No One Knows

di SethHorus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mosquito Song ***
Capitolo 2: *** No One Knows ***
Capitolo 3: *** [1] Go With The Flow ***
Capitolo 4: *** [2] Do It Again ***



Capitolo 1
*** Mosquito Song ***


Salve a tutti, dopo mesi passati a bazzicare per questa sezione del sito ho avuto il tempo e la voglia di scrivere anche io qualcosa (e re-iscrivermi al sito, in modo da poter iniziare a scrivere recensioni XD visto che a quanto pare io conosco tutti e nessuno sa della mia esistenza). Ho optato per una coppia che a mio parere è molto canon, e che ho notato piace quasi a tutti (e dopotutto, è veramente difficile odiarli <3), per il semplice fatto che avevo in mente una trama già da parecchio tempo, per cui ho messo in ordine le idee e ne è uscito fuori questo. Spero che vi piaccia, anche perché a me convince ben poco. Il titolo è preso da una canzone dei Queens of the Stone Age, il cui Songs for the Deaf è stata la mia colonna sonora durante la scrittura, e Mosquito Song è una canzone del CD, così come No One Knows. Ah, accetto volentieri recensioni sia positive che negative, seppur motivate.
Importante: ho idee un po’ distorte sulla questione OOC (per saperne di più: lo spiego nel profilo), e in maniera particolare riguardo ad Hetalia, per cui ho messo come avvertimento che c’è presenza di OOC. Poi a dire la verità secondo me Lovino è veramente OOC, anche se è una cosa che non ho potuto arginare semplicemente perché sono andata sotto con l’angst (cosa di cui non riesco fare a meno, anche quando dovrei XD). Non ho messo come generi né Guerra né Storico perché c’è solo un riferimento storico che è importante ai fini della vicenda, ma comunque non è veramente un elemento portante, anche se c’è qualche somiglianza con il genere dell’ucronia, perché ci sono pezzi di storia che ho inventato io, o che comunque possono risultare controversi, proprio perché non mi sono applicata a trattare di fatti specifici (solo uno è preciso, ma è comunque una trasposizione inventata di sana pianta, senza basarmi su dati particolari sulla questione). La parte in corsivo è un flashback.
Mi pare non ci sia altro da aggiungere, perciò: Buona Lettura!

No One Knows
CAPITOLO 1: MOSQUITO SONG

I know I know the sun is hot
Mosquitoes come and suck your blood
Leave you there all alone
Just skin and bone
When you walk among the trees
Listening to the leaves
The further I go the less I know, the less I know

Where will you run?
Where will you hide?
Lullaby's to paralyze

Roma, Italia

E chi ha mai detto che le nazioni non si possono prendere una pausa?

Ok, effettivamente non si potrebbe. I tempi sono cambiati rispetto al passato, e per tutti; il lavoro non si può più dividere tra madrepatria e colonie, pertanto la situazione è un tantinello più complicata da gestire. Per non parlare delle nuove tecnologie, dei mezzi di comunicazione di massa, dalle nuove scoperte scientifiche, che, per quanto abbiano portato notevoli agevolazioni, comportano una continua creazione di nuovi problemi, di cui alcuni secoli prima non si poteva lontanamente immaginare neanche l’origine. La politica, per quanto basata su una solida democrazia, è difficile da gestire, e per quanto tutte le popolazioni siano all’oscuro della loro esistenza, le nazioni fanno molto più di quello che ci si può aspettare.

Soprattutto l’estate è un periodo duro. Lovino odiava sentirsi stretto in una camicia, per quanto questa fosse perfettamente abbinata, nel suo celeste chiaro, al suo completo blu scuro firmato, e alla sottile cravatta bianca, quando la temperatura fuori sfiorava i 35 gradi. E non è che poteva stare sempre rinchiuso nel parlamento dove i condizionatori d’aria potevano risolvere la situazione: no di certo. C’era sempre qualche buon motivo per cui doveva uscire fuori e per di più non poteva neanche lamentarsi. E infatti, lui c’era sempre, ad ogni manifestazione pubblica, ufficiale o meno, ma, come richiesto dalla sua posizione, si eclissava sempre lavorando per il popolo italiano senza neanche ricevere un minimo di gratitudine.

Fantastico. Anche se la sua natura non gli faceva poi pesare tanto la cosa, essendo che non poteva fare a meno di amare la sua terra e gli abitanti che la popolavano, pronto a sacrificarsi in ogni momento e situazione, per questa causa, che gli aveva poi dato la vita.

Era l’una del pomeriggio, notò fissando l’orologio dorato della lussuosa sala del “Transatlantico” di Montecitorio. Sbuffò forte e un paio di ciuffi rossicci, che non si erano ancora attaccati alla fronte per il sudore, si alzarono mollemente in aria. Feliciano intanto era scomparso. Effettivamente doveva ammettere che dover dividere le sue incombenze con qualcuno alleviava molto il peso del suo compito, ma doveva anche ammettere che molte cose dovevano farle in due, anche perché non a caso c’era stata L’Unità d’Italia: nord e sud non potevano certo stare staccati, perché non ci sarebbe stato un equilibrio, l’autosufficienza, e questo avrebbe creato un disastro… e il paese si teneva su proprio perché lui e Feliciano si completavano a vicenda.

Comunque oramai stavano per iniziare le sue ore di riposo. Poche ma c’erano, e il suo umore migliorò di un pochino, giusto un pochino perché continuò a tenere il volto imbronciato come al suo solito, sapendo bene che se quella sera Feliciano doveva presiedere ad una cena del Primo Ministro con alcuni facoltosi industriali a Milano, lui avrebbe dovuto controllare una pericolosa azione anti mafia un po’ più giù, a Napoli.

Sprofondò nella poltrona rossa, sperando in una buona riuscita; e mentre pensava alla spiacevole nottata in bianco che lo stava aspettando, sentì una mano che andava a poggiarsi delicatamente sulla spalla.

“Signor Vargas…”

Il Vice Ministro degli Esteri fece capolino con la sua voce suadente tagliando il filo dei suoi pensieri. Non rispose, attendendo che questi gli spiegasse qual’era il motivo che l’aveva portato da lui.

“La settimana prossima è stata organizzata una visita del Ministro in Spagna. Il Signor Feliciano ha detto che sarebbe andato lei, le volevo dare il programma.”

Lovino alzò le sopracciglia interdetto, guardando il foglio che l’uomo di fronte a lui gli stava porgendo. Che cosa aveva in mente Feliciano? Che avesse qualche incombenza particolare da svolgere? E poi perché lui non era stato avvisato di niente da nessuno?

“Signor Vargas? Tutto bene?”

Nuovamente il Vice Ministro lo svegliò dal torpore in cui la sua mente si era rinchiusa muovendogli il foglio sotto il naso. Lovino allora glielo strappò di mano, e fuggì via dopo aver sussurrato un fioco “Va bene”, lasciando l’uomo confuso.

Dopo poche ore partì da Roma senza essere riuscito a trovare il fratello. Certo che quando Feliciano voleva poteva nascondersi veramente bene… merito forse della sua abilità nel ritirarsi e nello sventolare bandiere bianche? Lovino arricciò un po’ le labbra pensando alla scena, anche se non era stato proprio onorevole da parte sua, ma tanto valeva ironizzarci sopra, e poi, ammise a sé stesso, non è che fosse stato il solo a comportarsi così.

Due giorni dopo ebbe finalmente modo di rintracciare per via non telefonica Feliciano. Era giustappunto arrivato all’appartamento che dividevano a Roma, che lo vide armeggiare compiaciuto ai fornelli. Questi, dal canto suo, non appena lo vide entrare si girò, pulendosi le mani sul grembiule bianco con un sorriso, e poi dirigendosi verso di lui con poche falcate.

“˜Vee… Loviiii, come è andata a Napoli?” Chiese, abbracciandolo.

Lovino attese di essere mollato prima di rispondere.

“Bene, ma non sei stato avvisato di nulla? Hai visto il telegiornale?”

“Qualcuno mi aveva accennato qualcosa ma stavo pensando a cosa prepararti stasera e quindi mi sono distratto.”

Normale amministrazione. Feliciano era rimasto sempre lo stesso, riuscendo a superare al meglio ogni difficoltà o trauma che gli si era posto davanti, miracolosamente preservando quell’ingenuità e candore che lo avevano caratterizzato da sempre, diversamente da lui. Anche se in realtà lui, e anche Ludwig, sapevano bene che dietro c’era qualcosa che non andava e che Feliciano nascondeva con tutte le sue forze, chissà per quale motivo, anche s eil suo carattere e la sua positività erano rimasti gli stessi.

Dopo una doccia, a tavola, Lovino pensò fosse arrivato il momento di affrontare quel problemino che gli aveva dato non poco da pensare in quei due giorni, facendolo distrarre in maniera eccessiva e fastidiosa.

“Feli… senti, sei stato tu a dire che sarei stato io ad accompagnare il ministro degli Esteri in Spagna la prossima settimana?”

Il ragazzo alzò il volto facendo balzare come una molla il ciuffo ribelle che entrambi avevano ereditato da nonno Roma. I suoi occhi nocciola brillarono un secondo, prima che dicesse, sorridendo:

“Si, lunedì in parlamento si discuterà sul possibile emendamento di nuove leggi per la sicurezza e non posso non andare. ˜E poi ho pensato ti avrebbe fatto piacere!”

Senza un motivo plausibile Lovino arrossì di botto, facendo indietreggiare un po’ la sedia di legno chiaro che si spostò con un rumore sordo, e posando le mani al bordo del tavolo mentre le spalle salivano un po’ su contornando l’ovale del volto. Posizione di difesa?

“Ma cosa dici? Come ti è venuto in mente? Non è assolutamente vero.” Ed effettivamente non lo era… dopo quella volta… Lovino aveva fatto di tutto per non scontrarsi, o incontrarsi, che dir si voglia, con la nazione Spagnola… con Antonio, e questi non aveva mai cercato di fare nulla per oltrepassare la sua diffidenza, nonostante fosse ormai passati oltre trent’anni da quando era riuscito a liberarsi dalla dittatura…

 

Ormai gli anni trenta sarebbero volti ad un termine presto. A dirla tutta non ricordava molto di quel periodo, anche perché con i problemi che si erano creati in Italia già a partire dall’entrata in guerra nel 1914, per giungere all’erroneo mito della “vittoria mutilata”, e poi fino al 1945, il paese era stato troppo politicamente instabile per dargli tempo di pensare troppo, e poi già a partire dal 1922 né lui né Feliciano avevano più avuto alcuna responsabilità né potere decisionale, né una chiara coscienza di sé, come norma di tutte le nazioni durante una dittatura. Così Lovino si era ritrovato temporaneamente (anche se, in realtà, erano stati più di 10 anni) a svolgere l’attività di generale, nonostante molti non ne capissero la necessità vista la sua – apparente – giovane età, e visto che i momenti in cui era veramente lucido diminuivano man mano che il tempo scorreva.

