La serra
2.
- Neanche una telecamera – osservò Titti col naso rivolto all'insù.
- È una struttura molto recente... e poi da chi dovrebbero difendersi? Non è mica un banca – ribatté lui,
rimpiangendo lo scarso valore attribuito a quegli esemplari di vegetali. Erano molto in basso nella classifica
delle cose preziose di tutti quelli che conosceva. Una telecamera avrebbe fatto molto comodo in quel momento, a
entrambi.
- Sai – aggiunse subito Malik, cercando di sdrammatizzare – non mi dispiace affatto di essere bloccato qui con te.
Titti lo squadrò in tralice. Con intensità tale che Malik si sentì in dovere di aggiungere delle spiegazioni.
- Non ti affannare – lo interruppe lei quasi subito – è proprio vero che voi uomini non pensate ad altro!
- Non cominciamo con “voi uomini” e “noi donne” - esclamò lui di rimando, ma sorridendo poiché anche lei era divertita
e stentava a nasconderlo.
- È la verità – ribatté lei.
- Non mi è sembrato che tu fossi così scontenta di giocare a “voi uomini e noi donne”, qualche tempo fa... ricordi? In
casa tua, sul letto... Pyretta era fuori per un esame e allora...
- Ricordo benissimo! - troncò subito Titti stizzita, dandogli la schiena. Malik si ritenne soddisfatto e non insisté.
Il problema però giaceva ancora insoluto: erano chiusi dentro e la prospettiva di passare la notte nella serra era
tutt'altro che allegra. Non era certo una località turistica, ma un laboratorio di botanica. Non c'era nulla da mangiare
e nemmeno una sedia per sedersi. All'interno della serra era stato ricavato un locale per conservare campioni, vasi,
provette, colture, semi e un sacco di altre cose. C'era un terminale che avrebbero potuto usare per inviare una
richiesta di aiuto, ma anche quella porta era chiusa. Aveva resistito anche all'uso della forza.
Malik lasciò che la tensione scemasse da sé: seguì Titti in silenzio mentre lei percorreva il perimetro della serra,
alla ricerca di chissà cosa. Le pareti erano riflettenti e isolate termicamente, per non lasciare sfuggire il
calore. Lo spessore dell'isolante era tale che l'intera struttura era anche acusticamente a prova di bomba.
Si fermò accanto a lei quando ebbero raggiunto il piccolo laboratorio, una piccola scatola dentro quella scatola
che era la serra. Scosse la testa non visto quando lei strattonò la maniglia della porta. Anche quella serratura si
era spenta per autodifesa, convinta di avere a che fare con qualcuno intenzionato a violarla.
- Ci sarà qualcosa che possiamo fare! - esclamò lei voltandosi.
Poco dopo aver messo piede nella serra per seguire quella lezione, Titti aveva aperto sempre più la cerniera della
maglia termica che indossava. Ora mostrava uno spicchio del suo petto polposo, imperlato di minuscole goccioline.
- Possiamo rilassarci per un minuto... essere nevrastenici non ci servirà a niente.
Malik si pentì subito di quello che aveva detto, ma non fece in tempo a porre rimedio alla situazione.
- Non sono nevrastenica! - sbottò lei. Malik fu tentato di dirle che era adorabile anche quando arrabbiata, ma lasciò
perdere. Non voleva peggiorare la situazione: era in gabbia con una tigre, e giocare a tirarle la coda non era la cosa
più saggia da fare.
Si guardò intorno alla ricerca di un posto dove sedersi: ridendo di se stesso, si disse che mostrarsi calmo era la
cosa migliore da fare in presenza di un animale feroce. L'aveva letto in un racconto di avventure scritto secoli
prima, quando c'erano ancora animali feroci di cui avere paura.
- Che fai? - gli chiese quando lo vide sedersi vicino al bordo di una grande vasca di terreno scurissimo dove
crescevano decine di piantine dalle lunghe foglie di un verde brillante.
- Mi siedo e penso – le rispose sorridendo.
- Vieni con me.
Autoritaria, pensò lui alzandosi senza discutere. La seguì fino alla pianta più grande. Il terreno intorno al suo
tronco era compatto e pressato dalle decine di piedi che l'avevano calpestato a lungo. Era una delle poche vasche
di terreno dove era consentito entrare senza alcuna preoccupazione: una pianta di alto fusto come quella sarebbe
caduta se il terreno intorno alle sue radici fosse stato troppo morbido e cedevole.
- Dai, mettiamoci qui... sotto la betulla. Mi piace di più.
Ecco il nome che mi era sfuggito, si disse Malik. Era certo che a Titti non era sfuggito nulla della lezione. Era
molto attenta e riusciva a memorizzare moltissimo. Per lei studiare dopo la lezione era più facile, come un
ripasso. A confronto, lui doveva impegnarsi molto di più per ottenere risultati simili.
