Ad Armi Pari

di minimelania
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: La Casa del Signor Thompson ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo - parte seconda ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo - Qualche Piccolo Mistero, per cominciare ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo - Strani Incontri ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Orribili Notizie ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto - Incidenti ***
Capitolo 7: *** Capitolo Settimo - Un nuovo inizio ***
Capitolo 8: *** Capitolo Ottavo - Visite ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nono - Oscurità ***
Capitolo 10: *** Capitolo Decimo - Lavori ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassettesimo ***
Capitolo 18: *** AVVISO IMPORTANTE ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciottesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciannovesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventunesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventiduesimo ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventitreesimo ***
Capitolo 25: *** Capitolo Ventiquattresimo ***
Capitolo 26: *** Capitolo Venticinquesimo ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventiseiesimo ***
Capitolo 28: *** Capitolo Ventisettesimo ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventottesimo ***
Capitolo 30: *** Capitolo Ventinovesimo ***
Capitolo 31: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: La Casa del Signor Thompson ***



- Capitolo Primo -
La casa del Signor Thompson
 
La casa del signor Thompson era una vecchia, enorme costruzione quadrata che si apriva su una via trafficata della città. Un tempo quella era aperta campagna, almeno lo era stata quando i suoi nobili e ricchi avi vi avevano fatto costruire una dimora principesca di pietra scura, con un'enorme scalinata d'ingresso e un doppio portico retto da colonne. Poi la città aveva cominciato ad espandersi, e a poco a poco le industrie e le strade, la gente, il chiasso e i mercanti di cenci avevano invaso anche quel piccolo pezzo di pace suburbana e campi. Nel giro di cent'anni dei giardini, dei filari coltivati e dei boschi che un tempo circondavano il palazzo non erano rimasti che radi rimasugli stentati e spogli. Al loro posto c'erano le case, decine e decine di case tutte uguali. Così assediata da sporcizia e chiasso, da vetture e da banchi del mercato, la vecchia dimora signorile aveva preso a sembrare un gigante assalito da ogni parte da nani brutti e famelici, e poco a poco era caduta in disuso.
- Il signor Thompson sarà anche molto ricco, ma la sua casa è in uno stato pietoso!
Eileen si mosse a disagio sul calesse. Era tutto il giorno che viaggiavano, e visto il fango delle strade, il disastro della pioggia che li aveva presi di sorpresa a dieci miglia dopo la locanda, visto come erano ridotti lei, il carretto, suo padre e il suo garzone, una bella casa allegra in cui dormire non sarebbe stata affatto sgradita. Dovevano fermarsi da un amico, le aveva detto suo padre quel giorno appena finita colazione. Si erano messi sul calesse contenti con una bella giornata di sole.
- Vedrai, Linny, che il signor Thompson è una persona meravigliosa! E guarda che bella casa ha! Me la ricordavo molto più piccola!
Eileen gettò uno sguardo perplesso alle mura scrostate e al muschio che si aggrappava alla pietra grigia. Ma era troppo stanca per discutere. Stavano entrando in un enorme cortile circondato su tre lati dall'imponente facciata del palazzo.
Quando il calesse si fermò sulla ghiaia non c'era ragazza più felice di lei nonostante la costruzione intorno a loro risultasse più che desolante nella sua tetra, spoglia maestà.
Eileen saltò giù dal calesse e tirò un sospiro di sollievo: era finita, quell'assurda giornata era finita.
Anche suo padre, un ometto rubizzo e sempre pieno di spirito, posò i piedi in terra con evidente sollievo. Strusciò le scarpe fradice sulla ghiaia e si dette una scrollata al mantello.
Erano in viaggio per l'Europa da mesi, per vendere il vino che suo padre produceva in grande quantità e smerciava in tutto il mondo. Era un mercante molto ricco, viaggiava spesso, e sin dall'infanzia Eileen lo aveva sempre accompagnato nei suoi viaggi che potevano durare mesi e mesi. Insieme avevano girato il mondo, dopo la morte prematura di sua madre.
- E allora, c'è o non c'è il mio vecchio amico, in casa?
Fece suo padre andando in contro ad un tizio che era comparso sulla porta. Era un maggiordomo lungo e allampanato, con folte sopracciglia grigio scuro e un'aureola di capelli bianchissimi.
- Il padrone vi aspettava, signore. Vi chiede scusa per non essere potuto essere qui lui stesso ad accogliervi, ma è dovuto andare d'urgenza in città. Tornerà quanto prima, e nel frattempo prega voi e la signorina vostra figlia di fare come se foste a casa vostra.
- Non c'è problema, Foster, lo aspetteremo dentro, davanti ad un bel fuoco caldo. Fa un freddo cane, vero, vecchio mio?
Il cameriere stirò le labbra pallide come uno che prova dopo secoli ad articolare un sorriso e scomparve inghiottito dalla porta. Il padre prese Eileen sottobraccio e insieme lo seguirono dentro casa.
- Non mi avevi detto di conoscere un tipo del genere! - mormorò lei mentre varcavano la soglia ed entravano in un piccolo vestibolo completamente tappezzato di arazzi. Quello che la colpì istantaneamente fu un lieve e tenace odore di sigaro. Ma non sgradevole, vagamente fruttato.
- Conosco tutti, a questo mondo, mia cara. Il vecchio Foster è qui da molto prima che ci fosse il nostro amico Thompson. E' una specie di istituzione della casa. Avrà cent'anni ma è sempre vivo e vegeto e sono certo che non si trova un maggiordomo migliore in tutta Inghilterra.
Eileen dette un'occhiata a Foster. Quello sembrò sentirsi gli occhi addosso perché si voltò sulla schiena ricurva e fece cenno di seguirlo.
- Da questa parte.
La casa, se da fuori era enorme, da dentro lo sembrava ancor di più. Nonostante fosse ingombra di oggetti delle più disparate provenienze, poltrone e arredi damascati, scalinate,vetri, tappeti e lampadari di cristallo che piovevano da tutte le parti, le stanze facevano lo stesso l'impressione di essere vuote tanto erano vaste e spaziose. In un lato c'erano delle casse, alcune delle quali schiodate, per terra una quantità di polvere e di paglia e fogli di carta.
- Il mio padrone si scusa, ma è da poco rientrato da un lungo viaggio, e questa è la parte di bottino che gli è stata assegnata dagli indigeni.
Eileen scoccò a suo padre un'occhiata interrogativa. Ma suo padre stava già ammirando un quadro di splendida fattura. Vi era raffigurata una donna di incredibile bellezza, tanto bella da sembrare più un angelo del cielo.
- Ma che bellezza! Chi è questa donna?
Era stato appena tirato fuori da una cassa più grande delle altre. La donna aveva un gran vestito vaporoso che le fasciava il busto. Una sciarpa di un rosa finissimo le circondava le spalle e scendeva con una gran profusione di nastri fino alla vita sottile e perfetta. Aveva i tratti estremamente delicati, gli occhi verdi e una bellissima aria assorta.
Foster non si fermò a dare spiegazioni. Semplicemente farfugliò qualcosa e tirò dritto. Eileen gettò un'occhiata ai guanti antichi, alla finezza delle mani del quadro e a quegli strani occhi verdi che sembravano bucare la tela, poi passò oltre e non ci pensò più.
Aveva la scarpe completamente inzuppate di fango, e in questi casi tutto quello che si pensa è a un bel fuoco e a come fare a non prendersi un malanno. Fu con somma felicità di entrambi che, dopo una fuga interminabile di stanze e corridoi pavimentati di marmo, sbucarono in una sala dai soffitti altissimi tappezzati di damasco cremisi. Era piccola, rispetto alle altre, e aveva un'aria leggermente meno fredda delle altre. Su un grazioso tavolino accanto al fuoco, che era acceso nel camino di marmo più grande che Eileen avesse mai visto, c'era un servizio completo da thé, una teiera fumante e un vassoio pieno di piccolo biscotti colorati dall'aria estremamente invitante.
- Il padrone ha pensato che poteste aver bisogno di riprendervi dal viaggio. In questa stagione le strade sono pessime anche da queste parti. Se volete accomodarvi accanto al fuoco, tra un attimo sarà qui Elizabeth. Io vado ad accertarmi che le vostre stanze siano pronte e riscaldate a dovere.
Suo padre annuì tutto contento avvicinandosi al vassoio dei dolci, ed Eileen si lasciò andare soddisfatta ad osservare la stanza intorno a loro. Girò gli occhi e vide che le pareti erano piene fino in cima di piccoli quadretti color seppia. C'erano ometti minuscoli dentro, e donne e strade e palme e una grande quantità di immagini bizzarre. Si mise ad osservarle con interesse. Non aveva mai visto niente di simile.
- Sono fotografie - spiegò suo padre con la bocca piena indicando i quadretti alle pareti. Aveva attaccato  il vassoio dalla parte di certi biscotti scuri che sembravano coperti di mirtilli - il nostro amico ha viaggiato molto. Per tutta Europa, e poi anche in Asia e in India. Pare abbia visto tutto il mondo conosciuto.
- Che cosa fa? - chiese Eileen lasciandosi andare su una poltrona dopo aver preso anche lei un pasticcino e essersi versata un po' di thé nella tazza. Aveva una fame da spavento, ma come sempre era stata attenta a non mangiare prima di suo padre. Una signorina bene educata non doveva mostrare di aver fame, anche se aveva una fame da lupi. Ed Eileen in quel momento stava letteralmente svenendo dalla fame.
Suo padre scosse la testa, più volte, e si ficcò un altro pasticcino in bocca.
- Nessuno lo sa, mia cara. Probabilmente niente, visto che è così ricco che potrebbe comprarsi mezzo mondo. Credo lo faccia perché gli piace e basta. Uno così non ha certo bisogno di girare l'Europa su un calesse per piazzare il suo vino ai fornitori!
-Ma se ti piace un sacco andare in giro per commercio insieme a me!
Suo padre rise e ci mancò poco che si strozzasse con un sorso di thé al latte.
- Certo che sì, mi cara, scherzavo. Non cambierei i nostri piccoli viaggi con tutto l'oro del mondo. Dicevo solo che … insomma, il nostro amico Thompson è forse l'uomo più ricco d'Inghilterra. Potrebbe comprarsi la Regina, se un giorno glie ne venisse voglia!
Così dicendo suo padre mimò la grossa stazza della vecchia Regina che governava l'Inghilterra da decenni. Una volta Eileen l'aveva vista, durante una parata a Londra per  i quarant'anni della sua incoronazione. Dicevamo che fosse enorme, estremamente astuta e con un naso arcigno da strega. Si ricordava di essersi alzata sulle punte per riuscire a vederla tra la folla, ma tutto quello che era riuscita a scorgere era una piccola corona dorata che teneva su un velo molto lungo. La capote dorata dell'elegante e sontuosissima carrozza da parata aveva coperto tutto il resto: nella sua memoria la Regina era rimasta un ventaglio di pizzo e una corona davvero molto piccola e graziosa.
- E' davvero così ricco, papà?
- Ricchissimo. Pensa che suo nonno, o il suo bisnonno, non lo so, furono i primi a commerciare con le Indie e a importare il thé in Inghilterra. Roba dell'altro mondo, mia cara, affari d'oro. Fecero i soldi a palate, non c'è dubbio.
Eileen guardò d'istinto dentro tazza che reggeva in mano. Era azzurra, di porcellana cinese e aveva delicati ricami con motivi di pagode e fiori. Si chiese se il thé che conteneva era davvero capace di traversare metà del mondo, e mari, e foreste per finire sopra i loro tavolini accanto al fuoco. Mille volte aveva segretamente sperato di spingersi fin là, in India, dove i suoi libri dicevano esserci gli uomini fachiro, e templi fitti di colori e profumi difficilmente immaginabili per una mente europea e beneducata.
- Davvero è stato in tutti quei posti?
- Penso che abbia passato metà della sua vita a viaggiare, bambina. Pare che che abbia avuto una gioventù avventurosa. Ma di questo non ne so più di te. Lo conosco da parecchio tempo, certo, ma non da così tanto, neanche io. Altro biscotto? Altrimenti li finisco tutti io.
Eileen face di sì con la testa e prese dal vassoio d'argento il biscotto che suo padre le offriva. Era coperto da un sottile strato rosa di glassa e aveva un aspetto invitante. Stava appunto per dargli un morso quando Foster ricomparve sulla porta. Dietro di lui c'era una ragazzina pallida, minuscola e molto graziosa che evidentemente avrebbe preferito trovarsi da tutt'altra parte. Aveva un'aria molto timida.
- Quando i signori hanno finito con il thé, avrei piacere di mostrare loro gli appartamenti destinati agli ospiti. Elizabeth - così dicendo spinse avanti la ragazza - sarà a disposizione della signorina per qualsiasi cosa possa servirle.
Eileen sorrise con fare amichevole ad Elizabeth, che per tutta risposta abbassò gli occhi e arrossì ancora più violentemente.
- Ai vostri ordini, signora - mormorò.
A Eileen  scappò da ridere: nessuno l'aveva mai chiamata 'signora'.
- Chiamami pure Linny, Elizabeth, davvero. Non penso di avere molti più anni di te!
Per tutta risposta la ragazza arrossì ancora più violentemente.
- Come desidera, signora - farfugliò. Poi si affrettò a sparire dietro Foster.

 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo - parte seconda ***


- Capitolo Primo -
seconda parte


Eileen sorrise di piacere quando vide che la sua camera da letto era ampia, comoda ed arredata con gusto. Un bel fuoco scoppiettava nel camino, uccelli colorati risaltavano sui ricami delle tende e lei era giusto così fradicia di pioggia che sarebbe stata grata per molto, molto meno di quell'accogliente stanza.
- Che meraviglia!
Si abbandonò su una poltrona davanti al fuoco, e cominciò ad armeggiare con le stringhe degli stivali zuppi di fanghiglia. I grandi vetri della finestra accanto a lei erano livemente appannati e davano sul cortile in cui erano arrivati poco prima. Di là le ali del palazzo sembravano ancora più tetre e decadenti nella pioggia che aveva ricominciato a scendere, e facevano uno strano contrasto con quella stanza allegra e ben tenuta.
- Meno male che siamo dentro e non fuori! Sta tornando un temporale coi fiocchi ... fa piacere una stanza da letto così accogliente!
Elizabeth era rimasta sulla porta, a guardarla di sottecchi. Quando vide che l'ambiente le piaceva, sorrise appena e le guance le presero fuoco.
-  Davvero vi piace, signora?
- Certo che sì, Elizabeth, è davvero molto bella. Chi l'ha arredata doveva avere molto gusto. Questi ricami di uccelli, sono magnifici.
In effetti i ricami delle tende sembravano usciti da un libro di fiabe. Su un fitto bosco di canne azzurrine spiccavano pettirossi e nidi, cicogne e piccoli fagiani iridescenti.
A sentire tutti quei complimenti, Elizabeth girò gli occhi da un'altra parte. Eileen la guardò senza capire, poi si accorse che era arrossita  dalla testa ai piedi.
- Non mi dire che le hai ricamate tu! 
L'altra fece una specie di sorriso mentre le orecchie le andavano a fuoco.
- Ma sei bravissima! Non ho mai visto dei ricami così belli ... io non sarei neanche capace di cucire una riga diritta!
Un risolino confuso balenò sulle labbra pallide della cameriera. Mentre l'aiutava a liberarsi dai complicati lacci del busto, Eileen riuscì a scoprire che il ricamo era la grande passione di Elizabeth.
- Di solito ricamo cose mie. Non mi permetto con quelle del padrone … ma questa stanza era così bella, e era un peccato che rimanesse vuota. Ci ho messo tutto l'inverno, per le tende. Ma dovreste vedere che bello quando c'è il sole e la luce filtra dalle finestre!
Eileen fu d'accordo, doveva essere proprio uno spettacolo. Ma ancora di più fu felice perché era riuscita a far parlare Elizabeth. Adesso sembrava essersi un po' riconfortata, e nell'entusiasmo della descrizione si era anche dimenticata di tenere gli occhi fissi al grembiule. L'aiutava  a disfare i bagagli.
- Che bel vestito, signora - momorò quando Eileen tirò fuori dal baule da viaggio un busto di seta rosso cupo allacciato ad una gonna che fasciava la prima metà della vita, scendendo poi sempre più ampia fino a terra. Aveva come una piccola coda, ed era davvero molto bello.
- Questo? L'incubo color melagrana, lo chiamo io! Oh, intendiamoci, è meraviglioso, ma non sai com'è scomodo il busto. Lo porto sempre in viaggio perché è un regalo che papà mi ha comprato non mi ricordo dove. E il tessuto è bellissimo, però mi strizza da tutte le parti.
Elizabeth non la stava più ascoltando. Passava le mani sulla seta come se stesse accarezzando un bambino o stendendo una tovaglia sull'altare. Le sue dita fragili e sottili scivolavano lievi sulla stoffa, e il biancore delle mani faceva uno strano contrasto con il rosso.
- E' una stoffa di grandissimo pregio, credo. Non ho mai visto una seta così lucida.
E in effetti la seta color sangue si accendeva di riflessi bizzarri nella luce tremolante del tramonto.
- Se permettete, voglio dire … forse potrei …
Elizabeth piantò di nuovo gli occhi a terra, forse sorpresa dell'audacia di quello che era stata sul punto di dire.
- Parla pure, Elizabeth, dimmi. E per favore, chiamami Eileen, o Linny, se preferisci. Sarei davvero molto più a mio agio.
La cameriera fece un sorriso incerto.
- Volevo dire, signor… Eileen, forse potrei farci qualcosa, se vi stringe. Basterebbe prendere le misure e dare un'occhiata alle stecche cucite dentro al busto. Forse sono un po' troppo rigide. Se ci fosse bisogno di allargarlo - ma non lo credo, avete un vita così sottile ! -  si potrebbe comprare un'altra stecca, le hanno dal merciaio dietro l'angolo, e vedere se riusciamo a piegare un po'le altre. Ecco, così.
E fece vedere ad Eileen come si poteva fare con le stecche. Eileen sorrise.
- E' un peccato che non possiate metterlo - continuò la cameriera  - questo vestito è semplicemente un sogno!
Eileen stava per rispondere che le sarebbe piaciuto davvero ma non credeva che avrebbero fatto in tempo, visto che doveva ripartire la mattina successiva; ma quando aprì la bocca per farlo, un suono sferragliante giù in cortile la distrasse. Andò a guardare alla finestra, e nel cortile di sotto arrivare vide una carrozza elegante, laccata di nero e bagnata di pioggia. Si fermò proprio davanti all'ingresso.
- Di chi è quella carrozza? - chiese. Ma la risposta la sapeva già.
- E' quella del padrone, il Signor Thompson.
- E' molto bella.
- Sì.
- E quello è il padrone?
Dalla carrozza stava scendendo un uomo.
Eileen provò a sollevarsi sulle punte dei piedi per vedere se riusciva a scorgere qualcosa del loro misterioso ospite. Ma tutto quel che riuscì a vedere prima che il portico lo inghiottisse fu un cappello di foggia moderna, e un mantello coi risvolti di pelliccia.
- E' il signor Thompson, quello? Mio padre me ne ha parlato poco, mi piacerebbe sapere se ...
Ma Elizabeth stava di nuovo rimirando rapita il vestito disteso sul copriletto. Eileen sentì un brivido di freddo e si accorse che in tutto quel trambusto era rimasta solo in sottoveste. E in quello stato si era affacciata alla finestra! 
Si vestì in fretta, da sola, e solo quando si mosse verso la porta Elizabeth sembrò ritornare sulla terra.
- Dove andate, signora? - chiese sbiancando.
- Giù da basso - sorrise Eileen senza capire il motivo di tutto quello spavento improvviso - a presentarmi al signor Thompson, penso.
- Senza farvi annunciare al padrone?
- E' necessario?
Certo, anche Eileen sapeva che una donna doveva farsi annunciare ai suoi ospiti, e non comparire loro davanti all'improvviso. Non stava bene presentarsi da sole. Ma aveva pensato che non ci fosse bisogno di tutta quella formalità davanti a un vecchio amico di suo padre. Evidentemente si sbagliava.
- Il padrone non ama le persone che non  fanno come dice lui. E in questa casa è sempre meglio chiedere se si ha il permesso di fare qualcosa - mormorò Elizabeth.
Eileen la guardò sorpresa. Sembrava vagamente spaventata.
- D'accordo, allora - sospirò - andiamo a cercare Foster. Lui di sicuro mi potrà annunciare come si deve.
Ma non aveva ancora aperto del tutto la porta, che si trovò davanti il vecchio maggiordono.
- Ci facevate la guardia, signor Foster?
Quel che non le piacque neanche un po' fu l'espressione tetra che il vecchio aveva in volto. Non sembrava neanche lo stesso di poco prima.
- Il padrone chiede che abbiate la compiacenza di trattenervi nelle vostre stanze finché lui e vostro padre non avranno teriminato di sbrigare il loro affare. Non appena il signore farà squillare il campanello, sarà mia cura personale condurvi fino alla sala da pranzo.
Come a dire che era intrappolata lì fino a che quei due non avessero finito di fare i loro comodi probabilmente con sigari e biliardo, pensò Eileen. Non credeva molto a questa storia dell'affare urgente. Suo padre le aveva detto che si sarebbero fermati da un amico giusto per passare la notte, non per trattare di commercio. Aveva forse bisogno di qualche ingente partita di vino, il Signor Thompson? Eileen sorrise: probabilmente stavano solo cercando di farsi una partita a carte in santa pace. O magari di fare quattro chiacchiere senza averla tra i piedi, chi lo sa.
Ma allora perché farla guardare a vista nella sua camera da Foster come una prigioniera?
C'erano domande e proteste che a una ragazza beneducata non sarebbero mai dovute uscire di bocca. Eileen le inghiottì tutte una per una, prima che una qualunque di esse potesse farla passare per sfacciata o sciocca. In fin dei conti era solo un'ospite.
- Ma certo, Foster. Avvertitemi quando i signori sono pronti.
Sospirò, fece una riverenza e richiuse la porta alle sue spalle. 
- Dimmi di queste stecche per il corsetto, Elizabeth. - sospirò vagamente sconfortata - Ho l'impressione che ne avremo ancora un po', prima di avere il permesso di scendere.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo - Qualche Piccolo Mistero, per cominciare ***


- Capitolo Secondo -

Qualche Piccolo Mistero, per cominciare

 

