Vacanze in montagna

di Chibi Girlz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Freddo, inutile inverno... (Prologo) ***
Capitolo 2: *** ... ma non sempre così inutile! ***
Capitolo 3: *** I veri amici ti coprono le spalle, sempre! ***
Capitolo 4: *** Partenza...?! ***
Capitolo 5: *** Tutti insieme ''appassionatamente'' ***



Capitolo 1
*** Freddo, inutile inverno... (Prologo) ***


0_Freddo, inutile inverno (Prologo) Era una fredda giornata invernale.
La neve fioccava imperturbata fin dal primo mattino, quando aveva iniziato a cadere, leggera.
Le strade di East City erano tutte coperte da un manto d'un candido bianco, che dava all'intera città un tocco magico, quasi fiabesco.
Per tutti gli abitanti, l'inverno era il periodo migliore dell'anno: i panorami che offriva la città innevata attiravano migliaia di turisti da tutta Amestris, soprattutto durante le vacanze di Natale.
Tuttavia, esistevano anche le eccezioni, quelle eccezioni che, secondo proverbio, confermavano la regola.
E lì, una di quelle rare eccezioni era proprio il colonnello Roy Mustang, l'Alchimista di Fuoco: lui odiava l'inverno.

- A che diamine serve l'inverno? A niente! Nevica e fa sempre freddo, tanto che la sera non si può nemmeno uscire a cena!! - si lamentò il colonnello, stringendosi nella sua giacca.
- Signor colonnello... le spiacerebbe lavorare, oltre che lamentarsi? - lo rimbeccò il tenente, guardandolo minacciosa dalla sua postazione dietro la scrivania.
- Ok, tenente Hawkeye... - rispose Mustang, obbediente.
Ma la sua attenzione si soffermò sul paesaggio invernale al di fuori della finestra, dove i bambini si divertivano per le strade giocando con la neve.
- Non riesco a capire come fa a piacere così tanto quell'orribile acqua ghiacciata caduta dal cielo... è sconcertante! - esclamò il colonnello, preso da un attacco di rabbia.
- COLONNELLO!! - gridò Riza, ormai costretta ad urlare per fargli recuperare la ragione.
- Scusi... - mormorò il moro, abbassando gli occhi sulla scrivania, riprendendo in mano la penna.
Ricominciò a lavorare, maledicendo tra sé e sé l'inverno e il freddo e la neve che non gli permettevano di uscire la sera, a meno che non volesse buscarsi un raffreddore.
Non aveva mai potuto sopportare le temperature troppo basse: insomma, era l'Alchimista di Fuoco! Lui e il freddo andavano d'amore e d'accordo come cane e gatto.
Si strinse ancora nella sua beneamata giacca, l'unica che poteva proteggerlo dal micidiale freddo che assediava l'ufficio.
"Ma perché ci siamo ritrovati con questo freddo qui dentro?!" pensò, amareggiato "Ah... già..." ricordò, poi: arrivati al momento di dover accendere i riscaldamenti, il Quartier Generale si era ritrovato con gli impianti guasti.
Così, per quella "fortunata" coincidenza, lui era costretto a dover andare a lavorare con due maglioni sotto l'uniforme e la giacca sopra.
E ancora, incredibile ma vero, sentiva freddo.
Rabbrividì.
- Colonnello... sta bene? - domandò il tenente, guardandolo, apprensiva.
- Eh? No, sto bene... - replicò lui.
Lei lo guardò ancora alcuni istanti, prima di ritornare ai suoi compiti.
Lui sospirò, affranto: Dio, quanto odiava l'inverno.
E il freddo.
Posò di nuovo la penna e strofinò le mani tra loro, cercando di scaldarle: temeva che congelassero sul serio.
All'improvviso, il tenente si alzò.
Roy spostò lo sguardo su di lei: - Che succede, tenente? - domandò.
La donna gli rivolse uno sguardo neutro.
- Il mio turno è finito per oggi... devo andare a consegnare questi documenti prima di uscire... - disse, raccogliendo le carte che aveva sulla scrivania.
- Oh... - fu l'unica risposta che seppe dare il colonnello.
Era un peccato che in quei giorni i turni del tenente fossero più brevi del consueto: forse era perché, abitando all'altro capo della città, impiegava più tempo ad arrivare a casa, dato anche il brutto tempo.
O forse aveva qualche impegno.
O forse perché lavorava sempre tanto e così gli ultimi giorni le abbreviavano i turni.
Alla fine pensò che non erano affari suoi, anche se un po' di curiosità c'era.
- Allora... a domani... - disse lui, sorridendole, vago.
Il tenente gli rivolse un'ulteriore occhiata, prima di avviarsi verso la porta.
- ... e mi raccomando, signore: prima di andare, deve assolutamente finire di firmare quei fogli... - lo redarguì la bionda, una volta giunta sull'uscio.
Uscì, lasciandosi alle spalle un imbarazzato silenzio.
Il colonnello riprese a lavorare, a sua insaputa tenuto d'occhio dal resto della squadra, che se la rideva sotto i baffi pensando a cosa sarebbe potuto succedergli se non avesse ubbidito al tenente.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta.
Mustang rialzò gli occhi dalla scrivania, speranzoso: che fosse il tenente?
- Avanti! -.
- Eeeeehi, Roy!!! -.
Le sue speranze si infransero quando vide chi aveva bussato.
Abbassò lo sguardo di nuovo, demoralizzato: - Hughes... - mormorò.
- Be', che è quella faccia? Non sei contento di vedermi? - chiese il tenente colonnello.
"Francamente... no!" avrebbe voluto rispondergli, ma si limitò a sospirare.
- Che cosa c'è? - chiese invece.
- Dai, animo!! Che ne dici di andare a mangiare un boccone insieme? Almeno stacchi un po'! - propose Maes.
- Uhm... - mormorò Roy: in effetti, sarebbe stato un modo come un altro per allontanarsi un po' da quell'ufficio che iniziava a sembrargli una galera e anche perché, camminando, si sarebbe scaldato un po'.
"Ma se poi se ne esce con le sue maledette foto di famiglia giuro che lo faccio alla griglia!" pensò tra sé e sé il colonnello, alzandosi.
- Va bene... - acconsentì.
Aggirò la scrivania e attraversò l'ufficio, mandando sfavillanti occhiate di minaccia ai subordinati, nelle quali era insito un unico messaggio, ben chiaro: "smettete di lavorare e vi incenerisco!".
Uscirono in corridoio, quindi si diressero verso la sala mensa.
Hughes, durante tutto il tragitto, che stranamente percorse in silenzio, esaminò l'amico, il modo di camminare, l'espressione, la postura, tutto insomma.
Ne dedusse infine che c'era qualche cosa che gli premeva e che gli dava da pensare non poco.
Che cosa fosse quel tal pensiero, ancora non lo sapeva, ma era deciso quanto mai a scoprirlo, a qualunque costo: che razza di amico sarebbe stato, altrimenti?

