Storia del numero seicentodiciannove e del sogno che diventò realtà.

di ballerinaclassica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [619] La sbarra, una realtà scandita in tendus. ***
Capitolo 2: *** [192] Eppure rimase coi piedi per terra, il Lago dei Cigni. ***
Capitolo 3: *** [206] Era come scalare una montagna, Paquita. ***
Capitolo 4: *** [231] A lei bastava soltanto ballare, Giselle. ***
Capitolo 5: *** [288] Più semplice di così, la Bayadére. ***
Capitolo 6: *** [291] I fatti parlano da sé, La Fille Mal Gardée. ***



Capitolo 1
*** [619] La sbarra, una realtà scandita in tendus. ***



















L'odore delle tavole di legno, il rumore delle scarpette da punta nuove o di quelle vagamente consumate, respiri affannati, lamenti, salti, giri, passi ovattati. Arthur aprì gli occhi soltanto in quel momento, come per accertarsi che tutto ciò che stesse vivendo fosse reale, come per accertarsi che lui fosse veramente lì, dietro le quinte di un teatro parigino, accovacciato sul pavimento con le ginocchia stese e le punte dei piedi rivolte al pavimento.
Un tutù, un degas, scaldamuscoli, calzamaglie. A pochi metri da lui e tutto intorno a lui, c'era il mondo in cui aveva sempre sognato di vivere. Tra i ragazzi che condividevano la sua stessa passione, che lottavano per realizzare quel sogno e che piangevano per la paura che restasse tale.
Arthur non lo sapeva nemmeno come ci era arrivato lì, lui, che aveva sempre visto anche i ballerini di quinta fila del Royal Ballet come esseri perfetti ed irraggiungibili. La spiegazione ai suoi dubbi arrivò in un minuto, quando nella sua mente prese vita il ricordo del suo fratellino che gli sventolava una busta (adesso orribilmente macchiata di gelato alla fragola) sotto il naso. Arthur aveva sollevato un sopracciglio, aveva guardato sua madre e l'aveva aperta.
Ci aveva impiegato qualche minuto a capire di che cosa si trattasse. O meglio, l'aveva capito, ma aveva stentato a crederci.
«
Ho passato le selezioni.»
Uno sguardo severo da parte di suo padre, un urlo di gioia da parte di sua madre e qualche battuta sarcastica che riguardava un bel corpetto rosa ed una gonnellina da parte di Peter. E poi aveva realmente compreso.
Il concorso sarebbe durato due settimane, su circa settecentocinquanta ballerini provenienti da tutto il mondo, soltanto quindici erano sopravvissuti. Arthur aveva cercato di inquadrare i suoi “avversari” abbastanza velocemente, e il risultato lo aveva leggermente spaventato.
I russi, era ben noto, erano famosi per una tecnica perfetta e un portamento invidiabile. Sapere che uno di loro era lì, variazione fissa nella mente e nel corpo, lo spaventava un pochino. Anche i francesi non erano male, con la loro eleganza e la leggerezza. Arthur li detestava per partito preso e il sentimento, di conseguenza, ricadeva in maniera inevitabile sul ragazzo biondo e sui cinque giri più che perfetti che stava provando in quel preciso istante. L'Italia era la terra della passione, un luogo caldo, solare, vivace, non a caso i numeri centonovantadue e trecentoquindici erano a pochi metri da lui sembravano piuttosto a loro agio in quell'ambiente (o almeno, uno di loro sembrava a suo agio). Accanto a lui invece c'era Antonio, l'unica persona che conosceva lì dentro, giusto perché ci aveva litigato e fatto pace circa tre volte da quella mattina. Lui era spagnolo, fisico scolpito, sorriso stampato in faccia, l'emblema del ballerino sensuale, di un corpo caldo e di un movimento fluido e suadente. Arthur era riuscito a notare anche chi era totalmente l'opposta, lo aveva definito “l'anti danza”, tutto ciò che lui non avrebbe mai voluto essere. Un ragazzo rumoroso, alto, che da quando era arrivato non aveva fatto altro che ridere. Aveva un accento strascicato, consonanti molto marcate e non faceva altro che sbattere la mano su un ragazzo serio, silenzioso e minuto.
«Quel tipo», disse Antonio, accennando con la testa a suddetto ragazzo, «è giapponese, dicono che sia bravissimo.»
Arthur sollevò un sopracciglio e lo guardò.
«Dimmi il nome di un ballerino orientale che sia diventato qualcuno.»
Antonio sbuffò e continuò a riscaldarsi, a tirare i talloni e a poggiare la testa sulle ginocchia. Arthur continuò ad osservare gli altri ragazzi.
Uno dei due italiani aveva cominciato a parlare a raffica con qualcuno; una specie di armadio biondo, davanti a lui, non faceva altro che annuire e aprire la bocca per rispondere qualcosa, almeno una sillaba, ma ogni tentativo veniva prontamente bloccato da un'altra frase da parte dell'altro. Suo malgrado, Arthur sorrise e lo sguardo si spostò sulle ragazze.
Non sembrava esserci astio tra di loro, non a primo impatto e non per ora, almeno. Ma Arthur era più che certo che, passate due ore, non avrebbero fatto altro che sputarsi addosso veleno e tirarsi i capelli a vicenda. La più piccola sembrava realmente fidarsi di loro, però, racchiusa nel suo body color panna e con un sorriso dipinto sul volto. Aveva i capelli biondi, quasi bianchi, occhi enormi, un fisico sottile e un'espressione a volte impaurita, di chi probabilmente non si aspettava minimamente di passare le selezioni dei quindici e dei sedici anni. Accanto a lei, a mostrare un'apertura fantastica ed una spaccata perfetta, un'altra ragazza, più grande e alta, occhi verdi e fissi su un ballerino che sembrava albino.
«Non ci posso credere, Gilbert ne ha già conquistata una!»
«Eh?»
«Ah, dimenticavo che tu sei inglese. Non puoi capire questi ragionamenti sottili.»
Con le sopracciglia aggrottate ed un'espressione perplessa, Arthur tornò al suo stratching.
Qualche ora dopo Arthur era venuto a conoscenza del fatto che mancavano ancora tre partecipanti all'appello: un ragazzo proveniente dalla Cina, un canadese timido, impacciato e talmente tanto silenzioso da sembrare invisibile, una ragazza bielorussa e il suo perfetto collo del piede, una specie di Zakharova nascente.

La cosa più traumatica di quella giornata, ad ogni modo, non era stato scoprire che nessuno provenisse dalla sua bella Inghilterra (Arthur aveva voluto illudersi di potersi fare un amico), quanto venire a sapere che avrebbe passato otto ore al giorno con gente sconosciuta, di nazionalità diversa dalla sua. E per di più questa gente sarebbe stata stanca, nervosa e sudata.
Arthur appoggiò la mano sinistra alla sbarra, rivolgendo un'occhiataccia al ragazzone davanti a lui, talmente grosso da impedirgli di vedere che razza di esercizio stesse spiegando una donna con un caschetto biondo. E adesso che Arthur ci faceva caso, notava (con tanto di smorfia scocciata) che si trattava dell'americano.
Tentò di ignorarlo e di concentrare la mente sulla sequenza di tendus, con tanto di piroetta dalla quinta per le donne e dalla quarta per gli uomini, ma niente. Lui restava lì e si voltava a fissarlo.
«Scusa, non è che posso mettermi dietro di te e copiare quello che fai tu?»
Arthur fissò per un attimo la sua perfetta faccia da schiaffi ed annuì, chiudendo la bocca per evitare che qualche commento acido uscisse incontrollato (e semi-involontario) dalle sue labbra.
«Certo», rispose a denti stretti.
Arthur si affrettò a cambiare posto con lui, trovandosi così nascosto soltanto dal corpo minuto di una ragazza. Tanto meglio, almeno avrebbe avuto una visuale decente di quello che accadeva nella sala e non avrebbe dovuto farsi venire il torcicollo a furia di cercare di capire qualcosa spiando negli specchi lucidi.
«Comunque io sono Alfred, piacere!», sentì mormorare al suo orecchio, con tanto di voce acuta e risatina finale.
Borbottò un velocissimo “Arthur” e tagliò corto.
Il livello era alto, non c'erano dubbi. Dall'inizio della lezione non aveva sentito una sola domanda insicura, né visto una piroetta finire male, le ginocchia erano tutte stese, così tanto da sembrare incrinate nel senso contrario, le espressioni erano rilassate, le braccia morbide nonostante la forza nascosta che ogni ballerino nascondeva in ogni minima parte del corpo. Arthur non era il tipo da autocommiserarsi o da piangersi addosso, ma per un attimo aveva temuto tutti loro.
Nella sua scuola, una piccola Accademia, ma pur sempre di tutto rispetto, che si trovava in provincia di Liverpool, Arthur era stato abituato ai complimenti, agli innumerevoli “guardate come lo fa Arthur”, “Arthur, fa' vedere loro un grand jeté”, “Arthur ha dei piedi perfetti”, “Arthur è nato per fare il ballerino”. Adesso lui non era nemmeno “Arthur”, adesso lui era solo e soltanto il numero-- Arthur abbassò il mento, quando si rese conto di averlo dimenticato. Oh, sì, adesso lui era solo e soltanto il numero seicentodiciannove, come diceva il foglio appiccicato al suo petto, in mezzo ad altri quindici numeri che probabilmente erano stati abituati (proprio come lui) a sentire decine e decine di lodi al giorno.

Arthur si sedette sul pavimento, prima di uscire e andare verso l'albergo nel quale alloggiavano i partecipanti. Aveva bisogno di un minuto che gli permettesse di mettere a posto le idee, aveva bisogno di massaggiarsi le tempie e di far passare almeno in parte quel mal di testa che lo opprimeva da almeno un paio d'ore.
«Tutto bene?»
Alzò la testa di scatto e vide che il ragazzo francese era in piedi di fronte a lui, con un asciugamano sulle spalle e i capelli raccolti in una coda alta.
«Sì, grazie.»
Chiuse gli occhi e la mente tornò verso casa, verso la sua Inghilterra. L'unico legame che aveva adesso con tutto ciò che si era lasciato alle spalle, erano le telefonate continue di sua madre e quelle dei suoi insegnanti. Di suo padre nemmeno l'ombra, ma doveva aspettarlo, visto quanto era scettico riguardo il suo sogno di diventare un ballerino.
«Mh, sembri stanco.»
Arthur sussultò. Non si aspettava che il francese fosse ancora lì, mentre lui se ne stava zitto a pensare e a ipotizzare che cosa accadesse oltre la Manica.
«Chiunque sarebbe stanco, ora», gli disse.
E si maledisse mentalmente, per aver dato corda ad un individuo di razza francese, e di conseguenza incompatibile con lui.
«Hai ragione. Più che stanco, io mi sento... Spaesato. Come se fossi l'unico qui a non sapere che cosa fare e da dove cominciare.»
Arthur sollevò un sopracciglio e il suo stupore fu dovuto a due motivi fondamentali. Il primo coincideva con la strana scena di due sconosciuti che si parlano per la prima volta e che discutono di qualcosa di abbastanza intimo e personale. Il secondo non era altro che lo shock che era derivato dal fatto che un tizio che non aveva nemmeno mai visto prima provasse le sue stesse sensazioni.
«Immagino che tu non te la cavi meglio, no? Sei anche in terra straniera, io per lo meno sono francese, ma di Lione.»
Arthur si limitò ad una scrollatina di spalle e ad una diplomatica stretta di mano.
«Francis.»
«Arthur.»
Francis gli sorrise, ad Arthur quella bocca sembro meschina. Non che Francis potesse essere uno di quei tipi che sussurravano all'orecchio un gentile “in bocca al lupo” e che poi di auguravano di cadere e di romperti una caviglia o... Un ginocchio. O comunque di farti abbastanza male da doverti ritirare dal concorso a tutti i costi, no. Il sorriso di Francis sembrava più che altro un “ti tengo d'occhio”, o almeno Arthur lo interpretò come tale.
«Arthur!»
Mentre Francis apriva la bocca per dire qualcosa, Alfred arrivò urlando e agitando le braccia. Stringeva la maglietta sudata in una mano e portava degli occhiali che prima, durante gli esercizi, lui non aveva visto. Probabilmente era miope e non riusciva a vedere ciò che la donna gli stava spiegando, ecco perché aveva deciso di prendere posto dietro di lui.
Francis gli rivolse un'occhiataccia e si alzò, continuando a fissarlo con tanto di sopracciglio sollevato ed aria scettica.
«E tu saresti...?»
«Alfred!», strillò, «Io sarei Alfred!»
Arthur ridacchiò divertito da quella scena e si alzò in piedi, recuperando la tracolla e la sua bottiglia d'acqua (sfortunatamente vuota).
«Ah, Alfred.»
Alfred lo ignorò totalmente e si rivolse di nuovo ad Arthur, scuotendolo per una spalla.
«Ehi, Arthur, ti va di andare insieme in albergo? Io non ricordo la strada, perché sulla mia cartina degli Stati Uniti non c'è!»
Mentre si chiedeva per quale assurdo motivo un albergo situato nel pieno centro di Parigi dovesse apparire anche sulla cartina degli Stati Uniti, Alfred gli afferrò il polso e annuì con energia, quasi convinto che Arthur si stesse apprestando a dargli il via libera e una risposta positiva.
«Frena, Superman, con Arthur ci stavo parlando io.»
Francis appoggiò una mano sul petto di Alfred e lo costrinse ad indietreggiare di un passo, mentre si poneva tra lui e Arthur. E Arthur, con tutta la nonchalance di cui era capace, sparì dietro la porta dei camerini.

«Non mi hai nemmeno aspettato per cenare, sei veramente antipatico.»
Arthur sollevò il viso dal suo piatto di riso scondito e guardò Alfred. Era completamente diverso da quando lo aveva visto quel pomeriggio a lezione. Adesso era trasandato, coi jeans larghi e una maglietta più lunga del normale, scarpe da tennis della portata di carri armati e orlo dei boxer sovrapposto ad un lembo di T shirt.
«Non vedo il motivo per cui avrei dovuto aspettarti.»
Si era anche seduto in un tavolo appartato, lontano dagli occhi degli altri ballerini e con la speranza di sfuggire a battute, commenti pungenti, ma soprattutto con la speranza di sfuggire ad Alfred e Francis. Era lì per concentrarsi, ballare, concentrarsi e ballare ancora. Doveva fare del suo meglio e portare uno dei premi a casa, piuttosto che sentirsi ripetere da suo padre che ancora una volta aveva dimostrato di aver sprecato soldi in maniera inutile.
«Ti avevo anche chiesto di tornare insieme e tu invece sei scappato.»
«Non sono scappato, ho semplicemente preferito una doccia al vostro blaterare. Odio perdere tempo.»
Arthur guardò di sfuggita il piatto di Alfred, dopo di che tornò a concentrarsi sul suo. Tempo un paio di secondi e tornò, con tanto di occhi sbarrati e di espressione sconvolta, sulla cena americana.
«Mi spieghi perché diamine hai preso tutta quella roba?!»
Alfred sembrava stupito, probabilmente per lui la reazione di Arthur era del tutto inaspettata.
«Perché ho fame», gli rispose con ovvietà.
Cercando le parole giuste per fargli capire che non era umano mangiare così tanto, che “avere fame” non significava sentire il bisogno di riempirsi lo stomaco con tonnellate di schifezze e che avrebbe dovuto lasciare oltre la metà di tutta la roba che aveva preso se voleva evitare di fare un buco nel palco, Arthur scosse la testa e continuò a fissarlo.
«Alfred, credo che tu abbia dimenticato che domani dobbiamo ballare. Che siamo ad un concorso e che il giudizio sul fisico è uno dei criteri più influenti di tutti.»
«Io mangio sempre così tanto, ma il mio fisico è sempre lo stesso.»
«Bene, vi presento Antonio e Gilbert!»
Arthur ed Alfred sussultarono e smisero di guardarsi, sollevando invece gli occhi su Francis che era appena arrivato lì, assieme ad altri due ragazzi.
Arthur naturalmente conosceva già Antonio e aveva visto Gilbert. Alfred porse la mano a entrambi e si presentò.
Nonostante i suoi buoni propositi di cenare da solo, di rilassarsi da solo, di decidere da solo quando andare a dormire e di andare a dormire da solo, Arthur si ritrovò costretto a parlare non con uno, ma con ben cinque sconosciuti, stranieri ed anche piuttosto bizzarri.
Aveva scoperto che Gilbert era tedesco e che sia lui che suo fratello erano riusciti a passare. A casa era stata una sorpresa per tutti, Gilbert aveva tutte le doti degne di un ballerino come si deve, ma non ci aveva mai messo troppo impegno, preferiva vivere di rendita e accontentarsi di quello che le sue gambe perfette gli consentivano di fare con il minimo sforzo. Antonio invece ci aveva sempre messo la massima dedizione, ma preferiva il flamenco alla danza classica. Gli permetteva di trasmettere con i suoi movimenti tutta la passione che sentiva dentro, la danza classica invece, con tutte le sue regole e la rigidità, tarpava le ali ai suoi sentimenti. Francis invece doveva essere uno piuttosto bravo, proveniva da un'Accademia abbastanza prestigiosa della Francia ed aveva avuto un diploma già a quindici anni. Francis aveva già esperienza in quel genere di concorsi, ma nemmeno lui aveva mai immaginato di arrivare ad un così alto livello in una competizione di portava internazionale. Alfred... Beh, Alfred era quello che lo rassicurava. Proprio come lui era completamente estraneo a quel mondo. Lontano da tutto e da tutti, aveva coltivato la sua passione tra i confini del Wisconsin ed era arrivato lì quasi per caso, dopo un colloquio avuto con suo zio, che insegnava nell'Illinois.
«Io sono di Liverpool. Non mi sono diplomato a quindici anni, non ho uno zio che mi ha aiutato, non ho le doti che tutti sognano e nemmeno troppo sentimento da comunicare. Mi piace ballare e non pensare a nulla e se sono arrivato qui il merito è solo e soltanto mio.»
Quella frase aveva destato parecchie occhiate stupide ed un paio di sorrisi straniti. Alfred gli aveva battuto una poderosa pacca sulla spalla, mandandolo quasi con la faccia dentro il piatto.
«Beh, sono sicuro che farai del tuo meglio allora! Che variazione hai portato?»
«La Sylphide.»
«Oh, quindi avremo l'onore di vederti in gonnella!»
Se gli occhi di Arthur avessero potuto incenerire, quasi sicuramente Francis adesso non sarebbe stato altro che un mucchietto di polvere ammassato su una sedia, da soffiare via e da dimenticare.
«Non è una gonna», borbottò, «è un kilt. C'è una bella differenza.»
Francis tralasciò il fatto che, qualunque cosa fosse, Arthur sarebbe comunque stato costretto a mostrare gambe, cosce e il sedere sodo fasciato da un bel paio di mutande o boxer neri. E a lui interessava soltanto quello, gli altri particolari, gonna o kilt, erano del tutto secondari.
«Dio, ma l'avete visto quello?», disse all'improvviso Antonio, indicando uno dei due italiani seduti ad un tavolo piuttosto distante.
«Ti piace? Io credo ci sia di meglio», e Francis, mentre lo diceva, fissava Arthur e sorrideva come un idiota. O come un maniaco.
«Nah, non credo. Andiamo, ma hai visto che fisico? Ha un culo che-»
«A proposito di culi», li interruppe Gilbert, «guardate quella lì.»
Lunghi capelli castani ed un fiore rosa, Gilbert stava chiaramente fissando lei, che rideva assieme alle altre ragazze.
«Insomma, la volete smettere di parlare di culi?!», Arthur cercò di non alzare la voce, ma era comunque abbastanza innervosito dal discorso.
«E perché dovremmo?», Francis invece sembrava piuttosto coinvolto.
«Lascialo perdere, Francis, lui è soltanto invidioso.»
Arthur si voltò verso Alfred, e lo squadrò attentamente.
«E che cosa te lo fa pensare, di grazia?»
«Il fatto che tu non abbia un bel culo. E non fare quella faccia. Fidati, è così, l'ho guardato tutto il tempo proprio per accertarmene. Seriamente, Arthur, è troppo magro! Secondo me dovresti mettere su qualche chilo, dico sul serio!»
E mentre pronunciava quelle parole oltraggiose, da una parte divertite e divertenti per tutti gli altri ragazzi, Alfred versava nel piatto di Arthur una dosa abbondante del cibo che aveva preso per sé. E naturalmente rideva come un matto, complice l'espressione sconvolta dell'inglese.
«Sei un idiota! Sei un cretino! Ti meriti di scivolare! Ma che sto dicendo?! Ti meriti di cadere giù dal palco! Sei un deficiente! E smettila di ridere! E voi che cosa diamine avete da guardare?! Aiutatemi, aiutatemi che lo ammazzo! Stupido! Maiale!»
Ed erano cominciati così, il suo meraviglioso giorno e il suo sogno di bambino.




















