guerra e pace

di sassy86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** leaving ***
Capitolo 2: *** wine ***
Capitolo 3: *** doll ***
Capitolo 4: *** thoughts ***
Capitolo 5: *** the saint ***
Capitolo 6: *** questions ***
Capitolo 7: *** beer ***
Capitolo 8: *** fight ***
Capitolo 9: *** money ***
Capitolo 10: *** escape ***
Capitolo 11: *** struggle ***
Capitolo 12: *** obstinacy ***
Capitolo 13: *** lunch ***
Capitolo 14: *** anger ***
Capitolo 15: *** messages ***
Capitolo 16: *** troubles ***
Capitolo 17: *** bedroom ***
Capitolo 18: *** london ***
Capitolo 19: *** and now? ***
Capitolo 20: *** the end? ***
Capitolo 21: *** precisazioni ***
Capitolo 22: *** precsiazioni 2 la vendetta ***



Capitolo 1
*** leaving ***


La guerra imperversava da molti anni. L'Europa era ormai ridotta ad un cumulo di macerie ed io mi ero arruolato nella Raf, spinto dall'utopia di poter apportare un minimo contributo alla tragica situazione del mio paese.

Un giorno, mentre mi trovavo in camerata, mi arrivò una lettera in cui mi veniva ordinato di partire subito per l'Italia. Destinazione: Roma.

E' proprio il caso di dirlo: feci armi e bagagli e partii per quella che mi fu detta essere una missione di affiancamento e liberazione assieme alle truppe americane. Quello che non sapevo, era che avrei vissuto, di li a poco, l'esperienza più strana della mia giovane vita.

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Capitolo 2
*** wine ***


La città eterna brillava di mille luci. Peccato che quelle luci fossero dovute alle bombe che venivano sganciate e non ai lampioni che malamente illuminavano le strade. Roma era ridotta ad un cumulo di macerie. Era salva solo la zona periferica che era stata velocemente adibita a quartier generale delle forze alleate.  La situazione sembrava calmatasi. Ascoltavo alla radio il discorso di Winston Churchill che ci incitava a continuare a  non perderci d’animo. Dovevamo liberare l’Italia e l’Europa dal nemico nazista. Sarebbero seguite le parole di Re Giorgio VI ma me le sarei volentieri risparmiate. Spensi di scatto la rudimentale radio di cui disponevamo.  

<< Me ne vado in giro>> dissi ai miei compagni.

Con una sigaretta tra le dita, girovagai per una piccola borgata romana. Dei passanti mi dissero con qualche parola inglese, ma con forte accento italiano, che si trattava di un certo quartiere Trastevere. Lì, la gente si faceva forza riunendosi sotto i portoni delle case a cantare e a bere del buon vino. Il poco rimasto tra le riserve.

<< Come here! Venga qui a bere con noi.... Su!>>.

Un uomo di bassa statura, calvo, con una pancia grossa resa ancora più evidente dal piccolo e stretto gilet rosso, agitava forte le braccia, facendomi segno di avvicinarmi.

<< E' vino....Wine!>>

Bevvi tutto d’un sorso, mentre il signore mi parlava delle sue ragazze.

Prostitute.

Mi diceva di averne di diversi tipi. Molte more, ma anche qualche bionda, per assecondare i gusti nordici di noi soldato stranieri.

Non volevo una prostituta. Non sapevo più in che altra lingua farglielo capire. Ma niente.

Approfittò del fatto che il buon vino rosso italiano mi aveva dato un po’ alla testa e mi portò in piccolo appartamentino.

Salii a mala pena le scale per arrivare al primo piano.

Mi aprì una signora vestita in maniera al quanto eccentrica. Molto diversa dalla sobrietà britannica alla quale era abituato.

Mi fece segno di entrare e di accomodarmi su un piccolo divanetto nell’anticamera. Mi domandai come potevano permettersi quei vistosi drappi, quelle tende così rifinite e quei parati così lavorati. Ciò rendeva tutto più sofisticato ma non meno squallido.

Ad un tratto entrai in una lussuosa stanza da letto. Tutto era scuro, illuminato solo dalla luna che si intravedeva tra le persiane.

Una giovane donna mi si presentò davanti. Era bellissima

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Capitolo 3
*** doll ***


I capelli color mogano ricadevano morbidi sulle spalle, senza superarli in lunghezza. Il viso aveva tratti leggeri, quasi da bambina, ma resi quasi volgari da un trucco troppo pesante per quegli occhi color cioccolato. Tutta quella sensualità innata, resa ancora più travolgente dal vestito nero di raso, mi scatenava istinti quasi violenti. Mi persi a pensare come potesse possedere quel vestito, doveva guadagnare molto bene. Tanto meglio, significava che ci sapeva fare.

<< 20 lire, 50 per tutta la notte>>

Il silenzio fu interrotto dall’inizio delle trattative. Andava al sodo. Tutti i miei buoni propositi da bravo soldato … beh, si andarono a far benedire, con buona pace della Regina che ci aveva affidato l’arduo compito di proteggere l’Europa. Avrei protetto quella ragazza molto volentieri, almeno per quella notte.

<< Ti do 60 lire se prima chiacchieriamo un po’ >> le dissi.

Si sedette sulla sedia e mi fece segno di accomodarmi sul letto.

<< Farò tutto quello che vuoi soldato. So già cosa fare con 60 lire. >>

<< Vuoi comprarti un bel vestito? >> Sorrisi sardonico.

<< No >>, si oscurò in viso, << li mando alla mia famiglia, anche se…. Credono che io faccia la cameriera, ma non importa! Stasera mi occuperò solo del gradito ospite inglese. >>

Si mise a cavalcioni sopra di me e prese massaggiarmi le tempie. Chiusi gli occhi e senza che me ne accorgessi, mi ritrovai con la camicia sbottonata. Di scatto le fermai i polsi con una presa che non doveva essere molto delicata.

Mi guardò terrorizzata. La sua voce tremava. << Ho forse fatto qualcosa che non va?>>

Non dissi niente. Continuai solo a guardarla come se fosse il più succulento dei dolci. Il più dolce dei mieli. Quella notte sarebbe stata mia e di nessun altro. Poco me ne importava se il giorno dopo qualcun altro l’avrebbe toccata come avrei fatto. Per quella notte, sarei stato solo io ad avere la piccola….

Un momento…

<< Non so neanche il tuo nome>> dissi.

<< Isabella >>

Non smetteva di guardarmi impaurita e pietrificata, e forse aveva ragione. Non avevo nessuna intenzione di essere gentile con lei. Generoso si. Bastardo, forse.

<< Let me play the game >>

Non so se capì le mie parole. Poco importava. La presi per i fianchi invertii le posizioni il letto fece uno strano balzo in avanti verso il muro, tanta era la foga che quel mio gesto aveva scatenato.

Quella notte non fui delicato. Sul suo viso non sempre c’erano smorfie di piacere. Sul mio invece, era possibile percepire l’arrivo di un orgasmo che aveva il sapore del proibito.

Quando il piacere raggiunse il culmine, mi portai sul fianco e feci quello che non avevo fatto mentre facevamo sesso. La guardai.

Guardai le sue labbra gonfie e turgide, le sue guance arrossate e gli occhi lucidi per il piacere appena provato. Aveva il respiro affannato e mi guardava con uno sguardo che quasi mi fecero pentire di non averle dedicato neanche una carezza. In fondo era solo una bambina.

<< Quanti anni hai Isabella? >> le domandai mentre mi rivestivo.

<< Diciotto >>, balbettò mentre con uno scatto si portò le lenzuola sopra di sé per coprirsi.

<< Tieni isabella, questi sono i tuoi soldi. Te li sei meritati tutti. >>

Le diedi un bacio sulla fronte, le posai i soldi sul le letto e la guardai per conservarne il ricordo.

Poi me ne andai.

 

Ciao a tutte! Questa è la seconda ff che scrivo e spero davvero che vi piaccia…

Volevo ringraziare tutte quelle che leggono la mia storia e quelle che recensiscono! Grazie per i complimenti! Ma soprattutto ci tenevo a dire, che accetterò qualsiasi critica qualora ce ne siano. Così potrò migliorare il mio modo di scrivere, visto che ho sempre avuto un rapporto un po’ conflittuale con la scrittura! Aspetto le vostre recensioni!

Un grazie in particolare ad Essebi, che mi da  degli ottimi consigli! A presto

Francesca

 

 

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Capitolo 4
*** thoughts ***


Nelle settimane seguenti fui preso dai compiti che la missione ci imponeva. Quanta sofferenza, quanto dolore. Negli occhi della gente non potevo far altro che scorgere tristezza, pena.

Ma il popolo italiano sapeva farsi forza da solo, anche quando la forza non c’era.

Dovevamo essere noi, con le nostre armi, ad aiutare i partigiani e a liberare l’Italia dalla morsa fascista. In Sicilia, il grosso era già fatto. Gli americani, assieme al nostro aiuto avevano reso possibile la fuga di gran parte delle forze nemiche dagli avamposti dell’isola.

Come mi mancava la mia di isola. Il tè, quei deliziosi sandwich al cetriolo della nostra vicina di casa, il pudding che ogni volta mi preparava mia madre. Le scrivevo spesso, relativamente al tempo che avevo a  disposizione. Quando non ero di guardia per le strade di Roma, volavo. E li, quando non ero attaccato dal fuoco nemico, mi perdevo a pensare, nella solitudine della cabina di pilotaggio.

Pensavo a Londra, a cosa ne era stato dei miei amici. Inoltre, mi domandavo cosa ne pensava mio padre di quello che facevo qui in Italia. Quando ebbi la notizia, corsi a casa, trepidante dall’emozione e con il fiatone dovuto alla corsa gridai a mio padre e mia madre che sarei partito. Lui rimase impietrito e quando partii, mi guardò come se fosse sicuro che quello sarebbe stato il nostro ultimo saluto. Eppure, era un onore servire il nostro re, servire la nostra patria e l’Europa. Ma evidentemente non dovevamo pensarla allo stesso modo. Un pastore anglicano non poteva di certo capire la gloria e l’entusiasmo che  colpiva noi soldati, anche se questi soldati andavano in contro alla morte. Temerarietà? Coraggio? Secondo lui la mia era solo pura incoscienza…

Ed io, nei miei 25 anni di vita ne avevo tanta di incoscienza.

Ad un tratto nei miei pensieri si affacciò un volto.

Isabella.

Chissà cosa stava facendo in quel momento. Era viva? Stava bene? Il suo protettore sarebbe riuscita a proteggerla dalle bombe che deturpavano la città? E se quelle stesso bombe avessero deturpato il suo viso?

Con lei avevo fatto il sesso più eccitante della mia vita. Mi era piaciuto e tanto. Anche se non sapevo dirmi perché.

Cosa poteva avere quella bambina italiana, vestita e truccata come una squallida attricetta, che la faceva apparire prepotentemente nei miei pensieri, che le belle ragazze inglesi, bionde e di buona famiglia non avevano.

Mentre eravamo insieme quella notte, non mi ero perso nei particolari, ma volevo solo godere del corpo di quella bella italiana catapultata per caso nella mia sera solitaria.

Ritornai alla base. Per oggi avevo fatto quanto mi era stato comandato e ancora una volta, grazie a Dio, avevo salvato la pelle.

Atterrai e tirai un sospiro di sollievo. Rientrai nella base.

<< Cullen! >> urlò il sergente Whitlock,   << hai ammazzato qualche bastardo seguace del baffetto quadrato? >>

Risi. << No, signore, sono spiacente. Oggi erano più insistenti del solito. Ma mi sono difeso bene >>

<< Ottimo! >> rispose soddisfatto, << pensa a salvare la tua pellaccia inglese >>. E se ne andò.

Era simpatico il sergente, avrà avuto pochi anni in più di me. Complice l’età ed il fatto che venivamo entrambi da Bayswater, eravamo diventati amici, nonostante la differenza di grado e le formalità tipiche della cultura britannica rendessero difficile la possibilità di farci qualche bevuta insieme.

Avrei potuto portarlo in quel posto….

 E di nuovo il pensiero andò lì, ad Isabella.

 

Ciao a tutte!  Volevo ringraziarvi per le recensioni. Mi sono state molto utili! In questo capitolo, non succede granché. È un capitolo di passaggio per capire qualcosa in più di Edward.

Ci tenevo a dirvi ch mi dispiace di essere molto sintetica e poco descrittiva ma è proprio nel mio stile: è una cosa che i miei professori a scuola mi hanno sempre recriminato…. Anche per le mie letture, preferisco libri dove le descrizioni non facciano perdere il ritmo agli eventi! Ma cercherò di fare del mio meglio e di essere più prolissa! Promesso…

Vi ringrazio in anticipo per i consigli che vorrete darmi!

 

 

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Capitolo 5
*** the saint ***


Era passata una settimana da quella notte. Era solo una prostituta diavolo! Perché mi tormentava?

I pensieri, i miei gesti, tutto era rivolto a lei. I suoi occhi, i suoi capelli, le sue mani…

Mi portai una mano tra i capelli, come se volessi scacciare via con un gesto la tristezza dalla mia testa. Volevo rivederla. Mi alzai di scatto dalla mia branda e mi recai a passo svelto, quasi spasmodico, verso l’ufficio del Comandante. Spalancai la porta senza bussare, ma subito l’occhiataccia del Comandante mi ricordò che non avrei dovuto dimenticare le buone maniere.

<< Chiedo scusa Comandante, perdoni la mia irruenza >> dissi ammorbidendo il tono della voce.

<< Dimmi soldato Cullen, a cosa devo questa inopportuna entrata nel mio ufficio? >>

<< Le chiedo scusa Comandante, ma avrei urgente bisogno di un permesso per qualche ora >> ero impaziente ed il mio corpo mostrava segni di nervosismo. Cazzo volevo solo qualche ora di licenza!

<< Il motivo? Cullen, questa non è una vacanza pagata con i soldi di Sua Maestà! Tu sei qui per compiere il tuo dovere, per obbedire a dei comandi e a morire, se necessario >>

<< Con tutto il rispetto Comandante, non dimentico mai i miei doveri, ma oggi mi sembra una giornata tranquilla >> dissi portandomi verso la scrivania. La mia voce, prima tranquilla per arruffianarmi i suoi favori, divenne più aggressiva. Sbattei le mani sulla scrivania.

<< Ho bisogno di quel permesso, la prego. È appena arrivata una mia parente da Londra e devo incontrarla. Se non fosse davvero urgente non la importunerei >> Speravo davvero che ci avrebbe creduto.

Il Comandante si alzò, rivolgendosi alla finestra che dava sul campo di addestramento. Senza girarsi verso di me, disse: << Non perdono a nessuno questo comportamento che non fa onore ad un soldato di Sua Maestà! Ma fortunatamente per te, non posso non tener conto dell’amicizia che ti lega al sergente Whitlock. Perciò permesso accordato Cullen. E ora và! Prima che me ne penta e ti metta in cella di rigore e di ronda per tutte le notti!>>

Non me lo feci ripetere due volte. Ringrazia lui e la mia buona stella.

 

 

 

 

 

Per le strade di Roma era tutto un via vai di gente che approfittava della bella giornata e delle condizioni relativamente tranquille, visto l’allerta che lo status di guerra portava con sé.

Camminavo. Quasi correvo. In cerca di lei. La cercavo tra la gente, nei tanti visi che incrociavo mi sembrava di scorgerla. Ma non era mai lei.

Ritornai  a Trastevere, nello stesso palazzetto malandato di quella sera. Ma ad un tratto mi bloccai. E se fosse stata occupata con un cliente? Il solo pensiero di lei con un uomo che non ero io mi fece arrabbiare. Se fosse stato necessario avrei aspettato lì tutto il giorno, anche col rischio di avere una punizione al mio ritorno, ma dovevo vederla. E in tutto questo, continuavo a chiedermi << Perché lei >>.

Ad un tratto mi accorsi di fissare la sua finestra come un pellegrino guarda un santuario. E a quella stessa finestra si affacciò la mia santa.

A passo incerto e con le spalle contratte, mi avvicinai al palazzo. Primo scalino, secondo scalino. Al terzo Isabella si accorse della mia presenza. Si girò verso di me.  Teneva le braccia al petto a fermare un lungo scialle di pizzo nero. E mi guardò con quegli occhioni grandi e scuri.