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Capitolo 2
*** ... ma non sempre così inutile! ***


1_... ma non sempre così inutile! In breve, Hughes e Mustang attraversarono il Quartier Generale e giunsero alla mensa, dove Maes aveva intenzione di scoprire cosa ci fosse di così terribile a preoccupare l'amico.
Dopo essersi serviti, silenziosamente andarono a sedersi ad un tavolo piuttosto lontano dagli altri.
- Mi sembri troppo silenzioso, Roy. Che c'è che non va? - domandò all'improvviso il tenente colonnello.
Dritto al punto, come sempre.
Mustang lanciò un sospiro.
- Niente, sono solo stanco... - mentì.
- Non me la racconti giusta... - insistette l'amico, continuando a fissarlo, iniziando a mangiare.
Roy gli lanciò un'occhiata di traverso, decisamente seccato: ma perché non lo lasciava in pace?
- Non c'è niente di strano, Maes - ritentò, la voce più ferma.
Hughes scosse la testa, agitando la forchetta in aria.
- No, bello mio! Ti conosco dall'accademia militare e so riconoscere quando sei preoccupato. Questa è una di quelle volte -.
L'altro tacque, concentrandosi sul pranzo.
- C'entra una donna, vero? Hai finalmente trovato quella giusta? - lo tentò Hughes, il tono complice.
Poco mancò che soffocasse con un boccone, al sentirlo chiedere una cosa del genere che, oltretutto, non era neanche così sbagliata.
- Ho colto nel segno, esatto? - chiese Maes, con un sorriso compiaciuto dipinto sulle labbra.
- Ma no, cosa dici?! - rispose il colonello ridendo, pensando: - Mi ha già scoperto? E ora? Che faccio? -.
- Mmm... che cosa ne pensi del tenente Hawkeye? Simpatica, no? - proseguì il tenente colonnello Hughes.
Seguirono istanti di teso silenzio, quasi palpabile, mentre il colonnello passava rapidamente dal suo consueto colorito ad uno più vivo che, nonostante i tentativi nasconderlo, Maes vide comunque.
- Va be', non importa... io vado - disse Hughes ad un tratto, alzandosi per andare a posare il vassoio con i resti del cibo che non aveva quasi toccato.
Mustang rimase seduto dov'era alcuni istanti, fissando il profilo dell'amico che si allontanava: forse era meglio se andava anche lui.
Si alzò, andò a posare il vassoio a sua volta e uscì dalla mensa.
- Allora? Lo so che c'entra una donna! - esclamò la voce di Hughes.
Mustang, che in quel momento stava passando la soglia, sobbalzò, spaventato.
- MAES!!! Diamine, cercavi di farmi prendere un infarto?!?! - gli urlò contro il colonnello.
- Non urlare! - lo redarguì Hughes, appoggiandosi alla parete, le braccia incrociate al petto, con fare di chi la sa lunga.
- Che cosa vuoi? - chiese Mustang a bassa voce, guardando male l'amico.
Quello scosse la testa, rivolgendogli un'occhiata eloquente: - C'entra il tenente Hawkeye, vero? -.
Il colonnello si irrigidì appena, cercando di dissimulare qualsiasi cosa si potesse carpire dalla sua espressione.
- Ma che dici? - fece, fingendosi perplesso e indignato.
Sapeva di non riuscire a dissimulare più di tanto, ma valeva la pena provarci.
- Non fare il finto tonto con me, caro colonnello di Fuoco: lo so cosa sta pensando il tuo cervellino... -
- Ma guarda che non è vero!!! - replicò quell'altro, infervorandosi.
Hughes sorrise, trionfante.
- E allora mi spieghi perché sei diventato tutto rosso all'improvviso? - chiese.
Roy lo guardò alcuni istanti, interdetto: e ora? Che s'inventava?
- Beccato - esclamò Maes, divertito.
Mustang mandò uno sbuffo esasperato.