Quando alla fine le fu permesso di scendere, Eileen scalpitava dalla curiosità: in tutta l'ora in cui era rimasta in compagnia di Elizabeth non c'era stato verso di cavarle di bocca una sola parola sul signor Thompson.
- Comincio a pensare che sia un fantasma! - rimugin
ò tra sé mentre Foster l'accompagnava giù per la grande scalinata di marmo che portava all'ala principale.
E una volta nella sala da pranzo pens
ò che non doveva essersi sbagliata poi di molto: suo padre era già a tavola, davanti a un gigantesco vassoio di arrosto. Del signor Thompson, chiunque esso fosse, nessuna traccia. Il posto a capotavola era vuoto.
- Il nostro ospite si scusa, mia cara, ma aveva affari urgenti da sbrigare. Comunque non c'è da lamentarsi, guarda che bella cena abbiamo qua!
Eileen guard
ò suo padre di sottecchi. Che significava affari urgenti, e a quell'ora? Era piuttosto scortese che il padrone di casa lasciasse soli i suoi ospiti senza alcun preavviso, soprattutto se ne attendeva la visita.
Attese che Foster le scostasse la sedia, poi si sedette e mentre suo padre la serviva, gir
ò gli occhi intorno per la sala. Se l'era aspettata più grande - di solito nelle vecchie costruzioni sono enormi e foderate di legno. Questa invece era piuttosto piccola ma compensava ampiamente le dimensioni con la ricchezza degli arredi. C'era una bella tappezzeria alle pareti, e i mobili erano lucidi e di pregio. Al centro della tavola ovale sontuosamente apparecchiata c'era un vaso di cristallo con un mazzo di fiori gialli dentro.
- Ti piacciono, mia cara?
- Moltissimo. Che cosa sono?
- Oh, non lo so. Ma so che il mio amico Thompson è un grande appassionato di varietà esotiche. Ha una vera e propria mania per tutto quello che viene da lontano: piante, fiori, oggetti, dipinti … penso che abbia persino qualche strano animale, da qualche parte. E' un tipo originale, il nostro Thompson, un tipo davvero originale.
Chissà perché Eileen non venne affatto rassicurata dalle parole di suo padre. 
- E come mai non è con noi, questa sera?
- Te l'ho detto, un affare urgente. Una cosa dell'ultimo minuto. Non ne sapeva niente neanche lui. Ed è un peccato, davvero. Ti assicuro che il vecchio Thompson sa essere di grande compagnia, quando vuole. Altro arrosto?
- Non grazie. Un po' di quelle patate per
ò sì. E quindi il signor Thompson ha amore per le stranezze esotiche, dicevi?
- Proprio cos
ì. Questo arrosto è  delizioso, non trovi?
- S
ì, certo. E ha viaggiato molto? Dove l'hai conosciuto di preciso?
- Non mi ricordo di preciso … forse in India. Ma senti com'è tenero!
- In India? Non mi hai mai detto di essere stato in India.
- Forse da giovane. Sicura di non volerne un'altra fetta? E' uno spettacolo.
- Non grazie. Ma se lo hai conosciuto da giovane, il Signor Thompson deve avere la tua età, mi sbaglio?
Suo padre fece un largo sorriso, e chiam
ò Foster per avere altra purea. Era un comportamento indecente, rise tutto contento, quello di chiedere il tris di una portata, ma davanti alla purea di patate non sapeva proprio come trattenersi. Eileen alzò gli occhi al soffitto, esasperata di non riuscire a cavare un ragno dal buco su Thompson. Altro che fantasma! Il loro ospite sembrava molto più evanescente di quanto potesse permettersi uno spirito, almeno di quei tempi. Erano molto richiesti ed ammirati, e un bel maniero non poteva dirsi tale se non ce n'erano almeno un paio a strascicare catene in tutti gli angoli e a spaventare a morte le signore.
- Almeno dimmi di cosa avete parlato …
Ma in quel momento Foster stava appunto portando in tavola il dolce, un pudding zuccheroso e invitante. Fu subito chiaro che suo padre non avrebbe avuto occhi che per quello, almeno nei prossimi minuti. Eileen sospir
ò e si mise a giocherellare col bicchiere. Una cosa non proprio educata, ma che faceva sempre quando non riusciva a dominare del tutto l'irritazione.
Quando alla fine del pasto suo padre si accese un sigaro, lei chiese il permesso di andare ad affacciarsi dalla grande terrazza che si intravedeva nella stanza accanto.
- Ma certamente! E già che ci sei, richiama Foster. Voglio che porti alla cuoca i miei più vivi complimenti per l'arrosto. Era semplicemente delizioso!
Alla terrazza si accedeva da una grande vetrata. Eileen ne ammir
ò i complicati disegni tutti riccioli, poi uscì nell'oscurità della sera per starsene un po' sola e respirare.
Il viaggio di quel giorno, la pioggia, il vestito fradicio, il vecchio Foster fuori dalla sua porta, le domande su quel loro misterioso Signor Thompson, tutto le aveva messo addosso come una specie di agitazione irrequieta. Pens
ò che boccata d'aria probabilmente le avrebbe fatto  bene. Si appoggiò con le spalle al muro tappezzato di gelsomini. Si era di maggio, e i piccoli fiori bianchi riempivano l'aria di un odore greve e penetrante. Respirò a pieni polmoni, immersa nelle loro foglie scure. Davanti a lei, per quanto poteva giudicare nell'ombra fitta, si apriva un giardino. Lo percepiva più dall'odore che con la vista. Doveva essere molto esteso e pieno di fiori. Nel silenzio e alla luce della prima falce di luna le sembrava come qualcosa di vivo che respirasse. Chiuse gli occhi, e si lasciò andare alla quieta sensazione di benessere che sembrava ispirarle quel luogo. Ora all'odore pieno dei gelsomini cominciava a mescolarsi  quello più discreto delle rose. Dovevano essere rose gialle. E ci dovevano essere anche dei lillà, da qualche parte. Ne avvertiva l'aroma fresco e intenso attraverso l'aria umida e piena dei vapori della terra bagnata, delle foglie, delle radici intricate e dei meandri in cui quel grande corpo sotto di lei si aggrovigliava. Provò un brivido di freddo, come un soffio gelato in pieno viso, ed aprì gli occhi. 
Nella sala accanto a lei i candelabri erano stati spenti, e sent
ì da lontano che suo padre scendeva lo scalone per raggiungere il piano di sotto. Doveva esserci una sala da fumo.
Rabbrivid
ì, e si dette un po' della sciocca perché non ce n'era proprio motivo Sarebbe stata così stupida da farsi intimorire da un salone buio e vuoto soltanto perché avevano spento tutti i candelabri? Sai strinse lo scialle sulle spalle e pensò che era meglio rientrare.
Fu in quel momento esatto che avvert
ì quel suono distintamente.
Si ferm
ò sulla soglia come colpita da un improvviso incantesimo capace di tramutare gli esseri umani in statue. Strinse più forte la maniglia della porta e di nuovo, prima che potesse muovere un passo, il suono si ripeté.
Ci mise qualche istante a capire che non era un lamento, anche se ci somigliava moltissimo. Erano le note di un violino, una musica come prima non ne aveva mai sentite. Arrivava ad ondate attraverso l'aria notturna ed Eileen non avrebbe saputo dire da dove venisse. Era bellissimo e misterioso, era lontano e vicino allo stesso tempo.
Si guard
ò intorno e non vide nulla. Tutte le luci alle finestre erano spente, e il retro del palazzo sembrava morto da secoli. Da dove proveniva quella musica?
- Oh, signorina, meno male che siete qui! Vostro padre mi ha mandata a chiamarvi e non riuscivo a trovarvi in nessun posto!
Eileen fece un salto. Ma poi si accorse che era solo Elizabeth.
- Non preoccuparti. - sorrise - Piuttosto, tu sai chi sta suonando questa musica?
Elizabeth la guard
ò per aria un momento, come se stesse drizzando le orecchie.
- Quale musica?
In effetti ora taceva. Eileen si accorse che doveva avere messo nell'istante esatto in cui Elizabeth aveva messo piede sulla terrazza.
- Mi era sembrato di … ma no, devo solo essere stanca per il viaggio. Oggi è stata una giornata faticosa.
La cameriera annu
ì, premurosa.
- Ho preparato del porto caldo, nel caso ne voleste un po' prima di dormire. Fa molto bene alla gola e alla stanchezza. Vostro padre vi aspetta per berlo nella sala del thé, se pu
ò farvi piacere, naturalmente.
Eileen fece cenno di s
ì.
- Vieni, andiamo. Il freddo di qui fuori mi dà i brividi.
Prese Elizabeth sotto braccio e insieme si avviarono di sotto. In effetti, pens
ò Eileen, aveva proprio bisogno di un camino, di una poltrona e di qualcosa di caldo che l'aiutasse a rimettersi in sesto.

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo - Strani Incontri ***


- Capitolo Terzo -
Strani Incontri

 
La mattina dopo, alla luce del sole, la facciata del palazzo aveva un'aria decisamente meno inquietante. Eileen uscì presto, intenzionata a girarci intorno e a raggiungere il giardino che la sera prima aveva solo intravisto. Sperava di fare in tempo a vederlo prima di ripartire. Suo padre quella mattina era uscito per una piccola commissione in città. Mentre aspettava che tornasse a prenderla le parve la cosa più naturale del mondo mettersi ad esplorare i dintorni.
Aveva un cestino da lavoro al braccio e un cappello di paglia coi nastri. Non vedeva l'ora di trovare un luogo ombreggiato e riparato per poter tirare fuori da sotto i suoi ricami decisamente privi di talento il libro che aveva comprato nell'ultima città di passaggio. Era un romanzo francese, sulla copertina rigida di raso c'era dipinta una fanciulla che si affacciava dalle mura di un castello: non vedeva l'ora di leggerlo.
Si guardò intorno e vide che c'era via libera. Non aveva detto a nessuno della sua piccola fuga in giardino, neppure ad Elizabeth. Era così difficile per una signorina godersi un po' di pace tutta per sé, che Eileen aveva dovuto imparare molte cose su come procurarsi quegli innocenti momenti di solitudine. Le piaceva molto stare sola, a fantasticare e riflettere sulle cose che le succedevano, anche se a dire il vero - fino a quel giorno - non le era mai successo niente di neanche vagamente interessante, a parte certe città pittoresche che aveva visitato con suo padre e un paio di conversazioni intelligenti cui le era capitato di assistere. Per il resto la sua vita era un'interminabile serie di spostamenti, carrozze, locande, pranzi e cene, ricami mal riusciti e poco altri. Soltanto leggere riusciva a darle a volte la sensazione di uscire per un po' da tutta quella opprimente e pacifica vita da signorina. Non l'aveva mai confessato a nessuno, ma certe volte, passando per un tratto di strada di mercato o davanti ad una piccola bottega aveva tanto invidiato le ragazze che dovevano lavorare per vivere, o le gaie contadine che ogni mattina portavano al mercato ceste di frutta con le braccia forti. Potevano girare da sole, uscire senza essere accompagnate, vestire abiti comodi e fermarsi a fare quattro chiacchiere per strada. Non portavano bustini attillati e non dovevano stare sempre zitte se capitava un qualche invito a cena.  Immersa in questi pensieri, Eileen si inoltrò nel viale di ghiaia che, fiancheggiato da una siepe di bosso, portava al retro del palazzo. I suoi stivaletti di vernice affondavano sopra lo strato di fitti sassi bianchi, e quello era praticamente l'unico rumore che si poteva udire. Sembrava che la città oltre le mura fosse sparita col suo chiasso per incanto. Adesso Eileen era quasi felice, era da sola e poteva disporre di un paio d'ore in completa solitudine.
Arrivata al giardino vide che era un complicato intrico di viali, una specie di labirinto di bosso verde scuro e aiuole in cui fiorivano decine di piante. Alcune erano facili da riconoscere: rose rosa, gialle, arancioni, rosso porpora, azzurrine, bianche, e margherite, fucsie, grossi cespugli di mirtilli e gelsomini. Altre erano più strane: alberi lunghi con tronchi sottili, complicati grovigli di edere, cespi di fiori dai colori accesissimi e dai pistilli che sembravano occhi accesi sotto palpebre pesanti e scarlatte. In un angolo un enorme glicine si arrampicava indolente contro il vecchio muro di pietra. A prima vista non sembrava un giardino, o almeno non somigliava affatto agli ordinati prati verdi e ben tenuti a cui era abituata Eileen. Questo sembrava più la fantasiosa composizione di un pittore che volesse creare l'effetto di macchie di colori indefiniti. C'erano piante secolari e tutto era come soffuso da un'aria vagamente trascurata ed indolente. Era bellissimo.
Eileen si fece avanti con timore, e accostandosi alle prime aiuole si mise ad osservare da vicino alcune piante che non conosceva.  Sembravano campanule ma molto, molto più lunghe e sottili, di un viola quasi incredibile. Accanto a loro c'erano delle ortensie, ma di una forma bizzarra e carnosa: profumavano tantissimo e le api ronzando intorno alle corolle le facevano sembrare quasi vive, con una specie di mormorio ipnotico.
Si aggirò per un pezzo lungo la parte di giardino che costeggiava il muro. Il sole filtrava tra i rami degli alberi più alti e creava come un tunnel d'ombra in cui frullavano gli uccelli.  Ad una piccola svolta del viale, che procedeva dritto per un tratto e poi si tuffava restringendosi sotto una specie di tunnel di rampicanti, trovò una panchina. Era una piccola panchina di pietra, molto graziosa, coi piedi scolpiti in forma di zampe di leoni. Era tutta ricoperta di muschio. Eileen pensò di sedersi, e face per posare il cestino.
- Ehi! Aspetta!
Scattò in piedi, presa di soprassalto. Si guardò intorno con gli occhi sgranati, e prima che potesse riprendere a respirare in modo normale aveva scoperto la fonte di quell'avvertimento improvviso: tra la panca di pietra e il tunnel, affondato tra le foglie della siepe, sbucava il volto molto magro e molto lungo di un ragazzetto di una decina d'anni.
- Se vuoi sederti aspetta un minuto, che li tolgo di mezzo - spiegò emergendo da quella specie di foresta - Sono simpatici ma certe volte è così facile perderli e dopo è un guaio ritrovarli.
Eileen guardò stralunata il ragazzetto, e aspettò per vedere che faceva. Quello si avvicinò alla panchina e solo allora Eileen, strizzando gli occhi, vide che sulla pietra c'erano decine e decine di piccole formiche tutte in fila, una dietro l'altra. E dietro le formiche c'erano qualche piccola cimice verde, due o tre processionarie, un bombice coperto di peluria, una coppia di porcellini d'India e un affare lucido e cornuto grosso come un'albicocca.
- Che roba è? - chiese al ragazzetto.
- Il mio serraglio personale - sorrise lui, e facendolo mostrò una larga fila di denti in cui si aprivano ancora parecchi buchi - alcune delle bestie che studio.
La ragazza lo guardò senza capire.
- Come ti chiami?
- Noah. E questi sono i miei coleotteri, processionarie, formiche e insetti delle più diverse origini. Io e loro formiamo una specie di club, una cosa per studiosi della natura.
Li indicò ad uno ad uno ad Eileen con un dito sporco fino all'inverosimile, come se stesse facendo a corte delle presentazioni alla Regina: - Li trovo, li curo, li allevo, li porto a spasso, ci parlo, studio le loro abitudini. Oggi è una bella giornata. Ho pensato che una boccata d'aria poteva fargli bene.
- E li hai messi tu in fila così?
- No, no - spiegò il ragazzo, molto lusingato di una domanda così pertinente - ci si mettono da soli. Hanno un innato senso dell'ordine, sai? Soprattutto le formiche e i coleotteri. La settimana scorsa li ho nascosti dentro la scatola, come faccio sempre quando devo lavorare e non ho tempo, e quando sono tornato la sera li ho trovati che si erano messi a dormire tutti in cerchio. Una cosa da togliere il fiato, carinissimi. E ne vuoi sapere un'altra?
Completamente catturata dalla novità di quell'incontro, Eileen dimenticò il suo libro e si mise ad ascoltare le vicende di Noah e dei suoi animali. Venne a sapere che era un garzone di casa, una specie di sguattero alle dipendenze della signoria Nibbles, la cuoca.
- Quella è terribile, sai? Devi vedere che mestolo che ha! Se ti arriva sulla testa fa un male …
Eileen capì che, in qualità di sguattero di cucina e di grande appassionato di insetti, Noah doveva cadere spesso vittima di quel gran mestolo. In effetti i suoi amici non dovevano essere proprio i benvenuti in cucina.
- A lei non piace che tenga i miei animali dove lavoro. Ho provato a spiegarle che sono animaletti responsabili, che non farebbero mai danni o roba simile, sono persino arrivato a prometterle di tenerli chiusi dentro una scatola, ma lei non vuole saperne. Così mi tocca ogni volta lasciarli nel capanno degli attrezzi, e non hai idea di quanto ci sto male, ogni volta.
- Perché, non stanno al sicuro nel capanno?
Noah fece una specie di smorfia, e per la prima volta Eileen vide l'apprensione sul volto allegro del ragazzino.
- C'è quel gatto - sibilò Noah come parlasse del suo peggior nemico - Una bestiaccia che non aspetta altro che mangiarsi tutti i miei amici. E' il gatto della signora Nibbles, quello ovviamente ci può stare in cucina. Ma da quando ha scoperto i miei amici fa di tutto per papparseli, poveri, e vedessi come ci gira intorno quando chiudo la porta del capanno. Un giorno spero che si strozzi in qualche modo con una lisca di pesce o un'altra cosa. Così i miei piccoli saranno al sicuro.
E per dare più risalto al suo discorso sollevò delicatamente tra le dita il coleottero più grosso di tutti, quello con le tenaglie e un corno sulla fronte, e lo mise sotto il naso di Eileen.
- Credi che sappia difendersi da solo? - domandò accorato.
Eileen dette uno sguardo incerto al corno che aveva un'aria minacciosa e sembrava quello di un piccolo rinoceronte in miniatura.
- Sembra cattivo - si affrettò a spiegare Noah - ma se vede un nemico non riesce neanche a scappare. Rimane fermo per la paura, poverino. Forse non crederai a quello che sto per dirti, ma una volta l'ho visto tremare. Non pensavo che i coleotteri fossero anche capaci di tremare, e invece lui lo fa, povero Creamy.
- Chi è Creamy?
- Lui - disse il ragazzo indicando il coleottero - All'inizio volevo chiamarlo Honey - spiegò - ma poi ho pensato che era un nome da femmine.
Andarono avanti a parlare ancora per un po', scordandosi completamene del tempo che passava. Si trovavano molto simpatici, ed Eileen pensò con rammarico che avrebbe dovuto andare via presto senza poter approfondire la conoscenza. E aveva talmente pochi amici! Stavano appunto parlando di questo, e già Noah progettava come fare per sentirsi almeno per lettera - almeno per farle avere notizie su Creamy, che sembrava esserle stato simpatico -, quando un passo pesante sulla ghiaia venne a turbare la loro quiete.
Appena lo sentì, il povero Noah drizzò le orecchie come un coniglio e si mise a cacciare in fretta nella scatola tutte le piccole bestie alla rinfusa.
- Che cosa fai? - chiese sorpresa Eileen. Non capiva il perché di quel cambiamento improvviso.
Ma Noah non  la stava più ascoltando. Aveva occhi solo per riuscire a cacciar dentro la scatola le bestie. Quando ebbe finito, le fece cenno di restare in silenzio e sparì via attraverso la siepe, dileguandosi con la destrezza di un passero.
Eileen non ci capiva proprio nulla. Ma i passi erano sempre più vicini. D'istinto si nascose anche lei come meglio poteva tra le foglie.
- Noah? Noah? Avanti, esci fuori, dove sei? Tu e le tue bestie, dannato ragazzo, ci faranno rimettere il collo, un giorno o l'altro! Avanti, ragazzo, esci fuori, prima che la vecchia prenda a calci tutti e due.Un vecchio signore zoppicante veniva su per il viale di ghiaia. Aveva un cilindro stinto in testa e una marsina talmente stretta che il suo corpo enorme traboccava da ogni parte. Perché era l'essere più grasso che Eileen avesse mai visto. Sembrava una scultura di cera che si fosse rammollita tutta insieme.
- Allora, Noah, ci decidiamo?
Quando fu davanti alla nicchia in cui Eileen si era nascosta, alzò il bastone da passeggio e con quello si mise a frugare tra le foglie. Eileen capì chiaramente che non aveva scampo: in meno di dieci secondi quel vecchio dalla barbaccia ispida avrebbe scoperto che era lì.
E infatti, un attimo dopo, il bastone urtò il suo cappello, facendolo rotolare sul vialetto.
- Uh! Cosa abbiamo qui? - chiese il vecchio sollevandoselo quasi fino agli occhi con la punta del bastone. Eileen notò che il manico era scolpito con un'elegante testa d'anatra, e che il vecchio portava all'anulare l'anello più grosso e lucido che avesse mai visto, con un enorme rubino nel mezzo. Prese un respiro e pensò che forse era meglio uscire allo scoperto prima che fosse il vecchio a stanarla.
- 'Andiamo' - disse tra sé e sé - 'non è poi la situazione più difficile in cui ti è capitato di trovarti. Ti ricordi di quella volta in Belgio che il cagnetto della vecchia baronessa …'
Ma era terrorizzata. E non tanto perché quel vecchio tondo l'aveva sorpresa mezzo affondata e nascosta in una siepe (cosa che non giova mai al decoro di una signorina), ma perché dal cilindro, dal bastone da passeggio, dalla cascante gravità del volto e dal modo in cui aveva chiamato Noah era chiaro di chi si trattava. Ogni sua strampalata previsione veniva fatta a pezzi dalla realtà. Altro che India, che avventure, che mistero. Il Signor Thompson era un vecchio con la barba e un ridicolo cilindro stinto in testa. Fece un passo avanti come sul patibolo, e si preparò a presentarsi provando ad evitare di morire di vergogna.
- Buon giorno, Signor Thompson - articolò tutto d'un fiato sbucando fuori dalla siepe ad occhi bassi - perdonatemi se mi presento a voi in modo così
inconsueto e sconveniente. Mi chiamo Eileen e sono la figlia di Mr. Marriott, il vostro caro amico.

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@Columbine: Tranquilla, non ho intenzione di scrivere una storia di mille milioni di capitoli … piuttosto articolata sì ma non lunghissima! E grazie per le recensioni, mi fa davvero piacere se c'è qualcuno che mi segue e mi dice il suo parere sulla storia. Continua! 

@Vera Auxilia: L'età di Elizabeth e di Eileen non l'ho specificata, ogni lettore può immaginarla come vuole! Comunque penso tra i sedici e i venti (Elizabeth è più piccola di poco) … un bacio e grazie della recensione! 

@Brin: Spero che la storia continui a tenere desta la tua attenzione, se ti sembra che ci siano dei cali non esitare a farmelo sapere … e grazie del complimenti! Sei troppo buona … un abbraccio, V.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Orribili Notizie ***


- Capitolo Quarto -
Orribili Notizie

 

Il vecchio la fissò per un istante, interdetto.
- Il Signor Thompson? Chi, io?
- Non siete il Signor Thompson?
Quello fece una specie di smorfia sorpresa, e si gratt
ò la testa con il bastone. Poi scoppiò in una fragorosa risata. Così, senza preavviso. Eileen fece un salto indietro per lo spavento. Dopo di che il vecchio si tolse il berretto dalla testa e si produsse in un comico inchino.
- No di certo che non sono il Signor Thompson! - rise il vecchio - Mi chiamo Nibbles, signorina, per servirvi.
Eileen sospir
ò di sollievo. Chissà perché c'era rimasta male, al pensiero che il Signor Thompson fosse vecchio e brutto.
- Perdonatemi. Sono qui soltanto da ieri e … vi avevo preso per il padrone di casa.
- Lo credo bene - gongol
ò il vecchio, estasiato - sono l'uomo più elegante della casa. E' naturale che la gente distinta mi prenda per uno di loro. Ma ahimè, pur essendo provvisto di queste encomiabili doti di eleganza, la Fortuna crudele ha fatto sì che io nascessi di umile condizione. Ma sono contento che ci sia ancora qualcuno che sa riconoscere lo stile di un gentiluomo, quando lo incontra.
Cos
ì dicendo prese sotto braccio Eileen, di cui doveva essere rimasto incantato grazie a quel complimento involontario, e la trascinò lungo il viale in direzione del palazzo.
- Vedete. mia cara signorina, in questa casa purtroppo difettano i gentiluomini di un certo stile. Certo il padrone, bontà sua, è uno specchio di quel che si chiama eleganza, ma ecco, dopo di lui, possiamo dire che non c'è anima viva che abbia il benché minimo concetto di eleganza. Prendete Foster, ad esempio - a quel nome incresp
ò le sopracciglia e fece una smorfia come se ingoiasse un ragno - quell'insulso spilungone è l'esempio di come non si dovrebbe comportarsi.
Eileen tent
ò invano di capire cosa avesse che non andava Foster. A lei sembrava normale, ma il vecchio doveva avercela a morte.
Venne a sapere che Foster si scordava di portare in tavola almeno una portata su due, che non lucidava le maniglie e rubava il gin dalla dispensa, che perseguitava i servi con la sua spocchia universale e dava fastidio a sua moglie (quella di Nibbles) con una stupida congerie di sciocchezze e che, in una parola, era l'essere più odioso, riprovevole, incapace, infido, astuto e sordido di questo mondo.
- Siete il marito della cuoca, dunque - comment
ò Eileen nel tentativo di deviare la conversazione. Il vecchio si gettò anche su quello come un cane affamato sull'osso. Le raccontò vita morte e miracoli della loro unione trentennale, di come la signora Nibbles fosse sotto tutti gli aspetti una creatura meravigliosa, tranne quando si fissava ad insistere che lui, il signor Nibbles, proprio lui era un vecchio chiacchierone insopportabile.
- Mi chiama cuccuma, sapete - confid
ò - come le pentole per bollire i fagioli.
A Eileen venne da ridere, era proprio la cosa che avrebbe detto lei. Nel frattempo erano arrivati alla fine del giardino, e cavando un orologio dal taschino il vecchio vide che erano le dieci.
- Vorreste farmi l'estremo onore di dividere una fetta di torta con un povero arnese in malora? Mia moglie ne ha appena sfornata una dall'aria tutt'altro che sgradevole, e penso proprio che ce ne sia abbastanza anche per … Il Signor Thompson!
Eileen volt
ò di scatto la testa.
Sulla spianata di ghiaia davanti all'ingresso del palazzo aveva appena inchiodato con gran strepito la carrozza nera della sera prima. I cavalli schiumavano di sudore, e la vettura non si era ancora fermata che lo sportello si apr
ì, come buttato di lato da un'esplosione.
Imbambolata, a braccetto di Nibbles, Eileen vide precipitarsi di sotto un signore alto, imponente, con un gran mantello nero e l'aria incredibilmente corrucciata. Era bruno, e ancora molto giovane, e doveva avere davvero una gran fretta.
Nibbles si fece avanti sorridendo, ma Thompson lo ferm
ò con un gesto imperioso della mano.
- Non adesso - ringhi
ò senza neanche volgere uno sguardo da quella parte, salì a tre a tre i gradini della scala, scomparve oltre la porta.
Il cocchiere che era a cassetta si volse verso di loro con una specie di sorriso colpevole.
- Giuro che io non sono stato a ridurlo in questo stato, non stamani - disse - siamo usciti prima dell'alba per andare a una locanda in città, e quando è uscito
sembrava un uragano. Deve essere successo qualcosa. Qualcosa di molto spiacevole.
Eileen rimase sbalordita, e forse anche un pochino preoccupata. Che significava quella scena? Perché il loro ospite era appena passato sopra a tutte le più elementari norme di cortesia, senza neanche salutarla o informarsi di come era il soggiorno? Doveva essere successo qualcosa di veramente molto preoccupante. 
Meno male che Nibbles si affrett
ò a spiegarle che il signor Thompson era spesso di cattivo umore. Non c'era da preoccuparsi, tra poco gli sarebbe passata. Eileen sorrise anche lei, e poi pensò che - nervoso o meno - tra non molto non avrebbe più rivisto il Signor Thompson. Di che cosa si preoccupava allora? Pensò che mentre aspettava suo padre (tra parentesi, ma quanto ci metteva?), una bella fetta di torta non sarebbe stata affatto male. Così riprese il braccio al signor Nibbles. Dimenticò gli ultimi cinque minuti, la carrozza, la maleducata entrata del suo ospite, e persino quei tratti inquieti e belli che un po' l'avevano turbata. Cercò di pensare alla torta.
Attraversarono di nuovo il viale che portava in giardino e oltrepassarono alcune piccole siepi di bosso. I vialetti da quel lato erano stretti, ma il signor Nibbles ci passava in mezzo con una grazia silenziosa e insospettabile.
Quando giunsero alla cucina Eileen fu stupita di trovarsi davanti ad una piccola costruzione di pietra che si staccava appena dall'edificio centrale. Era una specie di casetta autonoma, coperta d'edera e fatta di pietra. Da dentro veniva un odore a dir poco delizioso e una voce da chioccia che cantava una vecchia canzone.
Nibbles sorrise pieno di tenerezza.
- La mia signora - spieg
ò, e poi spinse il vecchio battente della porta.

