The Last Game

di Yoshiko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un brutto presentimento ***
Capitolo 2: *** Se la verità è un incubo ***
Capitolo 3: *** Una decisione difficile ***
Capitolo 4: *** L'incontro ha inizio ***
Capitolo 5: *** Le cose si mettono male ***
Capitolo 6: *** Una visita inattesa ***
Capitolo 7: *** Verso la fine ***
Capitolo 8: *** Finalmente libera ***



Capitolo 1
*** Un brutto presentimento ***


Leaves Time
Personalmente non amo le introduzioni quindi cercherò di essere breve ed essenziale. Per la trama di questa ff (cioè per l’incontro della sua parte centrale) ho preso spunto dalla partita di uno speciale di Capitan Tsubasa (manga) pubblicato in Giappone. Tutti i personaggi non originali di questa storia sono naturalmente © di Takahashi Yoichi.


1. Un brutto presentimento
 

Pronto per uscire di casa, la borsa già accantonata davanti alla porta, Holly tornò zoppicando ad affacciarsi alla finestra del salotto che dava sul giardino e da cui poteva vedere il vialetto d’ingresso e la strada. Strinse i denti ad ogni passo perché la caviglia gli faceva un male cane. Maledetta partita contro la Corea del Sud! Maledetto portiere che gli era finito sul piede provocandogli una distorsione tanto banale quanto dolorosa. Nonostante i sedativi di cui si era imbottito per tutto il giorno in vista dell’incontro della serata, sentiva fitte lancinanti pulsargli fin nel cervello. Non si era fatto niente di grave, se avesse lasciato il piede a riposo sarebbe guarito in una settimana, ma accidenti quanto faceva male! Dubitava seriamente di riuscire scendere in campo tra poche ore: a parte la sofferenza non proprio sopportabile, avrebbe finito per intralciare gli altri. Sapeva che se avesse giocato i compagni gli avrebbero inevitabilmente passato la palla e lui non era sicuro né di poter correre fino alla porta né tanto meno di segnare. La partita di quella sera era solo un'amichevole e non era importante che vincessero o meno. Forse alla fine avrebbe davvero dato ascolto alla vocina che in un angolo della testa gli vietava tassativamente di entrare in campo.

Del resto anche il mister del Barçelona gli aveva consigliato-ordinato di non peggiorare la situazione della sua preziosa caviglia (testuali parole), indispensabile agli incontri della Lega spagnola. Holly scosse la testa sconsolato e lanciò di nuovo un’occhiata al vialetto. Nonostante tutto aveva cocciutamente preparato la borsa ficcandoci dentro la divisa e tutto l’occorrente. E l’avrebbe portata con sé. Se i medicinali funzionavano (come il dottore gli aveva assicurato quella mattina) avrebbe tentato di entrare in campo per una decina di minuti. Pochi ma buoni, sperava. Si rese conto che nel giro di pochi istanti aveva già rinunciato a dare ascolto alla voce della ragione. La voglia di giocare era troppa, una partita così non sarebbe più ricapitata.
Tornò ad osservare il selciato del vialetto, fin sulla strada. Possibile che Patty non fosse ancora lì? Era uscita da più di un’ora promettendogli che sarebbe tornata in tempo per andare allo stadio con lui e assicurandolo, se non avesse fatto in tempo, che lo avrebbe avvertito e raggiunto più tardi. I giorni che la ragazza poteva passare con la famiglia erano così pochi che ogni volta che tornavano in Giappone cercava stare con i suoi genitori il più possibile. Gettò un’occhiata preoccupata all’orologio. Erano le cinque e mezza e tra pochi istanti Benji e Tom sarebbero passati a prenderli per portarli a Tōkyō. Dove accidenti era finita? Perché non chiamava per avvisarlo che avrebbe tardato?
Si guardò intorno alla ricerca del cellulare, deciso a telefonarle. Lo individuò sul divano, lo recuperò e riesumò il numero di Patty dalle ultime chiamate effettuate. Attese qualche istante e chissà dove il telefonino della ragazza cominciò a squillare. Uno… due… tre… quattro… lo lasciò suonare finché non cadde la linea. Patty non aveva risposto. Che fosse nell’autobus e non l’avesse sentito? Se era in ritardo perché non chiamava? Scosse la testa e decise di riprovare, poi udì una macchina fermarsi davanti casa e i passi di qualcuno sul selciato del vialetto. Suonarono alla porta, Holly interruppe la chiamata e zoppicò fino all’ingresso. Quando aprì si trovò davanti il volto di Tom, l’espressione tesa e preoccupata.
-Siete pronti?- il ragazzo si guardò intorno alla ricerca dell’amica.
-Io sì, ma Patty non è ancora rientrata.-
-Ci raggiunge più tardi?-
-Veramente doveva venire con noi…- Holly scosse la testa -Non capisco che accidenti di fine abbia fatto…-
-Sarà rimasta bloccata nel traffico. C’è un casino tremendo.-
Holly afferrò la borsa, sapendo che non potevano perdere neanche un minuto.
-Ho provato a chiamarla ma al cellulare non risponde.- tirò fuori dalla tasca le chiavi di casa e dopo essersi gettato un’ultima occhiata intorno per controllare di aver spento tutte le luci, chiuse la porta con due mandate e seguì Tom fino alla macchina di Benji.
-Patty non viene?- gli chiese anche lui quando aprì lo sportello e poggiò la borsa a terra, dietro il sedile di Price.
Holly si infilò dentro e richiuse la portiera.
-Sì, doveva venire con noi ma non è ancora rientrata.-
Benji diede gas e partì.
-Ci raggiungerà a Saitama?-
-Immagino di sì.-
-Come sta la caviglia?- si preoccupò Tom seduto davanti.
-Non bene. Mi fa male.-
Benji gli lanciò un’occhiata attraverso lo specchietto retrovisore.
-Non potevi farti dare qualcosa?-
-Ho preso tanta di quella roba che in teoria non dovrei sentir più neanche la gamba…-
-Pensi di giocare?-
-Non lo so. Ne riparleremo allo stadio se e quando gli antidolorifici faranno effetto.- Holly osservò fuori del finestrino le villette di Fujisawa che scorrevano veloci oltre il vetro  -Notizie degli altri?-
-Ho chiamato Julian.- Tom si volse a guardarlo -È già allo stadio.-
-Solo?-
-No, c’è Amy con lui.-
-Nessun altro?-
-Philip e Jenny gironzolano per Tōkyō da stamattina. Ed, Mark e Danny li hanno raggiunti e ora sono tutti a Saitama. Clifford e Sandy dovrebbero arrivare a momenti e Bruce è sulla strada. Degli altri già sai. Chi manca?-
-Patty.- sbuffò Holly frugandosi nelle tasche, riacchiappando il cellulare e componendo il numero della ragazza.
-Sarà scappata con un altro.- buttò lì Benji, fermandosi ad un semaforo e sospirando seccato -Quando si decideranno a fare una superstrada? Non si può perdere tutto questo tempo a girare tra le case!-
Tom alzò gli occhi al cielo, sentendolo ormai lamentarsi già da un po’. Sopportò stoicamente, perché il nervosismo del portiere era più che giustificato. A parte il fatto che era vero, per raggiungere la capitale da Fujisawa ci voleva più di un’ora anche se Tōkyō distava soltanto una quarantina di chilometri, la cosa peggiore era che quella partita organizzata da un mister (Gamo) sempre più megalomane, stava logorando i nervi a tutti da più di due mesi. Più o meno cioè da quando Marshall li aveva avvertiti che avrebbero giocato (il Giappone) contro il resto del mondo. Lì per lì i ragazzi non avevano neanche capito il senso della mail che tutti i componenti della nazionale avevano ricevuto lo stesso giorno e alla stessa ora. Ne era seguito un giro di telefonate nazionali e intercontinentali, scettiche e incredule e alla fine i ragazzi avevano trovato la spiegazione nel comunicato stampa che Gamo, per rispondere a tutti senza dover sprecare una riga di suo, aveva faxato ai convocati. Quando il progetto si era chiarito, finalmente era apparso in tutta la sua assurdità. “Stiamo giocando alla playstation?” era stata la domanda sensata di Mark. E non s’era sbagliato di tanto.
Le regole erano queste: primo, gli unici due giocatori che potevano e dovevano scendere in campo per tutta la durata dell’incontro erano i capitani di entrambe le squadre (Holly non si era ancora infortunato); secondo, le formazioni del primo e del secondo tempo sarebbero state estratte a sorte poco prima dell’inizio dell’incontro tra la selezione dei convocati, la maggior parte dei quali di solito restava in panchina come riserva. Questo aveva reso impossibile organizzare gli schemi di gioco (a che pro allenarsi insieme a questo punto?) per cui era più che certo che gli avversari li avrebbero fatti a pezzi nonostante gli allenamenti massacranti a cui si erano sottoposti ciascuno nella propria squadra. Ma allora (ed era la domanda silenziosa o espressa che era passata sicuramente più di una volta nella mente o sulla bocca dei ragazzi), invece di fare quella terribile figura davanti al resto del mondo, perché non fissare la solita formazione e giocare contro l’Italia, la Francia, il Brasile, la Cina, la Tailandia, la Germania, l’Argentina… insomma, contro tutte le squadre ma una alla volta e con i titolari?
-Quanto pensate che perderemo?- chiese Tom.
Benji si passò una mano sulla guancia.
-Senza Holly e contando che l’estrazione mi impedirà di essere tra i pali durante tutti e due i tempi (sempre che riesca a giocarne uno), se è Warner a sostituirmi per lo meno 6 o 7 a zero. Se è Alan tremo all’idea.-
-Speriamo bene.- sospirò Becker. Poi tornò a voltarsi indietro, per metà impacciato dalla cintura di sicurezza -Holly? Tu che dici?-
Il capitano mise via il cellulare, tanto Patty continuava a non rispondere.
-Se scendo in campo qualche goal vorrei provare a farlo e sono sicuro che Mark è della mia stessa idea. Non mi sembra il caso di partire già sconfitti.-
-Non penserai di vincere?!- il portiere gli dedicò un’occhiata scettica attraverso lo specchietto retrovisore.
-Quanto meno di perdere con dignità.- sbuffò Holly, premendo il tasto invio e portandosi il telefonino all’orecchio.
Benji gli lanciò un’occhiata incuriosita.
-Niente?-
-Niente.-
Fu il cellulare di Tom a squillare facendo sobbalzare Holly sul sedile.
“Tom? Ci siamo tutti…” era Philip “O meglio, mancate voi e gli altri di Fujisawa. Mica li avete visti?”
-No, ma credo che stiano arrivando. Bruce e Paul sono partiti prima di noi. Se non c’è traffico sulla strada tra poco saranno lì e se non lo troviamo neanche noi entro un’ora arriveremo a Saitama.-
“Va bene. A dopo.”
 
Si svegliò intirizzita e indolenzita. Socchiuse gli occhi e non vide niente. Li spalancò e si ritrovò nell’oscurità più completa. Sentiva freddo. Tentò di muoversi ma non ci riuscì. Era riversa su un pavimento gelido e umido, una benda sulla bocca le impediva quasi di respirare, le mani erano serrate dietro la schiena e legate intorno ai polsi, le gambe piegate erano bloccate alle caviglie da una corda che la stringeva troppo. Sentiva qualcuno parlare senza interruzione ma la testa le faceva male e non riusciva a distinguere le parole. Tentò di nuovo di guardarsi intorno. Stavolta riuscì a distinguere qualcosa, strizzando gli occhi poté mettere a fuoco ciò che la circondava. Si volse a fatica e dietro di lei scorse una luce azzurrina che si muoveva, cambiando d’intensità. Impiegò un tempo infinito per capire che stava fissando lo schermo di una televisione e gliene servì ancora un po’ per chiedersi cosa ci facesse una tv, accesa per giunta, in un posto come quello. Ma che posto era quello? Si guardò intorno e non riuscì a capirlo, sembrava soltanto molto freddo e molto buio. E se la tv non aveva nessuna ragione di trovarsi in lì, che ci faceva lei? Come c’era finita? Provò a ricordare ma le fitte alla testa le impedirono di concentrarsi. L’unica cosa che le tornò in mente fu il supermercato in cui era entrata per fare la spesa. Alla cassa c’era troppa gente e per paura di far tardi all’appuntamento con Tom e Benji aveva cambiato idea ed era uscita dopo aver riposto negli scaffali quel poco che aveva preso. Ma poi? Si sforzò di pensare e si rivide raggiungere la fermata dell’autobus. Cos’era successo poi? Non riuscì a riordinare le idee. Il dolore alla testa si fece insopportabile e premette la fronte contro il pavimento freddo in cerca di un po’ di sollievo, gli occhi serrati e le labbra socchiuse nel tentativo di respirare nonostante lo straccio che le copriva la bocca. Ricordò che mentre camminava lungo il marciapiede qualcuno le si era avvicinato chiedendole se fosse la fidanzata di Oliver Hutton. Cercò di sopportare le fitte, il disperato tentativo di ricostruire ciò che le era successo. Aveva risposto di sì senza pensarci un attimo e quando aveva voltato le spalle allo sconosciuto, si era sentita colpire violentemente sulla nuca. In un istante la vista le si era annebbiata e le gambe avevano ceduto senza che potesse farci niente. Aveva tentato di aggrapparsi a qualcosa, poi si era accasciata a terra. Delle voci si erano fatte vicine, le avevano chiesto se si sentisse male. Respirò profondamente un paio di volte, le tempie le pulsavano forte ma la voce di un uomo era stata più chiara delle altre.
-Mia moglie ha spesso dei capogiri… Ora la riporto a casa.-
Moglie? Quelle parole le risuonarono nella testa e lo stesso senso di incredulità che l’aveva attanagliata poco prima tornò a riaffacciarsi. Lei non era la moglie di nessuno e tanto meno di quello sconosciuto. Altre frasi avevano seguito quell’affermazione, ma lei non era stata in grado di replicare.
-È sicuro di non voler chiamare un’ambulanza?- aveva insistito la voce di una donna.
-Grazie, la mia macchina non è lontana.-
Si era sentita sollevare da terra e poi il buio più completo.
Cos’era successo? Chi era quell’uomo? E dove l’aveva portata? Aveva la gola riarsa e il bavaglio che le chiudeva la bocca sapeva di sporco e di polvere. Un conato di vomito la scosse e gli occhi le si riempirono di lacrime. Dov’era Holly?
Sentì il cellulare squillare e sussultò. Riconobbe la propria suoneria e si guardò intorno. Lo vide illuminarsi a pochi metri di distanza, abbandonato a terra sotto la televisione. Con un enorme sforzo cercò di trascinarsi fin là ma dopo neanche un metro lasciò perdere esausta.
Chiuse gli occhi e tornò a riflettere. Aveva visto lo sconosciuto in faccia? No, non ricordava i suoi lineamenti. Non aveva fatto in tempo a voltarsi. Di lui aveva sentito solo la voce che sicuramente non era di qualcuno che conosceva. E allora?
Il telefonino riprese a squillare e di nuovo Patty fece ogni sforzo possibile per riuscire a raggiungerlo. Coordinando i movimenti e strisciando come un verme, gli fu abbastanza vicina da veder comparire il nome di Holly sul display. Lui la stava cercando. Che ore erano? La partita era già cominciata? Era finita? Per quanto tempo era rimasta priva di sensi?
Quando il cellulare smise di suonare e la chiamata si interruppe, poté leggere l’ora. Le sei e tre quarti. Holly era già partito o la stava aspettando a casa? Se non l’aveva fatto e Benji era stato puntuale a quest’ora dovevano essere quasi arrivati a Saitama. Chissà se si era ricordato di prendere tutto… Un altro piccolo sforzo e raggiunse il telefonino. Lo guardò e si chiese per quale motivo avesse faticato tanto per arrivarci. Non soltanto non poteva rispondere, imbavagliata com’era, ma con le mani legate dietro la schiena non sarebbe riuscita neppure ad afferrarlo. Si diede dell’idiota. Appoggiò la fronte contro il suolo umidiccio e sporco e tentò di riprendere fiato. La televisione continuava imperterrita a trasmettere una pubblicità dopo l’altra, ricordando ogni tanto agli spettatori di mantenersi sintonizzati su quel canale poiché tra poco (un’ora e mezza circa) sarebbe stata trasmessa la “spettacolare partita che avrebbe visto scontrarsi (parole del presentatore) la generazione d’oro del calcio giapponese e quella altrettanto dorata di tutto il resto del mondo”.
Patty intravide l’immagine dello stadio di Saitama, davanti al quale i tifosi erano in fila per entrare. Vista la calca dovevano esser lì già da alcune ore. Sospirò. Anche lei avrebbe dovuto essere lì, a vedere quella partita assurda senza nessuna speranza di vittoria, a meno che la nazionale giapponese non si strafacesse prima di scendere in campo. Partita inutile e psicologicamente distruttiva. Da due mesi Holly quasi non riusciva a chiudere occhio e anche se era troppo intelligente per ammetterlo con se stesso e con gli atri, una piccola speranza di successo covava nel suo orgoglio, impedendogli di rassegnarsi ad un risultato che non sarebbe stato per niente favorevole. Questo almeno finché non s’era fatto male. A quel punto ogni speranza era stata infranta. A Bruce e a molti altri la preparazione pre-partita era andata molto meglio: sicuri di perdere, i ragazzi avevano seguito i duri allenamenti con più tranquillità e meno tensione. Si mosse cercando una posizione meno dolorosa e si chiede di nuovo per quale motivo fosse costretta ad assistere alla partita in quel modo e in quel posto orribile. Chi l’aveva portata lì? E soprattutto, perché?