- Ti odio profondamente quando fai così... - mormorò, risentito.
- Dai... allora, è il tenente, vero?? - lo incalzò Hughes, più vivo che mai.
- E piano, idiota!!! - lo zittì il moro, arrabbiato.
- Eh, no! Ora mi dici tutto - asserì, deciso, Maes: per una volta che il suo amico si era deciso a trovarne una che fosse una, e forse per sempre, doveva essere messo al corrente di tutto quanto e non ammetteva scuse di nessun tipo.
- Grrr... e va bene!! Ma non qui! - esclamò Roy, arresosi all'evidenza.
Hughes alzò le spalle.
- Okay... - mormorò, avviandosi lungo il corridoio.
Mustang lo affiancò e presero a percorrere il corridoio, deviando poco più in là, per entrare in bagno.
Assicuratisi che non ci fosse nessuno, Hughes si avvicinò ai lavandini, appoggiandosi contro uno di essi e guardando l'amico, in attesa che parlasse.
Mustang mandò un sospiro rassegnato, mentre si avvicinava a sua volta, appoggiandosi contro la parete.
- Non posso sottrarmi? Tanto lo sai come sono fatto, no? - tentò Mustang.
- No, no. Questa è quella giusta e sai perché? - Hughes gli sorrise, quasi compiaciuto, una cosa che a Roy non piacque affatto - Perché non ti sei mai vantato di avercela sempre accanto e anche ora tenti di sottrarti. Sei come un libro aperto per me... -.
Mustang si rammentò solo in quel momento di aver lasciato i guanti in ufficio: peccato, sarebbero stati utili in quel momento.
- MA CHE RAZZA DI MODO DI CAPIRE E' QUESTO?!?!? - gli gridò contro il moro, furioso.
- Il modo giusto, ovvio. A proposito, sei arrossito ancora... - continuò Hughes.
Mustang si calmò e zittì in una frazione di secondo.
 - Beh... è solo che ho caldo - mentì, continuando con le scuse.
- Se, certo... e io sono il Comandante Supremo - fece Hughes, rivolgendogli un'occhiata assai eloquente.
- ORA SMETTILA!!! - gridò Mustang, facendo per andarsene.
- Ah, no! Ora te parli!!! -.
Hughes lo afferrò per un polso, fermandolo.
- Coraggio, sputa il rospo! -.
Mustang distolse lo sguardo, deciso a non parlare.
- Okay... se la vuoi mettere così... andrò a dirlo al tenente -.
Lo lasciò e si avviò verso la porta.
- AAAAAAH!! ASPETTA, CRETINO!! - lo chiamò Roy, afferrandolo per l'uniforme.
Hughes si fermò e si girò.
- Vuoi parlare? - lo incitò, malizioso.
- ... -
- Uscirai con lei? - gli domandò ancora Maes.
- No, non credo: lei per Natale sparisce sempre... - affermò Mustang, ed era la verità: più volte l'aveva vista uscire da casa con delle valige.
E spariva dalla circolazione fino al rientro in ufficio.
- Naturale, andrà in vacanza... - confermò Hughes, annuendo.
- Probabile... - commentò il colonnello, amareggiato.
- E allora perché non le chiedi di andare in vacanza insieme? - esclamò ad un tratto Hughes - Ci sono un sacco di località sciistiche carine qui intorno... -.
Era un'idea che non aveva mai contemplato, neanche da lontano, ma pareva... accettabile.
Senz'altro gli avrebbe permesso di stare con lei anche per le vacanze di Natale, quando di solito stavano separati.
- Allora glielo vado a chiedere? - chiese il colonello, preoccupato: non sapeva come il tenente avrebbe preso la proposta.
- Ma sì, vai e chiedi, tranquillo! - disse Maes, sorridendogli incoraggiante.
- Allora vado - disse Mustang, avviandosi verso la porta.
- Okay... ciao - lo salutò il tenente colonnello, allegro.
- Ciao... - replicò l'altro, titubante, uscendo, chiudendosi piano la porta alle spalle.