E dopo un lungo periodo di torpore, finalmente ho ripreso a scrivere. Non odiatemi se non aggiorno le fic da così tanto tempo, prometto di farlo al più presto. Voi non me ne vogliate... Ma è estate e quel poco che scrivo lo faccio perché ne ho voglio in quel momento. Altrimenti, col poco tempo che ho, non scriverei proprio nulla. ;^;
Su questa storia vorrei spendere due paroline. Innanzitutto, mi ci sono già affezionata, visto che parla di danza. Inserirò tutti e quindici i personaggi citati, e ognuno di loro avrà almeno un capitolo tutto per sé! =)
E credo di inserire un link di YouTube per ogni capitolo, per far vedere il balletto (la variazione) eseguito, visto che so che non molti hanno la mia stessa passione.
Ci terrei a precisare anche che il rating è destinato a diventare rosso! =) E ora vi lascio, ci sentiamo nel prossimo capitolo per le risposte alle recensioni!

PS: secondo voi chi sarà il primo? Provate a indovinare! :D

US<3UK ~ Il primo forum italiano dedicato alla coppia America/Inghilterra!

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Capitolo 2
*** [192] Eppure rimase coi piedi per terra, il Lago dei Cigni. ***


[192] Ludwig Beilschmidt;

«Paura, eh?»
«No, perché dovrei? Sto solo per fare per la milionesima volta quello è ho sempre fatto.»
«Non cercare di fare il duro con me, sono tuo fratello e quindi ti conosco!»
«Ti conosco anche io e ti consiglio di fare meno il gradasso, già lo so che quando sarà il tuo turno, te la starai facendo addosso.»
Gilbert aggrottò le sopracciglia ed evitò di guardare in direzione di Ludwig, giusto per fargli capire quanto fosse realmente offeso. Insomma, lui era il meraviglioso Gilbert, il primo della fila nella sbarra a destra, il primo ad eseguire i giri in diagonale, i grandi salti, gli allegri. Mica era uno qualunque, lui era Gilbert.
«Pfff, come ti pare», borbottò al fratello, voltandosi di spalle e dirigendosi nei retroscena.
Eppure Ludwig era teso, per quanto cercasse di nasconderlo al fratello, più si guardava allo specchio, più cercava sicurezza nel suo sguardo serio. Doveva solo mantenere quell'espressione, fissa, distaccata, dura, e ballare, ballare, ballare. Si trattava solo di qualche tour, di un mucchio di salti e un paio di piroette. La musica avrebbe coperto ogni lamento, l'adrenalina avrebbe preso il posto della fatica per un minuto e venti secondi circa. Lui doveva soltanto trovare la sua concentrazione, pancia in dentro e petto in fuori, il respiro che faceva muovere soltanto il diaframma, proprio come gli aveva insegnato suo padre, quando ancora vivevano a Berlino.
Ludwig deglutì ed annuì un paio di volte, mentre qualcuno, dietro di lui, apriva la porta di scatto.
«Gilbert, se sei venuto di nuovo per-»
«Ve, non sono Gilbert!»
Attraverso lo specchio, Ludwig riconobbe la figura di Feliciano. Indossava una tuta un po' larga ed una maglietta attillata, scaldamuscoli colorati e spessi calzettoni.
«Ah, sei tu.»
«Sono venuto a dirti in bocca al lupo, Lud!»
Non capiva se Feliciano fosse realmente ingenuo o se si fingesse tale. Insomma, lui aveva partecipato a molti concorsi, e nessun ballerino era mai stato gentile con un altro. Non
veramente, almeno. Per quanti potessero essere i sorrisi scambiati nei camerini, le parole gentili e le battute durante i cinque minuti di pausa della lezione, nella loro mente restava comunque quello spirito di competizione che li aveva portati fino a lì. Distribuito in modo ed in maniera diversa nel cervello di ognuno di loro, ma pur sempre fisso e presente nella loro testa. Nel caso di Ludwig, lo spirito di competizione poteva riassumersi in un “fa' del tuo meglio”, che coincideva con il desiderio di prevalere sugli altri e con l'affermare se stesso. Lui, tedesco fino al midollo, non si sarebbe mai abbassato a dei subdoli giochetti cui spesso aveva assistito. Scarpette da punta che sparivano, mezze-punte bagnate, scaldamuscoli sfilacciati e perfino un tutù strappato, una volta.
«Grazie.»
Feliciano però lo spiazzava, perché Ludwig non aveva ancora capito a quale categoria appartenesse. Feliciano era una persona strana, ovviamente squisita, ma difficile da capire. Tanto per cominciare, era così sbadato da risparmiare agli altri ballerini la fatica di nascondergli le cose: lui le avrebbe perse comunque, perfino in una stanza completamente vuota. Inoltre, Feliciano era sempre disponibile con tutti. Era capace perfino di rinunciare alla sua mezz'ora di stretching pur di aiutare Lili, una ragazza che aveva soltanto quindici anni, ad ammorbidire le suole alle sue scarpette.
«Ve, sei teso, non è vero?»
Ludwig lo fissò, Feliciano gli sorrise raggiante e allora lui scostò lo sguardo.
«No, affatto.»
«Ah, inutile che fai il duro!», gli disse, appoggiando le mani sulle sue spalle, «Lo so che sei emozionatissimo!»
Auto-convincendosi che sarebbe stato completamente inutile protestare, Ludwig sbuffò ed annuì in maniera impercettibile.
«Ve, lo sapevo! Io la paura la sento a pelle!»
Ludwig sollevò un sopracciglio, domandandosi perché mai Feliciano fosse così esperto di quel tipo di sentimento.
«Allora Lud, che variazione porti?»
«Lago dei Cigni», rispose velocemente, mentre accendeva le luci attorno allo specchio, per truccarsi.
«Mi piace Sigfrido!»
«Non la variazione di Sigfrido, però», specificò, «Non mi piaceva l'idea di un principe che si fa prendere in giro da una donna e da un uccello.*»
Feliciano rise, Ludwig non capiva che cosa ci fosse di tanto divertente in ciò che aveva appena detto.
«Ve, adesso torno dal mio fratellino, che non era nemmeno molto contento del fatto che io venissi qui da te. Ci vediamo, Lud, ciao!»
Lui si limitò ad un cenno della testa, mentre il ballerino italiano spariva di nuovo oltre la porta.
Aveva conosciuto Feliciano appena un giorno prima. Tra gli altri quattordici finalisti, non capiva per quale assurdo motivo dovesse attaccarsi a lui proprio una persona tanto rumorosa e loquace. Feliciano gli aveva stretto la mano con tanta energia da agitarlo fino alle spalle, dopo di che aveva cominciato a raccontare la storia della sua vita (e di quella di suo fratello) e Ludwig l'aveva registrata quasi inconsciamente.
Lovino (così doveva chiamarsi) e Feliciano vivevano rispettivamente con la madre e con il padre, separati quando loro due avevano poco più di dieci anni. Entrambi però erano stati ammessi, all'età di quindici anni, all'Accademia Nazionale di Roma. A Feliciano Roma piaceva, perché gli ricordava veramente tanto i racconti di suo nonno, che aveva visitato praticamente ogni angolo di quella città. Era stato proprio grazie a lui che i due fratelli si erano decisi ad affrontare quel provino. Fortunatamente per entrambi, visto le doti interpretative e coinvolgenti di Feliciano, e la tecnica e la dedizione di Lovino, il Grand Prix che si stava tenendo a Parigi in quei giorni non era poi così irraggiungibile. E quindi, preparate le adeguate variazioni, si erano iscritti ed erano passati alla fase finale.
Ludwig pensò che quella storia probabilmente era simile a quella di suo fratello, con l'unica differenza che, nel caso di Gilbert, si era trattata di pura fortuna, e che mai e mai un tipo come lui avrebbe potuto immaginare di arrivare ad un livello così alto. Gilbert aveva le doti e non le usava, credeva che la danza, almeno nel suo
meraviglioso caso, potesse basarsi su un'espressione convincente e su una presenza scenica niente male.
Pensare a suo fratello lo aveva fatto distrarre come al solito. Doveva finire di truccarsi e doveva trovare l'equilibrio psicologico per affrontare la giuria. Chiuse gli occhi, si concentrò.
Ludwig sentì una voce femminile con un forte accento francese parlare al microfono e annunciare che la finale del concorso sarebbe cominciata fra
quindisci minuti.



Eppure rimase coi piedi per terra, il Lago dei Cigni.


A Ludwig la danza piaceva, dava ordine alla sua vita. La danza gli diceva cosa mangiare, quanto mangiare, quando mangiare, quando andare a dormire, quanto allenarsi, dove allenarsi, fino a che punto sforzarsi. La danza lo spingeva oltre i limiti del suo fisico e lo aiutava a riscoprirne di nuovi, lo aiutava a crescere dentro e fuori.
La tensione che precedeva la sua performance faceva parte di questo tipo di cambiamento, una crescita attraverso la conoscenza che era cominciata quando lui aveva soltanto sei anni.
Ludwig inspirò ed espirò lentamente, ripassando mentalmente i passi, dove e quando sorridere, in che modo usare le braccia. Il suo corpo avrebbe dovuto fuggire da Parigi, volare in un castello e rimanere lì per un paio di minuti. Ludwig non era più Ludwig, le quinte sparivano e venivano sostituite da pareti di pietra, i riflettori diventavano lanterne e candele, la giuria erano dame e principesse.
Ma Ludwig purtroppo rimase a Parigi, coi piedi per terra ed una bottiglia d'acqua tiepida stretta tra le mani.
Qualcuno gli batté una pacca sulla spalle, la telecamera restava puntata sul suo profilo.
«Numero centonovantadue, Ludwig Beilschmidt, dalla Berlino Dance Academy. Lui interpreta la variazione maschile dal Pas de Trois del Lago dei Cigni di Petr Il'ic Cajkovskij.»
Ludwig chiuse gli occhi e sospirò di nuovo. Era concentrato, si era allenato per settimane, addirittura mesi. Non aveva nulla da temere, lui non era spaventato come invece Feliciano aveva cercato di convincerlo. Anzi, era rilassato, stava per fare una delle cose più naturali che sapeva fare. Non doveva dibutare di se stesso.
Qualcuno gli fece segno di entrare, Ludwig sollevò il mento. Punta, pianta, tallone, punta, pianta, tallone, punta, pianta, tallone. Il pavimento scivolava lentamente sotto i suoi piedi e lui nemmeno se ne accorgeva. Lanciò uno sguardo veloce alla giuria, prima di mettersi in posa e poi cominciare a ballare.

«Ve, Gilbert! Tuo fratello è proprio bravo!»
Un paio di gradinate più sotto, cinque metri in un corridoio scarsamente illuminato, seconda porta a sinistra, il resto dei ballerini aveva trovato la posizione più comoda per seguire Ludwig in diretta. C'era un televisore abbastanza grande da permettere a tutti di capire che cosa stesse succedendo in quel momento sul palco. Feliciano era letteralmente euforico e per questo si era già guadagnato qualche occhiata più che stupita. Gilbert aveva un'aria di sufficienza. Arthur, accovacciato sul pavimento, non staccava gli occhi dallo schermo nemmeno per un secondo. E Alfred fissava lui, ovviamente, chiedendosi se fosse un umano o un alieno, dato che non sbatteva nemmeno le palpebre.
«Wow, ma hai visto la punta nel jeté?»
«Eh?», fu l'unica risposta che riuscì a formulare quando vide quegli occhi verdi puntati direttamente sulla sua faccia.
«Niente», borbottò Arthur, continuando a seguire la variazione.
Francis aveva entrambe le braccia appoggiate sulla sbarra, accanto a lui un ragazzo stringeva in maniera spasmodica un orso di peluche. Probabilmente un talismano, un anti-stress o un portafortuna, ce n'erano tanti in giro.
«Bravo, vero?»
Il ragazzo lo guardò per un attimo, si sistemò gli occhiali sul naso ed annuì.
«Non ti ho mai visto a lezione, sei arrivato ora?»
«... Veramente c'ero a lezione, sono alla sbarra accanto alla tua.»
Francis sbatté le palpebre un paio di volte. Nella sua mente focalizzò Alfred, Arthur (che aveva catturato la sua attenzione molto spesso, per colpa dei pantaloncini troppo corti), Gilbert, Antonio e le ragazze; quelli erano i suoi vicini di sbarra, ma di quel biondino timido non c'era neanche l'ombra. Non tra i suoi ricordi, almeno.
«Oh, sì! Ho capito! Sì, mi ricordo di te!», il che era una sporca bugia.
Il ragazzo annuì, semplicemente.
«Comunque mi chiamo Francis, piacere.»
«Matthew...»
Antonio osservava la scena perplesso e si chiedeva per quale assurdo motivo Francis fosse così maledettamente bravo quando si trattava di fare colpo. E per quale assurdo motivo lui, che gli somigliava in molti aspetti, non aveva affatto la stessa capacità. Probabilmente però quel ragazzo (che era sicuro di non aver mai visto prima) si era semplicemente fidato di quello che poteva essere un viso amico ora che si trovava in un contesto così difficile da affrontare.
Per forza, doveva assolutamente essere così. E di conseguenza, con lui quella tecnica avrebbe avuto la stessa riuscita.
«Ehi», disse, avvicinandosi a uno dei due italiani (ovviamente quello che non si dimenava come un'anguilla davanti al televisore).
Lui gli rivolse un'occhiataccia, che ovviamente Antonio non colse.
«Ti ho visto ieri a lezione e... Cioè, sai, non sei mal- Ehi, io sono Antonio!»
… E forse sembrava anche un cretino.
«Lasciami in pace, bastardo, non vedi che sono impegnato ora?»
Antonio rimase perplesso, e per un attimo fu anche tentato di scappare da Francis e chiedergli qualche consiglio.
«... Come, scusa?»
«Sei anche sordo allora? Ho detto:
b a s t a r d o, lasciami in pace», gli ripeté il ragazzo, scandendo con precisione viscerale ogni singola lettera dell'insulto.
Antonio rimase a fissarlo a bocca aperta, mentre a qualche metro da loro, Elizabeta si godeva la scena. E sembrava anche parecchio divertita! Non si era minimamente accorta che se Gilbert non guardava suo fratello, allora si perdeva sulle sue curve un po' morbide. Non aveva il fisico di una ballerina, clavicole sporgenti come matite, costole che spuntavano sotto i vestiti o anche che premevano contro i body, Elizaveta era armoniosa, completamente, e forse proprio per questo nessuno dei suoi movimenti era mai sembrato spigoloso. Lei era sempre gentile, delicata, leggera come una piuma mentre volteggiava su pochi centimetri di gesso e raso rosa.
Quando si guardò attorno, notò gli occhi di Gilbert e lo vide distogliere immediatamente lo sguardo, senza capire.
«Che ti succede, aru?»
«Niente, quel tipo è un po' strano.»
«Ha la faccia da maniaco, aru.»
«Mh, hai ragione. Se si avvicina lo stendo.»
«Ti serve una mano, aru?»
«No, mi farò bastare una padella.»

«Ve! Lud, sei stato bravissimo!»
Quando Ludwig tornò dietro le quinte, il primo che lo accolse (forse fin troppo calorosamente) fu Feliciano. L'italiano gli era corso incontro con un enorme sorriso stampato in faccia, ovviamente a braccia aperte e lo aveva stretto con forza, continuando a ripetere quanto lui fosse bravo, forte, bello, quanto il suo collo del piede fosse impressionante, quanto avesse eseguito bene la variazione scelta. Ludwig si era limitato ad assumere un'espressione seria, forse un po' troppo burbera, vista la vicinanza di una persona così solare che creava troppo contrasto con lui, ma non se ne importò.
«Grazie», borbottò, afferrando un asciugamano.
Feliciano trotterellava dietro di lui, Gilbert gli rivolse un cenno con il mento, senza dire nulla. Quando arrivò davanti ad un ragazzo quasi sicuramente orientale, quello fece un piccolo inchino e si complimentò.
«Ve, Lud, tu conosci Kiku?», domandò Feliciano.
Ludwig scosse la testa. Non aveva nemmeno voglia di fare amicizia proprio ora che pensava che avrebbe potuto (o dovuto) ballare almeno mille, fosse duemila volte meglio.
«No.»
La sua era una risposta secca, mirata a far desistere ogni tentativo dell'italiano. Ma ovviamente era tutto inutile, visto che Feliciano sembrava ancora più intenzionato di prima a disturbarlo.
«Oh, allora penso proprio che sia arrivato il momento che voi due vi conosciate!», disse Feliciano, «Lud, lui è Kiku! Kiku, lui è il mio amico Lud!»






[619] Arthur Kirkland;

«Ma hai visto che roba?! Quel ragazzo è bravissimo! Oh, dannazione, ma lo hai visto? È praticamente perfetto!»
Arthur stava parlando da circa mezz'ora del medesimo argomento, e Alfred lo fissava come uno che aveva sentito parlare per circa mezz'ora del medesimo argomento. Eppure era stato lui a chiedergli di riscaldarsi insieme... Ma come gli venivano in mente certe idee?
«Oddio, e i salti! Ma hai visto che salti?! Cioè... Io non riuscirei a saltare così in alto, quel ragazzo ha dei muscoli eccezionali. E poi-»
«Arthur?»
«Che vuoi?»
«Basta adesso, okay? Se devi parlare così tanto dopo ogni variazione, io preferisco starmene con mio fratello Matthew.»
«Chi è Matthew?»
«Mio fratello.»
«Questo l'avevo capito. Intendevo sapere chi è tra tutti i ragazzi.»
«Ah.»
Alfred si voltò, le gambe ancora in spaccata e la schiena girata all'indietro. Arthur fissò per un attimo il solco che si creava tra le scapole e tra i muscoli, la linea sottile che evidenziava la colonna vertebrale, le spalle e-
«Quello lì.»
A qualche metro da loro, con la schiena appoggiata alla sbarra e il mento nascosto contro il pelo marroncino di un orso di peluche, c'era un ragazzo biondo, tremendamente simile ad Alfred, ma fortunatamente per lui molto meno rumoroso ed appariscente. Matthew (se quello era Matthew) sembrava piuttosto impegnato a seguire gli ampi gesti che Francis faceva con le mani mentre gli parlava.
«Poverino, credo che Francis ci stia provando con lui. Forse dovresti dargli una mano.»
«Ahahaha! È compito di un eroe come si deve!»
Arthur aveva un sopracciglio sollevato ed un'espressione praticamente sconvolta. Alfred lo stupiva sempre di più, perché adesso che credeva che la sua età mentale ammontasse più o meno a dodici anni, Alfred lo aveva fatto ricredere convincendolo che non arrivasse nemmeno di striscio ai sei.
«Ma forse è contento così, di solito nessuno parla con lui.»
«Alfred, dimentichi che Francis è un maniaco.»






[288] Kiku Honda;

La stretta di mano di Ludwig prima o poi lo avrebbe ucciso, o più semplicemente gli avrebbe spezzato le ossa.
Kiku aveva sentito a lungo gli elogi che Feliciano aveva fatto di lui. Essi non si limitavano soltanto alla danza, ma al suo carattere magnifico. Magnifico a detta dell'italiano. Kiku credeva che tutto ciò che poteva definirsi “simpatico”, “carino” o “magnifico” fosse lontano anni luce da Ludwig. Ludwig era una specie di militare in borghese (o in calzamaglia) che non scattava sull'attenti, ma che era costantemente rigido e serio. L'opposto di Feliciano, letteralmente, che però, in un certo senso, sembrava affascinato da lui.
Kiku per queste cose aveva sempre avuto occhio, interessarsi della sfera privata altrui era spesso più divertente che curarsi solo ed esclusivamente della propria. Soprattutto per quanto riguardava il campo amoroso.
Lui era solito offrire una visione visione di sé abbastanza vaga, troppo scarna per permettere a qualcuno di scoprire qualcosa sul suo conto. E questo gli permetteva di concentrarsi ed analizzare gli altri, sia nei loro particolari più fastosi, che in quelli più piccoli ed accennati.
Feliciano, ad esempio, era una di quelle persone che ben presto commettevano l'errore di fidarsi più degli altri che di se stessi, così come faceva con Ludwig, che aveva già innalzato a suo mentore e protettore. Ludwig, al contrario, tentava (quasi con successo) di mantenersi estraneo ad ogni legame, senza capire che era ciò di cui avesse più bisogno.
«Piacere di conoscerti, Ludwig.»





