Storie dell'Altro Mondo

di Elelovett
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La signora Plum ***
Capitolo 3: *** Generale Bonesapart ***
Capitolo 4: *** Paul ***
Capitolo 5: *** Generale Cannonball ***
Capitolo 6: *** Bonejangles ***
Capitolo 7: *** Emily ***
Capitolo 8: *** Ethel ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

Nell’istante stesso in cui il mio rivale sparò capii che ero perduto. Avevo premuto il grilletto un istante dopo di lui. Sentii la pallottola fendere l’aria, poi il dolore acutissimo in mezzo al petto. Mentre mi accasciavo a terra la vista si appannava e la gola si seccava…Perché avevo lasciato cadere l’arma? Perché non mi rialzavo? Riuscii solo a vedere le cime degli alberi intorno a me ruotare vorticosamente, sotto di me il prato ancora umido.

Chiusi gli occhi ed esalai l’ultimo respiro. Quando li riaprii mi stupii di poterlo ancora fare, ma avevo capito che qualcosa non quadrava: non mi trovavo più nel bosco ma in una locanda affollata! Ero steso sul pavimento e tutti mi stavano additando, ma ancora non riuscivo a sentire quello che dicevano. Quando misi bene a fuoco e percepii i suoni una donna robusta mi prese sotto le ascelle e prima che potessi ribattere mi mise in piedi. Fu allora che notai che tutti i presenti erano morti: alcuni erano scheletri, altri invece avevano ancora la pelle, ma di un colore bluastro e in putrefazione. Non mi ci volle molto per capire che anche io ero come loro, e per lo shock emisi un grido. Portandomi le mani al viso vidi che erano pallide e bluastre e soprattutto freddissime. Tastandomi il polso non riuscivo a sentire nessun battito e con mio sommo stupore stavo perdendo sangue dalla ferita, e non poco. Sapevo che non dovevo lasciarmi prendere dal terrore, così ricorsi a tutto il mio senso pratico e alla mia razionalità e chiesi di potermi sedere. Intorno a me c’era un gran trambusto, qualcuno aveva suonato una campana e gridava "nuovo arrivo", altri ridevano, quasi tutti mi chiedevano qualcosa. Mi sedetti su uno sgabello e cercai di respirare profondamente, poi mi ricordai che ero morto. Ancora non riuscivo a crederci, ma una parte di me l’aveva accettato. Finalmente prestai attenzione alla donna che mi aveva aiutato ad alzarmi:

- Caro, ti senti bene? Si è sempre un po’ scombussolati all’inizio, ma poi ci si fa l’abitudine…

- Grazie, credo di stare bene. Però sanguino.- risposi toccandomi la ferita.

Uno dei cadaveri, doveva essere stato un medico, mi bendò la ferita dicendo:

- Temo che dovrete aspettare di dissanguarvi. Cosa pretendete, di restare morto e tenervi tutto il sangue in corpo?

- Certo che no!- esclamai, poi mi resi conto dell’assurdità di quella conversazione.

Feci per alzarmi ma la donna mi impose di stare seduto, dicendo:

- Caro, è meglio se aspetti seduto qui. Non preoccuparti se sporchi un po’ in giro, ripuliremo in un batter d’occhio.

Così eccomi lì, seduto su uno sgabello col ventre fasciato, grondante di sangue e in attesa di perderne fino all’ultima goccia. Squadrai i tipi intorno a me, e fu in quel momento che notai sul bancone al quale ero appoggiato una testa parlante. Accanto a lei c’era un boccale di non so quale bevanda, ma la bevvi in un sorso. Stranamente buona.

- Brutta ferita- commentò la testa con un buffo accento francese- duello?

Risposi sorridendo:

- Sì.

Ma ero davvero lì? Era così la morte, un pub affollato? Stranamente la mia vita di prima, i miei problemi, il duello, niente aveva importanza…Star lì seduto era quasi normale. La donna mi chiese:

- Come ti chiami?

- Maxwell. Maxwell Van Ferrett.- risposi.

- Io sono la signora Plum, cuoca del The Ball & Socket.- disse a sua volta la donna stringendomi la mano.

Appresi così che la testa francese era il capocameriere Paul e che mi trovavo nell’Aldilà, un regno dove vagavano morti che in vita non si erano realizzati o avevano un conto in sospeso, e che quindi non potevano raggiungere il paradiso. Precisamente mi trovavo nel pub di quello strano Regno dei Morti, il cui padrone era uno scheletro con un occhio solo, Bonejangles. Si presentarono quasi tutti, clienti abituali della locanda a quanto pare: una ragazza vestita da sposa, Emily, due soldati, Bonesapart e Cannonball, una donna dal buffo cappello, Ethel, e un signore alto e distinto, Alfred.

- Allora- mi chiese Bonejangles- non ti sembra strano trovarti qui, ragazzo?

- Sì, in effetti stento ancora a crederci. Io, morto…Il duello mi sembra così lontano! E adesso dovrò restare qui…

- Finché non ti sentirai realizzato.- precisò Emily.

Mi guardò con dolcezza e notai quanto fosse straordinariamente bella nonostante il suo braccio scheletrico e la sua pelle bluastra. Tutti i curiosi si erano allontanati ed erano rimasti intorno a me solo quelli che si erano presentati. Alfred chiese:

- Giovanotto, perché non ci racconti la tua storia?

Lo guardai con occhi sgranati:

- La mia storia? Cioè come sono arrivato qui?

L’uomo fece cenno di sì con la testa e diede un paio di boccate alla sua pipa. Non sapevo se ero pronto a raccontare tutto a quei perfetti estranei, e poi mi faceva male pensare al fatto che ero morto e avevo abbandonato tutto ciò che mi apparteneva. Interpretarono giustamente il mio silenzio, tant’è che la signora Plum esclamò:

- Ma è appena arrivato poverino, chissà come è sconvolto…Forse vorrà sapere piuttosto qualcosa in più su di noi!

Bonejangles fece roteare l’occhio nell’altra orbita esclamando:

- Ottima idea! Questa sarà la Giornata del Racconto! Ognuno di noi racconterà la sua esperienza, come e perché è arrivato qui! Che ne dite?

Ci fu un coro generale di fantastico, e vedendoli tutti ansiosi di raccontare mi incuriosii e non mi sentii più in imbarazzo per essere il nuovo arrivato. Qualcosa mi diceva che le storie che mi apprestavo ad ascoltare sarebbero state molto interessanti. E chissà, forse alla fine avrei trovato il coraggio di raccontare la mia.

Ognuno prese una sedia e si sistemarono intorno a me, mentre Paul si limitò ad avvicinarsi sul bancone. Chi sarebbe stato il primo?

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E' solo un piccolo spunto che mi è venuto oggi pomeriggio...Spero che l'idea vi piaccia, e se siete curiosi di conoscere le storie di tutti i personaggi continuate a leggere! Aspetto vostri commenti per pubblicare i capitoli successivi! ^_^

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Capitolo 2
*** La signora Plum ***


 

Prese la parola la signora Plum, senza aspettare che qualcuno si proponesse per primo.

 

 

È stato molto tempo fa, non so quanti anni. Ero la cuoca nelle cucine di Lady Wanderhood, una nobildonna del villaggio. Ero al servizio della signora da quando avevo diciassette anni, e mia madre l’aveva servita prima di me. Quando Lady Wanderhood ci accolse in casa sua avevo solo sei anni, e mia madre iniziò a lavorare come donna delle pulizie. Alla sua morte la padrona pretese che io prendessi il suo posto, ma dal momento che avevo passato tutta la mia infanzia nelle cucine ad ammirare il lavoro degli chef non ero buona a nulla, e la casa restava più sporca di prima. Una sola cosa sapevo fare: cucinare. La nobildonna fu costretta ad assegnarmi il ruolo di cuoca. All’inizio lavoravo supervisionata dal capo chef, Mister Hope, ma quando imparai tutti i segreti del mestiere e il mio maestro ormai vecchio si ritirò divenni io la padrona della cucina. Lady Wanderhood amava i miei piatti e non poteva essere più soddisfatta. Sì, posso dire che in vita mia non ho conosciuto altro che la cucina: non mi era quasi mai permesso di uscire, mentre io avrei voluto trovare marito o incontrare qualche bel gentiluomo. Al servizio della signora ho conosciuto i miei due compagni chef, che tuttora lavorano qui con me. Siamo morti tutti insieme, per una tragica disgrazia.

Passarono gli anni. Era un inverno freddissimo e la signora non usciva mai, riposava sempre nel suo salotto, di fronte al fuoco. Una sera bussarono violentemente alla porta e quando il maggiordomo andò ad aprire entrò nel vestibolo un uomo alto e composto dai folti riccioli castani. La signora lo conosceva e gli corse incontro sorpresa. Venni a sapere che era suo cugino, Lord Alcott, che non vedeva da anni. Cucinai come una matta per il suo arrivo inatteso, e la padrona sembrava molto nervosa: si era chiusa con lui nello studio ed erano rimasti a parlare per ore. Il padre di Lord Alcott, nonché zio della signora, era morto di polmonite due settimane prima lasciando metà dei suoi beni al figlio e l’altra metà alla sua unica nipote. Lady Wanderhood si trovò così estremamente ricca e a quanto pareva lo era anche il cugino, eppure egli insisté per alloggiare presso di lei finché non avesse sistemato suoi affari e le proprietà che il padre gli aveva lasciato. Come potevamo immaginare! Nelle settimane successive, per quanto Lord Alcott tentasse di rimanere solo con la signora non vi riusciva: era sempre accompagnata dalla sua dama di compagnia, vecchia amica di mia madre. Se solo avessi sospettato che lezione gli avrei dato! Ma il signore sembrava incarnare in sé tutte le più oneste qualità, e mi aveva affascinata dal momento che faceva spesso visite in cucina, apparentemente interessato al nostro lavoro. Lady Wanderhood non era nemmeno mai entrata nella sua stessa cucina, così il cugino mi sembrava straordinariamente educato.

