No One Knows di SethHorus (/viewuser.php?uid=106033)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mosquito Song ***
Capitolo 2: *** No One Knows ***
Capitolo 3: *** [1] Go With The Flow ***
Capitolo 4: *** [2] Do It Again ***
Capitolo 1 *** Mosquito Song ***
Salve a tutti,
dopo mesi passati a bazzicare per questa
sezione del sito ho avuto il tempo e la voglia di scrivere anche io
qualcosa (e
re-iscrivermi al sito, in modo da poter iniziare a scrivere recensioni
XD visto
che a quanto pare io conosco tutti e nessuno sa della mia esistenza).
Ho optato
per una coppia che a mio parere è molto canon, e che ho
notato piace quasi a
tutti (e dopotutto, è veramente difficile odiarli
<3), per il semplice fatto
che avevo in mente una trama già da parecchio tempo, per cui
ho messo in ordine
le idee e ne è uscito fuori questo. Spero che vi piaccia,
anche perché a me
convince ben poco. Il titolo
è preso da una canzone dei Queens of the Stone Age, il cui
Songs for the Deaf è
stata la mia colonna sonora durante la scrittura, e Mosquito Song
è una canzone
del CD, così come No One Knows. Ah, accetto
volentieri recensioni sia positive che negative,
seppur motivate.
Importante: ho idee
un po’ distorte sulla questione OOC (per saperne di
più: lo spiego nel profilo), e in maniera particolare
riguardo ad
Hetalia, per cui ho messo come avvertimento che
c’è presenza di OOC. Poi a dire
la verità secondo me Lovino è veramente OOC,
anche se è una cosa che non ho
potuto arginare semplicemente perché sono andata sotto con
l’angst (cosa di cui
non riesco fare a meno, anche quando dovrei XD). Non ho messo come
generi né
Guerra né Storico perché c’è
solo un riferimento storico che è importante ai
fini della vicenda, ma comunque non è veramente un elemento
portante, anche se
c’è qualche somiglianza con il genere
dell’ucronia, perché ci sono pezzi di
storia che ho inventato io, o che comunque possono risultare
controversi,
proprio perché non mi sono applicata a trattare di fatti
specifici (solo uno è
preciso, ma è comunque una trasposizione inventata di sana
pianta, senza
basarmi su dati particolari sulla questione). La parte in corsivo
è un flashback.
Mi pare non ci sia altro da aggiungere, perciò: Buona Lettura!
No One Knows
CAPITOLO
1: MOSQUITO
SONG
I
know I
know the sun is hot
Mosquitoes come and suck your blood
Leave you there all alone
Just skin and bone
When you walk among the trees
Listening to the leaves
The further I go the less I know, the less I know
Where will you run?
Where will you hide?
Lullaby's to paralyze
Roma, Italia
E chi ha mai
detto che le nazioni non si possono prendere
una pausa?
Ok,
effettivamente non si potrebbe. I tempi sono cambiati
rispetto al passato, e per tutti; il lavoro non si può
più dividere tra
madrepatria e colonie, pertanto la situazione è un
tantinello più complicata da
gestire. Per non parlare delle nuove tecnologie, dei mezzi di
comunicazione di
massa, dalle nuove scoperte scientifiche, che, per quanto abbiano
portato
notevoli agevolazioni, comportano una continua creazione di nuovi
problemi, di
cui alcuni secoli prima non si poteva lontanamente immaginare neanche
l’origine. La politica, per quanto basata su una solida
democrazia, è difficile
da gestire, e per quanto tutte le popolazioni siano
all’oscuro della loro
esistenza, le nazioni fanno molto più di quello che ci si
può aspettare.
Soprattutto
l’estate è un periodo duro. Lovino odiava
sentirsi stretto in una camicia, per quanto questa fosse perfettamente
abbinata, nel suo celeste chiaro, al suo completo blu scuro firmato, e
alla
sottile cravatta bianca, quando la temperatura fuori sfiorava i 35
gradi. E non
è che poteva stare sempre rinchiuso nel parlamento dove i
condizionatori d’aria
potevano risolvere la situazione: no di certo. C’era sempre
qualche buon motivo
per cui doveva uscire fuori e per di più non poteva neanche
lamentarsi. E infatti,
lui c’era sempre, ad ogni manifestazione pubblica, ufficiale
o meno, ma, come
richiesto dalla sua posizione, si eclissava sempre lavorando per il
popolo
italiano senza neanche ricevere un minimo di gratitudine.
Fantastico.
Anche se la sua natura non gli faceva poi
pesare tanto la cosa, essendo che non poteva fare a meno di amare la
sua terra
e gli abitanti che la popolavano, pronto a sacrificarsi in ogni momento
e
situazione, per questa causa, che gli aveva poi dato la vita.
Era
l’una del pomeriggio, notò fissando
l’orologio dorato
della lussuosa sala del “Transatlantico” di
Montecitorio. Sbuffò forte e un
paio di ciuffi rossicci, che non si erano ancora attaccati alla fronte
per il
sudore, si alzarono mollemente in aria. Feliciano intanto era
scomparso. Effettivamente
doveva ammettere che dover dividere le sue incombenze con qualcuno
alleviava
molto il peso del suo compito, ma doveva anche ammettere che molte cose
dovevano farle in due, anche perché non a caso
c’era stata L’Unità d’Italia:
nord e sud non potevano certo stare staccati, perché non ci
sarebbe stato un
equilibrio, l’autosufficienza, e questo avrebbe creato un
disastro… e il paese
si teneva su proprio perché lui e Feliciano si completavano
a vicenda.
Comunque
oramai stavano per iniziare le sue ore di riposo.
Poche ma c’erano, e il suo umore migliorò di un
pochino, giusto un pochino
perché continuò a tenere il volto imbronciato
come al suo solito, sapendo bene
che se quella sera Feliciano doveva presiedere ad una cena del Primo
Ministro
con alcuni facoltosi industriali a Milano, lui avrebbe dovuto
controllare una
pericolosa azione anti mafia un po’ più
giù, a Napoli.
Sprofondò
nella poltrona rossa, sperando in una buona riuscita;
e mentre pensava alla spiacevole nottata in bianco che lo stava
aspettando,
sentì una mano che andava a poggiarsi delicatamente sulla
spalla.
“Signor
Vargas…”
Il Vice
Ministro degli Esteri fece capolino con la sua
voce suadente tagliando il filo dei suoi pensieri. Non rispose,
attendendo che
questi gli spiegasse qual’era il motivo che l’aveva
portato da lui.
“La
settimana prossima è stata organizzata una visita del
Ministro in Spagna. Il Signor Feliciano ha detto che sarebbe andato
lei, le
volevo dare il programma.”
Lovino
alzò le sopracciglia interdetto, guardando il
foglio che l’uomo di fronte a lui gli stava porgendo. Che
cosa aveva in mente
Feliciano? Che avesse qualche incombenza particolare da svolgere? E poi
perché
lui non era stato avvisato di niente da nessuno?
“Signor
Vargas? Tutto bene?”
Nuovamente il
Vice Ministro lo svegliò dal torpore in cui
la sua mente si era rinchiusa muovendogli il foglio sotto il naso.
Lovino
allora glielo strappò di mano, e fuggì via dopo
aver sussurrato un fioco “Va
bene”, lasciando l’uomo confuso.
Dopo poche
ore partì da Roma senza essere riuscito a
trovare il fratello. Certo che quando Feliciano voleva poteva
nascondersi
veramente bene… merito forse della sua abilità
nel ritirarsi e nello sventolare
bandiere bianche? Lovino arricciò un po’ le labbra
pensando alla scena, anche
se non era stato proprio onorevole da parte sua, ma tanto valeva
ironizzarci
sopra, e poi, ammise a sé stesso, non è che fosse
stato il solo a comportarsi
così.
Due giorni
dopo ebbe finalmente modo di rintracciare per
via non telefonica Feliciano. Era giustappunto arrivato
all’appartamento che
dividevano a Roma, che lo vide armeggiare compiaciuto ai fornelli.
Questi, dal
canto suo, non appena lo vide entrare si girò, pulendosi le
mani sul grembiule
bianco con un sorriso, e poi dirigendosi verso di lui con poche falcate.
“˜Vee…
Loviiii, come è andata a Napoli?” Chiese,
abbracciandolo.
Lovino attese
di essere mollato prima di rispondere.
“Bene,
ma non sei stato avvisato di nulla? Hai visto il
telegiornale?”
“Qualcuno
mi aveva accennato qualcosa ma stavo pensando a
cosa prepararti stasera e quindi mi sono distratto.”
Normale
amministrazione. Feliciano era rimasto sempre lo
stesso, riuscendo a superare al meglio ogni difficoltà o
trauma che gli si era
posto davanti, miracolosamente preservando
quell’ingenuità e candore che lo
avevano caratterizzato da sempre, diversamente da lui. Anche se in
realtà lui,
e anche Ludwig, sapevano bene che dietro c’era qualcosa che
non andava e che
Feliciano nascondeva con tutte le sue forze, chissà per
quale motivo, anche s
eil suo carattere e la sua positività erano rimasti gli
stessi.
Dopo una
doccia, a tavola, Lovino pensò fosse arrivato il
momento di affrontare quel problemino che gli aveva dato non poco da
pensare in
quei due giorni, facendolo distrarre in maniera eccessiva e fastidiosa.
“Feli…
senti, sei stato tu a dire che sarei stato io ad
accompagnare il ministro degli Esteri in Spagna la prossima
settimana?”
Il ragazzo
alzò il volto facendo balzare come una molla il
ciuffo ribelle che entrambi avevano ereditato da nonno Roma. I suoi
occhi
nocciola brillarono un secondo, prima che dicesse, sorridendo:
“Si,
lunedì in parlamento si discuterà sul possibile
emendamento di nuove leggi per la sicurezza e non posso non andare.
˜E poi ho
pensato ti avrebbe fatto piacere!”
Senza un
motivo plausibile Lovino arrossì di botto,
facendo indietreggiare un po’ la sedia di legno chiaro che si
spostò con un
rumore sordo, e posando le mani al bordo del tavolo mentre le spalle
salivano
un po’ su contornando l’ovale del volto. Posizione
di difesa?
“Ma
cosa dici? Come ti è venuto in mente? Non è
assolutamente vero.” Ed effettivamente non lo era…
dopo quella volta… Lovino
aveva fatto di tutto per non scontrarsi, o incontrarsi, che dir si
voglia, con
la nazione Spagnola… con Antonio, e questi non aveva mai
cercato di fare nulla
per oltrepassare la sua diffidenza, nonostante fosse ormai passati
oltre
trent’anni da quando era riuscito a liberarsi dalla
dittatura…
Ormai gli
anni
trenta sarebbero volti ad un termine presto. A dirla tutta non
ricordava molto di
quel periodo, anche perché con i problemi che si erano
creati in Italia già a
partire dall’entrata in guerra nel 1914, per giungere
all’erroneo mito della
“vittoria mutilata”, e poi fino al 1945, il paese
era stato troppo politicamente
instabile per dargli tempo di pensare troppo, e poi già a
partire dal 1922 né
lui né Feliciano avevano più avuto alcuna
responsabilità né potere decisionale,
né una chiara coscienza di sé, come norma di
tutte le nazioni durante una dittatura.