[559] Antonio Fernandez Carriedo;

Quella sera, a cena, molte cose erano cambiate rispetto al giorno precedente. Alcuni gruppi si erano consolidati, altri si erano appena formati. Tra una stretta di mano e l'altra, Antonio riconobbe la sagoma del ragazzo italiano che aveva visto quel pomeriggio.
Ne aveva parlato con Francis e lui aveva detto che quella sera sarebbe riuscito a presentarglielo, in un modo o nell'altro. Antonio non sapeva ancora che razza di scusa si sarebbe inventato, ma sperava che per lo meno non usasse metodi illegali e poco ortodossi. Ma si trattava pur sempre di Francis, quindi doveva prepararsi al peggio.
«Antonio!»
Qualcuno lo afferrò per le spalle e rischiò di farlo cadere. Dopo aver barcollato per qualche secondo, Antonio riconobbe attorno a lui i volti di Francis e Gilbert e quello di... E quello di una specie di armadio a tre ante che sembrava essere appena uscito da una caserma. Antonio alzò le mani quasi per istinto, biascicando frettolosamente un “sono pulito” con tanto di espressione sgomenta.
«Smettila di fare il cretino», disse Francis, ridendo.
«Lui è Ludwig, il fratello di Gilbert. Ma non l'hai visto ballare, oggi?»
Antonio ricordò vagamente di un tedesco, del Lago dei Cigni e di una faccia seria e quasi spaventosa, ma quel pomeriggio era stato troppo impegnato a fissare l'italiano e a provarci con lui (fallendo miseramente).
«Sai, Ludwig si è già trovato un ragazzino.»
«Non è il mio ragazzo, è solo un italiano petulante», si affrettò a specificare l'interessato.
Le parole “italiano petulante” destarono improvvisamente l'attenzione di Antonio, ma prima che potesse interessarsi oltre, sentì una specie di urlo flebile, che pronunciava il nome di Ludwig e quello di suo fratello.
«Scusate, ci abbiamo messo un po' di tempo perché io e Lovino ci eravamo incastrati!»
Mentre gli altri presenti si domandavano i che modo due ragazzi potessero restare incastrati, Antonio fissò l'italiano che aveva appena parlato. Era quello che, quel pomeriggio, non aveva fatto altro che ripetere quanto Ludwig fosse bravo a ballare. Accanto a lui, però, c'era anche-
«Feliciano!», disse Gilbert, sorridendo in direzione di Antonio, «Non ci presenti tuo fratello?»
Francis fu sicuro di vedere gli occhi di Antonio brillare per un attimo, non appena il fratello di Feliciano borbottò un “Lovino” e strinse un paio di mani.














*Ludwig si riferisce a Odile e a Rothbart, che riescono ad ingannare il principe e a fargli giurare amore eterno alla persona sbagliata.


Okay, lo ammetto, questa fic si sta praticamente scrivendo da solo e io ne approfitto finché le cose vanno così! :D
Per prima cosa, ora vorrei spiegare il motivo che mi ha spinto a scegliere quella variazione per Ludwig. È presa dal Passo a Tre del Lago dei Cigni e qualunque versione che ho visto, il ballerino è sempre rigido, serio e fissa sempre un punto in alto! XD In più ho visto che ogni ballerino che la esegue, punta molto sulla forza nei salti... E okay, quello che sto dicendo non interessa a nessuno, quindi passo direttamente alle risposte alle recensioni!

Stefy_rin: sappi che le stalker, se ti somigliano, allora sono sempre ben accette! Mi fa piacere leggere che la fic ti sia piaciuta così tanto. Era da un po' che volevo scrivere qualcosa sulla danza, visto che è la mia più grande passione, ma non ne avevo mai avuto il coraggio. Quindi sapere che questo esordio non ha fatto del tutto schifo... Beh, mi rende assai felice, grazie<3

Scricciola: spero che questo seguito ti sia piaciuto, nonostante l'USUK scarseggi un po'. D: Ho voluto introdurre un po' di coppie, come la GerIta, la Franada e la Spamano, ma prometto che presto anche Alfred ed Arthur avranno un bel po' di pagine Word dedicate a loro. =) In fondo restano pur sempre la coppia più bella!

Kiretta: anche io inizialmente ero un po' scettica all'idea di Alfred come ballerino. Ma poi, ricordandomi che razza di persona mi tocca sopportare a lezione, mi sono resa conto che anche lui potrebbe calzare a pennello nel suo ruolo! XD Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e, se non hai ancora [ri]visto la Sylphide, allora posso consigliarti quale cercare? *__* Se ti piace la storia, credo la versione migliore sia quella Nureyev/Fracci, se invece vuoi guardare bene i balletti, allora ti consiglio qualcosa di più recente, come quella Legris/Platel. Lei è veramente brava, io l'ho conosciuta grazie alla Sylphide e ho comprato il dvd della Bayadére dell'Opera di Parigi solo perché c'era lei che interpretava Gamzatti! XD

Ichibanme_Arisu: il rating non diventerà subito rosso, anzi, penso che ci vorrà ancora del tempo! Ad ogni modo, grazie per tutti i complimenti e ti prometto che prima o poi continuerò anche la fic che ho abbandonato mesi fa. E se lo dovessi mai fare, sappilo, sarà soltanto per te! XD Grazie mille per la tua recensione, alla prossima<3

emily ff: credo di inserire un link per ogni capitolo, per dare una vaga idea sul balletto. Perché lo so che probabilmente sono l'unica malata che conosce ogni coreografia, maschile o femminile, che conosce ogni ballerino e ogni versione di un grande balletto. XD Prometto che il capitolo arriverà presto, ho cominciato a scriverlo, quindi ormai è questione di giorni. =) Quella fic devo finirla, perché odio lasciare le cose a metà D: Grazie mille per il tuo commento, a presto!

AlterNeko: ti ho risposto su FB, ma ovviamente lo faccio anche io! Innanzitutto sappi che per me è un onore leggere una tua recensione, visto che ti ho ripetuto miliardi di volte che adoro il tuo modo di scrivere e che ti ammiro come autrice. Sono anche contenta che la caratterizzazione di piaccia, perché solitamente è la cosa che mi fa dannare più di tutte le altre! Spero di risentirti presto (e di leggerti presto anche qui su EFP ;P) un bacio!

Smary: quando c'è Francis nelle vicinanze un argomento poetico come quello dei culi è sicuramente d'obbligo, su questo non ci piove. La frase “ho passato le selezioni” con tanto di atmosfera di suspance credo sia più che naturale! XD O almeno per quello che ne so, visto che per ora non mi sono mai cimentata in qualcosa del genere, quando si arriva alle finali di un concorso internazionale è praticamente scontato che qualche compagnia famosa ti noti. A quel punto, il sogno di Arthur di essere anche solo un ballerino di quinta fila del Royal Ballet, comincia. =) Grazie mille per la tua recensione, a presto<3

inuyasha94: entra in una scuola di danza, guarda dei ragazzi ballare e poi conoscili anche fuori. Non ti sembreranno mai dei ballerini! XD Forse questo non basterà a spiegarmi, ma è così, almeno per quel che mi riguarda! XD Purtroppo in questo capitolo c'è soltanto un po' di Alfred/Arthur, ma tempo al tempo, devono ancora fare amicizia. ù__ù Ci risentiamo al prossimo capitolo, un bacio! :3

Robbuccia: Alfred effettivamente fa un po' strano come ballerino. E Feliciano e Lovino, sì, li vedo anche io più ferrati nel contemporaneo. In questo tipo di concorsi però (quelli internazionali) si punta soprattutto sul classico e quindi ho cercato di adattare più o meno tutti quanti e di scegliere balletti che potessero rifarsi alla storia dei personaggi. Ad esempio, nella Sylphide (ambientata in Scozia), il protagonista, James, vede delle creature fatate e si innamora di una di loro, ma nessuno crede alla loro esistenza... E insomma, fa molto Arthur con le sue fatine. XD A dir la verità, io non amo particolarmente la Spamano, ma so che in questo Fandom sono molti a shippare questa coppia e così ho provato a cimentarmi anche io nell'impresa... Sperando di riuscirci, ma ho dei seri dubbi! XD Grazie per la recensione, a presto! =)

Lalani: okay, lo ammetto, anche a me manca tanto Lituania. =( Avevo pensato di mettere lui e Polonia al posto di due ragazze, ma poi mi restavano quattordici giovincelli e soltanto una fanciulla, la cosa non sarebbe stata equa! D: Altrimenti avrei dovuto alzare il numero dei partecipanti, e a quel punto so che sarei andata nel pallone, perché ci sarebbero stati veramente troppi personaggi da gestire! D: Ad ogni modo, grazie per il commento, spero che la storia continui a piacerti! =)

yalexy: yeah, anche a te piace la Prussia/Ungheria. Ti ritenevo una persona totalmente stupida, ma forse (forse, forse, forse) non è così. Però potrei anche sbagliarmi. Alfred che balla è... Beh, direi una specie di pericolo che rischia di caderti addosso dal palco e quindi di farti stramazzare al suolo. Una mica vagante, o qualcosa del genere. Spero di riuscire a gestire tutte le coppie, visto che ho cercato di inserire almeno le più famose. ;w; Ma non so se riuscirò nell'impresa. Ad ogni modo, grazie mille per la tua recensione, perconsachemisembravaseriamachepoisièrivelatailcontrario.

AliDiPiume: beh, vedo che la fic ha avuto l'effetto tanto sperato di attirare qualche ballerino o ex ballerino (e magari privo di lattina di birra stretta in mano, visto uno dei tuoi ultimi commenti :D) Beh per ora Arthur non viene ancora conteso, ma dammi un po' di tempo e cominceranno un po' di guerre (dato che con tutte queste coppie è praticamente impossibile evitarne). Spero di continuare a vederti in giro e di risentirti presto, un bacio!






Vorrei fare un ringraziamento finale a tutti coloro che hanno recensito il primo capitolo. Non mi aspettavo che questa fic potesse piacere così tanto, ma ho comunque voluto scriverla. La danza è la mia più grande passione (e so che non importa a nessuno questa cosa xD) per questo penso di essermi affezionata particolarmente a questa storia. Spero continuiate ad apprezzarla e a commentarla, perché mi farebbe veramente molto piacere.
Adesso la smetto di annoiarvi e vi saluto, con la speranza di poter rispondere alle vostre recensioni nel terzo a capitolo. =)
Un bacio<3

Ci rivediamo nel prossimo capitolo con... Oh beh, vi lascio un indizio: Paquita; La coreografia non c'entra molto con il personaggio, ma la storia di questo balletto mi ricordava qualcuno! =)


Bye!



US<3UK ~ Il primo forum italiano dedicato alla coppia America/Inghilterra!

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Capitolo 3
*** [206] Era come scalare una montagna, Paquita. ***


[300] Francis Bonnefoy;

Arthur non ci aveva impiegato troppo tempo a rivelare che cosa fosse in realtà. Si trattava di una creatura strana, fisicamente imperfetta, ma pur sempre attraente. Gambe sottili, addominali vagamente visibili sotto le magliette attillate, spalle appuntite ed espressione seria. Se fuori Arthur era un ballerino completamente normale, di quelli che appartenevano più ai solisti che ai danzatori di passo a due, dentro era qualcosa di estremamente complicato.
Innanzitutto non ci si poteva avvicinare a lui senza un permesso esplicito. Perfino Alfred, che era invadente già di suo, ogni tanto indugiava davanti alle sue occhiate severe. In secondo luogo, Arthur riusciva ad essere contemporaneamente irritante ed irritabile.
Ormai era palese che Francis avesse un debole per lui (per lui come per molti altri ragazzi lì dentro), eppure Arthur continuava a fare il finto tonto... Oppure a torturarlo. Quarantotto ore non potevano di certo far sbocciare un amore, ma di solito la gente si era sempre dimostrata collaborativa – almeno con lui.
«Non vedo perché dovrebbe interessarmi.»
Arthur appoggiò la fronte sul pavimento, le gambe ancora aperte in una spaccata perfetta, ginocchia dritte e punte stese al massimo.
«Visto che io conosco la tua variazione, volevo che tu conoscessi la mia», rispose Francis, «così siamo due avversari alla pari, no?»
Arthur soffocò una risata nell'avambraccio.
«Ripeto: non vedo perché dovrebbe interessarmi. Io e te non saremo mai alla pari.»
Sebbene la frase formulata non fosse troppo difficile da comprendere, Francis indugiò soltanto per un attimo. Ma probabilmente Arthur si stava fingendo modesto, oppure molto presuntuoso ed anche un po' arrogante.
«Che cosa intendi dire?»
Di fronte a lui, Arthur si sollevò appena, poggiando i palmi delle mani sul pavimento di legno e flettendo i piedi.
«Quello che ho detto.»
«Cioè?»
«Che io e te non siamo allo stesso livello. La tua tecnica non mi piace.»
Arthur ci aveva messo due giorni scarsi a rivelare la sua vera natura. Quella di una persona distaccata, senza peli sulla lingua, che si permetteva di giudicare ma che non sopportava di essere giudicato. Un ragazzo solitario, che passava metà del tempo a studiare gli altri e che nell'altra metà si impegnava per superarli. Francis purtroppo non si sentiva combaciare con lui, per quanto fosse attraente, Francis purtroppo non riusciva nemmeno a sopportare gran parte dei suoi atteggiamenti spocchiosi.
«E che cosa ne sai tu? Mi avrai visto ballare sì e no una volta e tra l'altro stavo provando.»
«Ma ti vedo eseguire esercizi per tutto il giorno. E non mi piacciono i tuoi piedi.»
Arthur l'aveva detto con una punta di acidità, Francis lo fissava e si tratteneva a stento dallo sputargli addosso lo stesso veleno. Magari non ne valeva nemmeno la pena, magari alla fine Arthur avrebbe vinto il concorso e sarebbe stato così concentrato su se stesso da dimenticarsi di lui, oppure sarebbe arrivato quindicesimo e Francis gli avrebbe dato un fantastico schiaffo morale. Per ora, si limitò a tacere e a piegarsi in avanti, cercando di allungare i muscoli della schiena.
«Ahahahah! Voi vecchi state sempre in compagnia?»
Alfred lasciò cadere per terra la sua tracolla, Francis alzò la testa quando sentì il rumore metallico della miriade di portachiavi ed accessori che sbattevano sul pavimento, Arthur evitò di farci caso e di far caso al fatto che lui e Alfred si passassero sì e no quattro anni.




[315] Yao Wang;

Ciò che si diceva sugli orientali in un certo senso era vero e Yao se n'era fatto una ragione, in un modo o nell'altro. Almeno due o tre riuscivano ad arrivare in finale, grazie ad una tecnica eccellente e ad un fisico niente male, ma alla fine nessuno di loro (o quasi) riusciva a portare un premio fino a casa. Analizzando uno per uno tutti i concorrenti, Yao aveva capito quale avrebbe potuto essere il motivo.
C'erano due italiani e tra tutti i partecipanti erano quelli che aveva dato nell'occhio più di tutti gli altri (forse a causa del fratello minore, che era un ragazzo piuttosto rumoroso). Per loro la danza non era fatta di sbarra, pece e diagonali, per loro la danza era linguaggio, era divertirsi e coinvolgere gli altri. Fondamentalmente ciò che differenziava gli orientali da tutti gli altri era questo e bastava guardare Kiku, silenzioso, mentre si riscaldava.
«Qualcosa non va?»
Yao sollevò il mento di scatto. Davanti a lui c'era quel ragazzo russo che aveva visto il giorno prima a lezione. Era una persona inquietante, sorridente e disponibile, ma pur sempre inquietante. Yao pensava che avesse qualcosa come un piede di porco o un vecchio rubinetto arrugginito nascosto nello zaino. Anzi, ne era più che convinto. Magari il russo voleva manomettere il concorso frantumando qualche caviglia o assassinando una ballerina mentre si trovava da sola. Magari adesso toccava proprio a lui.





[206] Lovino Vargas;

Era come scalare una montagna. Un passo dopo l'altro, gli scalini che lo portavano al palco gli sembravano più ripidi. Lovino deglutì quasi a fatica, un groppo in gola ed una goccia di sudore impaziente che scivolava sulla sua tempia ancora prima che lui iniziasse a ballare.
Era come scalare una montagna, e i gradini erano ripidi e scivolosi, sassi appuntiti ai quali era praticamente impossibile aggrapparsi. E ogni volta che guardava verso l'alto, i riflettori lo abbaiavano e il sipario, raccolto sul soffitto, lo osservava. E ogni volta che guardava verso il basso, la giuria lo spaventava di più.
Era come scalare una montagna, e nessuno stava lì ad assisterlo, nemmeno suo fratello Feliciano, che tentava di tendergli una mano ogni qual volta lui si trovasse in difficoltà. Erano tutti lontani e probabilmente molti di loro speravano che lui scivolasse e che non ci fosse nemmeno un ramo rinsecchito a permettergli di salvarsi.
Era come scalare una montagna, e la cima di quella montagna era piena di sassi spigolosi ed appuntiti, che gli graffiavano i piedi e le caviglie. A volte era superficie viscida e la paura più grande era quella di cadere, di vedere gli occhi della giuria abbassarsi e scrivere qualcosa di negativo sui loro pezzi di carta bianca.
«Forza fratellone, io sono sicuro che ce la farai!»
E poi, quello era stato l'inizio dell'apocalisse.
Le previsioni di Feliciano non si erano mai avverate, anzi, molto spesso si era verificato l'esatto contrario. Al loro primo saggio di danza, suo fratello, entusiasta e praticamente uguale ad adesso nonostante all'epoca avesse sì e no cinque anni, gli aveva detto che loro due sarebbero stati i migliori e che nessuno avrebbe ballato meglio. Inutile dire che entrambi avevano avuto un gran mal di pancia prima di cominciare (forse a causa delle tonnellate di pizza mangiate) e che non avevano potuto ballare. Durante il primo anno di liceo, Feliciano era sempre più convinto che nonostante l'impegno della danza, la scuola sarebbe andata bene comunque e che nessuno dei due aveva da preoccuparsi, nonostante fossero lontani chilometri... A dispetto delle sue previsioni, però, a Giugno si sarebbero ritrovati con le teste chine sui libri e il terrore causato dagli esami di recupero.
Ed infine, la frase preferita di Feliciano quando veniva circondato dai bulli era “e poi dovrete vedervela con il mio fratellone!” (ovviamente seguita da un piagnisteo senza fine). E ovviamente, quando il fratellone arrivava, le prendevano entrambi.
Lovino deglutì a fatica e osservò ancora gli scalini. Adesso poteva mettersi l'anima in pace, perché era matematico che sarebbe andata malissimo e che ormai non c'era più niente da fare.
Nel frattempo, qualcuno alle sue spalle pronunciò il suo nome con aria concitata. Un rumore di passi veloci sul pavimento di legno e poi una mano sbatté tanto violentemente sulla sua spalla da farlo sussultare. Lovino si voltò di scatto e si ritrovò di fronte al viso congestionato di Antonio – se così si chiamava – e ad un'espressione letteralmente esausta, qualche goccia di sudore che scivolava giù dalla fronte ed un sorriso abbastanza stupido stampato in faccia.
«Che cosa ci fai qui, bastardo?»
«Finalmente ti ho trovato! Pensavo di non farcela!»
«E perché mi stavi cercando, idiota?»
«Ah, tuo fratello mi ha detto che avevi bisogno di qualcuno che ti aiutasse psicologicamente!»
«Mio fratello è stupido quanto te», borbottò Lovino, notando poi che Antonio continuava a fissarlo con quell'espressione, «okay,
quasi quanto te. Ma è stupido comunque.»
«Ad ogni modo, io volevo soltanto augurarti in bocca al lupo!»
Lovino, con le guance che si colorivano più del dovuto e le mani che cominciavano a sudare, si astenne dal ringraziare. Non si aspettava che qualcuno andasse lì ad assisterlo, immaginava tutti i ballerini appollaiati davanti al grande schermo del televisore che c'era nell'aula che usavano per riscaldarsi. E magari ognuno di loro gli augurava una sfortuna diversa (eccezion fatta per suo fratello, troppo buono ed ingenuo per farlo anche solo con il suo più acerrimo nemico).
«Tu non dovresti essere qui», disse tutto d'un tratto un uomo che aveva un microfono ad archetto.
Antonio gli mostrò un sorriso cordiale, ma l'uomo lo afferrò comunque per braccio e lo trascinò via.
«Lovino, non ti preoccupare, andrai benissimo! Io queste cose le sento a pelle!», gli strillò Antonio, mentre i talloni scivolavano sul pavimento e lui spariva oltre una porta.
Perfetto, la sua carriera era stata troncata sul nascere.





