The Last Rose.

di Sheep
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione. ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove ***



Capitolo 1
*** Prefazione. ***


No, ok, lo ammetto: Non è facile per me pubblicare questa storia, per niente.

Non so perché proprio adesso. Lo so che molti sono in vacanza e non potranno leggerla (sempre se esiste ancora qualcuno che lo voglia, certo) ma mi andava l’idea d’inserire anche la mia long. Non posterò a intervalli regolarissimi ma spero che ne varrà la pena e che troviate ogni capitolo soddisfacente.

Vorrei riuscire a coinvolgervi e farvi affezionare ai miei personaggi, magari commuovervi anche un po’. Non so. Spero di portarla fino alla fine (Beh, per me sicuramente lo farò, ma spero che qualcuno mi inciterà a farlo anche qui!) e … che altro dire? Niente.

Grazie a Minako_86 che di questi personaggi ne conosce un bel po’ e mi è stata vicina nella creazione, e ad AmAJonas che mi ha dato tante idee senza volerlo. Grazie a chi mi ha sostenuto e chi mi sosterrà.

 

Un paio di cosine sulla storia: So che Nick non è stato a Londra a Novembre, ma spero che me lo passerete. Sapete, io amo l’autunno. Non conosco nemmeno il produttore, Mackintosh, quindi l’ho citato così ma in realtà è tutto frutto della mia mente. Ah, e state attenti all’apparenza, potrebbe confondevi ;)

 

Detto ciò ... Buona lettura!

Vi adoro,

Sheep.

 

I Jonas Brothers non mi appartengono e questa fan fiction non ha alcuno scopo di lucro.

 

A me stessa ,

per dimostrarmi che non sono

un’inconcludente.

 

Prefazione.

 

Nick lanciò l’ennesima occhiata ansiosa al suo orologio da polso e considerò che, dopotutto, il tempo stava passando troppo velocemente; La lancetta più lunga aveva superato almeno tre numeri dall’ultima volta che l’aveva guardata e lui non aveva ancora percorso neanche metà strada.

Era una giornata di novembre - una tipica, piovosa giornata di novembre londinese- ed era in mostruoso ritardo. Una fastidiosa vocina, incastrata tra la parte destra e sinistra del cervello, non faceva altro che ricordargli quanto fossero importanti quelle prove e quanto ‘da egoista’ si fosse comportato: aveva dormito ben quattro ore durante tutta la notte, quando gliene erano state concesse solo tre! Aveva perso un’ora intera di lavoro, sessanta preziosissimi minuti, assolutamente fondamentali per la buona riuscita dello spettacolo. Lui, lui, lui! Come aveva potuto? Proprio lui che ne aveva più bisogno di tutti! Lui, l’unico non professionista nell’intero cast … avrebbe finito per rovinare tutto davanti al pubblico, se lo sentiva.

Il cuore gli si strinse in petto mentre evitava una pozzanghera. Cercò di ricordare qualche battuta - ripassare l’avrebbe aiutato a non pensare- ma tutto ciò che gli venne in mente fu la faccia del suo produttore quando l’avrebbe visto arrivare a teatro, fradicio marcio e con due ore di ritardo; La visione non gli piacque affatto. Si accorse di star mordendosi freneticamente le labbra soltanto quando sentii uno strano sapore metallico pervadergli la bocca: sapore di sangue. Smise, e si fermò un secondo a riprendere fiato.

Non riusciva a respirare correttamente, il cuore andava a duemila … le gambe erano come improvvisamente diventate di gelatina. Tentò di ricomporsi; Raddrizzò la schiena e tenne più in alto l’ombrello nero sopra al quale la pioggia batteva furiosamente. Si passò una mano tra i riccioli spettinati –mai, mai in tutta la sua vita era uscito di casa così- e fece per ripartire ma una vocina flebile, pochi passi dietro di lui, lo interruppe.

«Che strana giacca, signore.» Si voltò e vide una bambina. Doveva arrivargli sì e no alla vita, era zuppa e teneva in mano un coniglietto di pezza rosa. «E’ così rossa, come il fiocco di Mr. Carrot.»

Agitò il peluche verso Nick che sbatté più volte le palpebre. « Beh … » Balbettò, ma la bambina fu più veloce a interromperlo.

«Come ti chiami, signore?» Domandò, avvicinandosi.

«Io … Nick. Chiamami Nick.» Non capiva cosa ci facesse lui a parlare con una bambina bionda nel bel mezzo della strada quando era in ritardo di due ore intere alle prove di Les Miserables, lo spettacolo di Broadway che avrebbe probabilmente rivoluzionato la sua carriera, ma quel sorriso dolce e sdentato – le mancavano i due denti davanti- gli sembrava impossibile da deludere. Nonostante lo facesse raramente, sentì proprio il bisogno di ricambiare il sorriso. «E tu? Come ti chiami?»

« Sophie » Disse la bambina sgranando appena i grandi occhi azzurri. «E lui è Mr. Carrot.»

Avvicinò di nuovo il coniglio al naso di Nick, che questa volta gli afferrò una zampetta di stoffa e la strinse tra il pollice e l’indice. «Piacere di conoscerla, Mr. Carrot!» Osservò la bambina ridacchiare e stringere al petto il pupazzo, chiedendosi che diamine ci facesse lì da sola. «E quanti anni hai, Sophie?»

«Sei.» Rispose lei distrattamente. Ora scrutava assorta la strada deserta intorno a loro. «Sai, signor Nick, somigli proprio tanto a mio fratello. »

«Hai un fratello?» Non seppe spiegarsi perché, ma la notizia lo fece rimanere di stucco.

«Certo. Lui è … » Scoccò un’occhiata al fondo della strada, dove era appena apparsa- Nick non se n’era accorto- una figura, che avanzava velocemente nella nebbia. «Sai, credo che tra poco lo vedrai da te.»

Detto fatto; In pochi secondi Nick si ritrovò travolto dall’ira di un ragazzo che pareva poco più grande di lui. Era più alto e aveva capelli rosso fiamma, abbastanza lunghi, sotto i quali spuntavano gli stessi occhi azzurri di Sophie. Era a dir poco furente. Abbracciò la sorellina con fare possessivo e le sussurrò qualcosa all’orecchio, poi rivolse uno sguardo adirato a Nick.

«Tu» Sibilò, alzandosi di scatto e avanzando pericolosamente verso di lui. «Sporco schifoso lurido verme, ha solo sei anni! »

«Eh?» Nick vacillò. «Ok, aspetta un secondo, credo che tu … »

Ma il ragazzo non gli permise di finire. Facendogli cadere l’ombrello di mano per l’impeto con cui lo travolse, gli mollò un pugno dritto sul naso, che prese a sanguinare. Nick se lo asciugò con la manica della felpa e intravide Sophie, nascosta dietro la gamba di fratello, sciogliersi in lacrime.

«P-prova ad avvicinarti di nuovo a mia sorella e giuro che non vedrai la luce di un altro giorno!» Disse.

Prese Sophie per mano e insieme scomparvero nella nebbia. A Nick girava letteralmente la testa; Che cosa, di grazia, gli era appena accaduto?

D’istinto guardò di nuovo il suo cronografo. Due ore e mezza! Il naso gli bruciava a più non posso e il diluvio stava diventando praticamente alluvione. Fissò il cielo, poi una cabina telefonica e infine ci si infilò dentro. Compose il numero del produttore e attese. Marion, la segretaria, sembrava davvero agitata quando le annunciò che quel giorno sarebbe mancato alle prove. Riagganciò sperando che Mackintosh non andasse troppo fuori di testa e si lanciò in strada. Si chiese che cosa fare; Avrebbe potuto andare in ospedale a farsi controllare il naso e poi tornare al suo appartamento e farsi una tazza di cioccolata, riposando come si deve, oppure tuffarsi nel temporale alla ricerca di vie sconosciute –no, non ne sapeva niente di geografia, specie di quella europea- e scoprire la città.

Ovviamente decise di gettarsi a capofitto nel traffico cittadino, perdersi nel chiasso, che quel giorno era azzittito dal rumore della pioggia, col naso che ogni tanto prendeva a colare sangue –oramai la manica destra era irrimediabilmente chiazzata di rosso.

Camminò finché non sentì le ginocchia tremare dalla stanchezza e lo stomaco accartocciato dalla fame. Dovevano essere passate più di cinque ore da quando aveva incontrato quella bambina e suo fratello, che l’aveva sicuramente scambiato per un maniaco, ma continuava ancora a pensarci.

Beh, pensò specchiandosi nella vetrina di un negozio d’abbigliamento, con queste occhiaie e i capelli così combinati è pure comprensibile che mi abbia preso per chissà chi.

Sospirò, e si passò una mano sotto gli occhi, dove erano comparsi due grossi solchi violacei. Infine, strastanco e affamato, s’infilò in un piccolo locale all’angolo della strada.

Era un posticino niente male; Intimo, caldo e familiare, tutto ciò di cui aveva bisogno. Nick scelse un tavolo ben nascosto in fondo alla saletta e aspettò che un cameriere si avvicinasse per ordinare un panino. La sua attesa durò poco; Ben presto gli si avvicinò una ragazza dall’aria stressata almeno quanto lui, che si appoggiò al tavolo e gli lanciò uno sguardo supplice.

«Trattienimi, ti prego.» Disse. «Ti supplico, parla per un po’, ho bisogno di fermarmi due secondi. » Si sedette di fronte a lui e aprì il blocchetto per le ordinazioni.

«Ehm … d’accordo.» Rispose Nick, con le sopracciglia aggrottate per lo stupore. «Comincerò con l’ordinare un hamburger e della Diet Coke.» La ragazza annuì e mentre scriveva furiosamente lui la osservò meglio; Aveva capelli legati e occhi nocciola appena socchiusi in un’espressione combattiva. Non doveva essere molto piccola, nonostante avesse un fisico minuto, e portava un paio di grossi occhiali anni ’70. « Allora … ehm» Si guardò intorno nella speranza di trovare un argomento, un appiglio a qualcosa. Qualunque cosa. «Come ti chiami? »

«Viva la fantasia, mm? » La vide alzare un sopracciglio. «Per te sarò Charlie, va bene?»

«Bene.» Nick sospirò. Perché diamine stava tentando di fare conversazione con una perfetta sconosciuta? «E lavori qui da … ?»

Parlottarono per circa dieci minuti, poi Charlie tornò al lavoro. Nick la osservò schizzare tra i tavoli e la cucina, trangugiando il suo sandwich che, forse per la fame assurda che aveva, si classificò come il migliore della sua vita.

«Roba da pazzi.» Sussurrò a se stesso quando fu tornato in strada. Ancora pioveva, e la sua giornata aveva preso una svolta assurda; Niente era filato liscio. Aveva saltato le prove, era stato scambiato per un maniaco, si era beccato un pugno sul naso da un rosso imbestialito e infine aveva conosciuto una cameriera stressata. Ah e aveva anche perso l’ombrello. Se quella era Londra, lui era già pronto a fare i bagagli e tornare a casa.

Fece in tempo ad arrivare al suo appartamento che il cellulare squillò; Il display lampeggiava col nome di suo fratello.

«Pronto?»

«Nicky Nicky! » Trillò la voce di Joe, più allegra e rimbombante che mai. «Come ti va la vita?»

«Una meraviglia.» Disse Nick sprezzante. Afferrò le chiavi e le infilò nella toppa.

«Beeene! Sei pronto alla notizia che rivoluzionerà la giornata?»

Nick si bloccò sullo stipite della porta. « … Cosa?»

«Indovina un po’? Sono in città

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


Bene. Rieccomi.

Avevo già detto che gli aggiornamenti sarebbero stati irregolari –ovvero, come mi gira quel giorno- e ora voglio già pubblicare il primo capitolo, pur con solo due recensioni. E vi dico anche il perché: E’ un capitolo d’introduzione, piuttosto inutile ai fini della storia, che ho ribaltato dal secondo capitolo in poi.

Altra cosina: Non mi importa tanto che i lettori siano uno o cinquanta, però, se ci siete, vorrei chiedervi un piccolo favore: Datemi un segnale. Non per forza una recensione, potete anche mettere la storia tra le seguite/ ricordate o semplicemente scrivermi in privato. Poi, se non volete, ok. Vivrò lo stesso :3

E ora i ringraziamenti.

 

Maggie_Lullaby: Una mia graditissima Lettrice Fedele, che piacere vederti anche qui! Spero sul serio che ti piaccia la storia, e ti ringrazio dieci, mille, cento volte per la recensione, anche se eri stanca e non hai potuto scrivere molto. Questo primo capitolo è tutto per te dato che gli altri l’hanno già letto. Quindi spero doppiamente che soddisfi le tue aspettative.

 

Titty90: Beh, che dire? *-* Ti sposo (Anche se so che preferiresti sposare Lui x°D). La tua recensione, comparsa proprio adesso a far compagnia a quella di Maggie, è piacevole almeno quanto la sua. Quindi grazie anche a te. Il capitolo l’hai già letto, c’è qualche insignificante modifica a livelli di vocaboli, niente di più.

 

Minako_86: Anche se sei in vacanza, ti ringrazio lo stesso per aver pensato di recensirla- perché lo so che l’hai fatto *punta pistola*. Hahaha. Siccome la connessione non ti consente di visualizzarla te la faccio passare, ma solo perché sei tu!

 

Capitolo 1

 

I Fawn erano una famiglia numerosa. Abitavano in una graziosa casa a due piani di mattoncini rossi e color corda ed erano ciò che i vicini più educati definivano una famiglia non esattamente tranquilla. Andrew, meglio conosciuto come Drew, era il terzo di cinque figli ed aveva già diciannove anni. Molti credevano che fosse un “ragazzo complicato”; Era piuttosto solitario, si muoveva spesso su uno skateboard malandato e teneva la chioma rosso fiamma sempre coperta dal cappuccio di una felpa grande di almeno due taglie più del dovuto. Era silenzioso, assente … c’erano molte dicerie riguardo ai suoi stati d’animo; Alcuni credevano che avesse sorriso per l’ultima volta alla festa dei suoi dieci anni, quando ancora era un bambino spensierato. Quando ancora aveva amici, e, soprattutto, organizzava feste di compleanno. In realtà Drew aveva maturato col tempo l’idea che l’amicizia-o meglio, il concetto odierno che la gente aveva di quel sentimento- fosse soltanto una bella fregatura. Le uniche persone a cui era legato indissolubilmente erano i suoi famigliari.

Oh e, beh, poi c’era Charlie. Charlotte era una buffa sedicenne che odiava il suo nome intero e faceva la cameriera due volte alla settimana in un localino di proprietà di suo zio, in periferia. Drew l’aveva conosciuta a scuola, quando urtandola involontariamente in corridoio le aveva fatto cadere una pila di libri per terra.

Stringere in un’amicizia profonda per loro due era stato inevitabile; Difatti vivevano entrambi isolati dal resto dei compagni, immersi lui nell’i-POD e lei nei suoi libri. Il loro profondo disprezzo per i coetanei si era trasformato in una grande complicità. A Drew piaceva Charlie perché poteva starsene in silenzio anche per ore intere. Si divertiva standola a guardare mentre trafficava con grossi volumi polverosi, seduto alle radici di una quercia, e trovava conforto nei suoi abbracci insicuri. Era una ragazza riservata, silenziosa –a parte quando lavorava troppo, allora sì che scoppiava- ed Andrew oramai aveva imparato a conoscerla bene.

Quel pomeriggio, come ogni volta che era nervoso, se ne stava rinchiuso in camera, il silenzio della casa irrotto solo da una melodia soave al piano di sotto; Sua sorella maggiore, Malice, viveva letteralmente di quel pianoforte – un C. Bechstein del 1980 ereditato da suo nonno, che era un maestro. Tutto sommato Mal e suo fratello si somigliavano, e non solo a livello di chioma. Anche lei era sempre stata un tipo piuttosto introverso, che sfogava la sua apparente frustrazione in Mozart, Chopin, Beethoven e Schubert, i suoi compagni più fedeli.

Erano un po’ tutti strani, i figli di Cecil; Lei stessa era etichettata come una “donna assolutamente pericolosa, con più di una rotella fuori posto”. Aveva una strana fissazione per i gatti e i bouganville rossi, con cui aveva adornato il giardino, e folti capelli ricci. I ricchi abitanti delle villette a schiera tra le quali spiccava quella dei Fawn, sostenevano che fosse talmente fuori di testa da rifiutarsi di accettare la morte di suo marito, un militare in missione che oramai non tornava a casa da circa sei anni. Inoltre molte ipotesi raccapriccianti erano scaturite dai dubbi su tutti i soldi che quella famiglia dimostrava di avere: Erano troppi, visto e considerato che lei non lavorava. Decisamente troppi.

Intanto in camera di Drew, che stava contando le crepe sul soffitto, aveva fatto irruzione la piccola di casa, Sophie. Era una bambina bionda curiosa e spigliata, ma soprattutto intelligente e impossibile da separare dal suo coniglietto di pezza rosa, Mr. Carrot. Ed era l’unica a cui il fratello permettesse di entrare in quella stanza senza autorizzazione, l’unica a sapere esattamente cosa contenesse...

Non molto, in realtà; Era una camera luminosa e decisamente ordinata per un maschio della sua età. Sulla destra c’era il letto, accuratamente rivestito con una trapunta blu, sul muro troneggiava un arazzo con due lupi al tramonto. Accanto, appeso a una mensola, oscillava un acchiappasogni. Sulla sinistra, subito dopo l’ampia finestra, una scrivania su cui era sistemato un MacBook di ultima generazione, non lontano da un’immensa libreria che Sophie si fermava spesso a osservare. Ovviamente non avrebbe mai capito i titoli d’avventura sistemati con precisione maniacale, ma le copertine colorate di rosso, arancio, verde, viola attiravano inevitabilmente la sua attenzione.

«Non piove più.» Annunciò la bambina con la serietà di un messaggero che porta al suo re notizie di guerra.

Drew, affondato nel suo letto, la ignorò. Conosceva Londra e il suo maledetto clima e ci avrebbe messo la mano sul fuoco che il temporale sarebbe scoppiato nuovamente nel giro di mezz’ora. Tuttavia …

Un frastuono proveniente dal corridoio li fece sobbalzare; Diana, la primogenita, aprì la porta sfoderando un gran sorriso.

