A D L E R

di Demdem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Falco e lo Sciacallo ***
Capitolo 2: *** L'Occhio del Dio ***
Capitolo 3: *** Di Sangue e di Lacrime ***
Capitolo 4: *** Nemici ***



Capitolo 1
*** Il Falco e lo Sciacallo ***


 

Questa è la prima volta che propongo una mia fanfiction su questo sito.

In realtà...è anche da un sacco di tempo che non scrivo una Long-fic, spero vivamente di non essermi arrugginito xP

Questa storia è alla base di un genere in cui non mi sono mai cimentato, è una specie di fusione tra moderna azione e mitologia (mitologia egizia per la precisione, che personalmente adoro)

Qui c'è solo il primo capitolo, ma scrivere gli altri non mi risulterà difficoltoso, visto che l'intera storia e gli sviluppi della trama ce li ho già tutti in mente.

Mi è venuto un pò corto a dirla tutta, generalmente riempio più di 10 pagine di World... <.<

Beh bando alle ciance, e buona lettura! ^^


CAPITOLO 1:Il Falco e lo Sciacallo


Bianco, Nero. Giorno, Notte. Sole, Luna. Ogni cosa in natura ha un proprio opposto e un proprio ruolo nel grande cerchio dell’universo. Il bene insieme al male sono le più grandi rappresentazioni di questo disegno universale. Opposte e immortali.

 La dicotomia tra giusto e sbagliato è sempre stata descritta dagli antichi poeti, scrittori e artisti fin dalla preistoria, e le popolazioni che seguirono.

 

3000 a.C.

 

Sorge il “dono del Nilo”, ovvero l’antico Egitto come lo descrive il grande intellettuale greco Erodoto, fin dall’inizio di questa civiltà, secondo i miti, gli Dei hanno combattuto per la sopraffazione del bene sul male.

Isis, la moglie di Osiride, il padre degli Dei, diede alla luce colui che sarebbe destinato a reincarnare la luce del mondo. Horus, il potente dio falco.

Qualcuno intanto cospirava nell’ombra: Seth, il fratello di Osiride, geloso dal potere che esso aveva, uccise a tradimento il padre degli dei, dividendolo in 14 pezzi, per dimostrare la sua brutalità.

Horus, una volta raggiunta la giusta età, promise di vendicare il padre, affinché potesse riposare in pace.

 

*

 

Nekhen, grande città della prima dinastia dell’antico Egitto, il buio manto della notte si estendeva su tutta l’antica metropoli. I grandi Nobili così come gli schiavi erano assopiti cullati dalle braccia di Morfeo. Le stelle illuminavano la città, circondando la luna splendente, rendendo i grandi palazzi lucenti di una tiepida luce biancastra.

Ma un’ombra oscurava la luce delle stelle su alcuni palazzi, che in maniera silenziosa scivolava sulle strade illuminate e sulle finestre dei cittadini.

Un grande rapace volava in alto, intorno alle nuvole buie della notte, uno splendido falco bianco e grigio, decisamente più grande di un normale volatile di quel genere.

Lo sguardo deciso lo rendeva quasi umano, sembrava a caccia di qualcosa, qualcosa che non sembrava un semplice coniglio da sgranocchiare. Il Falcone si diresse in picchiata verso la cima di una torre, arrivato nelle vicinanze del tetto di essa, spalancò le grandi ali e atterrò con eleganza sul grande cornicione.

Il volatile scrutò attentamente la città come solo un falco sapeva fare. Intanto alle sue spalle, in un buio vicolo in basso, due grandi occhi lo fissavano.

Grandi occhi rossi di brace, che sembravano appartenere ad un feroce animale nero.

Una grossa zampa simile a quella di un cane uscì dal buio, calpestando il terreno sabbioso, pian piano l’intera figura di un’ enorme sciacallo fuoriuscì dall' oscurità.

Il carnivoro ringhiò con decisione, ma silenziosamente verso il falco, che a quanto pare non lo aveva notato. Approfittando della distrazione del rapace, lo sciacallo saltò con abilità da un palazzo all’altro, percorrendo grandi distanze lungo i muri, finché con un ultimo, potente salto, raggiunse il tetto ove il volatile era appollaiato, dandogli le spalle.

Con sinuosi movimenti simili a quelli di una tigre, il carnivoro si muoveva verso il nemico, i suoi occhi di brace puntarono il suo collo, e leccandosi i canini affilati, preparò un ultimo balzo…

Una luce abbagliante, proveniente dal grande falco che intanto aveva aperto le grandi e possenti ali, abbagliò lo sciacallo che chiuse gli occhi con un guaito.

Quando gli ebbe riaperti, il rapace non c’era più, un aitante ragazzo sulla ventina aveva preso il suo posto. Aveva un’elegante copricapo da faraone color cobalto, sotto la quale si potevano intravedere dei brillanti capelli biondi. Un ornamento dorato sul suo petto non nascondeva il suo fisico sviluppato, sotto la quale, all’altezza della cintura una bianca sottana costituiva il suo unico vestito.

«Sono sorpreso…» disse piano il ragazzo biondo «Non credevo che ti saresti abbassato ad attaccare alle spalle in questo modo».

Lo sciacallo rimase immobile per un momento, fino a quando delle lingue di un viola quasi nero, che sembravano fatte di fumo, si avvilupparono attorno a lui, lentamente.

Quando il fumo nero si diradò, un uomo di neanche quarant’anni aveva preso il suo posto. Quest’ultimo era vestito in maniera simile al ragazzo biondo, ma i colori che predominavano erano Nero, Grigio e Marrone scuro. Sotto il copricapo nero come la pece un volto dai lineamenti affilati come coltelli. Occhi colore della brace e capelli corvini con striature biancastre.

«E io mi sarei sorpreso se tu non te ne fossi accorto» mormorò l’uomo «Non sarebbe valso la pena di combattere contro qualcuno che non è capace neanche di respingere un attacco così banale. Non trovi, Horus?»

Il ragazzo biondo ridacchiò. «Forse hai ragione, Seth…» si voltò, mostrando un intenso sguardo dagli occhi ambrati e dalle pupille verticali come quelle di un aquila. «Questo ti dimostra che non sono un ingenuo, come hai sempre pensato.»

«Vero, sarò costretto a ricredermi.» disse Seth, con un leggiero sorriso «Eppure tuo padre lo era… »

Horus inarcò le sopracciglia in uno sguardo che sfigurò il suo bel volto «Non ti permettere neanche di nominarlo! Tu, che lo hai pugnalato alle spalle come un vile sicario!»

Seth al contrario allargò il suo sorriso, mostrando dei canini più lunghi del normale, che gli davano un’aria selvaggia.

«Perché, altrimenti cosa fai?»

Un altro lampo luminoso, e nelle mani di Horus comparvero due spade d’oro dalle fattezze di una sciabola.

«Ti uccido…» ringhiò il biondo.

Il Dio Sciacallo non smise di sorridere, e mentre nuove lingue di fumo nero si cosparsero attorno alle sue mani, facendo comparire altre due sciabole color pece, disse: «Beh… sei qui per questo, no?»

Horus si pose in una decise posizione da combattimento. «Precisamente. Quindi preparati, codardo!»

Seth imitò il nipote ponendosi anche lui in posizione, pronto ad attaccare. «Non preoccuparti, visto che sei sangue del mio sangue, ti ucciderò in maniera veloce e indolore» disse il dio, prima di ridacchiare malignamente. «Beh… forse.»

Il Dio falco non potè sopportare oltre, con uno scatto impressionante si diresse contro suo zio, sfoderando un fendente orizzontale con entrambe le spade, attacco che Seth parò con decisione.

Horus non si arrese, continuò ad attaccare con estrema velocità, ma il potente dio nero parò o schivò ogni suo fendente. Schivando un ultima volta, Seth si esibì in un potente balzo all’indietro, atterrando a piedi uniti su un palazzo che era alle sue spalle.

«Se devo dirtelo, mi aspettavo di meglio…» mormorò deluso.

Horus ringhiò irato, e senza rispondere caricò un salto e si diresse contro il nemico, preparando altri fendenti.Questa volta Seth decise di attaccare, cosicché il dio falco fu costretto ad eseguire in volo una parata invece che un attacco. Dandosi lo slancio dalla sua stessa spada, atterrò poi alle spalle dello zio, che senza lasciarsi sorprendere continuò ad attaccare il figlio di suo fratello.

Seguì una violenta e veloce lotta sul palazzo, i rumori del acciaio si estendevano lungo tutta la città, lampi neri e dorati scaturivano dal tetto della costruzione.

Horus e Seth sembravano incapaci di sentire la stanchezza, mentre i loro fendenti si scontravano uno contro l’altro, finché dopo un ultimo boato metallico ci fu il silenzio.

Il Dio falco teneva le spade in crociate, per difendersi dalle sciabole nere del nemico, che spingeva sulla difesa di Horus per romperla definitivamente.

Il biondo tentava in tutti i modi di resistere, ma sentiva che Seth imprimeva più forza di quanto lui fosse in grado di respingere.

Fu inevitabile.

Il Dio sciacallo, fece roteare le sue spade, lanciando lontano quelle del nemico. Colto di sorpresa Horus si distrasse. Neanche vide la mano del nemico che si dirigeva verso il suo occhio sinistro…

STRATCH!

Il sangue schizzò veloce sul pavimento sabbioso del tetto, mentre le urla del ragazzo si poterono udire in tutta la grande metropoli… Horus aveva entrambe le mani sulla parte sinistra del volta, urlando di dolore come non aveva mai fatto.

Seth, intanto, con un’orribile sguardo sadico reggeva nella mano sinistra le due spade, e nella destra un bulbo oculare sanguinante. Il sadico omicida getto l’occhio del suo stesso nipote giù dal tetto, che andò a scontrarsi contro la fredda sabbia del terreno.

Horus alzò lo sguardo ancora gemente, con la palpebra sinistra chiusa e sanguinante. Senza pensarci, strappo un pezzo della sua sottana e lo legò intorno alla testa a mo’ di benda.

«Sc… schifoso bastardo…» Mormorò il Dio falco.

«Sai… ci ho pensato su…» iniziò Seth con sguardo pensieroso «Credo che morirai in maniera abbastanza dolorosa…».

Il biondo riafferrò le spade e le strinse forte nelle mani. «Non credere che io abbia paura di te… potrai uccidermi… ma resterai sempre un codardo.»

Il Dio bruno non ribadì, si limitò a lanciansi all’attacco con furia.

Pur con l’occhio sinistro ormai assente, Horus continuò a combattere deciso, seppur limitato, dato che ormai non aveva più un senso della profondità visiva.

Mentre i veloci colpi dello zio venivano faticosamente bloccati dal ragazzo, esso pensava che sarebbe stato meglio porre immediatamente fine all’incontro, oppure sarebbe stato impossibile sopravvivere.

Un potente calcio di piatto smorzò il fiato ad Horus che fu scagliato al bordo del tetto, appoggiato al cornicione.Seth intanto si avvicinava con sguardo crudele al suo nemico, le spade strette nei pugni, pronto all’attacco finale.

«Mi mancherai, Horus» disse sorridendo il Dio Sciacallo.

L’interpellato alzò lo sguardo «N…non sai mentire, Seth».

Seth rise, «Si, hai ragione».

Senza dire altro, alzò in alto entrambe le spade e portò le lame contro il volto del nemico.

Con un ultimo atto di coraggio, Horus si scostò di lato, a destra. E le lame di Seth si andarono a incastrare tra le rocce del cornicione.

«Dann…!» Ringhiò. Mentre Horus stringendo una spada nella mano sinistra, la infilzò con forza nella parte destra del costato di Seth, che con un urlo di dolore lasciò le sue spade ancora incastrate nella pietra, accasciandosi a pancia all’aria.

Horus non perse tempo, levò la spada sopra la testa, ignorando le suppliche del nemico: «NO! Ti prego! Non mi uccidere!»

Il Dio falco trafisse suo zio, all’altezza del cuore. Sentì le costole spezzarsi, il cuore scoppiare, e la punta della spada sbattere contro la roccia. Horus si alzò lentamente dal cadavere di Seth, l’occhio ancora sanguinante, e levò lo sguardo al cielo.

Padre, ora sei in pace…

 

*

 

Passarono alcuni giorni, e nonostante la morte di Seth, sorse un problema tra gli dei: Tutti conoscevano i poteri del Dio della morte, così come tutti sapevano che una sua resurrezione era probabile.

Fu nuovamente Horus ad avere una soluzione, anche se fu sofferta.

Il Dio falco decise di farsi mummificare, in una cripta affianco a quella di Seth, sapendo che solo se fosse stato, come lui, nel mondo dei morti, avrebbe potuto sorvegliarlo, per l’eternità.

E così fu. Seth e Horus furono sepolti in stanze vicine, all’interno di un tempio sotterraneo dove sarebbero per sempre stati al sicuro… Beh… quasi.

 

 

A D L E R 

 

 

5000 anni dopo…

Los Angeles, America, 3:30 del mattino.

Un ragazzo scattò nel suo letto svegliandosi di soprassalto, sudando freddo.

Leo si mise una mano sul volto, gemendo lentamente, quegli stramaledetti incubi ricorrenti lo stavano facendo letteralmente impazzire. Aveva bisogno di una lavata.

Scostando le coperte di lato, scese dal letto e si diresse verso il bagno. Arrivato al lavandino, non si guardò neanche allo specchio, si pulì il volto con acqua fresca e si mise l’asciugamano sulla faccia.

Facendolo scivolare lungo il volto, Leo si guardò allo specchio. Un ragazzo di circa sedici anni ricambiò il suo sguardo allo specchio.