 
Nella cucina c'era odore di zucchero. Quello che Eileen notò per primo fu il calore profumato che usciva dal forno, poi la tavola e le tendine colorate, una serie infinita di barattoli, e poi quella che le sembrò a tutta prima un'enorme nuvola di tulle azzurro.
Quando la nuvola si girò scoprì i tratti di una paffuta signora di mezza età, capelli grigi raccolti in una crocchia che le dava un'aria da gran dama, un grembiule colorato fin sul petto e una bellissima voce da soprano. L'accolse come fosse sua figlia.
- Chi mi ha portato di bello, signor Nibbles? Quest'uccellino non l'ahi certo trovato nel parco insieme agli altri vero o no? Dev' essere la figlia dell'ospite, quel gentiluomo tanto simpatico che stamattina è venuto a farmi i complimenti per l'arrosto di ieri sera.
La signora Nibbles pareva un fiume in piena, prese Eileen per una mano e la condusse al grande tavolo che c'era là in mezzo.
- Hai fame, cara? - le chiese - Ho appena sfornato una torta, prendo un piatto e te ne servo una bella fetta. Vuoi del thé?
Eileen sorrise e la signora le porse una bella teiera fumante che stazionava nel fuoco l' vicino. Nei giorni seguenti - perché la sua permanenza in quella casa non si sarebbe risolta quella mattina - Eileen scoprì che dove c'era la signora Nibbles là c'era sempre anche una tazza di tè, una teiera, latte e zuccheriera. Sembravano i suoi armamentari magici, la seguivano ovunque e lei beveva grandissime quantità di una miscela nera di frutti e foglioline cinesi, dal profumo che stordiva e odorosa di fragole.  
Quando furono tutti seduti a tavola e la signora Nibbles ebbe provveduto a fare le parti della torta (la più piccola toccò al signor Nibbles, per la buona ragione che era a dieta), provarono a mettersi a mangiare. Eileen provava per la prima volta, dopo molti mesi, un clima pacifico di casa, e anche i piccoli battibecchi dei suoi due ospiti le riuscivano incredibilmente spiritosi.
Ma un istante prima che la signora Nibbles cominciasse a raccontarle in dettaglio tutta la storia della famiglia Thompson, di cui aveva assistito assiduamente almeno tre generazioni, successe una cosa inaspettata.
Noah entrò sbattendo la porta, e con una facci bianca come un cencio si precipitò nella stanza.
- Vostro padre - mormorò atterrito, e dopo non riuscì più a dire altro.
Eileen si alzò come in un sogno. Le ronzavano le orecchie e non capiva più niente di quello che le dicevano. Tutto quello che capiva è che doveva essere successo qualcosa a suo padre. La signora Nibbles si alzò
di scatto e fece scudo a Eileen con le sue braccia.
- Cos'è successo? - chiese mettendosi in mezzo.
Il ragazzino scosse la testa piano. Ora stava quasi piangendo.
- Il signor Thompson. Vuole vedervi subito. E' ritornato dalla città e vostro padre ...
Poi non riuscì più a trattenersi e la voce gli si spense in una specie di singhiozzo.

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Capitolo 6
*** Capitolo Sesto - Incidenti ***


- Capitolo Sesto -
Incidenti


- Avanti, non mi sembra che ci sia da uccidersi solo perché quel farabutto di vostro padre ha fatto quello che ha fatto. D'altra parte voi non ne avete colpa.
Eileen alzò la testa, sconvolta, dalla poltrona in cui si era accasciata.
- Mio padre non è un farabutto!
Il signor Thompson sorrise sarcastico.
- Ah no? E come lo chiamate uno che abbandona la figlia in casa d'altri come un fagotto? La ritenete una condotta responsabile?
No che non la riteneva tale. Anzi, in un angolo della sua mente Eileen continuava a non credere che suo padre avesse fatto una cosa del genere. Era una cosa che andava molto oltre qualunque incubo avesse mai fatto. Era sola, abbandonata, senza un soldo in casa di qualcuno che fino a mezz'ora prima non aveva  mai visto. E che avrebbe preferito non conoscere, visto come si stava comportando.
Il Signor Thompson era, in piedi, alla finestra della biblioteca, i bei lineamenti contratti. Guardava lontano e teneva una lettera tra le dita dietro al schiena.
Eileen l'aveva già ascoltata. Era stato lui stesso a leggergliela. Una cosa da far venire i brividi. Suo padre scriveva in poche righe di essere stato rovinato dai debiti, e di dover scappare all'estero il prima possibile per nascondersi dai creditori. Un affare della massima importanza - lo stesso di cui aveva parlato la sera prima a Thompson - era stato la sua ultima speranza.
- Ieri sera mi ha chiesto del denaro, molto denaro. Ma ormai non c'era più niente da fare. E' fuggito prima che la notizia del fallimento svegliasse i suoi creditori. E ha fatto appena in tempo.
- Vi siete rifiutato di aiutarlo? - mormorò, incredula Eileen - Io credevo che foste suo amico.
- Un amico è un amico, mia cara signorina Marriott, non una balia. E vostro padre, concedetemi di dirlo, non ha mai avuto un grosso fiuto per gli affari. Si è rovinato con una speculazione sciocca, in cui lo avevo sconsigliato di imbarcarsi. Non mi ha voluto dare retta, e dunque …
- … e dunque voi lo avete rovinato.
- Non io. Non io, la sua sciocca fiducia nella sorte, dite piuttosto. Un azzardo è un azzardo, signorina. E negli affari è lo stesso che al gioco, si vince o si perde. E gli errori di giudizio si pagano. Vostro padre ha commesso molti errori, e quando sono stati troppi da cominciare a soffocarlo sul serio è venuto a chiedere a me di rimediare alle sue madornali sciocchezze.
Eileen era incredula. Possibile che un gentiluomo potesse parlare in quel modo di un amico? Dov'era la cavalleria, l'onore, la prontezza nell'aiutare gli amici in difficoltà?
- Vostro padre ha fatto un azzardo, e ha fallito. Prestargli i soldi che chiedeva, a questo punto, sarebbe servito soltanto ad aggravare la situazione. Credete, è stato meglio così. Si farà qualche anno nelle Indie, magari sotto falso nome, e un giorno me lo vedrò ricapitare davanti a chiedermi di nuovo altri soldi. Come sempre, del resto. Questo è un vizio che certa gente fa fatica a togliersi.
- Mio padre non ha mai chiesto niente a nessuno! - protestò Eileen.
 Thompson si girò verso di lei, e ora il suoi lineamenti erano contratti da qualcosa di più che la collera.
- Ha chiesto anche troppe cose, signorina. E ora conclude la lista chiedendomi di occuparmi di voi come una figlia. Una figlia, capite? Quando ho trovato la lettera, giù alla locanda, quasi non volevo crederci. La sua ultima - ultima di una lunga lista, badate bene - la sua ultima, vergognosa richiesta era che io mi occupassi di voi. Come una figlia - rise, sarcastico - a me che non avrò neanche dieci anni più di voi. Una figlia!
Eileen fissò i tratti severi e il naso dritto del signor Thompson. In quel trambusto, nell'angoscia e tra le lacrime, non poté impedirsi di pensare che sembrava molto più giovane. Davvero aveva già trent'anni? Lui dovette captare la domanda che c'era nel suo sguardo.
- Trentatré - rise - più o meno quanto voi …
- Io ne ho sedici - mentì lei, arrossendo. In realtà ne aveva quasi diciassette, ma non si sa perché gli venne da dire così. Forse perché davanti a quell'uomo adirato si sentiva infinitamente piccola, insignificante e piena di vergogna.
- Sedici? Oh, santo cielo, io non pensavo … sedici?
Ma Eileen si era già alzata.
- Signor Thompson, cercherò come si conviene di abusare il meno possibile della vostra pazienza. Del resto l'ho già fatto anche troppo. L'ultima cortesia che vi chiedo è quella di indicarmi dove posso trovare una carrozza a noleggio che mi riporti a casa. Ho intenzione di fare le valige e di togliere il disturbo quanto prima.
Il Signor Thompson la squadrò per un lungo, freddissimo istante, e poi sorrise con un lungo sorriso affilato che sembrava quello di un serpente. Lo stupore di poco prima sembrava già essere scomparso.
- Non avete più una casa, signorina. Non avete più niente. Neanche gli abiti che portate indosso forse vi appartengono più. E i creditori sono fuori dalla porta. Dalla mia porta, ad aspettare di sapere se vostro padre ha lasciato qualcosa che possono requisire subito e vendere. Capite adesso perché stamattina mi ha dato appuntamento alla locanda? Non poteva più ritornare qua. Adesso lo capisco, ora che la lettera che ho trovato al posto suo mi spiega tutta la faccenda per esteso. Voi non avete più niente, in tutto il mondo.
A Eileen sembrò che la stanza girasse due volte su se stessa, e per un attimo le parve che sarebbe stato meglio morire che affrontare tutto quello che futuro sembrava prospettarle. La povertà, l'umiliazione, l'indigenza. Ma poi pensò che adesso, adesso, davanti a quell'uomo almeno, l'unica cosa necessaria da fare e stringere i pugni e ricacciare le lacrime. Non avrebbe dato a quell'odioso Signor Thompson, che le annunciava ridendo la disgrazia, la soddisfazione di vedere le sue lacrime. Inghiottì dunque il pianto che aveva in gola, e sussurrò.
- Vado a fare i bagagli.
Il Signor Thompson fece un passo verso di lei.
- Vostro padre mi prega di trattenervi - disse con voce ferma. Poi, più gentile - di prendermi cura di voi.
A Eileen la compassione di Thompson parve più dolorosa di una coltellata. Reagì come le sembrava più giusto.
- Non sono un fagotto, Signor Thompson, qualcosa da spostare a piacimento. Oggi ho avuto una brutta notizia, e ringrazio Dio perché pensavo che ce ne fosse una molto peggiore. In fin dei conti mio padre è vivo e sono sicura che appena avrà sistemato gli affari che in questo frangente non sono buoni, non appena avrà avuto modo di ristabilire quel che deve, tornerà in Inghilterra e ristabilirà il suo buon nome. Nel frattempo il mio dovere di figlia mi impone di uscire subito da questa casa e di parlare con i creditori, per chiedere loro di aver pazienza.
Il signor Thompson stette ad ascoltare. A Eileen parve che non muovesse un muscolo, e un paio di volte le sembrò persino che un'ombra di qualcosa di diverso dallo scherno sfiorasse i suoi lineamenti.
- Sono canaglie - mormorò alla fine, quando capì che le intenzioni di Eileen erano più serie di quanto credesse - canaglie senza alcuno scrupolo. Mandarvi là fuori in mezzo a loro sarebbe più o meno come consegnarvi al boia.
- Non mi importa. Io devo fare quel che devo e lo farò. Ora, se volete scusarmi, scendo a prendere le mie poche cose.
Così dicendo si avviò verso la porta.
- Non credo di potervelo permettere.
Eileen si voltò di scatto, improvvisamente rossa di stizza.
- Non potete permettermi cosa?
- Di lasciare questa casa. Non almeno finché non si saranno calmate un po' le acque. Uscire ora è troppo rischioso.
- Vi ringrazio del vostro interessamento, ma farò come ho deciso, Signor Thompson.
- Voi non farete un bel nulla, signorina. Non almeno senza il mio permesso. Vostro padre vi ha affidato a me. E io non vi manderò a morire come una stupida solo perché lo desiderata.
Adesso Eileen quasi non respirava dalla rabbia che la stava prendendo. Thompson fece un passo verso di lei.
- Avanti - fece più conciliante - in fin dei conti non …
- In fin dei conti cosa? - gridò lei. Ormai la rabbia tracimava dovunque. Quella per tutto, per suo padre, per i debiti, per la paura del futuro e per quel Thompson che l'aveva trattata come una serva. Per la prima volta in vita sua stava quasi gridando contro un estraneo - Voi non sapete niente di me e io non voglio che vi prendiate alcun disturbo, Signore! E adesso mi farete il favore di lasciarmi passare, altrimenti io ...
Ma Thompson fece più in fretta di lei. Sfilò la chiave dalla toppa e la strinse in pugno.
- Vostro padre vi ha lasciato in mia custodia. E per quanto vi stiate dimostrando una mocciosa più testarda e petulante di quanto sarebbe lecito aspettarsi, tuttavia io - a differenza di altri - sono solito onorare i miei impegni. Anche quelli non richiesti, mi capite? Così adesso voi rimarrete qui, in questa stanza, fino al mio ritorno. Io vedrò di parlare ai creditori e di sistemare la faccenda. Vostro padre non deve essere lontano, probabilmente sulla strada di South Hampton. Forse possono ancora trovarlo.
Eileen lo guardò sbigottita. Liberò con uno strattone la il braccio che lui le aveva stretto, e nel cercare di riafferrarla il Signor Thompson lasciò andare la chiave sul tappeto. Eileen stavolta fu più svelta, la prese e prima che lui potesse fare qualsiasi cosa aprì la porta, uscì
e la richiuse a chiave alle sue spalle.
Non aveva mai fatto una cosa del genere. Ne era consapevole e il cuore le martellava in petto a tutto spiano. Ma la disperazione del dava forza.
Sempre con la chiave stretta in pugno di diresse allo scalone principale e da quello in camera sua. Voleva fare i bagagli e cercare di raggiungere suo padre, dovunque fosse. Quel farabutto di Thompson aveva detto che non doveva essere lontano, probabilmente su qualche diligenza che portava al porto di South Hampton, quello da cui partivano quasi tutte le navi passeggeri dirette in India.
Doveva sbrigarsi e ritrovarlo. Ma soprattutto doveva uscire da quella casa prima di rischiare di ammazzare il Signor Thompson. L'individuo più odioso che mai Dio avesse osato far nascere in terra.

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo Settimo - Un nuovo inizio ***


- Capitolo Settimo -
Ricominciare


La ripescarono al cancello, proprio mentre tentava di aprirlo senza riuscirci. Nibbles le si fece accanto, aspettò pazientemente che Eileen scuotesse il vecchio catenaccio con tutte le forze che aveva, la vide battere i pugni sul ferro, piangere, prendere a calci il cancello. Quando vide che la rabbia cominciava a diventare lacrime, le mise un braccio intorno alla spalla.
- Andiamo, mia cara, vieni in casa.
Eileen scosse la testa avanti e indietro, distrutta.
- Domani andrà meglio, bambina mia. Dentro ogni male c'è sempre un po' di bene. 

E così finì prima di nascere il tentativo di Eileen di farsi strada in un mondo che non conosceva, di trovare una carrozza e salirci, e viaggiare per l'ignoto mondo fino a Southampton e di là fino in India. Ci aveva provato, ma alla fine di quel suo viaggio immaginato rimasero soltanto i pochi vestiti pigiati in fretta dentro la valigia. Nibbles le teneva ancora la mano poggiata sulla spalla. Curioso, nessuno sconosciuto era mai stato così gentile con lei. Ma forse Nibbles non era uno sconosciuto. Sembrava un genio buono, uno di quelli che ti compare davanti nel momento in cui ha voglia solo di piangere e morire.
Attraversarono il giardino e Nibbles la port
ò sul retro. Quando spinse la porta della cucina, Eileen non fece in tempo ad entrare che la signora Nibbles la stringeva già tra le braccia.
- Povera cara, povera cara mia - cantilenava.
Stettero molto tempo cos
ì, il signor Nibbles che si guardava i piedi, ed Eileen che piangeva sommessamente tra le braccia della signora Nibbles.
Quando fu in grado di articolare di nuovo qualche parola, le venne in mente di quello che aveva fatto.
- E'arrabbiato?
- Per cosa? - chiesero quasi all'unisono i coniugi.
- Perché l'ho chiuso dentro.
La signora Nibbles apr
ì e chiuse la bocca. Evidentemente ne era all'oscuro.
- L'ha chiuso dentro - mormor
ò il signor Nibbles - il padrone voleva trattenerla e lei lo ha chiuso dentro in biblioteca. Ed è scappata con la chiave.
Pass
ò qualche istante in cui le mosche si stupirono di essere le sole a far rumore in quella piccola stanza. Poi la signora Nibbles scoppiò a ridere.
- Finalmente qualcuno lo ha fatto! Era ora che una bella creatura desse una lezione al signor Thompson. E' sempre cos
ì sicuro di se … figurati bambina mia, che l'anno scorso, durante un ricevimento …
- Norma, forse noi non dovremmo … - cerc
ò di intervenire il signor Nibbles.
- Oh, santo cielo, Signor Nibbles, taci! La bambina ha il diritto di sapere.
Eileen sorrise per l'appellativo. Tra le braccia di quell'enorme donna chiacchierona si sentiva stranamente a casa e a suo agio.
- Dicevo, bambina mia, che l'anno scorso, quell'energumeno del padrone …
- Norma!
- Se dici un'altra parola, signor Nibbles, giuro che ti lascio a secco di torta per una settimana!
Il signor Nibbles tacque contrariato, e per esprimere meglio il suo dissenso se ne and
ò a bofonchiare in un angolo, lasciando Norma padrona del campo.
- Dunque dicevo … quell'uomo è un vero diavolo!
- Chi, il signor Nibbles? - chiese Eileen con vivo interesse. Per un istante parve essersi anche dimenticata di tutti i suoi guai.
- No, no - sorrise la signora Nibbles - Nigel è solo un vecchio pappagallo. Un pappagallo che amo alla follia - e qui abbass
ò la voce - ma che bisogna saper tenere a freno. Non hai idea di quanto possa essere un vecchio brontolone certi giorni!
- Chi è brontolone? - fece il signor Nibbles.
- Non te ne stavi nel tuo angolo, Nigel? E allora fammi il favore di rimanerci!
Ad Eileen scapp
ò da ridere.
- Ma santo cielo! - fece la signora Nibbles - non ti ho ancora fatto sedere.
Dopo un istante Eileen aveva davanti una fetta di torta e del thé. Solo quando si fu assicurata che avrebbe cominciato a mangiare, la signora Nibbles riprese.
- L'anno scorso quel pazzo del signor Thompson aveva una bella fidanzata. Una ragazza di buona famiglia, a quanto mi dicono. Una bella ragazza, pare proprio, sorella di un suo compagno di affari di Londra. Insomma, avevano già quasi fissato le nozze, quando lui ha deciso di scomparire. Cos
ì, su due piedi, ma si può? E' sempre stato un ragazzo ombroso, ma adesso … insomma, all'ultimo minuto ha deciso che doveva fare un viaggio. Andare in India, prima di sposarsi. Ed ha piantato in asso tutti quanti. Me, Nibbles, Foster, tutti quanti …
- Che c'entra adesso Foster? - fece eco il signor Nibbles dal fondo della stanza. Stava provando ad accendersi la pipa con un lungo fiammifero ricurvo - Foster è feccia, che c'entra con noi?
Norma si fece incandescente.
- Signor Nibbles! Ti impedisco di parlare cos
ì di Foster! E' una brava persona e …
- E' una canaglia, altro che brava persona. Devi sapere, bambina cara, che …
- Ti impedisco di parlare alla bambina dei tuoi stupidi deliri di vecchio!
Andarono avanti ancora un po'. Ad Eileen parve di capire, dalle battute acide che si scambiavano, che un tempo Foster era stato in concorrenza per la mano di Norma.
- Era innamorato di voi? - sorrise.
Norma divent
ò rossa come un peperone, e il signor Nibbles dal fondo fischiettò.
- Altroché, cara. Lo era come una pera cotta. E lo è ancora, il vecchio sporcaccione. Sono passati quarant'anni, ma la canaglia è ancora l
ì che fa la posta alla preda! Pensa che l'altro giorno …
Nel quarto d'ora successivo, tra le vivaci proteste di Norma (e anche qualche sorriso civettuolo), Eileen venne a sapere da Nibbles che in gioventù, in quella casa c'era stata una gran competizione per la mano dell'attuale signora Nibbles. Pare che le sue belle braccia tornite e le sue guance rosse di pesca avessero fatto trepidare, oltre ai cuori del signor Nibbles e di Foster, anche il nonno dell'attuale padrone, e che la moglie fosse stata sul punto di scacciarla di casa, per questo. L'ultimatum era che se ne andasse, o restasse dopo essersi sposata con qualcuno. Cos
ì tra i giovani Nibbles e Foster, il grasso e il magro, il basso e l'alto, il ricciuto e il biondo era sorta e deflagrata una contesa che durava tutt'ora. Non fu possibile ad Eileen stabilire come avvenne la scelta finale, perché insomma Norma sposò il signor Nibbles. Vennero prima interrotti da Elizabeth che tornando dal mercato aveva appena saputo le nuove notizie dal cocchiere. Entrò come una freccia dalla porta e si gettò ai piedi di Eileen. Pianse molto, singhiozzando inginocchiata e circondandole la vita con le mani.
- Non ve ne andate, non ve ne andate, signorina! Il mondo fuori è cos
ì brutto e pauroso … restate con noi, restate sempre e non andate via, ve ne prego!
Eileen, commossa profondamente dalle parole di Elizabeth volle tirarla su a sedere accanto a lei. Solo quando l'ebbe tranquillizzata che per quel giorno non sarebbe andata da nessuna parte, Elizabeth smise di piangere.
- Allora resterete con noi? - chiese con un sorriso incerto.
Eileen scosse la testa.
- Non lo so, il signor Thompson sarà molto arrabbiato …
Prima che avesse il tempo di finire, anche Noah comparve sulla porta, reggendo in mano la cassetta dei suoi amici.
- Ho saputo che non te ne vai! - sorrise raggiante - Creamy sarà molto felice di saperlo! Non gli andava affatto a genio che tu … ehi, ma che ho detto?
Eileen stava di nuovo piangendo. Non sapeva sera la felicità di trovarsi tra quegli sconosciuti che le stavano tutti intorno come amici o per l'angoscia del futuro e la tristezza di essere stata abbandonata da suo padre. Sapeva solo che stava piangendo, e come a volte succede in questi casi, il dolore che le sgorgava con le lacrime sembrava liberarle qualcosa che sentiva incastrato in fondo al petto.