«Sto bene!» Disse agitando i capelli lunghissimi. «Quello stupido tappeto! Comunque mamma ha detto … »

Ma il fratello non la stava più ascoltando. Si alzò di scatto, attraverso la camera e, schivando prima Sophie e poi Diana, si lanciò giù per le scale.

«Che modi!» Lo apostrofò la voce della maggiore dalla cima.

Scrollò le spalle e afferrò le chiavi; Fu in strada nel giro di pochi secondi. La brezza fredda gli graffiava il viso e un sole debole filtrava attraverso le nuvole, incapace di riscaldare quell’ostile atmosfera novembrina. L’aria era ancora impregnata dell’odore aspro della pioggia, che, per qualche motivo, a Drew diede un gran senso di sollievo, come se si fosse liberato di un gran peso.

Quando arrivò, Charlie aveva appena ripreso fiato da un’intensa giornata lavorativa. Lo salutò con un sorriso appena riconobbe la sua andatura ciondolante.

The Old Moon” era un posticino niente male. Le pareti dovevano esser state tinte da poco di un intenso color pervinca, che ben si accostava al pavimento in legno scuro. Sul muro in fondo alla stanza era stato dipinto un murales raffigurante fate che danzavano. I tavoli –non più di dieci- erano coperti da tovaglie bianche, ricamate con lo stesso colore delle pareti; Anche i camerieri, o meglio, l’unica cameriera di quel giorno, Charlie, indossava un grembiule azzurrino.

«Menomale che sei arrivato, non ne posso più.» Confidò a Drew quando si fu avvicinato. « Nadine, l’altra ragazza, è in maternità e zio Oscar non ne ha voluto sapere di assumere qualcun altro per un paio di giorni, così mi son beccata lo straordinario. » Drew piegò lievemente le labbra in senno di assenso. « Però ho … oh, accidenti! »

I suoi occhi si sgranarono in un’espressione di panico puro, puntati verso l’entrata. Mentre l’amico si voltava a vedere chi fosse appena arrivato –nessuno che conoscesse, solo un ragazzo con i capelli ricci e uno con gli occhiali- Charlie si abbassò, nella speranza che il bancone la nascondesse del tutto.

«Mio Dio, tu non sai chi è quello.» Gemette, mordendosi il labbro.

«Chi?» Chiese Drew interessato, e si guardò intorno nella speranza di scorgere qualcuno d’importante. Vide solo una ragazza intenta a scrivere qualcosa su un quaderno stropicciato e una coppia d’innamorati che ridacchiavano. D’altronde, pensò, lanciando un’occhiata all’orologio a parete, erano appena le sette e mezza.

«Quello … quello riccio.» Sussultò, come scossa da un ricordo che solo lei poteva conoscere. «Io … non sai che figura ci ho fatto! E- ero completamente fuori di me … qualche settimana fa … lui … mi avevano fatto un brutto scherzo, con tutta quella vodka … e poi ero rimasta tutta la notte sveglia a studiare … Con che faccia mi presento adesso a prendere le ordinazioni?»

Drew sospirò.

«Charlie … vodka?» Sgranò gli occhi, realizzando improvvisamente ciò che stava dicendo l’amica, che non era certo un tipo da wild life. «Comunque, ehm , ascolta … »

Ma lei scattò in piedi, illuminata. «Idea! Ci andrai tu. »

«No, non credo proprio.»

«Oh ti prego, che ti costa?» Aveva già acchiappato un altro grembiule e ora glielo stava schiaffando in mano. « Dai, è questione di minuti! Mettiti questo e sarai perfetto. A parte forse … » Tirò giù la zip della sua felpa e se ne appropriò, ignorando i suoi brontolii di protesta. « Beh, uhm … Bene» Disse, lanciando uno sguardo non troppo convinto alla fila di cerchietti d’argento sull’orecchio destro di Drew, che si stava sistemando la “divisa” . «E ti servirà questo.» Gli porse un piccolo block notes scarabocchiato e lo spinse con foga verso i tavoli.

Drew si morse il labbro inferiore e tirò su le maniche della maglia leggera. Osservò i due ragazzi che parlottavano sommessamente, la faccia preoccupata del riccio, il sorriso incerto dell’altro, alzò la testa e si diresse a grandi passi verso di loro. Aveva come la strana sensazione di conoscerli.

«Che vi porto?» Domandò, sforzandosi per mantenere un tono di voce che fosse udibile, dato che era abituato a grugnire, più che parlare. Si bloccarono e gli parve che il ragazzo con gli occhiali lo stesse letteralmente squadrando.

«Per me una birra.» Rispose pronto, con un sopracciglio alzato. L’altro, però non era evidentemente intenzionato a rispondere. Visibilmente incazzato, sembrava che non si fosse minimamente accorto di Drew e fissava ancora l’altro, accigliato, come in attesa di una risposta.

«Joe … »

«Facciamo due birre.» Si affrettò ad aggiungere quello. «Anzi, cambia la seconda birra con una Red Bull.» E con una sola occhiata gli fece intendere che era meglio squagliarsela.

Andrew tornò al bancone sbuffando per il sollievo, gli occhi azzurri sgranati. «Ma tu, come fai a fare questo per tutta la giornata?» Domandò a Charlie quando la vide ricomparire sommersa dai piatti.

*

Eppure, forse per la presenza dell’amica che era rimasta per cena o perché suo fratello Keith dopo cena tracannò proprio una Red Bull, quegli assurdi pensieri non abbandonarono Drew per tutto il resto della serata.

Era certo di aver già visto quei ragazzi, ma non ricordava quando. Stava diventando una questione di orgoglio, e se c’era un punto debole di Drew era esattamente l’amor proprio. Nella sua testa qualcosa c’era qualcosa di molto simile a un bombardamento; I pensieri correvano, esplodevano, si dimenavano … ma non morivano mai.

Strano? Insolito? Di più. Andrew Lewis Fawn era noto per essere un ragazzo menefreghista e anche un po’ svampito, non per fissarsi a quel modo su questioni futili riguardo un ragazzo riccio e uno con gli occhiali di nome …

«… Joe.» Mormorò senza accorgersene.

«Cosa?» Charlie sembrava stupita. Abbandonò il cubo di rubik che teneva in mano sul tavolo e lo fissò, curiosa. «Che hai detto?»

«Niente» Balbettò Drew, ma un lieve rossore comparsogli d’un tratto in viso, evidenziando le lentiggini, lo tradì.

«Niente Charlie balzò in avanti con l’agilità di un felino per guardare l’amico bene in faccia. «Certo. E io sono Marylin Monroe.»

« Ehi, che fine ha fatto la ragazzina timida e dolce che balbetta quando gli parlo? »

«Temo che tu le abbia dato troppa confidenza.»

Si fissarono, annegati in un silenzio ansioso, finché Diana non irruppe in camera con due grosse coppe di gelato.

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo due ***


Ed ecco qua il secondo capitolo. Per il terzo ci vorrà un po’ di tempo in più perché il 13 di questo mese parto (Irlanda aspettami yu-hu!) e torno solo alla fine di agosto … quindi. Volevo ringraziare di cuore chi ha messo la storia tra le preferite e chi tra le seguite. Ora passiamo alle recensioni.

 

Jerry: Grazie, Chià. =) Sul serio. Aspetto di saperne di più da vicino.

 

AmAJonas: Carissimo! Le tue parole mi riempiono il cuore di gioia, mi fanno sentire che riesco a trasmettere veramente i miei pensieri e le sensazioni giuste. Continua a seguirla, voglio poterti dichiarare Lettore Fedele.

 

Catchme__ : Di solito sto ore a crucciarmi sui titoli, ma questo è venuto del tutto naturale. Mi fa piacere che tu trovi i miei personaggi umani, è proprio quello che per me è più importante. Volevi sapere qualcosa di Charlie? Beh, eccoti accontentata! In questo capitolo c’è tutto ciò che devi sapere. Grazie mille per la recensione =)

 

Maggie_Lullaby: Sono felice che ti sia piaciuto! E anche Drew ne è felice :D Potrai continuare a leggere di lui, dato che è il protagonista. Grazie per i complimenti e anche per la recensione.

 

Jeeeeee: è tantissimo che non ricevevo una tua recensione! (Avevo un altro account, Ice_Bubble) Come al solito, so che sono ripetitiva, ma sono orgogliosa che la storia ti piaccia e spero che continui a seguirla! Baci e grazie!

 

Mary: Come al solito io devo solo sposarti *-* Le tue recensioni –lunghe, corte, veloci- sono sempre bellissime e mi fanno sempre taaaanto piacere. Presidentessa ufficiale dal fan club di Drew? Chissà haha. Anche se già l’hai letto, ti invito a ri-goderti il capitolo. Baaaci. (Grazie!)

 

Spero di non aver dimenticato nessuno, in caso comunque G R A Z I E a tutti, siete un pubblico meraviglioso! Spero vi godrete questo capitolo.

 

 

 

 

Capitolo 2

 

Una settimana dopo, la pioggia non era ancora cessata. Londra sembrava inquieta. Dicembre era alle porte ed Andrew si ritrovò deluso a scoprire che era perfettamente puntuale. Ben presto un morbido manto bianco avrebbe sostituito lo spesso strato d’acqua che costringeva gli abitanti ad uscire di casa con gli stivali di gomma.

Scrutò attentamente il paesaggio oltre la finestra del soggiorno, come se si aspettasse di veder cessare il temporale da un momento all’altro, e sbuffò. Non si mosse quando udì dei passi incerti avanzare verso di lui.

«Drew … » Disse la voce di suo fratello minore, Keith. «Posso andarci io, se vuoi.»

«No.» Rispose secco, voltandosi per guardarlo in faccia e trovandoselo di fronte. Era visibilmente più alto, con morbidi capelli biondi come quelli di Sophie. Sembrava lui il più grande. « Tocca a me.»

«L’hai già fatto tre volte al posto mio, però.» Keith aggrottò le sopracciglia. «No … no, ci vado io.»

«Non fare il deficiente.» Sbottò Drew, contrariato. «E’ sabato mattina; Non hai scuola, no? Quindi chiama i tuoi compagni, organizzati, fai casino, spacca tutto e inviami una cartolina.» Fece per andarsene in cucina, ma il fratello lo bloccò tenendolo per il braccio. « Keith, perdio, smettila. Lo sai che questa cosa non ti riguarda. Hai diciott’anni, manda le responsabilità a quel paese e goditi la vita. E, per favore, non istigarmi a spaccarti la faccia.»

Si allontanò a passi grevi e raggiunse il corridoio dove la sorellina lo stava aspettando, stretta al suo Mr. Carrot. L’espressione rude che gli si era disegnata in volto si addolcì non appena la vide; Sophie sorrise. Drew, nonostante fosse generalmente un impedito con questo genere di cose, l’aiutò a indossare il cappottino rosa e, tenendola per mano, la condusse alla sua auto. Durante il tragitto non parlò molto. Nemmeno Sophie; Era una bambina molto matura per la sua età, e i suoi occhi non trapelavano alcun segno di paura o disagio.

Parcheggiò non lontano dal St. Peter Hospital, così che non s’infradiciarono del tutto durante il tragitto per raggiungere l’entrata della clinica. Era una struttura ampia, pulita e rinomata per la professionalità del personale. Drew aveva avuto più volte modo di appurare la competenza degli infermieri –ogni volta che il dottor Allen era assente, ce n’era uno a sostituirlo-, ma anche la gentilezza delle segretarie che si trovavano su ogni piano.

Al quarto, il piano interessato, c’era Sherry; Labbra rosse e capelli nero pece, sempre ordinati in uno chignon. Aveva preso l’abitudine di salutarlo ogni volta che lo vedeva passare, e lo fece anche quella mattina. Drew rispose accennando un sorriso e s’infilò in sala d’attesa, preceduto da Sophie. La bambina conosceva così bene quel posto da sentirsi in famiglia. Infatti si mise subito a giocare con un ragazzino magrissimo, dall’aria malaticcia e occhi verdi.

Lui nel frattempo si sedette su una delle sedie blu e constatò con piacere che la stanza era vuota, ad eccezione di una donna che doveva essere la madre dell’amico di Sophie. Aveva capelli scoloriti e unghie molto lunghe, laccate di rosa shocking. Leggeva un libro dalla copertina nera ormai consunta.

Drew guardò in alto, poi in basso. Si pentì amaramente di non esser rientrato a casa a prendere l’i-POD, quando in auto si era reso conto di averlo dimenticato; Aveva avuto paura di dover affrontare di nuovo Keith. Temeva di non sopportare l’espressione afflitta di suo fratello minore per un minuto di più. Lanciò di nuovo uno sguardo al soffitto, a sua sorella e poi …

«Excuse me.» Disse una voce con marcato accento americano. «E’ … qui per il dottor Allen? » Occhi smarriti. Capelli ricci che Drew aveva senza dubbio già visto.

«Il dottor Allen è un pediatra, giovanotto. » Ribatté la donna con le unghie rosa, visibilmente seccata.

«Questo è impossibile …» Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. «Visto che è il mio medico.»

Un fracasso di metallo e carte attirò l’attenzione di tutti qualche metro più in là. Una ragazza con il camice bianco, il cui viso era diventato color porpora, si piegò a raccogliere la sua cartellina, gli occhi fissi su tutti loro. Drew la riconobbe come la figlia del dottor Allen.

«V-veramente … »Spiegò, raccogliendo alcuni fogli.«Il dottore è anche un pediatra.» Osservandola meglio, non riuscì ad evitare al suo stomaco una capriola. «Visita gli adulti in orari diversi.»

Sì alzò, ancora rossa in volto, con i capelli che le ondeggiavano mossi sulle spalle. Era senz’altro particolare; Aveva molte più lentiggini di quelle di Keith, a cui ne era spuntata una bella spruzzata sugli zigomi, ma meno marcate, in modo che non creassero troppo contrasto con la pelle incredibilmente chiara. Ma non fu tanto quello, a colpirlo; Più il fatto che avesse occhi bicromatici. Evitava accuratamente di incrociare lo sguardo del riccio.

«Comunque … » Disse infine, impossessandosi di un tono più sicuro. «Oggi il dottore non ha altre visite, per cui tu puoi accomodarti dopo …» Lanciò un’occhiata distratta a Drew, che strinse appena le labbra carnose. « … L’ultimo.»

Scappò letteralmente nello studio del padre, le scarpette ticchettanti sul pavimento lucido, e quando si chiuse dietro la porta bianca, Drew rifletté; Era troppo giovane per essere un vero medico. Doveva star facendo tirocinio o qualcosa del genere.

«E’ tanto buona, Bee.» Sophie, senza che lui se ne fosse accorto, si era avvicinata e aveva occupato il posto accanto a lui. Il bambino e sua madre, davanti alla porta spalancata, si preparavano ad entrare per la visita.

«Bee?» Domandò Drew, senza riuscire a capire.

«Sì» Annuì Sophie con convinzione e indicò la ragazza oltre la porta. Nemmeno il tempo di realizzare o di aprire la bocca per rispondere che, come ogni volta che aveva intenzione di parlare, fu interrotto.

«E’ decisamente strampalata.» Commentò il ragazzo coi capelli ricci prendendo posto alla sua sinistra, e lui ebbe un’inspiegabile morsa allo stomaco.

«No.» Ribatté, contrariato.

«Prego?»

«No, non lo è.» Cadde un silenzio ostile, durante il quale Drew ebbe modo di studiarlo per bene.

Fu così che, all’improvviso, ricordò. Quel ragazzo … l’aveva già visto ben due volte. Quando però si voltò di nuovo, pronto ad attaccarlo, quello, con sua grande meraviglia, gli sorrise.

«Piacere di conoscerti, comunque.» Disse, tendendogli la mano. «Sono Nick.»

«Tu … » Sibilò Drew, gli occhi ridotti a due fessure. «Ti ho già incontrato, una volta. »

«Sì, e mi hai quasi fratturato il naso.» Scoppiò a ridere, davanti alla faccia allibita dell’altro. « Ma avevi perso la testa, lo capisco. Dovevi avermi frainteso alla grande. »

«Frainteso

Strinse i denti e il suo cellulare vibrò nella tasca dei jeans. Lo estrasse di malavoglia; Il display lampeggiava un messaggio e una chiamata persa di Charlie … fu sorpreso di trovare un sms incredibilmente lungo. Non poté fare a meno di sgranare gli occhi, mentre scorreva con l’apposito tasto in giù, verso la fine. La rabbia, la malevolenza, l’inquietudine che quel Nick aveva creato in lui erano scivolati via, sostituiti da un grosso senso di smarrimento misto ad odio verso l’amica- quella che credeva un’amica. Spense il cellulare, preso da uno scatto d’ira, e tornò a guardare il ragazzo accanto a sé. Di nuovo s’era messo a parlare con la sua sorellina. Non riusciva ad infuriarsi, però. Era troppo concentrato su Charlie e … su una parte di quel messaggio.

 

‘… così, papà ha accettato e ha detto che ci trasferiremo il prima possibile, giusto il tempo di metter via le mie cose. ’

 

Parole taglienti, crudeli, bastarde gli rimbalzavano nel petto e poi nella gola, facendogliela bruciare: Papà. Accettato. Trasferiremo. Il più presto possibile.

La sua unica amica si trasferiva a Glasgow per un’offerta di lavoro irrinunciabile. Faceva le valigie e tanti saluti, a mai più rivederci. Non riusciva a trovare confortò nel suo “sono distrutta”, perché era lui ad essere distrutto. Lui, cretino deficiente, che le aveva dato fiducia. Se solo …

«Allora … » Disse Nick tutt’a un tratto interrompendo i suoi pensieri. «Da quanto tempo l’avete scoperto?»

«Cosa?» Drew strinse il cellulare in mano così ferocemente che avrebbe potuto frantumarsi in mille pezzi da un momento all’altro.

«Il diabete» Spiegò l’altro, con semplicità. «…. della bambina.»

