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se stai leggendo questa lettera
significa che finalmente ho avuto il coraggio di portare a termine un progetto
al quale lavoravo da tempo. Significa che finalmente tu e tua madre non dovrete
più sopportare il peso della vergogna che ho gettato sui vostri nomi, oltre che
sul mio.
In quest’ultimo anno non ho desiderato
altro che questo: riuscire a cancellare l’onta da me creata e che purtroppo
aveva finito col ricadere su di voi. Spero con questo gesto di riuscire a lenire
la morsa dello scandalo che in questi mesi non si era mai allentata.
Lo so bambina mia, so che in questo
momento mi stai odiando perché hai sempre creduto di potermi aiutare e io non
te ne ho dato la possibilità. Ma la verità è che nessuno poteva fare nulla per
me. Nemmeno tu, mio dolce angelo.
Prosegui i tuoi studi Pearl, arriva ad
essere quello che hai sempre sognato, la donna che avrebbe riabilitato il mio
nome agli occhi del mondo, e fallo per tua madre. Ridonale la gioia e
l’orgoglio che le ho tolto, e sii forte anche per lei. Puoi essere tutto quello
che vuoi, bambina mia, la tua determinazione e la tua intelligenza saranno la
tua salvezza e quella della mia amata Martha.
Non smettere mai di sognare Pearl, e
lotta tutta la vita per realizzare i tuoi sogni. Non lasciare che qualcuno si
metta sulla tua strada e blocchi le tue ali, sei libera come un’aquila, figlia
mia. Queste sono le poche cose che ho imparato da mio padre, e che con mia
immensa vergogna non sono riuscito a realizzare.
Tu sai la verità, e fa in modo che sia
questa a vincere. Non lasciare che i miei errori influenzino la tua vita, in
nessun modo, bada bene. Guarda avanti, il futuro potrà essere splendente se
solo non ti lasci travolgere dal buio del tuo passato. Io non ne sono stato capace,
la vita mi aveva beffato troppo in profondità perché potessi riuscire a
risalire dal baratro.
Ma tu Pearl hai tutta una vita davanti
a te, hai l’energia della gioventù e la bellezza di una ninfa. Risplendi!
Perdonami se puoi, e ricorda che l’ho
fatto per il vostro bene. Se mai dovessi crearti una famiglia, proteggila con
tutte le tue forze, non lasciare che qualcosa, qualsiasi cosa, possa
danneggiarla.
Buona fortuna bambina mia, e ricordati ogni tanto
del tuo papà, che ti ha amata più della sua stessa vita.
Vincent
~~~~~
La ragazza rilesse la lettera più volte prima di riuscire ad
afferrarne fino in fondo il significato. Era tutto troppo surreale.
Mio padre ha
progettato la sua morte.
Questo era l’unico pensiero razionale che la sua mente
riusciva ad articolare.
Volse il capo verso l’avvocato vecchio amico di suo padre
che le aveva portato il plico e la lettera.
L’uomo si passava un fazzoletto sugli occhi umidi ed era
evidentemente impacciato tra gli occhiali, la valigetta di cuoio e il cappello
bagnato.
Tornò ad osservare il plico che aveva in grembo: la lettera
per lei, una busta voluminosa per sua madre e una serie di buste e fogli tenuti
insieme da una cordicella di spago.
Ancora faticava a connettere.
Si alzò macchinalmente e si affacciò al vetro della stanza
d’ospedale. Sua madre era china su un letto bianco e piangeva spandendo una
tristezza inconsolabile attorno a sé.
Distolse gli occhi dall’altra figura adagiata sul letto e
tornò guardare la lettera che stringeva ancora convulsamente.
Improvvisamente vide una goccia cadere sulle lettere e
confonderle leggermente.
Stava piangendo e non se n’era accorta.
Spostò nuovamente lo sguardo nella stanza e attraverso le
lacrime osservò li corpo esamine di suo padre, la mascherina per l’ossigeno che
gli copriva quasi tutto il viso, i tubicini che aveva infilati nelle braccia e
l’elettrocardiogramma.
Suo padre non era morto come avrebbe desiderato.
Si era schiantato contro un guardrail ed era finito in una
scarpata, ma l’ennesima beffa del destino gli aveva nuovamente rovinato i
programmi.
Era sopravvissuto per vivere una non-vita.
Suo padre, l’energico signor Garner, era in coma
irreversibile.
Tornò a sedersi strascicando i piedi, era strano come non
sentisse nulla.
Avevano chiamato lei e sua madre diverse ore prima,
comunicando che l’auto di suo padre era stata trovata in fondo a una scarpata e
che l’uomo era ancora in vita.
Immediatamente erano corse lì, raggiunte poco dopo dal
migliore amico di suo padre, e lo avevano trovato sotto i ferri.
Quando i dottori erano usciti comunicando l’esito
dell’operazione sua madre era svenuta, poi l’avevano fatta riprendere e da
allora singhiozzava sulla figura immobile del marito.
Una volta aveva letto in un libro che quando ti sparano
senti soltanto un colpo, il dolore vero arriva più tardi, quando l’aria
raggiunge la ferita.
Beh, poteva dire con certezza che era vero. L’aria stava
arrivando alla sua ferita.
Sentiva un desiderio irrefrenabile di scoppiare a piangere,
aveva bisogno di un momento di debolezza per riuscire a trovare la forza di cui
parlava suo padre.
Raggiunse sua madre e insieme piansero tutte le loro
lacrime.
Dopo un tempo che le parve infinito uscì dalla stanza, aveva
fatto stendere sua madre sul lettino d’ospedale accanto a quello di suo padre e
voleva andare a lavarsi il viso, ne aveva bisogno.
Una volta lungo il corridoio però trovò ancora il vecchio
avvocato:
- Signor Wright, è ancora qui? – ma più che una domanda era
una constatazione:
- Sì Pearl, non potevo andarmene e lasciare te e tua madre.
In qualche modo mi sento responsabile. – la ragazza sgranò gli occhi:
- Per quale motivo? – l’uomo chinò il capo vergognoso:
- Beh, credo che avrei dovuto avvertirvi del plico che mi
aveva consegnato. Purtroppo mi aveva fatto promettere di non dirvi niente e di
farvelo avere solo se gli fosse successo qualcosa. Non potevo immaginare che
lui stesso si sarebbe fatto del male, ora cedo bene che avrei dovuto infrangere
la promessa che gli ho fatto. – Pearl si commosse vedendo una lacrima scendere
lungo la guancia ispida dell’uomo, e d’istinto gli prese una mano:
- No, signor Wright, lei non è in alcun modo responsabile di
quello che è accaduto a mio padre. Quelle da biasimare siamo io e mia madre che
non ci siamo accorte di nulla. Eppure siamo la sua famiglia! Ora torni a casa
da sua moglie, sarà in pensiero per lei. Noi ce la caveremo! – lo disse con un
sorriso talmente rassicurante che l’uomo per un attimo le credette, cedendo
alla richiesta della ragazza:
- Hai ragione Pearl, la mia signora sarà in pensiero.
Tornerò domani mattina, coraggio piccola! – poi se ne andò calcandosi il
cappello sui radi capelli argentati.
Il sorriso svanì dalle labbra della ragazza e tornò a
guardare la stanza dove si trovavano i suoi.
I responsabili
di tutto questo la pagheranno.
Tornò ancora un volta nella stanza e depositò un bacio sulla
fronte dei suoi genitori, poi si diresse risoluta all’uscita.
~~~~~
- Ma dove diamine è finito… eppure stava qui… - Pearl
borbottava tra sé mentre si aggirava frettolosamente per lo studio di suo
padre, rovistando dentro tutti i cassetti.
Dopo un’ora di ricerche finalmente trovò quello che cercava,
e si sedette trionfante nella poltrona preferita dal padre.
Quello che leggeva rapidamente era la copia dell’atto
costitutivo di una società finanziaria della quale suo padre era stato socio.
E che gli aveva rovinato l’esistenza.
- Trovati!! – esclamò con un sorrisetto amaro, poi prese un
foglietto e scribacchiò tre nomi:
Alfred Pitman
Bart Cohen
Damon Rush
Eccoli lì, i tre responsabili della situazione.
Sapeva esattamente cos’avevano fatto, aveva sentito suo
padre raccontarlo all’avvocato alcuni mesi prima, i suoi genitori non
immaginavano che lei conosceva quella verità. Le avevano
raccontato una versione soft della vicenda sperando che se la sarebbe bevuta,
probabilmente per non sconvolgere eccessivamente la sua vita, ma lei non era
così stupida.
Rigirò il foglietto tra le dita tremanti di sdegno per la
situazione e di paura per suo padre.
Avrebbero pagato tutto, giurò a sé stessa, e con gli interessi
anche. La sua vendetta cominciava quello stesso giorno.
Poi si rilassò sulla sedia, volgendo il capo di lato per
sentire il profumo lasciato da suo padre, e le lacrime ripresero a scorrere
lente e inesorabili.
Allora?!?
Che ne pensate??
Lo so che non si capisce ancora niente, o poco, ma le
spiegazioni arriveranno nei prossimi capitoli. Ah, non credo che aggiornerò
tanto rapidamente, come sapete sto lavorando ad altro ma volevo vedere cosa ne
pensavate.
Ciao a tutti/e e commentate, mi farà molto piacere! ;)
“Perciò noi dichiariamo il signor Alfred Pitman COLPEVOLE
dei reati a lui imputati da questa corte, riguardanti la frode fiscale, il
riciclaggio di denaro sporco, il falso in bilancio…”
La voce del presidente della giuria proseguì l’elencazione
dei capi d’accusa contro l’uomo, ormai accasciato sul banco degli imputati col
volto cinereo e gli occhi spenti, ma alla giovane non importava.
Si alzò altera e uscì dall’aula di tribunale a testa alta,
gli occhi immediatamente nascosti da un paio di lenti scure e un sorriso che
aveva ben poco di allegro le aleggiava sulle labbra.
Non si preoccupò di fare silenzio e di evitare che i tacchi
delle sue eleganti decolleté non producessero rumore, con tutto il chiasso che
i giornalisti stavano facendo nessuno si sarebbe accorto di lei.
Eh già, l’aula era zeppa di giornalisti.
Perché?
Semplice: Alfred Pitman era l’imputato numero uno del
processo dell’anno, l’uomo d’affari più in vista della città era appena stato
schiacciato dal peso delle sue responsabilità.
Fino a un mese prima si vociferava che fosse tra i primi
dieci uomini più ricchi del paese, miliardo più miliardo meno. Adesso stava per
fare una lunghissima visita, pagata fior di multe, nelle patrie galere.
Ora vi starete chiedendo cosa c’entra la ragazza di cui
sopra, giusto?
È una storia lunga, ma tenterò di abbreviarla: diciamo che
ha dato il via alle indagini sul signor Pitman.