@Tutti: Grazie ancora tantissime dei commenti che mi lasciate! Purtroppo stavolta vado un po' di fretta, e nonostante mi sia ripromessa di postare con regolarità per mantere il ritmo narrativo, non so se - causa esami - riuscirò a farlo di nuovo prima del week end o dell'inizio della prossima settimana. Nel frattempo vi lascio questo capitolo, sperando che vi piaccia e che inserisca qualche nuovo spunto nella strana  trama che si sta tessendo ...  Nel frattempo leggerò con assoluta attenzione, come sempre, tutti i commenti/critiche/suggerimenti che vorrete lasciarmi: per farmi perdonare del tempo che non sono riuscita a dedicarvi questa settimana, la prossima volta prometto che risponderò dettagliatamente a tutti, uno per uno; e  nel frattempo  penserò intensamente a nuovi colpi di scena! Un bacione, come sempre, V.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo Ottavo - Visite ***


- Capitolo Ottavo -
Visite


E fu più o meno in questo modo che Eileen entrò nella vita del palazzo.
Visto che non aveva dove andare, fu deciso che sarebbe rimasta. Il Signor Thompson dette il suo assenso, ma fece dire - era ancora molto arrabbiato e non volle parlarle di persona - che sarebbe stato meglio se Eileen si fosse trovata una stanza diversa da quella che occupava adesso.
- Aspetto a breve visite, e quella stanza è la migliore della casa - disse a Foster, e Foster rifer
ì in cucina, tra le occhiate di disprezzo di Nibbles e i sospiri della signora Nibbles.
- Non preoccuparti, bambina, ti troveremo un'altra stanza! Vero che glie la troveremo, signor Foster? Le troveremo la più bella del palazzo! - cos
ì dicendo Norma strizzò l'occhio al maggiordomo, senza farsene accorgere da Nibbles.
Foster divent
ò rosso, dalla punta delle scarpe alla cima della sua lunga e aristocratica fronte. Non disse niente, ma da quel che bofonchiò, Eileen capì che c'era qualcosa sotto. Per il momento preferì non indagare.
Nel pomeriggio le fecero fare il giro ufficiale della casa. Il Signor Thompson era andato in città, cos
ì avevano tutti campo libero. Dalla cucina partì una comitiva composta dalla signora Nibbles che faceva strada insieme a Foster, Eileen a braccetto con Elizabeth, Noah che saltellava sulla ghiaia cercando di non sballottare troppo Creamy e gli altri insetti dentro la loro scatola, e il signor Nibbles, nero come una nuvola e estremamente corrucciato perché sua moglie era davanti col rivale.
- Questo è il giardino nord, bambina mia - spiegava intanto la signora Nibbles - intorno all'edificio principale ce ne sono almeno altri due, uno grosso quasi quasi quanto questo in cui il nonno dell'attuale padrone, il signor Eleazar, piant
ò il roseto più bello del paese. Mi ricordo che una volta …
- Il signor Eleazar avrebbe fatto meglio a curare di più le sue rose e tenere più a posto le mani - bofonchi
ò Nibbles dall'ultima posizione. Foster lo guardò con disgusto.
- Il signor Eleazar, dicevo - riprese Norma come se ad interromperla fosse stato nient'altro che il ronzio di una zanzara - il signor Eleazar era un gentiluomo vecchio stampo. Curava personalmente le sue rose. Quando era piccolo, anche il signor Thompson aiutava suo nonno in giardino. Non ti immagini quanto era grazioso, con quella testolina piena di ricci e quelle guance, che sembrava un angelo! Suo nonno stravedeva per lui, e gli ha lasciato praticamente tutto.
- Non ha fratelli, il Signor Thompson? - chiese Eileen.
Norma, Foster e il signor Nibbles, scossero precipitosamente la testa, all'unisono.
- Aveva un fratello minore - spieg
ò Norma - ma è morto di scarlattina a quattro anni. Sua madre non si è più ripresa, e dopo qualche mese morì anche lei. Il padre del signor Thompson, invece, morì quando il piccolo aveva sedici mesi. Era imbarcato come ammiraglio in una nave, e dei pirati malesi … poverino.
Eileen tacque, disorientata dalla quantità di disgrazie che erano capitate al signor Thompson. Anche lei non aveva mai praticamente conosciuto sua madre.  Era sempre vissuta con suo padre, e sapeva cosa significava guardare gli altri accarezzati da una madre e non sapere che cosa si prova.
Quei pensieri la riportarono alla sua triste situazione. Norma dovette accorgersene perché la prese sotto il braccio e volle a tutti i costi farle vedere l'uccelliera dove Thompson teneva anche un pavone. Quando ebbero attraversato il giardino entrarono nell'ala principale del palazzo, e là fu Foster a mostrare ad Eileen le principali sale del palazzo: la sala da thé e quella da biliardo, quella da fumo e quella, grandissima, che serviva per le feste occasionali.
- Una volta - chios
ò Norma sorridendo - c'erano feste quasi tutti i mesi. Il signor Eleazar e sua moglie erano i signori più brillanti del vicinato. Quando al signore o alla signora veniva voglia di vedere un po' di gente e stare allegri, il signore suonava il campanello.
- 'Gioved
ì prossimo abbiamo ospiti, Norma' - mi annunciava, sorridendo con quel sorriso magnifico che aveva e che gli faceva brillare tutti i denti. Io allora scendevo in cucina e avvertito di corsa tutte le altre: era una festa, una festa preparare le sale, i banchetti, le luci e far venire i musicisti da Londra. Per una settimana la casa risuonava delle nostre risate, e del profumo di dolci e delle stoffe e degli argenti che la signora ci faceva tirare fuori dagli armadi per metterli tutti in bella mostra. Ti assicuro, bambina, che non c'era cosa più bella al mondo che preparare quelle feste.
- C'erano molti invitati?
- Una marea! E pensa che la sera, quando tutto era stato messo a punto a dovere, il signor Eleazar ci permetteva addirittura di scendere per un po' e mescolarci una mezz'ora agli invitati. Era quando cominciavano ad arrivare, subito prima di servire la cena. Non mi dimenticher
ò mai la prima volta che un duca, scambiandomi per una nobildonna, mi chiese di ballare con lui la prima polca della sera …
- Anche il signor Eleazar ti ha chiesto di ballare, una volta. Il giorno prima che sua moglie decidesse che era molto meglio se facevi le valigie o ci sposavi … cioè, volevo dire, mi sposavi!
Foster alz
ò un sopracciglio e Norma fece finta di niente.
-Il signor Nibbles, non è molto poetico - sussurr
ò ad Eileen - Non dargli retta bambina mia, ormai questa casa si è riempita di vecchi brontoloni - così dicendo guardò tutti e due, e tutti e due arrossirono - ma una volta c'era pieno di gente, di gioventù, di vita. Certo, da quando la sorella del…
- Norma! Attenta a quelle rose che hai davanti!
La signora Nibbles fece un salto indietro, spaventata. Nibbles la stava fulminando con lo sguardo, ma si riprese subito.
- Oh, cielo, Nibbles, per poco non finivo dentro questo cespuglio di rose! Comunque, bambina mia - concluse in fretta riaggiustandosi il grembiule -  un tempo qui ci si divertiva di più, non come adesso che siamo tutti vecchi e il Signor Thompson non si cura di niente. E' sempre in giro per il mondo, e quando torna si chiude a giornate nel suo studio, e il resto basta.
Continuarono a chiacchierare anche mentre salivano al piano di sopra. Là fu Elizabeth a mostrare ad Eileen le principali stanze, lo studio, la galleria dei ritratti, la biblioteca …
- Questa la conosce anche troppo bene - scherz
ò Nibbles, e tutti risero. Eileen si guardò intorno un tantino spaesata e alla fine rise anche lei.
La visita fu molto piacevole. Alla fine del giro Norma prese per un braccio Foster e lo tir
ò davanti a una porta alla fine del corridoio.
- Che ne dite, signor Foster, se dessimo alla ragazza questa stanza, per dormire? E' disabitata da anni, ma penso proprio che potrebbe piacerle …
Il signor Foster fece una faccia strana, a metà tra la voglia di compiacere Norma e la paura di qualche grosso guaio. Si guard
ò intorno un paio di volte.
- Norma, lo sai che … - sussurr
ò.
La signora Nibbles gli assest
ò una gomitata.
- Come dite, signor Foster?
- Ehm … vi facevo presente, signora Nibbles, che forse non è una grande trovata assegnare alla ragazza questa stanza. E' fredda e spoglia, e poi, d'inverno ci sono molto spifferi e rumori … perché non metterla in una più comoda? Ci sono alcuni appartamenti, nell'ala ovest, che penso proprio potrebbero essere più …
- Oh, avanti, Foster. Sempre con le vostre lagnanze. Alla ragazza piace questa stanza, e avrà questa stanza, sul mio onore! Vero, cara?
Eileen, che non l'aveva ancora vista, sorrise.
- Non posso sapere se mi piace … non sono ancora entrata.
- Oh, santo cielo! Fatele strada, Foster, avanti, fatele vedere! Certo che ormai siete proprio rimbambito!
Travolto da quel fiume di parole, Foster frug
ò con le mani in una tasca del suo lunghissimo spolverino scuro e ne trasse un mazzetto di chiavi tenute insieme con un nastro di raso.
- Siete sicura, Norma, che …
- Avanti, signor Foster, se sento un'altra storia giuro che lascio senza torta anche voi! 

Qualche ora dopo Eileen era insediata comodamente dentro la sua stanza. Entrando aveva subito notato una certa aria desolata, come fosse appiccicata alle pareti. C'erano due vecchi ritratti di dame, qualche pizzo stinto alle spalliere delle poltrone e una coperta che una volta doveva essere stata molto bella. La camera in sé e per sé spirava una specie di aria funebre, anche se Eileen non avrebbe saputo dire come. Però era silenziosa, confortevole e raccolta, di una bellezza tutta misteriosa. Si avvicinò alla finestra, e provò a guardare nella sera dai vetri opachi. Capì all'istante perché la signora Nibbles aveva voluto darle quella stanza, e non una delle altre infinite che costellavano il piano centrale. Quella, per la particolare disposizione dell'ala in cui era situata, dava sopra il giardino di rose del signor Eleazar, il nonno dell'attuale Signor Thompson. Nel buio che cominciava a scendere i contorni del giardino sfumavano, ma in compenso sembrava che gli odori acquistassero una pienezza insolita, quasi carnale. Trapassavano i vetri come dita. Sorrise tra sé, era strano che le venissero certi pensieri. Accostare le rose alla carne? Non fece in tempo a chiedersi il perché che sentì bussare alla porta. Era Elizabeth.
- Vi ho portato un po' di biancheria pulita - sorrise - ci sono degli asciugamani, e le lenzuola di bucato per il letto.
- Sei gentile. Vuoi che ti aiuti a riporle?
- No, no, no. Per carità signorina, non scherzate. Una signora come voi … lavorare!
Eileen rise di gusto.
- Guarda che con mio padre, in viaggio, mi è capitato di dover lavare più volte …
Ma si interruppe. L'accenno a suo padre le aveva riportato alla mente pensieri tristi. Era tutto il giorno che provava a tenerli lontano, ma prima o dopo avrebbero per forza dovuto riaffacciarsi.
- Mi dispiace - mormorò Elizabeth.
- Anche a me - sorrise Eileen, cercando di trattenere la lacrime.
La piccola cameriera aveva ancora le mani ingombre di biancheria. Era evidente che non sapeva che fare.
- Facciamo il letto? - propose Eileen. E fu contenta di avere qualcosa di cui occuparsi. Quando scostarono il piumone videro che in effetti non solo le lenzuola, ma anche il materasso erano andati. Completamente ingialliti e percorsi da una sottile trama di buchetti.
- Le tarme - sospirò Elizabeth.
- Eh, già.
Tutto il quarto d'ora successivo fu impegnato a porvi rimedio. Prima di tutto tirarono via il materasso, fecero un fagotto delle lenzuola e le misero in un angolo.
- Queste vanno bruciate - spiegò Elizabeth - se le laviamo con le altre finiranno per infestare tutto quanto.
Poi scossero bene il materasso, e ci misero sopra un lenzuolo.
- Solo per questa notte, stasera diciamo al signor Nibbles se domattina ve ne scova un altro. Non potete certo stare con questo tutta la vita!
Eileen sorrise, davvero rinfrancata. Era difficile trovare qualcuno che avesse a cuore così il suo benessere da volerla con sé tutta la vita.
- Perché non ci diamo del tu, Elizabeth? - Chiese mettendole una mano sul braccio. La cameriera arrossì da morire.
- Perché voi siete una signora e io … e io non sono niente, signorina.
Eileen scosse la testa, sprimacciando il cuscino che teneva tra le braccia.
- Adesso siamo pari, Elizabeth. Non ho più un soldo e il fatto che sia costretta a stare qui soltanto perché non so dove altro andare non migliora certo la situazione. Non credo di potermi più concedere il lusso di un appellativo del genere.
Elizabeth aprì e chiuse la bocca. Eileen andò alla finestra.
- Non voglio restare in questa casa senza avere niente da fare. E' mia intenzione chiedere al signor Thompson il permesso di rendermi utile, sempre che mi permetta di incontrarlo di nuovo. Dopo quello che ho fatto stamattina …
- Oh, non preoccupatevi, signorina. Il Signor Thompson è molto burbero, ma …
- L'ho chiuso a chiave in biblioteca. Nella sua biblioteca. Non credo che me lo perdonerà.
Restarono un poco in silenzio. Elizabeth che cincischiava a spianare pieghe invisibili al muovo copriletto, Eileen a fissare fuori il buio che ormai incombeva su ogni cosa.
- Non ho più niente - mormorò, quasi a se stessa. E in quel momento, come fosse spuntato da una nube di rancore e di incertezza, vide suo padre avvolto in un mantello, alla posta di una locanda, forse, in quella sera così fredda, silenziosa e gelida. Chissà se era anche solo un po' pentito per come l'aveva lasciata, in quella casa, alla mercé di un uomo da cui era subito riuscita a farsi odiare. Non c'è che dire, disse a sé stessa, il modo in cui aveva trattato il Signor Thompson era quanto di più vergognoso una ragazza potesse fare a un uomo. Ma anche lui, a dirle quelle cose ... 
- Andiamo a cena? - chiese un po' incerta Elizabeth - la signora Nibbles ha preparato delle ottime tartine, e penso proprio …
Ma non fece in tempo a finire. Alla porta si sentì bussare discretamente. Foster attese che Eileen comparisse sulla soglia della porta.
- Il signor Thompson chiede quando intendete recarvi a cena. Ha fretta, e non vorrebbe fare troppo tardi.
Eileen fisso sbigottita il maggiordomo.
- Il Signor Thompson cosa?
- Vi aspetta a cena nel salone di ieri sera - ripeté Foster come stesse spiegando ad un bambino che la terra è rotonda. Con assoluta e ferma nonchalance.
- Ma, io, non so se …
La verità era che Eileen era avvampata. Dentro di sé si sentiva morire. Dopo quello che aveva fatto la mattina si aspettava che il signor Thompson non volesse vederla mai più, o per lo meno per molto molto tempo. Del resto quel pomeriggio le aveva chiesto di cambiare camera, perché aspettava ospiti, ed Eileen aveva già messo in conto di sparire, mimetizzarsi con la tappezzeria della casa per dare meno fastidio possibile nei prossimi giorni. E adesso il signor Thompson la chiamava?
Scosse la testa, un po' disorientata.
- Che cosa devo dire al signore? - chiese Foster senza fare una piega. Eileen non riuscì neanche a pensarci. Le parole le uscirono di bocca prima che riuscisse a trattenerle.
- Dì al Signor Thompson che se mi vuole a cena può venire a cercarmi da solo.
Dopo di che chiuse la porta in faccia a Foster. Non sapeva che cosa le prendeva. E neanche voleva saperlo.
Si voltò
verso Elizabeth che era rimasta impietrita a guardarla.
- Non è ora di andare in cucina? - chiese - probabilmente sono già tutti a tavola.

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo Nono - Oscurità ***


- Capitolo Nono -
Oscurità 


- Vorrei rendermi utile in casa, signora Nibbles.
Ci manc
ò poco che la signora Nibbles si strozzasse col cucchiaio di zuppa che aveva appena messo in bocca. Era una zuppa molto buona, fatta di cavolo verde e legumi, con pezzettini di pancetta e carote.
- Tu fare cosa, bambina mia?! Non è possibile. I servi lavorano bambina, e i padroni fanno le loro cose: leggere, divertirsi, andare a spasso, da che mondo è mondo. Lavorare! Che idea assurda ti è venuta, angelo mio?
Gli altri, intorno alla tavola assentirono vigorosamente. Mancava solo Foster che prima serviva la cena al padrone.
- Ma io non sono più padrona di niente, signora Nibbles - protest
ò Eileen. Tutti scossero la testa, dispiaciuti.
- Non c'entra niente, cara - spieg
ò Norma - una volta che uno nasce signore, signore rimane per sempre. Non può lavorare, capisci … sarebbe un disonore, una follia!
- Prendi ad esempio me - si intromise Nibbles - io non sar
ò nato signore, però
- Bada al tuo piatto, Nigel. Bartleby sta cercando di arrivarci.
Bartleby era un grosso cane barbone che apparteneva un po' al signor Nibbles e un po' a Noah. Lo avevano trovato un giorno davanti alla porta del cancello, tutto ammaccato e pieno di rogna, e da allora se ne erano occupati curandolo a turno un po' per uno. Avevano dovuto pregare molto, ma alla fine la signora Nibbles aveva acconsentito a farlo stare un in casa almeno quando fuori pioveva. Soprattutto adesso che la rogna se ne era andata. In quei frangenti Bartleby spesso tentava di pescare qualcosa da mettere sotto i denti, ma aveva una speciale predilezione anche per i pantaloni di Foster. Sembrava quasi che la facesse apposta. O che qualcuno ce lo avesse addestrato.
- Insomma, bambina mia, niente lavoro, non se ne discute neanche! - riprese Norma, un po' addolcita -  Non è possibile capisci? E poi cosa direbbe il signor Thompson, ci hai pensato?
- Il signor Thompson non dirà proprio nulla - annunci
ò Foster entrando e salutando con un sorriso smagliante la zuppiera al centro della tavola - Zuppa di cavolo? - odorò, con le sue belle narici aristocratiche - Oh, signora Nibbles, era esattamente quel che ci voleva, con questo tempo!
E cos
ì dicendo piegò le lunghe gambe sotto il tavolo, stirò il tovagliolo con garbo e si rimboccò le maniche.
- Lecchino - bofonchi
ò Nibbles con gli occhi al piatto - lecchino e anche bugiardo! A Foster la zuppa non piace.
Ma Norma lo ignor
ò, le interessava molto di più quello che il maggiordomo aveva appena annunciato.
- E perché non dovrebbe dire niente? Ci sono forse novità che non conosco?
Il signor Foster, tirando su il cucchiaio con un gesto elegante della mano, annu
ì.
- Domattina andrà via molto presto. Dice che deve recarsi a Londra per affari e non sa bene quando tornerà. Starà via per una decina di giorni.
- E quell'ospite che aspetta in settimana?
- E' un suo amico di Londra, un tenente o un maggiore, se non sbaglio. Se arrivasse prima del suo ritorno, il padrone ha detto di ospitarlo e di assegnargli la stanza accanto alla sua.
- Non quella sul davanti della casa? - si meravigli
ò Norma - Ma se ha fatto spostare la bambina per metterci quel suo buzzurro d'ospite! Cose dell'altro mondo.
Eileen - ormai per Norma ufficialmente 'la bambina' - fece un sorriso e spieg
ò che lei si trovava anche meglio nella sua nuova sistemazione.
- Ci credo bene, signorina, quella era la stanza più bella del palazzo, non per niente era la camera di …
- Signor Nibbles, attento al vostro piatto!
Il signor Nibbles si volt
ò verso Bartleby, che lo guardava con occhi innocenti dal pavimento.
- Il cane non ha proprio fatto niente! Non ci stava neanche provando! - protest
ò. Ma la conversazione era ormai deviata altrove.
- Io non ci trovo niente di male se Linny ci aiuta col lavoro! - esclam
ò Noah contento - Potrebbe venire con me in giardino, e aiutarmi con la terra per le aiuole …
- Neanche per sogno! - si scald
ò Norma - una signora non traffica con la terra delle aiuole!
Andarono avanti a discutere ancora per un po'. La signora Nibbles fieramente contraria a qualsiasi tipo di occupazione per Eileen che non fosse il ricamo o il pianoforte, Nibbles e Noah che confabulavano sulla grande utilità di due braccia di rinforzo in giardino, Foster che sorbiva la zuppa apparentemente estraneo al baccano, ed Elizabeth che non sapeva che dire. Alla fine la misero ai voti.
- Favorevoli a che non lavori?
Solo Norma alz
ò la mano convinta. Poi girò gli occhi fulminando Nibbles che allungava cibo  a Bartleby guardando da tutt'altra parte, ed Elizabeth che era molto occupata a fissare una macchia sul tavolo.
- Oh, meno male, almeno voi, signor Foster! - Foster infatti aveva alzato la mano, dopo un primo momento di esitazione.
- Giuda - sibil
ò Nibbles tra i denti.
- Contrari?
Noah alz
ò di scatto la mano, seguito da Nibbles e da Elizabeth, che lo fece con una certa titubanza, e si scusò con un sorriso:
- Bisogna sempre compiacere i padroni …
Eileen scatt
ò in piedi felice e le strinse la mano, sorridendo. Poi la strinse anche a Noah e a Nibbles. Quest'ultimo le fece una strizzata d'occhio.
- Allora è deciso! Domattina la ragazza comincia a lavorare con noi in giardino!
- Ma se piove! - protest
ò Norma - La ragazza potrà darvi una mano, ma solo in cosucce riposanti: può spolverare qualche mensola, aggiustare i vasi nei fiori, aiutarmi con la glassa dei biscotti …
- Spostare le casse! Se piove sposteremo le casse che ha portato il padrone dall'India - esclam
ò Nibbles - vero Foster? Sono giorni che ingombrano l'ingresso. Se abbiamo ospiti bisognerà farle sparire …
Foster annu
ì, convinto.
- In effetti il padrone mi ha detto che andrebbero aperte e sistemate …
- Allora è deciso! - esclam
ò Nibbles - Bambina, domattina io te e Noah avremo parecchio da fare, e chissà che non ci scappi una scoperta! Sono proprio curioso di sapere cosa ha portato il padrone dal suo viaggio!
Eileen sorrise felice, e Noah cominci
ò a saltellare. Norma fulminò Foster con lo sguardo, e troppo tardi il maggiordomo si accorse che forse avrebbe fatto meglio a stare zitto. Spostare casse e disimballare oggetti non era proprio lavoro per signorine.

