Nothern Lights

di VampiraEstreghetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrivo a Forks ***
Capitolo 2: *** Nahuel ***
Capitolo 3: *** Amore ***



Capitolo 1
*** Arrivo a Forks ***


CAPITOLO 1
Jennifer
Ero sull'aereo per Forks, la cittadina dove vivevano i miei genitori da giovani. Ora che erano morti in quell'incidente la casa spettava a me. Prima abitavo a New York, la più bella metropoli del mondo secondo me, ma amavo anche la tranquillità di Forks. C'ero stata poche volte da piccola e la ricordavo vagamente come una piccola cittadina piovosa dove gli abitanti non si facevano mai i fatti propri. Speravo di trovare degli amici sinceri, ma maldestra com'ero, era probabile che così non fosse. Che poi, pensai per consolarmi, non ero così maldestra! Certe volte mi capitava di sbattere o inciampare, ma solo quando ero distratta. Persa nei miei pensieri non mi ero accorta che il volo era quasi terminato, infatti la hostess ci avvisò di allacciare le cinture per l'atterraggio. L'atterragio all'areoporto di Seattle non fu brusco. Aspettai al Check-in le valigie e poi uscii all'aria aperta. Erano gli inizi di settembre e l'aria odorava di foglie secce e rugiada. Presi un taxi che mi portò fino alla fermata degli autobus, dove ne presi uno che mi portava fino a Forks. Mi rammaricai di non avere un'auto. Sull'autobus c'eravamo solo io e un ragazzo. Era il più bel ragazzo che io avessi mai visto: era alto, con la pelle di una tonalità scura, però era pallido. Gli occhi erano un colore molto particolare, una specie di color tek. Il suo viso aveva un nonsoche di esotico. Lui mi guardò e io arrossii violentemente al pensiero di essere stata scoperta a fissarlo. Distolsi subito lo sguardo e mi sedetti in un posto dietro di lui, abbastanza lontano da non essere notata. Per tutte le tre ore del viaggio rimasi a fissare la sua schiena, attratta da lui. Il ragazzo non scese da nessuna parte, probabilmente anche lui viveva a Forks. Non si mosse per tutto il viaggio, al contrario di me che chiamai più di una volta tutte le mie amiche di New York. Solo una volta rispose al telefono, parlando con un certo "Carlisle". Arrivammo a Forks e io fui costretta - anche se con un certo piacere - a camminare dietro di lui per scendere le scalette dell'autobus. La sua camminata sembrava quella di una pantera, data l'eleganza del passo. A Forks la giornata era nuvolosa naturalmente, e c'era l'odore della pioggia. Vidi il ragazzo abbracciare un altro ragazzo di cui scorsi solo il colore dei capelli: color del bronzo. Pensai che quel ragazzo fosse "Carlisle", la persona con cui il brunetto - così l'avevo soprannominato - parlava sull'autobus. Insieme a Carlisle c'erano anche un ragazzo biondo che all'incirca aveva tra i venti e trent'anni ed era anche lui molto bello e attraente. Il brunetto salì in macchina e insieme a Carlisle e al biondo e si diressero in una viuzza fuori città. Io mi incamminai verso casa mia, una casetta piccola ma accogliente. La cucina e il salotto erano collegati da una porta scorrevole. La cucina era grande quel tanto che bastava a contenere un piccolo tavolo con qualche sedia e un frigorifero con tutti i mobili per cucinare. Il salotto aveva un divano, all'apparenza molto comodo, una televisione e una piccola libreria. Salii le scale che portavano al piano superiore ed entrai nella mia stanza. C'era un letto a una piazza, una scrivania e un armadio. Foruna che il computer l'avevo portato. Il bagno era piccolissimo: grande abbastanza da contenere i sanitari e un lavandino con sopra un armadietto e uno specchietto. Sospirai e iniziai a disfare le valigie. Dopo aver sisemato tutti i vestiti, rivolsi i miei pensieri al problema più grande: una macchina. Dove l'avrei potuta comprare? E, soprattutto, mi sarebbero bastati i soldi? Con un altro sospiro, infilai alcune banconote nel borsellino e mi diressi per la strada, cercando qualcuno che mi potesse dire dove comprare una macchina. Dopo un po' incontrai un ragazzone con una ragazza bellissima. Il ragazzone era a maniche corte e aveva una muscolatura da fare invidia a tutti. La ragazza era semplicemente stupenda: aveva boccoli color del bronzo - lo stesso colore di Carlisle, ora che lo notavo - e occhi color cioccolato. Era alta, magra, con il fisico di una top-model. «Scusate...», dissi, quasi sussurrando. I due si fermarono e il ragazzone mi chiese: «Si?»
«Sapete dove posso comprare un'auto che non costi molto?»
«Bè, se vuoi spendere poco, io diciamo che me la cavo con le macchine, e ne ho una nel garage di casa mia...»
«No, dai, veramente???». Non seppi tenere a freno l'entusiasmo. Chissà se era il destino!!
«Certo! Vabbè, non è nuovissima, ma se vuoi spendere poco le uniche sono...»
«Si, si certo! E quando posso prenderla e pagarla?»
«Anche subito, se vuoi!». Il ragazzone sorrise e i denti bianchi contrastarono con la pelle scura. Anche io sorrisi e risposi: «Certo! Ehm... come ci andiamo?»
«Veramente io ho una moto, ma in tre...», aggiunse guardando la ragazza. 
«Jake lo sai che io sono troppo giovane per guidare! E poi dov'è la macchina, qui?». La ragazza aveva una voce bellissima, melodiosa.
«Bè, Nessie, puoi andare a piedi. Casa tua non è così lontana!», aggiunse Jake. Nessie sospirò e gli poggiò una mano sul viso, in un chiaro segno di affetto. Forse erano fidanzati, chissà! «Va bene! Nessie tu vai a casa tua e io accompagno la signorina...». Jake si interruppe perchè non sapeva il mio nome. «Jennifer, ma chiamatemi Jenny»
«Ok. Allora io accompagno Jennifer a La Push e poi ti raggiungo. Ti amo...», disse infine a Nessie. Lei sorrise e gli poggiò nuovamente la mano sul viso, accarezzandolo. Io distolsi lo sguardo, lasciandogli un po' di intimità. Jake mi disse «Sali, dai!». Guardai il punto che mi stava indicando e vidi una moto enorme, del tipo che usano i motocrossisti - non me la cavavo molto con le moto e la identificai solo perchè ne avevo viste altre simili. Aggrottai le sopracciglia e Jake disse, ridendo: «Dai!! Sono bravo a guidarla!». Io gli feci un sorriso forzato e salii dietro di lui. Jake partì a tutta velocità e io provai l'ebbrezza dell'alta velocità in moto. Il vento mi sferzava i capelli e a ogni curva avevo la terribile sensazione di cadere. Non ero abbracciata a Jake perchè, oltre al fatto che ci eravamo appena conosciuti, era fidanzato e la gente avrebbe potuto fraintendere. Dopo un po' Jake parlò, con la voce soffocata dal vento: «Jennifer, come fai di cognome?». Io, cercando di non perdere l'equilibrio, risposi: «Hustie. Perchè?»
«Sei la figlia di Harry e Jane Hustie?», domandò lui, ignorando la mia domanda.
«Si perchè?», domandai nuovamente.
«No, niente. E' tanto che non li vedo qui a Forks». Io spalancai gli occhi. Allora non sapeva.
«Non... non lo sai?». Avevo una voce allarmata, troppo stridula.
«Che cosa devo sapere?»
«Jane e Harry... i miei genitori... sono morti in un incidente aereo...». La voce mi si ruppe alla fine. Jake non fece commenti fino a che parcheggio davanti a una casetta con un enorme garage. «Mi dispiace per Jane e Harry. Mio padre li conosceva bene. Quando tu ancora non eri nata loro e Charlie Swan andavano spesso a pesca insieme». Sembrava che gli dispiacesse veramente. Poi una rivelazione mi illuminò. «Tuo padre è Billy Black?»
«Si, perchè?»
«Allora tu sei Jacob Black! Ecco perchè mi sembravi familiare! Ti ricordi quando io e te giocavamo nel fango? Tu eri di poco più grande di me e poi certe volte si univa a noi anche Bella Swan! Ricordi?». Jacob si sbattè una mano sulla fronte. «Hai ragione! Jenny, la piccola gatta ribelle! E Bella che cercava di non farci litigare perchè io ti distruggevo i castelli di fango e tu me lo buttavi addosso!». Scoppiai a ridere e le nostre risate attirarono Billy Black, che era in compagnia di Charlie Swan.
«Che succede Jake?» disse Billy guardandolo. Poi guardò me e il viso gli si illuminò.
«Jennifer Hustie?», domandò sbalordito. Io sorrisi e annuii. 
«Ciao Jenny!! E' un sacco che non vieni! Charlie ricordi?»
«Certo che mi ricordo! La piccola gatta ribelle! Adesso quanti anni hai, Jenny?»
«Diciassette»
«Quattro in meno di Jacob e la stessa età di mia nipote Nessie». Io spalancai la bocca.
«Nessie è sua nipote? La figlia di Bella?». Charlie annuì e aggiunse: «Perchè, l'hai incontrata?».
«Si, prima di venire qua era con Jacob. Poi siccome avevo bisogno di un'auto, Jake mi ha accompagnata e Nessie è tornata a casa sua». Non ci potevo credere che Bella avesse una figlia diciassettenne. E quanti anni aveva quando era nata Nessie? Feci rapidamente il conto. Dodici? No, non poteva essere. Quando giocavamo io avevo cinque anni, Jake nove e Bella dodici. No, non poteva essere, i conti non quadravano. Bella non aveva neanche le mestruazioni a dodici anni. Jacob notò la mia faccia e mi chiese: «Cosa pensi?». Io lo guardai e mi balenò un'idea in testa: «Che vorrei andare a trovare Bella, ma fra qualche giorno». Jake annuì e disse:«Vieni che ti faccio vedere la macchina!». Mi accompagnò verso il garage, dove erano contenuti numerosissimi attrezzi da meccanico. Vidi l'auto: una... Golf Volkswagen stando a quello che c'era scritto. Era di un blu cobalto sbiadito, ma a me andava benissimo. «Grazie! Grazie Jake è veramente stupenda! Quanto ti devo?», esclamai contenta.
«Niente! Dai, fai conto che è un regalo di benvenuto da parte mia!». Ma io mi opposi.
«No, Jake. Tu l'avevi presa per te e io ora te la pago!»
«Ma quale per me! Questa era da rottamare e io l'ho salvata ma non sapevo che farmene! Dai è tua senza soldi!!». Io sbuffai e provai in tutti i modi a convincerlo, ma non ci fu verso. Tornai a casa a bordo della mia "nuova" macchina. Era ormai pomeriggio inoltrato, così mi diressi al supermercato e feci la spesa per un paio di giorni. Ritornata a casa preparai una semplice bistecca e preparai lo zaino per il giorno dopo. La notte passò in fretta e non sognai niente di particolare, a parte quel ragazzo, il brunetto. La mattina, dopo una breve colazione, presi l'auto e mi diressi verso la scuola e là, all'entrata, incontrai Nessie e il brunetto. Alla loro vista spalancai gli occhi.