Arrivò il compleanno della padrona che ordinò una cena sfarzosa, sebbene banchettassero solo lei e il signore. Ricordo ancora il menu: il piatto principale era una zuppa molto particolare, una delle più raffinate del mio libro di cucina. Lord Alcott era venuto a informarsi quel pomeriggio dei piatti che avremmo servito.

- Desiderate qualcosa in particolare?- chiesi.

- No, grazie signora Plum. Trovo che la zuppa sia perfetta, e poi col freddo che fa!- rispose lui galantemente.

Rimase a guardarsi intorno per un po’, poi mi chiese furtivo:

- Voi cuochi non uscite mai?

- No- sospirai- proprio mai. Solo quando andiamo al mercato, ma la signora ci dà solo un’ora. Ordine di madame.

Sorrise, o almeno così interpretai quello che pensandoci adesso era un ghigno:

- Peccato…So che proprio oggi hanno allestito in piazza uno spettacolo. Pensavo che vi sarebbe piaciuto andarci.

Mi voltai verso di lui mentre affettavo il sedano:

- Oh, davvero signore, cosa darei per distrarmi un po’!

L’uomo si avvicinò e mi sussurrò:

- Beh, perché non andate? Non lo dirò a mia cugina, solo un’oretta. Vi copro io, non lo saprà nessuno.

- No! Io…Non potrei mai! E la cena? Chi preparerà la cena?- esclamai scandalizzata.

- Vedo- rispose lui guardando le pentole- che siete già a buon punto…Anzi, direi che siete in anticipo. Lasciate la zuppa sul fuoco, se sentirò che si sta bruciando la toglierò io. Tutto il resto è da consumarsi freddo, e voi avete quasi finito. Riprenderete in tempo appena tornerete, e la zuppa sarà pronta da servire. Ve lo meritate!

Mi guardava con occhi talmente convinti e persuasivi che, incerta, guardai la zuppa, poi però dissi:

- E va bene, mi avete convinto.

L’uomo mi diede una pacca sulla spalla e in quel momento mi sentii veramente felice. Proposi ai miei due compagni di seguirmi e ci divertimmo un sacco. Sono stata un’irresponsabile, una stupida irresponsabile! Siamo tornati quasi due ore dopo e la cucina era vuota. Ma nessuno si era accorto della nostra assenza, Lord Alcott aveva mantenuto la promessa. Aveva tolto la zuppa dal fuoco ma era ancora calda, pronta per essere servita. Eppure, da brava cuoca, volli assaggiarla per sentire se era insipida. Aveva uno strano sapore amarognolo, così chiesi ai miei due compagni di assaggiarla e dirmi che cosa ne pensavano. Anche a loro sembrava strana, ma era l’ora di cena e la padrona aspettava. Mentre servivamo la zuppa mi prese un dolore acutissimo allo stomaco. Cercai di non dimostrarlo ma divenne così insopportabile che caddi a terra gemendo. La signora si spaventò e in poco tempo anche i miei due compagni erano a terra. Capii subito di cosa si trattava: veleno. Ed era stato lui, lui che ci guardava rantolare senza capire perché era successo a noi. I suoi piani erano andati storti! Aveva messo nella zuppa un veleno letale, ed era bastato un cucchiaio a colpirmi mortalmente. Morimmo lì, tutti e tre. Lady Wanderhood capì che non poteva essere stato che il cugino e non osò toccare la pietanza; lo fece arrestare per tentato omicidio: non era affatto ricco, o almeno, lo era prima di sperperare tutta la sua parte di eredità al gioco. Poi, disperato, si era appellato all’unica persona che aveva ereditato l’altra metà, la cugina, e aveva progettato di ucciderla per prendersi legalmente il denaro. L’unico modo per arrivare a lei era il cibo, per questo gironzolava intorno alle cucine, e quale occasione migliore se non la zuppa del suo compleanno? Era bastato farci allontanare per un momento, aveva messo il veleno nella zuppa e aveva aspettato che la servissero. Non poteva sospettare che l’avrei riassaggiata. Così sono morta, io che con quell’intrigo proprio non avevo nulla a che fare.

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Ringrazio per la recensione Gaea...Anche io amo molto Burton, chissà se abbiamo pensato più o meno le stesse storie!

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Capitolo 3
*** Generale Bonesapart ***


 

La signora Plum concluse sistemandosi il grembiule:

 - Quando sono arrivata qui Bonejangles mi ha preso con sé, ci ha presi tutti con sé, e siamo diventati i cuochi della locanda.

Rimasi in silenzio a ripensare alla sua storia, ma gli altri non sembravano tristi, in fondo l’avevano ascoltata già tante volte. La donna notò la mia espressione ed esclamò allegra:

 

 

- Suvvia ragazzo non fare quella faccia, vedi che sto benissimo?

Abbozzai un sorriso e capii che in fondo aveva ragione. Bonejangles disse allegro:

- Tutti si muore, prima o poi. Inutile arrabbiarsi, in un modo o nell’altro ci caschiamo tutti.

- Sacrosante parole!- esclamò il generale Bonesapart di fronte a me.

Era estremamente basso, ma un piccoletto molto energico: indossava una divisa da militare blu con un ampio cappello che dimostrava la sua passata carica nell’esercito. Piantata nel mezzo al torace aveva una sciabola arrugginita che si sfilò all’improvviso con un sonoro swishhh. Mentre la esaminava cominciò a raccontare.

 

Ero al servizio dell’Imperatore quando sono morto. Ero stato nominato generale e ne andavo molto fiero. Non solo ero il più abile con la spada, ma tutti dicevano che avevo il potere di incoraggiare i miei soldati e spingerli alla battaglia come nessun altro, l’Imperatore in persona era colpito dal mio talento. Certo non ero un generale imponente, ma questo non mi ha mai fermato, anzi, ero incoraggiato dal pensiero del mio superiore, anche lui delle mie dimensioni, e lo prendevo ad esempio.

Eravamo in piena guerra e le truppe dell’Imperatore sembravano averci abbandonato; più volte gli avevo scritto che avevamo bisogno di rinforzi e che se fossimo stati colpiti all’improvviso forse non avremmo resistito. Non fraintendetemi, eravamo forti e preparati, ma avevamo perso molti dei nostri a causa di un’epidemia e nonostante i pochi rimasti fossero guerrieri valorosi non avrebbero potuto nulla contro l’armata nemica. Oltretutto eravamo appostati a nord da un mese, secondo i piani dell’Imperatore, aspettando che ci raggiungessero i rinforzi per attaccare la valle nemica. Rinforzi che, come ho detto, non arrivarono. Ma non ne do la colpa al mio comandante: non ci avrebbe abbandonati, credo invece che le mie lettere siano state intercettate.

Non sapevo cosa fare, se attaccare senza l’Imperatore rispettando però la data stabilita o aspettarlo e rischiare di essere attaccati per primi. In entrambi i casi c’erano poche probabilità di vittoria dato il nostro esiguo numero.

Un giorno me ne stavo nella mia tenda a studiare per l’ennesima volta la topografia del luogo quando entrò il mio secondo in comando.

- Signore, vorrei parlarvi.- mi disse.

Alzai gli occhi dalla cartina, occhi sconsolati, e gli feci cenno di avvicinarsi. Obbedì e mi chiese:

A- vete in mente un piano?

- Niente di nuovo Chalumont. Ogni volta che sono sul punto di prendere una decisione mi vengono dei ripensamenti. Credo…Credo che aspettare l’Imperatore sia la cosa migliore.- risposi sospirando.

Chalumont mi guardò severo:

- Diciamoci la verità comandante, lui non verrà. Sarebbe venuto dieci giorni fa, quando gli avete scritto per la terza volta. Ora è tardi…E i nemici sono vicini.

Mi alzai e cominciai a fare su e giù come quando qualcosa di importante mi ronzava in testa:

- Quindi mi state proponendo di attaccare…

- Sì, lo ammetto. Credo che la cosa migliore sia servire l’impero tentando la sorte. Siamo pochi, ma siamo forti. E abbiamo voi!- esclamò.

Mi dondolai sulle punte dei piedi assorto. Non era certo il coraggio che mi mancava.

- Però- continuò Chalumont- è molto rischioso, questo è vero…Io vi ho solo esposto il mio punto di vista. Sono disposto alla morte pur di attaccare.

Lo fissai:

- Non ci faremo cogliere di sorpresa, basta!