[471] Matthew Williams;

Alla fine non era stato poi così male arrivare a quella finale. C'era gente cordiale e simpatica, anche se a volte qualcuno dimenticava completamente la sua presenza. Matthew però riusciva facilmente a sopportarlo, in fondo era abituato ad essere scambiato per suo fratello praticamente da sempre. Perfino ai tempi del liceo, quando ad Alfred conveniva, decidevano di scambiarsi i ruoli. Stranamente, però, Matthew veniva sempre scambiato per Alfred, ma a nessuno veniva in mente di chiamare Alfred “Matthew”.
A Parigi però tutto era diverso, perché Matthew non era nessuno, così come Alfred era soltanto un numero cucito sul petto della sua divisa accademica.
«Matthew.»
Qualcuno, alle sue spalle, lo chiamò. Francis si inginocchiò accanto a lui e sorrise, allungando le gambe sul pavimento ed indicando lo schermo del televisore.
«Secondo te com'è quel ragazzo?»
Lui scosse le spalle e la testa.
«Non lo so, suo fratello mi sembra bravo.»
«Però i fratelli non si somigliano molto, non credi? Tu e Alfred non vi somigliate per niente.»
Effettivamente quella frase era un po' insolita, dato che Matthew non aveva mai sentito nessuno – sano di mente – che la pronunciasse con tanta naturalezza e sincerità.
«Dici... Dici davvero?»
«Sì.»
E in un certo senso, era la cosa più carina che qualcuno gli avesse detto nel corso di tutta la sua vita.




Era come scalare una montagna, Paquita.


[559] Antonio Fernandez Carriedo;


Qualcuno pronunciò il suo nome, probabilmente Francis, ma non ricevette risposta. Antonio andò ad inginocchiarsi di fronte allo schermo del televisore, accanto a Feliciano e lanciò un'occhiata al ragazzo. Era carino almeno quanto Lovino, ma era gentile, servizievole e disponibile. Praticamente l'opposto di suo fratello. E se qualcuno li avesse sentiti aprir bocca uno dopo l'altro probabilmente avrebbe pensato che si somigliavano in quanto erano cugini alla lontana.
Forse gli piaceva proprio questo di Lovino, il suo broncio, la sua aria indisponente che rendeva ogni conquista un po' più difficile e un po' più sofferta.
Non gli piaceva avere tutto e subito.
«Ve, hai trovato il fratellone prima di tornare qui?»
«Certo! E mi sembrava anche piuttosto rilassato!»
Il fatto che Lovino avesse già sudato sette camicie (e non per la fatica, ma per la paura e l'ansia) magari era passato inosservato ai suoi occhi.
«Ah, meno male! Di solito il fratellone in queste situazioni è sempre molto agitato!»
Antonio ridacchiò e appoggiò il peso sui gomiti, rimanendo quasi sdraiato sul pavimento a fissare lo schermo, come stavano facendo tutti gli altri.
Bastava guardare Arthur, che si era completamente dimenticato della presenza gigantesca di Alfred e che si stava più o meno immedesimando nella telecamera fissa sul palco. O Feliciano, che adesso che qualcuno cominciava a parlare al microfono iniziava a mordersi le unghie per la disperazione.
«Numero duecentosei, Lovino Vargas, dall'Accademia Nazionale di Danza di Roma. Lui interpreta la variazione di Lucien d'Hervilly di Paquita di Edouard Ernest Deldevez e Léon Minkus.»
Antonio non poté fare a meno di sorridere, mentre le luci si abbassavano e dalle quinte di sinistra proveniva un rumore felpato di mezze punte. Lovino aveva scelto un balletto ambientato in Spagna, in cui Paquita era una giovane gitana e Lucien un ufficiale francese che si sarebbe presto innamorato di lei. Dopo anni di creature irreali, Paquita aveva rappresentato di nuovo il trionfo della passione e di una fanciulla viva e vera nella storia del balletto. Era una delle opere che Antonio preferiva, perché il paesaggio spagnolo sullo sfondo lo aveva sempre fatto sentire a casa, quando gli era capitato di danzare lontano dalla sua bella terra e di interpretare uno dei personaggi di quel celebre balletto.
E il fatto che ora Lovino si calasse nei panni di uno di loro era indiscutibilmente un segno del destino.





[206] Lovino Vargas;

Il fatto che il primo jeté fosse andato bene non significava che sarebbero andati bene anche tutti gli altri. Infatti, la più piccola incertezza prima di un passo, lo deconcentrava.
Lovino ed il suo amore per danza erano conosciuti nelle terre calde dell'Italia. Un ragazzo che studiava in una piccola scuola ad almeno un'ora di autobus da casa, un maestro severo che sembrava esigere più di quanto lui potesse dare. Il fatto che fosse portato o meno non importava, se voleva ballare – e con “ballare” l'insegnante intendeva “ballare davvero”, su un vero palco, con una vera orchestra e davanti a un vero pubblico – Lovino doveva impegnare tutto se stesso, a partire dalla punta dei piedi per finire alla cervello. Doveva svuotare la sua mente, uscire da Lovino e diventare Lucien, Solor, Sigfrido, Conrad, Romeo, James, Albrecht o Basil.
Ogni volta che ballava Lovino preferiva ripetersi quelle parole, piuttosto che la coreografia. Ricordare il viso del suo maestro mentre gli urlava le parole “en dehor!” con la stessa voce di un soldato che gli puntava un fucile contro il petto.
Per questo il tour a l'aire risultò piuttosto semplice, con un plié che non lo fece titubare, il sorriso mentre sollevava un braccio e uno sguardo rivolto ai giudici.
Ballare lo faceva sentire a casa, lo faceva tornare nel suo piccolo paese, in cui ogni incontro con i coetanei diventava una sfida, in cui i bambini si rincorrevano senza uno scopo ben preciso o cominciavano ad interessarsi alle “ragazze”. E adesso lui era uno di loro, di nuovo, che ballava davanti davanti alla più carina, quella con i capelli neri, la pelle un po' scura ed un fiore stretto tra le mani. E magari si chiamava Paquita.
Notò lo scatto di un fotografo, mentre aveva il mento alto, un'espressione completamente diversa dalla solita ed una gamba alzata oltre i novanta gradi. Aveva ragione, sua madre, quando diceva che durante un balletto Lovino sembrava un'altra persona. E poi gli batteva una mano in testa e gli arruffava i capelli.
Una piroetta perfetta e Lovino tornò indietro, sul fondo del palco. E adesso arrivava la parte che lui aveva sempre considerato la più difficile, quella durante la quale il suo maestro gli urlava di incollare i piedi al pavimento e di non indugiare durante un salto. Lui eseguì, e salto dopo salto tutto gli sembrava più semplice e il suo corpo diventava più leggero, già si immaginava l'espressione di Feliciano che gli correva incontro e lo abbracciava, o quella di Antonio che si sarebbe complimentato con lui con quella faccia da idiota e-
Gli erano bastati un paio di secondi, dopo l'ultimo salto Lovino finì la variazione su un ginocchio, ma poggiò una mano a terra per non perdere l'equilibrio. Ovviamente quel gesto gli avrebbe fatto perdere punti, e sperava vivamente che almeno un paio tra i giudici non l'avessero notato.
Si alzò in piedi e dopo un inchino veloce scappò via. Doveva trovare Antonio e strozzarlo il prima possibile, perché la colpa naturalmente era di quel bastardo, che gli tornava in mente nel momento sbagliato.




[619] Arthur Kirkland;

Arthur continuò a fissare lo schermo fino all'ultimo nanosecondo prima che diventasse completamente nero. Quel concorso doveva coinvolgerlo parecchio, se era così interessato ad ognuno dei partecipanti.
«Andiamo, Kirkland», buttò giù Alfred, battendogli una poderosa manata sulla spalla, «non fare quella faccia da pesce lesso.»
“Kirkland”, che fino a quel momento aveva preferito ignorare quel ragazzone egocentrico piuttosto che avere una nuova conversazione con lui, si voltò semplicemente per fulminarlo con gli occhi.
«Non ho una faccia da pesce lesso,
Jones
Alfred gli mostrò trentadue denti bianchi e avvolse le dita attorno al suo braccio sinistro.
«Che stai facendo, razza di pachiderma rapito dal suo habitat?!»
«Andiamo a farci un giro! Non dirmi che hai ancora voglia di stare qui a riflettere sulla figuraccia che farai tu su quel palco!»
Arthur arrossì fino alla punta dei capelli, per la rabbia, decisamente non per l'imbarazzo, e strattonò inutilmente il braccio. Infatti la presa di Alfred rimase salda e il suo sorrisone non mutò di una virgola.
«Non farò una figuraccia e non avevo nemmeno intenzione di rimanere qui!»
«Allora esci con me!»
«... Cosa?»
Okay, forse la sua voce poteva sembrare un po' acuta e vagamente isterica adesso, ma chiunque avrebbe reagito così qualora un ballerino alto e biondo chiedesse di uscire insieme in pieno centro parigino.
«Esci con me! Non è un appuntamento, sia chiaro, non ho intenzione di allungare le mani su di te o altro... Anche perché mi è sembrato di averti detto che il tuo sedere non mi piace.»
«Sì, lo hai detto.»
«Perfetto, grazie per avermelo ricordato! Adesso possiamo andare?»
Arthur balbettò qualche parola senza senso, che riguardava il concorso, il fatto che gli fosse stato categoricamente vietato allontanarsi (ah, gli insegnati che temevano addirittura un leggero raffreddore!) o che entrambi si erano stancati a lezione e che sarebbe stato meglio per tutti e due farsi una bella dormita. Ovviamente Alfred, che aveva orecchie soltanto per se stesso, non sembrò comprendere nessuno di quei balbettii.
«Perfetto! Lo sapevo che avresti accettato!»
«Io non ho accettato! E poi, Alfred, guarda come siamo vestiti!»
Arthur indicò i proprio pantaloni, leggermente larghi e gli scaldamuscoli che nascondevano le caviglie, l'orlo della maglietta bianca nascosta da una felpa enorme e spessa. E Alfred, con la sua calzamaglia nera e le scarpe da tennis della stazza di carri armati abbandonate in un angolo della sala, di certo non era messo meglio.
«Ahahahah! Andiamo, Kirkland! Nessuno farà caso al tuo abbigliamento se affianco hai un eroe come me!»
Fu inutile cercare un nesso logico tra le frasi di Alfred, e in un certo senso fu anche impossibile. Alfred aveva di nuovo afferrato il suo braccio, trascinato Arthur verso il suo paio di scarpe da tennis nere con la suola spezzata e poi indossato le proprie alla velocità della luce. Arthur notò anche lo sguardo di Francis che li seguiva, mentre Matthew capiva meno della metà di quanto stesse succedendo.
Quando la porta del teatro scomparve alle sue spalle, capì soltanto che il giorno dopo avrebbe dovuto evitare di parlarne con chiunque, se non voleva fare i conti per telefono con le urla isteriche e inferocite della sua insegnante.
E subito dopo, realizzò in che razza di situazione si fosse cacciato. Era a Parigi, in Francia, in una delle Nazioni che più detestava al mondo, con l'americano più rumoroso e zotico che avesse mai vissuto sulla faccia della terra.














Non dovrei mai smettere di scusarmi per l'immenso ritardo col quale aggiorno le mie FanFiction, ma purtroppo non posso farci nulla dato che devo studiare per i quiz all'Università. ;w; Ad ogni modo, spero che possiate perdonarmi e che continuiate a seguirmi comunque!
Ammetto che inizialmente il ballerino di questo capitolo avrebbe dovuto essere Antonio, ma poi ho finito per scegliere Lovino dato che per Antonio ho trovato una variazione decisamente più appropriata. ù__ù Quindi, chi nella recensione aveva scritto che probabilmente ci sarebbe stato Antonio... Beh, in un certo senso aveva detto bene!
Se a qualcuno potesse mai interessare la storia del balletto Paquita (anche se ne dubito xD) può facilmente trovarla qui Paquita. :3 Anche se le informazioni di Wikipedia sono scarne e in giro non se ne trovano di migliori. D:
Ad ogni modo, adesso passo alle risposte alle vostre recensioni che sono state talmente tante da stupirmi ogni volta che quel numerino aumentava di uno! Grazie mille, siete stati tutti molto gentili! :D

AlterNeko: mi fa piacere sapere che l'idea di accostare la variazione al capitolo ti sia piaciuta! *___* Credo che continuerò a farlo con tutti, perché mi rendo conto che è praticamente impossibile conoscere a memoria tutti i balletti (nemmeno io so alla perfezione le variazioni maschili! XD). E sono felicissima di sapere che l'idea della danza non ti annoi, ma che ti stia facendo appassionare a quest'arte, dato che ho sempre il terrore di ammorbare qualcuno! Grazie mille per la tua recensione, sei sempre gentilissima! Un bacio<3

Ichibanme_Arisu: io te l'ho promessa quella fic e se la continuerò sarà solamente per te, sappilo! :D Credo di inserire Svezia nel prossimo capitolo o in quello successivo, ma non come partecipante al concorso, dato che nel primo capitolo li avevo già elencati tutti. Adesso ti saluto con un “cesso del capo” u___ù Grazie per la tua recensione! :D

Fire Angel: Matthew comparirà presto, in questo capitolo ho preferito dare più importanza alla Spamano! ^^; Ma comunque sappi che il canadese prima o poi sarà MOLTO, ma MOLTO importante e soprattutto non sarà più invisibile! :D E con questo ho detto troppo, quindi basta spoiler. ù_ù Noto che a leggere questa fic ci sono comunque molti disertori della danza classica, almeno sono riuscita a riunirvi! *___* Spero che la storia continui ad appassionarti (nonostante l'USA/UK xD) Al prossimo capitolo!

Robbuccia: Sìsì, Tino ci sarà! Non come partecipante, ma presto apparirà al fianco del suo Susan! :D Sono contenta che ti piaccia Antonio, e spero che continui a piacerti anche in questo capitolo, dato che ho il terrore di andare OOC ogni volta che non scrivo di Alfred e di Arthur. D: Con la speranza che questo capitolo non ti faccia totalmente schifo, ti saluto! ;D

Aka Tomate: okay, FrUK no, USUK no, GerIta no, PrUngheria... Boh? Vabeh, almeno c'è la Spamano che ti piace! >:D Sono contenta che le risposte scurrili di Lovino siano state di tuo gradimento, ammetto che mi diverto non poco a scriverle! E spero di non aver rovinato la tua coppia con questo capitolo, dato che non sono molto brava – anzi, dato che non sono affatto brava a scrivere su di loro. E non dire che a danza facevi schifo, secondo me avevi un talento nascosto che tardava a rivelarsi! :D Baci, a presto!

Lalani: sappi che quando hai scritto di aver visto il Lago dei Cigni alla Scala sono rimasta per almeno cinque minuti a fissare lo schermo del pc e a rodere dentro per l'invidia... Le mie esperienze purtroppo si limitano a due. D: Con Feliciano ci eri andata vicino, dato che poi si è trattato di Lovino. Ma la variazione di Feliciano sarà più incentrata sulle doti di un personaggio un po'... Amatore? Innamorato? Non so, non saprei come definirlo senza farlo capire, visto che Feliciano interpreterà la parte di uno dei protagonisti di una storia che tutti conosciamo. :3 Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, baci<3

eithriadol__: tu donna, e questo nick difficile che non so mai scrivere e che non sono sicura di aver scritto bene. Innanzitutto sappi che una recensione forzata è per sempre una recensione e che si ti pesa il culo (o le dita) a scrivere tu devi farlo lo stesso perché mi vuoi bene. Passando ad altro, sono contenta che i personaggi ti siano sembrati IC, dato che io ho odiato ognuno di loro e soprattutto me stessa per aver scritto così male (e non osare contraddirmi, fic mia, comando io!). I cessi col mento valli a fare tu, ILU<3

giuliettaz91: leggere una recensione così, di una persona che non conosce la danza ma che comunque mi scrive che la mia fic le piace, mi rende veramente felice! Ammetto che all'inizio ero un po' scettica anche io a scrivere una storia del genere, dato che viene difficile immaginarsi un Alfred in calzamaglia (stesso dicasi per Ludwig, ad esempio), ma poi l'ho fatto e non sono più riuscita a fermarmi! *___* Spero che la storia continui a piacerti e grazie mille per la tua recensione! Un bacio =)

inuyasha94: e qui c'è tanto USUK (nonostante la presenza dilagante di Spamano) quindi spero di averti fatta felice. E nel prossimo capitolo, penso di descrivere anche questo fantomatico pseudo-appuntamento! ù__ù E Ludwig che mette allegria credo sia una cosa più strana di vederlo ballare! XDDD Un bacio e a presto!

AliDiPiume: credo che quella recensione la salverò la stamperò e me la appenderò in camera, dato che è qualcosa di contemporaneamente raro e divertente! Magari qualche volta bevi un bicchierino dopo una fic, così ripeterai l'esperienza! :D Kiku sappi che è un'incognita anche per me che scrivo, questa fic è stata così improvvisa che non ci ho ancora pensato, detta in tutta sincerità. ò_ò L'unica certezza è che non finirà MAI e poi MAI con Alfred o Arthur. Amen. Nella speranza che tu continui a seguire (e magari a recensire in pieno delirio alcolico) ti saluto! :DDD

smary: sono felice che l'Icness (ma a me piace un sacco questa parola xD) di Elizaveta, Lovino e Matthew ti sia piaciuto.. E ammetto che per l'ultimo ho una specie di predilezione, dato che dopo Arthur è il mio personaggio preferito! :D E sono ancora indecisa se salvarlo o meno dalle grinfie di Francis, ho bisogno di tempo per rifletterci un po' su. u__u Per ora ti saluto, un bacio e un grazie immenso per la recensione!

Stefy_rin: nonostante tu non conosca la danza, sei riuscita quasi a indovinare. Paquita, la gitana spagnola, e Antonio (che poi però ho deciso di sostituire con Lovino). E sono veramente contenta che le scene appaiano realistiche, dato che in questa fic mi sono sganciata MOLTISSIMO da Hetalia e ho calato i personaggi in vesti completamente diverse. Spero che continuerai a seguirmi, baci<3

IlyuChan: sono veramente lusingata dal fatto che la storia ti piaccia così tanto! *__* E ammetto che la tua recensione mi ha fatto quasi... Sì, emozionare. In questo capitolo Antonio e Lovino hanno avuto molto spazio, ma sappi che non finisce qui, dato che voglio combinare qualcosa a questi due. :3 Sono contenta che tu ti stia interessando anche alla danza, dato che è la mia più grande passione e che mi piacerebbe condividerla praticamente con chiunque! :D Grazie mille per la tua (bellissima recensione), a presto! =)

Aerith1992: felicissima che la storia ti piaccia e spero che anche quest'altro capitolo ti faccia appassionare! Baci e a presto! *___*






E nel prossimo capitolo, finalmente una ragazza! =) Giselle;
E come sarà andato l' “appuntamento” di Alfred e Arthur? E Antonio sarà sopravvissuto alle grinfie di Lovino?
:D

E...
Le vostre recensioni mi hanno resa contentissima e ogni volta rispondere è un vero piacere, spero che questa fic continui a piacere a voi e a me e che io possa ancora condividere la mia passione e le mie idee con i lettori.
Grazie a tutti quanti.

Bye!


US<3UK ~ Il primo forum italiano dedicato alla coppia America/Inghilterra!