In ogni caso, quelli erano stati anche gli anni della Guerra civile spagnola, che vide i Tedeschi, e, di conseguenza anche gli Italiani, divenire fattori di una certa leva. Però, se Antonio si trovava dalla parte dei Republicanos, nel tentativo di sventare quello che era già accaduto in Italia, in Germania, e persino nella comunista Russia, lui si era inevitabilmente trovato a combattere per i Nacionales e per la Falange capitanata dal Generalissimo Francisco Franco. Ed era proprio al suo fianco che si trovava, insieme al crucco, in preda a non si sapeva bene quale trance, che sembrava avergli risucchiato totalmente il cervello, e che lo faceva preoccupare incredibilmente, a causa del fatto che Feliciano sembrava essere sempre più vicino a raggiungerlo in quel mondo di surreale utopia, quando vide Antonio.

Durante quel lungo periodo passato tra una popolazione distrutta in preda alla fame e alla miseria, a cui era rimasta solo la lotta per la libertà, e le macerie che loro stessi, Italiani e Tedeschi e Nazionalisti Spagnoli avevano contribuito a creare, quella fu l’unica volta in cui vide lo Spagnolo. Era il 27 Aprile e il futuro dittatore Spagnolo aveva trascinato, lui, Ludwig e alcuni degli uomini del suo seguito a visitare la prima città che aveva dovuto subire i bombardamenti terroristici, Guernica.

Intorno a loro c’era una sorta di deserto: l’intonaco degli edifici colorati sembrava essere sparito per lasciare un ammasso di macerie, pietre e, polveri grigie, che come una nebbia facevano perdere umanità ad ogni cosa, in modo particolare ai cadaveri sparsi per le strade, o ai feriti che attendevano la morte silenziosamente come bambole rotte. In quel momento Lovino non era propriamente lucido, si era alienato nel suo ruolo di generale e fissava intorno a sé quello spettacolo rammaricante, senza provare nulla. Dopo la Prima Guerra Mondiale aveva dovuto imparare a guardare la morte in faccia, senza girare il volto o lasciarsi abbattere, e ogni volta che se la ritrovava davanti, aveva imparato a chiudere il fanciullo dentro di lui, la vocina della sua coscienza, in un forziere che nascondeva giù e giù, in profondità, nel suo cuore pietrificato dalla paura.

Erano arrivati in una delle piazzette principali, quando vide la nazione Spagnola. Era a terra, seduta dietro un muro diroccato, e non appena le loro pupille si incrociarono, il suo sguardo non si sciolse neanche un secondo nell’aria serafica e felice che normalmente gli sarebbe spettata. Non ci fu nessun sorriso. Antonio, vestito con una lacera divisa beige sembrava essere invecchiato di colpo. La sua pelle abbronzata era diventata opaca, grigiastra, come se la polvere e le macerie fossero penetrate nel suo corpo fino alle ossa, e dappertutto c’erano lividi e ferite. I capelli, un po’ cresciuti ricadevano selvaggi sul volto, incorniciandolo e rendendolo quasi simili ad un predatore ferito.

Il volto, non sembrava neanche il suo, e forse non l’avrebbe neanche riconosciuto, come dopotutto non avevano fatto sia Ludwig che Franco, se non avesse potuto ammirare i suoi lineamenti per secoli, durante la sua infanzia. Le labbra secche e biancastre erano rotte e sanguinanti, le guance avevano un colore smorto e se una mano copriva metà del volto, mantenendolo e a sua volta poggiandosi sul ginocchio piegato, nella posizione quasi innaturale che l’uomo aveva assunto quando li aveva visti e si era accucciato tra le macerie di un palazzo, l’altra metà del volto era leggermente adombrata, ma lasciava intravedere la brillantezza di uno degli occhi verdi, scuri, profondi, velati d’odio.

In quel momento Lovino capì subito che non avrebbe mai dimenticato quello sguardo, che, mentre camminavano in quella piazzetta desolata, non lo abbandonò mai, come se volesse comunicargli tutto il suo dolore, la sua tristezza, la disperazione, ma, al contempo una quasi suicida intenzione a lottare e lottare prima di farsi soggiogare da un dittatore, come lui aveva fatto, fin troppo presto, in una morta accondiscendenza.

Quella volta non fece nulla. Ed effettivamente anche a volerlo non avrebbe potuto; se qualcuno si fosse accorto che quello era Spagna sarebbe accaduto il finimondo: lo si stava cercando dappertutto, ma Antonio era sempre stato troppo furbo per chiunque, ed era veramente difficile che venisse sconfitto. Poco dopo aveva piovuto a dirotto, un temporale inaspettato, forte, e che forse voleva lavare via quell’incontro, quel mix di sentimenti che l’avevano scombussolato, facendogli credere che quella sarebbe stata una rottura eterna con la Spagna. Dopotutto lui stesso stava distruggendo quel paese che considerava la sua seconda casa.

Una volta tornati indietro, alle auto che li avevano portati lì, il Caudillo si complimentò con Ludwig e i suoi generali, e lui, con una scusa ebbe modo di tornare indietro, e corse, corse, così velocemente mentre le forze sembravano non voler finire mai, anche se forse era solo la sua volontà, che lo conduceva a percorrere ogni vicolo, strada piazza che incontrava, anche se ormai era difficile persino riconoscere un posto dall’altro tante erano le macerie e la desolazione, i corpi morti e feriti lasciati lì a marcire. Alla fine, comunque, non riuscì a trovare Antonio, e l’avrebbe visto solo molto tempo dopo, quando la democrazia riprese a regnare sovrana nel suo paese ed ebbe finalmente il coraggio di presentarglisi davanti, o almeno di fare presenza in una stanza dove c’era anche lui.

 

“Dovrai stare lì solo 5 giorni, e soprattutto non ci sarà nulla di particolarmente difficoltoso da fare. E’ l’occasione perfetta per risposarti, no? E poi ti lamenti sempre che ti ci vuole una vacanza, ˜Vee…”

Lovino, per l’ennesima volta in quei giorni fu tirato fuori dai suoi pensieri. Aveva pensato troppo, veramente troppo per i suoi gusti, ma non poteva fare a meno di essere preoccupato. Abbassò lo sguardo, cercando di celare i suoi timori al fratello, che era l’unico che aveva saputo cosa era successo, e, alla fin fine, quello che per oltre mezzo secolo lo aveva aiutato a scappare da una situazione che attendeva di essere affrontata da troppo. Ma ogni volta lui era fuggito, persino quando Antonio l’aveva guardato con quelle che potevano essere intenzioni amichevoli. A dirla tutta dopo Guernica, si decise a presentarsi in Spagna solamente dopo la morte di Franco, perché non avrebbe mai sopportato di vedere lo sguardo d’Antonio vuoto, tanto valeva ricordare il suo odio. Quel giorno però non gli disse nulla, non gli si avvicinò neppure, non avendone il coraggio, e pensando che la prossima volta sarebbe tornato tutto normale.

Ma alla fine non era tornato normale nulla, e anche se gli era capitato di trovarsi nello stesso luogo molto spesso in quegli anni, era come se non si fossero più visti. Antonio non l’aveva cercato più, e lui aveva fatto altrettanto, pensando che fosse la cosa migliore, e approfittando del fatto che c’era Feliciano a poterlo sostituire anche quando si trattava semplicemente di dovergli dire qualcosa. Si era creato un muro, che di secondo in secondo si faceva sempre più spesso, fitto, impenetrabile e ci sarebbe voluta una bomba per distruggerlo. Sempre che al di là ci fosse la volontà di raccogliere le macerie e costruire qualcosa insieme. E Lovino non era più un bambino, e come tutte le altre nazioni aveva subito il trauma delle Guerre Mondiali che lo aveva cambiato per sempre: proprio questo gli permetteva di vedere le cose in modo diverso e capire che non era certo detto che Antonio fosse disponibile come sempre nei suoi confronti, dopotutto lui aveva contribuito alla caduta della sua mente, no?

“Basta!”

Sbatté un pugno sulla tovaglia candida a strisce scarlatte.

“Hai ragione tu, la devo smettere di scappare.”

Feliciano sorrise al fratello, confortato dalle sue parole, perché, forse non se ne era accorto, ma era troppo tempo che Lovino si stava corrodendo dentro ed era venuta l’ora che qualcuno lo spingesse a fare qualcosa di diverso da fuggire.

“Però non sarò di certo io a prendere l’iniziativa!”

Si vabbè, non si poteva pretendere tutto no?

 
Madrid, España

 “Señor Carriedo, sono arrivati i documenti riguardo la venuta del Ministro degli Affari Esteri Italiano, lunedì prossimo.”

Un riccioluto ragazzo moro e abbronzato, girò il volto con un sorriso.

“Gracias.” Disse, prendendo i fogli dalle mani dell’uomo che era giunto a portarglieli.

Posò gli occhi sulla carta, pensando di poter trascorrere un po’ di relax con Feliciano, con cui, nonostante tutto, aveva mantenuto ottimi rapporti, quando vide un altro nome stampato nero su bianco sul programma.

“Qui c’è un errore.” Disse, senza alzare neanche gli occhi, e indicando con il dito le due parole che l’avevano colpito. L’uomo al suo fianco seguì con lo sguardo il suo indice e gli rispose:

“Nessun errore, señor, sarà il señor Lovino ad accompagnare il ministro.”

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Capitolo 2
*** No One Knows ***


No One Knows
CAPITOLO 2: NO ONE KNOWS

And I realize you’re mine
Indeed a fool of mine
And I realize you’re mine
Indeed a fool and mine

 Heaven smiles above me
What a gift there below
But no one knows

 A gift that you give to me
No one knows
Oh, what you do to me
No one knows

  

Roma, Italia

Lo specchio rifletteva con vivacità un fin troppo evidente alone violaceo a contornare i suoi occhi color verde velati d’ambra. Non poteva avere aspetto peggiore. Era ancora mattina presto, ma non era riuscito a rimanere nel suo letto, già aveva passato abbastanza ore a fissare il soffitto bianco, quasi come se sperasse che da un momento all’altro si aprisse un varco dal nulla per trascinarlo chissà dove. E si sentiva in ansia, anche se non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura; era quasi come se dovesse partire per una battaglia, ed effettivamente era come se stesse per farlo, almeno metaforicamente. Anche se era una battaglia contro sé stesso e le sue paure di non saper affrontare delle delusioni troppo grandi, e non riusciva a immaginare nessuno “lieto fine”: anzi, non vedeva nulla davanti a sé, e basta. Stava andando incontro al vuoto, e questa non era proprio una cosa da lui.