Era una decisione dura, e il fatto che in un certo senso Chalumont l’avesse presa al posto mio mi aveva dato coraggio: non stavo tradendo la mia patria, cercavo di lottare per lei! Attaccammo due giorni dopo, cogliendo la truppa nemica alla sprovvista. La lotta avvenne nella pianura vicina, ma come avevo previsto i nostri erano troppo pochi. Uccidemmo nemici e perdemmo molti uomini valorosi. Chalumont morì quasi subito, cadendo da cavallo che un nemico aveva colpito a sciabolate. Quando cadde anche il mio cavallo combattei con tutte le mie forze. Miravo al comandante della truppa avversaria, ma quando mi avventai su di lui non fui abbastanza accorto e...zac!

 

In quel momento il generale Bonesapart si conficcò teatralmente la sciabola nel ventre, proprio dal punto da cui l’aveva rimossa prima. Ci fu un oh generale ed Emily fece una risatina nervosa.

 

Mi conficcò la spada in pieno petto. Sono morto all’istante, sul campo di battaglia. Come si addice ad un vero generale. Chiunque nella Terra dei Vivi ricorda il mio nome e le mie gesta, ed il nostro sacrificio ha permesso all’Imperatore di guadagnare tempo e sconfiggere definitivamente il nemico qualche settimana dopo.

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Ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite e LazioNelCuore 1711 e Gaea per le recensioni!

Per Gaea: grazie dei compliments, al contrario a me la prima persona risulta più facile della terza...E sono contenta che non sia pesante e che ti piaccia come scrivo! Grazie davvero delle tue recensioni! ^_^

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Capitolo 4
*** Paul ***


- E perché allora sei finito qui?- chiesi.

Bonesapart ridacchiò:

- Avrei voluto ucciderlo con le mie mani, il mio assassino! E vincere la battaglia. Aspetto ancora una mia occasione…

Il generale accanto a lui scosse la testa, pensando probabilmente che il suo amico fosse un vanitoso egocentrico.

- Visto che siamo in tema francese- cominciò Paul- racconterò la mia storia!

- Davvero Paul tu sei francese???- chiese Bonejangles ironico, con falsa sorpresa.

Il capocameriere lo guardò male, ma tentò di ignorarlo.

Sono nato a Rouen, in Francia. I miei genitori erano di nobile origine ma sono andati presto sul lastrico e siamo dovuti traslocare in Inghilterra a cercare fortuna. All’epoca avevo diciannove anni ed anche se sapevo di essere povero ho sempre cercato di mantenere una certa nobiltà nel parlare e nell’atteggiarmi. Devo ammettere che questo tratto mi è rimasto e mi ha accompagnato per tutta la vita. La mia abilità e l’inclinazione all’ordine e alle buone maniere mi hanno fatto guadagnare il ruolo di capocameriere in una locanda d’alto borgo in un paesino vicino a Londra.

Erano passati più di quindici anni dal mio arrivo in Inghilterra, e da dieci ero diventato capocameriere dopo una lunga gavetta nelle cucine. Ricordo benissimo la serata in cui cominciarono e finirono tutti i miei guai: il locale era gremito di gente tant’è che faticavo a passare da un tavolo all’altro e avevo decisamente i nervi a fior di pelle. Avevo preso un’ordinazione al tavolo più isolato di tutta la stanza e i due commensali non avevano ancora toccato cibo da quando gliel’avevo portato spingendomi a fatica tra la folla. L’avevo notato ma con tutto il lavoro che c’era da fare – immaginatevi dover dirigere dieci camerieri incompetenti e quindi poter contare solo su me stesso – non avevo avuto tempo di chiedere ai signori se qualcosa non andava. Erano due gentiluomini distinti ma molto cupi: uno era basso e tozzo e portava una bombetta grigia fumando un sigaro, l’altro indossava giacca e panciotto che spuntavano dal lungo pastrano nero; il primo era perfettamente rasato mentre il secondo aveva due buffi baffi biondi. Dovevano essere senz’altro due nobili lord. Mentre gridavo al mio sottoposto Fred di correre in cucina per l’ordine del tavolo sei un gentiluomo mi spinse accidentalmente e, in mancanza d’altro, mi aggrappai al vassoio che avevo appena servito a una signora. Questa gridò scandalizzata mentre mi proferivo in scuse e cercavo di asciugarmi il polsino della camicia. Cominciavo a vedere tutto rosso, quando all’improvviso si avvicinò Tobias, uno dei camerieri:

- Signor Paul, devo parlarvi…

- Tobias, non vedi che ho da fare? Non è la serata adatta per le confessioni…Guarda che disastro, anzi, di’ a quel rammollito di Spencer che si dia una mossa a pulire tutto!

- No, non avete capito…Vengo dal tavolo venti…

- I due gentiluomini? Li ho serviti già io, che cosa desiderano?

Tobias mi guardò intimorito, poi rispose:

- Ecco…Ho visto che non hanno toccato la loro bistecca ed ho sentito alcuni loro discorsi, anche se non stavano proprio gridando.

- Meno dissertazioni filosofiche e più chiacchiere!

- Uno di loro ha detto "È una vergogna, è completamente bruciata…E hanno la fama di essere i migliori?" e l’altro ha ribattuto "Adesso basta, prendiamo in mano noi la situazione…Domani torniamo e gliela facciamo vedere!". Parole testuali.

Se già ero di cattivo umore m’infuriai: dopo tutta la fatica che avevo fatto per servire quel tavolo i due gentiluomini si lamentavano di una bistecca perfetta? Ne avevo piene le tasche di nobili lord spocchiosi, così mi avviai a grandi passi verso i due, incurante di Tobias che gridava di fermarmi e della folla che mi spingeva dalla parte opposta. Arrivai di fronte al tavolo e i due mi guardarono sospettosi.

- Credete che non vi abbia sentito, monsieurs?

- Come, scusate?- chiese quello alto.

Continuai come una furia, agitando le mani:

- Ho sentito tutto, miei cari! Bruciata, avete detto? Oh, sarà anche possibile, ma che torniate addirittura domani a farla pagare a quel pover’uomo proprio no! Ve lo impedirò…

Con pover’uomo mi riferivo al cuoco del locale, un vecchio un po’ sordo a cui mancava il mignolo sinistro - incidente culinario - ma dio della cucina. Inoltre avevo visto la bistecca e non mi sembrava affatto bruciata. Chi erano quei due per andarsi a lamentare? L’ometto basso sogghignò, ma notai che era nervoso:

- Voi non sapete di che parlate…

- Vi ripeto che ho sentito ogni cosa.

- Possibile che…?- cominciò quello alto, poi scambiò un’occhiata col compagno e si zittì.

Entrambi si alzarono improvvisamente ansiosi di togliere il disturbo, e pagandomi personalmente la consumazione dissero:

- Se credete di poter fare il furbo vi sbagliate di grosso…Non finisce qui.

Uscirono lasciandomi amareggiato e confuso. Perlomeno se n’erano andati! Tornai al lavoro sotto lo sguardo indagatore di Tobias. Il locale si svuotò solo alle due di notte; rimasi a ripulire la stanza aiutato dai miei sottoposti, i quali dopo un’oretta se ne andarono in cucina a beneficiare degli avanzi della serata. Era trascorsa mezz’ora da quando avevo iniziato a spazzare nella più completa solitudine quando sentii la porta del locale aprirsi e mi voltai esclamando:

- Il locale è chiuso!

Rimasi ammutolito nel vedere i due gentiluomini della bistecca avanzare verso di me. Non c’era niente di amichevole nei loro sguardi.

- Signori- dissi con la voce che mi tremava- il locale apre di nuovo domani sera, se volete tornare a regolare il vostro conto.

L’uomo alto e baffuto sogghignò:

- Il conto lo regoliamo adesso francesino. Credevi che ti avremmo lasciato scappare per spifferare tutto? No, non vedrai l’alba di domani per correre ad avvertire il tuo amichetto…

Per un attimo pensai che il cuoco fosse in guai seri, poi vidi i due uomini tirare fuori due coltellacci e saltarmi addosso. Non riuscii ad emettere alcun grido, i due furono più veloci e mentre uno mi teneva stretto e mi tappava la bocca l’altro mi sgozzò. Caddi a terra, sentivo freddo e forse era il mio sangue. Tuttavia ero ancora vivo, e l’ultima cosa che sentii fu l’ometto grasso dire:

- Così impara a perdere la testa di fronte a tutti…

Il colpo del coltellaccio fu secco e mi finì: avevo la testa recisa dal corpo.