«Oh.» Sentì la furia abbandonarlo per un attimo. Lasciò andare il cellulare e quello cadde a terra con un colpo secco, la batteria schizzò via . « Al diavolo! » Sì chinò a raccogliere i pezzi, poi tornò a guardare Nick, gli occhi di un azzurro profondamente offeso. «Da un po’ … di anni Lanciò un’occhiata a Sophie che giocava col suo peluche rosa confetto e storse la bocca. «E tu?» Domandò, senza voltarsi. «Voglio dire, anche tu …»

«Io ero più grande, quando l’ho scoperto. » Nick aveva un tono insolitamente sereno, calmo … rassegnato. «Avevo tredici anni e la giusta dose di maturità per rendermi conto di cosa mi stesse succedendo. » Si fermò, come a riprendere fiato . «Ma credo che lei sia stata più fortunata di me.»

In tutta onestà, Andrew non aveva la minima voglia di discuterne Avrebbe solo voluto non essere lì in quel momento, come era giusto che fosse. Non riusciva ad odiare sua madre, che da qualche mese a quella parte aveva preso a ogni sparire puntualmente ogni week-end, ma gliene faceva sicuramente una colpa.

Era lei quella che avrebbe dovuto essere in sala d’aspetto con sua sorella, lei che sarebbe dovuta entrare in quel posto orribilmente triste. Era lei, la madre.

Era innegabile che si fosse offerto lui di sostituirla, ma solo perché voleva che Diana riuscisse a realizzare le sue ambizioni e per quello aveva bisogno di tempo. Malice era … assolutamente inadatta. E Keith faceva parte di un gruppo di fighetti dell’ultimo anno nella sua scuola, non poteva rischiare che lo vedessero accompagnare da qualche parte la sorellina. Lo avrebbero dichiarato ‘fuori’ nel giro di pochi minuti.

Dalla porta bianca uscirono il bambino malaticcio, che salutò allegramente Sophie, e sua madre. Li guardò allontanarsi, prese Sophie per mano e si avvicinò.

In una stanza bianca e luminosa, intento a scrivere piegato sulla scrivania, c’era il dottor Allen. Era un tipo niente male. Alto, dall’aria affabile, occhi grigi nascosti dietro un paio di lenti non troppo spesse. Alzò lo sguardo, notò sua sorella e sorrise.

«Oh, signorinella Fawn» Disse. «Che piacere rivederti!»

Sophie lasciò Drew sull’entrata e gli si avvicinò. «Ciao dottore!»

Il ragazzo fece istintivamente per seguirla ma qualcuno lo bloccò, piazzandoglisi davanti. Drew vide Bee, molto più tranquilla di prima, in piedi a qualche passo da lui, con un’espressione rassicurante dipinta sul volto.

«Non preoccuparti per lei, aspetta pure fuori.» Lo spinse dolcemente più indietro di qualche passo. «Me ne occuperò io.»

E gli chiuse la porta bianca in faccia.

 

*

 

Tornarono a casa ad ora di pranzo e Sophie corse di sopra non appena Drew spalancò l’uscio e il moderno salotto in ciliegio comparve nella sua visuale. Era di nuovo zuppo da capo a piedi. Posò l’ombrello nel vaso decorato, esausto, e si lasciò cadere sul divano più vicino. Sospirò e chiuse gli occhi. Era nel pieno di un viaggio tra i suoi ricordi, quando Diana lo interruppe.

«Dee, è passata Charlie per te, prima.» Annunciò, entrando nel salotto con aria sconvolta. Aveva i capelli rosso fiamma legati alla bell’e meglio, una matita dietro l’orecchio e occhiali da vista.

«Che vada pure a farsi fottere!» Rispose il fratello con un inconsueto impeto nella voce.

«Ma Andrew … » Gli si sedette accanto, tirando le gambe sul divano e stringendole nelle braccia esili. «Non trattarla così. Sai benissimo che non vuole andarsene.»

«Beh, però lo fa.» Ribatté.

«Drew …»

«No, basta così» Ringhiò. «Avrebbe potuto rimanere con sua madre, tanto i suoi sono divorziati, cosa ha da perdere? Invece no, va a Glasgow con papino a farsi una nuova vita … a trovarsi degli amici fighi. Tanto chi se ne fotte di quello sfigato di Drew? » S’interruppe, accorgendosi di avere gli occhi innegabilmente appannati e umidicci. «Non se la prenderà, tanto è un menefreghista … » Strizzò le palpebre e fissò la sorella. «Glasgow sarà una anche un’opportunità irrinunciabile, ma lei mi ha deluso.»

Sì alzò, un groppo enorme in gola, e filò nella sua stanza prima che Diana potesse fargli altre domande, lasciandola a bocca aperta a chiedersi se sul serio suo fratello avesse parlato così tanto in una sola volta.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo tre ***


Ouf, ouf, ouf, eccomi, ce l’ho fatta!

Incredibile ma vero ragazze, scusate per l’abominevole ritardo ma come sapete con l’estate in corso è più difficile ricavare tempo da passare in casa a scrivere. Ammetto di avere avuto anche un po’ di difficoltà con questo capitolo, ma mi pare che il risultato sia abbastanza soddisfacente.

E ora, prima di passare ai ringraziamenti, vorrei spiegarvi un paio di cose sul capitolo. Allora, l’hurling è uno sport tipico irlandese che è a metà tra il baseball, hockey, calcio e un sacco di altri sport. Anche se all’inizio sembra astruso, vi assicuro che una volta cominciato a capire il meccanismo è davvero carino!

Poi … non conosco bene Londra, per cui ho fatto un casino con le cartine e le zone di residenza dei personaggi; Se qualcuno di voi è esperto in campo, imploro perdono per eventuali pasticci o contraddizioni :D

E infine, preparatevi a conoscere un paio di personaggi nuovi! Pronti?

Dove andate? Prima le recensioni!

 

SofyJbthebest: Grazie mille per i complimenti, la tua recensione mi ha fatto sorridere e incitata a scrivere!

 

Slideaway_: Carissima! Grazie per il buon viaggio (in ritardo) lo è stato davvero (: e soprattutto grazie infinite per la recensione, e non preoccuparti per Drew! Non sarei capace di far del male ai miei personaggi …. Forse!

 

Maggie_Lullaby: Ciao! Figurati per il ritardo, che scherziamo? Già è tanto che mi hai recensita *felicefelicefelice* Grazie mille anche a te (sembro ripetitiva, lo so, ma devo ringraziarvi ad una ad una) e grazie anche per gli auguri per l’Irlanda.

 

Titty90: Miss Blood! Mia cara! Grazie per la recensione *lovva immensamente e coccola* e non temere per le sorti di Drew, lui è forte e Charlie è pur sempre solo una donna :D Ma sto spoilerando. *shhht*

 

Lauretta_: E veniamo a una recensione totalmente inaspettata ma graditissima! Una veterana della sezione di cui io leggevo le storie che ora segue le mie ed addirittura mi recensisce, con tutti questi complimenti, non può essere per un me che un grande onore! *si inchina* Spero di non deludere le tue aspettative e che continuerai a seguirmi. Grazie mille.

 

E ora, finalmente, vi lascio! :3 Ah, mie care recensitrici *attacco d’affetto*, sappiate che vi AMO.

 

Buona lettura da una Sheep ansiosa di conoscere le vostre opinioni –leggi e compara i prezzi! *roll*

 

 

Capitolo 3

 

A due settimane dalla partenza di Charlotte, Diana era seriamente preoccupata. Suo fratello non era andato all’aeroporto a salutare l’amica- o meglio, ex amica-, né aveva proferito parola a riguardo, ma ora stava diventando una sottospecie di cadavere ambulante. Pallido, smunto, magro come non l’aveva mai visto, i vestiti oramai erano diventati così larghi che avrebbe potuto starci dentro tranquillamente quattro o cinque volte.

A colazione, quella mattina, nessuno aveva ancora aperto bocca. Sophie mangiucchiava in silenzio il suo toast, il coniglietto rosa stretto sotto il braccio sinistro, Keith aveva due grosse occhiaie violacee e l’aria stravolta di chi ha dormito si o no un’ora in tutta la notte. Malice, invece, si era alzata alle cinque. L’aveva trovata una decina di minuti prima china a studiare uno dei suoi spartiti, accoccolata nell’unico posto in cui avrebbe resistito per più di tre minuti di seguito: il suo pianoforte.

Drew era quello che stava peggio di tutti; Gli occhi azzurri erano insolitamente chiari, opachi, quasi vitrei. I capelli color fiamma lunghi e spettinati gli coprivano una bella porzione di viso. Era seduto a tavola da quattordici minuti e non aveva ancora toccato niente. Diana lo osservò fino a quando tutti si furono alzati: Non mandò giù nemmeno una briciola. Lo afferrò per il braccio appena fece per sgattaiolare via.

«Tu» Disse, mentre lui si voltava a guardarla sorpreso. «Tu ti stai uccidendo!» La risposta di Drew fu una risata spontanea, come se la sorella si fosse messa di punto in bianco a delirare. «Andrew, Cristo santissimo, non sto scherzando!»

«Sto bene.» Borbottò Drew, di nuovo serio. «Benissimo.»

Diana si aggrappò alla sua felpa con uno scatto esasperato. Tirò una manica e poi l’orlo inferiore, mostrandogli il perimetro della stoffa che sembrava appena più piccola di una tenda. «Questo non mi sembra stare bene.» Il ragazzo indietreggiò, cercando di indurla a mollare.

«Beh, allora pensa ai cazzi tuoi e basta.» Si sistemò la stoffa sul braccio con un’attenzione maniacale che non sfuggì all’occhio acuto della maggiore.

«Permetti? Sono eccome cazzi miei.» Indicò la stanza intorno a loro con un cenno vago.« Soldi del funerale a parte, ma non hai il diritto di lasciarmi sola con tutto questo. E lo sai. »

« Io sto bene

«Ah sì?» Con la gola bloccata da un fastidiosissimo nodo, Diana lo acchiappò per il braccio sinistro e scoprì il polso. Una grossa cicatrice partiva dal palmo fino ad arrivare all’interno dell’avambraccio.«Credi che io non l’abbia notato? Credi che io sia stupida?» L’impetuosità di quel gesto e la veridicità di quelle parole colpirono Drew come uno schiaffo in piena faccia. Strinse i pugni, arrossendo vistosamente. «Come hai fatto, eh? Che diavolo hai combinato?»

«Niente.»

«Niente? Va al diavolo, Andrew, hai un braccio sfregiato!» Sospirò. «Forse dovrei … dovremmo cercare di tenere sotto controllo questa cosa.»

«Senti …» Ringhiò l’altro, impaziente di abbandonare la sorella e quell’insopportabile conversazione.« Ho diciannove anni. Non avrò l’età per bere,ma sono abbastanza grande per decidere cosa fare della mia merda di vita. Chiaro?»

«Ed è come lei che vuoi finire, vero?»

La distanza tra loro si riempì di un silenzio agghiacciante. Drew dischiuse le labbra, mentre l’immagine di sua madre nel bel mezzo di una delle sue crisi gli passava davanti agli occhi. «Non finirò mai come lei.»

«Credimi, sei sulla buona strada.»

*

Nicholas Jerry Jonas non riusciva a crederci: aveva ricominciato a piovere. A diluviare, anzi. Le temperature erano più basse dell’immaginabile e il clima completamente diverso da quello texano. Troppo. Sospirò; Stava cominciando sul serio a disprezzare l’Europa. Bramava luce, sole, e non solo a livello di condizioni atmosferiche: i londinesi erano totale depressione. Gli mancava il calore di un sorriso –a dire la verità non gli era mai capitata una sensazione simile- e la disponibilità tipica degli americani.

Nascose il naso nella sciarpa, continuando a tamburellare con impazienza sul cruscotto; Era bloccato nel traffico da più di un’ora, ormai. I tergicristalli scivolavano rumorosamente da destra a sinistra rendendo a tratti più nitida la visuale.

Accelerò di poco e si spostò avanti di qualche metro. Guardandosi intorno, tra le luci rosse dei fari, non poté fare a meno di notare una figura sul marciapiede. Una ragazza, completamente fradicia, chiedeva l’autostop con aria scazzata.

Un paio di auto abbassarono i finestrini nella sua direzione ma evidentemente la ragazza non apprezzava le facce degli autisti, perché li ignorò del tutto. Nick scoppiò a ridere di gusto quando alzò il dito medio verso la portiera di una Lamborghini.

A dire la verità gli si era insinuata in mentre l’idea di invitarla a salire, solo per poter assistere alla sua reazione- che sarebbe stata di sicuro imprevedibile, ma sapeva che non gli conveniva rischiare a quel modo; Se fosse stata una fan dei Jonas Brothers -anche se non lo sospettava minimamente- avrebbe firmato con un solo gesto la sua condanna a morte. Aspettò qualche minuto; Ne erano passati quindici quando la tempesta cominciò a peggiorare e lui non resistette dal tirare giù il finestrino e chiamarla a gran voce.

«Ehi! Ehi, tu! » La ragazza si voltò. Aggrottò le sopracciglia, scrutandolo, e si avvicinò alla macchina.

«Hyde Park . Passi di là?» Domandò, gelida.

Nick annuì. «Ah-ha. Vado a West End

«Bene

Si strizzò i capelli come le cameriere facevano con gli strofinacci nel suo nuovo appartamento – la cascata d’acqua che le inondò le scarpe non fu meno copiosa- e s’infilò velocemente in macchina. Nicholas ebbe modo di osservarla più da vicino: I capelli scuri contrastavano con un paio d’occhi incredibilmente grigi, più vivi che mai. La pelle chiarissima era coperta di lentiggini e, cosa che più lo colpì a primo impatto, non era truccata. Sotto tre o quattro strati di stoffa pesante nascondeva una struttura corporea incredibilmente esile anche se, allo stesso tempo, non minuta.

Non spiccicò parola durante la prima parte del tragitto. Rimase in silenzio finché Nick non fu preso dalla curiosità e le chiese il nome, cosa di cui si mostrò sorpresa.

«Ra … chel. » Disse. «E tu?»

«Ni … cholas.» La scimmiottò lui; La ragazza non rise. Alzò un sopracciglio nella sua direzione e tornò a fissare la strada oltre i vetri. Ma Nick non capitolò.«Sei di queste parti?»

Scosse la testa. « Dublino. Tu?»

«America.» Sorrise. «Dallas.»

Avevano progredito di ben dieci metri quando Nick si voltò verso i sedili posteriori, pescò dal suo borsone la giacca della tuta e gliela porse. Rachel lo scrutò con aria scettica per alcuni secondi;Non si mosse.

«Prendi; O con quella roba fradicia addosso ti ammalerai.»

«Sto bene.»

«Insisto.» La guardò. La ragazza sgranò appena gli occhi, perplessa dalla sua spontaneità, ma scosse di nuovo la testa.

«Ho detto di no.»

Tuttavia, dopo una serie di vani tentativi, riuscì a convincerla. Un’espressione divertita gli si dipinse in volto mentre Rachel sospirava e, a malincuore, si liberava del cappotto. Poi, con un’altra agitata e tortuosa serie di movimenti, si cambiò anche la maglietta zuppa con la felpa asciutta, senza lasciar intravedere nulla al di sopra dei fianchi. L’indumento le stava decisamente grande, però il blu elettrico faceva un bell’effetto sulla sua pelle.

«Grazie.» Borbottò, senza palpabili segni d’imbarazzo o disagio. «Ma sappi che non saprò restituirtela.»

«Tranquilla.» Scrollò le spalle, per niente agitato all’idea di perdere un capo d’abbigliamento così inutile. Piuttosto, sorrise tra sé, domandandosi se presto o tardi la sua felpa sarebbe finita su e-bay.

Giunsero ad Hyde Park prima del previsto. Rachel abbozzò un paio di ringraziamenti e Nicholas si ostinò a prestarle anche un ombrello, che, da quel che riuscì a vedere attraverso i vetri appannati, la ragazza non usò. Ripartì poco dopo, rassegnato all’aspettativa di una cena cinese con Joe e la sua solita irritabilità.

 

*

L’indomani, la pioggia si era trasformata in grandine. Bridget si sistemò il plaid sulle gambe e riprese a leggere, seppur interrotta ogni tanto dalle urla di esaltazione o disdegno di suo padre e suo fratello, nella camera accanto. Da quando si erano trasferiti a Londra e avevano preso l’abitudine di guardare le partite di hurling dal portatile di Mike, in streaming, dimenticavano troppo spesso di trovarsi in un appartamento in Hyde Park e non su un campo irlandese. Sorrise tra sé, ripensando alla loro immagine pubblica e considerando il contrasto realtà-apparenza; Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che il noto dottor Allen o suo figlio, il richiestissimo fotografo, si scomponevano così tanto per un semplice goal. In tal caso la loro reputazione di uomini seri ed affidabili si sarebbe trovata in grave pericolo.

Era già tornata al decimo capoverso quando sua sorella Rachel rientrò in camera. Si era appena fatta una doccia ed aveva i capelli scuri ancora gonfi di phon. La fissò, inarcò un sopracciglio e arricciò il naso in direzione del libro.

«Che roba è?» Bee si rigirò tra le mani ‘Oltre la Scienza- volume 7; Animali e comportamenti’ e scrollò le spalle.

«Un’enciclopedia.» Arrossì, quando l’altra la guardò come se avesse appena bestemmiato. «E n-non fissarmi così, Rain!»

«Bah

Del tutto rassegnata all’idea di rimanere per sempre ignara del contenuto della testa della sua gemella, Rachel scosse la testa e raccattò la felpa blu elettrico che aveva mollato su una sedia la sera precedente, la piegò e la sistemò nell’armadio. Bridget non si accorse di nulla; Rain considerò che era decisamente meglio così e ripensò al ragazzo della Mustang. Aveva riso per gran parte del tragitto, probabilmente divertito dalle sue pessime condizioni. Nel più verosimile dei casi le aveva dato un passaggio per pietà. Non sopportava l’idea, ma la preferiva senz’altro a salire in macchina con un drogato o un maniaco. Sbuffò; D’altronde non era stata nemmeno colpa sua se Michael aveva dovuto fregarsi l’auto proprio il giorno dello sciopero dei taxi.

In ogni caso –si promise- non avrebbe mai, mai più fatto l’autostop. Poco ma sicuro. Adesso l’unica cosa di cui necessitava era la tempesta oltre la finestra della sua stanza e, possibilmente, dell’Irish Coffee.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro ***


Ed eccoci qui, col quarto capitolo!