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Capitolo 3
*** I veri amici ti coprono le spalle, sempre! ***


2_I veri amici ti coprono le spalle, sempre! Mustang, uscito che fu dal bagno, si diresse a passo quasi di marcia verso il proprio ufficio, deciso ad invitare il tenente a trascorrere le vacanze di Natale con lui, da qualche parte.
Si sentiva strano, agitato.
Non gli era mai capitato con nessun'altra donna una cosa simile, e ciò gli fece ritornare alla mente quella frase di Maes: "Questa è quella giusta".
Dio, quanto lo odiava quando sotto sotto aveva ragione!
Anche se non si sarebbe mai sognato neanche lontanamente di dargli la soddisfazione di sentirlo ammettere che aveva ragione su qualcosa: certe abitudini erano dure a morire e tali dovevano rimanere.
Camminando, osservava il pavimento sotto i suoi piedi, e ragionava: e se il tenente non avesse voluto accettare?
Se aveva già altri impegni?
"Non è poi così grave... sarà per una prossima volta..." continuava a ripetersi tra sé e sé, ma in fondo quell'affermazione gli faceva male.
Scosse la testa: perché doveva preoccuparsi tanto di un possibile rifiuto?
Non era poi la cosa peggiore che potesse succedergli...
No, non lo accettava comunque: lui esigeva un sì, qualsiasi cosa avesse potuto costargli.
Probabilmente era il suo orgoglio da dongiovanni professionista che glielo imponeva: un fallimento in campo amoroso sarebbe stato un trauma di difficile rimozione per lui.
- Tenente Hawkeye, anche quest'anno va in vacanza? -.
La voce del sergente Fury raggiunse Mustang, interrompendo il filo dei suoi pensieri, fermando istantaneamente i suoi passi.
Il moro si avvicinò alla porta socchiusa lì vicino, oltre la quale era Fury.
- Esatto - replicò la donna, pacata.
- Immagino che l'idea la renda felice: ho sentito che le piace sciare -
- Pratico sport invernali in generale... -
- Ha già preparato tutto? -.
Mustang si allontanò, avvilito: non voleva più ascoltare.
Era chiaro come il sole che avesse già preparato tutto: il giorno seguente sarebbe partita, era naturale che avesse già finito di preparare i bagagli! Che razza di pretese aveva?
Se ne andò lungo il corridoio, cercando di vincere quel senso di impotenza che lo stava sopraffacendo.
Se solo avesse pazientato ancora pochi istanti...
Appena Roy ebbe girato l'angolo, diretto verso il proprio ufficio, dall'angolo opposto sbucò fuori Hughes, con un mezzo sorrisetto stampato in faccia.
"E così caro il mio Roy hai desistito, eh? Menomale che c'è gente come me che ti protegge le spalle..." pensò, avviandosi con fare totalmente innocente verso la stanza dove stava il tenente Hawkeye.
Bussò ed entrò senza neppure attendere risposta.
- Ah, tenente colonnello Hughes! - esclamò Fury, chinando il capo in un cenno di saluto.
- Signore, il colonnello Mustang non è qui - aggiunse Riza, perplessa.
- No, non cerco Roy. Tenente Hawkeye, avrei bisogno di parlare con lei... -.