Dovete sapere che questo signore sguazza nell’alta finanza
già da tempo, in sostanza è uno di quegli “squali” di cui tanto si parla.
Orbene, quest’uomo da una vita ricicla il denaro della malavita locale in
cambio di un’esosa percentuale che molti suoi clienti definiscono “da
strozzino”, ma nessuno si è mai sognato di dirglielo. Dopotutto lavorava in
monopolio, nessun altro oltre a lui voleva farsi carico di denaro così mal
reperito, quindi il nostro signor Pitman ha proseguito indisturbato le sue
attività, più o meno losche, fino a qualche mese fa.
Cioè fino a che il rappresentante dei soci di minoranza
della società di cui è fondatore, dietro avvertimento da parte di un piccolo
azionista di cui non si è mai capito il nome, non ha convocato un’assemblea
straordinaria per alcune questioni poco chiare riguardanti l’ultimo bilancio
redatto.
Ebbene, non lo indovinerete mai: ne è uscita una storia
infinita, più si andava a scavare più si scopriva del marcio, tra somme
incalcolabili provenienti dal nulla e ammanchi sempre più grandi nelle casse
sociali.
Perché forse voi non sapete che se investite i soldi di
questi signori malavitosi e sbagliate completamente investimento, perdendo fior
di quattrini, il gentile mafioso non si accontenta di un cesto di frutta
accompagnato da un elegante biglietto di scuse.
Eh, no!
L’ometto in questione rivuole indietro tutto, e con gli
utili stellari che gli avevate promesso anche!
Quindi se voi foste nei panni di questo Alfred Pitman che
fareste? Tirereste fuori i soldini di tasca vostra?! Ma quando mai??!
Naturalmente prelevereste contanti dalle casse sociali, tanto chi se ne
accorge? Basta far falsificare i bilanci da un revisore dei conti al quale
pagate una nutrita parcella non prevista dagli accordi assembleari e tutto fila
liscio!
Sì, ma solo fino a quando il revisore in questione non viene
scoperto con una valigetta piena di contante non autorizzato, e soprattutto
quando a pescarlo in flagrante sono due agenti delle finanze dello stato,
giunti alla sede della società su richiesta dei soci di minoranza di cui sopra
per un controllo sugli ammanchi di cassa.
Vedete com’è facile far saltare un’intera società
finanziaria? Basta una stupida richiesta da parte di un azionista anonimo…
Beh, anonimo secondo gli inquirenti, ma io posso
tranquillamente dare un nome a questo fantomatico soggetto.
Lo indovinereste?
Vi facilito il compito confessandovi un piccolo segreto:
Gill Porter.
Non vi dice nulla, eh?
E se io aggiungessi che è un nome falso?
Dall’inizio: la signorina Porter ha acquistato le azioni
della società finanziaria A.P. (gli economisti sono gente poco fantasiosa)
tramite una postazione bancaria in collegamento diretto con la borsa,
naturalmente non a nome suo ma di una fantomatica micro-società ubicata in una
cittadina non meglio identificata; alcuni dicono che si trovi all’ovest, ma
niente di certo.
Comunque, la signorina ha acquistato le azioni e
immediatamente ha richiesto tutti i bilanci degli anni precedenti, dopotutto
era diritto della società che rappresentava vederli in quando consociata. Nel
giro di pochi mesi della A.F. ne sapeva più la ragazza di tutti i soci storici
messi insieme, compreso il vecchio Pitman!
Fatto sta che un bel giorno il rappresentante dei soci
detentori di una minima parte delle quote azionarie si è visto recapitare una
busta bianca contenente un lungo fascicolo da parte della società sconosciuta,
che parlava tramite Gill, e gettando un’occhiata ha subito capito il valore
esplosivo di quelle rivelazioni.
Un mese dopo era stata convocata l’assemblea che aveva dato
il via al patatrac.
Ma ancora non vi ho detto il vero nome della Porter.
Con calma, che impazienti! Non siete curiosi di sapere come
ha fatto la signorina a capire che c’era qualcosa di losco sotto la copertura
della sana società finanziaria?
La risposta a questa domanda richiede che vi narri una lunga
storia, cominciata una decina di anni fa, quando un certo Vincent Garner ha
stipulato il contratto costitutivo di una società finanziaria insieme ad altri
tre personaggi, tra cui Alfred Pitman.
Questa società in poco tempo, grazie alla competenza e
bravura dei quattro soci fondatori, nonché detentori della maggioranza delle
azioni, spadroneggiava sul mercato borsistico accaparrandosi le migliori
occasioni di investimento e moltiplicando il proprio capitale a vista d’occhio.
I quattro soci sembravano andare d’amore e d’accordo, ma
naturalmente il destino, bestia subdola e meschina, c’ha infilato la zampaccia.
Buoni, adesso arrivo al dunque!
Dunque, i quattro soci un brutto giorno (mi spiace ma non
trovo termine migliore, anche se fa tanto favola della buonanotte) hanno avuto
un grosso dissidio: si trattava dell’acquisizione di una piccola società in
fallimento, loro avrebbero dovuto risanarla e rivenderla al miglior offerente
guadagnandoci fior di quattrini, e fin qui nulla di anomalo direte voi.
Il fatto è che la società in questione non godeva di una
buona nomea, nel senso che nell’ambiente circolavano strane voci su affari poco
leciti e su debiti incalcolabili con qualche criminale.
Insomma, la verità è che la società da anni riciclava il
denaro dei grossi commercianti di droga e simili, poi un regolamento di conti
andato male ha coinvolto i soci e i sopravvissuti se la sono squagliata,
lasciando tutto in pasto alla finanza.
Tornando ai nostri diretti interessati, Pitman già allora
cominciava ad interessarsi di “finanziamenti alternativi” e aveva creduto di
poter facilmente convincere i suoi soci a fare l’acquisizione, allargando così
i suoi… orizzonti, o come li volete chiamare.
Purtroppo il caro Alfred aveva fatto i conti senza l’onestà
di Vincent, che fin dalla prima volta in cui aveva sentito parlare dell’acquisizione
era stato più che contrario al mischiare la loro reputazione irreprensibile con
quella pessima della piccola società.
A Pitman naturalmente quell’opposizione non era piaciuta per
niente, lui era abituato ad ottenere sempre quello che voleva, e se questo
voleva dire eliminare Garner, beh… peggio per lui!
Conclusione: dopo aver pagato profumatamente un contabile,
Pitman ha fatto in modo che qualcuno si accorgesse di un ammanco di cassa, e da
un’indagine da lui stesso pilotata ha fatto in modo che risultasse che Vincent
rubava regolarmente denaro alla società da quando era stata costituita.
Tutto questo in accordo con un altro socio di cui ancora non
vi ho parlato, tale Bart Cohen, che lo aveva sempre seguito come un cagnolino,
esaudendo ogni suo desiderio.
Una volta indetta un’assemblea e fatti sbucare chissà come i
registri falsificati il gioco era fatto. Garner venne accusato da tutti i soci
di essere un ladro e un approfittatore, venne sbattuto fuori dalla società e la
sua faccia apparve su tutti i quotidiani economici per almeno i due mesi
successivi.
Tutto questo sotto gli occhi del quarto socio di
maggioranza, Damon Rush, un giovane arrampicatore fresco di università,
all’epoca dello scandalo Garner infatti non aveva che 27 anni.
Pare che lui non sia stato coinvolto direttamente nel piano
per liberarsi di Vincent, ma in ogni caso non ha fatto nulla per aiutarlo e per
questo la figlia di Garner ritiene anche lui responsabile del tentato suicidio
del padre, un anno dopo essere stato buttato fuori.
Adesso voi mi chiederete: cosa diamine c’entra la figlia di
Garner?
Ma come, ancora non l’avevate capito?! È lei Gill Porter!
Quanto siete lenti di comprendonio, Pearl Garner non poteva
usare il suo vero nome per vendicarsi di quello che hanno fatto a suo padre,
così si è inventata uno pseudonimo!
Cos’è successo a Vincent? Ha tentato il suicidio gettandosi
in una scarpata con la sua auto, ma gli è andata male.
È finito in coma, fortunatamente ne è uscito dopo vari mesi
ma non è più l’uomo energico e tuttofare di prima. L’unico lato positivo è che
non pensa più a morire, ha capito di doversi lasciare tutto alle spalle e ora
si gode il tempo che passa con sua moglie e sua figlia. La sua invalidità
(cammina a fatica, preferisce usare la sedia a rotelle) però è motivo di grande
rabbia per Pearl.
Se voi foste sua figlia ve ne sareste stati lì a guardare?
Io, probabilmente, no. Forse anch’io sarei impegnata in una
vendetta terribile come quella di Pearl: far fare ai tre ex soci di suo padre
la stessa fine.
Inutile dite? Forse, ma a lei non sembra per niente così.
Lei ne ha fatto la sua personale crociata.
Soprattutto ora che sono passati 6 anni da quel terribile
incidente, e che suo padre non è più riuscito a riacquistare l’energia e la
vitalità, è sempre più convinta che il suo compito è di rendere giustizia a suo
padre e che lo deve portare a termine.
Per raggiungere il suo scopo si è laureata in economia a
pieni voti e con 6 mesi di anticipo, ha seguito un master in alta finanza per
entrare nel mercato con tutte le carte in regola e ha cambiato nome, Gill
Porter per l’appunto. Beh, non è che l’ha proprio cambiato, la sua situazione è
un pelino strana… in sostanza ha due identità, una palese e una occulta. Non so
se sia lecito, anzi probabilmente non lo è, ma tanto è Gill solo sul lavoro.
Comunque, tornando a Pearl, il secondo anno di università ha
deciso che aveva bisogno di un hacker per potersela cavare in ogni situazione,
e per questo motivo un giorno si è presentata davanti alla facoltà di
ingegneria informatica.
Ha bazzicato le aule computer per giorni, andando a
osservare anche i ragazzi nelle sale studio con i portatili, poi ha selezionato
il soggetto che faceva per lei.
Tarik O’Connor, il classico ragazzo che credete sia frutto
di una vostra fantasia proibita: bello, simpatico e intelligente a livelli
eccelsi, il miglior hacker della facoltà di informatica.
Quel giorno d’autunno Pearl gli si è piantata davanti con
una mano in tasca e l’altra a stringere il mento:
- Mi hanno detto che sei il migliore del tuo corso, è vero?
– lui le ha fatto un sorriso da svenimento istantaneo che l’ha lasciata
impassibile:
- Certo bella che è vero! Io sono Tarik, e ho l’onore di
parlare con… - lei gli ha stretto la mano con forza insospettabile:
- Pearl Garner. Ho bisogno del tuo aiuto Tarik. – il ragazzo
non si è lasciato scoraggiare e ha rinnovato lo spettacolo sulla sua dentatura
perfetta:
- Tutto quello che vuoi, bellissima! – ma per quanto da
allora si sia impegnato ronzandole attorno fino allo sfinimento non è mai riuscito
ad arrivare a qualcosa di più affettuoso che non fossero gli auguri di Natale.