Così Lovino si era ritrovato temporaneamente (anche se, in
realtà, erano stati
più di 10 anni) a svolgere l’attività
di generale, nonostante molti non ne
capissero la necessità vista la sua – apparente
– giovane età, e visto che i
momenti in cui era veramente lucido diminuivano man mano che il tempo
scorreva.
In ogni caso,
quelli
erano stati anche gli anni della Guerra civile spagnola, che vide i
Tedeschi,
e, di conseguenza anche gli Italiani, divenire fattori di una certa
leva. Però,
se Antonio si trovava dalla parte dei Republicanos, nel tentativo di
sventare
quello che era già accaduto in Italia, in Germania, e
persino nella comunista
Russia, lui si era inevitabilmente trovato a combattere per i
Nacionales e per la Falange capitanata dal
Generalissimo Francisco Franco. Ed era proprio al suo fianco che si
trovava,
insieme al crucco, in preda a non si sapeva bene quale trance, che
sembrava
avergli risucchiato totalmente il cervello, e che lo faceva preoccupare
incredibilmente, a causa del fatto che Feliciano sembrava essere sempre
più
vicino a raggiungerlo in quel mondo di surreale utopia, quando vide
Antonio.
Durante quel
lungo
periodo passato tra una popolazione distrutta in preda alla fame e alla
miseria, a cui era rimasta solo la lotta per la libertà, e
le macerie che loro
stessi, Italiani e Tedeschi e Nazionalisti Spagnoli avevano contribuito
a
creare, quella fu l’unica volta in cui vide lo Spagnolo. Era
il 27 Aprile e il
futuro dittatore Spagnolo aveva trascinato, lui, Ludwig e alcuni degli
uomini
del suo seguito a visitare la prima città che aveva dovuto
subire i
bombardamenti terroristici, Guernica.
Intorno a
loro c’era
una sorta di deserto: l’intonaco degli edifici colorati
sembrava essere sparito
per lasciare un ammasso di macerie, pietre e, polveri grigie, che come
una
nebbia facevano perdere umanità ad ogni cosa, in modo
particolare ai cadaveri
sparsi per le strade, o ai feriti che attendevano la morte
silenziosamente come
bambole rotte. In quel momento Lovino non era propriamente lucido, si
era
alienato nel suo ruolo di generale e fissava intorno a sé
quello spettacolo
rammaricante, senza provare nulla. Dopo la Prima
Guerra Mondiale aveva
dovuto imparare a guardare la morte in faccia, senza girare il volto o
lasciarsi
abbattere, e ogni volta che se la ritrovava davanti, aveva imparato a
chiudere
il fanciullo dentro di lui, la vocina della sua coscienza, in un
forziere che
nascondeva giù e giù, in profondità,
nel suo cuore pietrificato dalla paura.
Erano
arrivati in
una delle piazzette principali, quando vide la nazione Spagnola. Era a
terra,
seduta dietro un muro diroccato, e non appena le loro pupille si
incrociarono,
il suo sguardo non si sciolse neanche un secondo nell’aria
serafica e felice
che normalmente gli sarebbe spettata. Non ci fu nessun sorriso.
Antonio,
vestito con una lacera divisa beige sembrava essere invecchiato di
colpo. La
sua pelle abbronzata era diventata opaca, grigiastra, come se la
polvere e le
macerie fossero penetrate nel suo corpo fino alle ossa, e dappertutto
c’erano
lividi e ferite. I capelli, un po’ cresciuti ricadevano
selvaggi sul volto,
incorniciandolo e rendendolo quasi simili ad un predatore ferito.
Il volto, non
sembrava neanche il suo, e forse non l’avrebbe neanche
riconosciuto, come dopotutto
non avevano fatto sia Ludwig che Franco, se non avesse potuto ammirare
i suoi
lineamenti per secoli, durante la sua infanzia. Le labbra secche e
biancastre
erano rotte e sanguinanti, le guance avevano un colore smorto e se una
mano
copriva metà del volto, mantenendolo e a sua volta
poggiandosi sul ginocchio
piegato, nella posizione quasi innaturale che l’uomo aveva
assunto quando li
aveva visti e si era accucciato tra le macerie di un palazzo,
l’altra metà del
volto era leggermente adombrata, ma lasciava intravedere la
brillantezza di uno
degli occhi verdi, scuri, profondi, velati d’odio.
In quel
momento
Lovino capì subito che non avrebbe mai dimenticato quello
sguardo, che, mentre
camminavano in quella piazzetta desolata, non lo abbandonò
mai, come se volesse
comunicargli tutto il suo dolore, la sua tristezza, la disperazione,
ma, al
contempo una quasi suicida intenzione a lottare e lottare prima di
farsi
soggiogare da un dittatore, come lui aveva fatto, fin troppo presto, in
una
morta accondiscendenza.
Quella volta
non
fece nulla. Ed effettivamente anche a volerlo non avrebbe potuto; se
qualcuno
si fosse accorto che quello era Spagna sarebbe accaduto il finimondo:
lo si
stava cercando dappertutto, ma Antonio era sempre stato troppo furbo
per chiunque,
ed era veramente difficile che venisse sconfitto. Poco dopo aveva
piovuto a
dirotto, un temporale inaspettato, forte, e che forse voleva lavare via
quell’incontro, quel mix di sentimenti che
l’avevano scombussolato, facendogli
credere che quella sarebbe stata una rottura eterna con la Spagna.
Dopotutto
lui stesso stava distruggendo quel paese che considerava la sua seconda
casa.
Una volta
tornati
indietro, alle auto che li avevano portati lì, il Caudillo
si complimentò con
Ludwig e i suoi generali, e lui, con una scusa ebbe modo di tornare
indietro, e
corse, corse, così velocemente mentre le forze sembravano
non voler finire mai,
anche se forse era solo la sua volontà, che lo conduceva a
percorrere ogni
vicolo, strada piazza che incontrava, anche se ormai era difficile
persino riconoscere
un posto dall’altro tante erano le macerie e la desolazione,
i corpi morti e
feriti lasciati lì a marcire. Alla fine, comunque, non
riuscì a trovare
Antonio, e l’avrebbe visto solo molto tempo dopo, quando la
democrazia riprese
a regnare sovrana nel suo paese ed ebbe finalmente il coraggio di
presentarglisi davanti, o almeno di fare presenza in una stanza dove
c’era
anche lui.
“Dovrai
stare lì solo 5 giorni, e soprattutto non ci sarà
nulla di particolarmente difficoltoso da fare. E’
l’occasione perfetta per risposarti,
no? E poi ti lamenti sempre che ti ci vuole una vacanza,
˜Vee…”
Lovino, per
l’ennesima volta in quei giorni fu tirato
fuori dai suoi pensieri. Aveva pensato troppo, veramente troppo per i
suoi
gusti, ma non poteva fare a meno di essere preoccupato.
Abbassò lo sguardo,
cercando di celare i suoi timori al fratello, che era l’unico
che aveva saputo
cosa era successo, e, alla fin fine, quello che per oltre mezzo secolo
lo aveva
aiutato a scappare da una situazione che attendeva di essere affrontata
da
troppo. Ma ogni volta lui era fuggito, persino quando Antonio
l’aveva guardato
con quelle che potevano essere intenzioni amichevoli. A dirla tutta
dopo
Guernica, si decise a presentarsi in Spagna solamente dopo la morte di
Franco,
perché non avrebbe mai sopportato di vedere lo sguardo
d’Antonio vuoto, tanto
valeva ricordare il suo odio. Quel giorno però non gli disse
nulla, non gli si
avvicinò neppure, non avendone il coraggio, e pensando che
la prossima volta sarebbe
tornato tutto normale.
Ma alla fine
non era tornato normale nulla, e anche se gli
era capitato di trovarsi nello stesso luogo molto spesso in quegli
anni, era
come se non si fossero più visti. Antonio non
l’aveva cercato più, e lui aveva
fatto altrettanto, pensando che fosse la cosa migliore, e approfittando
del
fatto che c’era Feliciano a poterlo sostituire anche quando
si trattava
semplicemente di dovergli dire qualcosa. Si era creato un muro, che di
secondo
in secondo si faceva sempre più spesso, fitto, impenetrabile
e ci sarebbe
voluta una bomba per distruggerlo. Sempre che al di là ci
fosse la volontà di
raccogliere le macerie e costruire qualcosa insieme. E Lovino non era
più un
bambino, e come tutte le altre nazioni aveva subito il trauma delle
Guerre
Mondiali che lo aveva cambiato per sempre: proprio questo gli
permetteva di
vedere le cose in modo diverso e capire che non era certo detto che
Antonio
fosse disponibile come sempre nei suoi confronti, dopotutto lui aveva
contribuito alla caduta della sua mente, no?
“Basta!”
Sbatté
un pugno sulla tovaglia candida a strisce
scarlatte.
“Hai
ragione tu, la devo smettere di scappare.”
Feliciano
sorrise al fratello, confortato dalle sue
parole, perché, forse non se ne era accorto, ma era troppo
tempo che Lovino si
stava corrodendo dentro ed era venuta l’ora che qualcuno lo
spingesse a fare
qualcosa di diverso da fuggire.
“Però
non sarò di certo io a prendere
l’iniziativa!”
Si
vabbè, non si poteva pretendere tutto no?
Madrid, España
“Señor
Carriedo, sono arrivati i documenti riguardo la
venuta del Ministro degli Affari Esteri Italiano, lunedì
prossimo.”
Un riccioluto
ragazzo moro e abbronzato, girò il volto con
un sorriso.
“Gracias.”
Disse, prendendo i fogli dalle mani dell’uomo
che era giunto a portarglieli.
Posò
gli occhi sulla carta, pensando di poter trascorrere
un po’ di relax con Feliciano, con cui, nonostante tutto,
aveva mantenuto
ottimi rapporti, quando vide un altro nome stampato nero su bianco sul
programma.
“Qui
c’è un errore.” Disse, senza alzare
neanche gli
occhi, e indicando con il dito le due parole che l’avevano
colpito. L’uomo al
suo fianco seguì con lo sguardo il suo indice e gli rispose:
“Nessun
errore, señor, sarà il señor Lovino ad
accompagnare il ministro.”
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Capitolo 2 *** No One Knows ***
No
One
Knows
CAPITOLO 2: NO ONE KNOWS
And I
realize you’re mine
Indeed a
fool of mine
And I
realize you’re mine
Indeed a
fool and mine
Heaven
smiles above me
What a gift
there below
But no one
knows
A
gift that
you give to me
No one
knows
Oh, what
you do to me
No one
knows
Roma, Italia
Lo specchio
rifletteva con vivacità un fin troppo evidente
alone violaceo a contornare i suoi occhi color verde velati
d’ambra. Non poteva
avere aspetto peggiore. Era ancora mattina presto, ma non era riuscito
a
rimanere nel suo letto, già aveva passato abbastanza ore a
fissare il soffitto
bianco, quasi come se sperasse che da un momento all’altro si
aprisse un varco
dal nulla per trascinarlo chissà dove. E si sentiva in
ansia, anche se non
l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura; era quasi come se
dovesse partire per
una battaglia, ed effettivamente era come se stesse per farlo, almeno
metaforicamente. Anche se era una battaglia contro sé stesso
e le sue paure di
non saper affrontare delle delusioni troppo grandi, e non riusciva a
immaginare
nessuno “lieto fine”: anzi, non vedeva nulla
davanti a sé, e basta. Stava
andando incontro al vuoto, e questa non era proprio una cosa da lui.