 

La prima volta che aveva rivisto Antonio dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, fu dopo la morte di Franco. Ormai la guerra sembrava un brutto sogno dal quale ci si era svegliati, anche se rimaneva l’impressione che nulla sarebbe potuto tornare come prima, e specialmente per le nazioni. Quello stupido di America era riuscito a guadagnare potere in pochissimo tempo, approfittando della follia che era dilagata in Europa fino al 1950 e dopo c’era stata anche la Guerra Fredda, anche se negli anni ’70 sembrava che la situazione si stesse stabilizzando un po’.

Dopo la caduta della dittatura in Spagna si era discusso a lungo tra le nazioni Europee se ci si dovesse interessare sul da farsi, ma rimaneva che nonostante tutto, l’economia Spagnola non si trovava a livelli disastrosi e per cui non ci si sarebbe dovuti preoccupare troppo. Oltretutto non era neanche scattata una nuova lotta al potere per cui non c’era alcuna probabile nuova dittatura a minacciare nessuno. Lovino sapeva bene che tutto ciò non poteva che essere dovuto ad Antonio, che alla prima possibilità di sgusciare fuori per riprendersi la propria libertà, ma soprattutto quella che spettava al proprio popolo, aveva fatto in modo di poter assicurarsi una pace e una democrazia duraturi, e poi, rimaneva anche che nessuno avrebbe voluto rivivere le esperienze della Guerra Civile, e sotto questo aspetto era stato sicuramente agevolato.

Occupato da questi pensieri una volta giunto insieme al fratello nella sala delle conferenze, Lovino era andato a sedersi al suo posto, senza salutare nessuno, come era suo solito, attendendo l’inizio del meeting. Antonio non era ancora arrivato, e comunque non appena giunse nella sala si iniziò subito, senza che nessuno potesse avere la possibilità di chiedergli neanche come si sentisse, anche se le domande che seguirono riguardo allo stato sociale ed economico del paese furono abbastanza esaurienti per capire almeno la sua condizione psicologica, e appariva piuttosto sereno. La situazione era abbastanza tranquilla, e ci si stava già organizzando in vista di elezioni.

Però lui e Antonio non si erano rivolti neanche uno sguardo.

 

Dopo, era accaduta ogni volta la stessa identica cosa, parte qualche saluto obbligato, dove aveva potuto saggiare la mano dello Spagnolo, stringendogliela e potendo sentire chiaramente i segni del tempo e della sconfitta, che comunque avevano assalito allo stesso modo lui. All’inizio era stata una delusione non poter vedere l’Antonio di sempre, quello che era sempre riuscito ad andare al di là di ogni sua barriera senza la minima difficoltà, ma poi, il tempo aveva iniziato a sanare le ferite, che si riaprivano solamente quando era costretto a constatare che una realtà del genere riusciva a fargli male anche dopo tanto tempo. E a pensarci sembrava paradossale il fatto che fossero stati lontani così a lungo, ma era successo, e neanche lui riusciva a spiegarsi il motivo, perché, nonostante l’orgoglio, nonostante il fatto che non avrebbe mai detto a nessuno, l’interessato in maniera particolare, che in realtà ci teneva fin troppo a lui, non era stato capace di riavvicinarglisi, ostinato a darsi la zappa sui piedi, ma soprattutto a non affrontare qualcosa che gli faceva troppa paura e da cui era facile sfuggire. E la fuga è sempre la migliore scelta quando non sai cosa fare.

Si lavò la faccia e iniziò a preparare il caffè, sapendo che il fratello si sarebbe svegliato all’odore forte della bevanda. Cercò di mangiare qualcosa, ma alla fine si rese conto di stare solo cercando di perdere tempo, il suo stomaco era troppo chiuso e anziché mangiare stava solo sospirando come uno stupido. Intanto Feliciano seguitava a dormire, ma tanto la sera prima gli aveva detto di volersi recare da solo in aeroporto, mentre preparava la valigia da portarsi dietro. Alla fine scrisse un bigliettino che lasciò sul tavolo della cucina e si vestì con noncuranza, per poi chiamare un taxi.

 

 Madrid, España

Quattro ore dopo era arrivato nella capitale Spagnola. Appena uscito dall’aeroporto insieme al Ministro e alle altre figure politiche che lo accompagnavano, oltre alle guardie del corpo, i giornalisti e altri addetti ai lavori, le auto messe a disposizione dallo stato li fecero salire per portarli subito al palazzo reale dove il primo ministro li avrebbe ricevuti. Ovviamente durante la cerimonia Lovino si tenne ben in disparte come era suo dovere fare. In seguito ci sarebbe stato un pranzo e poi una breve visita della città, che sarebbe proseguita l’indomani mattina. La visita, Lovino sapeva bene che poteva tranquillamente tralasciarla, anche perché conosceva la Spagna benissimo e non aveva certo la necessità di visitarla ancora per goderne della bellezza che già era imprigionata nel suo cuore, avendo avuto la fortuna di poter vedere quel grande impero crescere culturalmente e artisticamente, forse un po’ anche grazie all’influenza delle colonie italiane.

In ogni caso, erano ormai le due di pomeriggio, e il pranzo si era concluso, nonostante Lovino non avesse mangiato alcunché, e di Antonio neanche l’ombra. E soprattutto nessuno gli aveva minimamente accennato nulla riguardo la sua assenza. Questo peggiorava le cose, perché si sa, quando ti decidi ad affrontare qualcosa, desideri che questa accada il prima possibile, e più il tempo passa, più l’indecisione aumenta. Inoltre, continuava, dal momento in cui era sbarcato, a essere diviso da un fortissimo desiderio di prendere e fuggire via, senza curarsi di niente e di nessuno, e al contempo di correre e correre, come in quel maledetto giorno, fino a trovare Antonio, anche se non aveva molto chiaro neanche cosa avrebbe potuto dirgli o cosa avrebbe dovuto fare una volta trovatolo.

Alla fine controllò alcuni documenti, più per passare il tempo che perché fossero di sua incombenza, e si chiuse nella sua stanza da letto, crollando per il sonno, senza curarsi di scendere a cena. Dopotutto il giorno dopo c’era in programma solo il termine della visita della città dopo una colazione di lavoro e qualche conferenza stampa nel pomeriggio, e pertanto davvero nulla che gli potesse interessare sul serio; non a caso Feliciano l’aveva proprio detto: sarebbe stata una meritata vacanza. Certo, una meritata vacanza, se solo Antonio non avesse continuato a tenerlo sulle spine anche il suo secondo giorno in Spagna, continuando a non farsi vedere. E pensare che il fatto che era maleducazione non presentarsi ad una nazione venuta in visita, era stato lui stesso ad insegnarglielo, tanto tempo addietro.

Comunque, alla fine anche quella giornata passò in generale tranquillamente, anche se lui iniziava ad innervosirsi sempre di più, al punto tale che a momenti avrebbe chiesto di farsi prenotare il primo biglietto per Roma, se quell’idiota non si fosse degnato di farsi vedere in fretta. Quel giorno era riuscito a rovesciarsi un caffè sul completo nuovo per non parlare che il primo Ministro Spagnolo lo aveva beccato mentre bestemmiava da solo come un folle. Peggio di così.

Alla fine, quasi per disperazione decise che l’indomani, dopo l’incontro con la famiglia reale si sarebbe recato a villa Carriedo o ovunque quel bastardo fosse a richiedere scuse ufficiali per il suo comportamento.

Però, la mattina seguente, quando entrò seguendo il suo Ministro, il vice ministro e alcuni parlamentari nel Salòn del Trono, dove il Re e la Regina li stavano attendendo per i saluti ufficiali avvenuti dopo due giorni dall’arrivo degli italiani a causa di un malore della moglie del monarca, Lovino, finalmente, vide in piedi al fianco della zona dove si innalzavano le due lussuose poltrone rivestite di velluto rosso e finemente decorate da legno dipinto d’oro, che avevano la funzione di troni, davanti ad uno specchio dal quale poteva vedere anche il suo riflesso, Antonio, in completo scuro, con camicia scarlatta e cravatta beige, che osservava la scena serio, ma pacifico.

Lovino non poté soffermarsi troppo a lungo sul suo aspetto dopo tutto quel tempo (e comunque non gli sembrò troppo cambiato dopo quella veloce occhiata), andando a constatare, attraverso lo specchio che rifletteva anche lui, che il suo colorito era passato dal rosso pomodoro, al bianco perla, al verde acido al viola prugna in pochi minuti, solo all’idea che Antonio lo potesse star guardando (dopo la prima occhiata – non ricambiata – non aveva osato affatto voltarsi dalla sua parte), sempre che l’avesse notato. Comunque fu costretto a posizionarsi al suo fianco non appena giunsero giornalisti e reporter per riprendere l’avvenimento. Fortunatamente, o sfortunatamente, a seconda della propria interpretazione, per non disturbare non si poté spiccicare alcuna parola a lungo, e comunque, quando il tempo dedicato ai media fu scaduto, Lovino attraversò la grossa e lussuosissima sala in poche veloci falcate, senza degnare lo sguardo a qualcuno alla ricerca di un bagno in cui rifugiarsi, almeno momentaneamente, perché lui no, non voleva certo scappare! Aveva solo bisogno di un momentino… o almeno cercava di autoconvincersi di ciò.

Alla fine, si sciacquò la faccia, poi prese a camminare avanti e indietro, cercando di calmarsi e non ripensare al calore del braccio dello Spagnolo che lo aveva sfiorato per tutto il tempo. Poi fece un grosso respiro e aprì la porta addentrandosi nel corridoio adornato di dipinti cinquecenteschi posati sul parato chiaro e riccamente decorato da arabeschi. Stava proprio pensando che fosse una fortuna il fatto che conosceva bene la residenza della famiglia reale e che pertanto era difficile che si perdesse, quando vide in fondo al lungo corridoio la figura di Antonio, che con il respiro affannato, sembrava avesse corso in lungo e in largo per il palazzo, alla ricerca di qualcosa. Non appena questi lo vide aggrottò leggermente le sopracciglia come a volersi assicurare che la sua presenza non fosse un miraggio, per poi gridare:

“Lovino!”