Tosta la ragazza!
Dobbiamo aggiungere che Tarik ha una sorella gemella, la
dolce e simpatica Aileen, a quel tempo studentessa di economia come la nostra
eroina.
Le due ragazze si sono conosciute tramite Tarik e da allora
sono amiche per la pelle, tanto che Pearl in un momento di particolare
depressione le ha raccontato la sua storia e il motivo per il quale ha bisogno
di Tarik.
Aileen naturalmente ha deciso di entrare a far parte del
piccolo gruppetto di vendicatori, così da 5 anni collaborano per aiutare Pearl
a farsi giustizia.
Questi giovani d’oggi, quanta poca fiducia ripongono nella
giustizia degli uomini e nei tribunali!
Dunque, mi sembra di avervi dato tutte le informazioni del
caso…
Ah, no! Ho dimenticato di dirvi che dopo l’incidente occorso
a Vincent la vecchia società alla quale partecipava si è smembrata.
Pitman ha proseguito su quella strada facendo la fine che
ormai ben sapete.
Cohen è già nel mirino di Gill, gestisce una piccola società
finanziaria ma con solo fondi di sicura provenienza.
Rush invece è al timone di una società di intermediazione
mobiliare, ma di questo parleremo più avanti.
Quello che adesso mi preme farvi sapere è la destinazione di
Gill/Pearl.
La ragazza ha parcheggiato davanti ad una palazzina di nuova
costruzione, nel centro della città.
Una volta scesa si è avvicinata al portone di ingresso ed è
entrata con le sue chiavi, dovete sapere che la sede operativa dei suoi affari
è esattamente qui, in casa di Aileen:
- Aileen ci sei? – ha urlato dall’ingresso appena infilato
dentro il suo bel nasino alla francese. Una voce lontana le ha risposto un
assenso squillante, così si è diretta con decisione ad una stanzetta in fondo
ad un corridoio. Una volta sulla soglia si è trovata di fronte un macello
pauroso:
- Che diavolo è successo qua dentro? – la biondina al
computer si è girata con un sospiro:
- Tarik: aveva bisogno del mio programma di contabilità e in
meno di due ore ha ordinato da mangiare almeno tre volte, tra pizze e
take-away. Quel ragazzo è un pozzo senza fondo! – Pearl annusò l’aria
disgustata:
- Già… e che buongustaio! Cos’ha mangiato, ratti in
decomposizione?! – Aileen sghignazzò divertita:
- Può darsi, adesso mi disfo subito di quella roba prima che
mi contamini la casa… il processo com’è andato? – vide il viso di Pearl
contrarsi in una smorfia soddisfatta:
- Come volevo, credo che il caro Pitman avrà tutto quello
che si merita! – Aileen annuì:
- Anche il virus da inserire nel sistema informatico della
società di Cohen è a buon punto, Tarik sta facendo un ottimo lavoro… spero che
finiremo presto… - mormorò assorta:
- Perché? – chiese la mora sorpresa:
- Perché è ora che tu pensi a qualcosa di diverso che alla
vendetta! Non puoi buttare la tua vita così! – esclamò piantandosi le mani sui
fianchi:
- Ma davvero… e a cosa dovrei
pensare secondo te? -
- Che ne so, a quello che ti
pare!! A trovarti un lavoro vero, a qualche hobby… e perché no, ai ragazzi! –
Pearl roteò gli occhi scocciata:
- Ma per favore… - borbottò
uscendo dalla stanza e ponendo fine alla loro conversazione.
Many thanks to:
Lady Aria: Grazie dell’incoraggiamento, spero che
continuerai a seguirmi! ;)
Devil_90: Grazie anche a te, farò del mio meglio
perché continui a piacerti!
Elenim: Oh, che carina, quasi mi commuovo!! Beh
certo, forse sono stata un pelino dittatrice, scusami! Non so perché, ma vista
la mia storia precedente ho come l’impressione che questa sarà un fiasco…
Earine: Grazie di essere passata, e scusami anche tu
non volevo essere così drastica! Farò del mio meglio, e i suggerimenti sono
sempre ben accetti!
Damynex: lo so, è una storia parecchio triste… non so
perché ma mi vengono tutte disastrate le protagoniste! Bah… ah, dovrei cambiare
rating?
AyLa: eccomi qua, ti avevo detto che aveva qualcosina
in mente!! Speriamo che venga bene, ma è difficile con tutte le buone idee che
ho messo nell’altra! Anche per te, e comunque per tutte vale il discorso: se
volete collaborare con qualche suggerimento contattatemi via mail!
Sempre: tarn5@libero.it
Ditemi quello che non capite, nel prossimo capitolo avrete
tutte le spiegazioni che volete.
- Te l’ho detto la prima volta che l’ho visto che non mi
piaceva, Martha, ma tu no! Hai voluto fare di testa tua! E lo vedi ora come sei
finita? Con un uomo che non riesce neanche più a guidare un’auto normalmente… -
la signora proseguì a lungo il suo logorante monologo, ormai Martha lo sapeva.
Era inutile tentare di ribattere o di farla smettere, non avrebbe capito e non
avrebbe taciuto.
Pearl entrò in quel momento, captando alla perfezione
l’ultima frase:
- Piantala nonna, sono discorsi che sanno di marcio! Non ci
interessa la tua opinione su mio padre, perché ti ricordo che è di lui
che stai parlando, è chiaro? Adesso smettila, hai stancato anche i muri ormai.
– la signora la guardò storto:
- Dì, come ti permetti di parlare così a tua nonna?! Guarda
come sono ridotta, e tocca ancora a me venirti a trovare! Mai una volta che
vieni tu a farmi compagnia… - la ragazza la interruppe esasperata:
- Basta Louise!! Sei più un gamba di noi due messe insieme.
– sbraitò indicando sé stessa e sua madre: - E come ti ho già detto mille
volte, io non ti vengo a trovare per non darti la soddisfazione di caricarmi di
insulti su mio padre, capito?! – la donna trattenne la lingua biforcuta dietro
ai denti. Sapeva che quando Pearl la chiamava per nome tirava una brutta aria,
così si limitò a chiederle di riaccompagnarla a casa in auto, adducendo come
scusa il fatto che lei era troppo vecchia per prendere il tram.
Si noti che la gentilissima nonnetta il viaggio d’andata
l’aveva fatto proprio in tram…
Pearl caricò la nonna in auto per poi tornare un istante da
sua madre.
Come da copione, la trovò in lacrime. Immediatamente la
abbracciò, poi la scostò da sé per guardarla:
- Basta ascoltarla mamma, sai bene che non ha ragione e che
papà è il migliore marito e padre del mondo! – la donna tirò su col naso:
- Sì, ma lei va avanti così da anni… non ce la faccio più a
sentirla insultare di continuo tuo padre! Lei non sa cos’ha passato, non sa
quanto siamo uniti… - Pearl sospirò. Sua madre era così fragile da quando era
successo quel maledetto incidente, sembrava indifesa come una bambina quando le
dicevano qualcosa di storto sul marito, che il quel momento era chiuso nel suo
studio tutto esaltato per una nuova occupazione. Ora dava qualche consulenza finanziaria
a domicilio, per lo più a vecchi amici abitanti del vicinato, robette da poco
in ogni caso ma che servivano comunque a riempirgli la vita e a farlo sentire
meno inutile.
- Adesso me ne libero mamma, per almeno due settimane non la
rivedrai più. Cercherò di convincerla a non venire, e se serve a farti stare
meglio andrò davvero a trovarla così non sentirà più il bisogno di
“sacrificarsi” per me. Andiamo, smettila di piangere, è una vecchiaccia
sclerotica, lo sai meglio di me! – Martha e sua madre non erano mai andate
d’accordo, fin da quando era bambina l’aveva trattata come una sciocchina,
approfittando del suo carattere dolce e gentile, e ora che era invecchiata era
diventata anche più dispotica. La donna annuì, ridacchiando:
- Hai ragione bambina, allora và, stai attenta e torna
presto! – disse riprendendosi:
- Non posso tornare subito, volevo fermarmi da Aileen. Ti
dispiace? – sua madre scosse il capo:
- Oh no cara, vai, vai pure! Sarai a casa per cena? – Pearl
annuì col sorriso. Sua madre era sempre più bella quando sorrideva:
- Sì mamma, non preoccuparti. Ci vediamo per cena allora! –
fece allontanandosi per infilarsi un paio di scarpe sportive.
Mente riportava sua nonna a casa, in assoluto silenzio,
pensava che era decisamente ora di finirla con tutto quello stress. Su madre
era troppo debole per occuparsene, doveva farlo lei.
Una volta parcheggiato sotto il condominio dove abitava
Louise si volse a guardarla duramente:
- È ora di finirla nonna. – la donna la guardò senza capire:
- Che stai dicendo Pearl? Avanti, aiutami a scendere da
questo trabiccolo che chiami automobile! – la ragazza la trattenne per un
braccio:
- Sto parlando sul serio. Devi smetterla di tormentarla con
quei discorsi su mio padre. La mamma è debole, stressata e stanca, e non voglio
che le accada niente di male, o ne risponderai tu direttamente. Questo è un
avvertimento nonna, bada a quello che ti fai uscire da quella ciabatta! –
borbottò acidamente lasciandola e uscendo dall’abitacolo. Se pensava che da
bambina aveva voluto bene a quella nonna che la riempiva di regali…
Quando finalmente riuscì a liberarsi della vecchia dalla
lingua tropo lunga e carica di veleno se ne andò in direzione dell’appartamento
della sua migliore amica.
L’aveva chiamata proprio prima di entrare e sorprendere sua
nonna in “piacevole” conversazione con sua madre, e le aveva chiesto di
raggiungerla.
Il virus che Tarik si era impegnato a creare era pronto,
almeno così sembrava.