<< Cosa ci fai qui? >> mi domandò.

<< Volevo vederti >> Mi stupii io stesso della semplicità di quelle parole. << Volevo sapere come stavi. >>

<< Perché? >> Era sorpresa.

<< Perché mi andava>>

Ad un tratto, però, mi accorsi che avevo salito tutta la piccola scalinata in pietra e l’avevo raggiunta.

<< Entra >>

Mi girò le spalle, ma prima che potesse farlo, mi accorsi che era leggermente arrossita. E la cosa mi piacque.

<< Soldato, avviati nella mia camera, io intanto mi preparo. Non ero pronta a ricevere clienti…>>

La afferrai per un polso prima che potesse entrare nel piccolo bagno vicino l’ingresso.

<< Aspetta. Non sono venuto per stare con te. O meglio, non per stare con te in quel senso.>>

Mi guardava con occhi sospettosi. Come se non capisse. Quasi avesse paura, si accomodò, cauta, su una piccola sedia di legno di fronte a me. E continuava a fissarmi. Mi venne voglia di farla sedere sulle mie gambe ma mi trattenni dal dirglielo. Credevo che un contatto troppo ravvicinato, magari, avrebbe suscitato in me sensazioni e reazioni che al momento era meglio non stimolare. E intanto, continuavo a tenerle la mano.

 

 salve a tutte! come al solito ringrazio chi legge, chi recensisce, chi mi ha tra i preferiti, i ricordati e i seguiti!

vi ricordo che la mia storia è scritta senza grandi pretese, con il solo scopo di dare vita ad un piccolo sogno che ho fatto... ( stephenie meyer docet )

 amo inserire particolari storici che possano dare un pizzico di verità ad una storia romantica che, per una povera cinica come me, non credo possa verificarsi nella realtà... i primi capitoli, lo so, sono un pò noiosetti ma dai prossimi il gioco per i due protagonisti si farà un pò più duro! non dimenticate che siamo nel periodo della liberazione dell'italia dai fascisti e le cose non erano certo tutte rose e fiori!

un'ultima cosa: gli altri personaggi della saga saranno molto marginali, giusto da controscena...

alla prossima!

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Capitolo 6
*** questions ***


<< Sono venuto perché volevo sapere qualcosa in più su di te >>.

Che cretino! Avrei potuto inventarmi qualcosa di più originale. Piegò leggermente la testa di lato e  mi guardò come se davanti a sé avesse un pazzo. Si, un pazzo masochista.

<< Su di me? E cosa ti interessa sapere? Non sono nient’altro che una donna che si vende per denaro >> disse mentre si alzava per raggiungere la finestra alle sue spalle. Continuava  a tenersi  le braccia strette al petto. <<  Cosa posso avere di così interessante da suscitare interesse in un soldato inglese di cui non so neanche il nome. >>

Era la stessa cosa che mi domandavo io. E una risposta proprio non riuscivo a darmela.

<<  Mi chiamo Edward, Edward Cullen e ho 25 anni, tu? >>

<< Isabella Cigni, at your service >> Fece un inchino e rise.

 Com’era bella quando rideva. Sorrideva anche con gli occhi che si affilavano dolci e maliziosi allo stesso tempo.

<< Parli inglese? >>

Sospirò.  << Diciamo che non sei il primo inglese che conosco, anche se il mio lavoro non richiede grandi competenze linguistiche. È necessario che sappia far impazzire un uomo. Con te mi sa che non ci sono riuscita, visto il modo in cui è andata. >>

Non ti avvicinare a me. Non farlo.

<< Perché tu non ti sei divertita? >>

<< Non sei stato propriamente delicato quella notte, ma non mi sono lamentata. In fondo, ognuno ha il suo modo di fare. Spero solo di averti soddisfatto. È questo il mio compito >>.

Ondeggiava con quel suo corpo così morbido. Le spalle si alzavano morbide ad ogni respiro. Raccolse i capelli in un morbido chignon, ma senza smettere di fissarmi.

Non guardarmi. Non farlo.

Più la osservavo e più sentivo il bisogno di sfiorarle il viso. Le mie dita bramavano la sua pelle, dovevo trattenere la mano che altrimenti, l’avrebbe sicuramente raggiunta, come se questa avesse vita propria. Era come essere davanti al tesoro tanto desiderato, ma essere impossibilitato nel raggiungerlo perché pericoloso. Lo sapevo che mi sarei fatto male, ma in quel momento nulla mi sembrava più essenziale del suo respiro sul mio collo. Avrei voluto stringerla, possederla, tenerla tra le mie braccia, cullarla e sentire il suo fiato ansante sul mio petto.

<< Sono desolato che tu non sia stata bene quella notte >>. Era davvero così? Perché non le era piaciuto? Forse, non ero stato cosi bravo, in fondo.

Scosse la testa.

<<  Non dispiacerti, no. Ti ripeto, è il mio lavoro. Non sei stato dolce ma non ti sei neanche avvicinato a quello che alcuni uomini fanno col mio corpo. >>

Abbassò lo sguardo e i suoi occhioni si riempirono di lacrime che, però, subito trattenne prima che potessero uscire. Alzò il viso. Aveva uno sguardo fiero, dignitoso.

Non sapevo che dire. Fu allora che mi accorsi di fissarla con la bocca spalancata e le mani tese verso di lei, come ad invitarla a farsi accogliere da queste. Le ritrassi.

<< Adesso scusami, ma avrei delle commissioni da fare. >>

Non le permisi di terminare la frase che mi alzai di scatto.

<< Se me lo permetti ti accompagno io. Ho una giornata di licenza.>>

Rise. Di gusto. Sembrava divertita. Come se davanti a lei ci fosse un pagliaccio con il naso rosso e tutto il resto.

<< Sei proprio un tipo strano! Ma… mi piace! >> disse fingendo di riflettere un po’ << dammi un minuto e andiamo. >>

 

 

 

Le strade di Roma erano invase dalle macerie. Ma queste erano sistemate in cumuli ordinati accanto ai marciapiedi. Si respirava un’aria strana, nuova. Non più intrisa di polvere e cenere. Il cielo era quasi terso e il sole rendeva tutto più chiaro. Nulla era più avvolto dalla nube grigia dei giorni passati. Era come sa da lì a qualche giorno si sarebbe scatenata qualche forza che avrebbe riportato la libertà nella città eterna.

Lei mi camminava affianco. Semplice, ma con un cipiglio fiero e un briciolo di alterità, nonostante le occhiatacce scure delle vecchie del quartiere. Una di queste si avvicinò. Aveva una cesta in mano con del pane e mormorò: << Puttana >>. E poi sputo a terra accanto ai piedi di Isabella.

Stavo per afferrare la vecchia, quando Isabella mi fermò.

<< Non darti pena, ci sono abituata >>

 E riprese a camminare, incurante del fatto che io ero rimasto lì, impietrito.

Come poteva una ragazza così… bella , essere trattata in quel modo. E poi capii. Era proprio la sua bellezza il problema. Uno strumento di caccia per accalappiare gli uomini come una farfalla attira il maschio della propria specie con i colori sgargianti delle sue ali.

Mi prese un moto di rabbia che non riuscii a reprimere. Perché aveva scelto questa vita? Non poteva trovarsi un lavoro un po’ più dignitoso? Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che fare la prostituta.

<< Ho una domanda da farti. Fermati >>

Si blocco di scatto e si girò nella mia direzione.

<< So già cosa vuoi chiedermi. “ Perchè lo fai? Non potresti fare qualcosa di diverso per vivere” >>

Prese un lungo respiro e continuò.

<<  É meglio che te ne vada. Non perdere tempo con me. >> disse e se ne andò.

Ma questa volta non provai neanche  raggiungerla.

 

 

 

Passò qualche settimana da allora. Fui occupato con la missione e i voli su Roma e sul Lazio, oppure mi concentravo sulle esercitazioni e sulle noiosissime pratiche burocratiche che un fervente carteggio tra forze alleate richiedeva.

Non la rividi più. Pensai che forse era meglio così. Che cosa ne avrei fatto io di una prostituta Italiana, che magari, nello stesso momento in cui io la pensavo, era intenta a rotolarsi nel letto assieme ad altri uomini. Ad ansimare per loro. A provare piacere per loro. A farsi sbattere da loro. Non era poi così bella, no.

Cosa dicevo. Non era bella. Era bellissima.

 

ciao a tutte! com'è andato il ferragosto?

allora, come al solito ringrazio che legge e chi recensisce.

 a proposito di queste ultime...

vi ringrazio tanto per i complimenti che mi incoraggiano a continuare e soprattutto ringrazio essebi che consiglia la mia ff e che mi manda consigli utilissimi via mail! grazie!

volevo precisare che edward non ha portato ancora jasper a bere nel posto dove ha incontrato bella, quasta cosa mi servirà solo tra un pò.

inoltre se lascio molte cose in sospeso, senza un chiarimento è perchè molte informazioni mi servono come motore per la ff: se dicessi tutto in un unico capitolo, non avrei più spunti per continuare. già sono sintetica di mio!

a proposito dell'essere sintetica: spero di aver inserito qualche dettaglio descrittivo in più, ma cercherò di fare meglio per le prossime volte..

francesca

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** beer ***


I giorni passavano. Non avevo avuto tanto tempo per pensare, fino a quel momento.

I nazisti si stavano spingendo sempre di più al nord e Mussolini dava i primi segni di cedimento. Con lui, i suoi fedelissimi.

 A me non importava nulla. Quel poco che sapevo lo sentivo dai superiori che ci aggiornavano, in modo da essere sempre consapevoli che quello che facevamo, ogni azione, avrebbe avuto conseguenze che sarebbero rimaste nei libri di storia dei nostri figli. Se ne avessi avuti.

Gli ordini da Londra e da Washington erano sempre più pressanti e lo stress rendeva l’atmosfera tagliente e tesa.

Il pensiero andò a mia madre, a mio padre, a mia sorella. Chissà quante volte ero stato oggetto delle loro preghiere. Me li immaginavo in chiesa, inginocchiati a pregare incessantemente perché la guerra finisse il prima possibile. Immaginavo mia madre, con gli occhi chiusi e il respiro corto per il troppo pregare e l’incessante piangere.

Che dolore avrei inflitto a mia madre se non fossi tornato più a casa.

<< Cullen, occorre che tu sia di ronda stanotte >> disse fermo e risoluto il Comandate. << Sarai di aiuto al sergente Whitlock >>

<< Signor si, signore >> risposi, alzai i tacchi a  mo’  di saluto militare e me ne andai.

Cosa stava facendo Isabella. A cosa pensava Isabella, mentre io pensavo a lei? Con chi era? Era forse con un cliente? Per averla anche solo per una notte ancora avrei buttato giù la porta a calci, l’avrei presa e me la sarei scopata fino allo stremo.

Che cosa mi hai fatto, Isabella.

Non lo vedi come mi hai ridotto.

Sono un soldato, cazzo. Io devo essere forte. Sono in guerra, sono qui solo per combattere. Non posso permettermi il lusso di perdermi dietro ad una gonna. Anche se quella gonna è la più sensuale che io abbia mai visto.

Perché mi hai detto di andare via? Perché non vuoi godere della mia compagnia come vorrei fare io con te?

Perché sei una puttana, ecco perché. Il tuo scopo è solo passare da un uomo all’ altro solo per soldi. Quelli posso darteli anche io! Non ne posseggo molti, ma in fondo a te che importa. Sono io quello che ti pensa anche quando non dovrebbe.

Tu non pensi mai a me.

Tu non mi cerchi.

Tu non mi vuoi.

Shit! Perché sto così da schifo?

 

 

 

 

È sera. Cammino per le strade di Roma con il Sergente. Non parliamo molto questa sera. Troppo persi nei nostri pensieri.

<< Cullen, pensi mai che potremmo non tornare a casa? Chi ci dice che non marciremo in Italia? >>

Il sergente era in vena di essere ottimista stasera.

<< Io non ci penso. Ho evitato di pensare negli ultimi giorni. >>

Si fermò di botto e mi indicò una locanda situata in un vicolo poco illuminato. Entrammo. Una volta seduti  davanti al bancone, ordinammo due grossi boccali di birra. Le luci erano soffuse e l’ambiente non era dei migliori. Qualche sgabello, qualche tavolo e un bancone. Tutto in legno usurato dal tempo e dalle cattive condizioni. Il padrone appena ci vide, si mise subito a nostra disposizione. Le sterline inglese gli facevano gola, in tempi in cui la lira non era nient’altro che carta straccia.

<< Edward, il Comandante mi ha detto che hai avuto un comportamento indisciplinato. Voleva punirti ma non lo ha fatto per l’amicizia che c’è tra me e te. Che  stai combinando? E ti avverto: io non me la bevo la storia della parente di Londra. Conosco la tua famiglia e so che a  nessuno di loro salterebbe in testa di venire qui a trovarti! >> disse, terminando con una sonora risata.

Non potevo mentire a Jaz.

<<  Jasper, cosa faresti se qui ci fosse una persona che non conosci? Non sai niente di lei ma che ti ossessiona a tal punto da fregartene di quello che succede in questo fottuto paese? >>

Stavo parlando proprio come un vecchio marinaio. Mi immaginavo con un bel tatuaggio e con un pezzo di tabacco masticabile. Che ne era del raffinato ragazzo dalle sembianze particolarmente british?

<<  Ah. Lo sapevo! Donne! >>, disse producendo un sonoro schioccho con la lingua. << Dimmi fratello, chi è la bella italiana che ti vuoi scopare? >>

<<  In realtà me la sarei già scopata… >>

<<  Grandioso! E ora dimmi: non vorrai mica mandare la tua carriera a farsi friggere per una ragazzina italiana che dopo che te la sei fatta, magari ti ha anche chiesto dei soldi per tirare avanti? >> disse tirandomi una sospettosa occhiataccia.

<< Tu non capisci, Jaz! Neanche io so il perché. So solo che è entrata nella mia testa e non riesco più a farla uscire! >>

<< Mi sa che più che nella testa, ti è entrata nei pantaloni! >> e si girò a bere la sua birra.

 

 

 

Dopo qualche minuto, in cui mi ero perso tra il tintinnio dei bicchieri e il rumore della sala, venni attirato dalla pesante voce di un uomo.

<< Vieni, siediti! Stasera fammi compagnia qui. Ti pagherò bene, non preoccuparti. >>

Non avrei mai dovuto girarmi.

Avrei dovuto rimanere fermo sulla mia sedia.

Perché quello che vidi non mi piacque. Lo odiavo.

Isabella era seduta in braccio ad uomo grasso, sporco, con la camicia sbottonata sul petto. Quel viscido insisteva nell’abbracciarla, nonostante il viso di lei era palesemente oscurato dal disgusto.

La teneva  stretta a sé per un polso.

Come preso da un impulso irrefrenabile, da una forza sconosciuta e potente, sferrai un pugno all’uomo che cadde per terra, con il labbro insanguinato.

<< Edward fermati! >> urlò Isabella.

<< Ti ammazzo! Ti ammazzo! >> urlai rivolto all'uomo. Le braccia di Jasper mi presero per le spalle portandomi di peso fuori dal locale.

 

 hola a tutte! grazie ancora per le recensioni: mi sono quasi commossa!

in questa ff ci sto mettendo il cuore, anche perchè sono un pò giù e scrivere mi aiuta a sfogarmi, a non pensare. entro nel mio mondo parallelo e vai con la fantasia.

vabe, non mi perdo in chiacchere: faccio un pò di pubblicità alla mia vecchia ff    " un giorno... come tanti altri".

potete trovarla nella mia pagina personale..

ci terrei molto ad sapere che ne pensate, visto che li ho provato a dare le risposte a quelle domande che suppongo si ponga chiunque possa vivere per l'eternità!

se fossi nei panni dei personaggi della meyer mi porrei esattemente quelle domande!

francesca

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Capitolo 8
*** fight ***


<<  Che cavolo ti è preso Cullen!? >>

Jasper mi teneva bloccato con la schiena  al muro lontano dal locale.