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Capitolo 4
*** [231] A lei bastava soltanto ballare, Giselle. ***


[619] Arthur Kirkland;

«E poi ho fatto uno stage con l'American Ballet e tutto mi è sembrato più facile. Sai, credo di essere portato per stare sul palcoscenico, la gente che mi guarda e che mi acclama... Sì, è decisamente quello che fa per me. Mi fa sentire bene e soprattutto amato. Penso che ballare mi piaccia proprio per questa, perché amo l'idea di una platea che ha gli occhi puntati solo e soltanto su di me.»
Il monologo che Alfred aveva intrapreso almeno tre quarti d'ora prima lo stava stordendo. Arthur, con in mano una bottiglia d'acqua e un sandwich leggero, ne risultava quasi intontito, travolto da quel fiume di parole strascicate con accento oscenamente americano. E Alfred, col suo bicchierone di Coca Cola colmo fino all'orlo e il suo cheeseburger triplo, sembrava averne ancora per molto.
«La prima volta che ho ballato su un vero palco è stato quando avevo dodici anni. Conosci il Youth American Grand Prix? Ecco, era quello. E ovviamente un eroe come me è arrivato in finale! Portavo la variazione di Albrecht di Giselle, conosci? Eh sì, ovvio che la conosci, figuriamoci. E sembrava fatta apposta per me, sai? Un innamorato che crede di salvare la sua donna dalla morte! Ah, soltanto un eroe come me poteva interpretare così bene un balletto del genere!»
Probabilmente, se Alfred parlava così delle imprese compiute durante i suoi anni di carriera, doveva avere alle spalle parecchie vittorie, la mensola della camera da letto colma di coppe e trofei e le mura tappezzate di foto che lo ritraevano con i più grandi nomi della danza.
«E quindi hai vinto? Al Youth American Grand Prix intendo.»
Invece Alfred borbottò qualcosa riguardo al fatto che la finale fosse più che truccata – qualcosa che alle orecchie di Arthur suonò molto poco convincente – e affondò i denti nel suo panino.
Qualche minuto dopo, trascorso in un rigoroso (quanto sacro) silenzio, si sedettero su di una delle panchine che si trovavano di fronte al teatro. Il palazzo era illuminato completamente, ricoperto di sfumature gialle, arancioni e rosa. Ad Arthur tutto quello sembrava un sogno che prendeva vita, calpestare gli stessi pavimenti sfiorati dai piedi delle più grandi celebrità. Nomi come Margot Fonteyne, Rudolf Nureyev o i più recenti, come Isabelle Guerin o Elisabeth Platel. Il suo sogno diventava concreto e si trasformava nell'immagine di Emmanuel Thibault o di Manuel Legris che regnava sul palco dell'Opera di Parigi.
«Davvero bello, non trovi?»
Arthur sussultò, era così preso dai suoi pensieri che si era completamente dimenticato della massiccia presenza che se ne stava seduta accanto a lui e che sorseggiava quantitativi inimmaginabili di Coca Cola.
«Sì», mormorò, annuendo, «Parigi è una bella città. Peccato per i francesi.»
Era ormai noto a tutti i partecipanti al concorso ormai (specialmente ad Alfred o a Francis stesso) che Arthur non amava molto i francesi, e che dover rimanere in Francia per almeno due settimane non gli piaceva come idea, né lo faceva sentire al sicuro. Gli sembrava un posto subdolo e talvolta ingannevole. Non era affatto come la sua Londra, bella, elegante e sicura quando attraversava la strada.
«E tu invece?»
«Cosa?», domandò, voltandosi di nuovo a guardare Alfred.
«Non mi hai detto niente di te. Non che mi interessi, sia chiaro, ma preferisco conoscere i miei avversari, per quanto siano innocui! Aahahahah!»
Arthur sollevò un sopracciglio, chiedendosi se quella fosse un'offesa o l'ennesima sciocchezza fuoriuscita in maniera incontrollata da quelle labbra sporche di briciole.
«Cosa dovrei dire, sentiamo.»
«Che ne so... Che variazione porti, quanti anni hai – questo perché ho fatto una scommessa con Antonio –, qualcosa sulla danza, uno stage, un concorso.»
«James, dalla Silfide, hai presente? Ho l'impressione che tu non oltrepassi l'ignoranza, purtroppo. Ho ventitré anni. Che genere di scommessa? Uno stage col Royal Ballet, un paio di anni fa e tre concorsi.»
Arthur cercò di essere più telegrafico possibile, mentre Alfred sbadigliava, si stiracchiava e allungava un braccio appoggiandolo poi allo schienale della panchina, proprio dietro l'altro ballerino.
«Giusto, stavo quasi dimenticando l'impegno preso, piazzarmi sotto il palco e fotografarti le mutande – perciò frena la lingua, Kirkland, so cos'è la Silfide. E comunque, io e Antonio cercavamo di capire quanti anni hai. Mi davi l'idea di uomo vissuto che non invecchia mai, non più di quanto lo sei ora almeno, tipo gli Highlinder. Non vivono lì da te?»
«No, vivono in Scozia.»
«È quello che ho detto, l'isola è la stessa. Ad ogni modo, Antonio era per i trenta, io per sicurezza gli ho risposto che un trentacinque ti calzava a pennello.»
«Non so chi di voi due odio di più.»
«Ahahahah! Non preoccuparti, non dirò a nessuno che in realtà sei giovane!»
Nel frattempo, Alfred ne approfittò per stringere la spalla di Arthur con una mano e tirarlo a sé, mentre Arthur sembrava voler strangolare la sua bottiglia oppure incenerire le aiuole di fronte a loro con il solo uso dello sguardo.
«Andiamo, Arthur! Lo sai che stavo scherzando!»
«Sì», borbottò, guardando Alfred con aria arrabbiata, «ma non è divertente.»
Alfred ricambiò la sua occhiataccia con un enorme sorriso, uno di quelli che potevano abbagliare, uno di quelli che, uniti allo sfondo del teatro dell'opera, all'atmosfera parigina e al calore del braccio di Alfred attorno alle sue spalle, avevano il potere di ridurre il quoziente intellettivo di Arthur ad un misero zero. Alfred abbassò leggermente il viso, Arthur mosse le caviglie negli scaldamuscoli di lana e trattenne a stento un lamento dovuto un po' all'ansia e un po' alla preoccupazione.
E nel frattempo il viso di Alfred era sempre più vicino, i centimetri diminuivano e il battito cardiaco aumentava, così vicino da rendere visibile ogni particolare del suo viso, e fortunatamente Arthur ebbe il tempo necessario per registrarli tutti.
Nonostante la temperatura si fosse abbassata parecchio, Arthur riusciva a sentire soltanto il calore. Eppure qualche ciuffo biondo cominciava a rizzarsi dietro il suo collo, e aveva la pelle d'oca sulle braccia e sulle gambe.
«Io... Io devo tornare in camera mia», disse all'improvviso, facendo allontanare Alfred nell'immediato, «la mia insegnante mi ha raccomandato più volte di non andare a letto troppo tardi.»
Detto questo, Arthur si alzò di scatto e camminò velocemente in direzione del loro albergo, senza nemmeno preoccuparsi di conoscere la reazione di Alfred.




[342] Gilbert Beilshmidt;

Alla fine era riuscito a scoprire il nome di quella ragazza. E grazie a quei ficcanaso di Francis e Antonio era venuto a conoscenza di parecchi altri aneddoti sul suo conto. Elizaveta era nata e cresciuta nel cuore dell'Ungheria, aveva conosciuto Aleszja Popova e più volte aveva ballato con nomi importanti del Balletto Ungherese. A primo impatto non sembrava essere una ballerina, gli accenni di curve e l'atteggiamento un po' mascolino non richiamavano la figura leggera ed armoniosa della danzatrice. Nonostante ciò però, Elizaveta era bella. Una bellezza che non appassiva, Elizaveta era come un fiore, dai lineamenti morbidi come petali.
A Gilbert non capitava spesso di fare pensieri del genere, anzi, a Gilbert non capitava mai di fare pensieri del genere. Eppure, con lei, non era possibile che non accadesse.
Se avesse dovuto usare un solo aggettivo per descriverla, Gilbert avrebbe scelto la parola “luminosa”. Elizaveta era una persona raggiante, di quelle che con un sorriso potevano stregare centinaia e centinaia di spettatori.
«Hai di nuovo la bocca aperta.»
Gilbert la chiuse di scatto, sentì i denti battevano gli uni contro gli altri, seguiti dallo sghignazzare di Francis e di Antonio.
«Ma voi due non avete niente di meglio da fare che stare qui a fissarmi? Andate via, per favore, mi date sui nervi.»
«Mh, non è che quando torniamo ti troviamo appollaiato da qualche parte nelle vicinanze del camerino di-»
«Francis, sparisci.»
Antonio avvolse un braccio attorno alle spalle dell'amico, che, quasi offeso, si diresse verso la sbarra opposta.
Gilbert ringraziò il cielo; qualcuno gli aveva in quel momento concesso la grazia di starsene un po' in pace e continuò a rimanere in silenzio, godendosi la tranquillità che non riusciva mai a trovare quando Antonio e Francis erano con lui o a meno di dieci metri da lui.
Probabilmente l'amicizia che si era velocemente stretta tra loro era dovuto al fatto che tutti e tre fossero fondamentalmente molto estroversi e che ognuno di loro avesse un valido motivo per cercare l'appoggio altrui. Antonio... Beh, Antonio aveva praticamente monopolizzato le orecchie di Francis con un unico argomento: Lovino Vargas, numero duecentosei, italiano. Francis aveva fatto lo stesso per Arthur, con l'unica differenza che, se Lovino era stato elogiato fino alla nausea, Arthur era stato descritto come una specie di esserino spregevole che adorava infilare il coltello nella piaga e rigirarlo, paragonabile a un poltergeist (visto l'inspiegato amore dell'inglese per le creature magiche) dispettoso e malefico. Gilbert, al contrario degli altri due, non aveva nessuno da giudicare, non cercava un amico o un punto di riferimento, per lui quel legame era nato in maniera spontanea e adesso sembrava un po' un gomitolo che lo proteggeva da tutti gli avversari.
Elizaveta gli passò davanti, un body verde e le calze bianche, Gilbert sussultò e cominciò a saltare per riscaldarsi... Oppure per farsi notare.



[192]
Ludwig Beilshmidt;

Alla fine era sempre la stessa, identica storia. Ludwig ci aveva quasi fatto il callo, la mano di Feliciano che stringeva forte il suo braccio, le urla concitate e i sorrisi rivolti praticamente a chiunque, persino agli sconosciuti. La schiena che si allontanava veloce e il ricciolo di capelli castani che ondeggiava ad ogni passo. Poi di nuovo la sua voce, dolce e soave, e le sue mani che stringevano quelle di qualcun altro.
Alla fine era sempre la stessa, identica storia, e Ludwig la sopportava e ne era addirittura un po' divertito. Feliciano gli chiedeva di fare una passeggiata insieme e poi finiva col salutare chiunque e col parlare con ogni conoscente che incrociasse – eccezion fatta per soggetti come Arthur, che era sempre troppo burbero con lui, o come Ivan, che riusciva a farlo tremare con un normalissimo sorriso.
«Ve, Lud! Sapevi che oggi tocca ad Elizaveta?»
La ragazza gli rivolse un sorriso, mentre Feliciano continuava a stringerle le mani e ad agitarle, e Ludwig, a qualche metro da loro, sospirava rassegnato.
«Che variazione porti? Anzi, voglio indovinare!», le disse, pieno di entusiasmo, mentre la ragazza ungherese rideva e sistemava dietro un orecchio una ciocca di capelli sfuggita allo chignon.
«Mmm... Swanilda da Coppelia? Oppure... Gulnara! Gulnara ed il giardino di fiori! Ve, saresti perfetta!»
Ma Elizaveta scosse la testa e Feliciano aggrottò le sopracciglia, mentre Ludwig si domandava per quale assurdo motivo, ogni volta, cadesse in quella trappola. Accettare di fare una passeggiata per il teatro o nell'albergo in compagnia di Feliciano portava sempre alla stessa soluzione – di lui che stava immobile, con le braccia incrociate al petto e dell'italiano che parlava a raffica.
«Ve, non credere che io mi arrenda tanto facilmente!»
Ludwig assunse un'espressione scettica e guardò Elizaveta, che aveva un sopracciglio sollevata e la faccia di chi sta per scoppiare a ridere.
«Allora tu sei... Giselle?»
Quando Elizaveta annuì, Feliciano scoppiò in una fragorosa risata. E Ludwig ovviamente provò molto imbarazzo al posto suo, lo avrebbero sentito nel raggio di centinaia e centinaia di metri (o addirittura di chilometri), visto quanto era rumoroso e vivace.
«Veee! Ci avrei scommesso! Sì, sapevo che prima o poi ci sarei arrivato anche io!»
Certo, dopo un trilione di tentativi o giù di lì.
E a quel punto, dopo una serie interminabile di convenevoli, una buona dozzina di baci e di schiocchi sulle guance, dopo un paio di abbracci spezza-ossa, dopo un'infinità di “ciao” e di “in bocca al lupo”, dopo un “ti voglio bene” detto forse con una dose eccessiva di ingenuità, Feliciano afferrava di nuovo la mano di Ludwig e riprendeva a camminare, chiedendogli dove fossero arrivati e ricevendo soltanto una specie di grugnito.
«Ehi Lud, hai visto quanto è gentile Elizaveta? Ve, io credo che sia una delle ragazze più carine che ci siano qui dentro. Anche Natalia è molto bella, però mi fa un po' paura... Beh, anche il suo amico Ivan mi fa un po' paura. E... Non te la prendere, però anche tu a volte mi fai paura, sai? Hai sempre quella faccia seria quando mi guardi... Esatto, intendo proprio quella che stai facendo ora! Invece tuo fratello sembra più simpatico, sai? Non so, siete molto diversi tu e lui! Un po' come me e Lovino, o come Alfred e... E come si chiama suo fratello? Non lo ricordi nemmeno tu? Che peccato... Ad ogni modo, credo che a tuo fratello Gilbert piaccia Elizaveta, lo sai? Un giorno mentre Francis mi aiutava a fare stretching-»
«Francis ti aiutava a fare cosa?»
«Stretching?»
«Sì!»
«Con Francis?»
«Esatto, Lud!»
«Credo sia una cosa pericolosa quasi quanto il bunjee jumping.»
Feliciano non sembrò capire al volo cosa Ludwig intendesse e il tedesco sospirò. Quel ragazzo era veramente troppo ingenuo e in un ambiente come quello aveva veramente poche speranze di sopravvivenza. Ovviamente lui non credeva che Francis fosse una persona talmente subdola da ferire Feliciano o causargli qualche strappo muscolare forzandolo nei movimenti, ma era più che certo che avesse allungato le mani un po' troppo e più di una volta... La cosa non avrebbe dovuto minimamente interessargli, ma purtroppo riusciva a percepirla a pelle.



[231]
Elizaveta Héderváry;

Il degas era in ordine, i capelli anche. I nastri delle scarpe da punta erano nascosti e schiacciati contro le caviglie. Il trucco le piaceva, soltanto un azzurro accennato e due linee di matita che le mettevano in risalto gli occhi. Eccezion fatta per il pesante maglione di lana e per gli scaldamuscoli rosa, Elizaveta era pronta per entrare in scena.
Nella stanza era rimasta soltanto Lili a farle compagnia, probabilmente perché lei era l'unica persona con la quale la quindicenne fosse riuscita a legare – e fortunatamente, almeno con Elizaveta, aveva vinto la timidezza.
Lili le accarezzò la spalla e sorrise, mentre la luce soffusa rendeva la sua immagine vagamente poetica. L'ombra degli zigomi, gli occhi grandi, il collo sottile e le clavicole che sporgevano come due matite, il corpo fasciato dalla lycra sottile di un body color panna.
«Sei agitata?»
Elizaveta annuì, continuando a fissare il palco e a mordere l'unghia dell'indice destro.
«Un po'... Ma sono sicura che quando sarò lì, l'ansia passerà.»
Lili le strinse la mano e accennò ad un sorriso, mentre qualcuno sussurrò ad Elizaveta che aveva appena altri cinque minuti.
«Allora io vado a vederti assieme agli altri, okay? Fa' del tuo meglio!»
Agitò una mano nella sua direzione, Elizaveta le rispose con lo stesso gesto e poi si sfilò uno degli scaldamuscoli, accorgendosi che le tremavano leggermente le mani, nonostante avesse cercato di fare la dura con tutti, convincendo se stessa che l'emozione e la paura non potevano di certo metterla fuori gioco.
Da quel concorso non dipendeva la sua vita, da quel concorso non dipendeva quasi niente. Forse solo un po' di soddisfazione e di orgoglio, una buona raccomandazione con qualche compagnia emergente, magari una borsa di studio, ma nulla di più. Il talento avrebbe potuto compensare ognuno di quei premi.
C'erano modi e modi di vivere quel concorso, Elizaveta se lo ripeteva sempre. C'era chi arrivava lì lottando con le unghie e con i denti, come Arthur, che cercava di emergere sugli altri e di dimostrare il suo valore; c'era chi finiva lì per puro caso e sembrava più divertito dalla situazione che preoccupato per l'avvenire, come Alfred; chi sapeva già dall'inizio di arrivare fino in fondo, fino al podio, come Ivan; chi sperava di vincere qualcosa per il solo gusto di essere notato da qualcuno, come Matthew; e chi, come lei, che non dava troppo peso a nessuna di queste cose, perché l'importante era ballare.

Giselle, a lei bastava soltanto ballare.


«Numero duecentotrentuno, Elizaveta Hedèrvàry, dall'Accademia Nazionale di Balletto Ungherese. Lei interpreta la variazione di Giselle di Adolphe Charles Adam. »
Elizaveta sorrise e sollevò il mento, la musica iniziava e lei entrò sul palco, sfiorando il tulle bianco con la punta delle dita. In quel momento sembrò dimenticare tutto, tutte le persone che probabilmente stavano assistendo, chi aveva fiducia in lei e chi sperava che non ballasse al massimo, i ballerini accovacciati davanti a un televisore, Lili che probabilmente ripeteva a se stessa che tra qualche anno, se doveva diventare qualcuno, voleva assolutamente somigliarle, Feliciano, Ludwig e tutti gli altri.
La sua ombra si muoveva assieme a lei, Elizaveta si rese conto che era l'unica che veramente poteva starle accanto anche mentre danzava, nonostante dietro le quinte ci fosse la sagoma di Gilbert che continuava a spiarla a bocca aper-
Elizaveta lo ignorò completamente, ma sentì chiaramente quel brivido freddo lungo la spina dorsale. Un ragazzo che oltrepassava la sicurezza e si appollaiava su una delle colonne che reggevano il telo sullo sfondo del palco, che restava a guardarla per tutta la durata della sua variazione.
Suo malgrado, Elizaveta sorrise di nuovo. La presenza di Gilbert, in un certo senso, confermava il fatto che suo personaggio doveva assomigliarle parecchio, ora che se ne rendeva conto, una giovane contadina che aveva la passione per la danza e che amava muoversi tra le vie del suo villaggio – un po' come lei da bambina, che tornava a casa con gli stivali sporchi di fango perché aveva saltato veramente troppo mentre tornava da scuola. E il giovane principe, travestito da popolano, che si incantava a guardarla mentre ballava.
Elizaveta strinse tra le dita l'orlo della gonna, sollevandolo appena, mentre saltellava su un piede, la punta perfettamente stesa e le braccia morbide ed eleganti, come se eseguire quella diagonale fosse la cosa più naturale del mondo.*
Sentì un applauso provenire da qualche parte, nella zona della giuria, e un altro battito di mani, più distinto e vicino, dalle quinte alla sua destra. Molto probabilmente Gilbert era ancora lì, e preferiva dare nell'occhio e farsi notare anche lui, piuttosto che continuare a guardarla senza disturbare.
E infine i giri, e il palcoscenico era di nuovo tutto intorno a lei, la giuria continuava a guardarla e Gilbert rischiava di cadere e (magari) di rompersi l'osso del collo senza darle il disturbo di intervenire. Elizaveta distingueva chiaramente la circonferenza disegnata dal suo stesso degas che si gonfiava e che girava con lei, il rumore delle punte di gesso che scivolavano sul pavimento con velocità, gli sguardi, i sorrisi e i volti che annuivano. Doveva essere andata bene, per forza.
Quando si fermò, tutto tornò al suo posto, eccetto qualche penna che continuava a segnare un po' di appunti.
Uno dei giudici annuì e sorrise nella sua direzione. Per quanto potesse essere fantastico ed impressionante avere avuto così tanto successo in una competizione di quel livello, Elizaveta pensò che in fondo aveva soltanto fatto ciò che le veniva più naturale.
Ballare.



[411]
Ivan Braginsky;

Yao Wang era una persona un po' difficile da capire, dato che la maggior parte delle volte tendeva ad evitarlo. E adesso che ci pensava razionalmente, Ivan si rendeva conto che la maggior parte delle persone, lì dentro, tendeva ad evitarlo – esclusa Natalia ovviamente, che sembrava sin troppo incline a voler misurarsi con lui (oppure ad assalirlo).
La cosa non lo sorprendeva, in fondo ci aveva fatto il callo e aveva capito che la sua, tra tutte le altre, era la posizione più vantaggiosa. Ivan si era concesso il lusso di osservare i suoi avversari, nonostante il più delle volte fosse veramente difficile farlo e arrivare ad una conclusione sensata.
Eppure, giorno dopo giorno, aveva passato in rassegna ognuno di loro.
Aveva avuto occasione, quella mattina, di sedere allo stesso tavolo di Alfred ed Arthur e aveva confermato tutte le ipotesi che erano nate su di loro. E aveva fissato Alfred, ovviamente, e aveva notato una specie di sguardo di sfida che a Ivan piacque particolarmente. Francis invece non lo aveva preoccupato, era seduto accanto a lui adesso, e rideva mentre Elizaveta inseguiva Gilbert agitando una padella – e Ivan si domandò come diamine fosse possibile trovare una padella in un teatro, ma restò un dubbio totalmente irrisolto.
Feliciano, Lovino, Ludwig e Antonio. Poi Natalia, Lili e la stessa Elizaveta. Kiku era più complicato, troppo taciturno per riuscire a studiarlo con precisione, e anche con Yao aveva avuto problemi.
«Hai intenzione di mantenere la tua promessa, aru?»
Ivan sollevò il mento di scattò. Davanti a lui, Yao teneva le mani infilate nelle tasche di una felpa pressapoco enorme.
«Io mantengo sempre le mie promesse», rispose, cercando di mascherare la sua sorpresa dietro al suo solito sorriso.
La verità era che non si aspettava che Yao andasse veramente da lui. Quella mattina a lezione aveva avuto occasione di parlare con lui per la prima volta – o di avvicinarsi quantomeno ad un accenno di conversazione. Yao gli aveva confessato di temere un po' “tutti questi odiosi europei, aru” e di temere la competizione in sé, di preferire il clima tranquillo che si respirava in Cina e di essere stato trascinato a Parigi forse un po' controvoglia.
“Con questo non voglio dire che io non ne sia felice, aru”, gli aveva sussurrato, “ma a volte penso che questo genere di gare sia del tutto inutile, aru. Perfino l'ultimo in classifica può meritare il primo premio, ma non essere riuscito a raggiungerlo perché magari era una giornata no.”
Ed effettivamente Yao aveva ragione, ma purtroppo la giuria non perdeva di certo tempo a chiedersi se il ballerino fosse in piena forma o meno.
Per questo motivo Yao gli aveva chiesto un favore, senza nemmeno domandarsi se Ivan, dopo, avesse mai potuto pretendere qualcosa in cambio.
“Sei russo, aru. Tu puoi aiutarmi.”
«Allora andiamo.»
Ivan si alzò e sorrise, Gilbert sfrecciò davanti a lui seguito a ruota da Elizaveta, Yao rivolse loro un'occhiata seria e si incamminò verso l'uscita.




