The Last Rose. di Sheep (/viewuser.php?uid=82681)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione. ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove ***
Capitolo 1 *** Prefazione. ***
No,
ok, lo ammetto: Non è facile per me pubblicare questa storia, per niente.
Non
so perché proprio adesso. Lo so che molti sono in vacanza e non potranno
leggerla (sempre se esiste ancora qualcuno che lo voglia, certo) ma mi andava l’idea
d’inserire anche la mia long. Non
posterò a intervalli regolarissimi ma spero che ne varrà la pena e che troviate
ogni capitolo soddisfacente.
Vorrei
riuscire a coinvolgervi e farvi affezionare ai miei personaggi, magari
commuovervi anche un po’. Non so. Spero di portarla fino alla fine (Beh, per me
sicuramente lo farò, ma spero che qualcuno mi inciterà a farlo anche qui!) e …
che altro dire? Niente.
Grazie
a Minako_86 che di questi personaggi ne conosce un bel po’ e mi è stata vicina
nella creazione, e ad AmAJonas che mi ha dato tante
idee senza volerlo. Grazie a chi mi ha sostenuto e chi mi sosterrà.
Un
paio di cosine sulla storia: So che Nick non è stato a Londra a Novembre, ma
spero che me lo passerete. Sapete, io amo
l’autunno. Non conosco nemmeno il produttore, Mackintosh, quindi l’ho citato
così ma in realtà è tutto frutto della mia mente. Ah, e state attenti all’apparenza, potrebbe
confondevi ;)
Detto
ciò ... Buona lettura!
Vi
adoro,
Sheep.
I
Jonas Brothers non mi appartengono e questa fan fiction non ha alcuno scopo di
lucro.
A me stessa ,
per dimostrarmi che non sono
un’inconcludente.
Prefazione.
Nick
lanciò l’ennesima occhiata ansiosa al suo orologio da polso e considerò che,
dopotutto, il tempo stava passando troppo velocemente; La lancetta più lunga
aveva superato almeno tre numeri dall’ultima volta che l’aveva guardata e lui
non aveva ancora percorso neanche metà strada.
Era
una giornata di novembre - una tipica, piovosa
giornata di novembre londinese- ed era in mostruoso ritardo. Una fastidiosa
vocina, incastrata tra la parte destra e sinistra del cervello, non faceva
altro che ricordargli quanto fossero importanti quelle prove e quanto ‘da
egoista’ si fosse comportato: aveva dormito ben quattro ore durante tutta la notte, quando gliene erano state
concesse solo tre! Aveva perso un’ora intera di lavoro, sessanta preziosissimi
minuti, assolutamente fondamentali per la buona riuscita dello spettacolo. Lui,
lui, lui! Come aveva potuto? Proprio
lui che ne aveva più bisogno di tutti! Lui,
l’unico non professionista nell’intero cast … avrebbe finito per rovinare tutto
davanti al pubblico, se lo sentiva.
Il
cuore gli si strinse in petto mentre evitava una pozzanghera. Cercò di
ricordare qualche battuta - ripassare l’avrebbe aiutato a non pensare- ma tutto
ciò che gli venne in mente fu la faccia del suo produttore quando l’avrebbe
visto arrivare a teatro, fradicio marcio e con due ore di ritardo; La visione
non gli piacque affatto. Si accorse di star mordendosi freneticamente le labbra
soltanto quando sentii uno strano sapore metallico pervadergli la bocca: sapore
di sangue. Smise, e si fermò un
secondo a riprendere fiato.
Non
riusciva a respirare correttamente, il cuore andava a duemila … le gambe erano
come improvvisamente diventate di gelatina. Tentò di ricomporsi; Raddrizzò la
schiena e tenne più in alto l’ombrello nero sopra al quale la pioggia batteva
furiosamente. Si passò una mano tra i riccioli spettinati –mai, mai
in tutta la sua vita era uscito di casa così- e fece per ripartire ma
una vocina flebile, pochi passi dietro di lui, lo interruppe.
«Che
strana giacca, signore.» Si voltò e
vide una bambina. Doveva arrivargli sì e no alla vita, era zuppa e teneva in
mano un coniglietto di pezza rosa. «E’ così
rossa, come il fiocco di Mr. Carrot.»
Agitò
il peluche verso Nick che sbatté più volte le palpebre. « Beh … » Balbettò, ma
la bambina fu più veloce a interromperlo.
«Come
ti chiami, signore?» Domandò, avvicinandosi.
«Io
… Nick. Chiamami Nick.» Non capiva
cosa ci facesse lui a parlare con una bambina bionda nel bel mezzo della strada
quando era in ritardo di due ore intere alle prove di Les Miserables, lo spettacolo di Broadway che avrebbe probabilmente
rivoluzionato la sua carriera, ma quel sorriso dolce e sdentato – le mancavano
i due denti davanti- gli sembrava impossibile da deludere. Nonostante lo
facesse raramente, sentì proprio il bisogno di ricambiare il sorriso. «E tu? Come
ti chiami?»
«
Sophie » Disse la bambina sgranando appena i grandi occhi azzurri. «E lui è Mr.
Carrot.»
Avvicinò
di nuovo il coniglio al naso di Nick, che questa volta gli afferrò una zampetta
di stoffa e la strinse tra il pollice e l’indice. «Piacere di conoscerla, Mr.
Carrot!» Osservò la bambina ridacchiare e stringere al petto il pupazzo,
chiedendosi che diamine ci facesse lì da sola. «E quanti anni hai, Sophie?»
«Sei.»
Rispose lei distrattamente. Ora scrutava assorta la strada deserta intorno a
loro. «Sai, signor Nick, somigli proprio tanto a mio fratello. »
«Hai
un fratello?» Non seppe spiegarsi perché, ma la notizia lo fece rimanere di
stucco.
«Certo.
Lui è … » Scoccò un’occhiata al fondo della strada, dove era appena apparsa-
Nick non se n’era accorto- una figura, che avanzava velocemente nella nebbia.
«Sai, credo che tra poco lo vedrai da te.»
Detto
fatto; In pochi secondi Nick si ritrovò travolto dall’ira di un ragazzo che
pareva poco più grande di lui. Era più alto e aveva capelli rosso fiamma,
abbastanza lunghi, sotto i quali spuntavano gli stessi occhi azzurri di Sophie.
Era a dir poco furente. Abbracciò la sorellina con fare possessivo e
le sussurrò qualcosa all’orecchio, poi rivolse uno sguardo adirato a Nick.
«Tu» Sibilò, alzandosi di scatto e
avanzando pericolosamente verso di lui.
«Sporco schifoso lurido verme, ha solo sei anni! »
«Eh?»
Nick vacillò. «Ok, aspetta un secondo, credo che tu … »
Ma
il ragazzo non gli permise di finire. Facendogli cadere l’ombrello di mano per
l’impeto con cui lo travolse, gli mollò un pugno dritto sul naso, che prese a
sanguinare. Nick se lo asciugò con la manica della felpa e intravide Sophie,
nascosta dietro la gamba di fratello, sciogliersi in lacrime.
«P-prova ad avvicinarti di nuovo a mia sorella e giuro che non vedrai la luce di un altro
giorno!» Disse.
Prese
Sophie per mano e insieme scomparvero nella nebbia. A Nick girava
letteralmente la testa; Che cosa, di grazia, gli era appena accaduto?
D’istinto
guardò di nuovo il suo cronografo. Due
ore e mezza! Il naso gli bruciava a più non posso e il diluvio stava
diventando praticamente alluvione. Fissò il cielo, poi una cabina telefonica e
infine ci si infilò dentro. Compose il numero del produttore e attese. Marion,
la segretaria, sembrava davvero agitata quando le annunciò che quel giorno
sarebbe mancato alle prove. Riagganciò sperando che Mackintosh non andasse
troppo fuori di testa e si lanciò in strada. Si chiese che cosa fare; Avrebbe
potuto andare in ospedale a farsi controllare il naso e poi tornare al suo
appartamento e farsi una tazza di cioccolata, riposando come si deve, oppure tuffarsi
nel temporale alla ricerca di vie sconosciute –no, non ne sapeva niente di
geografia, specie di quella europea- e scoprire la città.
Ovviamente
decise di gettarsi a capofitto nel traffico cittadino, perdersi nel chiasso,
che quel giorno era azzittito dal rumore della pioggia, col naso che ogni tanto
prendeva a colare sangue –oramai la manica destra era irrimediabilmente
chiazzata di rosso.
Camminò
finché non sentì le ginocchia tremare dalla stanchezza e lo stomaco
accartocciato dalla fame. Dovevano essere passate più di cinque ore da quando
aveva incontrato quella bambina e suo fratello, che l’aveva sicuramente scambiato
per un maniaco, ma continuava ancora a pensarci.
Beh,
pensò specchiandosi nella vetrina di un negozio d’abbigliamento, con queste occhiaie e i capelli così
combinati è pure comprensibile che mi abbia preso per chissà chi.
Sospirò,
e si passò una mano sotto gli occhi, dove erano comparsi due grossi solchi
violacei. Infine, strastanco e affamato, s’infilò in un piccolo locale
all’angolo della strada.
Era
un posticino niente male; Intimo, caldo
e familiare, tutto ciò di cui aveva bisogno. Nick scelse un tavolo ben nascosto
in fondo alla saletta e aspettò che un cameriere si avvicinasse per ordinare un
panino. La sua attesa durò poco; Ben presto gli si avvicinò una ragazza
dall’aria stressata almeno quanto lui, che si appoggiò al tavolo e gli lanciò uno
sguardo supplice.
«Trattienimi,
ti prego.» Disse. «Ti supplico, parla
per un po’, ho bisogno di fermarmi due secondi. » Si sedette di fronte a lui e
aprì il blocchetto per le ordinazioni.
«Ehm
… d’accordo.» Rispose Nick, con le sopracciglia aggrottate per lo stupore.
«Comincerò con l’ordinare un hamburger e
della Diet Coke.» La ragazza annuì e mentre
scriveva furiosamente lui la osservò meglio; Aveva capelli legati e occhi
nocciola appena socchiusi in un’espressione combattiva. Non doveva essere molto
piccola, nonostante avesse un fisico minuto, e portava un paio di grossi
occhiali anni ’70. « Allora … ehm» Si
guardò intorno nella speranza di trovare un argomento, un appiglio a qualcosa. Qualunque cosa. «Come ti chiami? »
«Viva
la fantasia, mm? » La vide alzare un sopracciglio. «Per te sarò Charlie, va
bene?»
«Bene.»
Nick sospirò. Perché diamine stava tentando di fare conversazione con una
perfetta sconosciuta? «E lavori qui da …
?»
Parlottarono
per circa dieci minuti, poi Charlie tornò al lavoro. Nick la osservò schizzare
tra i tavoli e la cucina, trangugiando il suo sandwich che, forse
per la fame assurda che aveva, si classificò come il migliore della sua vita.
«Roba
da pazzi.» Sussurrò a se stesso quando fu tornato in strada. Ancora pioveva, e
la sua giornata aveva preso una svolta assurda; Niente era filato liscio. Aveva saltato le prove, era stato
scambiato per un maniaco, si era beccato un pugno sul naso da un rosso
imbestialito e infine aveva conosciuto una cameriera stressata. Ah e aveva anche perso l’ombrello. Se quella
era Londra, lui era già pronto a fare i bagagli e tornare a casa.
Fece
in tempo ad arrivare al suo appartamento che il cellulare squillò; Il display
lampeggiava col nome di suo fratello.
«Pronto?»
«Nicky
Nicky! » Trillò la voce di Joe, più allegra e rimbombante che mai. «Come ti va
la vita?»
«Una
meraviglia.» Disse Nick sprezzante. Afferrò le chiavi e le infilò nella toppa.
«Beeene! Sei pronto alla notizia che rivoluzionerà la
giornata?»
Nick
si bloccò sullo stipite della porta. « … Cosa?»
«Indovina
un po’? Sono in città!»
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Capitolo 2 *** Capitolo uno ***
Bene. Rieccomi.
Avevo già detto che gli
aggiornamenti sarebbero stati irregolari –ovvero, come mi gira quel giorno- e
ora voglio già pubblicare il primo capitolo, pur con solo due recensioni. E vi
dico anche il perché: E’ un capitolo d’introduzione, piuttosto inutile ai fini
della storia, che ho ribaltato dal secondo capitolo in poi.
Altra cosina: Non mi importa
tanto che i lettori siano uno o cinquanta, però, se ci siete, vorrei chiedervi
un piccolo favore: Datemi un segnale.
Non per forza una recensione, potete anche mettere la storia tra le seguite/
ricordate o semplicemente scrivermi in privato. Poi, se non volete, ok. Vivrò
lo stesso :3
E ora i ringraziamenti.
Maggie_Lullaby: Una mia graditissima Lettrice
Fedele, che piacere vederti anche qui! Spero sul serio che ti piaccia la
storia, e ti ringrazio dieci, mille, cento volte per la recensione, anche se
eri stanca e non hai potuto scrivere molto. Questo primo capitolo è tutto per te dato che gli altri l’hanno già
letto. Quindi spero doppiamente che soddisfi le tue aspettative.
Titty90: Beh, che dire? *-* Ti
sposo (Anche se so che preferiresti sposare Lui x°D).
La tua recensione, comparsa proprio adesso a far compagnia a quella di Maggie, è piacevole almeno quanto la sua. Quindi grazie
anche a te. Il capitolo l’hai già letto, c’è qualche insignificante modifica a
livelli di vocaboli, niente di più.
Minako_86: Anche se sei in
vacanza, ti ringrazio lo stesso per aver pensato
di recensirla- perché lo so che l’hai fatto *punta pistola*. Hahaha. Siccome la
connessione non ti consente di visualizzarla te la faccio passare, ma solo perché
sei tu!
Capitolo 1
I
Fawn erano una famiglia numerosa. Abitavano in una graziosa casa a due piani di
mattoncini rossi e color corda ed erano ciò che i vicini più educati definivano
una famiglia non esattamente tranquilla. Andrew, meglio conosciuto come Drew,
era il terzo di cinque figli ed aveva già diciannove anni. Molti credevano che
fosse un “ragazzo complicato”; Era piuttosto solitario, si muoveva spesso su
uno skateboard malandato e teneva la
chioma rosso fiamma sempre coperta dal cappuccio di una felpa grande di almeno
due taglie più del dovuto. Era silenzioso, assente
… c’erano molte dicerie riguardo ai suoi stati d’animo; Alcuni credevano che
avesse sorriso per l’ultima volta alla festa dei suoi dieci anni, quando ancora
era un bambino spensierato. Quando ancora aveva amici, e, soprattutto, organizzava feste di compleanno. In realtà Drew aveva maturato col
tempo l’idea che l’amicizia-o meglio, il concetto odierno che la gente aveva di
quel sentimento- fosse soltanto una bella fregatura. Le uniche persone a cui
era legato indissolubilmente erano i suoi famigliari.
Oh
e, beh, poi c’era Charlie. Charlotte
era una buffa sedicenne che odiava il suo nome intero e faceva la cameriera due
volte alla settimana in un localino di proprietà di suo zio, in periferia. Drew
l’aveva conosciuta a scuola, quando urtandola involontariamente in corridoio le
aveva fatto cadere una pila di libri per terra.
Stringere
in un’amicizia profonda per loro due era stato inevitabile; Difatti vivevano
entrambi isolati dal resto dei compagni, immersi lui nell’i-POD e lei nei suoi
libri. Il loro profondo disprezzo per i coetanei si era trasformato in una
grande complicità. A Drew piaceva Charlie perché poteva starsene in silenzio anche
per ore intere. Si divertiva standola a guardare mentre trafficava con grossi
volumi polverosi, seduto alle radici di una quercia, e trovava conforto nei
suoi abbracci insicuri. Era una ragazza riservata, silenziosa –a parte quando
lavorava troppo, allora sì che scoppiava-
ed Andrew oramai aveva imparato a conoscerla bene.
Quel
pomeriggio, come ogni volta che era nervoso, se ne stava rinchiuso in camera,
il silenzio della casa irrotto solo da una melodia soave al piano di sotto; Sua
sorella maggiore, Malice, viveva letteralmente di quel pianoforte – un C. Bechstein
del 1980 ereditato da suo nonno, che era un maestro. Tutto sommato Mal e suo
fratello si somigliavano, e non solo a livello di chioma. Anche lei era sempre
stata un tipo piuttosto introverso, che sfogava la sua apparente frustrazione
in Mozart, Chopin, Beethoven e Schubert, i suoi compagni più fedeli.
Erano
un po’ tutti strani, i figli di Cecil;
Lei stessa era etichettata come una “donna assolutamente pericolosa, con più di una
rotella fuori posto”. Aveva una strana fissazione per i gatti e i bouganville
rossi, con cui aveva adornato il giardino, e folti capelli ricci. I ricchi
abitanti delle villette a schiera tra le quali spiccava quella dei Fawn,
sostenevano che fosse talmente fuori di testa da rifiutarsi di accettare la
morte di suo marito, un militare in missione che oramai non tornava a casa da circa
sei anni. Inoltre molte ipotesi raccapriccianti erano scaturite dai dubbi su
tutti i soldi che quella famiglia dimostrava di avere: Erano troppi, visto e considerato che lei non
lavorava. Decisamente troppi.
Intanto
in camera di Drew, che stava contando le crepe sul soffitto, aveva fatto
irruzione la piccola di casa, Sophie. Era una bambina bionda curiosa e
spigliata, ma soprattutto intelligente e impossibile da separare dal suo
coniglietto di pezza rosa, Mr. Carrot. Ed era l’unica a cui il fratello
permettesse di entrare in quella stanza senza autorizzazione, l’unica a sapere
esattamente cosa contenesse...
Non
molto, in realtà; Era una camera luminosa e decisamente ordinata per un maschio
della sua età. Sulla destra c’era il letto, accuratamente rivestito con una trapunta blu, sul muro troneggiava un
arazzo con due lupi al tramonto. Accanto, appeso a una mensola, oscillava un
acchiappasogni. Sulla sinistra, subito dopo l’ampia finestra, una scrivania su
cui era sistemato un MacBook di ultima
generazione, non lontano da un’immensa libreria che Sophie si fermava spesso a osservare.
Ovviamente non avrebbe mai capito i titoli d’avventura sistemati con precisione
maniacale, ma le copertine colorate di rosso, arancio, verde, viola attiravano
inevitabilmente la sua attenzione.
«Non
piove più.» Annunciò la bambina con la serietà di un messaggero che porta al suo re notizie di
guerra.
Drew,
affondato nel suo letto, la ignorò. Conosceva Londra e il suo maledetto clima e
ci avrebbe messo la mano sul fuoco che il temporale sarebbe scoppiato nuovamente
nel giro di mezz’ora. Tuttavia …
Un
frastuono proveniente dal corridoio li fece sobbalzare; Diana, la primogenita,
aprì la porta sfoderando un gran sorriso.