Come al solito la mia scrittura non mi soddisfa ma ci tengo veramente tanto a portare avanti questa storia, la amo con tutta me stessa e spero che anche a qualcun’altro con l’andare del tempo rimanga nel cuore (un utopia, praticamente! x°D). Qui introduciamo due nuovi personaggi : la mamma dei Fawn, e quindi spieghiamo anche un po’ ‘perché’ chiariamo ancora di più la situazione familiare, e poi…. una figura completamente nuova. Lo so, sono tanti, ma il mio cervello crea personaggi in continuazione e non posso mica lasciarli ad impolverare! Mi auguro che anche questo capitolo vi piaccia- preparatevi a grandi sorprese.

Ora i ringraziamenti! Vi adoro!

La peeeeecora D: (E con l’andare della storia capirete anche il perché del nickname ;))

 

Fiery:Sempre la prima, Blood! Eeh non preoccuparti per il tuo caro Drew … è forte. Rachel e Nicholas….. hahaha sono pura poesiaH *modestamente parlando* Mi fa piacere che tu riesca a immergerti … Grazie di cuore come al solito J

 

Minako_86: Ce l’hai fatta! <3 Scherzi a parte le tue recensioni sono meravigliose e il fatto che fossero inaspettate me le ha rese ancora più piacevoli… le amoH! Ma sono troppo lunghe perché io mi metta a rispondere qui, devo postare prima di pranzoooo*muor* …. Tutti gli interrogativi su MSN- cheppoi tu sei quella che ne sa di più di tutti! *lovva* PS. Rifletti prima di pensare *_*

 

Maggie_Lullaby: Sì è lei! Ma quella era un’AU…. Staremo a vedere qui che succede tra Nick e Rain ;) Grazie mille per i complimenti, ti adoro anch’io :*

 

Slideaway_: cara Leti! Sei molto più che perdonata per il ritardo … Comunque ci tenevo a chiarirti una cosa: la famiglia di Drew è distrutta, vero, ma mica per Charlie! Sarebbe inverosimile … Ovviamente che lei abbia lasciato Drew allo sbaraglio non aiuta affatto. Rachel e Nick … bah, bah, non spoilero D: staremo a vedere J …. Mentre Michael e il dottor Allen sono fantastici, lo so. Anche loro, seppure personaggi prevalentemente cupi, alla fin fine sono uomini e da tali si agitano da morire per il destino della loro squadra del cuore! Grazie mille per i complimenti<3

 

Lauretta_: Ma tranquilla, le tue recensioni mi sembrano più che decenti! Di tue storie ho letto ... beh, ne ho lette abbastanza, se non sbaglio quasi tutte, anche se ora non ricordo i titoli *implora perdono*… nel vecchio account ne avevo qualcuna tra i preferiti se non sbaglio ….… Vabè, comunque, eccoti accontentata per quanto riguarda Charlie! E Drew è ancora tutto da scoprire, credimi =)

Per quanto riguarda Rachel … è un personaggio molto particolare, sì, ma spero che imparerai a conoscerla.

Grazie tutto come al solito, un bacio.

 

Sofyjbthebest: Oh mio Dio mi ero dimenticata di te °O° *peso sulla coscienza* Dovevo per forza ringraziare TUTTE le mie lettrici, perché ci tengo davvero a voi e spero continuiate a seguirmi. Grazie mille J

 

Buona lettura, mie care!

 

 

 

Capitolo 4

 

La neve donava a Londra una sfumatura di raffinatezza in più; La faceva in qualche modo brillare, senza spezzare il suo particolare contrasto di bianchi e neri. Gli alberi erano spogli e i viali oramai completamente ricoperti di uno spesso manto bianco che impediva ai padroni di casa di uscire. Per i più ricchi , proprietari delle villette a schiera nella parte agiata del quartiere, non esistevano questi problemi; Bastava mandare il maggiordomo, sull’esempio dei Thompson, ma c’era anche chi, come i Collins, preferiva farlo da sé.

Era meno costoso, più soddisfacente, e se avevi fortuna potevi assistere a spettacoli che le tue pettegole amiche all’ora del the avrebbe trovato davvero interessanti, tipo quella mattina.

Proprio al numero 12, la costruzione di cui le signore più chiacchieravano, una donna dai folti capelli rossi e un vestitino leggero che la signora Collins avrebbe indossato solamente in pieno luglio, inveiva furiosamente contro la cassetta della posta, i piedi nudi e arrossati e gli occhi irrimediabilmente cerchiati di nero. Si sporse per vedere meglio: poco dopo una figura più alta, incappucciata, raggiunse la prima e la scrollò per le spalle.

«Mamma!» Sospirò Drew, facendo appena pressione sulle spalle sottili.

«Che cazzo vuoi adesso?! Non vedi che sono impegnata?» Sferrò una manata al ferro gelido; Il palmo le divenne rosso e Cecil sbuffò, esasperata. «C’è un problema con questo cazzo di servizio postale, deve esserci un problema con questo cazzo di servizio postale!» Ringhiò. «Sono tre mesi, Lewis, tre, che aspetto la dannata lettera di tuo padre!»

«Mamma …» Drew inspirò di nuovo profondamente, imponendosi di rimanere calmo. «Mamma. Fa freddo qui fuori, andiamo dentro.» Provò a spingerla verso l’interno, ma la donna puntò i piedi a terra, salda nella sua posizione.

«Io voglio sapere adesso, in questo preciso momento, che problema hanno questi cazzo di uffici postali in Inghilterra o do fuoco a questa dannata città! E non azzardarti a ripetermi di tornare dentro perché non ci torno in quella schifosa casa! Mi fa schifo quanto il loro governo di merda e la loro fottuta regina!»

«Mamma!» Andrew stava tremando d’insicurezza, ma s’impose di non darlo a vedere. Piuttosto, indicò col dito l’ingresso e si rivolse alla madre con tono più saldo. « Rientra in salotto subito

«No! Non sei nessuno per dirmi ciò che devo fare! Sto aspettando quella lettera!»

«Quella lettera non c’è! Ora muoviti!» E, senza aspettare risposta se la caricò in spalla e si avviò verso la porta, ignorando le sue urla e il suo nervoso dimenarsi. Chiuse la porta a doppia mandata e si infilò la chiave in tasca.

«Figli del cazzo! Ingrati!» Gridò Cecil, fuori di sé.

Prese a camminare furiosamente per il salotto, riempiendo il silenzio di bestemmie. Nel frattempo Drew si era avvicinato a Sophie; Con le mani schiacciate sulle orecchie, il volto in fiamme, la bimba piangeva a dirotto raggomitolata in un angolo del divano.

«Vieni qui.» Le sussurrò il maggiore, facendo segno di raggiungerlo e stringendola forte quando lei gli lanciò le braccia al collo. «Sta’ calma, non è niente. Ora passa tutto.»

Eppure non fu così. Nei successivi venti minuti sua madre non fece altro che urlare e correre furiosamente su e giù per le scale, con una bottiglia di vodka prima e una di martini poi, divenendo così fastidiosa che Malice in persona si precipitò di corsa fuori dalla sua tana, gli occhi sgranati dalla rabbia e uno spartito stropicciato nel pugno destro. Drew si alzò di scatto: Tutto ciò era veramente troppo per una bambina di appena sei anni.

«Andiamocene di qui, piccola.» Le baciò i capelli, afferrò il cappottino rosso e senza esitazione si precipitò fuori, la sorellina stretta in braccio.

*

Joe e Nick viaggiavano su due binari paralleli destinati a non incontrarsi mai. Certe volte, per sentirsi più vicini, provavano a tenersi la mano per un pezzo del tragitto, ma poi, puntualmente, il groviglio di dita si scioglieva ed ognuno di loro cominciava a sperare in una svolta per il proprio cammino, una curva adatta ad allontanarli definitivamente, nella piena consapevolezza che ciò non fosse neanche lontanamente possibile. Allora, pur di non vedersi, indossavano dei paraocchi invisibili. Come in quel periodo.

Nick non poteva crederci: suo fratello era giunto da un altro continente su un volo pubblico per venirgli ad annunciare l’ultima cosa che in vita sua si sarebbe aspettato di dover sentire. Che Kevin fosse d’accordo, poi, non aiutava.

Kev, troppo impegnato a distruggere il suo matrimonio per pensare al lavoro, e Joe, troppo insoddisfatto per accettare la sua situazione attuale, erano riusciti a smantellare i suoi sogni nel giro di un mesetto. In un tempo altrettanto breve Nicholas avrebbe detto addio alle canzoni, alle fan, alla gente, alla notorietà e alla sua vita. A ciò che per lui era tutto.

«Capisci, Nicky, siamo troppo cresciuti per questo.»Aveva balbettato Joe in segno di scuse un paio di settimane avanti, quando finalmente aveva avuto il coraggio di sputare il rospo. «Io e Kev … vogliamo chiudere con questa storia. Mi dispiace.»

«Ti dispiace

Un vaso rotto, una fasciatura e un paio d’occhi gonfi erano tutto quello che Nick ci aveva guadagnato da quel ‘mi dispiace’. Avrebbe tanto desiderato che subito dopo la confessione il fratello se ne fosse tornato a Dallas con la coda tra le gambe, ma Joseph era evidentemente intenzionato a restare: aveva chiesto al minore ancora una settimana, il tempo di trovare una buona sistemazione. Dal canto suo, checché ne pensasse Nicholas, si sentiva a disagio in quell’appartamento e soprattutto con un peso così grande sullo stomaco; Lui e i suoi fratelli si erano sempre detti tutto, erano abituati a sostenersi reciprocamente, ma ora … scosse la testa, cercando di scacciare immagini troppo dolorose per essere ricordate.

No, nessuno avrebbe potuto dedurre a prima vista quanti chilometri di gelo polare si potessero attualmente contrare tra i loro cuori, mentre camminavano fianco a fianco lungo una strada semideserta, ma erano veramente tanti. Affogati nei loro pensieri, non si erano nemmeno accorti di una cascata di boccoli scuri che avanzava verso di loro a una velocità sorprendente. La ragazza, troppo di fretta per guardare dove andava, finì in pieno contro Joe, che d’istinto indietreggiò, lasciandola cadere nella neve con le mani incrociate davanti alla faccia. Si alzò sulle ginocchia, sfregandosi i palmi come a scacciare il gelo che se ne stava impossessando e i due fratelli le si avvicinarono, ancora sconvolti dalla velocità dell’impatto.

«Tutto bene … Rachel?» Nick spalancò gli occhi, meravigliato. Bee assunse le tonalità di un pomodoro maturo e scosse la testa.

«No … cioè … » Tentò d’alzarsi, ma le gambe le erano improvvisamente diventate troppo molli e cedettero. Fu lo scatto pronto di Joe, che l’afferrò per le braccia, ad evitarle una seconda caduta. «Grazie i-io … » Evitò accuratamente di guardarli. «devo andare.»

«Ma … »

La ragazza scappò via alla velocità della luce, prima che Nicholas potesse terminare la frase. Si passò una mano tra i ricci, visibilmente stupefatto e ignorò la smorfia divertita di Joe, rispondendogli invece con un’occhiata di fuoco.

«La conosci?» Fece il bruno.

«Sì … cioè no … più o meno.»

«Sì. Cioè. Più o meno. Bah.»

Ma non fece altre domande. Continuarono ad avanzare fino allo Starbucks più vicino.

*

I prezzi di Starbucks, nell’ottica di Drew, erano da considerarsi allucinanti: quattro sterline per un frappuccino al cioccolato e due e quaranta per un espresso gli sembravano decisamente esagerati, quasi ai livelli delle gelaterie italiane. Per Sophie, però, avrebbe speso anche tutti i suoi risparmi. Vederla sorridere come mentre cercavano un posto all’interno del locale gli scaldava il cuore nel modo in cui neanche tre strati di vestiti riuscivano a fare.

Si guardò intorno, alla ricerca di un tavolo libero, e ne adocchiò due accostati alla vetrina, uno accanto all’altro. Una cameriera ne sfregava la superficie in noce svogliatamente, in un movimento lento e circolare che gli rimandò alla mente Charlie.

Già, Charlotte. Gli aveva scritto più di venti e-mail, una per giorno, che Andrew aveva speditamente cancellato senza nemmeno aprire. L’aveva chiamato ripetutamente a casa e lui aveva ogni volta obbligato Diana a rispondere, proferendo di non volere sapere più niente dell’amica. Sua sorella aveva tentato di spiegargli che Charlie era a terra, praticamente a pezzi per la velocità con cui era avvenuta la cosa, che si scusava, che non aveva potuto farci niente e che il suo Fawny le mancava da morire, ma lui era stato irremovibile.

«Non ho tempo per lei, adesso.» Aveva detto, quando solo un paio di giorni prima era stato costretto dalla maggiore ad ascoltarla. Ed era vero. Non aveva tempo da perdere con il computer o col telefonino, Drew, non ne aveva mai avuto. Era troppo occupato a cercare di sopravvivere.

La ragazza col grembiule verde alzò gli occhi quando si sedettero al tavolino adiacente a quello che stava pulendo; Era esageratamente bella e non somigliava per niente a Charlotte. Capelli biondi, morbidi e finissimi incorniciavano un viso ovale dai lineamenti dolci, labbra carnose tinte di corallo e un paio d’impenetrabili occhi d’ambra colata. Sul cartellino c’era scritto ‘Adrienne L. Joyce’. Scoppiò un palloncino di chewing-gum azzurrognola e tornò a dedicarsi alle macchie sul legno.

«Allora, com’è?» Domandò Andrew alla sorellina che stava giocherellando allegramente col suo inseparabile peluche preferito.

«Supermegaarciultrabuonissimo!» Esagerò Sophie, facendo sfuggire al fratello un raro, meritatissimo sorriso.

La cameriera, Adrienne, osservò la scena e arricciò il naso; Vomitevole, considerò tra sé. Si voltò e fece per andare via ma sbatté violentemente contro qualcosa di scuro e freddo: Mise a fuoco una giacca di pelle.

«Guarda dove vai, ragazzino!» Esclamò, allontanandosi con un grugnito.

Joe le tenne lo sguardo piantato sulle gambe fin quando non scomparve del tutto oltre il bancone. «Che vuoi fare, oggi mi saltano tutte addosso» Commentò. «Però aveva un bel culo.»

Nick prese posto di fronte al fratello maggiore ed assaggiò il frappuccino al caramello. «Le inglesi sono così scontrose ..!»

«Io direi che anche il davanzale non è male!» Joseph accennò al seno prosperoso della ragazza, intenta a scribacchiare qualcosa su di un block notes.

«Se ti sentisse papà …»

«Papà è troppo impegnato a dissuadere Kevin a non mollare Danielle e sua figlia, per pensare a me.» Si sfilò gli occhiali e si passò una mano sulla faccia. «Non capisce che Kev può fare il padre anche senza essere marito di una donna con cui litiga ogni due per tre.»

«Il divorzio è una cosa seria.» Asserì Nick.

«E credi che lui non lo sappia? Diavolo, stiamo parlando di quello che ha aspettato di sposarsi per … » Sfoderò un sorriso sghembo in maniera fin troppo allusiva.

«Joe, le scelte di-

«Signor Nick!» Li interruppe una timida vocina. Sophie sventolò la mano in direzione del minore, con Mr. Carrot che pendeva inerme dal pugno sinistro. Nicholas sussultò.

«Oh! Ciao …» Abbozzò, riflettendo che, da quando era sbarcato in Inghilterra, pareva che certe persone lo perseguitassero. « Sophie

Joe si voltò in direzione della bambina bionda e gli occhi gli si illuminarono. «E’ una tua amichetta, Nick?» Sghignazzò.

«E’ … una bimba che ho incontrato all’ospedale.»

Nel frattempo quella aveva preso a sbracciarsi verso il tavolo accanto. «Drew! Drew, vieni qui! Vieni a vedere chi c’è!»

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque ***


Deo gratias! Ci credete? Io no!

Finalmente dopo tutta questa scuola e tutto questo studio (e studio, e studio e ancora studio) sono riuscita a portare a termine l’agognato quinto capitolo … *vittoria*! E’ stato –come Drew ama ripetermi- letteralmente un parto. Ma eccolo quiii! Ancora non realizzo.

Cooomunque, adesso dovrei ringraziarvi una ad una immagino. Però stavolta sono troppo impaziente di postare quindi rimandiamo i ringraziamenti alla prossima volta *schiva pomodori* e passiamo ad introdurre il capitolo. Qui c’è il nostro amato Kev, che era comparso molto poco ed avevamo introdotto nel capitolo precedente. Non è troppo lungo ma fa niente x°D

Ah, ci tengo a precisare che Danielle è una specie di OOC, quindi non vogliatemene se distruggo psicologicamente anche lei come tutti gli altri miei personaggi. :O

Gabriele Olivieri è una mia creazione, invece. Ma non voglio dirvi molto, buona lettura!

Lapecora-Sheep.

 

*Nome irlandese, si legge Scivòn. (Almeno, così mi è parso di capire dalla mia permanenza in Irlanda haha)

Capitolo 5

 

Kevin Jonas aveva tutta l’aria di un disperato e, in effetti, lo era.

Non tanto da ubriacarsi, forse, ma abbastanza da essere già al quarto bicchiere di Brandy e non avere la minima intenzione di fermarsi. Santiddio, era nella merda. Nella merda fino al collo. Riportò la sua testa –la sua difettosa, inutile testa- ad un paio d’anni prima quando, con un sorriso da ebete sulla faccia e i disgustosi sintomi dell’innamoramento, aveva pronunciato quel sì davanti a Dio. Quel dannato sì.

Rivide sua madre, fasciata in un elegante tallieur blu, commuoversi ed asciugare le lacrime nel fazzoletto di pizzo e poi suo fratello Joe, annoiato o assente, o entrambe le cose, fissare il soffitto come se non avesse mai visto una Chiesa prima d’ora. Rivide Nick e suo padre, sobri come gli abiti che indossavano, in prima fila e accanto, agitati e contenti, i genitori di Danielle. Era stato un bel giorno. Il giorno più bello della sua vita, aveva creduto in quel momento.

Poi sua moglie si era scoperta essere al secondo mese di gravidanza ed erano incominciati i problemi. E la casa, e lo stipendio, e tu il musicista non lo puoi fare, e devi assicurarmi un futuro, e la mia vita è uno schifo e i soldi, le bollette, non ho più vestiti da mettermi, eccetera, eccetera, eccetera. Ma in un primo momento l’aveva trovato anche sopportabile. Piacevolmente sopportabile. Perché era la vita matrimoniale e l’aveva messo in preventivo fin da subito. Poi era arrivata Destiny. Un nastro rosa e tanti, tanti parenti. Amore. Gioia. E le crisi.