~~~~~
Appartamento di Aileen
- Quanto sei cretino Tarik, ti ho detto almeno un miliardo
di volte che non puoi detrarre dalle tasse gli scontrini della spesa al
supermercato! – il ragazzo si spettinò i capelli biondi con una smorfia
divertita:
- Perché mai scusa?! Io non ho un’attività individuale come
programmatore e riparatore di computer? – Aileen lo guardo sorpresa:
- Sì, e allora? – lui allargò la bocca in un sorriso:
- Come e allora!! I soldi che spendo al supermercato sono
per il mio sostentamento! Se muoio di fame chi la gestisce l’attività?! Quindi
i soldi della spesa sono costi aziendali! E più in specifico, costi di
sostentamento del titolare dell’attività! -
- Beh, certo ha ragione… la sua logica non fa una piega… -
commentò divertita Pearl sgranocchiando del pop-corn, procurato da Tarik
naturalmente:
- Per carità, non ti ci mettere anche tu a dargli corda!! Ma
guarda tu che roba, ho un fratello che poco poco si inventa l’atterraggio degli
alieni per evadere e un’amica che si diverte a vedermi disperare… siete due
pazzoidi, tutti e due! A volte mi sembrate fatti l’uno per l’altra… - borbottò
arrabbiata facendo dei segnacci sulla dichiarazione del gemello. Tarik prese le
sue parole al volo e guardò Pearl con occhi brillanti:
- Visto? È destino!! Che ne dici di uscire insieme sabato? –
la ragazza scosse il capo divertita:
- Niente da fare Tarik, sai bene che con me non attacca! –
lui si avvicinò, sedendole accanto sul divano:
- E dai… Pearl, luce dei miei occhi! – esclamò comicamente
posando un ginocchio a terra e prendendole una mano. La ragazza rise:
- Altro che hacker, l’attore dovevi fare! Avresti avuto
anche un discreto successo, sai? – lui si inorgoglì:
- Ma certo! Soprattutto con le donne mia cara! – lei scosse
il capo allontanandosi:
- Certo, come no… tira fuori il virus piuttosto, voglio
capire bene come funziona. – fece alzandosi e avviandosi al bagno.
Tarik la guardò mentre il sorriso gli svaniva dalle labbra.
La conosceva da anni ormai, ma non era mai riuscito ad
avvicinarla più di così. Era distante e inafferrabile, come un sogno.
Forse era lui a sbagliare, finiva sempre per fare il cretino
e lei non lo aveva mai preso sul serio.
Vedendolo così pensoso sua sorella si preoccupò:
- Che hai Tarik? Non ti ho mai visto così serio, sicuro di
non avere la febbre? – lui la guardò e tornò ad avere la solita faccia scema:
- Niente di preoccupante sorellina, credo solo di aver
capito perché non devo detrarre la spesa dalle tasse! – esclamò facendola
preoccupare sul serio:
- Oh mamma, ma allora sei gravemente malato! Dio ce ne
scampi e liberi, spero che tu non ci capisca mai niente di imposizione fiscale,
non sei per niente portato per l’argomento! – borbottò facendolo ridere di
gusto.
Quando Pearl tornò dal bagno si appostarono tutti davanti al
computer e finalmente Tarik poté fare sfoggio delle sue doti di informatico.
Infilò un cd nel cassettino apposito e cominciò a spiegare
in termini semplici come avrebbe funzionato la sua “creazione”.
- Dunque, questo programma si nasconde all’interno del
sistema operativo ed è impossibile da scovare per qualunque antivirus. È una
specie di programma fantasma, c’è ma non si vede, insomma. Deve essere inserito
in un qualsiasi computer dell’azienda di Cohen. A quanto ho saputo da chi ha
installato il loro sistema informatico, sono tutti computer collegati tra loro,
quindi in pratica si tratta di infettare un’unica rete interna. Sarà
sufficiente inserirla in un computer, vi dicevo, poi man mano che altri utenti
si collegheranno o scambieranno informazioni con questa postazione, il virus si
diffonderà senza far sorgere il minimo sospetto negli utenti. – Pearl annuì,
ormai dal tempo che lo conosceva capiva piuttosto bene il funzionamento dei
suoi programmini illeciti:
- Ok, ma che funzione avrà più in specifico. – Tarik
ridacchiò puntando su di lei i suoi occhi verdi:
- Esattamente quella che mi avevi chiesto tu: all’inizio
nessuno si renderà conto della sua presenza. Cambierà di qualche punto i dati
che arrivano dalla borsa, o quelli elaborati dai dipendenti stessi della nostra
vittima, poi col passare delle settimane comincerà a fare sul serio,
rovesciando completamente le informazioni e distorcendole anche solo da una
postazione all’altra. Insomma, farà scivolare l’azienda nel caos più totale, ma
prima che possano rendersi conto della causa del malfunzionamento avranno già
accumulato una caterva di proteste per investimenti sbagliati, oltre che di
debiti per investimenti finiti più che male… - Pearl proseguì per lui:
- E anche se riusciranno a individuare la causa del disastro
e ad eliminarla il gioco sarà ormai fatto: i debiti avranno raggiunto cifre
astronomiche e la loro credibilità di società di investimento solida e sicura
sarà già sfumata, così come la speranza di poter proseguire l’attività. Giusto?
– Tarik le sorrideva soddisfatto:
- Giusto. La signora è sufficientemente colpita dal mio lavoro
o devo dare un’ulteriore prova di affidabilità? – scherzò sporgendosi verso di
lei:
- Sono abbastanza colpita… - mormorò lei divertita:
- Come sarebbe a dire “abbastanza”?! – disse facendole il
verso, scherzoso come sempre: - Io perdo delle notti su questa cosa e lei mi
dice “abbastanza”?!? – Aileen lo guardò ridendo:
- Non ci hai ancora detto come farai a inserirlo nel loro
sistema operativo… non è così facile avere accesso ai loro computer, vige la
massima sicurezza là dentro! – il ragazzo alzò un indice con fare saccente:
- Ottima domanda sorellina, qualcosa in comune dovevamo pur
averla io e te… dunque, l’idea è questa. Questo mio amico che ha installato
tutto il programma mi ha detto che ogni mese un loro tecnico va a fare una
piccola manutenzione al sistema. Insomma, verifica il buon funzionamento,
toglie eventuali inghippi e cosucce del genere. Mi ha chiesto ancora, come un
anno fa, se voglio entrare a far parte della squadra, e io ho accettato. –
Pearl sgranò gli occhi:
- Ma… e la tua attività?! Sei davvero disposto a chiudere il
tuo laboratorio per diventare un dipendente?! – il ragazzo le sorrise
dolcemente:
- Ma certo! Per aiutarti ad avere giustizia questo e altro…
- mormorò, per una volta seriamente:
- No Tarik, non posso accettarlo! Davvero, è troppo! Mi farò
assumere io come segretaria o qualcosa del genere, o magari cercherò qualcuno
che possa manomettere un computer durante la notte, ma non voglio assolutamente
che tu ti sacrifichi per… - non poté continuare, Tarik le aveva posato l’indice
sulle labbra:
- Niente da fare, ormai ho accettato. Sono venuto qui anche
per chiedere ad Aileen come chiudere la mia attività. È già tutto stabilito,
non posso più tirarmi indietro! – le disse rassicurante. Pearl sospirò,
sconfitta:
- E va bene… mi dispiace averti coinvolto così direttamente
però, davvero io non volevo… - era evidentemente preoccupata che potessero
scoprirlo. Le accarezzò una guancia col dorso delle dita:
- Eddai, non sono un principiante!! Me la caverò
egregiamente, nessuno si accorgerà di niente, te lo posso assicurare! – esclamò
sicuro di sé. Pearl annuì imbronciata, poi si alzò dicendo che doveva
raggiungere sua madre e che si sarebbero visti il giorno dopo per stabilire i
particolari della faccenda, lasciando soli i due fratelli.
Aileen guardò Tarik con un sorriso dolce:
- Che c’è, non ti sei ancora arreso? – lui scosse il capo,
circondandole le spalle con un braccio:
- Eh no, Pearl è una malattia dalla quale non si riesce a
guarire… Ehi, sorellina, ti ha mai detto nessuno che sei sprecata come
commercialista? Dovresti fare la strizzacervelli… - ridacchiò spettinandola
scherzoso:
- Piantala Tarik!! Guarda che ti aumento le tasse da pagare
se non lasci in pace i miei capelli! – lui la lasciò andare all’istante,
spaventato dalla prospettiva:
- Non è giusto però, tu mi ricatti sempre… - brontolò,
mentre sua sorella si dava una sistemata.
~~~~~
Il mattino successivo
Pearl salì le scale due a due. Quella notte l’aveva passata
insonne e aveva ripensato alle parole di Aileen di una settimana prima.
Forse la sua amica aveva ragione, era ora che cominciasse ad
avere una vita sua, se non altro per tranquillizzare i suoi.
Non passava giorno infatti che suo padre o sua madre, a
turno, le chiedessero quando avrebbe presentato loro un ragazzo , come andava
il lavoro e che progetti aveva per il futuro.
Non se la sentiva più di mentire o schivare il discorso,
doveva chiudere quella faccenda al più presto e incominciare finalmente una
vita normale.
Ma prima doveva sistemare tutto, non poteva venire meno alla
parola che si era data 6 anni prima, e lei non era il tipo da rompere un
giuramento.
Perciò, visto che Bart Cohen era vicino all’essere colpito,
doveva mettersi subito in modo per la sua terza preda: Damon Rush.
Ripeté quel discorso alla sua amica che naturalmente ne fu
entusiasta, ma lei e suo fratello si rabbuiarono sentendo quali erano i suoi
progetti per Rush:
- Ti vuoi esporre in prima persona?! E se lui ti
riconoscesse? – Pearl agitò una mano:
- Impossibile, non ha mai incontrato mia madre, alla quale
assomiglio, e non ha mai visto me. Solo io l’ho visto circa 8 anni fa, di
sfuggita, mentre ero con mio padre nel suo ufficio. Non capirà mai chi sono! –
Tarik incrociò le braccia pensoso:
- Ok, ma se dovessero capire che sei tu a modificare le relazioni
sull’andamento dei titoli? Hai pensato a cosa ti faranno? – lei lo guardò
imbronciata:
- E tu hai pensato a cosa ti succederebbe se capissero che è
stato l’innocuo programmatore a inserire il virus che creerà loro una marea di
problemi? – i due ragazzi si guardarono a lungo, sfidandosi con lo sguardo.
Alla fine Tarik sbuffò spazientito:
- Accidenti a te, mi metti sempre in difficoltà! – borbottò
poco soddisfatto. Pearl esultò internamente, aveva vinto la battaglia ancora
una volta:
- Perfetto! – esclamò con un sorriso disteso: - Allora
faremo così: io cercherò di avere le relazioni sugli acquisti e vendite
mobiliari prima che vengano consegnati al capo, li manderò ad Aileen tramite
posta elettronica, li modificheremo e poi li faremo tornare in circolazione
nella società, confondendo le idee e creando il caos. Che ve ne pare? – Aileen
mise il broncio:
- Tutta questa storia mi piace sempre meno, ho come
l’impressione che ne verrà fuori un casino pazzesco! – mormorò mentre gli altri
due si guardavano ancora in cagnesco.
Damynex: Non direi… no, non volevo farlo tipo ‘Madian
2, il ritorno del figaccio’. È diverso, ma lo scoprirai andando avanti! Temevo
fosse un fiasco, ma se comincia a piacere allora vado alla grande!
AyLa: Darling, ma io sono mostruosamente vendicativa!