Non credo che i miei sottoposti trovarono mai i colpevoli: probabilmente sentirono dei rumori e accorsero, ma troppo tardi. Devono essere rimasti sconvolti nel vedermi là a terra, decapitato e sanguinante. Volete sapere la verità? Io l’ho conosciuta solo una volta giunto qui: è stata tutta colpa, come al solito oserei dire, di quel Tobias. Se quel disgraziato ragazzo non fosse stato così avventato non avrebbe frainteso le parole di quei due loschi individui. Be’, ammetto che anch’io sono stato troppo precipitoso e non avrei dovuto gridare in quel modo. I miei assassini erano sì due nobiluomini, ma nascondevano un passato di ex forzati, fatto che ovviamente avevano tentato di tenere nascosto durante la loro ascesa all’alta società, dal momento che erano evasi e avevano cambiato nome per non farsi mai più ritrovare. Malandrini della peggior specie! Ma lord Backingsley, altro nobiluomo, li aveva scoperti e credo li stesse ricattando: denaro contro la promessa di non svelare niente alla polizia. Foll e Mable, così si chiamavano, avevano assoldato due sicari per mettere a tacere il lord, credendo di aver trovato i migliori assassini sul mercato. Ma a quanto pare si sbagliavano ed avevano assoldato due dilettanti che diedero fuoco alla casa di Backingsley quando lui era a spasso da tutt’altra parte. Il lord aveva capito che dietro alla disgrazia c’erano i due ricattati, ecco perché i malviventi avevano detto " È una vergogna, è completamente bruciata…E hanno la fama di essere i migliori?": al tavolo stavano parlando dei loro loschi affari, non certo del cibo che per la tensione non erano riusciti a toccare. E la frase "Adesso basta, prendiamo in mano noi la situazione…Domani torniamo e gliela facciamo vedere!" non era certo riferita al nostro chef ma a Backingsley, che avevano deciso di uccidere di persona. Quello stupido di Tobias aveva frainteso tutto, e io sono piombato sul più bello nella conversazione dei due malviventi. Credevano che li avessi scoperti e avessi origliato tutti i loro piani, temevano che avrei avvertito Lord Backingsley o le autorità, così quella notte tornarono e mi uccisero per farmi tacere. Se solo avessero saputo quanto poco sapevo io di tutta quella storia…Credo che alla fine ce l’abbiano fatta, e a quest’ora saranno lontani con un bel gruzzoletto e la morte del nobiluomo sulla coscienza…Non credo neppure che si chiamino più Foll e Mable.

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Capitolo 5
*** Generale Cannonball ***


- Caspita...- Emily si massaggiò il collo con aria contrita.
- Già, davvero una brutta morte!- commentò Alfred.
Paul guardò in alto in quella che, se le avesse avute, credo sarebbe stata un'alzata di spalle:
- No, non più brutta delle vostre. In fondo non ho sentito male, e ora sono abituato ad essere una testa.
Uno dei due generali, stavolta quello alto e con un enorme foro nel petto, si fece avanti:
- Beh, dato che abbiamo raccontato storie francesi direi di tornare un po' in patria col mio racconto.
Si voltò verso di me:
- Come vi ho già detto io sono il generale Cannonball, al servizio di Sua Maestà.
Fu così che cominciò a raccontare.
 
Mi trovavo in patria, generale delle truppe a servizio del Re e della Regina, il giorno in cui sono morto. Da mesi la guerra andava avanti e molte truppe erano cadute sotto le armi del nemico. Sapevamo che si stava avvicinando una sanguinosa battaglia ma non avevamo paura: i sovrani confidavano in me e anche i miei soldati sapevano che ero un ottimo generale.
La lotta durò per tre giorni e tre notti, e all'alba del quarto giorno fummo più che sollevati nel vedere che tra le truppe nemiche sventolava un'enorme bandiera bianca. Sapevamo cosa sarebbe accaduto: il codice militare prevedeva che i generali dei due eserciti si ritirassero in un convegno pacifico e stabilissero le condizioni di pace e cosa la resa del perdente avrebbe comportato. Vidi che le truppe nemiche si ritiravano e, scortato da una decina di uomini, avanzai verso la tenda del generale nemico. Sapevo che era un uomo astuto e assetato di gloria, un condottiero spietato che sapeva bene ciò che voleva, e la sua resa mi aveva stupito non poco. Tuttavia avevamo ricevuto da poco la notizia che altri plotoni reali avevano sconfitto i nemici a nord e a ovest, quindi di fatto il loro era l'ultimo esercito rimasto e anche se ci avessero vinti quel giorno avrebbero dovuto affrontare altre truppe inglesi. Di certo la notizia era arrivata anche a lui e, da bravo comandante, aveva riconosciuto l'impossibilità di una vittoria e l'inutile sacrificio dei suoi. Prima di entrare nella sua tenda ordinai ai miei uomini di aspettarmi fuori e di stare pronti a un possibile attacco a tradimento.
Quando entrai lo trovai seduto al tavolo, di fronte la mappa del luogo e l'uniforme sgualcita. Accanto a lui un ometto basso che, mi spiegò, avrebbe fatto da interprete conoscendo sia l'inglese che la loro lingua.
- Generale Cannonball.- mi tese la mano il generale.
Ricambiai il saluto deciso a non prolungare oltre assurdi convenevoli:
- Vi arrendete dunque?
- Sì, ci arrendiamo. Abbiamo ricevuto la notizia che le vostre truppe hanno sconfitto i nostri a Boumsboury e a St Ogg's. Il generale Martinez è stato ucciso, Ustega ci raggiungerà il prima possibile dall'ovest con i superstiti.
- Saprete bene che la resa comporterà l'abbandono immediato del suolo britannico da parte delle vostre truppe e molte retribuzioni in oro.
- Certamente.
Mi sedetti e così fecero il generale e l'interprete. Tirati fuori i documenti necessari stabilimmo cosa il loro paese avrebbe dovuto cedere alla Gran Bretagna, e le mie condizioni gli parvero stranamente ragionevoli.
- Sono un uomo che capisce quando è stato sconfitto.- disse amaramente fissandomi negli occhi.
- Apprezzo la vostra lealtà.- dissi congedandomi.
Ovviamente la questione non era finita con un semplice documento: Sua Maestà avrebbe dovuto mettersi in contatto con lo stato nemico. Pensavo all'ottima riuscita della battaglia mentre rientravo tra le mie truppe con un sorriso di trionfo.
Un soldato mi chiese:
- Quali sono gli ordini generale?
- Torneremo a Londra il prima possibile. Devo parlare con Sua Maestà e--
Non feci in tempo a finire la frase. Un forte sibilo fendé l'aria e improvvisamente un dolore lancinante mi colse al petto. Era una sensazione mai provata, qualcosa di lancinante che mi tolse il respiro: una palla di cannone mi aveva centrato in pieno petto e aveva poi distrutto il carro dei viveri di fronte a me. Mi accasciai a terra e morii all'istante, mentre nelle orecchie mi rimbombava l'urlo del generale nemico:
- MAI!
Sono stato un ingenuo. Quell'uomo non avrebbe mai accettato una sconfitta, mai si sarebbe arreso. Mi aveva colto alle spalle per beffarsi di me, dopo il colloquio che avevamo avuto. Voleva strappare ai miei soldati la loro amata guida, per confonderli e riattaccare subito. Che vigliacco! Mentre i miei uomini gridavano terrorizzati cercando di soccorrermi le truppe nemiche attaccarono, ma i nostri seppero dimenticare per un attimo la mia morte e controbattere egregiamente. Vinsero la battaglia, e avrei voluto tanto essere con loro.
Mi seppellirono nel paese in cui ero nato, come avrei sempre voluto, ma il mio rimpianto è sempre quello di non aver potuto incitare i miei uomini fino all'ultimo, per aver creduto nella lealtà di un nemico spietato.



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Sì, sono un'autrice imperdonabile. Quanti anni sono che non aggiorno? Due? Però vi prego davvero di scusarmi, se mai siete rimasti con me. Questa storia era andata avanti, prima che il mio hardisk si rompesse trascinandola negli abissi del nulla. Dopo questo lutto non sono riuscita a ritrovare l'ispirazione, o anche solo la voglia di riscrivere ciò che avevo scritto. Ma adesso, dopo tutto questo tempo, ho deciso che questa raccolta doveva essere finita! E, forse forse, mi è tornata l'ispirazione. Quindi spero continuiate a leggere e a seguirmi, e ancora scusa! Mi farò perdonare con i prossimi racconti, che spero vi appassionino!
Ele

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Capitolo 6
*** Bonejangles ***


- Mi dispiace per voi generale!- dissi allo scheletro.
Ethel sospirò:
- Sì, va bene, ma è la seconda storia su un campo di battaglia che ascoltiamo! Non sarebbe meglio variare? Questo giovanotto vorrà sentire qualcosa di un po' più fantasioso di un generale che si dispera per una vittoria mancata...
Bonesapart intervenne ironico:
- Scusa se non siamo morti in modo più originale!
- E poi non c'è morte più onorevole e interessante di quella su un campo di battaglia!- disse scocciato Cannonball.
Bonejangles mi circondò le spalle con un braccio esclamando:
- Beh, se il ragazzo vuole qualcosa di diverso credo che adorerà la mia storia!
Paul sbuffò:
- Credi sempre che sia la migliore!
- No, quella di Emily è la migliore.- disse Bonejangles incrociando le braccia.
La sposa ridacchiò:
- Beh, grazie.
Lo scheletro si aggiustò la bombetta:
- Ad ogni modo...
 