CAPITOLO 1
Jennifer
Ero sull'aereo per Forks, la cittadina dove vivevano i miei genitori da giovani. Ora che erano morti in quell'incidente la casa spettava a me. Prima abitavo a New York, la più bella metropoli del mondo secondo me, ma amavo anche la tranquillità di Forks. C'ero stata poche volte da piccola e la ricordavo vagamente come una piccola cittadina piovosa dove gli abitanti non si facevano mai i fatti propri. Speravo di trovare degli amici sinceri, ma maldestra com'ero, era probabile che così non fosse. Che poi, pensai per consolarmi, non ero così maldestra! Certe volte mi capitava di sbattere o inciampare, ma solo quando ero distratta. Persa nei miei pensieri non mi ero accorta che il volo era quasi terminato, infatti la hostess ci avvisò di allacciare le cinture per l'atterraggio. L'atterragio all'areoporto di Seattle non fu brusco. Aspettai al Check-in le valigie e poi uscii all'aria aperta. Erano gli inizi di settembre e l'aria odorava di foglie secce e rugiada. Presi un taxi che mi portò fino alla fermata degli autobus, dove ne presi uno che mi portava fino a Forks. Mi rammaricai di non avere un'auto. Sull'autobus c'eravamo solo io e un ragazzo. Era il più bel ragazzo che io avessi mai visto: era alto, con la pelle di una tonalità scura, però era pallido. Gli occhi erano un colore molto particolare, una specie di color tek. Il suo viso aveva un nonsoche di esotico. Lui mi guardò e io arrossii violentemente al pensiero di essere stata scoperta a fissarlo. Distolsi subito lo sguardo e mi sedetti in un posto dietro di lui, abbastanza lontano da non essere notata. Per tutte le tre ore del viaggio rimasi a fissare la sua schiena, attratta da lui. Il ragazzo non scese da nessuna parte, probabilmente anche lui viveva a Forks. Non si mosse per tutto il viaggio, al contrario di me che chiamai più di una volta tutte le mie amiche di New York. Solo una volta rispose al telefono, parlando con un certo "Carlisle". Arrivammo a Forks e io fui costretta - anche se con un certo piacere - a camminare dietro di lui per scendere le scalette dell'autobus. La sua camminata sembrava quella di una pantera, data l'eleganza del passo. A Forks la giornata era nuvolosa naturalmente, e c'era l'odore della pioggia. Vidi il ragazzo abbracciare un altro ragazzo di cui scorsi solo il colore dei capelli: color del bronzo. Pensai che quel ragazzo fosse "Carlisle", la persona con cui il brunetto - così l'avevo soprannominato - parlava sull'autobus. Insieme a Carlisle c'erano anche un ragazzo biondo che all'incirca aveva tra i venti e trent'anni ed era anche lui molto bello e attraente. Il brunetto salì in macchina e insieme a Carlisle e al biondo e si diressero in una viuzza fuori città. Io mi incamminai verso casa mia, una casetta piccola ma accogliente. La cucina e il salotto erano collegati da una porta scorrevole. La cucina era grande quel tanto che bastava a contenere un piccolo tavolo con qualche sedia e un frigorifero con tutti i mobili per cucinare. Il salotto aveva un divano, all'apparenza molto comodo, una televisione e una piccola libreria. Salii le scale che portavano al piano superiore ed entrai nella mia stanza. C'era un letto a una piazza, una scrivania e un armadio. Foruna che il computer l'avevo portato. Il bagno era piccolissimo: grande abbastanza da contenere i sanitari e un lavandino con sopra un armadietto e uno specchietto. Sospirai e iniziai a disfare le valigie. Dopo aver sisemato tutti i vestiti, rivolsi i miei pensieri al problema più grande: una macchina. Dove l'avrei potuta comprare? E, soprattutto, mi sarebbero bastati i soldi? Con un altro sospiro, infilai alcune banconote nel borsellino e mi diressi per la strada, cercando qualcuno che mi potesse dire dove comprare una macchina. Dopo un po' incontrai un ragazzone con una ragazza bellissima. Il ragazzone era a maniche corte e aveva una muscolatura da fare invidia a tutti. La ragazza era semplicemente stupenda: aveva boccoli color del bronzo - lo stesso colore di Carlisle, ora che lo notavo - e occhi color cioccolato. Era alta, magra, con il fisico di una top-model. «Scusate...», dissi, quasi sussurrando.I due si fermarono e il ragazzone mi chiese:

«Si?»

«Sapete dove posso comprare un'auto che non costi molto?»

«Bè, se vuoi spendere poco, io diciamo che me la cavo con le macchine, e ne ho una nel garage di casa mia...»

«No, dai, veramente???». Non seppi tenere a freno l'entusiasmo. Chissà se era il destino!!

«Certo! Vabbè, non è nuovissima, ma se vuoi spendere poco le uniche sono...»

«Si, si certo! E quando posso prenderla e pagarla?»«Anche subito, se vuoi!». Il ragazzone sorrise e i denti bianchi contrastarono con la pelle scura. Anche io sorrisi e risposi: «Certo! Ehm... come ci andiamo?»

«Veramente io ho una moto, ma in tre...», aggiunse guardando la ragazza. «Jake lo sai che io sono troppo giovane per guidare! E poi dov'è la macchina, qui?». La ragazza aveva una voce bellissima, melodiosa.