Ah! Quanto tempo era che non sentiva la voce calda e musicale di Antonio pronunciare il suo nome? Ormai gli sembrava quasi si fosse sognato le calde note che provenivano dalle sue labbra e che, quando era un bambino, alle volte intonavano dolci ninne nanne in spagnolo. Comunque, non appena vide che il ragazzo si stava avvicinando a lui, anche con una certa velocità, fu scosso di nuovo da un tremito di terrore. Non che potesse fargli del male, però Lovino non riuscì a fare a meno di essere terrorizzato, e proprio per questo, girò i tacchi, dandogli le spalle, per poi cercare di correre il più distante possibile da lui. Stava di nuovo fuggendo, e non voleva, ma sembrava quasi che le sue gambe, e forse anche il suo cuore, non volessero capire che era il caso di fermarsi e affrontare l’altra nazione, che, per di più gli era andata in contro per la prima volta dopo tutto quel tempo, come se si fossero messi d’accordo.

Comunque volente o nolente non riuscì ad avanzare granché, perché non appena Spagna vide che stava iniziando a correre dalla parte opposta della sua urlò di nuovo il suo nome, cominciando a inseguirlo per i corridoi vuoti del palazzo, per poi sfruttare la sua migliore conoscenza dell’edificio, per sorprenderlo anticipando le sue mosse e sbucando proprio davanti a lui, che sbatté con la fronte contro il suo petto, prima di rendersi conto che la sua fuga era giunta al suo termine. Peccato che, ancor prima che lo Spagnolo potesse dirgli anche una sola parola si sentì mancare, e poi vide tutto nero, mentre il suo corpo perdeva forze e sentiva la voce di Antonio che lo chiamava sempre più lontana, e lontana.

 

Quando riaprì gli occhi, almeno all’inizio, non vide altro che una luce bianca. Li strinse qualche secondo, e poi ritentò di mettere a fuoco l’ambiente intorno a lui. Cosa certa è che era steso su di un letto e circondato da un odore familiare, gli sembrava quasi quello della sua camera quando ancora abitava con Spa… Si alzò di scatto, facendosi venire un altro, seppur breve, almeno stavolta, giramento di testa e poi si guardò bene intorno.

Sì, le lenzuola candide e il legno scuro della testiera del letto, il tavolo con sopra un centrotavola ricamato e un vaso pieno di margherite giallo acceso, la sedia di legno consumata e l’armadio imponente, oltre che la grossa finestra, dalle fatture alte in stile vagamente gotico, i cui vetri erano tenuti insieme da un’elegante intelaiatura in ferro, e contornati dalle tende blu scuro, non potevano che essere quelli della sua vecchia camera. Improvvisamente tantissimi ricordi affiorarono alla mente di Lovino, che rendendosi conto del fatto che Antonio aveva voluto mantenere tutto uguale anche dopo che lui se ne era andato per sempre, arrossì violentemente.

Poi il suddetto lo interruppe entrando nella stanza silenziosamente e, vedendolo seduto in mezzo al letto, corrugò leggermente le sopracciglia facendo un’espressione interrogativa, come se si stesse chiedendo cosa ci facesse lì in quel momento, quando, molto probabilmente era stato lui a volerlo portare lì, o almeno Lovino ipotizzava dovesse essere andata così (in realtà lo sperava, ma questo non era ammissibile neanche con sé stesso).

Il cuore dell’Italiano, intanto, aveva smesso di battere per un secondo, per poi iniziare a palpitare così velocemente che sembrava sarebbe scoppiato da un momento all’altro, lasciandolo anche senza fiato. Comunque, nessuno dei due disse nulla, mentre lo Spagnolo, fasciato in camicia e pantaloni stretti neri, prese la sedia da vicino al tavolo e percorse le poche mattonelle beige che li dividevano sedendosi vicino al letto e dicendo, mentre Lovino puntava gli occhi sulle sue scarpe, con tono impacciato:

“Sono contento che ti sia svegliato, hai fatto preoccupare un po’ tutti con il tuo improvviso svenimento, sarà che mi sono fatto prendere un po’ dal panico anche io… ma…” Si interruppe improvvisamente, passandosi una mano tra i capelli scuri e mossi, anche se Lovino poté solo immaginare la cosa non avendo ancora alzato lo sguardo verso di lui, e avendo solo scorto qualche movimento in zona busto. Poteva immaginare anche la sua espressione con il sorriso tranquillo ma imbarazzato che faceva quelle poche volte in cui non si sentiva sicuro di sé, e che, a dirla tutta, gli piacevano un sacco, perché per una volta non doveva essere il solo a sentirsi uno stupido (perché sì, per quanto ne potesse dire, forse lo stupido tra i due forse era sempre stato lui).

Intanto, la frase lasciata a metà dalla Spagna non aveva ancora visto un completamento. Lovino allora cercò di farsi coraggio, e deglutì prima di dire:

“Ho mangiato poco in questi due giorni.” Quasi a volersi giustificare, oppure, meglio, a cercare di far smuovere quella situazione.

Poi vide il mignolo della mano destra dello Spagnolo, poggiata sul ginocchio, piegarsi leggermente, un tic che sapeva di conoscere solo lui, e che appurò compiaciuto che non aveva abbandonato l’uomo neanche dopo tutto quel tempo, e poté immaginare il suo volto contratto in una smorfia colpevole (anche se non c’entrava nulla), come a voler dire che era dispiaciuto e che avrebbe dovuto essere più attento alla sua salute. In quel momento Lovino desiderò ardentemente di sentire quel dito arricciato sul suo ciuffo, sì, su quello ribelle che gli dava tanto fastidio quando veniva toccato, pur di essere sicuro che Antonio era al suo fianco e che era vivo, e che non l’avesse dimenticato, ma Antonio si ostinava a non fare nulla, a stare fermo ed attendere… ma cosa? Perché avrebbe dovuto prendere l’iniziativa lui? E poi quale iniziativa? Dopotutto si erano ignorati in due, non era stata mica tutta colpa sua!?

Alla fine l’italiano, sbuffò sonoramente, facendo sussultare piano l’altro uomo, e si girò verso di lui, con le guance un po’ troppo rosse per i suoi gusti (e sperava che lui non lo notasse, anche se l’avrebbe fatto sicuramente), e poi incrociò le sue pupille, sfuggendo per una volta da quello da cui doveva veramente sfuggire, e cioè il suo desiderio di abbassare subito il volto. In quel momento non sapeva chiaramente come si sentiva: c’era una patina di qualcosa che, come un liquido denso e zuccheroso, aveva iniziato a scendere, dalla testa sul volto, sulle spalle e poi giù fino ai piedi, inglobandolo completamente; solo che non era come una corazza che lo poteva proteggere; tutt’altro, lo faceva sentire ancora più sentimentalmente indifeso, mentre mano mano perdeva la percezione delle ossa e si sentiva diventare un specie di budino umano. Dal canto suo Antonio non sembrava stare messo meglio: si era pietrificato, dopo aver fatto indietreggiare un po’ la sedia, e aver alzato le braccia quasi a voler creare una distanza di sicurezza tra loro: per di più lo fissava come se quello che gli stava “metaforicamente accadendo” stesse succedendo sul serio. Lovino sperò di non sembrargli troppo qualcosa tipo un gazpacho o della salsa di pomodoro in quel momento.

Comunque, fu costretto a farsi di nuovo coraggio, visto che ormai lo Spagnolo sembrava più un animale impagliato che altro, e sbatté un pugno sul letto con forza, urlandogli in faccia:

“b-… b-… b-BASTARDO! TI VUOI MUOVERE A FARE QUALCOSA? O VUOI RIMANERE LI’ IMBAMBOLATO PER TUTTA LA TUA VITA?”

Antonio sussultò vistosamente e poi lo fissò ad occhi spalancati, iniziando a boccheggiare. Evidentemente avrebbe voluto dirgli qualcosa ma ancora non ne aveva le facoltà. Lovino riuscì a sentirsi stupido nonostante stesse avendo a che fare con qualcuno apparentemente più stupido di lui.

“Non mi interessa che non sai cosa devi fare! Fai qualcosa e basta!” Disse con tono di voce leggermente più basso, e un po’ troppo rotto, per i gusti di entrambi.

Difatti, dopo un secondo arrivò un singhiozzo, poi un secondo, poi un terzo, e poi l’italiano si sciolse in lacrime, non riuscendo più a ricacciarle indietro. E nel giro di pochi secondi, di fronte allo sguardo immobile di Antonio, non solo le lacrime iniziarono a rigare il volto dai lineamenti delicati di Lovino, ma le sue guance si tinsero di un adorabile rosso, mentre il corpo era scosso da singhiozzi e da un leggerissimo, ma ben visibile, tremolio, e lo Spagnolo ebbe il terrore che se anche se si fosse mosso di un solo millimetro, il ragazzo di fronte a lui si sarebbe spaccato in mille piccoli pezzettini come se fosse effettivamente fatto di cristallo e non di carne e sangue (sempre che non fosse gazpacho, e purtroppo Antonio ci aveva pensato sul serio).

Comunque finalmente si decise a fare qualcosa e allungò la mano abbronzata, piano piano, e con delicatezza, iniziò a muovere le punte delle dita sulla nuca dell’italiano, come se volesse consolarlo, con quelle piccole scariche di piacere che iniziarono ad attraversargli la schiena. Lovino intanto aveva chiuso gli occhi, e non appena lo Spagnolo vide che le sue labbra si erano leggermente increspate in un’espressione di beatitudine (anche se in realtà l’altro stava cercando di nascondere le sue sensazioni), quasi non ci vide più. Lo afferrò per una spalla, e poi lo strinse tra le sue braccia come se avvolgere quel corpo sottile e tremante fosse l’ultima cosa che concessagli in vita, mentre, poggiando il volto nell’incavo della sua spalla assaporava di nuovo il suo profumo dolcissimo e familiare, che amava più di ogni cosa. E dal canto suo l’Italiano non fu da meno: dopo un iniziale irrigidimento, si sciolse tra le braccia di Antonio, accucciandosi sul suo petto, incurante di stargli bagnando gli abiti, e artigliandosi alla sua schiena, come se fosse il suo unico e ultimo appiglio, l’ancora che l’avrebbe riportato a galla, o l’unica persona disposta di cadere giù all’inferno insieme a lui.

Poi, quando Lovino sembrò essersi finalmente calmato, Antonio gli prese il volto tra le mani, carezzandolo con le dita, dolcemente, e finalmente, dopo averlo fatto attendere tutto quel tempo gli concesse uno dei suoi sorrisi: quelli, belli, stupendi, a cui non è possibile resistere. E l’Italiano rivide finalmente quell’espressione che gli era tanto mancata: gli occhi quasi socchiusi, scuri e profondi, che sembravano traboccare di sentimento, scintillanti di qualcosa di diverso dall’odio che gli era penetrato nel sangue quando l’aveva visto a Guernica, e le labbra perfette, e i denti bianchissimi, e le ciglia lunghe castano scuro come i capelli corti e mossi.