La prima
volta che
aveva rivisto Antonio dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, fu
dopo la
morte di Franco. Ormai la guerra sembrava un brutto sogno dal quale ci
si era
svegliati, anche se rimaneva l’impressione che nulla sarebbe
potuto tornare
come prima, e specialmente per le nazioni. Quello stupido di America
era
riuscito a guadagnare potere in pochissimo tempo, approfittando della
follia
che era dilagata in Europa fino al 1950 e dopo c’era stata
anche la Guerra
Fredda, anche se negli
anni ’70 sembrava che la situazione si stesse stabilizzando
un po’.
Dopo la
caduta della
dittatura in Spagna si era discusso a lungo tra le nazioni Europee se
ci si
dovesse interessare sul da farsi, ma rimaneva che nonostante tutto,
l’economia
Spagnola non si trovava a livelli disastrosi e per cui non ci si
sarebbe dovuti
preoccupare troppo. Oltretutto non era neanche scattata una nuova lotta
al
potere per cui non c’era alcuna probabile nuova dittatura a
minacciare nessuno.
Lovino sapeva bene che tutto ciò non poteva che essere
dovuto ad Antonio, che
alla prima possibilità di sgusciare fuori per riprendersi la
propria libertà,
ma soprattutto quella che spettava al proprio popolo, aveva fatto in
modo di
poter assicurarsi una pace e una democrazia duraturi, e poi, rimaneva
anche che
nessuno avrebbe voluto rivivere le esperienze della Guerra Civile, e
sotto
questo aspetto era stato sicuramente agevolato.
Occupato da
questi
pensieri una volta giunto insieme al fratello nella sala delle
conferenze,
Lovino era andato a sedersi al suo posto, senza salutare nessuno, come
era suo
solito, attendendo l’inizio del meeting. Antonio non era
ancora arrivato, e
comunque non appena giunse nella sala si iniziò subito,
senza che nessuno
potesse avere la possibilità di chiedergli neanche come si
sentisse, anche se
le domande che seguirono riguardo allo stato sociale ed economico del
paese
furono abbastanza esaurienti per capire almeno la sua condizione
psicologica, e
appariva piuttosto sereno. La situazione era abbastanza tranquilla, e
ci si
stava già organizzando in vista di elezioni.
Però
lui e Antonio
non si erano rivolti neanche uno sguardo.
Dopo, era
accaduta ogni volta la stessa identica cosa,
parte qualche saluto obbligato, dove aveva potuto saggiare la mano
dello
Spagnolo, stringendogliela e potendo sentire chiaramente i segni del
tempo e
della sconfitta, che comunque avevano assalito allo stesso modo lui.
All’inizio
era stata una delusione non poter vedere l’Antonio di sempre,
quello che era
sempre riuscito ad andare al di là di ogni sua barriera
senza la minima
difficoltà, ma poi, il tempo aveva iniziato a sanare le
ferite, che si
riaprivano solamente quando era costretto a constatare che una
realtà del
genere riusciva a fargli male anche dopo tanto tempo. E a pensarci
sembrava paradossale
il fatto che fossero stati lontani così a lungo, ma era
successo, e neanche lui
riusciva a spiegarsi il motivo, perché, nonostante
l’orgoglio, nonostante il
fatto che non avrebbe mai detto a nessuno, l’interessato in
maniera
particolare, che in realtà ci teneva fin troppo a lui, non
era stato capace di
riavvicinarglisi, ostinato a darsi la zappa sui piedi, ma soprattutto a
non
affrontare qualcosa che gli faceva troppa paura e da cui era facile
sfuggire. E
la fuga è sempre la migliore scelta quando non sai cosa fare.
Si
lavò la faccia e iniziò a preparare il
caffè, sapendo
che il fratello si sarebbe svegliato all’odore forte della
bevanda. Cercò di
mangiare qualcosa, ma alla fine si rese conto di stare solo cercando di
perdere
tempo, il suo stomaco era troppo chiuso e anziché mangiare
stava solo
sospirando come uno stupido. Intanto Feliciano seguitava a dormire, ma
tanto la
sera prima gli aveva detto di volersi recare da solo in aeroporto,
mentre
preparava la valigia da portarsi dietro. Alla fine scrisse un
bigliettino che
lasciò sul tavolo della cucina e si vestì con
noncuranza, per poi chiamare un
taxi.
Madrid,
España
Quattro
ore dopo era arrivato nella capitale Spagnola.
Appena uscito dall’aeroporto insieme al Ministro e alle altre
figure politiche
che lo accompagnavano, oltre alle guardie del corpo, i giornalisti e
altri
addetti ai lavori, le auto messe a disposizione dallo stato li fecero
salire
per portarli subito al palazzo reale dove il primo ministro li avrebbe
ricevuti. Ovviamente durante la cerimonia Lovino si tenne ben in
disparte come
era suo dovere fare. In seguito ci sarebbe stato un pranzo e poi una
breve
visita della città, che sarebbe proseguita
l’indomani mattina. La visita,
Lovino sapeva bene che poteva tranquillamente tralasciarla, anche
perché
conosceva la
Spagna
benissimo e non aveva certo la necessità di visitarla ancora
per goderne della
bellezza che già era imprigionata nel suo cuore, avendo
avuto la fortuna di poter
vedere quel grande impero crescere culturalmente e artisticamente,
forse un po’
anche grazie all’influenza delle colonie italiane.
In ogni caso,
erano ormai le due di pomeriggio, e il
pranzo si era concluso, nonostante Lovino non avesse mangiato
alcunché, e di
Antonio neanche l’ombra. E soprattutto nessuno gli aveva
minimamente accennato
nulla riguardo la sua assenza. Questo peggiorava le cose,
perché si sa, quando
ti decidi ad affrontare qualcosa, desideri che questa accada il prima
possibile, e più il tempo passa, più
l’indecisione aumenta. Inoltre,
continuava, dal momento in cui era sbarcato, a essere diviso da un
fortissimo
desiderio di prendere e fuggire via, senza curarsi di niente e di
nessuno, e al
contempo di correre e correre, come in quel maledetto giorno, fino a
trovare
Antonio, anche se non aveva molto chiaro neanche cosa avrebbe potuto
dirgli o
cosa avrebbe dovuto fare una volta trovatolo.
Alla fine
controllò alcuni documenti, più per passare il
tempo che perché fossero di sua incombenza, e si chiuse
nella sua stanza da
letto, crollando per il sonno, senza curarsi di scendere a cena.
Dopotutto il
giorno dopo c’era in programma solo il termine della visita
della città dopo
una colazione di lavoro e qualche conferenza stampa nel pomeriggio, e
pertanto
davvero nulla che gli potesse interessare sul serio; non a caso
Feliciano
l’aveva proprio detto: sarebbe stata una meritata vacanza.
Certo, una meritata
vacanza, se solo Antonio non avesse continuato a tenerlo sulle spine
anche il
suo secondo giorno in Spagna, continuando a non farsi vedere. E pensare
che il
fatto che era maleducazione non presentarsi ad una nazione venuta in
visita, era
stato lui stesso ad insegnarglielo, tanto tempo addietro.
Comunque,
alla fine anche quella giornata passò in
generale tranquillamente, anche se lui iniziava ad innervosirsi sempre
di più,
al punto tale che a momenti avrebbe chiesto di farsi prenotare il primo
biglietto per Roma, se quell’idiota non si fosse degnato di
farsi vedere in
fretta. Quel giorno era riuscito a rovesciarsi un caffè sul
completo nuovo per
non parlare che il primo Ministro Spagnolo lo aveva beccato mentre
bestemmiava
da solo come un folle. Peggio di così.
Alla fine,
quasi per disperazione decise che l’indomani,
dopo l’incontro con la famiglia reale si sarebbe recato a
villa Carriedo o
ovunque quel bastardo fosse a richiedere scuse ufficiali per il suo
comportamento.
Però,
la mattina seguente, quando entrò seguendo il suo
Ministro, il vice ministro e alcuni parlamentari nel Salòn
del Trono, dove il
Re e la
Regina
li stavano attendendo per i saluti ufficiali avvenuti dopo due giorni
dall’arrivo degli italiani a causa di un malore della moglie
del monarca,
Lovino, finalmente, vide in piedi al fianco della zona dove si
innalzavano le
due lussuose poltrone rivestite di velluto rosso e finemente decorate
da legno dipinto
d’oro, che avevano la funzione di troni, davanti ad uno
specchio dal quale
poteva vedere anche il suo riflesso, Antonio, in completo scuro, con
camicia
scarlatta e cravatta beige, che osservava la scena serio, ma pacifico.
Lovino non
poté soffermarsi troppo a lungo sul suo aspetto
dopo tutto quel tempo (e comunque non gli sembrò troppo
cambiato dopo quella
veloce occhiata), andando a constatare, attraverso lo specchio che
rifletteva
anche lui, che il suo colorito era passato dal rosso pomodoro, al
bianco perla,
al verde acido al viola prugna in pochi minuti, solo all’idea
che Antonio lo
potesse star guardando (dopo la prima occhiata – non
ricambiata – non aveva
osato affatto voltarsi dalla sua parte), sempre che l’avesse
notato. Comunque
fu costretto a posizionarsi al suo fianco non appena giunsero
giornalisti e
reporter per riprendere l’avvenimento. Fortunatamente, o
sfortunatamente, a
seconda della propria interpretazione, per non disturbare non si
poté
spiccicare alcuna parola a lungo, e comunque, quando il tempo dedicato
ai media
fu scaduto, Lovino attraversò la grossa e lussuosissima sala
in poche veloci
falcate, senza degnare lo sguardo a qualcuno alla ricerca di un bagno
in cui
rifugiarsi, almeno momentaneamente, perché lui no, non
voleva certo scappare!
Aveva solo bisogno di un momentino… o almeno cercava di
autoconvincersi di ciò.
Alla fine, si
sciacquò la faccia, poi prese a camminare
avanti e indietro, cercando di calmarsi e non ripensare al calore del
braccio
dello Spagnolo che lo aveva sfiorato per tutto il tempo. Poi fece un
grosso
respiro e aprì la porta addentrandosi nel corridoio adornato
di dipinti
cinquecenteschi posati sul parato chiaro e riccamente decorato da
arabeschi.
Stava proprio pensando che fosse una fortuna il fatto che conosceva
bene la
residenza della famiglia reale e che pertanto era difficile che si
perdesse, quando
vide in fondo al lungo corridoio la figura di Antonio, che con il
respiro
affannato, sembrava avesse corso in lungo e in largo per il palazzo,
alla
ricerca di qualcosa. Non appena questi lo vide aggrottò
leggermente le
sopracciglia come a volersi assicurare che la sua presenza non fosse un
miraggio, per poi gridare:
“Lovino!”