<< Se si venisse a sapere che hai colpito un uomo senza motivo, sai le ripercussioni che questo potrebbe avere sulla tua carriera? E ti assicuro che non ci sarà amicizia che tenga se la voce arriva  al comandante! >>

Non parlavo, non ci riuscivo. Vedevo solo un velo rosso davanti a me. Un velo rosso sangue negli occhi.

Ero preso da forti spasmi. Se Jasper mi avesse lasciato andare, sarei di sicuro schizzato nel locale a finire quello che avevo iniziato.

<< Chiedo scusa, posso parlare un attimo con Edward? >>

Ci girammo entrambi di scatto. Jasper mollò la presa dal mio collo.

 Le parole di Isabella erano rivolte al mio amico, ma il suo viso era girato verso di me. Mi guardava con quei suo grandi occhi, carichi di rabbia.

Jasper mi guardò e mi fece cenno che mi avrebbe aspettato poco più distante.

Provai a ricompormi.

<< Mi hai fatto perdere un cliente! >> gridò. <<  E’ scappato a gambe levate! Pensava che io fossi la tua fidanzata! E vuoi sapere una cosa? Mi ha urlato che non sarebbe venuto mai più da me, perché pensa che io sia  una spia degli inglesi! >>

Andava avanti e indietro in maniera spasmodica. I suoi tacchi facevano uno strano rumore sui sampietrini. Le braccia si agitavano e i suoi capelli erano scompigliati per l’agitazione.

Ormai il suo era un monologo.

<< Non posso perdere dei clienti per un soldato inglese che è stato con me per una notte, una notte sola, Edward, ficcatelo bene in testa! Una notte con me non significa niente! Io lavoro, quei soldi mi servono! >>

Di colpo si bloccò e si avvicinò a me. Aveva il viso basso ma potevo vedere lo stesso che si stava torturando un labbro. Si portò una mano alla bocca.

<< Quell’uomo non ti piaceva. Si vedeva ad un miglio di distanza. Eri a disagio, faceva schifo anche a te! >>

Mi ero avvicinato troppo a lei. Potevo distinguere chiaramente il suo profumo.

<< Non sei tu a dover scegliere con chi devo andare, vuoi per caso diventare il mio protettore? >> disse ostentando un sorriso ironico e triste.

<< Vorrei essere qualcosa di più per te, Isabella. Tu mi hai stregato.>>

Il mio tono si era fatto basso e dolce. Ma il respiro  di entrambi restava affannato per la troppa vicinanza. Isabella deglutì rumorosamente e chiuse gli occhi quando posi la mia mano a coppa sul suo viso.

<< Non farlo. >>

<< Cosa. >>

<< Innamorarti di me. >>

 

 

 

Jasper dovette aspettare a lungo, visto che passai la notte da Isabella.

Quella volta tutto fu diverso. Ci guardavamo, ci respiravamo, ci sentivamo, il piacere di uno era il piacere dell’altro.

<< Cosa ti manca di più? >> fu la mia domanda a rompere un silenzio carico di attesa.

Abbassò lo sguardo e poggiò la fronte sul mio petto. Improvvisamente sentii che le sue lacrime stavano inumidendo la mia pelle.

<< Mi mancano tanto gli abbracci della mia mamma. Oppure l’abbraccio di un amico quando è Natale. È un abbraccio sincero, che ti scalda senza pretendere nulla in cambio >>

Singhiozzava, ma subito si riprese. Riusciva sempre a mantenere un comportamento dignitoso. Si asciugò le lacrime dal viso e tirò su col naso. Le offrii un fazzoletto.

<<  No, grazie. Non voglio sciupare questo bel fazzoletto. >>

Stupito, lo guardai e mi accorsi che era il fazzoletto che tutti si soldati della RAF hanno in dotazione al momento della partenza per una missione. Era bianco, di cotone fresco e sopra erano ricamati l’aquila e la corona, simbolo della Royal Air Force.

<< Non preoccuparti. È tuo, te lo regalo se vuoi. >>

Lo prese e lo guardò come se fosse il più raffinato dei doni.

<< Io non ho nulla da offrirti>>

<< Potresti fare una cosa per me. Smetti di fare la prostituta. >>

 

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Capitolo 9
*** money ***


Non parlava.

Nessuno dei due proferiva parola. Entrambi incatenati nello sguardo dell’altro.

<< Perché? >>

La sua voce era bassa, simile ad un sospiro.

<< Non lo so. >>

Ed era vero.

Io non lo sapevo perché doveva smettere di vendersi. In fondo è così che l’avevo conosciuta.

Prese un respiro e si alzò dal letto, trascinando con sé il lenzuolo. Rimase per un po’ di spalle, ma ad un tratto si girò di scatto.

<< Come puoi venire qui, Edward Cullen  e dirmi cosa devo fare? Chi sei tu? Cosa vuoi? Tu sei solo un cliente! Tra me e te non ci potrà mai essere nulla. Dimenticami e torna dalla tua bella fidanzata inglese. Siete persone raffinate voi, non c’è bisogno che perdi tempo con una puttana italiana. >>

A queste ultime parole, mi accorsi di stringere la federa del letto tra le mie mani.

Come poteva dire quelle cose?

Quale donna poteva voler fare quel lavoro?

Lei.

Non capiva, non voleva capire.

Non so perché lo feci. Ma quello che successe dopo fu uno dei gesti che mai avrei pensato di compiere nella mia vita.

Mi alzai dal letto, presi un respiro. Mi infilai velocemente i pantaloni e frugai nelle tasche.

Poi mi girai e le gettai addosso delle monete.

<< Giusto. Sono solo un cliente. Tieni. È esattamente quanto vale per stanotte. >>

Restai impietrito. Qualsiasi altra donna avrebbe urlato, inveito contro di me.

Non lei.

Sotto il mio sguardo attonito, si piegò, prese le monete, una ad una e le mise in una cassettina di ferro.

<< Grazie >> mormorò.

<< Non è possibile! Non ci credo! Io ti ho disprezzata, ti ho umiliata e tu che fai? Ti abbassi a prendere quei pochi spiccioli che ti ho gettato addosso? >>

<< è questo il problema, Edward. Io non ho fatto l’amore con te. Tu sei un cliente e mi hai pagato. Come è giusto che fosse.

La rabbia fu insostenibile. Qualcosa scattò in me. Una violenza rara, accecante.

Mi avventai su di lei e le bloccai il viso con una mano.

<<  Il problema è che mi sto solo illudendo. A te piace fare la puttana >> .

Quando, però,  vidi il suo viso contratto in una smorfia di dolore, la lasciai  e mi avvicinai alla sedia dove rimaneva il resto dei miei vestiti.

<< A te piace farti scopare da mezza Italia. Anzi, da mezzo mondo. Di sicuro non sarò stato il primo soldato… >> .

Speravo tanto mi dicesse di no, che ero stato l’unico.

Isabella si alzò, si ricompose per quel che il lenzuolo le concedeva e mi raggiunse da dietro.

<<  Vattene >>.

 

 

 

 

Quando tornai in caserma, vidi Jasper seduto sul gradino dell’ingresso. Alzò la testa di scatto quando mi sentì arrivare. Aveva uno sguardo accigliato, ma stranamente comprensivo.

<<  Adesso tu mi racconti tutto. Senza cazzate. >>

Si portò una mano al viso per stropicciarsi gli occhi e continuò.

<< Ti coprirò, se me lo chiederai. Ma non fare più la stronzata che hai fatto stasera. >>

Poi si alzò e mi raggiunse. Mi poggiò una mano su una spalla e mi sussurrò all’orecchio.

<<  E stavolta non scherzo, Cullen. È un ordine. >>

 

 

buon giorno! capitolo un pò corto.. ma non potevo fare altrimenti!

è un passaggio che mi serviva per il capitolo che posterò stasera!

come al solito ringrazio tutte quelle che recensiscono o che leggono semplicemente!

e soprattutto, ringrazio essebi per la sua preziosa consulenza!

francesca

 

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Capitolo 10
*** escape ***


I giorni passavano veloci. E io pensavo a lei.

Jasper sapeva tutto e cercava, per quanto possibile, di coprire le mie fughe.

Correvo da lei.  Ma la storia era sempre la stessa. Passavamo la notte insieme e quando le chiedevo di cambiare vita,  finivamo per litigare in maniera violenta.

A volte passavo il tempo, tra un volo ed un altro o quando la mia presenza non era richiesta in caserma, a spiarla e a seguirla in ogni suo passo.

La spiavo mentre andava al mercato, mentre comprava dei fiori. La seguivo anche quando gli uomini del quartiere la guardavano con occhi pieni di desiderio e le donne la chiamavano “puttana” e la osservavano con disprezzo.

 Ed io lì, dietro un muro ad odiarmi perché lei non era mia  e non potevo farci niente. Non potevo difenderla da quelle ingiurie. La avrei abbracciata e avremmo passeggiato con il mio braccio attorno alle sue spalle. La donna di un soldato inglese.

La realtà, invece, era che di giorno eravamo solo un soldato ed una prostituta. Di notte eravamo i più teneri tra gli amanti. Io,lei e nessun altro.

Mi guardava con quei suoi occhi dolci e maliziosi e nonostante l’età, sapeva essere la più seducente delle donne. I suoi tocchi erano come graffi. E i suoi baci sul mio collo mi facevano perdere la testa.

Quando la andavo a trovare le portavo quello che riuscivo a rubare dalla dispensa della caserma. Pane, biscotti, zucchero e altri generi di prima necessità. E anche tanti libri.  Volevo dimostrarle che mi sarei preso cura di lei, che c’era un’alternativa a quella vita.

Ero riuscito addirittura a contrattare con la maitresse di Isabella che sarei stato il suo unico “cliente”, dietro pagamento di un generoso compenso e della fornitura delle riserve della caserma.

 

 

 

 

 Una sera, mi recai come al solito da Isabella.

Entrai nell’appartamento, ma non trovai nessuno ad aspettarmi all’ingresso come al solito.

<< C’è nessuno? >>

Non ebbi risposta.

Riuscivo solo a sentire dei singhiozzi provenire dalla stanza di Isabella.

Aprii la porta e vidi quello che non avrei mai desiderato vedere.

Isabella era rannicchiata  nell’angolo più buio della stanza. I capelli scompigliati sul viso e le braccia al petto. Era sconvolta e il corpo tremava ad ogni singhiozzo come in preda a forti spasmi.

Mi avvicinai a passo lento. Non volevo spaventarla più di quanto non fosse già.

Mi abbassai e mi porsi verso di lei. Pensavo si sarebbe tirata via dalla mia carezza. Invece, contro ogni mia aspettativa, si gettò tra le mie braccia.

Si avventò a me come se io fossi una specie di salvagente a cui aggrapparsi nel momento di maggior pericolo. Annaspava e gridava come se fosse in preda ad un attacco di panico.

Provai a dirle di stare tranquilla perché c’ero io con lei, ma non dava cenno di calmarsi. Anzi, sembrava che ad ogni mia parola il dolore diventasse sempre più forte.

Gridava. Forte.

<< Non voglio! Non voglio! >>

<< Cosa non vuoi? >>

Gridava. Ancora più forte.

<< Il padrone mi ha detto che da oggi incontrerò un altro uomo e che io devo far finta di essere solo la tua puttana perché così avresti continuato a pagarmi profumatamente  e … io non voglio!!!!>>.

Continuava a gridare. Gli occhi chiusi come a non volere affrontare la brutta realtà in cui si trovava.

<< Non voglio! Edward, ti prego aiutami! Il padrone mi ha picchiata perché gli ho risposto che non voglio, che io sono solo tua… >>

Fu solo allora che mi accorsi che un grosso livido le deturpava il braccio.

<< Perché hai cambiato idea? Fino a ieri mi hai detto che non potevi fare altrimenti. Che essere una prostituta era l’unica cosa che potevi fare nella tua vita… >>

Alzò la testa e nel suo viso scorsi lo sguardo di una bambina che giocava a fare la donna, che era costretta a fare la donna.

Lei, che era stata sempre così forte, così dignitosa.

Lei, che mi aveva sempre detto che non poteva cambiare vita, che quello era il suo lavoro, mi stava gridando di aiutarla.

La feci alzare da terra, la aiutai a lavarsi il viso e a togliersi le ultime tracce di mascara che era colato sulle sue guance.

Gli occhi, però restavano gonfi per il troppo piangere.

Restava solo una cosa da fare: portarla via da lì.

 

 

 

Prendemmo una valigia usurata dal tempo che Isabella teneva nascosta nell’armadio e la aiutai a sistemare alla bene e meglio le sue cose. Poi quando vidi dalla finestra che non c’era nessuno, le feci indossare il mio cappotto e la portai fuori dallo squallido luogo che fino ad allora era stata la sua prigione silenziosa.

Mentre camminavamo, mi domandavo se il suo fosse un sentimento simile all’amore o soltanto gratitudine perché mi ero talmente intestardito con lei da essere l’unico che poteva salvarla. Non capivo perché  fino a qualche giorno prima mi diceva che non poteva esser solo mia ed ora si lasciava baciare da me come se fossimo due sposi novelli.

Mi convinsi che la sua doveva essere solo gratitudine.

 

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Capitolo 11
*** struggle ***


Perché Isabella aveva chiesto il mio aiuto?

Avrei tanto voluto che il suo non fosse solo opportunismo. Volevo che il suo fosse amore, attrazione per me. Ma come potevo io pretendere che una prostituta che forse col tempo non avrei neanche più rivisto, provasse sentimenti forti per me, che neanche io sapevo cosa provavo per lei. Ossessione, gelosia. Tutti sintomi di un amore che nasceva prepotente in me, inaspettato, non voluto.

Egoista.

Pazzo.

Stupido.

Volevo che lei fosse mia e di nessun altro.

Tanti erano i modi con cui avrei potuto riscattarla.

Uno più orribile dell’altro.

Avrei potuto comprarla, anche se questo avrebbe significato richiedere un prestito ad un amico, Jasper.  Tutto per lei.

 << Jasper, Jasper >>

Provavo a svegliarlo, ma ottenni sono un mugolio di disapprovazione. Avevo bisogno di lui.

<< Jasper, ho bisogno che ti svegli! Ora! >>

<< Cullen ma che vuoi?  È ora che io e te facciamo due chiacchiere sul rispetto per i tuoi superiori >>

Si svegliò ma si bloccò quando vide Isabella fare capolino dalla porta della sua stanza.

<<  Oddio Edward! Che ci fa lei qui? Come l’hai fatta entrare? >> disse tirandomi per il colletto dell’uniforme.

<< Questo non è un rifugio è una caserma, cazzo! Sai che succederà quando lo scoprirà il Comandate!? Falla entrare e controlla che non vi abbia visto nessuno prima di chiudere la porta! >>

Feci quello che mi aveva ordinato.

<< Non potevo lasciarla lì. Ti spiegherò tutto domani mattina, ma ora ho bisogno che mi aiuti a trovarle un posto dove farla dormire >>.

Era confuso. Si portò una mano tra i capelli, scese dalla branda e mi incitò a seguirlo.

 

 

 

La grande influenza che aveva Jasper all’interno della base ci permise di sgattaiolare fuori e raggiungere una vecchia taverna vicina, dove Isabella avrebbe potuto passare la notte. Implorai il mio amico di coprirmi anche per questa volta: desideravo passare la notte con lei per assicurarmi che stesse bene e che nessuno potesse importunarla.

Dopo aver pagato la camera e chiesto all’oste il più discreto riserbo, entrai con Isabella in quella che comunemente sarebbe stata definita “topaia”.

Mi guardai intorno e quasi disgustato dissi << perdonami isabella, ma per stanotte dovremmo accontentarci >>

Lei annui e si sedette sulla sponda del letto.

Era stanca. Sembrava stremata nonostante non avessimo fatto un gran viaggio.

 I suoi occhi erano contornati da occhiaie pesanti e il viso non era più fresco come i giorni prima.

Mi avvicinai a lei e la accarezzai.

<< Andrà tutto bene, su >>

Alzò lo sguardo e fece un sospiro. Da lì un sorriso forzato. Era stanca.

<< Perché non vai? Non voglio crearti altri problemi >>

<< Per stasera non è ancora finita, madame >>

<< No, ti prego Edward sono sfinita. Io.. >>

Che aveva capito?