 

Tornata in camera dopo cena mentre fuori infuriava il nubifragio, Eileen ebbe un bel da fare per rassicurare Elizabeth che non aveva più bisogno di nulla. Con la candela che tremolava incerta, la piccola cameriera esitava.
- Siete sicura che non volete che vi faccia compagnia, almeno per questa notte? Potrei dormire qui sulla poltrona, o sul tappeto, o … dove volete. E' la vostra prima notte, forse sarete spaventata, e pensavo … - un lampo squarciò il cielo con uno schianto, ed Elizabeth balzò indietro terrorizzata. Eileen le sorrise.
- Stai tranquilla, saprò cavarmela benissimo con questo … concerto per trombe del Giudizio!
Anche Elizabeth abbozzò un sorriso, ma i suoi occhi correvano inquieti dalla tappezzeria che sfumava nell'ombra alle enormi finestre. Dietro i vetri la tempesta sembrava spingere come una marea di melassa.
- Allora, se siete a posto, signorina, io ... - ma continuava a restare sulla porta, senza riuscire a decidersi a tornare nella perfetta oscurità del corridoio. Eileen capì, e la prese a braccetto.
- Ripensandoci, penso che mi andrebbe di fare una piccola passeggiata. La zuppa di cavolo era buona, ma anche parecchio sostanziosa … ti riaccompagno di sotto, alla tua stanza. Fare le scale serve per digerire!
Elizabeth le sorrise, grata. Stavolta non cercò neppure di schermirsi e accettò volentieri il conforto del braccio della sua signora, come l'avrebbe definita lei.
Scesero le scale chiacchierando, al lume di un'unica candela. Un paio di volte i tuoni le fece sobbalzare, ma Eileen chiacchierava amabilmente, e non ci fecero caso. Una volta giunte alla porta della stanza di Elizabeth, la cameriera fece per ridarle la candela.
- Ne hai un'altra, in camera? - chiese Eileen.
- Oh, veramente … veramente penso di no.
- Allora tienila.
- Oh, signorina, grazie! Ma … ma voi?
- Non preoccuparti, Lizzy, in camera ci sono altre candele nell'armadio. Le ho viste oggi mentre mettevo a posto i miei vestiti. E per salire … ho passato la mia vita in viaggio, non sai quante passeggiate al buio ho fatto su e giù per il mondo!
Così dicendo le strinse la mano e la lasciò per ritornare indietro.
Elizabeth non fece in tempo a dire altro che era già scomparsa, così
chiuse la porta, sospirando. Non le piaceva che la signorina girasse da sola di notte per le stanze lunghe oscure di quel maniero antico. C'erano cose stranamente incomprensibili che si annidavano negli angoli oscuri. C'erano storie che le aveva sentito smozzicare da Nibbles a mezza bocca, quando credeva che nessuno lo sentisse a parte il cane, c'erano nuovi e più oscuri misteri di cui ancora non capiva il senso.
C'erano cose, lassù, che si muovevano. Le aveva sentite, certe volte. Ma non aveva il coraggio di parlarne. In quella casa lo sapevano tutti, ma nessuno ne parlava mai.

 

@Columbine: Come mia commentatrice più fedele, devo dirti che ogni volta aspetto con ansia il tuo parere: le tue ultime recensioni mi sono state molto utili per aggiustare un po' il tiro dal punto di vista stilistico  e capire che cosa può piacere cosa no. Mi sei di grandissimo aiuto, quindi continua quando vuoi e … spero di riuscire a lasciarti sempre un po' con il fiato sospeso! Per quanto riguarda la coppia Eileen/Thompsn … beh, si accettano scommesse! J Alla prossima, un bacio V.

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo Decimo - Lavori ***


- Capitolo Decimo -

Lavori

- Hai visto che bel tessuto, signorina?
Nibbles tirava fuori la roba dagli imballaggi, e ad ogni cosa interessante commentava. Eileen tir
ò la testa su dal pacco in cui stava rovistando lei: una grossa cassa di legno che ingombrava metà dell'ingresso.
- E' molto bella signor Nibbles, per
ò
- Attenta, bambina mia, attenta!
Eileen per poco non cadette all'indietro.
- Che hai? - Nibbles le arriv
ò accanto preoccupato.
- Niente, davvero signor Nibbles, niente - sorrise Eileen mettendosi a sedere sul coperchio di una cassa dove le aveva fatto un po' spazio Nibbles. In quel momento l'ingresso, dove erano stati depositati i bagagli non ancora disfatti del Signor Thompson tornato dall'India, sembrava fosse stato appena travolto da un uragano. Dalle casse aperte fuoriusciva ogni genere di mercanzia, suppellettili, astucci, cappelliere, opere d'arte, tessuti e vasellame. Nibbles glie li faceva notare ad uno ad uno, orgoglioso del buon gusto del padrone in fatto d'arte.
Adesso per
ò era preoccupato.
- Forse abbiamo esagerato col lavoro? - chiese sedendosi accanto a lei. Eileen scosse la testa, e tent
ò di rialzarsi.
- Sto benissimo, davvero signor Nibbles. Solo che stanotte …
- Stanotte?
- Stanotte non ho dormito molto bene. C'è stato il temporale e tutto quel … trambusto deve avermi scosso un po'. Nient'altro.
Nibbles le lanci
ò uno sguardo da sotto le sopracciglia cespugliose.
- Trambusto. Ti riferisci a fulmini e tuoni.
Eileen lo guard
ò per un istante.
- A fulmini, tuoni e … signor Nibbles, permettete una domanda?
Nibbles sorrise, e l'ombra di un istante prima parve essersi eclissata del tutto.
- Tutto quello che vuoi, mia cara.
Eileen trasse un respiro profondo.
- Signor Nibbles … il Signor Thompson suona il violino? 

Non era una domanda fatta a caso. La sera prima, attraversando al buio il corridoio per tornare nella sua stanza, Eileen aveva sentito a un tratto di nuovo il suono del violino. La musica era quasi sommersa dagli scrosci della tempesta contro le vetrate, ma era comunque percettibile. Eileen, camminando avanti e con la mano appoggiata alla parete - andava bene il senso dell'orientamento, ma quella casa le era quasi sconosciuta - si era fermata un istante in ascolto. Era la stessa musica della sera prima, lo stesso lamento armonioso e flebile, che ora lottava contro la tempesta. Sembrava una voce di donna che non volesse farsi sopraffare, una voce che tenace continuava a penetrare a singhiozzi dalle mura, a sovrastare l'impeto del temporale, a pervadere ogni più piccolo angolo del corridoio, fermandosi, ricominciando e poi fermandosi di nuovo.
Eileen ascoltava rapita quello strano e tempestoso concerto di fuoco e anima, di acqua, dolcezza e lamento, e quasi senza volerlo tendeva le orecchie per capire da dove provenisse la musica. La sera prima, sempre a quel piano, l'aveva sentita dal balcone che si affacciava sul giardino dal salotto. Adesso sembrava che fosse al piano di sopra, ancora e ancora, ma si muovesse, andasse avanti e indietro seguendo le onde del temporale, gli scrosci della pioggia i movimenti della tempesta che le respirava insieme.
Eileen mosse un passo, e poi un altro. La musica le accendeva nel petto qualcosa di misterioso e informe, qualcosa di inumanamente lugubre, lamentevole, come una disperata richiesta d'aiuto. Non si accorse di aver superato la porta della sua stanza. Si trov
ò in fondo al corridoio, ai piedi di un'ampia scalinata che sembrava coperta di velluto come tutto il resto. La notte incombeva dovunque, e lei non era mai salita al piano di sopra. Ma la musica sembrava chiamarla, la implorava di avvicinarsi, le chiedeva un passo dopo l'altro, e un altro ancora di andarle incontro di …
Uno schianto al piano di sopra fece sobbalzare Eileen nella completa oscurità. Poi un tramestio di passi concitati, una sedia che si spostava, una specie di grido soffocato, o almeno le parve. La musica tacque in quell'istante. Nel cielo era esploso un lampo schiantando di luce cieca le vetrate, una porta si apr
ì al piano di sopra, sentì un giro di chiave e poi dei passi che scendevano in fretta le scale. Fece in tempo ad addossarsi al muro che un'ombra alta scivolò accanto a lei. Era Thompson. Scendeva in fretta e furia le scale. Alla luce incerta delle nubi che si accalcavano fuori dai vetri riconobbe il suo profilo inquieto, l'andatura, la fretta e la collera. Vide che aveva i capelli scarmigliati, e che era avvolto in una lunga vestaglia da camera, scura come la notte. Eileen pregò che un altro lampo non la smascherasse in quel momento. Non accadde. Thompson passò come un turbine inquieto senza accorgersi di lei.
Scivol
ò lungo il corridoio ed fu inghiottito dall'oleosa oscurità del corridoio. Eileen ricominciò a respirare.
Per un istante le parve che Thompson si fosse fermato davanti alla porta di camera sua. Ma fu un istante e poi sent
ì l'ultima porta del corridoio sbattere. Era quella della stanza di Thompson. Via libera pensò, e piena di strani interrogativi si affrettò a riguadagnare la sua.

 Il signor Nibbles la guardò, perplesso. Poi scosse la testa.
- Non lo so proprio se suona il violino. Ma sei sicura di aver sentito bene? A volte, la tempesta, sai, fa brutti scherzi. Pensa che una volta io e un mio amico tornavamo da Sligo … sai dov'è Sligo?  
- In Irlanda?
- Esattamente, proprio in Irlanda! Vedo che siete una ragazza colta … sono Irlandese, di origine, io, e …
- Mi piace leggere - si schermì Eileen. In effetti quello per la lettura era più di un semplice piacere. Era una passione vera e propria - soprattutto romanzi, ma amo molto anche le storie e la geografia. Ma, a proposito di quel violino, signor Nibbles …
Non fece in tempo a finire la frase. Dalla porta d'ingresso entrò come un turbine Foster, trascinandosi dietro Noah per un orecchio.
- Cos'è successo? - scattò in piedi Nibbles.
- Niente che ti riguardi. Ho beccato il signorino mentre cercava di infestare la dispensa con le sue bestiacce!
Così dicendo storse più forte l'orecchio a Noah, che lasciò sfuggire un gridolino.
- Ahi! Non è vero! Stavo soltanto facendo prendere aria a Creamy! Era stato tutta la mattina chiuso e …
- Lo sai bene - fece Foster - che la signora Nibbles lo ha proibito. Niente bestiacce, scarafaggi o simili dentro la sua cucina!
Eileen si avvicinò per cercare di mettere pace in quella situazione.
- Signor Foster … se permettete, io …
Ma Nibbles era già davanti al maggiordomo.
- Molla il ragazzo, Foster. Non lo vedi che gli stai facendo male.
Non solo Foster non mollò la presa, ma torse un po' di più l'orecchio al ragazzino. Noah diventò color melanzana e cominciò a piagnucolare piano.
- Ti ho detto di mollarlo, Foster.
- E io ti dico che non sono affari tuoi, Nigel.
- Nibbles. Per te io sono il signor Nibbles, chiaro?
Foster lo guardò dall'altro in basso.
- Come desiderate, signor scimmione-Nibbles. Ma adesso togliti di mezzo che devo portare questo sciocco ragazzino …
Ma a Nibbles, che era basso ma largo almeno quattro volte tanto Foster, non andò giù l'appellativo di scimmione.
- Ripeti se hai il coraggio, carogna. Ma non qui, davanti ai ragazzini. Vieni a dirmelo fuori, da uomo a uomo … oppure sei così vigliacco da riuscire solo a prendertela solo con un bambini? Eh, vecchio arnese arrugginito? Rispondi!
A quel punto Foster mollò l'orecchio di Noah. Probabilmente se il mondo fosse stato pieno di Noah e di insetti, in quel momento, Foster neanche se ne sarebbe accorto. Era troppo occupato a digrignare i denti in faccia a Nibbles.
Eileen approfittò della situazione, e mentre i due erano occupati a fronteggiarsi fece un cenno a Noah, che in disparte si massaggiava l'orecchio.
- Andiamo, vieni via - sussurrò. E Noah fu felice di seguirla.
Sgattaiolarono via mentre nell'ingresso, tra casse di tessuti e ammennicoli, cominciavano a volare parole grosse. Anche Foster sembrava aver perso il suo solito aplomb. 
- Dove andiamo? - chiese divertito Noah. Era chiaro che gli ultimi cinque minuti per lui erano stati uno spasso. A parte il dolore all'orecchio, chiaro. Eileen gli fece cenno di stare in silenzio, e poi di soppiatto lo condusse su per le scale, fino in camera sua. Quando si fu chiusa la porta alle spalle, tirò un sospiro di sollievo.
- Avanti, dimmi cosa hai combinato.
- Ma niente! - protestò Noah - Stavo facendo solo esercitare Creamy …
- Esercitare?
- Ho bisogno di un posto in cui farlo. Sto preparando un numero con le processionarie, due scarafaggi e Creamy. E' una bomba. Ma non posso esercitarmi in cortile, c'è il gatto!
- E allora sei andato in cucina.
- Ma la signora Nibbles era al mercato! Ti giuro, l'ho fatto piano piano, senza dare fastidio a nessuno. Che se sapevo che quella corvo di Foster mi capitava addosso come un falco!
Eileen sospirò.
- Non puoi fare esercitare i tuoi scarafaggi in cucina. E' una cosa poco pulita, mi capisci?
Noah fece una faccia tristissima.
- Non capisci, sono carini, e poi …
- E poi?
- … sono anche bravi!
Eileen rise di gusto, ma Noah non la trovava una cosa affatto comica.
- Guarda che è vero! Aspetta che ora ti faccio vedere.
Così dicendo prese la scatola e la posò sul pavimento. Poi trasse di tasca un astuccio di quelli che si portano a tracolla per mettere le lettere. Era piccola ma conteneva tutto il necessario: ne estrasse un bastoncino colorato, due bandierine, e un filo sottilissimo di quella che sembrava seta, due ditali e un grosso rocchetto di cotone.
- Dalla scatola dei fili del cucito della signora Nibbles - spiegò - non li ho rubati. Me li ha solo regalati Elizabeth. A lei non servivano più.
Eileen si ricordò della grande passione di Elizabeth per il cucito. Pensò che rovistando tra i suoi bagagli avrebbe di sicuro trovato qualcosa per farla felice. Nei suoi viaggi aveva accumulato tanti di quei nastri, trine e fiocchi di cui non sapeva bene cosa farsi …
- Ora stai attenta!
Noah aveva aperto la scatola e disposto in fila i suoi amici. Eileen vide che sul tappeto c'erano sei processionarie, pelose e dall'aria tutt'altro che amichevole, due scarafaggi che si davano da fare a cozzare uno contro l'altro e Creamy, lo scarabeo cornuto che se ne stava tutto solo in disparte, molto impegnato a esaminare il tappeto. Noah, come il domatore di un circo, impose il silenzio e sistemò le processionarie ai loro posti, allineate su due file rette. L'idea era di farle procedere allineate, in modo da creare l'effetto di una specie di piccola pariglia.
- Sto costruendo un cocchio con le noci. Quando sarà pronto vorrei attaccarglielo, come se fossero dei piccoli cavalli.
- E gli scarafaggi? - chiese Eileen.
- Oh, quelli pensavo di metterli uno davanti e uno di dietro, come cocchieri, capisci.
- Interessante. E hai già pensato a cosa far fare a Creamy?
Noah guardò il suo preferito con gli occhi inteneriti e amorevoli con cui di solito si guardano i gattini.
- Certo che sì! - sorrise - E questa è la parte migliore, ma … te lo dirò a suo tempo. Adesso stai a guardare le prove.
Così mentre Creamy gironzolava in un angolo cercando sempre un po' di allontanarsi (Noah aveva un bel daffare a ripescarlo e spigargli di stare vicino) e gli scarafaggi continuavano a cozzare uno sull'altro a piacimento, le processionarie si esibirono nel loro percorso allineate. Beh, veramente, dopo qualche secondo cominciarono a rompere le file e andare ognuna dove gli pareva, ma Noah ogni volta le prendeva con infinito amore, riportandole sulla linea giusta del percorso.
- Si devono allenare ancora un po' - sorrise, un po' incerto.
Eileen annuì.
- Sono sicura che possono migliorare a vista d'occhio.
Noah rialzò uno scarafaggio che era caduto sulla pancia ed agitava in aria le zampette, poi sospirò.
- Se avessi un posto per farle allenare, un posto sicuro, voglio dire … altrimenti non miglioreranno mai.
Eileen considerò la cosa.
- Forse, se avessero una specie di pista … - meditò.
- Una pista?
- Una cosa da seguire, voglio dire. Con delle pareti, una scatola. Qualcosa in cui possano andare solo in una direzione, e in avanti. Probabilmente questo servirebbe a far loro capire dove andare.
Noah la guardò come se avesse appena assistito a un miracolo.
- Una pista, hai ragione! Se avessimo una pista potremmo costruirci dentro dei percorsi con i rocchetti e del filo, e una stalla per farli partire, e un traguardo …
Eileen si mise a ridere.
- Piano! Prima dobbiamo trovare qualcosa. Ci vorrebbe, ci vorrebbe una specie di scatola! Aspetta, mi pareva di aver visto da qualche …
Ma non finì la frase. Dei passi in corridoio. Un istante dopo qualcuno bussava alla porta.
- Nasconditi! - sibilò Eileen, - e prima che il ragazzo potesse fare un passo, l'aveva già spinto nell'armadio. Gli insetti però erano rimasti a vagolare sul tappeto, in allegra e inconsapevole innocenza. Bussarono di nuovo. Eileen fu presa dal panico. Lei odiava le processionarie, le odiava con tutte le sue forze. Non si passa tutta l'infanzia con bambinaie che ai giardini si mettono a gridare se le vedono, senza riuscire irrimediabilmente avversi a quelle povere creature pelose. Ma non c'era un istante da perdere. Vincendo il disgusto Eileen si chinò, e le raccolse in fretta e furia una per una. Poi le mise dentro la scatola e incoperchiandola la spinse sotto il letto. Si diresse alla porta.
- Potete aprirmi, signorina, sono Nibbles!
- Oh, Nibbles, siete voi! Pensavo …
- Pensavate che fossi Foster? - rise il vecchietto - Mi fareste un grosso torto, perché…
Ma Eileen non aveva pensato a Foster. Per un istante, breve quanto irrazionale, aveva pensato al Signor Thompson. Allo stesso che la sera prima si era fermato davanti alla sua porta. Come ora Nibbles.
- Cercavate qualcosa, signor Nibbles?
- Cercavo qualche scarabeo, madame, e magari anche qualche pestifero addestratore di animali da circo.
Eileen fu presa alla sprovvista.
- Io, signor Nibbles, non …
Il vecchio fece una specie di riverenza.
- Li riconosco a naso quelli che si farebbero incastrare per proteggere qualcuno più debole di loro. Non mi serviva niente, signorina. Volevo solo accertarmi di avere visto giusto di voi.
Così dicendo indicò con un lungo dito paffuto un angolo della scatola che sbucava fuori dal copriletto, poi fece un bell'inchino e scomparve.
Eileen chiuse la porta alle sue spalle. Ma non era ancora girata del tutto che Noah era schizzato dall'armadio reggendo tra le mani una specie di grosso scatolone cilindrico.
- Guarda che ho trovato, guarda che ho trovato! - gioì tutto fiero mostrandole quella che a tutti gli effetti aveva l'aria duna vecchia cappelliera- adesso sì che potrò costruire la mia pista!
Eileen dette un'occhiata all'oggetto. Non era suo ma giudicò che fosse qualche antico rimasuglio abbandonato. Visto che dentro non c'era proprio niente, pensò
che non c'era alcun male se Noah lo utilizzava per il suo Circo.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo Undicesimo ***