«Bè, Nessie, puoi andare a piedi. Casa tua non è così lontana!», aggiunse Jake. Nessie sospirò e gli poggiò una mano sul viso, in un chiaro segno di affetto. Forse erano fidanzati, chissà! «Va bene! Nessie tu vai a casa tua e io accompagno la signorina...». Jake si interruppe perchè non sapeva il mio nome. «Jennifer, ma chiamatemi Jenny»

«Ok. Allora io accompagno Jennifer a La Push e poi ti raggiungo. Ti amo...», disse infine a Nessie. Lei sorrise e gli poggiò nuovamente la mano sul viso, accarezzandolo. Io distolsi lo sguardo, lasciandogli un po' di intimità. Jake mi disse «Sali, dai!». Guardai il punto che mi stava indicando e vidi una moto enorme, del tipo che usano i motocrossisti - non me la cavavo molto con le moto e la identificai solo perchè ne avevo viste altre simili. Aggrottai le sopracciglia e Jake disse, ridendo: «Dai!! Sono bravo a guidarla!». Io gli feci un sorriso forzato e salii dietro di lui. Jake partì a tutta velocità e io provai l'ebbrezza dell'alta velocità in moto. Il vento mi sferzava i capelli e a ogni curva avevo la terribile sensazione di cadere. Non ero abbracciata a Jake perchè, oltre al fatto che ci eravamo appena conosciuti, era fidanzato e la gente avrebbe potuto fraintendere. Dopo un po' Jake parlò, con la voce soffocata dal vento: «Jennifer, come fai di cognome?».

Io, cercando di non perdere l'equilibrio, risposi: «Hustie. Perchè?»

«Sei la figlia di Harry e Jane Hustie?», domandò lui, ignorando la mia domanda.

«Si perchè?», domandai nuovamente.

«No, niente. E' tanto che non li vedo qui a Forks». Io spalancai gli occhi. Allora non sapeva.

«Non... non lo sai?». Avevo una voce allarmata, troppo stridula.

«Che cosa devo sapere?»«Jane e Harry... i miei genitori... sono morti in un incidente aereo...». La voce mi si ruppe alla fine. Jake non fece commenti fino a che parcheggio davanti a una casetta con un enorme garage. «Mi dispiace per Jane e Harry. Mio padre li conosceva bene. Quando tu ancora non eri nata loro e Charlie Swan andavano spesso a pesca insieme». Sembrava che gli dispiacesse veramente. Poi una rivelazione mi illuminò. «Tuo padre è Billy Black?»

«Si, perchè?»

«Allora tu sei Jacob Black! Ecco perchè mi sembravi familiare! Ti ricordi quando io e te giocavamo nel fango? Tu eri di poco più grande di me e poi certe volte si univa a noi anche Bella Swan! Ricordi?». Jacob si sbattè una mano sulla fronte. «Hai ragione! Jenny, la piccola gatta ribelle! E Bella che cercava di non farci litigare perchè io ti distruggevo i castelli di fango e tu me lo buttavi addosso!». Scoppiai a ridere e le nostre risate attirarono Billy Black, che era in compagnia di Charlie Swan.«Che succede Jake?» disse Billy guardandolo. Poi guardò me e il viso gli si illuminò.

«Jennifer Hustie?», domandò sbalordito. Io sorrisi e annuii. «Ciao Jenny!! E' un sacco che non vieni! Charlie ricordi?»

«Certo che mi ricordo! La piccola gatta ribelle! Adesso quanti anni hai, Jenny?»

«Diciassette»

«Quattro in meno di Jacob e la stessa età di mia nipote Nessie». Io spalancai la bocca.«Nessie è sua nipote? La figlia di Bella?». Charlie annuì e aggiunse: «Perchè, l'hai incontrata?».

«Si, prima di venire qua era con Jacob. Poi siccome avevo bisogno di un'auto, Jake mi ha accompagnata e Nessie è tornata a casa sua». Non ci potevo credere che Bella avesse una figlia diciassettenne. E quanti anni aveva quando era nata Nessie? Feci rapidamente il conto. Dodici? No, non poteva essere. Quando giocavamo io avevo cinque anni, Jake nove e Bella dodici. No, non poteva essere, i conti non quadravano. Bella non aveva neanche le mestruazioni a dodici anni. Jacob notò la mia faccia e mi chiese: «Cosa pensi?». Io lo guardai e mi balenò un'idea in testa: «Che vorrei andare a trovare Bella, ma fra qualche giorno». Jake annuì e disse:«Vieni che ti faccio vedere la macchina!». Mi accompagnò verso il garage, dove erano contenuti numerosissimi attrezzi da meccanico. Vidi l'auto: una... Golf Volkswagen stando a quello che c'era scritto. Era di un blu cobalto sbiadito, ma a me andava benissimo. «Grazie! Grazie Jake è veramente stupenda! Quanto ti devo?», esclamai contenta.

«Niente! Dai, fai conto che è un regalo di benvenuto da parte mia!». Ma io mi opposi.

«No, Jake. Tu l'avevi presa per te e io ora te la pago!»

«Ma quale per me! Questa era da rottamare e io l'ho salvata ma non sapevo che farmene! Dai è tua senza soldi!!». Io sbuffai e provai in tutti i modi a convincerlo, ma non ci fu verso. Tornai a casa a bordo della mia "nuova" macchina. Era ormai pomeriggio inoltrato, così mi diressi al supermercato e feci la spesa per un paio di giorni. Ritornata a casa preparai una semplice bistecca e preparai lo zaino per il giorno dopo. La notte passò in fretta e non sognai niente di particolare, a parte quel ragazzo, il brunetto. La mattina, dopo una breve colazione, presi l'auto e mi diressi verso la scuola e là, all'entrata, incontrai Nessie e il brunetto. Alla loro vista spalancai gli occhi.