Sin da bambino ho odiato il grigiume e la tristezza che regnavano nel mondo di sopra. Immaginavo un mondo pieno di colori, di gioia, di risate, di vita! Ma soprattutto di musica...Adoravo la musica, ma la mia famiglia non poteva permettersi un insegnante privato. Da bambino andavo a orecchio, costruivo pseudo-strumenti con tutto ciò che trovavo e cantavo durante le mie passeggiate in solitudine, ma avevo bisogno di vera musica. Quando compii vent'anni me ne andai dal mio paese e arrivai a Londra. Era tutto un altro mondo! Sì, anche lì regnava il grigiume, ma era solo uno strato esterno di quella società così multiforme! Scoprii nei vicoli e nei locali più nascosti che cos'era la vera musica e cosa significava far baldoria! Imparai a suonare il piano e affinai la mia voce, quel nuovo mondo mi attirò come un vortice e mi trattenne nella grande città per cinque anni. Mi esibivo per strada e a volte in qualche bettola, e coi soldi guadagnati compravo spartiti. Quando arrivai a comporre da solo capii di essere arrivato ad un livello tale da poter permettermi di tornare al mio paese, e portare lì la musica e l'allegria. Tornai da Londra molto cambiato: se prima ero un ragazzino esuberante, i miei genitori passarono notti insonni dopo avermi visto tornare come un artista visionario e decisamente anticonvenzionale. Mi supplicavano di atteggiarmi come tutti gli altri giovani, di trovarmi un'occupazione che mi distogliesse dall'assurda passione per la musica, ma io e i miei vecchi parlavamo ormai lingue diverse e venivamo da epoche diverse. Quando dissi loro che volevo aprire un pub in paese ed esibirmi sulle note delle canzoni da me scritte dissero che avrei potuto farlo solo se mi fossi pagato tutto da solo. Fu così che passai altri quattro anni a lavorare nella macelleria di famiglia, sognando di acquistare e restaurare un vecchio edificio appena fuori dal paese. Quando ebbi per le mani il denaro necessario comprai il locale e cominciai a risistemarlo con l'aiuto di alcuni amici che ero riuscito a influenzare con i miei ideali bohemien. Scrissi ad alcuni musicisti che avevo conosciuto a Londra e vennero a stabilirsi in un paese vicino e lavorarono per me. Il pub ebbe un incredibile successo e ben presto arrivarono clienti da tutte le contee. Stavo finalmente portando il colore, la musica! Cantavo le mie canzoni, ero adorato da tutti, il palco mi dava un'adrenalina pazzesca! Per la prima volta mi sentivo davvero al settimo cielo, avevo trovato la mia strada.
Tutti i miei guai sono stati causati dall'ultimo fattore che mai mi sarei potuto immaginare. A Londra avevo conosciuto una certa Bessie, una donnetta di malaffare che frequentava i pub dove avevo imparato a suonare e a cui ero subito piaciuto. Furono alcuni miei amici musicisti a presentarmela, dicendo che un'oretta con lei mi avrebbe soddisfatto quanto dell'ottima musica, e in effetti dopo averla provata una volta tornai da lei ancora e ancora. Le piacevo, mi piaceva, e ormai i nostri incontri erano abbastanza frequenti. Quando chiamai a lavorare per me quei miei amici musicisti si trasferì anche Bessie, e i nostri incontri ricominciarono. Era una civetta, ridacchiava per ogni sciocchezza ed era parecchio permalosa, ma aveva delle gambe da paura. In ogni caso, quando il pub iniziò ad avere successo e potei finalmente cantare sul palco mi resi conto che forse era giunto il momento di cercarmi una moglie, una donna che mi aiutasse nel gestire il pub e con la quale formare una famiglia. Ci stavo giusto pensando dopo uno dei miei abituali incontri con Bessie.
- Honey, potrei abituarmi a questi rendez-vous.- disse ridendo e rivestendosi.
- Credevo ti fossi già abituata dopo tutto questo tempo.- commentai.
Sorrise e si stiracchiò:
- Beh, ma ora le cose cambieranno, no? Il pub va a gonfie vele, hai successo...Non sei più un ragazzo che strimpella il piano in qualche buco di Londra.
Non capii dove volesse arrivare, o forse non volevo capirlo. Prima di andarsene concluse ammiccando:
- Non mi dispiacerebbe diventare la padrona di questo posto.
La sentii ridere mentre si allontanava. Capii che dovevo fermare quella faccenda prima che fosse troppo tardi. Sì, mi piaceva la compagnia di Bessie e ci eravamo divertiti insieme, ma lei era solo un'ochetta di facili costumi e io, appunto, non ero più un ragazzino in cerca di divertimenti nei vicoli di Londra. Volevo avviare una vera attività, volevo una famiglia con una donna che amavo.
Quando glielo dissi Bessie non la prese bene. Fece una scenata davanti a tutti i miei amici e mi schiaffeggiò. Mi accusò di averla trattata come una prostituta, e quando le feci notare che quello era in fondo il suo mestiere e mai le avevo promesso niente di più, si avviò verso la porta. Non pianse, non ne era capace perché non era affatto innamorata di me: era l'umiliazione, la scoperta che non avrebbe raggiunto il successo, il sentimento che le bruciava dentro. Perciò mi fissò con occhi aridi e furenti:
- La pagherai cara!
Lì per lì mi ci feci una risata e non ci pensai. Bessie era sempre stata una ragazza permalosa e incline al melodramma, pensavo che se ne sarebbe fatta una ragione. Avevo ben altri problemi: se il pub era pieno di clienti di passaggio, d'altronde non ero riuscito a portare la musica nel mio paese. Nessuno dei miei compaesani era mai venuto ad ascoltarmi cantare e a bersi qualcosa, nessuno ancora sorrideva. Decisi che mai mi sarei sentito soddisfatto finché non avessi portato colore e allegria dovunque, così indissi un grande spettacolo.
La sera prima del grande giorno rimasi da solo al pub per provare qualche canzone. Ero sul retro quando sentii uno strano odore e il rumore di qualcosa che si fracassava. Corsi nel salone principale e rimasi pietrificato: tutto stava andando a fuoco, alte fiamme sinuose lambivano le colonne e il soffitto dalle travi di legno stava cedendo. Tossii per la grande quantità di fumo e, prima di mettermi in salvo, pensai agli spartiti che erano rimasti sul pianoforte. Corsi a prenderli e mi avviai verso l'uscita...Non avrei dovuto farlo. Una trave di legno cadde e mi bloccò a terra. Urlai dal forte dolore: mi ero fratturato il perone. Con la trave a bloccarmi la gamba non riuscivo neanche a strisciare verso l'uscita. Chiamai aiuto ma inutilmente. Altre due travi caddero di fronte a me, bloccandomi la vista della porta e per fortuna delle fiamme. Il dolore era lancinante e i polmoni mi scoppiavano dal forte urlare. Il fumo divenne insopportabile e dopo minuti di agonia sentii venirmi meno il respiro e svenni.
I soccorsi arrivarono troppo tardi: mi trascinarono fuori che ero già morto; non bruciai ma morii soffocato dal fumo. Il pub crollò e ne rimase ben poco. Tutti i miei sogni, le mie speranze di portare vita nel mortorio del mio paese svanirono tra quelle fiamme.
Sono certo che sia stata Bessie, ma non le porto rancore. Quella povera stupidella non voleva uccidermi, voleva solo farmela pagare bruciando il mio pub, non sapeva che c'ero dentro. Anzi, se penso che sono morto per aver offeso l'onore di una sgualdrinella mi viene da ridere!
Per fortuna arrivato qui ho potuto costruire un altro pub e ho trovato persone molto più vive dei miei compaesani, felici di far baldoria e di sentirmi cantare. Mi esibisco tutti i giorni e sono felicissimo, non potrei chiedere di meglio! Avrei voluto solo portare una ventata di gioia nel mondo di sopra, essere una rivelazione.


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Bonejangles è il mio personaggio preferito nel film, Emily a parte, quindi spero di averlo reso bene e soprattutto realistico anche in vita. Il prossimo capitolo sarà molto lungo, perché dedicato alla storia che più conosciamo, ma anche la più bella: quella della "sposa graziosa dell'Aldilà".  :)

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Capitolo 7
*** Emily ***



Bonejangles si stiracchiò sorridendo beffardo:
- E questo è quanto. Musicista fin nel midollo!
Era davvero un tipo incredibile. Ma ancora mi sorgeva un dubbio:
- E l'occhio l'avevi già perso?
Lo scheletro parve rianimarsi:
- Oh no! Quello è successo mooolto dopo! Ero già qui! A dir la verità è una storia curiosa...
- Non è il momento! Tocca agli altri adesso raccontare la propria morte, tu hai già avuto la tua occasione!- lo rimbeccò la signora Plum.
Alfred disse:
- Tocca alla nostra graziosa sposina adesso.
Guardai Emily, che probabilmente se fosse stata viva sarebbe arrossita. Doveva essere stata bellissima...Perché lo era ancora, in un modo strano. Era come vedere un mazzo di fiori secchi dal profumo intensissimo: una volta erano stati freschi e colorati, ma anche adesso avevano il loro fascino arcano.
- La storia della nostra piccola meriterebbe una vera e propria canzone! Sarebbe di grande effetto!- commentò Bonejangles.
- Come se non ci stessi già lavorando!- sbuffò il generale Cannonball.
L'altro aveva afferrato un foglio e stava scrivendo freneticamente:
- Che cosa fa rima con canna?
- Panna!- buttai lì per scherzare.
Bonejangles ci pensò su qualche secondo, poi si rimise a scrivere ringraziandomi.
Emily si aggiustò il vestito e con un sospiro si rivolse a me:
- Se siete un tipo romantico credo che troverete la mia storia di vostro gradimento...