«Sto
bene!» Disse agitando i capelli
lunghissimi. «Quello stupido tappeto!
Comunque mamma ha detto … »
Ma
il fratello non la stava più ascoltando. Si alzò di scatto, attraverso la
camera e, schivando prima Sophie e poi Diana, si lanciò giù per le scale.
«Che
modi!» Lo apostrofò la voce della
maggiore dalla cima.
Scrollò
le spalle e afferrò le chiavi; Fu in strada nel giro di pochi secondi. La
brezza fredda gli graffiava il viso e un sole debole filtrava attraverso le
nuvole, incapace di riscaldare quell’ostile atmosfera novembrina. L’aria era ancora
impregnata dell’odore aspro della pioggia, che, per qualche motivo, a Drew
diede un gran senso di sollievo, come se si fosse liberato di un gran peso.
Quando
arrivò, Charlie aveva appena ripreso fiato da un’intensa giornata lavorativa.
Lo salutò con un sorriso appena riconobbe la sua andatura ciondolante.
“The Old Moon” era un posticino niente
male. Le pareti dovevano esser state tinte da poco di un intenso color
pervinca, che ben si accostava al pavimento in legno scuro. Sul muro in fondo
alla stanza era stato dipinto un murales raffigurante fate che danzavano. I
tavoli –non più di dieci- erano coperti da tovaglie bianche, ricamate con lo
stesso colore delle pareti; Anche i camerieri, o meglio, l’unica cameriera di
quel giorno, Charlie, indossava un grembiule azzurrino.
«Menomale
che sei arrivato, non ne posso più.» Confidò a Drew quando si fu avvicinato. «
Nadine, l’altra ragazza, è in maternità e zio Oscar non ne ha voluto sapere di
assumere qualcun altro per un paio di giorni, così mi son beccata lo
straordinario. » Drew piegò lievemente le labbra in senno di assenso. « Però ho
… oh, accidenti! »
I
suoi occhi si sgranarono in un’espressione di panico puro, puntati verso
l’entrata. Mentre l’amico si voltava a vedere chi fosse appena arrivato
–nessuno che conoscesse, solo un ragazzo con i capelli ricci e uno con gli
occhiali- Charlie si abbassò, nella speranza che il bancone la nascondesse del tutto.
«Mio
Dio, tu non sai chi è quello.»
Gemette, mordendosi il labbro.
«Chi?»
Chiese Drew interessato, e si guardò intorno nella speranza di scorgere
qualcuno d’importante. Vide solo una ragazza intenta a scrivere qualcosa su un
quaderno stropicciato e una coppia d’innamorati che ridacchiavano. D’altronde,
pensò, lanciando un’occhiata all’orologio a parete, erano appena le sette e
mezza.
«Quello … quello riccio.» Sussultò, come
scossa da un ricordo che solo lei poteva conoscere. «Io … non sai che figura ci
ho fatto! E- ero completamente fuori di me … qualche settimana fa … lui … mi
avevano fatto un brutto scherzo, con tutta quella vodka … e poi ero rimasta
tutta la notte sveglia a studiare … Con che faccia mi presento adesso a
prendere le ordinazioni?»
Drew
sospirò.
«Charlie
… vodka?» Sgranò gli occhi,
realizzando improvvisamente ciò che stava dicendo l’amica, che non era certo un tipo da wild life. «Comunque, ehm , ascolta … »
Ma
lei scattò in piedi, illuminata. «Idea! Ci andrai tu. »
«No,
non credo proprio.»
«Oh
ti prego, che ti costa?» Aveva già acchiappato un altro grembiule e ora glielo
stava schiaffando in mano. « Dai, è questione di minuti! Mettiti questo e sarai
perfetto. A parte forse … » Tirò giù la zip della sua felpa e se ne appropriò,
ignorando i suoi brontolii di protesta. « Beh, uhm … Bene» Disse, lanciando uno
sguardo non troppo convinto alla fila di cerchietti d’argento sull’orecchio
destro di Drew, che si stava sistemando la “divisa” . «E ti servirà questo.»
Gli porse un piccolo block notes scarabocchiato e lo spinse con foga verso i tavoli.
Drew
si morse il labbro inferiore e tirò su le maniche della maglia leggera. Osservò
i due ragazzi che parlottavano sommessamente,
la faccia preoccupata del riccio, il sorriso incerto dell’altro, alzò la
testa e si diresse a grandi passi verso di loro. Aveva come la strana
sensazione di conoscerli.
«Che
vi porto?» Domandò, sforzandosi per mantenere un tono di voce che fosse
udibile, dato che era abituato a grugnire, più che parlare. Si bloccarono e gli
parve che il ragazzo con gli occhiali lo stesse letteralmente squadrando.
«Per
me una birra.» Rispose pronto, con un sopracciglio alzato. L’altro, però non era
evidentemente intenzionato a rispondere. Visibilmente incazzato, sembrava che
non si fosse minimamente accorto di Drew e fissava ancora l’altro, accigliato,
come in attesa di una risposta.
«Joe … »
«Facciamo
due birre.» Si affrettò ad aggiungere quello. «Anzi,
cambia la seconda birra con una Red Bull.» E con una sola occhiata gli fece
intendere che era meglio squagliarsela.
Andrew
tornò al bancone sbuffando per il sollievo, gli occhi azzurri sgranati. «Ma tu, come fai a fare questo per tutta la
giornata?» Domandò a Charlie quando la vide ricomparire sommersa dai piatti.
*
Eppure,
forse per la presenza dell’amica che era rimasta per cena o perché suo fratello
Keith dopo cena tracannò proprio una Red Bull, quegli assurdi pensieri non
abbandonarono Drew per tutto il resto della serata.
Era
certo di aver già visto quei ragazzi,
ma non ricordava quando. Stava diventando una questione di orgoglio, e se c’era
un punto debole di Drew era esattamente l’amor proprio. Nella sua testa
qualcosa c’era qualcosa di molto simile a un bombardamento; I pensieri
correvano, esplodevano, si dimenavano … ma non morivano mai.
Strano?
Insolito? Di più. Andrew Lewis Fawn era noto per essere un ragazzo
menefreghista e anche un po’ svampito, non per fissarsi a quel modo su
questioni futili riguardo un ragazzo riccio e uno con gli occhiali di nome …
«…
Joe.» Mormorò senza accorgersene.
«Cosa?»
Charlie sembrava stupita. Abbandonò il cubo di rubik che teneva in mano sul
tavolo e lo fissò, curiosa. «Che hai detto?»
«Niente»
Balbettò Drew, ma un lieve rossore comparsogli d’un tratto in viso,
evidenziando le lentiggini, lo tradì.
«Niente.»
Charlie balzò in avanti con l’agilità di un felino per guardare l’amico
bene in faccia. «Certo. E io sono Marylin Monroe.»
«
Ehi, che fine ha fatto la ragazzina timida e dolce che balbetta quando gli
parlo? »
«Temo
che tu le abbia dato troppa confidenza.»
Si
fissarono, annegati in un silenzio ansioso, finché Diana non irruppe in camera
con due grosse coppe di gelato.
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Capitolo 3 *** Capitolo due ***
Ed
ecco qua il secondo capitolo. Per il terzo ci vorrà un po’ di tempo in più perché
il 13 di questo mese parto (Irlanda aspettami yu-hu!)
e torno solo alla fine di agosto … quindi. Volevo ringraziare di cuore chi ha
messo la storia tra le preferite e chi tra le seguite. Ora passiamo alle
recensioni.
Jerry:
Grazie, Chià. =) Sul serio. Aspetto di saperne di più da vicino.
AmAJonas: Carissimo! Le
tue parole mi riempiono il cuore di gioia, mi fanno sentire che riesco a
trasmettere veramente i miei pensieri e le sensazioni giuste. Continua a seguirla,
voglio poterti dichiarare Lettore Fedele.
Catchme__ : Di
solito sto ore a crucciarmi sui titoli, ma questo è venuto del tutto naturale.
Mi fa piacere che tu trovi i miei personaggi umani, è proprio quello che per me
è più importante. Volevi sapere qualcosa di Charlie? Beh, eccoti accontentata! In
questo capitolo c’è tutto ciò che devi sapere. Grazie mille per la recensione
=)
Maggie_Lullaby:
Sono felice che ti sia piaciuto! E anche Drew ne è felice :D Potrai continuare
a leggere di lui, dato che è il protagonista. Grazie per i complimenti e anche
per la recensione.
Jeeeeee:
è tantissimo che non ricevevo una tua recensione! (Avevo un altro account, Ice_Bubble) Come al solito, so che sono ripetitiva, ma sono
orgogliosa che la storia ti piaccia e spero che continui a seguirla! Baci e
grazie!
Mary:
Come al solito io devo solo sposarti *-* Le tue recensioni –lunghe, corte,
veloci- sono sempre bellissime e mi fanno sempre taaaanto
piacere. Presidentessa ufficiale dal fan club di Drew? Chissà haha. Anche se già l’hai letto, ti invito a ri-goderti il
capitolo. Baaaci. (Grazie!)
Spero
di non aver dimenticato nessuno, in caso comunque G R A Z I E a tutti, siete un pubblico meraviglioso!
Spero vi godrete questo capitolo.
Capitolo 2
Una
settimana dopo, la pioggia non era ancora cessata. Londra sembrava inquieta.
Dicembre era alle porte ed Andrew si ritrovò deluso a scoprire che era
perfettamente puntuale. Ben presto un morbido manto bianco avrebbe sostituito
lo spesso strato d’acqua che costringeva gli abitanti ad uscire di casa con gli
stivali di gomma.
Scrutò
attentamente il paesaggio oltre la finestra del soggiorno, come se si
aspettasse di veder cessare il temporale da un momento all’altro, e sbuffò. Non
si mosse quando udì dei passi incerti avanzare verso di lui.
«Drew
… » Disse la voce di suo fratello minore, Keith. «Posso andarci io, se vuoi.»
«No.»
Rispose secco, voltandosi per guardarlo in faccia e trovandoselo di fronte. Era
visibilmente più alto, con morbidi capelli biondi come quelli di Sophie.
Sembrava lui il più grande. « Tocca a me.»
«L’hai
già fatto tre volte al posto mio, però.» Keith aggrottò le sopracciglia. «No … no, ci vado io.»
«Non
fare il deficiente.» Sbottò Drew, contrariato. «E’ sabato mattina; Non hai
scuola, no? Quindi chiama i tuoi compagni, organizzati, fai casino, spacca
tutto e inviami una cartolina.» Fece per andarsene in cucina, ma il fratello lo
bloccò tenendolo per il braccio. « Keith,
perdio, smettila. Lo sai che questa cosa non ti
riguarda. Hai diciott’anni, manda le responsabilità a quel paese e goditi la
vita. E, per favore, non istigarmi a spaccarti la faccia.»
Si
allontanò a passi grevi e raggiunse il corridoio dove la sorellina lo stava
aspettando, stretta al suo Mr. Carrot. L’espressione rude che gli si era
disegnata in volto si addolcì non appena la vide; Sophie sorrise. Drew,
nonostante fosse generalmente un impedito con questo genere di cose, l’aiutò a indossare
il cappottino rosa e, tenendola per
mano, la condusse alla sua auto. Durante il tragitto non parlò molto. Nemmeno
Sophie; Era una bambina molto matura per la sua età, e i suoi occhi non
trapelavano alcun segno di paura o disagio.
Parcheggiò
non lontano dal St. Peter Hospital, così che non s’infradiciarono del tutto durante
il tragitto per raggiungere l’entrata della clinica. Era una struttura ampia,
pulita e rinomata per la professionalità del personale. Drew aveva avuto più
volte modo di appurare la competenza degli infermieri –ogni volta che il dottor
Allen era assente, ce n’era uno a sostituirlo-, ma anche la gentilezza delle
segretarie che si trovavano su ogni piano.
Al
quarto, il piano interessato, c’era Sherry; Labbra rosse e capelli nero pece,
sempre ordinati in uno chignon. Aveva preso l’abitudine di salutarlo ogni volta
che lo vedeva passare, e lo fece anche quella mattina. Drew rispose accennando
un sorriso e s’infilò in sala d’attesa, preceduto da Sophie. La bambina
conosceva così bene quel posto da sentirsi in famiglia. Infatti si mise subito
a giocare con un ragazzino magrissimo, dall’aria malaticcia e occhi verdi.
Lui
nel frattempo si sedette su una delle sedie blu e constatò con piacere che la
stanza era vuota, ad eccezione di una donna che doveva essere la madre
dell’amico di Sophie. Aveva capelli scoloriti e unghie molto lunghe, laccate di
rosa shocking. Leggeva un libro dalla copertina nera ormai consunta.
Drew
guardò in alto, poi in basso. Si pentì amaramente di non esser rientrato a casa
a prendere l’i-POD, quando in auto si era reso conto di averlo dimenticato;
Aveva avuto paura di dover affrontare di nuovo Keith. Temeva di non sopportare
l’espressione afflitta di suo fratello minore per un minuto di più. Lanciò di
nuovo uno sguardo al soffitto, a sua sorella e poi …
«Excuse me.» Disse una voce con marcato
accento americano. «E’ … qui per il dottor Allen? » Occhi smarriti. Capelli
ricci che Drew aveva senza dubbio già visto.
«Il
dottor Allen è un pediatra,
giovanotto. » Ribatté la donna con le unghie rosa, visibilmente seccata.
«Questo
è impossibile …» Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. «Visto che è il mio
medico.»
Un
fracasso di metallo e carte attirò l’attenzione di tutti qualche metro più in
là. Una ragazza con il camice bianco, il cui viso era diventato color porpora, si
piegò a raccogliere la sua cartellina, gli occhi fissi su tutti loro. Drew la
riconobbe come la figlia del dottor Allen.
«V-veramente
… »Spiegò, raccogliendo alcuni fogli.«Il dottore è anche un pediatra.» Osservandola meglio, non riuscì ad evitare al
suo stomaco una capriola. «Visita gli adulti in orari diversi.»
Sì
alzò, ancora rossa in volto, con i capelli che le ondeggiavano mossi sulle
spalle. Era senz’altro particolare; Aveva molte più lentiggini di quelle di
Keith, a cui ne era spuntata una bella spruzzata sugli zigomi, ma meno marcate,
in modo che non creassero troppo contrasto con la pelle incredibilmente chiara.
Ma non fu tanto quello, a colpirlo; Più il fatto che avesse occhi bicromatici.
Evitava accuratamente di incrociare lo sguardo del riccio.
«Comunque
… » Disse infine, impossessandosi di un
tono più sicuro. «Oggi il dottore non ha altre visite, per cui tu puoi accomodarti dopo …» Lanciò
un’occhiata distratta a Drew, che strinse appena le labbra carnose. « …
L’ultimo.»
Scappò
letteralmente nello studio del padre, le scarpette ticchettanti sul pavimento
lucido, e quando si chiuse dietro la porta bianca, Drew rifletté; Era troppo
giovane per essere un vero medico. Doveva
star facendo tirocinio o qualcosa del genere.
«E’
tanto buona, Bee.» Sophie, senza che
lui se ne fosse accorto, si era avvicinata e aveva occupato il posto accanto a
lui. Il bambino e sua madre, davanti alla porta spalancata, si preparavano ad
entrare per la visita.
«Bee?»
Domandò Drew, senza riuscire a capire.
«Sì»
Annuì Sophie con convinzione e indicò la ragazza oltre la porta. Nemmeno il
tempo di realizzare o di aprire la bocca per rispondere che, come ogni volta
che aveva intenzione di parlare, fu interrotto.
«E’
decisamente strampalata.» Commentò il ragazzo coi capelli ricci prendendo posto
alla sua sinistra, e lui ebbe un’inspiegabile morsa allo stomaco.
«No.»
Ribatté, contrariato.
«Prego?»
«No,
non lo è.» Cadde un silenzio ostile, durante il quale Drew ebbe modo di
studiarlo per bene.
Fu
così che, all’improvviso, ricordò. Quel ragazzo
… l’aveva già visto ben due volte.
Quando però si voltò di nuovo, pronto ad attaccarlo, quello, con sua
grande meraviglia, gli sorrise.
«Piacere
di conoscerti, comunque.» Disse, tendendogli la mano. «Sono Nick.»
«Tu … » Sibilò Drew, gli occhi ridotti a
due fessure. «Ti ho già incontrato, una volta. »
«Sì,
e mi hai quasi fratturato il naso.» Scoppiò a ridere, davanti alla faccia
allibita dell’altro. « Ma avevi perso la testa, lo capisco. Dovevi avermi
frainteso alla grande. »
«Frainteso.»
Strinse
i denti e il suo cellulare vibrò nella tasca dei jeans. Lo estrasse di
malavoglia; Il display lampeggiava un messaggio e una chiamata persa di Charlie
… fu sorpreso di trovare un sms incredibilmente lungo. Non poté fare a meno di
sgranare gli occhi, mentre scorreva con l’apposito tasto in giù, verso la fine.
La rabbia, la malevolenza, l’inquietudine che quel Nick aveva creato in lui
erano scivolati via, sostituiti da un grosso senso di smarrimento misto ad odio
verso l’amica- quella che credeva
un’amica. Spense il cellulare, preso da uno scatto d’ira, e tornò a guardare il
ragazzo accanto a sé. Di nuovo s’era
messo a parlare con la sua sorellina. Non riusciva ad infuriarsi, però. Era
troppo concentrato su Charlie e … su una parte di quel messaggio.
‘…
così, papà ha accettato e ha detto che ci trasferiremo il prima possibile,
giusto il tempo di metter via le mie cose. ’
Parole
taglienti, crudeli, bastarde gli rimbalzavano nel petto e poi nella gola,
facendogliela bruciare: Papà. Accettato. Trasferiremo.
Il più presto possibile.
La
sua unica amica si trasferiva a Glasgow per un’offerta di lavoro
irrinunciabile. Faceva le valigie e tanti saluti, a mai più rivederci. Non
riusciva a trovare confortò nel suo “sono distrutta”, perché era lui ad essere distrutto. Lui, cretino
deficiente, che le aveva dato fiducia. Se solo …
«Allora
… » Disse Nick tutt’a un tratto interrompendo i suoi pensieri. «Da quanto tempo
l’avete scoperto?»
«Cosa?»
Drew strinse il cellulare in mano così ferocemente che avrebbe potuto
frantumarsi in mille pezzi da un momento all’altro.
«Il
diabete» Spiegò l’altro, con semplicità. «…. della bambina.»
«Oh.»
Sentì la furia abbandonarlo per un attimo. Lasciò andare il cellulare e quello
cadde a terra con un colpo secco, la batteria schizzò via . « Al
diavolo! » Sì chinò a raccogliere i pezzi, poi tornò a guardare Nick,
gli occhi di un azzurro profondamente offeso. «Da un po’ … di anni.» Lanciò un’occhiata
a Sophie che giocava col suo peluche rosa confetto e storse la bocca. «E tu?»