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Capitolo 2
*** Nahuel ***


CAPITOLO 2
Nessie mi notò e mi salutò, facendomi segno di avvicinarmi. Anche il brunetto mi guardava, ma non fece niente che potesse sembrare un saluto. MI avvicinai a loro e Nessie disse: «Ciao Jennifer! Ieri sera ho parlato con Jake e mi ha detto che voi due e mia madre eravate amici da piccoli!». 
«Si, me lo ricordavo a malapena. Ma comunque, tu saresti?», dissi infine rivolgendomi al brunetto.
«Mi chiamo Nahuel». La sua voce era stupenda, sembrava un canto di usignolo.
«Ti ricordi che ieri ci siamo incontrati sull'autobus?», chiesi, sicura che avrebbe negato. Mi faceva una certa antipatia.
«Si mi ricordo. E mi sei subito stata simpatica! Sembri una... gatta ribelle. Si, una gatta ribelle». Alle sue parole spalancai la bocca. E a me che sembrava che fosse antipatico! D'un tratto Nessie disse: «Nahuel dobbiamo andare!! Ciao Jennifer!»
«Ciao Jennifer!». Io li salutai con un cenno della mano. Un po' prima del suono della campanella, mi diressi verso la segreteria a consegnare i miei documenti.
«Lei è la signorina Jennifer Hustie?». Io annuii e la rotonda segretaria mi sorrise affabilmente, dicendo: «Benvenuta a scuola! Il suo primo corso è trigonometria»
«Grazie!». MI diressi verso l'aula di trigonometria, una materia che odiavo con tutto il mio cuore. In classe c'erano già tutti. Il professor Neil vide i documenti e disse: «Benvenuta signorina Hustie! Si sieda vicino a Nahuel Cullen». Appena sentii il nome Nahuel seguii lo sguardo del professore e vidi il bellissimo brunetto, Nahuel, con cui avevo parlato prima. Lui mi sorrise e io mi avvicinai.
«Ciao Jenny! Ci rivediamo!», sussurrò, per non farsi sentire dal prof. Visto da così vicino era ancora più bello. Non l'avevo notato, ma aveva gli occhi a mandorla con ciglia lunghissime. Aveva anche un profumo meraviglioso di... sembrava odore di rugiada e biancospino. Un odore dolcissimo. Frastornata da quell'odore, balbettai: «Si... Ciao...». Lui sorrise, un sorriso stupendo, luminoso. A suo confronto la classe era buia. Due ore dopo suonò la campanella e insieme a Nahuel, andammo alla mensa. Mi riempii la vaschetta e chiesi: «Nahuel, tu e Nessie dove vi sedete?».
«Là», disse indicando un tavolo, dove distinguevo i capelli di Nessie, «Oggi c'è anche la sua famiglia». Nella mente mi balenò un'idea.
«C'è anche Bella, sua madre?». Lui annuì e io sorrisi. La dovevo vedere. Senza aspettarlo mi diressi verso il tavolo, ma là mi bloccai. C'era Carlisle, il rosso, che doveva essere il padre di Nessie. Nahuel era bello, si, ma Carlisle era un dio. I lineamenti perfetti, i muscoli guizzanti sotto il dolcevita attillato che glieli metteva in risalto. Lui mi vide e sorrise. Io distolsi lo sguardo e guardai la modella bruna seduta al suo fianco. Appena la vidi spalancai la bocca. Era Bella. Ma era molto più bella di dodici anni fa. Aveva il corpo di una pantera, il viso stupefacente. Gli occhi color castano dorato, i capelli scuri, mossi, fino alla vita. Il viso pallido, ma con una bellezza sbalorditiva. Anche lei aprì la bocca alla mia vista, e disse: «Jennifer? Jennifer Hustie?». La sua voce sembrava quella di un soprano, tanto era melodiosa. Io mi vergognavo un po' a parlare, al suo confronto la mia voce era stridula e insignificante. «Si. Tu sei... Bella?». Lei sorrise - un sorriso da togliere il fiato e da fare invidia anche ad Afrodite - e disse: «E' un sacco che non ci vediamo! Ricordi quando io, tu e Jake facevamo i castelli nel fango?»
«Si, io ero piccolissima, avevo appena cinque anni!». Lei rise - un coro di campanellini - e guardò Nahuel.
«Jenny, lui è mio marito, Edward». Allora avevo frainteso tutto! Lui non era Carlisle. Probabilmente Carlisle era il biondo che avevo visto con Nahuel il giorno precedente.
«Piacere, Jennifer!», dissi, affabile. Lui sorrise - un sorriso sghembo, stupefacente, da togliere il fiato - e disse: «Piacere, Edward». La sua voce sembrava uscire dai quei film dove tutti avevano una voce perfetta. Lui ridacchiò e io non capii il motivo. Poi mi venne in mente il motivo più importante per il quale ero qui. «Bella, tu hai avuto una figlia!». Il sorriso di Bella si congelò, sospirò e poi rispose: «Si, nostra figlia. Ma l'abbiamo adottata». No, non poteva essere. La somiglianza era troppa con Edward e aveva gli stessi occhi di Bella, anche se ora portava le lenti a contatto. Aveva lo stesso, identico colore di capelli di Edward. Quante erano le persone che potevano vantare un colore così stupefacente? Quasi nessuna. E il viso, esattamente la stessa forma di quello di Edward. Aveva anche i ricci di Charlie Swan. Ma, allora, perchè mi mentiva? Cosa c'era sotto? Edward notò la mia faccia e chiese: «Non per essere indiscreto, ma cosa pensi?». Io mi riscossi dai miei pensieri e cercai un alibi plausibile.
«Alla vostra bellezza. E' impressionante. E tu, Bella, da piccola, non ti offendere, ma non eri una bellezza. Ora se cambiata moltissimo!». Bella sorrise al complimento, ma a uno sguardo di Edward la sua espressione ritornò seria. Suonò la campanella e io salutai. La prossima lezione era inglese ed l'avevo insieme a Nahuel. Ci sedemmo nei posti in fondo.
«Sei fidanzata?», mi chiese a bruciapelo, sussurrando.
«No, perchè?». Lui esitò. «Così, tanto per sapere. Sai, tu mi fai molta più simpatia di tutte le ragazze della scuola. Ci potremmo frequentare». Io trattenni il fiato, non tanto rumorosamente da farmi sentire, però sentii Nahuel ridacchiare. Oddio, mi stava chiedendo di frequentarci. Era... era incredibile. Acconsentii subito e programmammo un uscita per quella sera.
«Dove andiamo?» sussurrai. Lui sorrise e disse: «Una sorpresa!». Anche io sorrisi, ma poi sui costretta ad ascoltare la lezione, perchè il professor Jhon passava tra i banchi.
«Ehy, Nahuel, sai se qui a Forks c'è una scuola di ginnastica ritmica?». Ero molto appassionata di ginnastica ritmica, a New York andavo in una palestra. Ero anche abbastanza portata, perchè ero snodata di schiena ed ero anche aperta di gambe.
«No mi dispiace. QUa non ci sono scuole di ballo. Perchè, ti piace la ginnastica ritmica?». Io annuii e mi dispiacque, e non poco, che non c'era nessuna palestra. Peccato, mi dissi, ma dovrai fartene una ragione. Casomai ti allenerai a casa, Jenny. Suonò la campanella della fine delle lezioni, salutai Nahuel, Nessie e i suoi genitori e mi diressi a casa. Vidi l'auto di Edward - una Volvo C30 grigio metallizzato - e spalancai la bocca: era stupenda. Appena arrivai a casa, preparai un piatto di spaghetti col sugo, all'italiana. Poi, dopo aver lavato i piatti, indossai una tuta comoda e iniziai il riscaldamento. Mi sedetti per terra con le gambe aperte e mi sdraiai con il petto per terra. Poi feci una spaccata sagittale con il piede alla testa. Dopo mi alzai, feci una veloce rovesciata, prima in avanti e poi indietro, e poi presi il piede e me lo portai alla testa. Lentamente lo raddrizai e rimasi ferma in quella posizione. Poi mi sedetti con le ginocchia per terra e feci un ponte con le punte. D'un tratto mi accorsi che non ero sola. Nahuel era davanti alla porta con la bocca spalancata. Io sorrisi e dissi: «Scusami se sono in queste condizioni! Mi stavo allenando». Ero molto imbarazzata.
«No, scusa tu! Continua!». Lui era sbalordito. Arrossii imbarazzata e dissi: «Se vuoi ti faccio vedere un balletto con il nastro!». Lui annuì e io presi il nastro, attaccai la musica e iniziai a ballare. Durante il balletto mi sentivo me stessa, ero perfetta. La musica mi scorreva nelle vene, insieme al sangue. Appena la musica finì, sentii gli applausi di Nahuel. Gli sorrisi e lui disse: «Sei... sei bravissima! Complimenti!». Io sorrisi, imbarazzata, e borbottai un "Grazie" appena accennato.
«Dai vieni! Ti porto in un posto bellissimo!»
«Un secondo! Mi lasci il tempo di una doccia?». Lui arrossì e disse: «Oh, scusa...».
Io salii le scale di corsa e mi fiondai nel bagno. Dovevo essere velocissima. In un attimo mi asciugai i capelli e mi vestii. Indossai un paio di jeans e una maglia a maniche lunghe con scollo a V. Mi truccai e quella era una dote mia naturale. Avevo l'abilità di sembrare un'altra persona quando mi truccavo. Con fard, cipria e pennello sapevo fare miracoli, però quella sera non volevo sembrare un'altra. Scesi e vidi Nahuel seduto sul divano. Gli sorrisi e mi accompagnò nella sua auto. Spalancai gli occhi apenna la vidi. Era una bellissima Porsche giallo canarino, che sembrava brillare anche se non c'era sole. Con la macchina fece qualche chilometro, fino a un cancelletto di legno. Poi scendemmo.
«Nahuel, non dirmi che dobbiamo andare a piedi?!» esclamai terrorizzata.
«Non ti preoccupare, se cadi ci sono io!», disse con dolcezza. Quelle parole mi fecero un effetto strano. Mi sentii molto legata a lui, che infondeva un senso di protezione. Iniziammo a camminare tra sentieri e sentierini, alcuni ripidi, altri più scorrevoli. Per fortuna non inciampai mai. Dopo un po' Nahuel si fermò e disse: «Chiudi gli occhi...», poggiandomi le sue mani sul viso. Le sue mani erano fredde, nonostante avessimo fatto una sfacchinata. Avenzamo piano piano, io con gli occhi chiusi e lui che mi guidava. Dopo un po' tolse le mani dal mio viso e quello che vidi fu uno spettacolo. Era una radura, perfettamente circolare, con moltissimi fiori di campo colorati. Era stupenda, anche senza sole. Guardi Nahuel, estasiata e dissi: «Grazie è... è bellissima!». Lui sorrise e si avvicinò a me. Io andai in iperventilazione e lui sorrise, allontanandosi.
«Non sai che fai questo effetto su tutte?» dissi io, esasperata. Lui ridacchiò.
«Anche su di te?», mormorò avvicinadosi. Io mi sentii avvampare e lui sorrise, avvicinandosi ancora. «Nahuel... per... per favore...», balbettai, confusa dal suo profumo pungente. Oddio, il suo profumo era frotissimo, così vicino. Perchè non la faceva finita? Perchè non mi baciava o non se ne andava? Perchè doveva prolungare la mia "sofferenza"? Mi morsi un labbro, così forte che mi uscì una goccia di sangue. Appena il sangue mi colò sul mento, Nahuel si allontanò di scatto, come se si fosse fatto male. Mi asciugai il sangue con il dorso della mano mentre guardavo Nahuel che mi guardava il labbro, preoccupato.
«Come... come te lo sei fatto?», disse indicando la piccola ferita.
«Oh, niente. Mi sono morsa il labbro», dissi ridacchiando, ma lui sembrava preoccupato.
«Scusa Jenny, ho... ho visto una cosa... là...», disse vago, indicando la foresta. «Vado e torno». Si incammino verso il fitto degli alberi e scomparve.