La mia era la famiglia più nobile della città al tempo. Tutti rispettavano mio padre e amavano me e i miei fratelli. Dicevano che io fossi la fanciulla più bella di tutto il circondario, ero invidiata da molte e mio padre non faceva che tessere le mie lodi ad ogni ricevimento a cui si recava o che teneva in casa nostra.

Un giorno mia cugina si sposò e ovviamente tutta la famiglia era presente in chiesa per celebrare quel giorno felice. Ero seduta tra Lisbeth, mia sorella minore, e Thomas, il mio fratellino, perché a detta dei miei genitori dovevo dar loro il buon esempio durante un evento così solenne, quando notai uno sguardo fisso su di me. Voltai leggermente la testa e vidi seduto nella panca accanto alla mia un uomo elegantemente vestito, con un cappello in grembo e una giacca nera. Mi guardava, e non distolse lo sguardo quando si accorse che lo avevo visto. C'era qualcosa in quello sguardo, così fiero e così appassionato, che mi fece arrossire e voltare di scatto verso mia sorella. Ero stata guardata da molti uomini, giovani nobili perlopiù, ma mai nessuno mi aveva guardata in quel modo. C'era qualcosa di estremamente impudico in quello sguardo, non che io fossi una santarellina: sin da bambina esasperavo i miei genitori per la mia parlantina e i continui rifiuti di sottostare alle regole di casa. Crescendo avevo imparato ad essere aggraziata e obbediente, ma ancora amavo farmi notare ai ricevimenti interagendo con gli ospiti in modo forse troppo intraprendente, con un fare che mio padre riteneva "proprio ad un primogenito maschio, non ad una signorina". E nonostante rimproverasse spesso il mio carattere un po' esuberante mi aveva concesso lussi e possibilità che alle altre ragazze non erano concesse, come prendere lezioni di piano e di canto. Quindi devo ammettere che quello sguardo provocante mi sconquassò non poco, risvegliando in me la vanità che non avevo mai avuto occasione di provare se non da bambina. Uscita dalla chiesa vidi di nuovo quell'uomo, che se ne stava in disparte ma continuava a guardarmi e a sorridermi. Sembrava così diverso da tutti i giovani che avevo conosciuto! Così vivo, così pieno di ardore! Sentivo che era simile a me, che andava oltre il rigore e la serietà di tutti i gentiluomini dabbene. E non si era mosso, era il suo sguardo a parlare. Quella sera il ricevimento di matrimonio fu tenuto in casa nostra, e quale fu il mio stupore quando vidi entrare il bello sconosciuto! Non aveva preso parte al banchetto, nessuno pareva conoscerlo o salutarlo, ma al momento delle danze era lì, vicino alla porta. Si avvicinò a me e arrossii violentemente.
- La signorina Emily Peddington presumo.- disse baciandomi la mano.
Sentii che stavo diventando ancora più rossa, e non era da me.
- Sono io. Ma temo di dover ammettere che non conosco il vostro nome. - risposi.
Mi porse un biglietto da visita:
- Un lontano parente dello sposo, Barkis Bittern.
Sorrisi educatamente e gli chiesi perché non avesse partecipato al banchetto, evitando di fargli notare che non gli era stato riservato alcun posto.
- Mi sentivo poco bene dopo la cerimonia, ma adesso sento di essere in piena forma. Vi va di ballare?
Acconsentii quasi in sogno. Gli scuri capelli ondulati, il mento marcato, quella voce suadente mi avevano incantata totalmente. Volteggiammo senza che nessuno facesse molto caso a noi, dato che i novelli sposi stavano attirando tutte le attenzioni. Era molto tardi quando lasciammo la pista da ballo e, parlando del più e del meno, finimmo nel mio giardino. Era un uomo estremamente colto, aveva viaggiato moltissimo, conosciuto luoghi e persone di ogni tipo, e le sue idee sul mondo mi affascinavano. Non era noioso come tutti gli altri lord!
- Forse dovremmo tornare dentro...-accennai quando mi resi conto che eravamo soli, in un giardino immerso nell'oscurità.
Mi piaceva la sua compagnia, ma il mio cervello era tornato in funzione e mi rendevo conto che quella situazione era sconveniente. Barkis mi afferrò una mano facendomi arrossire. Mi stava di nuovo fissando in quel modo:
- Perché, Emily? Non è più bello stare qui, lontani da tutte quelle danze frenetiche e quelle conversazioni senza senso? Siete troppo brillante per sprecare una così bella serata tra quella gente.
Deglutii senza sapere cosa dire.
- Lord Barkis, io...
- Chiamatemi solo Barkis, ve ne prego. Io e voi siamo spiriti affini, lo sento. Mi è bastata una serata per capire quanto siate straordinaria. Già in chiesa non avevo potuto fare a meno di notare la vostra incredibile bellezza, ma siete molto, molto più che una donna incantevole.
Mi baciò la mano ancora una volta e la ritrassi confusa:
- Non posso!
Tornai nella sala mentre lo sentivo dire alle mie spalle:
- Vi prego, non vi offendete! Mi avete stregato completamente! Promettete almeno che ci rivedremo!
- Sì!- mi sfuggì dalla bocca mentre rientravo nel salone.
Come avevo potuto? Non lo conoscevo quasi! Eppure sentivo di amarlo. Quando raggiunsi gli altri dovevo avere un aspetto orribile. Mia sorella mi si avvicinò:
- Emily, che cos'hai? Sembri sul punto di svenire!
E forse lo ero. Borbottai qualche scusa e lasciai il ricevimento per chiudermi nella mia stanza. Il mio cuore già apparteneva a Barkis Bittern, che io lo volessi o no.

Nei giorni successivi Lord Barkis rimase sempre nei paraggi, non si allontanò mai veramente da casa nostra. Quando uscivo a passeggiare era lì dietro l'angolo, quando mi affacciavo al balcone era sotto la mia finestra. I miei genitori non si erano accorti di niente e, un giorno, ci incontrammo nella foresta subito fuori città. Fu lì che mi baciò per la prima volta, dicendomi che anche se ci conoscevamo da poco aveva capito di non poter amare nessun'altra donna se non me. Gli incontri si susseguirono finché anch'io dovetti ammettere di amare solo e soltanto lui. Sognavamo di sposarci e non vedevo l'ora che si presentasse ufficialmente a mio padre. Un giorno mi confessò che, sebbene lord, viveva nella miseria più assoluta, che la sua famiglia era decaduta, i suoi genitori erano morti da tempo e non aveva un soldo in tasca. Mi disse che non era affatto parente del marito di mia cugina, si era spacciato per tale solo per potermi incontrare dopo avermi vista per caso in chiesa. Mi ero innamorata di un forestiero, povero in canna, ma che mi amava come nessuno avrebbe potuto mai.
- Amore mio, spero che adesso non mi rifiuterai...Ti chiedo perdono per averti mentito quella sera, e per averti rivelato solo ora la verità. Ti amo moltissimo.- mi disse stringendomi le mani.
Sorrisi:
- Ti amo se non come prima, più di prima.
- Ma non posso darti quello che desideri...Come potrò prendermi cura di te quando non ho un soldo? Dove potremo vivere? A malapena posso pagarmi la locanda dove sto alloggiando!...Sono un miserabile, non merito di unirmi in matrimonio con una Peddington!
- Ma c'è la mia dote. Andrà a te quando ci sposeremo...Tu hai il tuo titolo, e avrai il mio denaro. Non è un problema.

Ma era un problema, eccome. Quando dissi a mio padre che volevo sposare Barkis, che lo amavo più di ogni altra cosa al mondo nonostante fosse povero, lui andò su tutte le furie. Disse che era scandaloso che frequentassi quel poco di buono, che di lui non sapevamo niente e che probabilmente non era neanche un vero lord. Disse che era una vergogna che una ragazza della mia levatura si unisse in matrimonio con un poveraccio, e, cosa peggiore, che probabilmente aveva solo adocchiato le nostre ricchezze e che avrebbe sperperato la mia dote.
- Non ti ama Emily- mi disse con durezza- non ti illudere su questo punto. Di lui non sai niente, è un forestiero comparso all'improvviso...Non puoi cedere il tuo cuore al primo disgraziato che fa leva sulla tua compassione e sul tuo sciocco e puerile romanticismo. Non permetterò che mia figlia sposi uno sconosciuto senza neanche un soldo in tasca. Questo è quanto, non parliamone più.
Gli gridai che era senza cuore, che non conosceva Barkis come lo conoscevo io e che avevo la più totale fiducia nel suo amore. Gli dissi che aveva perso il mio affetto di figlia e che impedendomi di rivederlo si era dimostrato meschino e crudele come mai avrei creduto. Fui molto dura ma lui non batté ciglio. Uscii di casa sbattendo la porta, mentre le governanti cercavano di richiamarmi indietro e lui rimaneva a fumare la pipa davanti al camino, più scosso di quanto non desse a vedere. Povero papà...