Domandò, senza voltarsi. «Voglio dire, anche tu …»
«Io
ero più grande, quando l’ho scoperto. » Nick aveva un tono insolitamente
sereno, calmo … rassegnato. «Avevo tredici anni e la giusta dose di maturità
per rendermi conto di cosa mi stesse succedendo. » Si fermò, come a riprendere fiato . «Ma credo
che lei sia stata più fortunata di me.»
In
tutta onestà, Andrew non aveva la minima voglia di discuterne Avrebbe solo
voluto non essere lì in quel momento, come era giusto che fosse. Non riusciva
ad odiare sua madre, che da qualche mese a quella parte aveva preso a ogni
sparire puntualmente ogni week-end, ma
gliene faceva sicuramente una colpa.
Era
lei quella che avrebbe dovuto essere
in sala d’aspetto con sua sorella, lei che sarebbe dovuta entrare in quel posto
orribilmente triste. Era lei, la madre.
Era
innegabile che si fosse offerto lui di sostituirla, ma solo perché voleva che
Diana riuscisse a realizzare le sue ambizioni e per quello aveva bisogno di
tempo. Malice era … assolutamente inadatta. E Keith faceva parte di un gruppo
di fighetti dell’ultimo anno nella sua scuola, non poteva rischiare che lo
vedessero accompagnare da qualche parte la sorellina. Lo avrebbero dichiarato
‘fuori’ nel giro di pochi minuti.
Dalla
porta bianca uscirono il bambino malaticcio, che salutò allegramente Sophie, e
sua madre. Li guardò allontanarsi, prese Sophie per mano e si avvicinò.
In
una stanza bianca e luminosa, intento a
scrivere piegato sulla scrivania, c’era il dottor Allen. Era un tipo niente
male. Alto, dall’aria affabile, occhi grigi nascosti dietro un paio di lenti
non troppo spesse. Alzò lo sguardo, notò sua sorella e sorrise.
«Oh,
signorinella Fawn» Disse. «Che piacere rivederti!»
Sophie
lasciò Drew sull’entrata e gli si avvicinò. «Ciao dottore!»
Il
ragazzo fece istintivamente per seguirla ma qualcuno lo bloccò, piazzandoglisi davanti. Drew vide Bee, molto più tranquilla
di prima, in piedi a qualche passo da lui, con un’espressione rassicurante
dipinta sul volto.
«Non
preoccuparti per lei, aspetta pure fuori.»
Lo spinse dolcemente più indietro di qualche passo. «Me ne occuperò io.»
E
gli chiuse la porta bianca in faccia.
*
Tornarono
a casa ad ora di pranzo e Sophie corse di sopra non appena Drew spalancò
l’uscio e il moderno salotto in ciliegio comparve nella sua visuale. Era di
nuovo zuppo da capo a piedi. Posò l’ombrello nel vaso decorato, esausto, e si
lasciò cadere sul divano più vicino. Sospirò e chiuse gli occhi. Era nel pieno
di un viaggio tra i suoi ricordi, quando Diana lo interruppe.
«Dee, è passata Charlie per te, prima.»
Annunciò, entrando nel salotto con aria sconvolta. Aveva i capelli rosso fiamma
legati alla bell’e meglio, una matita dietro l’orecchio e occhiali da vista.
«Che
vada pure a farsi fottere!» Rispose il fratello con un inconsueto impeto nella
voce.
«Ma
Andrew … » Gli si sedette accanto, tirando le gambe sul divano e stringendole
nelle braccia esili. «Non trattarla così. Sai benissimo che non vuole andarsene.»
«Beh,
però lo fa.» Ribatté.
«Drew
…»
«No,
basta così» Ringhiò. «Avrebbe potuto rimanere con sua madre, tanto i suoi sono
divorziati, cosa ha da perdere? Invece no, va a Glasgow con papino
a farsi una nuova vita … a trovarsi degli amici fighi.
Tanto chi se ne fotte di quello sfigato di Drew? » S’interruppe, accorgendosi
di avere gli occhi innegabilmente appannati e umidicci. «Non se la prenderà,
tanto è un menefreghista … » Strizzò le
palpebre e fissò la sorella. «Glasgow sarà una anche un’opportunità
irrinunciabile, ma lei mi ha deluso.»
Sì
alzò, un groppo enorme in gola, e filò nella sua stanza prima che Diana potesse
fargli altre domande, lasciandola a bocca aperta a chiedersi se sul serio suo fratello avesse parlato così
tanto in una sola volta.
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Capitolo 4 *** Capitolo tre ***
Ouf,
ouf, ouf, eccomi, ce l’ho
fatta!
Incredibile
ma vero ragazze, scusate per l’abominevole ritardo ma come sapete con l’estate
in corso è più difficile ricavare tempo da passare in casa a scrivere. Ammetto
di avere avuto anche un po’ di difficoltà con questo capitolo, ma mi pare che
il risultato sia abbastanza soddisfacente.
E
ora, prima di passare ai ringraziamenti, vorrei spiegarvi un paio di cose sul capitolo. Allora, l’hurling è
uno sport tipico irlandese che è a metà tra il baseball, hockey, calcio e un
sacco di altri sport. Anche se all’inizio sembra astruso, vi assicuro che una
volta cominciato a capire il meccanismo è davvero carino!
Poi
… non conosco bene Londra, per cui ho fatto un casino con le cartine e le zone
di residenza dei personaggi; Se qualcuno di voi è esperto in campo, imploro perdono
per eventuali pasticci o contraddizioni :D
E
infine, preparatevi a conoscere un paio di personaggi nuovi! Pronti?
Dove andate?
Prima le recensioni!
SofyJbthebest: Grazie
mille per i complimenti, la tua recensione mi ha fatto sorridere e incitata a
scrivere!
Slideaway_: Carissima!
Grazie per il buon viaggio (in ritardo) lo è stato davvero (: e soprattutto
grazie infinite per la recensione, e non preoccuparti per Drew! Non sarei
capace di far del male ai miei personaggi …. Forse!
Maggie_Lullaby: Ciao! Figurati
per il ritardo, che scherziamo? Già è tanto che mi hai recensita
*felicefelicefelice* Grazie mille anche a te (sembro ripetitiva, lo so, ma devo
ringraziarvi ad una ad una) e grazie anche per gli auguri per l’Irlanda.
Titty90: Miss
Blood! Mia cara! Grazie per la recensione *lovva immensamente e coccola* e
non temere per le sorti di Drew, lui è forte e Charlie è pur sempre solo una
donna :D Ma sto spoilerando. *shhht*
Lauretta_:
E veniamo a una recensione totalmente inaspettata ma graditissima! Una veterana
della sezione di cui io leggevo le storie che ora segue le mie ed addirittura
mi recensisce, con tutti questi complimenti, non può essere per un me che un grande onore! *si inchina* Spero di non
deludere le tue aspettative e che continuerai a seguirmi. Grazie mille.
E
ora, finalmente, vi lascio! :3 Ah, mie care recensitrici
*attacco d’affetto*,
sappiate che vi AMO.
Buona
lettura da una Sheep ansiosa di conoscere le vostre opinioni –leggi e compara i
prezzi! *roll*
Capitolo 3
A
due settimane dalla partenza di Charlotte, Diana era seriamente preoccupata. Suo
fratello non era andato all’aeroporto a salutare l’amica- o meglio, ex amica-, né aveva proferito parola a
riguardo, ma ora stava diventando una sottospecie di cadavere ambulante.
Pallido, smunto, magro come non l’aveva mai visto, i vestiti oramai erano
diventati così larghi che avrebbe potuto starci dentro tranquillamente quattro
o cinque volte.
A
colazione, quella mattina, nessuno aveva ancora aperto bocca. Sophie mangiucchiava
in silenzio il suo toast, il coniglietto rosa stretto sotto il braccio
sinistro, Keith aveva due grosse occhiaie violacee e l’aria stravolta di chi ha
dormito si o no un’ora in tutta la notte. Malice, invece, si era alzata alle
cinque. L’aveva trovata una decina di minuti prima china a studiare uno dei
suoi spartiti, accoccolata nell’unico posto in cui avrebbe resistito per più di
tre minuti di seguito: il suo pianoforte.
Drew
era quello che stava peggio di tutti; Gli occhi azzurri erano insolitamente
chiari, opachi, quasi vitrei. I capelli color fiamma lunghi e spettinati gli
coprivano una bella porzione di viso. Era seduto a tavola da quattordici minuti
e non aveva ancora toccato niente. Diana lo osservò fino a quando tutti si
furono alzati: Non mandò giù nemmeno una briciola. Lo afferrò per il braccio
appena fece per sgattaiolare via.
«Tu»
Disse, mentre lui si voltava a guardarla sorpreso. «Tu ti stai uccidendo!» La risposta di Drew fu una risata spontanea,
come se la sorella si fosse messa di punto in bianco a delirare. «Andrew, Cristo santissimo, non sto
scherzando!»
«Sto
bene.» Borbottò Drew, di nuovo serio. «Benissimo.»
Diana
si aggrappò alla sua felpa con uno scatto esasperato. Tirò una manica e poi l’orlo
inferiore, mostrandogli il perimetro della stoffa che sembrava appena più
piccola di una tenda. «Questo non mi
sembra stare bene.» Il ragazzo indietreggiò, cercando di indurla a mollare.
«Beh,
allora pensa ai cazzi tuoi e basta.» Si sistemò la stoffa sul braccio con
un’attenzione maniacale che non sfuggì all’occhio acuto della maggiore.
«Permetti?
Sono eccome cazzi miei.» Indicò la stanza intorno a loro con un cenno vago.«
Soldi del funerale a parte, ma non hai il diritto di lasciarmi sola con tutto questo. E lo sai. »
«
Io sto bene.»
«Ah
sì?» Con la gola bloccata da un
fastidiosissimo nodo, Diana lo acchiappò per il braccio sinistro e scoprì il
polso. Una grossa cicatrice partiva dal palmo fino ad arrivare all’interno
dell’avambraccio.«Credi che io non l’abbia notato? Credi che io sia stupida?» L’impetuosità
di quel gesto e la veridicità di quelle parole colpirono Drew come uno schiaffo
in piena faccia. Strinse i pugni, arrossendo vistosamente. «Come hai fatto, eh?
Che diavolo hai combinato?»
«Niente.»
«Niente? Va al diavolo, Andrew, hai un
braccio sfregiato!» Sospirò. «Forse dovrei … dovremmo cercare di tenere sotto
controllo questa cosa.»
«Senti
…» Ringhiò l’altro, impaziente di abbandonare la sorella e quell’insopportabile
conversazione.« Ho diciannove anni. Non avrò l’età per bere,ma sono abbastanza
grande per decidere cosa fare della mia merda di vita. Chiaro?»
«Ed
è come lei che vuoi finire, vero?»
La
distanza tra loro si riempì di un silenzio agghiacciante. Drew dischiuse le
labbra, mentre l’immagine di sua madre nel bel mezzo di una delle sue crisi gli
passava davanti agli occhi. «Non finirò mai
come lei.»
«Credimi,
sei sulla buona strada.»
*
Nicholas
Jerry Jonas non riusciva a crederci: aveva ricominciato a piovere. A diluviare,
anzi. Le temperature erano più basse dell’immaginabile e il clima completamente
diverso da quello texano. Troppo. Sospirò; Stava cominciando sul serio a
disprezzare l’Europa. Bramava luce, sole, e non solo a livello di condizioni
atmosferiche: i londinesi erano totale depressione.
Gli mancava il calore di un sorriso –a dire la verità non gli era mai capitata
una sensazione simile- e la disponibilità tipica degli americani.
Nascose
il naso nella sciarpa, continuando a tamburellare con impazienza sul cruscotto;
Era bloccato nel traffico da più di un’ora, ormai. I tergicristalli scivolavano
rumorosamente da destra a sinistra rendendo a tratti più nitida la visuale.
Accelerò
di poco e si spostò avanti di qualche metro. Guardandosi intorno, tra le luci
rosse dei fari, non poté fare a meno di notare una figura sul marciapiede. Una
ragazza, completamente fradicia, chiedeva l’autostop con aria scazzata.
Un
paio di auto abbassarono i finestrini nella sua direzione ma evidentemente la
ragazza non apprezzava le facce degli autisti, perché li ignorò del tutto. Nick
scoppiò a ridere di gusto quando alzò il dito medio verso la portiera di una
Lamborghini.
A
dire la verità gli si era insinuata in mentre l’idea di invitarla a salire,
solo per poter assistere alla sua reazione- che sarebbe stata di sicuro
imprevedibile, ma sapeva che non gli conveniva rischiare a quel modo; Se fosse
stata una fan dei Jonas Brothers -anche se non lo sospettava minimamente- avrebbe
firmato con un solo gesto la sua condanna a morte. Aspettò qualche minuto; Ne
erano passati quindici quando la tempesta cominciò a peggiorare e lui non
resistette dal tirare giù il finestrino e chiamarla a gran voce.
«Ehi!
Ehi, tu! » La ragazza si voltò. Aggrottò le sopracciglia, scrutandolo, e si
avvicinò alla macchina.
«Hyde Park . Passi di là?» Domandò,
gelida.
Nick
annuì. «Ah-ha. Vado a West End.»
«Bene.»
Si
strizzò i capelli come le cameriere facevano con gli strofinacci nel suo nuovo
appartamento – la cascata d’acqua che le inondò le scarpe non fu meno copiosa-
e s’infilò velocemente in macchina. Nicholas ebbe modo di osservarla più da
vicino: I capelli scuri contrastavano con un paio d’occhi incredibilmente
grigi, più vivi che mai. La pelle chiarissima era coperta di lentiggini e, cosa
che più lo colpì a primo impatto, non era truccata. Sotto tre o quattro strati
di stoffa pesante nascondeva una struttura corporea incredibilmente esile anche
se, allo stesso tempo, non minuta.
Non
spiccicò parola durante la prima parte del tragitto. Rimase in silenzio finché
Nick non fu preso dalla curiosità e le chiese il nome, cosa di cui si mostrò
sorpresa.
«Ra
… chel. » Disse. «E tu?»
«Ni
… cholas.» La scimmiottò lui; La
ragazza non rise. Alzò un sopracciglio nella sua direzione e tornò a fissare la
strada oltre i vetri. Ma Nick non capitolò.«Sei di queste parti?»
Scosse
la testa. « Dublino. Tu?»
«America.»
Sorrise. «Dallas.»
Avevano
progredito di ben dieci metri quando Nick si voltò verso i sedili posteriori,
pescò dal suo borsone la giacca della tuta e gliela porse. Rachel lo scrutò con
aria scettica per alcuni secondi;Non si mosse.
«Prendi;
O con quella roba fradicia addosso ti ammalerai.»
«Sto
bene.»
«Insisto.»
La guardò. La ragazza sgranò appena gli occhi, perplessa dalla sua spontaneità,
ma scosse di nuovo la testa.
«Ho
detto di no.»
Tuttavia,
dopo una serie di vani tentativi, riuscì a convincerla. Un’espressione
divertita gli si dipinse in volto mentre Rachel sospirava e, a malincuore, si
liberava del cappotto. Poi, con un’altra
agitata e tortuosa serie di movimenti, si cambiò anche la maglietta zuppa con
la felpa asciutta, senza lasciar intravedere nulla al di sopra dei fianchi. L’indumento
le stava decisamente grande, però il blu elettrico faceva un bell’effetto sulla
sua pelle.
«Grazie.»
Borbottò, senza palpabili segni d’imbarazzo o disagio. «Ma sappi che non saprò
restituirtela.»
«Tranquilla.»
Scrollò le spalle, per niente agitato all’idea di perdere un capo d’abbigliamento
così inutile. Piuttosto, sorrise tra sé, domandandosi se presto o tardi la sua felpa sarebbe finita su e-bay.
Giunsero
ad Hyde Park prima del previsto. Rachel abbozzò un paio di ringraziamenti e
Nicholas si ostinò a prestarle anche un ombrello, che, da quel che riuscì a
vedere attraverso i vetri appannati, la ragazza non usò. Ripartì poco
dopo, rassegnato all’aspettativa di una
cena cinese con Joe e la sua solita irritabilità.
*
L’indomani,
la pioggia si era trasformata in grandine. Bridget si sistemò il plaid sulle
gambe e riprese a leggere, seppur interrotta ogni tanto dalle urla di esaltazione
o disdegno di suo padre e suo fratello, nella camera accanto. Da quando si
erano trasferiti a Londra e avevano preso l’abitudine di guardare le partite di
hurling dal portatile di Mike, in streaming, dimenticavano troppo spesso di trovarsi in un
appartamento in Hyde Park e non su un campo irlandese. Sorrise tra sé,
ripensando alla loro immagine pubblica e considerando il contrasto
realtà-apparenza; Nessuno avrebbe mai
potuto immaginare che il noto dottor Allen o suo figlio, il richiestissimo
fotografo, si scomponevano così tanto per un semplice goal. In tal caso la loro reputazione di uomini seri
ed affidabili si sarebbe trovata in grave pericolo.
Era
già tornata al decimo capoverso quando sua sorella Rachel rientrò in camera. Si
era appena fatta una doccia ed aveva i capelli scuri ancora gonfi di phon. La
fissò, inarcò un sopracciglio e arricciò il naso in direzione del libro.
«Che
roba è?» Bee si rigirò tra le mani ‘Oltre
la Scienza- volume 7; Animali e comportamenti’ e scrollò le spalle.
«Un’enciclopedia.»
Arrossì, quando l’altra la guardò come se avesse appena bestemmiato. «E n-non
fissarmi così, Rain!»
«Bah.»
Del
tutto rassegnata all’idea di rimanere per sempre ignara del contenuto della testa
della sua gemella, Rachel scosse la
testa e raccattò la felpa blu elettrico che aveva mollato su una sedia la sera
precedente, la piegò e la sistemò nell’armadio. Bridget non si accorse di
nulla; Rain considerò che era decisamente meglio così e ripensò al ragazzo
della Mustang. Aveva riso per gran parte del tragitto, probabilmente divertito
dalle sue pessime condizioni. Nel più verosimile dei casi le aveva dato un
passaggio per pietà. Non sopportava l’idea,
ma la preferiva senz’altro a salire in macchina con un drogato o un maniaco.
Sbuffò; D’altronde non era stata nemmeno colpa sua se Michael aveva dovuto
fregarsi l’auto proprio il giorno dello sciopero dei taxi.
In
ogni caso –si promise- non avrebbe mai,
mai più fatto l’autostop. Poco ma sicuro. Adesso l’unica cosa di cui
necessitava era la tempesta oltre la finestra della sua stanza e,
possibilmente, dell’Irish Coffee.
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Capitolo 5 *** Capitolo quattro ***
Ed eccoci qui, col quarto capitolo!