CAPITOLO 2
Nessie mi notò e mi salutò, facendomi segno di avvicinarmi. Anche il brunetto mi guardava, ma non fece niente che potesse sembrare un saluto. MI avvicinai a loro e Nessie disse: «Ciao Jennifer! Ieri sera ho parlato con Jake e mi ha detto che voi due e mia madre eravate amici da piccoli!». 

«Si, me lo ricordavo a malapena. Ma comunque, tu saresti?», dissi infine rivolgendomi al brunetto.

«Mi chiamo Nahuel». La sua voce era stupenda, sembrava un canto di usignolo.

«Ti ricordi che ieri ci siamo incontrati sull'autobus?», chiesi, sicura che avrebbe negato. Mi faceva una certa antipatia.

«Si mi ricordo. E mi sei subito stata simpatica! Sembri una... gatta ribelle. Si, una gatta ribelle». Alle sue parole spalancai la bocca. E a me che sembrava che fosse antipatico! D'un tratto Nessie disse: «Nahuel dobbiamo andare!! Ciao Jennifer!»

«Ciao Jennifer!». Io li salutai con un cenno della mano. Un po' prima del suono della campanella, mi diressi verso la segreteria a consegnare i miei documenti.«Lei è la signorina Jennifer Hustie?». Io annuii e la rotonda segretaria mi sorrise affabilmente, dicendo: «Benvenuta a scuola! Il suo primo corso è trigonometria»

«Grazie!». MI diressi verso l'aula di trigonometria, una materia che odiavo con tutto il mio cuore. In classe c'erano già tutti. Il professor Neil vide i documenti e disse: «Benvenuta signorina Hustie! Si sieda vicino a Nahuel Cullen». Appena sentii il nome Nahuel seguii lo sguardo del professore e vidi il bellissimo brunetto, Nahuel, con cui avevo parlato prima. Lui mi sorrise e io mi avvicinai.

«Ciao Jenny! Ci rivediamo!», sussurrò, per non farsi sentire dal prof. Visto da così vicino era ancora più bello. Non l'avevo notato, ma aveva gli occhi a mandorla con ciglia lunghissime. Aveva anche un profumo meraviglioso di... sembrava odore di rugiada e biancospino. Un odore dolcissimo. Frastornata da quell'odore, balbettai: «Si... Ciao...». Lui sorrise, un sorriso stupendo, luminoso. A suo confronto la classe era buia. Due ore dopo suonò la campanella e insieme a Nahuel, andammo alla mensa. Mi riempii la vaschetta e chiesi: «Nahuel, tu e Nessie dove vi sedete?».

«Là», disse indicando un tavolo, dove distinguevo i capelli di Nessie, «Oggi c'è anche la sua famiglia». Nella mente mi balenò un'idea.

«C'è anche Bella, sua madre?». Lui annuì e io sorrisi. La dovevo vedere. Senza aspettarlo mi diressi verso il tavolo, ma là mi bloccai. C'era Carlisle, il rosso, che doveva essere il padre di Nessie. Nahuel era bello, si, ma Carlisle era un dio. I lineamenti perfetti, i muscoli guizzanti sotto il dolcevita attillato che glieli metteva in risalto. Lui mi vide e sorrise. Io distolsi lo sguardo e guardai la modella bruna seduta al suo fianco. Appena la vidi spalancai la bocca. Era Bella. Ma era molto più bella di dodici anni fa. Aveva il corpo di una pantera, il viso stupefacente. Gli occhi color castano dorato, i capelli scuri, mossi, fino alla vita. Il viso pallido, ma con una bellezza sbalorditiva. Anche lei aprì la bocca alla mia vista, e disse: «Jennifer? Jennifer Hustie?». La sua voce sembrava quella di un soprano, tanto era melodiosa. Io mi vergognavo un po' a parlare, al suo confronto la mia voce era stridula e insignificante. «Si. Tu sei... Bella?». Lei sorrise - un sorriso da togliere il fiato e da fare invidia anche ad Afrodite - e disse: «E' un sacco che non ci vediamo! Ricordi quando io, tu e Jake facevamo i castelli nel fango?»

«Si, io ero piccolissima, avevo appena cinque anni!». Lei rise - un coro di campanellini - e guardò Nahuel.

«Jenny, lui è mio marito, Edward». Allora avevo frainteso tutto! Lui non era Carlisle. Probabilmente Carlisle era il biondo che avevo visto con Nahuel il giorno precedente.

«Piacere, Jennifer!», dissi, affabile. Lui sorrise - un sorriso sghembo, stupefacente, da togliere il fiato - e disse: «Piacere, Edward». La sua voce sembrava uscire dai quei film dove tutti avevano una voce perfetta. Lui ridacchiò e io non capii il motivo. Poi mi venne in mente il motivo più importante per il quale ero qui. «Bella, tu hai avuto una figlia!». Il sorriso di Bella si congelò, sospirò e poi rispose: «Si, nostra figlia. Ma l'abbiamo adottata». No, non poteva essere. La somiglianza era troppa con Edward e aveva gli stessi occhi di Bella, anche se ora portava le lenti a contatto. Aveva lo stesso, identico colore di capelli di Edward. Quante erano le persone che potevano vantare un colore così stupefacente? Quasi nessuna. E il viso, esattamente la stessa forma di quello di Edward. Aveva anche i ricci di Charlie Swan. Ma, allora, perchè mi mentiva? Cosa c'era sotto? Edward notò la mia faccia e chiese: «Non per essere indiscreto, ma cosa pensi?». Io mi riscossi dai miei pensieri e cercai un alibi plausibile.

«Alla vostra bellezza. E' impressionante. E tu, Bella, da piccola, non ti offendere, ma non eri una bellezza. Ora se cambiata moltissimo!». Bella sorrise al complimento, ma a uno sguardo di Edward la sua espressione ritornò seria. Suonò la campanella e io salutai. La prossima lezione era inglese ed l'avevo insieme a Nahuel. Ci sedemmo nei posti in fondo.

«Sei fidanzata?», mi chiese a bruciapelo, sussurrando.

«No, perchè?». Lui esitò.

«Così, tanto per sapere. Sai, tu mi fai molta più simpatia di tutte le ragazze della scuola. Ci potremmo frequentare». Io trattenni il fiato, non tanto rumorosamente da farmi sentire, però sentii Nahuel ridacchiare. Oddio, mi stava chiedendo di frequentarci. Era... era incredibile. Acconsentii subito e programmammo un uscita per quella sera.

«Dove andiamo?» sussurrai. Lui sorrise e disse: «Una sorpresa!». Anche io sorrisi, ma poi sui costretta ad ascoltare la lezione, perchè il professor Jhon passava tra i banchi.

«Ehy, Nahuel, sai se qui a Forks c'è una scuola di ginnastica ritmica?». Ero molto appassionata di ginnastica ritmica, a New York andavo in una palestra. Ero anche abbastanza portata, perchè ero snodata di schiena ed ero anche aperta di gambe.

«No mi dispiace. Qua non ci sono scuole di ballo. Perchè, ti piace la ginnastica ritmica?». Io annuii e mi dispiacque, e non poco, che non ci fosse nessuna palestra. Peccato, mi dissi, ma dovrai fartene una ragione. Casomai ti allenerai a casa, Jenny. Suonò la campanella della fine delle lezioni, salutai Nahuel, Nessie e i suoi genitori e mi diressi a casa. Vidi l'auto di Edward - una Volvo C-30 grigio metallizzato - e spalancai la bocca: era stupenda. Appena arrivai a casa, preparai un piatto di spaghetti col sugo, all'italiana. Poi, dopo aver lavato i piatti, indossai una tuta comoda e iniziai il riscaldamento. Mi sedetti per terra con le gambe aperte e mi sdraiai con il petto per terra. Poi feci una spaccata sagittale con il piede alla testa. Dopo mi alzai, feci una veloce rovesciata, prima in avanti e poi indietro, e poi presi il piede e me lo portai alla testa. Lentamente lo raddrizai e rimasi ferma in quella posizione. Poi mi sedetti con le ginocchia per terra e feci un ponte con le punte. D'un tratto mi accorsi che non ero sola. Nahuel era davanti alla porta con la bocca spalancata. Io sorrisi e dissi: «Scusami se sono in queste condizioni! Mi stavo allenando». Ero molto imbarazzata.

«No, scusa tu! Continua!». Lui era sbalordito. Arrossii imbarazzata e dissi: «Se vuoi ti faccio vedere un balletto con il nastro!». Lui annuì e io presi il nastro, attaccai la musica e iniziai a ballare. Durante il balletto mi sentivo me stessa, ero perfetta. La musica mi scorreva nelle vene, insieme al sangue. Appena la musica finì, sentii gli applausi di Nahuel. Gli sorrisi e lui disse: «Sei... sei bravissima! Complimenti!». Io sorrisi, imbarazzata, e borbottai un "Grazie" appena accennato.

