Dubitava seriamente di
riuscire scendere in campo tra poche ore: a parte la sofferenza non
proprio sopportabile, avrebbe finito per intralciare gli altri. Sapeva
che se avesse giocato i compagni gli avrebbero inevitabilmente passato
la palla e lui non era sicuro né di poter correre fino alla
porta né tanto meno di segnare. La partita di quella sera
era solo un'amichevole e non era importante che vincessero o meno.
Forse alla fine avrebbe davvero dato ascolto alla vocina che in un
angolo della testa gli vietava tassativamente di entrare in campo.
Del resto anche
il mister del Barçelona gli aveva consigliato-ordinato di
non peggiorare la situazione della sua preziosa caviglia (testuali
parole), indispensabile agli incontri della Lega spagnola. Holly scosse
la testa sconsolato e lanciò di nuovo un’occhiata
al vialetto. Nonostante tutto aveva cocciutamente preparato la borsa
ficcandoci dentro la divisa e tutto l’occorrente. E
l’avrebbe portata con sé. Se i medicinali
funzionavano (come il dottore gli aveva assicurato quella mattina)
avrebbe tentato di entrare in campo per una decina di minuti. Pochi ma
buoni, sperava. Si rese conto che nel giro di pochi istanti aveva
già rinunciato a dare ascolto alla voce della ragione. La
voglia di giocare era troppa, una partita così non sarebbe
più ricapitata.
Tornò
ad osservare il selciato del vialetto, fin sulla strada. Possibile che
Patty non fosse ancora lì? Era uscita da più di
un’ora promettendogli che sarebbe tornata in tempo per andare
allo stadio con lui e assicurandolo, se non avesse fatto in tempo, che
lo avrebbe avvertito e raggiunto più tardi. I giorni che la
ragazza poteva passare con la famiglia erano così pochi che
ogni volta che tornavano in Giappone cercava stare con i suoi genitori
il più possibile. Gettò un’occhiata
preoccupata all’orologio. Erano le cinque e mezza e tra pochi
istanti Benji e Tom sarebbero passati a prenderli per portarli a Tōkyō.
Dove accidenti era finita? Perché non chiamava per avvisarlo
che avrebbe tardato?
Si
guardò intorno alla ricerca del cellulare, deciso a
telefonarle. Lo individuò sul divano, lo recuperò
e riesumò il numero di Patty dalle ultime chiamate
effettuate. Attese qualche istante e chissà dove il
telefonino della ragazza cominciò a squillare.
Uno… due… tre… quattro… lo
lasciò suonare finché non cadde la linea. Patty
non aveva risposto. Che fosse nell’autobus e non
l’avesse sentito? Se era in ritardo perché non
chiamava? Scosse la testa e decise di riprovare, poi udì una
macchina fermarsi davanti casa e i passi di qualcuno sul selciato del
vialetto. Suonarono alla porta, Holly interruppe la chiamata e
zoppicò fino all’ingresso. Quando aprì
si trovò davanti il volto di Tom, l’espressione
tesa e preoccupata.
-Siete pronti?-
il ragazzo si guardò intorno alla ricerca
dell’amica.
-Io
sì, ma Patty non è ancora rientrata.-
-Ci raggiunge
più tardi?-
-Veramente doveva
venire con noi…- Holly scosse la testa -Non capisco che
accidenti di fine abbia fatto…-
-Sarà
rimasta bloccata nel traffico. C’è un casino
tremendo.-
Holly
afferrò la borsa, sapendo che non potevano perdere neanche
un minuto.
-Ho provato a
chiamarla ma al cellulare non risponde.- tirò fuori dalla
tasca le chiavi di casa e dopo essersi gettato un’ultima
occhiata intorno per controllare di aver spento tutte le luci, chiuse
la porta con due mandate e seguì Tom fino alla macchina di
Benji.
-Patty non
viene?- gli chiese anche lui quando aprì lo sportello e
poggiò la borsa a terra, dietro il sedile di Price.
Holly si
infilò dentro e richiuse la portiera.
-Sì,
doveva venire con noi ma non è ancora rientrata.-
Benji diede gas e
partì.
-Ci
raggiungerà a Saitama?-
-Immagino di
sì.-
-Come sta la
caviglia?- si preoccupò Tom seduto davanti.
-Non bene. Mi fa
male.-
Benji gli
lanciò un’occhiata attraverso lo specchietto
retrovisore.
-Non potevi farti
dare qualcosa?-
-Ho preso tanta
di quella roba che in teoria non dovrei sentir più neanche
la gamba…-
-Pensi di
giocare?-
-Non lo so. Ne
riparleremo allo stadio se e quando gli antidolorifici faranno
effetto.- Holly osservò fuori del finestrino le villette di
Fujisawa che scorrevano veloci oltre il vetro -Notizie degli
altri?-
-Ho chiamato
Julian.- Tom si volse a guardarlo -È già allo
stadio.-
-Solo?-
-No,
c’è Amy con lui.-
-Nessun altro?-
-Philip e Jenny
gironzolano per Tōkyō da stamattina. Ed, Mark e Danny li hanno
raggiunti e ora sono tutti a Saitama. Clifford e Sandy dovrebbero
arrivare a momenti e Bruce è sulla strada. Degli altri
già sai. Chi manca?-
-Patty.-
sbuffò Holly frugandosi nelle tasche, riacchiappando il
cellulare e componendo il numero della ragazza.
-Sarà
scappata con un altro.- buttò lì Benji,
fermandosi ad un semaforo e sospirando seccato -Quando si decideranno a
fare una superstrada? Non si può perdere tutto questo tempo
a girare tra le case!-
Tom
alzò gli occhi al cielo, sentendolo ormai lamentarsi
già da un po’. Sopportò stoicamente,
perché il nervosismo del portiere era più che
giustificato. A parte il fatto che era vero, per raggiungere la
capitale da Fujisawa ci voleva più di un’ora anche
se Tōkyō distava soltanto una quarantina di chilometri, la cosa
peggiore era che quella partita organizzata da un mister (Gamo) sempre
più megalomane, stava logorando i nervi a tutti da
più di due mesi. Più o meno cioè da
quando Marshall li aveva avvertiti che avrebbero giocato (il Giappone)
contro il resto del mondo. Lì per lì i ragazzi
non avevano neanche capito il senso della mail che tutti i componenti
della nazionale avevano ricevuto lo stesso giorno e alla stessa ora. Ne
era seguito un giro di telefonate nazionali e intercontinentali,
scettiche e incredule e alla fine i ragazzi avevano trovato la
spiegazione nel comunicato stampa che Gamo, per rispondere a tutti
senza dover sprecare una riga di suo, aveva faxato ai convocati. Quando
il progetto si era chiarito, finalmente era apparso in tutta la sua
assurdità. “Stiamo giocando alla
playstation?” era stata la domanda sensata di Mark. E non
s’era sbagliato di tanto.
Le regole erano
queste: primo, gli unici due giocatori che potevano e dovevano scendere
in campo per tutta la durata dell’incontro erano i capitani
di entrambe le squadre (Holly non si era ancora infortunato); secondo,
le formazioni del primo e del secondo tempo sarebbero state estratte a
sorte poco prima dell’inizio dell’incontro tra la
selezione dei convocati, la maggior parte dei quali di solito restava
in panchina come riserva. Questo aveva reso impossibile organizzare gli
schemi di gioco (a che pro allenarsi insieme a questo punto?) per cui
era più che certo che gli avversari li avrebbero fatti a
pezzi nonostante gli allenamenti massacranti a cui si erano sottoposti
ciascuno nella propria squadra. Ma allora (ed era la domanda silenziosa
o espressa che era passata sicuramente più di una volta
nella mente o sulla bocca dei ragazzi), invece di fare quella terribile
figura davanti al resto del mondo, perché non fissare la
solita formazione e giocare contro l’Italia, la Francia, il
Brasile, la Cina, la Tailandia, la Germania,
l’Argentina… insomma, contro tutte le squadre ma
una alla volta e con i titolari?
-Quanto pensate
che perderemo?- chiese Tom.
Benji si
passò una mano sulla guancia.
-Senza Holly e
contando che l’estrazione mi impedirà di essere
tra i pali durante tutti e due i tempi (sempre che riesca a giocarne
uno), se è Warner a sostituirmi per lo meno 6 o 7 a zero. Se
è Alan tremo all’idea.-
-Speriamo bene.-
sospirò Becker. Poi tornò a voltarsi indietro,
per metà impacciato dalla cintura di sicurezza -Holly? Tu
che dici?-
Il capitano mise
via il cellulare, tanto Patty continuava a non rispondere.
-Se scendo in
campo qualche goal vorrei provare a farlo e sono sicuro che Mark
è della mia stessa idea. Non mi sembra il caso di partire
già sconfitti.-
-Non penserai di
vincere?!- il portiere gli dedicò un’occhiata
scettica attraverso lo specchietto retrovisore.
-Quanto meno di
perdere con dignità.- sbuffò Holly, premendo il
tasto invio e portandosi il telefonino all’orecchio.
Benji gli
lanciò un’occhiata incuriosita.
-Niente?-
-Niente.-
Fu il cellulare
di Tom a squillare facendo sobbalzare Holly sul sedile.
“Tom?
Ci siamo tutti…” era Philip “O meglio,
mancate voi e gli altri di Fujisawa. Mica li avete visti?”
-No, ma credo che
stiano arrivando. Bruce e Paul sono partiti prima di noi. Se non
c’è traffico sulla strada tra poco saranno
lì e se non lo troviamo neanche noi entro un’ora
arriveremo a Saitama.-
“Va
bene. A dopo.”
Si
svegliò intirizzita e indolenzita. Socchiuse gli occhi e non
vide niente. Li spalancò e si ritrovò
nell’oscurità più completa. Sentiva
freddo. Tentò di muoversi ma non ci riuscì. Era
riversa su un pavimento gelido e umido, una benda sulla bocca le
impediva quasi di respirare, le mani erano serrate dietro la schiena e
legate intorno ai polsi, le gambe piegate erano bloccate alle caviglie
da una corda che la stringeva troppo. Sentiva qualcuno parlare senza
interruzione ma la testa le faceva male e non riusciva a distinguere le
parole. Tentò di nuovo di guardarsi intorno. Stavolta
riuscì a distinguere qualcosa, strizzando gli occhi
poté mettere a fuoco ciò che la circondava. Si
volse a fatica e dietro di lei scorse una luce azzurrina che si
muoveva, cambiando d’intensità. Impiegò
un tempo infinito per capire che stava fissando lo schermo di una
televisione e gliene servì ancora un po’ per
chiedersi cosa ci facesse una tv, accesa per giunta, in un posto come
quello. Ma che posto era quello? Si guardò intorno e non
riuscì a capirlo, sembrava soltanto molto freddo e molto
buio. E se la tv non aveva nessuna ragione di trovarsi in
lì, che ci faceva lei? Come c’era finita?
Provò a ricordare ma le fitte alla testa le impedirono di
concentrarsi. L’unica cosa che le tornò in mente
fu il supermercato in cui era entrata per fare la spesa. Alla cassa
c’era troppa gente e per paura di far tardi
all’appuntamento con Tom e Benji aveva cambiato idea ed era
uscita dopo aver riposto negli scaffali quel poco che aveva preso. Ma
poi? Si sforzò di pensare e si rivide raggiungere la fermata
dell’autobus. Cos’era successo poi? Non
riuscì a riordinare le idee. Il dolore alla testa si fece
insopportabile e premette la fronte contro il pavimento freddo in cerca
di un po’ di sollievo, gli occhi serrati e le labbra
socchiuse nel tentativo di respirare nonostante lo straccio che le
copriva la bocca. Ricordò che mentre camminava lungo il
marciapiede qualcuno le si era avvicinato chiedendole se fosse la
fidanzata di Oliver Hutton. Cercò di sopportare le fitte, il
disperato tentativo di ricostruire ciò che le era successo.
Aveva risposto di sì senza pensarci un attimo e quando aveva
voltato le spalle allo sconosciuto, si era sentita colpire
violentemente sulla nuca. In un istante la vista le si era annebbiata e
le gambe avevano ceduto senza che potesse farci niente. Aveva tentato
di aggrapparsi a qualcosa, poi si era accasciata a terra. Delle voci si
erano fatte vicine, le avevano chiesto se si sentisse male.
Respirò profondamente un paio di volte, le tempie le
pulsavano forte ma la voce di un uomo era stata più chiara
delle altre.
-Mia moglie ha
spesso dei capogiri… Ora la riporto a casa.-
Moglie? Quelle
parole le risuonarono nella testa e lo stesso senso di
incredulità che l’aveva attanagliata poco prima
tornò a riaffacciarsi. Lei non era la moglie di nessuno e
tanto meno di quello sconosciuto. Altre frasi avevano seguito
quell’affermazione, ma lei non era stata in grado di
replicare.
-È
sicuro di non voler chiamare un’ambulanza?- aveva insistito
la voce di una donna.
-Grazie, la mia
macchina non è lontana.-
Si era sentita
sollevare da terra e poi il buio più completo.
Cos’era
successo? Chi era quell’uomo? E dove l’aveva
portata? Aveva la gola riarsa e il bavaglio che le chiudeva la bocca
sapeva di sporco e di polvere. Un conato di vomito la scosse e gli
occhi le si riempirono di lacrime. Dov’era Holly?
Sentì
il cellulare squillare e sussultò. Riconobbe la propria
suoneria e si guardò intorno. Lo vide illuminarsi a pochi
metri di distanza, abbandonato a terra sotto la televisione. Con un
enorme sforzo cercò di trascinarsi fin là ma dopo
neanche un metro lasciò perdere esausta.
Chiuse gli occhi
e tornò a riflettere. Aveva visto lo sconosciuto in faccia?
No, non ricordava i suoi lineamenti. Non aveva fatto in tempo a
voltarsi. Di lui aveva sentito solo la voce che sicuramente non era di
qualcuno che conosceva. E allora?
Il telefonino
riprese a squillare e di nuovo Patty fece ogni sforzo possibile per
riuscire a raggiungerlo. Coordinando i movimenti e strisciando come un
verme, gli fu abbastanza vicina da veder comparire il nome di Holly sul
display. Lui la stava cercando. Che ore erano? La partita era
già cominciata? Era finita? Per quanto tempo era rimasta
priva di sensi?
Quando il
cellulare smise di suonare e la chiamata si interruppe, poté
leggere l’ora. Le sei e tre quarti. Holly era già
partito o la stava aspettando a casa? Se non l’aveva fatto e
Benji era stato puntuale a quest’ora dovevano essere quasi
arrivati a Saitama. Chissà se si era ricordato di prendere
tutto… Un altro piccolo sforzo e raggiunse il telefonino. Lo
guardò e si chiese per quale motivo avesse
faticato tanto per arrivarci. Non soltanto non poteva rispondere,
imbavagliata com’era, ma con le mani legate dietro la schiena
non sarebbe riuscita neppure ad afferrarlo. Si diede
dell’idiota. Appoggiò la fronte contro il suolo
umidiccio e sporco e tentò di riprendere fiato. La
televisione continuava imperterrita a trasmettere una
pubblicità dopo l’altra, ricordando ogni tanto
agli spettatori di mantenersi sintonizzati su quel canale
poiché tra poco (un’ora e mezza circa) sarebbe
stata trasmessa la “spettacolare partita che avrebbe visto
scontrarsi (parole del presentatore) la generazione d’oro del
calcio giapponese e quella altrettanto dorata di tutto il resto del
mondo”.
Patty intravide
l’immagine dello stadio di Saitama, davanti al quale i tifosi
erano in fila per entrare. Vista la calca dovevano esser lì
già da alcune ore. Sospirò. Anche lei avrebbe
dovuto essere lì, a vedere quella partita assurda senza
nessuna speranza di vittoria, a meno che la nazionale giapponese non si
strafacesse prima di scendere in campo. Partita inutile e
psicologicamente distruttiva. Da due mesi Holly quasi non riusciva a
chiudere occhio e anche se era troppo intelligente per ammetterlo con
se stesso e con gli atri, una piccola speranza di successo covava nel
suo orgoglio, impedendogli di rassegnarsi ad un risultato che non
sarebbe stato per niente favorevole. Questo almeno finché
non s’era fatto male. A quel punto ogni speranza era stata
infranta. A Bruce e a molti altri la preparazione pre-partita era
andata molto meglio: sicuri di perdere, i ragazzi avevano seguito i
duri allenamenti con più tranquillità e meno
tensione. Si mosse cercando una posizione meno dolorosa e si chiede di
nuovo per quale motivo fosse costretta ad assistere alla partita in
quel modo e in quel posto orribile. Chi l’aveva portata
lì? E soprattutto, perché?
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Capitolo 2 *** Se la verità è un incubo ***
Leaves Time
2. Se la verità
è un incubo
Benji si fermò nel parcheggio sotterraneo
riservato del Saitama Stadium. Holly aprì lo sportello e
scese dalla macchina, cominciando finalmente a realizzare quanto fosse
inutile continuare a far squillare a vuoto il telefonino di Patty. La
batteria si stava scaricando e basta. Se lei non rispondeva voleva dire
che le avevano rubato il cellulare oppure che lo aveva perso o infine
che non poteva farlo. E se non poteva farlo, perché?
Tom intuì la sua preoccupazione, gli mise una mano sul
braccio e lo guardò rassicurante.
-Vedrai che tra poco arriverà.-
Il capitano annuì non troppo convinto, né tanto
meno tranquillizzato, ma fu costretto a seguire zoppicando i due
compagni verso l’ascensore. Se almeno quella caviglia avesse
smesso di fargli male!
Benji premette il pulsante del secondo piano e osservò
pensieroso le porte richiudersi davanti a loro.
-Ci possono essere mille motivi per cui Patty è in ritardo e
non risponde…-
L’ascensore salì rapido, senza far rumore.
-Non tutti buoni.- borbottò Holly.
Mise piede per primo in una lunga sala ricoperta da una moquette
azzurra. In fondo, dove si apriva il corridoio che portava agli
spogliatoi, c’erano un angolo bar e una decina di tavolini,
per la maggior parte occupati.
-Come va la gamba?- gli domandò Julian prima ancora di
salutarlo perché lo vide avanzare a fatica verso di loro.
Holly si lasciò sfuggire una smorfia per niente entusiasta.
-Insomma.-
-Dov’è Patty?- Jenny era seduta accanto a Philip e
teneva tra le mani un bicchiere colmo di una bevanda giallo limone.
-Non lo so.- sebbene avesse stabilito pochi istanti prima che
continuare a chiamarla era inutile, il cellulare gli comparve di nuovo
tra le mani. Lasciò cadere a terra il borsone e si sedette,
il telefonino stretto tra le dita e gli occhi fissi sul display.
Julian e Amy, a tavolo accanto, si lanciarono un’occhiata.
-Non viene a vedere la partita?-
-Sì, avrebbe dovuto.-
I ragazzi continuarono a non capire ma sospesero il terzo grado perché Gamo
comparve nell’androne con il resto della squadra.