Andai alla locanda dove alloggiava Barkis e in lacrime gli dissi che mio padre non aveva acconsentito al matrimonio.
- Che cosa faremo adesso?- singhiozzai.
Barkis mi abbracciò:
- Me lo aspettavo. Non si fida di me, e non so come convincerlo della mia buona fede...Che sono al verde è tremendamente vero. Ma ti amo, e non rinuncerò a te! Fuggiremo.
Sollevai la testa e smisi di singhiozzare:
- Che cosa?
- Sì, fuggiremo dove tuo padre non ci troverà. Ci sposeremo in un'altra città e vivremo per sempre insieme! Nessuno ci dividerà mai, Emily, pensaci!
- E per i soldi come faremo?
- Hai dei gioielli? Qualcosa che puoi rivendere?
- Sì...Ho i gioielli dei miei nonni. So dove li tiene mia madre.
- Bene, ecco cosa faremo: fuggiremo stanotte. Tu prenderai i gioielli e li porterai con te, e mi aspetterai sotto l'albero del camposanto...Io arriverò alle tre, mi procurerò un cavallo e scapperemo verso Marlott.
- Dici davvero? Oh, Barkis, mi sembra impossibile!
- Vuoi farlo, Emily?
Ci pensai. Voleva dire lasciare i miei fratelli, i miei genitori...Ma pensai a mio padre, e all'amore che provavo per Barkis. Sì, era l'unica soluzione, non potevo separarmi da lui.
- Sì, voglio scappare con te.

Quella sera non cenai, mi chiusi nella mia stanza e aspettai che tutti fossero andati a letto. Lisbeth venne a darmi la buonanotte:
- Dormi bene Emily.
Mi baciò sulla guancia e io feci lo stesso con lei. In quel momento, mentre la abbracciavo, il mio cuore tentennò un attimo: per un istante temetti che non ce l'avrei fatta, pensai che era meglio non andare e rimanere nella casa che mi aveva amata sin dalla nascita. Guardai Lisbeth negli occhi e mi venne da piangere:
- Lisbeth...
- Tutto bene?
Feci un bel respiro e mi sforzai di sorridere:
- Certo. Fai bei sogni.
Mia sorella si ritirò nella sua stanza sorridendomi radiosa. Non l'avrei mai più rivista.
Quando nella casa piombò il silenzio aprii cautamente la porta della mia stanza e mi precipitai in soffitta. Tirai fuori dal baule il vecchio vestito da sposa di mia madre: era un po' sgualcito e puzzava, ma sarebbe andato bene per sposarmi con Barkis. Altri vestiti li avrei acquistati coi gioielli una volta trovata una dimora fissa. Per l'appunto dopo aver indossato l'abito entrai di soppiatto nella stanza dei miei genitori e sottrassi dal portagioie i gioielli di mia nonna, poi nello studio di mio padre portai via un sacchetto pieno d'oro. Uscii di casa senza voltarmi indietro, felice di iniziare una nuova vita con l'uomo che amavo, e che come un fulmine era entrato all'improvviso nella mia vita.

Arrivai al camposanto che erano le tre meno un quarto. Era buio e si era alzata una fitta nebbia, il freddo già cominciava a scoraggiarmi. Ero in anticipo, ma avevo lo stesso un vago timore che qualcosa sarebbe andato storto. Sotto l'albero mi misi a pensare alla vita che avremmo condotto, ai sacrifici che avremmo dovuto affrontare, ma anche alle gioie che ci avrebbero atteso, ai figli che avremmo avuto, e chissà, forse un giorno saremmo tornati e mio padre mi avrebbe perdonata...Erano le tre e lui non c'era. I rumori della foresta, inquietanti, cominciavano a spaventarmi.
- Verrà, Emily, non temere.- mi dicevo.
Ma dopo dieci minuti, quindici, cominciai a pensare che mi avesse abbandonata. Perché avrebbe dovuto, però? Forse era solo la mia fantasia...Ero veramente in ansia, i minuti passavano, la foresta era sempre più scura e i rami degli alberi proiettavano ombre sinistre che non mi rassicuravano affatto. All'improvviso sentii uno strano scricchiolio e mi voltai spaventata. Qualcosa si era mosso più lontano, alla mia destra.
- Barkis, sei tu?- chiesi con voce tremante.
Strinsi al petto il sacco dei gioielli e quello dell'oro, in attesa di risposta. Silenzio. Il cuore mi batteva all'impazzata, temevo fosse un brigante o una belva feroce. Avevo freddo e le gambe mi tremavano. All'improvviso vidi un'ombra scivolare fuori dalla boscaglia, e poi scomparire, come se mi stesse girando intorno. Mi voltai di scatto e vidi dietro di me Barkis, ma non feci in tempo ad esclamare sollevata il suo nome: vidi una strana luce nei suoi occhi e in meno di un secondo mi saltò addosso, facendomi cadere a terra. Gridai, ma le sue mani si serrarono sul mio collo con una forza mostruosa e sentii venirmi meno il respiro. Non riuscivo a credere che fosse lui, e che mi stesse strangolando. Credevo che mi amasse! No, non poteva essere vero! Il suo sguardo era spietato mentre premeva sempre di più, sibilando:
- Scusa tesoro.
Tesoro. Mio Dio, ero stata così stupida. Mentre il mio pensiero andava a mio padre e alle sue parole tutto divenne buio.

Mi svegliai con una strana sensazione. Non sentivo niente, il mio petto non si alzava ritmicamente come al solito. La mia pelle era livida, il vestito sporco di fango, di Barkis nessuna traccia. Per un attimo pensai di essermela cavata, che fosse fuggito. I gioielli e l'oro erano scomparsi...Ma mi accorsi che non ero più io. Il mio cuore non batteva: ero morta.
Morta...Tutto così all'improvviso...Mi accasciai di nuovo a terra piangendo. Avevo sognato l'amore, avevo sperato di essere felice, una sposa candida e devota, ed ero stata tradita, usata e uccisa. Non era giusto, dopo tutto quello che avevo fatto, dopo aver lasciato tutto ciò che avevo di più caro, non era giusto che tutto finisse lì. Il matrimonio era il mio più grande sogno da quando ero bambina! Mi sentivo persa, e guardai verso i rami dell'antico albero che mi sovrastava. E allora tra le lacrime giurai, giurai al cielo che mi sarei concessa al primo uomo che mi avesse amata, che davvero avesse dimostrato di volermi e mi avesse chiesta. Ci credevo con tutte le mie forze, mentre il tempo passava, le radici mi ricoprivano, e sprofondavo nell'Aldilà. Sono qui, ma sono anche lassù sotto quell'albero, dove i miei non verranno mai a cercarmi.
Io sto ancora aspettando, e verrà il mio momento.



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Non so che dire...Spero di aver reso giustizia al mio personaggio preferito in assoluto. :)

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Capitolo 8
*** Ethel ***


Finito il racconto rimasi a fissarla senza parole, e in generale era calato il silenzio tra noi. Tutte le storie che avevo sentito erano tristi, ma non come questa. Questa mi aveva veramente straziato il cuore...Una ragazza così bella e così giovane, chi aveva osato metterle le mani addosso? Sebbene fossi morto sentii il gelo nelle ossa. Fu Bonejangles come al solito a rompere il silenzio:
- Beh, che vi avevo detto? Roba forte!
- Un giorno arriverà qualcuno mia cara!- disse dolcemente la signora Plum appoggiando una mano sulla spalla di Emily.
La sposa sorrise malinconicamente, e provai tanta compassione che dissi:
- Spero che quell'uomo orribile abbia avuto ciò che si meritava!
La ragazza sospirò.
- Questo davvero non lo so.
A quel punto Paul chiese:
- Bene, a chi tocca adesso?
Ethel, la donna con l'elegante cappello e la pelle in stato avanzato di decomposizione, prese la parola:
- Racconterò io.
 
Vivevo felicemente con mio marito e non desideravo altro. Lo amavo moltissimo e ce la cavavamo come potevamo, sapete, faceva il droghiere. Da tempo volevamo dei figli ma a quanto pare non ci erano stati concessi, e quello era l'unico particolare che avrebbe reso la nostra vita davvero perfetta. Ci dicevamo felici, ma speravamo sempre che un giorno avremmo avuto un pargoletto di cui prenderci cura. I medici che avevamo consultato ci avevano detto che non tutte le speranze erano perdute.
Un giorno venimmo a sapere che c'era una fiera fuori città, una di quelle fiere che si spostano da un paese all'altro, con fenomeni da baraccone, zingari, animali esotici e maghi...Queste cose mi hanno sempre affascinata, così proposi a mio marito di andare, ci saremmo divertiti di sicuro. Arrivati rimanemmo di stucco di fronte ai tendoni variopinti, agli uomini che sputavano fuoco o camminavano su letti di aghi, donne barbute, animali mai visti, uomini forzuti...Ad un tratto vidi un tendone viola, su cui era appeso un cartello che recitava "Madama Oleòn, il futuro nel palmo della vostra mano". Era una zingara veggente!

