La Narratrice

di Miril degli Elfi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Preludio ***


Premessa

La Lingua Corrente è l'italiano parlato abitualmente dalla protagonista. Tutte le altre lingue della Terra di Mezzo sono quelle originali.

La Narratrice: Preludio

Marta si avviò velocemente verso il portone di casa, trotterellando sui tacchi a spillo che, come diceva sua madre, “regalavano slancio alla figura”. Purtroppo avevano uno svantaggio: il tacco sinistro si incastrò in un tombino, costringendo la bionda sedicenne a fermarsi nel bel mezzo della strada buia, lanciando sottovoce un’imprecazione.
“Guarda cosa mi doveva capitare…” Marta cominciò a tirare furiosamente per disincastrare il tacco.

Improvvisamente si bloccò, avvertendo un fruscio dietro di sé. Piedi di metallo si avvicinavano, producendo uno sgradevole rumore sull’asfalto.
Piedi di metallo… no, non può essere!
Marta si voltò di scatto, sbarrando gli occhi di un’indefinita tonalità nocciola. Nessuno. Doveva smettere di leggere romanzi fantasy, uno in particolare… stava diventando paranoica…
Sorrise nervosamente.
Spesso aveva la sensazione di essere osservata, spiata da occhi invisibili, lontani nel tempo e nello spazio. Un’altra dimensione, un altro mondo… fra la realtà e l’immaginazione…
Involontariamente, le balzarono alla mente le parole ‘Terra di Mezzo’. “Dannazione, smettila!” mormorò Marta. “Ora inizierà la scuola, e tu non hai ancora finito di preparare i compiti, non puoi metterti a pensare a queste… queste…” non riuscì a pronunciare la parola ‘sciocchezze’.
Un rumore aveva attirato ancora la sua attenzione. Ancora quello sbattere sommesso di stivali metallici, lenti e… determinati. Questa volta non se l’era immaginato. Sollevò gli occhi dal tombino, in tempo per vedere una cappa nera, un volto senza occhi. Un lampo di consapevolezza le attraversò il cervello. E, stordita da quei pensieri, perse conoscenza.

Marta riprese i sensi con uno scossone particolarmente violento. Pensò di essere sul pullman per la scuola. “Oooh… Nena… che ore sono?” mugugnò. Una zaffata di puzzo di muffa colpì le sue narici, e Marta si svegliò del tutto. Lottando contro la nausea, aprì gli occhi. Una nera criniera insanguinata sventolava sotto il suo naso, mentre mani metalliche trattenevano scure redini. Criniera? Redini? Sono… sono su un… cavallo? Paralizzata dalla paura, ricordò la strada buia, il tacco incastrato, il… il Nazgul. Perché quello che aveva visto prima di svenire era un Ringwraith, un Cavaliere Nero, uno dei Nove Re Rinnegati. Ora ne era certa. No, non era uno scherzo. Percepiva l’aura di malvagità che permeava lo spettrale Re e la sua cavalcatura. Tentò di rimanere immobile, lottando contro il desiderio di sollevare la testa verso il volto del suo rapitore.
Dove si trovava? In che tempo? E… perché l’avevano presa? Perché lei, un’insignificante studentessa di quarta con la testa fra le nuvole, pericolosamente incline a sviluppare una passione morbosa per tutto ciò che concerneva l’astrazione dal mondo reale?

Non ne aveva idea, ma non doveva essere nulla di buono. Si guardò intorno, cercando di non farsi notare. Il cavaliere galoppava attraverso una vasta brughiera immersa nella nebbia. Alla sua sinistra si ergevano nebulose montagne… nebulose?
Ma certo. Le Montagne Nebbiose, non potevano essere che quelle. Quindi, a giudicare dal paesaggio, si stavano dirigendo a sud. A Mordor… rabbrividì impercettibilmente.

Non c’era tempo per chiedersi come era arrivata fino là, nella Terra di Mezzo. Poteva scoprirlo in seguito.
Ora era tempo di agire, e precisamente di salvarsi la pelle. Doveva tentare di fuggire adesso, quando era presumibilmente ancora vicina a… Imladris. Gran Burrone. Lì avrebbe potuto trovare aiuto… senza dubbio era meglio tentare che rimanere alla mercè di Sauron.
Sbirciò intorno a sé con cautela. Apparentemente il Nazgul era solo. Magra consolazione, dato che primo, lui era a cavallo, e secondo, lui era armato. E lei non aveva né l’una né l’altra cosa.
Immaginava però che doveva portarla a Mordor senza un graffio, dato che, considerato che era uno Spettro, l’aveva trattata abbastanza gentilmente. E questo giocava a suo favore.

Marta chiuse gli occhi, imponendo al suo corpo di fare appello a tutte le sue forze e al suo cervello di riprendere coraggio.
Non era legata. Evidentemente il Cavaliere era sicuro che non avrebbe reagito.

Inspirò profondamente.

Lasciandosi sfuggire un urlo per lo sforzo, colse di sorpresa il Cavaliere, colpendogli le braccia dal basso verso l’alto e sgusciando fuori dalla sua stretta. Cadde pesantemente sul fianco, mentre il cavallo si impennava e il Nazgul lanciava un grido terrificante. Più velocemente possibile, si tirò in piedi e corse verso i pendii premontani, distanti un centinaio di metri, che abbondavano di macigni e rocce, dove per lei sarebbe stato facile nascondersi e per lo Spettro difficile procedere a cavallo.

Sperava soltanto di farcela prima che quel demonio urlante le piombasse addosso. Correva, con il cuore in gola, i piedi nudi che si ferivano sulle rocce, pregando che le gambe non le cedessero dalla paura.