L’uomo si guardò intorno e quando i suoi occhi si
posarono su Holly, il suo volto si illuminò di un sorriso
entusiasta. Quando poi vide la borsa sportiva appoggiata ai piedi del
suo pupillo, raggiunse il settimo cielo.
-Ben arrivati.- li salutò -Ora sì che ci siamo
tutti. Siete pronti?-
-Come no…- bofonchiò Benji ancora in piedi. Era
troppo nervoso per riuscire a resistere seduto -Prontissimi.-
-Prontissimi a fare una bella figura di merda.- Mark scosse la testa
rassegnato e infastidito. A lui piaceva vincere, senza
“se” e senza “ma”.
Gamo non lo sentì, ma Julian sì e gli
lanciò un’occhiataccia. L’allenatore
guardò l’orologio.
-Ho ancora un paio di cose da dirvi. Lo farò mentre vi
cambiate.- sorrise ai suoi ragazzi e non notò che una
metà di loro alzava afflitta gli occhi al cielo.
Philip ingurgitò l’ultimo sorso di acqua e si mise
in piedi. Ma quando si accorse che Holly non si era mosso,
esitò a raggiungere gli spogliatoi insieme agli altri.
Teneva il cellulare tra le dita, i gomiti poggiati sul tavolo, e aveva
fatto partire per l’ennesima volta la chiamata. Jenny gli si
avvicinò incuriosita.
-Non risponde?-
Il ragazzo scosse la testa.
-Non lo sentirà.- tentò Amy.
Holly sospirò, riagganciò,
s’infilò il telefonino in tasca e
recuperò la borsa, sparendo lungo il corridoio insieme a
Callaghan.
Sentiva freddo perché non aveva più il golfino.
Se ne accorse soltanto iniziando a rabbrividire, il braccio nudo e
intirizzito a contatto con il pavimento. Dov’era finito?
Quando era uscita di casa lo teneva annodato intorno alla vita. Forse
nel trambusto le era caduto e lo aveva perso. Lo rimpianse.
L’aveva comprato insieme a Holly, era stato il suo regalo di
compleanno, non aveva neanche un mese. Si diede di nuovo della stupida.
Pazienza per il golfino, lo avrebbe ricomprato, forse nel negozio ce
n’erano ancora. In quel momento la sola cosa importante era
capire cosa stesse succedendo, capire perché si trovasse
lì (lì dove?) legata come un salame e soprattutto
chi ce l’avesse portata.
«Ricordiamo ai nostri telespettatori che tra meno di
un’ora su questa stessa rete verrà trasmessa in
diretta televisiva dal Saitama Stadium la partita di calcio
più avvincente del secolo che vedrà affrontarsi
la nostra nazionale e la squadra formata dai più grandi
talenti mondiali. Questo programma è presentato da Asahi
Beer, Coca-Cola, Adidas e Sony. Forza Nippon!»
Con quale entusiasmo il cronista lanciò il suo grido
d’incoraggiamento! Patty lo conosceva personalmente e se non
avesse avuto quello straccio schifoso sulla bocca le sarebbe sfuggito
un sorriso. Ogni volta che gli era stato possibile, il tipo aveva
partecipato alle interviste su suolo giapponese di Holly, di cui si
sosteneva fan sfegatato. Era senza ombra di dubbio il figlio di
qualcuno molto famoso visto che a soli venticinque anni era diventato
cronista ufficiale delle partite più importanti trasmesse in
tv. Eppure si trattava di una persona così
insignificante…
Dunque mancava meno di un’ora al fischio d’inizio e
se erano passate le sette si trovava lì da almeno due ore.
Il cellulare ricominciò a squillare e Patty alzò
di nuovo gli occhi sul display. Ancora Holly. Vista
l’insistenza con la quale la stava cercando doveva essere
preoccupatissimo. Come poteva avvertirlo che era nei guai fino al
collo? Si volse di schiena e provò a raggiungere il
telefonino con le mani legate. Lo sfiorò più
volte con la punta delle dita e quando riuscì a prenderlo
quello smise di suonare. Le scivolò e cadde a terra.
Sbuffando irritata e contorcendosi come gli acrobati cinesi,
riuscì a mettersi in ginocchio. Da quella posizione le fu
possibile capire qualcosa di più sul luogo in cui si
trovava. Il soffitto era alto e a volta, forse ricoperto di lamiera o
di vetro; il locale era spazioso a tal punto che il suo perimetro si
perdeva nell’oscurità. Intorno a lei alcune sagome
più scure sembravano casse ammonticchiate una
sull’altra. Casse di legno come quelle che si usano per
trasportare la merce sulle navi. Le aveva viste una volta impilate
sulla banchina di Yokohama quando era andata con Holly a prendere il
padre del ragazzo di ritorno dal suo ennesimo viaggio sulla Eiko Maru,
la nave che capitanava. Si guardò di nuovo intorno: sembrava
l’interno di uno di quei tantissimi magazzini della zona
commerciale del porto di Tōkyō o Yokohama. Quei magazzini in cui le
bande di teppisti si riunivano per pianificare le loro scorrerie. Ma
come c’era finita?
-Ti sei svegliata?-
Patty sussultò e si ritrasse impaurita. Poi si volse e
nonostante il buio riuscì a intravedere il profilo di un
uomo torreggiare ad un passo da lei. Avrebbe voluto chiedergli chi
fosse ma tutto ciò che riuscì ad emettere fu un
mugolio incomprensibile. Poi lo vide avvicinarsi. Un campanello
d’allarme le risuonò nella testa e quando
l’uomo allungò una mano verso il suo volto,
indietreggiò di scatto. Puntò i piedi sul
pavimento e cercò di sfuggirgli ma legata com’era
non riuscì praticamente a muoversi. L’uomo fece un
altro passo e la raggiunse. Quando la sua mano calò su di lei, serrò gli occhi e si rannicchiò su se stessa, trattenendo il fiato. Ecco, era finita!
Invece lui la liberò dal bavaglio. La stoffa sudicia e sporca le scivolò giù dalle guance e fu finalmente libera di respirare. Socchiuse gli
occhi per dare una sbirciata e si rese conto che l’uomo si
era allontanato senza farle del male. Il cuore smise di battere
all’impazzata e i muscoli tesi si rilassarono.
-La partita sta per cominciare.- lui indicò la tv -La vedremo insieme.-
Patty lo guardò senza capire, cercando di mettere a fuoco il
suo viso. Non ci riuscì, era troppo buio davvero.
Rinunciò e rifletté. Quell’uomo era
interessato alla partita? Le sembrò alquanto bizzarro, ma questo significava che almeno per novanta minuti sarebbe stata al sicuro
-Chi è lei?- la sua voce uscì in un sussurro
spezzato e fu costretta a ripetere.
La risposta fu immediata, condita da una mezza risata.
-Sarei uno stupido se te lo dicessi.-
Patty lo guardò, poi dovette ammettere che non aveva tutti i
torti. Lei, se fosse stata al suo posto, non si sarebbe certo
presentata. Provò con un’altra domanda, tanto ne
aveva molte da fare.
-Perché mi ha portata qui?-
-Perché il Giappone deve vincere a tutti i costi.-
-Non capisco.- ammise sgomenta. Che razza di spiegazione era?
Seguì con gli occhi l’uomo che le passava davanti
e andava a sedersi su una sedia di fronte alla tv. Non aveva notato la
sedia e non aveva notato neppure che la tv era appoggiata su una pila
di scatoloni di cartone. Guardò meglio. Forse non era una tv
ma un computer portatile.
-Capirai presto.-
-Per cui, anche se Holly non scenderà in campo o lo
farà per un tempo brevissimo…- concluse Gamo dopo
quasi un quarto d’ora di noiosissima e scontatissima predica
-Dovete lottare con tutte le vostre forze, impegnarvi al massimo e
vincere anche questa partita!-
Se non avesse temuto la reazione di un mister gasato e straconvinto di
ciò che aveva appena affermato, Benji gli sarebbe scoppiato
a ridere in faccia. Vincere? Scosse la testa. Come tutti i suoi
compagni anche lui odiava perdere ma era ancora abbastanza in
sé da capire che non avevano nessuna speranza di sconfiggere
quell’agglomerato di giocatori scelti tra i più
bravi del mondo. Lui si sarebbe impegnato al massimo per non far
entrare più goal di quelli che sicuramente avrebbero
incassato Warner o Crocker, ma non era superman e non aveva poteri
magici per far sorteggiare due volte il suo nome. Forse un polipo
sarebbe riuscito a mantenere la loro porta inviolata, ma non certo i
due altri portieri di riserva. Forse, se avesse potuto trasformarsi in
loro, avrebbe garantito un minimo di difesa; ma essendo solo un
normalissimo essere umano, non poteva fare proprio niente per risolvere
la situazione. Lanciò un’occhiata al capitano,
cercando di decifrare la sua espressione. Non riuscì proprio
a capire se fosse più preoccupato per Patty o per la
partita. L’unica cosa di cui fu certo era che se Holly avesse
avuto la possibilità di leggergli nella mente quei pensieri
disfattisti nati prima ancora del calcio d’inizio,
l’avrebbe strozzato.
Ascoltate le parole del mister, Julian e Philip si lanciarono
un’occhiata infastidita. Che significava quel
“anche se Holly non scenderà in campo dovete
combattere con tutte le vostre forze”? C’era
bisogno di dirlo? Possibile che dopo tanti anni Gamo non si fosse
ancora reso conto della realtà delle cose, vale a dire che quando il capitano era presente sgobbavano meno?
Con lui vincere una partita diventava una passeggiata. Pensava a tutto,
non dovevano neanche chiedersi a chi passare la palla perché
c’era lui lì, con il suo meraviglioso dono di
sistemare le cose in modo che filassero lisce come l’olio
anche quando erano sotto di dieci goal. Come sarebbe sicuramente
successo in questo caso. Dieci o forse quindici…
-Ora potete cambiarvi. Mi raccomando, non metteteci troppo.- Gamo
aprì la porta e li lasciò finalmente soli, liberi
di commentare (e distruggere) tutto l’ottimismo che aveva
fatto aleggiare sopra le loro teste.
-A volte mi chiedo se non sia troppo vecchio per questo
lavoro.- mormorò Patrick Everett -Secondo me
l’arteriosclerosi comincia a intasargli il cervello.-
-Già.- annuì Jason Derrik -Dovrebbe cominciare a
pensare alla pensione.-
-Forse ha ragione, però.- l’euforia di Danny
Mellow a volte era addirittura peggiore di quella di Holly -Forse un
goal riusciremo a segnarlo!-
-Sì, un goal.- acconsentì Clifford Yuma -Ma tra
un goal e vincere una partita ci sono almeno altri 85 minuti di gioco.
Senza contare quelli di recupero.-
-Non ci saranno tempi supplementari.- lo informò Julian
piatto, prima che continuasse su quella ripida discesa.
-Be’, meglio così.-
Dopo aver tentato di chiamare ancora la ragazza, Holly
infilò il cellulare nella borsa, diede un’occhiata
ai compagni demoralizzati e respirò a fondo un paio di
volte. Adesso era il suo turno di parlare e doveva farlo da capitano.
-Ok, ragazzi. Capisco anch’io che sarà una partita
dura e impegnativa…-
-Dì pure impossibile.- lo corresse Callaghan.
Holly annuì.
-Tutto quello che vuoi, Philip.- sospirò di nuovo
-Ma non possiamo scendere in campo con l’idea di perdere.
Anche oggi dobbiamo impegnarci come abbiamo sempre fatto e se non
riusciremo a vincere, almeno avremo dimostrato quel che valiamo!-
-Sono d’accordo con te.- annuì Rob Aoi che
comunque lo era sempre e a prescindere.
-Ci proveremo.- Mark si sfilò la felpa -Io
l’impegno ce lo metto e se siamo fortunati potrebbe andare
meglio di quanto ci aspettiamo.-
Sentendo un barlume di ottimismo cominciare a svolazzare tra gli amici, il
capitano annuì e aprì lo sportello dell'armadietto, segnalato dal proprio nome inserito nella taschina di metallo. Fece
per appenderci la felpa, poi si accorse che dentro c’era
già qualcosa. Fissò disorientato un mucchietto di
lana rosa appallottolato sul ripiano centrale, chiedendosi cosa fosse e
che diavolo ci facesse lì. Allungò una mano, lo
afferrò e quando lo tirò fuori un pezzo di carta
scivolò a terra.
-Cos’è?- Bruce tolse le mani dai jeans che si
stava sfilando, lo raccolse e lo lesse. Non capì.
Alzò gli occhi sul compagno -Che è? Uno scherzo?-
Stringendo in una mano quello che aveva riconosciuto come il golfino di
Patty, Holly prese il foglietto e se lo portò davanti agli
occhi.
“Se vuoi rivedere viva la tua ragazza devi vincere la
partita.”
Ebbe bisogno di rileggere almeno altre tre volte le parole stampate su
un banalissimo pezzo di carta bianca, prima che gli entrassero nel
cervello con tutto il loro sconvolgente significato.
Incuriosito dal suo silenzio, Benji gli
si avvicinò e gli tolse il foglietto di mano.
-Che roba è?-
Holly scosse più volte la testa, incredulo, scioccato, sgomento, quasi a voler tenere lontano da sé una realtà che non voleva accettare.
-No...- mormorò. Aprì il maglioncino della fidanzata e lo guardò, per assicurarsi che non fosse davvero il suo. Invece purtroppo lo era, non aveva dubbi. Lo avevano comprato
insieme, non poteva assolutamente sbagliarsi. Lo esaminò, lo
analizzò, lo scrutò con una tale attenzione che
ci mise un attimo ad accorgersi con orrore che non soltanto mancava un bottone, ma che una manica era macchiata
di sangue. Dalla caviglia gli salì fino alla testa un dolore
così lancinante che se Tom non l’avesse sostenuto e poi sospinto
verso una delle panche, sarebbe crollato a terra come una pera matura.
-Non è possibile!- le dita affondarono nella lana con tale
violenza che alcune maglie si allentarono -Non è
possibile…- i suoi occhi, fissi nel vuoto, erano spalancati di orrore.
Non era più in grado di vedere il volto di Benji, né
l’espressione stupita di Bruce. Non scorgeva i compagni. Insieme agli armadietti, le pareti dello spogliatoio e tutti i suoi occupanti erano spariti, inghiottiti dal nulla.
Philip si stava togliendo la camicia, ma l'espressione dell'amico lo scosse al punto che rimase con il terzo bottone tra
le dita, metà dentro e metà fuori
dell’asola.
-Che ti prende, Holly?-
Fu Benji a rispondere, ancora indeciso se ridere dello scherzo o prendere la notizia sul serio.
-Qualcuno ha rapito Patty e minaccia di farle del male se non vinceremo la partita.- frugò nella borsa di Holly e recuperò il cellulare. Spinse il tasto invio e tentò lui stesso di telefonare all’amica.
-Stai scherzando, Price? È impossibile vincere!-
Bruce allungò mesto a Landers il biglietto che il portiere aveva
posato sulla panca. Lui lo lesse e tornò ad alzare gli occhi su di loro,
ancora incredulo.
-È impossibile che qualcuno faccia del male a Patty solo per
una stupida partita! Sei sicuro che non si tratti di uno scherzo?-
Holly gli mostrò il maglione.
-È di Patty. Lo aveva oggi pomeriggio, quando
è uscita di casa.-
La linea cadde e Benji riagganciò. Ripose il cellulare nella
borsa di Holly, si sedette al suo fianco e tolse
l’avvertimento dalle mani di Mark. Gli gettò
un’occhiata e si grattò nervosamente una guancia
-Non risponde. E se quello che c’è scritto qui
è vero ora sappiamo anche il perché.-
Tom non riuscì a capacitarsi di
ciò che stava accadendo. >br>
-Tutto questo è assurdo, non riesco a crederci…-
L’amico lo guardò fisso negli occhi.
-Allora sei fortunato! Io invece non voglio crederci! Mi rifiuto di crederci!-
chinò il capo e si prese la testa tra le mani, i gomiti
appoggiati sulle ginocchia.
Ed si fece largo tra i compagni che circondavano il capitano.
-Non sarebbe il caso di avvertire la polizia?-
-La polizia…- gli fece eco Holly affranto -Cosa
può fare la polizia in un’ora e mezza? Come
può ritrovarla in una città immensa come Tōkyō?
Sempre che sia qui e non a Fujisawa.-
-Holly…- Tom si sedette al suo fianco e gli mise una mano
sulla spalla -Possono trovarla grazie al cellulare.-
-Pensi che lo abbia ancora lei?- il capitano sollevò
sull’amico un paio di occhi speranzosi e sconvolti.
-Certo, potrebbe. Perché no?-
-Ci penso io.- Julian indossò la felpa che si era appena tolto e
lasciò di corsa lo spogliatoio.
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Capitolo 3 *** Una decisione difficile ***
Leaves Time
3. Una decisione difficile
Patty cambiò dolorosamente posizione.
-Mi fanno male i polsi… Vorrei
dell’acqua…-
-Non ho acqua con me.- l’uomo le rispose senza voltarsi
neppure -E tra poco ce ne andremo.-
Patty sospirò. Ok, non voleva slegarla… ma la
gola le faceva male. La polvere che aveva inghiottito
gliel’aveva irritata e il bruciore era diventato
insopportabile. Tossì.
-Non riesco a respirare…- tentò ancora ed era
vero.ù
La risposta che ricevette fu secca.
-Non essere noiosa o ti imbavaglierò di nuovo.-
«Gentili telespettatori…»
gracchiò la tv «Ha ora inizio il collegamento con
il Saitama Stadium. Il nostro inviato si è recato nello
spogliatoio della nazionale per raccogliere i commenti pre-partita dei
nostri giocatori…»
-Oh, finalmente!- esclamò l’uomo.
Lo pensò anche Patty. Se doveva stare lì dentro a
morire di freddo, di sete e di noia, almeno voleva vedere il suo Holly.
Incollò gli occhi sullo schermo ma nonostante le promesse
del cronista, la telecamera si fermò inesorabilmente fuori
dello spogliatoio giapponese.
Tom s’era piazzato davanti alla porta impedendo a chiunque di
entrare.
«Tom Becker…» cominciò il
cronista con un tono di voce un po’ sorpreso. Forse si
aspettava di trovare Holly? Si riprese al volo (quello era il suo
mestiere) e continuò, passando subito alle domande,
costretto ad accantonare il panegirico che aveva imparato a memoria e
che avrebbe dovuto recitare per introdurre l’intervista a
capitan Hutton «C’è molto nervosismo
nello spogliatoio?»
«Sì, abbastanza.» rispose il ragazzo
«Ma siamo pronti (magari fosse vero!) a entrare in campo e
impegnarci al massimo come al solito.» un sorriso tirato
scalfì il suo volto.
«Grazie. Ma adesso…» lo
liquidò in un batter d’occhio «Vorremmo
parlare con Oliver Hutton e sentire cosa pensa di questa partita.