A quel punto a Lovino per un attimo sembrò di essere tornato al passato, quando era una colonia spagnola, la sua preferita, e lui lo coccolava e lo venerava come se fosse il suo tesoro più grande. Di essere tornato a quell’epoca, durante la quale, anche se non era libero, aveva potuto assaporare per un po’ il privilegio di potersi sentire al sicuro, e di avere qualcuno disposto a proteggerti e ad aiutarti in ogni momento. E anche se era dovuto stare lontano dal fratello, cosa quasi impossibile per lui, aveva vissuto giorni felici, fino a quando non si era sentito abbastanza pronto da vedersela da solo, e si era distaccato da Antonio, prendendosi la sua libertà, ma mai dimenticando il loro rapporto.

Un paio di minuti dopo, quando gli sembrò di aver riacquistato la capacità di parlare, dopo tutti quei singhiozzi e quelle lacrime (e gliel’avrebbe fatta pagare a quel bastardo per averlo condotto a piangere come un bambino per l’ennesima volta), fece un’espressione seria, abbassando gli occhi un secondo, come a voler prendere coraggio, e poi disse, con voce flebile:

“Mi dispiace.”

 

 

 

 

[ Non ho riletto, per cui spero non ci siano errori da analfabeta ] Pubblicazione flash del secondo capitolo perché dopodomani parto e ci tenevo a finirla in fretta perché odio attendere nuovi capitoli di qualsiasi fanfic io stia leggendo, e quindi capisco benissimo cosa voglia dire (quindi o pubblicavo tutto e subito o se ne parlava fra oltre un mese). Comunque siamo andanti un po’ più avanti con la storia e mi piace pensare che questo sia il punto clou (clou? Come mi scrive? Boh), anche se non è detto che lo sia per tutti. Comunque ci saranno altri punti più hot nel prossimo capitolo U_U (e anche uno spin-off NC17 se ce la faccio XD). Intanto questo è stato riscritto e ancora non mi convince appieno .-. spero di non dover riscrivere anche il terzo per qualche capata che mi verrà XD. Vabbè, spero che abbiate apprezzato almeno un po’ e poi volevo ringraziare un po’ di gente: allora innanzitutto amby, che la sera in cui ho pubblicato il primo capitolo, su facebook è riuscita a farmi sentire incredibilmente folle ma mi ha fatto ridere un sacco, e poi mi ha scritto una recensione bellissima, nessuno mi aveva mai detto che una mia creazione potesse essere come “ossigeno”, per di più per 6 settimane *_*, sei stata veramente troppo gentile con il mio Lovino profondamente OOC XD, spero che questo capitolo possa piacerti anche la metà del precedente, anche se non ho approfondito la questione guerra civile perché come avevo detto non era il fulcro della storia (ma a riuscirci vorrei approfondire a parte e altrove) (e quel poco che ho scritto di storico stavolta è totalmente inventato, non so nulla della situazione spagnola dopo la morte di Franco XD). Poi vorrei ringraziare a tutti quelli che hanno messo la storia tra quelle da seguire (FeEChAn, Kuro_Renkinjutsushi, Miki89, noriko, redangel250492, SakuraHime_, sasuchan7), quelli che l’hanno condivisa su facebook (e non ho capito se sono tanti sul serio o se facebook ha fatto fail nei conti, anche se qualcosa mi suggerisce la seconda XD), e anche quelli che hanno solo letto, perché sono stata lettrice fantasma così a lungo che so cosa vuol dire. Ci si vede all’ultimo capitolo!

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Capitolo 3
*** [1] Go With The Flow ***


No One Knows
CAPITOLO 3.1: GO WITH THE FLOW

But I eant something goos to die for
To make it beautiful to live
I want a new mistake
Lose is more than hesitate
You believe it in your head 

I can go with the flow
I can go with the flow

 

“Mi dispiace.”

Lo spagnolo si fermò, guardandolo intensamente, e Lovino si chiese per un momento se veramente stesse comprendendo quello che gli aveva detto o meno. Se capiva perché si stava scusando, perché aveva messo da parte il suo orgoglio, dopo tanto tempo, e aveva negato il suo stesso carattere, finendo con l’ammettere tacitamente che poteva fare a meno di lui a lungo (arrancando fin troppo, a dirla tutta), ma non eternamente. Poi, essendo che questi continuava a non dire una parola, continuò:

“Ti ho visto, quando eri a Guernica, dopo il bombardamento, ma non ho potuto aiutarti.” Mentre pronunciava queste parole, in un sussurro sconnesso che alla fine si trasformò in un vero e proprio balbettio privo di senso, gli occhi di Lovino persero vivacità, come se una copertura di dolore stesse lì ad appannarli, senza permettergli di vedere la realtà.

“Pensavo che mi odiassi, che non volessi più vedermi e me ne sono stato in disparte tutto questo tempo.”

Lo Spagnolo, allora, fece un’espressione mista tra il dolore e la consapevolezza, senza però smettere di sorridere, gli prese le mani bianche e tremanti stringendole tra le sue e poi gli disse, con una naturalezza tale che al più giovane sembrò di star sognando:

“Come potrei mai odiarti?”

“M-ma… io... la guerra civile, la dittatura di Franco… s-sei stato soggiogato più di trent’anni… anche dopo… non ho potuto far nul-la… la crisi economica… il piano Marshall…” Iniziò a balbettare l’altro in modo sconclusionato.

“Oh, Lovi…” E Antonio allungò una mano, posandogliela sulla testa, carezzando dolcemente i capelli, come non faceva da troppo tempo, sfiorando anche quel ciuffo ribelle che era tanto sensibile, e che gli fece stringere leggermente gli occhi al tocco, mentre l’altra mano stringeva le sue, più piccole, come se volesse dirgli che non avrebbe voluto lasciarlo più, che avrebbe fatto qualunque cosa pur di essere certo che non gli sarebbe più sfuggito, a causa di una dittatura, di una guerra o qualunque altra cosa.

“Come potrei odiarti? L’Italia era sotto dittatura, e anche la Germania, e alla fine è toccato anche a me, è il volgersi della storia … il mio odio non è mai stato rivolto a te, ma semplicemente a tutte quelle persone che stavano ostacolando la pace, la felicità e la democrazia, ma soprattutto la libertà del mio popolo, dopo aver tolto ogni coscienza alla persona a cui tengo più al mondo…” E la mano scese alla nuca, come a volersi accertare che Lovino non si potesse allontanare di un solo centimetro.

L’Italiano, comunque, non si sarebbe fermato a fare nulla che potesse ostacolare quella sorta di tacita riconciliazione, anche se forse i loro erano stati semplicemente fraintendimenti messi l’uno sopra l’altro, come mattoni, a formare un muro, e difatti non si mosse di un millimetro, tranne che per le mani, che lasciarono quella più abbronzata dello Spagnolo, per posarsi con delicatezza sulle sue spalle, e poi per stringere forte, toccando rudemente la sua pelle attraverso la stoffa sottile della camicia e sentendo le numerose cicatrici che fasciavano il suo corpo, troppo nitidamente al tatto, troppo fredde per la sua passione, troppo taglienti rispetto alla sua dolcezza.

“Sei cambiato…” Constatò, quasi tra sé e sé.

“Anche tu sei cambiato.” Antonio quasi gli fece il verso, nel notare una cosa fin troppo evidente, e poi continuò:

“Ci siamo trovati ad affrontare qualcosa più grande di noi, e l’unico modo per contrastarlo era agire da soli. Non devi sentirti in colpa per quello che è accaduto, perché anche se non fossi stato lì non sarebbe cambiato nulla; anzi, vederti quel giorno a Guernica, quando mi sembrava che le mie speranze erano divenute solo vaneggiamenti mi diede la forza di andare avanti, proprio perché non potevo sopportare quello che avevano fatto a me e al mio popolo, e quello che avevano fatto a te, e pensai che avrei voluto fare qualcosa, anche se poi non ci sono riuscito…” L’Ispanico abbassò un secondo lo sguardo, come se si dovesse vergognare, e Lovino strinse ancora un po’ la sua camicia, come a volergli dire che non doveva sentirsi così, assumendo un’espressione preoccupata; poi lui continuò, stavolta sorridendo:

“Però tu sei riuscito insieme con gli alleati a liberarti dalla morsa fascista e nazista, mentre Feliciano stava distaccato da te, con i Partigiani… e quella volta, nonostante non potessi essere esattamente cosciente, sentivo che qualcosa dentro di me non poteva che essere felice di quello che stava accadendo, perché sapere che stavi bene e che eri riuscito a liberarti non poteva che rendermi felice, anche se non sono riuscito a imitarti…”

“E’ stato solo grazie al fatto che l’Italia era entrata in Guerra che è successo quello che è successo, perchè senza la venuta degli Alleati la situazione sarebbe degenerata tanto quanto in Germania. La Resistenza c’è stata fin troppo tardi, e soprattutto dopo, nelle condizioni disastrose in cui ci trovavamo, non siamo riusciti ad essere utili per nessuno… - Lovino fece un lieve sospiro – Non ho potuto aiutare neanche te… Non ho fatto assolutamente nulla in tutti questi anni…”

“Lovino.” La voce autoritaria dell’uomo più grande lo interruppe, in maniera brusca, come se si preparasse a fargli una predica, e infatti, quando incrociò gli occhi dello Spagnolo vide che erano duri, seri, e che lui si stava preparando a dirgli qualcosa che si era trovato ad accettare con molte difficoltà.

“Io ho smesso di essere il tuo padrone molto tempo fa, così come tu hai smesso di essere una mia colonia. E’ giusto quello che hai fatto, e io non ti ho portato rancore neanche per un secondo. E’ per questo che non mi sono mai riavvicinato a te: tu sei indipendente, e non hai più né il dovere né la necessità di starmi accanto; e io non ti ho voluto costringere a starmi vicino.”