Ah! Quanto
tempo era che non sentiva la voce calda e
musicale di Antonio pronunciare il suo nome? Ormai gli sembrava quasi
si fosse
sognato le calde note che provenivano dalle sue labbra e che, quando
era un
bambino, alle volte intonavano dolci ninne nanne in spagnolo. Comunque,
non
appena vide che il ragazzo si stava avvicinando a lui, anche con una
certa
velocità, fu scosso di nuovo da un tremito di terrore. Non
che potesse fargli
del male, però Lovino non riuscì a fare a meno di
essere terrorizzato, e
proprio per questo, girò i tacchi, dandogli le spalle, per
poi cercare di
correre il più distante possibile da lui. Stava di nuovo
fuggendo, e non
voleva, ma sembrava quasi che le sue gambe, e forse anche il suo cuore,
non
volessero capire che era il caso di fermarsi e affrontare
l’altra nazione, che,
per di più gli era andata in contro per la prima volta dopo
tutto quel tempo,
come se si fossero messi d’accordo.
Comunque
volente o nolente non riuscì ad avanzare granché,
perché non appena Spagna vide che stava iniziando a correre
dalla parte opposta
della sua urlò di nuovo il suo nome, cominciando a
inseguirlo per i corridoi
vuoti del palazzo, per poi sfruttare la sua migliore conoscenza
dell’edificio,
per sorprenderlo anticipando le sue mosse e sbucando proprio davanti a
lui, che
sbatté con la fronte contro il suo petto, prima di rendersi
conto che la sua
fuga era giunta al suo termine. Peccato che, ancor prima che lo
Spagnolo
potesse dirgli anche una sola parola si sentì mancare, e poi
vide tutto nero,
mentre il suo corpo perdeva forze e sentiva la voce di Antonio che lo
chiamava
sempre più lontana, e lontana.
Quando
riaprì gli occhi, almeno all’inizio, non vide
altro
che una luce bianca. Li strinse qualche secondo, e poi
ritentò di mettere a
fuoco l’ambiente intorno a lui. Cosa certa è che
era steso su di un letto e
circondato da un odore familiare, gli sembrava quasi quello della sua
camera
quando ancora abitava con Spa… Si alzò di scatto,
facendosi venire un altro,
seppur breve, almeno stavolta, giramento di testa e poi si
guardò bene intorno.
Sì,
le lenzuola candide e il legno scuro della testiera
del letto, il tavolo con sopra un centrotavola ricamato e un vaso pieno
di margherite
giallo acceso, la sedia di legno consumata e l’armadio
imponente, oltre che la
grossa finestra, dalle fatture alte in stile vagamente gotico, i cui
vetri
erano tenuti insieme da un’elegante intelaiatura in ferro, e
contornati dalle
tende blu scuro, non potevano che essere quelli della sua vecchia
camera. Improvvisamente
tantissimi ricordi affiorarono alla mente di Lovino, che rendendosi
conto del
fatto che Antonio aveva voluto mantenere tutto uguale anche dopo che
lui se ne
era andato per sempre, arrossì violentemente.
Poi il
suddetto lo interruppe entrando nella stanza
silenziosamente e, vedendolo seduto in mezzo al letto,
corrugò leggermente le
sopracciglia facendo un’espressione interrogativa, come se si
stesse chiedendo
cosa ci facesse lì in quel momento, quando, molto
probabilmente era stato lui a
volerlo portare lì, o almeno Lovino ipotizzava dovesse
essere andata così (in
realtà lo sperava, ma questo non era ammissibile neanche con
sé stesso).
Il cuore
dell’Italiano, intanto, aveva smesso di battere
per un secondo, per poi iniziare a palpitare così
velocemente che sembrava
sarebbe scoppiato da un momento all’altro, lasciandolo anche
senza fiato. Comunque,
nessuno dei due disse nulla, mentre lo Spagnolo, fasciato in camicia e
pantaloni stretti neri, prese la sedia da vicino al tavolo e percorse
le poche
mattonelle beige che li dividevano sedendosi vicino al letto e dicendo,
mentre
Lovino puntava gli occhi sulle sue scarpe, con tono impacciato:
“Sono
contento che ti sia svegliato, hai fatto preoccupare
un po’ tutti con il tuo improvviso svenimento,
sarà che mi sono fatto prendere
un po’ dal panico anche io…
ma…” Si interruppe improvvisamente, passandosi una
mano tra i capelli scuri e mossi, anche se Lovino poté solo
immaginare la cosa
non avendo ancora alzato lo sguardo verso di lui, e avendo solo scorto
qualche
movimento in zona busto. Poteva immaginare anche la sua espressione con
il
sorriso tranquillo ma imbarazzato che faceva quelle poche volte in cui
non si
sentiva sicuro di sé, e che, a dirla tutta, gli piacevano un
sacco, perché per
una volta non doveva essere il solo a sentirsi uno stupido
(perché sì, per
quanto ne potesse dire, forse lo stupido tra i due forse era sempre
stato lui).
Intanto, la
frase lasciata a metà dalla Spagna non aveva
ancora visto un completamento. Lovino allora cercò di farsi
coraggio, e deglutì
prima di dire:
“Ho
mangiato poco in questi due giorni.” Quasi a volersi
giustificare, oppure, meglio, a cercare di far smuovere quella
situazione.
Poi vide il
mignolo della mano destra dello Spagnolo,
poggiata sul ginocchio, piegarsi leggermente, un tic che sapeva di
conoscere
solo lui, e che appurò compiaciuto che non aveva abbandonato
l’uomo neanche
dopo tutto quel tempo, e poté immaginare il suo volto
contratto in una smorfia
colpevole (anche se non c’entrava nulla), come a voler dire
che era dispiaciuto
e che avrebbe dovuto essere più attento alla sua salute. In
quel momento Lovino
desiderò ardentemente di sentire quel dito arricciato sul
suo ciuffo, sì, su
quello ribelle che gli dava tanto fastidio quando veniva toccato, pur
di essere
sicuro che Antonio era al suo fianco e che era vivo, e che non
l’avesse
dimenticato, ma Antonio si ostinava a non fare nulla, a stare fermo ed
attendere… ma cosa? Perché avrebbe dovuto
prendere l’iniziativa lui? E poi
quale iniziativa? Dopotutto si erano ignorati in due, non era stata
mica tutta
colpa sua!?
Alla fine
l’italiano, sbuffò sonoramente, facendo
sussultare piano l’altro uomo, e si girò verso di
lui, con le guance un po’
troppo rosse per i suoi gusti (e sperava che lui non lo notasse, anche
se
l’avrebbe fatto sicuramente), e poi incrociò le
sue pupille, sfuggendo per una
volta da quello da cui doveva veramente sfuggire, e cioè il
suo desiderio di
abbassare subito il volto. In quel momento non sapeva chiaramente come
si
sentiva: c’era una patina di qualcosa che, come un liquido
denso e zuccheroso,
aveva iniziato a scendere, dalla testa sul volto, sulle spalle e poi
giù fino
ai piedi, inglobandolo completamente; solo che non era come una corazza
che lo
poteva proteggere; tutt’altro, lo faceva sentire ancora
più sentimentalmente
indifeso, mentre mano mano perdeva la percezione delle ossa e si
sentiva
diventare un specie di budino umano. Dal canto suo Antonio non sembrava
stare
messo meglio: si era pietrificato, dopo aver fatto indietreggiare un
po’ la
sedia, e aver alzato le braccia quasi a voler creare una distanza di
sicurezza
tra loro: per di più lo fissava come se quello che gli stava
“metaforicamente
accadendo” stesse succedendo sul serio. Lovino
sperò di non sembrargli troppo
qualcosa tipo un gazpacho o della salsa di pomodoro in quel momento.
Comunque, fu
costretto a farsi di nuovo coraggio, visto
che ormai lo Spagnolo sembrava più un animale impagliato che
altro, e sbatté un
pugno sul letto con forza, urlandogli in faccia:
“b-…
b-… b-BASTARDO! TI VUOI MUOVERE A FARE QUALCOSA? O
VUOI RIMANERE LI’ IMBAMBOLATO PER TUTTA LA TUA
VITA?”
Antonio
sussultò vistosamente e poi lo fissò ad occhi
spalancati, iniziando a boccheggiare. Evidentemente avrebbe voluto
dirgli
qualcosa ma ancora non ne aveva le facoltà. Lovino
riuscì a sentirsi stupido
nonostante stesse avendo a che fare con qualcuno apparentemente
più stupido di
lui.
“Non
mi interessa che non sai cosa devi fare! Fai qualcosa
e basta!” Disse con tono di voce leggermente più
basso, e un po’ troppo rotto,
per i gusti di entrambi.
Difatti, dopo
un secondo arrivò un singhiozzo, poi un
secondo, poi un terzo, e poi l’italiano si sciolse in
lacrime, non riuscendo
più a ricacciarle indietro. E nel giro di pochi secondi, di
fronte allo sguardo
immobile di Antonio, non solo le lacrime iniziarono a rigare il volto
dai
lineamenti delicati di Lovino, ma le sue guance si tinsero di un
adorabile
rosso, mentre il corpo era scosso da singhiozzi e da un leggerissimo,
ma ben
visibile, tremolio, e lo Spagnolo ebbe il terrore che se anche se si
fosse
mosso di un solo millimetro, il ragazzo di fronte a lui si sarebbe
spaccato in
mille piccoli pezzettini come se fosse effettivamente fatto di
cristallo e non
di carne e sangue (sempre che non fosse gazpacho, e purtroppo Antonio
ci aveva
pensato sul serio).
Comunque
finalmente si decise a fare qualcosa e allungò la
mano abbronzata, piano piano, e con delicatezza, iniziò a
muovere le punte
delle dita sulla nuca dell’italiano, come se volesse
consolarlo, con quelle
piccole scariche di piacere che iniziarono ad attraversargli la
schiena. Lovino
intanto aveva chiuso gli occhi, e non appena lo Spagnolo vide che le
sue labbra
si erano leggermente increspate in un’espressione di
beatitudine (anche se in
realtà l’altro stava cercando di nascondere le sue
sensazioni), quasi non ci
vide più. Lo afferrò per una spalla, e poi lo
strinse tra le sue braccia come se
avvolgere quel corpo sottile e tremante fosse l’ultima cosa
che concessagli in
vita, mentre, poggiando il volto nell’incavo della sua spalla
assaporava di
nuovo il suo profumo dolcissimo e familiare, che amava più
di ogni cosa. E dal
canto suo l’Italiano non fu da meno: dopo un iniziale
irrigidimento, si sciolse
tra le braccia di Antonio, accucciandosi sul suo petto, incurante di
stargli
bagnando gli abiti, e artigliandosi alla sua schiena, come se fosse il
suo
unico e ultimo appiglio, l’ancora che l’avrebbe
riportato a galla, o l’unica
persona disposta di cadere giù all’inferno insieme
a lui.
Poi, quando
Lovino sembrò essersi finalmente calmato, Antonio
gli prese il volto tra le mani, carezzandolo con le dita, dolcemente, e
finalmente,
dopo averlo fatto attendere tutto quel tempo gli concesse uno dei suoi
sorrisi:
quelli, belli, stupendi, a cui non è possibile resistere. E
l’Italiano rivide finalmente
quell’espressione che gli era tanto mancata: gli occhi quasi
socchiusi, scuri e
profondi, che sembravano traboccare di sentimento, scintillanti di
qualcosa di
diverso dall’odio che gli era penetrato nel sangue quando
l’aveva visto a Guernica,
e le labbra perfette, e i denti bianchissimi, e le ciglia lunghe
castano scuro
come i capelli corti e mossi.