Sapevamo che non sarebbe sceso in campo a causa di un infortunio alla
caviglia ma ci è stato appena comunicato che invece
giocherà entrambi i tempi. Cosa gli ha fatto cambiare
idea?»
«In questo momento Oliver non rilascia interviste.»
La faccia dell’inviato sostituì quella di Tom al
centro dello schermo.
«Gentili telespettatori!» esordì con una
tale foga che Patty si tirò indietro con un sussulto
«Per la prima volta dall’inizio della sua
folgorante carriera il capitano della Nazionale si barrica
all’interno dello spogliatoio privandoci del suo
commento!» la faccia di Tom, che nel frattempo aveva cambiato
colore alle parole dell’uomo, ricomparve
all’interno della telecamera «Come mai questa
decisione?» insistette il giornalista «A cosa
è dovuta?»
«Stiamo per giocare una partita molto impegnativa.»
corse ai ripari il ragazzo salvando la situazione come poté,
senza fare il minimo accenno alle cattive condizioni della caviglia
dell’amico «E Oliver vuole scendere in campo
concentrato sul gioco. Alla fine dell’incontro
rilascerà tutte le interviste che vorrete.»
«E così, gentili telespettatori, il nostro
capitano ha improvvisamente cambiato idea, decidendo di giocare e
negandosi alla stampa. Ma noi, suoi accaniti fan, comprendiamo e
accettiamo la sua decisione sperando di riuscire ad avvicinarlo tra il
primo e il secondo tempo per…»
Dietro di lui Tom alzò gli occhi al cielo. Poi
aprì la porta dello spogliatoio sgusciando alle spalle del
giornalista che continuava il suo panegirico. L’operatore,
svelto, puntò la telecamera sulle spalle del ragazzo e per
un breve istante riuscì a inquadrare Holly seduto sulla
panca di fronte la porta, ancora in jeans e camicia. Con i gomiti sulle
ginocchia, si teneva la testa fra le mani e aveva lo sguardo fisso a
terra.
«Eccolo qui il nostro capitano!» esclamò
il giornalista quando la porta venne chiusa. L’operatore
attivò il fermo immagine e riempì lo schermo dei
telespettatori con la foto che era riuscito a rubare: Holly sulla
panca, la testa china e il volto nascosto tra le mani.
«A quanto pare la partita deve preoccuparlo parecchio! O
forse la caviglia gli fa più male di quanto voglia
ammettere…» un velo di sconcerto
trasparì nella sua voce, poi il suo entusiasmo prese di
nuovo il sopravvento «Certo, come tutti sapete, questa
è una partita difficile sia dal punto di vista tecnico (gli
avversari sono il meglio che ci sia al mondo), sia per
l’estrazione a sorte dei giocatori che precederà
l’entrata in campo delle due squadre.» La sua
faccia tornò a sostituire la foto di Holly
«Nessuno può sapere quale sarà la
formazione e questo metterà in difficoltà
entrambe le squadre, annullando alla radice qualunque schema e tattica
di gioco! E l’infortunio di Oliver Hutton aggrava
irrimediabilmente la situazione della nostra nazionale!»
Mentre l’inviato speciale continuava coi suoi commenti
idioti, ripensando all’inquadratura di Holly Patty si chiese
se il ragazzo non fosse venuto a sapere della situazione in cui lei si
trovava. Quando era uscita di casa e l’aveva visto per
l’ultima volta erano rimasti d’accordo che non
sarebbe sceso in campo, accontentandosi di assistere
all’incontro dalla panchina. Vero che il dottore gli aveva
dato degli antidolorifici abbastanza forti, vero che il giovane voleva
giocare anche solo per poche decine di minuti, ma lei, decisa ad
impedirglielo, dopo lunghe discussioni l’aveva convinto a non
farlo. Quella partita era una pagliacciata: non valeva la pena che
rischiasse di farsi male davvero solo per partecipare ad un incontro
che in ogni caso avevano poche speranze di vincere. E se anche adesso
il ragazzo aveva cambiato idea e, come aveva affermato il giornalista,
la partita richiedeva tutta la sua concentrazione, il reporter aveva
ragione. Era la prima volta in assoluto che Holly si rifiutava di
rilasciare un’intervista prima di scendere in campo. Trovarlo
accasciato su una panca con la testa tra le mani andava contro ogni
logica.
-Hai visto?- l’uomo rispose puntuale alla sua tacita domanda
-Hutton ha letto l’avvertimento che gli ho lasciato
nell’armadietto insieme al tuo bel golfino rosa.-
-Gli ha detto che mi tiene qui?-
-Certo che gliel’ho detto! Non hai visto che faccia? Si
è persino rifiutato di incontrare i giornalisti!-
Patty scosse la testa incredula.
-Cosa gli ha detto?-
Lui esitò.
-Penso che sia meglio che tu non lo sappia…- si
alzò e le si avvicinò, continuando a restare
immerso nell’oscurità -Vieni, è ora di
andare.- le girò intorno e si chinò alle sue
spalle per scioglierle la corda che le stringeva le caviglie. Poi
l’afferrò sotto le braccia e la mise bruscamente
in piedi. Il dolore alla testa si fece insopportabile, la vista le si
annebbiò e lei vacillò, rischiando di finire a
terra.
-Fai attenzione.- l’uomo la sostenne e la spinse verso il
buio più completo.
La ragazza non vide più niente. Inciampò un paio
di volte, l’ultima barcollò in avanti e
urtò il volto contro qualcosa di metallico, atrocemente
duro. Gemette, l’uomo la tirò indietro e
aprì lo sportello posteriore di un furgoncino nero.
L’aiutò a salire e poiché ci metteva
troppo, la spinse in avanti. Lei cadde in ginocchio sul pianale e
mentre si tirava su dolorante, udì lo sportello richiudersi
alle sue spalle. L’uomo tornò verso la
televisione, la spense e recuperò il cellulare della
ragazza. Oliver Hutton l’aveva chiamata ben dodici
volte… Sorrise e se lo ficcò in tasca.
Tirò fuori un mazzo di chiavi dalla tasca del cappotto e
salì al posto di guida. Mise in moto, accese i fari e
premette il pulsante di un piccolo telecomando che azionò
l’apertura della porta automatica del capannone.
Fuori era già notte e le luci della città
riflettevano nel cielo scuro un alone bianco-arancio.
Abbassò il piede sull’acceleratore e
guidò il furgoncino fuori del deposito. Aspettò
che la serranda si richiudesse, svoltò sulla banchina del
porto e la percorse quasi per intero. Poi imboccò la strada
principale e si inserì nel traffico della città,
accelerando bruscamente ogni volta che poteva, spinto dalla fretta di
raggiungere la sua meta il prima possibile.
Ad ogni curva Patty ruzzolava sul pavimento del vano posteriore,
urtando le pareti e i rari oggetti (la cui natura non riuscì
a identificare) che costellavano disordinatamente il suolo. Immersa di
nuovo nell’oscurità e gettata su un ripiano
scomodamente ruvido, rimpiangeva il capannone ogni volta che, spinta su
e giù dalla guida spericolata dell’uomo, le
schegge del legno mal tagliato che ricoprivano il pavimento del furgone
le si conficcavano nella carne. Se soltanto fosse riuscita a tenersi
dritta puntellandosi da qualche parte…
Solo quando il furgoncino si fermò, forse per un semaforo,
riuscì a mettersi in ginocchio. L’idea migliore di
quel giorno era stata indossare un paio di comodi jeans blu: con la
gonna si sarebbe massacrata le gambe. Appoggiò la schiena
alla parete laterale e tirò un sospiro di sollievo per
essere riuscita nell’impresa. Ma quando il furgoncino
ripartì con una sgommata, Patty perse l’equilibrio
e fu scagliata di lato, verso il fondo della vettura. Le mani legate
dietro la schiena non poterono proteggerle il viso e finì
contro gli sportelli posteriori. La serratura d’acciaio la
colpì tra la tempia e l’orecchio, sentì
il sangue impiastricciarle il viso e scorrerle lungo il collo, un
dolore così forte da svenire.
-Che diavolo stai facendo?- la voce adirata dell’uomo le
giunse attraverso la finestrella sbarrata che separava il vano merci
dalla cabina di guida.
Sopraffatta dal dolore, lei crollò a terra.
-Accidenti a te!- l’uomo colpì la parete con un
pugno -È inutile che ci provi, non riuscirai ad uscire.-
Se almeno avesse saputo che non aveva neanche tentato…
Una volta che i giocatori si furono cambiati, Jenny, Evelyn e Amy si
infilarono di nascosto negli spogliatoi e circondarono con la loro
sollecitudine un capitano completamente a pezzi. Non avrebbe potuto
capitargli niente di peggio prima di quella partita.
L’incontro si prospettava già fisicamente e
psicologicamente distruttivo ma adesso, con la mente e il cuore ridotti
in frantumi dalla preoccupazione, come avrebbe potuto affrontarlo?
-Sono certa che a Patty non succederà nulla…- gli
sorrise Amy rassicurante.
Evelyn annuì.
-La polizia riuscirà a trovarla, non preoccuparti.-
Ottimismo sprecato. Niente e nessuno poteva scacciare dalla sua testa
il brutto presentimento che gli aveva afferrato lo stomaco fin da
quando, ancora a casa, Patty non aveva risposto alla sua prima
telefonata.
-Io…- balbettò -Io non credo di essere in
grado…- ammise, lasciando i compagni esterrefatti.
-Gli antidolorifici non hanno funzionato, eh?-
Il capitano alzò gli occhi su Benji.
-Già… Ma non è solo
quello…- tese le mani verso di lui per mostrargli quanto gli
tremassero -Cosa vuoi che riesca a fare in questo stato?-
Price scosse la testa, si volse e aprì di nuovo il proprio
armadietto. Frugò nella tasca interna del borsone e
trovò una penna.
-Avete un foglio?- chiese tornando verso le amiche.
Amy annuì e tirò fuori un blocchetto notes dalla
borsetta. Benji vi scribacchiò qualcosa e poi glielo
restituì.
-Cosa sono?-
-Normalissimi analgesici, se presi singolarmente. Una bomba, se mandati
giù insieme…- Benji la guardò serio
-Andate in farmacia a comprarli. Holly starà meglio, non
sentirà più nessun dolore.-
Clifford lo osservò dubbioso.
-Sicuro che sia legale?-
-Certo!-
-Effetti collaterali?- chiese Julian preoccupato.
Benji alzò le spalle.
-A me non è mai successo niente.-
-Ah, perché li hai usati?- s’informò
Mark incuriosito.
-Sì, quando mi sono infortunato alle mani.-
-Te li ha prescritti un dottore?-
-Certo, ma il mix l’ho inventato io.-
Jenny diede un’occhiata indecisa a Holly, chiedendosi se
seguire il folle consiglio del portiere oppure lasciar perdere.
-Ok, proviamo.- si decise il capitano.
La giovane uscì seguita da Amy ed Evelyn, tutte e tre
pensierose e non troppo convinte. Fuori dello spogliatoio finirono
proprio tra i piedi di Gamo che spazientito dall’attesa, era
tornato indietro. Cosa teneva i suoi ragazzi ancora barricati nello
spogliatoio? La squadra avversaria era già
all’ingresso del campo e li aspettava impaziente e seccata.
-Cosa ci facevate dentro?-
-Nulla.- Amy se la squagliò in fretta, sparendo insieme alle
amiche oltre l’angolo del corridoio.
Gamo sbuffò, poi raggiunse i giocatori.
-Perché non vi muovete? Si può sapere cosa
diavolo state facendo?-
-Abbiamo un problema, mister…- Julian gli si
avvicinò, lanciando una rapida occhiata al capitano che non
fece nulla per fermarlo. Che Gamo lo sapesse o meno, a lui non sarebbe
cambiato nulla.
-Che problema?-
Philip gli porse il foglietto, convinto che quella riga fosse
più eloquente di ogni spiegazione. Si sbagliava.
L’uomo fu incapace di collegare ciò che lesse alla
partita che li aspettava.
-Cos’è questa roba?-
-Ecco, vede…- Julian si fece avanti –So che sembra
assurdo ma qualcuno ha rapito Patty e minaccia di farle male se non
vinciamo…-
Gamo scoppiò in una risata.
-Stai scherzando?-
Holly balzò in piedi come una furia e con quattro lunghi
passi si ritrovò di fronte a lui.
-Nessuno scherzo, mister!- la sua voce cupa sembrò provenire
dalle profondità della terra -Patty è stata
rapita e qualcuno vuole farle del male!-
L’allenatore tornò immediatamente serio,
l’intenzione di farlo ragionare.
-Holly andiamo… Non può che trattarsi di uno
scherzo!-
-Le ripeto che non sto scherzando!- la voce gli tremò e
capì che stava per perdere la calma. Ma non per la
testardaggine del mister. Si rendeva conto che la sua reazione
incredula era più che naturale. Il problema era lui. I suoi
nervi non volevano accettare quella situazione. Respirò per
un paio di volte, poi continuò -E non sta scherzando neanche
la persona che ha lasciato questo foglio nel mio armadietto insieme al
maglione di Patty…- l’afferrò dalla
panca e glielo mise davanti agli occhi -Vede questa macchia?
È sangue!- lo gettò di nuovo tra le sue cose
-Crede ancora che si tratti di uno scherzo?-
Gamo aprì la bocca senza riuscire a dire nulla. La richiuse,
deglutì e poi balbettò.
-A… avete avvertito la polizia?-
-L’ho fatto io.- si volse verso Julian che
continuò -Hanno detto che avrebbero mandato subito qualcuno.
Li stiamo aspettando.-
-Non conosco per niente questa zona…- ammise Evelyn, mentre
percorreva in fretta il corridoio diretta verso le uscite.
-Non dirlo a me…- Jenny scosse la testa -Ma una farmacia ci
sarà. Ce ne sono ovunque.-
Amy controllò di avere il cellulare acceso e lo
rificcò in fretta nella borsa.
-Infatti.- allungò il passo per raggiungere le amiche -Se
non ricordo male ce n’è una poco lontano. Possiamo
addirittura andare a piedi.-
Uscirono dallo stadio e si ritrovarono nel mastodontico e caotico
parcheggio. Nonostante i posti fossero esauriti da ore, qualcuno ancora
cercava un buco in cui lasciare la propria macchina. Sgusciarono qua e
là tra i veicoli e arrivarono sulla strada, dove il caos
aveva raggiunto livelli astronomici.
-A piedi faremo sicuramente prima.- decise Evelyn guardandosi intorno
-Da che parte?-
Amy reagì disorientata. Qualcosa non quadrava. Si
guardò alle spalle e le sfuggì
un’esclamazione di disappunto.
-Accidenti! Siamo uscite dal lato sbagliato!-
-Dobbiamo tornare indietro?-
-Ci vorrà meno tempo che fare il giro del parcheggio e mezzo
giro di stadio.-
Jenny sospirò e fece dietrofront.
-Diavolo Amy, potevi fare più attenzione?- la
rimproverò Evelyn -Abbiamo i minuti contati…-
-Lo so benissimo, cosa credi? Solo che di solito vengo qui come
spettatrice! E gli spettatori non entrano da dietro!-
-Su su…- intervenne Jenny -Non è il momento di
discutere…-
Ripercorsero il parcheggio dribblando tra le macchine, varcarono di
nuovo i cancelli e la guardia giurata, che le aveva viste passare poco
prima, si chiese cosa stessero facendo. Rientrarono nel corridoio dello
stadio e lo percorsero per metà circonferenza,
finché non raggiunsero l’uscita per il normale
pubblico e passarono accanto a tutti coloro che ancora facevano la fila
per entrare.
-Accidenti quanta gente!- Jenny si tenne ben lontana da quella massa di
spettatori che solo una sottile corda rossa separava da loro.
Evelyn annuì.
-Hanno fatto una tale pubblicità a quest’incontro
che se anche il calcio non mi fosse interessato probabilmente sarei
venuta lo stesso.-
Finalmente raggiunsero i cancelli e li varcarono.
-Bingo!- Amy alzò un braccio e indicò
l’insegna di una farmacia che lampeggiava oltre il parcheggio.
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Capitolo 4 *** L'incontro ha inizio ***
Leaves Time
4. L'incontro ha inizio
L’espressione sconcertata dei due agenti della
polizia era stata più che eloquente. Trovare una ragazza in
un’ora e mezza in una città immensa come Tōkyō,
sempre che fosse tenuta lì e non nella provincia o da
qualche altra parte, era impossibile. Neanche se avessero mobilitato
esercito, aviazione e marina sarebbero riusciti a trovarla…
in un’ora. Per cui, vista l’assurdità
della situazione, l’ultima cosa su cui si erano informati
prima di lasciare un sempre più prostrato capitano, erano
state le possibilità di vittoria. Colta
l’espressione pessimista che era aleggiata sulle facce dei
ragazzi, se n’erano andati promettendo di chiamare rinforzi e
di darsi da fare, invitando i giocatori a fare altrettanto. Prima di
uscire avevano segnato il numero di cellulare della giovane e del suo
fidanzato, per mettere sotto controllo le telefonate (semmai Holly ne
avesse ricevute); si erano anche portati via il golfino rosa
di Patty per analizzarlo in laboratorio.
-Holly, cosa pensi di fare?- Gamo lo guardò confuso. Era la
prima volta che gli capitava tra le mani un problema simile e sperava
anche che fosse l’ultima. Chi poteva essere così
pazzo da rapire la ragazza del capitano della squadra del proprio paese
per indurlo a vincere una partita?
-Scenderò in campo fin dall’inizio, come abbiamo
fatto annunciare.-
-E la tua caviglia?-
-Sopporterò.-
-Bene.- un inopportuno lampo di entusiasmo attraversò i suoi
occhi -La cosa migliore che dovete fare per risolvere il
problema è appunto vincere…-
Holly reagì stizzito. Colpì con un pugno
l’armadietto più vicino, facendo sussultare Danny
di paura.
-Vincere! Come possiamo vincere se la formazione verrà
sorteggiata? Me lo spiega?-
-Questo lo so bene, ma credo che con un po’
d’impegno si potrebbe anche…-
Il giovane sferrò un altro pugno. L’armadietto
cigolò.
-Non capisce che non me ne faccio niente dei suoi condizionali? Non
capisce che un errore di chiunque, anche mio, metterà a
repentaglio la vita di Patty? In che stato d’animo pensa che
scenderò in campo? Crede che sapendo che la mia ragazza
è in pericolo riuscirò a concentrarmi sul gioco?-
Qualcuno bussò alla porta dello spogliatoio e quando Mark
gridò un burbero “avanti”,
spuntò la testa biondissima di Schneider. Quale capitano
della squadra avversaria e amico del portiere titolare, era stato
mandato a dare un’occhiata ai giocatori giapponesi: erano
barricati all’interno degli spogliatoi da circa
un’ora e non ne uscivano.