Brava prenditi tutto il tempo che ti serve, tanto non lo so nemmeno io con chi
la farò finire! Non è un modo di dire, davvero non ci ho ancora pensato… sarà
una sorpresa anche per me, devo solo aspettare che uno dei tipi che ho in mente
la faccia da padrone e mi diventi più simpatico degli altri. Sono pazza, lo so!
Clover: Quale onore, una delle mie autrici preferite…
Sono felice che ti piaccia, ma non aggiornerò tanto spesso perché sono presa da
un’altra storia, se ti va di farci un salto si intitola “Se una notte d’estate,
un ladro”. Spero che continuerai a seguirmi!
Nota: chi ha letto quella storiella che mi è successa sull’altra storia
lo sa, non ho saputo resistere
Nota: chi ha letto quella storiella che mi è successa
sull’altra storia lo sa, non ho saputo resistere!!
Pervinca
Diversi giorni dopo, al parco
Pearl fece un paio di piegamenti e sbuffò, pensierosa.
Aveva esposto un piano niente male ai fratelli O’Connor, ma
ancora non era certa se sarebbe riuscita ad attuarlo.
Innanzitutto doveva riuscire a farsi assumere, e quello era
un bel problema. Aveva già mandato la domanda di assunzione e il curriculum, ma
non aveva ricevuto alcuna risposta.
Che fosse meglio presentarsi e chiedere un colloquio a
qualcuno, che so, magari a qualche collaboratore di Rush? Oppure al presidente
stesso?
Non ne aveva idea, era un bel problema!
Cominciò a camminare svelta, poi gradualmente si mise a
correre, badando a respirare a tempo coi suoi passi.
Le piaceva correre, riusciva a sfogarsi e a non pensare a
niente, ma non quel giorno.
Non riusciva a togliersi dalla testa la sua terza e ultima
impresa, come faceva a entrare nella società del terzo ex socio di suo padre?
Un grido improvviso a una cinquantina di metri da lei la
distolse bruscamente dai suoi ragionamenti. Si volse di scatto e vide una donna
seduta a terra che indicava un uomo che correva via veloce:
- Aiuto!! La mia borsetta, al ladro!! – urlava a squarcia
gola.
Senza pensarci su Pearl si gettò all’inseguimento, correndo
a perdifiato dietro al malvivente.
Era un tipo robusto e anche piuttosto rapido, ma lei era più
magra e leggera, più allenata e perciò più svelta.
Dopo qualche centinaio di metri lo aveva raggiunto e con un
balzo veloce lo placcò, bloccandogli la fuga e rotolando nell’erba insieme a
lui.
Cominciarono una lotta furibonda, strattonandosi e
pestandosi, poi la forza dell’uomo prevalse e riuscì a scaraventarla a terra.
Si alzò per scappare, trafelato e confuso, ma non riuscì a
fare più di 5-6 passi che venne di nuovo agguantato e sbattuto contro il tronco
di un albero da un tipo alto e più robusto di lui:
- Sta’ fermo… - borbottò nervosamente una voce bassa.
Pearl si tirò a sedere massaggiandosi una spalla, cadendo
aveva urtato violentemente il terreno e ora sentiva un leggero fastidio.
Imprecò immaginando che l’indomani avrebbe avuto un bel livido in quella zona:
- Tutto bene ragazzo? – la voce bassa di prima ora si
rivolgeva a lei. Ragazzo a chi?!
Poi ci ripensò, in effetti poteva essere scambiata per un
maschio: indossava una tuta di almeno due taglie in più, scarpe comode e mezze
distrutte e un berrettino sportivo, con la visiera calata sugli occhi e i
capelli neri raccolti nel cappellino, praticamente invisibili.
Si volse di scatto, guardandolo con un occhio solo e tenendo
l’altro nascosto sotto la visiera, poi inarcò un sopracciglio sorpresa.
L’uomo che teneva fermo lo scippatore era… affascinante…
Alto, fisico atletico fasciato in un abito elegante grigio scuro.
Camicia bianca con i primi bottoni slacciati e cravatta allentata.
Indubbiamente sensuale.
Il viso era serio, dai lineamenti regolari e marcati.
Capelli castano scuro corti e occhi scuri, espressivi, profondi e… caldi.
Sì, caldi era il termine esatto.
Per quanto ne sapeva, poteva essere il diavolo tentatore in
persona con quello sguardo.
Pearl si riscosse dal suo attimo di osservazione e si alzò,
borbottando un assenso senza tradire il proprio sesso e pulendosi alla bell’è
meglio da polvere e fili d’erba:
- Prendi il cellulare che ho nel taschino interno della
giacca e chiama la polizia, io ho le mani impegnate. – le ordinò mentre
aumentava la stretta sulle braccia del ladruncolo che protestava e tentava di
liberarsi.
La ragazza si mosse lentamente, avvicinandosi e lanciando di
quando in quando brevi occhiate al viso dell’uomo, alle quali lui rispondeva
quasi confuso. Lo aveva capito dalle sopracciglia aggrottate che non afferrava
esattamente quello che stava succedendo.
Scostò il lato sinistro della giacca e insinuò una mano,
ritrovandosi ben presto a contatto con i suoi pettorali. Mmh… probabilmente fa palestra…
Pensò movendo lentamente le dita mentre lui la guardava. Che
avesse capito che era una donna?
Quando finalmente il corridore ritirò la mano e il cellulare
lui deglutì, sorpreso.
Che gli era preso? Lo innervosiva essere toccato da un
ragazzino?! Che assurdità!!
Osservò la figura del ragazzo e aggrottò nuovamente le
sopracciglia: aveva delle mani piccole, sottili e curate per essere un ragazzo,
non è che magari…
Ma no!! Non poteva essersi sbagliato! Una donna non andrebbe
in giro con delle scarpe ridotte in quello stato, e con una tuta che non sia
attillata!
O almeno le donne che aveva frequentato lui.
- Fatto. – borbottò Pearl chiudendo il cellulare con uno
scatto e rimettendoglielo in tasca. Ma non nel taschino interno, semplicemente
lo fece scivolare in una delle tasche esterne:
- Arrivano? -
- Sì, hanno una macchina qui vicino. 10 minuti. – rispose
telegrafica.
Si stava divertendo a fare la parte del ragazzo, anche
perché lo vedeva sempre più confuso.
Quando arrivarono i poliziotti l’uomo raccontò loro
l’accaduto e indicò Pearl come colui che era riuscito a fermare il
borseggiatore. Poi lo lasciarono in pace mentre prendevano le generalità della
donna scippata e ne approfittò per presentarsi al corridore:
- Sei stato coraggioso ragazzo, ti ho osservato e corri
molto veloce, complimenti! Molto piacere, il mio nome è Damon Rush, con chi ho
avuto l’onore di collaborare? – fece con un sorriso malandrino.
Pearl guardò la mano che le veniva porta mentre sentiva la
terra mancarle sotto i piedi, poi alzò lo sguardo leggermente di sbieco su
quell’uomo attraente che si era appena presentato come la sua terza vittima e
vacillò. Ecco perché le sembrava di averlo già visto da qualche parte!!
Oddio, e adesso
che gli dico?!?
Un poliziotto venne in suo aiuto, richiamando l’attenzione
di Rush:
- Mi scusi signore, avremmo bisogno delle sue generalità e
di quelle del ragazzo. – Damon si era voltato per guardarlo e per dirgli che
sarebbero arrivati immediatamente, ma quando si volse per finire le
presentazioni davanti a lui non c’era più nessuno.
Si guardò attorno rapidamente, poi borbottò:
- Ma è sparito… - il poliziotto lo richiamò nuovamente e
dovette seguirlo, ma continuava a lanciare occhiate al parco nel tentativo di
rivedere il misterioso corridore.
Tutto inutile.
Pearl, una volta colta al balzo la sua unica opportunità di
fuga, era corsa via con tutto il fiato che le rimaneva e si era nascosta dietro
a un grosso cespuglio a una certa distanza dal centro della scena.
Aveva osservato Rush discutere con i poliziotti e indicare
il parco. Probabilmente stavano parlando della sua misteriosa fuga.
Decise che non era il caso di rimanere oltre ad osservare
col rischio di essere scoperta, perciò si volse e riprese a correre, fermandosi
solo una volta arrivata all’appartamento di Aileen.
~~~~~
Entrò sbatacchiando la porta e facendo accorrere Aileen, che
alla vista del suo colorito si preoccupò:
- Si può sapere che ti è successo, sei cianotica!! Tu e la
tua mania per la corsa, quanti chilometri hai fatto senza mai fermarti? – Pearl
ansimava incontrollatamente, senza fiato:
- Dovevo…anf… dal… parco… anf anf… Rush!… anf… - la biondina
la guardò sorpresa di sentire quel nome:
- Mi stai dicendo che sei venuta di corsa dal parco? – ma
Pearl non era ancora in grado di rispondere, continuava ad ansimare: - Lascia
perdere e stenditi un po’, magari riesci a riprenderti! – brontolò andando a
prenderle dell’acqua, che venne immediatamente tracannata.
Dopo pochi minuti Pearl riuscì a connettere e a spiegarsi:
- Sono venuta di corsa… dal parco… - Aileen incrociò le
braccia:
- Questo si era capito, stavi per farmi una sincope!! Adesso
spiegami perché hai nominato Rush. – la mora chiuse gli occhi e prese fiato:
- L’ho incontrato al parco. – l’altra ne voleva sapere di
più:
- Come? Così, per caso? L’hai visto e l’hai riconosciuto o
hai sentito qualcuno chiamarlo? – Pearl negò col capo:
- Ho rincorso uno scippatore, l’ho placcato ma stava per
scapparmi, allora è arrivato lui e l’ha bloccato. -
- Sapevi che era lui? L’hai riconosciuto subito? – l’altra
negò:
- No, non avevo idea che fosse lui, non me lo ricordavo
così. Quando l’ho visto io era un ragazzo, adesso è… un uomo. – mormorò con lo
sguardo perso nel ricordo di due occhi scuri e…
- E ti credo! L’hai visto quanto… 8 anni fa? Beh allora
doveva avere… vediamo, se è entrato nella società che aveva 23 anni… però, un
piccolo genio, si è laureato con un anno di anticipo? – Pearl scosse il capo:
- Mio padre mi aveva detto che era intelligente, ma ha
finito nei tempi normali. Solo che quando era bambino i suoi gli hanno fatto
cominciare le scuole un anno prima… comunque, quando l’ho visto aveva 25 anni.