In fretta, raggiunse un anfratto e si nascose. Il Cavaliere? L’aveva perso di vista nella nebbia che avvolgeva quel luogo sinistro, turgide spirali grigiastre che confondevano le forme e affannavano il respiro.
Si rannicchiò fra le rocce, rabbrividendo. Era terrorizzata.
Sapeva di non poter restare lì, ma non osava muoversi per timore che lo Spettro la scoprisse.
Passarono cinque minuti, sei, sette. Dieci. Marta non lo sapeva.
Le volute di nebbia continuavano a danzare ipnoticamente davanti a lei, e non lasciavano intuire alcuna presenza estranea alle rocce e agli sterpi.
Si decise a muoversi, ma aveva perso il senso dell’orientamento.
Non aveva idea di dove andare. Decise di strisciare con cautela fuori dal suo nascondiglio e di dirigersi verso la brughiera.
Così fece, e le andò bene, almeno per un po’. I suoi piedi nudi toccarono di nuovo l’erba umida. Avanzò un poco, spostando le sterpaglie che le arrivavano ai fianchi. Nessun segno del Cavaliere. Intorno a lei, solo il frinire sommesso dei grilli.
Tirò un sospiro di sollievo. Il suo cuore smise finalmente di battere come un uccello impazzito. Oh, santo cielo, or…

Una mano la afferrò per i capelli, sollevandola dal suolo con forza straordinaria. Trattenendo le lacrime di dolore, Marta urlò; tentò di divincolarsi, ma riuscì soltanto a strapparsi diverse ciocche di capelli biondi. Con una torsione del polso, il Cavaliere la girò verso il suo viso privo di lineamenti, puntando la sua spada arrugginita sulla gola bianca della ragazza.
Marta si sentì mancare, pietrificata da quello sguardo vuoto e folle, quel buio orrifico senza fine. Sentiva il freddo metallo sul suo collo, e pregò che la Spettro l’ammazzasse lì sul posto, senza soffrire, senza terrore… addio, mio mondo… addio, Terra di Mezzo… addio, casa mia, libri miei… addio…

Ma non ebbe tempo di dire addio a tutti. Aprì gli occhi ad un improvviso sfrigolio di dolore dello Spettro. Il suo cappuccio era in fiamme, ma nonostante questo non mollò la presa sulla lunga capigliatura della ragazza, che venne sballottata su e giù mentre il Nazgul si contorceva.
Marta guaì di dolore: il metallo di cui era rivestito il suo rapitore era diventato incandescente a contatto con le fiamme che lo avvolgevano, e i suoi capelli avevano preso fuoco, bruciandole la cute, ma anche liberandola, dato che il Cavaliere non aveva più nulla su cui far presa.
Marta, cadendo nella polvere, si rotolò freneticamente al suolo colpendosi la testa per soffocare le fiamme.
Gemette quando le mani si ustionarono ma infine riuscì a spegnere il fuoco, in tempo per vedere fra le lacrime il Nazgul allontanarsi lasciandosi dietro una scia di fumo.
Se l’era vista brutta, ma se l’era cavata. “Ma che diavolo…?”
borbottò, sospirando di sollievo.
La sua frase venne interrotta da una voce beffarda e impertinente, ma anche profondamente sollevata, proveniente da dietro le sue spalle.
“Credevo che una Forestiera Planare se la cavasse meglio di una donnetta isterica alle prese con un focolare difettoso” ridacchiò Gandalf.
“Gandalf?” balbettò incredula la ragazza, voltandosi di scatto.
Davanti a lei, su un robusto baio, sedeva fieramente Mithrandir, il Grigio Pellegrino, meglio noto al Nord come Gandalf Corvotempesta.
“Dici il vero, Forestiera. E dovresti essere grata, invece di inalberare quell’espressione incredula” fece il vecchio, guardando la ragazza con dolci occhi azzurri.
Poi il suo volto si fece grave, e “l’hai scampata bella” disse, stringendo il suo bastone nodoso.
“Come fai a dire che sono una Forestiera Planare?”, fece Marta, ottusamente.
“Come fai ad andare in giro senza cervello?” la rimbeccò Gandalf in tono garbato, per quanto era possibile dato il sarcasmo della frase. “Sono uno degli Stregoni; e dopo settemila anni di studi e di magia, non si ha più bisogno di chiedere per sapere certe cose.
Marta, punta sul vivo, chiuse la bocca.
Perché i Nazgul ti danno la caccia?”
“Credevo che tu non avessi più bisogno di chiedere per sapere certe cose” brontolò Marta, ritrovando un pizzico della sua ironia. Gandalf incassò e sorrise.
“Vieni con me” invitò, porgendole la mano. Marta esitò.
Poi fece spallucce. Non poteva andare peggio di così.
“Dove mi porti?” chiese la ragazza, prendendo la vecchia ma forte mano dello stregone e montando a cavallo davanti a lui.
“A Gran Burrone, da Elrond. Lui saprà cosa fare”.
Ed incitando il cavallo, Gandalf sparì nella nebbia, portando con sé la sfinita ragazza, che ben presto si addormentò sulla rossa criniera del baio.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


La Narratrice

Capitolo 1

Scure erano le sale di Barad-Dur, mentre la figura avanzava, tanto leggermente da sembrare staccata dal sudicio pavimento di pietra lavica. Il suo passo sincopato non produceva alcun rumore; persino il fruscio del suo mantello era attutito, quasi che fosse avvolto da un silenzio magico. Uno scoppio di lapilli proiettò una cupa luce rossa all’interno dell’ampia stanza, illuminando due iridi asimmetriche, una nera come l’ala di un corvo, l’altra azzurro ghiaccio, solcata da una cicatrice. La pelle smangiata e rugosa intorno all’occhio suggeriva una ferita da ustione.

Sembrava fuori luogo, in quelle sale austere, ribollenti di lava e risonanti dei lamenti dei torturati, con il suo mantello grigio sporco e un’aria di feroce dignità, nonostante il passo zoppicante.