«Dai vieni! Ti porto in un posto bellissimo!»

«Un secondo! Mi lasci il tempo di una doccia?». Lui arrossì e disse: «Oh, scusa...».

Io salii le scale di corsa e mi fiondai nel bagno. Dovevo essere velocissima. In un attimo mi asciugai i capelli e mi vestii. Indossai un paio di jeans e una maglia a maniche lunghe con scollo a V. Mi truccai e quella era una dote mia naturale. Avevo l'abilità di sembrare un'altra persona quando mi truccavo. Con fard, cipria e pennello sapevo fare miracoli, però quella sera non volevo sembrare un'altra. Scesi e vidi Nahuel seduto sul divano. Gli sorrisi e mi accompagnò nella sua auto. Spalancai gli occhi apenna la vidi. Era una bellissima Porsche giallo canarino, che sembrava brillare anche se non c'era sole. Con la macchina fece qualche chilometro, fino a un cancelletto di legno. Poi scendemmo.

«Nahuel, non dirmi che dobbiamo andare a piedi?!» esclamai terrorizzata.

«Non ti preoccupare, se cadi ci sono io!», disse con dolcezza. Quelle parole mi fecero un effetto strano. Mi sentii molto legata a lui, che infondeva un senso di protezione. Iniziammo a camminare tra sentieri e sentierini, alcuni ripidi, altri più scorrevoli. Per fortuna non inciampai mai. Dopo un po' Nahuel si fermò e disse: «Chiudi gli occhi...», poggiandomi le sue mani sul viso. Le sue mani erano fredde, nonostante avessimo fatto una sfacchinata. Avenzamo piano piano, io con gli occhi chiusi e lui che mi guidava. Dopo un po' tolse le mani dal mio viso e quello che vidi fu uno spettacolo. Era una radura, perfettamente circolare, con moltissimi fiori di campo colorati. Era stupenda, anche senza sole. Guardi Nahuel, estasiata e dissi: «Grazie è... è bellissima!». Lui sorrise e si avvicinò a me. Io andai in iperventilazione e lui sorrise, allontanandosi.

«Non sai che fai questo effetto su tutte?» dissi io, esasperata. Lui ridacchiò.

«Anche su di te?», mormorò avvicinadosi. Io mi sentii avvampare e lui sorrise, avvicinandosi ancora. «Nahuel... per... per favore...», balbettai, confusa dal suo profumo pungente. Oddio, il suo profumo era frotissimo, così vicino. Perchè non la faceva finita? Perchè non mi baciava o non se ne andava? Perchè doveva prolungare la mia "sofferenza"? Mi morsi un labbro, così forte che mi uscì una goccia di sangue. Appena il sangue mi colò sul mento, Nahuel si allontanò di scatto, come se si fosse fatto male. Mi asciugai il sangue con il dorso della mano mentre guardavo Nahuel che mi guardava il labbro, preoccupato.

«Come... come te lo sei fatto?», disse indicando la piccola ferita.

«Oh, niente. Mi sono morsa il labbro», dissi ridacchiando, ma lui sembrava preoccupato.

«Scusa Jenny, ho... ho visto una cosa... là...», disse vago, indicando la foresta. «Vado e torno». Si incammino verso il fitto degli alberi e scomparve.