<< Guarda che io voglio solo farti compagnia e parlare un po’ >>

I miei occhi però tradivano un eccitazione che contrastava con l’aria da bravo soldato che dovevo tenere quella notte.

Mi sedetti accanto a lei e presi a sfiorarle la mano. A quel tocco sembrò rilassarsi.

<< Io stasera voglio solo parlare un po’ con te >>

<< Non ho granché da raccontarti. Quello che c’è da sapere di me, lo sai già >>

 Scossi la testa e mi feci ancora più vicino a lei.

<< Non so qual è il tuo colore preferito. Non so che giorno cade il tuo compleanno. Non so nemmeno da dove vieni. >>

Un bacio. A fior di labbra.

<< Il turchese e il giallo come il cielo di Roma quando è pomeriggio. >>

Un altro bacio. Qualche istante.

<< 13 settembre. Sono della vergine >>

Una risata. E un altro bacio.

<< Vengo da Perugia, ma sin da piccola ho girato per tutto il centro Italia fino ad arrivare qui. La mia famiglia è molto povera e le bombe hanno distrutto la nostra casa. Ora i miei genitori e i miei fratelli sono ospiti di alcuni parenti. Ed io mando loro i soldi per contribuire alle spese. >>

Un abbraccio. Tante lacrime.

<< Scusa non volevo farti piangere >>

Non volevo piangesse, non era quello il mio scopo. Io volevo solo sapere qualcosa in più su di lei.

<< Quando si calmò la baciai. Dolcemente, mi feci spazio nella sua bocca senza essere frenetico. Ansioso.

Ma l’ansia che lei se ne andasse via da me cresceva forte.

Poi la domanda che, come tante volte, aveva rovinato le nostre notti.

Testardo.

<< Isabella ho bisogno di sapere. I tuoi baci, i tuoi gesti.. perché? >>

Abbassai lo sguardo, preoccupato della verità.

<< Ho paura che la tua sia solo riconoscenza. >>

I suoi occhi divennero vitrei. Si alzò di scatto

<< Edward, non capisci. Proprio non ci arrivi. Io non lo so cosa provo per te. >>

Guardava fuori dalla finestra come se le mancasse il coraggio di affrontarmi a viso aperto. In effetti gli uomini non le erano mancati, ma speravo davvero che con me fosse stato diverso.

Illuso.

<<  So solo che quando non ci sei mi manchi e mi domando se stai pensando a me. Ma poi mi risveglio dai sogni da stupida ragazzina quale sono e penso che è tutto sbagliato quello che stiamo facendo. Io sono solo una puttana. >>

Piangeva.

Mi avvicinai per abbracciarla, per dirle che non era vero, che c’era ancora speranza per lei, ma con un gesto della mano mi fece segno di rimanere dov’ero.

<<  Non c’è futuro per me. Io non posso darti quello che qualsiasi altra donna rispettabile potrebbe offrirti. Quando penso a noi, non ci riesco proprio a vederci passeggiare per strada come due innamorati felici  >>, disse asciugandosi le lacrime con una manica.

<<  Perciò è meglio se lasciamo stare. È andata così e basta. Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me. >>

Non era possibile. Era una pazza, ecco cos’era.

<< E tu credi di cavartela così…  Con un “grazie e arrivederci”. Oddio Bella non sai quanto ti odio in questo momento! >>

Ero agitato, sentivo la rabbia crescere in me. E il mio corpo era preso da forti spasmi che non riuscivo a domare.

<< Mi hai chiamata Bella!? Nessuno lo aveva fatto prima d’ora…. >>

Isabella sembrò come svegliarsi dal torpore. Ma subito indossò di nuovo quella maschera di freddezza che aveva avuto fino ad allora.

<<  Comunque per quanto riguarda il fatto che mi odi… è meglio così >>

<< Che cazzo dici?  Cavolo, come puoi rassegnarti così!? Sei solo una stupida! Credi davvero che io ti lasci qui? Che dica “Ok, finiamola qui”? Sei totalmente stupida se pensi questo >>

Ormai la mia pazienza era al limite.

Perché con lei doveva essere tutto così complicato. Non bastava la guerra a rendere le nostre vite più difficili.

No, doveva esserci anche Miss “Decido io per te”.

Ero arrabbiato e preso dall’ira,  mi avventai su di lei.

L’afferrai per la mandibola che restò bloccata tra le mie mani.

<<  La verità è che a te non te ne frega niente di me. Ma almeno dimmi una cosa, ti è piaciuto farti sbattere da me? Ti sono piaciute le mie mani sotto la tua gonna come sto facendo in questo momento? Ti è piaciuto farti scopare come una cagna? >>

La volevo. Lei doveva essere mia. Intromisi le mie mani sotto la sua sottoveste, senza delicatezza, senza chiedere il permesso. Come il più bastardo tra gli amanti.

Sul suo viso solo espressioni di dolore e sofferenza. Con il naso le sfioravo  le vene del collo che delicate si insinuavano sotto la sua pelle.

<< Mi fai male! Smettila Edward! >> urlò Isabella

Il mio nome urlato in quel modo mi fece riprendere da quel raptus.

Che mi era preso?

Poi, in un lampo di lucidità la lasciai cadere sul letto e mi resi conto che per la prima volta dopo la nostra prima notte insieme, l’avevo trattata per quello che si ostinava ad essere.

 Una puttana.

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Capitolo 12
*** obstinacy ***


La guardavo tremare sotto le mie mani.

Gli occhi chiusi e terrorizzati, il volto girato verso il basso. Il corpo scosso dai singhiozzi.

Che le avevo fatto? Non era certo così che le avrei fatto capire quanto la desiderassi…

Mi accovacciai accanto a lei e nonostante non avessi il coraggio di sfiorarla, la presi delicatamente per le spalle e la accompagnai sul letto.

Non mi guardava.

E io avevo così disperatamente bisogno di guardare i suoi occhi.

<< Stai bene? >>

Non rispose. Continuava a tremare. Poi, contro ogni mia aspettativa, si liberò dalla mia presa, si sdraiò sul letto e con ancora gli abiti addosso, si coprì con le lenzuola.

Pensai di sdraiarmi accanto a lei, di accarezzarla, di farla sentire al sicuro, ma non appena la mia mano le sfiorò il braccio che era rimasto fuori dal lenzuolo, si scosse.

<< Non mi toccare >>

Avrei voluto dirle che mi dispiaceva, che non doveva preoccuparsi, che io non le avrei mai fatto del male, che quello era solo un raptus dovuto alla rabbia.

Io la volevo ma lei non voleva me.

<< Esci dalla mia camera. E non ti preoccupare. Da domani mattina non dovrai preoccuparti più della tua puttana. Trovatene un’altra. Addio. >>

Cosa?

Accecato dalla rabbia, le levai le lenzuola di dosso e mi misi sopra di lei, con le braccia a bloccarle qualsiasi possibilità di fuga.

Volente o nolente mi avrebbe ascoltato. Non importava se i suoi occhi erano fissi su un punto indefinito del letto.

<< Tu adesso mi ascolti. Ti faccio così schifo da farti desiderare di liberarti di me il prima possibile? >>

Avevo il respiro affannato. La odiavo.

<< Non sai quanto vorrei odiarti, Bella. Ma proprio non ci riesco. È più forte di me. Mi sei entrata dentro, nonostante io non ti conosca. Perché ti ostini a voler condurre una vita che non piace neanche  a te? Tu non la vuoi questa vita, ma sei testarda e ti ostini a viverla, mentre sarebbe tutto più facile se diventassi la mia donna. >>

Il mio tono si fece più dolce.

Mi aspettavo una sfuriata. Credevo che da un momento all’altro Isabella sarebbe esplosa. Perciò mi poggiai sull’altra sponda del letto, in attesa che il vulcano esplodesse. E invece…

Isabella si mise seduta e con una mano si aggiustò i capelli arruffati. Sembrava esasperata.

Mi guardò.

<<  Sono solo realista. Io sono una prostituta e tu un soldato. Andiamo a letto insieme e ti sei invaghito di me. È così che la vedo. Tra me e te non ci potrà mai essere niente… >>

<< Perché? >>

<< Perché è così che deve essere >> mi rispose risoluta.

<< Allora perché mi hai chiesto di aiutarti? Hai detto che non volevi sottostare all’imbroglio che voleva tendermi il tuo protettore… >>

Poi,  le parole che suonarono come la mia condanna a morte.

<< Perché eri l’unico che poteva aiutarmi ad andarmene >>.

Non l’avevo mai odiata tanto.

Ebbi l’impulso di prenderla con la forza, ma pensai che sarebbe stato tutto inutile.

Non volevo più vederla, Isabella Cigni doveva uscire dalla mia vita prima che fossi diventato pazzo.

Con il cuore vuoto aprii la porta che con un gesto secco si chiuse alle mie spalle.

 

 

Passarono molti giorni. Non sapevo nemmeno io quanti.

Non ritornai più dove l’avevo lasciata. Non sapevo che fine avesse fatto, dove fosse, se stesse bene.

Temevo si sarebbe cacciata in qualche guaio, ma questo non era più affar mio.

Lo aveva ribadito a chiare lettere: io ero solo un soldato che era stato a letto con lei…

Eppure questo soldato avrebbe offerto tutto il suo denaro per ritornare nel suo letto, per poterla sentire ancora provare piacere grazie ai suoi gesti.

Poi un lampo.

Neanche io riuscivo a vedere un futuro per noi. Non riuscivo ad immaginarmi in un luogo diverso che non contemplasse lenzuola e materassi. Nonostante la desiderassi più dell’aria che respiravo, non riuscivo a pensare a noi due come una coppia. Niente presentazioni alle famiglie, niente corteggiamento come prevedevano le regole della buona società.

Magari l’avrei portata con me a Londra, una volta finita la guerra, ci saremmo sposati e… poi chi mi garantiva che mi sarebbe stata fedele?

Poteva una come lei essere fedele ad un suo cliente?

Isabella vestita di bianco che mi raggiungeva in chiesa, Isabella che mi preparava il pranzo, Isabella che cullava i nostri figli. Scuole di prim’ordine, io che tornavo a casa e che le dicevo “Cara, è pronta la cena?”

No. La mia Bella non era fatta per questa vita.

La mia Bella.

E anche se l’avessi costretta alle mie regole, se fossi riuscito a redimerla a salvarla dal suo inferno privato, se fossi riuscito a strapparla dalla guerra, dalla fame e dalla povertà, non sarebbe stata mia.

Lei non era di nessuno.

Apparteneva solo a sé stessa.

Mi aveva usato e poi buttato via. E io mi ero illuso che il suo fosse almeno affetto.

La detestavo per quello che mi aveva fatto.

 E l’amavo.

 

 

 buon giorno a tutte!

come al solito ringrazio tutte quelle che seguono questa mia follia letteraria!

stavo pensando al fatto che mi sa che ho creato un edward un pò cocciuto... non ci arriva proprio a capire Bella....

vabè!

dal prossimo prometto di fare capitolo più lunghi.. aggiungerò dettagli storici: non posso dimenticare che questi due devono fare i conti con un periodo storico che non fu dei più facili! la storia mancherebbe di veridicità se scrivessi solo del loro amore tormentato... la guerra all'epoca non lasciava granchè spazio ad un soldato in missione....

 

francesca

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** lunch ***


Il tempo passava. Non era fermo, immobile come io desideravo che fosse. Scorreva muto nelle giornate di guerra.

Ed io, solitario, eseguivo gli ordini in maniera maniacale. Tutto pur di distrarmi.

I turni di notte mi permettevano di non passare le notti insonne, tra il russare dei miei compagni.

Eseguivo gli ordini. Rispondevo ai comandi. Volavo.

Volavo perché era l’unica cosa che potevo e sapevo fare.

Fin da piccolo, amavo giocare con i modellini degli aerei e desideravo essere così piccolo da salirci sopra e volare davvero.

Perdermi tra le nuvole con volteggi e capriole. Sentirmi un tutt’uno con il soffice bianco delle nuvole che sembravano zucchero filato e cotone idrofilo.

La situazione stava migliorando. I tedeschi stavano arretrando al nord, lasciando così a noi la possibilità di avanzare e liberare l’Italia dalla morsa fascista.

Un giorno, arrivò un documento da Londra che ci comunicava che il nostro compito era quello di fiancheggiare gli uomini della resistenza, mi sembrava li chiamassero “partigiani” e che il re d’Italia aveva riparato a Brindisi, assieme al suo Governo.

Ma tra la popolazione imperversava un clima di confusione.

Ci si domandava se fosse finita la guerra, cosa ne era stato dei mariti e dei padri impiegati in battaglia e soprattutto, gli italiani si domandavano cosa ne sarebbe stato del loro paese.

Isabella.

Basta! Non dovevo pensare a lei. Sapeva badare a sé stessa.

Ma come potevo sapere che stava bene, quando le sorti del paese erano in mano ad un pugno di uomini che governavano una nazione che non esisteva quasi più.

Perso tra i miei pensieri, mi infilai il casco, avviai i comandi dell’aereo e sfrecciai nel cielo di Roma.

 

 

 

Sorseggiavo la mia brodosa razione di cibo giallo e dall’aspetto indefinito, quando un altro soldato della mia compagnia si avvicinò.

<< Ehi, Mike come butta? >> dissi alzando la testa dal piatto.

Il cucchiaio fece un tintinnio sordo quando cadde nel piatto ancora pieno.

<< Mi sa che le chiacchiere tra compagni dovranno essere rimandate a tempi migliori, Cullen. C’è una visita per te >>

Fece un occhiolino.

<< E chi è? >>

<< Non lo so. Ma chiunque sia, se non la conosci fammi sapere che ci vado io! >>

Sempre rimanendo seduto mi sporsi in avanti, verso la grande porta che dava sul corridoio, quando vidi Bella vestita in abiti più consoni ad una signorina ben educata.

 Aveva una gonna marrone lunga  appena sotto il ginocchio e una giacca dello stesso colore secondo i dettami della moda. Il tutto accompagnato da un foulard legato al collo, che riconobbi essere il mio fazzoletto.

I capelli erano raccolti e nascosti in parte da un piccolo cappello beige.

Era voltata per tre quarti verso il grande finestrone che dava sul cortile di raccolta e si stringeva le mani in maniera nervosa.

Mi avvicinai piano e con una mano le sfiorai una spalla per richiamare la sua attenzione.

<< Bella, che ci fai qui? >>

Aveva lo sguardo basso e giocherellava con la fibbia della borsetta.

Era incerta, non parlava e sembrava quasi non sapesse neanche li perché fosse li.

<< Scusami, forse ho sbagliato a venire qui >>

Si girò e fece per andarsene, ma la trattenni delicatamente per un braccio.

<< Andiamo in una locanda qui vicino, così pranziamo insieme >>

 

<< Allora che ci fai qui ? >>

Le feci quella domanda cercando di sembrare il più distaccato e distante possibile. Come se il fatto che lei fosse li, seduta di fronte a me, mi fosse del tutto indifferente.

Prese un respiro e posò il bicchiere che aveva in mano.

<< Ti pensavo >>

Semplice, decisa, diretta. Era sempre la stessa.

<< E… >>

<< E avevo tanta voglia di vederti >>

<< Perché? >>

<< Non lo so, Edward. Non farmi domande di cui neanche io so la risposta >>

Era come se entrambi non sapessimo cosa dirci e la nostra presenza li fosse dettata da un incontro dovuto al caso. E non dalla voglia di incontrarsi.

<< Come mai questi vestiti? >>

<< Li ho comprati, Ed. Non me li ha regalati nessuno. Io non sono più di nessuno >> disse portando i suoi occhi fissi nei miei. << Sai, anche io ogni tanto posso comprarmi qualcosa. Ho pensato che se dovevo venire a trovarti, non potevo certo venire con gli abiti che indossavo prima. Non volevo farti fare una brutta figura >>

Lei non voleva far fare brutta figura a me.

<< Che significa “ non sono più di nessuno” ? >>

<< Significa proprio quello che pensi tu. Dopo che te ne sei andato  ho sentito che l’oste si lamentava del fatto che non riusciva a trovare una cameriera che durasse più di tre giorni e così mi sono fatta avanti io. So che ora è tardi e la cosa di sicuro non è più affar tuo, ma ci tenevo a farti sapere che io non faccio più la puttana. È più che legittimo che non te ne importi niente ma… ci tenevo tanto che tu lo sapessi. >>

<< Perché? In fondo io sono stato solo un cliente… >>

Nelle mie parole solo durezza e disprezzo per i vecchi discorsi che riportati a galla, facevano male.