Aveva i capelli di un biondo brillante e occhi colore dell’ambra. Su quello sinistro si notava una piccola particolarità. Una voglia verticale che partiva da appena sotto il sopracciglio e finiva prima dell’inizio dello zigomo.

A Leo piaceva quella voglia, sembrava una cicatrice che gli dava un’aria da guerriero ribelle.

A passi sonnolenti il ragazzo tornò nella sua stanza, quando improvvisamente il telefono fisso che aveva sul comodino squillò.

Leo prese la cornetta e mettendola all’orecchio, disse: «Pronto, Dust…»

Una voce vispa ed energetica rispose dall’altra parte della cornetta. «Come facevi a sapere che ero io, Leo?!»

«Tu sei l’unico che mi chiamerebbe a quest’ora, chi altri può essere?»

Il ragazzo chiamato Dust non rispose a questa domanda, ma parlando in maniera veloce e dinamica, disse: «Ascolta un po’, allora… sai che i nostri genitori sono interessati a quella roba egizia, mummie faraoni e roba del genere?»

«Si… e quindi?» mormorò Leo assonnato.

Si, sapeva benissimo della passione che i loro genitori avevano in comune, era proprio ad un club archeologico che le loro famiglie si erano incontrate.

«Beh, preparati ad una notiziona! La settimana prossima io e te (con i nostri genitori, s’intende) ce ne andiamo al Cairo! Non è grandioso?»

Leo rimase in silenzio per qualche secondo…

«Leo? Ci sei?»

«Oh, si si… scusami, mi ero distratto… comunque: Wow… grandioso». Mormorò il ragazzo senza interesse particolare.

«Uhm… ti sento strano Leo… sicuro di star bene?»

«Oh si, una meraviglia. Solo che sono molto assonato…»

«Oh beh… allora ci sentiamo domani!»

«Ciao, Dust».

Una volta che ebbe salutato, Leo crollò sul cuscino, ripensando alle parole del suo amico.

Il Cairo… la più famosa città egiziana.

Improvvisamente il suo incubo gli rivenne in mente: Si vedeva seduto su una grande duna del deserto affianco ad una bella ragazza dai capelli ricci e castani, quando di fronte ai suoi occhi, in un lampo, compariva l’immagine dell’occhio di Horus, il dio egizio mitologico. E Leo si trasformava in una specie di orribile falco mutante, facendo urlare di terrore la giovane ragazza che era al suo fianco.

Era un sogno che faceva spesso, e il fatto che sarebbe andato proprio al Cairo lo faceva leggermente pensare…

Già il fatto che si trasformasse in quel mostro orribile lo terrorizzava, solo il pensiero che succedesse di fronte a Nancy, poi… Già, Nancy Criss, la sua “Migliore amica”.

Il solo sentire queste parole e Leo aveva voglia di sboccare… Decisamente ciò che voleva da lei non era proprio amicizia, ma purtroppo nella situazione in cui si trovavano, era impossibile riuscire a combinare qualcosa, ormai Leo si era rassegnato da tempo.

E così, pensando alla dolce ragazza dei suoi sogni, si assopì ancora una volta…

Poche ore dopo Leo era già nel cortile della scuola, vestito con una semplice maglia bianca dell’“Hard Rock” un Jeans e delle logore converse nere. Il suo abbigliamento preferito.

Mentre camminava da solo intorno a centinaia di ragazzi che chiacchieravano rumorosamente, senti una voce femminile alle sue spalle.

«LEO! Ehi, Leo!»

Il ragazzo si voltò, in tempo per vedere una giovane ragazza di circa la sua età, dai capelli castani ricci, occhi azzurri e dai lineamenti gentili, che correva verso di lui.

Raggiunto il suo amico, Nancy sorrise allegra. «Ti sto inseguendo dall’inizio della strada!».

«Scusami, ero soprappensiero» disse Leo sorridendo «Come mai tutta questa allegria oggi?»

«Ho bisogno di una motivazione di essere allegra?» disse Nancy fingendo un broncio.

Leo allargò il sorriso «No no! E che…»

«Ehi! Leo!» Una voce lo chiamò da lontano, la stessa voce che aveva sentito poche ore fa al telefono.

Un ragazzo aitante di circa diciotto anni si avvicinava a Leo. Aveva i capelli corvini con delle sottili striature bianche, due occhi di un curioso castano dalle sfumature rossastre e dei lineamenti duri che non si abbinavano per niente con il sorrisetto beffardo che aveva stampato sul volto, attraverso il sorriso Leo intravedeva una delle più curiose particolarità fisiche di Dust, ovvero i suoi canini decisamente più sviluppati del solito.

Indossava una maglia nera, dei jeans blu scuro, e un paio di semplici scarpe da ginnastica. Mentre passava, molte ragazze si fermavano a guardarlo, alcune parlottavano tra loro ridacchiando stupidamente. Anche Nancy strinse forte il braccio a Leo, arrossendo e esibendo un timido sorriso verso Dust.

«Sei arrivato finalmente!» disse il bruno al suo amico «Ciao Nancy.»

La ragazza non fece in tempo a rispondere che Dust afferrò Leo da un braccio con la sua solita energia e se lo portò dietro. «Scusa Nancy! Te lo rubo per qualche minuto.»

Leo, si lasciò trascinare ma era abbastanza seccato. Avrebbe semplicemente potuto dirgli di venire con lui invece di trascinarlo come un sacco di patate.

Dust lo portò nell’edificio, d’avanti alla fontanella che si usava per bere.

«Allora? Che ne pensi del viaggio? Eh? Eh? »

Leo sorrise mestamente «Sono contento di farlo, ma credo che il tuo entusiasmo sia esagerato».

«Questo perché non sai cosa faremo! I miei genitori e i tuoi si sono messi d’accordo per farci fare una vacanza completamente soli! Loro prenderanno un albergo da una parte del Cairo, mentre noi ne abbiamo prenotato un altro! Decideremo i nostri orari, le nostre tappe, cosa comprare quando tornare in albergo… Non è grandioso!?»

Questa volta Leo dovette cedere all’entusiasmo «Wow! Certo! E… quando hai detto che si parte?»

«Tra circa 10 giorni, hanno detto che prenderemo un aereo…»

Una volta entrati in classe non fecero altro che parlare del viaggio.

Nonostante Leo e Dust si passassero due anni, erano nella stessa sezione, questo perché Leo aveva un quoziente intellettivo più alto della media ed era quindi stato deciso di fargli saltare un anno. Dust al contrario ne aveva perso uno dato che quando suo fratello più grande morì, rimase per molti mesi in uno stato di Shock, Leo non sentivo mai il suo amico nominarlo, ma sapeva che ne soffriva molto.

La giornata passò abbastanza velocemente. Dopo la scuola Dust e Leo si separarono dato che abitavano da una parte all’altra del quartiere. Al contrario il biondo abitava vicino a casa di Nancy, quindi spesso lui l’accompagnava a casa, e così fu anche quel giorno.

Mentre camminavano, Leo notò che Nancy aveva perso la sua allegria, il ragazzo non ci mise molto a capire perché.

«Non preoccuparti» cominciò lui «Vedrai che prima o poi ti noterà».

Ma la ragazza non sembrava convinta «Non lo so… con tutte le ragazze che gli vanno dietro, perché dovrebbe scegliere proprio me?»

«Per il semplice fatto che sei migliore di tutte quelle oche.» ribadì Leo, pensando davvero a ciò che diceva.

Arrivati a casa di lei, Nancy sembrava più allegra. All’inizio del viottolo che, attraversando il giardino, conduceva alla casa. La ragazza i alzò sulle punte e diede un bacio sulla guancia di Leo, mormorando «Ci vediamo domani».

E con un sorriso, gli diede le spalle ed entrò in casa.

Il ragazzo era abituato a ricevere baci di quel genere dalla sua “Migliore amica” ma ogni volta sentiva come se la temperatura si alzasse di 10 gradi.

Con aria pensierosa, il giovane biondo si diresse verso casa, quando vi arrivò, i suoi genitori erano già tornati.

Non fecero che parlargli del Viaggio, ma Leo sinceramente non fu molto interessato visto che la cosa era già stata ampiamente discussa a scuola con Dust.

Solo una cosa attirò la sua attenzione: su uno delle decine di depliant di viaggio sul tavolo, ce n’era uno che mostrava un’immagine del famoso simbolo dell’occhio di Horus… Leo fisso la foto per qualche secondo, mentre il cianciare di suo padre e sua madre diventava pian piano un rumore lontano…

Un lampo. E davanti ai suoi occhi comparve per un’secondo l’immagine che stava appena fissando, ma occupava tutto il suo sguardo, e tra i ricalchi della scultura grondavano gocce di sangue…

Leo si mise una mano sulla fronte, gli era venuto un forte mal di testa.

Era la stessa immagine che vedeva nel suo sogno, ma un conto era vederlo mentre dormi, un altro è mentre sei sveglio e lucido.

«Scusate… oggi mi sono affaticato abbastanza… credo che andrò a riposarmi un po’…».

Detto questo, Leo lasciò i suoi genitori a parlottare allegramente, mentre si dirigeva in camera sua, con l’intenzione di farsi una bella dormita, Arrivato nella sua stanza, crollò sul letto.

Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di quell’occhio sanguinante. Cosa aveva a che fare con il sogno? Perché stava succedendo tutto in contemporanea con la notizia del viaggio al Cairo? E soprattutto… Perché stava succedendo proprio a lui?


Spero che abbia suscitato un minimo d'interesse xD

Scherzi a parte, se qualcuno vuole commentare, mi piacerebbe ricevere anche qualche critica negativa, in modo da migliorarmi (anche se quelle positive le leggo decisamente con più soddisfazione xP).

Al Prossimo capitolo!!

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Capitolo 2
*** L'Occhio del Dio ***


Yep! A tempo record per i miei standard ecco qui il secondo capitolo u.u Generalmente non mi emoziono così tanto quando scrivo una fic, si vede che questa mi piace parecchio :3 Beh oggi non vi rompo più di tanto xD *prende pop corn e legge*

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CAPITOLO 2: L’Occhio del Dio

 

Un rumore secco, e Leo chiuse la sua valigia.

Non era decisamente il tipo capace di infilarci tutto l’armadio.Si era limitato a portare il minimo indispensabile.

Però stranamente la sua valigia faticava a chiudersi.

Grattandosi la testa il biondo provò a pensare come mai…

Si rese conto che la sua attrezzatura da archeologo era decisamente troppo ingombrante, ma di quello non voleva togliere nulla! A costo di riutilizzare la stessa maglia per due giorni.

Leo era sempre stato appassionato di archeologia. La storia, e la mitologia in particolare lo affascinavano da quando era bambino, e da grande aveva continuato a sviluppare questa sua passione, diventando un discreto esperto in mitologia Egizia, Greca e Celtica.

Il pensiero dell’Egitto gli fece ritornare in mente i lampi dell’occhio di Horus… e dei sogni che non aveva certo smesso di fare.

Con un po’ d’impegno, alla fine il suo bagaglio si chiuse.

«Forza Leo! Siamo in ritardo!»

La voce di suo padre lo fece sobbalzare leggermente. Allarmato, guardò l’orologio. Il loro volo partiva tra 2 ore e 15 minuti. E l’aeroporto era distante 40 Km.

Tipico di suo padre… quando si tratta di qualcosa che amava fare erano sempre in “ritardo”.

«Arrivo!»

Esclamò Leo da piano di sopra.

Scese le scale due a due, emozionato. E saltando gli ultimi 4 gradini con un salto, atterrò in soggiorno, dirigendosi all’uscita della casa.

Appena dopo il giardino, un modello recente di Mercedes era parcheggiato di fronte al vialetto, dove suo padre stava sistemando le valigie della consorte, che sembravano non finire mai.

Caricata anche la valigia del figlio, partirono. Si sarebbero incontrati con la famiglia di Dust direttamente all’aeroporto, sarebbe stato decisamente più comodo.

In viaggio, Leo fu soprappensiero. Questa volta però pensava a Nancy, e al fatto che non l’avrebbe rivista per due settimane.

Proprio in quel momento, il telefono del biondo squillò leggermente.

“Hai 1 nuovo messaggio”

Un messaggio proprio di Nancy, che recitava “Divertiti in Egitto! Un bacione! :)”

Leo rimase un momento a guardare il telefono, poi cominciò a scrivere: “Ciao anche a te! Mi mancherai tantissimo. Prometto che ti penserò ogni giorno.”

Un momento di conflitto interiore, e il ragazzo cancellò tutto quanto, limitandosi a scrivere un “Grazie!”

Infilando il telefono in tasca, ritornò a guardare il finestrino,

Poche ore dopo erano finalmente arrivati all’aeroporto.

Parcheggiarono la macchina con non poca facilità: partendo di sabato c’era moltissima gente che partiva.

Entrati nelle sale biglietterie, Leo intravide Dust tra la folla, che alzava la mano verso di lui, il biondo lo raggiunse trascinando il suo pesante trolley.

«Sei in anticipo anche tu!» esclamò Leo all’amico.

Dust rispose con tono seccato «Si, mia madre era più eccitata di me».

«Anche mio padre, so cosa vuol dire»

«Beh, adesso ci toccherà aspettare per quasi due ore stravaccati a non fare niente…» si lamentò il bruno.

Leo ridacchiò «Almeno non sentirai nostalgia di casa!»