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Capitolo 2
*** Se la verità è un incubo ***


Leaves Time
2. Se la verità è un incubo
 

Benji si fermò nel parcheggio sotterraneo riservato del Saitama Stadium. Holly aprì lo sportello e scese dalla macchina, cominciando finalmente a realizzare quanto fosse inutile continuare a far squillare a vuoto il telefonino di Patty. La batteria si stava scaricando e basta. Se lei non rispondeva voleva dire che le avevano rubato il cellulare oppure che lo aveva perso o infine che non poteva farlo. E se non poteva farlo, perché?
Tom intuì la sua preoccupazione, gli mise una mano sul braccio e lo guardò rassicurante.
-Vedrai che tra poco arriverà.-
Il capitano annuì non troppo convinto, né tanto meno tranquillizzato, ma fu costretto a seguire zoppicando i due compagni verso l’ascensore. Se almeno quella caviglia avesse smesso di fargli male!
Benji premette il pulsante del secondo piano e osservò pensieroso le porte richiudersi davanti a loro.
-Ci possono essere mille motivi per cui Patty è in ritardo e non risponde…-
L’ascensore salì rapido, senza far rumore.
-Non tutti buoni.- borbottò Holly.
Mise piede per primo in una lunga sala ricoperta da una moquette azzurra. In fondo, dove si apriva il corridoio che portava agli spogliatoi, c’erano un angolo bar e una decina di tavolini, per la maggior parte occupati.
-Come va la gamba?- gli domandò Julian prima ancora di salutarlo perché lo vide avanzare a fatica verso di loro.
Holly si lasciò sfuggire una smorfia per niente entusiasta.
-Insomma.-
-Dov’è Patty?- Jenny era seduta accanto a Philip e teneva tra le mani un bicchiere colmo di una bevanda giallo limone.
-Non lo so.- sebbene avesse stabilito pochi istanti prima che continuare a chiamarla era inutile, il cellulare gli comparve di nuovo tra le mani. Lasciò cadere a terra il borsone e si sedette, il telefonino stretto tra le dita e gli occhi fissi sul display.
Julian e Amy, a tavolo accanto, si lanciarono un’occhiata.
-Non viene a vedere la partita?-
-Sì, avrebbe dovuto.-
I ragazzi continuarono a non capire ma sospesero il terzo grado perché Gamo comparve nell’androne con il resto della squadra. L’uomo si guardò intorno e quando i suoi occhi si posarono su Holly, il suo volto si illuminò di un sorriso entusiasta. Quando poi vide la borsa sportiva appoggiata ai piedi del suo pupillo, raggiunse il settimo cielo.
-Ben arrivati.- li salutò -Ora sì che ci siamo tutti. Siete pronti?-
-Come no…- bofonchiò Benji ancora in piedi. Era troppo nervoso per riuscire a resistere seduto -Prontissimi.-
-Prontissimi a fare una bella figura di merda.- Mark scosse la testa rassegnato e infastidito. A lui piaceva vincere, senza “se” e senza “ma”.
Gamo non lo sentì, ma Julian sì e gli lanciò un’occhiataccia. L’allenatore guardò l’orologio.
-Ho ancora un paio di cose da dirvi. Lo farò mentre vi cambiate.- sorrise ai suoi ragazzi e non notò che una metà di loro alzava afflitta gli occhi al cielo.
Philip ingurgitò l’ultimo sorso di acqua e si mise in piedi. Ma quando si accorse che Holly non si era mosso, esitò a raggiungere gli spogliatoi insieme agli altri. Teneva il cellulare tra le dita, i gomiti poggiati sul tavolo, e aveva fatto partire per l’ennesima volta la chiamata. Jenny gli si avvicinò incuriosita.
-Non risponde?-
Il ragazzo scosse la testa.
-Non lo sentirà.- tentò Amy.
Holly sospirò, riagganciò, s’infilò il telefonino in tasca e recuperò la borsa, sparendo lungo il corridoio insieme a Callaghan.

Sentiva freddo perché non aveva più il golfino. Se ne accorse soltanto iniziando a rabbrividire, il braccio nudo e intirizzito a contatto con il pavimento. Dov’era finito? Quando era uscita di casa lo teneva annodato intorno alla vita. Forse nel trambusto le era caduto e lo aveva perso. Lo rimpianse. L’aveva comprato insieme a Holly, era stato il suo regalo di compleanno, non aveva neanche un mese. Si diede di nuovo della stupida. Pazienza per il golfino, lo avrebbe ricomprato, forse nel negozio ce n’erano ancora. In quel momento la sola cosa importante era capire cosa stesse succedendo, capire perché si trovasse lì (lì dove?) legata come un salame e soprattutto chi ce l’avesse portata.
«Ricordiamo ai nostri telespettatori che tra meno di un’ora su questa stessa rete verrà trasmessa in diretta televisiva dal Saitama Stadium la partita di calcio più avvincente del secolo che vedrà affrontarsi la nostra nazionale e la squadra formata dai più grandi talenti mondiali. Questo programma è presentato da Asahi Beer, Coca-Cola, Adidas e Sony. Forza Nippon!»
Con quale entusiasmo il cronista lanciò il suo grido d’incoraggiamento! Patty lo conosceva personalmente e se non avesse avuto quello straccio schifoso sulla bocca le sarebbe sfuggito un sorriso. Ogni volta che gli era stato possibile, il tipo aveva partecipato alle interviste su suolo giapponese di Holly, di cui si sosteneva fan sfegatato. Era senza ombra di dubbio il figlio di qualcuno molto famoso visto che a soli venticinque anni era diventato cronista ufficiale delle partite più importanti trasmesse in tv. Eppure si trattava di una persona così insignificante…
Dunque mancava meno di un’ora al fischio d’inizio e se erano passate le sette si trovava lì da almeno due ore. Il cellulare ricominciò a squillare e Patty alzò di nuovo gli occhi sul display. Ancora Holly. Vista l’insistenza con la quale la stava cercando doveva essere preoccupatissimo. Come poteva avvertirlo che era nei guai fino al collo? Si volse di schiena e provò a raggiungere il telefonino con le mani legate. Lo sfiorò più volte con la punta delle dita e quando riuscì a prenderlo quello smise di suonare. Le scivolò e cadde a terra. Sbuffando irritata e contorcendosi come gli acrobati cinesi, riuscì a mettersi in ginocchio. Da quella posizione le fu possibile capire qualcosa di più sul luogo in cui si trovava. Il soffitto era alto e a volta, forse ricoperto di lamiera o di vetro; il locale era spazioso a tal punto che il suo perimetro si perdeva nell’oscurità. Intorno a lei alcune sagome più scure sembravano casse ammonticchiate una sull’altra. Casse di legno come quelle che si usano per trasportare la merce sulle navi. Le aveva viste una volta impilate sulla banchina di Yokohama quando era andata con Holly a prendere il padre del ragazzo di ritorno dal suo ennesimo viaggio sulla Eiko Maru, la nave che capitanava. Si guardò di nuovo intorno: sembrava l’interno di uno di quei tantissimi magazzini della zona commerciale del porto di Tōkyō o Yokohama. Quei magazzini in cui le bande di teppisti si riunivano per pianificare le loro scorrerie. Ma come c’era finita?
-Ti sei svegliata?-
Patty sussultò e si ritrasse impaurita. Poi si volse e nonostante il buio riuscì a intravedere il profilo di un uomo torreggiare ad un passo da lei. Avrebbe voluto chiedergli chi fosse ma tutto ciò che riuscì ad emettere fu un mugolio incomprensibile. Poi lo vide avvicinarsi. Un campanello d’allarme le risuonò nella testa e quando l’uomo allungò una mano verso il suo volto, indietreggiò di scatto. Puntò i piedi sul pavimento e cercò di sfuggirgli ma legata com’era non riuscì praticamente a muoversi. L’uomo fece un altro passo e la raggiunse. Quando la sua mano calò su di lei, serrò gli occhi e si rannicchiò su se stessa, trattenendo il fiato. Ecco, era finita!
Invece lui la liberò dal bavaglio. La stoffa sudicia e sporca le scivolò giù dalle guance e fu finalmente libera di respirare. Socchiuse gli occhi per dare una sbirciata e si rese conto che l’uomo si era allontanato senza farle del male. Il cuore smise di battere all’impazzata e i muscoli tesi si rilassarono.
-La partita sta per cominciare.- lui indicò la tv -La vedremo insieme.-
Patty lo guardò senza capire, cercando di mettere a fuoco il suo viso. Non ci riuscì, era troppo buio davvero. Rinunciò e rifletté. Quell’uomo era interessato alla partita? Le sembrò alquanto bizzarro, ma questo significava che almeno per novanta minuti sarebbe stata al sicuro
-Chi è lei?- la sua voce uscì in un sussurro spezzato e fu costretta a ripetere.
La risposta fu immediata, condita da una mezza risata.
-Sarei uno stupido se te lo dicessi.-
Patty lo guardò, poi dovette ammettere che non aveva tutti i torti. Lei, se fosse stata al suo posto, non si sarebbe certo presentata. Provò con un’altra domanda, tanto ne aveva molte da fare.
-Perché mi ha portata qui?-
-Perché il Giappone deve vincere a tutti i costi.-
-Non capisco.- ammise sgomenta. Che razza di spiegazione era? Seguì con gli occhi l’uomo che le passava davanti e andava a sedersi su una sedia di fronte alla tv. Non aveva notato la sedia e non aveva notato neppure che la tv era appoggiata su una pila di scatoloni di cartone. Guardò meglio. Forse non era una tv ma un computer portatile.
-Capirai presto.-

-Per cui, anche se Holly non scenderà in campo o lo farà per un tempo brevissimo…- concluse Gamo dopo quasi un quarto d’ora di noiosissima e scontatissima predica -Dovete lottare con tutte le vostre forze, impegnarvi al massimo e vincere anche questa partita!-
Se non avesse temuto la reazione di un mister gasato e straconvinto di ciò che aveva appena affermato, Benji gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia. Vincere? Scosse la testa. Come tutti i suoi compagni anche lui odiava perdere ma era ancora abbastanza in sé da capire che non avevano nessuna speranza di sconfiggere quell’agglomerato di giocatori scelti tra i più bravi del mondo. Lui si sarebbe impegnato al massimo per non far entrare più goal di quelli che sicuramente avrebbero incassato Warner o Crocker, ma non era superman e non aveva poteri magici per far sorteggiare due volte il suo nome. Forse un polipo sarebbe riuscito a mantenere la loro porta inviolata, ma non certo i due altri portieri di riserva. Forse, se avesse potuto trasformarsi in loro, avrebbe garantito un minimo di difesa; ma essendo solo un normalissimo essere umano, non poteva fare proprio niente per risolvere la situazione. Lanciò un’occhiata al capitano, cercando di decifrare la sua espressione. Non riuscì proprio a capire se fosse più preoccupato per Patty o per la partita. L’unica cosa di cui fu certo era che se Holly avesse avuto la possibilità di leggergli nella mente quei pensieri disfattisti nati prima ancora del calcio d’inizio, l’avrebbe strozzato.
Ascoltate le parole del mister, Julian e Philip si lanciarono un’occhiata infastidita. Che significava quel “anche se Holly non scenderà in campo dovete combattere con tutte le vostre forze”? C’era bisogno di dirlo? Possibile che dopo tanti anni Gamo non si fosse ancora reso conto della realtà delle cose, vale a dire che quando il capitano era presente sgobbavano meno? Con lui vincere una partita diventava una passeggiata. Pensava a tutto, non dovevano neanche chiedersi a chi passare la palla perché c’era lui lì, con il suo meraviglioso dono di sistemare le cose in modo che filassero lisce come l’olio anche quando erano sotto di dieci goal. Come sarebbe sicuramente successo in questo caso. Dieci o forse quindici…
-Ora potete cambiarvi. Mi raccomando, non metteteci troppo.- Gamo aprì la porta e li lasciò finalmente soli, liberi di commentare (e distruggere) tutto l’ottimismo che aveva fatto aleggiare sopra le loro teste.
-A volte mi chiedo se non sia troppo vecchio per questo lavoro.- mormorò Patrick Everett -Secondo me l’arteriosclerosi comincia a intasargli il cervello.-
-Già.- annuì Jason Derrik -Dovrebbe cominciare a pensare alla pensione.-
-Forse ha ragione, però.- l’euforia di Danny Mellow a volte era addirittura peggiore di quella di Holly -Forse un goal riusciremo a segnarlo!-
-Sì, un goal.- acconsentì Clifford Yuma -Ma tra un goal e vincere una partita ci sono almeno altri 85 minuti di gioco. Senza contare quelli di recupero.-
-Non ci saranno tempi supplementari.- lo informò Julian piatto, prima che continuasse su quella ripida discesa.
-Be’, meglio così.-
Dopo aver tentato di chiamare ancora la ragazza, Holly infilò il cellulare nella borsa, diede un’occhiata ai compagni demoralizzati e respirò a fondo un paio di volte. Adesso era il suo turno di parlare e doveva farlo da capitano.
-Ok, ragazzi. Capisco anch’io che sarà una partita dura e impegnativa…-
-Dì pure impossibile.- lo corresse Callaghan.
Holly annuì.
-Tutto quello che vuoi, Philip.- sospirò di nuovo -Ma non possiamo scendere in campo con l’idea di perdere. Anche oggi dobbiamo impegnarci come abbiamo sempre fatto e se non riusciremo a vincere, almeno avremo dimostrato quel che valiamo!-
-Sono d’accordo con te.- annuì Rob Aoi che comunque lo era sempre e a prescindere.
-Ci proveremo.- Mark si sfilò la felpa -Io l’impegno ce lo metto e se siamo fortunati potrebbe andare meglio di quanto ci aspettiamo.-
Sentendo un barlume di ottimismo cominciare a svolazzare tra gli amici, il capitano annuì e aprì lo sportello dell'armadietto, segnalato dal proprio nome inserito nella taschina di metallo. Fece per appenderci la felpa, poi si accorse che dentro c’era già qualcosa. Fissò disorientato un mucchietto di lana rosa appallottolato sul ripiano centrale, chiedendosi cosa fosse e che diavolo ci facesse lì. Allungò una mano, lo afferrò e quando lo tirò fuori un pezzo di carta scivolò a terra.
-Cos’è?- Bruce tolse le mani dai jeans che si stava sfilando, lo raccolse e lo lesse. Non capì. Alzò gli occhi sul compagno -Che è? Uno scherzo?-
Stringendo in una mano quello che aveva riconosciuto come il golfino di Patty, Holly prese il foglietto e se lo portò davanti agli occhi.
“Se vuoi rivedere viva la tua ragazza devi vincere la partita.”
Ebbe bisogno di rileggere almeno altre tre volte le parole stampate su un banalissimo pezzo di carta bianca, prima che gli entrassero nel cervello con tutto il loro sconvolgente significato.
Incuriosito dal suo silenzio, Benji gli si avvicinò e gli tolse il foglietto di mano.
-Che roba è?-
Holly scosse più volte la testa, incredulo, scioccato, sgomento, quasi a voler tenere lontano da sé una realtà che non voleva accettare.
-No...- mormorò. Aprì il maglioncino della fidanzata e lo guardò, per assicurarsi che non fosse davvero il suo. Invece purtroppo lo era, non aveva dubbi. Lo avevano comprato insieme, non poteva assolutamente sbagliarsi. Lo esaminò, lo analizzò, lo scrutò con una tale attenzione che ci mise un attimo ad accorgersi con orrore che non soltanto mancava un bottone, ma che una manica era macchiata di sangue. Dalla caviglia gli salì fino alla testa un dolore così lancinante che se Tom non l’avesse sostenuto e poi sospinto verso una delle panche, sarebbe crollato a terra come una pera matura.
-Non è possibile!- le dita affondarono nella lana con tale violenza che alcune maglie si allentarono -Non è possibile…- i suoi occhi, fissi nel vuoto, erano spalancati di orrore. Non era più in grado di vedere il volto di Benji, né l’espressione stupita di Bruce. Non scorgeva i compagni. Insieme agli armadietti, le pareti dello spogliatoio e tutti i suoi occupanti erano spariti, inghiottiti dal nulla.
Philip si stava togliendo la camicia, ma l'espressione dell'amico lo scosse al punto che rimase con il terzo bottone tra le dita, metà dentro e metà fuori dell’asola.
-Che ti prende, Holly?-
Fu Benji a rispondere, ancora indeciso se ridere dello scherzo o prendere la notizia sul serio.
-Qualcuno ha rapito Patty e minaccia di farle del male se non vinceremo la partita.- frugò nella borsa di Holly e recuperò il cellulare. Spinse il tasto invio e tentò lui stesso di telefonare all’amica.
-Stai scherzando, Price? È impossibile vincere!-
Bruce allungò mesto a Landers il biglietto che il portiere aveva posato sulla panca. Lui lo lesse e tornò ad alzare gli occhi su di loro, ancora incredulo.
-È impossibile che qualcuno faccia del male a Patty solo per una stupida partita! Sei sicuro che non si tratti di uno scherzo?-
Holly gli mostrò il maglione.
-È di Patty. Lo aveva oggi pomeriggio, quando è uscita di casa.-
La linea cadde e Benji riagganciò. Ripose il cellulare nella borsa di Holly, si sedette al suo fianco e tolse l’avvertimento dalle mani di Mark. Gli gettò un’occhiata e si grattò nervosamente una guancia
-Non risponde. E se quello che c’è scritto qui è vero ora sappiamo anche il perché.-
Tom non riuscì a capacitarsi di ciò che stava accadendo. >br> -Tutto questo è assurdo, non riesco a crederci…-
L’amico lo guardò fisso negli occhi.
-Allora sei fortunato! Io invece non voglio crederci! Mi rifiuto di crederci!- chinò il capo e si prese la testa tra le mani, i gomiti appoggiati sulle ginocchia.
Ed si fece largo tra i compagni che circondavano il capitano.
-Non sarebbe il caso di avvertire la polizia?-
-La polizia…- gli fece eco Holly affranto -Cosa può fare la polizia in un’ora e mezza? Come può ritrovarla in una città immensa come Tōkyō? Sempre che sia qui e non a Fujisawa.-
-Holly…- Tom si sedette al suo fianco e gli mise una mano sulla spalla -Possono trovarla grazie al cellulare.-
-Pensi che lo abbia ancora lei?- il capitano sollevò sull’amico un paio di occhi speranzosi e sconvolti.
-Certo, potrebbe. Perché no?-
-Ci penso io.- Julian indossò la felpa che si era appena tolto e lasciò di corsa lo spogliatoio.