-Hello…- salutò in generale. Poi ficcò
i suoi occhi azzurri in quelli neri di Benji e continuò in
tedesco -Vi stiamo aspettando da un po’…-
cercò di essere diplomatico anche se s’era stufato
da un bel pezzo di starsene nel corridoio senza fare nulla e senza
capire perché l’incontro non cominciava.
Percepì nell’aria un’inquietante
tensione e notò le espressioni tetre dipinte sulle facce
degli avversari -Ne avete ancora per molto?-
-No, arriviamo subito.-
Evelyn spuntò alle spalle del biondo calciatore chiedendogli
permesso. Quando quello si scostò sorpreso, entrò
ringraziandolo con un sorriso.
-Sono tutti nel corridoio ad aspettarvi…-
Dietro di lei Schneider lanciò un’ultima occhiata
a Benji e sparì richiudendo la porta.
-Perché non cominciate ad uscire? Holly vi
raggiungerà tra poco…-
Gamo annuì d’accordo e li precedette fuori in un
silenzio di tomba. Philip, Tom, Mark e Benji esitarono fino alla fine.
Holly spostò gli occhi sull’amica.
-Allora?-
-Siamo andate nella farmacia qui fuori, ma non le hanno. Amy e Jenny
hanno preso un taxi, andranno a cercare da un’altra parte.
Torneranno presto, vedrai.-
Dalla porta rimasta socchiusa provenne la voce entusiasta dello speaker.
«Signore e signori buona sera e benvenuti nello stadio di
Saitama dove sta per iniziare l’attesissimo incontro che
vedrà opporsi i più bravi giocatori del Giappone
e i migliori calciatori del mondo riuniti in una equipe battezzata per
l’occasione “All Star”! Passiamo subito
alla presentazione dei protagonisti di questa serata cominciando con
gli undici ragazzi della squadra ospite, sorteggiati per disputare il
primo tempo…»
Dopo una folle corsa il furgoncino si fermò bruscamente e
Patty ruzzolò a peso morto fino alla parete che la separava
dalla cabina. Gli sportelli posteriori si aprirono, l’uomo le
agguantò una caviglia e la tirò verso di
sé.
-Siamo arrivati, andiamo.-
La fece scendere con molta più attenzione rispetto a come
l’aveva costretta a salire, forse impressionato dal sangue
che le imbrattava il viso. Sostenendola per un gomito, chiuse con un
calcio gli sportelli del furgone.
Patty si guardò intorno. Erano in un parcheggio sotterraneo.
Le luci a neon illuminavano le macchine posteggiate intorno a loro.
Riconobbe quella di Benji e capì, ma volle lo stesso una
conferma.
-Dove siamo?- la voce le uscì debole, roca. Aveva bisogno di
bere. Sentiva la gola talmente riarsa che la lingua le si appiccicava
al palato, rendendole doloroso parlare e persino respirare
–Mi dia dell’acqua, per favore…-
-Dopo.- camminandole alle spalle e tenendola per i polsi legati, la
spinse fino alle porte di un montacarichi -Siamo nel parcheggio
sotterraneo dello stadio di Saitama.-
Aveva indovinato! Erano allo stadio! Tre piani sopra di lei Holly era
sceso in campo o stava per farlo!
-La partita è cominciata?-
Le porte del montacarichi si aprirono e l’uomo la fece salire.
-No, non ancora.- la spinse contro l’angolo della parete e la
tenne ferma lì, la fronte premuta contro il metallo, per
impedirle di voltarsi e guardarlo in faccia.
Il montacarichi salì e salì ininterrottamente.
Poi le porte si aprirono su un’enorme spazio vuoto. Patty
socchiuse gli occhi, accecata dalle luci, una ventata gelida la fece
rabbrividire. Erano all’aperto, così in alto che
con un solo sguardo poté abbracciare tutto il campo. Fece un
passo indietro intimorita, e urtò l’uomo che la
seguiva. Lui l’afferrò di nuovo per i polsi e la
spinse avanti a sé su una stretta passerella di ferro
delimitata da un corrimano. Sopra di loro c’era
l’enorme gruppo dei riflettori che inondavano di luce il
tappeto verde, decine di metri più in basso. Si trovavano
così vicini che i fasci dei potentissimi fari scaldavano
l’aria, rendendola a tratti irrespirabile. L’uomo
la spinse fino al parapetto e, costretta a guardare in basso, Patty
capì di trovarsi sulle impalcature delle due immense vele
d’acciaio che coprivano le tribune e abbracciavano il campo.
Venne assalita dalle vertigini e chiuse gli occhi, mentre la voce calda
di una donna, il cui lavoro era solo quello, fece risuonare negli
altoparlanti le formazioni estratte a sorte.
«Per la squadra “All Star” il portiere
sarà Deuter Müller dalla Germania. In difesa
Salvatore Gentile dall’Italia, Sho Shunko dalla Cina, Pierre
Le Blanc dalla Francia e Hermann Karz dalla Germania. Per il
centrocampo: Stefan Levin dalla Svezia, Juan Diaz
dall’Argentina e Rivaul dal Brasile. In attacco Natureza e
Carlos Santana dal Brasile e Karl Heinz Schneider dalla
Germania.»
Patty scosse la testa allibita. Quale che fosse la formazione
giapponese, gli amici non avevano una sola microscopica speranza di
vincere. Neanche con Holly in campo.
Terminata la lista la voce maschile di un giovane cronista
finì di elencare i giocatori stranieri convocati, che per
quel primo tempo sarebbero rimasti in panchina a guardare.
«Dario Belli, Louis Napoleon, Ryoma Hino, Brian Kriford, Mark
Owailan, Manfred Margas, Franz Schester, Zangief, Ramon Victrorino,
Alan Pascal e Radunga. Allenatore e manager della squadra è
niente popò di meno che l’olandese Eric Van
Saal.» L’uomo fece una pausa per riprendere fiato
«Signore e signori, come avete potuto ascoltare anche i
sostituti sono ottimi giocatori. Riuscirà la squadra
capitanata da Oliver Hutton (per di più infortunato) a
sconfiggerli?»
-Impossibile.- mormorò Patty, voltandosi verso lo
sconosciuto. Non lo trovò. Si guardò intorno e lo
cercò, di lui non c’era traccia: l’aveva
lasciata sola. Riattraversò la passerella e tornò
davanti al montacarichi. Si volse di schiena e saltellò fino
a riuscire a spingere il pulsante con le dita legate sulla schiena. I
comandi non funzionarono. Si guardò intorno affranta. Se
quel tipo non fosse tornata a prenderla sarebbe rimasta bloccata
lassù. Avrebbe potuto gridare quanto voleva ma nessuno
sarebbe stato in grado di udire la sua voce nel frastuono dello stadio,
non finché la partita non fosse terminata e forse neanche
dopo. Se almeno le avesse lasciato il cellulare…
Decisa a non scoraggiarsi, non ancora almeno, tornò verso la
balaustra e si sedette a terra, accoccolandosi sotto la luce dei
potenti fari, cercando in quel calore un riparo al vento che soffiava
forte facendo fremere le travi di acciaio. Dopotutto molto meglio
lì che rinchiusa nel capannone: se non altro avrebbe visto
la partita.
Holly raggiunse i compagni e prese posto in fondo alla fila: al
contrario di quanto accadeva di solito mise piede sul tappeto
d’erba per ultimo. Appena si fermarono in riga sulla linea
bianca davanti alle panchine, venne annunciata la formazione estratta.
«In porta Ed Warner. In difesa Johnny Mason, Clifford Yuma,
Ralph Peterson e Bruce Harper. A centrocampo James e Jason Derrick,
Philip Callaghan, Eddy Bright, Tom Becker e infine il capitano, Oliver
Hutton. In panchina, ad attendere il sorteggio del secondo tempo
rimangono Benjamin Price, Alan Crocker, Paul Diamond, Rob Aoi, Mark
Landers, Danny Mellow, Ted Carter, Sandy Winter, Julian Ross e Patrick
Everett. Sarà Gabriel Gamo a dirigere la squadra.»
Holly si sarebbe sotterrato. Mancava Mark, non c’era Rob,
Julian era in panchina e, sfortuna delle sfortune, Benji non era stato
estratto. Neanche Patrick era entrato. Almeno lui, se gli veniva
passava la palla in una buona posizione, era in grado di fare goal.
Almeno lui, a differenza di buona metà di coloro che stavano
per scendere in campo, aveva giocato tutte le partite della nazionale e
s’era misurato con giocatori stranieri. Peggio di
così non poteva andare. Se gli assenti fossero stati
estratti per il secondo tempo avrebbero avuto bisogno per lo meno di
due anni per recuperare il risultato.
«Gentili spettatori…» riprese lo speaker
«Dopo tanta fremente attesa le due squadre sono pronte a
entrare in campo.»
-Vieni Holly.- lo chiamò Bruce già davanti ai
fotografi. Erano tutti in posa e mancava solo lui.
Altro che foto. Aveva una voglia matta di fuggire, sprofondare da
qualche parte e uscire fuori solo dopo che quell’incubo fosse
finito.
-Il sorteggio è andato proprio male…-
commentò tra sé e sé Denny Mellow, in
piedi accanto alla panchina. A pochi metri da lui anche Gamo, sentiti i
nomi degli estratti, aveva perso d’un colpo tutta la sua
baldanza.
-Se solo potessimo fare qualcosa per Patty…- Evelyn strinse
tra le mani il cellulare di Holly e tentò ancora di chiamare
l’amica. Lei e il ragazzo avevano provato così
tante volte che la batteria si era quasi scaricata.
Prima che Ed cominciasse ad attraversare il campo per prendere il suo
posto tra i pali, Benji gli posò una mano sulla spalla.
-Warner, mi raccomando…-
L’altro annuì ma dentro di sé lo
maledisse. Mi raccomando a cosa? Anche lui era in ansia per Patty.
Sapere che ogni palla che fosse riuscita a passare e a insaccarsi nella
rete l’avrebbe messa in pericolo, non l’avrebbe
certo aiutato a svolgere bene il suo ruolo di portiere! E tanto meno lo
facevano le occhiate silenziose che Holly continuava a lanciargli da
quando aveva sentito il suo nome entrare a far parte della rosa dei
primi undici. Il capitano non aveva detto niente ma i suoi occhi erano
stati ed erano ancora più eloquenti di qualsiasi parola: se
solo avesse potuto pregarlo di lasciarlo in pace e non guardarlo
più… Abbassò lo sguardo a terra, si
sistemò i guanti e, a testa china, si diresse verso la porta.
«Dopo aver posato davanti ai fotografi per le foto di
rito…» riprese il cronista «Oliver
Hutton e Karl Heinz Schneider si stringono la mano. Gentili spettatori
la partita del secolo sta per cominciare!» gridò
entusiasta facendo echeggiare la sua voce ai quattro angoli dello
stadio.
In cima alle traversine d’acciaio Patty ne restò
stordita. Che bisogno c’era di urlare in quel modo? Non erano
mica sordi!
Dietro di sé udì un rumore e si volse. Socchiuse
gli occhi, accecata dalla luce dei fari, e vide l’uomo
tornare verso di lei.
-Ti ho portato dell’acqua.-
E poiché non si decideva ancora a slegarle le mani,
svitò il tappo e gliel’avvicinò al
viso. Patty si tirò su in ginocchio, socchiuse avida le
labbra e sentì il liquido fresco scorrerle nella gola
irritata.
-Grazie…- gli disse, grata che nonostante tutto
l’avesse accontentata. Il sollievo le tolse quasi le forze e
non riuscì a fare nulla per impedire che l’uomo,
poggiata la bottiglietta a terra, le legasse di nuovo le caviglie.
-Non voglio che tu te ne vada a zonzo qua in cima. Potresti
farti male. E per il momento mi servi ancora viva.-
Lei sussultò.
-E dopo?-
-Se il tuo ragazzo non vincerà la partita non ci
sarà nessun dopo.- la tirò in piedi e le
schiacciò lo stomaco contro la balaustra, spingendole le
spalle verso il vuoto -Una semplice spintarella e…
hop… Il gioco è fatto.-
Piegata in avanti, i capelli che le ricadevano intorno la viso e
ondeggiavano al vento, gli occhi fissi sul campo metri e metri
più in basso, Patty fece forza sulle gambe e
cercò di tirarsi indietro. Metà del suo corpo si
trovava sospeso nell’aria, la pressione sullo stomaco era
insopportabile e l’acqua che aveva appena bevuto le
tornò su. Represse un conato.
-Lei è pazzo!-
L’uomo reagì all’insulto premendola con
più forza contro la ringhiera. A Patty sembrò che
la sbarra di ferro cominciasse a cedere e a piegarsi verso
l’esterno e il terrore l’assalì.
-No, non sono pazzo! Ho solo bisogno che il Giappone vinca la partita
di oggi!-
-Il Giappone non può vincere!- protestò lei
incosciente -Non contro quella squadra! Non con quella formazione! Non
con Holly infortunato!- si ritrovò a gridare, in preda al
panico, mentre capiva -È lei che l’ha costretto a
giocare!-
-Dovrà farlo. Hutton dovrà portare la sua squadra
alla vittoria o non ti rivedrà più!-
Lei rinunciò a contrastare la forza che la spingeva, era
inutile. Non sarebbe riuscita a tirarsi indietro, stava soltanto
sprecando energie.
-Gliel’ha detto? Lo ha minacciato?- rimase immobile, il volto
e il petto piegati in avanti, nel vuoto. Se la balaustra avesse ceduto
sarebbe volata giù, e addio! Si vide spiaccicata
sull’erba e gli occhi di migliaia di spettatori scioccati
fissi sul suo corpo martoriato…
-Certo che gliel’ho detto! Quale stimolo migliore per fargli
fare anche l’impossibile?-
I capelli agitati dal vento le finirono negli occhi umidi di lacrime.
-Come pensa che Holly possa riuscire a dare il meglio di sé
con un peso del genere nel cuore? Non si rende conto della pressione a
cui l’ha sottoposto?-
-Sottovaluti il tuo ragazzo, cara mia. Sono sicuro che sapendo che sei
in pericolo farà i salti mortali pur di vincere! E ci
riuscirà!-
-Quanti soldi vuole per lasciarmi andare?- insistette Patty. Le lacrime
avevano cominciato a rigarle le guance e a gocciare via, dissolte dal
vento.
-Una cifra tale che ad Hutton non basterebbe una vita per metterla da
parte, neppure se diventasse il calciatore più pagato del
mondo.-
-Non la passerà liscia! La troveranno e gliela faranno
pagare!-
Lui rise, divertito dalle sue minacce.
-Abbi fiducia in lui e prega per la tua squadra se vuoi restare viva.-
-Holly… Ho appena avuto un’idea.- Tom era fermo a
centrocampo ad aspettare che tutti prendessero i loro posti.
L’arbitro aveva già il fischietto tra le labbra e
di fronte a loro, pronti a partire in attacco, niente di peggio che
Santana e Natureza. Così uguali nelle loro manie di
grandezza, lo erano diventati ancor di più grazie al codino
che si erano fatto crescere e pendeva sulle loro schiene. Tom era certo
che durante il gioco li avrebbe confusi.
-E quale sarebbe?-
-Parliamone con loro.- con un cenno del capo indicò gli
avversari -Spieghiamo cosa sta succedendo e chiediamogli di farci
vincere.-
Holly gli rivolse un’occhiata incredula.
-Per una cosa del genere c’è il carcere, lo sai?-
-Preferisci qualche anno di prigione o Patty sulla coscienza?-
replicò Tom spietato nel momento in cui l’arbitro
fischiava.
«Ecco finalmente il calcio d’inizio! È
Santana a toccare la palla per primo a favore di Natureza che parte in
attacco! Becker e Hutton gli vanno incontro ma Natureza passa indietro
e il pallone raggiunge Rivaul. Hutton cerca di intercettare il tiro ma
arriva tardi e non ce la fa!»
Con la proposta di Tom che gli martellava la testa, Holly non
riuscì a concentrarsi e la palla gli passò due
volte davanti agli occhi prima di finire tra le zampe di Juan Diaz.
L’argentino partì in attacco veloce come un
fulmine e dribblò abilmente Bruce, Eddy e Clifford. Holly lo
vide dirigersi verso la porta pronto a tentare il tiro, ma un attimo
prima di caricare Diaz cambiò idea ed effettuò un
lungo cross. Il pallone sorvolò indisturbato
l’area giapponese e raggiunse Stefan Levin (come diavolo
aveva fatto ad arrivare fin lì?) che stoppò di
petto e calciò la palla, dandole un fortissimo effetto
rotatorio. Clifford fece il possibile per opporsi a quel potente tiro
ma non riuscì a bloccarlo come avrebbe voluto e la sfera
venne raggiunta da Schneider.
«Attenzione! Quest’incredibile squadra mista sembra
già pronta a segnare il primo goal! Schneider tenta un rito
al volo e… Fantastico! Ed Warner devia il pallone
effettuando una bellissima parata! La porta del Giappone è
salva!»
-Maledizione!- Ed si tirò su e si accorse che la palla era
finita in calcio d’angolo.
Holly arrancò per tutta la metà campo come un
disperato, pregando di riuscire ad arrivare in difesa prima che
succedesse l’irreparabile.
«È lo stesso Schneider a tirare il calcio
d’angolo. La palla vola sopra la testa dei difensori e si
avvicina di nuovo alla porta giapponese… Warner effettua
un’altra splendida parata! Ma non arriva a bloccare la sfera
che finisce di nuovo tra i piedi del capitano tedesco. Ecco Hutton!
È arretrato in difesa! Riesce ad anticipare Schneider e
sottrargli la palla. Passa a Mason ma Natureza intercetta, carica il
tiro, i difensori giapponesi tentano di fermarlo… Natureza
ci ripensa e passa indietro. Il pallone viene raggiunto da Shunko Sho
che calcia al volo scagliando il suo potente tiro verso la porta
giapponese… Warner ferma anche questo! Fantastica, signori
spettatori, la performance di questo portiere! Dopo solo pochi minuti
di gioco gli “All Star” hanno già
tentato due tiri in porta!»
Basta! Basta! Insomma, il campo era tanto grande…
Perché non andavano tutti a correre lontano da lui? Ed si
passò una mano tra i capelli sconfortato. Se gli avversari
avessero continuato a gironzolare intorno alla loro porta e a tentare
tutti quei tiri prima o poi sarebbero sicuramente riusciti a ficcarne
dentro uno! Lanciò il pallone verso Holly. Che diavolo
stavano facendo i compagni? E che stava facendo lui? Perché
non correva verso la porta avversaria e infilava un bel goal? Forse la
caviglia gli faceva troppo male…
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Capitolo 5 *** Le cose si mettono male ***
Leaves Time
5. Le cose si mettono male
-Povero Ed…- Patty cercò di muovere le
mani legate dietro la schiena, le dita le si erano intorpidite e le
braccia, costrette in quella posizione, le facevano male -Non
può slegarmi?-
-Non ora.-
Lei diede lo stesso un paio di strattoni furiosi alle corde, poi si
rassegnò. Avrebbe finito per farsi male e basta.