Intanto, Mustang era arrivato nel suo ufficio e, seduto dietro la scrivania, continuava a deprimersi istante dopo istante per quel fallimento per lui clamoroso.
Era una novità alquanto inusuale e affatto piacevole che lui, il grande Alchimista di Fuoco, Roy Mustang, non riuscisse a combinare una dannata vacanza con il tenente Hawkeye.
Era frustrante oltremodo.
Osservava stancamente la penna sulla scrivania, mandando frequenti sospiri addolorati.
Non riusciva ancora a credere di avere fallito: aveva eliminato quel verbo dal suo vocabolario da anni.
“Meglio tornare a casa: non voglio stare ancora qui...” pensò tra sé e sé, alzandosi e andando alla porta.
Quel giorno, l'ultimo di lavoro prima dell'inizio delle vacanze natalizie, erano stati autorizzati a lasciare prima l'ufficio dal Comandante Supremo.
Il colonnello neppure attese di rivedere gli altri per gli ultimi auguri: sarebbe stato troppo per il suo orgoglio in frantumi.
Prese la strada più breve per raggiungere l'uscita, in viso stampata un'espressione palesemente abbattuta.
- Ehi, Roy! Indov...? - esclamò Hughes, entrando nell'ufficio di Mustang con il suo solito fare allegro, ma si fermò al vedere la stanza vuota - Roy...? Mica sarà tornato già a casa...?! -.
E uscì, richiudendosi alle spalle la porta, visibilmente irritato, ma in modo quasi ilare.
Poco più di mezz’ora dopo, il colonnello raggiunse casa.
Non appena entrato, andò in soggiorno e qui si lasciò cadere sul divano, osservando con sguardo vuoto il soffitto: che progetti aveva per le vacanze?
Non occorreva molta fantasia per immaginarsi che tipo di programmi alternativi avesse: casa e appuntamenti, niente di così eclatante, in fin dei conti.
Senza neppure rendersene conto, lentamente sopraggiunse il sonno e cadde addormentato sul divano, con ancora l'uniforme indosso.

Driiiiiin. Driiiiiiin.
Lo squillo del telefono lo destò all’improvviso, facendolo sobbalzare per lo spavento.
Si allungò a prendere il ricevitore, che sollevò e portò all’orecchio con un gesto vagamente stizzoso.
- Pronto...? - biascicò, ancora mezzo addormentato, lanciando un'occhiata all'orologio: erano già le sei e mezza del pomeriggio!?
- Ehi, Roy! Che fine hai fatto oggi dopo pranzo, eh?! -.
L'allegra voce di Hughes lo raggiunse dall'altra parte dell’apparecchio, rendendogli molto più odioso il risveglio.
- Hughes, che cavolo vuoi?! - ribatté, aspro.
- Ehi, ma ti sembra il modo di rivolgerti al genio che ha risolto il tuo più grande e attuale problema?! -
- Di che diamine parli? -
- Eh-eh... ti ho organizzato una vacanza in montagna...! -.

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Capitolo 4
*** Partenza...?! ***


3_Partenza_! Mustang sbatté più volte le palpebre, assolutamente scioccato.
- C-che cosa?! - inveì contro la cornetta, esterrefatto.
Non riusciva a crederci. Non riusciva a reputare che fosse possibile una cosa del genere. Come cavolo aveva fatto Hughes a...?
- Ti ho organizzato una vacanza in montagna con la tua amata! - cantilenò allegramente il tenente colonnello dall'altra parte dell'apparecchio.
Pareva divertito, e tanto. Come dargli torto? Sentire le dolci grida di sorpresa del suo migliore amico era sempre un piacere immenso per lui: non era affatto facile riuscire a prendere alla sprovvista il grande Roy Mustang, l'Alchimista di Fuoco.
Roy si massaggiò le tempie, accaldato, cercando di ricomporsi e di calmarsi.
- Hughes, se questo è uno scherzo, è di pessimo gusto e non sono disposto a perdonartelo, chiaro? - esclamò, un'implicita minaccia nella voce. Tradotto, sarebbe stato: “Preparati a essere incenerito!”, ma fu intesa comunque.
- Ma quale scherzo! - si affrettò a rispondere l’altro, carpendo il pericolo nella voce dell’amico - Ho parlato con il tenente poco dopo pranzo e ha detto che sarebbe felice di passare le vacanze natalizie in tua compagnia - aggiunse Maes.
Prima che Roy potesse rendersene conto, le guance gli presero letteralmente fuoco.
- D-davvero ha detto questo? - chiese, cercando di non lasciar trapelare l'imbarazzo e il disagio del momento.
- Ma certo! - rispose Hughes. "Be', non proprio..." aggiunse tra sé e sé, sorridendo: che importanza aveva una minuscola bugia se detta per il bene dell'amico?
Già lo vedeva davanti a un altare, in smoking, con il tenente accanto... e lui, ovviamente, avrebbe fatto da testimone!
Sì, il quadretto gli piaceva, decisamente.
Mustang tacque, mentre il cervello lavorava febbrilmente per cercare qualcosa da rispondere che non suonasse esplicitamente interessato, ma non riuscì a trovare niente di adatto.
Fortunatamente, il suo amico sopperì a quella momentanea mancanza di parola.
- Allora, il treno parte domattina alle nove, quindi farai bene a preparare le valige questo pomeriggio e ad andare a letto presto! La tua ragazza ti aspettaaa...! -.
Mustang riattaccò la cornetta con insolita foga, quasi distruggendo l'apparecchio sottostante, che vibrò pericolosamente sotto il colpo appena ricevuto. “Perché Hughes deve essere sempre così dannatamente provocante...!!!” pensò tra sé e sé, senza riuscire a trovare una risposta al quesito. Per il bene del suo sistema nervoso, preferì lasciar perdere.
Si mise a sedere sul divano a pensare intensamente: non sapeva cosa fare. Preparare le valigie e partire o restare solo come un cane?
Ad essere sincero, non riusciva a capire come avesse fatto Hughes a convincere Riza a partire con lui, né tantomeno come avesse fatto a preparare tutto in qualche ora.
Poteva davvero credergli? Forse era un inganno...
- Ma sì, parto!!! - esclamò Mustang dopo un po’, alzandosi in piedi, deciso. Era pronto a correre il rischio di cadere in qualche stupido trucco del suo amico. In tal caso, aveva già qualche piccolo abbozzo di vendetta nella mente.
Andò di corsa in camera, inciampando nei suoi stessi piedi per la fretta, evitando di cadere grazie ad un mobiletto vicino a lui, al quale prontamente si aggrappò.
Raggiunta la stanza, prese la valigia che aveva nell’armadio e ci buttò dentro un bel po’ di vestiti pesanti, senza nemmeno piegarli.
Passò così il pomeriggio, correndo per tutta la casa a recuperare tutti gli oggetti che gli sarebbero potuti servire durante il viaggio.
Quando calò la sera, Mustang era sfinito, ma anche molto nervoso per la partenza del giorno dopo.
Lanciando un’occhiata alla valigia che aveva lasciato in un angolo, deciso a sistemarla meglio la mattina seguente, dopo un po’ di meritato riposo, si accorse dell’indicibile caos che vi regnava. Così si decise a ritirare fuori tutto e riporlo nuovamente, ma con un certo ordine, affinché poi potesse chiuderla.
Quando ebbe terminato, si fece una doccia veloce, mangiò e andò finalmente a letto.
Quella notte non riuscì a dormire: era troppo eccitato, sapendo che il giorno dopo sarebbe partito con Riza.
A lui non piaceva il freddo, ma con la sua amata sarebbe andato dovunque. Bastava di averla accanto.