A quel punto
a Lovino per un attimo sembrò di essere
tornato al passato, quando era una colonia spagnola, la sua preferita,
e lui lo
coccolava e lo venerava come se fosse il suo tesoro più
grande. Di essere
tornato a quell’epoca, durante la quale, anche se non era
libero, aveva potuto
assaporare per un po’ il privilegio di potersi sentire al
sicuro, e di avere
qualcuno disposto a proteggerti e ad aiutarti in ogni momento. E anche
se era
dovuto stare lontano dal fratello, cosa quasi impossibile per lui,
aveva
vissuto giorni felici, fino a quando non si era sentito abbastanza
pronto da
vedersela da solo, e si era distaccato da Antonio, prendendosi la sua
libertà,
ma mai dimenticando il loro rapporto.
Un paio di
minuti dopo, quando gli sembrò di aver
riacquistato la capacità di parlare, dopo tutti quei
singhiozzi e quelle
lacrime (e gliel’avrebbe fatta pagare a quel bastardo per
averlo condotto a
piangere come un bambino per l’ennesima volta), fece
un’espressione seria, abbassando
gli occhi un secondo, come a voler prendere coraggio, e poi disse, con
voce
flebile:
“Mi
dispiace.”
[ Non ho
riletto, per cui spero non ci siano errori da
analfabeta ] Pubblicazione flash del secondo capitolo perché
dopodomani parto e
ci tenevo a finirla in fretta perché odio attendere nuovi
capitoli di qualsiasi
fanfic io stia leggendo, e quindi capisco benissimo cosa voglia dire
(quindi o
pubblicavo tutto e subito o se ne parlava fra oltre un mese). Comunque
siamo
andanti un po’ più avanti con la storia e mi piace
pensare che questo sia il
punto clou (clou? Come mi scrive? Boh), anche se non è detto
che lo sia per
tutti. Comunque ci saranno altri punti più hot nel prossimo
capitolo U_U (e
anche uno spin-off NC17 se ce la faccio XD). Intanto questo
è stato riscritto e
ancora non mi convince appieno .-. spero di non dover riscrivere anche
il terzo
per qualche capata che mi verrà XD. Vabbè, spero
che abbiate apprezzato almeno
un po’ e poi volevo ringraziare un po’ di gente:
allora innanzitutto amby,
che la sera in cui ho pubblicato il primo capitolo, su facebook
è riuscita a
farmi sentire incredibilmente folle ma mi ha fatto ridere un sacco, e
poi mi ha
scritto una recensione bellissima, nessuno mi aveva mai detto che una
mia
creazione potesse essere come “ossigeno”, per di
più per 6 settimane *_*, sei
stata veramente troppo gentile con il mio Lovino profondamente OOC XD,
spero
che questo capitolo possa piacerti anche la metà del
precedente, anche se non
ho approfondito la questione guerra civile perché come avevo
detto non era il
fulcro della storia (ma a riuscirci vorrei approfondire a parte e
altrove) (e
quel poco che ho scritto di storico stavolta è totalmente
inventato, non so nulla
della situazione spagnola dopo la morte di Franco XD). Poi vorrei
ringraziare a
tutti quelli che hanno messo la storia tra quelle da seguire (FeEChAn, Kuro_Renkinjutsushi, Miki89,
noriko, redangel250492, SakuraHime_, sasuchan7), quelli che
l’hanno condivisa
su facebook (e non ho capito se sono tanti sul serio o se facebook ha
fatto
fail nei conti, anche se qualcosa mi suggerisce la seconda XD), e anche
quelli
che hanno solo letto, perché sono stata lettrice fantasma
così a lungo che so
cosa vuol dire. Ci si vede all’ultimo capitolo!
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Capitolo 3 *** [1] Go With The Flow ***
No
One Knows
CAPITOLO 3.1: GO WITH THE FLOW
But I eant something goos to die for
To make it beautiful to live
I want a new mistake
Lose is more than hesitate
You believe it in your head
I
can go with the flow
I can go with the flow
“Mi
dispiace.”
Lo spagnolo
si fermò, guardandolo intensamente, e
Lovino si chiese per un momento se veramente stesse comprendendo quello
che gli
aveva detto o meno. Se capiva perché si stava scusando,
perché aveva messo da
parte il suo orgoglio, dopo tanto tempo, e aveva negato il suo stesso
carattere, finendo con l’ammettere tacitamente che poteva
fare a meno di lui a
lungo (arrancando fin troppo, a dirla tutta), ma non eternamente. Poi,
essendo
che questi continuava a non dire una parola, continuò:
“Ti
ho visto, quando eri a Guernica, dopo il
bombardamento, ma non ho potuto aiutarti.” Mentre pronunciava
queste parole, in
un sussurro sconnesso che alla fine si trasformò in un vero
e proprio balbettio
privo di senso, gli occhi di Lovino persero vivacità, come
se una copertura di
dolore stesse lì ad appannarli, senza permettergli di vedere
la realtà.
“Pensavo
che mi odiassi, che non volessi più
vedermi e me ne sono stato in disparte tutto questo tempo.”
Lo Spagnolo,
allora, fece un’espressione mista
tra il dolore e la consapevolezza, senza però smettere di
sorridere, gli prese
le mani bianche e tremanti stringendole tra le sue e poi gli disse, con
una
naturalezza tale che al più giovane sembrò di
star sognando:
“Come
potrei mai odiarti?”
“M-ma…
io... la guerra civile, la dittatura di
Franco… s-sei stato soggiogato più di
trent’anni… anche dopo… non ho potuto
far
nul-la… la crisi economica… il piano
Marshall…” Iniziò a balbettare
l’altro in
modo sconclusionato.
“Oh,
Lovi…” E Antonio allungò una mano,
posandogliela sulla testa, carezzando dolcemente i capelli, come non
faceva da
troppo tempo, sfiorando anche quel ciuffo ribelle che era tanto
sensibile, e
che gli fece stringere leggermente gli occhi al tocco, mentre
l’altra mano
stringeva le sue, più piccole, come se volesse dirgli che
non avrebbe voluto
lasciarlo più, che avrebbe fatto qualunque cosa pur di
essere certo che non gli
sarebbe più sfuggito, a causa di una dittatura, di una
guerra o qualunque altra
cosa.
“Come
potrei odiarti? L’Italia era sotto
dittatura, e anche la Germania, e alla fine è toccato anche
a me, è il volgersi
della storia … il mio odio non è mai stato
rivolto a te, ma semplicemente a
tutte quelle persone che stavano ostacolando la pace, la
felicità e la democrazia,
ma soprattutto la libertà del mio popolo, dopo aver tolto
ogni coscienza alla
persona a cui tengo più al mondo…” E la
mano scese alla nuca, come a volersi
accertare che Lovino non si potesse allontanare di un solo centimetro.
L’Italiano,
comunque, non si sarebbe fermato a
fare nulla che potesse ostacolare quella sorta di tacita
riconciliazione, anche
se forse i loro erano stati semplicemente fraintendimenti messi
l’uno sopra
l’altro, come mattoni, a formare un muro, e difatti non si
mosse di un millimetro,
tranne che per le mani, che lasciarono quella più abbronzata
dello Spagnolo,
per posarsi con delicatezza sulle sue spalle, e poi per stringere
forte,
toccando rudemente la sua pelle attraverso la stoffa sottile della
camicia e
sentendo le numerose cicatrici che fasciavano il suo corpo, troppo
nitidamente
al tatto, troppo fredde per la sua passione, troppo taglienti rispetto
alla sua
dolcezza.
“Sei
cambiato…” Constatò, quasi tra
sé e sé.
“Anche
tu sei cambiato.” Antonio quasi gli fece
il verso, nel notare una cosa fin troppo evidente, e poi
continuò:
“Ci
siamo trovati ad affrontare qualcosa più
grande di noi, e l’unico modo per contrastarlo era agire da
soli. Non devi
sentirti in colpa per quello che è accaduto,
perché anche se non fossi stato lì
non sarebbe cambiato nulla; anzi, vederti quel giorno a Guernica,
quando mi
sembrava che le mie speranze erano divenute solo vaneggiamenti mi diede
la
forza di andare avanti, proprio perché non potevo sopportare
quello che avevano
fatto a me e al mio popolo, e quello che avevano fatto a te, e pensai
che avrei
voluto fare qualcosa, anche se poi non ci sono
riuscito…” L’Ispanico abbassò
un
secondo lo sguardo, come se si dovesse vergognare, e Lovino strinse
ancora un
po’ la sua camicia, come a volergli dire che non doveva
sentirsi così,
assumendo un’espressione preoccupata; poi lui
continuò, stavolta sorridendo:
“Però
tu sei riuscito insieme con gli alleati a
liberarti dalla morsa fascista e nazista, mentre Feliciano stava
distaccato da
te, con i Partigiani… e quella volta, nonostante non potessi
essere esattamente
cosciente, sentivo che qualcosa dentro di me non poteva che essere
felice di
quello che stava accadendo, perché sapere che stavi bene e
che eri riuscito a
liberarti non poteva che rendermi felice, anche se non sono riuscito a
imitarti…”
“E’
stato solo grazie al fatto che l’Italia era
entrata in Guerra che è successo quello che è
successo, perchè senza la venuta
degli Alleati la situazione sarebbe degenerata tanto quanto in
Germania. La
Resistenza c’è stata fin troppo tardi, e
soprattutto dopo, nelle condizioni
disastrose in cui ci trovavamo, non siamo riusciti ad essere utili per
nessuno…
- Lovino fece un lieve sospiro – Non ho potuto aiutare
neanche te… Non ho fatto
assolutamente nulla in tutti questi anni…”
“Lovino.”
La voce autoritaria dell’uomo più
grande lo interruppe, in maniera brusca, come se si preparasse a fargli
una
predica, e infatti, quando incrociò gli occhi dello Spagnolo
vide che erano
duri, seri, e che lui si stava preparando a dirgli qualcosa che si era
trovato
ad accettare con molte difficoltà.
“Io
ho smesso di essere il tuo padrone molto
tempo fa, così come tu hai smesso di essere una mia colonia.
E’ giusto quello
che hai fatto, e io non ti ho portato rancore neanche per un secondo.
E’ per
questo che non mi sono mai riavvicinato a te: tu sei indipendente, e
non hai
più né il dovere né la
necessità di starmi accanto; e io non ti ho voluto
costringere a starmi vicino.”
Dopo aver
sentito queste parole Lovino fece un
sospiro profondo, come se stesse digerendo la cosa con
difficoltà, e poi,
improvvisamente, scostò in malo modo la mano di Antonio, che
era rimasta
appolaiata sui suoi capelli e gli urlò in faccia, con tutta
la rabbia che aveva
in corpo:
“Sei
un d-… un d-… UN DANNATO IDIOTA! ECCO QUELLO
CHE SEI, SEI SEMPRE STATO E SEI DIVENTATO ANCORA DI PIU’
PERCHE’ IO MI SONO
DISTRATTO! Sai che me ne frega dei miei doveri di nazione? Sei il re
della
coerenza! Credevo che mi fossi stato vicino a prescindere dai tuoi
interessi
espansionistici… – fece un respiro profondo
– A me prima della Spagna,
interessi TU…” Aggiunse alla fine, arrossendo in
maniera vistosa e parlando in
un tono così basso da essere quasi impercettibile, anche se
Antonio potè
sentire ogni parola chiaramente dalla distanza a cui si trovava.