Come al solito la mia scrittura non mi
soddisfa ma ci tengo veramente tanto a portare avanti questa storia, la amo con
tutta me stessa e spero che anche a qualcun’altro con l’andare del tempo
rimanga nel cuore (un utopia, praticamente! x°D). Qui
introduciamo due nuovi personaggi : la mamma dei Fawn, e quindi spieghiamo
anche un po’ ‘perché’ chiariamo
ancora di più la situazione familiare, e poi…. una
figura completamente nuova. Lo so, sono tanti, ma il mio cervello crea
personaggi in continuazione e non posso mica lasciarli ad impolverare! Mi
auguro che anche questo capitolo vi piaccia- preparatevi a grandi sorprese.
Ora i ringraziamenti! Vi adoro!
La peeeeecora D: (E con l’andare della storia capirete anche il
perché del nickname ;))
Fiery:Sempre
la prima, Blood! Eeh non
preoccuparti per il tuo caro Drew … è forte. Rachel e Nicholas…..
hahaha sono pura poesiaH *modestamente parlando* Mi fa
piacere che tu riesca a immergerti … Grazie di cuore come al solito J
Minako_86: Ce
l’hai fatta! <3 Scherzi a parte le tue recensioni sono meravigliose e il
fatto che fossero inaspettate me le ha rese ancora più piacevoli…
le amoH! Ma sono troppo lunghe perché io mi metta a
rispondere qui, devo postare prima di pranzoooo*muor* …. Tutti gli
interrogativi su MSN- cheppoi tu sei quella che ne sa
di più di tutti! *lovva* PS. Rifletti prima di pensare *_*
Maggie_Lullaby: Sì è lei! Ma quella era
un’AU…. Staremo a vedere qui che succede tra Nick e Rain ;) Grazie mille per i complimenti,
ti adoro anch’io :*
Slideaway_:
cara Leti! Sei molto più che perdonata per il ritardo
… Comunque ci tenevo a chiarirti una cosa: la famiglia di Drew è distrutta,
vero, ma mica per Charlie! Sarebbe inverosimile … Ovviamente che lei abbia
lasciato Drew allo sbaraglio non aiuta affatto. Rachel e Nick … bah, bah, non spoilero D: staremo a vedere J …. Mentre Michael e il dottor Allen sono fantastici,
lo so. Anche loro, seppure personaggi prevalentemente cupi, alla fin fine sono
uomini e da tali si agitano da morire per il destino della loro squadra del
cuore! Grazie mille per i complimenti<3
Lauretta_: Ma tranquilla, le tue
recensioni mi sembrano più che decenti! Di tue storie ho letto ... beh, ne ho
lette abbastanza, se non sbaglio quasi tutte, anche se ora non ricordo i titoli
*implora perdono*… nel vecchio account ne avevo
qualcuna tra i preferiti se non sbaglio ….… Vabè, comunque, eccoti accontentata per quanto riguarda
Charlie! E Drew è ancora tutto da scoprire, credimi =)
Per quanto riguarda Rachel … è un
personaggio molto particolare, sì, ma spero che imparerai a conoscerla.
Grazie tutto come al solito, un bacio.
Sofyjbthebest: Oh mio Dio mi ero
dimenticata di te °O° *peso sulla coscienza*
Dovevo per forza ringraziare TUTTE le mie lettrici, perché ci tengo davvero a
voi e spero continuiate a seguirmi. Grazie mille J
Buona lettura, mie care!
Capitolo
4
La neve donava a Londra una sfumatura di
raffinatezza in più; La faceva in qualche modo brillare, senza spezzare il suo
particolare contrasto di bianchi e neri. Gli alberi erano spogli e i viali
oramai completamente ricoperti di uno spesso manto bianco che impediva ai padroni
di casa di uscire. Per i più ricchi , proprietari delle villette a schiera
nella parte agiata del quartiere, non esistevano questi problemi; Bastava
mandare il maggiordomo, sull’esempio dei Thompson, ma c’era anche chi, come i
Collins, preferiva farlo da sé.
Era meno costoso, più soddisfacente, e se
avevi fortuna potevi assistere a spettacoli che le tue pettegole amiche all’ora
del the avrebbe trovato davvero interessanti, tipo quella mattina.
Proprio al numero 12, la costruzione di
cui le signore più chiacchieravano, una donna dai folti capelli rossi e un
vestitino leggero che la signora Collins avrebbe indossato solamente in pieno
luglio, inveiva furiosamente contro la cassetta della posta, i piedi nudi e
arrossati e gli occhi irrimediabilmente cerchiati di nero. Si sporse per vedere
meglio: poco dopo una figura più alta, incappucciata, raggiunse la prima e la
scrollò per le spalle.
«Mamma!» Sospirò Drew, facendo appena
pressione sulle spalle sottili.
«Che cazzo vuoi adesso?! Non vedi che sono
impegnata?» Sferrò una manata al ferro gelido; Il palmo le divenne rosso e
Cecil sbuffò, esasperata. «C’è un problema con questo cazzo di servizio
postale, deve esserci un problema con
questo cazzo di servizio postale!» Ringhiò. «Sono tre mesi, Lewis, tre, che aspetto la dannata lettera di
tuo padre!»
«Mamma …» Drew inspirò di nuovo
profondamente, imponendosi di rimanere calmo. «Mamma. Fa freddo qui fuori,
andiamo dentro.» Provò a spingerla verso l’interno, ma la donna puntò i piedi a
terra, salda nella sua posizione.
«Io
voglio sapere adesso, in questo preciso momento, che problema hanno
questi cazzo di uffici postali in Inghilterra o do fuoco a questa dannata
città! E non azzardarti a ripetermi di tornare dentro perché non ci torno in
quella schifosa casa! Mi fa schifo quanto il loro governo di merda e la loro
fottuta regina!»
«Mamma!» Andrew stava tremando
d’insicurezza, ma s’impose di non darlo a vedere. Piuttosto, indicò col dito
l’ingresso e si rivolse alla madre con tono più saldo. « Rientra in salotto subito!»
«No! Non sei nessuno per dirmi ciò che
devo fare! Sto aspettando quella lettera!»
«Quella lettera non c’è! Ora muoviti!» E, senza aspettare risposta se la caricò in
spalla e si avviò verso la porta, ignorando le sue urla e il suo nervoso
dimenarsi. Chiuse la porta a doppia mandata e si infilò la chiave in tasca.
«Figli del cazzo! Ingrati!» Gridò Cecil,
fuori di sé.
Prese a camminare furiosamente per il
salotto, riempiendo il silenzio di bestemmie. Nel frattempo Drew si era
avvicinato a Sophie; Con le mani schiacciate sulle orecchie, il volto in
fiamme, la bimba piangeva a dirotto raggomitolata in un angolo del divano.
«Vieni qui.» Le sussurrò il maggiore,
facendo segno di raggiungerlo e stringendola forte quando lei gli lanciò le
braccia al collo. «Sta’ calma, non è niente. Ora passa tutto.»
Eppure non fu così. Nei successivi venti
minuti sua madre non fece altro che urlare e correre furiosamente su e giù per
le scale, con una bottiglia di vodka prima e una di martini poi, divenendo così
fastidiosa che Malice in persona si precipitò di corsa fuori dalla sua tana,
gli occhi sgranati dalla rabbia e uno spartito stropicciato nel pugno destro.
Drew si alzò di scatto: Tutto ciò era veramente troppo per una bambina di appena sei anni.
«Andiamocene di qui, piccola.» Le baciò i
capelli, afferrò il cappottino rosso e senza esitazione si precipitò fuori, la
sorellina stretta in braccio.
*
Joe e Nick viaggiavano su due binari
paralleli destinati a non incontrarsi mai. Certe volte, per sentirsi più
vicini, provavano a tenersi la mano per un pezzo del tragitto, ma poi,
puntualmente, il groviglio di dita si scioglieva ed ognuno di loro cominciava a
sperare in una svolta per il proprio cammino, una curva adatta ad allontanarli
definitivamente, nella piena consapevolezza che ciò non fosse neanche
lontanamente possibile. Allora, pur di non vedersi, indossavano dei paraocchi
invisibili. Come in quel periodo.
Nick non poteva crederci: suo fratello era
giunto da un altro continente su un volo pubblico per venirgli ad annunciare
l’ultima cosa che in vita sua si sarebbe aspettato di dover sentire. Che Kevin
fosse d’accordo, poi, non aiutava.
Kev, troppo impegnato a distruggere il suo
matrimonio per pensare al lavoro, e Joe, troppo insoddisfatto per accettare la
sua situazione attuale, erano riusciti a smantellare i suoi sogni nel giro di
un mesetto. In un tempo altrettanto breve Nicholas avrebbe detto addio alle
canzoni, alle fan, alla gente, alla notorietà e alla sua vita. A ciò che per
lui era tutto.
«Capisci, Nicky, siamo troppo cresciuti
per questo.»Aveva balbettato Joe in segno di scuse un paio di settimane avanti,
quando finalmente aveva avuto il coraggio di sputare il rospo. «Io e Kev …
vogliamo chiudere con questa storia. Mi dispiace.»
«Ti
dispiace?»
Un vaso rotto, una fasciatura e un paio
d’occhi gonfi erano tutto quello che Nick ci aveva guadagnato da quel ‘mi
dispiace’. Avrebbe tanto desiderato che subito dopo la confessione il fratello
se ne fosse tornato a Dallas con la coda tra le gambe, ma Joseph era
evidentemente intenzionato a restare: aveva chiesto al minore ancora una
settimana, il tempo di trovare una buona sistemazione. Dal canto suo, checché
ne pensasse Nicholas, si sentiva a disagio in quell’appartamento e soprattutto
con un peso così grande sullo stomaco; Lui e i suoi fratelli si erano sempre
detti tutto, erano abituati a sostenersi reciprocamente, ma ora … scosse la
testa, cercando di scacciare immagini troppo dolorose per essere ricordate.
No, nessuno avrebbe potuto dedurre a prima
vista quanti chilometri di gelo polare si potessero attualmente contrare tra i
loro cuori, mentre camminavano fianco a fianco lungo una strada semideserta, ma
erano veramente tanti. Affogati nei loro pensieri, non si erano nemmeno accorti
di una cascata di boccoli scuri che avanzava verso di loro a una velocità
sorprendente. La ragazza, troppo di fretta per guardare dove andava, finì in
pieno contro Joe, che d’istinto indietreggiò, lasciandola cadere nella neve con
le mani incrociate davanti alla faccia. Si alzò sulle ginocchia, sfregandosi i
palmi come a scacciare il gelo che se ne stava impossessando e i due fratelli
le si avvicinarono, ancora sconvolti dalla velocità dell’impatto.
«Tutto bene … Rachel?» Nick spalancò gli occhi, meravigliato. Bee assunse le
tonalità di un pomodoro maturo e scosse la testa.
«No … cioè sì … » Tentò d’alzarsi, ma le gambe le erano improvvisamente
diventate troppo molli e cedettero. Fu lo scatto pronto di Joe, che l’afferrò
per le braccia, ad evitarle una seconda caduta. «Grazie i-io … » Evitò
accuratamente di guardarli. «devo andare.»
«Ma … »
La ragazza scappò via alla velocità della
luce, prima che Nicholas potesse terminare la frase. Si passò una mano tra i
ricci, visibilmente stupefatto e ignorò la smorfia divertita di Joe,
rispondendogli invece con un’occhiata di fuoco.
«La conosci?» Fece il bruno.
«Sì … cioè no … più o meno.»
«Sì.
Cioè. Più o meno. Bah.»
Ma non fece altre domande. Continuarono ad
avanzare fino allo Starbucks più vicino.
*
I prezzi di Starbucks, nell’ottica di
Drew, erano da considerarsi allucinanti: quattro sterline per un frappuccino al
cioccolato e due e quaranta per un espresso gli sembravano decisamente
esagerati, quasi ai livelli delle gelaterie italiane. Per Sophie, però, avrebbe
speso anche tutti i suoi risparmi. Vederla sorridere come mentre cercavano un
posto all’interno del locale gli scaldava il cuore nel modo in cui neanche tre
strati di vestiti riuscivano a fare.
Si guardò intorno, alla ricerca di un
tavolo libero, e ne adocchiò due accostati alla vetrina, uno accanto all’altro.
Una cameriera ne sfregava la superficie in noce svogliatamente, in un movimento
lento e circolare che gli rimandò alla mente Charlie.
Già, Charlotte. Gli aveva scritto più di
venti e-mail, una per giorno, che Andrew aveva speditamente cancellato senza
nemmeno aprire. L’aveva chiamato ripetutamente a casa e lui aveva ogni volta
obbligato Diana a rispondere, proferendo di non volere sapere più niente
dell’amica. Sua sorella aveva tentato di spiegargli che Charlie era a terra,
praticamente a pezzi per la velocità con cui era avvenuta la cosa, che si
scusava, che non aveva potuto farci niente e che il suo Fawny le mancava da morire, ma lui era stato irremovibile.
«Non ho tempo per lei, adesso.» Aveva
detto, quando solo un paio di giorni prima era stato costretto dalla maggiore
ad ascoltarla. Ed era vero. Non aveva tempo da perdere con il computer o col
telefonino, Drew, non ne aveva mai avuto. Era troppo occupato a cercare di
sopravvivere.
La ragazza col grembiule verde alzò gli
occhi quando si sedettero al tavolino adiacente a quello che stava pulendo; Era
esageratamente bella e non somigliava per niente a Charlotte. Capelli biondi,
morbidi e finissimi incorniciavano un viso ovale dai lineamenti dolci, labbra
carnose tinte di corallo e un paio d’impenetrabili occhi d’ambra colata. Sul
cartellino c’era scritto ‘Adrienne L.
Joyce’. Scoppiò un palloncino di chewing-gum azzurrognola e tornò a
dedicarsi alle macchie sul legno.
«Allora, com’è?» Domandò Andrew alla
sorellina che stava giocherellando allegramente col suo inseparabile peluche
preferito.
«Supermegaarciultrabuonissimo!»
Esagerò Sophie, facendo sfuggire al fratello un raro, meritatissimo sorriso.
La cameriera, Adrienne,
osservò la scena e arricciò il naso; Vomitevole,
considerò tra sé. Si voltò e fece per andare via ma sbatté violentemente contro
qualcosa di scuro e freddo: Mise a fuoco una giacca di pelle.
«Guarda dove vai,
ragazzino!» Esclamò, allontanandosi con un grugnito.
Joe le tenne lo sguardo
piantato sulle gambe fin quando non scomparve del tutto oltre il bancone. «Che
vuoi fare, oggi mi saltano tutte addosso» Commentò. «Però aveva un bel culo.»
Nick prese posto di
fronte al fratello maggiore ed assaggiò il frappuccino al caramello. «Le
inglesi sono così scontrose ..!»
«Io direi che anche il
davanzale non è male!» Joseph accennò al seno prosperoso della ragazza, intenta
a scribacchiare qualcosa su di un block notes.
«Se ti sentisse papà …»
«Papà è troppo impegnato
a dissuadere Kevin a non mollare Danielle e sua figlia, per pensare a me.» Si
sfilò gli occhiali e si passò una mano sulla faccia. «Non capisce che Kev può
fare il padre anche senza essere marito di una donna con cui litiga ogni due
per tre.»
«Il divorzio è una cosa
seria.» Asserì Nick.
«E credi che lui non lo
sappia? Diavolo, stiamo parlando di quello che ha aspettato di sposarsi per … »
Sfoderò un sorriso sghembo in maniera fin troppo allusiva.
«Joe, le scelte di-
«Signor Nick!» Li interruppe una timida vocina. Sophie sventolò la
mano in direzione del minore, con Mr. Carrot che pendeva inerme dal pugno
sinistro. Nicholas sussultò.
«Oh! Ciao …» Abbozzò,
riflettendo che, da quando era sbarcato in Inghilterra, pareva che certe
persone lo perseguitassero. « Sophie.»
Joe si voltò in direzione della bambina
bionda e gli occhi gli si illuminarono. «E’ una tua amichetta, Nick?»
Sghignazzò.
«E’ … una bimba che ho incontrato
all’ospedale.»
Nel frattempo quella aveva preso a
sbracciarsi verso il tavolo accanto. «Drew! Drew, vieni qui! Vieni a vedere chi
c’è!»
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Capitolo 6 *** Capitolo cinque ***
Deo gratias! Ci credete? Io no!
Finalmente dopo tutta questa scuola e
tutto questo studio (e studio, e studio e ancora studio) sono riuscita a
portare a termine l’agognato quinto capitolo … *vittoria*! E’ stato –come Drew
ama ripetermi- letteralmente un parto. Ma eccolo quiii!
Ancora non realizzo.
Cooomunque, adesso dovrei ringraziarvi una ad una
immagino. Però stavolta sono troppo impaziente di postare quindi rimandiamo i
ringraziamenti alla prossima volta *schiva pomodori* e passiamo ad introdurre il capitolo. Qui c’è il
nostro amato Kev, che era comparso molto poco ed avevamo introdotto nel
capitolo precedente. Non è troppo lungo ma fa niente x°D
Ah, ci tengo a precisare che Danielle è
una specie di OOC, quindi non vogliatemene se distruggo psicologicamente anche
lei come tutti gli altri miei personaggi. :O
Gabriele Olivieri è una mia creazione,
invece. Ma non voglio dirvi molto, buona lettura!
Lapecora-Sheep.
*Nome irlandese, si legge Scivòn.
(Almeno, così mi è parso di capire dalla mia permanenza in Irlanda haha)
Capitolo 5
Kevin Jonas aveva tutta l’aria di un
disperato e, in effetti, lo era.
Non tanto da ubriacarsi, forse, ma
abbastanza da essere già al quarto bicchiere di Brandy e non avere la minima
intenzione di fermarsi. Santiddio, era nella merda. Nella merda fino al collo.
Riportò la sua testa –la sua difettosa, inutile testa- ad un paio d’anni prima
quando, con un sorriso da ebete sulla faccia e i disgustosi sintomi
dell’innamoramento, aveva pronunciato quel sì davanti a Dio. Quel dannato sì.
Rivide sua madre, fasciata in un elegante
tallieur blu, commuoversi ed asciugare le lacrime nel
fazzoletto di pizzo e poi suo fratello Joe, annoiato o assente, o entrambe le
cose, fissare il soffitto come se non
avesse mai visto una Chiesa prima d’ora. Rivide Nick e suo padre, sobri come
gli abiti che indossavano, in prima fila e accanto, agitati e contenti, i
genitori di Danielle. Era stato un bel giorno. Il giorno più bello della sua
vita, aveva creduto in quel momento.
Poi sua moglie si era scoperta essere al
secondo mese di gravidanza ed erano incominciati i problemi. E la casa, e lo
stipendio, e tu il musicista non lo puoi fare, e devi assicurarmi un futuro, e
la mia vita è uno schifo e i soldi, le bollette, non ho più vestiti da mettermi, eccetera,
eccetera, eccetera. Ma in un primo momento l’aveva trovato anche sopportabile.