La mattina dopo era distrutto: aveva dormito solo poche ore, quando finalmente la stanchezza era riuscita ad avere la meglio sul nervosismo. Alle 7:00 era già in piedi e si stava preparando ad uscire, un record per lui. Alle 8:00 in punto prese la valigia e schizzò fuori di casa, salì in auto e andò alla stazione.
Quando arrivò, Riza non c’era ancora: erano soltanto le 8:20 e il treno partiva alle 9:00.
Con un sospiro sconsolato, il colonnello andò a sedersi su una panchina poco distante.
L'attesa fu snervante e il suo udito, pronto a captare la voce della donna non appena si fosse fatta sentire, scambiò per essa migliaia di altre voci, che lo confusero e lo irritarono.
Quasi ogni venti secondi i suoi occhi saettavano dal suo orologio da polso a quello grande appeso alla parete di fronte a lui, per poi aggirarsi sulle banchine tra le rotaie, in cerca della figura del tenente, rimpiombando, infine, sulla valigia ai suoi piedi, per riprendere a muoversi dopo una brevissima pausa.
Alle 8:55 iniziò a manifestare apertamente segni d'irrequietezza.
"Possibile che sia in ritardo? E' sempre stata puntualissima in ufficio! No, non è possibile, forse l'orologio va male... o forse è in ritardo davvero...!" continuava a tormentarsi il militare, torcendosi senza posa le mani.
Quando ormai i suoi nervi e la sua pazienza avevano raggiunto un punto che definire critico non sarebbe stato abbastanza, una voce alle sue spalle lo fece saltare in piedi: - Oh, colonnello. È già qui? -.
La consolazione che sentire quella voce infuse nel moro non era semplicemente concepibile a parole, ma riuscì a distendergli i nervi come per magia.
- Ah, la stavo asp...! -.
L'affermazione gli morì in gola assieme alla voce quando vide chi c'era alle spalle della donna.
- S-si può sapere perché ci siete tutti?!?! -.





N.d.A: ringraziamo sentitamente per le recensioni agli scorsi capitoli! ^^

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Capitolo 5
*** Tutti insieme ''appassionatamente'' ***