«Ah. Ah. Ah. Sei uno spasso, Leo…»

Trascorsero l’attesa discutendo dei tragitti che avrebbero dovuto fare in viaggio, dato che c’erano innumerevoli cose da visitare, tanto che il tempo sembrava non bastare. Una cosa che Leo voleva visitare, era l’intera Necropoli di Giza. Dust ribatteva che era inutile perdere tempo con tutta la necropoli e visitare solo le tre piramidi. Così iniziò una discussione che durò per un po’. Fino a che…

«Il Volo “A-21” diretto per il Cairo e in partenza presso la pista di decollo N°12, tutti i passeggeri sono pregati d’imbarcarsi».

La voce gentile della signorina alla radio fece sobbalzare i due ragazzi, che in uno scatto furono subito in piedi, con le valige in mano.

Seguì una lunga fila per l’imbarco, un uomo che faticava a parlare inglese ebbe una discussione con Dust sul fatto che portasse la cintura che avrebbe fatto suonare il Metal Detector, il proprietario rifiutava di togliersela dicendo che avrebbe fatto cadere i Jeans. Però alla fine cedette e fu costretto a far passare la sua adorata cinta sotto il tappetino perquisitorio, sotto le grida di rimprovero della madre.

Una volta imbarcati, i ragazzi si andarono a sedere ai posti assegnati, parecchio lontani da quelli dei loro genitori. Leo aveva preso il posto vicino al finestrino, ricordando a Dust chi è che gli doveva 5 dollari.

Una volta seduti, l’aereo non impiegò molto tempo a partire.

Superata la fase di decollo che costrinse tutti a deglutire affannosamente più di una volta, Leo ritornò esattamente come si trovava in macchina.

Il viaggio fu abbastanza noioso: Mentre il biondo leggeva un romanzo d’avventura, Dust era praticamente in un altro universo: Cuffie nelle orecchie collegate alla PSP, e il videogioco “Dante’s Inferno” lo occuparono per l’intero tragitto.

Avendo le cuffie non si accorgeva di alzare la voce, perciò ogni tanto imprecava pesantemente dicendo cose tipo: “stramaledetto demone del cavolo!” o “Dopo essermi rotto il sedere in 4, questa se ne và con quell’idiota!? Ma vaff…”. E perciò toccava sempre a Leo giustificarsi con le persone che si voltavano indignate.

A parte questi avvenimenti di tipica quotidianità, ce ne fu uno che decisamente non rientrava nella definizione di “Normale”.

Erano circa a metà del viaggio, ed entrambi i ragazzi avevano interrotto le loro attività per pranzare una leggera insalatina fornita dalle Hostess.

Guardando fuori dal finestrino, Leo vide qualcosa di strano.

Era solo un semplice falco.

Un FALCO?!

Pensò il biondo, esterrefatto.

Come era possibile?! Gli aerei di quel tipo superavano abbondantemente i 500 Km orari, erano al centro del mar Atlantico, a quell’altitudine l’aria era abbondantemente rarefatta… e un Falco viaggiava vicino a loro?!

Un dolore acuto alle tempie, un bruciore alla palpebra sinistra e Leo lo rivide di nuovo: l’occhio di Horus sanguinante…

«L’hai visto anche tu, eh?»

Leo alzò gli occhi.

Dust lo fissava con un’espressione incredibilmente seria, sembrava un’altra persona.

«Cosa?» rispose il biondo, massaggiandosi l’occhio.

«Non fare finta di non aver capito. Parlo di quell’occhio, l’occhio di Horus»

«L…Lo vedi anche tu?»

«Si, abbastanza spesso. Ha cominciato a farsi vedere circa una settimana fa, e scommetto che anche tu, come me fai dei sogni un po’ strani».

Leo si era del tutto ripreso dal mal di testa.«Si, quasi ogni notte, ormai. Più che sogni direi Incubi».

Dust smarrì il suo sguardo nel vuoto, come se stesse ricordando qualcosa di brutto.

«Anche tu ti trasformi in una specie di cane mostruoso?»

«No, io in un falco»

«Credi che questi sogni abbiano qualche significato?»

«Non lo so, Dust, sinceramente non lo so, ma il fatto di non essere il solo a cui accadono questo genere di cose mi consola, vuol dire che non sto impazzendo»

«…oppure che lo stiamo facendo entrambi»

Leo non rispose, non voleva neanche pensarci.

Cercò di voltarsi di nuovo verso il falco che l’inseguiva. Era scomparso…


*


Il grande Sole del Cairo brillava sulla grande metropoli.

Il traffico famoso in tutto il mondo creava scompiglio negli automobilisti accaldati, che come un enorme scià di olio s’infiltravano nei vicoli al fianco dei grattacieli altissimi.

Era una calda mattinata. Alle 8:30 circa… Leo aprì le tende della sua stanza con irruenza, immediatamente un forte mugolio si fece spazio nel silenzio della stanza.

«Uhhhmmm… Maledetto sole del cavolo… Leo, lasciami dormire altri 10 minuti…» si lamentò Dust.

Il biondo si voltò verso la camera.

Era una piccola stanza con due letti la cui spalliera anteriore era poggiata al muro, in mezzo ad essi c’era un semplice comodino di legno, e dalla parte opposta della stanza c’erano una scrivania e un grande armadio.

Nonostante fossero arrivati solo la sera prima, la camera era già un caos: Pantaloni per terra, valige spalancate e semivuote, caricabatteria attaccati a qualsiasi presa esistente, bottiglie d’acqua sul comodino.

«Ci saremmo dovuti svegliare 30 minuti fa, Dust… è solo perché so che non ce l’avresti fatta che ti ho lasciato dormire»

«Non è colpa mia!» replicò il moro con la faccia sul cuscino «Se non ci fosse quella luce del cavolo mi alzerei anche un’ora prima!»

Leo rise «Accidenti Dust! Ti vesti con abiti scuri, hai i canini più lunghi del normale, non ti piace il sole… Stai attento, o potrebbero scambiarti per un vampiro!»

«Magari… almeno avrei una scusa per stare sempre al buio…» mormorò lui, alzandosi dal letto e dirigendosi in bagno come un’anima in pena.

Visto che in bagno c’era Dust, Leo decise di approfittarsene e di riposare un secondo gli occhi.

Quasi non fece in tempo a chiuderli che bussarono alla porta. Chi poteva essere? Nell’albergo non c’era nessuno che conoscessero. Si infilò un paio di pantaloni e si diresse alla porta, aprendola. Una folta chioma di capelli ricci castani gli occupo tutta la visuale, sentendo il forte abbraccio di una ragazza.

«N-Nancy?!» Esclamò Leo esterrefatto.

«Ciao, Leo! Non ci crederai ma ho convinto i miei genitori a raggiungerti! Non è fantastico!?» esclamò La ragazza, con un sorriso smagliante.

Il biondo ringraziò il cielo che avesse deciso di mettersi i pantaloni prima di aprire.

«Certo che è fantastico! Su, accomodati… scusa il disordine ma siamo arrivati ieri sera e…»

Leo si bloccò.

Un dolore acuto all’occhio sinistro, e riebbe nuovamente il flash dell’immagine che ormai lo tormentava da settimane.

Il dolore si estese pian piano dall’occhio fino a tutta la testa, il collo, le braccia, il busto, le gambe.

Sentì come se tutti i pori del suo corpo si stessero allargando per far spazio a degli oggetti appuntiti e pelosi…

Delle piume.

Pian piano metà della bocca cominciò ad indurirsi come un osso, la maglietta andò in brandelli, strappata da una specie di ala storpia che gli stava spuntando dalla scapola, degli artigli marroncini orrendi gli stavano spuntando dalle braccia, in un urlo di dolore si rese contò che la sua voce era diventato un terrificante strillo acuto.

Nancy urlò di terrore…

«LEO! Che fai!?»

Leo Aprì gli occhi, era ancora disteso sul materasso, non si era mosso di un millimetro.

Un altro di quelli stramaledetti sogni.

Fuori dal bagno c’era Dust, con soltanto un asciugamano intorno alla vita, che lo guardava trovo.

«Ah bene, mi mandi in bagno così ti puoi fare un pisolino. Bravo, bravo…»

Leo fece finta di non avere alcun pensiero.

«Cosa credi? Che io non abbia bisogno di dormire? Tzè!» terminò tirando un cuscino in faccia al suo amico.

Dopo un’abbondante colazione, e dopo aver bruciato due cialde, il duo si diresse fuori dall’hotel.

Con una cartina presa all’agenzia di viaggi, Leo cercava di orientarsi nel quartiere. Dovevano raggiungere la più vicina stazione metropolitane per arrivare alla periferia della città. Dust insisteva per fermarsi all’”Hard Rock” del Cairo, ma Leo gli rispose dicendo: «Abbiamo quasi 50 Locali dell’”Hard Rock” in America, di cui uno proprio a Los Angeles! Che cosa te ne fai di vedere quello del Cairo?!».

Dust tenne comunque il broncio per una decina di minuti buoni.

Raggiunta la metropolitana con un po’ di difficoltà per colpa delle indicazioni sbagliate di un ragazzino del posto, i due ragazzi furono costretti a restare in piedi per la troppo folla. Mentre Leo teneva d’occhio le fermate sul cartellone, il moro ebbe la forza di appisolarsi sulla spalla di un omone egiziano che si rivelò parecchio scorbutico.

Raggiunsero dopo mezzora di metro, e 10 di litigio, la periferia del Cairo, e dopo una camminata arrivarono al noleggio di Jeep.

In America sia Dust che Leo avevano la patente di guida, ma solo il primo di questo poteva guidare in Egitto, la cui età per guidare era appunto 18 anni.

Una volta presa la Jeep, Dust si diresse alla guida di essa, ancora di più verso il deserto, fino a che non raggiunsero una zona dove si noleggiavano dromedari, i ragazzi ne presero 2 e dopo aver caricato tutto l’occorrente, partirono verso le piramidi di Gizia…

 

*

 

«Io non li sopporto i cammelli!» esclamò Dust, irritato. L

eo lo corresse: «Sono Dromedari, e poi perché non li sopporti? »

«E me lo chiedi?! Sono pelosi! Puzzano! Sputano! E hanno un alito da farti sboccare!»

«Anche mio Zio Ronnie. Però stranamente i miei lo fanno entrare comunque in casa…» disse il biondo, con un sorrisino «E comunque io li trovo simpaticissimi!»

A bordo dei loro dromedari, il duo era totalmente immerso nel caldo deserto sahariano, entrambi erano vestiti con pantaloncini corti, magliette bianche e degli elmetti da esploratore sulla testa.

Il viaggio doveva durare ancora un po’, avrebbero potuto tranquillamente potuto prendere i mezzi pubblici per arrivare alle piramidi, ma entrambi si erano messi d’accordo dicendo che sarebbe stato bello provare l’esperienza di cavalcare dei dromedari.

Il caldo era davvero soffocante, Leo aveva più volte pensato di togliersi la maglietta, ma sapeva che se l’avesse fatto probabilmente le scottature non l’avrebbero fatto dormire.

E Dust, nonostante le sue lamentele sembrava divertirsi un mondo in groppa all’animale, probabilmente però non voleva darlo a vedere per non rimangiarsi le affermazioni precedenti.

Anche se più tardi ebbe di nuovo di che lamentarsi.

Leo sentì un grosso tonfo alle sue spalle, si voltò e vide sia il suo amico che la sua cavalcatura a terra, Dust aveva la testa infilata nella sabbia.

«Stramaledetto…! Ptù, ptù! …Animale del cavolo!» esclamò il moro, sputacchiando sabbia da tutte le parti.

Leo scese dal suo dromedario e si avvicinò all’amico, sarebbe stato veramente preoccupato, se non si stesse piegando in due dalle risate.

«Che diavolo è successo?»

«Quel dromedario decerebrato… ptù!... è inciampato!»

«Come ha fatto ad inciampare?! In mezzo al deserto! Dove ci sono solo chilometri di sabbia!» esclamò Leo, fallendo miseramente nel suo tentativo di trattenere le risate.

«Tranne lì!» sbottò Dust, indicando dietro di lui «C’era quel masso bastardo!»

Il biondo guardò dove aveva indicato il suo amico, terminando la sua risata.

C’era davvero un masso.

Si avvicinò incuriosito, e inginocchiandosi sulla sabbia per guardarlo meglio. Aveva una forma quasi rettangolare, era quasi impossibile che fosse naturale. Eppure sapeva bene che in quella zona non c’era alcun reperto archeologico.

Emozionato, Leo cominciò a togliere la sabbia intorno alla roccia, e ne scoprì altre 4 poste sotto la prima. Sembravano proprio…

«Presto Dust! Prendi Le pale!» esclamò il biondo, continuando a scavare con le mani nella sabbia rovente.

Dust non disse nulla. Si limitò a accontentare la richiesta dell’amico, portando due pale di ferro.

Leo ne prese una. «Forza! Scava intorno alle pietre!»

Il bruno eseguì.

Rimasero in silenzio assoluto per un oretta circa, che passarono a scavare attorno alle pietre, che cominciavano a rivelarsi essere davvero tantissime, poste quasi in modo da formare una costruzione a forma piramidale.

Si fermarono quando ormai avevano disseppellito quasi due metri della costruzione.

«E’ un tempio» disse Dust, piano.

«Già» rispose Leo con lo stesso tono, osservando attentamente la costruzione.

Avvicinandosi, notò che circa quattro pietre tutte vicine non sembravano fissate insieme. Il biondo chiamò di nuovo il suo amico, chiedendogli di aiutalo a spostarle.

Erano molto pesanti, ma alla fine riuscirono a smuoverle e a farle cadere sulla sabbia, rivelando un passaggio buio che scendeva verso il basso.

I due ragazzi prima si guardarono, e poi fissarono il vuoto.

«Che figata!» esclamò Dust «Proprio come il tizio che ha scoperto Tutankamion!»