Infatti prima
aprì la bocca e alzò le sopracciglia in
un’espressione sorpresa (e Lovino si
trattenne dal fare commenti perché quel giorno si sentiva
incredibilmente
magnanimo), e poi sorrise, nel suo modo meraviglioso ed indescrivibile,
abbracciandolo di nuovo.
“Lovino,
mi amor.” Lo chiamò, nello stesso modo
che aveva usato tante volte quando era piccolo e gli dimostrava il suo
affetto.
“Smettila
di chiamarmi in quel modo idiota, non
sono più un bambino!” Fu la risposta del
più piccolo che iniziò a divincolarsi
inutilmente tra le braccia dell’altro.
“Ma
io non intendo in quel senso.”
Improvvisamente
Lovino si fermò, avendo timore di
guardare in alto, verso Antonio, che non si mosse neanche di un
millimetro,
come ad attendere una sua reazione. Quando lanciò qualche
occhiata alla faccia
dell’ispanico poi si preoccupò ancora di
più, perché era velata da un
sentimento che non gli aveva mai visto prima sopra, qualcosa misto tra
passione
e dolcezza, che alla fine lo tenne inchiodato agli occhi verde smeraldo
di Antonio,
che aveva stretto leggermente la presa sulla sua nuca, mentre con
l’altra mano
aveva afferrato il suo mento, avvicinandosi pericolosamente. E quel
verde che
addosso ad Antonio diventata fin troppo cocente e sensuale si
mischiò per un
attimo al dorato di Lovino, che sembrava oro fuso, in
quell’espressione liquida
che gli dipingeva il volto, e che era divisa tra l’essere
totalmente spaventata
e totalmente accondiscente, quando…
“Señor
Vargas, Señor Carriedo, il Primo Ministro
ha richiesto la vostra presenza per una questione molto importante, e
voleva
sapere se era possibile risolvere adesso o se era meglio attendere
domattina…”
L’uomo
entrato, che era sicuramente uno dei
dipendenti di Antonio (che differentemente da Lovino e suo fratello,
che
avevano preferito starsene per i fatti propri nel loro appartamento
romano,
seguitava ad abitare nella sua immensa villa nella periferia della
capitale
spagnola), lasciò le parole in sospeso, facendo intendere
che era stato
richiesto di far sapere delle condizioni della nazione Italica.
Ovviamente
non appena l’avevano sentito entrare i
due interessati si erano staccati, girandosi a fissare con sguardo
“colpevole”
l’uomo che li aveva interrotti giusto in tempo. Ascoltarono
tutto, e poi
attesero un paio di secondi, come a dover recepire il messaggio, dopo
lo
spavento. Poi Antonio disse:
“Ce
la fai?”
Lovino si
girò dalla sua parte, e poi da quella
del dipendente di Antonio, e poi, notando che entrambi stavano pendendo
dalle
sue labbra, e che il suo cervello gli stava urlando che
l’unico modo di
sopravvivere all’imbarazzo era uscire da quella stanza, disse:
“S-si
si, ce la faccio, datemi solo qualche
minuto.”
Un quarto
d’ora dopo lui e Antonio erano in
macchina (quel bastardo viziato aveva persino l’autista!), e
dopo mezz’ora
erano già giunti alla sede del parlamento Spagnolo,
nonostante villa Carriedo
fosse situata in periferia e a quell’ora la città
era molto trafficata. Oramai
era già sera inoltrata, e Lovino si accorse di aver dormito
parecchio: quando
si era sentito male era all’incirca mezzogiorno e in quel
momento era già quasi
ora di cena.
Comunque, il
meeting terminò solo parecchie ore
dopo, anche se furono risolte molte questioni importanti riguardo i
rapporti
economici tra i due paesi. Durante le varie discussioni Antonio sorrise
parecchie volte all’Italia del Sud, come a volergli dire che
era contento che
fossero lì, in quel momento, seduti a quel tavolo,
trattandosi come due pari e
discutendo del bene dei propri paesi; e poi, in realtà, lo
Spagnolo era molto
fiero dell’altro, perché, nonostante tutto, era
stato lui a crescerlo, e non
poteva fare a meno di compiacersi almeno un po’ quando questi
dimostrava le sue
buone doti (che c’erano, anche se pochi le notavano a causa
del suo
caratteraccio...).
Giunti fuori
il palazzo le due nazioni di
fermarono fianco a fianco, scambiandosi ancora qualche battuta su
quello che
era stato deciso in serata, finalmente nella maniera a loro consona,
con
Antonio che sorrideva beato e Lovino che rispondeva in malo modo,
finchè
Antonio non disse:
“Che
ne dici di stare da me stasera?”
“Non
ti preoccuppare, non ho più bisogno delle
tue cure pietose.”
Allora lo
Spagnolo sorrise e gli disse, prima di
allontanarsi:
“Va
bien. Ci vediamo domani.”
E gli fece
l’occhiolino.
Il giorno
dopo fu, per Lovino, il primo
abbastanza piacevole dopo quello che era stato costretto a passare
durante la
prima parte del suo soggiorno in Spagna, e nonostante sentisse che
c’era
qualcosa che ancora non quadrava, e che andava fatto, o compreso o
risolto,
qualunque la questione fosse, sapeva che da adesso sarebbe riuscito a
stare
tranquillo anche per lungo tempo. Si sentiva persino di ottimo umore,
il che
era una cosa rarissima per un tipo come lui, specialmente quando si
doveva aver
a che fare con gli spagnoli e in modo particolare con quello stupido
del loro
rappresentante, che il giorno prima si era dimostrato per quello che
era: la
persona più incredibilmente idiota che gli era mai capitato
di conoscere (e non
avrebbe mai ammesso che parlava in senso buono perché era
incredibilmente
felice).
Comunque la
mattina seguente, dopo essersi
lasciato cullare dal ricordo di quello che era che era accaduto il
giorno
prima, decise di cercare di chiudere un po’ il flusso dei
suoi pensieri, per
una volta tanto, per tutto il resto del tempo. E, in seguito,
riscontrò che
anche Antonio sembrava aver fatto lo stesso, e potè notare
compiaciuto che
sembrava che tutto si fosse finalmente normalizzato, anche se gli
appariva
strano poter ricominciare a comportarsi con lui come una volta.
Ad ogni suo
insulto aveva ricevuto uno dei suoi
sorrisi comprensivi, come se, come una volta, gli dicesse:
“Anche se fai così
va bene, tanto comunque non riesco ad arrabbiarmi”. La
situazione fu così
naturale che non potè fare a meno di godere di quella sorta
di protezione che
sentiva solo nel rapporto instaurato con il fratello, oltre che con
Antonio,
anche se le due relazioni avevano sfaccettature leggermente diverse, e
lo
Spagnolo era in grado di fargli venire qualche volta dei sussulti
leggeri, un
lieve batticuore, o un arrossamento del viso, che gli facevano
comprendere come
loro non fossero fratelli, padre e figlio, amici, ma qualcosa di
più sottile,
come un mix tra tutte queste cose, che però stava ancora
aspettando di trovare
un nome.
Antonio
però era come se fosse un po’ più
consapevole di tutte queste cose rispetto a lui, e a tratti lo
dimostrava
anche. Infatti, mentre prendevano un aperitivo prima di cena, gli
disse,
sorseggiando disinvolto un Bellini nell’hotel di lusso dove
erano capitati
quella sera a causa del loro lavoro, gli disse:
“Mi
sento quasi in soggezione a vederti così.”
Lovino si
girò, lentamente, facendo un’occhiata
interrogativa.
“Sei qui
davanti a me, vestito al’ultima moda italiana, con un
Americano in mano, che
per la cronaca non ho idea di cosa abbia dentro, e con una nonchalance
da fare
invidia. Quasi non sembri tu.” E gli sorrise leggermente,
come se lo stesse
ammirando silenziosamente dopo una sua qualche straordinaria azione.
“Non
potevo certo rimanere un bambino per
sempre.” Grugnì Lovino girandosi a guardare il
barista che metteva del ghiaccio
in un bicchiere e bevendo un altro sorso di cocktail, assaporando il
Campari a
contrasto con la fettina d'arancia che addolciva leggermente il tutto.
“No,
non intendo questo… - Rispose lo Spagnolo,
facendo “no” con la testa – E’
che una volta, anche quando eri già diventanto
totalmente indipendente da me, non ti avrei mai neanche immaginato in
queste
vesti: qui, in questo luogo lussuoso, a tuo pieno agio. E la cosa
affascinante
è quanto ti si confaccia una situazione del genere:
è un fascino diverso da
quello selvaggio che ti era insito una volta, ma che ti sta veramente
bene.”
Mentre diceva
queste parole, quasi sussurate nel
tono più sensuale che conosceva, Lovino non potè
fare a meno di pensare che si
stava sbagliando di grosso, perché se c’era
qualcuno con fascino, tra loro due,
di certo non era lui. Infatti, parlando, lo Spagnolo aveva posato il
gomito sul
bancone di marmo chiaro, accomodandosi meglio sul lucido legno del suo
sgabello, e poggiando mollemente la testa sulla mano, mentre con
l’altra
allentava lievemente la camicia nera. E lì, con quel suo
completo d’ebano,
colorato solo dallo scarlatto della cravatta, e il suo sguardo languido
con gli
occhi socchiusi e le labbra incurvate, che lo guardava dal basso verso
l’alto,
lasciando che qualcuno dei riccioli più lunghi sfuggisse al
suo controllo, gli
sembrò il seduttore fatto a persona, il Casanova a cui non
sarebbe mi sfuggito
nessuno. Non a caso dovette girare di nuovo il volto, stavolta diretto
a
guardare l’immensa mole di bottiglie di liquore che
troneggiavano sulla parete
di specchio dietro il bancone, sentendo che era arrossito fino alle
orecchie e
che nemmeno la sua leggera abbronzatura l’avrebbe salvato.
Era come se fosse
stato adescato perfettamene.
“Tsk.
Sei sempre il solito. E’ ovvio che mi trovi
bene in queste situazione, mi ci sono dovuto abituare.
Idiota.”
E Antonio
sorrise, di nuovo, anche se non
sembrava aver constatato appieno l’ascendente che aveva su di
lui.
Più
tardi, a Lovino fu di nuovo chiesto se voleva
alloggiare a Villa Carriedo.
“Sto
benissimo in hotel, grazie.”
“Immaginavo
mi avresti detto così.”
“Allora
che me lo hai chiesto a fare?”
“Tentar
non nuoce.” Rispose, in italiano, alzando
le spalle, senza smettere di sorridere, prima di aggiungere:
“Allora
fatti almeno accompagnare.”
“E’
qui vicino, cretino.”