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Capitolo 3
*** Una decisione difficile ***


Leaves Time
3. Una decisione difficile
 

Patty cambiò dolorosamente posizione.
-Mi fanno male i polsi… Vorrei dell’acqua…-
-Non ho acqua con me.- l’uomo le rispose senza voltarsi neppure -E tra poco ce ne andremo.-
Patty sospirò. Ok, non voleva slegarla… ma la gola le faceva male. La polvere che aveva inghiottito gliel’aveva irritata e il bruciore era diventato insopportabile. Tossì.
-Non riesco a respirare…- tentò ancora ed era vero.ù
La risposta che ricevette fu secca.
-Non essere noiosa o ti imbavaglierò di nuovo.-
«Gentili telespettatori…» gracchiò la tv «Ha ora inizio il collegamento con il Saitama Stadium. Il nostro inviato si è recato nello spogliatoio della nazionale per raccogliere i commenti pre-partita dei nostri giocatori…»
-Oh, finalmente!- esclamò l’uomo.
Lo pensò anche Patty. Se doveva stare lì dentro a morire di freddo, di sete e di noia, almeno voleva vedere il suo Holly. Incollò gli occhi sullo schermo ma nonostante le promesse del cronista, la telecamera si fermò inesorabilmente fuori dello spogliatoio giapponese.
Tom s’era piazzato davanti alla porta impedendo a chiunque di entrare.
«Tom Becker…» cominciò il cronista con un tono di voce un po’ sorpreso. Forse si aspettava di trovare Holly? Si riprese al volo (quello era il suo mestiere) e continuò, passando subito alle domande, costretto ad accantonare il panegirico che aveva imparato a memoria e che avrebbe dovuto recitare per introdurre l’intervista a capitan Hutton «C’è molto nervosismo nello spogliatoio?»
«Sì, abbastanza.» rispose il ragazzo «Ma siamo pronti (magari fosse vero!) a entrare in campo e impegnarci al massimo come al solito.» un sorriso tirato scalfì il suo volto.
«Grazie. Ma adesso…» lo liquidò in un batter d’occhio «Vorremmo parlare con Oliver Hutton e sentire cosa pensa di questa partita. Sapevamo che non sarebbe sceso in campo a causa di un infortunio alla caviglia ma ci è stato appena comunicato che invece giocherà entrambi i tempi. Cosa gli ha fatto cambiare idea?»
«In questo momento Oliver non rilascia interviste.»
La faccia dell’inviato sostituì quella di Tom al centro dello schermo.
«Gentili telespettatori!» esordì con una tale foga che Patty si tirò indietro con un sussulto «Per la prima volta dall’inizio della sua folgorante carriera il capitano della Nazionale si barrica all’interno dello spogliatoio privandoci del suo commento!» la faccia di Tom, che nel frattempo aveva cambiato colore alle parole dell’uomo, ricomparve all’interno della telecamera «Come mai questa decisione?» insistette il giornalista «A cosa è dovuta?»
«Stiamo per giocare una partita molto impegnativa.» corse ai ripari il ragazzo salvando la situazione come poté, senza fare il minimo accenno alle cattive condizioni della caviglia dell’amico «E Oliver vuole scendere in campo concentrato sul gioco. Alla fine dell’incontro rilascerà tutte le interviste che vorrete.»
«E così, gentili telespettatori, il nostro capitano ha improvvisamente cambiato idea, decidendo di giocare e negandosi alla stampa. Ma noi, suoi accaniti fan, comprendiamo e accettiamo la sua decisione sperando di riuscire ad avvicinarlo tra il primo e il secondo tempo per…»
Dietro di lui Tom alzò gli occhi al cielo. Poi aprì la porta dello spogliatoio sgusciando alle spalle del giornalista che continuava il suo panegirico. L’operatore, svelto, puntò la telecamera sulle spalle del ragazzo e per un breve istante riuscì a inquadrare Holly seduto sulla panca di fronte la porta, ancora in jeans e camicia. Con i gomiti sulle ginocchia, si teneva la testa fra le mani e aveva lo sguardo fisso a terra.
«Eccolo qui il nostro capitano!» esclamò il giornalista quando la porta venne chiusa. L’operatore attivò il fermo immagine e riempì lo schermo dei telespettatori con la foto che era riuscito a rubare: Holly sulla panca, la testa china e il volto nascosto tra le mani.
«A quanto pare la partita deve preoccuparlo parecchio! O forse la caviglia gli fa più male di quanto voglia ammettere…» un velo di sconcerto trasparì nella sua voce, poi il suo entusiasmo prese di nuovo il sopravvento «Certo, come tutti sapete, questa è una partita difficile sia dal punto di vista tecnico (gli avversari sono il meglio che ci sia al mondo), sia per l’estrazione a sorte dei giocatori che precederà l’entrata in campo delle due squadre.» La sua faccia tornò a sostituire la foto di Holly «Nessuno può sapere quale sarà la formazione e questo metterà in difficoltà entrambe le squadre, annullando alla radice qualunque schema e tattica di gioco! E l’infortunio di Oliver Hutton aggrava irrimediabilmente la situazione della nostra nazionale!»
Mentre l’inviato speciale continuava coi suoi commenti idioti, ripensando all’inquadratura di Holly Patty si chiese se il ragazzo non fosse venuto a sapere della situazione in cui lei si trovava. Quando era uscita di casa e l’aveva visto per l’ultima volta erano rimasti d’accordo che non sarebbe sceso in campo, accontentandosi di assistere all’incontro dalla panchina. Vero che il dottore gli aveva dato degli antidolorifici abbastanza forti, vero che il giovane voleva giocare anche solo per poche decine di minuti, ma lei, decisa ad impedirglielo, dopo lunghe discussioni l’aveva convinto a non farlo. Quella partita era una pagliacciata: non valeva la pena che rischiasse di farsi male davvero solo per partecipare ad un incontro che in ogni caso avevano poche speranze di vincere. E se anche adesso il ragazzo aveva cambiato idea e, come aveva affermato il giornalista, la partita richiedeva tutta la sua concentrazione, il reporter aveva ragione. Era la prima volta in assoluto che Holly si rifiutava di rilasciare un’intervista prima di scendere in campo. Trovarlo accasciato su una panca con la testa tra le mani andava contro ogni logica.
-Hai visto?- l’uomo rispose puntuale alla sua tacita domanda -Hutton ha letto l’avvertimento che gli ho lasciato nell’armadietto insieme al tuo bel golfino rosa.-
-Gli ha detto che mi tiene qui?-
-Certo che gliel’ho detto! Non hai visto che faccia? Si è persino rifiutato di incontrare i giornalisti!-
Patty scosse la testa incredula.
-Cosa gli ha detto?-
Lui esitò.
-Penso che sia meglio che tu non lo sappia…- si alzò e le si avvicinò, continuando a restare immerso nell’oscurità -Vieni, è ora di andare.- le girò intorno e si chinò alle sue spalle per scioglierle la corda che le stringeva le caviglie. Poi l’afferrò sotto le braccia e la mise bruscamente in piedi. Il dolore alla testa si fece insopportabile, la vista le si annebbiò e lei vacillò, rischiando di finire a terra.
-Fai attenzione.- l’uomo la sostenne e la spinse verso il buio più completo.
La ragazza non vide più niente. Inciampò un paio di volte, l’ultima barcollò in avanti e urtò il volto contro qualcosa di metallico, atrocemente duro. Gemette, l’uomo la tirò indietro e aprì lo sportello posteriore di un furgoncino nero. L’aiutò a salire e poiché ci metteva troppo, la spinse in avanti. Lei cadde in ginocchio sul pianale e mentre si tirava su dolorante, udì lo sportello richiudersi alle sue spalle. L’uomo tornò verso la televisione, la spense e recuperò il cellulare della ragazza. Oliver Hutton l’aveva chiamata ben dodici volte… Sorrise e se lo ficcò in tasca. Tirò fuori un mazzo di chiavi dalla tasca del cappotto e salì al posto di guida. Mise in moto, accese i fari e premette il pulsante di un piccolo telecomando che azionò l’apertura della porta automatica del capannone.
Fuori era già notte e le luci della città riflettevano nel cielo scuro un alone bianco-arancio. Abbassò il piede sull’acceleratore e guidò il furgoncino fuori del deposito. Aspettò che la serranda si richiudesse, svoltò sulla banchina del porto e la percorse quasi per intero. Poi imboccò la strada principale e si inserì nel traffico della città, accelerando bruscamente ogni volta che poteva, spinto dalla fretta di raggiungere la sua meta il prima possibile.
Ad ogni curva Patty ruzzolava sul pavimento del vano posteriore, urtando le pareti e i rari oggetti (la cui natura non riuscì a identificare) che costellavano disordinatamente il suolo. Immersa di nuovo nell’oscurità e gettata su un ripiano scomodamente ruvido, rimpiangeva il capannone ogni volta che, spinta su e giù dalla guida spericolata dell’uomo, le schegge del legno mal tagliato che ricoprivano il pavimento del furgone le si conficcavano nella carne. Se soltanto fosse riuscita a tenersi dritta puntellandosi da qualche parte…
Solo quando il furgoncino si fermò, forse per un semaforo, riuscì a mettersi in ginocchio. L’idea migliore di quel giorno era stata indossare un paio di comodi jeans blu: con la gonna si sarebbe massacrata le gambe. Appoggiò la schiena alla parete laterale e tirò un sospiro di sollievo per essere riuscita nell’impresa. Ma quando il furgoncino ripartì con una sgommata, Patty perse l’equilibrio e fu scagliata di lato, verso il fondo della vettura. Le mani legate dietro la schiena non poterono proteggerle il viso e finì contro gli sportelli posteriori. La serratura d’acciaio la colpì tra la tempia e l’orecchio, sentì il sangue impiastricciarle il viso e scorrerle lungo il collo, un dolore così forte da svenire.
-Che diavolo stai facendo?- la voce adirata dell’uomo le giunse attraverso la finestrella sbarrata che separava il vano merci dalla cabina di guida.
Sopraffatta dal dolore, lei crollò a terra.
-Accidenti a te!- l’uomo colpì la parete con un pugno -È inutile che ci provi, non riuscirai ad uscire.-
Se almeno avesse saputo che non aveva neanche tentato…

Una volta che i giocatori si furono cambiati, Jenny, Evelyn e Amy si infilarono di nascosto negli spogliatoi e circondarono con la loro sollecitudine un capitano completamente a pezzi. Non avrebbe potuto capitargli niente di peggio prima di quella partita. L’incontro si prospettava già fisicamente e psicologicamente distruttivo ma adesso, con la mente e il cuore ridotti in frantumi dalla preoccupazione, come avrebbe potuto affrontarlo?
-Sono certa che a Patty non succederà nulla…- gli sorrise Amy rassicurante.
Evelyn annuì.
-La polizia riuscirà a trovarla, non preoccuparti.-
Ottimismo sprecato. Niente e nessuno poteva scacciare dalla sua testa il brutto presentimento che gli aveva afferrato lo stomaco fin da quando, ancora a casa, Patty non aveva risposto alla sua prima telefonata.
-Io…- balbettò -Io non credo di essere in grado…- ammise, lasciando i compagni esterrefatti.
-Gli antidolorifici non hanno funzionato, eh?-
Il capitano alzò gli occhi su Benji.
-Già… Ma non è solo quello…- tese le mani verso di lui per mostrargli quanto gli tremassero -Cosa vuoi che riesca a fare in questo stato?-
Price scosse la testa, si volse e aprì di nuovo il proprio armadietto. Frugò nella tasca interna del borsone e trovò una penna.
-Avete un foglio?- chiese tornando verso le amiche.
Amy annuì e tirò fuori un blocchetto notes dalla borsetta. Benji vi scribacchiò qualcosa e poi glielo restituì.
-Cosa sono?-
-Normalissimi analgesici, se presi singolarmente. Una bomba, se mandati giù insieme…- Benji la guardò serio -Andate in farmacia a comprarli. Holly starà meglio, non sentirà più nessun dolore.-
Clifford lo osservò dubbioso.
-Sicuro che sia legale?-
-Certo!-
-Effetti collaterali?- chiese Julian preoccupato.
Benji alzò le spalle.
-A me non è mai successo niente.-
-Ah, perché li hai usati?- s’informò Mark incuriosito.
-Sì, quando mi sono infortunato alle mani.-
-Te li ha prescritti un dottore?-
-Certo, ma il mix l’ho inventato io.-
Jenny diede un’occhiata indecisa a Holly, chiedendosi se seguire il folle consiglio del portiere oppure lasciar perdere.
-Ok, proviamo.- si decise il capitano.
La giovane uscì seguita da Amy ed Evelyn, tutte e tre pensierose e non troppo convinte. Fuori dello spogliatoio finirono proprio tra i piedi di Gamo che spazientito dall’attesa, era tornato indietro. Cosa teneva i suoi ragazzi ancora barricati nello spogliatoio? La squadra avversaria era già all’ingresso del campo e li aspettava impaziente e seccata.
-Cosa ci facevate dentro?-
-Nulla.- Amy se la squagliò in fretta, sparendo insieme alle amiche oltre l’angolo del corridoio.
Gamo sbuffò, poi raggiunse i giocatori.
-Perché non vi muovete? Si può sapere cosa diavolo state facendo?-
-Abbiamo un problema, mister…- Julian gli si avvicinò, lanciando una rapida occhiata al capitano che non fece nulla per fermarlo. Che Gamo lo sapesse o meno, a lui non sarebbe cambiato nulla.
-Che problema?-
Philip gli porse il foglietto, convinto che quella riga fosse più eloquente di ogni spiegazione. Si sbagliava. L’uomo fu incapace di collegare ciò che lesse alla partita che li aspettava.
-Cos’è questa roba?-
-Ecco, vede…- Julian si fece avanti –So che sembra assurdo ma qualcuno ha rapito Patty e minaccia di farle male se non vinciamo…-
Gamo scoppiò in una risata.
-Stai scherzando?-
Holly balzò in piedi come una furia e con quattro lunghi passi si ritrovò di fronte a lui.
-Nessuno scherzo, mister!- la sua voce cupa sembrò provenire dalle profondità della terra -Patty è stata rapita e qualcuno vuole farle del male!-
L’allenatore tornò immediatamente serio, l’intenzione di farlo ragionare.
-Holly andiamo… Non può che trattarsi di uno scherzo!-
-Le ripeto che non sto scherzando!- la voce gli tremò e capì che stava per perdere la calma. Ma non per la testardaggine del mister. Si rendeva conto che la sua reazione incredula era più che naturale. Il problema era lui. I suoi nervi non volevano accettare quella situazione. Respirò per un paio di volte, poi continuò -E non sta scherzando neanche la persona che ha lasciato questo foglio nel mio armadietto insieme al maglione di Patty…- l’afferrò dalla panca e glielo mise davanti agli occhi -Vede questa macchia? È sangue!- lo gettò di nuovo tra le sue cose -Crede ancora che si tratti di uno scherzo?-
Gamo aprì la bocca senza riuscire a dire nulla. La richiuse, deglutì e poi balbettò.
-A… avete avvertito la polizia?-
-L’ho fatto io.- si volse verso Julian che continuò -Hanno detto che avrebbero mandato subito qualcuno. Li stiamo aspettando.-

-Non conosco per niente questa zona…- ammise Evelyn, mentre percorreva in fretta il corridoio diretta verso le uscite.
-Non dirlo a me…- Jenny scosse la testa -Ma una farmacia ci sarà. Ce ne sono ovunque.-
Amy controllò di avere il cellulare acceso e lo rificcò in fretta nella borsa.
-Infatti.- allungò il passo per raggiungere le amiche -Se non ricordo male ce n’è una poco lontano. Possiamo addirittura andare a piedi.-
Uscirono dallo stadio e si ritrovarono nel mastodontico e caotico parcheggio. Nonostante i posti fossero esauriti da ore, qualcuno ancora cercava un buco in cui lasciare la propria macchina. Sgusciarono qua e là tra i veicoli e arrivarono sulla strada, dove il caos aveva raggiunto livelli astronomici.
-A piedi faremo sicuramente prima.- decise Evelyn guardandosi intorno -Da che parte?-
Amy reagì disorientata. Qualcosa non quadrava. Si guardò alle spalle e le sfuggì un’esclamazione di disappunto.
-Accidenti! Siamo uscite dal lato sbagliato!-
-Dobbiamo tornare indietro?-
-Ci vorrà meno tempo che fare il giro del parcheggio e mezzo giro di stadio.-
Jenny sospirò e fece dietrofront.
-Diavolo Amy, potevi fare più attenzione?- la rimproverò Evelyn -Abbiamo i minuti contati…-
-Lo so benissimo, cosa credi? Solo che di solito vengo qui come spettatrice! E gli spettatori non entrano da dietro!-
-Su su…- intervenne Jenny -Non è il momento di discutere…-
Ripercorsero il parcheggio dribblando tra le macchine, varcarono di nuovo i cancelli e la guardia giurata, che le aveva viste passare poco prima, si chiese cosa stessero facendo. Rientrarono nel corridoio dello stadio e lo percorsero per metà circonferenza, finché non raggiunsero l’uscita per il normale pubblico e passarono accanto a tutti coloro che ancora facevano la fila per entrare.
-Accidenti quanta gente!- Jenny si tenne ben lontana da quella massa di spettatori che solo una sottile corda rossa separava da loro.
Evelyn annuì.
-Hanno fatto una tale pubblicità a quest’incontro che se anche il calcio non mi fosse interessato probabilmente sarei venuta lo stesso.-
Finalmente raggiunsero i cancelli e li varcarono.
-Bingo!- Amy alzò un braccio e indicò l’insegna di una farmacia che lampeggiava oltre il parcheggio.