*la diagonale che comincia dal secondo 1:14










Eccomi tornata!
Chiedo subito scusa se questo aggiornamento arriva con un particolare ritardo, ma ho avuto un paio di settimane piuttosto impegnate – università, che brutta cosa. D:
Dopo il precedente capitolo, devo dire che rimango soddisfatta. Quello su Lovino non mi era piaciuto molto (anzi, non mi era piaciuto affatto :<), mentre questo merita – almeno dal mio punto di vista, qualche punticino in più. Probabilmente perché mi viene più naturale scrivere sulla danza dal punto di vista di una donna, piuttosto che di un ragazzo! XD
La variazione eseguita da Elizaveta è presa dal balletto Giselle e la coreografia non è quella originale, ma è di Marius Petipa. Per questo motivo, dato che so che ama questo balletto, vorrei dedicare questo capitolo a
kiretta, con la speranza che le sia piaciuto almeno un pochino. :3
Inizialmente avevo pensato ad altre due variazioni, invece che a questa. La prima era appunto quella di Swanilda, in Coppelia (l'entrata), e penso che nonostante non conoscano il mondo della danza, molti di voi riconosceranno questa musica: Swanilda, Coppelia (la musica e quella che inizia a 0:40). L'altra opzione era Gulnara, dal Corsaro, che danza vestita da fiore nell'harem di un pascià – e il fiore mi aveva fatto pensare proprio ad Elizaveta. E la variazione è questa Gulnara, le Jardin Animée, e io l'ho studiata quest'anno, dato che abbiamo fatto l'opera il Corsaro e io avevo la parte di Gulnara! *___*
Come ultima cosa (e spero che almeno questa interessi a qualcuno ò_ò) vorrei spiegare perché ho scelto proprio
quel video per Elizaveta. Io credo la Giselle più bella di tutte sia Alessandra Ferri, una etoile italiana famosa in tutto il mondo, ma ho usato un video di Svetlana Zakharova per far vedere la variazione di Elizaveta. A me la Zakharova non piace molto, dato che spesso mi sembra più una ginnasta che una ballerina, ma questa è solo la mia opinione u__u lei è russa, e proprio per questo ha un modo di ballare molto diverso da quello degli italiani, o dei francesi, e penso che si avvicini molto più del nostro però a quello degli ungheresi. Ad ogni modo, se volete vedere questa bellissima ballerina italiana, potete trovarla qui: Alessandra Ferri, Giselle.
E con quest'ultima cosa la smetto di ammorbarvi u__u qui c'è la variazione del prossimo personaggio: la Bayadére. Chi sarà mai? :3

E ora passo alle risposte alle recensioni! :D

Ichibanme_Arisu: possibile che tu riesca a provare solo odio, donna? Eppure Antonio faceva tanta tenerezza, poveretto, e aveva un po' l'aria dello sfigato di turno. BTW, sono contentissima che il mio stile ti piaccia e che tu continui a seguire la fic. :D Kisu!

Haru J: il nuovo capitolo purtroppo non è arrivato tanto presto, ma cercherò di rimediare con i prossimi, dato che fino ad Ottobre non ho proprio un bel niente da fare! La tua recensione mi ha lasciato felicemente soddisfatta, davvero! Tra tutte le fic che ho scritto questa è una tra le mie preferito e ogni volta che c'è un commento positivo in più il mio cuore si riempie di gioia! Grazie<3

inuyasha94: eh... Lovino e Antonio hanno avuto un capitolo tutto per loro, oggi è stato il turno di Alfred e Arthur, Gilbert ed Elizaveta e un accenno su Ivan e Yao. :P Spero che il capitolo ti spia piaciuto lo stesso, baci!

AliDiPiume: uh, che genere di concorso era? E a chi è che piacciono le salsicce? ò_ò Le tue recensioni hanno sempre il potere di confondermi donna, fatti delle domande e chiediti di chi è la colpa! XD Beh, effettivamente Arthur a volte è odioso, ma Francis non demorde e tornerà presto all'attacco. >:D Grazie per la tua recensione (anche se preferivo quelle in preda all'ebbrezza dell'alcool!)

Lalani: il ballerino del video doveva avere circa sedici anni, ma ho preferito usare quel video perché in un concorso non possono esserci professionisti! Ad ogni modo sono felice che le descrizioni su Lovino ti siano piaciute, io avevo sempre il terrore che fosse schifosamente OOC. ;_; Avevi indovinato con Elizaveta :P La variazione di Natalia è una cosa un po' più... Fredda. XD Comunque sì, salvo imprevisti e cambi di idea dell'ultimo minuto dovrebbero esserci almeno altre due variazioni prese da musiche di Tchaikovsky! Al prossimo capitolo :3

kiretta: innanzitutto la tua recensione non faceva schifo, mettitelo bene in testa. E in secondo luogo spero che tu abbia gradito questo capitolo, soprattutto la parte su Elizaveta (e sì, anche l'appuntamento di quei due poveri disgraziati) dato che so quanto ami Giselle – me lo sarò sentito dire milioni di volte. ù__ù Ti perdono giusto perché sei tu... E perché è una fanfiction, non un corso con obbligo di frequenza, quindi capita che a qualcuno sfugga di recensire. XD Con la speranza di averti strappato un sorrisino con questo capitolo ti saluto, baci! <3

AlterNeko: oggi ero in vena di inserire video, se li hai visti spero che vi siano piaciuti<3 Grazie mille per tutti i complimenti, anche se spesso ho molti dubbi su quello che scrivo >_< e questa credo sia un'altra delle cose che ci accomunano, no? XD Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto cara, ci sentiamo prestissimo! *___*

alyciana: sono felice che tu abbia apprezzato il modo in cui ho trattato le altre coppie, dato che sono abituata a scrivere solo sulla USA/UK e quindi ho continuamente il terrore di sbagliare qualcosa quando si tratta degli altri. ;_; E la frase che ho scritto non ha senso, ma ho appena studiato statistica quindi mi concedo di essere sgrammaticata, scusa. ;_; BTW, spero che anche questo nuovo capitolo ti sia piaciuto, un bacio<3

giuliettaz91: beh, Alfred ha provato a mettere le mani su Arthur, ma Arthur non ha ceduto – e in effetti sarebbe un po' prestino per farlo, ma quell'americano egocentrico tende sempre ad accelerare le cose. ù__ù Anche tu i test all'università? D: Allora ti capisco e ti commisero, sono una delle cose più stressanti del mondo... Ti dico solo che per fare i miei il due Settembre sono entrata alle dieci, quando l'orario di entrata era previsto per le sette e mezza. ò_ò Vabeh, questo non c'entra nulla con la fic però xD Spero che questo atteso capitolo sia stato di tuo gradimento, grazie!

Aka Tomate: veramente i personaggi ti sembrano così IC? *_* Non sai quanto mi rende felice questa sola frase, dato che gran parte del terrore si dissolve. :D Penso proprio che Antonio non la passerà liscia per aver fatto una cosa grave come... Essere ricordato da Lovino mentre ballava. ò_ò E sì, ricordo vagamente un viaggio in Francia in cui la prima cosa che facevo era guardare scettica quelle maglie enormi e quelle scarpe oscene che usavano 'ste francesi. Trauma. ò_ò Grazie mille per la tua recensione!

Marlot: ammetto che Tino e Susan dovevano essere in questo capitolo, ma alla fine non sono riuscita a inserirli perché altrimenti sarebbe stato troppo lungo. ;_; Ma nel prossimo ci saranno, dato che ho già fatto una specie di scaletta su quello che devo scriverci. :P Anche se non ci sono Antonio e Lovino spero che il capitolo ti sia piaciuto lo stesso! Grazie!

Fire Angel: Matthew alla fine si riscatterò, lo giuro. E a quel punto tutti si ricorderanno di lui... Magari non del suo nome o della sua faccia, ma di lui come... Almeno come presenza fisica xD Enorme spoiler. ò_ò Non so esattamente cosa ci sia nella tracolla di Alfred, non ho avuto il coraggio di controllare ò.ò Non so, ho scritto rumore metallico perché io la borsa di Alfred la immagino piena di spille e portachiavi e magari pesa duecento chili proprio per questo. ò.ò (E perché dentro ci nasconde almeno una dozzina di hamburger!) Figurati, la tua recensione non mi ha offesa affatto, anche perché sono d'accordo con te: spesso sono le tantissime storie OOC che ci fanno odiare le coppie... E lo dico perché a me è capitata la stessa cosa con la FrUK. ;_; Spero che questo capitolo non ti abbia deluso cara, un bacio!

Frances: e invece a me le tue recensioni piacciono tutte. E mi piacciono anche molto! Per non parlare della tua fic, quella che ti ho commentato e che... E che ovviamente mi piace più delle recensioni, per ovvi motivi. ù__ù Ad ogni modo, ogni singola riga di quello che hai scritto per il precedente capitolo mi ha strappato un sorriso, dato che tutto mi aspettavo con questa fic meno che complimenti. Perché ho pensato fino all'ultimo che era veramente una cavolata scrivere una cosa del genere e che Ludwig (ma perché tutti prendono ad esempio proprio lui?) non stava bene in calza maglia... Proprio per questo motivo ho amato la tua recensione, ogni singolo ed ordinato punto. :P E sono contenta che si noti che l'unico un po' alieno al contesto sia Alfred che... Che in effetti non richiama molto la figura snella e aggraziata del ballerino, anzi. XD Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, a presto!

Stefy_rin: ti dico solo che il balletto di Antonio è molto, ma molto famoso. Tutti conoscono almeno la storia, che io trovo molto bella... Ed è molto spagnola, quindi ci puoi arrivare. :P Sono felice di aver realizzato una fantasia! Perché in effetti la maggior parte dei ballerini famosi provengono dalla Russia o comunque da quella zona. E sì, Giselle è una storia tragica... Lei muore e il principe danza tra le villi fino allo sfinimento e poi viene salvato da Giselle... Ma se ti interessa puoi controllare su Wikipedia, io non sono una fonte troppo attendibile! XD Grazie mille per la tua recensione<3

smary: ah, la danza classica non è tanto difficile (almeno la teoria) pensa che nonostante la scuola io riuscivo a studiare con piacere anche la storia del balletto, perché alle fine non è affatto pesante, anzi! La frase di Feliciano era lì giusto perché credo veramente che quel ragazzo in qualche modo porti sfiga, altrimenti non è possibile che gli capitino sempre tutte quelle disgrazie. ò_ò Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto cara, un bacio :3

eithriadol__: suca!

IlyuChan: effettivamente mi piace scrivere dell'idiozia, e in particolare dell'idiozia di Alfred! E sappi che Matthew è il mio secondo personaggio preferito, quindi conto di concentrarmi un po' di più su lui e su Francis, prossimamente. Non preoccuparti se le recensioni arrivano in ritardo, l'importante è che arrivino! Grazie mille per il tuo commento<3






E con questo chiudo! :D Ammetto che non mi aspettavo 17 recensioni, e che mi hanno resa veramente felice. Spero che continuiate a seguirmi e che la fic non cominci a farvi schifo ò_ò;;
Al prossimo capitolo.
Bye


US<3UK ~ Il primo forum italiano dedicato alla coppia America/Inghilterra!


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Capitolo 5
*** [288] Più semplice di così, la Bayadére. ***


[439] Alfred F. Jones;

Ormai aveva perso il conto delle volte che Arthur aveva pronunciato il suo nome, e di quelle in cui lo aveva sostituito con un velato insulto o con un semplice e conciso “idiota”. Affondò di nuovo i denti nel suo hamburger e cercò di ignorare quella vocina acuta e petulante che si stava ancora sforzando di elencare tutte le proprietà fisico-chimiche di quella carne di dubbia provenienza.
«Vuoi stare un po' zitto? Se non te ne fossi accorto sto mangiando.»
Arthur rimase a bocca aperta, probabilmente spiazzato dal fatto che qualcuno avesse osato rivolgersi a lui con un tono tanto insofferente, e cercò di concentrare la sua attenzione su qualcosa che si trovava al lato opposto della grande sala da pranzo dell'albergo, qualcosa che ad Alfred non interessava minimamente, comunque.
Era da quella mattina che si domandava per quale assurdo motivo Arthur fosse lì con lui, con quella faccia da schiaffi e il tipico atteggiamento di chi preferiva fingere che non fosse accaduto nulla. Per la prima volta da quando si erano conosciuti, Arthur si era preso la briga di andarlo a svegliare – ossia, di andarlo a spingere giù dal letto fino a farlo agonizzare sul pavimento – e di stare assieme a lui a lezione, addirittura lo aveva aiutato quando non aveva capito alcuni passi, a causa dell'eccessiva cadenza francese della loro insegnante temporanea.
«E ho sentito dire che proprio questa mattina verrà un coreografo svedese con una specie di assistente, sai? Non vedo l'ora di fare lezione, sono sicuro che sia un tipo in gamba. Tu che ne pensi? Ci mettiamo vicini a lezione anche stamattina, ver-»
Alfred cercò di caricare il suo sguardo con tutta l'insofferenza di cui fosse capace, nonostante quel temperamento non fosse nella sua natura docile e giocherellona, ma sembrava quasi che i ruoli si fossero invertiti. Era quasi come se Arthur, con il suo rifiuto la sera precedente, avesse dato uno schiaffo all'ego di Alfred, facendogli sbattere la testa e ricordandogli che non aveva l'obbligo morale di essere gentile con lui, per quanto potesse trovare divertente gironzolargli attorno e prenderlo in giro. Che non doveva nemmeno affezionarsi troppo a quell'inglese insopportabile, anche se poi non sarebbe più riuscito ad evitarlo, e ne avrebbe pagato le conseguenze sulla sua stessa pelle, circa due settimane dopo.
«Senti, Arthur», gli disse, semi-nascosto dal terzo hamburger, «non ho niente contro di te, ma ho bisogno di mangiare immerso nella pace e nella tranquillità, altrimenti mi va storto il pranzo. E se mi va storto il pranzo, rischio di morire o di ammazzare qualcuno, magari qualcuno che sta seduto vicino a me e continua a parlare di cose che non mi interessano affatto.»
Vide Arthur guardarlo in silenzio, con un'espressione strana, probabilmente delusa, ma Alfred pensò ingenuamente che doveva essere stata soltanto una sua impressione e quindi continuò a mangiare.




[411]
Ivan Braginsky;

Era divertente notare come Yao si affannasse per arrivare a qualcosa che non gli apparteneva, un livello troppo alto per lui, che si era rivelato uno dei migliori della sua Nazione. Secondo Ivan la sua scalata poteva dirsi conclusa lì, e il cinese avrebbe dovuto ringraziare il cielo se la giuria aveva avuto il coraggio di farlo arrivare fino a quel punto. Perché per quanto i salti fossero alti, le punte stese e le ginocchia tirate, per quanto le braccia fossero morbide, la sua era una performance fredda.
Yao restava estraniato dal suo personaggio, concentrando tutto se stesso per uscire dal suo corpo mentre ballava e osservarlo mentre si muoveva nella penombra di una sala in disuso.
E Ivan sorrideva, perché gli piaceva vederli spaventati, Yao così come tutti gli altri partecipanti, tremare dalla paura mentre salivano gli scalini del palcoscenico, deglutire e fissare i giudici come se fossero stati serial killer che puntavano loro addosso una dozzina di mitragliatrici e fucili a canne, invece che penne a sfera e block notes per prendere appunti.
«Non hai capito Yao, qui hai bisogno di piegarti di più.»
A quel punto Ivan si avvicinava lui, che era ancora inginocchiato e teneva le mani congiunte, e poggiava una mano sulla sua nuca, costringendolo col collo in avanti, in una posizione quasi fetale e del tutto innaturale, come se il ragazzo stesse pregando qualcuno, una terza persona, pur di salvarlo dalle sue grinfie.
«Ed è come se tu stessi supplicando, hai capito?»
Yao provava ad annuire, ma non ci riusciva, perché la stretta sul suo collo era troppo dolorosa, ma lui era abbastanza fiero da non provare nemmeno a lamentarsi o a chiedere a Ivan di smettere, perché aveva capito benissimo. La sua voglia di dimostrarsi forte, nonostante avesse chiesto l'aiuto di qualcuno, divertiva Ivan e al tempo stesso lo inquietava.
Yao gli sembrava una persona mansueta soltanto all'apparenza, ma dentro sembrava nascondere lo spirito di uno di quei draghi dell'oriente, capace di lottare fino ad esalare il suo ultimo respiro incandescente.
Yao stringeva così forte le mani tra di loro che le nocche diventavano pallide, la sua espressione era veramente sofferente, e la posizione in ginocchio appariva forzata, come se lui non avesse più la forza di pregare, né di stare in piedi, e rischiasse di stramazzare al suolo da un momento all'altro.
Questo era dovuto principalmente al fatto che stava ballando almeno da due ore, che aveva saltato la colazione e che non si era dato tregua nemmeno a lezione.
«Direi che va bene così,», disse Ivan, lasciando andare la sua nuca e camminando verso la porta.
«Anche domani.»
Il russo si voltò, guardandolo con un sorriso divertito, perché quel ragazzo non finiva mai di stupirlo.
«Vediamoci anche domani», ripeté Yao.