Ma lei non parlava. Lo sguardo di nuovo basso ed il tovagliolo stritolato tra le mani.

<< Rispondimi Bella >>

<< Mi piace quando mi chiami Bella. Quando dici “Bella”, fai uno strano movimento con le labbra. B…ella >>

Come potevo rimanere distante, quando davanti a me c’era una bambina nel corpo di una donna che si emozionava al suono del suo nome sulla mia bocca.

 

ciao a tutte... dopo il piccolo momento in cui ho pensato " ma che scrivo a fa", ho pensato di ritornare. non mi piace non finire le cose che inizio. anche se non va come dico io, anche se i personaggi scrivono da soli la propria storia (fosse per me le cose andrebbero diversamente ), continuo a scrivere e a proporvi la mia storia.

grazie

francesca

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Capitolo 14
*** anger ***


Perché mi faceva quell’effetto?

Perché mi intrigava a tal punto che l’avrei presa li e poi portata in capo al mondo, sempre con me.

Guardavo i suoi occhioni scuri e più lo facevo più avevo voglia di perdermici dentro.

Ma il mondo ci guardava e io dovevo aspettare.

<< Non hai risposto alla mia domanda. Perché sei venuta qui  a dirmi che non ti vendi più? >>

La mia voce si era ammorbidita. Il mio cervello urlava “ non cedere, sii più duro con lei”. Ma ormai il mio corpo rispondeva solo ai comandi di Bella e lei sembrava non accorgersi dell’effetto che aveva sui miei sensi.

<< Tu… >> era titubante << tu mi hai detto che volevi che cambiassi vita, che me ne facessi una migliore. Volevi che… >>

La interruppi bruscamente.

<< Mi hai detto che sono stato solo un cliente. E tu ora vieni qui a darmi queste spiegazioni. Perché Bella?  In fondo >> distorsi lo sguardo e mi portai una mano alla testa, stavo per impazzire << io ero l’unico che poteva portarti via di lì >>

<< Non è vero. >>

Abbassò lo sguardo. Si vergognava.

<< Io l’ho chiesto a te perché volevo che fossi tu a portarmi via. Ma quando ho visto che mi volevi… non lo so Edward. Tu volevi proprio me! >>

Era sbalordita.

<< E dove sarebbe la stranezza? >>

Un sorriso amaro sulla sua bocca.

<< I soldati non sposano le prostitute >>

Era vero. I soldati inglesi ritornavano a casa, si sposavano con una dolce ragazza bionda della buona borghesia londinese, facevano tanti figli e…. si mettevano un sacco di corna notoriamente nascoste per il “bene della famiglia”.

<< Non posso darti torto. Ma tu non mi conosci e mi sa che neanche io conosco me stesso. Fino a qualche tempo fa pensavo che non sarei ma andato con una prostituta. E guardami ora. Sono seduto ad un tavolo con una bella ragazza che è stata capace in poco tempo di rincoglionirmi. >>

Rise. Una debole risata trattenuta. Il discorso era serio ma stava prendendo una vis comica inaspettata.

Sembrava che stessimo parlando d’altro e non dei nostri sentimenti.

<< Parli di me come se fossi una donna normale. >>

<< Infatti non lo sei. Sei la mia donna. >>

Si ritrasse dal tocco della mia mano che cercava la sua a conferma di quanto appena detto.

<< Perché mi tratti come se non fosse vero che fino a qualche giorno fa io mi vendevo. Edward, come fa a non farti schifo il fatto che io sono stata di tanti uomini per denaro? >>

Abbassò la testa e la voce perse l’impeto iniziale.

<< Fai come se nulla fosse. Come faccio a non farti schifo? Io sono venuta qui, a Roma, pensando che l’unica cosa che potessi fare era vendermi. Pensavo che io potevo aspirare soltanto a questa vita. E poi io non sono la tua donna..>>

<< Si, si. Non sei la donna di nessuno. >> dissi con fare canzonatorio << Ascolta. Tu mi piaci e non lo so perché. Ma vorrei che lo capissimo insieme. Non te lo chiederei se pensassi che anche tu un po’ sei interessata a me. Altrimenti non avremmo passato tutte quelle notti insieme ad amarci, perché ci siamo amati, non mi avresti chiesto aiuto, non saresti venuta qui e non mi avresti dato tutte queste spiegazioni. Io non sono stato solo un cliente per te, Bella. >>

Mi portai con la schiena verso la spalliera della sedia. Mi sentivo stanco, esausto.

<< E prima lo ammetterai a te stessa e prima potremmo vivere questa cosa che ci è capitata. >>

<< E cosa ci è capitato? >>

Non si arrendeva all’evidenza. Sorrisi sardonico.

<< Che ci siamo innamorati >>

 

 

 

 

Quando Bella era tra le mie braccia, quando sapevo che ero io a farla stare bene, quando sapevo che era con me che godeva, quando sapevo che nessuna punizione mi avrebbe fatto desistere dal passare la notte con lei, non mi interessava della guerra che ci aspettava fuori.

Il mondo si fermava. O almeno eravamo noi a fermarlo.

I nostri ansiti, i nostri sospiri, le nostre grida, riecheggiavano nella stanza.

Bella sapeva come farmi impazzire.

L’amavo, non l’amavo… Poco importava quando eravamo io e lei. Nessun sentimento poteva esprimere il nostro legame.

Era bella. Nel senso più giusto del termine. Nel senso più puro del termine. Nel senso più sessuale del termine.

Alternavo dolcezza a momenti in cui il soldato che voleva scoparsi la bella italiana riemergeva in tutta la sua brutalità. Ma lei non si lamentava.

Subiva come la più docile delle amanti, forse consapevole di quanto la volessi.

 I miei tocchi non erano mai delicati. Desideravo solo possederla in tutti i modi possibile con cui un uomo potesse possedere la sua donna, nonostante il dubbio che lei potesse non volere lo stesso, mi distruggeva la testa come un tarlo nel legno.

In fondo, lei non aveva mai detto di amarmi o di voler stare con me. Lei non si era mai esposta.

Sempre sul filo del rasoio.

Sempre sul limite, tra inganno e passione.

<< Perché lo fai? >>

<< Cosa? >>

<< Sai cosa >>

Le sue mani nelle mie, intrecciate. Il suo sguardo fiero nei miei occhi. La sua voce tremante ed impaurita, forse aspettando la mia reazione.

<< Te l’ho già detto… >> esitava << per aiutare la mia famiglia. Sai Edward, quando hai fame e vedi  tua madre piangere la sera perché non sa come sfamare i suoi figli, quando vedi tuo padre che torna a casa dopo che ha rubato qualche verdura rotolata fuori dai cesti al mercato nero, quando vedi la tua casa distrutta dalle bombe e lo sguardo dei tuoi parenti che non sanno come dirti che non possono sfamare altre bocche perché è già difficile per loro… Bé, quando vedi queste cose pensi che faresti di tutto pur di aiutarli, anche vendere il tuo corpo a qualche soldato di passaggio. >>

Si scostò dal mio abbraccio, fredda e fiera come una dea.

<< Poi però ti senti sporca. Nonostante ti riempiano di sapone per farti sentire più profumata e invitante ai sensi dei clienti, nonostante ti regalino dei bei vestiti. Anche se i tuoi clienti ti dicono quanto sei bella.. ti senti sporca. Ti senti sporca ad ogni loro carezza. I loro baci, come ti toccano… quante volte mi hanno fatto male. Ed io zitta. Sopportavo pensando che lo facevo per una giusta causa.>>

La voce era più alta, quasi gridava. Lo sguardo vitreo e spiritato. Schiacciata contro la parete come se stesse scappando dal mondo. Si sforzava di trattenere le lacrime. Ma queste, fredde e prepotenti, trasbordavano dagli occhi.

<< Io sono sporca Edward! Nessun sapone potrà lavare via lo schifo che ho addosso. Nessuna preghiera mi impedirà di andare all’inferno! >>

Mi avvicinai a lei piano, prudente. Non volevo spaventarla con qualche gesto brusco. Ma poi ogni raziocinio scomparve quando le sue labbra, calde e piene furono sulle mie. Un bacio pieno di urgenza, la passione aveva lasciato il posto ad una muta richiesta d’aiuto.

Le sue mani furono subito tra i miei capelli. Le dita sfioravano il mio collo e la mia mano era chiusa a coppa sul suo viso, come a contenere tutta la dolcezza delle sue guance ancora paffute per la giovane età, ma dalle quali si intravedevano i primi segni del formarsi di lineamenti più adulti.

 

 

 

 

ciao a tutti! volevo ringraziarvi per l'incoraggiamento che mi avete dato! sono ritornata di nuovo ad essere io stessa appassionata alla mia storia...

per quanto riguarda il capitolo, spero vi piaccia! questo l'ho scritto davvero con tanto entusiasmo. mi sentivo presissima mentre lo scrivevo!

Bella non si dichiara: diciamo che ho creato un personaggio un pò contorto e che a causa della giovane età e della  vita difficile, ha bisogno prima di tutto di tanto aiuto. solo dopo potrà venire il resto..

comprensibile quindi, che edward sia pieno di dubbi sulla veridicità dei gesti di bella.

detto questo vi invito non solo a leggere la mia prcedente ff ( mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate , sono solo pochi capitoli su! ) ma soprattutto ci terrei che nei vostri commenti andaste più nello specifico: vorreis apere cosa pensate dei personaggi... lo so forse chiedo troppo visto che già il fatto che voi recensiate mi fà moooolto piacere.. se vi va, fatemi sapere!

 

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Capitolo 15
*** messages ***


Le bombe cadevano  fuori Roma ed io me ne stavo in camerata in attesa che mi chiamassero per contrastare il fuoco nemico. Leggevo e rileggevo i piccoli fogli di carta che  Bella mi faceva recapitare, come risposta alle lettere che le mandavo quando non potevamo vederci.

I’m missing  you

Isabella

 

Sono triste e stanca. Ma subito mi riprendo quando penso che  quando almeno per un po’ la situazione si sarà calmata, potrò riabbracciarti.

Bella

 

Mi manchi. Vorrei avere un bacino per la buona notte. Ma qui c’è solo l’oste che mi sgrida. Non preoccuparti sto bene.

Tua I.

 

Oggi l’oste mi ha sgridata di nuovo. È colpa mia, come al solito. Quando riusciremo a vederci?

B.

 

Odio tutto questo. Non chiedermi il perché delle continue lagne dell’oste. Non ti farebbe piacere sentirle. Ma non preoccuparti, io sto bene. Ti aspetto.

Bella

 

Sto bene. Stai tranquillo. Saperti nervoso non migliora le cose.

Bella

 

Ti prego! Vieni da me!

 

Leggevo spasmodicamente l’ultimo bigliettino. Lo giravo e rigiravo tra le dita cercando di scorgere il perché di quelle parole. Poi, ad un tratto, mi accorsi che l’inchiostro era leggermente sbavato sull’ultima lettera. Come se la carta fosse stata bagnata.

Che avesse pianto?

Il biglietto non era neanche firmato come al solito.

Ma io non potevo allontanarmi. Troppe volte avevo rischiato di farmi punire. Non che me ne importasse qualcosa. Questo ed altro per lei, ma Jasper mi aveva pregato di comportarmi in maniera più consona ad un soldato di sua maestà, avrei dovuto attenermi alle regole almeno per un po’ o avrei rischiato grosso.

No! Come avrei potuto…

Con quale coraggio potevo lasciare inascoltato il grido di Bella. “Ti prego! Vieni da me!”

Che le fosse successo qualcosa?! No, lo avrei saputo…

Doveva essere solo triste.

Solo…

Come se il fatto che fosse triste, forse per colpa mia, fosse una sciocchezza da sottovalutare.

Mi alzai dalla branda e mi incamminai nel lungo corridoio che tante volte avevo percorso per chiedere al Comandante di darmi una licenza.

Bussai.

<< Avanti >>

Entrai e prima che mi chiudessi la porta alle mie spalle disse << Ancora tu, Cullen. Cosa vuoi stavolta? >>

<< Una licenza >>. Secco e diretto. Era inutile girarci intorno.

<< Deduco che la tua famiglia sia molto numerosa se ogni volta mi disturbi perché ti occorre una licenza perché un parente viene a farti visita. >> disse con tono ironico.

Il Comandante si alzò dalla scrivania  si mise davanti a me.

<< Cullen, non sono abituato a soddisfare i capricci di un ragazzino. Ma… mi sei simpatico, dopo tutto. Nonostante quella tua aria da superiore. Ricordati sempre chi è che comanda! Intesi? >>

<< Signor si, Signore! >>

Scattai con saluto militare e me ne andai.

 

 

Tutto intorno aveva ripreso quel colore grigiastro tipico delle case distrutte. L’aria era intrisa di polvere ed aveva un odore acre.

Gli occhi bruciavano. Per questo le poche case ancora in piedi avevano le finestre chiuse. Non si poteva respirare.

Camminavo a passo svelto, quasi correvo. Volevo solo raggiungerla nel minor tempo possibile.

Speravo stesse bene, che l’oste non la trattasse male e che il suo fosse solo il capriccio di una bambina. Mi davo forza immaginandola con il broncio perché non ero riuscito a passare prima. Poi la tristezza si rimpossessò di me. Un moto d’angoscia mi ricordò che Bella non era tipa da capricci. Non metteva il broncio e quasi godesse a soffrire in silenzio, non mi avrebbe mai detto che stava male se la cosa non fosse stata davvero grave.

Soffriva.

Ed io impazzivo al pensiero che i miei compiti di soldato mi impedivano di proteggerla come avrei voluto, come avrei potuto.

Per lei mi sarei gettato nel fuoco nemico a braccia aperte, come a raccogliere tutta la polvere da sparo ed il ferro delle pallottole di questo mondo, pur di farle scudo. Avrei affrontato un plotone d’esecuzione per lei, avrei attraversato a nuoto la Manica o scalato le Alpi. Solo per lei.

Continuavo a chiedermi il perché.

Giunsi nell’osteria dove Bella lavorava. Bussai ma non ebbi risposta. Aprii la porta senza che nessuno mi dicesse di entrare.

Era lì. Assorta nei suoi pensieri, non si era accorta che ero entrato. Lavava alcuni piatti ed il grembiule che aveva in vita era bagnato fradicio.

<< Bella? >>

Si girò sorpresa, aveva gli occhi sbarrati, quasi non credesse che io fossi li. Ma restò ferma al suo posto. Mi aspettavo una reazione diversa e ci rimasi male quando vidi che non era corsa ad abbracciarmi. Chiunque avesse letto quei bigliettini si sarebbe immaginato una situazione ben diversa. Si era voltata nella mia direzione e con le mani avvolte da uno straccio un po’ umido continuava a fissarmi senza fare nulla.

<< Edward, che ci fai qui? >>

Non si era mossa di un centimetro, sembrava titubante.

<< Che cosa è successo? Perché quei messaggi? >>

Capii che avrei dovuto avvicinarmi io a lei, altrimenti saremmo rimasti in quella posizione chissà ancora per quanto tempo.

<< Scusami…. Non avrei dovuto. Scusami… >>

Continuava a blaterare scuse in maniera frenetica.

Lo sguardo era fisso sul pavimento, sembrava si vergognasse di guardarmi in faccia.

Le poggiai una mano sulla guancia, volevo essere cauto. Non sapevo davvero che fare quando all’improvviso, incurante del fatto che fosse tutta bagnata, mi si gettò addosso.

Piangeva, ed io non riuscivo a calmarla in nessun modo. Tutte le mie parole erano vane. Potevo solo stringerla a me, in attesa che si tranquillizzasse un po’.

 

 

 

Il sole stava quasi per calare.

Presa dalla spossatezza dovuta al tanto piangere, Bella si era quasi appisolata tra le mie braccia.

Ero riuscito a portarla nella sua camera. Mentre la stendevo sul letto, notai che stringeva forte il colletto della mia uniforme  con la mano destra. Quel gesto mi fece sorridere ed allora sperai che mi desiderasse davvero, come io volevo lei, con la stessa forza con cui  lei stringeva la mia uniforme.