-
- Uhmm… quindi adesso ne ha 33… interessante, e com’è? – a
quella domanda però non giunse risposta, solo uno sguardo fisso nel vuoto: -
Pearl?! Ti ho chiesto com’è!? – finalmente si riscosse:
- Ah, sì… beh, è… affascinante. Alto, atletico… moro. –
disse semplicemente alzandosi e togliendosi il cappellino:
- E lui che ti ha detto? Ti ha riconosciuta? – Pearl
dimenticò per un po’ l’effetto che aveva avuto su di lei il loro incontro
ravvicinato e ridacchiò:
- Scherzi?! Mi ha scambiata per un ragazzo!! – esclamò
divertita. Aileen sgranò gli occhi:
- Nooo… ma dove diavolo ha gli occhi?! Si vede lontano un
miglio che sei una ragazza, anche conciata così!! Ah ah!! Tropo divertente,
peccato essersi persi la scena! – fece ridacchiando:
- Già… il problema è che sono dovuta scappare perché la
polizia non mi chiedesse le generalità, altrimenti sai il casino che avrei
combinato?! Sarebbe andato tutto a monte! – fece pensosa.
Aileen la guardò attentamente:
- Pearl… sei proprio sicura di volerti vendicare anche di
lui, vero? – l’altra alzò lo sguardo oltraggiata:
- Certo che sì!! Perché non dovrei?! Si è arricchito anche
lui grazie a mio padre, non lo dimenticare! – la bionda la osservò
attentamente:
- Niente… è solo che… beh, è solo un impressione… ma sembra
che questo incontro ti abbia particolarmente colpita… - la mora roteò gli
occhi:
- Ehi, non ricominciare con le tue analisi da psicologa
mancata, ho solo detto che è affascinante, nient’altro! – borbottò ficcandosi
nuovamente il berrettino sulla testa:
- Adesso sarà meglio che me ne torni a casa, tu invece evita
di far fare troppi pensiero stupidi a quel cervellino bacato! Ciao. – fece
chiudendosi la porta alle spalle e correndo nuovamente via.
Aileen guardò la porta sospirando. Ne era sempre più certa,
di lì a poco si sarebbe scatenato il putiferio!
~~~~~
Due giorni dopo, sede della società di intermediazione mobiliare Rush
Pearl scese dall’auto e sistemò la giacca del suo tailleur e
la camicetta che portava sotto.
Voleva essere impeccabile, doveva a tutti i costi essere
assunta!
Prese la borsa e una cartellina contenente il curriculum e
altri dati personali, di pura fantasia naturalmente, e si avviò con fare altero
all’entrata della palazzina del centro che ospitava la società del suo terzo
obiettivo.
Nell’ingresso trovò una signora cortese:
- Salve, sono qui per una domanda di assunzione, con chi
crede che potrei parlare? – la donna le sorrise:
- Salve a lei signorina, beh, dovrebbe parlare direttamente
col presidente, è lui stesso che si occupa delle nuove assunzioni. Il suo
ufficio è in fondo al corridoio di destra, al primo piano. Si può accomodare in
sala d’attesa, intanto se mi vuole lasciare il suo nome avvertirò il signor
Rush della sua presenza. Dovrebbe farmi la cortesia di pazientare però, in
questo momento è impegnato… - fece maliziosamente, ma Pearl non ci fece caso:
- La ringrazio, allora aspetterò. – fece col sorriso
allontanandosi e ringraziando la sua buona stella per quel piccolo ritardo.
Almeno aveva tutto il tempo per prepararsi un piano di attacco…
Un quarto d’ora più tardi era completamente immersa nella
lettura di una rivista di alta finanza,dimentica del colloquio che la
attendeva. Erano letture notevolmente impegnative, scritte da esperti dei vari
settori, ma le servivano molto per tenersi aggiornata e per avere sempre ben
presente cosa poteva fare per raggiungere il suo scopo.
Non si accorse che pochi minuti dopo una donna alta, bionda
ed elegantissima era uscita di botto dall’ufficio di Rush, allontanandosi
rapidamente e con passo altero:
- Aspetta Miriam, dove stai andando? – era Damon, apparso
sulla porta dello studio:
- A casa!! E vedi di venirci anche tu al più presto.
Dobbiamo parlare!! – sbraitò la donna inacidita, infilandosi un paio di
occhiali da sole e svanendo lungo il corridoio.
Rush sospirò, passandosi una mano tra i capelli e tornando
verso il suo ufficio col capo chino.
Odiava gli isterismi delle donne, e proprio non riusciva a
mandare giù il comportamento della sua quasi ex compagna.
Stava per rientrare nel suo ufficio quando si accorse di una
figuretta in sala d’aspetto, e in quel momento si ricordò che la signora giù in
entrata lo aveva chiamato per dirgli che c’era una ragazza per un colloquio.
Sbuffò sfregandosi gli occhi, ma quando posò lo sguardo
sulla giovane rimase bloccato dov’era.
Era giovane, forse sui 24-25 anni. Era seduta per cui non
poteva stabilirne l’altezza, ma poteva apprezzare tranquillamente le gambe
accavallate lasciate scoperte dalla gonna del tailleur: affusolate ed eleganti,
veramente perfette con quelle scarpe nere dal tacco vertiginoso.
Agitava nervosamente un piede e mordeva un dito mentre era
completamente assorta nella lettura di una rivista finanziaria.
I capelli neri, lisci e lucidi, le arrivavano alle spalle e
li portava sciolti.
Teneva lo sguardo basso quindi non le vedeva gli occhi, ma il
viso era veramente straordinario: la pelle candida contrastava con i capelli e
le sopracciglia scure, perfettamente arcuate, il naso era ben proporzionato e
la bocca… beh, quella era tutto un programma.
Piccola, visibilmente morbida, leggermente carnosa, era di
un colore perfetto, vicino a quello delle rose. Chissà dove aveva sentito quei
paragono sdolcinati! Ma dovette ammettere che erano perfetti.
Constatò anche, e con una certa sorpresa, che era truccata
il minimo indispensabile. Si capiva dal colore della pelle, non era quel colore
artificiale di chi usa fondotinta e altre cose simili, delle quali non ci aveva
mai capito nulla.
Senza rendersene conto era accanto a lei e la osservava con
le mani affondate nelle tasche:
- Signorina? – la chiamò. Non ricevette risposta, e si stupì
ancora di più. Aveva visto poche persone concentrate così su quegli articoli
incomprensibili, e di queste poche nessuna era donna: - Signorina, mi sente? –
tentò nuovamente, ma senza alcun risultato.
A quel punto si chinò su di lei, arrivandole a poca
distanza:
- Signorina! – fece più forte. La ragazza trasalì
leggermente e alzò di scatto lo sguardo su di lui, sbalordendolo:
- Sì? – fece lei incerta, stupendosi di trovarselo così
vicino.
Damon non riuscì a connettere per diverso tempo, incantato
dai suoi occhi: erano semplicemente meravigliosi, di un azzurro cupo, tendente
al violetto… come si chiamava quel colore… pervinca!! Esatto, erano
color pervinca!
Cristo, che occhi…
- Signor Rush? – la voce della ragazza lo riportò alla realtà,
e gli fece realizzare che era a una decina di centimetri dal suo viso.
Immediatamente si ritrasse, tossicchiando imbarazzato e
tentando di riprendere il controllo della situazione:
- Ehm… lei era qui… per un colloqui, se non sbaglio… -
borbottò imbarazzato di essersi fatto pescare ad ammirarla apertamente.
Tentò di non divorarla con lo sguardo mentre si alzava, ma
si stava rivelando un’impresa difficile toglierle gli occhi di dosso:
- Esatto! Mi scusi se non l’ho sentita immediatamente,
quando leggo mi accade spesso di non accorgermi di quello che mi succede
attorno! – spiegò con un sorriso, alzandosi e dandosi una rapidissima
sistemata. Non sapeva cosa pensare però: Rush la guardava in modo strano, e per
un attimo temette che lui sapesse chi era:
- Già… comunque io sono Damon Rush, come lei ha già
saggiamente intuito, e ho il grandissimo piacere di parlare con… - fece
porgendole la mano:
- Gill Porter, molto piacere! – rispose stringendo quella
mano forte, al confronto con la quale la sua sembrava piccola come quella di
una bambola:
- Bene, credo che ci troveremmo meglio a parlare nel mio
ufficio, prego. – fece precedendola e appostandosi sulla soglia.
Pearl notò con un notevole disappunto che in quel modo le
restringeva di parecchio lo spazio per entrare, e lanciandogli una breve
occhiata capì che quell’espediente era voluto.
Infatti le sorrideva sornione.
Fece un profondo respiro e gli passò accanto rapidamente,
senza riuscire a non sfiorarlo e provocando un attimo di imbarazzo.
Rush sembrava volerla trafiggere con lo sguardo, tanto la
guardava intensamente.
In realtà Damon pensava a ben altro che a trafiggerla, il
suo desiderio era molto meno poetico.
Quando aveva sentito il suo profumo aveva deciso che la cosa
migliore da fare con quel tailleur era strapparglielo di dosso, insieme a tutto
quello che poteva esserci sotto, ma da perfetto cavaliere quale era seppe
trattenersi, limitandosi a lanciarle un sorrisetto sensuale.
Pearl non poteva sapere che l’assunzione che tanto
desiderava era stata decisa quando l’aveva vista.
Earinë: Louise è liberamente ispirata a due donne
della mia famiglia: mia mamma e sua madre, in un mix micidiale di acidità che
rivaleggia con quella dell’acido muriatico. Ho i brividi solo a pensarci… Pearl
ha qualcosa di mio, questo risentimento perenne nei confronti di mezzo mondo e
di nessuno, una sensibilità troppo disarmante e la forza di ridere e di
combattere in ogni caso. Allegra e triste, dolce e dura, sognatrice e concreta
tutto in una volta, e non porta alcuna maschera.
Damynex: Eh, non posso dire niente! Ma aspetta almeno
di conoscerlo il povero Damon, potresti cambiare idea… Mi piacciono le persone
col senso dell’umorismo!
AyLa: Tutto inventato, potrei scrivere degli
strafalcioni assurdi o delle cose vere, non ne ho idea! Tutto frutto della mia
immaginazione, anche se qualche nozione l’ho imparata da un amico informatico,
ma lui si occupa della progettazione di siti internet (ha fatto quello dei
jeans Diesel). Grazie per i complimenti, ma le appena 35 letture mi scoraggiano
non poco…
Clover: Nessun problema, tanto nemmeno io aggiorno
spesso questa storia. Che peccato che hai dovuto sospendere una storia, scrivi
bene! Ti capisco, anch’io allungherò i tempi a causa dello studio, penso che
sia così per tutti! Grazie, mi farà piacere un tuo parere, ciao! ^_-
Ancora alla sede della società di intermediazione mobiliare Rush
- Prego, si accomodi. – le disse una volta superato il
momento di imbarazzo mentre si dirigeva alla sua poltrona.
Quando si sedette aveva già curriculum e altri documenti
sotto il naso.
Li prese con aria fintamente grave e prese a sfogliarli.
La prima cosa che guardò fu l’età della ragazza… Nata nel 1979, quindi ha 26 anni… sembra
più giovane… pensò lanciandole una fugace occhiata e vedendola rigida
sulla poltroncina.