Giunse ad un’alta porta di pietra nera, affiancata da due altrettanto neri Orchetti posti a guardia di essa. I due si affrettarono a tirare i pesanti battenti, gemendo e sbuffando per la fatica.

La grande porta si aprì, sollevando frammenti di roccia e polvere che si depositarono delicatamente sul mantello dello straniero.

Non se ne curò. Riprese la sua camminata leggera e sbilenca, trascinandosi dietro il mantello.

Uno degli Orchetti ebbe un moto di ribrezzo ed orrore.

Il mantello si piegava nei punti sbagliati. Dove NON avrebbero dovuto esserci le giunture. Che razza di creatura era questa, che sembrava un Uomo, ma evocava immagini di demoni e devastazione con la sua contorta figura?

Lasciò andare il battente, che si richiuse con un tonfo.

Un sibilo irritato accolse la Cosa.

“Sono venuto appena giuntami la tua richiesta” rispose l’essere, la voce come il fastidioso stridio delle posate su un piatto.

Altro sibilo di parole minacciose.

“No, Luogotenente. Non so il motivo della tua chiamata”.

Un rimbombo infuriato accolse l’ultimo appellativo. I muri tremarono, stillando lava incandescente.

“Chiedo perdono, mio signore. Siete cento volte più grande di Morgoth” rispose in fretta la figura, non senza un sottile tono beffardo nella voce.

Il sibilo echeggiò.

“Ne siete sicuro?”

“Sarebbe una grande occasione.”

Cosa?! Com’è accaduto?”

“Certo, quegli incompetenti...”

“Come fate a sapere che può essere utile alla Vostra causa?”

“Capisco. Non lo metto in dubbio.”

“Lo immaginavo, mio signore. Sarà fatto.”

Imladris si ergeva sulla voragine dalla quale prendeva il nome, spruzzata dalla schiuma del Rombirivo, che in quel punto formava una rapida cascata. Nella luce del tramonto esso sembrava oro fuso, che cesellava senza sosta le graziose torri e i fioriti giardini dell’Ultima Casa Accogliente, dimora di Elrond Mezzelfo, Sire degli Elfi Alti dell’Ovest.

Quando Gandalf spronò il cavallo sopra il ponte sul Bruinen, voci melodiose si levarono dalla boscaglia circostante in canti di festa, celebrando il suo arrivo.

Gandalf abbassò gli occhi sulla sua giovane protetta. Dormiva ancora, la guancia appoggiata al grigio mantello dello stregone. Le ferite alle mani e alla testa erano abbastanza gravi, e sangue coagulato dal calore incrostava i capelli che, al tramonto, sembravano ancora più biondi. Inoltre, riportava diversi lividi e graffi alle gambe, ma erano ferite superficiali.

Gandalf assunse un’espressione pensosa. Durante il viaggio, si era chiesto il perchè del rapimento della fanciulla extraplanare. Sospirando, la guardò. Non era una guerriera... né una potente maga... né un’importante diplomatica. No, il suo rapimento doveva avere a che fare con il suo piano dimensionale... Qualcosa che lei sapeva o poteva fare...

Gandalf. Creoso, mellon(* traduzione a piè di pagina)”. Elrond accolse il suo vecchio amico con un franco sorriso, mentre lo stregone smontava da cavallo, prendendo delicatamente in braccio la fanciulla che era con lui.

Mae govannen, Elrond”. L’elfo inarcò le sopracciglia alla vista della povera cosina stropicciata, lacera e ferita.

Ya naa tanya?

“L’aveva presa uno dei Nove. Senza ucciderla” rispose l’Istar, parlando nella Lingua Corrente.

“Oh... perchè?”

Gandalf si allontanò.

“Perchè, Gandalf? Cos’hai in mente?” ripetè Elrond, a voce più alta.

Gandalf si voltò, con sguardo grave.

“Non lo so. Ma se i miei sospetti sono fondati, la Terra di Mezzo è in grave pericolo.

Elrond lo guardò fissamente negli occhi, poi posò lo sguardo sulla fanciulla.

Annuì. “Portala dentro. La cureremo”.

Qualche ora dopo, Marta si svegliò dal coma in cui era caduta dopo lo scontro con il Nazgul.

Le sue ferite erano state fasciate con morbido tessuto di un grigio lucente, e i suoi vestiti laceri sostituiti da un’ampia vestaglia cosparsa di venature, come la superficie di una foglia.

Sbattè gli occhi nella luce che entrava prepotentemente dalla finestra della camera da letto, riacquistando la sensibilità delle membra.

“Quanto ho dormito... ahi!” esclamò, mentre la pelle ustionata della testa le si tirava dolorosamente con lo sbadiglio.

Si sedette, respirando profondamente e tastando le fasciature intorno alla testa. “Calma. Stai calma. Va tutto bene, adesso. Sei al sicuro. Sei a Gran Burrone. Sei... un elfo?!

squittì, sfiorando le sue orecchie. Erano appuntite.

Si girò verso lo specchio d’argento posto alla sua sinistra, scrutando la propria immagine.

Eh sì, aveva proprio le orecchie di un elfo... ma perchè? Cosa mi è successo?

Gandalf...” sussurrò.

“Convoca un Consiglio, Elrond. E’ una cosa seria”.

Gandalf?” Si affacciò alla finestra. Gandalf era lì, sotto di lei, che parlava con un elfo dai nobili lineamenti vestito di azzurro pallido. Elrond...

“Perchè lo pensi?” stava chiedendo allo stregone.

Sauron non compirebbe mai un’azione così rischiosa come un viaggio interplanare.

E allora perchè...”

A meno che non fosse estremamente importante. E noi sappiamo cos’è estremamente importante per lui.”

Gandalf, ascoltami. Sauron non ne avrebbe nemmeno i mezzi.”

“E’ questo che mi preoccupa...”