«…Khamon…»

«E che ho detto io?»

Leo rimase pensieroso per un momento. «Che vogliamo fare? Starcene qui a cincischiare o andare a dare un’occhiata?»

«Finalmente ci si diverte!» esclamò il moro, infilandosi nel passaggio senza indugio.

Leo, mordendosi le labbra eccitato, lo seguì.

Dopo una ripida scalinata, arrivarono in un lungo corridoio avvolto nell’oscurità, i loro occhi si erano ormai abituati al buio, perciò Dust riuscì a vedere le torce spente agganciate su dei piedistalli appesi al muro.

«Hai un accendino?» chiese il moro.

Il suo amico alzò un sopracciglio «Per fare che?»

Dust indicò le torce spente.

Leo, guardando l’amico con aria tra la compassione e l’esasperazione, tirò fuori dalla tasca una torcia elettrica, illuminando perfettamente il corridoio.

Il moro sbuffò «Certo che tu non hai proprio la voglia d’avventura alla “Indiana Jones”»

Il duo s’incamminò lungo il corridoio ora perfettamente illuminato, che pian piano si faceva più largo. Leo iniziò a sentire un forte fastidio all’occhio sinistro, ma non rivide nessuna immagine. Raggiunsero nel più cupo silenzio una larga scalinata che dava verso il basso.

I ragazzi scesero senza timore.

Dopo pochi gradini, la torcia illuminò due porte di pietra dall’aria importante, dove vi erano centinaia di geroglifici, e simboli arcaici.

Un silenzio quasi assordante li avvolgeva, i due ragazzi avevano persino paura di respirare troppo rumorosamente per mantenere la tensione.

«Cosa c’è scritto?» chiese Dust.

«Cosa vuoi che ne sappia? Io sono uno che s’interessa di mitologia egizia, non un laureato!»

Il moro fece delle spallucce, e si avvicinò alla porta di sinistra, mente Leo a quella di destra.

Aprendo a fatica le porte di pietra, entrarono ognuno in una stanza. Leo si ritrovò in un’ampia sala. Era piena di gioielli, reliquie, oggetti antichi, e al centro della stanza vi era un grande sarcofago.

Era totalmente d’oro, il volto della scultura rappresentava l’effige di un falco. Sul petto della figura scolpita nel coperchio, c’era posato delicatamente un oggetto, il biondo lo prese in mano. Era una rappresentazione scultorea dell’occhio di Horus.

Leo lo fissò per dei momenti che sembravano durare un’eternità, quando improvvisamente…

Un lampo di luce proveniente dalla reliquia, quasi accecante. E l’oggetto, come una cavalletta, schizzò verso il volto di Leo, attaccandosi con forza all’occhio sinistro.

Il cuore cominciò a battergli forte per il terrore, la reliquia gli stava bruciando il volto come se fosse rovente. Cercò con forza di staccarselo dalla faccia, con entrambe le mani, mentre l’oggetto continuava ad illuminarsi sempre di più e a fare sempre più male. Ma non riusciva a staccarlo, era come se fosse una parte stessa del volto.

Il dolore acuto si estese dall’occhio a tutta la testa, sembrava che la luce emessa dall’oggetto rimbombasse con forza nel suo cranio. Divenne insopportabile. L’occhio libero di Leo s’illumino emettendo un fascio di luce, così come stava facendo la sua bocca spalancata in un lungo urlo di dolore. La luce proveniente dal biondo illuminava con forza gli oggetti dorati sparsi nella stanza rendendola luminosa quanto il sole stesso.

La pupilla dell’occhio destro, resa più piccola dal dolore e la paura, divenne verticale come quella di un gatto.

E con la velocità con cui tutto era cominciato, tutto finì.

La reliquia dell’occhio di Horus si staccò dal volto del ragazzo, che ormai senza forze, si mise a gattoni sul freddo terreno di pietra. L’oggetto che aveva ora lasciato libero il ragazzo si trasformò inspiegabilmente in un mucchietto di sabbia.

Leo cominciò a sentire delle voci nella sua testa. 

 Non ti permettere neanche di nominarlo! Tu, che lo hai pugnalato alle spalle come un vile sicario!

Non credere che io abbia paura di te… potrai uccidermi… ma resterai sempre un codardo.

Padre, ora sei in pace…

Non capiva cosa significassero quelle frasi che nella sua testa si presentavano in maniera fosca e confusa. In realtà sentiva interi discorsi, ma quelle furono le frasi che riuscì a cogliere. Lo sforzo fisico precedente, unito allo sforzo mentale di riuscire a percepire brandelli di frase, e il suo organismo non resse più.

Diventò improvvisamente tutto offuscato, la testa cominciò a dolergli ancora una volta, ma in maniera quasi dolce, finché per Leo, tutto divenne buio…

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Terminato anche il secondo capitolo! Mi auguro che vi sia piaciuto ^^

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Capitolo 3
*** Di Sangue e di Lacrime ***


Eccomi ritornato a Postare! Scusate il ritardo, ma gli impegni si fanno più frequenti in questo periodo, grazie a chi ha recensito! ^^

 


CAPITOLO 3: Di sangue e di lacrime.

Dust aprì piano gli occhi. Sentiva le palpebre abbastanza pesanti.

Si rialzò a fatica dal terreno, poggiandosi con le mani sulla pietra fredda.

Una volta in piedi si grattò la nuca con un gesto affaticato, anche se a dirla tutta, non si sentiva affatto stanco.

Da quanto tempo poteva essere svenuto? Un’ora? Due? Forse di più. Chissà se Leo lo stava ancora cercando.

Guardando l’orologio, vide che, invece, erano passati appena un paio di minuti.

Si guardò intorno.

Era ancora in quella tetra tomba, piena d’oggetti d’oro e reliquie dalle fattezze antiche.

Guardando il pavimento, il ragazzo notò un piccolo mucchio di sabbia.

Forse era quello che rimaneva dell’anello?

Beh, di certo Dust non n’era dispiaciuto, quando era entrato in quella tomba, gli era subito venuto in mente di prendere qualcuno di quegli oggettini dorati, e gli doveva proprio venire in mente di prendere quell’anello?

Posto su quello strano sarcofago la cui scultura aveva le fattezze di una specie di cane. Era lì che l’aveva trovato, e indossarlo di certo non era stata una buon’idea.

Stringendo la mano sinistra nella destra, il bruno ripensava al dolore che quell’anello gli aveva provocato, e a quelle strane lingue di fumo nero che si erano espanse intorno a lui.

Non aveva più interesse a portarsi dietro altri oggetti da quella stanza, l’unica cosa che desiderava era uscire più velocemente possibile da quel tempio.

Uscendo dalla porta si voltò a sinistra, vedendo Leo che usciva quasi in contemporanea a lui.

I due ragazzi di guardarono.

Meglio che non gli dica cosa mi è successo, potrebbe preoccuparsi pensarono entrambi.

«Ehm… allora? Cosa c’era là dentro?» Chiese Dust al suo amico, fingendo di essere annoiato.

«Solo qualche oggettino antico, e un sarcofago. Niente di strano» rispose Leo con la stessa faccia.

«Anche in questa stanza è lo stesso»

Ma guarda! Proprio a me doveva capitare la sala con l’oggetto maledetto! pensarono contemporaneamente i due ragazzi.

«A questo punto direi che possiamo andare, poi informeremo qualcuno di aver scoperto questo posto» disse Dust, avviandosi verso le scale.

La giornata passò senza intoppi, esattamente come l’avevano programmata.

I due ragazzi pensavano di tenere segreto ciò che era loro successo nella tomba. Dopotutto, gli oggetti che avevano provocato loro un tal effetto, erano finiti in polvere, chi mai avrebbe potuto crederli?

Pian piano, la memoria dell’avvenimento non rientrò più nelle loro preoccupazioni, dato che le cose che avevano da fare erano parecchie. E così, il viaggio passò tra mille avvenimenti degni essere raccontati, altri piacevoli: come gli affascinanti musei, o le immersioni subacquee; altre meno: come le lunge file trascorse sotto il sole cocente.

Passarono, in questo modo, due brevi e divertenti settimane all’insegna più dello svago che della cultura. Arrivati all’aeroporto, l’ultimo giorno, Leo e Dust si rincontrarono con i loro genitori, pronti finalmente a tornare a casa.

 

*

 

Ripresero nuovamente un aereo che li avrebbe portati a Los Angeles, e poi il gruppo sarebbe ritornato alle loro normali vite da tipici americani.

Il viaggio di ritorno passò esattamente come quello dell’andata: PSP e cuffie per Dust, e il libro d’avventura che Leo non aveva ancora finito di leggere.

E così come all’andata, anche al ritorno Leo si rese conto che c’era qualcosa che non andava.

Erano abbastanza vicini a Los Angeles, ormai. Il manto della sera era calato già da molto tempo su di loro. Il viaggio stancante aveva stressato entrambi i due giovani, che ormai erano letteralmente stramazzati sui sedili. Dust era sprofondato in un sonno pesante, Leo era sveglio, ma guardava il finestrino con sguardo annoiato.

Quando un fitto ammassò di nuvole si diradò, il biondo finalmente la vide: Los Angeles, la sua città.

Finalmente erano tornati a casa.

La riconosceva bene: Le forti luci famose nel mondo, i grandi e alti palazzi, la collina dove, in lettere bianche, c’era l’enorme scritta “Hollywood”…

Leo si risvegliò leggermente dal sonno: possibile che fossero davvero così in basso?

La voce del comandante lo risvegliò dai pensieri:

«Signore e Signori attenzione. Siete pregati di allacciare le cinture, stiamo per iniziare la discesa»

Leo restò in silenzio, come per poter ascoltare ancora.

Se stavano davvero cominciando l’atterraggio in quel momento, vuol dire che erano ancora alla massima altezza. Come era possibile che vedesse la sua città così bene?

Ebbe un’altra leggera emicrania, ma questa volta concentrata tra le sopracciglia, come se avesse eccessivamente sforzato gli occhi.

Il giovane tornò a guardare fuori dal finestrino. Tutto ciò che vedeva era solo un enorme distesa di terra ferma, e più avanti una costa che dava sull’Oceano Pacifico.

Perché non riusciva più a vedere ciò che vedeva prima?

«Che hai, Leo?» La voce stanca di Dust fece voltare il ragazzo.

«Ehm… niente. Solo sono un po’ assonnato, ecco tutto».

«Beh, grazie al cielo siamo arrivati. Non riuscivo più a stare seduto. Le chiappe mi si sono ridotte a due frittelle».

Leo ridacchiò sotto i baffi. Per fortuna almeno lui non aveva pensieri.

I due amici non avevano parlato più dei loro sogni o dei loro flash in comune. Forse per non rovinare l’aria di spensieratezza della vacanza, forse perché non erano dell’umore per affrontare un tale discorso, o forse, semplicemente per il fatto che non volevano parlarne. Sta di fatto che entrambi continuavano a essere soggetti a quegli strani avvenimenti, e l’uno sapeva che accadeva anche all’altro.

Circa un’ora dopo, erano finalmente arrivati sul terreno americano, distrutti dal lungo viaggio.

Le due famiglie non persero tempo. Andarono ognuno alle rispettive macchine, e si diressero verso le loro case, stanchi e assonnati.

Quando Leo raggiunse la sua abitazione, non prese nemmeno i suoi bagagli. Si diresse in casa, salì le scale oltrepassando il soggiorno, entrò nella sua stanza e lasciando la porta aperta, si tuffò nel letto e si addormentò di colpo.

Quella notte sognò ancora una volta. Ma fortunatamente non fu un incubo come succedeva spesso.

Era sulla cima di un grande palazzo, un palazzo che riconosceva.

Era nel centro più moderno di Los Angeles.

L’aria fresca della notte gli accarezzava la faccia, la luce delle stelle lo colpiva diretto, in maniera quasi sovrannaturale. Si sporse più del solito, osservando l’enorme baratro che aveva di sotto: Macchine in corsa, luci, gente che camminava, negozi…

Ma Leo non aveva paura, lui non temeva niente in quel sogno, e sentiva di poter fare qualsiasi cosa.

Ritornò indietro, togliendosi dal bordo. Con lo sguardo basso camminò per un po’ di metri. Poi si stoppò improvvisamente, e si voltò.

Cominciò a correre, veloce, veloce come non aveva mai fatto e come era sicuro che non sarebbe mai stato capace di fare nella realtà. Il bordo si faceva sempre più vicino, sempre più vicino finché, con un ultimo potente slancio, Leo si diede la spinta verso il vuoto, con le braccia aperte.

Il giovane cadeva giù, di testa. Ma non sembrava avere paura, aveva gli occhi chiusi e lo sguardo sereno.

Una luce intensa come quella del sole lo avvolse, rendendo come una cometa che precipitava dal cielo.

La luce si diradò con la stessa velocità con cui si era manifestata. Al posto del ragazzo, ora c’era un enorme falcone grigio, che spalancava le ali con maestosità, deviando la traiettoria della caduta e volando in alto, lontano, verso le bianche nuvole e verso la potente luce della luna.

Leo aprì gli occhi con uno scatto.

La luce del sole lo colpiva dalla finestra, costringendo a richiudere di nuovo le palpebre. Sentiva molto caldo, quindi si tolse la maglietta in un gesto quasi istintivo.

Aveva la gola secca, e una fame colossale.

Si alzò e si stiracchiò lentamente, dirigendosi verso la porta. Passò davanti allo specchio, per poi tornare indietro e porsi d’avanti.

Leo si guardò un momento nel riflesso.

Cominciò a chiedersi seriamente se stesse impazzendo.

Di tutte le stranezze, questa era davvero la più inverosimile.