Piacevolmente sopportabile. Perché era
la vita matrimoniale e l’aveva messo in preventivo fin da subito. Poi era
arrivata Destiny. Un nastro rosa e tanti, tanti parenti. Amore. Gioia. E le
crisi.
Quei momenti in cui Danielle dava fuori
di matto, quelli che gli avevano procurato graffi sulle braccia e una
grandinata di lamentele dai vicini. Gli stessi momenti che lo stavano facendo
impazzire.
«Fanculo.» Disse Kevin, con la voce impastata di chi è già
più di là che di qua. «Questa roba fa schifo.»
Posò la bottiglia sull’inutile minifrigo
tipico degli hotel a cui era abituato ad andare da quando non poteva più
dormire a casa sua, si alzò ed afferrò la busta che con tanto impeto qualche
ora prima aveva mollato sul letto. Se la rigirò tra le mani. Biglietti, ecco
cosa conteneva. Un biglietto aereo di sola andata per Londra, dove i suoi
fratelli –ci avrebbe scommesso- si stavano godendo la bella vita.
Che
fare?
Se fosse stato per Danielle (oh puoi
scommetterci papà se la mollo davanti a Dio o no)… ma Destiny, lei era
innocente. Lei era piccola, una piccola bomba –bamba?-, oh si insomma una
dannata bumba
indifesa. No, non c’entrava nulla.
A Kevin Jonas girò la testa. I suoi dubbi
si riversarono in una risata tanto sentita da fargli perdere l’equilibrio.
Kevin Jonas si accasciò sul letto con un tonfo.
Kevin Jonas si addormentò, e sognò una
grossa, grassa bumba
ululante.
*
Adrienne si sistemò addosso il
pellicciotto nero, non del tutto convinta. Si voltò verso destra, poi verso
sinistra, poi se lo tolse e lo appoggiò sul letto. Piroettò nel vestito grigio
un po’ troppo corto e fece ondeggiare gli occhi attraverso la stanza colma di
vestiti alla ricerca del profumo, abbandonato poco prima in chissà quale
angolino remoto. Le sue cugine, nel frattempo, erano impegnate in una nervosa
discussione sul da farsi.
«No.» Ribadì Rachel per la terza volta.
«Io quella roba non la metto. Nemmeno pagata. Non ci vengo, non mi interessa.»
«Oh andiamo Rain, è nostra madre! Ci tiene
tanto! Potresti per favore cercare di
andarle incontro? Solo per una volta.» Bridget sospirò, esitando alla vista
degli abiti firmati che la madre aveva ordinato dal negozio più costoso di
Londra appositamente per quella sera. Lo spettacolo che aveva finanziato, Les Miserables, andava finalmente in
scena e il direttore aveva riservato per lei ben sei posti in prima fila.
«No. Perché dovrei? Non me ne frega
niente.»
«Dacci un’occhiata, almeno.» Le sventolò
sotto il naso la locandina spiegazzata di uno spettacolo teatrale, consegnatale
poco prima dal fratello maggiore. «Non sarà nemmeno così noioso.»
«No, hai ragione, mi divertirò da morire
a stringere le mani di quei lardosi dell’alta
società inglese. E sai che spasso mimetizzarsi tra le loro leziose
figliolette?»
«Ma smettila, sarà carino! Dai uno
sguardo.» Insistette. Rachel le strappò di mano il depliant e lo scorse
rapidamente. «C’è gente che pagherebbe cifre altissime per avere i nostri posti,
sul serio.»
«E io non ho nessunissima voglia di passare
la serata a guardare quelle quattro ochette sbattersi sul palco.» Sbraitò.« Lei e la sua dannata reputazione.»
Borbottò tra sé, mentre scorreva il foglio senza leggere. «La odio.»
«Non dire così, non lo pensi nemmeno sul
serio.» Bee era rossa di vergogna, come se la critica della gemella fosse stata
rivolta a lei. Si fece coraggio e sorrise.«Guarda che a me il libro è piaciuto.»
«Quale libro, a scopo puramente
informativo, non ti è piaciuto?» Arricciò
il naso.« Bleah. »
Adrienne, che intanto aveva preso a truccarsi,
espirò sonoramente. «Muovetevi, siamo in ritardo.»
«Oddio è la fine!» Pigolò Bridget, e,
afferrato il tubino color pesca, si lanciò in una disperata corsa verso il
bagno.
Rachel, intanto, prese ad esaminare con
la dovuta attenzione il volantino … E per poco la saliva non le andò di
traverso, quando riconobbe un’inconfondibile testa riccia, affiancata da un
nome fin troppo familiare. Ricordò di una serata di pioggia torrenziale, in cui
era stata costretta a chiedere l’autostop e un’odiosa auto americana. Così lui era …
Scosse la testa, lanciò il volantino sul
letto e, a malincuore, indossò l’Armani blu elettrico che la madre le aveva
raccomandato di abbinare con alle scarpe più scomode del mondo.
Rachel si allontanò con la borsa troppo
grande che dondolava ritmicamente e i piedi che dolevano, mentre qualcuno
ancora batteva le mani. Bridget la seguì, asciugandosi gli occhi con un
fazzoletto e peggiorando il pasticcio che aveva combinato sulla sua faccia.
L’una aveva disperato bisogno della madre, l’altra di un bagno. Bee si avviò
verso le tende rosse a sinistra dell’enorme sala, senza riuscire a smettere di
piangere, Rain invece si avvicinò ad una divertita ed entusiasta Meredith Joyce
intenta a chiacchierare animosamente con chissà quale famoso regista o
produttore o stilista plurimiliardario.
Era una donna molto bella, dotata di tutta la classe e il carisma che servivano
a quelle del suo rango. Capelli lunghi,
perfetti, fisico da ex modella e zigomo un po’ troppo tirato, profondi occhi
azzurri, dettagli sempre curati al massimo erano poche delle peculiarità che le
permettevano di ottenere sempre tutto
ciò che desiderasse.
«Siobhan, tesoro!*» Starnazzò, vedendo la figlia che si
avvicinava. «Giusto in tempo! Lascia che ti presenti il signor Olivieri, viene direttamente dall’Italia. E’
uno degli stilisti più in voga del momento, sai?»
“Frocio.”
Pensò Rachel, ma stirò le labbra in un sorriso forzato. Gabriele Olivieri la
salutò cordialmente nel suo inglese
imperfetto, poi Rain passò all’azione. «Mamma, ti spiacerebbe un momento..?»
«Oh certo, certo, cara, che sciocca!»
Ridacchiò e, facendo un cenno di scuse al trentenne con cui stava blaterando
delle differenze tra beige e color crema, tirò la figlia in disparte. «Allora?»
Domandò, cambiando improvvisamente tono di voce.
«Ho bisogno di accedere al backstage. Ora. Ci metterò cinque minuti. »
«Oh beh, cara, se volevi fare amicizia con gli attori potevi
dirlo subito.» Ammiccò, e lasciandosi
sfuggire l’ennesimo risolino –che fece guizzare furiosamente una vena sul collo
della figlia- trotterellò nella
direzione del produttore, con passo deciso e sguardo civettuolo.
Pochi minuti dopo Rachel si trovò smarrita
in un turbine di individui superindaffarati. Tecnici delle luci, dei suoni,
siparisti, allestitori, scenografi, costumisti, truccatori, parrucchieri, vagabondavano
confusamente nel semibuio del minuscolo corridoio, rendendola ancora più
confusa.
Alla fine lo trovò. Nicholas Jerry Jonas era intento a sistemare qualcosa, quando lo
raggiunse. Si sentì un’emerita deficiente, ma decise che non le importava. S’era
infilata per chissà quale motivo in quell’assurda situazione e adesso avrebbe
fatto quella cazzata, volente o nolente. Nick trasalì non appena la vide.
«Non ci credo!» Fece, come se avesse
appena rivisto un’amica d’infanzia dopo tanto tempo. «Che ci fai tu qui?»
«Niente.» Rispose Rachel, lapidaria. «Sono
venuta a restituirti questa. E basta.» Tirò fuori dalla borsa una felpa blu
elettrico e gliela lanciò sgraziatamente contro, senza avvicinarsi.
Il ragazzo sgranò gli occhi. «Questa?» Scoppiò in una risata
spontanea. «Ma Rachel … »
«E basta.» Lo interruppe quella, e si
voltò, facendo per uscire dal camerino.
«Ma … Sì, beh, allora ci vediamo!» Nick
si sporse leggermente per vedere dove andasse. Rain si fermò per un attimo,
facendo mancare il suo cuore di un battito.
«No.» Disse. «Non ci vediamo affatto.» Un
sospiro, poi sparì dietro il sipario.
*
Michael Jay Allen era sul serio
bellissimo.
Michael Allen era così bello che
qualunque modella fosse mai entrata nel suo studio fotografico era finita col
desiderarlo, e, nella serie di giorni immediatamente successivi, col finirci a
letto. Michael Allen era paradisiaco, eppure faceva solo il fotografo. Ma Mike
non era solo dotato di una straordinaria presenza, era perfino intelligente.
Intelligente, silenzioso ed enigmatico. Il genere di ragazzo cresciuto in
disparte tra i fischi dei compagni e le prese in giro per il suo secondo nome,
l’asociale con gli occhiali sempre mezzi scassati che si era preso la sua
rivincita trasformandosi in un giovane uomo fin troppo richiesto in ambito
sentimentale quanto lavorativo. Adesso, a ventun’anni
suonati, per i suoi era uno senza arte né parte –i suoi che lo volevano
magistrato, i suoi che lo volevano avvocato, i suoi che lo volevano medico-, ma non si pentiva affatto delle
sue scelte.
In un uggioso pomeriggio dicembrino, se
ne stava affacciato alla finestra, a torso nudo, una Winston Blue tra le dita
affusolate, ripensando ai Natali passati e a quello venturo, sul serio troppo
vicino perché avesse il tempo di fare tutto ciò che doveva prima delle feste.
Le strade erano già illuminate a dovere dalle meravigliose luci colorate con
cui i vicini facevano a gara. Ghignò. Stava letteralmente morendo di freddo
eppure non aveva voglia di andare a prendere un maglione per coprirsi. Continuò
semplicemente a fissare il vuoto, gli occhi di ghiaccio –così simili a quelli
di sua sorella Rachel – puntati sui passanti. Il cielo tremava d’oscurità.
Michael si destò tra i suoi pensieri e, abbandonata la sigaretta, si affrettò a
risistemare le lenzuola spiegazzate.
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Capitolo 7 *** Capitolo sei ***
Ollellè, ollallà, dai
che ce l’ho fatt, dai che ce l’ho fatt!
♪
Eccomi qui, dopo più di un mese, ce
l’ho fatta a finire anche il sesto capitolo. Mi sento un mostro per il ritardo,
ma avevo predetto che con scuola e roba gli aggiornamenti sarebbero stati molto
irregolari. Perciò, ora andiamo a commentare il nuovo capitolo.
Bene cose da dire: Nella prima parte
troverete citata una leggenda, la leggenda di Gesù e il pettirosso, che a me
raccontavano da piccola e che ho immaginato anche Nick conoscesse, ma
probabilmente in realtà in America nemmeno circola.
Nella seconda parte, invece, nomino la
settimana della moda di Parigi, che ho sentito menzionare ne ‘Il diavolo veste
Prada’ (?), in quanto di moda ne so poco e niente. Quindi se non esiste, l’ho
inventata. Se esiste … l’ho inventata lo stesso, mi scuso per eventuali
incoerenze.
Mh, che dirvi … nuovo anno, più sorprese!
;D tenetevi forte.
Bacione, Sheep.
*Il gioco delle dieci domande è stato teoricamente
ideato da me, e, se esiste, non so come in realtà funziona.
**La rivista è di pura fantasia e, se
esiste un settimanale femminile con questo nome, questo non ci ha assolutamente
niente a che fare.
E ora, i ringraziamenti (che vi spedirò anche attraverso il simpatico
strumento ‘rispondi alle recensioni’)
Mar: Visto? Ho postato :D La tua recensione
è chilometrica e sebbene l’abbia riletta mille volte non riesco a ricordarmela
* Alzheimer* … comunque, non posso che dirti grazie. Grazie perché mi sostieni,
grazie perché sopporti le mie crisi quando mi salta la voglia di non
pubblicare, grazie per tutta l’ansia con cui attendi ogni nuovo capitolo.
Grazie perché le tue recensioni mi tirano su quando sono giù di morale :3 Grazie.
Hedley:
E beh, sì, c’è una caterva di grazie
pure per te. Grazie perché, tra tutte le fan fiction di cui questo sito è
inondato, hai scelto proprio The last rose. Grazie perché è soprattutto per te che posto, oltre che per Marta e Mary
–loro leggerebbero comunque, ma ci tengono per la sezione e per la storia
stessa-, perché tu sei una delle lettrici/recenstrici
più assidue e perché so che se interrompessi non potresti sapere come va a
finire. Grazie perché alla fine ti sei affezionata a Drew e la combriccola,
grazie di tutto. :)
Mary: Vabbè, Blood, pure per te GRAZIE è poco. Grazie per tutto quello
che fai per noi. Per me e per Drew e per The Last Rose. Grazie per gli scleri, i consigli, il volto di Gwen che non so perché la
tua finestra di msn mi ha ispirato *muor* Grazie perché,
nonostante tutto, la recensione hai voluto lasciarla lo stesso. All’ultimo
momento, ma hai voluto lasciarla comunque. Grazie.
E grazie anche a voi, lettrici
silenziose, se ci siete. Grazie a tutte, Lettrici Fedeli. <3 Vi voglio bene.
Ma bando al miele … il capitolo volete
leggerlo o no?
Capitolo 6
Dopo l’ennesimo incontro con Drew, questa
volta allo Starbucks, Nicholas aveva intuito che c’era qualcosa in quell’assurdo ragazzo coi capelli rossi, qualcosa che
qualcuno dall’aldilà –supponendo che esistesse sul serio un aldilà- stava
cercando di comunicargli. Perché -ne era
certo- non era statisticamente possibile che due quasi-sconosciuti
s’incontrassero così spesso in una città grande come Londra.
Beh, per un attimo aveva anche preso in
considerazione l’ipotesi di star diventando paranoico e basta, che forse
era quella più giusta, ma alla fine, per
evitarsi una lunga serata all’insegna
dell’autocommiserazione, aveva optato per “segno del destino”.
Era la mattina del ventidue dicembre
mentre richiudeva la porta di casa, col viso illuminato da un sorriso
spontaneo- e chiunque nel mondo si sarebbe dimostrato concorde nell’affermare
che non c’era niente di più bello del sorriso spontaneo di Nick Jonas. Faceva
freddo, e la neve sembrava intenzionata a rimanere goffamente appollaiata nei
viali e sui marciapiedi e sui tetti e sui rami rinsecchiti degli alberi ancora
per molto; tipo per sempre.
Un pettirosso zampettava sull’asfalto con
aria allegra e Nicholas si fermò ad osservarlo prima di avviarsi alla macchina.
Gli piacevano i pettirossi. Ricordava nitidamente di quando, una decina di anni
prima, suo nonno gli aveva raccontato la storia di quell’affascinate uccellino,
grande più o meno quanto il pugno di un bambino. Secondo una leggenda, quando
Gesù si trovava sulla croce, in punto di morte, mentre tutti gli altri uccelli
volavano nel cielo indifferenti, uno di loro si era fermato, mosso a
compassione, e, non sapendo cosa fare per il Signore, gli aveva tolto dalla
tempia una spina che gli doleva più delle altre. Così una macchia di sangue era
schizzata sul petto della bestiolina e Cristo, per ricordare quell’atto
d’amore, gli aveva concesso di conservarla per sempre. Il bambino altruista e
orgoglioso che Nick era stato si era ripromesso di tenere a mente quella storia
come esempio di vita e comportamento.
Annegato nei ricordi montò sulla Mustang
che ancora profumava di nuovo e accelerò verso il centro della città. Aveva
finalmente un po’ di pausa dal lavoro e voleva prendersi del tempo per comprare
dei regali; era una cosa che proprio gli piaceva. Forse qualcuno l’avrebbe
giudicato un po’ troppo sentimentale, tuttavia per lui era davvero meraviglioso osservare le facce compiaciute dei destinatari
al momento dello scambio. Ok, forse suo fratello Joe con quella barba non aveva
proprio una bella faccia, ma andava
bene comunque. Rise tra sé, svoltando a destra, e si guardò intorno alla
ricerca di un posto libero.
Fortuna volle che una Plymouth stesse lasciando
la sua posizione di fronte a una tabaccheria proprio in quel momento e Nick ci
si infilò senza pensarci due volte. Tirò il freno a mano e scese, poi, facendo
oscillare le chiavi con la mano destra, prese a camminare verso Oxford Street.
«Buon Natale!» Gridò un babbo natale dalla
pelle color caffè agitando una campanella verso i passanti. «Buon Natale!»
«Buon Natale, amico.» Fu la risposta
quasi sussurrata del diciottenne, nonostante la pulsante consapevolezza che la
sua festa preferita sarebbe arrivata solo dì lì a un paio di giorni.
Quell’atmosfera gli metteva allegria; gli ricordava che non tutto era destinato
a finire. Gli permetteva di essere di nuovo bambino, solo per un po’.
Andrew lo stava aspettando all’angolo
della strada, il cappuccio della felpa calato dalla testa, i capelli rossi davanti
alla faccia e una sigaretta a penzoloni tra le labbra carnose. Senza
skateboard, per quella volta, ma lo riconobbe subito. Sarebbe stato inconfondibile
in ogni caso.
«Ehilà.» Lo salutò.
Drew alzò lentamente la testa e gli puntò
in faccia gli occhi color ghiaccio. «Yo.»
Avanzarono a fatica, fianco a fianco,
lungo la via superaffollata, l’uno l’antitesi dell’altro, come acqua e fuoco,
cane e gatto, diavolo e acqua santa, quando Nick osservò: «Non sapevo che
fumassi.»
«Tu non sai niente di me.» Il rosso
scosse la testa, piegando un angolo delle labbra. «Sul serio.» Sbuffò una
nuvola di fumo e lanciò il mozzicone in un cestino a caso.
«Già, forse.» Nicholas alzò lo sguardo
verso il cielo sereno e ammutolì un momento, poi si rivolse di nuovo a Drew,
intento a studiare una giovane coppia straniera. « Sai, quando ero piccolo in
America io e i miei fratelli facevamo un gioco. Dieci cose che non sai di me, si chiamava. E consisteva appunto
nell’elencare dieci cose a testa, dieci cose mai dette a nessuno; di solito
alla quinta mi ero già guadagnato un nuovo amico.»*
Andrew sgranò gli occhi, sorpreso. Parve
riflettere per un momento, infine scoppiò a ridere di cuore in faccia a quel giovane ragazzo americano che era piombato
così velocemente nella sua vita da non lasciargli il tempo di rendersene conto.