Gandalf si voltò, cominciando a camminare.

Dove vuoi arrivare?”

“Solo gli Istari possiedono le conoscenze necessarie per effettuare viaggi interplanari.”

“GANDALF.”

“Ho paura che... che abbia trovato...”

“Insomma, parla!”

“Un alleato.

Elrond non rispose. Evidentemente era un pensiero che aveva sfiorato anche la sua mente.

“Ora capisci perchè voglio che tu convochi un Consiglio?”

“Sì. Ma tutto questo cosa c’entra con la ragazza?”

Marta si ritirò leggermente.

“Non lo so ancora.”

Gandalf.”

“Vado a vedere se è sveglia.”

Alla massima velocità permessa dalle sue gambe tremanti, Marta si fiondò nuovamente nel letto e socchiuse gli occhi. Doveva far finta di non aver sentito assolutamente niente.

Forse, se si riaddormentava, tutto questo sarebbe finito... forse era un sogno. Sì, doveva essere così... le ferite e i graffi sarebbero spariti, insieme alle orecchie... oh, quelle orecchie!

“Forestiera.”

Lo stregone era entrato nella stanza, avanzando a grandi passi.

Marta rimase immobile.

“So che sei sveglia. Apri gli occhi.”

“No, non lo sono...” sussurrò la ragazza. “ che io non lo sia...”

“Forestiera.”

“So che sei spaventata. Ma non hai nulla da temere, qui.

“Gran Burrone è ancora potente. L’Oscuro Signore non può ancora estendere i suoi tentacoli fino agli Elfi.

“Forestiera...”

Cosa sono queste?” chiese Marta, di scatto, indicando le orecchie appuntite.

Gandalf sorrise. “L’ultimo dei tuoi problemi.

“Me le hai fatte crescere tu, stregone?”

“No. Le hai sempre avute.”

La fanciulla si bloccò, interdetta. “Le ho... sempre avute?”

Gandalf annuì, accendendo la pipa.

“Fin da quando ti ho trovata.”

“Come sarebbe a dire?”

“Non le avevi prima?”

“No... io... ero un’umana...”

Gandalf trasse un profondo respiro.

“E’ tempo di una lezione elementare di magia. Vedi, non tutti i piani dimensionali riconoscono le stesse razze. Ognuno...”

“Ferma, ferma, ferma. Piani... dimensionali? Sono... sono in un’altra dimensione?”

“Sei svelta ad imparare, vero?”

“Risparmia il sarcasmo. Per te... per te è normale?”

“Mi pare di averti già detto che ad un Istar non è necessario...”

“Sì, sì, lo so. ‘Chiedere per sapere certe cose’. Ora... puoi spiegarmi questa faccenda dei piani?”

Lo stregone tirò una boccata dalla sua pipa ricurva.

“L’universo non è composto solo da tre dimensioni. La maggior parte degli esseri viventi può percepire unicamente queste tre, ma in realtà la stragrande maggioranza del cosmo è costituita dalla quarta dimensione.

“Il tempo.”

“Esatto. Saresti una brava studiosa.”

Marta sorrise al complimento. “Vai avanti.”

“La quarta dimensione è alla base della complessità dell’universo. Ogni evento che accade in un piano genera un altro piano, dove quell’evento non è accaduto. Mi segui?”

“Sono completamente sveglia, ora.”

“Allora potrai immaginare l’enormità della faccenda. Ogni piano dà vita ogni secondo a dieci, cento, diecimila piani spazio-temporali diversi. Hai capito?”

“Certo. Ma questo cosa c’entra con le mie orecchie?”

“Ci sto arrivando. Stavo dicendo che ogni piano dimensionale ha le sue combinazioni di materia. Quando avviene scambio di materia, la quarta dimensione la distorce per trasformarla nell’oggetto che in quel mondo le si avvicina di più. Per gli esseri inanimati non c’è problema, ma quando si parla di esseri viventi... è molto più complicato.

Sei stata fortunata, comunque. Per quanto ne so, avresti potuto essere trasmutata benissimo in un cespo di lattuga.”

“D’accordo, ci sono. E’ un come la compatibilità fra le versioni di Microsoft Office.

“Prego?”

Lascia perdere. C’è ancora una cosa che non capisco.”

Cosa?”

“Qui ci sono gli Uomini, giusto? Perchè non mi ha lasciata semplicemente com’ero, la quarta dimensione?”

“Evidentemente assomigli di più ad un Elfo che ad un... come hai detto?” esclamò Gandalf, alzandosi in piedi, improvvisamente turbato.

Cosa?”

Se tu vieni da un altro piano... come fai a sapere che qui esistono gli Uomini?

Marta non rispose, confusa.

“Ora che ci penso... tu sapevi il mio nome... sapevi di dover fuggire dal Nazgul...”

Fissò lo sguardo sulla ragazza. “Adesso capisco... il perchè...

Dialoghi:

Gandalf. Benvenuto, amico”.

“Ben trovato, Elrond.

“Chi è lei?”

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Capitolo 3
*** Capitolo2 ***


La Narratrice: Capitolo 2

Cosa? Cosa hai capito, Gandalf?”

“Invia messaggeri, Elrond. A Thranduil. A Moria. E a Gondor.

Gandalf...?”

“Subito.”

“Ma ci vorranno mesi prima che-”

“Allora non mi sembra il caso di perdere altro tempo. E’ stata già una fortuna che l’abbia trovata. Il Nemico non può arrivare fino a Gran Burrone, perciò...

Gandalf si voltò bruscamente verso la finestra sopra di lui, scorgendo uno scintillio dorato ritrarsi bruscamente.

“...Gerim ad lu.”

Sussurrando queste parole, Gandalf si accasciò su una graziosa panchina lignea.

Man presta le, mellon nin?

Gandalf non rispose.

Gandalf, ù ùgarth lìn.

Lle ume quel.”