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Capitolo 3
*** Amore ***


CAPITOLO 3
Nahuel
«Scusa Jenny, ho... ho visto una cosa... là...», balbettai, vago. Speravo che non intuisse che mi ero scostato per colpa del sangue. Ormai ero abituato al sangue animale, ma veder sanguinare una persona a pochi centimetri dal mio naso era comunque una dura prova per il mio autocontrollo. Mi incamminai verso la foresta, sicuro di trovare un cervo li vicino, ne avevo sentito l'odore. Appena fui certo che Jenny non mi vedesse, iniziai a correre velocemente, seguendo la scia di quel cervo che mi faceva bruciare la gola. Ed eccolo la, un cervo maschio che brucava tranquillo. Certe volte mi dispiaceva farli fuori, ma era il corso della natura. Era un bel cervo, maestoso, probabilmente il capo di un branco. Mi acquattai, pronto all'attacco. L'aria era ferma, non c'era un filo di vento. Meglio per me. Salii velocemente su un albero, attento a non farmi notare, e poi saltai. Atterrai perfettamente vicino alla sua gola e il cervo non fece in tempo a scalciare che già gli avevo rotto il collo, uccidendolo. Iniziai a nutrirmi del suo sangue, velocemente, per non perdere tempo. Il sangue di quel cervo era buono, dolce, e placò la mia sete. Lo lasciai per terra, dissanguato, facendo sì che fosse il pasto degli animali carnivori. Corsi verso la radura e a qualche metro da essa mi fermai e iniziai a camminare lentamente. Dovevano essere passati cinque minuti. L'odore del sangue di Jenny mi colpì violentemente e mi fece ardere la gola. Lei mi guardò sorridendo. Non aveva più sangue nel labbro, ma l'odore aleggiava nell'aria. «Cosa c'era?», mi chiese Jenny, con quella sua voce fine e argentina. Non si rendeva conto di quanto fosse bella e femminile. Averla vista ballare e allenarsi era stata una cosa indescrivibile per me. Lo so, non avrei dovuto frequentarla, vista la mia natura, ma non riuscivo a stare lontano da lei, ero troppo preso. La pietra è difficile che cambi, ma se cambia non si modifica più. Io mi sono innamorato di lei e ormai questo amore è inciso nel mio cuore per metà di pietra. Edward mi aveva assicurato che lei era attratta da me e io non potevo fare altro che fidarmi di lui. «Niente, mi sono fatto suggestionare». Sorrisi, cercando di metterla a suo agio. Sicuramente era ancora scossa per prima. Mi avvicinai a lei, incapace di comprendere tanta bellezza, e le sfiorai il viso con un dito. Non avrei dovuto farlo - ero troppo freddo per la sua pelle - ma non me ne pentii. Lei trattenne bruscamente il fiato e mi guardò. Ne suoi occhi vidi indecisione, confusione e accusa. Accusa? Chissà perchè. La volevo baciare, ma avevo paura di turbarla. Mi avvicinai al suo viso, cauto. Lei spalancò gli occhi, ma non si ritrasse. Inspirai e il suo profumo di agrumi mi entrò dentro, come il sangue che avevo appena bevuto. Schiusi le labbra e respirai con la bocca, sentendo il sapore degli agrumi sulla lingua. Lei respirava con respiri brevi e irregolari. Il suo cuore era velocissimo, non si sarebbe calmato fino a quando non mi fossi allontanato. Avevo una voglia matta di baciarla, non so se sarei riuscito a resistere, ma resistetti. Mi limitai a sorridere e sfiorarle il viso. Lei diventò rossissima, allora io mi decisi a parlare: «Sai... E' successa una cosa impossibile tra me e te...». Mi interruppi, ascoltando i suoi pensieri con il mio dono. Era simile a quello di Jasper ed Edward, ma io avevo bisogno del contatto visivo per leggere i pensieri e le emozioni. E' una cosa impressionante, ma... ma io lo amo, non riesco a non guardarlo ed è tanto che riesco a non saltargli addosso...
Pensava questo, allora, lei mi amava. Sorrisi e proseguii: «Stavo dicendo... Tra me te è successa una cosa impossibile... E' impossibile che in... in due giorni io mi sia... innamorato di te...». Ora vedremo come reagirà. Lei spalancò la bocca e sgranò gli occhi, evidentemente felice. Io cercavo di non fissarla negli occhi, ma quegli occhi verde-gialli mi attiravano come un bicchiere d'acqua attira un assetato. Non riuscivo a non guardarla e, al tempo stesso, a non sentire i suoi pensieri e le sue emozioni. Mi... mi ama... e io lo... amo... 
Sollevai gli angoli della bocca leggermente. Solo un vampiro avrebbe potuto notarlo. «Anche io ti... ti amo...», mormorò dolcemente. Io la avvicinai a me e la abbracciai. Per fortuna che era inverno e io avevo un maglione di lana, se no sarebbe morta dal freddo. Ci sdraiammo sull'erba e io ripesai a quel giorno sull'autobus...
INIZIO FLASH BACK
Ero alla fermata degli autobus, seduto sul pullman, aspettando che ripartisse. Ero andato a Seattle per controllere se gli omicidi erano opera di un neonato, ma niente di chè. Dal finestrino vidi una fiamma rosso scuro che si muoveva verso la porta. Guardai bene e vidi che la fiamma non era altro che i capelli di una ragazza. Questa ragazza salì sull'autobus e appena la vidi dimenticai tutto. Dimenticai il mio nome, lo scopo della mia gita, tutto. Lei era al centro dei miei pensieri. La fissai negli occhi, ma lei era imbarazzata e distolse subito lo sguardo. Aveva occhi verde-gialli. Camminò fino a trovarsi un paio di posti dietro di me, per guardarmi senza essere vista. Avevo capito che lei non era una semplice cittadina incontrata su un autobus per me, lei era tutto per me. Iniziò a fare delle telefonate - alle amiche, stando alle parle che si dicevano - e capii che si chiama Jennifer. «Si sono a Seattle, fra qualche ora arriverò a Forks e inizierò la mia nuova vita!!». Raggelai. Anche lei viveva a Forks. Mi suonò il telefono e risposi in fretta. «Carlisle...», dissi. Avevo riconosciuto il suono della sua voce.
«Nahuel, novità? Parla a bassa voce se c'è qualcuno». Ridacchiai piano. A bassa voce per noi vampiri, significava che anche se avevamo un umano vicino non ci avrebbe sentiti.
«Nessuna novità. Gli omicidi erano opera di serial killer. L'ho visto mentre uccideva il sindaco di Seattle», sussurrai velocemente. Sicuramente Jennifer si stava chiedendo chi era Carlisle.
«Capito. Ma tu non sei... stato attirato dal sangue..»
«No, non ti preoccupare Carlisle. Ci sentiamo dopo che c'è una ragazza che mi fissa».
«Va bene. Ti veniamo a prendere io ed Edward». Chiusi la comunicazione. Per tutto il viaggio ripensai a lei, Jennifer, che aveva fatto breccia nel mio cuore di pietra. Arrivammo a Forks e io trovai Edward e Carlisle con la Volvo di Ed. Dovevo fare la parte che ero tornato da un luungo viaggio. Abbracciai Edward, strinsi la mano a Carlisle, e partimmo.
FINE FLASH BACK
Pensando al giorno sull'autobus, non mi ero accorto del tempo che passava. Guardai il cielo, c'era la luna. Mi girai verso Jenny, che intanto mi guardava estasiata, e le dissi: «Dobbiamo andare piccola...». Lei sorrise e annuì. Con la Volvo che mi aveva prestato Edward, la accompagnai fino a casa sua, dicendole: «Ci vediamo domani a scuola. Ti amo...».
«Ti amo...», mormorò quella dolce ragazza perfetta. Io sorrisi, toccato dalle sue parole. Gli diedi un buffetto sulla guancia e ripartii. Non avevo bisogno di andare lento adesso che ero solo, ma aspettai di girare l'angolo per iniziare la mia guida spericolata. Arrivato in prossimita di casa, sentii l'odore familiare ma lo stesso puzzolente di Jacob. Come faceva Nessie a sopportarlo? Sentii anche Edward ridacchiare. Aveva sentito i miei pensieri. Anche io ridacchiai. Sentii Alice che diceva: «Non lo so se si sono baciati. Rose lo sai che io non posso vedere ai mezzosangue. Comunque ho visto Jennifer che entrava a far parte della nostra famiglia. Non so se come vampira! Ho visto solo lei che si firmava Jennifer Cullen». Io storsi la bocca. Cosa facevano, spiavano il futuro della mia piccola Jenny? Mentre parcheggiavo nel garage, sentii Emmett, che non si preoccupava della mia vicinanza: «Ehi ragazzi, ci pensate, un'altra vampirella sbadata, assetata di ses...». Non finì la frase perchè Rosalie lo interruppe: «Emmett! Smettila di dire certe cose!». Entrando in casa ringhiai, vedendo Emmett fare una pallida imitazione di me prima di incontrare Jennifer. Emmett mi guardò. Avevo glio occhi puntati sui suoi e sentii che pensava: "Ah ah! Dovrai morderla prima o poi! E tu non resisterai! Lei morirà!". Fu così che non ci vidi più. Saltai addosso a Emmett con l'intenzione di staccargli la testa, ma fu in quel momento che Rosalie, Edward e Jasper si misero in mezzo. Rosalie mi ringhiò, ma cercò di allontanare Emmett con l'aiuto di Edward. Invece Jasper mi teneva le braccia, infondendomi calma con il suo potere. Mi calmai, ma fissai Emmett con odio. Io e lui eravamo sempre in conflitto. Non riuscivo a farmelo andare a genio. Chissà perchè, perchè lui era simpatico, faceva sempre battute, ma quando mi guardava era come se mi odiasse. Avevo provato a parlargli, a chiedergli cosa gli avevo fatto, ma niente. Si ostinava a dire: «Sei tu, il tuo modo di fare che ni da sui nervi». Ma per me non era vero, infatti ogni volta che parlavamo provava a non guardarmi negli occhi. Le rare vole che riuscivo a guardarlo pensava completamente ad altro. Però oggi si doveva chiarire. «Emmett, ti devo parlare.». Lui se lo aspettava. Annuì e s'incamminò con me verso il giardino. Lo guardai negli occhi e dissi: «Emmett, cos'hai contro di me?». Lui sospirò e disse: «Vedi Nahuel, il fatto è che io ti invidio. Tu hai una famiglia che ti vuole bene, da quando sei nato hai vissuto bene con tua zia. Io invece no. Dovevo lavorare un casino per portare a casa il pane. Mio padre era in guerra, mia madre aveva mia sorella da controllare. Io ero l'unico che lavorava. Poi mia sorella è morta ed è finito tutto. Durante una caccia un grizzly mi aggredì e... Beh, sai cos'è successo. Rosalie mi trovò e mi portò da Carlisle che mi trasformò. Sono stato cattivo con te, lo so. E mi dispiace. Vorrei ricominciare da capo, provare a essere fratelli». Mi tese la mano e io la strinsi. Poi con un gesto inaspettato, mi tirò a se e mi abbracciò. «Grazie Emm», sussurrai.

CAPITOLO 3

Nahuel

«Scusa Jenny, ho... ho visto una cosa... là...», balbettai, vago. Speravo che non intuisse che mi ero scostato per colpa del sangue. Ormai ero abituato al sangue animale, ma veder sanguinare una persona a pochi centimetri dal mio naso era comunque una dura prova per il mio autocontrollo. Mi incamminai verso la foresta, sicuro di trovare un cervo li vicino, ne avevo sentito l'odore. Appena fui certo che Jenny non mi vedesse, iniziai a correre velocemente, seguendo la scia di quel cervo che mi faceva bruciare la gola. Ed eccolo la, un cervo maschio che brucava tranquillo. Certe volte mi dispiaceva farli fuori, ma era il corso della natura. Era un bel cervo, maestoso, probabilmente il capo di un branco. Mi acquattai, pronto all'attacco. L'aria era ferma, non c'era un filo di vento. Meglio per me. Salii velocemente su un albero, attento a non farmi notare, e poi saltai. Atterrai perfettamente vicino alla sua gola e il cervo non fece in tempo a scalciare che già gli avevo rotto il collo, uccidendolo. Iniziai a nutrirmi del suo sangue, velocemente, per non perdere tempo. Il sangue di quel cervo era buono, dolce, e placò la mia sete. Lo lasciai per terra, dissanguato, facendo sì che fosse il pasto degli animali carnivori. Corsi verso la radura e a qualche metro da essa mi fermai e iniziai a camminare lentamente. Dovevano essere passati cinque minuti. L'odore del sangue di Jenny mi colpì violentemente e mi fece ardere la gola. Lei mi guardò sorridendo. Non aveva più sangue nel labbro, ma l'odore aleggiava nell'aria. «Cosa c'era?», mi chiese Jenny, con quella sua voce fine e argentina. Non si rendeva conto di quanto fosse bella e femminile. Averla vista ballare e allenarsi era stata una cosa indescrivibile per me. Lo so, non avrei dovuto frequentarla, vista la mia natura, ma non riuscivo a stare lontano da lei, ero troppo preso. La pietra è difficile che cambi, ma se cambia non si modifica più. Io mi sono innamorato di lei e ormai questo amore è inciso nel mio cuore per metà di pietra. Edward mi aveva assicurato che lei era attratta da me e io non potevo fare altro che fidarmi di lui. «Niente, mi sono fatto suggestionare». Sorrisi, cercando di metterla a suo agio. Sicuramente era ancora scossa per prima. Mi avvicinai a lei, incapace di comprendere tanta bellezza, e le sfiorai il viso con un dito. Non avrei dovuto farlo - ero troppo freddo per la sua pelle - ma non me ne pentii. Lei trattenne bruscamente il fiato e mi guardò. Ne suoi occhi vidi indecisione, confusione e accusa. Accusa? Chissà perchè. La volevo baciare, ma avevo paura di turbarla. Mi avvicinai al suo viso, cauto. Lei spalancò gli occhi, ma non si ritrasse. Inspirai e il suo profumo di agrumi mi entrò dentro, come il sangue che avevo appena bevuto. Schiusi le labbra e respirai con la bocca, sentendo il sapore degli agrumi sulla lingua. Lei respirava con respiri brevi e irregolari. Il suo cuore era velocissimo, non si sarebbe calmato fino a quando non mi fossi allontanato. Avevo una voglia matta di baciarla, non so se sarei riuscito a resistere, ma resistetti. Mi limitai a sorridere e sfiorarle il viso. Lei diventò rossissima, allora io mi decisi a parlare: «Sai... E' successa una cosa impossibile tra me e te...». Mi interruppi, ascoltando i suoi pensieri con il mio dono. Era simile a quello di Jasper ed Edward, ma io avevo bisogno del contatto visivo per leggere i pensieri e le emozioni. E' una cosa impressionante, ma... ma io lo amo, non riesco a non guardarlo ed è tanto che riesco a non saltargli addosso...