Mise una mano davanti alla bocca per nascondere un sorriso e
proseguì la sua indagine.
Laurea in
economia… massimo dei voti… master in finanza… sembra il mio stesso percorso
formativo!
La guardò ancora. Era strano, gli sembrava di averla già
vista… qualcosa gli diceva che doveva conoscerla. Gill Porter… Porter… molto
strano, non riusciva a figurarsela con quel nome.
Aveva come l’impressione che si facesse chiamare in un modo
diverso, eppure tutti i suoi dati erano lì, sotto i suoi occhi, con indirizzo e
tutto!
E questo? I
suoi hobby?! Interessante… le piace leggere, e si era capito, e adora il
tennis. Beh, ma allora è la donna della mia vita!
Pensò sorridendo nuovamente, mentre Pearl davanti a lui lo
guardava sorpresa. Che aveva da ridere quel tizio?!
- Bene signorina, il suo curriculum è notevole, devo
ammetterlo. Mi chiedevo se le andrebbero bene 15 giorni di prova, intendo
rinnovare la sezione contabile e ho bisogno di qualcuno di giovane e dinamico.
Le interessa? – chiese prendendo in mano una stilografica e rigirandola
nervosamente tra le dita forti. Pearl tornò a guardarlo dopo un istante:
- Certamente! Spero che sarà soddisfatto del mio lavoro e
che deciderà di assumermi stabilmente. – lui puntò gli occhi scuri nei suoi,
guardandola intensamente:
- Ne sono certo signorina Porter… allora può cominciare
domattina, la aspetto per le 9 per mostrarle le sue mansioni. – fece alzandosi
e porgendole la mano.
Lei la strinse con decisione, guardandolo con occhi
brillanti:
- Benissimo. Allora a domani signor Rush! – esclamò
soddisfatta. E chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stato così facile?!
Damon la accompagnò alla porta, e le sorrise:
- Non vedo l’ora che arrivi domattina… - mormorò divertito
facendola sobbalzare. E questo cosa significava?!
- A-arrivederci signor Rush. – balbettò affrettandosi ad
allontanarsi da quel tipo, consapevole che due occhi scuri e penetranti
studiavano attentamente ogni sua mossa.
Damon la guardava con un sorriso enigmatico dipinto sulle
labbra. Gli piaceva quel suo modo di camminare così altero, la faceva sembrare
una regina dei tempi andati. Indugiò sulla figura della ragazza finché questa
non svanì lungo le scale, poi si richiuse nel suo studio con un’espressione
indecifrabile.
Si sedette sulla sua poltrona e la volse verso la vetrata
che gli garantiva una vista perfetta sull’ingresso.
Dopo pochi istanti la vide uscire, camminava svelta e un po’
meno rigida di prima, quindi probabilmente sapeva di essere osservata quando
era uscita dal colloquio.
La vide frugare nella borsetta ed estrarne le chiavi
dell’auto sempre senza fermarsi, poi fare un gesto aggraziato per scostarsi i
capelli dal viso. Era l’eleganza fatta persona, non aveva mai incontrato una
ragazza così di classe, oltre che bella.
Una lieve ruga gli solcò la fronte quando la vide rallentare
e osservare un’auto scura, alla quale stava appoggiato un ragazzo biondo.
Pearl sbatté le palpebre per vedere meglio. Tarik?
- Ciao! Allora, ti hanno assunta?! – le chiese a voce alta,
tanto che anche Damon lo sentì. La ragazza annuì:
- Sì, per un periodo di prova… e tu che cosa ci fai qui? –
chiese riprendendo ad avvicinarsi. Tarik con un paio di lunghe falcate le era
accanto, le circondò la vita con le braccia e la sollevò da terra:
- Sono venuto per festeggiare!! Ero sicuro che ti avrebbero
presa, perciò sono venuto per essere il primo a congratularmi! – fece girando
su sé stesso e ridendo allegro. Pearl non poté trattenersi dallo scoppiare a
ridere:
- Che fai?! Mettimi giù, pazzoide! – fece dandogli dei
leggeri pugnetti sulle spalle. Lui la lasciò andare, ma non prima di averle
dato un bacio veloce sulla fronte.
Pearl alzò lentamente lo sguardo su di lui:
- Tarik, che cosa stai… - ma lui la zittì mettendole
l’indice sulle labbra:
- Ssst! Non sta bene che una bella ragazza come te non abbia
il ragazzo, così sono qui per fare la parte del fidanzatino premuroso! Non ti
sta bene? – chiese divertito. La ragazza scosse il capo sorridendo:
- E va bene, ma non prenderti troppe libertà! Ho un’immagine
seria da difendere io! – esclamò come una brava maestrina avvicinandosi alla
sua auto. Tarik la seguì:
- Sissignora!! Fai guidare me, ti porto in un bel posticino
per fare bisboccia! -
- Sei pazzo, guarda che è mattina! – lui scosse le spalle
ridendo:
- E allora?! Andiamo in qualche bel ristorante e ci facciamo
una mangiata di quelle da cenone di Natale! Che mi dici, ti va? – la ragazza lo
guardò un istante, poi scosse il capo:
- Fa un po’ quello che ti pare, tanto non credo proprio che
riuscirò a farti cambiare idea! – fece porgendogli le chiavi. Lui le prese
divertito e la spinse dal lato del passeggero, aprendole lo sportello e
mettendosi serio:
- Prego madame… - fece in tono di sussiego mentre lei
scoppiava in una risata allegra:
- Pagliaccio! – gli urlò mentre lui le sbatteva galantemente
la portiera in faccia.
Partirono rapidamente e se ne andarono tranquilli, mentre
Rush sprofondava nello schienale della poltrona con i muscoli della mascella
contratti e lo sguardo pensoso.
~~~~~
Ore 21:00, appartamento in centro
L’uomo entrò senza accendere la luce.
Depositò la ventiquattrore su un tavolino nell’entrata e si
avvicinò lentamente a un divano in pelle nera, allentando il nodo della
cravatta e sbottonando i primi bottoni della camicia.
Si sentiva soffocare, ma sapeva bene che non era solo dovuto
ai vestiti che indossava, infatti anche dopo essersi liberato di qualsiasi
impaccio continuava a sentire il desiderio di aria fresca, diversa e nuova.
Tentò di rilassarsi contro lo schienale, arrovesciando la
testa all’indietro e chiudendo gli occhi.
Miriam non era in casa, per la milionesima volta gli aveva
dato appuntamento e non si era fatta trovare.
Per fortuna che avrebbero dovuto parlare…
Stare seduto però lo faceva pensare troppo, quindi si alzò e
sfilandosi la giacca con un fruscio si avviò al mini-bar, versandosi una dose
più che generosa di un amaro.
Tracannò il liquido scuro d’un fiato, stringendo le labbra
mentre il liquore gli bruciava la gola, poi sospirò stanco.
“Dedichi più tempo alla tua stupida società che a me!”
La voce petulante che gli urlava nella testa era quella
della sua ormai quasi ex compagna, durante la lite di quel mattino.
Forse non aveva tutti i torti, ma d’altra parte come poteva
mettere al primo posto una donna che lo aveva tradito?
Già, Miriam lo aveva tradito, anche se forse non fino in
fondo, ma questo era un particolare che voleva risparmiarsi a tutti i costi.
Alcuni mesi prima.
Era tornato a casa prima del previsto, quel giorno aveva un
mal di testa terrificante e non era riuscito a proseguire la giornata in
ufficio.
Era tornato all’ora di pranzo, stupito di non trovare la
donna visto che non lavorava. Non ci aveva fatto troppo caso, sapeva che era un
patita dello shopping sfrenato quindi non aveva ritenuto necessario
preoccuparsi.
Poche ore dopo, mentre vagava per la casa come uno zombie
alla ricerca di qualcosa che lo facesse stare meglio, la porta d’ingresso si
era aperta e Miriam aveva fatto il suo ingresso avvinghiata a un uomo.
Era talmente impegnata a baciarlo e a togliergli la giacca
che si era accorta di lui solo quando le aveva lanciato una battuta acida sulle
sue occupazioni mentre lui era al lavoro.
Naturalmente il terzo incomodo non aveva aspettato nemmeno
un minuto a battere in ritirata, evidentemente poco deliziato dall’idea di
finire male con quel tipo tutto muscoli che conviveva con la signorina frivola.
Quindi aveva lasciato i due “piccioncini” a sbrigarsela da
soli.
Lei aveva piagnucolato per ore, singhiozzando che si sentiva
sola e ignorata, che lui non la portava mai a cena e altre balle del genere.
Diceva che non era successo niente con quel tipo, si erano
solo baciati e lei non si era rifiutata, si sentiva troppo persa. Damon l’aveva
guardata ironicamente:
- Ma certo: è stato lui a portarti fin qui, tu di certo non
gli hai indicato la strada, vero cara? E poi si sa, questo è il modo migliore
per affrontare i problemi, il tradimento! Fammi il piacere Miriam… - aveva
sbottato deluso e amareggiato.
La discussione era andata avanti per le lunghe, poi il suo
mal di testa era andato aumentando perciò si era infilato nel letto senza
proseguire quel colloquio assurdo.
Il mattino dopo Miriam era ancora lì, gli aveva chiesto
scusa con mille fusa e lui aveva deciso di perdonarla, cosciente nel profondo
che se ne sarebbe pentito, ma deciso a ignorare quella vocetta insistente. Era
ancora interessato da lei, ma non aveva capito che era solo attrazione fisica.
In realtà le cose da quel giorno sembrarono migliorare,
Miriam voleva accompagnarlo quando aveva degli affari fuori città e lui la
accontentava: faceva colpo sui clienti con quella sua aria civettuola, era
un’ottima spalla da quel punto di vista.
La settimana precedente però era successo il fattaccio: la
donna lo aveva accolto con una sottoveste di pizzo praticamente inesistente,
aveva cominciato a spogliarlo sulla soglia dell’appartamento e lui era rimasto
impassibile, poi aveva cominciato a rispondere ai suoi baci e si era lasciato
travolgere.
Si erano appena gettati sul letto quando con voce rauca
Miriam gli aveva detto che voleva un bambino.
Immediatamente si era staccato da lei, guardandola come se
fosse impazzita:
- Che cosa?! Un… bambino!? – aveva balbettato con voce
strozzata. Lei aveva sorriso sensualmente, accarezzandogli il petto attraverso
la camicia quasi del tutto sbottonata:
- Sì amore, perché? – Damon si era tirato indietro sgomento:
- Io non voglio un figlio… non da te!! – si era ritrovato ad
esclamare.
Sul momento non sapeva esattamente nemmeno lui perché le
aveva detto una cosa del genere.
Era stato colto di sorpresa e poteva essere stato lo shock,
certo, ma quando più tardi ci aveva ripensato con calma aveva capito il vero
motivo per il quale le aveva detto quella cattiveria: non voleva veramente
avere dei figli da lei.