- Capitolo Undicesimo -

Novità

Passò qualche giorno senza che nulla venisse a turbare la quiete di Eileen. O meglio, in un angolo della sua testa vegetava la considerazione che qualcosa di strano doveva succedere intorno a lei, nel palazzo. L'incontro con Thompson quella notte, la scontrosità di lui, gli strani suoni, il violino … tutta la faceva pensare che qualche mistero si annidasse su nella soffitta. O che comunque ci fosse qualcosa che gli altri non volevano dirle. Ma dopo tutto erano affari di Thompson, e dopo la bufera di suo padre non aveva alcuna voglia di agitarsi: erano i primi giorni di maggio, la casa era tutta sua, senza Thompson  e lei aveva solo voglia di chiudere gli occhi e stare al sole in giardino, così, senza pensare a niente.
Le sembrava che dopo tutte le lacrime segrete, dopo il tormento di dover stare rinchiusa come ospite in casa d'estranei, dopo le preoccupazioni e le sfuriate fosse subentrata in lei una gran voglia di pace. E andava per i lunghi vialetti del cortile, passeggiava, leggeva in panchina riscaldata dal sole del mattino. Ogni tanto aiutava il signor Nibbles a fare qualche piccolo lavoro, o sollevava la testa e vedeva Noah in fondo al giardino che incitava i suoi piccoli artisti. In cielo c'era il sole che splendeva e incominciava a lambire le camelie con i suoi raggi. Le mattinate si facevano più belle, lucide e fresche come acqua corrente: era un piacere stare fuori e sorridere ai passeri che giocavano sulla ghiaia.
Ogni mattina la signora Nibbles, prima di mettersi al lavoro, le serviva in cucina una grande tazza di latte e fette di pane abbrustolito. Eileen le rosicchiava cos
ì, accanto alla finestra i cui vetri mezzi sommersi d'edera cominciavano a risplendere del primo sole di maggio. Poi andava a vedere anche lei se c'era qualcosa che poteva fare. Di solito aiutava il signor Nibbles a dei piccoli lavori in giardino, e dava una mano a Noah catturando piccoli insetti per Creamy, che era ghiotto e anche piuttosto vorace. Così partiva di mattina, o al tramonto, e batteva le aiuole munita di un piccolo sacchetto di garza e di un retino per intrappolare gli insetti. Quando trovava qualche coccinella, o una zanzara un po' lenta o una cimice le metteva con attenzione nel sacchetto, e poi lo richiudeva con un filo.
Una mattina passeggiava nel giardino immersa proprio in questa attività  (Creamy aveva bisogno di un supplemento per essere in forma per il Circo), mentre Nibbles, poco distante, potava una siepe di bosso. C'era un silenzio cos
ì perfetto intorno a loro, così che quando percepirono il rumore di una frenata di ruote sulla ghiaia davanti alla casa, alzarono di scatto la testa, e si guardarono l'un l'altro stupiti. Non aspettavano nessuno per quel giorno. Di sicuro non il padrone. Era strano che fosse tornato da Londra così all'improvviso, senza avvertire. Ma non poteva essere altri che lui.
Nibbles corse a vedere se aveva bisogno di qualcosa. Eileen ripose il libro che teneva distrattamente aperto tra le mani e si avvi
ò a passi lenti per il viale.
Non avrebbe mai dato a nessun uomo la soddisfazione di vederla correre, almeno non per il momento, e di certo non al Signor Thompson. E tuttavia le guance le si erano lievemente arrossate, e il respiro le usciva un po' affannato dal petto. Voleva andare a vedere anche lei. Non poté impedirsi di seguire Nibbles un po' a distanza, cos
ì, quando arrivò in vista del cortile, la vista di una carrozza diversa da quella che si era aspettata fu una sorpresa. Non era infatti quella di Thompson, quella ferma davanti all'ingresso di casa. Era un piccolo calesse elegante, di quelli che prendono a nolo nelle stazioni. Dal predellino di ferro che il lacchè si era affrettato ad abbassare stava scendendo qualcuno che di certo non era il Signor Thompson.
Una gamba fasciata di velluto azzurro pos
ò il piede sulla ghiaia. Eileen si fece più vicina, incuriosita e quel che vide la stupì parecchio: un uomo di bellissimo aspetto, giovane, biondo e dai denti incredibilmente bianchi stava parlando con Nibbles davanti allo sportello aperto.
Aveva indosso un vestito elegante di panno fine, una camicia di tela d'Olanda e un cravattino di seta azzurri cielo. Ai piedi scarpe lucide e costose, tra le mani un bellissimo bastone da passeggio. Eileen sent
ì che diceva il suo nome al signor Nibbles, e a Foster che nel frattempo era comparso sulla soglia come un'ombra.
- Tenente Prescott - sorrise tendendo la mano al maggiordomo dopo che al signor Nibbles - Forse il padrone ha fatto in tempo ad avvertirvi che sarei stato suo ospite.
Foster rispose con un lieve inchino. La mano di Prescott, a mezz'aria, non ricevette alcuna risposta. Il maggiordomo non avrebbe mai stretto la mano ad un signore. Erano cose da Americani.
- Il padrone ci aveva avvertito - si limit
ò ad osservare compito - Ma credevamo che arrivaste con lui, da Londra, verso la fine della settimana.
- Malauguratamente per me, e per i miei nervi - esclam
ò Prescott ridendo - abbiamo avuto molto ritardo a Chester: detto tra noi, le ferrovie di questi tempi sono un vero disastro! Viaggiavo sul diretto da Portsmouth. Un guasto alla caldaia, credo. C'era il rischio di dover aspettare che i macchinisti ci capissero qualcosa. Non sono mai cose troppo veloci. Così ho pensato di noleggiare un calesse e di farmi portare fin qui. Sono solo quindici miglia, e di sicuro ci ho guadagnato in salute!
Foster chiese se il padrone era stato avvertito del cambiamento di programma. Il tenente sorrise e assicur
ò che avrebbe provveduto a scrivergli nel pomeriggio.
Dopo un istante che parve molto lungo, il maggiordomo fece un cenno al cocchiere di scaricare i bagagli. Anche Nibbles si dette da fare, insieme a Prescott che dava una mano aiutandoli con quelli più pesanti.
Eileen si avvicin
ò senza sapere neanche lei cosa stava facendo: dunque era lui l'ospite tanto atteso, quello a cui serviva la sua camera. Nonostante fosse amico di Thompson, aveva un'aria simpatica. Ora si stava rimboccando le maniche e aiutava Nibbles con i bagagli.
- E voi dovete essere la famosa cugina del nostro Nicholas!
Eileen fu colta di sorpresa, e si guard
ò alle spalle, per capire con chi stava parlando l'ospite. Prescott posò la valigia che stava scaricando e le andò in contro con fare amichevole.
- Molto piacere di conoscervi - sorrise illuminandosi in volto - Tenente Prescott, forse il migliore amico del vostro sbadatissimo cugino.
Eileen aggrott
ò le sopracciglia. Cosa voleva dire quel cugino?
- Nicholas mi ha avvertito che sua parente era venuta a raggiungerlo al maniero per qualche tempo, ma si è dimenticato di aggiungere che è una creatura di rara bellezza!
Nicholas, desunse Eileen, doveva essere il nome di battesimo del Signor Thompson. Curioso che non ci avesse mai pensato, ma anche lui doveva avere un nome proprio. Qualcosa con cui gli amici potessero chiamarlo. Per lei comunque era Thompson punto e basta.
Intanto Prescott continuava a chiacchierare tutto allegro.
- Sempre cos
ì il nostro Nicholas, non trovate? Un ragazzo estremamente sbadato … io glie lo dico sempre, di correggersi, ma lui sembra che abbia sempre un diavolo per capello. Non ha mai tempo di fermarsi a riflettere per correggere tutti i suoi difettacci. Io non ci spero più, per lo meno.
Eileen arross
ì, imbarazzata.
- Io non so cosa vi ha detto, ma …
- Mi ha detto che siete sua cugina. E questo basta, penso, no? Una ragazza di rara modestia e … che 'non ci avrebbe dato nessun fastidio'. S
ì, penso proprio si sia espresso così. Che cosa avrà voluto dire, il vecchio gufo? - sorrise - Ma ci credete? Nicholas è sempre così sciocco! Che significa 'non dare fastidio'? Non ho mai visto una ragazza più graziosa, e anche molto indaffarata a giudicare dalle apparenze.
Cos
ì dicendo il tenente indicò il suo sacchetto in cui si dibatteva qualcosa e il retino per acchiappare gli insetti. Eileen arrossì fino alle orecchie.
- Oh … perdonate! - si affrett
ò a scusarsi lui - Noi militari di carriera … ehm … non siamo troppo bravi col bon ton. Io certe volte faccio delle figure … pensate che quando vi ho vista ho pensato ad una dea, o a una ninfa. E adesso che vi vedo così, in abito da Diana Cacciatrice … beh, penso proprio che dovete esser sbucata dal bosco o qualcosa del genere. Scusate se ho disturbato i vostri lavori da piccola dea di campagna.
A Eileen scapp
ò da ridere. Ma le burle del tenente avevano anche qualcosa di vagamente pizzicante. Si divertiva ma non le pareva bene. E poi c'era quella strana storia della cugina, che non risultava molto chiara. Forse Thompson l'aveva fatto per decenza, oppure aveva deciso di divertirsi un po' alle sue spalle? Probabilmente qualche stupida vendetta per il suo comportamento recente. Il tenente dovette accorgersi che si era rabbuiata all'improvviso.
-  Ecco, ora vi ho messo in imbarazzo … che stupido! Voglio dire, una cos
ì bella e gentile ragazza, e io le faccio dei discorsi così sciocchi!
Eileen sorrise di nuovo. Era arrossita ma era anche felice di poter chiacchierare qualche istante con una persona di spirito. In effetti certe volte si annoiava nel giardino e coi suo libri e tutto il resto. Solo ora se ne rendeva conto. Le era mancato un po' di brio cittadino. Sorrise.
- Non preoccupatevi, signor Prescott, davvero. Siamo in campagna e io per prima non sono brava con le formalità.
- Allora accettate le mie scuse?
- Per cosa, signor Prescott?
- Per la gaffe. E perché ancora non vi ho chiesto il vostro nome, e questa è una cosa imperdonabile. Permettete? Mi piace fare le cose per bene. Ricominciamo da capo.
Cos
ì dicendo le prese la mano, e abbozzò un inchino molto solenne.
- Mi chiamo Prescott, signorina, e sono un tenente assai sbadato. Un istante fa la mia mente era ancora tutta occupata dal viaggio, dalle valige e da … beh da quel guasto alla locomotiva che non mi ha fatto chiudere occhio. Ma adesso che vi ho vista vorrei, beh, rimediare alla gaffe di poco prima, e chiedervi la cortesia ufficiale di favorirmi il vostro nome, mademoiselle.
Eileen rise. Era la prima volta che qualcuno le faceva una cos
ì galante e buffa presentazione. Decise di stare al gioco quel tanto che bastava a divertirsi.
- Mi chiamo Eileen - rispose inchinandosi anche lei - e … sono molto onorata di conoscervi.
Prescott allarg
ò il petto e le braccia come se adesso potesse respirare molto meglio.
- Oh, Meno male che ci siamo presentati! Non trovate che le presentazioni siano la cosa più frivola del mondo? Due stanno uno davanti all'altro, e beh … insomma, se ne dicono di cose. Ma non sarebbe meglio come noi, che ci siamo detti il nome e adesso siamo, beh, siamo amici, spero bene. Non è vero?
- E' un piacere anche per me, tenente, fare la vostra conoscenza.
Prescott sorrise e come un prestigiatore si cav
ò di tasca un mazzolino di violette.
- Ecco, adesso finalmente posso darvelo senza paura di apparire scortese. Adesso che ci siamo presentati, voglio dire. L'avevo comprato stamani per questa fantomatica cugina,da una fioraia di Portsmouth, una simpatica ragazza robusta. Ma prima volevo accertarmi che Nicholas non mi avesse fatto un brutto tiro. Magari la cugina era bruttissima, oppure era una vecchia strega, chi lo sa. Con Nicholas c'è sempre da scoprirne qualcuna nuova! Invece vedo, con estremo piacere, che si tratta di una fanciulla incantevole. E anche molto beneducata, devo dire.
Risero insieme. Eileen accett
ò le violette, sbucate da dove e comprate chissà per chi.
- Vi sono molto obbligata, signor …
Ma non poté aggiungere altro. Arriv
ò Noah tutto eccitato a tirarla via dicendo che aveva trovato degli stecchi bellissimi per costruire una stalla ai suoi animali. Però doveva andare con lui a prenderli, perché erano davvero troppo in alto sopra una pianta, e lui non sapeva come arrivarci da solo, se lei non lo spingeva per salire.
- A più tardi, allora, signor Prescott - fece per congedarsi. Prescott le fece un bellissimo inchino e strizz
ò l'occhio al piccolo Noah.
- A più tardi, signorina Eileen. L'ho presa come una promessa, badate. 
Dopo di che si allontan
ò sulla ghiaia facendo scricchiolare le scarpe di cuoio indiano.
- Cosa voleva da te quell'arnese? - chiese Noah con un dito nel naso.
- Presentarsi, suppongo. - rise Eileen.
- Mi sembra strano.
- Penso che lo sia. Per
ò è simpatico, non trovi?
- Non lo so. Non i piacciono i tipi eleganti.
Eileen sorrise.
- E che ne sai tu dei tipi eleganti?
Noah non rispose, si limit
ò a osservare quello che si era tirato fuori dal naso. Forse con un po' di disappunto.

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo Dodicesimo ***


- Capitolo Dodicesimo -
 

Eileen ed Elizabeth stavano aggiustando alcuni vecchi merletti del salone. Prevedendo l'imminente ritorno di Thompson, Foster aveva chiesto alla signora Nibbles di provvedere alla sistemazione del salotto, e loro si erano subito date da fare. Dopo pranzo avevano cominciato a spolverare i due camini di marmo ognuno ad un lato della stanza, aperto le cristallerie per tirar fuori e riordinare i soprammobili, tirato giù i quadri per dare una pulita anche a quelli.
- Chi è questo signore? - chiese Eileen indicando un tizio dall'aria antipatica, con un'enorme parrucca azzurrina.
- Il trisavolo del signor Thompson, credo.
- E questo?
Era una specie di gigante in divisa, con una faccia barbuta e un occhio cieco. Portava un'uniforme affogata di medaglie fino all'inverosimile. L'effetto era lievemente ridicolo.
- Il suo bisnonno, mi pare. Un ufficiale, se ricordo bene.
- Un alto ufficiale, direi - giudic
ò Eileen a cui la faccia squadrata e gli occhi piccoli di quell'antico gentiluomo incutevano un po' di inquietudine - anche il padre di Thompson era ufficiale, mi pare di aver sentito dire.
Elizabeth parve non aver sentito, si tuff
ò con tutta la testa sotto un tavolo per spolverare gli intarsi delle gambe.
- Che bei ritratti, in questa stanza! - osserv
ò Eileen senza far caso all'imbarazzo - Ce ne sono anche altri nel resto della casa? Ho notato che nel nostro corridoio ci sono un paio di dipinti, ma sono nature morte, questi invece … di solito nelle famiglie nobili ogni componente ha un ritratto.
Elizabeth riemerse dal tavolo.
- Che io sappia non ce ne sono altri, tutti quelli che vedete sono qui - cos
ì dicendo indicò le quattro file di cornici appese alle pareti. Ognuna d'esse ospitava al suo interno il mezzobusto di qualche distinto antenato della famiglia Thompson. Qualche ufficiale, un giudice riconoscibile dalla parrucca e dal manto di ermellino, tre canonici con le loro Bibbie, persino un capitano di vascello: era l'ultimo in fondo a destra, con una bella giacca bianca indosso, l'aria solenne e un pennone di nave subito dietro le spalline ricamate.
- Quello era il nonno dell'attuale Signor Thompson. Si ritir
ò a vita privata dopo aver fatto alcuni grosso affari nelle Indie. O almeno così mi ha raccontato il signor Nibbles. Credo che commerciasse con il thé.
Nel ritratto il bisnonno aveva una faccia giovane e simpatica. I suoi denti brillavano ancora, a distanza di chissà quanti anni, dalla lucida cornice del ritratto.
- Doveva essere davvero un bell'uomo. Era quello che si invagh
ì della signora Nibbles?
- Oh, s
ì. Ma quando successe Norma aveva appena quindici anni, e lui più di quaranta, penso!
Risero insieme, e convennero che un uomo dopo i venticinque anni era un vecchio.
- Se è un vecchio, che Dio ce ne scampi! - esclam
ò Prescott entrando dalla porta che avevano lasciato spalancata. Nessuna delle due si era accorta che era già lì da qualche istante. Entrambe abbassarono gli occhi di scatto, e arrossirono per essersi fatte beccare in questo genere di discorsi sciocchi.
- Non preoccupatevi - rise di gusto - non dir
ò niente al vostro padrone. Lui rientra già nella categoria dei vecchi, almeno secondo i vostri conti. Io invece, ancora per un po' posso vivere senza preoccuparmi! Anche voi, signorina cugina, la pensate come la pensa la nostra graziosa domestica?
Eileen sorrise abbastanza in imbarazzo.
- Dipende dai punti di vista. Se un uomo è abbastanza sveglio pu
ò dimostrarsi interessante anche dopo aver passato la prima giovinezza. Se invece è uno sciocco o un insensato … beh, allora neanche i vent'anni riusciranno ad innalzarlo ai miei occhi.
Prescott lasci
ò andare un lungo fischio.
- Perbacco, signorina cugina, siete quello che si dice un vero giudice, e anche di quelli severi, oserei dire. Quindi, secondo voi, la giovinezza non aggiunge o toglie niente all'intelletto?
- Esattamente. Sono come due fratelli che possono andare a braccetto, o dividersi. E nessuno sa dire mai in che misura questi due dispettosi vadano insieme. Prescott rise, e anche Eileen si sorprese di essere stata cos
ì arguta davanti a un estraneo.
- A proposito di passeggiare insieme, madamoiselle. Devo fare un salto in città per imbucare una lettera per Thompson. Niente di troppo impegnativo, comunque, una cosuccia da cinque minuti. E mi hanno detto che qui intorno ci sono un sacco di negozi carini che vendono ogni genere di oggetti. Mi piacerebbe molto vederli. E' da un po' che manco da Londra, e credo d'essere diventato ormai una specie di incivile, almeno in fatto di ultima moda … mi stavo chiedendo se per caso non aveste voglia di accompagnarmi. Devono esserci alcune mercerie molto famose, qui nei dintorni. I nastri che vendono sono famosi fin nelle Indie, se non ricordo male. 
- Oh, s
ì - confermò Elizabeth di slancio. Quando si parlava di cucito la sua timidezza evaporava come d'incanto - oh, sì! Ci sono dei negozi bellissimi. Pensate che da Tipps hanno persino …
Eileen alz
ò le spalle.
- Vi ringrazio, ma non penso di aver bisogno di …
- Neanche di una bella passeggiata in compagnia di un amico? Da queste parti i veri gentiluomini sembrano scarseggiare … come spiegate altrimenti che Thompson vi abbia lasciata tutta sola ad annoiarvi, invece di portarvi con sé a Londra, In fin dei conti sono solo poche miglia, e voi siete la sua cara cugina!
- Ecco, io penso che il signor Thompson, Nicholas … io non so se ad uscire …
- In due minuti potete essere pronta! - batté le mani Elizabeth, e ora che ci penso potrei, naturalmente se non vi disturba, chiedervi di informarvi se sono arrivati certi modelli che avevo prenotato …
Prescott sorrise nella sua stessa direzione.
- Adesso non avete alcuna scusa.
Eileen fu sconfitta e non ebbe alcuna possibilità di replicare. Prescott annunci
ò che l'avrebbe aspettata dabbasso, passeggiando in cortile. Che ci mettesse pure tutto il tempo che riteneva, a prepararsi, lui non aveva alcuna fretta e, del resto, assolutamente niente da fare. Quando furono sole Elizabeth le sorrise raggiante come mai Eileen le aveva visto fare.
- Avete visto che signore gentile? E poi è cos
ì elegante … avete visto che polsini ricamati? E che taglio di giacca, mio Dio! Una cosa da far impallidire …
Per tutta la durata delle scale Eileen stent
ò a riconoscere la piccola Elizabeth nell'allegra cinciallegra che le chiacchierava al fianco. Era bastato un accenno al merciaio, alle botteghe, ai pizzi e ai modelli per trasformarla in un'altra ragazza.
- Cosa ti serve, di preciso? - si inform
ò, più che altro per tentare di arginare il torrente di parole che la piccola stava tirando fuori.
Elizabeth le spieg
ò che le serviva soltanto che si informasse alla merceria di Tipps se era arrivato il modello per una certa cuffia che Elizabeth aveva visto in un libro illustrato. Eileen le chiese a cosa le serviva una cuffia, e di quei tempi, poi.
- Non ti sembra un tantino antiquata, come idea? Al giorno d'oggi le ragazze portano cose un po' più moderne. Voglio dire, sicura che non sia meglio un cappellino, magari di quelli piccoli, con la veletta.
- Oh, no, no, no, per carità, mia … volevo dire, a me una cuffia va benissimo. Vorrei solo che chiedeste se per caso è arrivato il modello, tutto qui. Io non riesco a passarci in questi giorni, con tutto il lavoro che c'è da fare, e pensavo che se magari il signor Tipps ha già il modello in bottega, non vedendomi potrebbe venderlo a qualcun altro.
Eileen le assicur
ò che come prima tappa sarebbe andata da Tipps per quel modello.
- Grazie di cuore! - rispose davvero molto sollevata Elizabeth. Poi gir
ò gli occhi verso Elizabeth - ma voi, siete ancora vestita da casa! Su, su, svelta, non possiamo permettere che il Signor Prescott vi veda in questo stato, non adesso che vi porta a spasso, almeno! Cosa avete nell'armadio, di bello? L'altro giorno mi era parso di vedere un corpetto che farebbe al caso nostro … quello di raso rosa chiaro, dovrebbe essere qui, da queste parti, eccolo qui!
Eileen non riuscì più ad arginarla. Mentre Elizabeth, come un'allodola, le cinguettava intorno alla ricerca di un bustino decente, una gonna, un bello scialle e l'ombrellino coordinato, Eileen rifletté che certe volte le persone non sono come te le immagini. Chiunque ha un angolino nel cuore che può illuminare tutta una giornata, se viene sfiorato nel punto giusto. Elizabeth aveva i vestiti, il cucito, la moda e i suoi modelli di cartone colorato … e lei?
Dieci minuti dopo, mentre scendeva le scale sistemata e agghindata come solo le esperte e frenetiche mani di Elizabeth erano riuscite a combinarla in cos
ì poco tempo, stava cercando ancora una risposta a questa incomoda, bizzarra domanda.

@Tutte: Grazie infinite per le recensioni, sono tantissime e mi fanno veramente piacere!! Purtroppo - causa impegni di studio - penso che non potrò aggiornare con un altro capitolo prima della fine della settimana, ma vi prometto che quando tornerò … tornerò insieme al Signor Thompson, e forse ne vedremo delle belle ;)) Un abbraccio a tutte quante, V.

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Capitolo 13
*** Capitolo Tredicesimo ***


- Capitolo Tredicesimo -


- Magnifico pomeriggio davvero! - rise Prescott, carico fino all'inverosimile di pacchetti e pacchettini, alcuni a strisce colorate, altri avvolti in lucida carta azzurra. Aveva il viso soddisfatto e sorridente di chi ha passato il pomeriggio per negozi e ha fatto acquisti uno più folle dell'altro. Ad Eileen girava quasi la testa da quanto si era divertita: da quando erano usciti era stata una continua girandola di oggetti, divertimenti, negozi e pasticcerie di lusso. Intorno a loro la strada rombava di carrozze e venditori e gente che tornava a casa in fretta dal lavoro. Dalla vetrina stracolma di un orologiaio si erano appena resi conto di quanto fosse incredibilmente tardi.
- Speriamo di fare un tempo per cena! - esclamò il tenente tirandola per mano in mezzo alla strada gremita - Ma perché, poi? Se la cuoca non ci avesse aspettato, questa sarà una magnifica occasione per invitarvi in qualche posto carino!

- Era tanto che non mi divertivo così - gli gridò Eileen sopra il frastuono della strada. Rischiarono quasi di finire travolti da una carrozza che stava passando. Il vetturino fece loro sentire tutto il suo disappunto, ma loro erano già sul marciapiede.
- Se vi riferite a quando al merciaio con quella faccia di scimmione - lo imitò Prescott - sono d'accordo con voi. Quando gli è volata via la parrucca mentre si arrampicava sulla scala per arrivare a quella scatola di fibbie ... beh, è stato piuttosto divertente!
Di tizi buffi e di stranezze ne avevano viste parecchie nella girandola di quel pomeriggio. Il signor Prescott aveva rivelato un inatteso e sorprendente buon gusto in fatto di scelta di nastri, decorazioni da cappelli e ricami. L'aveva condotta a braccetto ad esplorare ogni singola vetrina, aveva preteso di entrare in ogni negozio scintillante che si affacciasse sulla strada principale, di ogni cosa si era fatto tirare fuori un esemplare, di ogni cosa aveva preteso che lei provasse come le stava indosso. Eileen era del tutto frastornata dalla quantità di cappellini, spille, sciarpe e scarpette che le erano stati sciorinati davanti: di seta, di raso, ricamate, con piccoli fiori d'oro sulla punta o bordate di nastri. Prescott aspettava in un angolo e giudicava con gusto impeccabile che cosa le si confaceva maggiormente. Le giovani commesse le lanciavano lunghi sguardi d'invidia per quel giovane così bello, distinto e attento ad ogni cosa potesse piacerle. Alla fine, in un negozio che era particolarmente famoso per la ricchezza e l'eleganza delle sue forniture, Prescott aveva preteso di sceglierle personalmente alcuni piccoli regali. Non erano servite a nulla le proteste, così anche lei adesso reggeva in mano quattro pacchetti legati insieme da lucidi nastri lilla.
- Non ero molto convinto del cappello. Forse vi stava meglio quello con la piuma. O almeno sono di gran moda quelli, quest'anno, a Londra. Ma voi avete scelto quello azzurro … e in effetti vi dona da morire!
Poi era stato il suo turno: il tenente aveva voluto farsi consigliare in tutto e per tutto sull'acquisto di un vestito costoso, di due paia di scarpe lucidissime, di tre cravatte di seta e di un nuovo bastone da passeggio in avorio.
- Quello che ho adesso si è bell'è consumato - disse mostrando ad Eileen una splendida canna d'ebano completamente nuova. E lei non riusciva ad esprimere quanto trovasse incredibilmente divertente quell'allegra passeggiata in centro: dopo i giorni di assoluto silenzio era la prima volta che si sentiva così bene. L'aria calda e il pomeriggio soleggiato erano stati una splendida cornice per quella passeggiata e adesso che cominciava a tramontare i viali profumavano dell'odore delle spezie che traboccavano dai negozi dei droghieri.
Eileen sorrise e guardò i suoi pacchetti: in uno c'era un cappellino azzurro di cui non pensava di aver visto mai niente di più bello. In un altro un piccolo paio di guanti di seta color crema, con lievi bordure azzurre dello stesso colore. Negli altri due erano racchiusi tra due soffici ali di carta rosa una borsetta traforata di perline e una paio di scarpini coordinati. Soprattutto questi, di un raso azzurro cupo quasi tendente al grigio, erano la cosa che più la mandava in estasi.
- Si intonano troppo ai vostri occhi - aveva sentenziato il signor Prescott aggiustandoglieli ai piedi - perché possa permettervi di commettere la sciocchezza di rifiutarli.
Ed Eileen aveva dovuto cedere.
Adesso erano arrivati a casa. Le vetrate del palazzo sembravano aver preso fuoco tutte insieme, e al riflesso dei raggi sembravano tanti specchi incandescenti e bellissimi.
Mentre Prescott saliva i gradini dell'entrata principale, Eileen si ricordò che aveva preso da Tipps quei cartamodelli per Elizabeth. E le era parsa molto impaziente di averli.
- Preferisco farci un salto adesso - disse a Prescott - prima di cena. A quest'ora dovrebbe essere in cucina.
Dopo la calca e le strade fangose della città, l'odore fresco e intenso delle piante in giardino le fece allargare i polmoni. Rifletté che suo malgrado la casa, per quanto fosse vecchia e cadente, acquistava ogni giorno più fascino ai suoi occhi. Sembrava come in quelle strane storie di fate ci si raccontano ai bambini per farli addormentare: in quella pace inquieta del crepuscolo i fiori, le piante, fin anche le corolle più piccole sembravano racchiudere un mistero fatto di lievi sussurri misteriosi.
Presa in questi pensieri arrivò proprio davanti alla casetta di edera. Stava per spingere il battente della piccola porta di legno quando sentì al cune voci venire dall'interno. Certe volte si fanno cose per una sorta di strano istinto che trascende ogni considerazione sensata. Ad Eileen successe qualcosa di simile: senza sapere perché fermò a mezz'aria la mano sul pomello e restò un istante in ascolto.
Erano le voci della signora e del signor Nibbles. Stavano litigando, ma a bassissima voce.
- No, signor Nibbles, non mi convincerai a tenere quell'individuo in casa finché non lo permette il signor Thompson. E del resto il padrone è stato chiaro: è già abbastanza rischioso per la piccola Eileen, vivere qui con quello che succede. Figuriamoci poi adesso con un ospite!
- Ma il signor Thompson lo ha invitato lui stesso! Che male c'è se dorme un paio di notti qui prima che arrivi il padrone?
- C'è il male che capita così, senza aver avvertito nessuno! Un conto è se gli ospiti ci sono quando c'è anche il padrone! In quel caso non ci sono pericoli … o meglio, non dovrebbero essercene. Ma così è del tutto diverso. Foster già si lamenta che senza Thompson è tutto in mano sua. Figuriamoci adesso, con quello sconosciuto tra i piedi, bisognerà raddoppiare la sorveglianza … lo sai che quell'assurda creatura sente ogni minimo cambiamento nell'aria.