“Ho
voglia di camminare un po’.” E lo
sorpassò
senza girarsi a controllare di essere seguito.
E a Lovino
toccò incamminarsi velocemente per
raggiungerlo, con i pugni stretti per quel poco di frustrazione che era
dovuta
al fatto che sapeva fin troppo bene che si era fatto convincere senza
opporre
alcuna resistenza, proprio come l’altro aveva programmato.
Camminarono
poco, e silenziosamente, tra le
strade bagnate e odorose di pioggia del centro di Madrid, tra le luci
colorate
e abbaglianti, prima di arrivare alla propria meta. Lovino aveva le
mani in
tasca, ma poteva sentire i loro gomiti che si strusciavano di tanto in
tanto, e
un po’ del calore di Antonio nel fresco delle notti estive.
“Siamo
arrivati.”
“Vedo.”
“Come
hai intenzione di tornare a casa tua ora?”
“Ti
preoccupi per me?” E Antonio sorrise ancora,
con un volto che all’altro sembrò più
luminoso dell’insegna a caratteri
eleganti dell’albergo.
“Ovviamente
no. Era per dire.” Peccato che fosse
arrossito leggermente mentre diceva queste parole, ricambiate
dall’espressione
serafica dell’altro.
“Va
bene, comunque mi viene a prendere l’autista
tra un paio di minuti.”
“Tsk.
Dovevo immaginarlo.”
“Rimani
a farmi compagnia?”
Lovino non
rispose, ma stizzito calciò un
sassolino verso il margine del marciapiede per poi prendere a studiare
i giochi
di luce creati sulla sua scarpa lucida dal lampione lì
vicino. A un passo da
lui, Antonio, con le braccia conserte aveva iniziato a tacere
pericolosamente.
Lui mise le mani in tasca in attesa e poi si girò verso la
direzione dove
pensava sarebbe giunta la macchina, ma niente, era tardi e non sembrava
stare
arrivando nessuno. Avrebbe potuto dirgli qualcosa, soprattutto
perché la
mattina dopo sarebbe arrivato il momento di andarsene, ma a dirla tutta
non
voleva prodigarsi in grandi cerimonie, perché sarebbe stato
ancora più…
fastidioso; avrebbe saputo troppo di finto, per i suoi gusti. Poi
l’altro non
sembrava neanche accennare alla questione, come se non lo riguardasse
affatto o
come se gli avesse letto nel pensiero, e volesse rispettare i suoi
desideri.
“Ecco
la macchina.” Antonio si era piegato quasi
ad angolo retto per poter vedere in fondo alla strada.
Lovino non
rispose osservando la scena. Non disse
nulla guardando la macchina accostare e lo Spagnolo fermare il suo
autista che
si stava accingendo ad andare ad aprirgli la porta. Intanto
ringraziò
mentalmente chi aveva scritto il galateo per aver detto che era buona
educazione per chi se ne stava andando di salutare per primo. Antonio
allora lo
guardò un momento negli occhi, facendo trasparire il fatto
che non era per
nulla preoccupato da quei saluti, e disse:
“Ci
vediamo domani in aereoporto.”
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Capitolo 4 *** [2] Do It Again ***
Attenzione:
questa
è la seconda parte del terzo capitolo, perchè
sono perfettina
allora visto che era lunghissimo ho preferito dividere! Per leggere la
parte
precedente tornate di un capitolo più dietro!
No
One Knows
CAPITOLO 3.2: DO IT AGAIN
I
fall over and over and
over, oh I want you
I get in, you're only one I'm
in too
You and me fit so tight
All we need is one more time
Can
you do it again?
So do it again
La notte non
fu una delle migliori per l’Italiano
visto che ci mise parecchio a prendere sonno. Mentre fissava la
poltroncina di
fronte a lui seminascosta dal buio, steso tra le lenzuola di seta color
crema,
ripensò a lungo a quello che gli aveva detto Antonio prima
di lasciarlo. Le
parole, il tono della voce, lo sguardo eccessivamente serio, gli
facevano
comprendere che c’era qualche motivo particolare per il quale
aveva deciso di
salutarlo il giorno dopo, giusto prima che partisse, come se, per un
motivo
astruso, fosse meglio camminare sul filo del rasoio, piuttosto che su
una
piattaforma solida e spaziosa. Era come se lui si aspettasse
qualcos’altro, ma
non volesse forzare nulla, e semplicemente creare il maggior numero di
occasioni possibili; come se ci fosse qualcosa che lui non aveva
compreso
appieno, mentre Antonio si, e stava cercando di andarci il
più vicino
possibile.
Per non
parlare di quello che era accaduto due
sere prima: Antonio l’aveva quasi b-ba…
ba… no, meglio non pensarci. E poi chi
diceva fosse così? Forse aveva semplicemente visto qualcosa
sulla sua faccia e
quelle parole di prima erano state dette per prenderlo in giro,
confonderlo,
come faceva sempre. Era molto più probabile che fosse stato
lui a prendere
fischi per fiaschi. E poi anche se fosse stato vero l’avrebbe
sicuramente
fermato: Antonio era un ragazzo, e lui non aveva alcun interesse del
genere,
per lui soprattutto, anche se doveva ammettere che, nonostante tutto,
aveva il
suo fascino. Si chiese cosa poteva star pensando lui in quel momento,
ma alla
fine concluse che stava sicuramente dormendo tranquillamente e che,
come al
solito, era lui a starsi facendo problemi per entrambi, dando adito a
stupide
sensazioni senza alcun significato.
Stava
ragionando in maniera sconclusionata su
qualcosa che aveva un andamento ma di cui non aveva trovato
né il capo né la
coda, e questa cosa non faceva altro che mettergli soggezione.
Dopotutto si
erano appena riconciliati, e c’erano tante, troppe cose che
avevano bisogno di
essere fatte e dette e che erano rimaste segregate durante tutti quegli
anni, e
non si poteva pretendere che arrivassero tutte in un colpo, come un
bomba.
Forse anche per questo Lovino avrebbe preferito salutare Antonio prima:
forse
così avrebbe potuto prendersi tempo, anche se
c’era sempre il rischio che
crollasse tutto.
Comunque alla
fine era stato l’altro a decidere,
e, alle volte, è meglio accettare quello che ti succede
anziché pretendere che
vada come vuoi tu, perché è il miglior modo per
andare avanti più
tranquillamente, senza il peso di aver sbagliato o la gioia di aver
fatto bene,
quasi come in una scommessa pascaliana: o vinci tutto o non perdi
niente. E
finalmente, dopo essere riuscito a far pace con la sua coscienza, aveva
dormito, come a volersi preparare almeno fisicamente a quello che
sarebbe
accaduto (o a quello che non sarebbe accaduto) il giorno seguente.
Così
il mattino, di buon ora, preparò le valigie,
fece colazione e si vestì, mantenendo la maggior calma
possibile e facendo in
modo di arrivare, almeno un’ora prima del suo volo, in
aereoporto.
Ovviamente,
né il Ministro, né nessun altro di
quelli che avrebbero viaggiato con lui, erano arrivati, visto che era
consuetudine per i voli privati arrivare giusto all’ultimo
minuto, per sventare
scocciature di qualunque tipo.
Non aveva
esattamente idea di cosa fare, visto
che la valigia l’aveva lasciata in albergo insieme a quelle
degli altri, e non
poteva neanche fare il check-in. In cambio c’erano un sacco
di negozi e
ristoranti per intrattenere i viaggiatori, e allora si fermò
ad un bar, per
prendere il caffè. Avrebbe potuto anche accendere il
cellulare e chiamare il
fratello, anche se l’aveva sentito solo la mattina
precedente, per svegliarlo,
ma alla fine rinunciò. Si fermò, a guardare la
vita delle persone che correvano
avanti e indietro, affaccendandosi nelle loro cose, come se tutto
quello fosse
un quadro futurista, e lui un pittore che cercava di rendere al meglio
il fatto
che si sentiva fermo, troppo fermo, in un mondo che andava avanti senza
di lui.
Per di
più, oltre alla maliconia che gli stava
venendo addosso c’era qualcuno, quel qualcuno, che si
ostinava a non
presentarsi, così come aveva fatto fin troppe volte negli
ultimi cinque giorni.
E lui non si trovava certo in un posto nascosto: tutt’altro,
riusciva a vedere
bene l’entrata principale dell’aereoporto ed era
certo che di Antonio non ci
fosse traccia, nonostante mancasse solo mezz’ora alla sua
partenza. Fu questo
insieme di constatazioni che gli diedero a pensare: e se lui volesse
fargli un
saluto veloce proprio all’ultimo, giusto per togliersi la
questione davanti? E
se si stava facendo paranoie a vuoto? E se non sarebbe più
venuto? Perché
diamine un frase semplice come “Ci vediamo domani in
aereoporto” doveva dargli
tutti questi problemi?
Fortunatamente
non ebbe tempo di trovare nessuna
catastrofica risposta che si trovò un muso conosciuto e
abbronzato di fronte.
“Buongiorno.”
Lovino
alzò il volto, girando il cucchiaino nel
caffè, ormai troppo freddo per essere gustato, senza dire
nulla, come se
volesse esprimere una qualche forma di scontentezza. Antonio
però non si
accorse di nulla, e anzi, aggiunse:
“Sei
arrivato prima di me.” Disse, come a voler
fare una qualche insinuazione.
“E’
stato un caso, non ti fare false speranze.”
Rispose l'altro, senza neanche accorgersidi aver fatto il gioco
dell'altro.
Antonio a
quel punto sorrise, ma in maniera
diversa rispetto al suo solito: le labbra si erano prima strette e poi
curvate
in una vena mista tra compiacimento e malizia, e dopo, quando Lovino lo
fissò
interrogativo, sussurrò, a voce così bassa che a
stento l’Italiano riuscì a
distinguere le parole l’una dall’altra:
“Perché,
mi sarei dovuto aspettare qualcosa da
questo incontro?”
A quel punto
l’altro capì che lui realmente
sperava sarebbe accaduto qualcosa, ma che al contempo stava aspettando
qualche
segnale per poter andare avanti, un segnale che, volente o nolente,
aveva avuto
la distrazione di servirgli su un piatto d’argento. Insomma,
Lovino intuì il
ragionamento dell’altro, ma preferì non farsi
alcuna domanda sull’oggetto della
questione, perché sentì di starsi infilando in
una situazione pericolosa, e
verso un punto di non ritorno, e poi la sua voce gli si era insinuata
dolcemente nel corpo, facendo vibrare fin troppo piacevolmente la sua
spina
dorsale. Allora, tentò l'unica difesa che conosceva quando
si trattava di
rivaleggiare con lo Spagnolo, e rispose male:
“Ovviamente
NO, maledetto bastardo! Io non ho
nulla da darti!”
“Eccome
se ce l’hai.”