Sembrava incredibile ma il ragazzo sembrava improvvisamente più prestante. Decisamente più prestante.

Gli addominali che ricordava essere quasi praticamente assenti, ora erano disegnati e sicuramente più sviluppati di come se li ricordava. Provò a piegare il braccio destro puntando i pugno contro il suo mento, senza neppure sforzarsi. Il bicipite si gonfiò in maniera molto maggiore di come se la ricordasse.

Certo, non era mai stato il genere di ragazzo che passava del tempo a guardarsi il fisico, ma era assolutamente sicuro di non essere mai stato così esagerato, perché altro aggettivo non calzava meglio.

Esagerato.

Continuando a rimuginare sulla faccenda, Leo si infilò un’altra maglietta e scese giù in cucina. Affamato.

Arrivato a destinazione, il ragazzo vide sua madre ai fornelli, che preparava il pranzo.

«Finalmente ti sei svegliato!» disse lei con un sorriso verso il figlio, per poi prendere un barattolo di verdure sott’olio da uno scaffale e poggiarlo davanti a Leo.

«Potresti, per favore, aprirmi quel barattolo tesoro? Io non ci riesco».

Il giovane guardò un momento il barattolo con aria pensierosa, poi afferrò con una mano il tappo e con l’altra il contenitore, e svitò forte.

CRASH!

Il barattolo andò in frantumi nelle mani di Leo, che senza pensarci un secondo gettò i cocci per terra.

«Leo! Che hai combinato?» disse sua madre voltandosi e vedendo i cocci per terra.

«Scusa mà. Mi è… ehm… scivolato» rispose il ragazzo, semplicemente.

Dopo aver pulito i cocci, la famiglia pranzò velocemente in seguito all’arrivo del padre di Leo. Una volta pranzato, il ragazzo decise di vestirsi meglio e di andare a farsi un giro, per schiarirsi meglio le idee.

Mentre camminava per le strade del piccolo quartiere, il ragazzo si guardava le mani. Non c’era un solo taglio, neanche un minuscolo graffietto.

Ma cosa diavolo mi sta succedendo, porca pupazza… pensò il ragazzo, lentamente.

Con la mente che vagava altrove, si diresse verso il parco del suo quartiere, attraverso i prati lungo i piccoli sentieri, e si lasciò cadere su una panchina verde che si affacciava su un piccolo laghetto di anatre.

La sua testa ormai era tutta un’enorme confusione: I sogni, L’occhio, La tomba, la vista sull’aereo, il barattolo rotto…

Continuando a cercare di riordinare le idee, pian piano il tempo passò, e senza che lui se ne accorgesse, il sole era ormai quasi completamente inghiottito dall’orizzonte.

Rendendosi conto dell’orario, Leo si alzò allarmato e, senza aver concluso niente, si diresse verso casa.

Pian piano divenne sera, e i lampioni accesero le loro luci per illuminare le strade dell’intera città.

Ancora pensieroso, Il giovane biondo camminava per le strade illuminate, finché un urlo lo risvegliò dai suoi pensieri.

Era un urlo maschile, che veniva da uno dei vicoli alla destra di Leo.

Il ragazzo si guardò intorno, era completamente solo. Non indugiò oltre.

Correndo, raggiunse l’inizio di uno dei bui vicoli alla sua destra. La scena che vide lo immobilizzò per un momento.

C’erano due uomini sulla quarantina, vestiti in modo da far impallidire i peggiori metallari di Los Angeles.

Erano larghi il doppio di Leo, e alti almeno 20 cm in più. E non era certo roba da niente: il ragazzo era alto 1.76.

I due energumeni stavano picchiando a suon di calci nelle costole, un ragazzo di circa l’età di Leo, che, era accucciato dal terrore, mentre i due uomini infierivano su di lui.

Leo disse la prima cosa che gli venne in mente.

«EHI!»

I due tizi smisero di picchiare il ragazzo, e si voltarono con faccia truce verso il biondo.

«Sparisci, nano! Oppure ti pentirai amaramente di essere nato!» disse quello più grosso.

«Di essere nato non so… Ma dopo aver visto le vostre brutte facce mi pento amaramente di essere uscito di casa» disse Leo con un sorrisetto.

Non sapeva esattamente perché avesse detto quella frase, eppure non aveva paura delle conseguenze, anzi, la cosa lo aveva divertito parecchio.

I due uomini al contrario non furono affatto divertiti.

Lasciarono completamente perdere il ragazzo che stavano malmenando, e con delle espressioni che emanavano rabbia da ogni dove, si avvicinarono al Biondo.

Il giovane sapeva che sarebbe stato costretto a usare la violenza in quel particolare frangente. Eppure, ripensando al barattolo di vetro che si infrangeva sotto la stretta delle sue mani, si rese conto di non avere alcuna paura.

Ormai i due uomini erano a pochi centimetri da lui.

Quello che ancora non aveva parlato, avvicinando la faccia a quella del ragazzo, disse con fare minaccioso:

«Forse hai le orecchie otturate e non ci senti così bene…»

Leo storse il naso e tossì un paio di volte.

«Coff, coff… già… peccato che il mio naso funzioni a meraviglia».

L’energumeno che gli stava parlando fu immediatamente preso da una rabbia ceca.

Caricò un potente destro contro il volto di Leo.

Ma… possibile che quel colpo fosse così lento? Il giovane biondo lo schivò con estrema facilità inclinandosi verso destra.

Seguì un’altra raffica di pugni dell’uomo rabbioso, colpi che il giovane riusciva a schivare senza neanche sforzarsi troppo, e mantenendo i piedi saldi a terra nella stessa posizione.

Si stava divertendo un mondo.

Un ennesimo pugno, ma questa volta all’altezza dello stomaco.

Leo fece la sua contromossa in maniera quasi istintiva.

Saltò oltre il corpo dell’energumeno, tirandogli una pedata alla nuca, e, sempre in volo, si diresse verso il secondo nemico sferrandogli un potente calcio circolare sulla guancia sinistra.

Leo atterrò letteralmente stupito di se stesso, non avrebbe mai immaginato di poter fare una cosa del genere.

L’uomo più grosso, quello a cui aveva sferrato il calcio circolare, si diresse verso il giovane urlando insulti poco carini, e tentando un potente cazzotto sulla faccia.

Leo si spostò un’ennesima volta, ma questa volta non si limitò ad evitare il colpo. Nello schivare, diede le spalle al nemico, e afferrò il braccio che lo stava attaccando con forza.

Con uno sforzo quasi inesistente, Leo lanciò letteralmente il nemico dall’altra parte del vicolo, mandandolo a cozzare contro una catasta di bidoni dell’immondizia.

Il giovane si voltò verso il secondo energumeno, che era steso a terra per il forte calcio alla nuca, e che lo guardava con aria terrorizzata.

Probabilmente non si aspettava che un ragazzo di quell’età potesse ridurli a degli stracci.

Leo lo guardò con un sorrisetto per qualche secondo, poi, senza metterci particolare impegno, disse:

«Buh».

Il tizio si alzò con un sobbalzo, e seguito dall’amico, scappò a tutta velocità fuori dal vicolo, esclamando:

«Via, Via! O questo ci fa secchi tutti quanti!»

Ancora stupito di se stesso, Leo si diresse verso il ragazzo bruno che aveva salvato.

«Tutto bene?» Il giovane dai capelli castani si alzò con l’aiuto del biondo.

Aveva un occhio pesto, una brutta ferita alla testa perdeva sangue dalla bocca.

Nonostante questo ridacchiò alle parole di Leo.

«Mai stato meglio, non si vede?»

Il biondo non rise.

«Ti accompagno in ospedale?»

«No, non ti preoccupare non ne ho bisogno» I due parlottarono per un po’ del combattimento, il bruno si rivelò parecchio eccitato dall’esserne stato uno spettatore.

Il ragazzo che Leo aveva salvato si rivelò essere Andrew Daniels, il figlio di un famosissimo magnate nel campo delle innovazioni scientifiche e tecnologiche.

Andrew, grato al biondo, gli disse chiaro che poteva chiedergli qualsiasi cosa come ringraziamento, suo padre avrebbe provveduto di sicuro.

Leo non voleva niente in cambio, ma si fece comunque lasciare il numero del bruno, che dopo un po’ si separò da lui.

Il giovane tornò a casa per niente stancato dalla lotta.

Dopo essersi sorbito le lamentele di sua madre sul tempo che era stato fuori, («C’è brutta gente in giro a quest’ora! Qualcuno potrebbe aggredirti!») si diresse in camera sua, si stese sul letto e senza interesse cominciò a guardare la TV.

Poche ore dopo si addormentò guardando un film di cui non riusciva a seguire la trama.

Si risvegliò il mattino alla stessa ora del giorno prima, doveva ancora recuperare le ore di sonno del viaggio, e per fortuna i suoi genitori gli avevano dato due giorni da passare a casa per recuperare le energie, prima di tornare a scuola.

Assonnato come il giorno prima, scese in cucina già vestito: Semplice T-Shirt di un bel rosso arancio, un Jeans e le sue converse nere.

Notò che fuori pioveva a dirotto.

Suo padre era stravaccato sul divano del soggiorno, leggendo il giornale con i suoi sottili occhiali da lettura, la TV era accesa sul canale del notiziario.

Che senso aveva leggere il giornale e sentire il TG allo stesso tempo? Leo non riusciva ancora a capirlo.

Uscendo dalla cucina, anche il giovane biondo si diresse in soggiorno, una notizia alla TV aveva attirato la sua attenzione.

«… è successo due giorni fa, in un quartiere nella periferia di Los Angeles. Una giovane ragazza di circa 16 anni è stata ritrovata a vagare senza ricordi sulla strada di Evergreen Terrace, secondo i medici si è trattato di un grosso shock, che le ha momentaneamente fatto perdere la memoria, si pensava ad uno stupro. Ed è in effetti stato così. In seguito a delle cure per il recupero della memoria a cui la ragazza si è sottoposta, ha riacquistato i suoi ricordi, anche quelli che il suo cervello aveva rimosso…»

«Leo, potresti prendermi i piatti che stanno nel mobile alla tua destra? Grazie» urlò sua madre dalla cucina.

Il giovane, rimanendo con lo sguardo fisso sulla televisione, si diresse a un mobiletto verde, per prendere i piatti.

Dopo aver afferrato una pila di stoviglie, attraversò di nuovo il soggiorno per raggiungere la cucina, sempre con gli occhi incollati al notiziario.

«… a quanto ci è stato detto dalle ultime notizie arrivate in redazione, la ragazza si chiamava Nancy Criss, una giovane studentessa della “Chaplin High School” ora ricoverata all’ospedale nord del suo stesso quartiere…»

CRASH!

Centinaia di frammenti di coccio andarono in frantumi ai piedi di Leo, che inorridito fissava ancora la TV, senza sentirla veramente, così come non sentiva le ramanzine dei suoi genitori per aver rotto i piatti.

Mio Dio, no…

Non ragionò più, uscì di casa correndo sotto la pioggia, prese la sua bici dal garage e cominciò a pedalare con forza verso l’ospedale.

Forse era per la tensione, forse per la nuova forza che aveva, sta di fatto che Leo stava andando talmente veloce da superare anche le automobili.

Ti prego, ti prego… fa che sia un’altra con lo stesso nome, ti scongiuro…

Con una sgommata esagerata, Leo abbandonò la bici sul marciapiede di fronte all’entrata dell’ospedale, dirigendosi alla porta dell’edificio, ed entrandovi zuppo da capo a piedi.

Senza pensare agli sguardi curiosi di Pazienti, Medici e infermieri, Leo si diresse al banco delle informazioni.

Le uniche due parole che riuscì a tirare fuori dalla bocca furono:

«Nancy Criss…»

Al banco c’era un’infermiera dai capelli neri di circa trent’anni.

«Mi spiace, ma l’orario delle visite è terminato 10 minuti fa, deve tornare dom…»

La donna non riuscì a finire la frase, che il ragazzo tirò rabbioso un pugnò sul tavolo della reception.

Un forte boato si propagò per tutta l’anticamera, zittendo tutti quanti. Leo aveva provocato un buco nel tavolo largo almeno 30 cm, sfondandolo.

«Ho detto che voglio vedere Nancy Criss… e le conviene sbrigarsi a dirmelo, altrimenti posso arrivare a fare di peggio».

Il giovane non ci vedeva più dalla rabbia.

La donna, terrorizzata, riuscì a proferire solo quattro parole: «…S-stanza 114, terzo piano…»

«Grazie». Ringhiò Leo, dirigendosi verso le scale.

Raggiunse il terzo piano, e cercando tra le varie stanze, cercò la N°114, era l’ultima di un lungo corridoio.

Il giovane aveva perso tutta la furia, bussando delicatamente sulla porta, e entrando senza aspettare risposta.

Sul letto c’era una ragazza, che guardava dal lato opposto della porta, verso la finestra.

Quando notò la presenza del biondo si voltò.

Nancy gli inviò un mesto sorriso.

«Ciao Leo, è tanto che non ci vediamo. Ti sei divertito in Egitto?»

Leo cominciò a sentire un doloroso groppo alla gola.

«Ehm… si, mi sono divertito» si limitò a dire.

Non riusciva a sopportare la vista di quegli occhi vuoti, un tempo pieni di vita.

Spostò lo sguardo al suo comodino, c’erano delle rose rosse in un vaso.

Allora non era il primo ad essere venuto lì.

«Anche tu sei preoccupato per me, vero?» mormorò lei.

Il ragazzo non sapeva che cosa dire, restò in silenzio.

«I fiori li ha portati mio padre. Comunque, non devi preoccuparti, io sto bene».