- Tesoro, hai visto?- chiesi eccitata.
- Sì, ma non crederai veramente che...
- Oh, ti scongiuro, proviamo! Sarà divertente vedere cosa mi riserva il futuro!
- Ethel, non credo che sia una buona idea gettare via i soldi in...
Ma mi ero già catapultata nella tenda. All'interno era quasi tutto buio, solo due candele illuminavano il tavolo al quale era seduta una zingara corpulenta, dagli occhi verdissimi. Di fronte a sé aveva una palla di cristallo e stava canticchiando una strana melodia.
- Oh, una bella signora!- disse con strano accento invitando a sedermi di fronte a lei.
Mio marito rimase in piedi alle mie spalle mentre mi accomodavo e dicevo allegra:
- Leggete la mano? Vorrei tanto conoscere il mio futuro!
La zingara rispose mettendo via la sfera di cristallo per permettermi di porgerle il palmo:
- Certo, posso leggere il vostro futuro nella vostra mano...Tutto è già stato scritto, sapete?
Fremetti eccitata lanciando un'occhiata a mio marito, che scettico fissava la scena. La zingara percorse le linee del palmo della mia mano osservandole attentamente, poi chiuse gli occhi e mormorò ancora quella cantilena. Infine parlò:
- Vedo...Un negozio...Una drogheria...Gli affari andranno bene.
- Che bello, hai sentito?- chiesi.
- E - proseguì la donna- Vedo l'amore...Un amore che durerà fino alla morte...Una morte che non riesco a vedere, perché causata da qualcosa di inaspettato...
Nemmeno la stavo ascoltando, perché mi era sorta una domanda in testa. Forse era stato quello che inconsciamente mi aveva spinta a entrare:
- Avremo un figlio?
La zingara scosse la testa:
- No. La mano parla chiaramente: mai e poi mai potrete avere figli. Questo è un dono che non vi è toccato.
Rimasi sconvolta dalla brutalità con cui l'aveva detto: non aveva dato il minimo segno di speranza. Ma il colpo fu duro soprattutto per mio marito, che si mise a gridare:
- Come osate giocare in questo modo con i sentimenti delle persone? Siete forse un medico? Come potete dire che non avremo bambini? Abbiamo parlato con un medico di Londra che sostiene che è possibile, forse, un giorno!
- Io vi dico solo cosa vedo.- disse la zingara mentre ritiravo la mano sconvolta.
Non volevo crederle.
- Voi...Non potete dirlo!- esclamai alzandomi in piedi.
- Sono 10 sterline.- disse quella.
Mio marito andò su tutte le furie:
- Non avrete neanche un centesimo, strega! Prendersi gioco di noi su una questione così delicata, far leva sui nervi di una donna provata! Mi rifiuto di credere alle vostre sciocchezze! Siete una ciarlatana! Ethel, te lo avevo detto, andiamocene!
- Sì! Mio Dio, non posso credere di essermi fidata di questa strega!- esclamai sul punto di piangere.
La donna si alzò in piedi minacciosa e mi puntò il dito contro:
- Voi, signora, non dovete permettervi! Non potete voltare le spalle alla verità, che vi piaccia o no! Ma mi avete chiamato strega e dopo ciò che ho rivelato non mi avete dato ciò che ragionevolmente merito! Quindi io vi maledico, vi maledico! Voi, signora, annegherete entro tre giorni, e così troverete la morte, dopo aver visto un uomo vestito di nero!
Le terribili parole della zingara mi fecero tremare da capo a piedi. Mio marito mi afferrò per le spalle e mi condusse fuori gridando:
- Maledizioni? Come osate?! Il malocchio non ci coglierà mai! Andiamo Ethel, ti fa male restare qui.
Corremmo a casa, mio marito diceva di non credere a una sola parola di quello che la donna aveva detto, né tantomeno alla maledizione, ma io mi sentivo il malocchio impresso nella pelle, e mi guardavo intorno terrorizzata.
- Non devi pensarci.- mi disse mio marito carezzandomi la mano.
Tremavo.
- Caro, domani l'altro dovevamo partire per la Francia per andare a trovare mia sorella...Non voglio prendere quella nave. - dissi.
Lui cercò di convincermi in tutti i modi, ma ero irremovibile, e alla fine cedette. Scrissi una lettera a mia sorella scusandomi moltissimo ma che, per una febbre improvvisa, non avrei potuto affrontare il viaggio per la Francia. Passai i seguenti due giorni in stato catalettico...Evitavo di andare al pozzo, tremavo a ogni minimo rumore, vivevo nel costante terrore che scoppiasse un temporale e che per qualche motivo la nostra cassa fosse allagata. Tornai anche alla fiera decisa a supplicare il perdono della zingara, ma i carri erano scomparsi e la valle era disperatamente vuota.

Il terzo giorno, consapevole che si trattasse del giorno della profezia, mi svegliai tremante e a stento riuscii a fare colazione. Mio marito mi fece promettere che sarei rimasta a letto e aprì il negozio come sempre. Sprofondando nei cuscini ebbi per un attimo il terrore di essermi sbagliata fino a quel momento, che forse sarei morta affogata, e non serviva l'acqua per affogare...Ma poi ricordai che la zingara aveva proprio detto "annegare", quindi le mie erano fantasticherie.
"Ora basta Ethel" pensai" Ti preoccupi per niente! Se anche la maledizione fosse vera, non prenderai nessuna imbarcazione oggi,quindi non c'è niente di cui aver paura! Il mare non irromperà di certo in casa tua!". Spinta da un moto di coraggio, mi alzai e vidi che era passata l'ora di pranzo. Sapevo che in chiesa la messa sarebbe stata celebrata alle quattro di quel pomeriggio, così misi il mio abito più elegante e andai ad assistere alla funzione, guardando ogni tanto verso l'acquasantiera di pietra e ridendo della mia paura per quelle poche gocce. In realtà speravo di purificarmi, che le parole del parroco avrebbero cacciato il malocchio di quell'orribile donna.

Uscita dalla chiesa sentii due donne chiacchierare: stavano parlando di una vecchia signora che qualche settimana prima era morta nella sua vasca da bagno, annegata. Quella coincidenza mi fece rabbrividire e cancellò tutti i miei buoni propositi riguardo al mio stato d'animo. Pochi secondi dopo il mio sguardo cadde su un uomo vestito di nero, che mi fissava appoggiato alla porta della chiesa. Avevo dimenticato quelle parole della zingara, troppo presa dalla parte riguardante l'annegamento...Non aveva forse detto anche "un uomo vestito di nero"? Come potevo averlo scordato? Quel terribile ricordo mi fece gemere e voltare di scatto. Le donne se n'erano andate, altrimenti si sarebbero senz'altro accorte del profondo stato di panico in cui mi trovavo. Eravamo solo io e lui in quel pomeriggio ventoso d'autunno, nel cortile deserto della chiesa. Me ne andai accelerando il passo, mentre cercavo dentro di me una spiegazione...L'uomo vestito di nero era collegato, nella maledizione, al mio annegamento, ma non ero sulla nave diretta in Normandia né sulle spiagge di Brighton, quindi perché era lì in quel momento? Notai che si era allontanato dal muro e mi stava seguendo fuori dal cortile. In un attimo mi vidi inseguita da quell'individuo, poi spinta nella mia stessa casa, forse tramortita e infine annegata nella vasca da bagno...Come quella donna! No, non potevo fare quella fine!
Invece di dirigermi verso casa, svoltai bruscamente verso il bosco...Speravo di far perdere le mie tracce, che si sarebbe scoraggiato se mi fossi nascosta tra gli alberi. Camminai velocemente, voltandomi solo un paio di volte. Lui si teneva a distanza ma mi seguiva, calpestava le stesse foglie che calpestavo io, svoltava agli stessi arbusti. Presa dal panico sollevai un po' la gonna e mi misi letteralmente a correre, ansimando. La boscaglia era fitta e a stento vedevo dove mettevo i piedi, ma sapevo che lui era ancora sulle mie tracce, che dovevo correre più veloce se speravo di depistarlo. Mi voltai un'ultima volta, constatando in un lampo di gioia che era scomparso...Ma fu una gioia breve. Inciampai in un sasso e caddi, rotolando giù per il pendio...Il fiume. Come potevo essermi scordata del fiume? Avevo temuto il mare, una vasca da bagno, un'acquasantiera e non il fiume che scorreva rapido e inesorabile a pochi metri dal villaggio. Forse perché si tende a dimenticare cosa si ha sempre davanti agli occhi...Diamo per scontato ciò che, nascosto, fa parte del nostro mondo quotidiano.
Caddi nell'acqua gelida e feci appena in tempo a gridare aiuto...Sapevo che era cosa vana. La corrente mi trascinò via, poi sempre più in profondità, in un turbinio che annientò tutte le mie forze e poi riempì i miei polmoni d'acqua. Morii dopo appena qualche minuto.
La cosa buffa è che probabilmente quell'uomo non stava affatto seguendo me. A pochi metri dal fiume sorgevano le vecchie lapidi del camposanto ed è molto probabile che si stesse recando lì per omaggiare qualche caro defunto. Però ero troppo ossessionata dalla superstizione per riflettere e arrivare alla conclusione più ovvia. Credo infatti che non ci fosse alcuna maledizione...Oppure sì, se così si può chiamare uno scherzo del destino...Non era stata la zingara l'artefice della mia fine, ma io stessa. Lei mi aveva solo detto quello che realmente sarebbe accaduto, ma che io sola ho causato trasformando in presagi eventi normalissimi...Insomma, sono stata io stessa a renderli tali. Madame Oleòn mi ha solo descritto il futuro che avrei plasmato con le mie mani.


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Che ve ne pare? Io intanto sto scrivendo il penultimo capitolo della fanfiction, quindi a quanto pare (incrociamo le dita) questa storia è destinata ad essere conclusa e a non rimanere incompleta come sembrava due anni fa...Al prossimo capitolo!

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