«Numero uno: Non sorrido mai.»
*
Mentre le prime luci dell’alba coloravano
il cielo di sfumature rosate e purpuree, l’aeroporto brulicava di gente. Il
ritmico ticchettare dei tacchi sul pavimento lucido era il solo rumore a
rimbombare nel corridoio del primo piano. Gwen lanciò l’ennesimo sorriso in
direzione Diana, altrettanto eccitata: l’ora della partenza si avvicinava ed
entrambe non stavano nella pelle.
Come tutti gli anni, la direttrice della rivista
per cui lavoravano, Moira Johnson, aveva
organizzato una trasferta a Parigi in vista della settimana della moda. Perfect Style** era una dei periodici
femminili più venduti di quell’anno, e la donna e le sue assistenti preferite
non potevano di certo mancare. Gwendoline già esibiva un meraviglioso –firmato- capotto blu, lungo, ma non
tanto da nascondere le gambe supersnelle, fasciate in deliziosi collant neri. Portava
con elegante disinvoltura un paio di scarpe che una donna media avrebbe
definito ‘trampoli’ ed i capelli biondo cenere intrecciati in un morbido
chignon. Ma Diana, accanto a lei, non sfigurava. Riusciva ad essere abbastanza ‘alla
moda’ anche con un semplice jeans scuro e giacca nera, Ugg grigi per stare più
comoda. Stavano raggiungendo il loro capo al Gate
quando una voce le interruppe. La rossa si voltò con grazia, e per un attimo le
mancò l’aria. Un uomo dagli occhi incredibilmente verdi guardava nella sua
direzione, tendendo la carta d’identità in cui stava ripiegato il suo
biglietto. La stessa carta d’identità che qualche ora prima si era infilata in
fretta e furia nella tasca destra del giubbino, ora –come poté costatare
infilandoci istintivamente dentro una mano- vuota.
«Mi scusi, questa … deve essere sua.» Kevin
Jonas sorrise di nuovo dopo un lungo periodo di astinenza. La giovane donna che
portava il nome di Diana Robin Fawn arrossì lievemente nello sfiorare
casualmente la sua mano, mentre si riprendeva i documenti. L’aveva già vista da
qualche parte, ne era certo.
“No.”Si
disse. “Se l’avessi già vista, a quest’ora
non sarei sposato.”
«Grazie.» Pigolò la ragazza quando, pochi
secondi dopo, riacquistò la facoltà di parlare. «Molte. Grazie molte.»
«Non c’è di che.»
Sebbene in cuor suo avrebbe voluto
restare con lei o quantomeno seguirla, Kevin sapeva di non doversi mettere
strane idee in testa. Non aveva bisogno di altri problemi, così ordinò al suo
cervello di costringere le gambe a muoversi e la salutò con un cenno del capo.
«Insomma, ti muovi?» Starnazzò Gwen
quando la sua migliore amica la raggiunse. «Ti comporti come se non avessi mai visto un uomo in vita tua! E
siamo orribilmente in ritardo, per l’amor
di Dio!» Kevin si voltò a guardarla un’ultima volta, prima di sparire dietro l’angolo.
«Okay, okay, ci sono. Andiamo.»
Ma non era vero, non c’era. Non del tutto, almeno, e continuò a pensare allo
sconosciuto dagli occhi verdi ancora per molto, prima di addormentarsi nel bel
mezzo del viaggio, in aereo.
*
«Che giornata.» Borbottò Kev tra sè, mentre i bagagli iniziavano a comparire lungo il
nastro.
Sperò vivamente che la sua valigia –valigia nera, doveva tenerlo a mente-
fosse ancora tutta intera … e che quella ragazza ricomparisse, magari proprio di fianco a lui, pronta ad
afferrare un borsone abbinato ai suoi splendidi ricci, che gli sorridesse come
aveva fatto poco prima. Scosse la testa, per ritornare sulla terra, e allungò
il collo per appurare che la sua valigia non fosse già passata senza che lui se
ne fosse accorto. Ma comparve poco dopo e, chiedendo ‘Permesso!’ a una donna di
mezz’età, tirò giù il trolley nero, quasi del tutto integro.
Lo osservò, ripensando di nuovo ai
capelli di Diana, ai suoi occhi, il suo abbigliamento semplice ma perfetto. Fu
un anziano signore a riportarlo tra i vivi, colpendogli involontariamente una
spalla con l’ombrello. Ripassò una mano sulla stoffa ruvida per controllare che
non ci fosse effettivamente nessun danno,
e solo allora si premurò di controllare il cartellino col nome.
“Charlotte
Anne Whistler” non era esattamente il suo, di nome. Forse … oh,
insomma, non lo era e basta. Si impose di rimanere coi piedi piantati per
terra e lanciò un’altra occhiata al nastro.
Sobbalzò nell’avvistare un’altra valigia nera … la sua valigia! La rincorse fino alla ragazza che l’aveva raccolta,
una ragazza molto giovane. Capelli castani mossi, lunghi, labbra dischiuse come
se stesse respirando con la bocca. Si era già chinata per ispezionare l’oggetto
quando Kevin le si avvicinò.
«Mi scusi,» Disse, per la seconda volta
in quella giornata, e Charlotte Anne Whistler trasalì, proprio come aveva fatto
Diana Robin Fawn. «Credo che ci sia stato un errore. E’ lei Charlotte Whistler, vero?»
«Errore?» Si tirò in piedi, le
sopracciglia aggrottate. «Scusa, come conosci il mio nome?»
Kev avvertì subito la tensione nascosta
nelle sue parole. «Non preoccuparti. Ci siamo semplicemente scambiati le
valigie. Controlla, c’è scritto Paul Kevin Jonas, giusto?»
Charlie annuì. «Oh, giusto.» Sgranò gli
occhi. «Ma dove ho la testa oggi?»
«Sta tranquilla, non sono in condizioni
migliori.» Scoppiarono a ridere e si scambiarono nuovamente i trolley, poi si
strinsero la mano.
Nicholas Jonas osservò suo fratello oltrepassare
la ragazza con cui stava parlando e dirigersi verso di lui.
«K2!»
Lo salutò, e quando l’ebbe raggiunto l’abbracciò, come due fratelli cresciuti
insieme si abbracciano dopo esser rimasti per mesi separati da un oceano immane.
«President.» Kev
sorrise, notando quanto era cresciuto.
«Kevin, questo è … Andrew?»
Il ragazzo rosso era scomparso. I due
fratelli si guardarono intorno, senza riconoscerlo nell’ingresso semivuoto.
«Che ci fai tu qui?»
«Che t’importa? Pensavo di essere morta
per te.»
«Lo sei, infatti»
Charlie fissò Drew con aria afflitta.
«Non cresci mai»
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Capitolo 8 *** Capitolo sette ***
Mie
care, oh mie care **
Ecco a voi, a grande richiesta, il famosissimo
capitolo 7. <3
Capitolo nato tra compiti, corsi
pomeridiani, la prenotazione della partenza per Londra –sì, Londra *_* la mia
amata scuola mi offre l’opportunità- ed
eventi vari… non avete idea!
Però insomma, dopo un po’ di fatica –a parte
che il primo “paragrafo” non mi piace- ce l’ho fatta.
Che dire?
In questo capitolo ritorno ai Fawn e ai
Jonas, uno di loro in particolare. Ma mi annoiano e annoieranno anche voi i
lunghi preamboli, perciò … passiamo ai ringraziamenti!
PS. C’è del romantico e il romantico non
è il mio forte , prego di perdonarmi eventuali inadeguatezze D:
Sheep
Hedley:
Mia cara, mia cara bella Laura. Vediamo … Oltre che a ringraziarti per i
complimenti per la fict, devo ringraziarti anche per
la doppia recensione, l’aggiornamento,
che mi ha tirato molto su il morale quando per me le recensioni erano “poche”. Che dirti? Sono salva dall’ira del piccolo Zack per miracolo, ma sono qui. Conosci già i miei commenti
riguardo alle tue preferenze. Ti lascio al capitolo, anche perché è tardi.
Minako_86:
Oddio, è mezzanotte meno
dieci e io dovrei leggere tutta quella bellissima, lunghissima recensione? Facciamo
così, domani me la leggo e ti scrivo un ringraziamento come si deve, ora non
riuscirei a farlo decentemente. *-* Grazie <3 (ps. NON DISTRARMIIIIII)
Invisbile: Mia cara. Certo che ci devi stare qui J Tu sei una delle mie lettrici fedeli
D: Grazie mille mollissime e
centomilioni (??) per i commenti al modo di scrivere e ai personaggi.
Ringraziamo tutti di cuore.
Itsbrie: Che piacere rivederti *_* Potrei morire
di gioia! E di emozione, per i tuoi complimenti. Sono felice felicissima ma sul
serio troppo che tu abbia scelto di seguire proprio the last rose e che ti
piaccia il modo in cui l’ho strutturata. In realtà è il risultato di un evento assolutamente
ordinario capitatomi quest’estate. Guarda un po’ che ne è venuto fuori *-*
Comunque graziegraziegraziee (e non scusarti per il
ritardo!)
Fiery: Last but not Least! Dodici in punto e io ti ringrazio dodici
volte (ma anche tredici) per la recensione, per i complimenti al rapporto tra Drew
e Nick e perché trovi che la leggenda sia azzeccata *-* Tra l’altro, tranquilla
per Charlie/Drew … in questo capitolo ci sono le risposte!!!
Godetevelo –almeno spero!- e fatemi
sapere!
Liberissime di lanciarmi pomodori e
chiedere la ri-stesura *_____*
Baci!
Capitolo 7
C’era nell’aria troppa tristezza per
essere il ventiquattro dicembre e Nicholas non era il solo a pensarlo.
Anche i suoi fratelli, infatti, si erano
resi conto che non appena l’ultimo concerto dei Jonas Brothers sarebbe
terminato, di lì a qualche ora, le loro strade sarebbero state divise per
sempre, nonostante tutte le precedenti aspettative. Si sentivano completamente adulti
e l’unica, magra consolazione rimaneva quell’assurda città, ormai sommersa
dalla neve in ogni angolo o marciapiede. L’inquietudine trasudava dalle pareti,
dai loro maglioni pesanti; i loro sguardi tradivano lo sforzo di trattenere
segreti scomodi, impossibili da confessare -soprattutto
alla vigilia di Natale.
Kevin ripensò alla sua bambina, l’ultima
smorfia affettuosa che gli aveva rivolto dalle braccia sicure della nonna, la
madre di Danielle. Rivide il suo nasino buffo, il vestitino a fiori rosa che
faceva risaltare gli occhi smeraldini, e si chiese cosa le avrebbe risposto di
lì a qualche anno, quando, bellissima e cresciuta, gli avrebbe domandato per
quale motivo se n’era andato. Perché l’aveva abbandonata.
Si lasciò cadere sul divano proprio
mentre Joe entrava in salotto, la vecchia polaroid tra le mani. Lo osservò
aggrottare la fronte al di là delle lenti spesse, nel vano tentativo di mettere
meglio a fuoco un Nick irritato, intento a scarabocchiare su pezzi di carta
strappata, al pianoforte, in attesa di ispirazione. L’albero, alla sua destra,
luccicava di blu e argento; non erano i suoi colori preferiti, ma si
combinavano perfettamente con l’arredamento pratico e moderno del salotto. Il
minore scattò una foto che avrebbe mostrato a sua madre, non appena fosse
tornato in Texas, e scomparve lungo il corridoio avanzando con passo lento e pesante.
Ripose la macchina fotografica sulla scrivania, poi, attirato dai raggi
mattutini, si perse per qualche minuto a osservare il cielo limpido oltre
l’ampia finestra: sì, poteva concedersi una pausa.
Le librerie di Londra erano molto diverse
da quelle americane. Erano enormi, fin troppo sobrie ed assolutamente più
affollate. Joe non era un topo di biblioteca, non si era mai considerato un
gran fan dei libri nemmeno in adolescenza, ma ogni tanto leggere lo aiutava a
rilassarsi. Gli piaceva, nelle giornate d’inverno, perdersi tra le pagine di
Paulo Coelho con una brocca di caffè a portata di mano, svaccato su di una
poltrona, magari coi piedi sul tavolo basso. Eppure nella fretta di partire
aveva finito con lo scordare L’Alchimista
nel cassetto del comodino e trovarsi ora, in un mondo alieno, senza alcun
compagno di viaggio. Le offerte natalizie erano il punto della situazione: se
solo avesse trovato qualcosa di interessante … lanciò un’occhiata sbilenca a Twilight* e si
diresse verso il fondo del corridoio. Si guardò intorno senza interrompere la
sua ricerca, tuttavia a catturare la sua attenzione fu tutt’altro che un
vecchio tomo polveroso. Difatti, alla distanza di un espositore circa, avvistò una
ragazza che di ‘polveroso’ aveva ben
poco. Teneva aperto tra le mani un
volumetto dalla copertina verde acqua, alcune pagine ripiegate sul retro per
facilitare la lettura. Gli occhi, di un indefinibile color acquamarina,
scorrevano velocemente i versi di una poesia. Aveva capelli castani, chiari e
mossi oltre le spalle, e una finissima collana d’argento da cui pendeva una
pietra azzurra. Era forse la più bella ragazza che avesse mai visto. Joe le si
avvicinò di soppiatto, calcandosi il cappello in testa e tentando di darsi
un’aria casuale. Si fermò accanto a lei e scrutò una fila di titoli, poi
afferrò la ristampa delle migliori opere di Bukowski e vi diede una scorsa. Non
resistette a lungo; presto, preso dalla frenesia, si sporse verso di lei e
sfoderò il suo miglior sorriso:
«Oh, interessante!» Esclamò. «Pablo Neruda.»
Questa volta lasciate che
sia felice.
La ragazza arricciò istintivamente il
naso, lo sguardo fisso su pagina diciannove.
… succede solo che sono
felice
Fino all’ultimo angolino
del cuore.
«Quella è una delle mie preferite.»
Insistette Joe, con tono insolitamente serio. L’ultima volta che aveva letto Ode al giorno felice , rifletté, era una
persona diversa. Una persona così diversa che ora perfino lui stesso, da
esterno, avrebbe stentato a riconoscersi. «Beh, sarebbe carino che tu
rispondessi qualcosa, a questo punto, non credi?»
Tu al mio fianco sulla
sabbia, sei sabbia,
tu canti e sei canto.
Ammiccò, avvicinandosi un poco; la
sconosciuta richiuse il libro di scatto e lo scaraventò su un mucchio di altri
in offerta, visibilmente stizzita. « Piantala.»
Si avviò verso l’uscita, ma Joe la seguì.
«Oh andiamo, non puoi negarmi una chiacchierata il giorno di Natale.» L’afferrò
per un braccio non appena la porta scorrevole si fu richiusa alle sue spalle. «Ehi!»
La giovane si voltò e lo fissò con aria truce.
« Lasciami subito, o mi metto a urlare.»
«Solo se mi dici come ti chiami.»
«Sto per cominciare.»
«Nome
e cognome, intendo.»
«Ora grido.»
«E io stringo di più.» Joseph alzò un
sopracciglio. «Dai, mi basta solo il tuo nome»
«Maniaco di merda!» Fece per colpirlo con
uno schiaffo, ma lui riuscì a intercettare il polso e bloccare il suo goffo
tentativo di ribellione. «Mi fai schifo!»
«Addirittura?» Scoppiò a ridere di fronte
al viso imbronciato della ragazza.
«Alice
White.» Ringhiò. «Contento?
Alice White. E’ così che mi
chiamo.»
«Sul serio, Athena Bennet?» Joe mollò la presa per indicare il cartellino di
riconoscimento che la ragazza teneva agganciato alla tasca della giacca; faceva
parte di qualcosa come un’associazione di volontariato, iniziata dai membri di
una parrocchia locale.
Ten mostrò il dito medio, allontanandosi a
gran velocità. «Vaffanculo, stronzo!»
*
«Credi che Babbo Natale arriverà stanotte,
Drew?» Gli occhi della piccola Sophia Fawn si accesero di speranza. «Non si
perderà nel buio, vero?»
Andrew allacciò i polsini della nuova
camicia con aria contrariata, maledicendo mentalmente quel tipo di
abbigliamento troppo aderente e scomodo. Presentabile
era il termine che aveva usato sua sorella, ma Drew non avrebbe mai
confidato appieno nei consigli di una femmina primogenita le cui frasi più
sensate contenevano nel novanta per cento dei casi parole astruse come trendy, cool, in e out.
«Certo che verrà, baby.» Tenne lo sguardo fisso sullo specchio del
corridoio, dove un nuovo sé stesso poco dopo si passò una mano tra i capelli,
decisamente più corti del solito – Devi
tagliarli, aveva detto Diana, sembri
uno spaventapasseri, andiamo!
«Che peccato che la mamma non sarà con
noi.» La bambina bionda strinse al petto il coniglietto di pezza rosa che portava
il nome di Mr. Carrot. «Spero tanto che Babbo Natale le lasci qualcosa. E anche
a te: che sei il fratello migliorassimo del mondo!»
Andrew arrossì lievemente. «Grazie, baby.
Ma non esagerare.»
«No, sul serio.» Insistette l’altra, con
un’adorabile espressione corrucciata. «Quando sarò grande e diverrò una
principessa ti regalerò un po’ del mio castello. Forse anche un po’ di
giardino.»
Drew sorrise, orgoglioso. Adorava la sua
sorellina più di ogni altra cosa al mondo, gli venne da pensare, e non sopportava
il clima familiare in cui era costretta a passare i suoi giorni. Diana comparve
d’un tratto, interrompendo i suoi pensieri e trascinandosi letteralmente dietro
la giovane Malice, vestita di tutto punto, coi lunghissimi capelli rossi
insolitamente sciolti e il broncio marcato da un filo di trucco. Era molto,
molto diversa dal solito, tanto che il fratello in un primo momento stentò a
riconoscerla. Non le chiese dov’era finita la sua felpa sformata né quando i
boccoli ramati avessero raggiunto la schiena, si limitò a lanciarle un’occhiata
interrogativa a bocca spalancata.
«Buonasera!» Esclamò la primogenita. «Che
splendori siete, questo Natale! Devo assolutamente fotografarvi!»
«Non
ti azzardare.» Obiettò Keith, facendo
capolino dalla porta del salotto. Scoppiò a ridere, e per la prima volta i Fawn
sembrarono una famiglia comune. Una famiglia comune e felice, come in una
stupida commedia americana.
«Ho lasciato Chopin a metà.» Si lamentò
Mal. «Proprio ora che … »
«Proprio ora che è Natale.» La rimbeccò Diana. «E’ il nostro giorno.»
«Il giorno dei parenti.» Keith arricciò
il naso in una smorfia intenerita.