Dopo aver sentito queste parole Lovino fece un sospiro profondo, come se stesse digerendo la cosa con difficoltà, e poi, improvvisamente, scostò in malo modo la mano di Antonio, che era rimasta appolaiata sui suoi capelli e gli urlò in faccia, con tutta la rabbia che aveva in corpo:

“Sei un d-… un d-… UN DANNATO IDIOTA! ECCO QUELLO CHE SEI, SEI SEMPRE STATO E SEI DIVENTATO ANCORA DI PIU’ PERCHE’ IO MI SONO DISTRATTO! Sai che me ne frega dei miei doveri di nazione? Sei il re della coerenza! Credevo che mi fossi stato vicino a prescindere dai tuoi interessi espansionistici… – fece un respiro profondo – A me prima della Spagna, interessi TU…” Aggiunse alla fine, arrossendo in maniera vistosa e parlando in un tono così basso da essere quasi impercettibile, anche se Antonio potè sentire ogni parola chiaramente dalla distanza a cui si trovava. Infatti prima aprì la bocca e alzò le sopracciglia in un’espressione sorpresa (e Lovino si trattenne dal fare commenti perché quel giorno si sentiva incredibilmente magnanimo), e poi sorrise, nel suo modo meraviglioso ed indescrivibile, abbracciandolo di nuovo.

“Lovino, mi amor.” Lo chiamò, nello stesso modo che aveva usato tante volte quando era piccolo e gli dimostrava il suo affetto.

“Smettila di chiamarmi in quel modo idiota, non sono più un bambino!” Fu la risposta del più piccolo che iniziò a divincolarsi inutilmente tra le braccia dell’altro.

“Ma io non intendo in quel senso.”

Improvvisamente Lovino si fermò, avendo timore di guardare in alto, verso Antonio, che non si mosse neanche di un millimetro, come ad attendere una sua reazione. Quando lanciò qualche occhiata alla faccia dell’ispanico poi si preoccupò ancora di più, perché era velata da un sentimento che non gli aveva mai visto prima sopra, qualcosa misto tra passione e dolcezza, che alla fine lo tenne inchiodato agli occhi verde smeraldo di Antonio, che aveva stretto leggermente la presa sulla sua nuca, mentre con l’altra mano aveva afferrato il suo mento, avvicinandosi pericolosamente. E quel verde che addosso ad Antonio diventata fin troppo cocente e sensuale si mischiò per un attimo al dorato di Lovino, che sembrava oro fuso, in quell’espressione liquida che gli dipingeva il volto, e che era divisa tra l’essere totalmente spaventata e totalmente accondiscente, quando…

“Señor Vargas, Señor Carriedo, il Primo Ministro ha richiesto la vostra presenza per una questione molto importante, e voleva sapere se era possibile risolvere adesso o se era meglio attendere domattina…”

L’uomo entrato, che era sicuramente uno dei dipendenti di Antonio (che differentemente da Lovino e suo fratello, che avevano preferito starsene per i fatti propri nel loro appartamento romano, seguitava ad abitare nella sua immensa villa nella periferia della capitale spagnola), lasciò le parole in sospeso, facendo intendere che era stato richiesto di far sapere delle condizioni della nazione Italica.

Ovviamente non appena l’avevano sentito entrare i due interessati si erano staccati, girandosi a fissare con sguardo “colpevole” l’uomo che li aveva interrotti giusto in tempo. Ascoltarono tutto, e poi attesero un paio di secondi, come a dover recepire il messaggio, dopo lo spavento. Poi Antonio disse:

“Ce la fai?”

Lovino si girò dalla sua parte, e poi da quella del dipendente di Antonio, e poi, notando che entrambi stavano pendendo dalle sue labbra, e che il suo cervello gli stava urlando che l’unico modo di sopravvivere all’imbarazzo era uscire da quella stanza, disse:

“S-si si, ce la faccio, datemi solo qualche minuto.”

 

Un quarto d’ora dopo lui e Antonio erano in macchina (quel bastardo viziato aveva persino l’autista!), e dopo mezz’ora erano già giunti alla sede del parlamento Spagnolo, nonostante villa Carriedo fosse situata in periferia e a quell’ora la città era molto trafficata. Oramai era già sera inoltrata, e Lovino si accorse di aver dormito parecchio: quando si era sentito male era all’incirca mezzogiorno e in quel momento era già quasi ora di cena.

Comunque, il meeting terminò solo parecchie ore dopo, anche se furono risolte molte questioni importanti riguardo i rapporti economici tra i due paesi. Durante le varie discussioni Antonio sorrise parecchie volte all’Italia del Sud, come a volergli dire che era contento che fossero lì, in quel momento, seduti a quel tavolo, trattandosi come due pari e discutendo del bene dei propri paesi; e poi, in realtà, lo Spagnolo era molto fiero dell’altro, perché, nonostante tutto, era stato lui a crescerlo, e non poteva fare a meno di compiacersi almeno un po’ quando questi dimostrava le sue buone doti (che c’erano, anche se pochi le notavano a causa del suo caratteraccio...).

Giunti fuori il palazzo le due nazioni di fermarono fianco a fianco, scambiandosi ancora qualche battuta su quello che era stato deciso in serata, finalmente nella maniera a loro consona, con Antonio che sorrideva beato e Lovino che rispondeva in malo modo, finchè Antonio non disse:

“Che ne dici di stare da me stasera?”

“Non ti preoccuppare, non ho più bisogno delle tue cure pietose.”

Allora lo Spagnolo sorrise e gli disse, prima di allontanarsi:

“Va bien. Ci vediamo domani.”

E gli fece l’occhiolino.

 

Il giorno dopo fu, per Lovino, il primo abbastanza piacevole dopo quello che era stato costretto a passare durante la prima parte del suo soggiorno in Spagna, e nonostante sentisse che c’era qualcosa che ancora non quadrava, e che andava fatto, o compreso o risolto, qualunque la questione fosse, sapeva che da adesso sarebbe riuscito a stare tranquillo anche per lungo tempo. Si sentiva persino di ottimo umore, il che era una cosa rarissima per un tipo come lui, specialmente quando si doveva aver a che fare con gli spagnoli e in modo particolare con quello stupido del loro rappresentante, che il giorno prima si era dimostrato per quello che era: la persona più incredibilmente idiota che gli era mai capitato di conoscere (e non avrebbe mai ammesso che parlava in senso buono perché era incredibilmente felice).

Comunque la mattina seguente, dopo essersi lasciato cullare dal ricordo di quello che era che era accaduto il giorno prima, decise di cercare di chiudere un po’ il flusso dei suoi pensieri, per una volta tanto, per tutto il resto del tempo. E, in seguito, riscontrò che anche Antonio sembrava aver fatto lo stesso, e potè notare compiaciuto che sembrava che tutto si fosse finalmente normalizzato, anche se gli appariva strano poter ricominciare a comportarsi con lui come una volta.

Ad ogni suo insulto aveva ricevuto uno dei suoi sorrisi comprensivi, come se, come una volta, gli dicesse: “Anche se fai così va bene, tanto comunque non riesco ad arrabbiarmi”. La situazione fu così naturale che non potè fare a meno di godere di quella sorta di protezione che sentiva solo nel rapporto instaurato con il fratello, oltre che con Antonio, anche se le due relazioni avevano sfaccettature leggermente diverse, e lo Spagnolo era in grado di fargli venire qualche volta dei sussulti leggeri, un lieve batticuore, o un arrossamento del viso, che gli facevano comprendere come loro non fossero fratelli, padre e figlio, amici, ma qualcosa di più sottile, come un mix tra tutte queste cose, che però stava ancora aspettando di trovare un nome.

Antonio però era come se fosse un po’ più consapevole di tutte queste cose rispetto a lui, e a tratti lo dimostrava anche. Infatti, mentre prendevano un aperitivo prima di cena, gli disse, sorseggiando disinvolto un Bellini nell’hotel di lusso dove erano capitati quella sera a causa del loro lavoro, gli disse:

“Mi sento quasi in soggezione a vederti così.”

Lovino si girò, lentamente, facendo un’occhiata interrogativa.

“Sei  qui davanti a me, vestito al’ultima moda italiana, con un Americano in mano, che per la cronaca non ho idea di cosa abbia dentro, e con una nonchalance da fare invidia. Quasi non sembri tu.” E gli sorrise leggermente, come se lo stesse ammirando silenziosamente dopo una sua qualche straordinaria azione.

“Non potevo certo rimanere un bambino per sempre.” Grugnì Lovino girandosi a guardare il barista che metteva del ghiaccio in un bicchiere e bevendo un altro sorso di cocktail, assaporando il Campari a contrasto con la fettina d'arancia che addolciva leggermente il tutto.

“No, non intendo questo… - Rispose lo Spagnolo, facendo “no” con la testa – E’ che una volta, anche quando eri già diventanto totalmente indipendente da me, non ti avrei mai neanche immaginato in queste vesti: qui, in questo luogo lussuoso, a tuo pieno agio. E la cosa affascinante è quanto ti si confaccia una situazione del genere: è un fascino diverso da quello selvaggio che ti era insito una volta, ma che ti sta veramente bene.”

Mentre diceva queste parole, quasi sussurate nel tono più sensuale che conosceva, Lovino non potè fare a meno di pensare che si stava sbagliando di grosso, perché se c’era qualcuno con fascino, tra loro due, di certo non era lui. Infatti, parlando, lo Spagnolo aveva posato il gomito sul bancone di marmo chiaro, accomodandosi meglio sul lucido legno del suo sgabello, e poggiando mollemente la testa sulla mano, mentre con l’altra allentava lievemente la camicia nera. E lì, con quel suo completo d’ebano, colorato solo dallo scarlatto della cravatta, e il suo sguardo languido con gli occhi socchiusi e le labbra incurvate, che lo guardava dal basso verso l’alto, lasciando che qualcuno dei riccioli più lunghi sfuggisse al suo controllo, gli sembrò il seduttore fatto a persona, il Casanova a cui non sarebbe mi sfuggito nessuno. Non a caso dovette girare di nuovo il volto, stavolta diretto a guardare l’immensa mole di bottiglie di liquore che troneggiavano sulla parete di specchio dietro il bancone, sentendo che era arrossito fino alle orecchie e che nemmeno la sua leggera abbronzatura l’avrebbe salvato. Era come se fosse stato adescato perfettamene.

“Tsk. Sei sempre il solito. E’ ovvio che mi trovi bene in queste situazione, mi ci sono dovuto abituare. Idiota.”

E Antonio sorrise, di nuovo, anche se non sembrava aver constatato appieno l’ascendente che aveva su di lui.

 

Più tardi, a Lovino fu di nuovo chiesto se voleva alloggiare a Villa Carriedo.

“Sto benissimo in hotel, grazie.”

“Immaginavo mi avresti detto così.”

“Allora che me lo hai chiesto a fare?”

“Tentar non nuoce.” Rispose, in italiano, alzando le spalle, senza smettere di sorridere, prima di aggiungere:

“Allora fatti almeno accompagnare.”

“E’ qui vicino, cretino.”

“Ho voglia di camminare un po’.” E lo sorpassò senza girarsi a controllare di essere seguito.