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Capitolo 4
*** L'incontro ha inizio ***


Leaves Time
4. L'incontro ha inizio
 

L’espressione sconcertata dei due agenti della polizia era stata più che eloquente. Trovare una ragazza in un’ora e mezza in una città immensa come Tōkyō, sempre che fosse tenuta lì e non nella provincia o da qualche altra parte, era impossibile. Neanche se avessero mobilitato esercito, aviazione e marina sarebbero riusciti a trovarla… in un’ora. Per cui, vista l’assurdità della situazione, l’ultima cosa su cui si erano informati prima di lasciare un sempre più prostrato capitano, erano state le possibilità di vittoria. Colta l’espressione pessimista che era aleggiata sulle facce dei ragazzi, se n’erano andati promettendo di chiamare rinforzi e di darsi da fare, invitando i giocatori a fare altrettanto. Prima di uscire avevano segnato il numero di cellulare della giovane e del suo fidanzato, per mettere sotto controllo le telefonate (semmai Holly ne avesse ricevute);  si erano anche portati via il golfino rosa di Patty per analizzarlo in laboratorio.
-Holly, cosa pensi di fare?- Gamo lo guardò confuso. Era la prima volta che gli capitava tra le mani un problema simile e sperava anche che fosse l’ultima. Chi poteva essere così pazzo da rapire la ragazza del capitano della squadra del proprio paese per indurlo a vincere una partita?
-Scenderò in campo fin dall’inizio, come abbiamo fatto annunciare.-
-E la tua caviglia?-
-Sopporterò.-
-Bene.- un inopportuno lampo di entusiasmo attraversò i suoi occhi  -La cosa migliore che dovete fare per risolvere il problema è appunto vincere…-
Holly reagì stizzito. Colpì con un pugno l’armadietto più vicino, facendo sussultare Danny di paura.
-Vincere! Come possiamo vincere se la formazione verrà sorteggiata? Me lo spiega?-
-Questo lo so bene, ma credo che con un po’ d’impegno si potrebbe anche…-
Il giovane sferrò un altro pugno. L’armadietto cigolò.
-Non capisce che non me ne faccio niente dei suoi condizionali? Non capisce che un errore di chiunque, anche mio, metterà a repentaglio la vita di Patty? In che stato d’animo pensa che scenderò in campo? Crede che sapendo che la mia ragazza è in pericolo riuscirò a concentrarmi sul gioco?-
Qualcuno bussò alla porta dello spogliatoio e quando Mark gridò un burbero “avanti”, spuntò la testa biondissima di Schneider. Quale capitano della squadra avversaria e amico del portiere titolare, era stato mandato a dare un’occhiata ai giocatori giapponesi: erano barricati all’interno degli spogliatoi da circa un’ora e non ne uscivano.
-Hello…- salutò in generale. Poi ficcò i suoi occhi azzurri in quelli neri di Benji e continuò in tedesco -Vi stiamo aspettando da un po’…- cercò di essere diplomatico anche se s’era stufato da un bel pezzo di starsene nel corridoio senza fare nulla e senza capire perché l’incontro non cominciava. Percepì nell’aria un’inquietante tensione e notò le espressioni tetre dipinte sulle facce degli avversari -Ne avete ancora per molto?-
-No, arriviamo subito.-
Evelyn spuntò alle spalle del biondo calciatore chiedendogli permesso. Quando quello si scostò sorpreso, entrò ringraziandolo con un sorriso.
-Sono tutti nel corridoio ad aspettarvi…-
Dietro di lei Schneider lanciò un’ultima occhiata a Benji e sparì richiudendo la porta.
-Perché non cominciate ad uscire? Holly vi raggiungerà tra poco…-
Gamo annuì d’accordo e li precedette fuori in un silenzio di tomba. Philip, Tom, Mark e Benji esitarono fino alla fine. Holly spostò gli occhi sull’amica.
-Allora?-
-Siamo andate nella farmacia qui fuori, ma non le hanno. Amy e Jenny hanno preso un taxi, andranno a cercare da un’altra parte. Torneranno presto, vedrai.-
Dalla porta rimasta socchiusa provenne la voce entusiasta dello speaker.
«Signore e signori buona sera e benvenuti nello stadio di Saitama dove sta per iniziare l’attesissimo incontro che vedrà opporsi i più bravi giocatori del Giappone e i migliori calciatori del mondo riuniti in una equipe battezzata per l’occasione “All Star”! Passiamo subito alla presentazione dei protagonisti di questa serata cominciando con gli undici ragazzi della squadra ospite, sorteggiati per disputare il primo tempo…»

Dopo una folle corsa il furgoncino si fermò bruscamente e Patty ruzzolò a peso morto fino alla parete che la separava dalla cabina. Gli sportelli posteriori si aprirono, l’uomo le agguantò una caviglia e la tirò verso di sé.
-Siamo arrivati, andiamo.-
La fece scendere con molta più attenzione rispetto a come l’aveva costretta a salire, forse impressionato dal sangue che le imbrattava il viso. Sostenendola per un gomito, chiuse con un calcio gli sportelli del furgone.
Patty si guardò intorno. Erano in un parcheggio sotterraneo. Le luci a neon illuminavano le macchine posteggiate intorno a loro. Riconobbe quella di Benji e capì, ma volle lo stesso una conferma.
-Dove siamo?- la voce le uscì debole, roca. Aveva bisogno di bere. Sentiva la gola talmente riarsa che la lingua le si appiccicava al palato, rendendole doloroso parlare e persino respirare –Mi dia dell’acqua, per favore…-
-Dopo.- camminandole alle spalle e tenendola per i polsi legati, la spinse fino alle porte di un montacarichi -Siamo nel parcheggio sotterraneo dello stadio di Saitama.-
Aveva indovinato! Erano allo stadio! Tre piani sopra di lei Holly era sceso in campo o stava per farlo!
-La partita è cominciata?-
Le porte del montacarichi si aprirono e l’uomo la fece salire.
-No, non ancora.- la spinse contro l’angolo della parete e la tenne ferma lì, la fronte premuta contro il metallo, per impedirle di voltarsi e guardarlo in faccia.
Il montacarichi salì e salì ininterrottamente. Poi le porte si aprirono su un’enorme spazio vuoto. Patty socchiuse gli occhi, accecata dalle luci, una ventata gelida la fece rabbrividire. Erano all’aperto, così in alto che con un solo sguardo poté abbracciare tutto il campo. Fece un passo indietro intimorita, e urtò l’uomo che la seguiva. Lui l’afferrò di nuovo per i polsi e la spinse avanti a sé su una stretta passerella di ferro delimitata da un corrimano. Sopra di loro c’era l’enorme gruppo dei riflettori che inondavano di luce il tappeto verde, decine di metri più in basso. Si trovavano così vicini che i fasci dei potentissimi fari scaldavano l’aria, rendendola a tratti irrespirabile. L’uomo la spinse fino al parapetto e, costretta a guardare in basso, Patty capì di trovarsi sulle impalcature delle due immense vele d’acciaio che coprivano le tribune e abbracciavano il campo. Venne assalita dalle vertigini e chiuse gli occhi, mentre la voce calda di una donna, il cui lavoro era solo quello, fece risuonare negli altoparlanti le formazioni estratte a sorte.
«Per la squadra “All Star” il portiere sarà Deuter Müller dalla Germania. In difesa Salvatore Gentile dall’Italia, Sho Shunko dalla Cina, Pierre Le Blanc dalla Francia e Hermann Karz dalla Germania. Per il centrocampo: Stefan Levin dalla Svezia, Juan Diaz dall’Argentina e Rivaul dal Brasile. In attacco Natureza e Carlos Santana dal Brasile e Karl Heinz Schneider dalla Germania.»
Patty scosse la testa allibita. Quale che fosse la formazione giapponese, gli amici non avevano una sola microscopica speranza di vincere. Neanche con Holly in campo.
Terminata la lista la voce maschile di un giovane cronista finì di elencare i giocatori stranieri convocati, che per quel primo tempo sarebbero rimasti in panchina a guardare.
«Dario Belli, Louis Napoleon, Ryoma Hino, Brian Kriford, Mark Owailan, Manfred Margas, Franz Schester, Zangief, Ramon Victrorino, Alan Pascal e Radunga. Allenatore e manager della squadra è niente popò di meno che l’olandese Eric Van Saal.» L’uomo fece una pausa per riprendere fiato «Signore e signori, come avete potuto ascoltare anche i sostituti sono ottimi giocatori. Riuscirà la squadra capitanata da Oliver Hutton (per di più infortunato) a sconfiggerli?»
-Impossibile.- mormorò Patty, voltandosi verso lo sconosciuto. Non lo trovò. Si guardò intorno e lo cercò, di lui non c’era traccia: l’aveva lasciata sola. Riattraversò la passerella e tornò davanti al montacarichi. Si volse di schiena e saltellò fino a riuscire a spingere il pulsante con le dita legate sulla schiena. I comandi non funzionarono. Si guardò intorno affranta. Se quel tipo non fosse tornata a prenderla sarebbe rimasta bloccata lassù. Avrebbe potuto gridare quanto voleva ma nessuno sarebbe stato in grado di udire la sua voce nel frastuono dello stadio, non finché la partita non fosse terminata e forse neanche dopo. Se almeno le avesse lasciato il cellulare…
Decisa a non scoraggiarsi, non ancora almeno, tornò verso la balaustra e si sedette a terra, accoccolandosi sotto la luce dei potenti fari, cercando in quel calore un riparo al vento che soffiava forte facendo fremere le travi di acciaio. Dopotutto molto meglio lì che rinchiusa nel capannone: se non altro avrebbe visto la partita.

Holly raggiunse i compagni e prese posto in fondo alla fila: al contrario di quanto accadeva di solito mise piede sul tappeto d’erba per ultimo. Appena si fermarono in riga sulla linea bianca davanti alle panchine, venne annunciata la formazione estratta.
«In porta Ed Warner. In difesa Johnny Mason, Clifford Yuma, Ralph Peterson e Bruce Harper. A centrocampo James e Jason Derrick, Philip Callaghan, Eddy Bright, Tom Becker e infine il capitano, Oliver Hutton. In panchina, ad attendere il sorteggio del secondo tempo rimangono Benjamin Price, Alan Crocker, Paul Diamond, Rob Aoi, Mark Landers, Danny Mellow, Ted Carter, Sandy Winter, Julian Ross e Patrick Everett. Sarà Gabriel Gamo a dirigere la squadra.»
Holly si sarebbe sotterrato. Mancava Mark, non c’era Rob, Julian era in panchina e, sfortuna delle sfortune, Benji non era stato estratto. Neanche Patrick era entrato. Almeno lui, se gli veniva passava la palla in una buona posizione, era in grado di fare goal. Almeno lui, a differenza di buona metà di coloro che stavano per scendere in campo, aveva giocato tutte le partite della nazionale e s’era misurato con giocatori stranieri. Peggio di così non poteva andare. Se gli assenti fossero stati estratti per il secondo tempo avrebbero avuto bisogno per lo meno di due anni per recuperare il risultato.
«Gentili spettatori…» riprese lo speaker «Dopo tanta fremente attesa le due squadre sono pronte a entrare in campo.»
-Vieni Holly.- lo chiamò Bruce già davanti ai fotografi. Erano tutti in posa e mancava solo lui.
Altro che foto. Aveva una voglia matta di fuggire, sprofondare da qualche parte e uscire fuori solo dopo che quell’incubo fosse finito.
-Il sorteggio è andato proprio male…- commentò tra sé e sé Denny Mellow, in piedi accanto alla panchina. A pochi metri da lui anche Gamo, sentiti i nomi degli estratti, aveva perso d’un colpo tutta la sua baldanza.
-Se solo potessimo fare qualcosa per Patty…- Evelyn strinse tra le mani il cellulare di Holly e tentò ancora di chiamare l’amica. Lei e il ragazzo avevano provato così tante volte che la batteria si era quasi scaricata.
Prima che Ed cominciasse ad attraversare il campo per prendere il suo posto tra i pali, Benji gli posò una mano sulla spalla.
-Warner, mi raccomando…-
L’altro annuì ma dentro di sé lo maledisse. Mi raccomando a cosa? Anche lui era in ansia per Patty. Sapere che ogni palla che fosse riuscita a passare e a insaccarsi nella rete l’avrebbe messa in pericolo, non l’avrebbe certo aiutato a svolgere bene il suo ruolo di portiere! E tanto meno lo facevano le occhiate silenziose che Holly continuava a lanciargli da quando aveva sentito il suo nome entrare a far parte della rosa dei primi undici. Il capitano non aveva detto niente ma i suoi occhi erano stati ed erano ancora più eloquenti di qualsiasi parola: se solo avesse potuto pregarlo di lasciarlo in pace e non guardarlo più… Abbassò lo sguardo a terra, si sistemò i guanti e, a testa china, si diresse verso la porta.
«Dopo aver posato davanti ai fotografi per le foto di rito…» riprese il cronista «Oliver Hutton e Karl Heinz Schneider si stringono la mano. Gentili spettatori la partita del secolo sta per cominciare!» gridò entusiasta facendo echeggiare la sua voce ai quattro angoli dello stadio.
In cima alle traversine d’acciaio Patty ne restò stordita. Che bisogno c’era di urlare in quel modo? Non erano mica sordi!
Dietro di sé udì un rumore e si volse. Socchiuse gli occhi, accecata dalla luce dei fari, e vide l’uomo tornare verso di lei.
-Ti ho portato dell’acqua.-
E poiché non si decideva ancora a slegarle le mani, svitò il tappo e gliel’avvicinò al viso. Patty si tirò su in ginocchio, socchiuse avida le labbra e sentì il liquido fresco scorrerle nella gola irritata. 
-Grazie…- gli disse, grata che nonostante tutto l’avesse accontentata. Il sollievo le tolse quasi le forze e non riuscì a fare nulla per impedire che l’uomo, poggiata la bottiglietta a terra, le legasse di nuovo le caviglie.
 -Non voglio che tu te ne vada a zonzo qua in cima. Potresti farti male. E per il momento mi servi ancora viva.-
Lei sussultò.
-E dopo?-
-Se il tuo ragazzo non vincerà la partita non ci sarà nessun dopo.- la tirò in piedi e le schiacciò lo stomaco contro la balaustra, spingendole le spalle verso il vuoto -Una semplice spintarella e… hop… Il gioco è fatto.-
Piegata in avanti, i capelli che le ricadevano intorno la viso e ondeggiavano al vento, gli occhi fissi sul campo metri e metri più in basso, Patty fece forza sulle gambe e cercò di tirarsi indietro. Metà del suo corpo si trovava sospeso nell’aria, la pressione sullo stomaco era insopportabile e l’acqua che aveva appena bevuto le tornò su. Represse un conato.
-Lei è pazzo!-
L’uomo reagì all’insulto premendola con più forza contro la ringhiera. A Patty sembrò che la sbarra di ferro cominciasse a cedere e a piegarsi verso l’esterno e il terrore l’assalì.
-No, non sono pazzo! Ho solo bisogno che il Giappone vinca la partita di oggi!-
-Il Giappone non può vincere!- protestò lei incosciente -Non contro quella squadra! Non con quella formazione! Non con Holly infortunato!- si ritrovò a gridare, in preda al panico, mentre capiva -È lei che l’ha costretto a giocare!-
-Dovrà farlo. Hutton dovrà portare la sua squadra alla vittoria o non ti rivedrà più!-
Lei rinunciò a contrastare la forza che la spingeva, era inutile. Non sarebbe riuscita a tirarsi indietro, stava soltanto sprecando energie.
-Gliel’ha detto? Lo ha minacciato?- rimase immobile, il volto e il petto piegati in avanti, nel vuoto. Se la balaustra avesse ceduto sarebbe volata giù, e addio! Si vide spiaccicata sull’erba e gli occhi di migliaia di spettatori scioccati fissi sul suo corpo martoriato…
-Certo che gliel’ho detto! Quale stimolo migliore per fargli fare anche l’impossibile?-
I capelli agitati dal vento le finirono negli occhi umidi di lacrime.
-Come pensa che Holly possa riuscire a dare il meglio di sé con un peso del genere nel cuore? Non si rende conto della pressione a cui l’ha sottoposto?-
-Sottovaluti il tuo ragazzo, cara mia. Sono sicuro che sapendo che sei in pericolo farà i salti mortali pur di vincere! E ci riuscirà!-
-Quanti soldi vuole per lasciarmi andare?- insistette Patty. Le lacrime avevano cominciato a rigarle le guance e a gocciare via, dissolte dal vento.
-Una cifra tale che ad Hutton non basterebbe una vita per metterla da parte, neppure se diventasse il calciatore più pagato del mondo.-
-Non la passerà liscia! La troveranno e gliela faranno pagare!-
Lui rise, divertito dalle sue minacce.
-Abbi fiducia in lui e prega per la tua squadra se vuoi restare viva.-

-Holly… Ho appena avuto un’idea.- Tom era fermo a centrocampo ad aspettare che tutti prendessero i loro posti. 
L’arbitro aveva già il fischietto tra le labbra e di fronte a loro, pronti a partire in attacco, niente di peggio che Santana e Natureza. Così uguali nelle loro manie di grandezza, lo erano diventati ancor di più grazie al codino che si erano fatto crescere e pendeva sulle loro schiene. Tom era certo che durante il gioco li avrebbe confusi.
-E quale sarebbe?-
-Parliamone con loro.- con un cenno del capo indicò gli avversari -Spieghiamo cosa sta succedendo e chiediamogli di farci vincere.-
Holly gli rivolse un’occhiata incredula.
-Per una cosa del genere c’è il carcere, lo sai?-
-Preferisci qualche anno di prigione o Patty sulla coscienza?- replicò Tom spietato nel momento in cui l’arbitro fischiava.
«Ecco finalmente il calcio d’inizio! È Santana a toccare la palla per primo a favore di Natureza che parte in attacco! Becker e Hutton gli vanno incontro ma Natureza passa indietro e il pallone raggiunge Rivaul. Hutton cerca di intercettare il tiro ma arriva tardi e non ce la fa!»
Con la proposta di Tom che gli martellava la testa, Holly non riuscì a concentrarsi e la palla gli passò due volte davanti agli occhi prima di finire tra le zampe di Juan Diaz. L’argentino partì in attacco veloce come un fulmine e dribblò abilmente Bruce, Eddy e Clifford. Holly lo vide dirigersi verso la porta pronto a tentare il tiro, ma un attimo prima di caricare Diaz cambiò idea ed effettuò un lungo cross. Il pallone sorvolò indisturbato l’area giapponese e raggiunse Stefan Levin (come diavolo aveva fatto ad arrivare fin lì?) che stoppò di petto e calciò la palla, dandole un fortissimo effetto rotatorio. Clifford fece il possibile per opporsi a quel potente tiro ma non riuscì a bloccarlo come avrebbe voluto e la sfera venne raggiunta da Schneider.
«Attenzione! Quest’incredibile squadra mista sembra già pronta a segnare il primo goal! Schneider tenta un rito al volo e… Fantastico! Ed Warner devia il pallone effettuando una bellissima parata! La porta del Giappone è salva!»
-Maledizione!- Ed si tirò su e si accorse che la palla era finita in calcio d’angolo.
Holly arrancò per tutta la metà campo come un disperato, pregando di riuscire ad arrivare in difesa prima che succedesse l’irreparabile.
«È lo stesso Schneider a tirare il calcio d’angolo. La palla vola sopra la testa dei difensori e si avvicina di nuovo alla porta giapponese… Warner effettua un’altra splendida parata! Ma non arriva a bloccare la sfera che finisce di nuovo tra i piedi del capitano tedesco. Ecco Hutton! È arretrato in difesa! Riesce ad anticipare Schneider e sottrargli la palla. Passa a Mason ma Natureza intercetta, carica il tiro, i difensori giapponesi tentano di fermarlo… Natureza ci ripensa e passa indietro. Il pallone viene raggiunto da Shunko Sho che calcia al volo scagliando il suo potente tiro verso la porta giapponese… Warner ferma anche questo! Fantastica, signori spettatori, la performance di questo portiere! Dopo solo pochi minuti di gioco gli “All Star” hanno già tentato due tiri in porta!»
Basta! Basta! Insomma, il campo era tanto grande… Perché non andavano tutti a correre lontano da lui? Ed si passò una mano tra i capelli sconfortato. Se gli avversari avessero continuato a gironzolare intorno alla loro porta e a tentare tutti quei tiri prima o poi sarebbero sicuramente riusciti a ficcarne dentro uno! Lanciò il pallone verso Holly. Che diavolo stavano facendo i compagni? E che stava facendo lui? Perché non correva verso la porta avversaria e infilava un bel goal? Forse la caviglia gli faceva troppo male…