Si sedette accanto allo stregone, posandogli una diafana mano sulla spalla.

Mornie utulie, dan ennas ad estel. Amin khiluwa lle a’ gurtha, mellon nin.

Gandalf ebbe un sorriso.

Hannon le, Elrond.”

“Bisogna essere cauti con lei, Gandalf. E’ già abbastanza spaventata... Ma dobbiamo assolutamente scoprire cosa sa di noi... cosa sa della Terra di Mezzo ... Hai qualche idea?”

Gandalf fece un cenno vago, poi si alzò, allontanandosi.

Elrond sorrise. Conosceva bene lo stregone. “Ha qualche idea.

Un Consiglio? Moria? Gondor? E che diavolo avevano detto in quella strana lingua? Sindarin, senza dubbio. Marta ne sapeva assai poco. Rimase colpita dalla straordinaria liquidità di quel linguaggio, che per la prima volta sfiorava le sue orecchie, e le suonò stranamente familiare... come una lingua imparata tempo prima e poi dimenticata in un nascosto angolo della sua mente...

“Forestiera, vieni. Elrond vuole vederti.

Che cosa vuole da me?” chiese la ragazza, prendendo tempo.

“Oh, da te, per il momento, niente. Vuole... mimetizzarti.

“Mimetizzarmi?”

“Una Forestiera Planare è un soggetto... diciamo... piuttosto insolito, non trovi? Dovremmo cercare di attirare l’attenzione il meno possibile.

“Non vedo come potrei attirare l’attenzione, dato che ci ha già pensato il... viaggio interplanare ad adattarmi a questo mondo.”

Certo, ora sembri un elfo. Vesti come un elfo. Ma ti mancano ancora due cose.

Cioè?”

“Il linguaggio, e... il nome.”

“Vieni avanti. Non aver paura.”

La ragazza avanzò nella penombra, ammirando la squisita fattura dei mobili di legno bianco e i raffinati oggetti di chiaro argento che decoravano la stanza dove sedeva Elrond Peredhel, avvolto in un mantello color della notte. Sul capo aveva un diadema pure d’argento, finemente cesellato, tanto da sembrare intessuto nei capelli scuri dell’elfo.

Marta avvertì un leggero colpetto del bastone di Gandalf sulla schiena.

Dopo un attimo di smarrimento, si inchinò precipitosamente, non senza aver notato uno sguardo divertito da parte di Sire Elrond lanciato allo stregone dietro di lei.

Dedicando silenziosamente un’occhiataccia a Gandalf, mormorò nel suo stentato Sindarin:

Aaye, Elrond Peredhel. Amin naa tualla.” ...Tualle” fu la sommessa correzione che giunse alle sue spalle. Oh, santo cielo... era così irritante...

Arrossì per la vergogna, ma Elrond disse: “Sono contento e stupito della tua conoscenza della nostra lingua, Forestiera. Ma di come l’hai ottenuta, parleremo più tardi.

“Vi prego, ditemi...” cominciò Marta. Ma Elrond levò la mano.

“Ora è tempo di darti un nome. Dimmi... come ti chiami?”

“Marta. Ma-”

“Allora d’ora in poi sarai chiamata con il nome di Lyrith Kwentrol Anàrion.

Lyrith Anàrion...” ancora quella sensazione di familiarità perduta, di conoscenza sepolta...

A quel punto Gandalf prese la parola per la prima volta.

“Vieni, Lyrith. E’ tempo di occuparci dell’ultimo elemento della tua integrazione fra gli Elfi...

E posando la vecchia e rugosa mano sulla spalla della neobattezzata Lyrith, la condusse fuori dalla stanza di Elrond.

L’elfo rimase qualche tempo a riflettere, la guancia appoggiata sulle nocche bianche.

Poi si alzò e con il suo passo regale si diresse verso un grazioso porticato che dava sul grande giardino di Imladris. Lì un giovane elfo dai capelli scuri era intento ad intagliare un flauto dallo stesso legno bianco che si poteva trovare in tutta la dimora del Sire degli Elfi Alti dell’Ovest.

Elrohir.”

“Padre...”

“Ci sarà un Consiglio... al più presto.”

“Padre, ci vorranno almeno tre mesi...”

E allora tre mesi siano. Sai cosa devi fare.”

Cosa devo fare?”

Gandalf aveva disposto sul tavolo della stanza di Lyrith alcuni grossi ed antichi libri, cosparsi di glifi misteriosi sulla rilegatura color smeraldo.

“Due ore di grammatica. Venti pagine del primo libro. Poi, vieni da me e verificheremo.

“Ma, Gandalf, tu... tu non rimani qui?”

“Ho delle cose da fare. Andiamo, l’alfabeto lo conosci, no? E’ il cirth. Ti ho sentita da Elrond, sai. Pessima pronuncia, comunque. Ma su quello ci lavoreremo in seguito.”

Ma-

“Il vocabolario è il libro blu.”

Ma-

“Mi trovi in biblioteca!” fece Gandalf da dietro la porta, ormai sparito.

Lyrith sospirò. Si disse che era meglio abituarsi all’atteggiamento sfuggente dello stregone.

D’altronde, non aveva nessun altro di cui sapesse di potersi fidare. Almeno aveva questo vantaggio: sapeva esattamente a chi credere e a chi invece no.

Sorrise: non era male, dopo tutto... imparare l’elfico... stare nell’Ultima Casa Accogliente... Non era quello che aveva sempre sognato?

Felice, aprì il primo libro dalla copertina verde e dispose diligentemente penna e calamaio sul tavolo bianco.

Un’ora e mezza dopo, al piano di sotto, un antico libro rivelò che i sospetti di Gandalf erano fondati.

Immerso nel fumo della sua pipa, reso azzurrino dalla luce magica che lo stregone adoperava quando doveva studiare a lungo, Gandalf sedeva immerso in profonda meditazione.