Quei momenti in cui Danielle dava fuori di matto, quelli che gli avevano procurato graffi sulle braccia e una grandinata di lamentele dai vicini. Gli stessi momenti che lo stavano facendo impazzire.

«Fanculo.» Disse Kevin, con la voce impastata di chi è già più di là che di qua. «Questa roba fa schifo.»

Posò la bottiglia sull’inutile minifrigo tipico degli hotel a cui era abituato ad andare da quando non poteva più dormire a casa sua, si alzò ed afferrò la busta che con tanto impeto qualche ora prima aveva mollato sul letto. Se la rigirò tra le mani. Biglietti, ecco cosa conteneva. Un biglietto aereo di sola andata per Londra, dove i suoi fratelli –ci avrebbe scommesso- si stavano godendo la bella vita.

Che fare?

Se fosse stato per Danielle (oh puoi scommetterci papà se la mollo davanti a Dio o no)… ma Destiny, lei era innocente. Lei era piccola, una piccola bomba –bamba?-, oh si insomma una dannata bumba indifesa. No, non c’entrava nulla.

A Kevin Jonas girò la testa. I suoi dubbi si riversarono in una risata tanto sentita da fargli perdere l’equilibrio. Kevin Jonas si accasciò sul letto con un tonfo.

Kevin Jonas si addormentò, e sognò una grossa, grassa bumba ululante.

*

Adrienne si sistemò addosso il pellicciotto nero, non del tutto convinta. Si voltò verso destra, poi verso sinistra, poi se lo tolse e lo appoggiò sul letto. Piroettò nel vestito grigio un po’ troppo corto e fece ondeggiare gli occhi attraverso la stanza colma di vestiti alla ricerca del profumo, abbandonato poco prima in chissà quale angolino remoto. Le sue cugine, nel frattempo, erano impegnate in una nervosa discussione sul da farsi.

«No.» Ribadì Rachel per la terza volta. «Io quella roba non la metto. Nemmeno pagata. Non ci vengo, non mi interessa.»

«Oh andiamo Rain, è nostra madre! Ci tiene tanto! Potresti per favore cercare di andarle incontro? Solo per una volta.» Bridget sospirò, esitando alla vista degli abiti firmati che la madre aveva ordinato dal negozio più costoso di Londra appositamente per quella sera. Lo spettacolo che aveva finanziato, Les Miserables, andava finalmente in scena e il direttore aveva riservato per lei ben sei posti in prima fila.

«No. Perché dovrei? Non me ne frega niente.»

«Dacci un’occhiata, almeno.» Le sventolò sotto il naso la locandina spiegazzata di uno spettacolo teatrale, consegnatale poco prima dal fratello maggiore. «Non sarà nemmeno così noioso.»

«No, hai ragione, mi divertirò da morire a stringere le mani di quei lardosi dell’alta società inglese. E sai che spasso mimetizzarsi tra le loro leziose figliolette?»

«Ma smettila, sarà carino! Dai uno sguardo.» Insistette. Rachel le strappò di mano il depliant e lo scorse rapidamente. «C’è gente che pagherebbe cifre altissime per avere i nostri posti, sul serio.»

«E io non ho nessunissima voglia di passare la serata a guardare quelle quattro ochette sbattersi sul palco.» Sbraitò.« Lei e la sua dannata reputazione.» Borbottò tra sé, mentre scorreva il foglio senza leggere. «La odio.»

«Non dire così, non lo pensi nemmeno sul serio.» Bee era rossa di vergogna, come se la critica della gemella fosse stata rivolta a lei. Si fece coraggio e sorrise.«Guarda che a me il libro è piaciuto.»

«Quale libro, a scopo puramente informativo, non ti è piaciuto?» Arricciò il naso.« Bleah. »

Adrienne, che intanto aveva preso a truccarsi, espirò sonoramente. «Muovetevi, siamo in ritardo.»

«Oddio è la fine!» Pigolò Bridget, e, afferrato il tubino color pesca, si lanciò in una disperata corsa verso il bagno.

Rachel, intanto, prese ad esaminare con la dovuta attenzione il volantino … E per poco la saliva non le andò di traverso, quando riconobbe un’inconfondibile testa riccia, affiancata da un nome fin troppo familiare. Ricordò di una serata di pioggia torrenziale, in cui era stata costretta a chiedere l’autostop e un’odiosa auto americana. Così lui era

Scosse la testa, lanciò il volantino sul letto e, a malincuore, indossò l’Armani blu elettrico che la madre le aveva raccomandato di abbinare con alle scarpe più scomode del mondo.

 

Rachel si allontanò con la borsa troppo grande che dondolava ritmicamente e i piedi che dolevano, mentre qualcuno ancora batteva le mani. Bridget la seguì, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto e peggiorando il pasticcio che aveva combinato sulla sua faccia. L’una aveva disperato bisogno della madre, l’altra di un bagno. Bee si avviò verso le tende rosse a sinistra dell’enorme sala, senza riuscire a smettere di piangere, Rain invece si avvicinò ad una divertita ed entusiasta Meredith Joyce intenta a chiacchierare animosamente con chissà quale famoso regista o produttore o stilista plurimiliardario. Era una donna molto bella, dotata di tutta la classe e il carisma che servivano a quelle del suo rango. Capelli lunghi, perfetti, fisico da ex modella e zigomo un po’ troppo tirato, profondi occhi azzurri, dettagli sempre curati al massimo erano poche delle peculiarità che le permettevano di ottenere sempre tutto ciò che desiderasse.

«Siobhan, tesoro!*» Starnazzò, vedendo la figlia che si avvicinava. «Giusto in tempo! Lascia che ti presenti il signor Olivieri, viene direttamente dall’Italia. E’ uno degli stilisti più in voga del momento, sai?»

Frocio.” Pensò Rachel, ma stirò le labbra in un sorriso forzato. Gabriele Olivieri la salutò cordialmente nel suo inglese imperfetto, poi Rain passò all’azione. «Mamma, ti spiacerebbe un momento..?»

«Oh certo, certo, cara, che sciocca!» Ridacchiò e, facendo un cenno di scuse al trentenne con cui stava blaterando delle differenze tra beige e color crema, tirò la figlia in disparte. «Allora?» Domandò, cambiando improvvisamente tono di voce.

«Ho bisogno di accedere al backstage. Ora. Ci metterò cinque minuti. »

«Oh beh, cara, se volevi fare amicizia con gli attori potevi dirlo subito.» Ammiccò, e lasciandosi sfuggire l’ennesimo risolino –che fece guizzare furiosamente una vena sul collo della figlia- trotterellò nella direzione del produttore, con passo deciso e sguardo civettuolo.

Pochi minuti dopo Rachel si trovò smarrita in un turbine di individui superindaffarati. Tecnici delle luci, dei suoni, siparisti, allestitori, scenografi, costumisti, truccatori, parrucchieri, vagabondavano confusamente nel semibuio del minuscolo corridoio, rendendola ancora più confusa.

Alla fine lo trovò. Nicholas Jerry Jonas era intento a sistemare qualcosa, quando lo raggiunse. Si sentì un’emerita deficiente, ma decise che non le importava. S’era infilata per chissà quale motivo in quell’assurda situazione e adesso avrebbe fatto quella cazzata, volente o nolente. Nick trasalì non appena la vide.

«Non ci credo!» Fece, come se avesse appena rivisto un’amica d’infanzia dopo tanto tempo. «Che ci fai tu qui?»

«Niente.» Rispose Rachel, lapidaria. «Sono venuta a restituirti questa. E basta.» Tirò fuori dalla borsa una felpa blu elettrico e gliela lanciò sgraziatamente contro, senza avvicinarsi.

Il ragazzo sgranò gli occhi. «Questa?» Scoppiò in una risata spontanea. «Ma Rachel … »

«E basta.» Lo interruppe quella, e si voltò, facendo per uscire dal camerino.

«Ma … Sì, beh, allora ci vediamo!» Nick si sporse leggermente per vedere dove andasse. Rain si fermò per un attimo, facendo mancare il suo cuore di un battito.

«No.» Disse. «Non ci vediamo affatto.» Un sospiro, poi sparì dietro il sipario.

*

Michael Jay Allen era sul serio bellissimo.

Michael Allen era così bello che qualunque modella fosse mai entrata nel suo studio fotografico era finita col desiderarlo, e, nella serie di giorni immediatamente successivi, col finirci a letto. Michael Allen era paradisiaco, eppure faceva solo il fotografo. Ma Mike non era solo dotato di una straordinaria presenza, era perfino intelligente. Intelligente, silenzioso ed enigmatico. Il genere di ragazzo cresciuto in disparte tra i fischi dei compagni e le prese in giro per il suo secondo nome, l’asociale con gli occhiali sempre mezzi scassati che si era preso la sua rivincita trasformandosi in un giovane uomo fin troppo richiesto in ambito sentimentale quanto lavorativo. Adesso, a ventun’anni suonati, per i suoi era uno senza arte né parte –i suoi che lo volevano magistrato, i suoi che lo volevano avvocato, i suoi che lo volevano medico-, ma non si pentiva affatto delle sue scelte.

In un uggioso pomeriggio dicembrino, se ne stava affacciato alla finestra, a torso nudo, una Winston Blue tra le dita affusolate, ripensando ai Natali passati e a quello venturo, sul serio troppo vicino perché avesse il tempo di fare tutto ciò che doveva prima delle feste. Le strade erano già illuminate a dovere dalle meravigliose luci colorate con cui i vicini facevano a gara. Ghignò. Stava letteralmente morendo di freddo eppure non aveva voglia di andare a prendere un maglione per coprirsi. Continuò semplicemente a fissare il vuoto, gli occhi di ghiaccio –così simili a quelli di sua sorella Rachel – puntati sui passanti. Il cielo tremava d’oscurità. Michael si destò tra i suoi pensieri e, abbandonata la sigaretta, si affrettò a risistemare le lenzuola spiegazzate.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo sei ***


Ollellè, ollallà, dai che ce l’ho fatt, dai che ce l’ho fatt! ♪

Eccomi qui, dopo più di un mese, ce l’ho fatta a finire anche il sesto capitolo. Mi sento un mostro per il ritardo, ma avevo predetto che con scuola e roba gli aggiornamenti sarebbero stati molto irregolari. Perciò, ora andiamo a commentare il nuovo capitolo.

Bene cose da dire: Nella prima parte troverete citata una leggenda, la leggenda di Gesù e il pettirosso, che a me raccontavano da piccola e che ho immaginato anche Nick conoscesse, ma probabilmente in realtà in America nemmeno circola.

Nella seconda parte, invece, nomino la settimana della moda di Parigi, che ho sentito menzionare ne ‘Il diavolo veste Prada’ (?), in quanto di moda ne so poco e niente. Quindi se non esiste, l’ho inventata. Se esiste … l’ho inventata lo stesso, mi scuso per eventuali incoerenze.

Mh, che dirvi … nuovo anno, più sorprese! ;D tenetevi forte.

Bacione, Sheep.

 

*Il gioco delle dieci domande è stato teoricamente ideato da me, e, se esiste, non so come in realtà funziona.

**La rivista è di pura fantasia e, se esiste un settimanale femminile con questo nome, questo non ci ha assolutamente niente a che fare.

 

E ora, i ringraziamenti (che vi spedirò anche attraverso il simpatico strumento ‘rispondi alle recensioni’)

 

Mar: Visto? Ho postato :D La tua recensione è chilometrica e sebbene l’abbia riletta mille volte non riesco a ricordarmela * Alzheimer* … comunque, non posso che dirti grazie. Grazie perché mi sostieni, grazie perché sopporti le mie crisi quando mi salta la voglia di non pubblicare, grazie per tutta l’ansia con cui attendi ogni nuovo capitolo. Grazie perché le tue recensioni mi tirano su quando sono giù di morale :3 Grazie.

 

Hedley: E beh, sì, c’è una caterva di grazie pure per te. Grazie perché, tra tutte le fan fiction di cui questo sito è inondato, hai scelto proprio The last rose. Grazie perché è soprattutto per te che posto, oltre che per Marta e Mary –loro leggerebbero comunque, ma ci tengono per la sezione e per la storia stessa-, perché tu sei una delle lettrici/recenstrici più assidue e perché so che se interrompessi non potresti sapere come va a finire. Grazie perché alla fine ti sei affezionata a Drew e la combriccola, grazie di tutto. :)

 

Mary: Vabbè, Blood, pure per te GRAZIE è poco. Grazie per tutto quello che fai per noi. Per me e per Drew e per The Last Rose. Grazie per gli scleri, i consigli, il volto di Gwen che non so perché la tua finestra di msn mi ha ispirato *muor* Grazie perché, nonostante tutto, la recensione hai voluto lasciarla lo stesso. All’ultimo momento, ma hai voluto lasciarla comunque. Grazie.

 

E grazie anche a voi, lettrici silenziose, se ci siete. Grazie a tutte, Lettrici Fedeli. <3 Vi voglio bene.

 

Ma bando al miele … il capitolo volete leggerlo o no?

 

 

 

Capitolo 6

 

Dopo l’ennesimo incontro con Drew, questa volta allo Starbucks, Nicholas aveva intuito che c’era qualcosa in quell’assurdo ragazzo coi capelli rossi, qualcosa che qualcuno dall’aldilà –supponendo che esistesse sul serio un aldilà- stava cercando di comunicargli. Perché -ne era certo- non era statisticamente possibile che due quasi-sconosciuti s’incontrassero così spesso in una città grande come Londra.

Beh, per un attimo aveva anche preso in considerazione l’ipotesi di star diventando paranoico e basta, che forse era quella più giusta, ma alla fine, per evitarsi una lunga serata all’insegna dell’autocommiserazione, aveva optato per “segno del destino”.

Era la mattina del ventidue dicembre mentre richiudeva la porta di casa, col viso illuminato da un sorriso spontaneo- e chiunque nel mondo si sarebbe dimostrato concorde nell’affermare che non c’era niente di più bello del sorriso spontaneo di Nick Jonas. Faceva freddo, e la neve sembrava intenzionata a rimanere goffamente appollaiata nei viali e sui marciapiedi e sui tetti e sui rami rinsecchiti degli alberi ancora per molto; tipo per sempre.

Un pettirosso zampettava sull’asfalto con aria allegra e Nicholas si fermò ad osservarlo prima di avviarsi alla macchina. Gli piacevano i pettirossi. Ricordava nitidamente di quando, una decina di anni prima, suo nonno gli aveva raccontato la storia di quell’affascinate uccellino, grande più o meno quanto il pugno di un bambino. Secondo una leggenda, quando Gesù si trovava sulla croce, in punto di morte, mentre tutti gli altri uccelli volavano nel cielo indifferenti, uno di loro si era fermato, mosso a compassione, e, non sapendo cosa fare per il Signore, gli aveva tolto dalla tempia una spina che gli doleva più delle altre. Così una macchia di sangue era schizzata sul petto della bestiolina e Cristo, per ricordare quell’atto d’amore, gli aveva concesso di conservarla per sempre. Il bambino altruista e orgoglioso che Nick era stato si era ripromesso di tenere a mente quella storia come esempio di vita e comportamento.

Annegato nei ricordi montò sulla Mustang che ancora profumava di nuovo e accelerò verso il centro della città. Aveva finalmente un po’ di pausa dal lavoro e voleva prendersi del tempo per comprare dei regali; era una cosa che proprio gli piaceva. Forse qualcuno l’avrebbe giudicato un po’ troppo sentimentale, tuttavia per lui era davvero meraviglioso osservare le facce compiaciute dei destinatari al momento dello scambio. Ok, forse suo fratello Joe con quella barba non aveva proprio una bella faccia, ma andava bene comunque. Rise tra sé, svoltando a destra, e si guardò intorno alla ricerca di un posto libero.

Fortuna volle che una Plymouth stesse lasciando la sua posizione di fronte a una tabaccheria proprio in quel momento e Nick ci si infilò senza pensarci due volte. Tirò il freno a mano e scese, poi, facendo oscillare le chiavi con la mano destra, prese a camminare verso Oxford Street.

«Buon Natale!» Gridò un babbo natale dalla pelle color caffè agitando una campanella verso i passanti. «Buon Natale!»

«Buon Natale, amico.» Fu la risposta quasi sussurrata del diciottenne, nonostante la pulsante consapevolezza che la sua festa preferita sarebbe arrivata solo dì lì a un paio di giorni. Quell’atmosfera gli metteva allegria; gli ricordava che non tutto era destinato a finire. Gli permetteva di essere di nuovo bambino, solo per un po’.

Andrew lo stava aspettando all’angolo della strada, il cappuccio della felpa calato dalla testa, i capelli rossi davanti alla faccia e una sigaretta a penzoloni tra le labbra carnose. Senza skateboard, per quella volta, ma lo riconobbe subito. Sarebbe stato inconfondibile in ogni caso.

«Ehilà.» Lo salutò.

Drew alzò lentamente la testa e gli puntò in faccia gli occhi color ghiaccio. «Yo

Avanzarono a fatica, fianco a fianco, lungo la via superaffollata, l’uno l’antitesi dell’altro, come acqua e fuoco, cane e gatto, diavolo e acqua santa, quando Nick osservò: «Non sapevo che fumassi.»

«Tu non sai niente di me.» Il rosso scosse la testa, piegando un angolo delle labbra. «Sul serio.» Sbuffò una nuvola di fumo e lanciò il mozzicone in un cestino a caso.

«Già, forse.» Nicholas alzò lo sguardo verso il cielo sereno e ammutolì un momento, poi si rivolse di nuovo a Drew, intento a studiare una giovane coppia straniera. « Sai, quando ero piccolo in America io e i miei fratelli facevamo un gioco. Dieci cose che non sai di me, si chiamava. E consisteva appunto nell’elencare dieci cose a testa, dieci cose mai dette a nessuno; di solito alla quinta mi ero già guadagnato un nuovo amico.»*

Andrew sgranò gli occhi, sorpreso. Parve riflettere per un momento, infine scoppiò a ridere di cuore in faccia a quel giovane ragazzo americano che era piombato così velocemente nella sua vita da non lasciargli il tempo di rendersene conto.