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Capitolo 5
*** Le cose si mettono male ***


Leaves Time
5. Le cose si mettono male
 

-Povero Ed…- Patty cercò di muovere le mani legate dietro la schiena, le dita le si erano intorpidite e le braccia, costrette in quella posizione, le facevano male -Non può slegarmi?-
-Non ora.-
Lei diede lo stesso un paio di strattoni furiosi alle corde, poi si rassegnò. Avrebbe finito per farsi male e basta. Cercò di mettersi più comoda anche se era quasi impossibile riuscirci, e tornò a fissare il gioco.
-Se lei non avesse minacciato Holly, sono sicura che avremmo già segnato.- alzò gli occhi verso le luci, scorgendo a mala pena il profilo dell’uomo.
-Questo lo dici tu.-
-Certo! Lo dico io che lo conosco meglio di lei!-
-Io voglio certezze e quale migliore assicurazione della tua vita appesa a un filo?-
Patty fremette di stizza e tornò a guardare la distesa verde brillante, dove undici ragazzi correvano disperati dietro a un pallone, facendo l’impossibile per non perdere un incontro che le sarebbe costato la vita. Quell’uomo era pazzo, non c’era altra spiegazione. Ma quanti erano i pazzi come lui? Quante altre persone sarebbero state disposte a fare qualsiasi cosa pur di veder vincere la propria squadra, mettendo addirittura in pericolo la vita degli altri? Preferì non pensarci… Non voleva saperlo, non voleva assolutamente saperlo.
Il rumore assordante e inaspettato di un motore le ferì le orecchie. Sia lei che il suo rapitore si guardarono intorno sgomenti. Un elicottero comparve oltre le vele dello stadio, stagliandosi contro il cielo illuminato a giorno dai fari, e si librò davanti a loro per sorvolare il campo. L’uomo scattò e le fu addosso, la sollevò da terra e la trascinò indietro, al riparo della tettoia del montacarichi. Il potente faro sulla fusoliera del velivolo sfiorò con la sua luce il loro nascondiglio
-Maledizione! Devono aver avvertito la polizia!-
-Pensava che non lo avrebbero fatto?- schiacciata contro il muro dalla forza dell’uomo, Patty riuscì a voltare la testa e scorgere l’elicottero della polizia. Era vicinissimo. Il casco con la visiera scura di uno degli agenti sembrò rivolto proprio verso di loro ma fu chiaro che non li videro, perché proseguirono il pattugliamento.
L’elicottero riprese quota in fretta, uscì dal fascio di luce degli enormi riflettori e scomparve nel buio della notte.

Sul sedile posteriore del taxi, Jenny diede un’occhiata all’orologio e sospirò impaziente.
-La partita dev’essere già cominciata.-
Lei ed Amy erano imbottigliate nel traffico a poche centinaia di metri dallo stadio e sebbene l’autista avesse cercato di districarsi nell’ingorgo, non era riuscito fare che pochi metri in un tempo infinito. Stringendo tra le mani il preziosissimo sacchetto della farmacia, si sporse tra i due sedili e parlò con il tassista.
-Ci faccia scendere qui. Proseguiamo a piedi.-
-Siete sicure? Manca ancora un bel pezzo…-
-Sì, siamo sicure.- Jenny tirò fuori una banconota da diecimila yen e, mentre l’amica apriva lo sportello e metteva piede sul marciapiede, prese il resto, lo ficcò nella borsetta e salutò.
Amy alzò gli occhi verso il profilo dello stadio.
-Se ci sbrighiamo riusciremo ad arrivare prima della fine del primo tempo.-
Grazie ai pass che avevano chiesto al signor Pearson, il servizio di sicurezza dell’entrata le lasciò proseguire. Furono gli agenti che impedivano l’accesso ai giornalisti e agli estranei nella zona riservata alle due squadre a fermarle.
-L’accesso è riservato soltanto ai giocatori e al personale.-
Le due amiche si guardarono. Erano bloccate.
-Siamo uscite da qui. Perché non possiamo rientrare?- protestò Jenny.
-Gliel’ho appena spiegato, signorina. L’accesso è riservato soltanto ai giocatori e al personale.-
Amy insistette.
-Abbiamo i pass!-
I due agenti scossero la testa e Jenny arrivò alle preghiere.
-Si tratta di un’emergenza… Ci stanno aspettando…-
Non ci fu niente da fare. Gli uomini si tirarono indietro, parlando agli auricolari e lanciando occhiate al monitor delle telecamere di sicurezza. Amy sbuffò.
-Niente da fare…-
-Chiama Eve e dille di mandare qualcuno a prenderci.-
Amy annuì, consegnò all’amica la bustina della farmacia, frugò nella borsetta e recuperò il telefonino.

A pochi passi dalla panchina del Giappone, Evelyn spostava in continuazione lo sguardo dai ragazzi che giocavano alla porta d’ingresso del campo, da dove sperava di veder spuntare presto le amiche. Il cellulare di Holly prese a vibrarle silenzioso tra le mani. Sussultò spaventata.
-Chi è?- Benji si alzò dalla panchina e la raggiunse. Non aspettò che gli rispondesse. Le tolse semplicemente il telefonino dalle dita e se lo accostò all’orecchio.
“Benji, sono Amy”
-Alla buon’ora…- tornò a seguire il gioco -Dove diavolo siete?-
“Qui… All’entrata degli spogliatoi. Il servizio di sicurezza non ci fa passare, vieni a prenderci.”
-Arrivo.- riconsegnò il telefonino a Evelyn -Quegli idioti della sicurezza non le lasciano passare…- si aggiustò il cappellino e avvertì il mister -Torno subito.-
Gamo gli rispose senza distogliere gli occhi dal gioco.
-Dove vai?-
-A recuperare Amy e Jenny. Sono qui fuori e non le fanno entrare.-
L’allenatore annuì senza voltarsi, come se dal suo sguardo puntato sul campo dipendesse l’andamento della partita.
-Fai in fretta.-
Julian seguì Evelyn e Benji. Scesero le scalette e imboccarono il corridoio, in un attimo le raggiunsero. Il portiere fissò truce gli uomini che avevano respinto i pass.
-C’è qualche problema?-
Uno di loro si fece avanti e lo fissò dritto in faccia.
-Capirà che non possiamo lasciar entrare chiunque ce lo chieda…-
-Capisco perfettamente.- Benji non fece una piega -E spero che la prossima volta riuscirete a distinguere i seccatori dagli amici.- non aspettò che rispondesse e si volse verso le ragazze -Andiamo?-
Jenny si accostò al portiere e gli passò la bustina della farmacia. Lui controllò le scatoline dei due medicinali e gliela riconsegnò.
-Tienila tu.-
La giovane annuì.
-Philip dov’è?-
-Sta giocando.-
-Anche Mark?-
-No.-
-E Tom?-
-Sì.-
-Rob?-
Benji mise fine al terzo grado.
-La squadra estratta è un disastro. È una fortuna che siamo sotto solo di un goal.-
-Hanno segnato?!- esclamò Amy scioccata.
Sbucarono di nuovo sul campo, gli occhi sollevati al tabellone. Il punteggio era ancora di 1 a 0 per l’All Star e in quel momento la palla si trovava più o meno a centro campo. Holly correva dietro a Tom che stava risalendo l’aria avversaria.
Benji si avvicinò alla panchina e recuperò una bottiglietta d’acqua.
-Non possiamo aspettare la fine del primo tempo…- mancava troppo, il risultato era appeso ad un filo e in un secondo la situazione avrebbe potuto peggiorare fino a diventare irrecuperabile. Osservò il gioco: gli avversari correvano cercando di intercettare la palla per passarla poi a qualcuno che, nei pressi della porta di Warner, avrebbe potuto insaccarla nella rete. Erano troppi, in quella maledetta formazione, i giocatori in grado di segnare. Holly, nelle condizioni in cui era, non sarebbe riuscito ad arginarli tutti e i passaggi del Giappone erano poco precisi: la squadra estratta (se così si poteva chiamare) era quanto di peggio avrebbe potuto capitare. Neanche quello squilibrato di Jeff Turner, l’allenatore ubriacone di Landers, sarebbe stato mai in grado, durante la sua peggiore sbornia, di tirar fuori uno schema simile.
Benji sbuffò. Era inutile prendersela con il sorteggio; tanto valeva cercare di fare qualcosa per risollevare la situazione. E l’unico che poteva rimediare era Holly, almeno fino alla fine del primo tempo. Dopodiché sarebbe stato tutto da vedere. Lanciò un’occhiata al capitano, poi si rivolse a Jenny che stringeva la bustina della farmacia.
-Non appena il gioco s’interrompe lo facciamo avvicinare… Preparale.-
-Una ciascuna va bene?-
Il portiere annuì e prese le compresse che lei gli porgeva. Si accostò alla linea bianca e seguì Holly con lo sguardo, sperando che prima o poi si voltasse dalla sua parte. E il capitano lo fece, un secondo in cui si era fermato per riprendere fiato.
Benji sollevò la bottiglia dell’acqua e il capitano scosse la testa, perché non aveva sete. Poi si bloccò, scorse Amy e Jenny e capì. Tornò a seguire il gioco, cercando disperatamente il momento giusto per raggiungerli. Doveva fare un goal. Se avesse segnato avrebbe avuto tutto il tempo che voleva. Strinse i denti e si mise a correre per riappropriarsi della palla che Tom aveva perso. Se non ce l’avesse fatta, si sarebbe almeno trovato in una buona posizione per segnare, sempre che qualcuno dei compagni fosse riuscito a recuperarla. Quella maledetta gamba… quella stramaledettissima caviglia!
Evelyn premette per l’ennesima volta il tasto invio, l’incrollabile speranza di riuscire a contattare Patty. Aveva deciso di non usare più il telefono di Holly. La batteria era agli sgoccioli, tra poco si sarebbe esaurita del tutto e se Patty avesse cercato di chiamarlo, avrebbe trovato il cellulare del ragazzo spento, cosa che non doveva assolutamente accadere. Continuando a seguire la partita, aveva tirato fuori il proprio telefonino e aveva ricominciato a comporre il numero, un tentativo dietro l’altro senza rinunciare, pregando con tutto il cuore che prima o poi qualcuno rispondesse.

Holly non ce la faceva più. Era fermo nell’area avversaria, fiancheggiato dai suoi marcatori, pronto a ricevere la palla e provare a segnare. Ma Tom, l’unico in grado di servirgli un bell’assist, era così strettamente seguito da Pierre e Karz che non riusciva ad avanzare né a passargli il pallone.
-Coraggio Tom…- Patty appoggiò la fronte ad uno dei sostegni orizzontali della balaustra. Appena sfiorò il metallo, sussultò e si tirò di colpo indietro. La tempia insanguinata protestò con una fitta.
E non era solo la tempia a farle male. Sentiva dolore ovunque, come se l’avessero picchiata. Eppure quell’uomo non aveva alzato un dito su di lei se non quando l’aveva avvicinata per strada. E poi le facevano male le corde che la stringevano, impedendole di muoversi e di trovare una posizione più comoda. Cercò di non pensarci, anche facendolo non sarebbe cambiato nulla. Abbracciò lo stadio con lo sguardo. Da lassù era davvero uno spettacolo da togliere il fiato. Tornò ad abbassare gli occhi sul campo e scorse i giocatori riuniti in un calcio d’angolo nell’area di Ed. Dov’era Holly? Strizzò gli occhi per leggere i numeri sulle magliette dei giocatori accalcati intorno alla bandierina, ma non lo vide. Lì Holly non c’era. Che fine aveva fatto? Poi l’arbitro fece un cenno spazientito a qualcuno fermo lungo la linea del bordo campo. Eccolo Holly, di fronte a Benji, Julian, Amy e Jenny… a scolarsi una bottiglia d’acqua. Cosa stava combinando? Lasciare il gioco in un momento così critico per bere? Lo vide riconsegnare la bottiglia a Benji e correre a raggiungere i compagni.

Philip lanciò un’occhiata al capitano quando lo vide accostarsi.
-Tutto bene?-
Holly annuì distratto. Quello sfortunatissimo calcio d’angolo non ci voleva. Fissò il pallone, a terra sotto la bandierina. Juan Diaz aspettava il fischio dell’arbitro per colpirlo.
-La caviglia ti fa male?-
-Potrebbe andare peggio…- strinse i denti, chiedendosi se davvero le cose potessero peggiorare.
Philip gli lanciò ancora un’occhiata, poi si riaccostò Levin che aveva approfittato del loro scambio di battute per liberarsi dalla marcatura.

Patty chiuse gli occhi e unì le mani, concentrata in una silenziosa preghiera, sperando con tutto il cuore che la squadra avversaria non segnasse.
-Che fai, non guardi? Cominci ad aver paura che perdano? Hai così poca fiducia nel tuo fidanzato?-
Patty venne attraversata da un fremito d’ira e di frustrazione. Non solo quel pazzo l’aveva rapita, legata e imbavagliata; l’aveva portata lassù, aveva minacciato Holly e tutta la squadra; adesso metteva anche in dubbio la fiducia che riponeva in lui. Come accidenti si permetteva? Interruppe la sua preghiera, distolse l’attenzione dal calcio d’angolo e si volse verso il suo rapitore così improvvisamente che quello non ebbe il tempo di scostarsi e lei riuscì a intravedere il suo profilo. Capì che si trattava di un uomo sulla cinquantina, dalla faccia tonda e dai capelli radi sulle tempie, leggermente brizzolati; vide finalmente i suoi vestiti, un cappotto scuro fino al ginocchio, nero o forse blu, e un paio di pantaloni dal taglio elegante.
Lui fece rapido un passo indietro e l’avvertì.
-Non ti conviene cercare di guardarmi in faccia. Se lo facessi non potrei più lasciarti andare…-
Patty sussultò e tornò a fissare il campo. Sotto di lei i tifosi giapponesi emisero un’ovazione quando Ed bloccò il tiro, impedendo al pallone di entrare in porta.

«Signore e signori, dopo l’entusiasmante parata del nostro portiere la palla è di nuovo al centro campo e la coppia formata da Hutton e Becker attende l’arbitro per ripartire all’attacco.»
Il fischietto emise un suono acuto e Holly toccò per Tom. Con il pallone tra i piedi, Becker partì veloce verso l’area avversaria.
Santana se lo vide sfrecciare accanto e incitò i compagni a farsi sotto.
-Fermiamoli adesso e assicuriamoci la vittoria!-
Tom se lo sentì alle spalle. Non aveva capito una parola ma intuì dal suo tono e dai suoi gesti che i giocatori avversari sarebbero piombati in massa, forse tutta la difesa, pur di fermarlo e portargli via il pallone. Non si volse indietro, non volle sapere in quanti lo inseguivano. Alla sua destra Holly correva veloce. Tirò per lui un passaggio preciso che il capitano agganciò al volo. Rivaul venne preso al centro di una triangolazione e non riuscì ad appropriarsi della sfera.
-Bloccate quei maledetti passaggi!-
Fu Jack Morris, che era avanzato sulla fascia, a trovarsi per primo in buona posizione per tentare il tiro in porta. S’infilò tra Holly e Tom e il suo intervento evitò per un soffio che Pierre Le Blanc finisse sul pallone.
“Salvi per un pelo…” Tom corse avanti per precedere Jack e fu pronto a ricevere la palla quando lui gliela lanciò, un attimo prima di essere raggiunto dal cinese e da Salvatore Gentile, pronti a stringere la marcatura. 
«Becker effettua una doppia finta e passa sulla sinistra a Hutton già in posizione! Riuscirà il Giappone a segnare?» gridò il cronista, lasciando tutto lo stadio con il fiato sospeso.
Il gigantesco portiere tedesco seguì l’avanzata del capitano giapponese, assestandosi sulle gambe piegate, pronto a respingere il pallone. Holly strinse i denti, tese i muscoli e la caviglia gli rispose con fitte lancinanti. Si preparò a calciare mentre Mark, dalla panchina, riconosceva la posizione e spalancava gli occhi.
-Quello è il mio tiro! Non ci posso credere! M’ha fregato il tiro!-
La palla schizzò veloce, oltrepassò il braccio teso di Muller e si insaccò tra le maglie della rete.
-Mark, quello è il tuo tiro…- gli fece eco Danny.
-Già, è il mio…-
-Quanto la fai lunga, Landers!- sbottò Benji -Non ci hai mica pagato il copyright! L’importante è che abbia segnato, no?-
Gamo esultò con tutta la panchina, gli occhi fissi su Holly che tornava a centrocampo zoppicando. Sperò che stringesse i denti ancora per un po’. Il primo tempo stava per finire.