Cercò di mettersi più comoda anche se era quasi
impossibile riuscirci, e tornò a fissare il gioco.
-Se lei non avesse minacciato Holly, sono sicura che avremmo
già segnato.- alzò gli occhi verso le luci,
scorgendo a mala pena il profilo dell’uomo.
-Questo lo dici tu.-
-Certo! Lo dico io che lo conosco meglio di lei!-
-Io voglio certezze e quale migliore assicurazione della tua vita
appesa a un filo?-
Patty fremette di stizza e tornò a guardare la distesa verde
brillante, dove undici ragazzi correvano disperati dietro a un pallone,
facendo l’impossibile per non perdere un incontro che le
sarebbe costato la vita. Quell’uomo era pazzo, non
c’era altra spiegazione. Ma quanti erano i pazzi come lui?
Quante altre persone sarebbero state disposte a fare qualsiasi cosa pur
di veder vincere la propria squadra, mettendo addirittura in pericolo
la vita degli altri? Preferì non pensarci… Non
voleva saperlo, non voleva assolutamente saperlo.
Il rumore assordante e inaspettato di un motore le ferì le
orecchie. Sia lei che il suo rapitore si guardarono intorno sgomenti.
Un elicottero comparve oltre le vele dello stadio, stagliandosi contro
il cielo illuminato a giorno dai fari, e si librò davanti a
loro per sorvolare il campo. L’uomo scattò e le fu
addosso, la sollevò da terra e la trascinò
indietro, al riparo della tettoia del montacarichi. Il potente faro
sulla fusoliera del velivolo sfiorò con la sua luce il loro
nascondiglio
-Maledizione! Devono aver avvertito la polizia!-
-Pensava che non lo avrebbero fatto?- schiacciata contro il muro dalla
forza dell’uomo, Patty riuscì a voltare la testa e
scorgere l’elicottero della polizia. Era vicinissimo. Il
casco con la visiera scura di uno degli agenti sembrò
rivolto proprio verso di loro ma fu chiaro che non li videro,
perché proseguirono il pattugliamento.
L’elicottero riprese quota in fretta, uscì dal
fascio di luce degli enormi riflettori e scomparve nel buio della
notte.
Sul sedile posteriore del taxi, Jenny diede un’occhiata
all’orologio e sospirò impaziente.
-La partita dev’essere già cominciata.-
Lei ed Amy erano imbottigliate nel traffico a poche centinaia di metri
dallo stadio e sebbene l’autista avesse cercato di
districarsi nell’ingorgo, non era riuscito fare che pochi
metri in un tempo infinito. Stringendo tra le mani il preziosissimo
sacchetto della farmacia, si sporse tra i due sedili e parlò
con il tassista.
-Ci faccia scendere qui. Proseguiamo a piedi.-
-Siete sicure? Manca ancora un bel pezzo…-
-Sì, siamo sicure.- Jenny tirò fuori una
banconota da diecimila yen e, mentre l’amica apriva lo
sportello e metteva piede sul marciapiede, prese il resto, lo
ficcò nella borsetta e salutò.
Amy alzò gli occhi verso il profilo dello stadio.
-Se ci sbrighiamo riusciremo ad arrivare prima della fine del primo
tempo.-
Grazie ai pass che avevano chiesto al signor Pearson, il servizio di
sicurezza dell’entrata le lasciò proseguire.
Furono gli agenti che impedivano l’accesso ai giornalisti e
agli estranei nella zona riservata alle due squadre a fermarle.
-L’accesso è riservato soltanto ai giocatori e al
personale.-
Le due amiche si guardarono. Erano bloccate.
-Siamo uscite da qui. Perché non possiamo rientrare?-
protestò Jenny.
-Gliel’ho appena spiegato, signorina. L’accesso
è riservato soltanto ai giocatori e al personale.-
Amy insistette.
-Abbiamo i pass!-
I due agenti scossero la testa e Jenny arrivò alle preghiere.
-Si tratta di un’emergenza… Ci stanno
aspettando…-
Non ci fu niente da fare. Gli uomini si tirarono indietro, parlando
agli auricolari e lanciando occhiate al monitor delle telecamere di
sicurezza. Amy sbuffò.
-Niente da fare…-
-Chiama Eve e dille di mandare qualcuno a prenderci.-
Amy annuì, consegnò all’amica la
bustina della farmacia, frugò nella borsetta e
recuperò il telefonino.
A pochi passi dalla panchina del Giappone, Evelyn spostava in
continuazione lo sguardo dai ragazzi che giocavano alla porta
d’ingresso del campo, da dove sperava di veder spuntare
presto le amiche. Il cellulare di Holly prese a vibrarle silenzioso tra
le mani. Sussultò spaventata.
-Chi è?- Benji si alzò dalla panchina e la
raggiunse. Non aspettò che gli rispondesse. Le tolse
semplicemente il telefonino dalle dita e se lo accostò
all’orecchio.
“Benji, sono Amy”
-Alla buon’ora…- tornò a seguire il
gioco -Dove diavolo siete?-
“Qui… All’entrata degli spogliatoi. Il
servizio di sicurezza non ci fa passare, vieni a prenderci.”
-Arrivo.- riconsegnò il telefonino a Evelyn -Quegli idioti
della sicurezza non le lasciano passare…- si
aggiustò il cappellino e avvertì il mister -Torno
subito.-
Gamo gli rispose senza distogliere gli occhi dal gioco.
-Dove vai?-
-A recuperare Amy e Jenny. Sono qui fuori e non le fanno entrare.-
L’allenatore annuì senza voltarsi, come se dal suo
sguardo puntato sul campo dipendesse l’andamento della
partita.
-Fai in fretta.-
Julian seguì Evelyn e Benji. Scesero le scalette e
imboccarono il corridoio, in un attimo le raggiunsero. Il portiere
fissò truce gli uomini che avevano respinto i pass.
-C’è qualche problema?-
Uno di loro si fece avanti e lo fissò dritto in faccia.
-Capirà che non possiamo lasciar entrare chiunque ce lo
chieda…-
-Capisco perfettamente.- Benji non fece una piega -E spero che la
prossima volta riuscirete a distinguere i seccatori dagli amici.- non
aspettò che rispondesse e si volse verso le ragazze
-Andiamo?-
Jenny si accostò al portiere e gli passò la
bustina della farmacia. Lui controllò le scatoline dei due
medicinali e gliela riconsegnò.
-Tienila tu.-
La giovane annuì.
-Philip dov’è?-
-Sta giocando.-
-Anche Mark?-
-No.-
-E Tom?-
-Sì.-
-Rob?-
Benji mise fine al terzo grado.
-La squadra estratta è un disastro. È una fortuna
che siamo sotto solo di un goal.-
-Hanno segnato?!- esclamò Amy scioccata.
Sbucarono di nuovo sul campo, gli occhi sollevati al tabellone. Il
punteggio era ancora di 1 a 0 per l’All Star e in quel
momento la palla si trovava più o meno a centro campo. Holly
correva dietro a Tom che stava risalendo l’aria avversaria.
Benji si avvicinò alla panchina e recuperò una
bottiglietta d’acqua.
-Non possiamo aspettare la fine del primo tempo…- mancava
troppo, il risultato era appeso ad un filo e in un secondo la
situazione avrebbe potuto peggiorare fino a diventare irrecuperabile.
Osservò il gioco: gli avversari correvano cercando di
intercettare la palla per passarla poi a qualcuno che, nei pressi della
porta di Warner, avrebbe potuto insaccarla nella rete. Erano troppi, in
quella maledetta formazione, i giocatori in grado di segnare. Holly,
nelle condizioni in cui era, non sarebbe riuscito ad arginarli tutti e
i passaggi del Giappone erano poco precisi: la squadra estratta (se
così si poteva chiamare) era quanto di peggio avrebbe potuto
capitare. Neanche quello squilibrato di Jeff Turner,
l’allenatore ubriacone di Landers, sarebbe stato mai in
grado, durante la sua peggiore sbornia, di tirar fuori uno schema
simile.
Benji sbuffò. Era inutile prendersela con il sorteggio;
tanto valeva cercare di fare qualcosa per risollevare la situazione. E
l’unico che poteva rimediare era Holly, almeno fino alla fine
del primo tempo. Dopodiché sarebbe stato tutto da vedere.
Lanciò un’occhiata al capitano, poi si rivolse a
Jenny che stringeva la bustina della farmacia.
-Non appena il gioco s’interrompe lo facciamo
avvicinare… Preparale.-
-Una ciascuna va bene?-
Il portiere annuì e prese le compresse che lei gli porgeva.
Si accostò alla linea bianca e seguì Holly con lo
sguardo, sperando che prima o poi si voltasse dalla sua parte. E il
capitano lo fece, un secondo in cui si era fermato per riprendere
fiato.
Benji sollevò la bottiglia dell’acqua e il capitano
scosse la testa, perché non aveva sete. Poi si
bloccò, scorse Amy e Jenny e capì.
Tornò a seguire il gioco, cercando disperatamente il momento
giusto per raggiungerli. Doveva fare un goal. Se avesse segnato avrebbe
avuto tutto il tempo che voleva. Strinse i denti e si mise a correre
per riappropriarsi della palla che Tom aveva perso. Se non ce
l’avesse fatta, si sarebbe almeno trovato in una buona
posizione per segnare, sempre che qualcuno dei compagni fosse riuscito
a recuperarla. Quella maledetta gamba… quella
stramaledettissima caviglia!
Evelyn premette per l’ennesima volta il tasto invio,
l’incrollabile speranza di riuscire a contattare Patty. Aveva
deciso di non usare più il telefono di Holly. La batteria
era agli sgoccioli, tra poco si sarebbe esaurita del tutto e se Patty
avesse cercato di chiamarlo, avrebbe trovato il cellulare del ragazzo
spento, cosa che non doveva assolutamente accadere. Continuando a
seguire la partita, aveva tirato fuori il proprio telefonino e aveva
ricominciato a comporre il numero, un tentativo dietro
l’altro senza rinunciare, pregando con tutto il cuore che
prima o poi qualcuno rispondesse.
Holly non ce la faceva più. Era fermo nell’area
avversaria, fiancheggiato dai suoi marcatori, pronto a ricevere la
palla e provare a segnare. Ma Tom, l’unico in grado di
servirgli un bell’assist, era così strettamente
seguito da Pierre e Karz che non riusciva ad avanzare né a
passargli il pallone.
-Coraggio Tom…- Patty appoggiò la fronte ad uno
dei sostegni orizzontali della balaustra. Appena sfiorò il
metallo, sussultò e si tirò di colpo indietro. La
tempia insanguinata protestò con una fitta.
E non era solo la tempia a farle male. Sentiva dolore ovunque, come se
l’avessero picchiata. Eppure quell’uomo non aveva
alzato un dito su di lei se non quando l’aveva avvicinata per
strada. E poi le facevano male le corde che la stringevano, impedendole
di muoversi e di trovare una posizione più comoda.
Cercò di non pensarci, anche facendolo non sarebbe cambiato
nulla. Abbracciò lo stadio con lo sguardo. Da
lassù era davvero uno spettacolo da togliere il fiato.
Tornò ad abbassare gli occhi sul campo e scorse i giocatori
riuniti in un calcio d’angolo nell’area di Ed.
Dov’era Holly? Strizzò gli occhi per leggere i
numeri sulle magliette dei giocatori accalcati intorno alla bandierina,
ma non lo vide. Lì Holly non c’era. Che fine aveva
fatto? Poi l’arbitro fece un cenno spazientito a qualcuno
fermo lungo la linea del bordo campo. Eccolo Holly, di fronte a Benji,
Julian, Amy e Jenny… a scolarsi una bottiglia
d’acqua. Cosa stava combinando? Lasciare il gioco in un
momento così critico per bere? Lo vide riconsegnare la
bottiglia a Benji e correre a raggiungere i compagni.
Philip lanciò un’occhiata al capitano quando lo
vide accostarsi.
-Tutto bene?-
Holly annuì distratto. Quello sfortunatissimo calcio
d’angolo non ci voleva. Fissò il pallone, a terra
sotto la bandierina. Juan Diaz aspettava il fischio
dell’arbitro per colpirlo.
-La caviglia ti fa male?-
-Potrebbe andare peggio…- strinse i denti, chiedendosi se
davvero le cose potessero peggiorare.
Philip gli lanciò ancora un’occhiata, poi si
riaccostò Levin che aveva approfittato del loro scambio di
battute per liberarsi dalla marcatura.
Patty chiuse gli occhi e unì le mani, concentrata in una
silenziosa preghiera, sperando con tutto il cuore che la squadra
avversaria non segnasse.
-Che fai, non guardi? Cominci ad aver paura che perdano? Hai
così poca fiducia nel tuo fidanzato?-
Patty venne attraversata da un fremito d’ira e di
frustrazione. Non solo quel pazzo l’aveva rapita, legata e
imbavagliata; l’aveva portata lassù, aveva
minacciato Holly e tutta la squadra; adesso metteva anche in dubbio la
fiducia che riponeva in lui. Come accidenti si permetteva? Interruppe
la sua preghiera, distolse l’attenzione dal calcio
d’angolo e si volse verso il suo rapitore così
improvvisamente che quello non ebbe il tempo di scostarsi e lei
riuscì a intravedere il suo profilo. Capì che si
trattava di un uomo sulla cinquantina, dalla faccia tonda e dai capelli
radi sulle tempie, leggermente brizzolati; vide finalmente i suoi
vestiti, un cappotto scuro fino al ginocchio, nero o forse blu, e un
paio di pantaloni dal taglio elegante.
Lui fece rapido un passo indietro e l’avvertì.
-Non ti conviene cercare di guardarmi in faccia. Se lo facessi non
potrei più lasciarti andare…-
Patty sussultò e tornò a fissare il campo. Sotto
di lei i tifosi giapponesi emisero un’ovazione quando Ed
bloccò il tiro, impedendo al pallone di entrare in porta.
«Signore e signori, dopo l’entusiasmante parata del
nostro portiere la palla è di nuovo al centro campo e la
coppia formata da Hutton e Becker attende l’arbitro per
ripartire all’attacco.»
Il fischietto emise un suono acuto e Holly toccò per Tom.
Con il pallone tra i piedi, Becker partì veloce verso
l’area avversaria.
Santana se lo vide sfrecciare accanto e incitò i compagni a
farsi sotto.
-Fermiamoli adesso e assicuriamoci la vittoria!-
Tom se lo sentì alle spalle. Non aveva capito una parola ma
intuì dal suo tono e dai suoi gesti che i giocatori
avversari sarebbero piombati in massa, forse tutta la difesa, pur di
fermarlo e portargli via il pallone. Non si volse indietro, non volle
sapere in quanti lo inseguivano. Alla sua destra Holly correva veloce.
Tirò per lui un passaggio preciso che il capitano
agganciò al volo. Rivaul venne preso al centro di una
triangolazione e non riuscì ad appropriarsi della sfera.
-Bloccate quei maledetti passaggi!-
Fu Jack Morris, che era avanzato sulla fascia, a trovarsi per primo in
buona posizione per tentare il tiro in porta.
S’infilò tra Holly e Tom e il suo intervento
evitò per un soffio che Pierre Le Blanc finisse sul pallone.
“Salvi per un pelo…” Tom corse avanti
per precedere Jack e fu pronto a ricevere la palla quando lui gliela
lanciò, un attimo prima di essere raggiunto dal cinese e da
Salvatore Gentile, pronti a stringere la marcatura.
«Becker effettua una doppia finta e passa sulla sinistra a
Hutton già in posizione! Riuscirà il Giappone a
segnare?» gridò il cronista, lasciando tutto lo
stadio con il fiato sospeso.
Il gigantesco portiere tedesco seguì l’avanzata
del capitano giapponese, assestandosi sulle gambe piegate, pronto a
respingere il pallone. Holly strinse i denti, tese i muscoli e la
caviglia gli rispose con fitte lancinanti. Si preparò a
calciare mentre Mark, dalla panchina, riconosceva la posizione e
spalancava gli occhi.
-Quello è il mio tiro! Non ci posso credere! M’ha
fregato il tiro!-
La palla schizzò veloce, oltrepassò il braccio
teso di Muller e si insaccò tra le maglie della rete.
-Mark, quello è il tuo tiro…- gli fece eco Danny.
-Già, è il mio…-
-Quanto la fai lunga, Landers!- sbottò Benji -Non ci hai
mica pagato il copyright! L’importante è che abbia
segnato, no?-
Gamo esultò con tutta la panchina, gli occhi fissi su Holly
che tornava a centrocampo zoppicando. Sperò che stringesse i
denti ancora per un po’. Il primo tempo stava per finire.
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Capitolo 6 *** Una visita inattesa ***
Leaves Time
6. Una visita inattesa
Patty, le gambe penzoloni nel vuoto, esultò.
Holly aveva pareggiato. Un altro goal e il Giappone avrebbe vinto e il
tipo che la teneva lì in cima l’avrebbe lasciata
libera di tornare dal suo fidanzato.
-L’amore può fare miracoli…-
Lei ignorò il commento e continuò a tenere gli
occhi fissi sulla maglia numero 10.
«Il pallone è ora tra i piedi dell’All
Star. Dopo aver ricevuto la palla Natureza rilancia avanti verso Rivaul
che a sua volta passa a Santana! Che superbo gioco di squadra ci mostra
questo trio brasiliano!» sbavò il cronista
entusiasta.
Patty si lasciò sfuggire una smorfia di disappunto. Per chi
parteggiava quell’idiota?
«La difesa giapponese, già duramente provata in
questo primo tempo di gioco, arretra nell’area cercando di
respingere gli attacchi degli avversari. Il capitano stesso interviene
e si lancia in scivolata contro Rivaul nel tentativo di sottrargli la
sfera. Ma il brasiliano non si fa togliere il pallone e riesce a
scartare Hutton proseguendo poi la sua corsa!»
Patty vide Holly restare a terra immobile, rivolto verso gli avversari
che correvano via. Sembrava incapace di alzarsi, la caviglia doveva
fargli male. Forse nello scontro Rivaul l’aveva urtato.
«Ecco Santana e Natureza di fronte la porta. Calciano insieme
il pallone passato da Rivaul. Attenzione, il tiro è potente!
Riuscirà Ed Warner a pararlo?»
Patty serrò le palpebre e smise di respirare. Poi
capì dal grido entusiasta che si levò
dall’intero stadio che il portiere anche questa volta ce
l’aveva fatta. Quel giorno Ed stava facendo miracoli.
Spalancò gli occhi e tornò a posarli prima sul
tabellone, il cui punteggio era rimasto invariato, poi sul campo in
cerca dell’arbitro e della palla.
«Magnifico! Warner ha intuito la traiettoria del pallone ed
è riuscito a respingerlo con il pugno sinistro!»
-Non posso crederci!- Natureza scalpitò -Quel portiere ha
una fortuna sfacciata!-
Santana, accanto a lui, lo zittì brusco.