 Pensava questo, allora, lei mi amava. Sorrisi e proseguii: «Stavo dicendo... Tra me te è successa una cosa impossibile... E' impossibile che in... in due giorni io mi sia... innamorato di te...». Ora vedremo come reagirà. Lei spalancò la bocca e sgranò gli occhi, evidentemente felice. Io cercavo di non fissarla negli occhi, ma quegli occhi verde-gialli mi attiravano come un bicchiere d'acqua attira un assetato. Non riuscivo a non guardarla e, al tempo stesso, a non sentire i suoi pensieri e le sue emozioni. Mi... mi ama... e io lo... amo... 

Sollevai gli angoli della bocca leggermente. Solo un vampiro avrebbe potuto notarlo. «Anche io ti... ti amo...», mormorò dolcemente. Io la avvicinai a me e la abbracciai. Per fortuna che era inverno e io avevo un maglione di lana, se no sarebbe morta dal freddo. Ci sdraiammo sull'erba e io ripesai a quel giorno sull'autobus...

INIZIO FLASH BACK

Ero alla fermata degli autobus, seduto sul pullman, aspettando che ripartisse. Ero andato a Seattle per controllere se gli omicidi erano opera di un neonato, ma niente di chè. Dal finestrino vidi una fiamma rosso scuro che si muoveva verso la porta. Guardai bene e vidi che la fiamma non era altro che i capelli di una ragazza. Questa ragazza salì sull'autobus e appena la vidi dimenticai tutto. Dimenticai il mio nome, lo scopo della mia gita, tutto. Lei era al centro dei miei pensieri. La fissai negli occhi, ma lei era imbarazzata e distolse subito lo sguardo. Aveva occhi verde-gialli. Camminò fino a trovarsi un paio di posti dietro di me, per guardarmi senza essere vista. Avevo capito che lei non era una semplice cittadina incontrata su un autobus per me, lei era tutto per me. Iniziò a fare delle telefonate - alle amiche, stando alle parle che si dicevano - e capii che si chiama Jennifer. «Si sono a Seattle, fra qualche ora arriverò a Forks e inizierò la mia nuova vita!!». Raggelai. Anche lei viveva a Forks. Mi suonò il telefono e risposi in fretta. «Carlisle...», dissi. Avevo riconosciuto il suono della sua voce.«Nahuel, novità? Parla a bassa voce se c'è qualcuno». Ridacchiai piano. A bassa voce per noi vampiri, significava che anche se avevamo un umano vicino non ci avrebbe sentiti.

«Nessuna novità. Gli omicidi erano opera di serial killer. L'ho visto mentre uccideva il sindaco di Seattle», sussurrai velocemente. Sicuramente Jennifer si stava chiedendo chi era Carlisle.

«Capito. Ma tu non sei... stato attirato dal sangue..»

«No, non ti preoccupare Carlisle. Ci sentiamo dopo che c'è una ragazza che mi fissa».

«Va bene. Ti veniamo a prendere io ed Edward». Chiusi la comunicazione. Per tutto il viaggio ripensai a lei, Jennifer, che aveva fatto breccia nel mio cuore di pietra. Arrivammo a Forks e io trovai Edward e Carlisle con la Volvo di Ed. Dovevo fare la parte che ero tornato da un lungo viaggio. Abbracciai Edward, strinsi la mano a Carlisle, e partimmo.

FINE FLASH BACK

Pensando al giorno sull'autobus, non mi ero accorto del tempo che passava. Guardai il cielo, c'era la luna. Mi girai verso Jenny, che intanto mi guardava estasiata, e le dissi: «Dobbiamo andare piccola...». Lei sorrise e annuì. Con la Volvo che mi aveva prestato Edward, la accompagnai fino a casa sua, dicendole: «Ci vediamo domani a scuola. Ti amo...».

«Ti amo...», mormorò quella dolce ragazza perfetta. Io sorrisi, toccato dalle sue parole. Gli diedi un buffetto sulla guancia e ripartii. Non avevo bisogno di andare lento adesso che ero solo, ma aspettai di girare l'angolo per iniziare la mia guida spericolata. Arrivato in prossimita di casa, sentii l'odore familiare ma lo stesso puzzolente di Jacob. Come faceva Nessie a sopportarlo? Sentii anche Edward ridacchiare. Aveva sentito i miei pensieri. Anche io ridacchiai. Sentii Alice che diceva: «Non lo so se si sono baciati. Rose lo sai che io non posso vedere ai mezzosangue. Comunque ho visto Jennifer che entrava a far parte della nostra famiglia. Non so se come vampira! Ho visto solo lei che si firmava Jennifer Cullen». Io storsi la bocca. Cosa facevano, spiavano il futuro della mia piccola Jenny? Mentre parcheggiavo nel garage, sentii Emmett, che non si preoccupava della mia vicinanza: «Ehi ragazzi, ci pensate, un'altra vampirella sbadata, assetata di ses...». Non finì la frase perchè Rosalie lo interruppe: «Emmett! Smettila di dire certe cose!». Entrando in casa ringhiai, vedendo Emmett fare una pallida imitazione di me prima di incontrare Jennifer. Emmett mi guardò. Avevo glio occhi puntati sui suoi e sentii che pensava: "Ah ah! Dovrai morderla prima o poi! E tu non resisterai! Lei morirà!". Fu così che non ci vidi più. Saltai addosso a Emmett con l'intenzione di staccargli la testa, ma fu in quel momento che Rosalie, Edward e Jasper si misero in mezzo. Rosalie mi ringhiò, ma cercò di allontanare Emmett con l'aiuto di Edward. Invece Jasper mi teneva le braccia, infondendomi calma con il suo potere. Mi calmai, ma fissai Emmett con odio. Io e lui eravamo sempre in conflitto. Non riuscivo a farmelo andare a genio. Chissà perchè, perchè lui era simpatico, faceva sempre battute, ma quando mi guardava era come se mi odiasse. Avevo provato a parlargli, a chiedergli cosa gli avevo fatto, ma niente. Si ostinava a dire: «Sei tu, il tuo modo di fare che ni da sui nervi». Ma per me non era vero, infatti ogni volta che parlavamo provava a non guardarmi negli occhi. Le rare vole che riuscivo a guardarlo pensava completamente ad altro. Però oggi si doveva chiarire. «Emmett, ti devo parlare.». Lui se lo aspettava. Annuì e s'incamminò con me verso il giardino. Lo guardai negli occhi e dissi: «Emmett, cos'hai contro di me?». Lui sospirò e disse: «Vedi Nahuel, il fatto è che io ti invidio. Tu hai una famiglia che ti vuole bene, da quando sei nato hai vissuto bene con tua zia. Io invece no. Dovevo lavorare un casino per portare a casa il pane. Mio padre era in guerra, mia madre aveva mia sorella da controllare. Io ero l'unico che lavorava. Poi mia sorella è morta ed è finito tutto. Durante una caccia un grizzly mi aggredì e... Beh, sai cos'è successo. Rosalie mi trovò e mi portò da Carlisle che mi trasformò. Sono stato cattivo con te, lo so. E mi dispiace. Vorrei ricominciare da capo, provare a essere fratelli». Mi tese la mano e io la strinsi. Poi con un gesto inaspettato, mi tirò a se e mi abbracciò. «Grazie Emm», sussurrai.

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