Allora la leggenda era vera... posò una mano sul capoverso che stava consultando, e le sue dita sfiorarono le rune elfiche:I Narratori; fughe dalla Terra di Mezzo, il Piano che Mai Muta’.

Sospirò, pensando alla complessità della faccenda e di come avrebbe potuto spiegarla a Lyrith. Elrond avrebbe capito, certo... ed anche gli altri. Ma Lyrith... Lo shock sarebbe stato tremendo. In fondo... pensava che la Terra fosse il SUO piano... ma si sbagliava di grosso.

Dialoghi in elfico

“...abbiamo ancora tempo”. (G)

“Cosa ti affligge, amico mio?” (E)

Gandalf, non è colpa tua.” (E)

“Hai agito bene.” (E)

“L’oscurità è arrivata, ma c’è ancora speranza. Ti seguirò fino alla morte, amico mio.” (E)

“Grazie, Elrond.” (G)

“Salve, o Elrond Mezzelfo. Sono al vostro servigio. (M)

“...servizio” (G)

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


La Narratrice: Capitolo 3

Il pensiero di Gandalf versava ancora tra queste preoccupazioni quando si udì un sommesso bussare alla porta della biblioteca.

Gandalf?” disse la voce da contralto di Lyrith. “Ho terminato gli esercizi, ma c’è una cosa che – ach!” tossì improvvisamente, inspirando l’acre fumo prodotto dalla pipa dello stregone.

“Fumi in una stanza chiusa? Cough... Bravo! Cough! Ma non lo sai che ti fa venire il cancro? E non pensi che... cough... potresti incendiare qualche libro? Gandalf... cough... mi stai ascoltando?”

Lyrith interruppe il suo giovanile cicaleccio quando si rese conto che Gandalf non si era nemmeno voltato a guardarla e continuava a fissare un punto davanti a .

Lyrith...” cominciò questi, per nulla toccato dai rimproveri della giovane, “ricordi quando ti ho detto che tu le orecchie a punta le hai sempre avute?”

“Sì, certo...” fece titubante Lyrith. Non capiva dove volesse arrivare lo stregone.

“Ecco, quando ti ho detto da sempre, intendevo proprio da sempre.”

Si vedeva che Gandalf esitava a dirle qualcosa, qualcosa di molto importante...

o qualcosa di terribile.

Gan, non ti seguo più. Per quel che mi ricordo le mie orecchie sono sempre state belle rotonde.”

“Precisamente. Per quel che ti ricordi. Ma i ricordi non sempre sono la verità.”

“Che vuoi dire?” chiese a fatica Lyrith. Provava una sgradevole sensazione di gelo alla bocca dello stomaco.

Gandalf la guardò. Aveva gli occhi sbarrati ed attenti, ed il petto le si sollevava con più evidenza del normale mentre respirava.

“Che... che tu non hai mai fatto parte del mondo che credevi tuo. Tu sei sempre appartenuta a questo.”

“Stai dicendo che io... non sono quello che credevo di essere?” Il visetto chiaro di Lyrith aveva lievemente ripreso l’abituale espressione ironica, come se si aspettasse da un momento all’altro che Gandalf saltasse in piedi e gridasse: ‘Scherzone! Scherzone! Ci sei cascata!’. Ma più che aspettativa, questa era speranza.

Gandalf tirò il fiato. “...No. Venendo qui ti sei trasmutata in un elfo perchè è questa la tua razza, non quella umana. Il tuo viaggio interplanare non è stata una partenza, ma un ritorno.”

“Un ritorno?” mormorò Lyrith.

“Non è forse vero che tendi ad estraniarti dalla realtà per rifugiarti nell’immaginazione?”

“Sì, ma questo cos...”

“E che hai sempre avuto la sensazione di essere spiata, nel piano dov’eri prima?”

“Come fai a saperlo?”

“E che infine ti è straordinariamente facile imparare il Sindarin?”

“Sì...” Gandalf la fissava. Lyrith tentò di atteggiare la bocca ad un sorriso, ma fallì miseramente. “No...” disse, scuotendo il capo. Gandalf annuì lentamente. Lyrith seppe che era la verità, ma la sua mente si rifiutava di accettarla. Lasciò cadere a terra la grammatica Sindarin, come se fosse qualcosa di bollente o di morto. “NO!”

Com’era possibile? Erano solo gli stupidi personaggi di uno stupidissimo libro! E-e forse aveva bevuto un p-pò troppo la sera prima, e q-questo era un s-sogno...

Si voltò verso la porta chiusa e si diede un pizzicotto. “Svegliati, Marta, svegliati...” sussurrò. Per la prima volta le era caduto addosso tutto il peso della sua avventura. E non sapeva se sarebbe riuscita a reggerlo.

Lyrith...”

“Non chiamarmi così! Il mio nome è Marta, capito?”

Lyrith...”

“SMETTILA!”

“Non alzare la voce.”

“NON STO ALZANDO LA VOCE!”

Gandalf ammutolì. Sapeva che la ragazza avrebbe reagito in questo modo.

Lyrith si girò bruscamente e afferrò il bavero di Gandalf, ancora seduto.

“Fammi tornare dov’ero prima” lo implorò.

Gandalf si limitò a guardarla con sconfinata tristezza. “Non posso...” sussurrò.

Gandalf! FAMMI TORNARE AL MIO MONDO!” gridò la fanciulla, scuotendo con forza lo stregone.

“E’ questo il tuo mondo, Lyrith. Devi accettarlo...”

“NO!” Ormai la voce di Lyrith suonava strozzata, e lacrime salate arrossavano i suoi occhi a mandorla. Gandalf posò le sue mani sulle spalle sottili della giovane elfa.

Lyrith, singhiozzando, tentò di sottrarsi alla sua presa, ma lo stregone la costrinse a premere il viso contro la sua tunica grigia, stringendola forte.