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Capitolo 6
*** Una visita inattesa ***


Leaves Time
6. Una visita inattesa
 

Patty, le gambe penzoloni nel vuoto, esultò. Holly aveva pareggiato. Un altro goal e il Giappone avrebbe vinto e il tipo che la teneva lì in cima l’avrebbe lasciata libera di tornare dal suo fidanzato.
-L’amore può fare miracoli…-
Lei ignorò il commento e continuò a tenere gli occhi fissi sulla maglia numero 10.
«Il pallone è ora tra i piedi dell’All Star. Dopo aver ricevuto la palla Natureza rilancia avanti verso Rivaul che a sua volta passa a Santana! Che superbo gioco di squadra ci mostra questo trio brasiliano!» sbavò il cronista entusiasta.
Patty si lasciò sfuggire una smorfia di disappunto. Per chi parteggiava quell’idiota?
«La difesa giapponese, già duramente provata in questo primo tempo di gioco, arretra nell’area cercando di respingere gli attacchi degli avversari. Il capitano stesso interviene e si lancia in scivolata contro Rivaul nel tentativo di sottrargli la sfera. Ma il brasiliano non si fa togliere il pallone e riesce a scartare Hutton proseguendo poi la sua corsa!»
Patty vide Holly restare a terra immobile, rivolto verso gli avversari che correvano via. Sembrava incapace di alzarsi, la caviglia doveva fargli male. Forse nello scontro Rivaul l’aveva urtato.
«Ecco Santana e Natureza di fronte la porta. Calciano insieme il pallone passato da Rivaul. Attenzione, il tiro è potente! Riuscirà Ed Warner a pararlo?»
Patty serrò le palpebre e smise di respirare. Poi capì dal grido entusiasta che si levò dall’intero stadio che il portiere anche questa volta ce l’aveva fatta. Quel giorno Ed stava facendo miracoli. Spalancò gli occhi e tornò a posarli prima sul tabellone, il cui punteggio era rimasto invariato, poi sul campo in cerca dell’arbitro e della palla.
«Magnifico! Warner ha intuito la traiettoria del pallone ed è riuscito a respingerlo con il pugno sinistro!»
-Non posso crederci!- Natureza scalpitò -Quel portiere ha una fortuna sfacciata!-
Santana, accanto a lui, lo zittì brusco.
-Non è detto…-
«Attenzione! Un altro giocatore ha seguito l’azione e sta correndo incontro al pallone… Si tratta del capitano Schneider!»
Ed, ancora a terra, scorse il tedesco solo all’ultimo momento. Scattò in piedi troppo tardi e non riuscì a raggiungere la palla.
«Gooooooooooal! Schneider ha segnato! Il punteggio è ora di 2 a 1 e il primo tempo è agli sgoccioli!»
-Non è possibile…- Warner colpì il palo con un pugno. Poi si volse verso i compagni in cerca di Holly. L’avrebbe ucciso per questo! O meglio, il pazzo avrebbe ucciso Patty per quel maledetto goal! Philip gli porse una mano, lui la prese e si alzò, incrociando un sorriso che voleva essere incoraggiante ma che risultava più che altro preoccupato.
-Coraggio Ed… Non è colpa tua, c’hai provato…-
-Avrei dovuto anche riuscirci…-
-Nessuno di noi ha visto Schneider in tempo per fermarlo, è spuntato dal nulla…-
-Già, ma io avrei dovuto…-
-Non colpevolizzarti, hai fatto del tuo meglio. Ormai mancano pochi minuti alla fine del primo tempo… Nel secondo riusciremo a recuperare, smpre che il sorteggio sia con noi…-
Holly strinse i pugni disperato. Non poteva finire così! Tom lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla.
-Segneremo ancora, vedrai…-
Insieme riguadagnarono il centro campo, il pallone era già al centro del dischetto e l’arbitro era pronto a fischiare.
Holly si sforzò di riscuotersi dallo sconforto. Non era da lui abbattersi. Doveva farcela, doveva vincere, doveva riuscirci. L’adrenalina ricominciò a scorrergli nelle vene e fissò Rivaul, fermo davanti a lui, con un sorrisetto di sfida.
-Hutton è incredibile!- disse quello a Santana che gli era accanto -Continua a sorridere anche dopo aver subito un goal…-
-Ed è proprio quando sta cominciando a perdere che dà più filo da torcere. Dovremo fare attenzione…-
Holly serrò i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne. Non si sarebbe lasciato sconfiggere. Quella partita era troppo importante. La vita di Patty dipendeva da quell’incontro. Non importava quanti goal gli avrebbero fatto, avrebbe continuato a correre verso la porta avversaria e a segnare finché sarebbe riuscito a tenersi in piedi. Finché avrebbe avuto la forza di respirare.

-Le cose si mettono male, eh?-
Patty si sentì rabbrividire ma nonostante il commento dell’uomo, la sua speranza non si sarebbe mai spezzata.
-La partita non è ancora finita.-
-Meglio per te…- lo sentì muoversi alle sue spalle, camminare su e giù per la passerella, facendola tremare sotto i suoi passi -Cosa credi? Anch’io voglio che vincano. Preferisco non avere la tua morte sulla coscienza.-
Eccola, la speranza che rispuntava. Del resto finora il pensiero della morte non era mai arrivato abbastanza vicino a Patty da terrorizzarla.
-Potrebbe lasciarmi andare anche se non vincessero…-
L’uomo si appoggiò alle porte chiuse del montacarichi e fissò le esili spalle della ragazza, illuminate dai riflettori. Sedeva davanti a lui con le gambe penzoloni nel vuoto i gomiti appoggiati sulle le sbarre trasversali della balaustra.
-I termini della scommessa sono due: che il Giappone vinca o che tu muoia.-
Patty si volse sbalordita, gli occhi spalancati e le labbra dischiuse.
-È assurdo!-
-Hutton si è infortunato ed è ovvio che senza lui in campo, il Giappone non può vincere. Per questo l’ho costretto a giocare.-
Patty trasecolò. Non ci capiva più niente, cosa c’entrava lei?
-Che razza di gente frequenta? Chi è così perfido da poter giocare con la vita di una persona? Crede davvero che chi è al corrente della scommessa non la denuncerà per quello che ha fatto?-
-Esatto, non succederà mai. E se anche dovesse accadere, ho a disposizione gli avvocati migliori del Giappone.-
-Insomma, si può sapere chi è lei?-
L’uomo indietreggiò nella penombra.
-Come ti ho detto poco fa è molto meglio che tu non lo sappia.-

Dopo alcuni passaggi infruttuosi sia del Giappone che dell’All Star, l’arbitro fischiò tre volte.
«Terminano in quest’istante i primi quarantacinque minuti di gioco. Ricordiamo ai gentili spettatori che i giocatori di entrambe le squadre che sono appena usciti dal campo saranno quasi tutti sostituiti.»
-Non è giusto…- si lagnò Natureza, percorrendo il corridoio che conduceva agli spogliatoi -Voglio giocare ancora…-
Santana si passò un braccio sulla fronte per arginare il sudore.
-Maledette regole…-
Philip e Jenny li seguivano parlando.
-Non sono stanco, sono nervoso e iperteso. Non si può giocare così…- il ragazzo ingurgitò almeno mezzo litro d’acqua e tacque quando vide Holly ed Evelyn superarli.
-Ho smesso di usare il tuo cellulare per chiamarla, la batteria è quasi scarica.- l’amica glielo porse ma lui rifiutò di prenderlo.
-Tienilo lo stesso… Non posso lasciarlo negli spogliatoi, potrebbe provare a chiamare.-
Evelyn annuì, poi si scontrò con Gamo.
-Che diavolo ci fate voi tre sempre in mezzo ai piedi?-
La ragazza alzò gli occhi e se lo trovò davanti così infuriato che impallidì e indietreggiò.
-Non è certo colpa loro se stiamo perdendo!- lo assalì Benji nervoso -Perché non se la prende con chi ha deciso le regole di questa assurda partita?-
-Price…- il tono saccente del suo miglior portiere lo urtò.
Jenny raggiunse Evelyn, l’afferrò per la giacca e si dileguò insieme a lei ed Amy, sparendo dalla vista del mister. Svoltarono l’angolo quasi si scontrarono con un paio di agenti.
-Dov’è Hutton?-
-È entrato adesso negli spogliatoi.- Amy li guardò speranzosa -Avete notizie di Patty?- 
-Abbiamo rintracciato il segnale del suo cellulare. È a Saitama, forse nello stadio.-
Jenny li fissò sgomenta.
-Che cosa?! È qui?-
-E dove?-
-Siamo riusciti a localizzare il suo telefonino finché è rimasto acceso. Poi il segnale è scomparso… Ci vorrà più tempo…-
-Non abbiamo tempo!- protestò Amy -Ci restano, anzi, vi restano soltanto quarantacinque minuti!-
L’agente passò le dita sulla corta barbetta che gli ricopriva il mento.
-Stiamo cercando. Non c’è bisogno che vi dica quant’è vasta la prefettura di Saitama, e la vostra amica potrebbe trovarsi ovunque!-
-E lo stadio?- domandò Evelyn -State cercando anche qui?-
Lui annuì.
-Con le dovute precauzioni. Non possiamo mettere a soqquadro uno stadio così pieno. Un intervento in forza scatenerebbe il panico.- la ricetrasmittente che portava appesa alla cintura emise un eloquente bip-bip e l’uomo si volse per rispondere. Parlottò per qualche istante, poi tornò da loro -Hutton non è stato contattato?- 
-No.- Evelyn gli mostrò il telefonino -Ho io il suo cellulare e non ha chiamato nessuno.-
-Lo tenga acceso.- si raccomandò e sparì nel corridoio.

Grande fu lo sconcerto di Holly quando Van Saal, l’allenatore dell’All Star ma anche del Barçelona, fece il suo ingresso nello spogliatoio giapponese. Seduto su una panca con la gamba distesa e la borsa del ghiaccio sulla caviglia per cercare un po’ di sollievo al dolore, il capitano non poté neanche alzarsi per andargli incontro.
Amy, occupata a slacciargli lo scarpino, gettò all’uomo un’occhiata distratta e rimase dov’era quando quello si avvicinò a Holly e gli si fermò davanti. Il tempo che aveva a disposizione era poco, la seconda parte dell’incontro sarebbe cominciata entro una decina di minuti. Così Van Saal andò subito al sodo.
-Hai deciso di giocare anche il secondo tempo?- gli chiese in spagnolo, ignorando la presenza degli altri giocatori e dubitando fortemente che lì dentro ci fosse qualcuno in grado di capirlo.
Holly sostenne con il suo sguardo.
-Sì, signore.-
-Scenderai in campo anche se ti ordinerò di restare in panchina?-
-Non lo faccia.- gli sfuggì una smorfia quando Amy gli sfilò lo scarpino -Non voglio essere costretto a contrariarla.-
-E se le condizioni della tua caviglia peggiorassero? Sai che non sono disposto a tenerti in panchina per metà campionato. Piuttosto rinuncio a te.-
Se pensava di spaventarlo con quell’affermazione non ci riuscì. Le sue parole non stupirono Holly. Gliene aveva sentite dire di simili quando Rivaul si era infortunato durante una partita della Lega spagnola. Continuò a guardarlo fisso negli occhi. Intorno a loro, nello spogliatoio, non volava una mosca.
-Spero che non ce ne sia bisogno.-
Van Saal incrociò le braccia.
-Niente potrà farti cambiare idea?-
-Niente che lei possa fare.-
L’uomo annuì sconfitto.
-Allora non mi resta che augurarti in bocca al lupo.- si voltò e lasciò lo spogliatoio.
Amy gli tolse il ghiaccio dalla caviglia facendolo sussultare. Holly distolse gli occhi dalla porta e si accorse che gli sguardi dei compagni erano tutti fissi su di lui. Cercò Benji.
-E se prendessi un altro paio di quelle compresse?-
Il portiere alzò gli occhi dai guanti con cui stava giocherellando, chiedendosi se nel secondo tempo avrebbe potuto indossarli. Lo fissò sorpreso.
-Senti ancora dolore?-
-Abbastanza.-
-Strano…-
-Preferirei che ne facessi a meno, Holly.- intervenne Amy preoccupata.
Lui si volse ammutolito. Erano le stesse parole che Patty aveva pronunciato quella mattina quando aveva insistito fino alla noia perché non giocasse. Ad un certo punto lui le aveva risposto brusco, perché i suoi timori gli sembravano esagerati. Era arrivato addirittura a farle presente stizzito che la decisione di entrare in campo spettava soltanto a lui e che se si rovinava la caviglia non erano affari suoi. Patty l’aveva guardato per un lungo istante senza parlare, poi l’aveva lasciato seduto sul divano con il piede ricoperto di crema appoggiato sul tavolino, e si era rifugiata in cucina. Nel giro di pochi secondi l’indignazione di Holly era evaporata e l’aveva richiamata.
Lei non gli aveva risposto, ma era ricomparsa nel momento in cui decideva di alzarsi per andare a da lei. Era tornata con un’espressione seria e gli occhi lucidi. Holly si era scusato. In pochi istanti avevano fatto pace e lui era arrivato persino a prometterle che non sarebbe sceso in campo. Promessa vana…
-C’è una cosa che non sapete…- non si rivolse a nessuno in particolare, i suoi occhi restarono fissi nel vuoto -C’è una cosa che non vi ho detto…- una luce gli attraversò lo sguardo e i ricordi si dissolsero. Mise a fuoco i compagni e si fermò sul bel viso di Amy -Patty è incinta.-
-Holly, accidenti!- il volto dell’amica divenne un sorriso -È fantastico! Congratulazioni!-
Lui non ricambiò il sorriso, la sua espressione restò afflitta.
-In un momento simile non riesco a vederci niente di fantastico.- tese una mano verso Jenny, puntando con gli occhi la bustina che la giovane stringeva tra le dita.
Lei capì e fece un passo indietro. Scosse la testa e lanciò un’occhiata a Benji, in cerca di aiuto.
-Tu che dici?-
Il portiere alzò le spalle.
-Se non ti sono state di nessuna utilità, non vedo che senso abbia prenderne ancora. Non sono caramelle.-
Holly respirò profondamente e lo fissò, rivolgendosi a tutti.
-Spero che non abbiate intenzione di mollarmi proprio nel momento del bisogno! I vostri scrupoli sono assurdi e inutili!- strinse i pugni e le nocche sbiancarono.
Tom si rese conto che stava per perdere il controllo.
-Jenny, dagli quelle compresse.-
-Ma Tom…- protestò Amy.
-Io non sono d’accordo.- Benji cercò di convincerlo -Se finora due non ti hanno fatto niente, quattro potrebbero metterti al tappeto! E visto che questa maledetta idea è stata mia, non ti permetterò di prenderne ancora!-
Le labbra di Holly si incurvarono in un sorrisetto nervoso, i suoi occhi vennero attraversati da un lampo di sarcasmo. Si volse, si chinò a terra per raccogliere lo scarpino e se lo infilò sofferente. Allacciò le stringhe e alzò il viso.
-Jenny…- la esortò, tendendo di nuovo il braccio verso di lei.
Se avesse potuto, pur di tirarsi fuori da quella situazione, sarebbe fuggita. Invece rimase a guardarlo in silenzio, mettendo alla prova, col suo atteggiamento passivo, tutta la pazienza dell’amico.
-Holly, ascolta…- Benji s’infilò parte dei guanti nella tasca posteriore dei pantaloni.
-Non dire una parola! Non mi interessa!- lo assalì quello -Sapete perfettamente che quando si tratta di una partita faccio sempre di testa mia. Lo sapete da anni! E se è in gioco la vita di Patty, nessuno di voi potrà fermarmi. Non ha potuto Van Saal, non potrai tu, Benji.- tornò a posare gli occhi sull’amica -Dammi quelle maledette compresse Jenny!-
Lei gli porse il sacchetto. Benji cercò di prenderlo ma Tom lo fermò, afferrandogli un braccio.
-Non intrometterti più di così. Lascialo fare come dice. Sa quello che fa.-

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Capitolo 7
*** Verso la fine ***


Leaves Time
7. Verso la fine
 

A forza di tirare, il nodo alla corda si allentò e Patty riuscì a liberare le mani. Stranamente l’idea di tentare la fuga non le passò neanche per la testa. Era così contenta di aver riacquistato l’uso degli arti superiori e di potersi finalmente massaggiare i polsi doloranti, che non pensò ad altro se non a sciogliere rapidamente anche la corda che le bloccava le caviglie.
L’uomo era sparito chissà dove mentre lei aspettava che ricominciasse il secondo tempo, ma le aveva lasciato la bottiglietta dell’acqua. Patty si alzò barcollante, la raggiunse vicino al montacarichi e vi si attaccò come se non bevesse da una settimana. La finì troppo presto senza riuscire a calmarle la sete. Riavvitando il tappo tornò verso la balaustra, chiedendosi quanto mancasse al rientro delle squadre in campo. Alzò gli occhi sul tabellone: 2 a 1 per l’All Star. Certo, poteva anche andare peggio, pensò con una punta di ironia. Il tizio poteva spingerla di sotto senza aspettare il risultato finale che, se il sorteggio questa volta non fosse stato più fortunato, non sarebbe cambiato di molto. Poggiò i gomiti sulla balaustra e fissò gli occhi sulla miriade di spettatori che occupava le tribune: un’improvvisa folata di vento fece ondeggiare l’impalcatura e Patty strinse le dita attorno all’asta di ferro, reprimendo un improvviso senso di vertigine. L’altezza non le dava fastidio ma l’oscillazione causata dal vento le dava una sensazione di malessere, dovuta probabilmente anche al fatto che cominciava ad avere fame. Del resto, pensò ironica, se lo strettissimo pianerottolo sui cui si trovava avesse ceduto sotto le folate di vento, quell’uomo si sarebbe addirittura evitato di sporcarsi le mani e averla sulla coscienza. Le sue labbra si schiusero in un sorrisetto forzato, poi tornò a guardare in basso. Possibile che nonostante tutto quello che era successo nelle ultime ore, non avesse paura? Da quando si era risvegliata in quel magazzino aveva provato freddo, disagio, curiosità, dolore, sconcerto, confusione, sorpresa, timore, incredulità, rabbia, odio, pena… Ma mai ancora il terrore di venir uccisa. Le si era rivoltato lo stomaco quando aveva saputo il motivo per cui l’uomo l’aveva portata fin lassù, si era spaventata quando l’aveva spinta contro la balaustra e l’aveva minacciata. Ma il terrore? Quello che fa perdere la ragione? Quello che spinge a fare follie, quel famoso istinto di sopravvivenza che, se si fosse manifestato come avrebbe dovuto, ora forse l’avrebbe portata ad arrampicarsi sulle impalcature per cercare di scendere da lì pur di salvarsi la vita… No, quell’istinto non lo aveva, o era sopito o ne era completamente priva. Non avrebbe compiuto grandi imprese per salvarsi, non con una nuova vita appena sbocciata dentro di lei…
Sospirò. Povero Holly, chissà come doveva sentirsi. Sicuramente molto peggio di lei… e con la caviglia in quelle condizioni! Scosse la testa. Se solo avesse saputo che la giornata sarebbe andata così, quella mattina non avrebbe sprecato tutto il tempo che avevano passato insieme a convincerlo a non giocare…
Abbassò il viso sugli spalti, gettando un’occhiata incuriosita al pubblico. Un bambino frignante che voleva essere tirato su dal padre e teneva le braccia sollevate sopra la testa la vide, smise di piangere e la salutò con la manina. Patty sorrise (ma forse era troppo lontana perché il bimbetto riuscisse ad accorgersene) e rispose al saluto. Appoggiò il viso sulle mani serrate sulla sbarra, restando a guardare i giocatori che pian piano rientravano in campo e raggiungevano le rispettive panchine. Se avesse avuto una penna… se avesse avuto un pezzo di carta e una penna avrebbe potuto scrivere un biglietto e gettarlo di sotto. Forse qualcuno l’avrebbe letto.