Gli ripugnava addirittura l’idea che i suoi figli sarebbero
dovuti crescere con una madre del genere, con una donna che per noia era capace
di tradire, che non sapeva pensare ad altro che a comprare scarpe alla moda e
che non aveva la minima idea di come cucinare un uovo.
Lui era cresciuto con una madre casalinga, in un caldo nido
familiare, e Miriam non era assolutamente la donna che immaginava di sposare
per mettere su famiglia.
Immaginava una brava ragazza, di certo non casalinga, ma se
la figurava dolce, premurosa e amorevole, ma allo stesso tempo indipendente e
forte.
Di certo per una del genere avrebbe lavorato come le persone
normali, non anche il giorno di Natale e Pasqua. Anzi, avrebbe anche potuto
chiudere quella società che ormai gli procurava più grattacapi che
soddisfazioni e trovarsi un lavoretto stipendiato. Non era certo a corto di
soldi…
L’avrebbe portata in vacanza in qualche bel posticino in
montagna, che lui amava particolarmente, e si vedeva seduto sotto a un pino in
un praticello fiorito, mentre lei canticchiava a occhi chiusi respirando le
fragranze nell’aria, abbracciata a lui.
Poi apriva gli occhi e gli sorrideva dolcemente,
avvicinandosi per dargli un bacio leggero e morbido…
Il problema era che questa donna meravigliosa non aveva un
viso. Era, e temeva che avrebbe continuato a rimanere per sempre, un suo sogno.
Sapeva solo una cosa: che il suo profumo sarebbe stato
simile a quello del miele, dolce e fragrante. Non sapeva dire il perché, ma era
sempre stata la sua fissazione.
Potete immaginare la sua sorpresa quando quel mattino Pearl,
che lui conosceva come Gill, gli era passata accanto e lo aveva inondato
dell’esatto profumo che lui aveva sempre cercato.
In un primo momento non ci aveva creduto, aveva pensato di
esserselo sognato perché desiderava sentirlo, poi con il passare delle ore la
sensazione di aver trovato finalmente quel qualcuno di particolare aveva
cominciato a farsi sempre più chiara e decisa nella sua mente.
Ora fremeva al pensiero che l’avrebbe rivista l’indomani, e
così via per chissà quanto tempo.
Però era una pessima idea farla lavorare in contabilità, non
sapeva neanche che faccia avesse il contabile da quanto poco lo vedeva!!
No, le serviva un incarico che la tenesse sempre al suo
fianco.
Gli tornò alla mente il biondino del parcheggio solo quando
la porta si aprì di scatto, lasciando entrare Miriam:
- Ah, sei qui. Bene, ho bisogno di parlarti. – esordì
gelidamente.
Damon si sistemò sul divano, infastidito che i suoi pensieri
fossero stati interrotti:
- Dimmi pure… - mormorò distratto. Lei gli sedette di
fronte, accavallando le belle gambe messe in vetrina dalla minigonna:
- Voglio l’appartamento. -
Damon la guardò una volta, poi osservò il bicchierino di
amaro che teneva ancora tra le dita e tornò nuovamente a osservarla, quasi
incredulo:
- Sei pazza? È casa mia e non siamo sposati! Non puoi
pretendere nulla, non stiamo divorziando! – sibilò con un sorriso sinistro. Lei
fece un gesto noncurante:
- Beh, sei tu a lasciarmi: qualcosa mi devi. E siccome sei
stato tu a offendermi dicendomi che da me un figlio non lo vorrai mai, mi
sembra che lasciarmi l’appartamento non sia un grande sforzo, anche perché di
soldi ne hai. – osservò con la massima calma.
Rush osservò la donna davanti a lui con un misto di odio e
ammirazione.
Odio perché le sue richieste erano assurde, oltre che
sproporzionate come… “risarcimento”, neanche fossero sposati.
Ammirazione perché era certo che nemmeno il più profittatore
degli scrocconi avrebbe mai avuto la faccia tosta di fare una proposta del
genere in una situazione simile.
Alla fine si alzò e le sorrise gelidamente:
- Come vuoi, è tutto tuo. – mormorò depositando il bicchiere
su un basso tavolino di cristallo e allontanandosi.
E chi voleva restare a vivere nell’appartamento che aveva
diviso con quella strega?!? Probabilmente di lì a qualche giorno lo avrebbe cambiato
comunque, perciò non era poi un grande sforzo spostarsi subito.
~~~~~
Circa due ore dopo era in auto, aveva tutte le sue cose ed
era diretto all’albergo più costoso ed elegante della città.
Avrebbe alloggiato lì finché non avesse trovato un appartamento
che gli piacesse, e soprattutto che non gli ricordasse in nessun modo
l’abitazione che aveva lasciato a Miriam.
Sorrise tra sé: da quel giorno aveva inizio una nuova vita.
Magari poteva abbandonare tutto, dopotutto chi gli ordinava
di restare a fare il grande manager?
Aveva studiato tanto per far piacere a suo padre, il vecchio
dispotico lo aveva praticamente obbligato a seguire le sue orme e a diventare
un esperto di alta finanza.
Gli aveva fatto un lavaggio del cervello talmente accurato
che non ricordava nemmeno più se aveva o meno avuto un sogno da bambino.
Che so, tutti i maschietti sognano di fare il pompiere, il
poliziotto, o magari il capitano di una nave!
Lui che aveva sognato quando aveva 4-5 anni?
Di ottenere il massimo rendimento dalla vendita di stock-option in difficoltà?
Non poteva essere così… magari aveva sognato di diventare un
grande musicista, o un pittore… o addirittura di avere una fattoria con animali
di ogni tipo!
Rise immaginandosi alle prese con la mungitura all’alba:
chissà, magari gli avrebbe fatto veramente bene una vita del genere.
Magari sarebbe riuscito a riavere i suoi sentimenti.
Già, perché doveva averglieli presi qualcuno per sbaglio e
rinchiusi in un qualche cassettino dimenticato.
Di certo lui la chiave non ce l’aveva.
O meglio, l’aveva anni prima, ma da quando sentiva gravare
sulla sua coscienza l’esistenza infelice di un uomo non era più riuscito a
essere sereno, soprattutto ripensando alla famiglia di quest’ultimo.
Proprio così, signore e signori, il ricchissimo Damon Rush,
giovane presidente di una società di intermediazione mobiliare tra le più
potenti del paese, aveva uno storpio e la sua disgraziata famiglia sulla
coscienza.
Non era ancora stato capace di cancellare o quantomeno
alleviare il senso di vergogna che aveva provato alla notizia dell’incidente di
Garner.
Si era affezionato al suo vecchio collega, in un certo senso
era stata la figura paterna affettuosa che non aveva mai avuto.
Ma proprio quando Vincent aveva avuto bisogno di lui,
proprio quando era lui a doverlo aiutare, si era comportato in un modo che
ancora lo faceva svegliare alla notte con i sudori freddi.
Era stato un vigliacco.
Aveva lasciato che l’ingiustizia e la cattiveria
consumassero la vita del suo mentore e che lo spingessero a un gesto estremo
quanto folle.
Ma chi al suo posto non avrebbe fatto lo stesso? Lui
probabilmente avrebbe preferito darsi una revolverata. Più sicura e infallibile
di un aleatorio incidente d’auto.
Aveva messo la sua carriera, e il desiderio di dimostrare a
suo padre che poteva essere uno spietato uomo d’affari quanto lui, davanti alla
vera amicizia che Vincent gli aveva dimostrato… aveva ribrezzo di sé!
Scosse il capo chiudendo gli occhi per un istante, tanto era
fermo al semaforo con il rosso.
Non doveva pensare a quella storia, non quella sera.
Avrebbe finito col pentirsi di aver lasciato Miriam, e di
certo quella era una delle cose peggiori che potesse fare.
Tornò col pensiero al discorso dell’amore, e ricordò che un
paio di anni prima Laura… o Lisa… beh, una sua ex, mentre lo mandava al
diavolo, gli aveva detto che non sapeva amare. Forse era vero.
O forse è tutta
opera del Rimorso.
Earinë: Allora è deciso: le spedisco tutte al
ministero della salute e le faccio brevettare come l’ultimo ritrovato della chimica
nella lotta contro al raffreddore, faresti da testimone per l’utilità del
medicamento? Grazie! E grazie anche per i complimenti ai miei personaggi
femminili, avevi intuito giusto! Sono la prova vivente e sfigata che gli scippi
vanno a finire sempre o comunque spesso al contrario.
AyLa: Forse ho aspettato un po’ troppo a inserire
questo personaggio, o anche solo a dare la descrizione di Pearl… bah, vedremo
se le cose miglioreranno, in ogni caso finirò anche questa… non appena mi verrà
in mente una fine naturalmente…;p Ho notato anch’io che siamo tutte donne, ma
d’altra parte nella sezione “Romantico”mi farebbe strano trovare un maschio,
per definizione loro odiano le sdolcinatezze, almeno nella maggior parte dei
casi! Poi naturalmente non si deve generalizzare, ma sai il mio Arkel mi spinge
a pensarla così! Speravo che Damon sarebbe piaciuto, da quando ho cominciato a
pensarlo è sempre piaciuto molto anche a me. Adesso però devo stendere un bel
profilo psicologico, vedremo come fare.
Jennifer: Non c’è bisogno di scusarsi, sono io che ti
ringrazio per aver letto anche questa mia storiella! E grazie di trovarla
carina, farò del mio meglio anche qui!
Antheameiko: Ah, volevo dirti che le risposte alle
tue recensioni non sono state inserite a caso. Sono pignola in certe cose
(sottolineo “certe cose”) e le ho inserite guardando l’orario in cui le hai
scritte e infilandole tra quelle scritte nella sezione recensioni… lo so, sono
pazza! MA COME?!? L’ho appena inserito e tu me lo lapidi così, alla sua prima
comparsa?!! Vi state rivoltando contro i miei personaggi maschili donne ,la
cosa mi preoccupa assai… Ripeto che dovete conoscerlo prima, potrebbe non
essere poi così malaccio… già da questo capitolo spero tu lo abbia rivalutato!
E comunque volevo precisare che il padre di Pearl non è morto, non si era
capito? È semplicemente disabile. Un’ultima cosa: non posso dirti se si
innamoreranno, l’unica cosa certa è che non lo so nemmeno io!
Damynex: E io che ti avevo detto?! Me lo sentivo che
avresti cambiato idea su di lui, basta saper aspettare!
Elenim: Ma ciao!! Farò del mio meglio, e sono la
prima ad essermi accorta che questa storia non sta nemmeno a un anno luce di
distanza dall’altra… mi sa che ho già esaurito la mia vena artistica folle…
sign!
Clover: Onorata che ti interessi, è felice della tua
recensione e chiede di poter approfondire la tua conoscenza… ^_^