“Lasciami! Lasciami!” gridò la voce soffocata di Lyrith. Ma aveva già smesso di lottare.

Con il volto affondato fra le spalle di Gandalf, l’elfa pianse a lungo, mentre la barba d’argento dello stregone, il cui sguardo era come al solito fisso su un punto indeterminato, si confondeva fra i suoi capelli d’oro.

A nessuno dei due importava più dell’antico libro posato sulla scrivania.

Il libro sul quale Gandalf aveva fatto la sua scoperta, aperto alla pagina che descriveva la leggenda dei Narratori:

‘Dal diario di Caluldor Gwend, studioso.

La Terra di Mezzo è il Piano che Mai Muta, che non si scinde in altre dimensioni, eppure da esso ha avuto origine l’enorme complessità dell’universo, grazie ai Narratori.

Si dice che, apparentemente secondo il Caso, a volte nascano fra i popoli della Terra di Mezzo degli individui dotati di un particolare potere, detti Narratori. La maggior parte di essi non si accorge di esserlo, dato che la loro peculiarità consiste unicamente nel fatto che le storie scritte da loro creano altrettanti piani dimensionali separati nel tempo e nello spazio.’ Qui seguiva una dotta dissertazione sulla creazione dei piani, che illustrava minuziosamente come il potere dei Narratori convogliasse le energie magiche per costituire la materia di cui erano fatti gli altri piani dimensionali, ma la parte che Gandalf aveva ricopiato era un’altra: ‘Ora, per le ragioni spiegate qui sopra, si può comprendere come la creature ordinarie subiscano un’amnesia totale ed irreversibile quando viaggiano tra i piani. Solo un esperto conoscitore della magia potrebbe evitare questo inconveniente, ma stranamente i Narratori non sono soggetti alla cancellazione della memoria.’ Queste ultime parole erano sottolineate con forza.

Inoltre, qui Gandalf aveva aggiunto una frase ai suoi appunti: ‘Come ha fatto Lyrith a fuggire da questo piano? E il fatto che non abbia subito l’amnesia è importante?’

Poi riprendeva la trascrizione del diario, con una grafia che lasciava trasparire affanno

e sorpresa:

‘Ragionando per assurdo, si potrebbe arrivare al paradosso di un Narratore che, fuggito dal nostro piano in un’altra dimensione, scrivesse un libro dove venisse narrata la storia della Terra di Mezzo! Ma questa ipotesi è totalmente ridicola e di sicuro non troverà mai riscontro nella realtà.’ A questo punto Gandalf aveva tracciato un enorme, sofferto, invalicabile punto di domanda.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


La Narratrice: Capitolo 4

“Povera ragazza...” mormorò Gandalf. A quelle parole Lyrith si riscosse e, rossa in volto, saltò in piedi. Detestava mostrare le proprie emozioni agli altri, se poteva evitarlo, e detestava se stessa per essere scoppiata a frignare in quel modo indecente.

“Non mi serve la tua pietà, stregone” disse con fare sprezzante, per darsi un tono. Silenziosamente, maledisse la sua voce tremante.

Gandalf non si scompose. Aveva troppi anni sulle spalle e troppa saggezza nell’animo per offendersi, e decise che era meglio non toccare più l’argomento... almeno per il momento.

“Ne sono assolutamente sicuro” replicò, sorridendo. A quel sorriso Lyrith sciolse impercettibilmente la rigidità che i suoi muscoli avevano assunto nel liberarsi di scatto della stretta dello stregone.

Vieni, controlliamo i tuoi esercizi...” disse Gandalf, facendo sparire con un unico, abile gesto il libro dei Narratori e i suoi appunti ed avvicinando un’altra sedia alla scrivania. La stanza era ancora avvolta dal fumo bluastro della pipa.

“Ehm... Gandalf?”

“Sì, Lyrith?”

“Per correggere gli esercizi... cough... possiamo... cough... uscire in giardino?”

Trascorsero così tre settimane. L’argomento “piani dimensionali” non era stato più toccato e la tensione fra lo stregone e l’elfa si era notevolmente allentata, anche se i due si punzecchiavano di continuo, sotto lo sguardo vigile del saggio Elrond.

Nel frattempo Lyrith aveva conosciuto i figli dell’elfo, Elrohir, Elladan e Arwen.

I due fratelli erano costantemente in giro nei boschi circostanti e Lyrith li vedeva raramente, mentre aveva sviluppato un rapporto più amichevole con Arwen. Era lei che l’aiutava a cambiare le bende e le somministrava le potenti medicine elfiche, e fu grazie alle sue cure che le mani di Lyrith guarirono del tutto, mentre i suoi capelli avevano ripreso rapidamente a crescere. Lyrith all’inizio era imbarazzata dalle visite giornaliere di Arwen, ma ben presto la dolce Stella del Vespro era riuscita a spezzare il duro guscio che la ragazza si era costruita addosso dopo l’incidente in biblioteca.

Lyrith spendeva così il suo tempo all’Ultima Casa Accogliente. Arwen le insegnava a cantare ed a suonare struggenti melodie elfiche, mentre Gandalf le dava lezioni di Sindarin.

Lo stregone era stupito dei progressi della ragazza: sapeva che le sarebbe stato facile imparare l’elfico, ma Lyrith riuscì a sorprenderlo ulteriormente. In una settimana aveva memorizzato la struttura grammaticale di base e in dieci giorni poteva tenere un diario costituito di semplici frasi. Gandalf, segretamente, le aveva compilato un pratico vocabolario in miniatura che Lyrith poteva portare comodamente nascosto nelle ampie tuniche donatele da Elrond.

Glielo diede il giorno in cui Arwen le tolse le bende dalle mani, e per la prima volta da quando l’aveva conosciuta, le labbra di Lyrith si allargarono in un gioioso, aperto sorriso.