«Il giorno del silenzio.» Osservò Malice.
«Il giorno delle principesse.» Li
corresse Sophie.
«Il giorno dei miracoli.» Concluse Drew.
Il campanello trillò poco prima della
mezzanotte.
I ragazzi Fawn si voltarono
istintivamente in direzione della porta. La piccola Sophie, addormentata sul
divano, si rivoltò sotto il plaid senza svegliarsi. Fu Andrew ad alzarsi per
primo; Diana era troppo intenta a sistemare i piatti, in cucina, mentre Malice
scarabocchiava note apparentemente insensate su una mano e Keith blaterava a
telefono con chissà quale ragazza.
Drew s’infilò in tasca qualche spicciolo,
pronto ad accogliere i carol singers con
una certa benevolenza. Non era mai stato un fanatico religioso ma una volta
qualcuno, in chiesa, gli aveva insegnato bene quanto anche un solo sorriso
potesse rivelarsi importante. Soprattutto per chi passa un intero giorno di
festa sotto la neve, costretto a ricevere innumerevoli porte in faccia.
Aprì e rimase sorpreso –o forse non così
tanto- di trovarsi davanti una giovane donna, molto diversa da come se la
ricordava. L’aveva vista di sfuggita all’aeroporto e ci aveva scambiato un paio
di battutine pungenti che non l’avevano aiutato a comprendere la sua condizione
psicologica. Adesso Charlotte gli si parava davanti in tutta la sua
spontaneità, i capelli mossi lasciati liberi sulle spalle e gli occhiali a
montatura grossa chiazzati d’acqua. Teneva tra le mani un pacchetto: Lo
stringeva contro il cappotto coi guanti grigi, spaventata che potesse
scivolarle di mano e finire nella neve, bagnandosi.
«Ciao.» Lo salutò, col viso in fiamme.
«Che ci fai qui?»
«Sono passata … a salutarti. Per darti
questo.» Charlie porse ad Andrew quello che aveva tutta l’aria di essere un
libro ben camuffato, con le mani che tremavano forte. Lui lo afferrò senza
pensarci due volte.
«Grazie.» Disse. «Non dovevi.»
«Lo so.» Scosse la testa, sovrappensiero.
«E’ solo che Natale … non è Natale. Non senza te, D.»
Drew percepì un dolore all’altezza dello
stomaco. «Maledetta.» Strinse i denti e di scatto l’abbracciò. Charlotte non
riuscì a trattenere le lacrime.
«Buon Natale, Andrew.» Mugugnò, dall’alto
della sua spalla.
«Buon Natale, Charlie.»
E, rasserenato, alzò gli occhi verso il
cielo in una tacita preghiera.
|
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Capitolo 9 *** Capitolo otto ***
Beh,
che dire?
Credevate
che fossi morta? Sparita? Scappata? Stata mangiata dai leoni?
Mi
duole informarvi che sono viva più che mai, o miei amati lettori, e molto,
molto, molto …etcetc … molto dispiaciuta per questo
oltremodo vergognoso ritardo. E’ stato un po’ casino con la fine della scuola,
il viaggio nientedimeno che a Londra –ebbene
sì, d’ora in poi scriverò con un po’ più di coerenza-, il PON, l’esame Trinity e tutte le millanta attività che ho sostenuto quest’anno.
Ma bando alle ciance!
Mie
care lettrici *-* SIETE AUMENTATEE!
La
quippresente pecora s’inchina e ringrazia e vi ama
con tutto il cuore, e prima di passare ai ringraziamenti finali chiede se vi
piace questo nuovo layout di lettura o preferite il vecchio e vi anticipa che c’è
una parte di capitolo un po’ triste D: *cerca di
preparare psicologicamente*
Volevo
mettere anche delle immagini con i volti che somigliano di più ai miei
personaggi, per facilitarvi il duro compito d’immaginare le scene mentre
leggete, ma non sono riuscita a preparare niente.
Sto
pensando di farci un blog, su The Last Rose … fatemi sapere che pensate.
Se
vi interessa, comunque, trovate le foto (anche se alcune sono da cambiare, a
pensarci) nella mia paginetta facebook *indica contatto*
Ora,
ora … ringraziamenti!
Invisible:
Mia cara *-* Che piacere vederti qui, e per prima poi! Fattelo dire, sei
portatissima per le recensioni –le amo, occhei? U.U Quindi scrivile- e sono lieta di annunziarti (anche se
forse già lo sai) che quella scena che ti è piaciuta tanto col Joe e il libro
di Paul Coelho è così tanto verosimile che Joe ha detto in una live chat che il
suo libro preferito è proprio ‘L’alchimista’ ò_ò
Comunque, graziegraziegrazie… spero che il capitolo
ti piaccia!
Hedley: La Lauraaaaaa (& co)! Ci
mancate, è un sacco di tempo che non ci sentiamo *_*
Ho
un sacco di cose da dirti ma prima di tutto grazie per la recensione,
lunghissima (<3) e bellissima. Ho
apprezzato parola per parola, per me ogni singola cosa che scrivete è preziosa,
ricordatevelo! Carburante che mi muove a scrivere il capitolo successivo. Ora,
la stellina su Twilight doveva indicare il fatto che non voglio offendere la Meyer e le sue fan, solo che non mi piace, ma evidentemente
ho dimenticato di scriverlo per la fretta di postare. Poii…
vediamo, volevi Mike? Eccoti accontentata! Compare per ben due volte *---*
Scriverò anche altre cose su di lui promesso… ora ti
lascio altrimenti per ringraziare tutti non finisco più. GRAZIEEEEEEE *strizza Laura e Ronnie* Ronnie
mi manchiii ç______ç –Anche a meee,
C.-
Mar: La
recensione più luuuunga e awwosa
*-* Le tue recensioni mi piacciono tantissimo perché non tralasci niente, cogli
cose a cui perfino io scrittrice non avevo fatto caso. Come al solito mi fai
TROPPI complimenti –non mi illudere, che poi io un po’ ci credo!- e sai notare
le scene che volevo mettere in rilievo, poi dici che so scrivere meglio di te
ma non è vero!!! Ma a parte il fatto che ti devo tirare qualcosa appresso su msn per queste tue insinuazioni G R A Z I E per la
bellissima recensione e anche tutto il tempo che hai passato ad incoraggiarmi e
a insistere –mannaggia a te- affinché scrivessi il capitolo. Eccolo a te
assieme con gli Allen!
Fiery:
Maaary *-* Sarò breve perché DEVO postare questo
capitolo e sto andando fuori di testa. Che dire? GRAZIE grazie
e grazie per il tuo contributo che tiene la storia tra quelle con più parole
per recensione positiva della sezione (anzi, al primo posto!) eeeee… Lampo Rosso loves you –scassava affinché lo scrivessi, scusami. Ora vengo ad
avvertirti su msn che ho postato. Yo sista, i hope you
like it!
Xosofearless: Ma ciao nuova
lettrice e commentatrice! Sono taaaaaaaaaaaaaaanto
contenta di averti qui e spero di poterti inserire molto presto nella lista
delle mie LF (Lettrici Fedeli)! Grazie mille per la recensione e ricorda: Drew
e gli altri hanno bisogno anche di te e del tuo supporto! J PS. Vedrai che imparerai ben presto i
nomi e a distinguerli, siamo solo “all’inizio”!
Egg_s: Nuoooo daiii che piacere averti quiii
*______* L’autrice di Poppy White! (E Tell me Something I don’t know) E anche una delle ragazze con più recensioni dell’intera
sezione –e una delle più brave, tra tutto questo ciarpame, a mio modesto
parere. Grazissime per i complimenti e per la
recensione –che fa tutt’altro che schifo, e ho apprezzato tantissimo il fatto
che tu abbia guardato la storia anche da un punto di vista più tecnico. Spero
che continuerai a seguirla nonostante gli aggiornamenti non troppo regolari. Un
bacione!
E
GRAZIE AI NUOVI PREFERITI E A TUTTI QUELLI CHE LA TENGONO TRA LE SEGUITE! VI AMO!
Adesso
vi lascio. <3
Un
bacione e un abbraccio fortissimo, sperando di avervi regalato un paio di piacevoli
minuti di fuga dalla realtà. Fatemi saperee *-*
Sheep
Capitolo 8
Da
Trafalgar Square, ai piedi
dell’altissima colonna su cui stava la statua di Nelson, Bridget Allen riusciva
a vedere il Big Ben. Illuminato soltanto dal gelido pallore della luna,
nascosto dai vari edifici del centro, ancora -a tre anni di distanza dal
trasferimento della sua famiglia a Londra - le veniva un tuffo al cuore nel
vederlo. Era il simbolo di Londra ed
un’attrazione per molti turisti, forse un orgoglio per chi in quella città ci
era nato, eppure Bee aveva la meravigliosa e timida presunzione di credersi la
sola a cui quell’enorme orologio lontano suscitasse tali sensazioni.
Nascose
un sorriso nella grossa sciarpa di lana e strinse la mano di Michael, suo
fratello, il quale avanzava accanto a lei in tacita meditazione. Quello la guardò
con amore e le circondò una la vita con un braccio, stringendola a sé.
Poco
più dietro Adrienne fece scivolare una mano tra i capelli biondissimi; si
reggeva a fatica sui tacchi di quindici centimetri, ma non aveva ancora
iniziato a barcollare. Sua cugina Rachel alzò gli occhi verso il cielo
orribilmente scuro e sbuffò. I suoi pensieri si dissolsero in una nuvola di
fumo.
“C’è
il 22*.” Disse, sovrappensiero.
Aspettarono,
bloccati per alcuni minuti alla fermata più vicina. Quando l’enorme autobus
rosso si fu accostato vi si infilarono in fretta e, dopo aver singolarmente mostrato
la travel card al conducente,
cercarono un posto in fondo a tutto. Rachel si arrampicò sulla scaletta che
portava ai sedili superiori, dove la vista era decisamente migliore. L’unico
posto libero si trovava accanto ad una figura blu, accucciata contro il
finestrone. Rain si sedette senza nemmeno involontariamente voltare lo sguardo
nella sua direzione; sperò solo, dentro di sé, che quel coso si sbrigasse a
giungere a destinazione.
“Yo,bro” Una voce maschile la fece sobbalzare. Rain
alzò lo sguardo e si trovò di fronte un ragazzo dai capelli rossi, un orecchio
strapieno di cerchietti argentati. Si
rivolgeva a qualcuno accanto a lei. “Ma dove cazzo stai di casa, tu? Non me
l’hai mica detto.”
“Il
mio appartamento è a West End.” Rispose in un sussurro serio e pacato una voce
troppo familiare.
Rachel
si voltò leggermente e vide Nicholas Jonas, il ragazzo che l’aveva
riaccompagnata a casa qualche tempo prima, e che poi aveva scoperto essere un
attore –le venne un rapido flash di lui nei panni di Marius, durante spettacolo di Les Miserables, che sua madre aveva
finanziato. Anche lui la notò: si ricordò immediatamente di lei e la salutò con
un sorriso. Dopodiché, la presentò al mezzo alternativo che poco prima l’aveva
brutalmente strappata ai suoi pensieri.
«Rachel,
lui è Andrew. Andrew, lei è Rachel.»
Evitarono
di stringersi la mano. Lei aggiunse solo, in tono di ghiaccio: «Smettila di
chiamarmi Rachel.» E gli lasciò intendere, in poche parole, che avrebbe potuto
chiamarla Rain, come un “amico”.
«Non
sei di queste parti.» Osservò Drew, scrutandola attentamente. Sapeva bene come
distinguere le residenti dalle turiste e, sebbene quella Rachel assomigliasse
terribilmente –per accento e lineamenti- alle ragazze del posto, il suo
abbigliamento la tradiva. Dov’erano gli abiti colorati e vintage?
«No.»
Confermò Rain. «Sono di Dublino, ma stiamo qui da un po’. Qualche anno.»
Le
risate sguaiate di un gruppo di ragazzine straniere svaccate l’una addosso
all’altra poco più in là interruppero l’imbarazzante silenzio improvvisamente
insinuatosi tra i tre. Drew, ancora voltato verso Nick e Rain, si drizzò sul
sedile quando l’autobus si fermò per far scendere le ultime persone.
«La
mia è la prossima.» Constatò.
«Aspetta
…» Fece Rachel, rendendosi conto di dove si trovavano. Lanciò uno sguardo
accigliato al monitor dove le varie angolature del pullman venivano mostrate a
ripetizione. Non si sorprese quando sullo schermo apparvero i posti vuoti di
Mike, Bee ed Adrienne, ma non riuscì a trattenersi dall’esclamare: «No, porca puttana …!» L’orologio, la sua ultima speranza, segnava
le undici e mezza. Alle undici la linea della metro di cui aveva bisogno per
raggiungere casa era stata già chiusa. “Perfetto.”
Pensò Rain, sentendo il nervoso arrampicarsi attraverso lo stomaco e bloccarsi
in gola.
“Che
succede?” Chiese Nick, ma aveva l’aria di chi conosce bene la risposta ancor
prima che il suo interlocutore abbia il tempo di aprire la bocca. “Tutto ok?”
“Sì.”
Mentì Rachel.
Scattò
in piedi non appena il pullman sostò di nuovo e saltò giù assieme agli altri
due. Andrew era assurdamente alto: nascondeva sotto la felpa larghissima -o
forse erano due, una sopra l’altra- un fisico straordinariamente asciutto e
tatuaggi colorati spuntavano dalla manica della felpa, sulla mano che non
teneva nascosta nei jeans.
Non
aveva niente a che vedere con Nick, a suo confronto praticamente uno gnomo,
così serio, avvolto in un trench blu come un vero gentlemen inglese.
“Se
c’è qualche problema, posso accompagnarti.” Disse Nick a Rain quando Drew li
ebbe congedati –Ci si vede in giro, bro.- e si fu
allontanato.
“No.”
Asserì lei, senza nemmeno pensare di ringraziare.
Nicholas
increspò le labbra mentre Rachel affondava una mano nella tasca dei jeans e ne
tirava fuori un cellulare che più che anni doveva avere secoli, con lo schermo
neanche a colori. Lo fissò per alcuni secondi, poi alzò lo sguardo ed incontrò
quello di lui, ambra fusa e terribilmente appiccicosa.
“Mi
prendo un taxi.” Concluse in fretta, e
poi sparì nel silenzio della notte, evitando di salutarlo.
*
Quando
Drew rientrò, quella notte, suo fratello Keith era intento a smanettare furiosamente
col notebook di Diana. La schermata scomparve subito dopo lo scatto della
porta, e il ragazzo si voltò con aria colpevole verso il maggiore, che restò a
fissarlo in silenzio per alcuni secondi. Andrew era sicuro che Keith stesse
tramando qualcosa: erano giorni che osservava i suoi movimenti rapidi, goffi,
nascosti, settimane che lo vedeva sgusciare, frugare, parlare fitto, camminare
avanti e indietro nervosamente per il corridoio. C’erano momenti in cui, a
tavola, si metteva a fissare il vuoto: allora Drew studiava gli occhi azzurri e
dolorosi, i tratti segnati, i capelli biondi che facevano di lui una bellezza
scomposta e si chiedeva se davvero non avesse bisogno d’aiuto. Del suo aiuto.
«Non
rispondi al telefono?» Sebbene quella domanda sapesse terribilmente di Diana era
stato Andrew a parlare, con le lentiggini che gli guizzavano sulla faccia.
Keith
sobbalzò e lanciò un’occhiata sprezzante al cellulare, che vibrava
insistentemente già da prima che Drew avesse messo piede in casa. Premette il
pulsante rosso per rifiutare la chiamata, poi scosse la testa. «Chi, quella
troia?» Sbottò, il naso arricciato come quello di una ragazzina snob di fronte
ad una parolaccia. «Ne ho piene le palle; l’altra volta si è inventata questa
storia del bambino, sai, sono ore che scassa.»
Andrew,
consapevole che non era quello il motivo dello strano comportamento di Keith,
cercò di ignorare il fatto che una delle sveltine di suo fratello minore poteva
star aspettando un figlio da lui e si avviò in cucina per prendere una birra. Ci
ripensò quasi subito: tornò indietro, diede un’occhiata veloce nella camera di
suo fratello, ora appoggiato alla scrivania con la faccia tra le mani, e s’infilò
nella stanza di Sophie, che nel suo immaginario doveva star già dormendo da un
pezzo.
La
trovò invece sveglia, seduta sul lettino tra le coperte scomposte, l’inseparabile
coniglio rosa tra le braccia. Gli sorrise e lo salutò con la mano, il visetto
stanco scavato dalla stanchezza.
«Drew!»
Esclamò, pur non avendo abbastanza forza per parlare.
«Che
ci fai ancora sveglia, baby?»
Andrew
si avvicinò incredulo alla sorellina; si sedette di fronte a lei, visibilmente
preoccupato, ma non osò aggiungere un’altra parola: aspettò che fosse la bimba
a parlare di nuovo.
«
Mr. Carrot era triste.» Spiegò Sophie, serafica. «Così gli ho fatto compagnia.»
Strinse al petto il peluche di pezza, le cui lunghe orecchie ricaddero stupidamente
in avanti.
«E
perché » Domandò Andrew, sforzandosi
di trattenere uno scatto d’ira«dico, si può sapere perché era triste?»
La
piccola Sophia si accigliò. «Non essere stupido e cattivo, Drew.» Il ragazzo percepì
una fitta allo stomaco: era l’unico punto di riferimento della sorella più
piccola, e lei l’unica ragione per cui non si era ancora ammazzato, per cui non
aveva insistito con la lametta sui polsi, quella volta che Diana dopo l’aveva
scoperto. Non poteva permettere che perdesse la fiducia in lui – che lo
giudicasse stupido e cattivo. «E’ per
via della mamma. Lei non c’è da un po’ e sente la sua mancanza. Però non tanto,
solo così così. Ma però Keith non gioca più con noi,
e allora gli manca pure lui e sono due mancanze, e poi stasera sei andato via e
non hai raccontato la favola del Ragazzo coi Capelli Blu per la buona notte, e
nemmeno Peter Pan.» Lacrime calde le scorrevano lungo le guance scarne,
tremava. Drew allungò una mano verso di lei, esitante, ma la bambina l’allontanò
e cominciò a parlare più forte. «Lascialo!
Ci sto io con lui, lui è il mio migliore amico anche se Allie dice che non può!
E invece può, io lo so! Lui mi vuole bene … » Tirò su col naso e si asciugò la
faccia con la manica del pigiama, come avrebbe fatto una ragazzina di dieci
anni più grande. «Poi Malice ci ha dato la cena, ma non ci piaceva perché non
avevamo fame. E la casa delle bambole non ci piaceva più. Nemmeno i cartoni ci
piacevano più. Nemmeno la casa, nemmeno il tetto, nemmeno Keith che non gioca
più con noi.» Scosse la testa ostinatamente, mentre Andrew rimaneva a
guardarla, il cuore a mille e lo scheletro di un tetro suicidio dipinto sulla
faccia. «A Mr. Carrot fanno anche male i denti davanti. Lui è un coniglio,
mangia le carote arancioni come i tuoi capelli, solo che a casa non ci sono
carote e allora i denti si affilano e gli fanno male. Me l’ha detto Bee, lo sai?