«Numero uno: Non sorrido mai.»

*

Mentre le prime luci dell’alba coloravano il cielo di sfumature rosate e purpuree, l’aeroporto brulicava di gente. Il ritmico ticchettare dei tacchi sul pavimento lucido era il solo rumore a rimbombare nel corridoio del primo piano. Gwen lanciò l’ennesimo sorriso in direzione Diana, altrettanto eccitata: l’ora della partenza si avvicinava ed entrambe non stavano nella pelle.

Come tutti gli anni, la direttrice della rivista per cui lavoravano, Moira Johnson, aveva organizzato una trasferta a Parigi in vista della settimana della moda. Perfect Style** era una dei periodici femminili più venduti di quell’anno, e la donna e le sue assistenti preferite non potevano di certo mancare. Gwendoline già esibiva un meraviglioso –firmato- capotto blu, lungo, ma non tanto da nascondere le gambe supersnelle, fasciate in deliziosi collant neri. Portava con elegante disinvoltura un paio di scarpe che una donna media avrebbe definito ‘trampoli’ ed i capelli biondo cenere intrecciati in un morbido chignon. Ma Diana, accanto a lei, non sfigurava. Riusciva ad essere abbastanza ‘alla moda’ anche con un semplice jeans scuro e giacca nera, Ugg grigi per stare più comoda. Stavano raggiungendo il loro capo al Gate quando una voce le interruppe. La rossa si voltò con grazia, e per un attimo le mancò l’aria. Un uomo dagli occhi incredibilmente verdi guardava nella sua direzione, tendendo la carta d’identità in cui stava ripiegato il suo biglietto. La stessa carta d’identità che qualche ora prima si era infilata in fretta e furia nella tasca destra del giubbino, ora –come poté costatare infilandoci istintivamente dentro una mano- vuota.

«Mi scusi, questa … deve essere sua.» Kevin Jonas sorrise di nuovo dopo un lungo periodo di astinenza. La giovane donna che portava il nome di Diana Robin Fawn arrossì lievemente nello sfiorare casualmente la sua mano, mentre si riprendeva i documenti. L’aveva già vista da qualche parte, ne era certo.

No.”Si disse. “Se l’avessi già vista, a quest’ora non sarei sposato.”

«Grazie.» Pigolò la ragazza quando, pochi secondi dopo, riacquistò la facoltà di parlare. «Molte. Grazie molte

«Non c’è di che.»

Sebbene in cuor suo avrebbe voluto restare con lei o quantomeno seguirla, Kevin sapeva di non doversi mettere strane idee in testa. Non aveva bisogno di altri problemi, così ordinò al suo cervello di costringere le gambe a muoversi e la salutò con un cenno del capo.

«Insomma, ti muovi?» Starnazzò Gwen quando la sua migliore amica la raggiunse. «Ti comporti come se non avessi mai visto un uomo in vita tua! E siamo orribilmente in ritardo, per l’amor di Dio!» Kevin si voltò a guardarla un’ultima volta, prima di sparire dietro l’angolo.

«Okay, okay, ci sono. Andiamo.»

Ma non era vero, non c’era. Non del tutto, almeno, e continuò a pensare allo sconosciuto dagli occhi verdi ancora per molto, prima di addormentarsi nel bel mezzo del viaggio, in aereo.

*

«Che giornata.» Borbottò Kev tra , mentre i bagagli iniziavano a comparire lungo il nastro.

Sperò vivamente che la sua valigia –valigia nera, doveva tenerlo a mente- fosse ancora tutta intera … e che quella ragazza ricomparisse, magari proprio di fianco a lui, pronta ad afferrare un borsone abbinato ai suoi splendidi ricci, che gli sorridesse come aveva fatto poco prima. Scosse la testa, per ritornare sulla terra, e allungò il collo per appurare che la sua valigia non fosse già passata senza che lui se ne fosse accorto. Ma comparve poco dopo e, chiedendo ‘Permesso!’ a una donna di mezz’età, tirò giù il trolley nero, quasi del tutto integro.

Lo osservò, ripensando di nuovo ai capelli di Diana, ai suoi occhi, il suo abbigliamento semplice ma perfetto. Fu un anziano signore a riportarlo tra i vivi, colpendogli involontariamente una spalla con l’ombrello. Ripassò una mano sulla stoffa ruvida per controllare che non ci fosse effettivamente nessun danno, e solo allora si premurò di controllare il cartellino col nome.

Charlotte Anne Whistler” non era esattamente il suo, di nome. Forse … oh, insomma, non lo era e basta. Si impose di rimanere coi piedi piantati per terra e lanciò un’altra occhiata al nastro. Sobbalzò nell’avvistare un’altra valigia nera … la sua valigia! La rincorse fino alla ragazza che l’aveva raccolta, una ragazza molto giovane. Capelli castani mossi, lunghi, labbra dischiuse come se stesse respirando con la bocca. Si era già chinata per ispezionare l’oggetto quando Kevin le si avvicinò.

«Mi scusi,» Disse, per la seconda volta in quella giornata, e Charlotte Anne Whistler trasalì, proprio come aveva fatto Diana Robin Fawn. «Credo che ci sia stato un errore. E’ lei Charlotte Whistler, vero?»

«Errore?» Si tirò in piedi, le sopracciglia aggrottate. «Scusa, come conosci il mio nome?»

Kev avvertì subito la tensione nascosta nelle sue parole. «Non preoccuparti. Ci siamo semplicemente scambiati le valigie. Controlla, c’è scritto Paul Kevin Jonas, giusto?»

Charlie annuì. «Oh, giusto.» Sgranò gli occhi. «Ma dove ho la testa oggi?»

«Sta tranquilla, non sono in condizioni migliori.» Scoppiarono a ridere e si scambiarono nuovamente i trolley, poi si strinsero la mano.

Nicholas Jonas osservò suo fratello oltrepassare la ragazza con cui stava parlando e dirigersi verso di lui.

«K2!» Lo salutò, e quando l’ebbe raggiunto l’abbracciò, come due fratelli cresciuti insieme si abbracciano dopo esser rimasti per mesi separati da un oceano immane.

«President.» Kev sorrise, notando quanto era cresciuto.

«Kevin, questo è … Andrew

Il ragazzo rosso era scomparso. I due fratelli si guardarono intorno, senza riconoscerlo nell’ingresso semivuoto.

 

«Che ci fai tu qui?»

«Che t’importa? Pensavo di essere morta per te.»

«Lo sei, infatti»

Charlie fissò Drew con aria afflitta.

«Non cresci mai»

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Capitolo 8
*** Capitolo sette ***


Mie care, oh mie care **

Ecco a voi, a grande richiesta, il famosissimo capitolo 7. <3

Capitolo nato tra compiti, corsi pomeridiani, la prenotazione della partenza per Londra –sì, Londra *_* la mia amata scuola mi offre l’opportunità- ed eventi vari… non avete idea!

Però insomma, dopo un po’ di fatica –a parte che il primo “paragrafo” non mi piace- ce l’ho fatta.

Che dire?

In questo capitolo ritorno ai Fawn e ai Jonas, uno di loro in particolare. Ma mi annoiano e annoieranno anche voi i lunghi preamboli, perciò … passiamo ai ringraziamenti!

 

PS. C’è del romantico e il romantico non è il mio forte , prego di perdonarmi eventuali inadeguatezze D:

Sheep

 

Hedley: Mia cara, mia cara bella Laura. Vediamo … Oltre che a ringraziarti per i complimenti per la fict, devo ringraziarti anche per la doppia recensione, l’aggiornamento, che mi ha tirato molto su il morale quando per me le recensioni erano “poche”. Che dirti? Sono salva dall’ira del piccolo Zack per miracolo, ma sono qui. Conosci già i miei commenti riguardo alle tue preferenze. Ti lascio al capitolo, anche perché è tardi.

 

Minako_86: Oddio, è mezzanotte meno dieci e io dovrei leggere tutta quella bellissima, lunghissima recensione? Facciamo così, domani me la leggo e ti scrivo un ringraziamento come si deve, ora non riuscirei a farlo decentemente. *-* Grazie <3 (ps. NON DISTRARMIIIIII)

 

Invisbile: Mia cara. Certo che ci devi stare qui J Tu sei una delle mie lettrici fedeli D: Grazie mille mollissime e centomilioni (??) per i commenti al modo di scrivere e ai personaggi. Ringraziamo tutti di cuore.

 

Itsbrie: Che piacere rivederti *_* Potrei morire di gioia! E di emozione, per i tuoi complimenti. Sono felice felicissima ma sul serio troppo che tu abbia scelto di seguire proprio the last rose e che ti piaccia il modo in cui l’ho strutturata. In realtà è il risultato di un evento assolutamente ordinario capitatomi quest’estate. Guarda un po’ che ne è venuto fuori *-* Comunque graziegraziegraziee (e non scusarti per il ritardo!)

 

Fiery: Last but not Least! Dodici in punto e io ti ringrazio dodici volte (ma anche tredici) per la recensione, per i complimenti al rapporto tra Drew e Nick e perché trovi che la leggenda sia azzeccata *-* Tra l’altro, tranquilla per Charlie/Drew … in questo capitolo ci sono le risposte!!!

 

Godetevelo –almeno spero!- e fatemi sapere!

Liberissime di lanciarmi pomodori e chiedere la ri-stesura *_____*

 

Baci!

 

 

Capitolo 7

 

C’era nell’aria troppa tristezza per essere il ventiquattro dicembre e Nicholas non era il solo a pensarlo.

Anche i suoi fratelli, infatti, si erano resi conto che non appena l’ultimo concerto dei Jonas Brothers sarebbe terminato, di lì a qualche ora, le loro strade sarebbero state divise per sempre, nonostante tutte le precedenti aspettative. Si sentivano completamente adulti e l’unica, magra consolazione rimaneva quell’assurda città, ormai sommersa dalla neve in ogni angolo o marciapiede. L’inquietudine trasudava dalle pareti, dai loro maglioni pesanti; i loro sguardi tradivano lo sforzo di trattenere segreti scomodi, impossibili da confessare -soprattutto alla vigilia di Natale.

Kevin ripensò alla sua bambina, l’ultima smorfia affettuosa che gli aveva rivolto dalle braccia sicure della nonna, la madre di Danielle. Rivide il suo nasino buffo, il vestitino a fiori rosa che faceva risaltare gli occhi smeraldini, e si chiese cosa le avrebbe risposto di lì a qualche anno, quando, bellissima e cresciuta, gli avrebbe domandato per quale motivo se n’era andato. Perché l’aveva abbandonata.

Si lasciò cadere sul divano proprio mentre Joe entrava in salotto, la vecchia polaroid tra le mani. Lo osservò aggrottare la fronte al di là delle lenti spesse, nel vano tentativo di mettere meglio a fuoco un Nick irritato, intento a scarabocchiare su pezzi di carta strappata, al pianoforte, in attesa di ispirazione. L’albero, alla sua destra, luccicava di blu e argento; non erano i suoi colori preferiti, ma si combinavano perfettamente con l’arredamento pratico e moderno del salotto. Il minore scattò una foto che avrebbe mostrato a sua madre, non appena fosse tornato in Texas, e scomparve lungo il corridoio avanzando con passo lento e pesante. Ripose la macchina fotografica sulla scrivania, poi, attirato dai raggi mattutini, si perse per qualche minuto a osservare il cielo limpido oltre l’ampia finestra: sì, poteva concedersi una pausa.

 

Le librerie di Londra erano molto diverse da quelle americane. Erano enormi, fin troppo sobrie ed assolutamente più affollate. Joe non era un topo di biblioteca, non si era mai considerato un gran fan dei libri nemmeno in adolescenza, ma ogni tanto leggere lo aiutava a rilassarsi. Gli piaceva, nelle giornate d’inverno, perdersi tra le pagine di Paulo Coelho con una brocca di caffè a portata di mano, svaccato su di una poltrona, magari coi piedi sul tavolo basso. Eppure nella fretta di partire aveva finito con lo scordare L’Alchimista nel cassetto del comodino e trovarsi ora, in un mondo alieno, senza alcun compagno di viaggio. Le offerte natalizie erano il punto della situazione: se solo avesse trovato qualcosa di interessante … lanciò un’occhiata sbilenca a Twilight* e si diresse verso il fondo del corridoio. Si guardò intorno senza interrompere la sua ricerca, tuttavia a catturare la sua attenzione fu tutt’altro che un vecchio tomo polveroso. Difatti, alla distanza di un espositore circa, avvistò una ragazza che di ‘polveroso’ aveva ben poco. Teneva aperto tra le mani un volumetto dalla copertina verde acqua, alcune pagine ripiegate sul retro per facilitare la lettura. Gli occhi, di un indefinibile color acquamarina, scorrevano velocemente i versi di una poesia. Aveva capelli castani, chiari e mossi oltre le spalle, e una finissima collana d’argento da cui pendeva una pietra azzurra. Era forse la più bella ragazza che avesse mai visto. Joe le si avvicinò di soppiatto, calcandosi il cappello in testa e tentando di darsi un’aria casuale. Si fermò accanto a lei e scrutò una fila di titoli, poi afferrò la ristampa delle migliori opere di Bukowski e vi diede una scorsa. Non resistette a lungo; presto, preso dalla frenesia, si sporse verso di lei e sfoderò il suo miglior sorriso:

«Oh, interessante!» Esclamò. «Pablo Neruda

Questa volta lasciate che sia felice.

La ragazza arricciò istintivamente il naso, lo sguardo fisso su pagina diciannove.

… succede solo che sono felice

Fino all’ultimo angolino del cuore.

«Quella è una delle mie preferite.» Insistette Joe, con tono insolitamente serio. L’ultima volta che aveva letto Ode al giorno felice , rifletté, era una persona diversa. Una persona così diversa che ora perfino lui stesso, da esterno, avrebbe stentato a riconoscersi. «Beh, sarebbe carino che tu rispondessi qualcosa, a questo punto, non credi?»

Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,

tu canti e sei canto.

Ammiccò, avvicinandosi un poco; la sconosciuta richiuse il libro di scatto e lo scaraventò su un mucchio di altri in offerta, visibilmente stizzita. « Piantala.»

Si avviò verso l’uscita, ma Joe la seguì. «Oh andiamo, non puoi negarmi una chiacchierata il giorno di Natale.» L’afferrò per un braccio non appena la porta scorrevole si fu richiusa alle sue spalle. «Ehi!»

La giovane si voltò e lo fissò con aria truce. « Lasciami subito, o mi metto a urlare.»

«Solo se mi dici come ti chiami.»

«Sto per cominciare.»

«Nome e cognome, intendo.»

«Ora grido.»

«E io stringo di più.» Joseph alzò un sopracciglio. «Dai, mi basta solo il tuo nome»

«Maniaco di merda!» Fece per colpirlo con uno schiaffo, ma lui riuscì a intercettare il polso e bloccare il suo goffo tentativo di ribellione. «Mi fai schifo!»

«Addirittura?» Scoppiò a ridere di fronte al viso imbronciato della ragazza.

«Alice White.» Ringhiò. «Contento? Alice White. E’ così che mi chiamo.»

«Sul serio, Athena Bennet?» Joe mollò la presa per indicare il cartellino di riconoscimento che la ragazza teneva agganciato alla tasca della giacca; faceva parte di qualcosa come un’associazione di volontariato, iniziata dai membri di una parrocchia locale.

Ten mostrò il dito medio, allontanandosi a gran velocità. «Vaffanculo, stronzo!»

*

«Credi che Babbo Natale arriverà stanotte, Drew?» Gli occhi della piccola Sophia Fawn si accesero di speranza. «Non si perderà nel buio, vero?»

Andrew allacciò i polsini della nuova camicia con aria contrariata, maledicendo mentalmente quel tipo di abbigliamento troppo aderente e scomodo. Presentabile era il termine che aveva usato sua sorella, ma Drew non avrebbe mai confidato appieno nei consigli di una femmina primogenita le cui frasi più sensate contenevano nel novanta per cento dei casi parole astruse come trendy, cool, in e out.

«Certo che verrà, baby.» Tenne lo sguardo fisso sullo specchio del corridoio, dove un nuovo sé stesso poco dopo si passò una mano tra i capelli, decisamente più corti del solito – Devi tagliarli, aveva detto Diana, sembri uno spaventapasseri, andiamo!

«Che peccato che la mamma non sarà con noi.» La bambina bionda strinse al petto il coniglietto di pezza rosa che portava il nome di Mr. Carrot. «Spero tanto che Babbo Natale le lasci qualcosa. E anche a te: che sei il fratello migliorassimo del mondo!»

Andrew arrossì lievemente. «Grazie, baby. Ma non esagerare.»

«No, sul serio.» Insistette l’altra, con un’adorabile espressione corrucciata. «Quando sarò grande e diverrò una principessa ti regalerò un po’ del mio castello. Forse anche un po’ di giardino.»

Drew sorrise, orgoglioso. Adorava la sua sorellina più di ogni altra cosa al mondo, gli venne da pensare, e non sopportava il clima familiare in cui era costretta a passare i suoi giorni. Diana comparve d’un tratto, interrompendo i suoi pensieri e trascinandosi letteralmente dietro la giovane Malice, vestita di tutto punto, coi lunghissimi capelli rossi insolitamente sciolti e il broncio marcato da un filo di trucco. Era molto, molto diversa dal solito, tanto che il fratello in un primo momento stentò a riconoscerla. Non le chiese dov’era finita la sua felpa sformata né quando i boccoli ramati avessero raggiunto la schiena, si limitò a lanciarle un’occhiata interrogativa a bocca spalancata.

«Buonasera!» Esclamò la primogenita. «Che splendori siete, questo Natale! Devo assolutamente fotografarvi!»

«Non ti azzardare.» Obiettò Keith, facendo capolino dalla porta del salotto. Scoppiò a ridere, e per la prima volta i Fawn sembrarono una famiglia comune. Una famiglia comune e felice, come in una stupida commedia americana.

«Ho lasciato Chopin a metà.» Si lamentò Mal. «Proprio ora che … »

«Proprio ora che è Natale.» La rimbeccò Diana. «E’ il nostro giorno.»

«Il giorno dei parenti.» Keith arricciò il naso in una smorfia intenerita.

«Il giorno del silenzio.» Osservò Malice.