E a Lovino toccò incamminarsi velocemente per raggiungerlo, con i pugni stretti per quel poco di frustrazione che era dovuta al fatto che sapeva fin troppo bene che si era fatto convincere senza opporre alcuna resistenza, proprio come l’altro aveva programmato.

Camminarono poco, e silenziosamente, tra le strade bagnate e odorose di pioggia del centro di Madrid, tra le luci colorate e abbaglianti, prima di arrivare alla propria meta. Lovino aveva le mani in tasca, ma poteva sentire i loro gomiti che si strusciavano di tanto in tanto, e un po’ del calore di Antonio nel fresco delle notti estive.

“Siamo arrivati.”

“Vedo.”

“Come hai intenzione di tornare a casa tua ora?”

“Ti preoccupi per me?” E Antonio sorrise ancora, con un volto che all’altro sembrò più luminoso dell’insegna a caratteri eleganti dell’albergo.

“Ovviamente no. Era per dire.” Peccato che fosse arrossito leggermente mentre diceva queste parole, ricambiate dall’espressione serafica dell’altro.

“Va bene, comunque mi viene a prendere l’autista tra un paio di minuti.”

“Tsk. Dovevo immaginarlo.”

“Rimani a farmi compagnia?”

Lovino non rispose, ma stizzito calciò un sassolino verso il margine del marciapiede per poi prendere a studiare i giochi di luce creati sulla sua scarpa lucida dal lampione lì vicino. A un passo da lui, Antonio, con le braccia conserte aveva iniziato a tacere pericolosamente. Lui mise le mani in tasca in attesa e poi si girò verso la direzione dove pensava sarebbe giunta la macchina, ma niente, era tardi e non sembrava stare arrivando nessuno. Avrebbe potuto dirgli qualcosa, soprattutto perché la mattina dopo sarebbe arrivato il momento di andarsene, ma a dirla tutta non voleva prodigarsi in grandi cerimonie, perché sarebbe stato ancora più… fastidioso; avrebbe saputo troppo di finto, per i suoi gusti. Poi l’altro non sembrava neanche accennare alla questione, come se non lo riguardasse affatto o come se gli avesse letto nel pensiero, e volesse rispettare i suoi desideri.

“Ecco la macchina.” Antonio si era piegato quasi ad angolo retto per poter vedere in fondo alla strada.

Lovino non rispose osservando la scena. Non disse nulla guardando la macchina accostare e lo Spagnolo fermare il suo autista che si stava accingendo ad andare ad aprirgli la porta. Intanto ringraziò mentalmente chi aveva scritto il galateo per aver detto che era buona educazione per chi se ne stava andando di salutare per primo. Antonio allora lo guardò un momento negli occhi, facendo trasparire il fatto che non era per nulla preoccupato da quei saluti, e disse:

“Ci vediamo domani in aereoporto.”

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** [2] Do It Again ***


Attenzione:  questa è la seconda parte del terzo capitolo, perchè sono perfettina allora visto che era lunghissimo ho preferito dividere! Per leggere la parte precedente tornate di un capitolo più dietro!

 

 

No One Knows
CAPITOLO 3.2: DO IT AGAIN

I fall over and over and over, oh I want you
I get in, you're only one I'm in too
You and me fit so tight
All we need is one more time

Can you do it again?
So do it again

 

La notte non fu una delle migliori per l’Italiano visto che ci mise parecchio a prendere sonno. Mentre fissava la poltroncina di fronte a lui seminascosta dal buio, steso tra le lenzuola di seta color crema, ripensò a lungo a quello che gli aveva detto Antonio prima di lasciarlo. Le parole, il tono della voce, lo sguardo eccessivamente serio, gli facevano comprendere che c’era qualche motivo particolare per il quale aveva deciso di salutarlo il giorno dopo, giusto prima che partisse, come se, per un motivo astruso, fosse meglio camminare sul filo del rasoio, piuttosto che su una piattaforma solida e spaziosa. Era come se lui si aspettasse qualcos’altro, ma non volesse forzare nulla, e semplicemente creare il maggior numero di occasioni possibili; come se ci fosse qualcosa che lui non aveva compreso appieno, mentre Antonio si, e stava cercando di andarci il più vicino possibile.

Per non parlare di quello che era accaduto due sere prima: Antonio l’aveva quasi b-ba… ba… no, meglio non pensarci. E poi chi diceva fosse così? Forse aveva semplicemente visto qualcosa sulla sua faccia e quelle parole di prima erano state dette per prenderlo in giro, confonderlo, come faceva sempre. Era molto più probabile che fosse stato lui a prendere fischi per fiaschi. E poi anche se fosse stato vero l’avrebbe sicuramente fermato: Antonio era un ragazzo, e lui non aveva alcun interesse del genere, per lui soprattutto, anche se doveva ammettere che, nonostante tutto, aveva il suo fascino. Si chiese cosa poteva star pensando lui in quel momento, ma alla fine concluse che stava sicuramente dormendo tranquillamente e che, come al solito, era lui a starsi facendo problemi per entrambi, dando adito a stupide sensazioni senza alcun significato.

Stava ragionando in maniera sconclusionata su qualcosa che aveva un andamento ma di cui non aveva trovato né il capo né la coda, e questa cosa non faceva altro che mettergli soggezione. Dopotutto si erano appena riconciliati, e c’erano tante, troppe cose che avevano bisogno di essere fatte e dette e che erano rimaste segregate durante tutti quegli anni, e non si poteva pretendere che arrivassero tutte in un colpo, come un bomba. Forse anche per questo Lovino avrebbe preferito salutare Antonio prima: forse così avrebbe potuto prendersi tempo, anche se c’era sempre il rischio che crollasse tutto.

Comunque alla fine era stato l’altro a decidere, e, alle volte, è meglio accettare quello che ti succede anziché pretendere che vada come vuoi tu, perché è il miglior modo per andare avanti più tranquillamente, senza il peso di aver sbagliato o la gioia di aver fatto bene, quasi come in una scommessa pascaliana: o vinci tutto o non perdi niente. E finalmente, dopo essere riuscito a far pace con la sua coscienza, aveva dormito, come a volersi preparare almeno fisicamente a quello che sarebbe accaduto (o a quello che non sarebbe accaduto) il giorno seguente.

Così il mattino, di buon ora, preparò le valigie, fece colazione e si vestì, mantenendo la maggior calma possibile e facendo in modo di arrivare, almeno un’ora prima del suo volo, in aereoporto.

 

Ovviamente, né il Ministro, né nessun altro di quelli che avrebbero viaggiato con lui, erano arrivati, visto che era consuetudine per i voli privati arrivare giusto all’ultimo minuto, per sventare scocciature di qualunque tipo.

Non aveva esattamente idea di cosa fare, visto che la valigia l’aveva lasciata in albergo insieme a quelle degli altri, e non poteva neanche fare il check-in. In cambio c’erano un sacco di negozi e ristoranti per intrattenere i viaggiatori, e allora si fermò ad un bar, per prendere il caffè. Avrebbe potuto anche accendere il cellulare e chiamare il fratello, anche se l’aveva sentito solo la mattina precedente, per svegliarlo, ma alla fine rinunciò. Si fermò, a guardare la vita delle persone che correvano avanti e indietro, affaccendandosi nelle loro cose, come se tutto quello fosse un quadro futurista, e lui un pittore che cercava di rendere al meglio il fatto che si sentiva fermo, troppo fermo, in un mondo che andava avanti senza di lui.

Per di più, oltre alla maliconia che gli stava venendo addosso c’era qualcuno, quel qualcuno, che si ostinava a non presentarsi, così come aveva fatto fin troppe volte negli ultimi cinque giorni. E lui non si trovava certo in un posto nascosto: tutt’altro, riusciva a vedere bene l’entrata principale dell’aereoporto ed era certo che di Antonio non ci fosse traccia, nonostante mancasse solo mezz’ora alla sua partenza. Fu questo insieme di constatazioni che gli diedero a pensare: e se lui volesse fargli un saluto veloce proprio all’ultimo, giusto per togliersi la questione davanti? E se si stava facendo paranoie a vuoto? E se non sarebbe più venuto? Perché diamine un frase semplice come “Ci vediamo domani in aereoporto” doveva dargli tutti questi problemi?

Fortunatamente non ebbe tempo di trovare nessuna catastrofica risposta che si trovò un muso conosciuto e abbronzato di fronte.

“Buongiorno.”

Lovino alzò il volto, girando il cucchiaino nel caffè, ormai troppo freddo per essere gustato, senza dire nulla, come se volesse esprimere una qualche forma di scontentezza. Antonio però non si accorse di nulla, e anzi, aggiunse:

“Sei arrivato prima di me.” Disse, come a voler fare una qualche insinuazione.

“E’ stato un caso, non ti fare false speranze.” Rispose l'altro, senza neanche accorgersidi aver fatto il gioco dell'altro.

Antonio a quel punto sorrise, ma in maniera diversa rispetto al suo solito: le labbra si erano prima strette e poi curvate in una vena mista tra compiacimento e malizia, e dopo, quando Lovino lo fissò interrogativo, sussurrò, a voce così bassa che a stento l’Italiano riuscì a distinguere le parole l’una dall’altra:

“Perché, mi sarei dovuto aspettare qualcosa da questo incontro?”

A quel punto l’altro capì che lui realmente sperava sarebbe accaduto qualcosa, ma che al contempo stava aspettando qualche segnale per poter andare avanti, un segnale che, volente o nolente, aveva avuto la distrazione di servirgli su un piatto d’argento. Insomma, Lovino intuì il ragionamento dell’altro, ma preferì non farsi alcuna domanda sull’oggetto della questione, perché sentì di starsi infilando in una situazione pericolosa, e verso un punto di non ritorno, e poi la sua voce gli si era insinuata dolcemente nel corpo, facendo vibrare fin troppo piacevolmente la sua spina dorsale. Allora, tentò l'unica difesa che conosceva quando si trattava di rivaleggiare con lo Spagnolo, e rispose male:

“Ovviamente NO, maledetto bastardo! Io non ho nulla da darti!”

“Eccome se ce l’hai.”

Non l'avesse mi detto! Dopo aver sussurato con dolcezza queste parole Antonio non attese alcuna risposta. Si piegò verso il tavolino, alzandosi un pò dalla sedia posta di fronte all'altro e gli afferrò il mento con una mano mentre gli si avvicinava repentino, senza dargli modo di pensare. Si sporse abbastanza da far confondere i loro respiri e il colore dei loro occhi, il suo verde passionale con il dorato sperduto di Lovino, per poi posare le labbra su quelle dell'altro in un bacio così dolce, leggero, casto, che quasi non si sarebbe potuto dare per suo, del suo essere forte e sentimentale. Ma era anche vero che oltre ad essere un mediterraneo dal sangue rosso e caldo, era uno che ci pensava prima di fare qualcosa, e non si sarebbe mai avventato sull'altro senza sapere cosa gli passasse per la testa, con anche la più piccola probabilità che non volesse affatto essere toccato da lui.