Un giorno di questi, Lyrith era seduta in giardino, studiando alacremente.

Elrond e Gandalf la guardavano da una certa distanza, attraverso gli anelli di fumo che come al solito lo stregone soffiava dalla sua pipa.

“E’ un eccellente allieva,” osservò Elrond, “si impegna a fondo in ogni cosa che fa.”

“Non solo,” ribadì orgoglioso Gandalf, “ha anche una notevole intelligenza. Le basta leggere un concetto una volta sola per assimilarlo.”

“Mi chiedo da chi possa aver ereditato questa capacità...” insinuò Elrond.

A queste parole, lo stregone non rispose. Corrugò la fronte, apparentemente occupatissimo a modellare soffiando un drago di fumo.

Elrond sollevò un sopracciglio.

Gandalf, so benissimo che ti sei affezionato a lei – e qui lo stregone tossicchiò, strozzandosi con il fumo – e che non vuoi vederla soffrire, ma prima o poi dovrete parlarne. Al più tardi fra un paio di mesi, quando saranno arrivati tutti i partecipanti al Consiglio.”

“Allora glielo accennerò fra due mesi” disse Gandalf, alzandosi di scatto.

Elrond lo bloccò. “Glielo accennerai?” fece, implacabile.

Gandalf alzò gli occhi al cielo terso e luminoso della mattina.

Faremo un discorso serio, se è questo che vuoi sentirti dire. Ora, se vuoi scusarmi, vado a controllare gli esercizi di Lyrith.

Così dicendo spense bruscamente la pipa.

Ma... il tabacco non era ancora finito!” osservò stupito Elrond.

“A Lyrith... dà fastidio il fumo” rispose Gandalf quasi sottovoce e in tono lievemente imbarazzato.

“Oh... capisco” commentò Elrond, trattenendo un sorriso divertito.

Poi, mentre lo stregone si allontanava, pensò che se Gandalf avesse sviluppato un attaccamento paterno per la Narratrice, ciò avrebbe potuto essere decisamente dannoso per lui.

Sospirò. “Radagast...”

Non ebbe tempo di soffermarsi oltre su questi pensieri.

Un trottare di zoccoli attirò la sua attenzione verso la porta principale. Era arrivato qualcuno.

Estolada sinome.”

Accampiamoci qui.’ ”

“Bene. Rina amin.”

Ricordati di me.’ ”

“Brava. Naa bain.”

La traduzione stavolta non arrivò.

Lyrith?”

La ragazza girò velocemente gli occhi. “Sì?”

Naa bain.

“Ehm...” fece distratta la fanciulla.

Lyrith!”

“Eh? Ah, sì!” disse lei, distogliendo ancora lo sguardo. “E’ bellissimo’...”

La voce di Lyrith aveva un che di trasognato. Finalmente Gandalf alzò gli occhi.

Poi capì. “Oh, certo che lo è” ridacchiò.

Lyrith lo guardò, allarmata. “Eh? Chi?” gracchiò.

“Oh, andiamo, non fare finta di niente...

Cosa?”

“Ti ho visto che lo guardavi...”

“Non è vero! Non stavo guardando proprio nessuno! Stavo... stavo leggendo gli esercizi!” disse lei, afferrando un libro a caso.

Lyrith...”

“Che c’è adesso?!

Gandalf prese delicatamente il libro che l’elfa aveva tra le mani e lo ruotò di centottanta gradi.

“Ecco, ora è dal verso giusto...”
Lyrith arrossì.

“Non te ne devi vergognare...” la punzecchiò ancora lo stregone.

“Di che stai parlando? Non c’è niente di cui mi debba vergognare! Proprio niente!”

Lyrith si alzò precipitosamente e andò verso la porta che dava sulla parte posteriore della casa, borbottando ancora qualche frase sconclusionata in tono irritato.

Gandalf trattenne una risata quando la ragazza tentò di aprire la porta spingendola, ottenendo come unico risultato lo sbattere il suo bel viso rosso di imbarazzo contro il legno. Senza voltarsi, incassò la testa nelle spalle e tirò la porta, entrando velocemente.

Lo stregone stette un a contemplare con espressione divertita la porta lignea, richiusasi bruscamente. Poi sentì una voce.

Gandalf” chiamò Elrond dall’entrata principale. “Vieni a vedere chi è arrivato.”

Lo stregone si alzò ed andò incontro al Mezzelfo ed al suo ospite, sollevando appena lo sguardo per notare un impercettibile movimento delle tende della stanza sopra di lui.

Lyrith scostò lievemente le tendine. Nel fare ciò, tentò di metterci la maggior cura possibile per non essere notata dallo stregone.

Quando fu sicura che Gandalf guardava da un’altra parte, sbirciò il nuovo arrivato.

Era un Elfo Silvano. Il suo corpo snello era coperto da un mantello grigio cangiante, che lasciava intravedere la tunica verde e i pantaloni neri. Sulla schiena portava una faretra colma di frecce e due sottili spade ricurve, assicurate al torace muscoloso da una cinghia di pelle.

Lyrith si sporse per vedere meglio il viso.

La pelle era bianca e liscia, e i lineamenti fini ma al contempo virili e seducenti. Gli occhi erano verdi, del verde più vivo che possa colorare una foglia a primavera; la bocca ben modellata ed espressiva, incorniciata da un mento dalla piega delicata ma decisa.

Lunghi capelli d’oro pallido cadevano ai lati di quel viso dagli zigomi alti e la fronte spaziosa, lasciati sciolti ad eccezione delle ciocche vicine alle orecchie appuntite che erano raccolte dietro in una sottile treccia.

A quel punto Lyrith scorse un lampo azzurro. Gandalf la fissava, apparentemente divertendosi un mondo. Si allontanò rapidamente dalla finestra.

Diavolo di uno stregone...

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