E poi tu ti arrabbi se sta sveglio. Tu non capisci.» Cullò il peluche con la
tenerezza che solo una bambina della sua età poteva avere. Qualche attimo dopo
alzò gli occhioni gonfi di pianto verso il fratello, che l’abbracciò stretta e
la tenne così finché non si fu addormentata profondamente.
*
Michael
J. Allen lasciò andare sull’erba l’inseparabile borsone nero, gonfio quasi più
del solito. Vi si sedette accanto, schiacciando le margherite rinsecchite
dall’inverno, e chiuse gli occhi metallici per godersi il flebile calore del
sole di mezzogiorno. Liberò i pensieri, lasciò che l’utopico desiderio di
dormire gli accarezzasse i sensi, prima di percepire una massiccia presenza
fermarsi a pochi passi da lui. Voltò il capo e vide Joseph, il suo migliore
amico, tirare fuori un pacchetto di sigarette. Gliene porse una, se ne infilò
tra le labbra un’altra e ficcò in mano a Michael l’accendino.
«Giornata
di merda, eh?» Domandò, con la sua caratteristica voce graffiata. Lo sguardo
smeraldino virò tra gli alberi di St James’ Park, indugiò su una coppietta
appartata tra i cespugli –la mano di lei decisamente troppo vicina all’orlo del
jeans di lui-, si fermò su uno scoiattolo che avanzava lentamente, con aria
curiosa, verso di loro. Mike fece un verso che attirò l’attenzione dell’animaletto,
lo studiò con attenzione mentre si avventurava tra i fiorellini bianchi e gli
si avvicinava con grazia il tanto che bastava a capire a che specie
appartenesse. Scappò via, deluso, quando capì che Michael non era altro che un rozzo,
banalissimo, inutile umano.
Josh
si distese sull’erba, mentre Mike si avviava a fare una passeggiata.
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Capitolo 10 *** Capitolo nove ***
Non ci
credo, ragazze, il piccì mi ha appena cancellato l’introduzione
più fantastica del mondo *piange*
Ok,
allora. Facciamola breve.
Un ringraziamento
generale, perdonate se non sto qui a
ringraziarvi ad una ad una ma SAPPIATE –nonostante questo computer vuole impedirmi
di comunicarvelo- che vi ringrazio di cuore e considero questo nono capitolo un
traguardo, e che vi devo molto, senza il
vostro incoraggiamento probabilmente non sarei qui ora.
Stavolta
mi scuso per il ritardo con un capitolo più lungo –e con un po’ di novità!- e
un collage coi volti dei personaggi, sperando che vi aiuti a distinguerli più
facilmente, visto che sono davvero davvero tanti. ^^”
Ah, Josh
non è Joe. E’ un altro Joseph, a cui ho scelto di dare un soprannome diverso
apposta per non farvi confondere. (;
(Ecco gli
ammori -> http://i53.tinypic.com/281vqmp.png
Da
sinistra verso destra: Joseph N, Rachel, Nicholas, Joseph, Kevin, Adrienne,
Malice, Bridget, Michael, Diana, Keith, Hera, Gwen, Charlotte, Sophie, Andrew,
Athena, Demeter.)
Perdonate
me e il mio PC rimbambito e godetevi il capitolo!
Vi voglio
bene. ♥
Sheep
Questo capitolo è per
Lorenzo
che non lo sa
perché non sa leggere,
perché mi ha fatto quella domanda
che mi ha messo in moto la fantasia.
Grazie cuginetto.
Capitolo 9
Charlie e Drew erano di nuovo amici. Almeno, così
pareva alla piccola Sophie che, più che contrariata, ne era entusiasta. Sophie
adorava Charlotte; avrebbe detestato qualsiasi altra ragazza che si fosse
permessa di sottrarle del tempo da passare con suo fratello, ma lei mai, perché
era una vera principessa. Sophie ne era convinta: Charlie ascoltava la musica
delle principesse –una volta, in camera sua, aveva intravisto un poster dei ‘Beatles’- e, l’anno successivo, avrebbe
frequentato l’università di Cambridge, dove studiavano tutti i rampolli di
sangue blu. Gliel’aveva detto Drew, una volta, mentre andavano al parco.
Anche oggi stavano andando al parco, ma non erano
soli: il signor Nick, infatti, si era unito all’allegra combriccola. Charlie, a
differenza di quanto la piccola Sophia si era aspettata, non si era dimostrata
gelosa dell’amicizia che riempiva la solitudine di Nicholas ed Andrew, piuttosto
aveva accolto Nick a braccia aperte, divertita dal naturale contrasto che il
ragazzo creava col suo migliore amico. Aveva raccontato anche a lui della sua
vita a Glasgow, delle cheerleader della nuova scuola che, dopo il suo rifiuto
di affrontare un provino per unirsi a loro, l’avevano declassata a ‘sfigata
londinese’; Charlie spiegò che conduceva sostanzialmente una vita solitaria,
dal momento che non era abbastanza secchiona per unirsi al tavolo dei nerd e
troppo poco alternativa per stare coi punk. Raccontò di come il suo unico svago
fossero la biblioteca, dove aveva cominciato a lavorare, e la cucina. Aveva
imparato a fare molti dolci ed anche qualche piatto italiano.
«Papà adora la cucina italiana.» Spiegò, svoltando
all’entrata del parco, dove Sophie prese a correre verso le altalene. Nick
finse di non notare il luccichio rancoroso negli occhi della ragazza mentre
nominava il padre. «E anche la sua nuova fidanzata.»
«Fidanzata?» Fece Drew, sgranando gli occhi a
mandorla.
«Già, Jacqueline. Un amore di matrigna.» Charlie si
lasciò sfuggire una risata amara. «Bella, se ti piace la plastica. Ha
trasformato papà in un farfallone e il suo appartamento nella casa di Barbie.
E’ tutta saltelli e risatine e “Oh, tesoro, dì a tua figlia di darsi una
sistemata, è così sciatta”»
«Bleah. Dille di andare a farsi fottere.» Sbottò il
rosso.
Charlie sospirò. «Vorrei, ma è molto più complicata
di quanto credi. Ho bisogno di papà per i suoi contatti dell’università. Non potrei
entrare altrimenti in un posto come Cambridge.»
«Stronzate! Hai una media altissima e ti
prenderebbero anche senza nessuna stupida raccomandazione. Gli spaccheresti il
culo, ai test.»
Nicholas si domandò come sarebbe stato frequentare
un college; poi, preoccupato che l’idea potesse piacergli più del dovuto,
decise di non pensarci.
Charlie si sedette sull’altalena accanto a Sophie, che
chiese a Drew di spingerla, e forte, perché Mr. Carrot voleva volare. Fissò qualche minuto i suoi
stivali, in silenzio, dondolando lentamente. Poi si rivolse a Nick e gli
sorrise.
«E tu parli poco, eh?» Il ragazzo sobbalzò e
riemerse dalla sua sciarpa di cachemire. «Andrew sarà pure ignorante e
piuttosto retrogrado in fatto di musica, ma io ho sentito parlare di te. Penso
che tu abbia del talento.»
Nick arrossì lievemente, come se avesse ricevuto per
la prima volta un complimento del genere. «Grazie.» Borbottò, imbarazzato dalla
spontaneità di quella ragazzina che, in fondo, già iniziava a stimare.
Forse, pensò, il suo stato d’animo era dovuto alla veste in cui aveva vissuto quei mesi
passati a Londra.Non poteva negarlo a sé stesso: si era sentito molto più
Nicholas – il ragazzino del New Jersey che era stato prima della celebrità e di tutto il resto- che ‘Nick Jonas’. Un po’, constatò, gli
mancava quella vita; le sale di registrazione, le interviste, le live chat, i
fan. Eppure ... eppure quel calore che sentiva dentro ogni volta che si trovava
lì, con quelle persone –normalissimi ragazzi della sua età, con vite banali e
incasinate, il coinvolgimento emotivo rispetto alle loro vicende, le cose che
nonostante tutto continuava a imparare: Al solo pensiero di abbandonare tutto
ciò gli mancava il fiato.
Alzò lo sguardo e si accorse di essere rimasto solo assieme
a Sophie, che lo fissava con una certa curiosità. «Quanti pensieri, signor
Nick. Sembra che ti escono dalle orecchie.» Piegò la testa da un lato. Nick
intravide, dietro di lei, Drew e Charlie che si allontanavano lungo un
vialetto, mano nella mano.
Nicholas rise di cuore. «E’ vero, piccola. Dovrei
darmi una calmata.»
Sophie si azzittì per qualche secondo. «Nick, signore» Disse poi, stringendo le catene
dell’altalena tra le manine pallide. «Posso farti una domanda?»
Lui si avvicinò. «Certo, dimmi.»
«Che cos’è il diavolo?»
Nick rimase interdetto per qualche attimo. Poco dopo
si sedette nel posto che Charlie aveva lasciato vuoto. « Diciamo … un signore molto
cattivo. Uno che vuole che noi facciamo cose sbagliate.»
«Ed è brutto?»
Nick sorrise.« Molto brutto, sì. Con le corna e
tutto il resto.»
«E sta laggiù.» Concluse Sophie, puntando il dito
verso terra.
«Esatto.»
«E Dio?»
«E Dio ...» Nick posò la testa contro il metallo
freddo della giostra. «Dio è il padre di tutti noi. E’ misericordioso, che significa che ci vuole bene e ci perdona ogni
volta che glielo chiediamo, anche quando facciamo cose brutte che lo fanno
piangere.»
Sophie spalancò la bocca, incredula. « Dio piange?»
«Forse.»
«Una volta Keith mi ha detto che le gocce di pioggia
sono le lacrime degli angeli, ma Drew si è arrabbiato perché secondo lui non è
vero.»
«E tu a chi credi?»
La bambina rimase zitta. «Signor Nick, esistono gli
angeli?»
«Certo che esistono. Sono belli e molto maestosi,
sai. E hanno delle ali grandissime, ci stanno sempre vicino. C’è chi dice che ce
n’è uno per ogni persona sulla terra.»
Sophie s’illuminò. «Ho capito!» Urlò, gioiosa. «Forse
tu sei l’angelo mio e di Drew!»
Nicholas esitò. «Cosa?»
«Sì, tu!» Spiegò Sophie con impazienza. «Sei bello, mastoso e ci stai
vicino. Sei tu, signor Nick, sì! Ma forse … »
Abbassò incredibilmente il tono di voce, tanto che Nicholas dovette
sforzarsi per sentirla. «Forse non lo puoi dire? Forse è un segreto?»
Nick incontrò gli occhioni azzurri pieni di
aspettativa e si convinse di non poterla deludere. Avvicinò, ammiccando, l’indice
al naso. «Forse.»
«Non preoccuparti, prometto di mantenere il segreto.»
Saltò giù dall’altalena e l’abbracciò –o meglio gli circondò con le braccia le gambe,
rischiando di farlo cadere. « Nessuno lo scoprirà. Ma tu un giorno mi mostrerai
le ali, vero?»
Da quando aveva rivisto Charlotte, la notte di
Natale, Drew non era riuscito più a essere lo stesso, in sua presenza. Non
perché non l’avesse ancora perdonata o non le volesse bene, anzi. Ma Charlie
era così diversa da quando era
partita: le sue labbra erano più rosse e carnose di come se le ricordasse, i
capelli più lunghi e soffici e, sempre più spesso, evitava di mettersi gli
occhiali. Andrew non riusciva a impedirsi di pensare che fosse piuttosto
carina.
No, in verità, Drew pensava che la sua migliore
amica fosse bella, il profumo della sua pelle estremamente invitante e tutti
quei difetti di cui lei spesso si lamentava, anche quelli gli pareva
contribuissero a renderla più attraente.
Tenere le dita allacciate alle sue gli dava
sicurezza: s’illudeva che non potesse più sfuggirgli, che sarebbe rimasta con
lui a Londra per sempre, che la sua presenza l’avrebbe aiutato ad andare
avanti. Il suo cuore accelerava ogni volta che lei si faceva troppo vicina; in
quei momenti Drew s’irrigidiva, sperando che l’altra non se ne accorgesse.
Anche Charlie, dal canto suo, si sentiva confusa
dalla presenza dell’altro. Forse erano i suoi capelli, ora più lunghi sulla
fronte e rasati ai lati del capo, o i tratti improvvisamente più maturi, ma non
riusciva a staccare gli occhi da lui. Andrew, in realtà, le era sempre
piaciuto, e adesso che stava crescendo Charlotte sentiva che avrebbe fatto
sempre più fatica a reprimere i suoi sentimenti.
«Piacerebbe anche a me trasferirmi.» Disse il
ragazzo accanto a lei, infrangendo il corso dei suoi pensieri. «Più che altro
per Sophie, sai. Casa mia è invivibile. Mia madre manca da settimane.»
Charlie gli strinse la mano, percependo contro il
palmo i segni di innumerevoli cicatrici. «Oh D, mi dispiace.»
«Già, anche a me. Me ne farò una ragione.»
Rimasero in silenzio per qualche minuto, finché
Charlotte decise che era meglio cercare di distrarlo. «Quel ragazzo … Nick, voglio dire, sembra simpatico. »
«E’ un tipo.»
Charlie alzò un sopracciglio. «”Un tipo” che, fino
ad un mese fa, avresti deriso senza pietà. O forse, fammi pensare, avresti
cercato di fargli un occhio nero?»
«Che ne sai? Tu non c’eri un mese fa.» Drew ci mise
più rabbia di quanto avrebbe voluto.
L’altra
abbassò lo sguardo, punta nel vivo. «Non ricominciare.»
«Scusa.» Soffocò l’impulso di baciarla voltandosi a
osservare il prato innevato. «Bah. Certe volte mi sembra di vivere in Russia.»
*
Sull’insegna c’era scritto ‘Lidia’s’, dal millenovecentocinquantasei. Era un piccolo, antico
negozio di musica incastrato in un angolo nel cuore di Camden Town e, sulla
porta a vetri, il cartello diceva “Cercasi personale”. L’interno era ben
ordinato, fornito di tutto il necessario, dagli oggetti più comuni a quelli più
incredibili da collezione –come dischi di vinile firmati dagli stessi Beatles o
da Elvis – a cui qualsiasi appassionato di musica non avrebbe saputo
rinunciare.
La signora Bennet, Regina, aveva ereditato l’attività
dopo la morte del padre, sei anni prima, e l’aveva sempre gestita con passione
e senza difficoltà. Regina amava il suo lavoro e quando qualcuno le chiedeva
come facesse a mantenere sempre un aspetto così giovanile, lei scherzava
attribuendo il merito della sua bellezza senza tempo alle proprietà magiche del
banjo e dei Rolling Stones.
Nessuna delle sue figlie, invece, dimostrava per la
musica un interesse grande quanto il suo: Athena aveva abbandonato da un po’ le
lezioni di viola e Hera non aveva mai voluto nemmeno avvicinarsi ad una scuola
di musica. Demeter –la minore- era l’unica che tenesse ancora alle sue chitarre
ma, quando suonava, lo faceva in privato.
Era forse per questo che quella mattina, quando le
aveva convinte a sostituirla in negozio fino ad ora di pranzo (c’era l’asta di
alcuni articoli davvero interessanti non troppo lontano da lì) avevano fatto
tante storie. Specialmente la maggiore.
Hera aveva sempre avuto un atteggiamento alquanto ribelle
e sprezzante. Regina e suo marito avevano creduto in un primo momento che si
trattasse di una fase, qualcosa che avesse a che fare con l’adolescenza, ma
oramai la ragazzina che faceva tatuaggi di nascosto da suo padre aveva lasciato
il posto ad una meravigliosa giovane donna di ventitré anni e il suo modo di
fare non era cambiato.
In quel momento se ne stava accovacciata su una
sedia di fronte al bancone, i capelli corvini stretti in una coda alta e
addosso abiti sportivi che non stonavano con la sua estrema sensualità. Si
limava le unghie con le sopracciglia aggrottate, contrariata perché le sorelle
non l’avevano lasciata andare in palestra. Il borsone stava buttato lì ai suoi
piedi.
«E allora, il tizio carino che ti ha accompagnato a
casa l’altro giorno?» Domandò con nonchalance alla sorella più piccola.
Demi alzò gli occhi dal quaderno su cui stava
appuntando una bozza di relazione. «Chi, Jason? E’ solo un mio compagno di
classe, tutto qui.»
«Beh, i miei compagni di classe –e specialmente
quelli carini- non mi accompagnavano a casa, ai miei tempi.»
La minore alzò un sopracciglio. «Sì, ti pedinavano
direttamente.» Il suo viso s’illuminò di un sorriso dolce, spontaneo. « E
comunque ora come ora non mi interessa.»
«Appunto!» Sbottò Athena, arrampicata su di uno
scaletto a pulire una vetrina. «Sta crescendo bene, non vedo perché traviarla con le tue manie sugli uomini.»
«Sei tu l’anormale, tra noi!» Fece Hera, agitando in
aria la lima per unghie. «Tutte hanno bisogno di un uomo, Thea.»
«Tutte hanno bisogno di un cane, vorrai dire! Almeno Fido non ti mollerà per un paio di tette
migliori.» Replicò l’altra con un certo astio. «Amore, amore ... la gente ne è
ossessionata. E a cosa serve poi? Assolutamente a niente.*»
«Chi ha mai parlato dell’amore? Io ho detto ‘maschi’.»
Furono interrotte dal tintinnio del campanello sulla
porta che annunciò l’entrata di un nuovo cliente. Si voltarono istintivamente
verso due uomini, uno dei quali risultò ad Athena piuttosto familiare.
«L’ho
trovata! Cazzo non ci credo.» Joe sbirciò attraverso la vetrina con troppo
entusiasmo. «Guarda, guarda Kev!»
«Cosa?»
Chiese Kevin, aspettandosi di vedere una chitarra dall’inestimabile valore o
qualcosa del genere.
«La
ragazza! E’ Lei!» Rispose invece Joe, picchiando il dito contro il vetro. «Non
ci credo, che gran culo!»
Il
maggiore gli posò una mano sulla spalla.«Joe, calma.»
Ma
l’altro non lo stava ascoltando: era troppo preso a sistemarsi il cappello, gli
occhiali ,la giacca … aveva già visto l’avviso sulla porta.
«Andiamo.» Gli ordinò, sicuro di sé.
«Buongiorno.» Disse Joe Jonas, ghignando in
direzione delle tre ragazze. «Sono qui per il posto di assistente.»
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