E quindi, quasi con la stessa velocità con cui si era avvicinato, tornò a sedere, composto, prendendo a fissare l'Italiano, i cui occhi erano ancora spalancati dalla sorpresa, e le labbra seducentemente dischiuse e lucide, e il volto deliziosamente arrossato. Si chiese come aveva potuto fare a meno di quella bocca fino a quel momento, sentendo un lievissimo sapore di miele e aceto che gli si diffondeva sulla punta della lingua, insieme e ad un pizzico di basilico, quello mentato, che c'è nel Sud Italia.

Mentre Antonio si era abbandonato al suo "gustoso compiacimento", Lovino ebbe il tempo di aprire e chiudere un paio di volte la bocca, attonito, di constatare che sentiva che le sue orecchie stavano per prendere fuoco, e di guardarsi intorno, cercando qualcuno che avesse visto quello che aveva fatto quell'idiota, per stamparsi nel cervello la sua faccia, e farlo fuori dopo aver fatto fuori la persona di fronte a lui. Alla fine, non vedendo nessuno che guardava nella loro direzione si alzò, in un botto, rischiando di far cadere la sedia, posò una banconota che non aveva idea quanto valesse sul tavolino e poi, senza rivolgergli uno sguardo, prese con violenza Antonio per un polso, iniziando a camminare spedito, attraversando l'altrio dell'aereoporto, tirandoselo dietro.

Alla fine, quando vide un angolino nascosto, dietro una grossa colonna vicino alla sala fumatori quasi vuota, si fermò, mettendosi di fronte l'altro, che era bloccato da dietro dalla colonna stessa, che, fredda, gli toccava la schiena. Aprì la bocca con l'intenzione di urlare più forte che poteva, ma alla fine ci pensò su quel secondo che bastò per fargli capire che se voleva rimanere inosservato non poteva alzare la voce. Per cui sussurrò, comportandosi come se stesse urlando, e iniziando a gesticolare in maniera quasi isterica:

"Mi spieghi che cazzo fai in mezzo a tutta quella gente, idiota? Ti sei bevuto il cervello? Il Ministro sarà qui tra... - guardò l'orologio, come se quell'oggetto gli avesse fatto un grande torto - ORA! E avrebbe potuto vederci, così come chiunque altro!"

Antonio ascoltò tutto lo sfogo con un certo interesse e soprattutto con una certa aspettativa e poi, dopo aver immagazzinato le parole dell'altro, sorrise beato, come se le cose non potrebbero andare meglio, anche se non si mosse di un muscolo e rimase lì a sfiorare la colonna con le spalle e con le braccia ciondolanti ai lati del corpo, che ogni tanto solleticavano i jeans blu scuro.

"Che cazzo hai da ridere? Vorrei proprio saperlo, bastardo!" Gli disse Lovino che aveva assistito alla nascita del suo sorriso senza capirne assolutamente il motivo, stringendo i pugni, e alzandosi un pò sulle punte, senza neanche accorgersi che adesso era lui quello che si stava avvicinando troppo.

A queste parole l'altro non fece una grinza, e anzi, dopo aver messo le mani sui fianchi, a mò di interrogatorio, iniziò a incalzarlo:

"Quindi avevi paura che ci vedessero?"

"E' ovvio stupido! Mi stai prendendo per il culo?" L'Italiano non riuscì a trattenersi e sbattè il piede sul marmo beige, quasi mettendosi le mani nei capelli.

"Allora va bene se ti bacio?"

Il Sud Italia non stava capendo più nulla. Da una parte, il suo cervello, totalmente andato in corto circuito, gli diceva che era il caso di avvolgere le braccia al collo dell'uomo davanti a lui e baciarlo senza riserve, anche se non aveva ancora compreso appieno il motivo di tale irrefrenabile voglia, dall'altro gli veniva richiesto di mantenere un certo self-control, e pensare almeno a quello che stava dicendo (perchè aveva parlato con ben poca coscienza).

"SI, ma non lo fare mai più in mezzo a tutta quella gen-..."

Lovino realizzò troppo tardi quello che aveva detto, o anzi, realizzò il sentimento che gli aveva fatto ammettere una cosa del genere non appena Antonio si avventò di nuovo su di lui, stavolta in maniera quasi feroce, senza neanche permettergli di terminare di parlare. Gli prese il volto tra le mani e catturò le sue labbra, una volta, due volte, tre volte, fino a quando non sentì l'altro rilassarsi al suo tocco e finchè non vide i suoi occhi chiusi con un'accondiscendenza tale da riuscire ad accendere tutta la sua passione. Leccò il labbro inferiore di Lovino con lentezza e si beò delle sue labbra dischiuse quasi subito. Entrò nella sua bocca con veemenza, con passione, con tutto il desiderio che si era tenuto dentro tutto quel tempo, con tutta la frustrazione che aveva covato a causa della loro distanza, mentre gli accarezzava i capelli rossicci, morbidi, profumati, la nuca scoperta, la schiena che vibrava al minimo sfiorare e lo abbracciava stretto, ma attento a non fargli male.

L'altro, dal canto suo, dopo un primo momento di smarrimento, non ebbe davvero il tempo di ragionare, perchè il tocco delle labbra dello Spagnolo, un pò secche, ma fresche e dannatamente piacevoli, gli mandarono il cervello (che in realtà già era partito da parecchio), e poi il cuore e poi il corpo in pappa. Poi, quando le loro lingue si sfiorarono, prima con delicatezza e poi man mano con decisione, animate da quel sentimento che Lovino potè finalmente definire come amore, perchè era quella la chiave dell'enigma che l'aveva tormentato così tanto, sentì le gambe che si facevano molli, le ginocchia che tremavano e le braccia dell'altro avvolgergli le spalle, come se avesse capito che aveva bisogno di sostegno. Poi affondò le dità nei suoi ricci scuri e ribelli, iniziando a godere totalmente di tutte quelle sensazioni, finchè la mancanza di ossigeno non ne richiese il termine, o almeno quella che sarebbe presto diventata solo una momentanea pausa.

Antonio posò la fronte su quella dell'altro sorridendo felice, fissandolo mentre ansimava leggermente e perdendosi nelle striature verdastre dei suoi occhi. Lovino non disse nulla, non sorrise neppure, ma, a dirla tutta, non ce ne era alcun bisogno. Lo Spagnolo, comunque gli sussurrò:

"Ieri sera ho chiamato Feliciano... ha detto che può fare a meno di te qualche giorno."

"Tsk. Devi sempre dare fastidio a tutti, vedo."

Antonio sorrise ancora: quello non poteva che essere un si.

"Verrai a dormire da me?"

Lovino arrossì ancora di più di quello che era già arrossito, se possibile, poi gonfiò le guance e si girò verso destra. L'altro pensò che erano anni che non gli vedeva fare la sua "tomato-expresiòn".

"Pervertito."

Antonio lo strinse al punto da rischiare di soffocarlo.

"Sapevo che avresti detto di si."

 

What do you do to me?
No One Knows

 

 

 

 

Fine. Mi sembra quasi un sogno poterlo dire xD Di solito non porto mai a termine nulla... ma per una volta è andata! In questo capitolo ho potuto anche normalizzare un pò la questione OOC e infatti mi sento un pò più serena, anche se ci sono dei punti che veramente non mi piacciono perchè sono forzati e poco scorrevoli .-. . E pensare che ci ho messo un'eternità a scrivere tutta questa ultima parte perchè non mi sono voluta limitare e ho avuto davvero poco tempo (ed è insopportabile sapere che ti servono 3-4 ore di pace per scrivere quando hai solo delle mezz'ore random se pure hai fortuna). Vabbè, poco male, mi sento soddisfatta anche solo per aver finito, e spero che possa piacervi anche un poco poco (se no va bene anche una recensione di critica costruttiva, ovviamente!). Passiamo ai ringraziamenti: allora ringrazio di nuovo tantissimo amby che mi ha seguito con impazienza ed è riuscita a farmi contenta tantissime volte; grazie per la recensione, specialmente per quello che mi hai detto sull'OOC che mi ha incredibilmente rincuorata, e per aver messo la fic tra le preferite, le ricordate, su facebook, dapertutto XD, grazie per i complimenti sul mio "stile" e sulla questione introspezione, insomma GRAZIE GRAZIE GRAZIE! Poi ringrazio SakuraHime_ per la recensione che mi ha fatto molto molto piacere, gentilissima, e per aver messo la storia tra le seguite, spero di rivederti a recesire! Ancora ringrazio chi l'ha inserita tra le seguite (FeEChAn, hihihihi, Kuro_Renkinjutsushi, Miki89, noriko, redangel250492, sasuchan7), a Erichan, che insieme ad amby l'ha messa tra le preferite, e infine quelli che l'hanno condivisa su facebook (e ora c'è un numero normale segnalato XD), e anche chi ha solo letto. Ci rivedremo presto in uno spin-off, spero!

//SPAZIO PUBBLICITARIO [se non vi interessa potete chiudere qui XD]// Scriverò ancora \O/, anzi in realtà ho un sacco di idee XD. Comunque a parte ciò ho intenzione di darmi a varie fic non appena terminate le vacanze: innanzitutto a questa seguirà uno spin-off PWP NC17, che ho voluto distaccare perchè non mi andava di alzare il raiting a rosso da un momento all'altro, e poi a continuarla diventava beatiful; poi ho avuto una buona pensata di carattere storico in cui compariranno sia Antonio che Lovino ma anche altri personaggi, ma che sarà solo roba introspettiva, però mi devo documentare come si deve prima; poi, e questa potrei iniziare a scriverla per prima (perchè di studiare storia o scrivere NC17 con i miei parenti intorno non se ne parla), ho in mente un'altra Spamano a capitoli, però stavolta con una trama più complessa e originale che ho in mente da un anno e volevo usare per un'originale ma l'altro giorno mi è venuto un flash e allora pensò ci scriverò una fic, che avrà un genere mai visto XD. Poi ho in mente ancora un'altra cosa, ma non è Spamano, e comunque la trama è un pò sterile perchè segue i cliché di un certo tipo di manga. Spero di ritrovare qualcuno di voi in uno di questi tanti progetti (se qualcuno giungerà ad un termine XD).

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