-Non è detto…-
«Attenzione! Un altro giocatore ha seguito l’azione
e sta correndo incontro al pallone… Si tratta del capitano
Schneider!»
Ed, ancora a terra, scorse il tedesco solo all’ultimo
momento. Scattò in piedi troppo tardi e non
riuscì a raggiungere la palla.
«Gooooooooooal! Schneider ha segnato! Il punteggio
è ora di 2 a 1 e il primo tempo è agli
sgoccioli!»
-Non è possibile…- Warner colpì il
palo con un pugno. Poi si volse verso i compagni in cerca di Holly.
L’avrebbe ucciso per questo! O meglio, il pazzo avrebbe
ucciso Patty per quel maledetto goal! Philip gli porse una mano, lui la
prese e si alzò, incrociando un sorriso che voleva essere
incoraggiante ma che risultava più che altro preoccupato.
-Coraggio Ed… Non è colpa tua, c’hai
provato…-
-Avrei dovuto anche riuscirci…-
-Nessuno di noi ha visto Schneider in tempo per fermarlo, è
spuntato dal nulla…-
-Già, ma io avrei dovuto…-
-Non colpevolizzarti, hai fatto del tuo meglio. Ormai mancano pochi
minuti alla fine del primo tempo… Nel secondo riusciremo a
recuperare, smpre che il sorteggio sia con noi…-
Holly strinse i pugni disperato. Non poteva finire così! Tom
lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla.
-Segneremo ancora, vedrai…-
Insieme riguadagnarono il centro campo, il pallone era già
al centro del dischetto e l’arbitro era pronto a fischiare.
Holly si sforzò di riscuotersi dallo sconforto. Non era da
lui abbattersi. Doveva farcela, doveva vincere, doveva riuscirci.
L’adrenalina ricominciò a scorrergli nelle vene e
fissò Rivaul, fermo davanti a lui, con un sorrisetto di
sfida.
-Hutton è incredibile!- disse quello a Santana che gli era
accanto -Continua a sorridere anche dopo aver subito un
goal…-
-Ed è proprio quando sta cominciando a perdere che
dà più filo da torcere. Dovremo fare
attenzione…-
Holly serrò i pugni fino a conficcarsi le unghie nella
carne. Non si sarebbe lasciato sconfiggere. Quella partita era troppo
importante. La vita di Patty dipendeva da quell’incontro. Non
importava quanti goal gli avrebbero fatto, avrebbe continuato a correre
verso la porta avversaria e a segnare finché sarebbe
riuscito a tenersi in piedi. Finché avrebbe avuto la forza
di respirare.
-Le cose si mettono male, eh?-
Patty si sentì rabbrividire ma nonostante il commento
dell’uomo, la sua speranza non si sarebbe mai spezzata.
-La partita non è ancora finita.-
-Meglio per te…- lo sentì muoversi alle sue
spalle, camminare su e giù per la passerella, facendola
tremare sotto i suoi passi -Cosa credi? Anch’io voglio che
vincano. Preferisco non avere la tua morte sulla coscienza.-
Eccola, la speranza che rispuntava. Del resto finora il pensiero della
morte non era mai arrivato abbastanza vicino a Patty da terrorizzarla.
-Potrebbe lasciarmi andare anche se non vincessero…-
L’uomo si appoggiò alle porte chiuse del
montacarichi e fissò le esili spalle della ragazza,
illuminate dai riflettori. Sedeva davanti a lui con le gambe penzoloni
nel vuoto i gomiti appoggiati sulle le sbarre trasversali della
balaustra.
-I termini della scommessa sono due: che il Giappone vinca o che tu
muoia.-
Patty si volse sbalordita, gli occhi spalancati e le labbra dischiuse.
-È assurdo!-
-Hutton si è infortunato ed è ovvio che senza lui
in campo, il Giappone non può vincere. Per questo
l’ho costretto a giocare.-
Patty trasecolò. Non ci capiva più niente, cosa
c’entrava lei?
-Che razza di gente frequenta? Chi è così perfido
da poter giocare con la vita di una persona? Crede davvero che chi
è al corrente della scommessa non la denuncerà
per quello che ha fatto?-
-Esatto, non succederà mai. E se anche dovesse accadere, ho
a disposizione gli avvocati migliori del Giappone.-
-Insomma, si può sapere chi è lei?-
L’uomo indietreggiò nella penombra.
-Come ti ho detto poco fa è molto meglio che tu non lo
sappia.-
Dopo alcuni passaggi infruttuosi sia del Giappone che
dell’All Star, l’arbitro fischiò tre
volte.
«Terminano in quest’istante i primi quarantacinque
minuti di gioco. Ricordiamo ai gentili spettatori che i giocatori di
entrambe le squadre che sono appena usciti dal campo saranno quasi
tutti sostituiti.»
-Non è giusto…- si lagnò Natureza,
percorrendo il corridoio che conduceva agli spogliatoi -Voglio giocare
ancora…-
Santana si passò un braccio sulla fronte per arginare il
sudore.
-Maledette regole…-
Philip e Jenny li seguivano parlando.
-Non sono stanco, sono nervoso e iperteso. Non si può
giocare così…- il ragazzo ingurgitò
almeno mezzo litro d’acqua e tacque quando vide Holly ed
Evelyn superarli.
-Ho smesso di usare il tuo cellulare per chiamarla, la batteria
è quasi scarica.- l’amica glielo porse ma lui
rifiutò di prenderlo.
-Tienilo lo stesso… Non posso lasciarlo negli spogliatoi,
potrebbe provare a chiamare.-
Evelyn annuì, poi si scontrò con Gamo.
-Che diavolo ci fate voi tre sempre in mezzo ai piedi?-
La ragazza alzò gli occhi e se lo trovò davanti
così infuriato che impallidì e
indietreggiò.
-Non è certo colpa loro se stiamo perdendo!- lo
assalì Benji nervoso -Perché non se la prende con
chi ha deciso le regole di questa assurda partita?-
-Price…- il tono saccente del suo miglior portiere lo
urtò.
Jenny raggiunse Evelyn, l’afferrò per la giacca e
si dileguò insieme a lei ed Amy, sparendo dalla vista del
mister. Svoltarono l’angolo quasi si scontrarono con un paio
di agenti.
-Dov’è Hutton?-
-È entrato adesso negli spogliatoi.- Amy li
guardò speranzosa -Avete notizie di Patty?-
-Abbiamo rintracciato il segnale del suo cellulare. È a
Saitama, forse nello stadio.-
Jenny li fissò sgomenta.
-Che cosa?! È qui?-
-E dove?-
-Siamo riusciti a localizzare il suo telefonino finché
è rimasto acceso. Poi il segnale è
scomparso… Ci vorrà più
tempo…-
-Non abbiamo tempo!- protestò Amy -Ci restano, anzi, vi
restano soltanto quarantacinque minuti!-
L’agente passò le dita sulla corta barbetta che
gli ricopriva il mento.
-Stiamo cercando. Non c’è bisogno che vi dica
quant’è vasta la prefettura di Saitama, e la
vostra amica potrebbe trovarsi ovunque!-
-E lo stadio?- domandò Evelyn -State cercando anche qui?-
Lui annuì.
-Con le dovute precauzioni. Non possiamo mettere a soqquadro uno stadio
così pieno. Un intervento in forza scatenerebbe il panico.-
la ricetrasmittente che portava appesa alla cintura emise un eloquente
bip-bip e l’uomo si volse per rispondere. Parlottò
per qualche istante, poi tornò da loro -Hutton non
è stato contattato?-
-No.- Evelyn gli mostrò il telefonino -Ho io il suo
cellulare e non ha chiamato nessuno.-
-Lo tenga acceso.- si raccomandò e sparì nel
corridoio.
Grande fu lo sconcerto di Holly quando Van Saal, l’allenatore
dell’All Star ma anche del Barçelona, fece il suo
ingresso nello spogliatoio giapponese. Seduto su una panca con la gamba
distesa e la borsa del ghiaccio sulla caviglia per cercare un
po’ di sollievo al dolore, il capitano non poté
neanche alzarsi per andargli incontro.
Amy, occupata a slacciargli lo scarpino, gettò
all’uomo un’occhiata distratta e rimase
dov’era quando quello si avvicinò a Holly e gli si
fermò davanti. Il tempo che aveva a disposizione era poco,
la seconda parte dell’incontro sarebbe cominciata entro una
decina di minuti. Così Van Saal andò subito al
sodo.
-Hai deciso di giocare anche il secondo tempo?- gli chiese in spagnolo,
ignorando la presenza degli altri giocatori e dubitando fortemente che
lì dentro ci fosse qualcuno in grado di capirlo.
Holly sostenne con il suo sguardo.
-Sì, signore.-
-Scenderai in campo anche se ti ordinerò di restare in
panchina?-
-Non lo faccia.- gli sfuggì una smorfia quando Amy gli
sfilò lo scarpino -Non voglio essere costretto a
contrariarla.-
-E se le condizioni della tua caviglia peggiorassero? Sai che non sono
disposto a tenerti in panchina per metà campionato.
Piuttosto rinuncio a te.-
Se pensava di spaventarlo con quell’affermazione non ci
riuscì. Le sue parole non stupirono Holly. Gliene aveva
sentite dire di simili quando Rivaul si era infortunato durante una
partita della Lega spagnola. Continuò a guardarlo fisso
negli occhi. Intorno a loro, nello spogliatoio, non volava una mosca.
-Spero che non ce ne sia bisogno.-
Van Saal incrociò le braccia.
-Niente potrà farti cambiare idea?-
-Niente che lei possa fare.-
L’uomo annuì sconfitto.
-Allora non mi resta che augurarti in bocca al lupo.- si
voltò e lasciò lo spogliatoio.
Amy gli tolse il ghiaccio dalla caviglia facendolo sussultare. Holly
distolse gli occhi dalla porta e si accorse che gli sguardi dei
compagni erano tutti fissi su di lui. Cercò Benji.
-E se prendessi un altro paio di quelle compresse?-
Il portiere alzò gli occhi dai guanti con cui stava
giocherellando, chiedendosi se nel secondo tempo avrebbe potuto
indossarli. Lo fissò sorpreso.
-Senti ancora dolore?-
-Abbastanza.-
-Strano…-
-Preferirei che ne facessi a meno, Holly.- intervenne Amy preoccupata.
Lui si volse ammutolito. Erano le stesse parole che Patty aveva
pronunciato quella mattina quando aveva insistito fino alla noia
perché non giocasse. Ad un certo punto lui le aveva risposto
brusco, perché i suoi timori gli sembravano esagerati. Era
arrivato addirittura a farle presente stizzito che la decisione di
entrare in campo spettava soltanto a lui e che se si rovinava la
caviglia non erano affari suoi. Patty l’aveva guardato per un
lungo istante senza parlare, poi l’aveva lasciato seduto sul
divano con il piede ricoperto di crema appoggiato sul tavolino, e si
era rifugiata in cucina. Nel giro di pochi secondi
l’indignazione di Holly era evaporata e l’aveva
richiamata.
Lei non gli aveva risposto, ma era ricomparsa nel momento in cui
decideva di alzarsi per andare a da lei. Era tornata con
un’espressione seria e gli occhi lucidi. Holly si era
scusato. In pochi istanti avevano fatto pace e lui era arrivato persino
a prometterle che non sarebbe sceso in campo. Promessa vana…
-C’è una cosa che non sapete…- non si
rivolse a nessuno in particolare, i suoi occhi restarono fissi nel
vuoto -C’è una cosa che non vi ho
detto…- una luce gli attraversò lo sguardo e i
ricordi si dissolsero. Mise a fuoco i compagni e si fermò
sul bel viso di Amy -Patty è incinta.-
-Holly, accidenti!- il volto dell’amica divenne un sorriso
-È fantastico! Congratulazioni!-
Lui non ricambiò il sorriso, la sua espressione
restò afflitta.
-In un momento simile non riesco a vederci niente di fantastico.- tese
una mano verso Jenny, puntando con gli occhi la bustina che la giovane
stringeva tra le dita.
Lei capì e fece un passo indietro. Scosse la testa e
lanciò un’occhiata a Benji, in cerca di aiuto.
-Tu che dici?-
Il portiere alzò le spalle.
-Se non ti sono state di nessuna utilità, non vedo che senso
abbia prenderne ancora. Non sono caramelle.-
Holly respirò profondamente e lo fissò,
rivolgendosi a tutti.
-Spero che non abbiate intenzione di mollarmi proprio nel momento del
bisogno! I vostri scrupoli sono assurdi e inutili!- strinse i pugni e
le nocche sbiancarono.
Tom si rese conto che stava per perdere il controllo.
-Jenny, dagli quelle compresse.-
-Ma Tom…- protestò Amy.
-Io non sono d’accordo.- Benji cercò di
convincerlo -Se finora due non ti hanno fatto niente, quattro
potrebbero metterti al tappeto! E visto che questa maledetta idea
è stata mia, non ti permetterò di prenderne
ancora!-
Le labbra di Holly si incurvarono in un sorrisetto nervoso, i suoi
occhi vennero attraversati da un lampo di sarcasmo. Si volse, si
chinò a terra per raccogliere lo scarpino e se lo
infilò sofferente. Allacciò le stringhe e
alzò il viso.
-Jenny…- la esortò, tendendo di nuovo il braccio
verso di lei.
Se avesse potuto, pur di tirarsi fuori da quella situazione, sarebbe
fuggita. Invece rimase a guardarlo in silenzio, mettendo alla prova,
col suo atteggiamento passivo, tutta la pazienza dell’amico.
-Holly, ascolta…- Benji s’infilò parte
dei guanti nella tasca posteriore dei pantaloni.
-Non dire una parola! Non mi interessa!- lo assalì quello
-Sapete perfettamente che quando si tratta di una partita faccio sempre
di testa mia. Lo sapete da anni! E se è in gioco la vita di
Patty, nessuno di voi potrà fermarmi. Non ha potuto Van
Saal, non potrai tu, Benji.- tornò a posare gli occhi
sull’amica -Dammi quelle maledette compresse Jenny!-
Lei gli porse il sacchetto. Benji cercò di prenderlo ma Tom
lo fermò, afferrandogli un braccio.
-Non intrometterti più di così. Lascialo fare
come dice. Sa quello che fa.-
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Capitolo 7 *** Verso la fine ***
Leaves Time
7. Verso la fine
A forza di tirare, il nodo alla corda si allentò
e Patty riuscì a liberare le mani. Stranamente
l’idea di tentare la fuga non le passò neanche per
la testa. Era così contenta di aver riacquistato
l’uso degli arti superiori e di potersi finalmente
massaggiare i polsi doloranti, che non pensò ad altro se non
a sciogliere rapidamente anche la corda che le bloccava le caviglie.
L’uomo era sparito chissà dove mentre lei
aspettava che ricominciasse il secondo tempo, ma le aveva lasciato la
bottiglietta dell’acqua. Patty si alzò
barcollante, la raggiunse vicino al montacarichi e vi si
attaccò come se non bevesse da una settimana. La
finì troppo presto senza riuscire a calmarle la sete.
Riavvitando il tappo tornò verso la balaustra, chiedendosi
quanto mancasse al rientro delle squadre in campo. Alzò gli
occhi sul tabellone: 2 a 1 per l’All Star. Certo, poteva
anche andare peggio, pensò con una punta di ironia. Il tizio
poteva spingerla di sotto senza aspettare il risultato finale che, se
il sorteggio questa volta non fosse stato più fortunato, non
sarebbe cambiato di molto. Poggiò i gomiti sulla balaustra e
fissò gli occhi sulla miriade di spettatori che occupava le
tribune: un’improvvisa folata di vento fece ondeggiare
l’impalcatura e Patty strinse le dita attorno
all’asta di ferro, reprimendo un improvviso senso di
vertigine. L’altezza non le dava fastidio ma
l’oscillazione causata dal vento le dava una sensazione di
malessere, dovuta probabilmente anche al fatto che cominciava ad avere
fame. Del resto, pensò ironica, se lo strettissimo
pianerottolo sui cui si trovava avesse ceduto sotto le folate di vento,
quell’uomo si sarebbe addirittura evitato di sporcarsi le
mani e averla sulla coscienza. Le sue labbra si schiusero in un
sorrisetto forzato, poi tornò a guardare in basso. Possibile
che nonostante tutto quello che era successo nelle ultime ore, non
avesse paura? Da quando si era risvegliata in quel magazzino aveva
provato freddo, disagio, curiosità, dolore, sconcerto,
confusione, sorpresa, timore, incredulità, rabbia, odio,
pena… Ma mai ancora il terrore di venir uccisa. Le si era
rivoltato lo stomaco quando aveva saputo il motivo per cui
l’uomo l’aveva portata fin lassù, si era
spaventata quando l’aveva spinta contro la balaustra e
l’aveva minacciata. Ma il terrore? Quello che fa perdere la
ragione? Quello che spinge a fare follie, quel famoso istinto di
sopravvivenza che, se si fosse manifestato come avrebbe dovuto, ora
forse l’avrebbe portata ad arrampicarsi sulle impalcature per
cercare di scendere da lì pur di salvarsi la
vita… No, quell’istinto non lo aveva, o era sopito
o ne era completamente priva. Non avrebbe compiuto grandi imprese per
salvarsi, non con una nuova vita appena sbocciata dentro di
lei…
Sospirò. Povero Holly, chissà come doveva
sentirsi. Sicuramente molto peggio di lei… e con la caviglia
in quelle condizioni! Scosse la testa. Se solo avesse saputo che la
giornata sarebbe andata così, quella mattina non avrebbe
sprecato tutto il tempo che avevano passato insieme a convincerlo a non
giocare…
Abbassò il viso sugli spalti, gettando un’occhiata
incuriosita al pubblico. Un bambino frignante che voleva essere tirato
su dal padre e teneva le braccia sollevate sopra la testa la vide,
smise di piangere e la salutò con la manina. Patty sorrise
(ma forse era troppo lontana perché il bimbetto riuscisse ad
accorgersene) e rispose al saluto. Appoggiò il viso sulle
mani serrate sulla sbarra, restando a guardare i giocatori che pian
piano rientravano in campo e raggiungevano le rispettive panchine. Se
avesse avuto una penna… se avesse avuto un pezzo di carta e
una penna avrebbe potuto scrivere un biglietto e gettarlo di sotto.
Forse qualcuno l’avrebbe letto.
Holly non si sentiva meglio. Anzi, più il tempo passava e
più stava male. La preoccupazione per Patty cresceva ad ogni
istante e a volte la paura era così sconvolgente che
dimenticava persino le pulsazioni dolorose della caviglia. Arginava
sempre più difficilmente il desidero di mollare tutti
lì e scappare lontano, da qualche parte dove nessuna brutta
notizia sulla sorte di Patty avrebbe potuto raggiungerlo. La tensione
lo snervava, stava per crollare… Quasi non sentiva
più gli sguardi che gli amici, ogni tanto, continuavano a
lanciargli preoccupati.