Holly non si sentiva meglio. Anzi, più il tempo passava e più stava male. La preoccupazione per Patty cresceva ad ogni istante e a volte la paura era così sconvolgente che dimenticava persino le pulsazioni dolorose della caviglia. Arginava sempre più difficilmente il desidero di mollare tutti lì e scappare lontano, da qualche parte dove nessuna brutta notizia sulla sorte di Patty avrebbe potuto raggiungerlo. La tensione lo snervava, stava per crollare… Quasi non sentiva più gli sguardi che gli amici, ogni tanto, continuavano a lanciargli preoccupati.
Holly era terribilmente pallido e aveva le spalle curve, accasciato, come se non riuscisse più a tenersi su. I compagni non sapevano cosa fare. Nel corridoio che immetteva al campo gli camminavano accanto parlando sottovoce, bisbigliando istintivamente. Temevano di turbarlo ma in fondo sapevano bene che i loro discorsi lui neanche li sentiva.
Quando la curiosità fu talmente forte da non riuscire più a contenerla, Schneider si avvicinò a Benji.
-Si può sapere che succede? Va bene che state perdendo, ma avete certe facce!-
Fu una delle poche volte in cui il portiere non seppe cosa rispondere.
-Siamo preoccupati per Holly.-
-Se sta così male, perché gioca?-
-Testardaggine.- lo liquidò Price, scostandosi da lui e lasciandolo indietro.
I giocatori riemersero sul campo e la luce dei riflettori li abbagliò. Raggiunsero le rispettive panchine e rimasero ad aspettare impazienti il risultato del sorteggio che avrebbe deciso le formazioni per il secondo tempo. Quando la voce femminile parlò, tutti trattennero il fiato.
«Signore e signori, ci scusiamo per l’attesa. I giocatori dell’All Star che scenderanno in campo per il secondo tempo sono: tra i pali l’italiano Dario Belli, in difesa Mark Owailan dall’Arabia Saudita, Franz Schester dalla Germania e di nuovo Salvatore Gentile; al centrocampo Brian Kriford dall’Olanda, di nuovo Pierre Le Blanc e Ramon Victorino dall’Uruguay. In attacco Ryoma Hino dall’Uruguay, Alan Pascal dall’Argentina, Louis Napoleon dalla Francia e il capitano Karl Heinz Schneider.
Per il Giappone in porta questa volta ci sarà Benjamin Price. In difesa Julian Ross, Clifford Yuma e Ralph Peterson. A centrocampo Paul Diamond, Philip Callaghan, Rob Aoi, Tom Becker e infine il capitano, Oliver Hutton. In attacco Mark Landers e Patrick Everett!»
Holly sospirò.
-Tom, fammi il favore.- cercò di scuotersi di dosso la preoccupazione e pensare una buona volta alla partita -Ripetimi le formazioni, non ho sentito nulla.- e quando Tom lo ebbe fatto, Holly mosse piano il piede. Il dolore stava passando -Forse una piccola speranza c’è…-
Mentre rientravano in campo si avvicinò a Mark.
-Vai in attacco. Io resterò dietro e cercherò di passarti la palla ogni volta che potrò…-
Landers fece per dirgli qualcosa ma il capitano lo precedette.
-Il mix di Benji sta facendo effetto ma non so quanto durerà. Spero tutti e 45 i minuti. Se sarà così verrò in attacco alla fine, altrimenti lascerò tutto nelle tue mani… piedi.-
Mark annuì e Holly ricambiò con un sorriso che al resto della squadra non passò inosservato. Il pessimismo abbandonò i ragazzi. Il capitano non era importante soltanto per gli schemi di gioco, i passaggi e i goal. Holly era importante perché con il suo entusiasmo senza fine riusciva a dare coraggio alla squadra, perché sapeva in ogni istante chi doveva stare in un certo posto e cosa doveva fare. Le sue istruzioni e le sue intuizioni erano basilari. Era un po’ come un direttore d’orchestra che con gesti, cenni e sguardi riusciva a far suonare tanti strumenti diversi creando una melodia. Quella melodia, per la nazionale giapponese, equivaleva alla vittoria.
Philip osservò Benji che si sistemava i guanti.
-Questa volta il sorteggio non è andato tanto male.-
-Certo che non è andato male. Ci sono io in porta e Holly sembra stare meglio…-
Julian fece gli scongiuri, sperando che il portiere con quella ventata d’ottimismo non tirasse la sfiga addosso a tutti.

Holly non correva dietro la palla ma cercava di dirigere il gioco da dov’era. Risparmiava le forze e interveniva solo quando il pallone si avvicinava. Riusciva sempre a toglierlo agli avversari e a passarlo a qualche compagno che correva in attacco e l’allungava a Mark. A Patty sembrava di aver già visto quella scena e a forza di pensarci su, all’improvviso capì. Alle elementari, durante la partita contro la New Team Julian, che ancora soffriva di cuore, si era comportato nello stesso modo. Non poteva correre a lungo e allora aveva diretto i compagni, restando appoggiato ad un palo della propria porta.
Patty pensò che fosse una buona idea. Holly era favorito dal fatto che nessuno dell’All Star capiva il giapponese. Nessuno degli avversari avrebbe potuto anticipare i suoi ordini. Fissò il fidanzato. Correva poco ma quando lo faceva non zoppicava più come prima. Il dolore alla gamba si era attenuato?
L’uomo che l’aveva portata lassù non era ancora tornato. Per un attimo si augurò che non lo facesse, poi ci ripensò. Soltanto il suo rapitore avrebbe potuto riportarla giù e se nel frattempo gli fosse preso un colpo, sarebbe morta lì. Rabbrividì e si toccò la pancia.
-Piccolino mio…- sussurrò -Non aver paura. Ti riporterò a casa, te lo prometto.-
Il suo bambino era così minuscolo che nell’ecografia lei e Holly erano riusciti a scorgerlo a malapena. Ma nessuno gli avrebbe fatto del male, lei non lo avrebbe permesso. Era intenzionata a proteggerlo a tutti i costi, per lui sarebbe stata forte. Quel pazzo avrebbe potuto continuare a strattonarla anche per una settimana, sbatacchiarla in un altro furgone o in uno schifoso capannone. Lei sarebbe sopravvissuta a tutto per Holly e per il loro bambino. Non l’avrebbe uccisa come aveva minacciato di fare. Il Giappone avrebbe vinto e lei e il suo piccolo puntino sarebbero tornati a casa sani e salvi.
Respirò a fondo un paio di volte e si passò la lingua sulle labbra asciutte. Avrebbe voluto altra acqua. Afferrò la bottiglietta ormai vuota e la scosse fino a far cadere l’unica goccia rimasta, che servì soltanto ad aumentarle la sete. Frustrata la gettò via, mandandola ad urtare contro il montacarichi. Si alzò per sgranchirsi le gambe e soffocò un gemito. Le faceva male tutto, doveva essere ricoperta di lividi. Sollevò le maniche della maglietta e ne trovò qualcuno sulle braccia, ma ce n’erano di sicuro anche sulla schiena e sulle gambe. Ricordò il viaggio nel furgoncino e soffocò un lamento toccandosi un ginocchio. In fin dei conti stava meglio seduta, così tornò ad accoccolarsi sulla passerella.

Giocavano da una buona mezz’ora e nonostante l’estrazione fosse andata bene, non riuscivano ad avanzare di un passo. La palla circolava da loro agli avversari e dagli avversari a loro senza mai lasciare il centrocampo. L’All Star si era trincerato nella propria metà campo e i tentativi d’attacco erano diventati piuttosto svogliati. Puntavano tutto sulla difesa, lasciando i giapponesi correre a vuoto, sforzandosi di portare la palla un po’ più su, senza però riuscire ad arrivare mai in posizione di tiro.
Holly alzò gli occhi sul tabellone per controllare il tempo. Il risultato era rimasto invariato nonostante i suoi sforzi. Si lasciò sfuggire un sospiro. La gamba andava meglio, il dolore si era attenuato. In compenso gli era scoppiato un gran mal di testa, forse uno degli effetti collaterali del mix di medicinali. Vide Everett correre in avanti e farsi rubare la palla da Owailan. L’All Start riprese l’attacco e i giapponesi ripiegarono in difesa.
«Attenzione! L’All Star ci riprova!» l’esclamazione degli altoparlanti gli trapanò il cervello.
Strinse i pugni e si concentrò sul gioco. In un attimo Schneider risalì fino alla loro porta. Holly lasciò il centrocampo, pregando dentro di sé che la caviglia resistesse ancora un po’.
«La palla si avvicina di nuovo alla porta giapponese ma Price effettua un’altra splendida parata! Hutton, arretrato in difesa, anticipa superbamente Schneider e aggancia la rimessa del portiere.»
Holly si fermò fuori dell’area di rigore in cerca di Mark e si ritrovò circondato da avversari. L’All Star aveva cambiato di nuovo tattica e adesso erano partiti tutti in attacco. Passò a Rob ma il tiro non fu preciso. Lo intercettò Schneider che ripartì verso la porta. Holly gli si mise alle costole, quello di accorse di lui e fece un lungo lancio verso Hino.
«Hino carica il tiro, i difensori giapponesi tentano di fermarlo ma Hino passa indietro. Il pallone viene raggiunto da Brian Kriford che calcia subito al volo. Il tiro potentissimo s’incanala verso la porta giapponese ma Benjamin Price riesce a fermare anche questo.»
Holly e Benji si scambiarono un’occhiata e il capitano scosse piano la testa. Mark li aveva raggiunti, era pronto a ripartire in attacco ma lui era troppo arretrato per riuscire a fargli un buon passaggio.
«I giapponesi stanno per lanciarsi al contrattacco. Price sembra passare verso Hutton ma poi rimette in gioco verso Aoi! Rob Aoi, lo ricordiamo, gioca in Italia nell’Inter. Eccolo che corre velocissimo verso la sfera e dopo aver saltato Margas tocca al volo per Landers!»
Holly trattenne il fiato, i due correvano come lepri, forse avrebbero potuto farcela. Anzi, sicuramente ce l’avrebbero fatta. La maggior parte dei giocatori dell’All Star arrancavano dietro di loro ma non erano abbastanza veloci da raggiungerli. Rob continuò a correre accanto a Landers tenendosi la palla finché quello non fu in posizione di tiro. Poi gliela lasciò.
Landers calciò una bomba tale che le dita dell’italiano non ressero la presa.
«Goal! Dario Belli non riesce a trattenere il pallone che si insacca in rete. Ecco il secondo goal del Giappone! Il cannoniere Mark Landers ha portato la sua squadra al pareggio!»

-Jenny…- Amy le si aggrappò al braccio e continuò con un sussurro -Pensi che Patty tornerà da noi sana e salva?-
Il gioco era fermo per una rimessa laterale. Gli occhi di Jenny si posarono su Holly che fissava imbambolato il tabellone. Mancavano cinque minuti alla fine e non riuscivano a passare in vantaggio. Prima di dare una risposta, lei sospirò. Non voleva neanche pensare che a causa di un’assurda partita Patty perdesse la vita. Era una cosa talmente illogica che la sua mente non riusciva ad accettarlo.
-Amy… è talmente sconcertante. Mi sembra di vivere un incubo.- cercò Philip sulla distesa verde e si chiese come avrebbe reagito il ragazzo se invece di Patty avessero rapito lei. E lei come avrebbe reagito se si fosse trovata tra le mani di un pazzo assassino? Chi diavolo poteva aver escogitato un piano simile? Perché il Giappone doveva vincere a tutti i costi?
-Jenny…- Amy le strinse leggermente il braccio -Credi che se vinceremo Patty tornerà?-
L’amica continuò a seguire il gioco e fece un verso che l’altra non riuscì ad interpretare. Né sì, né no.
-Perché io penso…- continuò Amy sempre a voce bassissima -Che forse chi l’ha rapita non la lascerà libera in nessun caso per paura che lei possa denunciarlo… E se fosse la yakuza?- aggiunse alla fine, rabbrividendo.
Jenny continuò a tacere. Il pessimismo di Amy stava cominciando a snervarla. A tutte quelle cose lei cercava di non pensare e confidava nella promessa scritta nel foglio che Holly aveva trovato nell’armadietto. Ma ci sarebbe stata questa vittoria? Mancavano tre minuti e la palla era tra i piedi di Schneider. Neanche Tom era riuscito a togliergliela. Si volse e si accorse che Philip la guardava preoccupato. Allora alzò sguardo al tabellone e chiuse per un istante gli occhi quasi a scongiurare che arrivasse il miracolo.

-Il tempo sta per scadere.-
Patty sobbalzò e si volse indietro. L’uomo era in piedi davanti alle porte del montacarichi che si stavano richiudendo. Intravide la sua ombra attraverso la luce abbagliante dei riflettori. Lo seguì con lo sguardo mentre si avvicinava, percepì il fruscio dei vestiti, poi scorse qualcosa che le gelò il sangue. Era una sagoma troppo familiare perché potesse sbagliarsi. Balzò in piedi con uno scatto improvviso, sorprendendo l’uomo che non riuscì bloccarla. Si slanciò oltre di lui verso le porte del montacarichi e pigiò insistente il pulsante per richiamarlo.
-Apriti, apriti…- supplicò terrorizzata.
L’uomo la raggiunse, le afferrò bruscamente il polso e le torse il braccio dietro la schiena. Il dolore fu talmente forte che Patty cessò all’istante di agitarsi. Gridò di sofferenza e di disperazione. Se almeno qualcuno l’avesse sentita!
Mentre lui la trascinava verso la balaustra, la stretta al braccio divenne così dolorosa che le gambe le cedettero e si accasciò a terra.  Quando riaprì gli occhi si ritrovò riversa al suolo, voltata verso il vuoto. Si puntellò su un gomito e cercò di allontanarsi da lui, strisciando su una gamba. L’altro braccio non riusciva neppure a muoverlo.
-Mi dispiace, il Giappone non ha vinto.- l’uomo l’afferrò per i capelli e la tirò su in ginocchio.
Patty gridò di sofferenza.
-Mancano ancora alcuni minuti…- le lacrime le annebbiarono la vista e non riuscì a scorgere il tabellone. La partita non era ancora finita, l’arbitro non aveva fischiato, eppure l’uomo puntava la pistola contro di lei, già carica e pronta a sparare.
-Non saranno sufficienti a salvarti.-
Patty indietreggiò verso il vuoto, gli occhi fissi sull’arma. Non riusciva a credere che la sua vita sarebbe finita così. E Holly? E il loro bambino?
-Non può farlo…- urtò con la schiena i sostegni della balaustra e si volse. L’orologio sul tabellone indicava che il tempo era scaduto ma i giocatori, sotto di loro, continuavano a correre dietro alla palla. L’arbitro aveva sicuramente concesso qualche minuto di recupero.
Si aggrappò alle transenne e cercò di tirarsi in piedi ma si bloccò di colpo quando la canna fredda della pistola le gelò la nuca, insinuandosi tra i capelli. Un brivido di terrore le salì su per la schiena. Cercò di voltarsi, di togliersi di lì. Non riuscì a muoversi, era impietrita. Il cuore le batteva veloce, se lo sentiva in gola, amplificato nelle orecchie a scandire i suoi ultimi secondi di vita. L’uomo tese il braccio e sotto la sua pressione Patty fu costretta a chinare il capo in avanti. I capelli si agitarono nel vuoto, mossi dal vento. Pensò che non era giusto, non era assolutamente giusto che finisse così, che lei fosse costretta a morire per una partita. Le lacrime le rigarono le guance e quando scivolarono via, trasportate dal vento, fissò il tabellone. Il risultato era sempre il pareggio. Sarebbe morta davvero? Spostò gli occhi sul campo e cercò Holly per guardarlo per l’ultima volta. La canna premuta contro la sua pelle le faceva male ma non poteva scostarsi, solo aspettare che tutto finisse. Udì l’inconfondibile click della carica e serrò gli occhi.
Poi qualcosa accadde.