«Il giorno delle principesse.» Li corresse Sophie.

«Il giorno dei miracoli.» Concluse Drew.

 

 

Il campanello trillò poco prima della mezzanotte.

I ragazzi Fawn si voltarono istintivamente in direzione della porta. La piccola Sophie, addormentata sul divano, si rivoltò sotto il plaid senza svegliarsi. Fu Andrew ad alzarsi per primo; Diana era troppo intenta a sistemare i piatti, in cucina, mentre Malice scarabocchiava note apparentemente insensate su una mano e Keith blaterava a telefono con chissà quale ragazza.

Drew s’infilò in tasca qualche spicciolo, pronto ad accogliere i carol singers con una certa benevolenza. Non era mai stato un fanatico religioso ma una volta qualcuno, in chiesa, gli aveva insegnato bene quanto anche un solo sorriso potesse rivelarsi importante. Soprattutto per chi passa un intero giorno di festa sotto la neve, costretto a ricevere innumerevoli porte in faccia.

Aprì e rimase sorpreso –o forse non così tanto- di trovarsi davanti una giovane donna, molto diversa da come se la ricordava. L’aveva vista di sfuggita all’aeroporto e ci aveva scambiato un paio di battutine pungenti che non l’avevano aiutato a comprendere la sua condizione psicologica. Adesso Charlotte gli si parava davanti in tutta la sua spontaneità, i capelli mossi lasciati liberi sulle spalle e gli occhiali a montatura grossa chiazzati d’acqua. Teneva tra le mani un pacchetto: Lo stringeva contro il cappotto coi guanti grigi, spaventata che potesse scivolarle di mano e finire nella neve, bagnandosi.

«Ciao.» Lo salutò, col viso in fiamme.

«Che ci fai qui?»

«Sono passata … a salutarti. Per darti questo.» Charlie porse ad Andrew quello che aveva tutta l’aria di essere un libro ben camuffato, con le mani che tremavano forte. Lui lo afferrò senza pensarci due volte.

«Grazie.» Disse. «Non dovevi.»

«Lo so.» Scosse la testa, sovrappensiero. «E’ solo che Natale … non è Natale. Non senza te, D

Drew percepì un dolore all’altezza dello stomaco. «Maledetta.» Strinse i denti e di scatto l’abbracciò. Charlotte non riuscì a trattenere le lacrime.

«Buon Natale, Andrew.» Mugugnò, dall’alto della sua spalla.

«Buon Natale, Charlie.»

E, rasserenato, alzò gli occhi verso il cielo in una tacita preghiera.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo otto ***


Beh, che dire?

Credevate che fossi morta? Sparita? Scappata? Stata mangiata dai leoni?

Mi duole informarvi che sono viva più che mai, o miei amati lettori, e molto, molto, molto …etcetc … molto dispiaciuta per questo oltremodo vergognoso ritardo. E’ stato un po’ casino con la fine della scuola, il viaggio nientedimeno che a Londra –ebbene sì, d’ora in poi scriverò con un po’ più di coerenza-, il PON, l’esame Trinity e tutte le millanta attività che ho sostenuto quest’anno. Ma bando alle ciance!

Mie care lettrici *-* SIETE AUMENTATEE!

La quippresente pecora s’inchina e ringrazia e vi ama con tutto il cuore, e prima di passare ai ringraziamenti finali chiede se vi piace questo nuovo layout di lettura o preferite il vecchio e vi anticipa che c’è una parte di capitolo un po’ triste D: *cerca di preparare psicologicamente*

Volevo mettere anche delle immagini con i volti che somigliano di più ai miei personaggi, per facilitarvi il duro compito d’immaginare le scene mentre leggete, ma non sono riuscita a preparare niente.

Sto pensando di farci un blog, su The Last Rose … fatemi sapere che pensate.

Se vi interessa, comunque, trovate le foto (anche se alcune sono da cambiare, a pensarci) nella mia paginetta facebook *indica contatto*

 

Ora, ora … ringraziamenti!

 

Invisible: Mia cara *-* Che piacere vederti qui, e per prima poi! Fattelo dire, sei portatissima per le recensioni –le amo, occhei? U.U Quindi scrivile- e sono lieta di annunziarti (anche se forse già lo sai) che quella scena che ti è piaciuta tanto col Joe e il libro di Paul Coelho è così tanto verosimile che Joe ha detto in una live chat che il suo libro preferito è proprio ‘L’alchimista’ ò_ò Comunque, graziegraziegrazie… spero che il capitolo ti piaccia!

Hedley: La Lauraaaaaa (& co)! Ci mancate, è un sacco di tempo che non ci sentiamo *_*

Ho un sacco di cose da dirti ma prima di tutto grazie per la recensione, lunghissima (<3) e bellissima. Ho apprezzato parola per parola, per me ogni singola cosa che scrivete è preziosa, ricordatevelo! Carburante che mi muove a scrivere il capitolo successivo. Ora, la stellina su Twilight doveva indicare il fatto che non voglio offendere la Meyer e le sue fan, solo che non mi piace, ma evidentemente ho dimenticato di scriverlo per la fretta di postare. Poii… vediamo, volevi Mike? Eccoti accontentata! Compare per ben due volte *---* Scriverò anche altre cose su di lui promesso… ora ti lascio altrimenti per ringraziare tutti non finisco più. GRAZIEEEEEEE *strizza Laura e Ronnie* Ronnie mi manchiii ç______ç –Anche a meee, C.-

 

Mar: La recensione più luuuunga e awwosa *-* Le tue recensioni mi piacciono tantissimo perché non tralasci niente, cogli cose a cui perfino io scrittrice non avevo fatto caso. Come al solito mi fai TROPPI complimenti –non mi illudere, che poi io un po’ ci credo!- e sai notare le scene che volevo mettere in rilievo, poi dici che so scrivere meglio di te ma non è vero!!! Ma a parte il fatto che ti devo tirare qualcosa appresso su msn per queste tue insinuazioni G R A Z I E per la bellissima recensione e anche tutto il tempo che hai passato ad incoraggiarmi e a insistere –mannaggia a te- affinché scrivessi il capitolo. Eccolo a te assieme con gli Allen!

 

Fiery: Maaary *-* Sarò breve perché DEVO postare questo capitolo e sto andando fuori di testa. Che dire? GRAZIE grazie e grazie per il tuo contributo che tiene la storia tra quelle con più parole per recensione positiva della sezione (anzi, al primo posto!) eeeee… Lampo Rosso loves you –scassava affinché lo scrivessi, scusami. Ora vengo ad avvertirti su msn che ho postato. Yo sista, i hope you like it!

 

Xosofearless: Ma ciao nuova lettrice e commentatrice! Sono taaaaaaaaaaaaaaanto contenta di averti qui e spero di poterti inserire molto presto nella lista delle mie LF (Lettrici Fedeli)! Grazie mille per la recensione e ricorda: Drew e gli altri hanno bisogno anche di te e del tuo supporto! J PS. Vedrai che imparerai ben presto i nomi e a distinguerli, siamo solo “all’inizio”!

 

Egg_s: Nuoooo daiii che piacere averti quiii *______* L’autrice di Poppy White! (E Tell me Something I don’t know) E anche una delle ragazze con più recensioni dell’intera sezione –e una delle più brave, tra tutto questo ciarpame, a mio modesto parere. Grazissime per i complimenti e per la recensione –che fa tutt’altro che schifo, e ho apprezzato tantissimo il fatto che tu abbia guardato la storia anche da un punto di vista più tecnico. Spero che continuerai a seguirla nonostante gli aggiornamenti non troppo regolari. Un bacione!

 

E GRAZIE AI NUOVI PREFERITI E A TUTTI QUELLI CHE LA TENGONO TRA LE SEGUITE! VI AMO!

 

Adesso vi lascio. <3

Un bacione e un abbraccio fortissimo, sperando di avervi regalato un paio di piacevoli minuti di fuga dalla realtà. Fatemi saperee *-*

Sheep

 

 

 

 

Capitolo 8

Da Trafalgar Square, ai piedi dell’altissima colonna su cui stava la statua di Nelson, Bridget Allen riusciva a vedere il Big Ben. Illuminato soltanto dal gelido pallore della luna, nascosto dai vari edifici del centro, ancora -a tre anni di distanza dal trasferimento della sua famiglia a Londra - le veniva un tuffo al cuore nel vederlo. Era il simbolo di Londra ed un’attrazione per molti turisti, forse un orgoglio per chi in quella città ci era nato, eppure Bee aveva la meravigliosa e timida presunzione di credersi la sola a cui quell’enorme orologio lontano suscitasse tali sensazioni.

Nascose un sorriso nella grossa sciarpa di lana e strinse la mano di Michael, suo fratello, il quale avanzava accanto a lei in tacita meditazione. Quello la guardò con amore e le circondò una la vita con un braccio, stringendola a sé.

Poco più dietro Adrienne fece scivolare una mano tra i capelli biondissimi; si reggeva a fatica sui tacchi di quindici centimetri, ma non aveva ancora iniziato a barcollare. Sua cugina Rachel alzò gli occhi verso il cielo orribilmente scuro e sbuffò. I suoi pensieri si dissolsero in una nuvola di fumo.

“C’è il 22*.” Disse, sovrappensiero.

Aspettarono, bloccati per alcuni minuti alla fermata più vicina. Quando l’enorme autobus rosso si fu accostato vi si infilarono in fretta e, dopo aver singolarmente mostrato la travel card al conducente, cercarono un posto in fondo a tutto. Rachel si arrampicò sulla scaletta che portava ai sedili superiori, dove la vista era decisamente migliore. L’unico posto libero si trovava accanto ad una figura blu, accucciata contro il finestrone. Rain si sedette senza nemmeno involontariamente voltare lo sguardo nella sua direzione; sperò solo, dentro di sé, che quel coso si sbrigasse a giungere a destinazione.

“Yo,bro” Una voce maschile la fece sobbalzare. Rain alzò lo sguardo e si trovò di fronte un ragazzo dai capelli rossi, un orecchio strapieno di cerchietti argentati. Si rivolgeva a qualcuno accanto a lei. “Ma dove cazzo stai di casa, tu? Non me l’hai mica detto.”

“Il mio appartamento è a West End.” Rispose in un sussurro serio e pacato una voce troppo familiare.

Rachel si voltò leggermente e vide Nicholas Jonas, il ragazzo che l’aveva riaccompagnata a casa qualche tempo prima, e che poi aveva scoperto essere un attore –le venne un rapido flash di lui nei panni di Marius, durante spettacolo di Les Miserables, che sua madre aveva finanziato. Anche lui la notò: si ricordò immediatamente di lei e la salutò con un sorriso. Dopodiché, la presentò al mezzo alternativo che poco prima l’aveva brutalmente strappata ai suoi pensieri.

«Rachel, lui è Andrew. Andrew, lei è Rachel.»

Evitarono di stringersi la mano. Lei aggiunse solo, in tono di ghiaccio: «Smettila di chiamarmi Rachel.» E gli lasciò intendere, in poche parole, che avrebbe potuto chiamarla Rain, come un “amico”.

«Non sei di queste parti.» Osservò Drew, scrutandola attentamente. Sapeva bene come distinguere le residenti dalle turiste e, sebbene quella Rachel assomigliasse terribilmente –per accento e lineamenti- alle ragazze del posto, il suo abbigliamento la tradiva. Dov’erano gli abiti colorati e vintage?

«No.» Confermò Rain. «Sono di Dublino, ma stiamo qui da un po’. Qualche anno.»

Le risate sguaiate di un gruppo di ragazzine straniere svaccate l’una addosso all’altra poco più in là interruppero l’imbarazzante silenzio improvvisamente insinuatosi tra i tre. Drew, ancora voltato verso Nick e Rain, si drizzò sul sedile quando l’autobus si fermò per far scendere le ultime persone.

«La mia è la prossima.» Constatò.

«Aspetta …» Fece Rachel, rendendosi conto di dove si trovavano. Lanciò uno sguardo accigliato al monitor dove le varie angolature del pullman venivano mostrate a ripetizione. Non si sorprese quando sullo schermo apparvero i posti vuoti di Mike, Bee ed Adrienne, ma non riuscì a trattenersi dall’esclamare: «No, porca puttana …!» L’orologio, la sua ultima speranza, segnava le undici e mezza. Alle undici la linea della metro di cui aveva bisogno per raggiungere casa era stata già chiusa. “Perfetto.” Pensò Rain, sentendo il nervoso arrampicarsi attraverso lo stomaco e bloccarsi in gola.

“Che succede?” Chiese Nick, ma aveva l’aria di chi conosce bene la risposta ancor prima che il suo interlocutore abbia il tempo di aprire la bocca. “Tutto ok?”

“Sì.” Mentì Rachel.

Scattò in piedi non appena il pullman sostò di nuovo e saltò giù assieme agli altri due. Andrew era assurdamente alto: nascondeva sotto la felpa larghissima -o forse erano due, una sopra l’altra- un fisico straordinariamente asciutto e tatuaggi colorati spuntavano dalla manica della felpa, sulla mano che non teneva nascosta nei jeans.

Non aveva niente a che vedere con Nick, a suo confronto praticamente uno gnomo, così serio, avvolto in un trench blu come un vero gentlemen inglese.

“Se c’è qualche problema, posso accompagnarti.” Disse Nick a Rain quando Drew li ebbe congedati –Ci si vede in giro, bro.- e si fu allontanato.

“No.” Asserì lei, senza nemmeno pensare di ringraziare.

Nicholas increspò le labbra mentre Rachel affondava una mano nella tasca dei jeans e ne tirava fuori un cellulare che più che anni doveva avere secoli, con lo schermo neanche a colori. Lo fissò per alcuni secondi, poi alzò lo sguardo ed incontrò quello di lui, ambra fusa e terribilmente appiccicosa.

“Mi prendo un taxi.” Concluse in fretta, e poi sparì nel silenzio della notte, evitando di salutarlo.

*

Quando Drew rientrò, quella notte, suo fratello Keith era intento a smanettare furiosamente col notebook di Diana. La schermata scomparve subito dopo lo scatto della porta, e il ragazzo si voltò con aria colpevole verso il maggiore, che restò a fissarlo in silenzio per alcuni secondi. Andrew era sicuro che Keith stesse tramando qualcosa: erano giorni che osservava i suoi movimenti rapidi, goffi, nascosti, settimane che lo vedeva sgusciare, frugare, parlare fitto, camminare avanti e indietro nervosamente per il corridoio. C’erano momenti in cui, a tavola, si metteva a fissare il vuoto: allora Drew studiava gli occhi azzurri e dolorosi, i tratti segnati, i capelli biondi che facevano di lui una bellezza scomposta e si chiedeva se davvero non avesse bisogno d’aiuto. Del suo aiuto.

«Non rispondi al telefono?» Sebbene quella domanda sapesse terribilmente di Diana era stato Andrew a parlare, con le lentiggini che gli guizzavano sulla faccia.

Keith sobbalzò e lanciò un’occhiata sprezzante al cellulare, che vibrava insistentemente già da prima che Drew avesse messo piede in casa. Premette il pulsante rosso per rifiutare la chiamata, poi scosse la testa. «Chi, quella troia?» Sbottò, il naso arricciato come quello di una ragazzina snob di fronte ad una parolaccia. «Ne ho piene le palle; l’altra volta si è inventata questa storia del bambino, sai, sono ore che scassa.»

Andrew, consapevole che non era quello il motivo dello strano comportamento di Keith, cercò di ignorare il fatto che una delle sveltine di suo fratello minore poteva star aspettando un figlio da lui e si avviò in cucina per prendere una birra. Ci ripensò quasi subito: tornò indietro, diede un’occhiata veloce nella camera di suo fratello, ora appoggiato alla scrivania con la faccia tra le mani, e s’infilò nella stanza di Sophie, che nel suo immaginario doveva star già dormendo da un pezzo.

La trovò invece sveglia, seduta sul lettino tra le coperte scomposte, l’inseparabile coniglio rosa tra le braccia. Gli sorrise e lo salutò con la mano, il visetto stanco scavato dalla stanchezza.

«Drew!» Esclamò, pur non avendo abbastanza forza per parlare.

«Che ci fai ancora sveglia, baby?»

Andrew si avvicinò incredulo alla sorellina; si sedette di fronte a lei, visibilmente preoccupato, ma non osò aggiungere un’altra parola: aspettò che fosse la bimba a parlare di nuovo.

« Mr. Carrot era triste.» Spiegò Sophie, serafica. «Così gli ho fatto compagnia.» Strinse al petto il peluche di pezza, le cui lunghe orecchie ricaddero stupidamente in avanti.

«E perché » Domandò Andrew, sforzandosi di trattenere uno scatto d’ira«dico, si può sapere perché era triste?»

La piccola Sophia si accigliò. «Non essere stupido e cattivo, Drew.» Il ragazzo percepì una fitta allo stomaco: era l’unico punto di riferimento della sorella più piccola, e lei l’unica ragione per cui non si era ancora ammazzato, per cui non aveva insistito con la lametta sui polsi, quella volta che Diana dopo l’aveva scoperto. Non poteva permettere che perdesse la fiducia in lui – che lo giudicasse stupido e cattivo. «E’ per via della mamma. Lei non c’è da un po’ e sente la sua mancanza. Però non tanto, solo così così. Ma però Keith non gioca più con noi, e allora gli manca pure lui e sono due mancanze, e poi stasera sei andato via e non hai raccontato la favola del Ragazzo coi Capelli Blu per la buona notte, e nemmeno Peter Pan.» Lacrime calde le scorrevano lungo le guance scarne, tremava. Drew allungò una mano verso di lei, esitante, ma la bambina l’allontanò e cominciò a parlare più forte. «Lascialo! Ci sto io con lui, lui è il mio migliore amico anche se Allie dice che non può! E invece può, io lo so! Lui mi vuole bene … » Tirò su col naso e si asciugò la faccia con la manica del pigiama, come avrebbe fatto una ragazzina di dieci anni più grande. «Poi Malice ci ha dato la cena, ma non ci piaceva perché non avevamo fame. E la casa delle bambole non ci piaceva più. Nemmeno i cartoni ci piacevano più. Nemmeno la casa, nemmeno il tetto, nemmeno Keith che non gioca più con noi.» Scosse la testa ostinatamente, mentre Andrew rimaneva a guardarla, il cuore a mille e lo scheletro di un tetro suicidio dipinto sulla faccia. «A Mr. Carrot fanno anche male i denti davanti. Lui è un coniglio, mangia le carote arancioni come i tuoi capelli, solo che a casa non ci sono carote e allora i denti si affilano e gli fanno male. Me l’ha detto Bee, lo sai? E poi tu ti arrabbi se sta sveglio. Tu non capisci.» Cullò il peluche con la tenerezza che solo una bambina della sua età poteva avere. Qualche attimo dopo alzò gli occhioni gonfi di pianto verso il fratello, che l’abbracciò stretta e la tenne così finché non si fu addormentata profondamente.