Holly era terribilmente pallido e aveva le spalle curve, accasciato,
come se non riuscisse più a tenersi su. I compagni non
sapevano cosa fare. Nel corridoio che immetteva al campo gli
camminavano accanto parlando sottovoce, bisbigliando istintivamente.
Temevano di turbarlo ma in fondo sapevano bene che i loro discorsi lui
neanche li sentiva.
Quando la curiosità fu talmente forte da non riuscire
più a contenerla, Schneider si avvicinò a Benji.
-Si può sapere che succede? Va bene che state perdendo, ma
avete certe facce!-
Fu una delle poche volte in cui il portiere non seppe cosa rispondere.
-Siamo preoccupati per Holly.-
-Se sta così male, perché gioca?-
-Testardaggine.- lo liquidò Price, scostandosi da lui e
lasciandolo indietro.
I giocatori riemersero sul campo e la luce dei riflettori li
abbagliò. Raggiunsero le rispettive panchine e rimasero ad
aspettare impazienti il risultato del sorteggio che avrebbe deciso le
formazioni per il secondo tempo. Quando la voce femminile
parlò, tutti trattennero il fiato.
«Signore e signori, ci scusiamo per l’attesa. I
giocatori dell’All Star che scenderanno in campo per il
secondo tempo sono: tra i pali l’italiano Dario Belli, in
difesa Mark Owailan dall’Arabia Saudita, Franz Schester dalla
Germania e di nuovo Salvatore Gentile; al centrocampo Brian Kriford
dall’Olanda, di nuovo Pierre Le Blanc e Ramon Victorino
dall’Uruguay. In attacco Ryoma Hino dall’Uruguay,
Alan Pascal dall’Argentina, Louis Napoleon dalla Francia e il
capitano Karl Heinz Schneider.
Per il Giappone in porta questa volta ci sarà Benjamin
Price. In difesa Julian Ross, Clifford Yuma e Ralph Peterson. A
centrocampo Paul Diamond, Philip Callaghan, Rob Aoi, Tom Becker e
infine il capitano, Oliver Hutton. In attacco Mark Landers e Patrick
Everett!»
Holly sospirò.
-Tom, fammi il favore.- cercò di scuotersi di dosso la
preoccupazione e pensare una buona volta alla partita -Ripetimi le
formazioni, non ho sentito nulla.- e quando Tom lo ebbe fatto, Holly
mosse piano il piede. Il dolore stava passando -Forse una piccola
speranza c’è…-
Mentre rientravano in campo si avvicinò a Mark.
-Vai in attacco. Io resterò dietro e cercherò di
passarti la palla ogni volta che potrò…-
Landers fece per dirgli qualcosa ma il capitano lo precedette.
-Il mix di Benji sta facendo effetto ma non so quanto
durerà. Spero tutti e 45 i minuti. Se sarà
così verrò in attacco alla fine, altrimenti
lascerò tutto nelle tue mani… piedi.-
Mark annuì e Holly ricambiò con un sorriso che al
resto della squadra non passò inosservato. Il pessimismo
abbandonò i ragazzi. Il capitano non era importante soltanto
per gli schemi di gioco, i passaggi e i goal. Holly era importante
perché con il suo entusiasmo senza fine riusciva a dare
coraggio alla squadra, perché sapeva in ogni istante chi
doveva stare in un certo posto e cosa doveva fare. Le sue istruzioni e
le sue intuizioni erano basilari. Era un po’ come un
direttore d’orchestra che con gesti, cenni e sguardi riusciva
a far suonare tanti strumenti diversi creando una melodia. Quella
melodia, per la nazionale giapponese, equivaleva alla vittoria.
Philip osservò Benji che si sistemava i guanti.
-Questa volta il sorteggio non è andato tanto male.-
-Certo che non è andato male. Ci sono io in porta e Holly
sembra stare meglio…-
Julian fece gli scongiuri, sperando che il portiere con quella ventata
d’ottimismo non tirasse la sfiga addosso a tutti.
Holly non correva dietro la palla ma cercava di dirigere il gioco da
dov’era. Risparmiava le forze e interveniva solo quando il
pallone si avvicinava. Riusciva sempre a toglierlo agli avversari e a
passarlo a qualche compagno che correva in attacco e
l’allungava a Mark. A Patty sembrava di aver già
visto quella scena e a forza di pensarci su, all’improvviso
capì. Alle elementari, durante la partita contro la New Team
Julian, che ancora soffriva di cuore, si era comportato nello stesso
modo. Non poteva correre a lungo e allora aveva diretto i compagni,
restando appoggiato ad un palo della propria porta.
Patty pensò che fosse una buona idea. Holly era favorito dal
fatto che nessuno dell’All Star capiva il giapponese. Nessuno
degli avversari avrebbe potuto anticipare i suoi ordini.
Fissò il fidanzato. Correva poco ma quando lo faceva non
zoppicava più come prima. Il dolore alla gamba si era
attenuato?
L’uomo che l’aveva portata lassù non era
ancora tornato. Per un attimo si augurò che non lo facesse,
poi ci ripensò. Soltanto il suo rapitore avrebbe potuto
riportarla giù e se nel frattempo gli fosse preso un colpo,
sarebbe morta lì. Rabbrividì e si
toccò la pancia.
-Piccolino mio…- sussurrò -Non aver paura. Ti
riporterò a casa, te lo prometto.-
Il suo bambino era così minuscolo che
nell’ecografia lei e Holly erano riusciti a scorgerlo a
malapena. Ma nessuno gli avrebbe fatto del male, lei non lo avrebbe
permesso. Era intenzionata a proteggerlo a tutti i costi, per lui
sarebbe stata forte. Quel pazzo avrebbe potuto continuare a
strattonarla anche per una settimana, sbatacchiarla in un altro furgone
o in uno schifoso capannone. Lei sarebbe sopravvissuta a tutto per
Holly e per il loro bambino. Non l’avrebbe uccisa come aveva
minacciato di fare. Il Giappone avrebbe vinto e lei e il suo piccolo
puntino sarebbero tornati a casa sani e salvi.
Respirò a fondo un paio di volte e si passò la
lingua sulle labbra asciutte. Avrebbe voluto altra acqua.
Afferrò la bottiglietta ormai vuota e la scosse fino a far
cadere l’unica goccia rimasta, che servì soltanto
ad aumentarle la sete. Frustrata la gettò via, mandandola ad
urtare contro il montacarichi. Si alzò per sgranchirsi le
gambe e soffocò un gemito. Le faceva male tutto, doveva
essere ricoperta di lividi. Sollevò le maniche della
maglietta e ne trovò qualcuno sulle braccia, ma ce
n’erano di sicuro anche sulla schiena e sulle gambe.
Ricordò il viaggio nel furgoncino e soffocò un
lamento toccandosi un ginocchio. In fin dei conti stava meglio seduta,
così tornò ad accoccolarsi sulla passerella.
Giocavano da una buona mezz’ora e nonostante
l’estrazione fosse andata bene, non riuscivano ad avanzare di
un passo. La palla circolava da loro agli avversari e dagli avversari a
loro senza mai lasciare il centrocampo. L’All Star si era
trincerato nella propria metà campo e i tentativi
d’attacco erano diventati piuttosto svogliati. Puntavano
tutto sulla difesa, lasciando i giapponesi correre a vuoto, sforzandosi
di portare la palla un po’ più su, senza
però riuscire ad arrivare mai in posizione di tiro.
Holly alzò gli occhi sul tabellone per controllare il tempo.
Il risultato era rimasto invariato nonostante i suoi sforzi. Si
lasciò sfuggire un sospiro. La gamba andava meglio, il
dolore si era attenuato. In compenso gli era scoppiato un gran mal di
testa, forse uno degli effetti collaterali del mix di medicinali. Vide
Everett correre in avanti e farsi rubare la palla da Owailan.
L’All Start riprese l’attacco e i giapponesi
ripiegarono in difesa.
«Attenzione! L’All Star ci riprova!»
l’esclamazione degli altoparlanti gli trapanò il
cervello.
Strinse i pugni e si concentrò sul gioco. In un attimo
Schneider risalì fino alla loro porta. Holly
lasciò il centrocampo, pregando dentro di sé che
la caviglia resistesse ancora un po’.
«La palla si avvicina di nuovo alla porta giapponese ma Price
effettua un’altra splendida parata! Hutton, arretrato in
difesa, anticipa superbamente Schneider e aggancia la rimessa del
portiere.»
Holly si fermò fuori dell’area di rigore in cerca
di Mark e si ritrovò circondato da avversari.
L’All Star aveva cambiato di nuovo tattica e adesso erano
partiti tutti in attacco. Passò a Rob ma il tiro non fu
preciso. Lo intercettò Schneider che ripartì
verso la porta. Holly gli si mise alle costole, quello di accorse di
lui e fece un lungo lancio verso Hino.
«Hino carica il tiro, i difensori giapponesi tentano di
fermarlo ma Hino passa indietro. Il pallone viene raggiunto da Brian
Kriford che calcia subito al volo. Il tiro potentissimo
s’incanala verso la porta giapponese ma Benjamin Price riesce
a fermare anche questo.»
Holly e Benji si scambiarono un’occhiata e il capitano scosse
piano la testa. Mark li aveva raggiunti, era pronto a ripartire in
attacco ma lui era troppo arretrato per riuscire a fargli un buon
passaggio.
«I giapponesi stanno per lanciarsi al contrattacco. Price
sembra passare verso Hutton ma poi rimette in gioco verso Aoi! Rob Aoi,
lo ricordiamo, gioca in Italia nell’Inter. Eccolo che corre
velocissimo verso la sfera e dopo aver saltato Margas tocca al volo per
Landers!»
Holly trattenne il fiato, i due correvano come lepri, forse avrebbero
potuto farcela. Anzi, sicuramente ce l’avrebbero fatta. La
maggior parte dei giocatori dell’All Star arrancavano dietro
di loro ma non erano abbastanza veloci da raggiungerli. Rob
continuò a correre accanto a Landers tenendosi la palla
finché quello non fu in posizione di tiro. Poi gliela
lasciò.
Landers calciò una bomba tale che le dita
dell’italiano non ressero la presa.
«Goal! Dario Belli non riesce a trattenere il pallone che si
insacca in rete. Ecco il secondo goal del Giappone! Il cannoniere Mark
Landers ha portato la sua squadra al pareggio!»
-Jenny…- Amy le si aggrappò al braccio e
continuò con un sussurro -Pensi che Patty tornerà
da noi sana e salva?-
Il gioco era fermo per una rimessa laterale. Gli occhi di Jenny si
posarono su Holly che fissava imbambolato il tabellone. Mancavano
cinque minuti alla fine e non riuscivano a passare in vantaggio. Prima
di dare una risposta, lei sospirò. Non voleva neanche
pensare che a causa di un’assurda partita Patty perdesse la
vita. Era una cosa talmente illogica che la sua mente non riusciva ad
accettarlo.
-Amy… è talmente sconcertante. Mi sembra di
vivere un incubo.- cercò Philip sulla distesa verde e si
chiese come avrebbe reagito il ragazzo se invece di Patty avessero
rapito lei. E lei come avrebbe reagito se si fosse trovata tra le mani
di un pazzo assassino? Chi diavolo poteva aver escogitato un piano
simile? Perché il Giappone doveva vincere a tutti i costi?
-Jenny…- Amy le strinse leggermente il braccio -Credi che se
vinceremo Patty tornerà?-
L’amica continuò a seguire il gioco e fece un
verso che l’altra non riuscì ad interpretare.
Né sì, né no.
-Perché io penso…- continuò Amy sempre
a voce bassissima -Che forse chi l’ha rapita non la
lascerà libera in nessun caso per paura che lei possa
denunciarlo… E se fosse la yakuza?- aggiunse alla fine,
rabbrividendo.
Jenny continuò a tacere. Il pessimismo di Amy stava
cominciando a snervarla. A tutte quelle cose lei cercava di non pensare
e confidava nella promessa scritta nel foglio che Holly aveva trovato
nell’armadietto. Ma ci sarebbe stata questa vittoria?
Mancavano tre minuti e la palla era tra i piedi di Schneider. Neanche
Tom era riuscito a togliergliela. Si volse e si accorse che Philip la
guardava preoccupato. Allora alzò sguardo al tabellone e
chiuse per un istante gli occhi quasi a scongiurare che arrivasse il
miracolo.
-Il tempo sta per scadere.-
Patty sobbalzò e si volse indietro. L’uomo era in
piedi davanti alle porte del montacarichi che si stavano richiudendo.
Intravide la sua ombra attraverso la luce abbagliante dei riflettori.
Lo seguì con lo sguardo mentre si avvicinava,
percepì il fruscio dei vestiti, poi scorse qualcosa che le
gelò il sangue. Era una sagoma troppo familiare
perché potesse sbagliarsi. Balzò in piedi con uno
scatto improvviso, sorprendendo l’uomo che non
riuscì bloccarla. Si slanciò oltre di lui verso
le porte del montacarichi e pigiò insistente il pulsante per
richiamarlo.
-Apriti, apriti…- supplicò terrorizzata.
L’uomo la raggiunse, le afferrò bruscamente il
polso e le torse il braccio dietro la schiena. Il dolore fu talmente
forte che Patty cessò all’istante di agitarsi.
Gridò di sofferenza e di disperazione. Se almeno qualcuno
l’avesse sentita!
Mentre lui la trascinava verso la balaustra, la stretta al braccio
divenne così dolorosa che le gambe le cedettero e si
accasciò a terra. Quando riaprì gli
occhi si ritrovò riversa al suolo, voltata verso il vuoto.
Si puntellò su un gomito e cercò di allontanarsi
da lui, strisciando su una gamba. L’altro braccio non
riusciva neppure a muoverlo.
-Mi dispiace, il Giappone non ha vinto.- l’uomo
l’afferrò per i capelli e la tirò su in
ginocchio.
Patty gridò di sofferenza.
-Mancano ancora alcuni minuti…- le lacrime le annebbiarono
la vista e non riuscì a scorgere il tabellone. La partita
non era ancora finita, l’arbitro non aveva fischiato, eppure
l’uomo puntava la pistola contro di lei, già
carica e pronta a sparare.
-Non saranno sufficienti a salvarti.-
Patty indietreggiò verso il vuoto, gli occhi fissi
sull’arma. Non riusciva a credere che la sua vita sarebbe
finita così. E Holly? E il loro bambino?
-Non può farlo…- urtò con la schiena i
sostegni della balaustra e si volse. L’orologio sul tabellone
indicava che il tempo era scaduto ma i giocatori, sotto di loro,
continuavano a correre dietro alla palla. L’arbitro aveva
sicuramente concesso qualche minuto di recupero.
Si aggrappò alle transenne e cercò di tirarsi in
piedi ma si bloccò di colpo quando la canna fredda della
pistola le gelò la nuca, insinuandosi tra i capelli. Un
brivido di terrore le salì su per la schiena.
Cercò di voltarsi, di togliersi di lì. Non
riuscì a muoversi, era impietrita. Il cuore le batteva
veloce, se lo sentiva in gola, amplificato nelle orecchie a scandire i
suoi ultimi secondi di vita. L’uomo tese il braccio e sotto
la sua pressione Patty fu costretta a chinare il capo in avanti. I
capelli si agitarono nel vuoto, mossi dal vento. Pensò che
non era giusto, non era assolutamente giusto che finisse
così, che lei fosse costretta a morire per una partita. Le
lacrime le rigarono le guance e quando scivolarono via, trasportate dal
vento, fissò il tabellone. Il risultato era sempre il
pareggio. Sarebbe morta davvero? Spostò gli occhi sul campo
e cercò Holly per guardarlo per l’ultima volta. La
canna premuta contro la sua pelle le faceva male ma non poteva
scostarsi, solo aspettare che tutto finisse. Udì
l’inconfondibile click della carica e serrò gli
occhi.
Poi qualcosa accadde.
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Capitolo 8 *** Finalmente libera ***
Leaves Time
8. Finalmente libera
Holly gemette quando urtò il palo con la spalla,
poi l’impeto che si era dato lo fece precipitare nella porta,
tra le maglie della rete subito dietro la palla. Se la trovò
premuta contro lo stomaco, riconobbe la sua forma e la sua consistenza
ma non ebbe il coraggio di aprire gli occhi. Non finché
l’arbitro non avesse fischiato per validare il goal. Poi lo
udì, il fischio lungo e protratto della vittoria.
Spalancò gli occhi e si volse. Dario Belli era in ginocchio
tra i pali e lo fissava incredulo.
«Goooooooooaaaaaaaaal!»
Lo stadio venne scosso da un fremito, poi gli spettatori si lasciarono
andare all’entusiasmo con un rombo di fischi e di urla.
Mark raggiunse Holly e gli tese la mano. Il capitano non lo vide. Non
lo guardava, teneva gli occhi sul tabellone, aspettando che quel due si
trasformasse in un tre e salvasse la vita di Patty.
-Holly…-
Il ragazzo si riscosse si aggrappò alla mano del compagno,
mettendosi faticosamente in piedi. Era sudato, sporco, esausto e
dolorante e mentre i compagni di squadra lo circondavano per
sommergerlo con il loro entusiasmo, si sentì così
confuso e incredulo da non riuscire a capire niente di ciò
che gli dicevano. Patty… solo Patty gli interessava. Aveva
vinto. Era salva. Il triplice fischio dell’arbitro
segnò la fine dell’incontro.
-Holly! Holly!- Bruce gli saltò al collo -Hai visto? Ce
l’hai fatta! Lo sapevo!-
Frastornato lui non riuscì neppure a sorridere. Non era
finito un bel niente. Se Patty non ricompariva sana e salva non
c’era niente di finito. Non c’era niente di cui
essere contenti. Tornò a guardare il tabellone. Il tre era
comparso. Tom gli circondò le spalle con un braccio e lo
sospinse a bordo campo verso le panchine, prima che arrivassero i
giornalisti con le loro macchinette fotografiche, le telecamere e le
immancabili interviste condite di domande insensate.
-Tom, non è finita…- la sua voce
risuonò bassa, intrisa di preoccupazione -Finché
non vedo Patty sana e salva non è finita…- la
stanchezza era tanta, era stremato. Non riuscì ad esultare
dietro ai compagni, a Gamo e ai tifosi. Si era illuso che appena
avessero segnato il goal della vittoria, Patty sarebbe rispuntata tra
loro. La cercò disperato, doveva essere da qualche parte,
doveva essere libera, e viva. Eppure non la vide e lo stomaco gli si
contorse per l’ansia.
Tom cercò di rassicurarlo.
-Holly, ci vuole tempo. Chissà dove la tiene, forse la
riporterà a casa o comunque a Fujisawa…-
Schneider si avvicinò per congratularsi, la mano tesa. Holly
faticò a ricambiare il sorriso, a ringrazialo. Strinse le
dita sudate del tedesco.
-Hai giocato molto bene, Hutton. Hai meritato di vincere.-
L’altro annuì.