- Andiamo, Norma. Tu e Foster per questa cosa vi agitate troppo. Perché allora il padrone ha permesso che la ragazza restasse con noi? Voglio dire, non è pericoloso per la piccola Eileen vivere qui, con tutto quello che è successo? Perché dovrebbero esserci più problemi se dorme qui anche un altro ospite? Se siamo a rischio, lo siamo comunque finché non ritorna il signor Thompson!
Ci fu silenzio. Poi Nibbles riprese con fare più conciliante.
- Avanti Norma, alla fine è soltanto una povera …
- Una povera che, signor Nibbles? E' una creatura selvaggia, una bestia, qualcosa di inumano! L'hai visto anche tu, signor Nibbles, cosa è capace di fare se solo … se solo … santo Cielo! Se solo manca il signor Thompson!
Ci fu di nuovo silenzio. Poi Norma riprese, più calma.
- Sai bene come la penso. Il padrone ha fatto un atto di carità, e va bene. Su questo non discuto. Ha fatto quello che era giusto fare. Ma ora ti chiedo, signor Nibbles, davvero pensi che sia prudente che … insomma, che estranei si aggirino nel palazzo mentre il padrone non c'è e siamo soli, io te e Foster, a pensare a … Elizabeth!
La voce di Norma fece un salto e virò dal preoccupato al gioviale. Evidentemente nella stanza era appena entrata anche Elizabeth.
- Scusate, vi ho interrotto?
- Ma certo che no, cara! Figuriamoci … stavo solo facendo una lavata di capo a questo zuccone che deve stare più attento con lo sherry. Ieri sera ne ha mandato giù un po' troppo, e ora ha un mal di testa tremendo … tutto così gli uomini. Mi raccomando, piccola Elizabeth, il giorno che ti viene voglia di sposarti con uno di questi arnesi passa prima da me, che te ne tolgo la voglia, dovesse essere l'ultima cosa che faccio!
Eileen sentì che ridevano. Lei invece era rimasta impietrita coi suoi pacchetti a strisce colorate in mano. Cosa significava quello che aveva sentito? Fece due passi indietro, e senza rendersi conto andò ad urtare contro qualcosa di morbido.
- Dovete entrare in cucina o state solo ammirando questa magnifica spalliera di edera? - fece la voce ironica di Thompson. Eileen si voltò di scatto.
- Io …
- Voi siete sempre dove non dovreste essere - fece Thompson senza scomporsi affatto -Ma credo proprio che dovrò rassegnar mici. Sembra una vostra caratteristica innata, quella di mettervi sempre in mezzo i piedi. E adesso, se volete scusarmi … sono appena tornato e dovrei proprio dare alcuni ordini alla cuoca. Abbiamo ospiti per cena, questa sera. Molto piacere di avervi rivista.
Così dicendo passò oltre.
- Abbiamo, Signor Thompson? -  forse era stata troppo brusca, ma proprio non riusciva ad essere diversa quando doveva rivolgergli la parola.
Il Signor Thompson si voltò e le sorrise in uno strano modo. Per un istante Eileen avrebbe giurato di aver visto comparire dello strazio, su quelle labbra.
- Difficoltà con le parole, mademoiselle? Abbiamo ospiti significa esattamente quel che significa. Ovvero che voi adesso filerete in camera vostra a cambiarvi e ricomparirete in sala da pranzo allo scoccare delle otto precise. Con il vostro migliore abito indosso, se non vi incomoda. Certi amici si fermeranno con noi per qualche giorno e voglio sperare che per tutto il tempo che si tratterranno vi mostrerete una cugina trattabile, è chiaro? Ora, se volte scusarmi, ho certe piccole urgenze da sbrigare. Arrivederci.
Così dicendo girò la maniglia e sparì in cucina. Imbambolata, come in una specie di sogno, Eileen sentì le voci di Norma e del Signor Nibbles scattare sorprese di un così inaspettato ritorno. Forse anche Elizabeth si stava congratulando con quel suo meraviglioso principale tornato appena in tempo per salvare chissà cosa da chissà qualce pericolo, ma era tutto così lontano e irreale che ad Eileen sembrò di avvertirlo come se avesse le orecchie piene di cotone.
Cosa significava quel ritorno, così improvviso, inaspettato, così …? E Norma, e il signor Nibbles, quei discorsi … e gli ospiti? Quali ospiti se c'era soltanto Prescott al palazzo fino a poco prima …
Confusa come non gli era mai capitato, Eileen si avviò verso il vialetto. Ora il crepuscolo aveva cominciato a colare sull'oro dei vetri l'oleosa melassa della notte. Tutto intorno i grilli frinivano ma sembravano più un tetro avvertimento che un suono estivo. Una folata di vento improvviso le sibilò tra i piedi come un serpente. Sentì
freddo e si rinchiuse nello scialle mentre affrettava il passo verso casa.   
Decisamente quei  misteri a Thompson House cominciavano a darle sui nervi.

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Capitolo 14
*** Capitolo Quattordicesimo ***


- Capitolo Quattordicesimo -

 
Eileen entr
ò nella sala da pranzo. Si aspettava di trovare qualsiasi cosa - a Thompson House non si poteva mai sapere, questo orma l'aveva capito - ma quello che vide la sorprese.
Una bellissima giovane, dai tratti decisi e alteri, era infatti seduta in poltrona, accanto ad uno degli enormi camini. I lunghissimi capelli dorati le scendevano ad onde sulla schiena, aveva mani bianchissime ed era ancora vestita da viaggio. Un soprabito di stoffa scozzese e un cappellino all'amazzone arroccato su un lato in alto della testa da dea. Così seduta e da quella distanza sarebbe potuta parere un ritratto o una splendida bambola di cera. Poteva avere più o meno sedici anni, ma era bella di una bellezza assoluta che la portava fuori dal canone di qualsiasi età: era come fosse stata la Bellezza, la perfetta bellezza di ogni tempo. Eileen si bloccò sulla soglia, affascinata, a guardarla.
Quando Thompson, vicino a lei, in piedi, le mormorò qualcosa in un orecchio, la splendida bambola rise, e ruppe l'incanto dimostrando di essere viva.
Eileen trasse un sospiro di sollievo, chissà perché.
Il primo a notare il suo arrivo fu il tenente Prescott.
- Linny cara! Venite a sedervi qui vicino: direi che ho proprio da presentarvi qualcuno. Gli eventi spesso ci sorprendono: soltanto una mezz'ora fa non avrei mai pensato che stasera avremmo cenato insieme a Thompson e alla mia cara sorella!
Quindi era la sorella di Prescott, pensò, valutandola, Eileen. Sì, a guardarla bene da vicino aveva la stessa bocca bella e sottile di Prescott, gli stessi occhi silenziosi azzurro ghiaccio.
Fece un'educata riverenza.
- Permettete, Aurora - disse Thompson - che vi presenti mia cugina, Eileen. E' da poco venuta a stabilirsi …
- Siete una Thompson anche voi, Eileen? - chiese la sconosciuta, con una voce dolce come il miele.
Eileen arrossì impercettibilmente.
- No, signorina Prescott, non lo sono. Col signor Thompson, ecco …
- Siamo parenti per parte di madre - intervenne prontamente Thompson - Sua madre era sorella della mia. Eileen si chiama Merriott, infatti. Merriott come il marito di mia zia.
La signorina Prescott increspò impercettibilmente le pallidissime sopracciglia bionde, che formavano un arco perfetto.
- Avete dei parenti Merriott, Nicholas? - domandò - Non lo sapevo. Molto curioso, visto che penso di conoscere a memoria la gran parte delle genealogie dì Inghilterra … delle famiglie molto altolocate, per lo meno.
Thompson sorrise.
- Ecco allora svelato il mistero. Né io ne mia cugina Eileen, per quanto ricchi, possiamo probabilmente definirci di famiglia cos
ì altolocata. Mio nonno si è arricchito col commercio, e il padre di Eileen, beh, ecco …
- Mio padre è morto in guerra, miss Prescott. E' stata una tragica perdita.
Thompson le scoccò una strana occhiata, sinceramente stupito da come fosse capace di mentire bene Eileen. Ma anche sollevato perché quello era il modo migliore di chiudere ogni ulteriore indagine.
- E adesso mettiamoci a tavola. Abbiamo fatto un lungo viaggio, vero Aurora? Sarete stanca, immagino. Aurora accettò il braccio di Thompson e si misero a tavola.
Furono servite pietanze che sembravano preparate dalle fate: una zuppa di funghi, crostini di pane bianco imburrato ed erba cipollina, un tortino di pasta sfoglia ripieno di piccoli pezzetti di carne, sformato di crescione e cipolle, un vassoio di pernici contornare di lucide patate arrostite, caraffe di ottimo vino e i soliti magnifici dolci.
- Certo hai proprio una cuoca d'eccezione - si complimentò al termine Prescott - è sempre quella grassa gallina che ha fatto impazzire tuo nonno?
A Thompson andò il vino di traverso.
- Andiamo,- fece Prescott - non c'è mica da imbarazzarsi! Devi sapere, Aurora cara, che il nostro amico mostra una vena insolitamente pudica quando si tratta degli affari di famiglia, ma … beh, io che lo conosco molto bene sarei pronto a giurare che il riserbo non è la sola cosa che ingombra il suo bel cuore casto e tenebroso. Tu che dici? Per esempio, certi piccoli fatti di cui ho potuto essere testimone penderebbero anzi nella direzione di una totale mancanza di senno nel nostro amico Nicholas …
Aurora, posando il tovagliolo che si era appena accostato alla bocca, chiese di cosa di trattava. Prescott si lanciò in un'articolatissima spiegazione di come lui e Thompson fossero stati colleghi di studi ad Oxford, e di come in quel frangente più volte avessero fatto insieme più di una cosa sciocca. Più di una volta ai loro tutori era toccato tirarli fuori dai guai a suon di lauti indennizzi e scapaccioni.
- Non è affatto vero - protestò Thompson piuttosto corrucciato, ma le ragazze pendevano tutte e due dalle labbra di Prescott. Neanche si accorsero che il padrone di casa aveva aperto bocca.
- E dovevate vederlo, quanto successo aveva con le ragazze! - spiegò il tenente - Non ho mai visto un tipo più ombroso che piacesse di più al gentil sesso. Pensate che una volta la terza figlia del dottore del College minacciò di lasciarsi morire se Nicholas non le accordava almeno cinque balli alla festa di fine stagione.
­- Lo avete fatto? - chiese Aurora posando una mano sul braccio di Thompson. Quello esitò.
- Un corno! - intervenne Prescott - Il tenebroso lupo solitario rispose che quello non era affare suo. Se la ragazza voleva morire per una dannata sciocchezza del genere, disse proprio così, 'dannata sciocchezza', lui proprio non poteva farci niente. Disse così, capite, e se ne andò. Piantò tutti in asso, me e il ballo!
Le due ragazze risero. Eileen sinceramente, e senza volerlo, ma la cosa era troppo divertente. Aurora tintinnò piano piano come se argento lo uscisse dalla gola. A guardare come sorrideva a Thompson, ad Eileen andò il boccone di traverso.  Thompson invece sembrava non apprezzare di essere così al centro dell'attenzione. Eileen si accorse che era diventato scuro, come di nuovo trascinato verso il fondo di una strana tristezza. La stessa impressione di strazio che aveva pensato di cogliere poco prima, quando erano davanti cucine. Provò a cambiare argomento.
- Io penso che in amore non si possa cedere a un tale ricatto e che del resto …
Ma il chiasso degli altri la sovrastava. Prescott rideva e parlava a voce alta. Aurora mormorava qualcosa e Thompson era sempre più infuriato.
- E dovevi vedere che furie - continuava a spiegare il tenente - se per caso lui faceva lo scostante! Non ho mai capito cosa avessi, caro Nicholas, per farle impazzire così! Ce n'era soprattutto una …
- Forse un po' del buon gusto che a te manca - mormorò Thompson. Eileen notò che col palmo della mano stava quasi stritolando la forchetta.
- … una rossa, mi pare. La figlia del Rettore del Merton, dico bene? Il Merton - spiegò alla sorella che si mostrava ben poco interessata a quelle ciance - il Merton è un College prestigioso. Noi due eravamo del Balliol, ma Nicholas frequentava delle lezioni là … beh, ha fatto colpo sulla giovane … aspetta, aspetta, come si chiamava la tua ex fidanzata? Turner! Linda Turner? Sì, lei, si chiamava proprio così!
Thompson adesso era terreo.
- La Turner di Carnaby Strett? - intervenne Aurora con i bei lineamenti contratti da una sincera espressione di sconcerto - Voglio dire, quella Linda Turner? Ma santo cielo, fratello mio, come puoi nominare in questa casa quella donna? L'abbiamo vista l'altra sera a teatro … non si è neanche data la pena di fingere un po' di rimorso dopo tutto quello che ha fatto passare al nostro Nicholas …
Prescott aveva smesso di ridere.
- Perché? - poi, in direzione di Thompson - Non mi dirai che pensi ancora a lei …
Quello si alzò di scatto dalla sedia.
- Vogliate scusarmi. Ho bisogno di ritirarmi un istante.
- Ma che ho detto? - chiese.
- Insensibile! - gli mormorò in risposta sua sorella. Adesso che Thompson era uscito sembrava un pochino più spigliata - Non lo sai quanto ancora ci soffre? Soltanto l'altra sera l'abbiamo vista … lei e quel suo marito orrendo! E pensare che con Thompson avevano già quasi fissato le nozze …
- Oh - fece Prescott, molto poco impressionato - non credevo che ci pensasse ancora. La notizia gli è arrivata in viaggio. Deve saperlo almeno da un mese! E del resto la vita va così. Lui è partito come un diavolo per l'India a due mesi dal matrimonio, lei si è stancata di aspettare pensando che la cosa andava per le lunghe e quando si è fatto avanti un pretendente che è dannatamente pieno di denaro ... beh, ha fatto la sua scelta, tutto qui. Credevo fosse acqua passata, sono cose dell'anno scorso, ormai!
E per rendere ragione dell'enorme lasso di tempo ormai trascorso, Prescott si allungò tutto beato sulla sedia.
- Non mi sembra che sia poi una tragedia - concluse soffocando uno sbadiglio.
Aurora Prescott emise un lungo sospiro.
- Ti dico solo che l'altro ieri sera, a teatro, l'abbiamo incontrata. Pensa, fino a un attimo prima eravamo così spensierati, e mi spiegava tutto calmo la trama della commedia. Lo sai che d'arte non ci capisco niente … poi però, per additarmi un attore che entrava, si è sporto dal palco e l'ha vista … al braccio di quel conte di Derby, che avrà almeno il doppio dei suoi anni. Se ci fosse stato qualche dubbio Thompson pensa ancora a lei, sarebbe bastato guardarlo. Non dev' essere stato affatto piacevole. 
- Penso proprio di no … - mormorò distrattamente Prescott. Poi, come risvegliandosi da un pensiero, si accorse che le loro spiegazioni avevano del tutto estromesso Eileen.
- Oh, signorina cuginetta, santo cielo! - sorrise il tenente alzandosi da tavola  anche lui - voi avete la strana qualità che hanno anche le fate: scomparire eppure esserci sempre … e badate che è del tutto un complimento!
Si sedette accanto a lei e da quel momento fu un cicaleccio continuo di divertenti, frivole assurdità. Aurora si era accorta che nella stanza accanto dovevano esserci un salotto ed un piano. Sparì oltre la porta in un lampo. Qualche istante dopo si udirono del note armoniose di un notturno.
- Mia sorella! - sorrise Prescott fintamente rapito - Non avete idea di quante cose sappia fare! E' stata educata in un collegio francese, e mia madre ha voluto per lei una tata svizzera per anni. Sa ballare, cantare, suonare, disegnare, dipingere e conversare non spregevolmente. Una donna da sposare, si direbbe … ma purtroppo non bella quanto voi!
Eileen rise, un po' nervosamente. Nessuno le aveva mai detto che era bella, figuriamoci qualcuno che fino alla mattina prima era un perfetto sconosciuto. E anche adesso, non è che fosse proprio un suo intimo, nonostante la splendida passeggiata e il giro per le vetrine di mezza città. Cercò nella sua mente qualcosa di vagamente intelligente da dire, ma i denti bianchissimi di Prescott brillavano troppo da vicino per darle il tempo di ragionare. Si ritrovò con le mani tra le sue prima che avesse il tempo di capirlo.
- Siete una splendida ragazza, Eileen Merriott cugina segreta di Nicholas, e spero bene che non vorrete rifiutarvi di approfondire la nostra conoscenza. Ho in mente grandi progetti per il nostro soggiorno a Thompson House, e spero bene che troverò in voi una preziosa amica ed alleata.
- Non so di che parlate, tenente. E non penso di potermi alleare per un'impresa di cui non conosco il merito.
Il tenente sorrise, e a accarezzò lievemente la sua mano.
- Oh, non importa, lo so io, mia cara. Mi basta solo che voi siate d'accordo. Firmatemi un permesso in carta bianca, e vedrete che non ve ne pentirete. Ci si annoia fin troppo, da queste parti. Ho intenzione di chiedere a Thompson di organizzarci qualche ben diversivo. Ma ho bisogno di tutto il vostro appoggio, cuginetta mia cara, perché lui è un brutto orso, come sapete.
Eileen non seppe mai se fosse il fuoco che spandeva troppo caldo per quel giorno così già carico di dolce brezza estiva, se fu il vino che aveva bevuto e le ronzava nelle orecchie cupo e ipnotico, o se era colpa del vestito di Prescott, che scintillava in penombra come un manto da principe arabo, fatto sta che si trovò a rispondergli molto prima che potesse anche solo capire cosa significavano le sue parole.
- Tutto quello che volete - mormorò.
Thompson rientrò esattamente in quell'istante, e colse al volo l'ultima frase.
- Perdonatemi - ghignò in modo strano - Penso di aver sbagliato momento.
E così detto sparì nell'altra stanza.
- Suonate un pezzo con me? - si sentì che gli chiedeva Aurora, con la sua limpida voce infantile.
- Suonate voi, mia cara - rispose la voce Thompson - ascoltarvi porta la pace dove infuria la più folle tempesta. Chissà che la vostra musica non possa tornare utile a qualcuno.


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E adesso un po' di risposte alle recensioni: Scusatemi se non riesco sempre a rispondere perché vado di fretta, ma le leggo sempre tutte con attenzione e mi fa un sacco piacere riceverle :))

@Senza Fiato: Beh, io penso proprio che una storia d'amore ci sarà ... e forse più di una. Il fatto che per il momento le cose non siano molto esplicite è perché penso che sia sempre meglio far intuire piuttosto che descrivere, almeno fino a un certo punto. E' chiaro che tra Thompson ed Eileen ci sono almeno certi presupposti che potrebbero sfociare in qualcos'altro, ma ... chi lo sa! Ho solo detto che potrebbero ... :) a volte i personaggi prendono strane strade che sanno solo loro!

@Lady_2008: Intanto grazie per i complimenti, sono felice che ti piaccia la mia storia :) Per quanto riguarda i coniugi Nibbles ... stavano parlando di qualcosa che loro e Foster conoscono benissimo, e di cui nessun altro nella casa - a parte Thompson stesso - sembra essere a parte. Questa cosa pare collegata con il mistero della soffitta, nel senso che ormai siamo abbastanza sicuri che manchi ancora un personaggio alla storia, forse il più misterioso, quello che per adesso si è fatto sentire soltanto tra le note di un violino, ma che non sarà meno importante degli altri (forse di più) nello scioglimento della trama. Perché ci sarà uno scioglimento della trama ... sono aperte le scommesse per capire di chi si tratta, ci sono in serbo grosse sorprese!

@Beatrix: Piaciuta la sorella di Prescott? :) Certo che il tenente non è - o almeno, non è solo - quello che sembra. A volte le persone molto brillanti nascondono doppi e tripli fondi. Bisognerà capire solo quanto può essere pericoloso lui in una situazione come quella che si sta componendo della casa. E direi che adesso, con Thompson, la sua timida sorella, Eileen e un grosso mistero in soffitta ci sono tutti i presupposti perché ne possiamo vedere delle belle!

@Prettyvitto: Grazie per i complimenti e per aver segnalato la mia storia alla redazione, :))) non me l'aspettavo per niente!!! p.s. Mi sa che da parte del tenente ci saranno parecchie cose verso Eileen ;)) ma non voglio fare rivelazioni in anticipo ... piano piano svelerò le carte!