- Non rischiamo di fare danni? - chiese lui mentre si accomodava con la schiena contro il tronco odoroso.
- Danni a cosa? All'albero? Standoci seduti sotto? Casomai il contrario – lo canzonò lei. Poi si sedette tra le sue
gambe e si appoggiò con la schiena al suo petto, usandolo a mo' di cuscino.
- Comoda? - calcò sul tono sarcastico. I suoi fianchi larghi lo costringevano a tenere le gambe divaricate e il peso
di lei sul torace, non certo sgradevole, trasformava però in un fastidio il duro tronco dell'albero che premeva
contro la sua spina dorsale. Per non essere solleticato in viso dai suoi capelli, doveva tenere la testa inclinata
da un lato. Come se lei avesse sentito i suoi pensieri e intendesse fargli un dispetto, inclinò la testa all'indietro
per posarla sulla sua spalla e si accomodò meglio, come se fosse intenzionata a trascorrere così un bel po' di tempo.
- Abbastanza... non ti muovere però, altrimenti mi dai fastidio.
- Ah... scusa, eh...
- Tranquillo, così va bene – gli occhi chiusi, un sorriso sottile che le affiorava sul viso paffuto. Malik stette al
gioco. Non ho poi molto da scegliere, si disse.
Rimasero in quella posizione a lungo, chiacchierando. Malik, accaldato per via di quel morbido e ardente peso che
gli schiacciava il petto, godeva nel sentire la voce di lei vibrargli contro le costole. Era tormentato dal desiderio
di accarezzare quel corpo così pieno e soffice, ma non sapendo se lei avesse gradito, si costrinse a tenere le mani
ferme e lontane. Tutto sommato, a parte quel focoso pomeriggio, un ricordo ben vivo nella sua mente, se si escludeva
qualche bacio appassionato e poche carezze un po' intime, non si erano più toccati. E poi altre parti del suo corpo
riassumevano con efficacia la sua felicità per quel contatto fisico. Così tanta felicità che dovette accomodarsi
meglio.
- La smetti di muoverti? E togli quella mano da lì! - lo rimproverò subito lei, interrompendo quello che stava
dicendo.
- Quale mano? - Malik offrì alla sua vista entrambe le mani nere, mostrandole il palmo più chiaro. Titti infilò la
destra fra i loro corpi, con forza. Troppa forza.
- Allora hai qualcosa in tasca che... - strinse con le dita.
- Hey, piano! - protestò Malik contraendosi. Titti, compreso di cosa si trattava, ritirò subito la mano
esclamando. Poi cominciò a ridacchiare. Sentiva la schiena di lei sobbalzare, e ciò aggravò la situazione.
- Scusa... - disse, cercando di smettere di ridere – ma non puoi spostarlo? Mi preme in un modo che mi da fastidio...
davvero, non sto scherzando...
- Ma dico io – protestò lui mentre cercava di porre rimedio – possibile che tu sia così sensibile? - Titti continuava
a ridacchiare sommessamente, la schiena posata sul petto di Malik la tradiva.
- Va bene così? - Malik stava sudando: era più comodo, ma l'inguine gli doleva da tanto che era turgido. Lei
aveva all'improvviso smesso di ridacchiare, ma non gli rispose.
- Zitto! - lo rimproverò svelta quando le sollecitò una risposta – non noti niente?
Allarmato, si guardò intorno. No, non notava nulla di diverso rispetto a prima.
- C'è meno luce!
Titti aveva ragione. La luce andava affievolendosi: simulazione crepuscolare, pensò Malik. Il tramonto: inesistente
su Apollo. Nel giro di un'ora le accecanti lampade sul soffitto passarono a una tonalità gialla, emettendo una luce
meno intensa; poi scemarono gradualmente fino all'arancione, per spegnersi poco dopo. Balzati subito in piedi, si erano
presto resi conto che per loro la situazione non cambiava affatto: le porte non si sarebbero aperte, le serrature
rimanevano bloccate. Il buio era la conferma, semplice e ineluttabile, che avrebbero trascorso la notte lì. Ormai era
chiaro che nessuno sarebbe venuto a farli uscire.
Una volta rassegnata all'idea, anche Titti si calmò. Nella serra il buio serviva al ciclo vitale delle piante, ma
essendo un ambiente chiuso, non c'era alcuna ragione di temere alcunché. Ciononostante, con molto piacere di Malik,
Titti cercò rifugio tra le sue braccia e alla lunga si addormentarono così, uno avvinghiato all'altra, addentro la
vegetazione che cresceva ordinata, le spalle appoggiate a una robusta ma flessibile rete metallica destinata a sostenere
un rampicante dall'odore caratteristico.
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