Nancy prese una rosa dal vaso e la porse al giovane «Grazie per essere venuto, comunque. Tieni, prendine una».

Leo prese la rosa mestamente, il groppo alla gola si fece più doloroso.

Perché si comportava così?

Probabilmente si potevano scegliere due opzioni per motivare il comportamento della giovane: O stava fingendo, e stava fingendo bene.

Oppure semplicemente non si era ancora resa conto di ciò che le era stato fatto.

Nancy tornò a guardare la finestra bagnata dalla pioggia, ignorando del tutto il ragazzo.

Leo non poteva resistere un altro secondo nel vederla conciata in quello stato. Perciò si diresse di nuovo verso la porta, uscì, e la chiuse alle sue spalle.

Rimase lì in piedi fermo. Abbassò lo sguardo. Ciò che provava in quel momento era solo rabbia, furia ceca, che come un veleno si espandeva per tutto il corpo divorandogli il cervello.

Strinse forte i pugni, sentendo le spine della rosa che si infilavano nella carne.

La mano destra cominciò a perdere sangue. Così come gli occhi di Leo cominciarono a perdere lacrime.

Poco dopo era di nuovo sulla sua bici, correndo velocemente come all’andata, ogni tanto toglieva il braccio sinistro dal manubrio e si asciugava le lacrime in corsa. Il colpevole l’avrebbe pagata, e l’avrebbe pagata anche cara.

Ormai Leo aveva preso la sua decisione, e niente avrebbe potuto fargli cambiare idea.

Si diresse velocemente in camera sua senza neanche salutare o avvisare di essere arrivato a casa.

Andò all’armadio dove teneva i suoi vestiti, ne uscì qualcuno e li pose sul letto. Tra i vestiti c’era un vecchio Jeans, una maglietta di un vivace colore blu e una bandana color arancio vivo.

Passò tutto il pomeriggio nella sua stanza.

Aveva deciso di nascondersi, di occultare il suo volto per non farsi riconoscere, non voleva che la sua vita diventasse un unico grande spettacolo per 13enni idioti.

Verso sera, Leo aveva terminato il suo lavoro, quasi tutto a dir la verità, perché c’era ancora qualcosa che gli mancava.

Una cosa che sapeva chi avrebbe potuto procurargliela.

«Andrew, sono io, Leo» disse il giovane al telefono.

Mezz’ora dopo era in un grande magazzino sotterraneo, pieno di enormi scaffali, armadi e archivi, accompagnato dal figlio del famoso Magnate.

«La tua richiesta è un po’ curiosa, ma dovrei avere qualcosa» disse Andrew, notando la pesante serietà di Leo.

Il bruno si avvicinò ad uno scaffale di metallo, e aprendo un grande tiretto, rivelò un paio di guanti neri incastrati in uno stampo di spugna grigia, afferrò i guanti e li porse a Leo, che li osservò meglio.

Erano molto grandi, e sembravano fatti di un materiale strano che sembrava bachelite malleabile.

All’altezza dei polsi aveva una specie di fodera di plastica dura, al cui apice, all’inizio del palmo della mano, vi era incastrata una sfera d’acciaio nero di circa 3 cm di diametro.

Il biondo l’infilò con sguardo deciso, mentre Andrew gli illustrava le particolarità dell’oggetto.

«Guanto in plastica metallizzata malleabile. Attorno al braccio è arrotolato un sottile ma resistentissimo cavo fatto di un innovativo materiale chiamato “bubbloy”, che è più elastico e decisamente più resistente di tutti gli altri metalli. Mio padre fabbricò queste armi per delle guardie del corpo dell’imperatore giapponese. Premendo il pulsante sulla nocca dell’indice…»

Leo premette con il pollice il tasto quasi invisibile di cui aveva appena sentito parlare.

La sferetta d’acciaio schizzò a velocità impressionante dalla sua mano, collegata ad un cavo dalle fattezze ferrose, e andò a sbattere con forza contro il muro a circa 5 metri dal ragazzo.

«… un sistema di molle scaglierà via la sfera che resterà collegata al guanto tramite il cavo…» terminò Andrew.

«Forse sarebbe meglio prima leggere le istruzioni…»

«Non serve» disse il biondo, premendo di nuovo il pulsante sull’indice e osservando la sfera che rientrava nel guanto con la stessa velocità con cui vi era partita.

«E’ perfetto».

Il bruno non chiese per cosa gli servivano quegli oggetti, probabilmente la decisione con cui Leo aveva espresso la richiesta gli bastava.

 

*

 

Scese la notte sulla grande Los Angeles.

Qualcosa si muoveva saltando da un palazzo all’altro con estrema decisione e abilità.

La figura maschile, con un ultimo possente salto, raggiunse il cornicione di un alto palazzo nel centro della metropoli moderna, e, alzandosi dalla posizione genuflessa, i raggi della luna lo colpirono con decisione.

Aveva una bandana di un vivace rosso-arancio, che gli copriva l’intero volto da sopra il naso, compresi tutti i capelli, lasciando due lenti riflettenti all’altezza degli occhi costruiti in modo da dare alla maschera un’espressione rabbiosa.

Indossava una canottiera azzurra, sulla cui schiena c’era l’effige di un falco tribale bianco.

Sotto la vita un paio di semplici blue Jeans, su cui vi erano disegnate delle lingue di fuoco su tutta la parte sotto il ginocchio, ai piedi delle semplici converse nere, e dei guanti scuri a coprirgli le mani.

Scrutando come un falco la strada sotto di lui, Leo cercava la persona che aveva osato fare del male alla sua Nancy.

Lo avrebbe trovato. E l’avrebbe pagata cara.



 

Vorrei esprimere alcune piccole opinioni personali in questo frangente u.u Innanzitutto, avverto i lettori di non fermarsi alle apparenze di ciò che potrebbe essere il finale della trama, noi scrittori (anche se io non mi ci definisco quasi per niente xD) siamo un po' bastardi.

Ci piace far credere al lettore quello che vogliamo che creda ^^

E poi, preannuncio che dal prossimo capitolo comincerà la vera azione della storia, con i primi combattimenti e i primi danni.

Infine propongo un giochino: chi mi indovina la citazione evidenziata in arancio? ^^

Detto questo vi lascio u.u Al prossimo capitolo ^^

 

Spazio Recensioni.

 

debby95: grazie mille! Purtroppo la mia frequenza di aggiornamento non è proprio invidiabile, dato che sono estremamente impegnato, per il momento, ma mi impegno come posso ^^

 

Undomiel: Ti ringrazio innanzi tutto per i fantastici complimenti, li ho davvero graditi ^^ Inoltre desidero soddisfare la tua curiosità: il titolo della Fic "Adler" non è un'acronimo, bensì la parola "aquila" in tedesco, purtroppo per ora non posso dire altro u.u

 

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Capitolo 4
*** Nemici ***


4° Capitolo, Olè!

Godetevelo ^^

 


Capitolo 4: Nemici

 

La notte era cupa quella sera a Los Angeles. Un buio manto senza stelle ricopriva la metropoli.

Non che ne avesse bisogno. Le luci dei quartieri alti illuminavano il centro come una miriade di stelle artificiali.

Ma ci sono luoghi, a Los Angeles, dove la luce dei palazzi non basta a illuminarti la strada.

Puoi correre e puoi scappare, ma il buio ti starà sempre alle calcagna.

E quella notte, Buck Brass temeva davvero di non rivedere mai più la luce.

Buck correva, agitando le braccia freneticamente, scappando.

Indossava un vecchio jeans logoro, una maglietta a maniche corte e un logoro giubbotto. Sul capo portava un cappello di lana nera, nonostante la calda stagione.

La sua corsa sembrava insensata, ma la realtà e che qualcuno lo seguiva.

Una figura buia, avvolta da un’ombra quasi innaturale, saltava di palazzo in palazzo, inseguendo Buck dall’alto.

Era nettamente più veloce e rapido. Ogni salto sembrava quasi innaturale, si aggrappava ad antenne della TV, saltava oltre i camini con un agilità impressionante.

Brass, optò per una strada che avrebbe permesso di seminarlo più facilmente, dimostrando lucidità nonostante il terrore allo stato puro.

Scese in un cunicolo della metropolitana, riuscendo a mantenere la velocità spedita anche sulle scale.

Corse per alcuni minuti, senza fermarsi, anche se non sentiva più alcun rumore alle sue spalle e non aveva la sensazione di essere osservato come in precedenza.

Si fermò ansimante vicino ad un passaggio dei tram, mettendo le mani sulle proprie ginocchia esausto.

L’aria fredda gli penetrava in gola come una spada di ghiaccio, doveva riprendere fiato.

Sentì il rumore della metro nelle orecchie, ed osservò un treno passare a tutta velocità a pochi metri da lui.

Si fermò a guardare il treno che passava convinto che il suo inseguitore fosse ormai seminato.

Ma appena il treno passò del tutto, dall’altra parte del passaggio c’era lui.

Una figura alta sul metro e ottanta, magra ma molto prestante. Con un Jeans blu scuro con delle effigie infuocate sotto il ginocchio, una canotta aderente azzurra, ed una bandana arancio fuoco sul volto, con due vetri che lasciavano lo spazio per la vista.

Buck sobbalzò dal terrore, urlando e scappando verso uno dei cunicoli della galleria.

Intanto, la figura mascherata, saltava il passaggio del treno con abilità ma allo stesso tempo con estrema naturalezza, e con uno sguardo ieratico sul volto, continuando l’inseguimento.

Buck corse ancora per qualche minuto, prima di voltarsi e guardarsi le spalle.

Non c’era nessuno.

Forse stavolta se lo era davvero lasciato alle spalle.

Riprese a guardare di fronte a lui, e…

 

«AAAAAH!»

 

La figura mascherata era a pochi centimetri da lui, in preda al panico, Brass si gettò a terra, strisciando all’indietro.

 

«N-non mi uccidere, ti prego! I-io non ti ho fatto nulla!» disse tremante, l’uomo.

 

L’individuo in maschera lo afferrò per il colletto della giacca e lo sbattè con forza contro il muro di piastrelle della metro, sfondandone alcune.

 

«No, forse a me non hai fatto nulla…» replicò la figura. Buck ora poteva sentire la sua voce, era leggermente più delicata di quella di un adulto, poteva avere massimo 18 anni.

 

«Però… pochi giorni fa hai fatto del male ad una ragazza» continuò lui, sempre tenendolo sollevato contro il muro. «Bassina, capelli castani, occhi azzurri, 16 anni circa… hai presente?»

 

Buck cominciò a tremare, di più. «Io n-non so d-di cosa pa-parli…».

Il ragazzo mascherato lo buttò con forza sul pavimento, con il volto sfigurato dalla rabbia.

Poi si riavvicinò e afferrandolo leggermente per la giacca, gli disse fingendo tranquillità:

 

«Ti dò alcune opzioni, amico.

Opzione A: Tu lo ammetti, io ti pesto per un’oretta, ti porto alla polizia e finisce li.

Opzione B: Tu non parli, io ti strappo i pollici… ti farà male.

Opzione C: Tu scappi, io ti inseguo e ti uccido.

Opzione D:…»

 

Rimase in silenzio per un paio di secondi.

 

«…Posso variare un po’ i dettagli, ma il succo è: che tu muori».

 

Buck rimase in silenzio, terrorizzato.

Al contrario, Leo sorrideva con un ghigno leggermente maligno, che non gli si addiceva.

 

«Allora… quale scegli?»

 

*

 

Circa 3 ore dopo…

Periferia di Los Angeles. In una casa, c’era una grande stanza, all’interno della quale vi era una ragazza…

Guardava la TV, con occhi spenti.

Nanzy era stesa sul letto senza alcuna espressione, il telecomando sul comodino alla sua destra, sotto la finestra.

Improvvisamente, la TV cambiò canale senza che Nancy toccasse nulla.

Era al canale del notiziario della sera.

Una donna d’aspetto elegante con i capelli neri informava gli spettatori delle notizie.

 

«…paio di ore fa è stato trovato all’interno della metropolitana della periferia di Los Angeles un individuo di circa 40 anni, a quanto risulta dalle ultime notizie, l’uomo sarebbe stato picchiato quasi a morte, conta tre costole rotte, svariati lividi e la mandibola fratturata.

L’uomo si Chiamava Buck Brass, e secondo alcuni referti della scientifica, è stato incriminato come il colpevole dell’abuso avvenuto in Evergreen Terrace…»

 

Nancy si alzò dalla sua posizione stesa, e si mise a sedere guardando meglio la TV, con aria assorta.

 

«…inoltre, alcuni testimoni affermano di averlo visto scappare verso la metro inseguito da un individuo mascherato il cui identikit è stato completato poche ore fa.»

 

A metà dello schermo comparve un disegno a matita, di un ragazzo a mezzo busto.

Nancy guardò il disegno per qualche secondo, poi scomparve dallo schermo.

 

«Ciononostante, le autorità hanno dichiarato che qualunque siano le intenzioni di questo individuo, esso sarà fermato e processato, avendo dimostrato di essere un trasgressore della legge.»

 

La ragazza, spense la TV con il telecomando preso dal davanzale della finestra.

Solo in quel momento si rese conto che non lo aveva lasciato lì, ma sul comodino.

Si voltò verso la finestra, si sentiva osservata.

Dall’altra parte della strada, sulla cima di un tetto, c’era qualcuno. Nancy lo riconobbe come l’individuo dell’Identikit del telegiornale.

Era lì, in piedi, con i lacci della benda che fluttuavano nell’aria fresca. Improvvisamente, si voltò alla sua destra e cominciò a correre.