Aspettai che il suo respiro si facesse più tranquillo e scesi giù in taverna.

Volevo parlare con l’oste, chiedergli se fosse successo qualcosa ad Isabella.

Era in cucina, intento a versare il vino nei boccali.

Entrai senza nemmeno salutarlo. Volevo che avesse timore di me, così da avere più rispetto per me e per Bella.

<< Le avevo espressamente chiesto di trattarla in maniera rispettosa >> dissi sbattendo un pugno sul tavolo di legno. Il vino quasi cadde da una brocca e l’oste, che non si era accorto della mia presenza, sussultò.

<< Le avevo dato dei soldi, parecchi soldi affinché Isabella stesse bene. Ed invece? Vengo qui e la trovo tutta bagnata, zuppa fino alle scarpe, che lava dei piatti e piange… >>

La mia voce dura non lasciava spazio a repliche ma ero davvero curioso di sapere cosa avesse da dirmi.

<< Io.. signore… non so… >>

<< Cosa non sai? Parla! Voglio sapere cosa è successo ad Isabella! >>

<< Bè, è capitato un paio di volte, ma giuro! Solo un paio di volte, che alcuni miei clienti, dopo qualche bicchiere di troppo, volessero.. bè… >>

<< Parla! >> ero furioso.

<< Bè.. dicevo. Dopo qualche bicchiere di troppo si sa… gli uomini… >>

Ero stanco del suo blaterare. Mi sporsi e lo afferrai per il bordo del gilet.

<< Non mi faccia del male! È capitato che un paio di volte alcuni uomini toccassero Bella. Io non volevo! Lo giuro! Solo che lei ogni volta scoppiava in lacrime e correva in camera sua lasciandomi in difficoltà con i miei clienti… >>

Misi le mani in tasca e gettai in maniera brusca dei soldi sul tavolo.

<< Non voglio che succeda mai più! Se la prossima volta Isabella mi farà solo cenno che questi fatti si saranno ripetuti… >>

<< Lo prometto! Nessuno toccherà più Isabella! Lo giuro! >>

 E senza dire nient’altro ritornai in camera di Bella.

 

 

Pensavo stesse ancora riposando ed invece la trovai appoggiata al davanzale della finestra. Aveva gli occhi chiusi e faceva forti respiri come a voler portare dentro di sè le prime frescure dell’autunno che si stava inoltrando.

Mi avvicinai a lei.

<< Ti va di fare una passeggiata? >>

<< Si >>

 

 

L’aria cominciava a farsi più fresca e pulita. Il vento debole portava via piano piano le ultime tracce dei bombardamenti di quei giorni.

Prendemmo una corriera che ci avrebbe portato in un posto consigliatomi da alcuni commilitoni.

Durante il tragitto quasi non proferimmo parola. Eravamo seduti uno accanto all’altro e l’unica cosa che facevamo era guardarci. Entrambi protagonisti di una discussione muta.

La mia mano non voleva saperne di lasciare la sua.

 Ad un tratto la corriera arrestò la corsa.

Quando scendemmo il vento fresco del mare si infranse sul volto di Isabella, che era scesa prima di me.

Osservava il mare, persa in chissà quali pensieri. Le braccia erano strette al petto per il freddo.

<< Tieni >> disse porgendole la mia giacca.

Che buffa che era. La giacca, poggiata sulle spalle  era molto larga, le maniche cadevano penzoloni e ondeggiavano sulle sue gambe.

Passò qualche minuto, prima che io rompessi il silenzio. Avevamo preso a camminare mano nella mano lungo la linea su cui l’acqua si infrangeva sulla sabbia. Bella continuava a guardare il mare, sembrava come rapita. Tremava ogni volta io le accarezzavo con il pollice il dorso della sua mano che era intrecciata alla mia.

<<  Sei molto carina con questa uniforme. Peccato che le donne non possano arruolarsi. >>

Riuscii a strapparle un sorriso.

<< Non credo sarei un buon soldato. >>

<< Bè da una parte non sono dispiaciuto del fatto che le donne non possano arruolarsi. Immagina una come te in una caserma. Farebbe impazzire tutti i suoi commilitoni.. >>

Non riuscii a finire la frase, quando notai che Bella si era bloccata. E aveva lasciato la mia mano.

<< Perché mi dici questo? >>

Allora capii che le mie parole potevano essere fraintese.

<< No Bella! Che hai capito! >> dissi affrettandomi ad abbracciarla. Riprendemmo  a passeggiare.

<<  Io intendevo solo dire che con la tua bellezza porteresti scompiglio tra i soldati tutto qui. Voleva essere un complimento al tuo fascino. >>

Sembrò capire.

<< Bè, visto che siamo in argomento… Ho parlato con l’oste. Mi ha promesso che nessuno più ti infastidirà. Io volevo solo sapere il perché della tua reazione oggi. Quando ho letto il tuo biglietto credevo che mi saresti saltata al collo tanta la voglia di vedermi. Ma invece mi è sembrato che quasi ti dispiacesse che fossi lì. >>

<< No! No! Non è vero. È solo che Edward io devo sapermela cavare da sola. Non posso permettermi di chiedere l’aiuto di qualcuno, né tantomeno il tuo. E poi… >>

<< E poi? >>

<< Non volevo ti arrabbiassi. Non volevo venissi a sapere di quegli uomini che infastidivano. >>

<< Cosa volevano da te? >>

Sorrise ironica.

<< Quello che hai voluto tu quando ci siamo conosciuti. >>

Mi sentivo quasi umiliato. Ed impotente. La mia presa si fece più forte ma non riuscivo a guardarla in volto. In fondo non ero capace di proteggerla, come le avevo promesso. Le avevo detto che l’avrei aiutata a cambiare vita e non ne ero stato capace.

Mi guardò negli occhi e capì.

<< Ecco. È proprio questo che volevo evitarti >>

Era lei che consolava me. Che idiota che ero. Prese ad accarezzarmi il volto e le sue dita disegnavano disegni immaginari sul mio volto. Mi sentivo come un bambino consolato dalla mamma. Non ero un uomo in quel momento.

<< Edward. Una mela marcia non potrà mai ritornare ad essere bella mela succosa e appena raccolta. E prima te ne convincerai, prima staremo meglio entrambi. >>

<< Tu non sei una mela marcia. Non pensare più una cosa del genere. >>

Nonostante la rabbia che mi esplodeva all’altezza dello stomaco, la mia voce era gentile e pacata.

<< Io ti ho scritto quel biglietto perché mi mancavi. Tanto. Ma tu non potevi venire ed ero triste. Tutto qua. Solo che una sera i clienti hanno incominciato a farsi più insistenti e l’oste continuava sgridarmi perché diceva che perdevo tempo ai tavoli. La sera mi rifugiavo in camera mia ed immaginavo che tu fossi li con me. Che mi dessi un bacino per augurarmi la buona notte… >> rise << Che stupida che sono >>

<< Non sei stupida! Credo solo che tu in fondo un po’ sia romantica… >>

<< Non è vero! >>

<< Si che è vero! >>

Bella si tolse le scarpe cominciò a correre sul bagnasciuga.

Per qualche minuto giocammo come due bambini.

Poi, quando il sole piano piano stava calando ,stanchi e spossati ci sedemmo sulla sabbia.

Riuscivo solo a fissarla. Ad accarezzarle prima il volto, poi il mento, il collo, le spalle…

Ad ogni mia carezza, un fremito, un leggero tremore. Bella aveva gli occhi chiusi come se stesse assaporando ogni mio gesto. Il viso alto e fiero non accennava ad abbassarsi. Il vento le scompigliava i capelli. Aveva di nuovo quel piglio dignitoso di quando la conobbi.

La bambina aveva di nuovo ceduto il posto alla donna.

La adoravo. Più di ogni altra cosa desideravo la sua compagnia. Poterle stare vicino, accarezzarla e farla mia in qualsiasi momento. Senza paura, timore o fretta. Solo io e lei. Come se avessimo tutto il tempo del mondo e tutte le possibilità del fato fossero a nostro favore.

<< Ti amo. >>

Non avevo ragionato su quelle parole. Erano uscite dalla mia bocca, calde e prepotenti.

Mi affrettai a scusarmi, mia alzai in piedi. Si era fatta ora di andare, quando Bella mi prese per una mano e mi invito a sedermi di nuovo.

Aveva lo sguardo fisso sulla mia mano, si vergognava.

<< Grazie >>

<< Di cosa? >>

<< Di farmi sentire così… viva. E protetta. A quest’ora per esempio, dovrei già essere a casa. Ma sai una cosa? Non me ne importa niente. Finché sarò con te mi sentirò sempre al sicuro. Come se casa mia fossi tu >>

 

 

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Capitolo 16
*** troubles ***


Che gran coglione era il Comandante! Riuscivo facilmente a raggirarlo, con la scusa di uscire per delle commissioni urgenti o facendomi affidare tutti compiti da assolvere fuori la base.

Povero vecchio! Eppure lo ringraziavo ogni giorno in cuor mio per la possibilità che mi dava di vederla.

Lei.

Con la scusa di provvedere ai rifornimenti, passavo ogni mattina a prendere Bella e la portavo con me in giro per Roma. Giravamo per la città incuranti della guerra.

Isolati dal resto del mondo che si distruggeva con le sue stesse mani.

Fratelli che uccidevano fratelli.

La mano di Isabella, intrecciata alla mia, ogni tanto lasciava il suo posto per accarezzarmi il viso.

Ogni volta ne rimanevo stupito, non che non mi facesse piacere, ma ogni suo gesto, ogni sua carezza, i baci a fior di labbra e quelli più profondi, sembravano volessero indicarmi qualcosa.

Forse un sentimento si stava facendo strada in lei come era stato per me.

Si guardava intorno e mi indicava ogni monumento puntando il dito come una bambina davanti un negozio di caramelle. Avrei comprato tutte le caramelle del mondo a quella bambina. Perché era mia. Non c’era spiegazione più logica, sincera e sorprendentemente semplice. Le avrei mostrato tutto quello che di bello c’era nella vita.

Ad un tratto, un pensiero mi illuminò la mente.

Un giorno, quando tutto sarebbe finito, le avrei fatto vedere la mia Londra. Le avrei mostrato i posti della mia infanzia e passeggiato con lei per le vie intrise di secoli di storia. Le avrei fatto conoscere la mia vita. Come io stavo conoscendo la sua.

<< Parlami della tua famiglia >>

Eravamo seduti sulle grandi gradinate di un antico palazzo. La piazza era quasi deserta e lei era seduta sulle mie gambe. Potevo accarezzare le sue gambe, mentre la sua mano era sul mio collo, provocandomi sensazioni forti e maschili.

<< Perché invece non mi parli di te! In fondo io non so nulla dell’affascinante soldato inglese che viene a letto con me e che ogni notte mi bacia, mi accarezza… >>

Mi faceva impazzire. Ad ogni sua parola corrispondeva un gesto.

<< Bella… ti prego >>

<< è la prima volta che mi rifiuti… >>

<< Non ti sto rifiutando. Ma se non la smetti, mi denunceranno per violenza sessuale  >>

<< Allora ti piaccio!? >> mi sussurrò all’orecchio.

<< Perché? Non si era capito? >> dissi guardandola fingendomi offeso. << Vuol dire che stanotte dovrò mostrarti quanto ti desideri… >>

Rise.

Di una risata, non sguaiata, né volgare. Una risata infantile, appena accennata.

<< Che dirti. Non c’è nulla di così rilevante nella mia vita da essere raccontato. Sono nato a Soho, ma ho sempre vissuto a Bayswater. Mio padre è un pastore anglicano, si chiama Carlisle. Poi ci sono mia madre Esme e mia sorella Alice. Ecco. Fine della storia. >>

<< Non ci può essere solo questo nella vita di un uomo >> disse Bella.

Notai che si fece più titubante. Si scostò leggermente dal mio viso e mi fissò per qualche secondo.

<< Che c’è? >>

<< C’è una donna che aspetta il tuo ritorno? >>

<< No >>

Risposta secca.

<< Non ci credo… Dai non è possibile che uno come te non abbia una bella ragazza che lo aspetta a casa, impaziente per il  ritorno del suo bel soldato >>

Il viso si era fatto un po’ più scuro, nonostante il tono della voce era forzatamente ironico. Stava per alzarsi dalle mie gambe per mettersi seduta sul gradino, quando con una lieve pressione la rimisi giù.

<< Non c’è nessuna ragazza Bella. Non capisco perché ti ostini a dirlo. >>

Non una parola.

Bella aveva lo sguardo basso e il viso triste ed imbronciato come se qualcuno la stesse sgridando per aver rubato la marmellata.

<< Per favore! Non rovinare tutto con i tuoi pensieri contorti ed inutili… >>

Ancora nulla.

<< Prima che io impazzisca, che mi arrabbi e me ne vada in caserma a fare quello per cui sono pagato, invece di stare qui con te, vuoi dirmi per favore che hai? >>

Stavo diventando impaziente. Mi snervava non avere accesso ai suoi pensieri.

All’improvviso la fierezza che ogni tanto abbandonava il suo viso ricomparve.

<< è quello che dico anche io. Perché perdi tempo con me e non te ne vai. In fondo cosa te ne fai di me? >>

Detto ciò, Bella si alzò e fece per andarsene.

Ma prima ancora che le sue scarpe potessero toccare i sampietrini...

<< Ma che dici! Bella sto perdendo davvero la pazienza con questi tuoi sbalzi d’umore! >>

Gridavo. Le tenevo stretto un polso con una mano e la fissavo arrabbiato. Perché doveva complicare sempre tutto!

<< Sei una stupida! Ed un’egoista! La situazione è già complicata. Ora ti ci metti tu con le tue assurdità! Parlami! >>

<< Non dico assurdità! >> disse Bella scostando con forza il suo polso ancora imprigionato nella mia mano. <<  è solo che è strano che un soldato non abbia una ragazza che lo aspetta. E soprattutto è strano tutto questo. Guardami!  Non dovevi innamorarti di me! La realtà è diversa Edward. Che faremo quando dovrai tornare a casa!? Me lo dici? Non faremo nulla! Tu non farai nulla e neanche io.  Ci stiamo facendo solo del male. Ci siamo ostinati a stare insieme, mettendoci da soli delle bende che ci impediscono di vedere che tu sei un giovane ragazzo che ha tutta la vita davanti. Sei bello come pochi e perdi tempo con me! >>

Si fermò solo per riprendere fiato, mentre io la guardavo. Muto.

<< La tua è solo una fissa, Cullen. Io sono solo una prostituta, un’italiana, una ragazzina che si vende e che dalla vita non può chiedere nulla di più di un pasto caldo la sera ed un letto per dormire. Non importa di chi sia il letto. >>

Cosa?? No, un attimo forse ho capito male. Fermate il mondo perché sta girando all’incontrario.

Uno schiaffo. La mia mano. Sulla sua guancia.

Bella si portò una mano sul punto in cui l’avevo colpita.

<< Scusa >> dissi.

Poi un sorriso si affacciò sul suo viso. Ma a distanza di due secondi incominciò a piangere.  Sembrava volesse tenere i singhiozzi dentro di sé.

<< Non scusarti. Non ce n’è bisogno. Mi tratti com’è giusto che io sia trattata… >>

Mi accorsi che piano piano le sue palpebre non  riuscivano più a stare aperte. Il colorito era pallido come se stesse per….

<< Bella! >>

Riuscii ad afferrarla prima che svenendo potesse cadere a terra.

<< Edward… non mi sento bene. Ti prego portami a casa >>

<< Bella scusami sono stato uno stupido. Perdonami. Scusami. Non so cosa mia sia preso…. >>

Farneticavo e blateravo scuse mentre la aiutavo  a sedersi sugli scalini dove eravamo fino ad un attimo prima.

Provai a farle un po’ d’aria con la mano.

<< Non fa nulla >> disse bella. Sembrava stesse riprendendo colorito. << Sono io che sono una stupida. Non dovevo dirti quelle cose. >>

<< infatti. Per prima cosa non pensare di te quelle cose. E poi, l’idea di pensarti  in un altro letto… >>

<< è quello che succederà quando te ne andrai >>

<< Allora vuol dire che non me ne andrò >>

<< Impossibile >>

<<  Perché? >>

<< Perché te ne andrai. Ed io non potrò farci nulla. Scusa per quello che ti ho detto, ma è il mio modo per abituarmi all’idea che questa è solo un’avventura che ricorderò quando sarò vecchia. >>

 

 

ciao a tutte! grazie per le belle recenzioni! mi sono quasi commossa.. anzi, mi sono proprio commossa! bè diciamo che i due hanno tante questioni irrisolte.... edward proprio non si rende conto che il suo rapporto con bella è appeso alle sorti della sua permanenza in italia...

bella ne è consapevole ne soffre. prova ad allontanarlo facendolo arrabbiare, visto che da sola a lasciarlo.... proprio non ce la fà!

 alla prossima!

francesca

 

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Capitolo 17
*** bedroom ***


La osservavo dormire nel suo letto e non potevo far altro che pensare che aveva ragione.

Era una bambina, eppure aveva capito subito come andavano le cose  a questo mondo.

Il futuro per noi non c’era. Non potevamo neanche crearne uno. Io non ero in vacanza in Italia: ero li per combattere una guerra di cui non me ne importava più nulla. Avevo incontrato lei, avevo vissuto le scopate più intense della mia vita e cosa ne avevo guadagnato? Che mi ero innamorato.

Mi ero innamorato di una prostituta italiana e l’unica cosa che potevo fare per lei era passarci la notte insieme e pagarle una camera in una bettola.

E nonostante la situazione difficile, ero anche riuscito a farla star male.

Quello schiaffo fu il gesto di un folle, un innamorato che si rende conto che la persona che ama ha ragione. Perché io sapevo che Bella aveva ragione.

E lo schiaffo che le avevo dato non voleva sfigurare il suo bel viso, ma mettere fine ad una conversazione di cui non volevo udire una parola. Volevo illudermi che anche lei sperasse, che credesse in un futuro insieme.

Ero stanco, volevo che anche per noi ci fosse un po’ di felicità.

La guardavo stesa tra le lenzuola ed io accanto a lei, le accarezzavo un braccio che malamente era riverso sul materasso.

Ad un tratto i suo occhi si aprirono.

Avrei voluto dirle tante cose. Ma tutte le parole del mondo, che fossero state pronunciate nella mia e nella sua lingua insieme, non sarebbero bastate.

La abbracciai.

Perché non c’era nulla da dire.

La abbracciai forte a tal punto da schiacciarla contro il materasso. Ispiravo il profumo della pelle sul suo collo. Sapeva di buono, sapeva di Bella. Il profumo più gustoso e delizioso al mondo. Un odore che arrivava in gola e ci rimaneva.

Le mie braccia avvolgevano completamente la sua schiena e la mia testa era incastrata tra l’incavo del suo collo e la sua guancia calda. Era morbida e tenera.

Poi mi accorsi che Bella aveva preso ad accarezzarmi i capelli, come una mamma che consola un bambino. Ma lei era la mia amante.

 E piansi.

 

 

 

 

Passarono due ore prima che ritrovassi il coraggio di guardarla in faccia.

Ero un uomo, cazzo! Non potevo piangere davanti alla mia donna! Ma mai come in quel momento mi sentivo solo un ragazzo. Sentivo il peso di anni in cui la spensieratezza aveva lasciato il posto alla gloria, al coraggio e alla forza del soldato. Eppure dovevo ritrovarla quella forza. Dovevo essere forte per entrambi.

Non potevo mollare o avere momenti di sconforto.

Entrambi seduti con la schiena appoggiata alla spalliera del letto, ci guardavamo, come in una muta conversazione. 

Ci parlavamo con gli occhi. E ci dicevamo tutto quello che non ci eravamo mai detti prima di allora. Che ci volevamo. Perché solo questo potevano dire i suoi occhi: che mi voleva.

Mi desiderava, mi voleva, sperava di stare con me per tutto il tempo che la guerra ci avrebbe concesso.

Mi teneva la mano stretta come quando si accompagna qualcuno in un viaggio.

<< Come ti  senti? >>

<< Dovrei essere io a chiederlo a te! In fondo sei tu quella che è svenuta.. >>

Rise.

<< è stato solo un piccolo malessere. È già tutto passato. >>

Poi mi sfiorò le labbra. << Non mi far arrabbiare più! >>

Fece per alzarsi dal letto ma subito la afferrai e cominciai a farle il solletico.

Ridemmo come due bambini ma appena il suono delle nostre risate incominciava ad affievolirsi le sussurrai un “Mi dispiace”.

Alle mie parole Bella non fece altro che  guardarmi.

I suoi grandi occhi scuri si ammorbidirono e diventarono lucidi come due caramelle al liquore.

<< No, ti prego. Non piangere >>

Piano piano, una ad una, le lacrime scendevano sul suo viso fino a cadere sulla mia mano.

La abbracciai più forte che potevo. La tenevo stretta come se potesse scappare via in un secondo a causa del male che le avevo fatto. E avrebbe avuto ragione. Se lo avesse fatto sarei morto, ma non avrei potuto negarglielo.

<< Scusa, scusa, scusa… Ti prego perdonami, Bella! Io non so che dire. Non volevo colpirti. Non avrei dovuto neanche pensare di alzare le mani su di te… Perdonami. >>

<< Io ti ho già perdonato. L’ho fatto un secondo dopo. Non ti rammaricare di nulla, perché non c’è niente che tu possa fare. >>

Poi si mise a sedere sul letto e cercò di ricomporsi sistemandosi i capelli alla bene e meglio.

<< Edward, io non so come dirtelo. Per quanto tempo credi ancora che andrà bene questa situazione? Tu forse non te ne rendi conto ma non possiamo continuare così… >>

<< Che dici, Bella perché?? È inutile. Io non ti lascio. >>

Mi misi a sedere anche io facendo il verso ad un bambino col broncio. Ma non ero credibile.

<< Edward, sii serio! Neanche io voglio che tu mi lasci, ma visto che tra i due quella più responsabile sono io, nonostante l’età, tocca a me fare i conti con la realtà. Per tutti e due. Ed io e  te insieme proprio non possiamo starci. Non possiamo passare le nostre giornate così, come se fossimo sempre in attesa di qualcosa. È snervante. >>

Poi mi guardò e mai come quella volta fu così seria da farmi venire la pelle d’oca.

<< Se tu mi lasciassi ne morirei. Ma sarebbe una morte felice, sapendo che tu tornerai in un paese bello come l’Inghilterra e che sposerai una ragazza che ti ama e che ti darà tanti bambini. Già me li immagino: saranno belli come il sole. Avranno i tuoi occhi verdi e i capelli color del rame. >>

<< Si. Saranno bellissimi. Ma lo saranno perché avranno i lineamenti del tuo viso. >>

Una risata amara si disegnò sul suo viso.

<< Sei ostinato. Ma ti farai male Edward. E quando entrambi soffriremo a causa della tua testardaggine, sarà troppo tardi. >>

 << Stai zitta e fai solo una cosa: amami. >>

 

 

 

 

La spossatezza post orgasmo ed il fatto che lei era ancora tra le mie gambe rendeva il mondo un posto più bello.

Il suo seno era compresso sul mio petto. Era caldo, turgido, sodo. E le sue gambe erano intrecciate alle mie.

Avevamo entrambi ancora il fiatone. Le spostai una ciocca sudata dalla fronte e lei, in risposta al mio tocco, appoggio il viso sul cuscino ed i capelli rivolti verso di me. Sembrava una gatta che si crogiolava al sole dopo il freddo dell’inverno.

<<  Hai fame? >> le chiesi.

<< No. Ma se ne hai tu corro subito giù a prendere qualcosa in cucina >>

Come una molla, scattò giù dal letto. Stava quasi per aprire la porta quando…

<< Bella?! >>

<< SI?! >>

<< I vestiti… >>

Il suo viso divenne paonazzo quando si accorse che addosso non aveva nient’altro che il mio odore.

<< Oh. >>

Mentre Bella era giù in cucina penasi a nulla.

Poteva la mente di un uomo annullare i suoi pensieri? Senza Bella la mia mente era spenta. Potevo solo concepire pensieri che avessero a che fare con lei. Nuda e ansante a causa mia.

Ad un tratto la porta si aprì.

<< Già di ritorno? >>

Bella entrò con un piatto pieno di patate che prontamente appoggiò sul piccolo tavolo di legno alla sinistra del letto.

<< Scotta, scotta! >> disse Bella correndo verso di me. Poi notai che le sue mani erano rosse a causa del calore del piatto. Gliele presi e ci soffiai sopra.

Bella sorrise. Del sorriso più bello che potesse regalarmi, un sorriso pieno di tenerezza.

<< Allora? Non mangiamo? >> le dissi.

Andai al tavolo, presi il piatto e lo portai a letto. Mi misi seduto e bella dietro di me con le gambe intrecciate alla mia schiena.

<< Tu mangia. Io intanto scrivo qualcosa sulla tua schiena. Vediamo se indovini. >>

Ero incuriosito. Chissà cosa mi avrebbe scritto.

Con il dito a mo’ di matita, incominciò a disegnare sulla mia schiena ancora scoperta.

Una linea verticale …. I … un cerchio … IO

…T…

…I…

…A…

…M…

…O…

Cercando di non mostrare il minimo turbamento, posai il piatto sul comodino. Poi lentamente mi voltai verso di lei. Aveva gli occhi puntati su di me, forse voleva scrutare la mia reazione al suo gesto e aveva ancora il dito alzato.

<< Anche io ti amo. >> le dissi << Lo sai già. >>

 

buon giorno a tutti quelli che mi seguono!

grazie per le recensioni e scusate il ritardo... ma gli esami e gli impegni chiamano...

come al solito vi invito a commentare e a dirmi la vostra su questo capitolo, esortandovi a leggere anche la mia prima ff che trovate nel mio profilo: ci tengo tanto  a sapere cosa ne pensate, non solo perchè è la prima ff che ho scritto, ma soprattutto perchè sono i pensieri che io farei se fossi bella.

un bacio

francesca

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Capitolo 18
*** london ***


  Una strega. Ecco cos’era. Una strega. Aveva preso il mio cuore e ne aveva fatto un ingrediente per i suoi incantesimi. Lo aveva strappato dal mio petto, stretto nella mano fino a far gocciolare il sangue come se fosse una spugna da asciugare. Ero in suo totale potere. Soggiogato e incantato dai suoi gesti. Così innocenti e puri da lasciarmi basito.
Ogni sua carezza era il preludio all’amore. La sua dolcezza sconfinata, graffiante come le spine sul dorso della mano, era una droga incessantemente buona.
La sua pelle era fuoco teso sulla mia schiena.
“Ti amo” mi aveva scritto. Era come se quella frase potesse rimanere impressa per sempre sulla mia pelle. Marchiata a fuoco, ma con una cicatrice invisibile agli occhi.
Non lo aveva detto a voce. Ma  era come se lo avesse gridato alla finestra che spalancata dava sul cortile. Come se lo avesse gridato a tutta Roma. O al mondo intero.
“Ti amoooooo” gridava silenziosamente.
Gridava in un urlo muto. E solo io avevo il permesso di udirlo.
Gridava felice, ma senza aprire bocca. Gridava con gli occhi, che spalancati, mi fissavano in attesa di qualcosa.
Ma per quanto il mio cuore fosse pieno di gioia e quasi scoppiasse per tutto l’amore che poteva contenere, restai muto. Anche io.
 E come lei, gridai, muto.
 
 
 
 
 
Le giornate passavano lente, poi veloci e poi ancora lente.  Si susseguivano attimi di gioia a momenti di forte sconforto.
Mi mancava la mia terra.
Per quanto potessi amare Bella, per quanto potessi desiderare di starle sempre affianco quasi a fondere il suo corpo col mio, non potevo non sentire nostalgia di casa, della mia famiglia e del mio quartiere.
 Ogni domenica mi recavo nei giardini di Kensington, camminavo fino ad incrociare il ponte e poi subito ad Hyde Park. E quando ero fortunato, mi crogiolavo al sole, steso sull’erba e guardavo lo scintillio dei raggi sull’acqua del Serpentine.
Poi mi svegliai dal sogno, consapevole che l’acqua  con cui Bella mi bagnava il viso era quella del mare di Ostia.
<< Ehi, ben svegliato! >> disse Bella una volta sedutasi accanto a me che me ne stavo steso sulla sabbia, con le mani dietro la nuca.
<< Scusami >>
Provai a rivolgerle un sorriso.
<< Non ero addormentato. Ero solo perso nei miei pensieri. Sai? >> le dissi mettendomi seduto, << un giorno ti porterò a Londra… >>
<< Come se questo fosse possibile >>
<<  Dicevo… >> la guardai truce << ti porterò a fare lunghissime passeggiate nei giardini e berremo insieme un bel tè caldo. Se vorrai potrai versarci dentro un po’ di latte…
<< A me non piace il latte nel tè! >>
<< Ma se non lo hai mai assaggiato! >>
<< Già so che non mi piace >>
<< Allora ci metterai del limone… Come sei Italiana! >>
A quella stupida provocazione, Bella si girò di scatto, scompigliando leggermente i suoi capelli mogano, non più lunghi come quando la conobbi.
<< A quanto pare ti piacciono le italiane, però! >>
<< A me non piacciono le italiane, preferisco le algide bionde inglesi. Uhm… perdermi nei loro occhi azzurri, non c’è niente di più bello e piacevole al mondo! >>
Feci finta di avere uno sguardo trasognato, quando mi girai verso di lei e vidi il suo sguardo. Impagabile. Stava per piangere.
Fu allora che mi scaraventai tra le sue braccia.
<< Come sei sciocca! Io adoro le italiane! Ed in particolare una >>
Nonostante il suo orgoglio ferito fosse ostentato sul volto di Bella, i suoi occhi la tradivano, rivelando un luccichio dovuto alle lacrime.
<< Allora la prossima volta infilati nel letto delle tue “algide bionde“ >>
Bella si ostinava a liberasi dal mio abbraccio, ma la mia morsa era decisamente più forte.
<< Bella stavo scherzando, dove vuoi andare!? Come sei permalosa! >>
<< Non sono permalosa! >>
<< Si, che lo sei >>
<< No che non lo sono >>
 << E invece affermo solennemente sul mio onore, in qualità di soldato di Sua maestà il Re di Inghilterra, di Scozia, del Galles e dell’Irlanda del Nord che tu Isabella Cigni sei in assoluto permalosissima! >>
Il mio tono solenne riuscì a strapparle un sorriso. Se ne stava tutta rannicchiata tra le mie braccia e con un dito mi stuzzicava la barba leggermente incolta.
<<  Parlami di Londra >>
<<  Non saprei proprio da dove iniziare. È una città così grande! È quasi sempre grigio, il cielo è coperto dalle nuvole, ma sono nuvole che ogni tanto rivelano il sole e rendono la città ancora più bella. I miei posti preferiti sono Hyde Park, dove mi rifugio a pensare e la Torre di Londra. Lì si sente un forte odore di muschio. È vicino al Tamigi e quindi l’aria lì è molto umida. Quasi ti entra nelle ossa, ma quando vai li per pensare e soprattutto quando sei sul Tower Bridge, il vento ti scompiglia i capelli e il freddo ti da una sferzata che ti va sentire vivo. Per le strade c’è sempre un gran via vai di gente. Mercanti, ambulanti e commercianti. Ma questo soprattutto nei quartieri più popolari. Nella zona del Palazzo reale, invece, si respira un’aria più tranquilla e quando c’è il cambio della guardia, il centro diventa fermo, immobile. Sembra quasi che persino gli scoiattoli di St. James smettano di correre tra un albero ed un altro in cerca di una ghianda. Lì gli alberi sono enormi, ed è molto bello rifugiarvisi  sotto quando piove. >>
Mentre parlavo, Bella aveva assunto uno sguardo incantato, come quando ai bambini si raccontano le favole della buona notte.
<< Deve essere un posto magnifico.. >> esclamò Bella.
<< Si, lo è. Ma Londra sa essere anche molto crudele. Tante sono le persone che nelle fredde notti di inverno non hanno altro posto dove rifugiarsi se non sotto i ponti, in mezzo ai topi. Io sono stato molto fortunato: sono nato in una famiglia in cui mio padre non ha mai avuto problemi a portare il cibo in tavola per sua moglie e i suoi figli. Al contrario, ho visto tante famiglie rovinarsi per un pezzo di pane… >>
Solo dopo aver detto quelle parole, mi accorsi che bella si era rattristata. Che stupido che ero!
<< Scusami. Io… >>
<< Non fa niente. È bello comunque sapere quello che pensi. Sei una persona molto buona. >>
Io non sono buono. I santi stanno nelle cattedrali. Io sono solo un soldato… Credo che adesso sia proprio ora di andare. Ti va? >>
<< Certo. Andiamo. >>
 
 
 
 
Il buio stava calando su Roma. Tutto aveva assunto un colore più scuro, in attesa della luce del giorno dopo.
Accompagnai Bella alla locanda. Le presi una mano, la portai alla bocca e la baciai.
<< Ci vediamo domani. >>
Lei mi guardò e capì. Mi fece cenno con gli occhi che aveva capito.  Dovevo ritornare in caserma e fare il bravo, almeno per un po’.
Aspettai che Bella entrasse e una volta accertatomi che stesse bene, mi incamminai verso la vicina caserma.
 
 salve a tutte! scusate il mostruoso ritardo ma sono stata a Londra e appena tornata mi sono dovuta subito mettere a studiare per il prossimo esame! vabe a voi questo non import: quello che è necesario dirvio è che io scrivo sull'ispirazione del momento e questo non aiuta una pubblicazione regolare! scusate!!!! come al solito ringrazio tutti quelli che hanno commentato e vi dico che .... a me non piacciono tanto le gravidanze messe li per unire due persone... piuttosto è il coronamento di un rapporto. ma non sia mai detto che non potrei stupirvi! vabè di scemenze ne ho dette fin troppe e aspetto di sapere che ne pensate!
ciaooooooooooo :P

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Capitolo 19
*** and now? ***


 Per due giorni ero riuscito a vederla solo di sfuggita, sotto stretta osservazione di Jasper.