4_Tutti insieme ''appassionatamente'' - S-si può sapere perché ci siete tutti?!?! -.
L’esclamazione a dir poco irata del colonnello lasciò tutti quanti palesemente di stucco.
C’erano tutti per davvero: Havoc, Fury, Falman, Breda, Sheska, Maria, Denny, Armstrong... addirittura Hughes con la famigliola al completo!!!
- Ehi, Roy! Perché quella faccia? - esclamò Maes, venendo avanti.
- Non pensavo sareste venuti tutti voi! -.
Lo sconcertato sguardo del colonnello vagava senza tregua sul gruppo attorno a lui: non riusciva a concepire che... che la sua tanto sognata vacanza con il tenente dovesse includere pure tutta quella gente!!
Non avrebbe avuto chance di stare un po' in intimità con lei!!!
- Colonnello... c'è qualche problema? -.
La voce incerta del tenente lo costrinse a calmarsi e assumere un atteggiamento almeno lontanamente consueto e calmo: non aveva certo intenzione di farsi scoprire così, per un'inezia.
Se proprio Riza doveva venire a sapere dei suoi sentimenti per lei, sarebbe stato proprio lui a dirglielo, e non una stupida circostanza a scoprirlo.
Un uomo doveva preoccuparsi anche di come il proprio amore veniva esplicato. Almeno, lui la pensava così.
- No, niente... sono solo... - tacque: era solo cosa...?
"Infuriato con Maes per aver combinato questo gran casino" non era proprio la migliore risposta del caso, pur essendo quella che reputava più sincera, così preferì zittirsi in cerca di qualcosa di meglio.
- ... sorpreso? - gli venne in soccorso Hughes in tono affabile - Effettivamente doveva essere una sorpresa...! -.
La risposta dell'uomo fece prudere le mani del colonnello, che desiderò avere indosso i suoi preziosi guanti col suo cerchio alchemico per poterlo carbonizzare lì, all'istante: doveva essere una sorpresa?!
"Dovevo immaginarmi un tiro del genere da te, Maes, ma non finisce qui. Sappi che appena ne avrò l'occasione te la farò pagare...!!" pensò l'alchimista, risentito, cercando di mascherare i suoi intenti pseudo-omicidi dietro uno sguardo semplicemente perplesso.
Nessuno sospettò niente di quel che gli stava passando per la testa, fortunatamente.
- Allora, andiamo? -.
Hughes lo prese allegramente per un braccio e lo sospinse con una certa forza verso il loro treno.
Riza rimase indietro ad osservare il profilo del colonnello, leggermente accigliata: le sembrava strano.
Non era una certezza, ma semplicemente un'impressione, anche se di una certa entità. Conoscendosi, ipotizzò la cosa come una qualche percezione del suo sviluppatissimo sesto senso, che sembrava essersi accresciuto quasi esclusivamente per permetterle di decifrare i comportamenti del suo superiore.
Era quasi un potere magico, considerato il modo tutto personale di Roy Mustang di proteggere le persone che gli stavano a cuore.
Comunque, dopo pochi minuti di analisi, desisté e si affrettò a raggiungere gli altri.
Il tempo di salire tutti che il treno già si stava muovendo per uscire dalla stazione. Il vagone su cui erano saliti era quasi vuoto, fortunatamente, per cui Mustang ebbe una scelta abbastanza libera per i posti a sedere. Se ne scelse uno un po' appartato, vicino alla porta che dava sul vagone successivo.
Tirò un sospiro di sollievo, pensando che almeno per il viaggio sarebbe stato in pace senza Hughes e le sue assurde e sgradevoli sorprese, ma dovette ricredersi quando Havoc, Breda e Armstrong si sedettero nei tre posti attorno a lui rimasti vuoti. Sembrava un assedio vero e proprio.
- Ehilà, colonnello! Ha l'aria abbattuta! -.
L'allegro saluto di Jean si perse in un silenzio da parte del moro che fece presagire una certa tensione nell'aria.
- C'entra qualche donna, eh colonnello? - tentò Breda in tono provocatorio.
Il moro avvampò.
- E questo cosa c'entra, Breda?! Ricordati con chi stai parlando!!! - sbottò Roy, in tono arrogante e irritato.
"I guanti... voglio i miei guanti... datemi i miei guanti... voglio i..." continuava a ripetersi nella mente il colonnello, cercando di scacciare l'ipotesi di prenderli a schiaffi tutti quanti. Era un'idea, però, che l'allettava terribilmente.
- Non si preoccupi, colonnello! Non ci dimentichiamo che lei è il playboy più incallito che abbia mai marciato su questa terra e che ogni donna si prostrerebbe ai suoi piedi se glielo chiedesse... - commentò sarcasticamente Havoc, ridacchiando della sua stessa battuta.
Mustang gli rivolse un'occhiata di sbieco tale da incenerire all'istante e il subordinato si spostò un po', giusto per evitare quella vicinanza pericolosa.
Il colonello rimase per qualche ora a guardare attraverso il finestrino e a pensare come poter stare un po’ da solo con il tenente Hawkeye.