Per continuare a osservarlo, Nancy dovette affacciarsi alla finestra, riuscendo a vedere la figura in maschera che saltava giù da un palazzo, e, lanciata una corda d’acciaio alla punta di un cornicione, voltava l’angolo rapido e veloce.

La ragazza continuava a guardare il punto in cui era sparito dalla sua vista per parecchi minuti.

 

*

 

Erano passati due giorni da quella notte, e Leo stava lavorando al bancone dell’emporio di sua madre.

Erano circa le 3 di pomeriggio, a quell’orario non veniva quasi mai nessuno, troppo caldo.

Il giovane ancora non capiva perché si ostinassero a tenere il negozio aperto, mentre leggeva un libro sulla sedia dietro il bancone.

Aveva qualche difficoltà a reggere il volume, una ferita da taglio al braccio destro gli impediva di sforzarlo molto, ma riusciva comunque a leggere senza alcun problema.

Ripensava alla lotta con quell’uomo in metropolitana, non si sarebbe mai aspettato una reazione, ricordando il suo volto preso dal terrore, e invece aveva trovato la forza di ricordarsi che in tasca portava un coltellino svizzero.

Non che questo avesse fermato il biondo dal continuare, ma ne era rimasto sorpreso.

Improvvisamente, il campanello della porta annunciò l’arrivo di un cliente.

Leo si alzò di scatto, poggiando il libro sul bordo destro del bancone, osservando chi era appena entrato.

Era una donna, alta, snella ed elegante, dai lunghi capelli castano scuro. Portava vestiti quasi completamente neri: un paio di tacchi a spillo di circa 10 cm, una gonna che arrivava sopra il ginocchio, molto stretta ma con un leggero spacco. Portava inoltre, un elegante tallieur con bottoni d’oro, un paio di grandi occhiali da sole e un grande cappello dalla visiera molto grande e ondulata.

 

«Buongiorno» disse Leo annoiato.

 

«Buon giorno a te, ragazzo» disse lei, la sua voce era molto sottile e piacevole all’udito. «Avrei bisogno di uno shampoo per capelli lisci.»

 

Leo alzò un sopracciglio. Di solito la gente entrava tranquilla, prendeva quello che gli serviva dagli scaffali e andava alla cassa solo per pagare.

Ma il ragazzo non disse nulla. Dopo tutto, il cliente ha sempre ragione.

Si avviò verso uno degli scaffali, e tornò pochi secondi dopo con uno shampoo dalla confezione verde brillante.

Lo poggiò sul bancone.

 

«Fanno 3 dollari e 9.» disse il biondo, dirigendosi già verso la cassa, ma un’esclamazione della donna gli fece alzare di nuovo lo sguardo.

 

«Oh cielo! Ma cosa ti sei fatto lì?» aveva indicato con le lunghe dita affusolate la ferita che Leo aveva sul braccio.

Leo avrebbe potuto rispondere che non erano cose che la riguardavano, sempre gentilmente, invece sentì che doveva dare una spiegazione.

 

«Oh, ehm… passavo vicino ad un cantiere ed un chiodo sporgente mi ha graffiato, fortunatamente l’ho subito disinfettato».

 

La donna non sembrava molto convinta.

 

«Sai, è strano. La ferita sembra che sia partita in direzione delle tue spalle e si sia fermata dalla parte opposta, se è come dici avrebbe dovuto essere il contrario».

 

Leo iniziò seriamente ad infastidirsi, ma la tentazione di rispondere per giustificarsi era decisamente più forte.

 

«S-stavo camminando all’indietro, per salutare un amico passato in motorino».

 

«Ho capito…» disse la donna, sempre con un tono dubbioso.

 

Improvvisamente cambiò totalmente discorso.

 

«Hai sentito di quel tizio che ha picchiato un uomo nella metro? Certo che è un po’ strano, non ti pare…?»

 

Leo sbarrò leggermente gli occhi, iniziò a sentirsi davvero a disagio.

Possibile che quella donna…?

Ormai era entrato nell’ottica del mentire, quindi fu più facile.

 

«Cosa vuole farci? Ce ne sono di pazzoidi in giro oggigiorno. A mio avviso sarà stato qualcuno che si crede una specie di giustiziere mascherato».

 

La donna però aveva l’espressione di chi vuole continuare assolutamente il discorso.

 

«Però… ho sentito dire che l’hanno visto saltare da un palazzo all’altro, a distanze di decine di metri di distanza, non ti sembra strano?»

 

Leo sorrise, abbassando leggermente lo sguardo.

 

«Mi perdoni, ma non è una novità. Quando succedono cose strane molta gente tende a gonfiarle per renderle ancora più avvincenti, l’essere umano è fatto così».

 

«Ma davvero…? Grazie per avermelo detto».

 

Leo alzò di nuovo la testa, ma la donna stava già andando via, elegantemente come al suo arrivo.

Il biondo continuò a guardare fuori, la figura femminile entrò in una Mercedes nera come la pece, al posto di guida c’era un uomo con i capelli corvini, vestito in giacca e cravatta nera e con occhiali da sole a goccia, sembrava quasi una guardia del corpo.

La macchina partì e Leo non riuscì più a vederla.

 

*

 

Pochi minuti dopo, la Donna entrò in una stanza fatta completamente in pietra, con un trono d’oro al centro di esso, mezza avvolta dall’ombra.

Dietro di l’ei l’individuo in giacca e cravatta sembrava abbastanza irritato.

 

«Dannati abiti umani! Mi sento come se mi avessero mummificato prima del tempo!»

 

Si tolse velocemente giacca e camicia e li gettò in un angolo, restando a torso nudo e mostrando un fisico ampiamente sviluppato.

Si tolse gli occhiali da sole, mostrando degli occhi rossi come il fuoco e due pupille molto piccole.

 

«A me invece non dispiace… si vede che la razza umana attuale non ha cattivi gusti nel vestirsi» disse la donna, sedendosi sul trono in oro, e togliendosi il cappello e gli occhiali.

I suoi occhi erano invece gialli ambrati, con le pupille verticali.

 

«Non capisco, perché non li uccidiamo tutti subito senza perdere altro tempo con questa buffonata?!» esclamò irritato l’uomo.

 

Lei, al contrario, rimaneva calma, accavallò le gambe con eleganza e disse: «Perché ci sono esseri umani che non meritano la morte, Han… Preferisco aspettare ancora qualche tempo».

 

Improvvisamente, dal lato buio della stanza si udì un rantolo, una specie di possente ringhio animalesco. Qualcosa di enorme si mosse nell’ombra dietro il trono, con movimenti d’impazienza.

 

«Non preoccuparti, piccolo mio…» disse la Donna, sorridendo «Il momento del tuo pasto arriverà».

 

Improvvisamente, due enormi occhi cominciarono brillare nel buio, due grandi occhi bianco latte.

 

*

 

Dust spense la TV, pensieroso…

Era seduto sulla sua sedia da studio, che ancora fissava assorto lo schermo nero della televisione.

Pensava a tutte le cose strane che gli stavano capitando ultimamente.

Certo, era vero: ultimamente si stava dando da fare con gli allenamenti fisici, ma risultati del genere erano davvero eccessivi.

Quando era uscito di casa pochi giorni prima, si era letteralmente trascinato la porta di casa, o ancora quando aveva letteralmente distrutto l’armadio della sua stanza tirando un cassetto con troppa energia.

Persino una delle ragazze che si era trascinato nel letto aveva avuto da ridire per “troppa foga”.

Qualcosa gli stava accadendo, e non solo riguardante la sua nuova forza.

Quella si sarebbe potuta spiegare dicendo che, per esempio, qualcuno gli metteva steroidi nel cibo di nascosto (eppure non sarebbe comunque stato possibile arrivare a certi livelli).

Ma ciò che riusciva a fare negli ultimi giorni era straordinario. La notte sentiva i Peterson darsi da fare nella loro camera da letto, e la loro stanza era dall’altra parte del quartiere.

O ancora, quando, per esempio, il negoziante gli diceva che il nuovo videogame non era ancora uscito, o quando sua madre gli diceva che gli avrebbe preparato la bistecca per cena, lui lo sentiva, lo percepiva attraverso l’olfatto… l’insopportabile odore di menzogna.

Non aveva la più pallida idea di cosa odorassero le bugia, ma gli bastava odorarlo per sapere che era quello l’odore, e immediatamente dopo ne dimenticava la sensazione.

Non credeva che una cosa del genere fosse possibile.

Cercando di non pensarci, prese la sua rivista di moto e la sfogliò leggermente.

Si fermò ad osservare un’immagine che lo interessava molto. Una yamaha R1 bianca come la neve.

Accidenti se era bella… a Dust sarebbe piaciuto un sacco averne una.

Ma, osservando il prezzo, trasalì.

“105.000 $”

Ottenere quella somma era pura utopia, tanto valeva continuare ad arrangiarsi con la vecchia moto scassata di suo padre.

Però, improvvisamente, gli venne un’idea, un’idea che lo spaventò un po’, ma a quanto pareva non eccessivamente.

Lasciò la rivista voltandosi velocemente verso la scrivania, diretto verso il suo PC portatile.

Entrò in Google, digitò qualche parola e gli comparvero qualche milione di risultati.

Ciccò uno dei primi, aprendo un sito di notizie,

Parlava di un individuo in maschera, che aveva picchiato un uomo nella metropolitana.

Dust osservò i vari Identikit e disegni, guardando il modo in cui era vestito.

Il ragazzo sorrise leggermente.

Carino, ma qualche modifica si poteva apportare…

 

Passarono un paio di giorni.

Leo camminava in strada, con una sacca appesa a tracolla.

La sacca conteneva il suo abito che aveva utilizzato un paio di sere prima.

Aveva deciso di sbarazzarsene, per evitare di cadere in tentazione per farsi un giretto, e di creare altro trambusto.

Mentre camminava per trovare un posto dove gettarlo senza che nessuno vi curiosasse, decise di salire una grande scalinata che si dilungava alla sua sinistra.

Si sedette su uno dei gradini, con la sacca affianco, soprappensiero.

Dove avrebbe potuto nasconderlo…?

Senza cavare un ragno dal buco, dopo qualche minuto si rialzò e riscese gli scalini di quella che aveva scoperto essere la banca della zona.

Mentre scendeva, una figura con un’impermeabile e cappello alla Humprey Bogart gli passò affianco, sbattendogli la spalla.

 

«Oh, mi scusi signore». Disse Leo educatamente.

 

L’individuo si fermò un secondo e disse: «Non si preoccupi, mi scusi lei» ed entrò nella banca.

 

Il biondo pensò che era un individuo decisamente strano.

Intanto, la figura imbacuccata, era entrata nella banca.

Si dirigeva silenziosa come un ombra, invisibile, apparendo come uno dei tanti individui tra la folla.

L’uomo si avvicinò oltre la cassa, dove c’era una cassaforte la cui anta era alta circa due metri, osservandola attentamente.

Improvvisamente, sentì una presa gentile al braccio sinistro.

 

«Mi scusi signore, ma non può sostare qui, la prego di indietreggiare di qualche metro». Era una guardia della banca, vestita come un semplice poliziotto.

 

La guardia fece appena in tempo a completare la frase, che fu scaraventato con una botta potentissima a una decina di metri dalla figura, che si era limitato a colpirlo con un braccio.

In quel momento, molti si allarmarono urlando, e buttandosi a terra, spaventati.

L’uomo si tolse il cappello e con un gesto teatrale si sfilò l’impermeabile.

Era un giovane uomo con meno di vent’anni. Aveva una bandana nera come la pece che gli copriva il volto, ma che lasciava spazio a due pezzi di vetro plastificato che gli consentivano la visuale e una canottiera grigia con alle spalle un’effigie bianca di un muso di lupo. Aveva i guanti e degli stivali dello stesso colore della bandana, e dei pantaloni di pelle color grigio scuro.

Attorno al bacino portava delle catene attorcigliate, che gli circondavano tutto il bacino e la gamba sinistra quasi fino al ginocchio.

 

«Signore e Signori!» cominciò l’individuo mascherato, voltandosi verso la folla con un gesto teatrale «Questa è una rapina! Vi potrà sembrare che io sia disarmato, ma la buona guardia che ha appena fatto un volo da Guinnes dei primati è una decente dimostrazione del fatto che, se volessi, potrei uccidervi tutti a mani nude. Perciò vi consiglio di non irritarmi!»

 

Titti gli individui nella banca erano terrorizzati, si erano tutti gettati per terra. Qualche guardia tentò di colpirlo con le pistole a distanza ravvicinata, ma l’individuo mascherato schivò tutti i colpi con agilità innaturale, per poi afferrare i due vigilanti e mandarli a cozzare vicino al loro collega.

 

«Tu!» Esclamò l’individuo mascherato alla cassiera «Aprimi la cassaforte, dolcezza. Devo fare un “Prelievo”».

 

Una donna di meno di 30 anni lo guardò terrorizzata dicendo: «N-non p-posso, La serratura è a tempo…»

 

L’individuo mascherato si voltò verso la cassaforte, avvicinandovisi.

 

«Ah si? Beh…» Afferrò le maniglie della grande serratura, stringendo i pugni con forza. «IL TEMPO E’ SCADUTO!»

 

I suoi muscoli si gonfiarono molto più di quanto un uomo normale avrebbe mai potuto fare. Mettendo un piede sulla parete, l’individuo mascherato cominciò a tirare con forza, ringhiando dallo sforzo.

Dopo qualche secondo, dalla cassaforte cominciarono a provenire rumori metallici, come il ferro che si piegava, e poi, con un rumore come il un colpo di pistola, il giovane stacco il portellone della cassaforte, e la lanciò alle sue spalle. Tutte le persone nella banca si spostarono di corsa, riuscendo a evitare il portellone.