@Miky: spero che il tuo esame sia andato super-bene, e ti ringrazio per tutti i complimenti che mi hai fatto e per l'assiduità con cui mi ha recensita ... essere riuscita a distrarti per due ore dalla terza prova è un onore! :)

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Capitolo 15
*** Capitolo Quindicesimo ***


- Capitolo Quindicesimo -

Quella notte Eileen dormì malissimo. C'era troppa carne al fuoco per dormire. 
Innanzitutto le strane rivelazioni sul fidanzamento rotto di Thompson, sulla ragazza che si stanca di aspettarlo e sul quell'improvviso viaggio in India, un anno prima. Poi quelle, ancora più misteriose, ascoltate di sfuggita dai Nibbles. Ormai era chiaro che c'era qualcun'altro in casa, a parte loro. Qualcuno che tenevano nascosto.
Eileen, rannicchiata sotto le coperte, non aveva coraggio di spengere la candela. Non dopo quello che aveva sentito. Poteva esserci chiunque al piano di sopra, e si sentiva maledettamente inquieta. Aveva tirato il paletto alla porta, aveva controllato le finestre e chiuso le tende contro la pioggia scrosciante, ma continuava a non avere sonno. Pensava a troppe cose per averne.
Poco dopo il ritorno di Thompson in salotto, fuori era scoppiato il temporale. Aurora si era spaventata molto, spiegando che i fulmini erano la cosa che più la terrorizzava al mondo. E Thompson, da bravo cavaliere premuroso, l'aveva accompagnata fin davanti alla porta della sua camera. Aurora si era molto riconfortata.
Adesso invece, rigirandosi nel letto alla luce degli squarci nel cielo e con l'acqua che batteva alle finestre senza avere nessuna voglia di smettere, Eileen pensava al braccio che il signor Thompson aveva offerto alla giovane. Alla testa bionda di Aurora, alle sue guance di pesca, alla sua voce. Lei, Eileen, non era cos
ì bella, non era così bionda, non era neppure così delicata e tenue … ma poi perché darsi tutta quella pena? In fin dei conti a lei non interessava che cosa faceva Aurora della sua bella voce e dei suoi occhi. Che continuasse pure anche tutta la vita ad occhieggiare al signor Thompson, a sorridergli, a fargli le moine … a lei di certo non interessava. Affatto. Proprio no. Per niente. Sbuffò pian piano, ma solo per fastidio.
Quello che invece le interessava molto era la storia del fidanzamento interrotto. Era per quello che Thompson era sempre cos
ì maledettamente ombroso e scostante? Pareva che ci fosse di mezzo quella Linda che lo aveva lasciato per sposare un uomo più ricco. 
Ma perché Thompson era partito per l'India proprio alla vigilia in un passo importante come il matrimonio? Non era forse un chiaro segnale a non volersi impegnare con lei? O forse ci era andato per commercio, forse i suoi affari non andavano bene, forse l'aveva fatto per paura. 
La stessa paura che a volte prende gli uomini davanti al matrimonio. Eileen non lo vedeva molto bene nella parte dello sposo premuroso che aspetta raggiante la promessa sulle scale addobbate di una chiesa, o mentre posa la sua mano guantata su quella di una giovine per tagliare la torta … chissà perché le venne ancora in mente il gesto che aveva fatto Aurora di posargli la mano sul braccio.
Si rigir
ò di malagrazia, e cacciò la testa sotto il cuscino.
Certo i lampi spaventavano anche lei … almeno dopo quello che aveva sentito della conversazione tra i Nibbles. Solo che lei non ci teneva ad apparire una bambola senza spina dorsale. Educata s
ì, ma non melensa. E se aveva paura, un po' di indagini l'avrebbero tenuta concentrata su quello che era davvero importante. Altro che Thompson e mani e carezze. C'era qualcuno in quella maledetta casa. E ormai era chiaro che era chiuso in soffitta. Ma di chi si trattava? E perché non lo si voleva mostrare?
Lasciando da parte le domande sul passato sentimentale del suo odioso Signor Thompson, ripens
ò a quello che aveva detto Norma: aveva chiamato 'creatura' qualcosa che - non ci potevano essere dubbi - abitava sopra le loro teste. Che si muoveva nell'ombra, che vagava.
Un lampo squarci
ò la tempesta ed Eileen fece un salto nel letto. Poi vide che non era niente, si dette della sciocca e accucciandosi meglio nella soffice coperta di pelo continuò con le sue ipotesi.
Dunque: per prima cosa non si tiene nascosto qualcuno di molto piacevole. Ma in che senso? Si è poco piacevoli per un sacco di motivi: per esempio si pu
ò essere brutti, oppure mostri, o troppo violenti. Si può essere pazzi assassini o dementi, si può essere fantasmi o vampiri.
Visto che non riusciva a dormire, allung
ò una mano verso il comodino e prese la candela ancora accesa. Rabbrividendo, e in camicia da notte, attraversò la stanza e si sedette al piccolo scrittoio che c'era davanti alla finestra. Prese un foglio di carta e una penna e incominciò a tracciare su due colonne una specie di schema.
Vampiri, scrisse, si nutrono di sangue umano. Infestano le case, certe volte. Sono immortali, creano altri vampiri, sono fortissimi e tremendamente astuti.
Si figur
ò il signor Nibbles che porta due volte al giorno da mangiare a un vampiro ('Ehi, salve, Vampiro, come va? No, niente sangue, oggi, mi dispiace. Norma ha fatto delle polpette favolose'), o Foster che cercava di spiegargli che non è molto educato tentare di succhiare il sangue agli ospiti di casa. Decisamente funzionava poco.
E poi nessuno si era ammalato, nessuno aveva provato i soliti sintomi che seguono al morso di un vampiro: pallore, debolezza, febbre acuta, stordimento, progressiva intolleranza alla luce e alle comuni attività dei mortali, disappetenza.
Come sapeva queste cose sui vampiri? Ormai bastava entrare in qualunque rivendita appena un po' seria di libri per essere letteralmente sommersi da tonnellate di pagine sull'argomento. Andavano un sacco di moda. Ma comunque non era il suo caso. Dubitava fortemente che in soffitta si nascondesse qualche essere mezzo pipistrello e mezzo demonio.
La seconda cosa che scrisse fu Fantasma. Ma anche questa le parve una sciocchezza. E va bene che di fantasmi erano piene le storie dei castelli nobiliari, le pagine delle antiche cronache e quelle più nuove dei libri. Ma per lo stesso motivo dei vampiri, non la vedeva la signora Nibbles a preparare tortini a un fantasma. E poi un fantasma non suona il violino. Perché ormai, di questo era certa, chi suonava il violino in soffitta non era il Signor Thompson. Se fosse servita una conferma, quella sera aveva lui stesso ammesso di non saper suonare strumenti. Ma per suonare un violino bisognava avere le mani e non essere fatti d'aria.
A questo punto, escluse le ipotesi di entità sovrannaturali, restavano quelle riguardanti gli esseri umani. In soffitta poteva esserci un pazzo (o una pazza), un assassino, o uno storpio.
Scrisse Storpio sotto gli altri due.
Dunque, di storpi erano pieni i romanzi. Si gratt
ò la testa e mordicchiò la penna, perché c'era qualcosa che ricordava … ma sì! Aveva letto giusto il mese prima un romanzo francese molto bello. Parlava di un campanaro gobbo che passava la vita rinchiuso nella torre di una cattedrale perché era troppo spaventoso per uscire. Che anche a Thompson House si nascondesse un tipo del genere? Però in quel romanzo il campanaro era abbastanza simpatico, e anche piuttosto inoffensivo. Addirittura si lasciava morire sulla tomba della donna amata, dopo che lei era stata uccisa ingiustamente. Insomma, il personaggio di quel libro era tutto tranne che davvero spaventoso.
Ma non era comunque possibile che Thompson avesse un fratello deforme? Un gemello nato male, un primogenito che aveva voluto scalzare, un fratello che aveva relegato lassù. Sempre a proposito di gemelli nascosti, aveva letto in un altro francese della triste storia del fratello gemello del Re di Francia Luigi XIV. Pare che la madre di Luigi avesse messo al mondo due gemelli. Il Re di Francia e suo fratello, insomma. Ma dal momento che due fratelli, nati lo stesso giorno e per di più identici potevano diventare un problema nei delicati equilibri dinastici che regolavano la successione al trono, si era preferito farne sparire uno. Uno dei due gemelli era cos
ì stato costretto ad indossare una maschera, e a vivere per sempre segregato nelle cupe segrete di un carcere.
Per
ò Thompson non era affatto re. Che bisogno ci sarebbe stato di nascondere un fratello deforme o un gemello? E poi ormai si era nel diciannovesimo secolo, c'era un sacco di ospedali, di ospizi, luoghi di cura lindi e puliti a cui affidare un parente in quelle condizioni. Che bisogno c'era di tenerlo in casa?
Eileen si alz
ò e fece un giro nella stanza. Era scalza e non era certo caldo, ma ormai era del tutto assorbita nei sui ragionamenti, tanto da non sentire più neanche i furiosi scrosci di acqua contro i vetri. La candela tremolava in un angolo e mandava una luce inquieta. Si sedette a riflettere sul letto.
C'era qualcosa che sembrava sfuggirle. Rifletté. Che cosa sapeva esattamente della casa e dei suoi abitanti? 
Dunque, sapeva che, allo stato attuale, nel palazzo abitavano stabilmente Thompson, il signor Nibbles, la signora Nibbles, Foster, Noah, Elizabeth. A questi dovevano aggiungersi lei - che ci stava per forza, ma ci stava - e i due ospiti appena arrivati. In tutto nove persone. C'erano poi alcuni altri servi, ma davano solo una mano di giorno, e di notte tornavano in città. Dunque nove persone, di cui sei erano già l
ì quando era arrivata. 
E cosa sapeva di loro? Sapeva che Elizabeth era orfana di padre (glie lo aveva confidato Norma un giorno) e che era stata presa come aiutante perché nipote di una cugina di Nibbles. A casa aveva quattro fratelli e un'intera famiglia da sfamare. Non sembrava avere altri parenti al mondo. 
Poi c'era Noah, figlio di una cameriera che era morta affidandolo alle cure dei Nibbles. Il Signor Thompson non aveva fatto storie, a lui bastava che non desse fastidio e che facesse qualche lavoretto. I Nibbles, poi, sembravano l
ì da secoli. Si sapeva che erano al servizio dalla famiglia dai tempi del nonno dell'attuale padrone, e che avevano passato la vita a battibeccare in cucina amandosi alla follia. E con Foster, tra i piedi che - sembrava - non andava molto a genio al signor Nibbles, in ragione della loro vecchia rivalità in amore. Eileen si fermò a esaminare Foster. Era uno strano vecchio, cupo, altero e assolutamente diffidente, ma sembrava un buon servo e pareva l'unico a conoscenza del mistero, insieme ai Nibbles.
Come a dire che era stato rivelato soltanto ai domestici più anziani.
Ma Norma aveva detto anche un'altra cosa, durante la conversazione con Nibbles, una cosa che dava da pensare: la creatura che abitava in soffitta era stata rinchiusa là in seguito a un atto di carità del signor Thompson. Questo significava che non era sempre stata lassù, ma che doveva abitarci solo da quando era Thompson il padrone di casa. Ma di Foster non si sapeva altro.
Anche Thompson era molto strano: erede di una grossa fortuna, i suoi tratti erano tesi e triti. Si fidanza con una ragazza e la lascia poco prima di sposarla per recarsi precipitosamente in India, dove ha un commercio avviato dal nonno. 
Perché lo fa? Non sembra un tipo venale, uno che sta cos
ì dietro ai soldi da mandare a monte un matrimonio solo per farsi un viaggetto di commercio. 
Ma allora? I casi sono due: o in India ci è andato spinto da qualcosa di cos
ì impellente da fargli rischiare un matrimonio, oppure ha usato il viaggio come scusa per prendere tempo in un frangente difficile.
Ma anche se Thompson le era odioso, Eileen proprio non riusciva a immaginarlo un essere meschino al punto di abbandonare una ragazza solo per togliersi da un impiccio. Le era sembrato anzi anche troppo incline a prendere sul serio i suoi impegni …. una vocina nella testa di Eileen le ricord
ò che tutto sommato senza di lui in quel momento sarebbe in mezzo a una strada. Si alzò di scatto e andò alla finestra. Non voleva pensare a quella cosa. Non voleva pensare a suo padre. Non adesso che aveva da pensare, e che pioveva, e che … uno scroscio più forte degli altri frustò il vetro come un ramo spezzato. Chissà dov'era suo padre con quel tempo. Scoppiò a piangere e si lasciò scivolare per terra contro il muro. Le parve che non ci fosse più niente che quadrasse nella sua vita. Neanche una sola cosa, piccola.

 

Molto tempo dopo riaprì gli occhi. Era quasi mattina. Sentì un dolore forte alla schiena e un indolenzimento in tutto il corpo.  Si accorse di aver passato la notte sul pavimento. Si tirò su a sedere. La stanza adesso era inondata di sole. Sull'albero davanti alla finestra gli uccelli già cantavano e tutto profumava di silenzio. Si alzò in piedi, ancora frastornata. Un raggio di luce accarezzava il battente semichiuso dell'armadio.
Eileen sbatté le palpebre e si accorse di non sentirsi affatto bene. La testa le girava e le gambe sembrano non reggerla bene. Aveva i piedi gelati e le orecchie in fiamme. Probabilmente aveva preso freddo a dormire in quel modo per terra, pens
ò con una punta di rimorso. Ma ormai era tardi per piangerci sopra.
- Non quadra niente - mormor
ò, senza sapere neanche lei che cosa diceva.
Poi venne uno stranuto. E poi un altro.
Eileen dovette fermarsi perché quasi le mancava il fiato. Decisamente doveva averla fatta grossa, a dormire a quel modo, senza niente.
Si tir
ò in piedi un po' a fatica e dovette appoggiarsi più volte per cercare di non cadere. Si sentiva debole come uno scricciolo. Forse era meglio mettersi a letto. Provò a farlo, ma poi ci ripensò. Aveva freddo, troppo freddo. Si avvicinò all'armadio e guardò dentro per cercare una vestaglia.
Frug
ò nel ripiano più in alto e una pila di cappellini le crollò addosso rotolando sul pavimento. Poi fu la volta delle sottovesti, che la impegnarono in una lotta furiosa per districarle. Erano tante, affastellate una sull'altra, a formare un cumulo vaporoso che ingombrava metà del ripiano. Anche sugli altri scaffali non c'era traccia alcuna della sua vestaglia.
Armeggiò
ancora un po', poco convinta. Adesso tremava in tutto il corpo e un sudore gelato aveva cominciato a bagnare la schiena. Giudicò che era meglio fermarsi e andare a letto, con o senza vestaglia.
Fece per girarsi ma in quell'attimo con la coda dell'occhio percep
ì qualcosa di strano nel fondo dell'armadio. Qualcosa che era stato liberato quando aveva scostato il groviglio delle sottovesti.
Aguzz
ò gli occhi nella peombra per capire cos'era e si protese all'interno per prenderlo. Allungò un braccio e le sue mani si chiusero su qualcosa di morbido e oblungo. Come una specie di sacca ma dalla forma decisamente consumata e strana. Quando lo portò alla luce vide che non era una sacca qualunque.
Era di forma rigida e oblunga, di pelle nera, con una pancia sinuosa e una fragile estremità allungata che penzolava floscia da un lato. Doveva avere anni e un tempo doveva essere stata bella, a suo modo era ancora molto bella. Ma non era la bellezza  a rendere
speciale quel ritorvamento, niente affatto.
Il fatto era che la sacca sembrava la custodia di uno strumento antico. Di un violino, per la precisione.
A Eileen le ginocchia tremarono. E prima che riuscisse a parlare, era svenuta ai piedi dell'armadio.

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo Sedicesimo ***


- Capitolo Sedicesimo -

La signora Nibbles entrò nella stanza come una furia.
- Oh, santo cielo, chiama il dottore, Nigel, presto! E tu, Elizabeth, aiutami a portarla a letto!
Sia accucci
ò sul corpo di Eileen, svenuta ai piedi dell'armadio. Non fece caso al fagotto nero che la ragazza teneva tra le mani. Semplicemente lo gettò chissà dove nel marasma crescente della stanza. Soltanto dopo si sarebbe resa conto di che cos'era esattamente quel fagotto.
- E' gelata! Che le è successo, mio Dio, è svenuta! Signor Nibbles, presto, il cavallo! Vai a chiamare il dottore, non si sveglia, presto!
Riuscirono ad adagiarla sul letto. Norma cominci
ò a frizionarle le estremità livide con dell'olio scaldato, per cercare di far riprendere il circolo del sangue. Elizabeth stava atterrita in un angolo e Foster era andato a chiamare il padrone. Tornò dicendo che di Thompson e i Prescott non c'era traccia. Probabilmente erano usciti presto, subito dopo la prima colazione.
- E' vero - Norma si batté la mano sulla fronte - mi avevano detto che sarebbero andati a cavallo per la campagna! Oh, santo cielo, la mia povera bambina, che è successo? Corri in camera mia, Elizabeth, e prendi tutti i panni di lana che riesci a trovare. Svelta! Oh, e dammi anche quella coperta - disse indicando una grossa trapunta colorata che stava sulla poltrona davanti al caminetto - e d
ì a Foster di accendere il fuoco. Con molta legna, subito! Oh, cielo!
Quando Eileen non si era presentata in cucina per fare colazione, Norma aveva mandato Elizabeth a vedere se stava poco bene. La piccola cameriera tornata con una faccia livida come la morte. Norma per poco non era svenuta anche lei. Erano corse a chiamare Nibbles, e mentre Norma arraffava in fretta e furia tutte le coperte che riusciva a trovare, Elizabeth era andata ad avvertire lo stalliere di tenere pronto un cavallo. Poi era tornata nella stanza.
Il caldo dovette fare bene ad Eileen, perché dopo molti massaggi sulle tempie e molti Sali aromatici, riprese per breve tempo conoscenza. Norma alz
ò le braccia al cielo e cominciò a piangere e a baciarle furiosamente le mani. Anche Elizabeth sospirò felice di sollievo.
Eileen fece un sorriso smarrito. La testa le ronzava come un alveare, e si sentiva come fosse fatta di burro in ogni arto. Prov
ò a tirare su la testa.
- No, angelo mio, meglio non fare sforzi - le disse Norma accarezzandole la fronte madida - Nigel è andato a chiamare il dottore. Tra poco sarà qui, vedrai. Adesso devi stare buona buona e promettermi di non parlare o altro. Ci siamo qui io ed Elizabeth a farti compagnia, come ti senti?
Eileen mosse la testa per dire che stava meglio. Aveva la gola che le bruciava come mille punture di spilli, le orecchie in fiamme e le gambe gelate. Non sentiva le dita dei piedi e le sembrava che tutto fosse come avvolto in un'ovatta spessa e tenace. Anche i contorni delle cose le apparivano come sfumati. Fece una smorfia, ma era troppo debole anche solo per disperarsi del suo stato.
 

Il dottor Finley arrivò mezz'ora dopo, al galoppo dalla città con Nibbles. Salì le scale affannato e quanto Norma lo vide lanciò un grido di gioia. Il dottore, un vecchio dall'aria competente con delle lunghe basette color latte, rimboccò le maniche della marsina nera sulle lunghe braccia ossute da cicala, prese con sé la sua borsa di pelle e chiede si essere lasciato solo con l'inferma.
Elizabeth, Norma e il signor Nibbles attesero come anime in pena con l'orecchio attaccato alla porta. Quando, dopo un quarto d'ora di silenzio, il dottor Finley usc
ì dalla stanza, Norma gli fu addosso in un attimo.
- Allora, che cos'ha la bambina? E' grave? Oddio dottore, non fateci stare sulle spine!
Il dottore scosse la testa segaligna. Dalla sua marsina nera ed elegante il vecchio collo usciva sdrucito come quello di un pollo spennato. Ma nel complesso ispirava fiducia.
- Non bene, madame. Non bene - disse pulendosi gli occhiali al fazzoletto e tenendo gli occhi stretti per vederci - Ha preso molto freddo, e in questa … in questa stagione balorda non deve averle fatto per niente bene. Per niente proprio, direi, visto lo stato critico in cui versa l'ammalata, a mio giudizio.
Cos
ì dicendo strofinò l'occhiale ancora un paio di volte e lo ripose.
Per poco Norma non lo sbatté al muro.
- Cosa intendete per stato critico, dottore? Avanti, parlate chiaro, avanti!
Il dottore le sorrise educato.
- Ha la tosse, il petto ingombro - spieg
ò - e la febbre, anche piuttosto alta. Non che in questi casi non sia una cosa del tutto normale, ma la ragazza ha preso molto freddo, e insomma non c'è da scherzare con un'infreddatura come questa.
- Che pu
ò succedere?
- Pu
ò succedere che non succeda niente. E allora voi avrete stasera la vostra bella ragazza già vispa e allegra come un cardellino. Ma potrebbe succedere anche … beh, con una febbre così non si scherza, Potrebbe anche peggiorare, ecco. E in quel caso bisognerebbe capire se la febbre le ha preso i polmoni.
- E che possiamo fare, nel frattempo?
- Aspettare. E tenerla più tranquilla possibile. Ha parenti la ragazza?
Norma guard
ò Nibbles, ed entrambe, risposero nello stesso momento.
- S
ì.
- No.
Il dottore li fiss
ò incuriosito.
Norma si affrett
ò a lanciare un'occhiataccia a Nigel.
- E' una parente del Signor Thompson. - spieg
ò - Sua cugina.
- Non sapevo che avesse una cugina. Curo la sua famiglia da tanti anni e …
- Una cugina acquisita. E' venuta a visitare il padrone e a trascorrere l'estate insieme a noi, ma … perché ci avete detto dei parenti, non sarà mica una cosa cos
ì grave!
Il dottore ci stette un po' a pensare.
- Se non fossi un uomo di scienza direi che quella stanza è maledetta.
Norma abbass
ò gli occhi. Nibbles distolse lo sguardo e tirò su col naso.
- Era una cos
ì cara ragazza … - fece il dottore - Non si hanno più avute sue notizie?
Norma scosse la testa.
- Il padrone l'ha cercata per mari e monti. E non è mai riuscito a ritrovarla. Ci siamo rassegnati a pensare che sia morta. Annegata, o rapita, o … chissà. Il padrone non si è ancora ripreso.
Il dottore scosse le folte basette.
- Lo capisco. Una parente cos
ì stretta e una fine così … beh, lasciamo stare. Occupiamoci dei vivi. Adesso la cosa più importante è evitare che la ragazza si aggravi. Vi scriverò subito una ricetta, e stasera tornerò a controllare come procede. Potete garantire che qualcuno sia sempre accanto a lei? In questi casi, è fondamentale vedere subito qualsiasi sintomo di peggioramento.
Norma scosse la testa, e disse che ci sarebbe stata lei, continuamente.
- E poi c'è Elizabeth, e il signor Nibbles … le siamo tutti enormemente affezionati. Io no so se … io non so se … che cosa, cosa farei se … se, oh perdonatemi!
E scoppio a piangere dentro il grembiule.
Il dottore le batté una mano sulla spalla.
- Ha avuto qualche forte dispiacere nell'ultimo periodo, che sappiate? Uno spavento, qualcosa che possa averla ridotta in quello stato.
Norma scosse la testa.
- Beh, suo padre … non sta molto bene. E' anche per questo che la ragazza sta qui da noi. Ma per il resto, no, credo di no. Mi è sembrata tranquilla, persino allegra, certe volte. Le piace tanto stare con noi, è una cos
ì cara ragazza.
- Vedrete che riusciremo a salvarla. Adesso vado, ma torner
ò a trovarla. Se la febbre dovesse alzarsi ancora mandatemi ha chiamare subito. Altrimenti tornerò alle sei.
Norma assent
ì, e mentre Nibbles riaccompagnava Finley, tornò dentro la camera da letto.
- Signora Nibbles?
- Sono io, mia cara.
Eileen fece un sorriso debole, e Norma si sedette accanto a lei.
- Il dottore - spieg
ò Norma - ha detto che non è niente di grave, ma devi stare molto tranquilla, a riposo assoluto.
Eileen non ebbe la forza di rispondere. La vista le si stava di nuovo annebbiando.
- … pensa, il dottore? - chiese.
Ma Norma le intim
ò di stare quieta.
- Ha detto che per la fine della settimana starai già molto meglio. Ma ora la cosa migliore è dormire.
Norma fece per alzarsi, ma Eileen mosse una mano e cerc
ò di trattenerla.
- Signora Nibbles? … la stanza … di chi era?
Norma socchiuse gli occhi e fiss
ò un punto imprecisato del muro.
- E' la stanza degli ospiti, bambina. E' sempre stata la stanza degli ospiti.
E adesso dormi, domattina starai di nuovo bene, angelo mio.

 

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo Diciassettesimo ***


- Capitolo Diciassettesimo -

Eileen passò a letto tre giorni. Probabilmente i tre giorni più noiosi della sua vita. Dopo la prima nottata, trascorsa praticamente solo a dar di stomaco, la temperatura sembrava essersi assestata su una specie di continua, ma non troppo fastidiosa febbriciattola. Già il giorno dopo stava meglio, e aveva provato ad alzarsi.
- Non se ne parla nemmeno! - protestò Norma inorridita. Per lei infreddatura equivaleva a principio di polmonite perniciosa, e dunque andava curata con massicce dosi di inattività e brodaglie. Fu così che le impedì di muoversi dal letto finché non si fosse ristabilita del tutto.
- Finché il colore delle belle pesche che hai al posto delle guance sarà tornato il solito - furono le sue esatte parole.
Eileen sospirò di rassegnazione.

Da quel momento cominciò una ridda di corpose brodaglie, cucchiaioni di ricostituenti orribili e melensi sciroppi per la tosse. Norma decise che la dicitura 'non strapazzarsi' del dottor Finley comprendeva l'astensione totale da ogni forma di attività sociale, divertimento, conversazione, moto. In breve tutto quel che non era mangiare, bere e dormire.
Furono dunque impietosamente rimossi dalla camera Eileen tutti i libri (se ti concentri troppo ti viene il mal di testa), la carta, la penna e persino qualche innocente gingillo.
A parte una visita di Thompson - si era trattato di cinque minuti, in cui era apparso quasi più ombroso del solito - e una di Aurora per convenienza, nient'altro giunse più a distrarla. Anche il tenente, che nei primi giorni si era informato assiduamente della sua salute, sembrava aver perso tutto l'interesse alle sue visite.
Così Eileen languiva nella noia. Neanche la storia del violino riusciva più di tanto a interessarla. Ogni tanto, quando era sola, lanciava uno sguardo all'armadio e si chiedeva se per caso non si fosse sognata tutto quanto.
Della custodia erano scomparse le tracce, e da tempo non sentiva più nessuno suonare in soffitta. Finì quasi per credere di essersi inventata tutto, anche perché a qualsiasi tentativo di capire di chi era stata prima quella stanza, Norma invariabilmente rispondeva 'è sempre stata la stanza degli ospiti'.
Nibbles fece qualche tentativo di introdurre provviste di nascosto (una scatola di cioccolatini, qualche biscotto glassato, un'aranciata), ma Norma lo beccò sul fatto e per poco non lo ridusse in fin di vita: il dottore aveva detto brodo e brodo sarebbe stato. Anche Noah provò a forzare più volte la vigilanza della signora Nibbles, e due volte fu respinto indietro. La terza invece - approfittando del fatto che anche Norma doveva nutrirsi e dunque si era assentata per il pasto - riuscì ad intrufolarsi in camera con sottobraccio la vecchia cappelliera, che ora gli era diventata indispensabile per istruire gli insetti e trasportarli.
- Ciao Linny, ho pensato di passare a vedere se stavi bene. Ti disturbo, per caso?
Eileen fece un salto nel letto dalla felicità.
- Figurati! