La serra

di Mannu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La serra
1.

- Non stare lì impalato, fai qualcosa! - sbottò lei strattonando istericamente la maniglia. Ma la porta della bussola rimase chiusa.
- Cosa dovrei fare secondo te? - fu la piccata risposta.
Lei sbatté un piede a terra in un gesto di stizza, ma senza produrre il minimo rumore, com'era brava a fare. Sbuffò dando un'ultima scrollata alla porta, che però era inamovibile. Il tecnico che li aveva accompagnati era stato chiarissimo: la bussola era a tenuta d'aria poiché il clima della serra doveva rimanere accuratamente controllato. La struttura della bussola era la medesima di quella di una banca, anche se i pannelli trasparenti non erano a prova di proiettile.
- Non è possibile – piagnucolò voltandosi verso di lui, il viso contratto in una smorfia di bambinesco disappunto.
- Si accorgeranno della nostra mancanza e torneranno a prenderci – la rassicurò. La guardò posare le piccole mani pallide sui fianchi carnosi e morbidi. Sospirò profondamente e lui si trattenne a stento dall'imitarla, affascinato.
- Speriamo...
La osservò, compiacendosi: gli piaceva molto, ogni giorno di più. Il bel viso paffuto, i capelli biondi con il ciuffo tinto di nero che cambiava ogni volta che lei rinnovava il colore, gli occhi azzurri capaci di incupirsi e rischiararsi, riflettendo i suoi pensieri. Era sinceramente dispiaciuto di vederla così turbata e, come per dimostrarle che gli stava a cuore la situazione, andò a strattonare un po' la maniglia e a interrogare la serratura. Quella rispose con un segnale acustico breve e sgraziato: era bloccata e tale sarebbe rimasta fino a nuovo ordine. Malik era cosciente di non essere tra coloro i quali avevano l'autorità di attivare quel meccanismo elettronico, ma cercò ugualmente di accedere al suo menù. Ottenne un altro brusco rifiuto e, per autodifesa, la serratura spense il pannello sensibile al tocco. Niente di grave, pensò lui: tutte le serrature elettroniche si comportavano così. Però quello era il segno che con la porta non c'era davvero niente che loro potessero fare.
Diede le spalle alla doppia porta e affrontò la serra. Come attività di laboratorio quel giorno era stata organizzata una visita alla serra dell'università, solo recentemente divenuta pienamente operativa. I docenti di planetologia e terraformazione ne parlavano da parecchio tempo, ma dal momento che stabilizzare l'habitat non era stato affatto semplice, la serra era rimasta a lungo inaccessibile agli studenti.
Era un ambiente straordinario. Abbastanza grande da ospitare anche piante dall'alto fusto di legno, era un trionfo di colori e di profumi. Ciò che l'aveva colpito più di tutto era stata proprio la mescolanza di odori, mai percepiti con quell'intensità. Era stato più volte al Parco di Amaterasu, ma laggiù non venivano raggiunte elevate concentrazioni di profumi. Su Apollo, la più grande stazione orbitante intorno al pianeta, non c'erano stagioni e il grande Parco di Amaterasu veniva mantenuto come un giardino zen da un esercito di tecnici che provvedevano alle necessità delle piante “installate”.
Nella serra era diverso. Come l'assistente aveva spiegato all'inizio della visita, lo scopo di quella struttura era di simulare l'ambiente naturale e di indurre la vegetazione a comportarsi di conseguenza. In quel momento nella serra era piena primavera: moltissime specie erano nella fase più intensa della loro vita. La fioritura a scopo riproduttivo. Di qui l'intensità di colori e profumi: il polline saturava l'aria calda, dando l'idea di poter essere raccolto con un cucchiaio e messo in tasca. Da quando aveva messo piede nella serra, a Malik prudeva il naso.
Forse la temperatura, ben superiore alla media della stazione; forse l'aria carica di odori; forse il semplice fatto di essere immersi in mezzo a quel tripudio di colori, di creature viventi mai viste prima così da vicino. O forse era solo perché lontani dall'aula, fuori dalle strutture universitarie: tutti quanti i suoi compagni di corso erano allegri, spensierati e poco inclini a seguire la presentazione dell'assistente del professore. Perfino Titti, ragazza seria, diligente e studiosa, dopo aver resistito più a lungo degli altri aveva finito col distrarsi. Dapprima un poco, concedendosi qualche commento e una risatina qui e là; poi lo aveva cercato per dargli un bacio. Un singolo, breve e fugace contatto tra labbra, senza un seguito immediato né spiegazione alcuna. Appena il tempo di accarezzarle le spalle tonde e morbide che gli era già sfuggita, alla ricerca di un posto da dove potesse seguire meglio la spiegazione.
Dunque anche Malik si era costretto a stare a sentire ciò che l'assistente del professore stava raccontando. Apprese alcune cose interessanti sulla serra: era alimentata autonomamente, controllata da un computer in base a un programma e non da una intelligenza artificiale come ci si sarebbe potuto aspettare. A sentire il docente, ciò era dovuto a problemi di fondi: la maggior parte del denaro era stato spesa per garantire il miglior rifornimento di campioni possibile. Infatti in un angolo torreggiava una pianta alta diversi metri e ricca di foglie piccole e verdissime. Aveva un odore particolare, molto intenso, e una caratteristica insolita: il tronco era bianco e grigio, con delle... righe orizzontali scure, quasi nere. Non riusciva a rammentarsi il nome, però era certo che trasportare quell'esemplare dal pianeta fin lì doveva essere stata un'impresa. Così come doveva esserlo stata anche portare il terriccio. La serra, contrariamente a quelle usate per la produzione industriale di vegetali per l'alimentazione umana, non era dotata di nemmeno una vasca idroponica. Erano stati mostrati agli studenti dei contenitori con dei vasetti colmi d'acqua, ospitanti ognuno dei piccolissimi esemplari di specie diverse, ma era stato spiegato loro che si trattava di una specie di nursery per neonati. Appena possibile quegli esemplari sarebbero stati trasferiti nel terreno. Anche in questo caso Malik si era scordato il termine giusto per definire quell'operazione.
Dal momento che la spiegazione era terminata con un discreto anticipo, gli studenti erano stati lasciati liberi di gironzolare nella serra a piacimento. Senza nemmeno sapere com'era potuto succedere, Malik si era trovato appartato con Titti, stretto tra le sue morbide braccia e circondato da vegetazione fitta e odorosa. Erano rimasti così, avvinghiati, bocca sulla bocca, persi uno dentro l'altra tanto a lungo che quando Titti si rese conto del silenzio era ormai troppo tardi. Erano rimasti chiusi dentro.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La serra
2.

- Neanche una telecamera – osservò Titti col naso rivolto all'insù.
- È una struttura molto recente... e poi da chi dovrebbero difendersi? Non è mica un banca – ribatté lui, rimpiangendo lo scarso valore attribuito a quegli esemplari di vegetali. Erano molto in basso nella classifica delle cose preziose di tutti quelli che conosceva. Una telecamera avrebbe fatto molto comodo in quel momento, a entrambi.
- Sai – aggiunse subito Malik, cercando di sdrammatizzare – non mi dispiace affatto di essere bloccato qui con te.
Titti lo squadrò in tralice. Con intensità tale che Malik si sentì in dovere di aggiungere delle spiegazioni.
- Non ti affannare – lo interruppe lei quasi subito – è proprio vero che voi uomini non pensate ad altro!
- Non cominciamo con “voi uomini” e “noi donne” - esclamò lui di rimando, ma sorridendo poiché anche lei era divertita e stentava a nasconderlo.
- È la verità – ribatté lei.
- Non mi è sembrato che tu fossi così scontenta di giocare a “voi uomini e noi donne”, qualche tempo fa... ricordi? In casa tua, sul letto... Pyretta era fuori per un esame e allora...
- Ricordo benissimo! - troncò subito Titti stizzita, dandogli la schiena. Malik si ritenne soddisfatto e non insisté.
Il problema però giaceva ancora insoluto: erano chiusi dentro e la prospettiva di passare la notte nella serra era tutt'altro che allegra. Non era certo una località turistica, ma un laboratorio di botanica. Non c'era nulla da mangiare e nemmeno una sedia per sedersi. All'interno della serra era stato ricavato un locale per conservare campioni, vasi, provette, colture, semi e un sacco di altre cose. C'era un terminale che avrebbero potuto usare per inviare una richiesta di aiuto, ma anche quella porta era chiusa. Aveva resistito anche all'uso della forza.
Malik lasciò che la tensione scemasse da sé: seguì Titti in silenzio mentre lei percorreva il perimetro della serra, alla ricerca di chissà cosa. Le pareti erano riflettenti e isolate termicamente, per non lasciare sfuggire il calore. Lo spessore dell'isolante era tale che l'intera struttura era anche acusticamente a prova di bomba.
Si fermò accanto a lei quando ebbero raggiunto il piccolo laboratorio, una piccola scatola dentro quella scatola che era la serra. Scosse la testa non visto quando lei strattonò la maniglia della porta. Anche quella serratura si era spenta per autodifesa, convinta di avere a che fare con qualcuno intenzionato a violarla.
- Ci sarà qualcosa che possiamo fare! - esclamò lei voltandosi.
Poco dopo aver messo piede nella serra per seguire quella lezione, Titti aveva aperto sempre più la cerniera della maglia termica che indossava. Ora mostrava uno spicchio del suo petto polposo, imperlato di minuscole goccioline.
- Possiamo rilassarci per un minuto... essere nevrastenici non ci servirà a niente.
Malik si pentì subito di quello che aveva detto, ma non fece in tempo a porre rimedio alla situazione.
- Non sono nevrastenica! - sbottò lei. Malik fu tentato di dirle che era adorabile anche quando arrabbiata, ma lasciò perdere. Non voleva peggiorare la situazione: era in gabbia con una tigre, e giocare a tirarle la coda non era la cosa più saggia da fare.
Si guardò intorno alla ricerca di un posto dove sedersi: ridendo di se stesso, si disse che mostrarsi calmo era la cosa migliore da fare in presenza di un animale feroce. L'aveva letto in un racconto di avventure scritto secoli prima, quando c'erano ancora animali feroci di cui avere paura.
- Che fai? - gli chiese quando lo vide sedersi vicino al bordo di una grande vasca di terreno scurissimo dove crescevano decine di piantine dalle lunghe foglie di un verde brillante.
- Mi siedo e penso – le rispose sorridendo.
- Vieni con me.
Autoritaria, pensò lui alzandosi senza discutere. La seguì fino alla pianta più grande. Il terreno intorno al suo tronco era compatto e pressato dalle decine di piedi che l'avevano calpestato a lungo. Era una delle poche vasche di terreno dove era consentito entrare senza alcuna preoccupazione: una pianta di alto fusto come quella sarebbe caduta se il terreno intorno alle sue radici fosse stato troppo morbido e cedevole.
- Dai, mettiamoci qui... sotto la betulla. Mi piace di più.
Ecco il nome che mi era sfuggito, si disse Malik. Era certo che a Titti non era sfuggito nulla della lezione. Era molto attenta e riusciva a memorizzare moltissimo. Per lei studiare dopo la lezione era più facile, come un ripasso. A confronto, lui doveva impegnarsi molto di più per ottenere risultati simili.
- Non rischiamo di fare danni? - chiese lui mentre si accomodava con la schiena contro il tronco odoroso.
- Danni a cosa? All'albero? Standoci seduti sotto? Casomai il contrario – lo canzonò lei. Poi si sedette tra le sue gambe e si appoggiò con la schiena al suo petto, usandolo a mo' di cuscino.
- Comoda? - calcò sul tono sarcastico. I suoi fianchi larghi lo costringevano a tenere le gambe divaricate e il peso di lei sul torace, non certo sgradevole, trasformava però in un fastidio il duro tronco dell'albero che premeva contro la sua spina dorsale. Per non essere solleticato in viso dai suoi capelli, doveva tenere la testa inclinata da un lato. Come se lei avesse sentito i suoi pensieri e intendesse fargli un dispetto, inclinò la testa all'indietro per posarla sulla sua spalla e si accomodò meglio, come se fosse intenzionata a trascorrere così un bel po' di tempo.
- Abbastanza... non ti muovere però, altrimenti mi dai fastidio.
- Ah... scusa, eh...
- Tranquillo, così va bene – gli occhi chiusi, un sorriso sottile che le affiorava sul viso paffuto. Malik stette al gioco. Non ho poi molto da scegliere, si disse.
Rimasero in quella posizione a lungo, chiacchierando. Malik, accaldato per via di quel morbido e ardente peso che gli schiacciava il petto, godeva nel sentire la voce di lei vibrargli contro le costole. Era tormentato dal desiderio di accarezzare quel corpo così pieno e soffice, ma non sapendo se lei avesse gradito, si costrinse a tenere le mani ferme e lontane. Tutto sommato, a parte quel focoso pomeriggio, un ricordo ben vivo nella sua mente, se si escludeva qualche bacio appassionato e poche carezze un po' intime, non si erano più toccati. E poi altre parti del suo corpo riassumevano con efficacia la sua felicità per quel contatto fisico. Così tanta felicità che dovette accomodarsi meglio.
- La smetti di muoverti? E togli quella mano da lì! - lo rimproverò subito lei, interrompendo quello che stava dicendo.
- Quale mano? - Malik offrì alla sua vista entrambe le mani nere, mostrandole il palmo più chiaro. Titti infilò la destra fra i loro corpi, con forza. Troppa forza.
- Allora hai qualcosa in tasca che... - strinse con le dita.
- Hey, piano! - protestò Malik contraendosi. Titti, compreso di cosa si trattava, ritirò subito la mano esclamando. Poi cominciò a ridacchiare. Sentiva la schiena di lei sobbalzare, e ciò aggravò la situazione.
- Scusa... - disse, cercando di smettere di ridere – ma non puoi spostarlo? Mi preme in un modo che mi da fastidio... davvero, non sto scherzando...
- Ma dico io – protestò lui mentre cercava di porre rimedio – possibile che tu sia così sensibile? - Titti continuava a ridacchiare sommessamente, la schiena posata sul petto di Malik la tradiva.
- Va bene così? - Malik stava sudando: era più comodo, ma l'inguine gli doleva da tanto che era turgido. Lei aveva all'improvviso smesso di ridacchiare, ma non gli rispose.
- Zitto! - lo rimproverò svelta quando le sollecitò una risposta – non noti niente?
Allarmato, si guardò intorno. No, non notava nulla di diverso rispetto a prima.
- C'è meno luce!
Titti aveva ragione. La luce andava affievolendosi: simulazione crepuscolare, pensò Malik. Il tramonto: inesistente su Apollo. Nel giro di un'ora le accecanti lampade sul soffitto passarono a una tonalità gialla, emettendo una luce meno intensa; poi scemarono gradualmente fino all'arancione, per spegnersi poco dopo. Balzati subito in piedi, si erano presto resi conto che per loro la situazione non cambiava affatto: le porte non si sarebbero aperte, le serrature rimanevano bloccate. Il buio era la conferma, semplice e ineluttabile, che avrebbero trascorso la notte lì. Ormai era chiaro che nessuno sarebbe venuto a farli uscire.
Una volta rassegnata all'idea, anche Titti si calmò. Nella serra il buio serviva al ciclo vitale delle piante, ma essendo un ambiente chiuso, non c'era alcuna ragione di temere alcunché. Ciononostante, con molto piacere di Malik, Titti cercò rifugio tra le sue braccia e alla lunga si addormentarono così, uno avvinghiato all'altra, addentro la vegetazione che cresceva ordinata, le spalle appoggiate a una robusta ma flessibile rete metallica destinata a sostenere un rampicante dall'odore caratteristico.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La serra
3.

Intontito dal sonno, Malik impiegò qualche secondo a capire cosa stava succedendo. Quegli scrolloni non erano parte del sogno agitato che stava facendo: era Titti che lo scuoteva per un braccio tenendogli l'altra mano sulla bocca. Perché mai, si chiese mentre si staccava dal viso la fresca e morbida mano di lei.
- Ssst! - quel breve sibilo che giungeva dal buio, dove avrebbe dovuto trovarsi Titti che si era addormentata tra le sue braccia. Ne sentiva ancora il calore sulla pelle leggermente umida di sudore là dove i loro corpi erano stati in contatto nel sonno. La udì appena, stentando ad afferrare le parole sussurrate debolissimamente.
- Zitto, non ti muovere!
Dapprima non capì. Ma in meno di un secondo si rese conto del perché era necessario stare zitti e non fare rumore. Una luce ondeggiava attraverso la vegetazione, tanto lontana da loro che si vedeva appena. Due luci, due torce elettriche. Era entrato qualcuno, lì nella serra. Qualcuno con cattive intenzioni: entrare di notte, senza accendere l'illuminazione, armati di torce elettriche. Non erano certo botanici, professori o studenti.
Titti bisbigliò qualcosa così piano che lui non riuscì a capire, ma il messaggio gli arrivò ugualmente, preciso e inconfondibile. Si era afferrata a lui con una mano e gli stava stringendo il braccio così fortemente da fargli male. Anche lui aveva paura, ma in quel momento si vide costretto ad accantonare qualsiasi pensiero: Titti aveva bisogno di lui, non poteva venire meno. Per prima cosa le posò una mano sulla sua, nel tentativo di tranquillizzarla. Ma lei non mollò la presa, anzi: si accorse che stava anche tremando.
- Non ci possono vedere – le mentì, parlando con un sussurro – vediamo che cosa fanno...
Non ottenendo risposta, si concentrò sulle luci ondeggianti. Non era affatto vero che non potevano essere scorti. Per un attimo una delle due torce centrò in pieno una sagoma umana, che apparve ben visibile. Se uno dei raggi di luce fosse stato puntato nella loro direzione, li avrebbero visti: non erano poi così lontani. Lui indossava una maglietta blu con le maniche lunghe e pantaloni verde scuro, e forse con la sua pelle nera come il cioccolato se la sarebbe cavata. Lei però indossava la sua maglia termica gialla e aveva la pelle del colore del latte.
In un lasso di tempo che parve durare un'eternità, le due torce elettriche attraversarono la serra proiettando ombre minacciose ovunque, cangianti sagome in movimento. Si stavano dirigendo al laboratorio, se non si ricordava male la posizione in cui si trovavano. Al suo interno la serra era un piccolo labirinto, nonostante la banale pianta rettangolare. Dopo pochi secondi di attesa, entrambe le luci sparirono dentro il piccolo laboratorio.
- Cosa fanno?
- Che ne so io? - la risposta gli sfuggì un po' bruscamente, forse perché era difficile mantenere una corretta intonazione bisbigliando parole al limite dell'udibile.
- E se ci trovano?
- Non ci pensare nemmeno – era un'ipotesi a cui davvero non avrebbe pensato fino all'ultimo momento. Cercò di alzarsi in piedi, ma lei lo trattenne.
- Dove vai? - nascosto nel sussurro, il tono di urgenza era ben percepibile.
- Nascondiamoci meglio...
Era l'unica cosa che il suo cervello spaventato era riuscito a pensare. Faticosamente si sollevarono in piedi entrambi, rimanendo curvi nel buio, tesi e pronti a scattare al minimo allarme. Ma in quale direzione, si chiese Malik. Non si vedeva nulla. Rimpianse di non aver portato con sé il datapad per prendere appunti. Più volte aveva usato il suo grande schermo luminoso per cercare lo stilo rotolato sotto il letto, al buio. Aveva smesso quando si era accorto che il datapad funzionava perfettamente anche usando le dita. Si rese conto che nemmeno Titti, più ligia al dovere e più studiosa di lui, aveva portato il proprio ingombrante datapad per memorizzare appunti.
All'inizio l'idea era di aggirare la rete cui si erano appoggiati per frapporre anche l'edera rampicante tra loro e le luci, ora scomparse dentro il laboratorio che ospitava i campioni. Presto Malik si dovette arrendere di fronte all'evidenza: non aveva la più pallida idea di come fosse l'ambiente intorno a lui e procedendo a tentoni, le braccia tese in avanti, non avrebbe concluso nulla. Prima o poi avrebbe prodotto un rumore, inciampando o incappando in qualcosa di inatteso: un rumore traditore. La serra non era grandissima: se i due malintenzionati li avessero cercati, li avrebbero trovati in breve.
Titti, che gli stava aggrappata quasi stritolandogli un bicipite, improvvisamente lo strattonò con decisione.
- Che fai? - protestò lui seguendola.
- Di qua! - sibilò lei.
- Perché?
- Perché se loro sono entrati, forse noi possiamo uscire. La porta è di qua.
Di fronte a tutta quella sicurezza di sé, Malik non poté far altro che tacere e obbedire. Come previsto, inciampò un paio di volte e furono costretti a cambiare direzione e a fermarsi più volte per non danneggiare eccessivamente i vegetali della serra. Non tutti disponevano di un solido tronco di legno e di fronde flessibili e robuste. Anzi, ne aveva visti parecchi alti pochi centimetri e composti di steli teneri e delicati.
Il tragitto, tortuoso e accidentato, si abbreviò di colpo quando si resero conto di essere finiti su uno dei sentieri fra le varie vasche di terreno, installate al livello del pavimento per essere maggiormente accessibili. Gli venne in mente che il docente aveva detto come in realtà la serra fosse alta il doppio: nella metà inferiore c'erano i sistemi idrici e i montanti che sorreggevano il peso delle vasche: tonnellate di terreno arrivato via shuttle dal pianeta. Una follia, dal punto di vista economico.