[300, 342, 559]
Francis Bonnefoy, Gilbert Beilshmidt, Antonio Fernandez Carriedo;

«Non hai capito, Antonio, io intendo qualcosa di ancora più grande!»
«Tipo un mausoleo?»
«Non esattamente, voglio una tomba enorme, con una statua gigantesca che mi rappresenti. In cui ho in mano la testa di una tigre e un serpente avvolto attorno al collo, e calpesto i resti di un coccodrillo. In più deve avere le ali, delle enormi ali luccicanti di brillanti e il mio nome deve essere inciso nell'oro.»
Francis sollevò un sopracciglio e si chiese da dove nascessero tutte le stravaganze di Gilbert, se suo fratello era così semplice da ridurre la sua camera da letto a una branda militare e una lampadina che pendeva dal soffitto, un arredamento spartano che però rispecchiava con esattezza oscena la personalità di Ludwig. Gilbert aveva passato metà della mattina a mostrare le sue foto, alcune erano più vecchie ed ingiallite, altre erano recenti, e lo ritraevano circondato da ragazze su una spiaggia del sud America o mentre faceva parapendio tra le valli e le catene montuose del Belgio.
C'erano fotografie di tutti i tipi, e Antonio aveva chiesto incessantemente per ore ed ore per quale assurdo motivo Gilbert le avesse portate tutte con sé, ma non aveva ancora ricevuto risposta, e adesso si rigirava tra le mani l'intera famiglia Beilshmidt, profondamente mutata nel tempo, e la guardava con aria curiosa.
Ludwig poteva avere sì e no sei anni, ma il berretto verde gli conferiva già un'aria di giovane leva in prova per il servizio militare. Il signore e la signora Beilshmidt aveva un'espressione seria, sopracciglia aggrottate e un'aria molto austera che, accostata ai tre enormi cani accovacciati ai loro piedi, gli conferiva qualcosa di inquietante. Gilbert, infine, nonostante fosse parecchio più giovane di adesso e leggermente più vecchio di suo fratello, non sembrava avere avuto un cambiamento così radicale. Sorrideva, mostrando i suoi canini appuntiti e l'espressione di chi crede di poter scalare una montagna con le mani legate dietro la schiena.
«E quindi tu sei più grande di Ludwig...», mormorò Antonio, senza poter staccare gli occhi dalla foto.
Francis, che stava osservando Gilbert mentre studiava nella sua stanza, adornata di letto a baldacchino e gigantografia personale su una parete, alzò il mento di scatto e guardò attentamente entrambi.
«Davvero?», chiese a Gilbert.
«Davvero.»
«Non sembra.»
«E perché scusa?»
«Beh, perché... Lui è così serio-»
«E io no?»
«No.»
«Tu sembri un bambino», aggiunse Antonio.
Gilbert tolse la foto dalle sue mani e la infilò in mezzo al mucchio, in modo tale che non la ritrovasse, poi si prese la briga di scegliere personalmente le foto da mostrare ai suoi amici, onde evitare altri inconvenienti simili.
«La vostra casa è strana...», mormorò Francis, «Alcune stanze mi ricordano una caserma, altre un campo di concentra-»
«Non dirlo.»
Gilbert nascose anche la foto che stava guardando Francis, e gliene porse una meno incriminante, in cui Ludwig indossava un antiestetico costumino a righe e lui era intento a prendere il sole... Ovviamente né Francis, né Antonio potevano immaginare che, quella stessa sera, Gilbert si era lamentato fino alle lacrime delle ustioni che aveva ottenuto grazie alla sua bella pensata.
«E poi vorrei tanto sapere che cos'ha la tua casa in più della mia.»
Francis raccontò che la casa era stata arredata a suo gusto, per fortuna, con una raffinatezza equivoca e decadente, che la sua famiglia indossava abiti pomposi e barocchi, mentre i servitori avevano abiti blu notte e camicie di seta. Antonio chiese se il maggiordomo si chiamasse Ambrogio, Francis rispose che Ambrogio era morto di vecchiaia un paio di anni prima, e che il maggiordomo attuale era uno sfaccendato greco che avevano pensato più volte di licenziare, ma che alla fine continuava a poltrire sul divano del salotto.
Disse che su tutti i mobili c'erano dozzine di oggettini in porcellana, tanto piccoli che se la domestica ne rompeva uno, nessun membro della famiglia sembrava accorgersene. Quegli oggettini erano accompagnati da enormi vasi cinesi, pieni di colori e disegni, e dentro i vasi cinesi c'erano piume di pavone che talvolta arrivano fino al soffitto. Sulle mensole d'oro sua madre aveva fatto mettere degli incensi profumati, in modo tale che, quando Francis tornava dal collegio inglese in cui studiava, poteva mescolarsi di nuovo all'odore della sua casa, senza che quello tipico britannico prendesse il sopravvento su di lui. C'erano tendaggi di damasco, paraventi e lampade a stelo che le donne delle pulizie, fasciate nei loro vistosi vestiti da operetta, si affannavano a spolverare ogni giorno.
«Fantastico! E hai qualche foto?», chiese Antonio.
«No, mi dispiace, le ho lasciate tutte a casa.»
«Che peccato!»
Antonio era una persona ingenua, e alle mirabolanti avventure di Gilbert e alla raffinatezza della vita di Francis, aveva contrapposto la sua casa umile e la sua vita ordinaria, in cui suo padre scalpitava per andare a vedere la Corrida il fine settimana e sua madre diffondeva volantini affinché abolissero quello scempio.
«Viviamo in un vecchio monolocale in periferia», disse, «A volte manca l'acqua calda, oppure la corrente elettrica, però mio padre non ci fa mancare mai niente. In più io ho trovato lavoro come cameriere in un bar, quindi riesco a pagare le lezioni di danza senza dover chiedere aiuto a loro.»
Francis era completamente estraneo a quella realtà in cui, nel ventunesimo secolo, i figli dovevano affannarsi per mantenersi e per non gravare troppo sulle spalle della propria famiglia. Gilbert stesso si stupiva della naturalezza con cui Antonio lo raccontava, nonostante lui stesso avesse dovuto sopportare molte fatiche fin da bambino, ma più perché suo padre voleva che lui e suo fratello Ludwig diventassero presto due uomini forti e responsabili che non per un bisogno vero e proprio di denaro. Quindi fissarono Antonio un po' stupiti, come se si trattasse di una specie di alieno armato di vassoi e tazzine di caffé, tortillas calde e suadente accento spagnolo.
«Forte la Corrida», fu l'unico commento di Gilbert.




[288]
Kiku Honda;

Quel giorno era il suo turno, e Kiku aveva ringraziato il cielo che non ci fosse nessuno a cospirare per una sua caduta o per una sempre scivolata, accovacciato davanti a un televisore che aveva le sue stesse origini. Gli altri ballerini avrebbero frequentato una lezione extra, una specie di stage con un coreografo venuto direttamente da Stoccolma e con un nome impronunciabile che era stato strillato, sussurrato e detto dalle labbra di tutti quegli strani europei che partecipavano al concorso almeno un milione di volte ciascuno.
Stava finendo di truccarsi, nonostante odiasse l'odore di tutta quella roba che gli imponevano di mettersi in faccia. Kiku preferiva essere più semplice, così come lo era il suo costume. Aveva vietato categoricamente alla sua insegnante di cospargergli il corpo di vernice color bronzo e di addobbarlo di cianfrusaglie dorate come se si fosse trattato di una specie di albero di Natale in scala ridotta.
Kiku aveva stretto al petto il suo semplice paio di pantaloncini dorati, vagamente luccicanti e la cintura gialla che avrebbe stretto in vita. In più si aggiungeva il paio di scarpette color carne, con le suole leggermente consumate dal tempo e dai continui esercizi.
Infine aveva bloccato sulla testa una rigida corona color bronzo, che mano a mano che saliva sfumava nel colore del rame, fino ad avere una punta brillante. Quella non era stata scelta da lui, purtroppo, e aveva patito fino a che non era stato obbligato a portarla con sé.
Kiku credeva che nella forza dei suoi muscoli sottili e nella tecnica che aveva appreso più da solo che con i suoi maestri, osservando video di vecchia data dei padri della danza, risiedeva il vero spirito del ballerino, quello che apprendeva molto osservando gli altri e che faceva pratica avvolto in un'aurea di religioso silenzio, piuttosto che nella baraonda che si creava con una ventina di ballerini rumorosi e pieni di aspirazioni. Nulla di meno e nulla di più, non c'era bisogno di fronzoli inutili e quant'altro, un costume appariscente non era necessariamente efficace. Peccato che i suoi insegnanti non sembrassero capirlo ogni volta che lui provava a spiegarglielo.
«
Numero duecentottantotto, Kiku Honda, dall'Accademia del Tokyo Ballet. Lui interpreta la variazione dell'Idolo d'Oro dalla Bayadére di Ludwig Minkus ...»



[388]
Feliciano Vargas;

Feliciano annuiva costantemente, ad intervalli di dieci secondi circa, scuoteva la testa su e giù e poi sorrideva, fingendo di aver capito. Quella era la tecnica più efficace per garantirsi che il maestro non si arrabbiasse con lui, e la usava da quando aveva sei anni circa.
Feliciano aveva un caschetto marrone che ondeggiava con ogni movimento della testa, era alto poco meno di un metro e socchiudeva gli occhi o li teneva chiusi, affermando che quella era soltanto la tecnica segreta che usava per non dover guardare tutte le cose brutte e spaventose che succedevano nel mondo. Era l'ultimo della sua sbarra, e le dita sottili stringevano il legno, le sopracciglia si aggrottavano e lui doveva copiare gli altri bambini, perché non ricordava assolutamente niente di quanto aveva appena detto loro l'insegnante. Quella non era una bella cosa, gli spiegava Lovino al telefono, perché prima o poi gli altri ragazzini avrebbe cominciato a prenderlo in giro. E così infatti era accaduto.
Feliciano era un bambino socievole e non attaccava mai briga con nessuno, preferiva privarsi di metà del suo pranzo pur di dividerlo con qualche amico, ma non ne aveva mai avuto l'occasione.
Finché non aveva conosciuto lui.
«Ve, Lud! Dopo posso starti vicino? Non ricordo mai gli esercizi, tu invece hai una memoria di ferro! Ho provato a chiederlo anche ad Arthur, ma lui mi ha mandato a quel paese dicendo che oggi non voleva avere a che fare con gli idioti, specialmente quelli americani. Lud, io non sono americano, quindi credo che Arthur si sia sbagliato... Beh, si è sbagliato di sicuro, dato che io non sono nemmeno idiota. Lud, allora ho chiesto a mio fratello, però Antonio se l'è portato via mentre Lovino strillava! Lud, aiuto! Non so come fare, perfino Gilbert mi ha detto di no! E lui non mi dice mai di no! A questo punto penso che mi toccherà andare a chiedere a Fran-»
«Puoi stare vicino a me», disse Ludwig in una risposta secca, impedendo a Feliciano di continuare a travolgerlo con quel fiume di parole pronunciate con un inglese a dir poco deleterio, «ma devi giurarmi che ti comporterai bene e che non mi darai fastidio.»
Feliciano scattò con la velocità di un lemure e Ludwig si trovò stretto in un abbraccio che avrebbe incrinato addirittura le sue di ossa. Così poggiò le mani sulle spalle di Feliciano e lo staccò con tutta la dolcezza di cui era capace, sempre che si potesse parlare di dolcezza, almeno nel suo caso.
«Questo rientra nel darmi fastidio.»
«Lud, sei sempre così gentile con me! Grazie!»
«Non lo faccio per te, lo faccio per aiutare gli altri e tenerti lontano da loro.»
«Ve, Lud, tu hai un cuore così grande! Ti preoccupi sempre per tutti quanti!»
«Ma cosa c'è di sbagliato in te?»
Feliciano continuò a sorridere con un'aria raggiante, mentre Ludwig si sedeva sul pavimento a riscaldarsi e scuoteva la testa afflitto. In cuor suo, l'italiano sapeva che Ludwig aveva bisogno di qualcuno che gli stesse accanto, perché per quanto ostentasse il suo stile di vita solitario, per quanto lo si vedesse sempre da solo, sempre accigliato, scontroso quasi come Arthur, anche lui aveva bisogno di qualcuno con cui dividere il pranzo.
L'insegnante di Stoccolma entrò circa venti minuti dopo, quando tutti i ballerini erano in fila lungo la sbarra, era seguito da un ragazzo minuto, biondo e dall'aria molto timida. Poco dopo scoprirono che si chiamava Tino e che era uno dei migliori ballerini tra le accademie scandinave arrivato a Parigi soltanto per quella lezione dimostrativa.
«E mi piacerebbe assistere a tutte le altre performance, a partire da domani», aveva confessato più tardi.
Feliciano si guardava attorno con un'espressione sicura, davanti a lui c'era Ludwig e questo gli bastava per non farlo sentire troppo in ansia, in quel momento per lui tutto era perfettamente normale e ogni cosa andava esattamente come doveva andare. Non si era nemmeno accorto della presenza fantasma di Matthew, delle occhiate di puro odio che si scambiavano Alfred e Arthur, di Antonio che allungava le mani sul suo sventurato fratellone, di Elizaveta che tirava fuori da chissà dove una padella e che la dava in testa a Gilbert, di Ivan e Yao che erano arrivati in un silenzioso ritardo e che sembravano già stanchi e provati. Feliciano badava soltanto alla schiena forte del suo Ludwig e sorrideva, perché non doveva fare altro che copiare.
Il maestro si rivelò meno severo di quanto sembrasse, aveva un cipiglio burbero e la faccia di chi non accetta errori o distrazioni, ma alla fine era stato silenzioso e la collera che sembrava controllare in silenzio in realtà si era dimostrata inesistente. Si chiamava
Berwald Oxenstierna e Feliciano non riuscì mai a pronunciare il suo nome correttamente, ma il maestro non sembrava nemmeno ascoltarlo, si limitava a fissare Tino che prendeva le sue veci e che quindi sillabava con gentilezza quel nome all'italiano, nonostante ogni suo sforzo per farglielo ricordare si rivelasse totalmente inutile.
A fine lezione Tino aveva la bocca più stanca delle gambe, a furia di avvicinarsi a Feliciano e ripetere ogni lettera a voce alta come se stesse parlando con un mezzo sordo, Matthew continuava a essere invisibile anche per il loro insegnante temporaneo (in effetti sembrava essere invisibile per tutti, meno che per Francis, che sussurrava qualcosa riguardo a un invito a cena), Arthur e Alfred avevano finito il loro scambio di occhiate rabbiose e avevano cominciato a sfoderare il loro repertorio di frecciatine sarcastiche, che colpivano i difetti fisici, tra i quali spiccavano le sopracciglia di uno e lo stomaco dell'altro, quanto quelli caratteriali, accusando il carattere cinico tipicamente inglese e l'egocentrismo dilagante di cui Alfred era letteralmente malato. Antonio non si era ancora dato per vinto, e infatti sfoggiava un grosso livido violaceo sullo zigomo e si reggeva lo stomaco mentre agonizzava dopo una testata di Lovino, e a Gilbert, forse per solidarietà con l'amico, era toccato lo stesso destino e infatti esibiva un enorme bernoccolo sulla fronte, mentre Elizaveta sorrideva soddisfatta e metteva via la padella. Ivan e Yao erano già spariti, Feliciano non sapeva dove, ma non se ne preoccupò molto, perché aveva qualcosa di più importante a cui pensare.
«Lud! Guarda che cosa ho qui!», strillò, afferrando Ludwig per la manica della felpa e scuotendo il suo braccio.
«Pizza!»
In una scatola di latta Feliciano aveva chiuso il suo pranzo, avvolgendolo amorevolmente in una carta gialla. Ludwig notò che il pranzo era stato preparato per due, e automaticamente pensò che lui avesse intenzione di consumarlo con suo fratello.
«No, non è per Lovino!», gli spiegò in fretta, quando Ludwig accennò andare via, «L'ho preparato per noi due! Siamo amici, no? Quindi pranziamo insieme!»
E a quel punto, Feliciano mollò il suo braccio e infilò un pezzo di pizza nella bocca semi aperta di Ludwig, ridendo per la sua espressione buffa.





Vorrei innanzitutto chiedere scusa per il ritardo, e poi spiegare perché non posso rispondere alle recensioni. Sono all'università (;___;”) e il mio internet mi dà un po' di problemi ... diciamo anche che fa cagare. E' difficile anche riuscire a postare e a leggere i commenti, e questa cosa è veramente fastidiosa! Spero di avere una pennina per metà mese o al massimo arriverà a Novembre (nella speranza che arriverà), nel frattempo continuo a pensarvi e a scrivere tanto per voi. =)

Nonostante la mancanza di risposte, mi piacerebbe leggere qualche recensione (e a chi non piacerebbe?) e cercare di rispondervi non appena ne avrò l'occasione! C:

Kisu<3

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Capitolo 6
*** [291] I fatti parlano da sé, La Fille Mal Gardée. ***


[471] Matthew Williams;

«Credevi che mi fossi dimenticato di te? Anzi, di noi?»
Matthew alzò il mento con uno scatto e lasciò perdere le sue mezze punte color carne, sfilacciate e lise; davanti a lui c'era Francis in piedi, e teneva una mano appoggiata su un fianco, il sopracciglio sollevato e l'espressione tipica di chi la sa molto lunga. Aveva un abbigliamento sportivo, e ciononostante emanava profumo di fiori e cannella che fece chiudere gli occhi a Matthew ed inspirare a fondo, perché era quasi assuefante.
«A dire la verità... Sì.»
Lui e Francis avevano un appuntamento quella sera, una specie di appuntamento che poteva definirsi meglio come... Un'uscita a cena tra amici. Matthew non ne era mai stato troppo convinto (del fatto che fosse una semplice uscita tra amici e non qualcosa in più) e infatti non aveva nemmeno speso tempo con Alfred per giustificarsi, e comunque Alfred era troppo preso da se stesso e dalle nuove tecniche che escogitava per infastidire Arthur per preoccuparsi di suo fratello. Il fatto era che aveva passato tutta la vita a giustificarsi con lui, quindi era normale che ormai gliene fosse completamente passata la voglia. Secondo la visione amorevole e forse anche un poco campanilistica di una madre divorziata, Alfred era il figlio perfetto, quello che non passava i pomeriggi davanti ai videogiochi, ma preferiva leggere un libro seduto sulla veranda, quello che non perdeva tempo a rompersi le ossa in sport come il football (che per quanto la riguardava, poteva essere uno sport da signori, ma a giocarlo erano spesso e volentieri gli animali), ma preferiva una mazza da hockey e un paio di pattini per il ghiaccio. Secondo l'opinione di Matthew, sicuramente meno cieca e molto più generale, sua madre aveva fatto un gran confusione addirittura tra i suoi stessi figli, dato che Alfred aveva sempre il video games di ultima generazione, prima ancora che uscisse in commercio a volte e sempre Alfred era il quaterback della squadra di football al liceo.
Alfred e Matthew erano stati abbastanza fortunati da potersi vedere soltanto tre volte l'anno negli ultimi tre anni (uno ballava a New York e l'altro a Toronto), e la cosa risultava abbastanza positiva per entrambi, dato che l'uno credeva che l'altro fosse una specie di eremita franco-canadese che passava le sue giornate ad intagliare il legno e a piazzare tende nel bel mezzo della foresta, mentre l'altro credeva di avere un fratello egocentrico, indisciplinato e forse anche un po' stupido che sapeva orientarsi solo e soltanto nella jungla newyorchese, che giudicava addirittura un paradiso (col rombo della metropolitana che ti stordisce, la puzza di fritto che ti arriva in faccia ogni qual volta entri in qualche locale, le persone che camminano velocemente e non si scusano se ti urtano per sbaglio e infine i taxi che, se non attraversi la strada con la velocità di un ghepardo nel bel mezzo di un inseguimento, cominciano a strimpellare col clacson rischiando di fracassarti un timpano).
Era quindi evidente che fossero due fratelli un po' singolari, e forse un po' troppo diversi tra loro, tanto che, se qualcuno li avesse visti con un sacchetto di carta in testa, avrebbe faticato a crederli tali.
Il guaio infatti (forse soltanto per Matthew) era la somiglianza. Ogni volta che si faceva la barba aveva la strana abitudine di guardarsi negli occhi, piuttosto che seguire il movimento del rasoio, per il semplice fatto che gli veniva più naturale fissare quell'unica differenza che c'era tra lui e Alfred, invece che notare quanto i loro lineamenti fossero simili. Matthew aveva gli occhi blu, di una sfumatura tendente al viola, che gli attribuiva un'aria dolce e anche abbastanza ingenua (il che era veramente nella sua natura) e che se ne stavano dietro un paio di occhiali con la montatura ovale. Gli occhi di Alfred erano tutt'altro e ogni qual volta venissero descritti, lui pregava di usare la terminologia più adeguata, ossia un “azzurro-blu tendente al verde acqua, come il colore del cielo limpido che si staglia dietro la Statua della Libertà illuminata dal sole di mezzogiorno”. Anche riguardo a questo Matthew aveva un'opinione discordante e molto meno ridondante, secondo cui gli occhi di Alfred erano semplicemente di “quell'azzurro che attribuiva alla sua faccia un'aria ancora più arrogante e scapestrata”. Ma questi erano soltanto pareri, sia chiaro.
La verità stava nel fatto che probabilmente, al momento della nascita di ciascuno dei due, qualcosa era andato storto. Tanto per cominciare, loro madre, nel partorire il primogenito, Alfred, aveva avuto delle serie complicanze in sala parto. Il bambino era in una posizione irregolare, l'angolazione era strana e il cordone ombelicale gli avvolgeva il collo – per quanto la cosa fosse stupida e di poco conto, Matthew la tenne per sempre a mente dal giorno in cui gliela raccontarono, giustificando la stupidità di suo fratello col fatto che probabilmente da piccolo aveva subito (il suo cervello in particolare) una grave carenza di ossigeno. Lui invece era nato in auto, mentre la signora Williams, in preda alle contrazioni, si faceva beffe di tutti i limiti di velocità e andava spedita verso l'ospedale, Alfred, seduto sul sedile posteriore della macchina, non aveva ancora idea del futuro di ostetrica che lo stava aspettando. Ovviamente la strana vicenda della nascita di Matthew finì ben presto nel dimenticatoio, dando spazio ad una serie di altre strambe versioni secondo cui il bambino era nato ai confini del Canada, nella vecchia tana di un'orsa dal collare, o in una tenda di Apache (poco importava se a quel tempo, da circa duecento anni, non ci fosse più la benché minima traccia di tende degli Apache negli interi Stati Uniti d'America).
Alle sei e trenta di quella sera, Matthew se ne stava seduto sul pavimento, e ancora una volta nella sua vita stava pensando a suo fratello. Evidentemente Francis scorse un lampo di turbamento sulla sua faccia, o più semplicemente reclamò l'attenzione che era sicuro gli spettasse di diritto, e tossì.
«Allora ci vediamo tra un paio d'ore?», chiese.
«Certo. A dopo.»
«Non farmi aspettare», aggiunse Francis con un sorriso.
Se ne andò accendendosi una sigaretta e reggendola tra l'indice e il medio della mano sinistra, lanciandosi una tracolla sulla spalla e scuotendo la testa e i capelli. Indossava una tuta blu notte, di quelle strette da un elastico sui fianchi che cadono larghe sui piedi, e copriva un paio di scarpette nere. Lanciò un'ultima occhiata a Matthew e sorrise.
In un certo senso era una persona gentile, che Matthew paragonava a una specie di druido onnipresente che conosce a memoria la storia della Rivoluzione Francese e che non transige sulle abitudini alimentari, l'accento parigino di chi deve parlare inglese controvoglia e i modi di fare gentili e riverenti. Ovviamente sapeva essere anche scorbutico (con Arthur), poco accondiscendente (con Arthur) e anche parecchio sboccato (sempre con Arthur), ma Matthew non ci badava, anzi, lo trovava addirittura buffo, ora che ci pensava e continuava a fissare la porta dietro la quale Francis era sparito appena un secondo prima.
E in quell'attimo di silenzio e concentrazione, fu addirittura sicuro di sentire una voce familiare che sussurrava «Dio mio, ho un modo di uscire di scena assolutamente sublime!».