*

Michael J. Allen lasciò andare sull’erba l’inseparabile borsone nero, gonfio quasi più del solito. Vi si sedette accanto, schiacciando le margherite rinsecchite dall’inverno, e chiuse gli occhi metallici per godersi il flebile calore del sole di mezzogiorno. Liberò i pensieri, lasciò che l’utopico desiderio di dormire gli accarezzasse i sensi, prima di percepire una massiccia presenza fermarsi a pochi passi da lui. Voltò il capo e vide Joseph, il suo migliore amico, tirare fuori un pacchetto di sigarette. Gliene porse una, se ne infilò tra le labbra un’altra e ficcò in mano a Michael l’accendino.

«Giornata di merda, eh?» Domandò, con la sua caratteristica voce graffiata. Lo sguardo smeraldino virò tra gli alberi di St James’ Park, indugiò su una coppietta appartata tra i cespugli –la mano di lei decisamente troppo vicina all’orlo del jeans di lui-, si fermò su uno scoiattolo che avanzava lentamente, con aria curiosa, verso di loro. Mike fece un verso che attirò l’attenzione dell’animaletto, lo studiò con attenzione mentre si avventurava tra i fiorellini bianchi e gli si avvicinava con grazia il tanto che bastava a capire a che specie appartenesse. Scappò via, deluso, quando capì che Michael non era altro che un rozzo, banalissimo, inutile umano.

Josh si distese sull’erba, mentre Mike si avviava a fare una passeggiata.

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo nove ***


Non ci credo, ragazze, il piccì mi ha appena cancellato l’introduzione più fantastica del mondo *piange*

 

Ok, allora. Facciamola breve.

Un ringraziamento generale, perdonate se non sto qui a ringraziarvi ad una ad una ma SAPPIATE –nonostante questo computer vuole impedirmi di comunicarvelo- che vi ringrazio di cuore e considero questo nono capitolo un traguardo, e che vi devo molto, senza il vostro incoraggiamento probabilmente non sarei qui ora.

Stavolta mi scuso per il ritardo con un capitolo più lungo –e con un po’ di novità!- e un collage coi volti dei personaggi, sperando che vi aiuti a distinguerli più facilmente, visto che sono davvero davvero tanti. ^^”

 

Ah, Josh non è Joe. E’ un altro Joseph, a cui ho scelto di dare un soprannome diverso apposta per non farvi confondere. (;

 

(Ecco gli ammori -> http://i53.tinypic.com/281vqmp.png

Da sinistra verso destra: Joseph N, Rachel, Nicholas, Joseph, Kevin, Adrienne, Malice, Bridget, Michael, Diana, Keith, Hera, Gwen, Charlotte, Sophie, Andrew, Athena, Demeter.)

 

Perdonate me e il mio PC rimbambito e godetevi il capitolo!

Vi voglio bene.

Sheep

Questo capitolo è per

Lorenzo

che non lo sa

perché non sa leggere,

perché mi ha fatto quella domanda

che mi ha messo in moto la fantasia.

Grazie cuginetto.

 

Capitolo 9

Charlie e Drew erano di nuovo amici. Almeno, così pareva alla piccola Sophie che, più che contrariata, ne era entusiasta. Sophie adorava Charlotte; avrebbe detestato qualsiasi altra ragazza che si fosse permessa di sottrarle del tempo da passare con suo fratello, ma lei mai, perché era una vera principessa. Sophie ne era convinta: Charlie ascoltava la musica delle principesse –una volta, in camera sua, aveva intravisto un poster dei ‘Beatles’- e, l’anno successivo, avrebbe frequentato l’università di Cambridge, dove studiavano tutti i rampolli di sangue blu. Gliel’aveva detto Drew, una volta, mentre andavano al parco.

Anche oggi stavano andando al parco, ma non erano soli: il signor Nick, infatti, si era unito all’allegra combriccola. Charlie, a differenza di quanto la piccola Sophia si era aspettata, non si era dimostrata gelosa dell’amicizia che riempiva la solitudine di Nicholas ed Andrew, piuttosto aveva accolto Nick a braccia aperte, divertita dal naturale contrasto che il ragazzo creava col suo migliore amico. Aveva raccontato anche a lui della sua vita a Glasgow, delle cheerleader della nuova scuola che, dopo il suo rifiuto di affrontare un provino per unirsi a loro, l’avevano declassata a ‘sfigata londinese’; Charlie spiegò che conduceva sostanzialmente una vita solitaria, dal momento che non era abbastanza secchiona per unirsi al tavolo dei nerd e troppo poco alternativa per stare coi punk. Raccontò di come il suo unico svago fossero la biblioteca, dove aveva cominciato a lavorare, e la cucina. Aveva imparato a fare molti dolci ed anche qualche piatto italiano.

«Papà adora la cucina italiana.» Spiegò, svoltando all’entrata del parco, dove Sophie prese a correre verso le altalene. Nick finse di non notare il luccichio rancoroso negli occhi della ragazza mentre nominava il padre. «E anche la sua nuova fidanzata.»

«Fidanzata?» Fece Drew, sgranando gli occhi a mandorla.

«Già, Jacqueline. Un amore di matrigna.» Charlie si lasciò sfuggire una risata amara. «Bella, se ti piace la plastica. Ha trasformato papà in un farfallone e il suo appartamento nella casa di Barbie. E’ tutta saltelli e risatine e “Oh, tesoro, dì a tua figlia di darsi una sistemata, è così sciatta”»

«Bleah. Dille di andare a farsi fottere.» Sbottò il rosso.

Charlie sospirò. «Vorrei, ma è molto più complicata di quanto credi. Ho bisogno di papà per i suoi contatti dell’università. Non potrei entrare altrimenti in un posto come Cambridge.»

«Stronzate! Hai una media altissima e ti prenderebbero anche senza nessuna stupida raccomandazione. Gli spaccheresti il culo, ai test.»

Nicholas si domandò come sarebbe stato frequentare un college; poi, preoccupato che l’idea potesse piacergli più del dovuto, decise di non pensarci.

Charlie si sedette sull’altalena accanto a Sophie, che chiese a Drew di spingerla, e forte, perché Mr. Carrot voleva volare. Fissò qualche minuto i suoi stivali, in silenzio, dondolando lentamente. Poi si rivolse a Nick e gli sorrise.

«E tu parli poco, eh?» Il ragazzo sobbalzò e riemerse dalla sua sciarpa di cachemire. «Andrew sarà pure ignorante e piuttosto retrogrado in fatto di musica, ma io ho sentito parlare di te. Penso che tu abbia del talento.»

Nick arrossì lievemente, come se avesse ricevuto per la prima volta un complimento del genere. «Grazie.» Borbottò, imbarazzato dalla spontaneità di quella ragazzina che, in fondo, già iniziava a stimare.

Forse, pensò, il suo stato d’animo era dovuto alla veste in cui aveva vissuto quei mesi passati a Londra.Non poteva negarlo a sé stesso: si era sentito molto più Nicholas – il ragazzino del New Jersey che era stato prima della celebrità e di tutto il resto- che ‘Nick Jonas’. Un po’, constatò, gli mancava quella vita; le sale di registrazione, le interviste, le live chat, i fan. Eppure ... eppure quel calore che sentiva dentro ogni volta che si trovava lì, con quelle persone –normalissimi ragazzi della sua età, con vite banali e incasinate, il coinvolgimento emotivo rispetto alle loro vicende, le cose che nonostante tutto continuava a imparare: Al solo pensiero di abbandonare tutto ciò gli mancava il fiato.

Alzò lo sguardo e si accorse di essere rimasto solo assieme a Sophie, che lo fissava con una certa curiosità. «Quanti pensieri, signor Nick. Sembra che ti escono dalle orecchie.» Piegò la testa da un lato. Nick intravide, dietro di lei, Drew e Charlie che si allontanavano lungo un vialetto, mano nella mano.

Nicholas rise di cuore. «E’ vero, piccola. Dovrei darmi una calmata.»

Sophie si azzittì per qualche secondo. «Nick, signore» Disse poi, stringendo le catene dell’altalena tra le manine pallide. «Posso farti una domanda?»

Lui si avvicinò. «Certo, dimmi.»

«Che cos’è il diavolo?»

Nick rimase interdetto per qualche attimo. Poco dopo si sedette nel posto che Charlie aveva lasciato vuoto. « Diciamo … un signore molto cattivo. Uno che vuole che noi facciamo cose sbagliate.»

«Ed è brutto?»

Nick sorrise.« Molto brutto, sì. Con le corna e tutto il resto.»

«E sta laggiù.» Concluse Sophie, puntando il dito verso terra.

«Esatto.»

«E Dio?»

«E Dio ...» Nick posò la testa contro il metallo freddo della giostra. «Dio è il padre di tutti noi. E’ misericordioso, che significa che ci vuole bene e ci perdona ogni volta che glielo chiediamo, anche quando facciamo cose brutte che lo fanno piangere.»

Sophie spalancò la bocca, incredula. « Dio piange?»

«Forse.»

«Una volta Keith mi ha detto che le gocce di pioggia sono le lacrime degli angeli, ma Drew si è arrabbiato perché secondo lui non è vero.»

«E tu a chi credi?»

La bambina rimase zitta. «Signor Nick, esistono gli angeli?»

«Certo che esistono. Sono belli e molto maestosi, sai. E hanno delle ali grandissime, ci stanno sempre vicino. C’è chi dice che ce n’è uno per ogni persona sulla terra.»

Sophie s’illuminò. «Ho capito!» Urlò, gioiosa. «Forse tu sei l’angelo mio e di Drew!»

Nicholas esitò. «Cosa?»

«Sì, tu!» Spiegò Sophie con impazienza. «Sei bello, mastoso e ci stai vicino. Sei tu, signor Nick, sì! Ma forse … » Abbassò incredibilmente il tono di voce, tanto che Nicholas dovette sforzarsi per sentirla. «Forse non lo puoi dire? Forse è un segreto?»

Nick incontrò gli occhioni azzurri pieni di aspettativa e si convinse di non poterla deludere. Avvicinò, ammiccando, l’indice al naso. «Forse.»

«Non preoccuparti, prometto di mantenere il segreto.» Saltò giù dall’altalena e l’abbracciò –o meglio gli circondò con le braccia le gambe, rischiando di farlo cadere. « Nessuno lo scoprirà. Ma tu un giorno mi mostrerai le ali, vero?»

 

Da quando aveva rivisto Charlotte, la notte di Natale, Drew non era riuscito più a essere lo stesso, in sua presenza. Non perché non l’avesse ancora perdonata o non le volesse bene, anzi. Ma Charlie era così diversa da quando era partita: le sue labbra erano più rosse e carnose di come se le ricordasse, i capelli più lunghi e soffici e, sempre più spesso, evitava di mettersi gli occhiali. Andrew non riusciva a impedirsi di pensare che fosse piuttosto carina.

No, in verità, Drew pensava che la sua migliore amica fosse bella, il profumo della sua pelle estremamente invitante e tutti quei difetti di cui lei spesso si lamentava, anche quelli gli pareva contribuissero a renderla più attraente.

Tenere le dita allacciate alle sue gli dava sicurezza: s’illudeva che non potesse più sfuggirgli, che sarebbe rimasta con lui a Londra per sempre, che la sua presenza l’avrebbe aiutato ad andare avanti. Il suo cuore accelerava ogni volta che lei si faceva troppo vicina; in quei momenti Drew s’irrigidiva, sperando che l’altra non se ne accorgesse.

Anche Charlie, dal canto suo, si sentiva confusa dalla presenza dell’altro. Forse erano i suoi capelli, ora più lunghi sulla fronte e rasati ai lati del capo, o i tratti improvvisamente più maturi, ma non riusciva a staccare gli occhi da lui. Andrew, in realtà, le era sempre piaciuto, e adesso che stava crescendo Charlotte sentiva che avrebbe fatto sempre più fatica a reprimere i suoi sentimenti.

«Piacerebbe anche a me trasferirmi.» Disse il ragazzo accanto a lei, infrangendo il corso dei suoi pensieri. «Più che altro per Sophie, sai. Casa mia è invivibile. Mia madre manca da settimane.»

Charlie gli strinse la mano, percependo contro il palmo i segni di innumerevoli cicatrici. «Oh D, mi dispiace.»

«Già, anche a me. Me ne farò una ragione.»

Rimasero in silenzio per qualche minuto, finché Charlotte decise che era meglio cercare di distrarlo. «Quel ragazzo … Nick, voglio dire, sembra simpatico. »

«E’ un tipo.»

Charlie alzò un sopracciglio. «”Un tipo” che, fino ad un mese fa, avresti deriso senza pietà. O forse, fammi pensare, avresti cercato di fargli un occhio nero?»

«Che ne sai? Tu non c’eri un mese fa.» Drew ci mise più rabbia di quanto avrebbe voluto.

L’altra abbassò lo sguardo, punta nel vivo. «Non ricominciare.»

«Scusa.» Soffocò l’impulso di baciarla voltandosi a osservare il prato innevato. «Bah. Certe volte mi sembra di vivere in Russia.»

*

Sull’insegna c’era scritto ‘Lidia’s’, dal millenovecentocinquantasei. Era un piccolo, antico negozio di musica incastrato in un angolo nel cuore di Camden Town e, sulla porta a vetri, il cartello diceva “Cercasi personale”. L’interno era ben ordinato, fornito di tutto il necessario, dagli oggetti più comuni a quelli più incredibili da collezione –come dischi di vinile firmati dagli stessi Beatles o da Elvis – a cui qualsiasi appassionato di musica non avrebbe saputo rinunciare.

La signora Bennet, Regina, aveva ereditato l’attività dopo la morte del padre, sei anni prima, e l’aveva sempre gestita con passione e senza difficoltà. Regina amava il suo lavoro e quando qualcuno le chiedeva come facesse a mantenere sempre un aspetto così giovanile, lei scherzava attribuendo il merito della sua bellezza senza tempo alle proprietà magiche del banjo e dei Rolling Stones.

Nessuna delle sue figlie, invece, dimostrava per la musica un interesse grande quanto il suo: Athena aveva abbandonato da un po’ le lezioni di viola e Hera non aveva mai voluto nemmeno avvicinarsi ad una scuola di musica. Demeter –la minore- era l’unica che tenesse ancora alle sue chitarre ma, quando suonava, lo faceva in privato.

Era forse per questo che quella mattina, quando le aveva convinte a sostituirla in negozio fino ad ora di pranzo (c’era l’asta di alcuni articoli davvero interessanti non troppo lontano da lì) avevano fatto tante storie. Specialmente la maggiore.

Hera aveva sempre avuto un atteggiamento alquanto ribelle e sprezzante. Regina e suo marito avevano creduto in un primo momento che si trattasse di una fase, qualcosa che avesse a che fare con l’adolescenza, ma oramai la ragazzina che faceva tatuaggi di nascosto da suo padre aveva lasciato il posto ad una meravigliosa giovane donna di ventitré anni e il suo modo di fare non era cambiato.

In quel momento se ne stava accovacciata su una sedia di fronte al bancone, i capelli corvini stretti in una coda alta e addosso abiti sportivi che non stonavano con la sua estrema sensualità. Si limava le unghie con le sopracciglia aggrottate, contrariata perché le sorelle non l’avevano lasciata andare in palestra. Il borsone stava buttato lì ai suoi piedi.

«E allora, il tizio carino che ti ha accompagnato a casa l’altro giorno?» Domandò con nonchalance alla sorella più piccola.

Demi alzò gli occhi dal quaderno su cui stava appuntando una bozza di relazione. «Chi, Jason? E’ solo un mio compagno di classe, tutto qui.»

«Beh, i miei compagni di classe –e specialmente quelli carini- non mi accompagnavano a casa, ai miei tempi.»

La minore alzò un sopracciglio. «Sì, ti pedinavano direttamente.» Il suo viso s’illuminò di un sorriso dolce, spontaneo. « E comunque ora come ora non mi interessa.»

«Appunto!» Sbottò Athena, arrampicata su di uno scaletto a pulire una vetrina. «Sta crescendo bene, non vedo perché traviarla con le tue manie sugli uomini.»

«Sei tu l’anormale, tra noi!» Fece Hera, agitando in aria la lima per unghie. «Tutte hanno bisogno di un uomo, Thea.»

«Tutte hanno bisogno di un cane, vorrai dire! Almeno Fido non ti mollerà per un paio di tette migliori.» Replicò l’altra con un certo astio. «Amore, amore ... la gente ne è ossessionata. E a cosa serve poi? Assolutamente a niente.*»

«Chi ha mai parlato dell’amore? Io ho detto ‘maschi’.»

Furono interrotte dal tintinnio del campanello sulla porta che annunciò l’entrata di un nuovo cliente. Si voltarono istintivamente verso due uomini, uno dei quali risultò ad Athena piuttosto familiare.

 

«L’ho trovata! Cazzo non ci credo.» Joe sbirciò attraverso la vetrina con troppo entusiasmo. «Guarda, guarda Kev!»

«Cosa?» Chiese Kevin, aspettandosi di vedere una chitarra dall’inestimabile valore o qualcosa del genere.

«La ragazza! E’ Lei!» Rispose invece Joe, picchiando il dito contro il vetro. «Non ci credo, che gran culo!»

Il maggiore gli posò una mano sulla spalla.«Joe, calma.»

Ma l’altro non lo stava ascoltando: era troppo preso a sistemarsi il cappello, gli occhiali ,la giacca … aveva già visto l’avviso sulla porta.

«Andiamo.» Gli ordinò, sicuro di sé.

 

«Buongiorno.» Disse Joe Jonas, ghignando in direzione delle tre ragazze. «Sono qui per il posto di assistente.»

 

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