Non gli vennero in mente molte cose, eccetto le stupidaggini: di quelle il suo cervello abbondava in modo impressionante, soprattutto in quel momento, in cui gli era difficile pensare con il brusio delle chiacchere dei suoi amici di sottofondo.
Viaggiarono tutto il giorno e Roy, sconsolato e stufo di tutte quelle chiacchiere di cui avrebbe volentieri fatto a meno, cadde addormentato.
Aggiunto al suo bisogno quasi estremo di riposare c’era la noia, che aveva raggiunto tali livelli critici che anche dormire era una soluzione più che accettabile per combatterla.
Si svegliò quando la voce dell’altoparlante annunciò l’arrivo del treno alla stazione.
- Ehi, colonnello siamo arrivati! - esclamò Havoc, pimpante, afferrando la propria valigia dallo scomparto in alto e avviandosi verso l'uscita dal vagone.
Il moro rimase lì per dieci minuti buoni, mezzo intontito dal sonno.
Armstrong tirò giù, oltre alla propria valigia, pure quella del collega e gliela porse con un: - Si svegli, colonnello Mustang! Avrà tutta la notte per riposare, non dubiti! -.
Quel tono era così vigoroso che riuscì a svegliare completamente il moro, che si passò una mano sul viso e si mise in piedi, afferrò la valigia e seguì l'energumeno giù dal vagone.
Dire che faceva freddo lassù era un eufemismo, e certamente non l'avrebbe aiutato a non prendersi una polmonite.
Il cielo era scuro, violaceo, con le tipiche sfumature del crepuscolo che cedeva velocemente il passo alla notte vera e propria. La neve fioccava leggera, turbinando di tanto in tanto smossa da qualche refolo di vento più forte.
Era uno spettacolo così quieto da conferire una pace interiore incredibile. E poi, era un paesaggio così romantico...
- Royyyyy, da questa parte! -.
Il colonnello fu richiamato dalla voce di Hughes, del quale incontrò il profilo più in alto, su una collinetta di neve da cui si saliva sulla funivia che conduceva ad un agglomerato di puntolini gialli sulla fiancata della montagna. Con ogni probabilità, l'hotel.
Si affrettò in direzione dell'amico, desideroso di raggiungere il caldo e confortevole rifugio dell'hotel per sfuggire al freddo della neve che gli stava consumando le forze.
Poco mancò che cadesse a faccia in giù nella foga di risalire il cumulo.
 - Finalmente! Credevo avessi intenzione di rimanere nel vagone fino a domani! - lo prese in giro Maes, allegro.
- Sta' zitto... - disse semplicemente Roy, appoggiandosi sulle ginocchia e cercando di riprendere fiato: aveva corso come un forsennato per non farsi lasciare indietro ed era stanco.
 - Appena in tempo! - aggiunse l'amico, al vedere arrivare un'altra cabina.
Entrarono al volo e Mustang iniziò a sfregarsi le mani cercando di scaldarle, mentre aspettavano che il veicolo ripartisse.
Com'era imbarazzante essere l'Alchimista di Fuoco e doversi preoccupare di congelare vivo...
Ci impiegarono un po' ad arrivare a destinazione. Sì e no quindici minuti, forse meno. Tempo sufficiente affinché i muscoli del colonnello si intirizzissero almeno un pochino.
Quando scesero, l'alchimista fu ben lieto di sgranchirsi gli arti, indolenziti dal freddo e dal prolungato star fermo.
Il resto del gruppo era davanti all'entrata e attendeva il loro arrivo.
Entrarono tutti assieme e Hughes si occupò della prenotazione e della distribuzione delle chiavi delle stanze. A Roy, ovviamente, toccò quella al piano più alto e più lontana da tutte le altre.
"Magari qualche entità a me sconosciuta ce l'ha davvero con me..." bofonchiò tra sé, mentre si separava dagli altri e saliva al terzo piano in silenzio, fissando truce la piccola e lucente chiave che stringeva in mano.
Sul portachiavi d'argento era inciso elegantemente il numero della sua stanza, la 317.
Arrivato al pianerottolo, iniziò a percorrere il corridoio che gli si apriva davanti, sbirciando tutti i numeri affissi sulle porte in cerca della sua.
Infine, la trovò: era sulla destra, non molto distante dalla curva del corridoio opposta alla scala.
Sollevato, infilò la chiave nella toppa e la girò, facendo scattare la serratura. Aprì la porta e osservò la stanza: un semplice letto in un angolo, un piccolo comò con la lampada, un armadio a destra della porta e, nel centro della parete sinistra, una piccola porta che, con ogni probabilità, portava al bagno.
Entrò, felice di potersi riposare un po'.
Lasciò la valigia in un angolo e l'aprì, in cerca del pigiama. Si spogliò e lo indossò, quindi richiuse il bagaglio e, assicuratosi che l'uscio fosse chiuso, se ne andò a dormire.
Il mattino dopo avrebbe sistemato la sua roba e si sarebbe reso presentabile.
Sentiva che l'aspettava una vacanza... impegnativa.

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