“Se solo sapessi cosa sarebbe successo se non
l’avessi fatto…” spostò lo
sguardo sul corridoio in cui i giocatori dell’All Star si
stavano riversando. Chissà se una volta uscito dal campo
quell’incubo sarebbe finito. Forse non sarebbe bastato. Forse
Patty non sarebbe tornata subito da lui. Forse non sarebbe ricomparsa
per niente. Forse era stata uccisa lo stesso… Forse non
l’avrebbe più rivista…
Quando Patty riprese conoscenza le sembrò di aver dormito
per ore. Era piombata in un limbo in cui non era penetrato neppure il
frastuono della folla nello stadio. Socchiuse gli occhi. Accecata dalla
luce dei riflettori, se li riparò con una mano. Si
tirò su seduta gemendo, poi si guardò intorno.
Era sola, ma soprattutto era viva.
Spostò gli occhi sull’orologio del tabellone. Dal
gol della vittoria erano passati sì e no cinque minuti. Il
coraggio e la forza che l’avevano sostenuta finora le
scivolarono via di dosso e scoppiò a piangere. I singhiozzi
la scossero violenti, le lacrime le inondarono il viso, le sue spalle
sussultarono. Si accoccolò a terra, nascose il volto tra le
braccia e rimase così, a piangere di paura e di sollievo.
Poi, mentre i singhiozzi si placavano, alzò la testa e
attraverso le lacrime lo vide. A terra, davanti al montacarichi,
c’era il suo cellulare. Si trascinò a fatica fin
lì, lo prese tra le mani, le sfuggì dalle dita
tremanti e finì a terra. Lo riprese. Smise di piangere e si
asciugò il volto con le maniche della maglietta. Era stanca,
esausta, il pianto liberatorio aveva risucchiato le sue ultime energie.
Non le rimaneva un filo di forza e si chiese come avrebbe fatto a
scendere da lì. Lo stomaco le brontolò, si
ricordò del bambino e si sforzò di tirarsi su in
piedi. Raggiunse le porte del montacarichi barcollando e
schiacciò il bottone con il palmo della mano, chiedendosi
cosa avrebbe fatto se non avesse funzionato. Non ebbe bisogno di
trovare una risposta. Il pulsante si accese di rosso e la cabina
metallica emise un sordo ronzio. Era libera. Chiuse gli occhi con un
sospiro di sollievo e appoggiò la fronte contro porte di
metallo.
Il cellulare le vibrò in mano spaventandola, quasi le
finì a terra, poi cominciò a squillare. Sul
display lampeggiava il nome del fidanzato. Lo shock fu tale che non
riuscì a reagire. Poi si riscosse e rispose.
-Holly?- la voce le uscì roca, fu appena un sussurro.
“Patty? Patty?” non era lui. Era Evelyn che gridava
il suo nome.
Cercò di risponderle, non le uscì nulla. Le
parole le si bloccarono in gola quando le porte del montacarichi si
spalancarono davanti a lei. Le fissò sgomenta, terrorizzata,
sollevata. La cabina era vuota, ma cosa avrebbe fatto se
quell’uomo fosse stato lì dentro?
Evelyn gridava ancora, la voce rotta dal pianto.
“Dove sei? Rispondimi ti prego… Patty! Patty? Sei
tu?”
-Sì, Eve. Sono io.- riuscì a dire con un filo di
voce. La gola le bruciava, parlare era una tortura.
“Patty… Stai bene? Dove sei?”
L’ascoltò in silenzio, stordita.
-Eve, non gridare…-
Le porte del montacarichi si mossero, ricominciando a chiudersi.
Riuscì a bloccarle con un piede e
s’infilò dentro.
-Ha risposto?!- Jenny la raggiunse di corsa l’amica.
Evelyn annuì, gli occhi colmi di lacrime di sollievo.
Accanto alla panchina erano rimaste solo loro tre. Gli altri, le
riserve, il mister, lo staff avevano invaso il campo per esultare
insieme ai giocatori.
-Eve, chiedile dov’è…-
Quella allontanò il cellulare dal viso e scosse la testa
disperata.
-Non posso…- agitò il telefonino di Holly
nell’aria, pestando i piedi sull’erba -Si
è scaricata la batteria! Lo sapevo che non avrebbe retto! Lo
sapevo!-
Amy la fissò.
-E allora? Chiamala con il tuo, no? Se ha risposto vuol dire che
può farlo!-
Evelyn annuì, riesumò il proprio cellulare,
compose il numero e restò in attesa. Jenny e Amy la
fissavano col fiato sospeso, fino a che, un minuto dopo, lei esplose.
-No… Non c’è linea… Il suo
telefono non ha linea… Non è possibile! Non
c’è più linea! Perché
proprio adesso?- la sua voce si ruppe, stava per mettersi a piangere.
Jenny tentò di tranquillizzarla come meglio poté.
-Vedrai che grazie alla telefonata, la polizia ora riuscirà
finalmente a rintracciarla!-
-Credi davvero?-
Jenny annuì.
-Continua a provare.-
Quando cadde la linea Patty non si preoccupò. Ciò
che le premeva di più era andare via al più
presto da quel posto. Stringendo il telefonino in una mano
osservò i cinque pulsanti dei piani. Non c’era una
scritta, un numero, niente. Erano tutti uguali. Esitò,
chiedendosi quale fosse il caso di pigiare, poi si decise per quello
più in basso. Voleva scendere, e il più
possibile. Il montacarichi si mosse e Patty si portò davanti
agli occhi il cellulare, con l’idea di richiamare
Holly… o Eve… chiunque insomma. Fece partire la
chiamata ma non successe niente. Il telefono era isolato, in quella
gabbia di metallo non c’era linea. Alzò gli occhi
sopra le porte chiuse, dove i numeri dei piani si accendevano e
spegnevano uno dopo l’altro, indicando che il montacarichi
continuava la sua discesa. Poi si portò una mano al viso e
ficcò le dita tra i capelli. S’intricarono nei
nodi, dovevano essere in uno stato pietoso. Cercò di
sistemarsi i vestiti e specchiarsi sulla parete di metallo ma la
superficie opaca non le rimandò che un’ombra
vagamente colorata. Lasciò perdere e attese impaziente che
la discesa terminasse. Non sapeva a che piano si trovassero gli
spogliatoi, chissà se il montacarichi portava anche
lì…
Quando le porte si aprirono capì subito che aveva sbagliato.
Era finita nel parcheggio sotterraneo. Si guardò intorno
nervosa. Non c’era nessuno, era deserto.
L’inquietudine l’assalì ma quando le
porte fecero per richiudersi, uscì dal montacarichi. Da
lì conosceva la strada per raggiungere gli spogliatoi, tanto
valeva provare. S’infilò tra le macchine. La Patty
che scorse riflessa sui finestrini delle auto che costeggiò
per raggiungere l’ingresso era irriconoscibile. La maglietta
che indossava era macchiata di sporco e di sangue.
Evitò di fermarsi per specchiarsi. Da quel poco che aveva
scorto, il suo viso, la sua espressione, non erano in condizioni
migliori. Smise di compatirsi e proseguì. Accompagnata ad
ogni passo da dolorose fitte, si affrettò a varcare la porta
a vetri che conduceva ai piani superiori. Era stanchissima ma
preferì le scale d’emergenza
all’ascensore. Ne aveva abbastanza di sentirsi richiusa.
Salì un paio di piani affrontando i gradini più
in fretta che poté, poi fu costretta a rallentare ansimando,
il cuore in gola, la milza che le pulsava. Le mancò il
fiato. Aggrappata al corrimano proseguì imperterrita, la
testa che le girava. Inciampò e quasi cadde. Si
fermò di nuovo per riprendere fiato. Era sola, completamente
sola. Se fosse svenuta nessuno l’avrebbe soccorsa. Quella
consapevolezza la costrinse, nonostante tutto, a riprendere a salire e
ad accelerare il passo. Col fiato corto arrivò finalmente al
pianerottolo che cercava, si appoggiò contro il muro, la
fronte premuta alla parete, e si fermò esausta. Non aveva
più forze, non capiva neppure come avesse fatto ad arrivare
fin lì. Era il desiderio di vedere Holly, di sentirsi al
sicuro con lui e tra i compagni a darle la forza di andare avanti.
Mancava poco, veramente pochissimo. Tirò un profondo
respiro, si raddrizzò, scostò i capelli dal viso
e, raccogliendo le ultime forze che le restavano, aprì il
pesante maniglione antipanico che immetteva nei corridoi interni dello
stadio.
-Non hanno classe, non hanno stile! Come possono aver vinto!- furioso
con Pierre per il risultato della partita Napoleon non la vide e la
urtò. E quando si volse imbestialito per assalire
l’idiota che gli era finito addosso, magari spiaccicarlo al
muro e affibbiargli un cazzotto, si ritrovò davanti il volto
imbrattato di sangue mal ripulito di una ragazza che si
scusò chinando la testa. La fissò scioccato,
ammutolito mentre lei gli voltava le spalle e proseguiva.
L’urto con il francese le aveva tolto il fiato.
Proseguì rasente il muro, facendosi piccola piccola per non
farsi notare, o quanto meno per non farsi travolgere ancora. Le faceva
male ovunque, camminare era un martirio. Desiderava più di
tutto, persino più di vedere Holly, infilarsi a letto,
chiudere gli occhi e non pensare più a nulla.
-Quella tizia l’ho già vista…- Pierre
seguì con gli occhi le esili spalle della giovane che si
allontanava da loro a testa china -Sembrerebbe quasi…-
cercò di ricordare un nome, ma non ci riuscì
-Sembrerebbe la ragazza di Hutton.-
-Starà andando a cercarlo…- Napoleon
scrollò le spalle e proseguì.
Appoggiandosi con una mano al muro Patty, strinse i denti e
affrontò i gradini che immettevano al campo. Erano una
decina, forse una dozzina, ma a metà le sembrarono infiniti.
Barcollò stremata e sarebbe caduta se qualcuno non
l’avesse afferrata per le spalle tirandola su.
-Tutto bene?- domandò in inglese una voce sconosciuta.
Patty si volse, alzò il viso e incontrò un paio
di occhi azzurri che la scrutavano preoccupati. Era il biondissimo e
bellissimo Stefan Levin, il capitano della nazionale svedese. Un ciuffo
di capelli dorati e sudati gli ricadeva su parte del viso, rendendo il
suo volto ancor più seducente.
-Questa ragazza sta male…- il ragazzo si guardò
intorno e si accorse di essere rimasto solo. Era l’ultimo
della fila, i compagni erano già rientrati negli spogliatoi.
Osservò preoccupato il suo viso insanguinato, per un attimo
non seppe cosa fare. Poi capì che doveva essere curata. La
spinse verso il muro e lei vi si appoggiò.
-Aspetta qui, vado a chiamare un medico…-
Si girò per allontanarsi e Patty gli afferrò
svelta la divisa sulla schiena, arricciando la stoffa sul numero
dodici. Andava bene il dottore, ma dopo. Prima doveva assolutamente
raggiungere Holly.
Glielo disse in giapponese, lui non capì e Patty si morse la
lingua. Era distrutta, in inglese non riusciva a pensare neppure una
parola. Le si riempirono gli occhi di lacrime, le venne da piangere.
Ormai era ad un passo da Holly ma non riusciva a raggiungerlo.
Incrociò lo sguardo di Levin, il biondo straniero aspettava.
Allora gli indicò l’uscita del campo con il
braccio teso, scandendo bene due parole soltanto: “Oliver
Hutton”. Poi si accasciò. Levin non la
lasciò cadere. Si chinò davanti a lei e la
sollevò facilmente, un braccio dietro la schiena, uno sotto
le ginocchia. Annuì con un sorriso.
-Ok…- quella ragazza malridotta voleva incontrare Hutton?
Benissimo, ce l’avrebbe portata.
La luce dei riflettori l’accecò, le grida degli
spettatori e la confusione sugli spalti la frastornarono. I suoi occhi
corsero rapidi sull’erba tra le maglie blu dei calciatori
giapponesi. I ragazzi si stavano radunando davanti agli obiettivi, i
giornalisti avevano invaso il terreno di gioco subito dopo il triplo
fischio finale dell’arbitro.
Levin si fermò lì, sulla linea bianca lateriale
con la giovane tra le braccia, in cerca anche lui del capitano della
squadra avversaria. Insieme offrivano un bizzarro spettacolo. Lui,
alto, biondo, con la divisa bianca dell’All Star e quella
ragazzina malridotta, minuta al suo confronto, i vestiti laceri e
sporchi, spaesata e rannicchiata tra le sue braccia. Alcuni fotografi
li notarono e scattarono un paio di volte. Poi la loro attenzione
tornò alla squadra giapponese.
Holly era in piedi più o meno al centro del campo, allineato
con i compagni davanti agli obiettivi con la solita, pacchiana coppa in
mano. Sul suo viso traspariva la stanchezza, lo sfinimento, la
preoccupazione. L’ansia di sapere cosa ne fosse di Patty
scuoteva ogni nervo del suo corpo e se una mano di Benji non gli avesse
serrato più forte la spalla ad ogni cambio di posizione,
affondandogli le dita nei muscoli dell’omero per ricordargli
che quello non era il momento di andarsene, se la sarebbe filata senza
pensarci due volte. Non riusciva e non poteva sorridere agli obiettivi
neanche costringendosi a farlo. La caviglia stava tornando a fargli
male, se possibile addirittura più di prima. Era evidente
che non soltanto le medicine di Benji avevano finito il loro effetto,
ma che la stanchezza e la tensione gli stavano cadendo addosso tutte
insieme, concentrandosi in quella parte del corpo già debole
e dolorante.
Suo malgrado Patty sorrise. Chissà se, nonostante quella
faccia, Holly aveva ancora la forza di rilasciare
l’intervista che tutti aspettavano con impazienza. Si
passò una mano sul viso, sentì sotto le dita il
sangue raggrumato sulla tempia e tra i capelli e si ricordò
di quanto fosse impresentabile. Perché non aveva pensato a
passare in bagno a darsi una ripulita? Si rispose subito da sola:
perché voleva rivedere Holly, rassicurarlo che stava bene,
lasciarsi abbracciare e coccolare all’infinito.
Sentiva il calore di Levin scaldarla, il suo petto alzarsi e abbassarsi
al ritmo del respiro. Aveva appoggiato la testa contro il suo torace e
percepiva i battiti rallentati del suo cuore. Era evidente che non
provava alcuno sforzo a tenerla tra le braccia. Sollevò gli
occhi sul viso del ragazzo, lui se ne accorse e la guardò.
Accennò un sorriso e lei sorrise d’imbarazzo.
-Patty!- il grido di Evelyn la fece sussultare. Si volse e la vide
correre verso di loro -Patty! Come stai?-
Amy e Jenny arrivarono un istante dopo. La guardarono, la esaminarono.
Evelyn le scostò i capelli sporchi di sangue dal viso,
facendola sussultare.
-Piano…- protestò.
Jenny alzò su Levin un paio d’occhi increduli.
-Dove l’hai trovata?- domandò in inglese.
Lui fece un gesto alle sue spalle.
-Nel corridoio…-
-Grazie…- lo fissò riconoscente e lui le sorrise.
-Sei la ragazza di Callaghan, vero?-
Jenny annuì, senza capire né il motivo
né il significato di quella bizzarra domanda.
Holly udì le grida di Evelyn e sobbalzò. Si
volse, la cercò e la vide. Spalancò gli occhi
alla scena che si trovò davanti. Mise a fuoco Levin che la
teneva tra le braccia, poi fissò la fidanzata e i loro
sguardi si incontrarono. Si liberò brusco della mano di
Benji, poi gli mollò la coppa. Travolse chi aveva davanti,
lasciò il suo posto senza curarsi dei flash che scattavano,
oltrepassò le macchinette fotografiche e corse. Quando fu ad
un passo da lei la caviglia cedette. Inciampò e quasi si
schiantò a terra. Riprese al volo l’equilibrio e
fece gli ultimi due metri che lo separavano dalla fidanzata.
Levin lasciò che i piedi di Patty toccassero
l’erba. Poi indietreggiò, permettendo al capitano
giapponese di prenderla tra le braccia. Lui la strinse a sé
senza dire una parola, il cuore che gli scoppiava di
sollievo.
-Patty…- gemette. Gli occhi gli bruciavano per le lacrime
che premevano per uscire -Patty…-
-Bravo, hai vinto la partita…- mormorò lei con
voce rotta.
Holly la scostò piano da sé e la
fissò, per assicurarsi coi propri occhi che fosse davvero
sana e salva. Notò con orrore il sangue, la ferita sulla
tempia, i vestiti sporchi e laceri. Era malridotta, ma ancora viva.
-Patty, stai bene?- la strinse di nuovo contro di sé mentre
la caviglia continuava a pulsare. Non resse più e
scivolò in ginocchio davanti a lei, il viso sprofondato
contro il suo stomaco morbido e caldo. Poi lo sentì
brontolare e sollevò il viso a guardarla. Le guance di Patty
si colorarono d’imbarazzo.
-Ho fame…-
Jenny si passò una mano sul viso per ricacciare indietro le
lacrime che premevano per uscire. Levin le era rimasto accanto e quando
si volse incrociò il suo sguardo insistente che la fissava,
le mani ficcate nelle tasche dei pantaloncini. Patty stava bene, Holly
era distrutto ma fuori di sé dalla felicità e lei
era curiosa da morire.
-Perché sai chi sono?-
-Lui lo sa.- lo svedese indicò con un cenno del
capo Philip che accorreva insieme agli altri -Te lo
spiegherà.- accennò un sorriso triste e
tornò negli spogliatoi.
-Patty, come stai?-
Lei si volse verso Tom e si scostò un poco da Holly mentre
quello si tirava faticosamente in piedi. Philip lo aiutò
sostenendolo per un braccio.
-Tutta intera…- si guardò -Credo…-
-Devi assolutamente fare un salto all’ospedale…-
Amy fissò critica la ferita sulla fronte. Aveva smesso di
sanguinare ma sembrava piuttosto profonda.
Holly annuì, gli occhi fissi sul sangue, sui lividi e i
graffi… Come l’aveva ridotta quel bastardo!
-Andiamo subito…-
-E la tua intervista?- Julian indicò la stampa radunata da
una parte, in attesa.
Il capitano scosse la testa. Patty aveva urgente bisogno di cure e
avevano perso già troppo tempo. Le circondò le
spalle con un braccio e la strinse a sé.
-Ne faranno a meno.-
Lei lo trattenne.
-No, Holly! Quell’uomo voleva farmi la pelle
perché vincessi una stupida partita… Non voglio
rischiare che ci provi qualcun altro solo perché ti sei
rifiutato di rilasciare un’intervista. Posso aspettare, se
fai in fretta.-
La sua voleva essere solo una specie di battuta ma
un’eventualità del genere spaventò a
tal punto Holly che affidò Patty alle ragazze e
tornò zoppicando verso le telecamere.
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