Non l'avesse
mi detto! Dopo aver sussurato con
dolcezza queste parole Antonio non attese alcuna risposta. Si
piegò verso il
tavolino, alzandosi un pò dalla sedia posta di fronte
all'altro e gli afferrò
il mento con una mano mentre gli si avvicinava repentino, senza dargli
modo di
pensare. Si sporse abbastanza da far confondere i loro respiri e il
colore dei
loro occhi, il suo verde passionale con il dorato sperduto di Lovino,
per poi
posare le labbra su quelle dell'altro in un bacio così
dolce, leggero, casto,
che quasi non si sarebbe potuto dare per suo, del suo essere forte e
sentimentale. Ma era anche vero che oltre ad essere un mediterraneo dal
sangue
rosso e caldo, era uno che ci pensava prima di fare qualcosa, e non si
sarebbe
mai avventato sull'altro senza sapere cosa gli passasse per la testa,
con anche
la più piccola probabilità che non volesse
affatto essere toccato da lui.
E quindi,
quasi con la stessa velocità con cui si
era avvicinato, tornò a sedere, composto, prendendo a
fissare l'Italiano, i cui
occhi erano ancora spalancati dalla sorpresa, e le labbra
seducentemente
dischiuse e lucide, e il volto deliziosamente arrossato. Si chiese come
aveva
potuto fare a meno di quella bocca fino a quel momento, sentendo un
lievissimo
sapore di miele e aceto che gli si diffondeva sulla punta della lingua,
insieme
e ad un pizzico di basilico, quello mentato, che c'è nel Sud
Italia.
Mentre
Antonio si era abbandonato al suo
"gustoso compiacimento", Lovino ebbe il tempo di aprire e chiudere un
paio di volte la bocca, attonito, di constatare che sentiva che le sue
orecchie
stavano per prendere fuoco, e di guardarsi intorno, cercando qualcuno
che
avesse visto quello che aveva fatto quell'idiota, per stamparsi nel
cervello la
sua faccia, e farlo fuori dopo aver fatto fuori la persona di fronte a
lui.
Alla fine, non vedendo nessuno che guardava nella loro direzione si
alzò, in un
botto, rischiando di far cadere la sedia, posò una banconota
che non aveva idea
quanto valesse sul tavolino e poi, senza rivolgergli uno sguardo, prese
con
violenza Antonio per un polso, iniziando a camminare spedito,
attraversando
l'altrio dell'aereoporto, tirandoselo dietro.
Alla fine,
quando vide un angolino nascosto,
dietro una grossa colonna vicino alla sala fumatori quasi vuota, si
fermò,
mettendosi di fronte l'altro, che era bloccato da dietro dalla colonna
stessa,
che, fredda, gli toccava la schiena. Aprì la bocca con
l'intenzione di urlare
più forte che poteva, ma alla fine ci pensò su
quel secondo che bastò per
fargli capire che se voleva rimanere inosservato non poteva alzare la
voce. Per
cui sussurrò, comportandosi come se stesse urlando, e
iniziando a gesticolare
in maniera quasi isterica:
"Mi spieghi
che cazzo fai in mezzo a tutta
quella gente, idiota? Ti sei bevuto il cervello? Il Ministro
sarà qui tra... -
guardò l'orologio, come se quell'oggetto gli avesse fatto un
grande torto -
ORA! E avrebbe potuto vederci, così come chiunque altro!"
Antonio
ascoltò tutto lo sfogo con un certo
interesse e soprattutto con una certa aspettativa e poi, dopo aver
immagazzinato le parole dell'altro, sorrise beato, come se le cose non
potrebbero andare meglio, anche se non si mosse di un muscolo e rimase
lì a
sfiorare la colonna con le spalle e con le braccia ciondolanti ai lati
del
corpo, che ogni tanto solleticavano i jeans blu scuro.
"Che cazzo
hai da ridere? Vorrei proprio
saperlo, bastardo!" Gli disse Lovino che aveva assistito alla nascita
del
suo sorriso senza capirne assolutamente il motivo, stringendo i pugni,
e
alzandosi un pò sulle punte, senza neanche accorgersi che
adesso era lui quello
che si stava avvicinando troppo.
A queste
parole l'altro non fece una grinza, e
anzi, dopo aver messo le mani sui fianchi, a mò di
interrogatorio, iniziò a
incalzarlo:
"Quindi avevi
paura che ci vedessero?"
"E' ovvio
stupido! Mi stai prendendo per il
culo?" L'Italiano non riuscì a trattenersi e
sbattè il piede sul marmo
beige, quasi mettendosi le mani nei capelli.
"Allora va
bene se ti bacio?"
Il Sud Italia
non stava capendo più nulla. Da una
parte, il suo cervello, totalmente andato in corto circuito, gli diceva
che era
il caso di avvolgere le braccia al collo dell'uomo davanti a lui e
baciarlo
senza riserve, anche se non aveva ancora compreso appieno il motivo di
tale
irrefrenabile voglia, dall'altro gli veniva richiesto di mantenere un
certo
self-control, e pensare almeno a quello che stava dicendo
(perchè aveva parlato
con ben poca coscienza).
"SI, ma non
lo fare mai più in mezzo a tutta
quella gen-..."
Lovino
realizzò troppo tardi quello che aveva
detto, o anzi, realizzò il sentimento che gli aveva fatto
ammettere una cosa
del genere non appena Antonio si avventò di nuovo su di lui,
stavolta in
maniera quasi feroce, senza neanche permettergli di terminare di
parlare. Gli
prese il volto tra le mani e catturò le sue labbra, una
volta, due volte, tre
volte, fino a quando non sentì l'altro rilassarsi al suo
tocco e finchè non
vide i suoi occhi chiusi con un'accondiscendenza tale da riuscire ad
accendere
tutta la sua passione. Leccò il labbro inferiore di Lovino
con lentezza e si
beò delle sue labbra dischiuse quasi subito.
Entrò nella sua bocca con
veemenza, con passione, con tutto il desiderio che si era tenuto dentro
tutto
quel tempo, con tutta la frustrazione che aveva covato a causa della
loro
distanza, mentre gli accarezzava i capelli rossicci, morbidi,
profumati, la
nuca scoperta, la schiena che vibrava al minimo sfiorare e lo
abbracciava
stretto, ma attento a non fargli male.
L'altro, dal
canto suo, dopo un primo momento di
smarrimento, non ebbe davvero il tempo di ragionare, perchè
il tocco delle
labbra dello Spagnolo, un pò secche, ma fresche e
dannatamente piacevoli, gli
mandarono il cervello (che in realtà già era
partito da parecchio), e poi il
cuore e poi il corpo in pappa. Poi, quando le loro lingue si
sfiorarono, prima
con delicatezza e poi man mano con decisione, animate da quel
sentimento che
Lovino potè finalmente definire come amore,
perchè era quella la chiave
dell'enigma che l'aveva tormentato così tanto,
sentì le gambe che si facevano
molli, le ginocchia che tremavano e le braccia dell'altro avvolgergli
le
spalle, come se avesse capito che aveva bisogno di sostegno. Poi
affondò le
dità nei suoi ricci scuri e ribelli, iniziando a godere
totalmente di tutte
quelle sensazioni, finchè la mancanza di ossigeno non ne
richiese il termine, o
almeno quella che sarebbe presto diventata solo una momentanea pausa.
Antonio
posò la fronte su quella dell'altro
sorridendo felice, fissandolo mentre ansimava leggermente e perdendosi
nelle
striature verdastre dei suoi occhi. Lovino non disse nulla, non sorrise
neppure, ma, a dirla tutta, non ce ne era alcun bisogno. Lo Spagnolo,
comunque
gli sussurrò:
"Ieri sera ho
chiamato Feliciano... ha detto
che può fare a meno di te qualche giorno."
"Tsk. Devi
sempre dare fastidio a tutti,
vedo."
Antonio
sorrise ancora: quello non poteva che
essere un si.
"Verrai a
dormire da me?"
Lovino
arrossì ancora di più di quello che era
già arrossito, se possibile, poi gonfiò le guance
e si girò verso destra.
L'altro pensò che erano anni che non gli vedeva fare la sua
"tomato-expresiòn".
"Pervertito."
Antonio lo
strinse al punto da rischiare di
soffocarlo.
"Sapevo che
avresti detto di si."
What do you do
to me?
No One Knows
Fine. Mi
sembra quasi un sogno poterlo dire xD Di
solito non porto mai a termine nulla... ma per una volta è
andata! In questo
capitolo ho potuto anche normalizzare un pò la questione OOC
e infatti mi sento
un pò più serena, anche se ci sono dei punti che
veramente non mi piacciono
perchè sono forzati e poco scorrevoli .-. . E pensare che ci
ho messo
un'eternità a scrivere tutta questa ultima parte
perchè non mi sono voluta
limitare e ho avuto davvero poco tempo (ed è insopportabile
sapere che ti
servono 3-4 ore di pace per scrivere quando hai solo delle mezz'ore
random se
pure hai fortuna). Vabbè, poco male, mi sento soddisfatta
anche solo per aver
finito, e spero che possa piacervi anche un poco poco (se no va bene
anche una
recensione di critica costruttiva, ovviamente!). Passiamo ai
ringraziamenti: allora ringrazio di nuovo tantissimo amby
che mi ha seguito con impazienza ed è riuscita a farmi
contenta tantissime volte; grazie per la recensione, specialmente per
quello che mi hai detto sull'OOC che mi ha incredibilmente rincuorata,
e per aver messo la fic tra le preferite, le ricordate, su facebook,
dapertutto XD, grazie per i complimenti sul mio "stile" e sulla
questione introspezione, insomma GRAZIE GRAZIE GRAZIE! Poi ringrazio SakuraHime_
per la recensione che mi ha fatto molto molto piacere, gentilissima, e
per aver messo la storia tra le seguite, spero di rivederti a recesire!
Ancora ringrazio chi l'ha inserita tra le seguite (FeEChAn, hihihihi, Kuro_Renkinjutsushi, Miki89, noriko, redangel250492, sasuchan7),
a Erichan,
che insieme ad amby l'ha messa tra le preferite, e infine quelli che
l'hanno condivisa su facebook (e ora c'è un numero normale
segnalato XD), e anche chi ha solo letto. Ci rivedremo presto in uno
spin-off, spero!
//SPAZIO
PUBBLICITARIO [se non vi interessa
potete chiudere qui XD]// Scriverò ancora \O/, anzi in
realtà ho un sacco di
idee XD. Comunque a parte ciò ho intenzione di darmi a varie
fic non appena
terminate le vacanze: innanzitutto a questa seguirà uno
spin-off PWP NC17, che
ho voluto distaccare perchè non mi andava di alzare il
raiting a rosso da un
momento all'altro, e poi a continuarla diventava beatiful; poi ho avuto
una
buona pensata di carattere storico in cui compariranno sia Antonio che
Lovino
ma anche altri personaggi, ma che sarà solo roba
introspettiva, però mi devo
documentare come si deve prima; poi, e questa potrei iniziare a
scriverla per
prima (perchè di studiare storia o scrivere NC17 con i miei
parenti intorno non
se ne parla), ho in mente un'altra Spamano a capitoli, però
stavolta con una
trama più complessa e originale che ho in mente da un anno e
volevo usare per
un'originale ma l'altro giorno mi è venuto un flash e allora
pensò ci scriverò una
fic, che avrà un genere mai visto XD. Poi ho in mente ancora
un'altra cosa, ma
non è Spamano, e comunque la trama è un
pò sterile perchè segue i cliché di un
certo tipo di manga. Spero di ritrovare qualcuno di voi in uno di
questi tanti
progetti (se qualcuno giungerà ad un termine XD).
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