Distratto, si rese conto solo quando le torce ripresero a balenare nel buio che si trovavano esposti. Erano passati davanti alla bussola senza vederla. Ebbe un tuffo al cuore e solo il dolore al braccio per la stretta di Titti gli impedì di rimanere paralizzato lì, inchiodato al pavimento dalla paura. Saltarono entrambi all'indietro e si buttarono freneticamente contro la porta. Titti dette uno spintone alla maniglia e si tuffò dentro. Con uno scatto che sembrò uno sparo in tutto quel silenzio, la serratura alle loro spalle scattò e l'altra porta, quella che dava sull'esterno, si sbloccò. Si gettarono fuori uno dopo l'altro.
Abbagliati dalla pur fioca luce che simulava la notte di Apollo, rimasero lì impalati, felici, col cuore che martellava nel petto. Poi Malik ebbe un lampo di coscienza improvvisa: la loro uscita precipitosa aveva fatto più o meno lo stesso baccano di un convoglio del Tubo che entra in stazione. Con un'intuizione di cui lui stesso si stupì, aprì la porta che aveva alle spalle. La bussola, identica a quelle delle banche, obbediente fece scattare la serratura della porta interna, bloccando dentro la serra gli intrusi.
- Non escono più! - esclamò vittorioso. Il meccanismo era elettromeccanico, non elettronico: nemmeno il più abile scassinatore di serrature avrebbe potuto fare qualcosa, non senza attrezzi adatti a segare il metallo.
- Sei pazzo? Andiamo via! - esclamò Titti sottovoce, anche se non c'era più alcuna necessità. Qualcosa batté contro la porta interna della bussola. I vetri erano stati oscurati in modo che dalla bussola non si potesse osservare l'interno della serra.
- Se questa si chiude, quelli escono – le fece notare Malik. Titti si guardò intorno rabbiosa. Si meravigliò: l'aveva già vista arrabbiata. Con qualche amica che le aveva fatto una scortesia, per le normali difficoltà di convivere con Pyretta, con qualche professore o con se stessa per problemi con lo studio. Ma mai così: la maglia termica scollata, le maniche risvoltate fin sopra i gomiti, la pelle candida, le fattezze tonde, morbide e abbondanti... tutto faceva di lei qualcosa di simile a una bella bambolina bionda. La cui furia non era da sottovalutare, però. La vide correre via velocemente nonostante la goffaggine dovuta alla sua mole, un'espressione furiosa sul viso che credeva capace solo di tenere smorfie. Sparì dietro l'angolo: Malik non sapeva cosa Titti stesse facendo, ma quando la vide tornare, sempre correndo, tenendo tra le mani un cartoccio termico usa e getta di un kebap take away, non dovette sforzarsi a immaginarlo. Con furia piegò in due la confezione unta per aumentarne lo spessore. Messo quell'ostacolo contro lo stipite, la porta esterna della bussola non si chiudeva, bloccando quella interna. Da lontano la porta sembrava chiusa e non destava sospetti.
Si allontanarono in fretta, rallentando il passo solo quando furono in vista degli alloggi per gli studenti, ben all'interno della struttura universitaria. La guardò: scarmigliata, la bocca aperta per la corsa, ansimava ed era lucida di sudore. Si appoggiò con le mani sulle ginocchia, chinandosi in avanti. Non si era nemmeno chiusa la cerniera della maglia termica: si poteva vedere l'intimo bianco e perfino un piccolo scorcio del pallidissimo seno.
- Bella corsa – fu la prima cosa che gli venne in mente di dirle. Le avrebbe fatto una statua: aveva appena dimostrato di essere più sveglia di lui. In modo determinante.
- Uffa – rispose lei raddrizzandosi – che paura, però.
- Come sei bella – si sentì un'idiota, ma doveva dirlo. Lei gli rispose con un sorrisetto dei suoi: rapido e fugace, ma sincero.
- E adesso?
Malik si strinse nelle spalle. Per lui era un passo obbligato.
- Non saprei... bisogna avvisare prima la polizia o prima il professore? - Titti gli sorrise radiosa.
- Ti amo anch'io – Malik udendo quelle parole si sentì leggero come una piuma.

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