Il comandante non tollerava più le mie lunghe assenze e almeno per un po’ me ne sarei dovuto stare tranquillo e compiere il lavoro per cui ero stato arruolato. Ma sapevo che stava bene. Me lo scriveva lei. Come al solito le mancavo e lei mancava a me.

Non sarei mai riuscito, neanche se lo avessi voluto, a lasciarla, a dirle di starmi lontano.
In fondo, perché avrei dovuto?
Cosa ci impediva di essere felici? Cosa ci impediva di stare insieme, di vivere il nostro amore in santa pace come gli altri. Cos’era che non mi permetteva di renderla una donna rispettabile, onorata e dignitosa. Per me lei non aveva nulla che non andasse. Certo, la mia famiglia  se lo avesse saputo, se avesse saputo  del suo passato non credo avrebbe reagito in maniera favorevole. 
Forse non avrebbero mostrato sentimenti ostili, ma non avr4ebbero neanche fatto i salti di gioia.
Il loro rispettabile figlio che tornava  a casa con una prostituta.
Ma io ero stanco.
Stanco di questa guerra che non mi aveva portato la gloria che da stupido immaturo inseguivo che credevo di aver raggiunto arruolandomi e arrivando in Italia.
La guerra aveva portato solo distruzione in questa splendida nazione, che per troppo tempo era stata annerita dal fascismo.
Avevo deciso. Dovevo andarmene.
Volevo ritornare a Londra e costruirmi una vita con lei. Niente aveva più importanze del tornare lì, dello scappare dalle macerie e far conoscere alla mia Bella una vita priva delle preoccupazioni che fino ad allora l’avevano afflitta.
Ci avrei pensato io a mandare i soldi ai suoi genitori. Non avrebbero più avuto di che preoccuparsi. La loro figlia sarebbe stata bene con me. L’avrei fatta felice in tutti i modi in cui un uomo può far felice la sua donna. Le avrei comprato una casa e da lì sarebbe partita la nostra felice vita insieme.
 Ne ero sicuro.
 
 
Decisi di andare dal Comandante, nonostante Jasper mi seguisse implorandomi di non farlo. Diceva che era una sciocchezza, una decisione avventata, senza senno e che dopo me ne sari pentito. Ma come potevo pentirmi di scegliere  una vita tranquilla, in pace con la donna che volevo diventasse mia moglie.
Entrai nell’ufficio principale dopo aver bussato.
<< Comandante, chiedo venia per il disturbo, ma volevo comunicarle che rassegno le mie dimissioni. >>
Comodamente seduto dietro la sua scrivania, con gli occhi ancora puntati sulle mappe che stava visionando mi disse: << Negativo, Cullen. Tornatene al tuo compito. >>
Cosa?
<< Io… >>
<< Non accetto altro. I disertori della patria non sono ben visti da sua maestà. Ti sto risparmiando. Ti sto facendo un favore, Cullen. Ti sto risparmiando il Tribunale militare! >>
Alzò la voce. Quasi urlava.
<< sei uno sconsiderato! Sei uno stupido se credi davvero che potrei lasciarti andare così. Non potrei mai privare la RAF di un elemento valido, seppur irresponsabile, immaturo e sciocco. >>
<< Con tutto il rispetto, Signore, ma io credo di essere più utile in patria che qui. >>
Il comandate sorrise.
<< Ah davvero?! E sentiamo… saresti più utile a compilare scartoffie  di solito affidate ai veterani piuttosto che qui, dove c’è una guerra. È una delle cose più stupide che io abbia mai sentito! >>
Mi avvicinai piano alla scrivania, cercando di essere cauto e non tradire alcuno emozione.
<< le sto chiedendo di farmi tornare a casa.  Per favore. >>
  << Ed io ti sto dicendo di no! Whitlock, portamelo via, prima che lo faccia sbattere in cella di rigore. >>
Prima che Jasper riuscisse a portarmi via di peso, il comandante si voltò verso di me e riprese a parlare.
<< Ah, un’ultima cosa Cullen. Non penare che io sia uno stupido. Sono a conoscenza delle tue fughe notturne e del reale motivo delle tue licenze. Io quella me la sono sbattuta prima di te. >>
 Successe tutto in un lampo.
Prima che il Comandante potesse solo rendersene conto lo attaccai sferrandogli un pugno ben assestato in faccia.
<< Cosa le ha fatto? >> urlai.
<< Io niente. >> rispose lui con un grande sorriso stampato in faccia. << Ma non ti preoccupare, lei si è divertita quanto me. E l’ho anche pagata piuttosto bene! >>
Uno sputo partì dalla mia bocca.
 
Non poteva essere.
Certo sapevo che Bella era una prostituta. Ma immaginarla tra le mani di quell’essere, quel vecchio.  avrebbe potuto essere suo padre.
Per quanto mi sforzassi di non pensarci. Non potevo far a meno di immaginarla sul letto che godeva grazie a lui. Le sue mani sul suo corpo.
Perché non me lo aveva detto?
Ero chiuso in cella di rigore.  E non erano la fame, il buoi, la sete o addirittura il freddo gelido che mi entrava nelle ossa a farmi male. Ma il pensiero di lei con un altro.
Ad un tratto sentii la porta cigolare piano. Un rumore stridulo ed inquietante.
<< Se ti faccio scappare da qui,promettimi di tornartene in Inghilterra o per te saranno guai >>
 
 ciao a tutte! siamo quasi alla fine di quest'esperienza!
non andrà come molte di voi credevano... ma non disperate. nella mia mente c'è  già il seguito!
ho notato un calo drastico delle letture... mi dispiace molto! ma fa nulla continuo per le mie fedeli lettrici e chissà, anche lettori?
vi lascio aspettando i vostri commenti sempre graditissimi.
francesca


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Capitolo 20
*** the end? ***


 Capitolo finale

Annuii.
Promisi a Jasper che me ne sarei andato. Altrimenti mi avrebbe aspettato un’accusa per tradimento alla corona ed insubordinazione. Ma non potevo andarmene senza rivederla almeno per un’ultima volta.
<< Cerchiamo di non farci vedere dalle sentinelle. Dobbiamo stare attenti o saranno guai >> disse Jasper a bassa voce. Uscimmo di soppiatto dalla cella, sorpassammo il lungo corridoio e nonostante il cuore mi scoppiasse, nessuno ci scoprì.
Eravamo appena fuori le mura della Caserma quando Jasper mi abbracciò.
<< Ho già predisposto tutto amico.  C’è un mio compare che ti aspetta domani mattina alla stazione centrale di Roma. Da lì partirai per Parigi, poi in Normandia dove prenderai una nave per Dover. Tieni. >> disse porgendomi una sacca scura  << qui troverai il denaro per il viaggio e abiti civili. Cambiati! Mi raccomando stai attento >>
Ci abbracciammo.
<< Buona fortuna >>
<< Grazie. Di tutto. >> furono le mie ultime parole a Jasper.
 
 
Non potei fare a meno di andare nell’unico posto dove davvero sentivo di dover andare. Prima di partire, prima di lasciarci, Bella mi doveva ascoltare, avrebbe dovuto sentire la mia rabbia, la mia collera. Perché’
Perché non me lo aveva detto.
Ero maledettamente geloso.
Per tutto il tragitto non avevo potuto fare a meno di pensarci.
 Arrivai.
Entrai senza bussare.
Il patto con l’oste prevedeva che io potessi entrare ed uscire a mio piacimento. Salii le scale e raggiunsi la sua camera.
Credevo l’avrei trovata addormentata, era tardi, in fondo.
Invece era seduta al tavolo che leggeva uno dei romanzi che le avevo regalato.
Quando mi vide, la felicità sembrò averla riportata alla vita. Gioia immensa traspariva dai suoi occhi.
Quanto mi sarebbero mancarti.
Fece per abbracciarmi ma rimase impietrita dalle mie parole.
<< Sto andando via. Torno in Inghilterra. Sono venuto solo per augurarti buona fortuna. >>
<< Come, te ne vai?!  Ed io? Che faccio? Perché? Quando? >>
<< Domani mattina, all’alba. Mi aspetta un lungo viaggio. Sono venuto a portati dei soldi, così non avrai problemi, almeno per un po’.  >>
Presa da una collera che non avevo mai visto nei suoi occhi, prese il denaro e me lo butto in faccia.
Urlava.
<< Non me ne faccio niente del tuo denaro! Io voglio te, niente avrà più senso ora che te ne vai.  Sarò di nuovo sola. >>
<< è questo che ti preoccupa? La compagnia non ti mancherà di certo. C’è sempre il mio comandante >>
<< Come lo hai saputo? >>
<< me lo ha detto lui quando ero andato a chiedergli di poter tornare a Londra. Volevo portarti con me. Avevo pensato che avrei potuto sposarti, renderti una donna rispettabile, ma lui mi ha fatto sapere che sei stata la sua amante. >>
<< Tu lo sapevi Edward, è così che mi hai conosciuto! >> la sua voce era un crescendo <<  lo hai sempre saputo che sono una prostituta. A cosa sarebbe servito dirtelo prima? >>
<< Questo non ha più importanza. Devo andare. Addio. >>
<< No, che non te ne vai. Non te lo permetto! Vengo con te! >>
Il suo volto era sfigurato dalle lacrime e dal dolore, gli occhi erano rossi e gonfi, sembrava potessero scoppiare da un momento al’altro.
Con tutta la forza che aveva in corpo mi strattonava, provava a tenermi fermo. Poi ad un tratto si fermò. Sembrava spiritata. Si girò e cominciò a riempire una sua valigia con tutto quello che le capitava a tiro.
Io la osservavo incredulo e sbigottito.
<< Non ti lascerò andare. Non te ne vai senza di me. Non te lo permetto. No. Non puoi. Vengo con te! >>
Le presi un polso, affinché si fermasse.
<< Bella, non serve a niente. Tu non puoi venire con me! >>
<< Si che posso, ti prego io devo venire con te. Io ti amo! Se non mi porti con te….io…. io… >>
<< Non essere stupida Bella! Io non ti voglio! >>
<< Non è vero. Sei arrabbiato. Io cambierò te lo prometto! >> disse abbracciandomi forte << ma ti prego non lasciarmi. Non abbandonarmi. Ti scongiuro, ti imploro, portami con te! Farò tutto quello che vuoi. Non ti darò fastidio. Ma ti prego non lasciarmi. Io non posso vivere senza di te! >>
 Urlando Bella aveva detto tutto quello che in mesi non era riuscita ad esprimere.
<>
<< Non è vero! Mi ha detto tante volte quanto sarebbe stato meraviglioso farmi vedere tutte le cose belle che ci sono dove vivi tu! Non è possibile che tu non mi voglia! Non è giusto! Non ci credo! >>
Continuava a strattonarmi, a scuotermi e ad aggrapparsi con le mani al mio cappotto. Sembrava quasi che avrebbe potuto strapparmelo di dosso.
<< Addio Bella. Ti auguro di essere felice, anche senza di me! >>
Le diedi un bacio sulla fronte ed incurante delle urla e della sua disperazione e del fatto che mi aveva rincorso fino a giù il portone, implorandomi di restare, me ne andai. Come un morto che si appresta a varcare la soglia dell’inferno.
 
 
 
 

 

Spoiler per il seguito (piccolo regalo per chi mi ha seguito con tanto affetto )
 

Erano passati tanti mesi ormai. Da quella ultima volta in Italia.
Avevo passato gli ultimi tempi a girovagare da un tribunale all’altro in cerca di assoluzione. Avevo tradito l’onore della Gran Bretagna, l’onore del mio paese.
 Mi ero rifatto una vita o almeno ci avevo provato. Tutto era cambiato.
Un pomeriggio ero intento a leggere nel mio giardino quando alzai gli occhi e vidi l’unica persona che mai mi sarei sognato di rivedere qui.
Era ancora più bella di come la ricordassi o la sognassi di notte, nonostante  fosse palese sul suo viso la stanchezza di un lungo viaggio.
Non riuscivo a proferire parola. Lo fece lei per me.
<< Perdonami! >>
 
sarebbe stato crudele lasciarvi con un finale così tragico e triste. è stata la cosa che ho scritto in maniera più facile: sulla pagina di word tutto scorreva fluido. perchè era tanta la voglia di far urlare a Bella tutto il suo amore.
è stato un piacere per me scrivere questa storia senza grandi pretese e spero che anche a voi sia piaciuto leggerla !
l'arrivare alla drastica decisione di completare questa storia non è stata dettata dal mio essere sintetica o sviluppare poco una storia, ma come ho smepre detto, quando scrivo i personaggi decidono loro cosa fare, cosa dire e come agire, anche se a volte io per loro avrei scelto cose diverse. avrei pouto allungare la mia storia con altri eventi. ma sentivo che le cose dovevano andare in questa maniera.
non so quando continuerò il sequel: ma volevo lasciarmi una porta aperta per future ispirazioni.
grazie a tutti!
francesca

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Capitolo 21
*** precisazioni ***


ho appena letto le recensioni di theangelsee69theangelsee69 : mi scuso con lei e con i lettori per le grandi inesattezze di cui ho scritto nei mie due ultimi capitoli. ma non essendo pratica dell'argomento guerra e forze armate sono andata di fantasia. ancora oggi a 24 anni, confondo i gradi! per me un soldato semplice potrebbe essere uguale al capo di stato maggiore. mi scuso nuovamente per le inesattezze ma ripeto... la fantasia ha prevalso sulla logicità della storia. ci tengo a sottolienarlo per coscienza mia personale: essendo una studentessa di scienze politiche credo di conoscere abbastanza bene gli eventi storici della seconda guerra mondiale e di dover tenerlis empre ben a mente. ma qui su efp, sono solo una fan della saga di twilight che scrive per divertimento. altrimenti, se mi fossi soffermata sugli aspetti storici e militari delle vicende avvenute nell'Italia degli anni '40, ne sarebbe uscito un romanzo storico e non più una fanfiction.
spero che vi sia comunque piaciuta, in fondo, lo ripeto, sono una ragazza che scrive senza grandi pretese, per puro piacere. a presto francesca

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Capitolo 22
*** precsiazioni 2 la vendetta ***


visto che il mio finale non ha riscosso molto successo... ho deciso che se sarà il caso proverò a riscriverlo... un abbraccio! francesca

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