[619] Arthur Kirkland;

Arthur era chino da almeno tre ore su un vecchio pezzo di carta che avrebbe potuto essere identificato come spazzatura. Infatti si era ormai strappato lungo le pieghe, e esattamente al centro c'era una grossa e circolare macchia di caffè risalente a quel pomeriggio stesso. Sopra c'era scritto da cima a fondo con una calligrafia piccola e singolare, con parecchie cancellature e altrettanti giri di parole inutili. Arthur l'esaminava da cima a fondo, cercando di capirne il significato intrinseco che ovviamente non esisteva e senza avere ancora la benché minima idea di come rispondere al misterioso mittente (sempre ammesso che non fosse soltanto uno scherzo di cattivo gusto). Era una specie di lettera scritta all'ultimo minuto e ingenuamente lasciata scivolare sotto la porta della sua stanza, una lettera che era contemporaneamente stupida, sgrammaticata, imbarazzante, strana, poco pragmatica e piena di affettuosità e insensatezze fino alla nausea. Insomma, quel genere di lettera che qualunque Kirkland avrebbe preferito dimenticare (o non aver mai ricevuto), ma che, a causa dell'intelligenza acuta e alla macabra tendenza all'autolesionismo, teneva a mente come se fosse stata imparata a memoria. Una di quelle lettere talmente strane da meritare il privilegio di essere riportate per intero:

Caro Arthur,
forse “caro” non è la parola giusta, dato che non ho mai avuto l'impressione che tra noi ci fosse un'amicizia di sorta o qualcosa che andasse oltre il tuo strano attaccamento alle buone maniere...
Caro conoscente Arthur, che va decisamente meglio,
sono appena tornato in camera dopo un interminabile pomeriggio passato ad allenarmi e poi a fissare una ragazzina vestita di rosa che lancia sorrisi a destra e a manca, e adesso mi sento una persona molto cinica, il che sarebbe un atteggiamento molto alla te, ma ormai non ci faccio più caso, la tua presenza deleteria mi sconvolge e mi logora dall'interno, credo che tu abbia un virus e che io me lo sia beccato, in barba alle mie potentissime difese immunitarie.
Probabilmente ti starai chiedendo chi ti abbia scritto questa lettera, ma visto che sei convinto di sapere tutto e di conoscere anche il segreto del Santo Graal, la strada che porta al Nirvana e mille altre cose, capiscilo da solo.
In questo momento il compito che io decido di assumermi, dato che ho sempre un compito da assumermi, è quello di dedicarmi un po' a me stesso (cosa che non faccio mai) e riordinare un po' le mie idee lontano da tutte le distrazioni. Nel frattempo il telefono della camera sta squillando, ma almeno questo non mi infastidisce. Adoro quel vecchio telefono. In realtà adoro questo albergo intero, è come vivere in un'altra epoca, è un posto che sa di vecchio e questo un po' mi conforta, un po' mi ricorda la tua presenza costantemente (sai, per lo storia che è un posto che sa di vecchio).
Vorrei proprio vedere la tua faccia mentre leggi, perché credo sia la solita, esilarante faccia che hai ogni volta che vedi in giro la mia. Aggrotti le sopracciglia, quelle enormi sopracciglia che sembrano disegnate con un pennarello spesso almeno quanto un dito, e cominci a contrarre la mascella per darti un'aria da duro. Fidati, sembrano soltanto tentativi mal riusciti di arrotolare la lingua, cosa che io so fare benissimo. E so anche muovere le orecchie, per la cronaca.
Ad ogni modo, il motivo per cui ti scrivo è molto semplice, ma allo stesso tempo va al di là del motivo imprescindibile per cui non voglio dirtelo in faccia.
Tu mi piaci.
Purtroppo non mi piaci come mi piace il burro di arachidi o come mi piaceva il mio primo cane. Si chiamava Alban, ed era un bel cane da caccia con le zampe grosse e le orecchie penzoloni. Una volta ha vomitato sulla moquette del salotto, che da quel giorno ha una grossa macchia scolorita che a mio parere ha la forma di un hamburger. Purtroppo non mi piaci nemmeno come mi piacerebbe un amico che mi va a genio, dato che tu non sei un amico che mi va a genio, anzi, sei esattamente l'opposto. Facciamo l'assurdo esempio che l'amico che mi va a genio beva soltanto Coca Cola classica, quella che esiste da mille anni o giù di lì. Ecco, tu invece sei più un tipo da Coca Cola dietetica, e questo a me non va a genio per niente. Visto che però sei all'antica, e potresti non aver capito questo esempio, te ne farò un altro. L'amico che mi va a genio è difensore nella squadra di football migliore del New England. Mentre lui gioca, tu non guardi nemmeno la partita, perché stai giocando a golf. Capisci? Con me non si gioca a golf, il golf è roba da borghesi, da gente che beve Coca Cola dietetica...
Tuttavia potrei anche sbagliarmi, dato che ti conosco come si conoscono due persone che si incontrano in metropolitana e hanno soltanto il tempo di dirsi quanto fosse grande l'ultimo topo che hanno visto alla Stazione Centrale. Per questo motivo (e ovviamente per il motivo che ho citato sopra) voglio darti un'altra possibilità. Qualcuno potrebbe leggere in questa frase una sorta di velato, come si dice, “scarica barile”, nel senso che tu mi piaci e sono io a doverti dare un'altra chance, ma non è così, fidati. Voglio veramente che tu mi descriva quel topo che hai visto alla Stazione Centrale, voglio veramente avere una reale conversazione con te.
La verità è che mi stavo facendo la doccia, e un'assurda serie di coincidenze mi ha fatto capire che in qualche modo tu dovevi sapere quanto ti scrivo adesso (sempre che non lo sapessi già, dato che sai tutto). Il telefono squillava e produceva quel suono fantastico che solo lui sa emettere, alla tv c'era la pubblicità di una nuova catena di Fast Food, le signore delle pulizie mi avevano portato un rotolo di carta igienica nuovo di zecca, il che mi aveva messo di buon umore appena entrato in camera.
Ovviamente non mi aspetto che il tuo cuore si accenda di gioia leggendo, anzi, sono convinto che l'unica cosa che si accenderà dopo la lettura di questa lettera sarà il tuo piccolo e subdolo io da psicanalista freudiano [in realtà l'aggettivo “freudiano” era stato cancellato e corretto svariate volte, e nessuna delle versioni era scritta nella maniera giusta], nonché le capacità alla Holmes. Qui si chiama “CSI”, ma ho preferito citare un vecchio classico, una cosa che fosse più adatta alla tua veneranda età.
A dire il vero, prima o poi dovrai dirmi quanti anni hai. Quanti anni hai veramente, perché non ci credo che ne hai ventitré. Forse ne avevi ventitré una decina di anni fa. Ma comunque per me l'età non conta, sappilo, anzi, mi piacciono le persone mature e tu hai un qualcosa di paterno... Anzi, più che di paterno io direi di materno.
Ah, queste gocce che vedi sulle parole che ti scrivo... No, non sono lacrime, non ti illudere. Non ti schifare nemmeno, quando ti dirò che si tratta di sudore, perché ti ho scritto appena un minuto fa che sono appena uscito dalla doccia. Ad ogni modo, è sudore. Fa caldo, e io non posso farci niente, non riesco ancora a controllare i cambiamento climatici con la forza del pensiero, ma ci sto lavorando.
E ci tengo ad avvisarti anche (oltre alla questione sudore) che non mi aspetto nemmeno che tu ti metta a esplorare i più reconditi angoli del tuo cuore per me, per noi o per te stesso. Io so già che riuscirò nella mia impresa, ne sono sicuro quanto sono sicuro che alla fine Starbucks non chiuderà mai, anzi, vi surclasserà tutti.
Bene, adesso dovrei proprio smettere di scrivere, perché sta per terminare il foglio che ho a disposizione e perché la mia scialba carriera di aspirante amanuenso sta togliendo tempo a quella decisamente più promettente di ballerino.
Vorrei solo dirti, alla fine di tutto, e adesso che sai quello che dovevi sapere e che (questo lo so io) probabilmente non avresti mai voluto sapere (come al solito i miei tentativi di onniscenza sono ridicoli, ma tu più di tutti dovresti essermi grato, in questo giorno) che secondo la mia (quasi sempre giusta) opinione, tu dovresti prendere in considerazione quanto ho appena scritto. Non puoi tirarti indietro, e non puoi fare nemmeno l'eroe e salvarti dal guaio (di eroe ce n'è soltanto uno e, mi spiace, non sei tu), non sei nemmeno Gesù se è per questo. Anche di Gesù ce n'è soltanto uno, fortunatamente, e anche Gesù, sempre fortunatamente, non è te. Sfortunatamente però non è nemmeno me. Sono gentile, vero? Con questa frase puoi almeno depennare un nome dall'elenco dei sospettati per la tua lista di ipotetici ammiratori segreti.
Adesso puoi anche buttar via questa carta straccia, oppure rimuginarci sopra cercando di capire chi sia io – a quel punto sarò più che certo di interessarti, e tu sarai più che sicuro riguardo la mia identità. Quindi, da zoppo a zoppo, per favore, cerchiamo di non mentirci e apri gli occhi (magari da' una sistemata anche alle sopracciglia, così ci vedi meglio).
Con affetto.


Non c'era nessuno in quel maledettissimo albergo che fosse mai stato tanto abile con lui a parole, Arthur dovette ammettere che si sentiva quasi superato. Aveva letto frasi che non si aspettava minimamente, da nessuno, e si era accorto di qualche indizio lasciato qua e là con distrazione (forse) quasi come se si fosse trattato di nebbiolina. Svariati riferimenti agli Stati Uniti, una eccessiva dose di egocentrismo puro e alcuni errori grammaticali. Tuttavia continuava comunque a dubitare che l'autore di quella malefica missiva potesse essere Alfred, sia perché non era totalmente sicuro che una persona del genere potesse avere una vita sentimentale più complicata della vita sentimentale di un comodino, sia perché aveva riscontrato nella sua lettera una capacità lessicale disarmante, che poteva appartenere soltanto ad un attento conoscitore della lingua inglese. Sfortunatamente per Arthur, però, gli attenti conoscitori della lingua inglese, in quell'albergo, in quel momento, si limitavano all'esiguo numero di due, uno dei quali, purtroppo, era egli stesso. Arthur si sentì un po' come quando la maestra di danza, da bambino, lo rimproverava di pulirsi le scarpette prima di entrare in sala. Non sapeva chi ci fosse lì dentro, ma in cuor suo era più che certo che ci fosse qualcuno per cui valesse la pena di pulirsi le scarpette, e quindi eseguiva l'ordine.
Stessa cosa valeva per quella lettera. Non sapeva chi fosse l'autore, ma in un certo senso immaginava che valesse la pena scoprirlo.
Sembrava interminabile, scritta in maniera fittissima e con una calligrafia che gli ricordava vagamente quella di un bambino delle elementari, solo che riprodotta in scala più piccola, faticava un po' a leggerla a quell'ora, l'orologio segnava lei sei e trenta, e fuori era quasi buio. Era chino di lato, verso l'abat-jour, il foglio era poggiato sulle ginocchia piegate, e lui se ne stava sdraiato a letto, strizzando gli occhi e avvicinandosi, di tanto in tanto, la lettera alla faccia come per assicurarsi che ci fosse veramente scritto quello che lui aveva appena letto.
Il fatto era che non si aspettava che quel maledetto sconosciuto fosse veramente tanto abile. Per quanto ne sapeva, lì dentro, soltanto Francis poteva essere capace di acrobazie verbali tanto prodigiose (in campo amoroso) ma al tempo stesso dubitava seriamente che Francis fosse il tipo da dichiararsi tramite una lettera.
I suoi dubbi quindi, per quanto la cosa potesse sembrargli assurda, incredibile, stupida e contemporaneamente fantastica, ricadevano sempre sulla stessa, americana persona.




I fatti parlano da sé, si dice, ma a volte nessuno di noi è in grado di interpretarli. Spesso parlano una lingua tanto più volgare, quanto più ci interessano personalmente, a volte sembrano schiaffarci in faccia la realtà con una certa violenza. Ma che i fatti parlino da sé si dice soltanto, magari qua e là c'è qualcuno che nemmeno se ne accorge. A volte gli intrecci sono troppo complicati da capire, a volte siamo noi stessi a renderli tali. I fatti, ad ogni modo, spesso derivano da un miscuglio complessivo (e anche un po' profano) di azioni.
E infine, il numero di cose che i fatti dicono è direttamente proporzionale al numero di conseguenze che noi ne vogliamo dedurre.

La Fille Mal Gardée, i fatti parlano da sé.





[559] Antonio Fernandez Carriedo;

«Che cosa vedi lì dentro, Antonio?»
«Tulle, tantissimo tulle.»
«Non intendevo sullo schermo, intendevo dire dentro lo schermo.»
«Ah... Che ne so. Plasma?»
Francis sbuffò, e si passò una mano sulle tempie, come se si trovasse nell'atrio di un asilo e stesse chiedendo ad uno dei bambini che colore fosse il fiorellino giallo che c'era disegnato sul muro. Il bambino rispose “blu”.
«Una visione profonda, devi avere una visione profonda! Io vedo una ragazza che si impegna con tutta se stessa e sprizza energia. La vedi la sua energia? Io la vedo.»
«Io vedo solo che è fuori tempo.»
Il bambino fece un secondo tentativo, e disse “rosso”.
Francis si diede un'occhiata intorno, e poi calciò Antonio all'altezza delle reni.
«Ehi, ma si può sapere che ti prende?!»
«Smettila di abbrutirti, d'accordo? Smettila. Non è da te. Non puoi abbrutirti di colpo, non è un tuo diritto farlo.»
A quel punto, raccogliendo l'onere che gli era appena stato affidato (che Antonio avrebbe quasi sicuramente preferito descrivere come una zavorra) si alzò in piedi e guardò Francis negli occhi. Aveva voglia di dargli un pugno, ma non si trattava di quel genere di pugni che nei libri e nei film si davano al nemico, era più un pugno da “migliore amico”, uno di quei pugni che ti faceva capire per sempre che qualcosa si era rotto, dentro, e che lui era giù di morale.
Effettivamente se si metteva a pensare sul serio alla sua vita nell'ultima settimana e la tramutava un po' in un film riusciva quasi a vederci una lunga serie di personaggi principali, un po' come quei telefilm che rifilavano ogni santissimo giorno dall'America, in cui lui era un liceale con problemi esistenziali, Francis era una specie di agile soubrette tramontata, Gilbert era l'amico popolare che lo avrebbe quasi sicuramente accusato, durante queste sue riflessioni, di avere un cervello imperniato di fantasia, che doveva mettere i piedi per terra e agire, un po' come faceva lui (ovviamente Gilbert, nel suo film, continuava ad essere malmenato da una donna, e questo giusto perché Antonio voleva la sua piccola vendetta personale). E infine c'era Lovino, la ragazza carina e riservata che si soffia sempre il naso in classe.
«Senti», cominciò a fatica, come se ciò che stesse per dire risvegliasse in lui il tormento di una vita, «non sono in vena, dico davvero.»
«Dal mio illustre punto di vista, sappi che sono sicuro che invece sarai in vena, dammi soltanto un minuto.»
A quel punto Francis estrasse dalla tasca il suo telefono cellulare e cominciò a picchiettare le dite sulla tastiera con la stessa calma che potevano avere quelle signore che sanno di dover aspettare almeno due ore quando sono in fila dalla parrucchiera. Nel frattempo, Antonio attendeva impaziente cosa stesse per dirgli – lui aveva l'assurda tendenza a fidarsi meccanicamente delle persone, come se in lui ci fosse una specie di cromosoma benefico che gli impediva di provare sentimenti come l'odio o l'indifferenza.
«Ecco, guarda.»
Detto ciò Francis gli piazzò il cellulare a due centimetri dalla faccia e Antonio impiegò un paio di secondi, che usò per sbattere ripetutamente le palpebre, prima di mettere a fuoco quello che c'era scritto sul display. La delusione amorosa aveva causato una mancanza d'espressione sul suo volto (e anche i seri dubbi sulle potenzialità di Francis, a dir la verità) che lo faceva sembrare come uno di quei passanti che per ammazzare il tempo mentre camminano leggono quegli opuscoli inutili che distribuiscono per strada o, sebbene fosse abbastanza triste come cosa, i necrologi.
«E allora?», chiese infine, dopo una veloce ma attenta analisi.
«Allora? Vorresti dirmi che non ti interessa?»
«Che cosa dovrebbe interessarmi? Non si capisce nemmeno cosa ci sia scritto.»
Francis roteò gli occhi con aria piuttosto teatrale (era un attore nato, aveva anche la strana abitudine di parlare con un tono di voce basso e di gesticolare muovendo soltanto le dita).
«Stavo parlando con Feliciano», spiegò, come se adesso stesse parlando con un ritardato mentale, «e in questo messaggio, scritto in tre diverse lingue per ragioni a me ignote, lui mi spiega che Lovino resterà con te, dato che lui e Ludwig devono uscire.»
Antonio respirò adagio e osservò il sorriso di Francis. In quel momento gli sembrò la cosa più bella che potesse guardare, e quindi concentrò la sua attenzione su quel particolare per quasi un minuto. Quando riprese coscienza di se stesso e di quello che stava accadendo, sapeva già che cosa avrebbe fatto dopo.
«Ah, non so come tu lo abbia convinto. Ah, tu fai i miracoli! Ti devo un favore, d'accordo? Ricordamelo però, odio dovere i favori alla gente. Sei un amico Francis, ti devo un favore!», cominciò a dire.
Raccolse velocemente la sua borsa, salutò Francis con la mano e corse a farci una doccia.
Ovviamente non seppe mai che fu Lovino stesso a chiedere a Francis di poter fare da tramite tra lui ed Antonio, ma questa era un'altra storia. Si sa, i fatti derivano da un miscuglio complessivo (e un po' profano) di azioni.




Nel frattempo Lili eseguì la sua ultima diagonale di pas de basque, e si fermò, salendo sulle punte e guardando tutta la giuria dall'alto. Con la fine della sua variazione finiva anche il mondo che si era creata attorno, quello di una storia piena di inganni, intrighi e intrecci, una storia fittissima, in cui le dichiarazioni non erano mai esistite, in cui gli equivoci erano all'ordine del giorno e in cui, nonostante tutto, c'era il lieto fine.









L'ultima parte si riferisce alla trama della “Fille mal Gardée” (la Figlia Mal Custodita). =) Ho deciso di incentrare questo capitolo più sui protagonisti (che, ahimé, sono soltanto tre per questioni di lunghezza) che non sulla danza. In un certo senso credo sia meglio così, oppure alternare, per non risultare noiosa e ripetitiva, giusto?
Ad ogni modo, la variazione che avevo scelto per Lili era un'altra, per la precisione questa qui Swanilda, tratta da Coppelia. Ho cambiato proprio alla fine, mentre scrivevo e mi rendevo conto che anche con la trama ci stava meglio la seconda scelta! (E poi è la mia variazione femminile preferita, quindi...!)
Nel prossimo capitolo però toccherà a un personaggio piuttosto importante, quindi vorrei di nuovo portare l'attenzione sul balletto. Si tratta di questo Flames de Paris (purtroppo non trovo un video decente, chiedo scusa D:), che secondo me è praticamente perfetto, vista la trama. :P Secondo voi di chi si tratta? :P
Infine, grazie a chiunque abbia recensito, letto o soltanto dato un'occhiata al titolo! =)






A presto, baci! <3

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