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Capitolo 8
*** Finalmente libera ***


Leaves Time
8. Finalmente libera
 

Holly gemette quando urtò il palo con la spalla, poi l’impeto che si era dato lo fece precipitare nella porta, tra le maglie della rete subito dietro la palla. Se la trovò premuta contro lo stomaco, riconobbe la sua forma e la sua consistenza ma non ebbe il coraggio di aprire gli occhi. Non finché l’arbitro non avesse fischiato per validare il goal. Poi lo udì, il fischio lungo e protratto della vittoria. Spalancò gli occhi e si volse. Dario Belli era in ginocchio tra i pali e lo fissava incredulo.
«Goooooooooaaaaaaaaal!»
Lo stadio venne scosso da un fremito, poi gli spettatori si lasciarono andare all’entusiasmo con un rombo di fischi e di urla.
Mark raggiunse Holly e gli tese la mano. Il capitano non lo vide. Non lo guardava, teneva gli occhi sul tabellone, aspettando che quel due si trasformasse in un tre e salvasse la vita di Patty.
-Holly…-
Il ragazzo si riscosse si aggrappò alla mano del compagno, mettendosi faticosamente in piedi. Era sudato, sporco, esausto e dolorante e mentre i compagni di squadra lo circondavano per sommergerlo con il loro entusiasmo, si sentì così confuso e incredulo da non riuscire a capire niente di ciò che gli dicevano. Patty… solo Patty gli interessava. Aveva vinto. Era salva. Il triplice fischio dell’arbitro segnò la fine dell’incontro.
-Holly! Holly!- Bruce gli saltò al collo -Hai visto? Ce l’hai fatta! Lo sapevo!-
Frastornato lui non riuscì neppure a sorridere. Non era finito un bel niente. Se Patty non ricompariva sana e salva non c’era niente di finito. Non c’era niente di cui essere contenti. Tornò a guardare il tabellone. Il tre era comparso. Tom gli circondò le spalle con un braccio e lo sospinse a bordo campo verso le panchine, prima che arrivassero i giornalisti con le loro macchinette fotografiche, le telecamere e le immancabili interviste condite di domande insensate.
-Tom, non è finita…- la sua voce risuonò bassa, intrisa di preoccupazione -Finché non vedo Patty sana e salva non è finita…- la stanchezza era tanta, era stremato. Non riuscì ad esultare dietro ai compagni, a Gamo e ai tifosi. Si era illuso che appena avessero segnato il goal della vittoria, Patty sarebbe rispuntata tra loro. La cercò disperato, doveva essere da qualche parte, doveva essere libera, e viva. Eppure non la vide e lo stomaco gli si contorse per l’ansia.
Tom cercò di rassicurarlo.
-Holly, ci vuole tempo. Chissà dove la tiene, forse la riporterà a casa o comunque a Fujisawa…-
Schneider si avvicinò per congratularsi, la mano tesa. Holly faticò a ricambiare il sorriso, a ringrazialo. Strinse le dita sudate del tedesco.
-Hai giocato molto bene, Hutton. Hai meritato di vincere.-
L’altro annuì.
“Se solo sapessi cosa sarebbe successo se non l’avessi fatto…” spostò lo sguardo sul corridoio in cui i giocatori dell’All Star si stavano riversando. Chissà se una volta uscito dal campo quell’incubo sarebbe finito. Forse non sarebbe bastato. Forse Patty non sarebbe tornata subito da lui. Forse non sarebbe ricomparsa per niente. Forse era stata uccisa lo stesso… Forse non l’avrebbe più rivista…

Quando Patty riprese conoscenza le sembrò di aver dormito per ore. Era piombata in un limbo in cui non era penetrato neppure il frastuono della folla nello stadio. Socchiuse gli occhi. Accecata dalla luce dei riflettori, se li riparò con una mano. Si tirò su seduta gemendo, poi si guardò intorno. Era sola, ma soprattutto era viva.
Spostò gli occhi sull’orologio del tabellone. Dal gol della vittoria erano passati sì e no cinque minuti. Il coraggio e la forza che l’avevano sostenuta finora le scivolarono via di dosso e scoppiò a piangere. I singhiozzi la scossero violenti, le lacrime le inondarono il viso, le sue spalle sussultarono. Si accoccolò a terra, nascose il volto tra le braccia e rimase così, a piangere di paura e di sollievo. Poi, mentre i singhiozzi si placavano, alzò la testa e attraverso le lacrime lo vide. A terra, davanti al montacarichi, c’era il suo cellulare. Si trascinò a fatica fin lì, lo prese tra le mani, le sfuggì dalle dita tremanti e finì a terra. Lo riprese. Smise di piangere e si asciugò il volto con le maniche della maglietta. Era stanca, esausta, il pianto liberatorio aveva risucchiato le sue ultime energie. Non le rimaneva un filo di forza e si chiese come avrebbe fatto a scendere da lì. Lo stomaco le brontolò, si ricordò del bambino e si sforzò di tirarsi su in piedi. Raggiunse le porte del montacarichi barcollando e schiacciò il bottone con il palmo della mano, chiedendosi cosa avrebbe fatto se non avesse funzionato. Non ebbe bisogno di trovare una risposta. Il pulsante si accese di rosso e la cabina metallica emise un sordo ronzio. Era libera. Chiuse gli occhi con un sospiro di sollievo e appoggiò la fronte contro porte di metallo.
Il cellulare le vibrò in mano spaventandola, quasi le finì a terra, poi cominciò a squillare. Sul display lampeggiava il nome del fidanzato. Lo shock fu tale che non riuscì a reagire. Poi si riscosse e rispose.
-Holly?- la voce le uscì roca, fu appena un sussurro.
“Patty? Patty?” non era lui. Era Evelyn che gridava il suo nome.
Cercò di risponderle, non le uscì nulla. Le parole le si bloccarono in gola quando le porte del montacarichi si spalancarono davanti a lei. Le fissò sgomenta, terrorizzata, sollevata. La cabina era vuota, ma cosa avrebbe fatto se quell’uomo fosse stato lì dentro?
Evelyn gridava ancora, la voce rotta dal pianto.
“Dove sei? Rispondimi ti prego… Patty! Patty? Sei tu?”
-Sì, Eve. Sono io.- riuscì a dire con un filo di voce. La gola le bruciava, parlare era una tortura.
“Patty… Stai bene? Dove sei?”
L’ascoltò in silenzio, stordita.
-Eve, non gridare…-
Le porte del montacarichi si mossero, ricominciando a chiudersi. Riuscì a bloccarle con un piede e s’infilò dentro. 

-Ha risposto?!- Jenny la raggiunse di corsa l’amica.
Evelyn annuì, gli occhi colmi di lacrime di sollievo. Accanto alla panchina erano rimaste solo loro tre. Gli altri, le riserve, il mister, lo staff avevano invaso il campo per esultare insieme ai giocatori.
-Eve, chiedile dov’è…-
Quella allontanò il cellulare dal viso e scosse la testa disperata.
-Non posso…- agitò il telefonino di Holly nell’aria, pestando i piedi sull’erba -Si è scaricata la batteria! Lo sapevo che non avrebbe retto! Lo sapevo!-
Amy la fissò.
-E allora? Chiamala con il tuo, no? Se ha risposto vuol dire che può farlo!-
Evelyn annuì, riesumò il proprio cellulare, compose il numero e restò in attesa. Jenny e Amy la fissavano col fiato sospeso, fino a che, un minuto dopo, lei esplose.
-No… Non c’è linea… Il suo telefono non ha linea… Non è possibile! Non c’è più linea! Perché proprio adesso?- la sua voce si ruppe, stava per mettersi a piangere.
Jenny tentò di tranquillizzarla come meglio poté.
-Vedrai che grazie alla telefonata, la polizia ora riuscirà finalmente a rintracciarla!-
-Credi davvero?-
Jenny annuì.
-Continua a provare.-

Quando cadde la linea Patty non si preoccupò. Ciò che le premeva di più era andare via al più presto da quel posto. Stringendo il telefonino in una mano osservò i cinque pulsanti dei piani. Non c’era una scritta, un numero, niente. Erano tutti uguali. Esitò, chiedendosi quale fosse il caso di pigiare, poi si decise per quello più in basso. Voleva scendere, e il più possibile. Il montacarichi si mosse e Patty si portò davanti agli occhi il cellulare, con l’idea di richiamare Holly… o Eve… chiunque insomma. Fece partire la chiamata ma non successe niente. Il telefono era isolato, in quella gabbia di metallo non c’era linea. Alzò gli occhi sopra le porte chiuse, dove i numeri dei piani si accendevano e spegnevano uno dopo l’altro, indicando che il montacarichi continuava la sua discesa. Poi si portò una mano al viso e ficcò le dita tra i capelli. S’intricarono nei nodi, dovevano essere in uno stato pietoso. Cercò di sistemarsi i vestiti e specchiarsi sulla parete di metallo ma la superficie opaca non le rimandò che un’ombra vagamente colorata. Lasciò perdere e attese impaziente che la discesa terminasse. Non sapeva a che piano si trovassero gli spogliatoi, chissà se il montacarichi portava anche lì…
Quando le porte si aprirono capì subito che aveva sbagliato. Era finita nel parcheggio sotterraneo. Si guardò intorno nervosa. Non c’era nessuno, era deserto. L’inquietudine l’assalì ma quando le porte fecero per richiudersi, uscì dal montacarichi. Da lì conosceva la strada per raggiungere gli spogliatoi, tanto valeva provare. S’infilò tra le macchine. La Patty che scorse riflessa sui finestrini delle auto che costeggiò per raggiungere l’ingresso era irriconoscibile. La maglietta che indossava era macchiata di sporco e di sangue.  Evitò di fermarsi per specchiarsi. Da quel poco che aveva scorto, il suo viso, la sua espressione, non erano in condizioni migliori. Smise di compatirsi e proseguì. Accompagnata ad ogni passo da dolorose fitte, si affrettò a varcare la porta a vetri che conduceva ai piani superiori. Era stanchissima ma preferì le scale d’emergenza all’ascensore. Ne aveva abbastanza di sentirsi richiusa. Salì un paio di piani affrontando i gradini più in fretta che poté, poi fu costretta a rallentare ansimando, il cuore in gola, la milza che le pulsava. Le mancò il fiato. Aggrappata al corrimano proseguì imperterrita, la testa che le girava. Inciampò e quasi cadde. Si fermò di nuovo per riprendere fiato. Era sola, completamente sola. Se fosse svenuta nessuno l’avrebbe soccorsa. Quella consapevolezza la costrinse, nonostante tutto, a riprendere a salire e ad accelerare il passo. Col fiato corto arrivò finalmente al pianerottolo che cercava, si appoggiò contro il muro, la fronte premuta alla parete, e si fermò esausta. Non aveva più forze, non capiva neppure come avesse fatto ad arrivare fin lì. Era il desiderio di vedere Holly, di sentirsi al sicuro con lui e tra i compagni a darle la forza di andare avanti. Mancava poco, veramente pochissimo. Tirò un profondo respiro, si raddrizzò, scostò i capelli dal viso e, raccogliendo le ultime forze che le restavano, aprì il pesante maniglione antipanico che immetteva nei corridoi interni dello stadio. 

-Non hanno classe, non hanno stile! Come possono aver vinto!- furioso con Pierre per il risultato della partita Napoleon non la vide e la urtò. E quando si volse imbestialito per assalire l’idiota che gli era finito addosso, magari spiaccicarlo al muro e affibbiargli un cazzotto, si ritrovò davanti il volto imbrattato di sangue mal ripulito di una ragazza che si scusò chinando la testa. La fissò scioccato, ammutolito mentre lei gli voltava le spalle e proseguiva.
L’urto con il francese le aveva tolto il fiato. Proseguì rasente il muro, facendosi piccola piccola per non farsi notare, o quanto meno per non farsi travolgere ancora. Le faceva male ovunque, camminare era un martirio. Desiderava più di tutto, persino più di vedere Holly, infilarsi a letto, chiudere gli occhi e non pensare più a nulla.
-Quella tizia l’ho già vista…- Pierre seguì con gli occhi le esili spalle della giovane che si allontanava da loro a testa china -Sembrerebbe quasi…- cercò di ricordare un nome, ma non ci riuscì -Sembrerebbe la ragazza di Hutton.-
-Starà andando a cercarlo…- Napoleon scrollò le spalle e proseguì.
Appoggiandosi con una mano al muro Patty, strinse i denti e affrontò i gradini che immettevano al campo. Erano una decina, forse una dozzina, ma a metà le sembrarono infiniti. Barcollò stremata e sarebbe caduta se qualcuno non l’avesse afferrata per le spalle tirandola su.
-Tutto bene?- domandò in inglese una voce sconosciuta.
Patty si volse, alzò il viso e incontrò un paio di occhi azzurri che la scrutavano preoccupati. Era il biondissimo e bellissimo Stefan Levin, il capitano della nazionale svedese. Un ciuffo di capelli dorati e sudati gli ricadeva su parte del viso, rendendo il suo volto ancor più seducente.
-Questa ragazza sta male…- il ragazzo si guardò intorno e si accorse di essere rimasto solo. Era l’ultimo della fila, i compagni erano già rientrati negli spogliatoi. Osservò preoccupato il suo viso insanguinato, per un attimo non seppe cosa fare. Poi capì che doveva essere curata. La spinse verso il muro e lei vi si appoggiò.
-Aspetta qui, vado a chiamare un medico…-
Si girò per allontanarsi e Patty gli afferrò svelta la divisa sulla schiena, arricciando la stoffa sul numero dodici. Andava bene il dottore, ma dopo. Prima doveva assolutamente raggiungere Holly.
Glielo disse in giapponese, lui non capì e Patty si morse la lingua. Era distrutta, in inglese non riusciva a pensare neppure una parola. Le si riempirono gli occhi di lacrime, le venne da piangere. Ormai era ad un passo da Holly ma non riusciva a raggiungerlo. Incrociò lo sguardo di Levin, il biondo straniero aspettava. Allora gli indicò l’uscita del campo con il braccio teso, scandendo bene due parole soltanto: “Oliver Hutton”. Poi si accasciò. Levin non la lasciò cadere. Si chinò davanti a lei e la sollevò facilmente, un braccio dietro la schiena, uno sotto le ginocchia. Annuì con un sorriso.
-Ok…- quella ragazza malridotta voleva incontrare Hutton? Benissimo, ce l’avrebbe portata.
La luce dei riflettori l’accecò, le grida degli spettatori e la confusione sugli spalti la frastornarono. I suoi occhi corsero rapidi sull’erba tra le maglie blu dei calciatori giapponesi. I ragazzi si stavano radunando davanti agli obiettivi, i giornalisti avevano invaso il terreno di gioco subito dopo il triplo fischio finale dell’arbitro.
Levin si fermò lì, sulla linea bianca lateriale con la giovane tra le braccia, in cerca anche lui del capitano della squadra avversaria. Insieme offrivano un bizzarro spettacolo. Lui, alto, biondo, con la divisa bianca dell’All Star e quella ragazzina malridotta, minuta al suo confronto, i vestiti laceri e sporchi, spaesata e rannicchiata tra le sue braccia. Alcuni fotografi li notarono e scattarono un paio di volte. Poi la loro attenzione tornò alla squadra giapponese.

Holly era in piedi più o meno al centro del campo, allineato con i compagni davanti agli obiettivi con la solita, pacchiana coppa in mano. Sul suo viso traspariva la stanchezza, lo sfinimento, la preoccupazione. L’ansia di sapere cosa ne fosse di Patty scuoteva ogni nervo del suo corpo e se una mano di Benji non gli avesse serrato più forte la spalla ad ogni cambio di posizione, affondandogli le dita nei muscoli dell’omero per ricordargli che quello non era il momento di andarsene, se la sarebbe filata senza pensarci due volte. Non riusciva e non poteva sorridere agli obiettivi neanche costringendosi a farlo. La caviglia stava tornando a fargli male, se possibile addirittura più di prima. Era evidente che non soltanto le medicine di Benji avevano finito il loro effetto, ma che la stanchezza e la tensione gli stavano cadendo addosso tutte insieme, concentrandosi in quella parte del corpo già debole e dolorante.
Suo malgrado Patty sorrise. Chissà se, nonostante quella faccia, Holly aveva ancora la forza di rilasciare l’intervista che tutti aspettavano con impazienza. Si passò una mano sul viso, sentì sotto le dita il sangue raggrumato sulla tempia e tra i capelli e si ricordò di quanto fosse impresentabile. Perché non aveva pensato a passare in bagno a darsi una ripulita? Si rispose subito da sola: perché voleva rivedere Holly, rassicurarlo che stava bene, lasciarsi abbracciare e coccolare all’infinito.
Sentiva il calore di Levin scaldarla, il suo petto alzarsi e abbassarsi al ritmo del respiro. Aveva appoggiato la testa contro il suo torace e percepiva i battiti rallentati del suo cuore. Era evidente che non provava alcuno sforzo a tenerla tra le braccia. Sollevò gli occhi sul viso del ragazzo, lui se ne accorse e la guardò. Accennò un sorriso e lei sorrise d’imbarazzo.
-Patty!- il grido di Evelyn la fece sussultare. Si volse e la vide correre verso di loro -Patty! Come stai?-
Amy e Jenny arrivarono un istante dopo. La guardarono, la esaminarono. Evelyn le scostò i capelli sporchi di sangue dal viso, facendola sussultare.
-Piano…- protestò.
Jenny alzò su Levin un paio d’occhi increduli.
-Dove l’hai trovata?- domandò in inglese.
Lui fece un gesto alle sue spalle.
-Nel corridoio…-
-Grazie…- lo fissò riconoscente e lui le sorrise.
-Sei la ragazza di Callaghan, vero?-
Jenny annuì, senza capire né il motivo né il significato di quella bizzarra domanda.
Holly udì le grida di Evelyn e sobbalzò. Si volse, la cercò e la vide. Spalancò gli occhi alla scena che si trovò davanti. Mise a fuoco Levin che la teneva tra le braccia, poi fissò la fidanzata e i loro sguardi si incontrarono. Si liberò brusco della mano di Benji, poi gli mollò la coppa. Travolse chi aveva davanti, lasciò il suo posto senza curarsi dei flash che scattavano, oltrepassò le macchinette fotografiche e corse. Quando fu ad un passo da lei la caviglia cedette. Inciampò e quasi si schiantò a terra. Riprese al volo l’equilibrio e fece gli ultimi due metri che lo separavano dalla fidanzata.
Levin lasciò che i piedi di Patty toccassero l’erba. Poi indietreggiò, permettendo al capitano giapponese di prenderla tra le braccia. Lui la strinse a sé senza dire una parola, il cuore che gli scoppiava di sollievo. 
-Patty…- gemette. Gli occhi gli bruciavano per le lacrime che premevano per uscire -Patty…-
-Bravo, hai vinto la partita…- mormorò lei con voce rotta.
Holly la scostò piano da sé e la fissò, per assicurarsi coi propri occhi che fosse davvero sana e salva. Notò con orrore il sangue, la ferita sulla tempia, i vestiti sporchi e laceri. Era malridotta, ma ancora viva.
-Patty, stai bene?- la strinse di nuovo contro di sé mentre la caviglia continuava a pulsare. Non resse più e scivolò in ginocchio davanti a lei, il viso sprofondato contro il suo stomaco morbido e caldo. Poi lo sentì brontolare e sollevò il viso a guardarla. Le guance di Patty si colorarono d’imbarazzo.
-Ho fame…-
Jenny si passò una mano sul viso per ricacciare indietro le lacrime che premevano per uscire. Levin le era rimasto accanto e quando si volse incrociò il suo sguardo insistente che la fissava, le mani ficcate nelle tasche dei pantaloncini. Patty stava bene, Holly era distrutto ma fuori di sé dalla felicità e lei era curiosa da morire.
-Perché sai chi sono?-
-Lui lo sa.- lo svedese indicò  con un cenno del capo Philip che accorreva insieme agli altri -Te lo spiegherà.- accennò un sorriso triste e tornò negli spogliatoi.
-Patty, come stai?-
Lei si volse verso Tom e si scostò un poco da Holly mentre quello si tirava faticosamente in piedi. Philip lo aiutò sostenendolo per un braccio.
-Tutta intera…- si guardò -Credo…-
-Devi assolutamente fare un salto all’ospedale…- Amy fissò critica la ferita sulla fronte. Aveva smesso di sanguinare ma sembrava piuttosto profonda.
Holly annuì, gli occhi fissi sul sangue, sui lividi e i graffi… Come l’aveva ridotta quel bastardo!
-Andiamo subito…-
-E la tua intervista?- Julian indicò la stampa radunata da una parte, in attesa.
Il capitano scosse la testa. Patty aveva urgente bisogno di cure e avevano perso già troppo tempo. Le circondò le spalle con un braccio e la strinse a sé.
-Ne faranno a meno.-
Lei lo trattenne.
-No, Holly! Quell’uomo voleva farmi la pelle perché vincessi una stupida partita… Non voglio rischiare che ci provi qualcun altro solo perché ti sei rifiutato di rilasciare un’intervista. Posso aspettare, se fai in fretta.-
La sua voleva essere solo una specie di battuta ma un’eventualità del genere spaventò a tal punto Holly che affidò Patty alle ragazze e tornò zoppicando verso le telecamere.

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