 

Intanto, fuori dalla banca, Leo era rimasto immobile sui gradini.

Aveva sentito degli spari… cosa stava succedendo là dentro?

Passò qualche secondo, e un enorme portellone che sembrava provenire da una cassaforte, sfondò le vetrate dell’entrata della banca con un rumore assordante.

Il portellone, rimbalzò una volta sugli scalini, e si diresse con una violenza allucinante verso di Leo.

Il giovane si esibì in un movimento quasi istintivo, saltò eseguendo alla perfezione una capriola aerea, schivando il portellone che andò a riversarsi nella strada e piantarsi contro un palazzo di fronte.

Il giovane atterrò nuovamente sul terreno, abilmente.

Si accorse che dalla strada due bambini lo stavano fissando a bocca aperta. Uno di loro reggeva un gelato alla fragola in mano.

 

«Ehm…» cominciò Leo «Scommetto che voi non credevate alla storia degli spinaci, vero?»

 

La palla di gelato si schiantò per terra con un “plopp” ma i due bambino continuarono a non battere ciglio.

Ma ora Leo aveva altro a cui pensare…

 

L’individuo mascherato usciva dalla cassaforte con diversi sacchi colpi di denaro sulle spalle. Potevano essere oltre 300 kg di carta, che lui portava tranquillamente.

 

«Grazie mille per il prestito! Certo che in questa banca sapete proprio cogliere al volo le esigenze del cliente» disse dirigendosi verso l’uscita.

 

In quel momento, da una finestra piombò un altro ragazzo, rotolando sul terreno e riportandosi in piedi con agilità.

Era vestito esattamente come l’individuo in nero, ma la sua bandana era di un rosso fuoco, la canotta azzurra mostrava l’effige di un falco tribale, e portava un paio di semplici Jeans che mostravano una fantasia di lingue di fuoco sotto il ginocchio, più un paio di semplici Converse nere.

 

«Fermo!» disse Leo.

 

Dust si fermò, improvvisamente. Poi si voltò con tutta tranquillità.

 

«Ah… tu devi essere il tizio di cui si parla tanto in televisione».

 

Leo non accettò il cambiamento di discorso.

 

«Restituisci immediatamente il denaro!» esclamò.

 

Il moro, lasciò cadere i soldi per terra, con aria estremamente seria.

 

«Perché non mi fermi…?»

 

Leo non se lo fece ripetere due volte.

Si gettò all’attacco con un rapido e fulmineo attacco, sferrando pugni micidiali contro l’avversario.

Dust parava i colpi con difficoltà, ma comunque riusciva ad evitarli, appena un secondo dopo cominciò ad attaccare lui.

Seguì una veloce raffica di attacchi, parate e schivate con pugni e calci che una persona normale non poteva riuscire a seguire.

Rapidi come saette e potenti come martelli, i due ragazzi non destavano alcun segno di fatica.

Improvvisamente, Dust si lanciò all’indietro, per poi lanciare dal guanto quella che sembrava una sfera d’acciaio uncinata collegata ad un cavo d’acciaio.

Leo la parò agilmente.

 

«Non mi piacciono gli imitatori! Soprattutto quelli che utilizzano le mie tecniche contro di me!»

 

Dust riprese la sfera che ritornò con uno scatto nel suo guanto. «Oh, “Imitare” è una brutta parola. Diciamo che stò: “vigliaccamente abusando della tua immagine”»

 

Il moro afferrò alcuni dei sacchi di denaro, e, saltando verso l’avversario, glieli lanciò contro con violenza.

Leo continuò a schivarli, ascoltando il fruscio violento della carta contro il pavimento che si sfondava leggermente sotto la potenza dei sacchi.

Intanto, Dust aveva indietreggiato verso la finestra, e sorridendo disse: «Ciao!»

 

Saltò fuori dalla finestra, Leo si gettò ad affacciarsi, ma fu inutile, era sparito.

 

*

 

I giorni che seguirono furono pesanti e stressanti sia per Leo che per Dust.

O Meglio dire, per Adler e Jackal. Questi erano i due nomi che la stampa aveva affibbiato ai due. “Adler” ovvero “Aquila” in tedesco. E “Jackal”, ossia “Sciacallo” in inglese.

Adler e Jackal continuavano ad inseguirsi senza esclusione di colpi. Dust elaborava sempre grandi colpi come Banche, Musei e altri edifici grandi e vistosi. Leo gli dava la caccia, riusciva spesso a evitare il furto, ma altre volte non fu decisamente possibile.

La cosa curiosa della faccenda, era che nessuno dei due sapeva chi in realtà fosse l’altro, questo li rendeva amici per la pelle negli orari scolastici, e nemici acerrimi nel resto del giorno, più frequentemente la notte.

La situazione si stava facendo insostenibile, ma nessuno dei due voleva cedere.

La stampa, al contrario, era in completa escandescenza. Ormai da giorni ogni prima pagina era sempre dedicata ai due giovani guerrieri. I giornali si vendevano letteralmente come il pane, tutti volevano sapere il più possibile su quei due fantomatici individui.

Sul Web non si parlava d’altro, Facebook, Forum vari, Siti web, ormai erano completamente afferrati dalla moda dei due.

Gruppi di fan sia di Adler che di Jackal ormai erano sparsi ovunque su Internet, senza che nessuno sapesse chi erano realmente i loro due idoli.

Due settimane dopo la loro prima lotta, Leo stava entrando a scuola, sfinito.

La sera prima aveva inseguito Jackal per tutta la città, alla fine lo aveva perso completamente di vista.

Ogni volta che quel tizio gliela faceva sotto il naso rimaneva irritato per almeno due giorni.

Prima che arrivasse il portone, Leo sentì un potente rombo di motore alle sue spalle.

Si voltò.

Alle sue spalle c’era Dust, a bordo di una bellissima Yamaha R1 bianchissima, con il casco in mano.

 

«Wow! Come cavolo l’hai avuta, Dust!?» esclamò Leo a occhi sbarrati.

 

Dust sorrise soddisfatto. «Non avrei mai pensato di poterlo dire. Ma finalmente comprare quelle cioccolate con i premi in palio è servito a qualcosa!»

 

«Accidenti, che colpo di fortuna! E io pensavo che con quella roba saresti ingrassato come una balena».

 

«A quanto pare no!» Dust ridacchiò leggermente.

 

La giornata di scuola passò noiosa e lenta, come al solito. Dust ripensava a come era riuscito a prendere la moto, rimuginando sul fatto che a Leo non aveva mentito, quelle ciocolate gli erano servite d’avvero.

Dopo aver comprato la moto (che poteva prendere facilmente, essendo maggiorenne) Aveva comprato una di quelle cioccolate, trovando la scritta “provaci ancora!” in lettere adesive.

Era riuscito a staccare le lettere e ha ricombinarne i pezzi per formare la scritta “Hai vinto!” e dopo averla fatta vedere hai suoi, aveva insistito per prendere da solo la moto per “godersela tutto solo” ed era tornato mostrandola in tutta allegria.

Ma i soldi non erano mica finiti tutti, c’e n’erano ancora parecchi da poter comprare altre 5 moto. Ma per il momento non voleva usarli per niente, non avendo altre giustificazioni convincenti verso i due genitori.

Dopo la scuola, Dust montò di nuovo la sua moto, partendo a tutta velocità verso casa.

Ripensandoci, non sapeva se era meglio utilizzare la moto, o saltare sui tetti come faceva di notte. Entrambe le cose lo divertivano un mondo.

Tornato a casa si mise al computer, scrisse “Jackal” sul motore di ricerca e curiosò sui siti dedicati a lui.

Ormai le sue immagini erano famose, foto soprattutto. Ma Dust trovò anche alcuni disegni davvero belli, si sentiva quasi onorato a sapere che molte persone lo consideravano il loro idolo.

Dopo aver chiuso le pagine di internet, ne aprì un’altra su un sito della “Federal Reserve Bank” in cui descriveva la struttura in generale, e qualche accenno al numero di guardie, senza naturalmente specificare i sistemi d’allarme o passaggi secondari ecc…

Non capì perché si stesse interessando di queste cose. Fare un colpo all’”Arsenio Lupin” non era decisamente il suo stile.

Quella sera, Jackal era accucciato sul tetto di un palazzo.

A poca distanza da lui, la Federal Reserve Bank era ancora aperta.

Dust si tuffò.

In volo, lanciò il suo cavo d’acciaio contro un palazzo, che si andò ad agganciare ad un cornicione. Oscillò velocemente verso un palazzo più basso, vi atterrò e non si fermò neppure, continuo a correre.

La banca era sempre più vicina, e Jackal pregò di aver calcolato bene le distanze.

Saltò, come si salta un tuffatore professionista, ma con una spinta innaturalmente orizzontale. Sfondò una finestra della banca, irrompendovi con una veloce capriola.

Terrore generale. Ormai aveva una certa fama.

 

«Devo anche dirvi cosa dovete fare?» disse Dust rivolto alla cassiera.

 

Lei, terrorizzata andò a chiamare il direttore, e il giovane cominciò ad appoggiarsi al bancone con aria annoiata, come se fosse un semplice cliente che attende di essere servito.

Non passarono neanche 10 minuti, che il giovane se ne stava già andando con un paio di borse piene di soldi legate al torace.

Dall’uscio della banca, eseguì un potente salto, dandosi la spinta da un lampione raggiunse un palazzo.

Stava per lanciarsi su un tetto vicino, quando avvertì un colpo su tutta la parte destra del suo corpo, come se qualcuno l’avesse spinto violentemente.

Dust fece un salto di 5 metri, accasciandosi a terra, quando si rialzò, vide a pochi metri da lui Adler, genuflesso.

Il moro sorrise.

 

«Finalmente Adly! Non ti aspettavo più».

 

Il biondo si unì al suo sorriso «Sai com’è… Anche io ho una vita sociale, non passo tutto il mio tempo a farti da balia».

 

Jackal rise di gusto. «Fidati, ne farei volentieri a meno!»

 

Leo non aspettò di certo altri scherni, si gettò sul nemico caricando un potente destro.

Dust parò il colpo incrociando gli avambracci, ed effettuando un rapido sgambetto verso il nemico, che saltò agilmente sopra la sua testa tentando di sferrare un calcio alla nuca.

Il biondo sentì il colpo mancare il bersaglio, e, mentre era ancora in aria, ricevere un violento colpo sullo stomaco, che lo scaraventò ai bordi del palazzo.

Adler si rialzò dolorante.

 

«Però, ti ricordavo più veloce!» esclamò Dust, ridacchiando.

 

Leo non voleva sentire altro.

Si rigettò in carica, sferrando una raffica di pugni micidiali e veloci.

Jackal riusciva comunque a pararli o schivarli senza troppi problemi, ma l’eccessiva concentrazione sugli arti superiori lo distrasse da quelli inferiori.

Sentì una ginocchiata qualche centimetro sotto l’ascella, sulle costole.

Adler, dopo aver immobilizzato il nemico, si esibì in un rapido e potente calcio circolare sul volto del nemico, mandandolo a cozzare per terra.

Il moro si rialzò con un colpo di reni, pulendosi il sangue che aveva alla bocca.

Non disse nulla, preferì aspettare il secondo attacco del biondo.

Detto fatto, Leo si rigettò all’attacco, afferrandolo con forza dal torace, scaraventandolo giù dal palazzo insieme a lui.

Per qualche secondo lottarono sorretti dal nulla, ma a pochi metri dal suolo, entrambi lanciarono i propri cavi su i palazzi opposti.

Si aggrapparono alle finestre, osservandosi a vicenda con odio.

Come guidati da uno stesso pensiero, saltarono l’uno verso l’altro, incontrandosi in volo a metà strada.

Leo sentì un forte colpo di tallone sulla guancia destra, nello stesso punto Dust sentì un pungo scuotergli il cervello nel cranio.

I due caddero sull’asfalto, provocando una leggera deformazione della strada.

Jackal fu il primo a rialzarsi. Degnando il suo nemico di un solo sguardo, si diresse verso un tombino, ne tolse il coperchio, lanciandolo contro Leo.

Il biondo riuscì ad evitare il colpo, sentendo la lastra di ferro che piegava un lampione con un frastuono assordante.

Il moro saltò nel tombino, addentrandosi nelle fogne.

Ma questa volta Adler non lo avrebbe fatto fuggire.

Seguì il suo avversario, entrando in un canale e seguendo i suoi passi in un cunicolo che sembro non essere adatto per essere attraversato da un uomo. Era un largo passaggio attraversato da un unico tubo di ferro, che scendeva in basso come uno scivolo.

 

«Fermati Jackal!» esclamò il moro che, dal profondo del cunicolo, ebbe come risposta: «Mettimi il sale sulla coda!»

 

Il biondo non sopportò oltre, si tuffò nel canale, scivolando con i piedi sul tubo di ferro.

Dopo svariate curve e ritorsioni, il canale terminava con una lunga discesa, alla fine della quale riusciva a vedere una grande sala quadrata, dove Jackal correva raggiungendo un secondo cunicolo.

Arrivato alla fine del tubo, Leo si diede un potente slancio, atterrando sopra il nemico.

Rotolarono per qualche metro, il biondo sentì la maschera che si sfilava…

Quando tutto si fermò, il biondo si pose a gattoni sul terreno.

Alzando la testa, la prima cosa che vide furono due occhi castani dalle sfumature rossastre.

 

«LEO?!»

 

«DUST!?»

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Voglio terminare questo capitolo sperando che vi sia piaciuto, semplicemente U.U

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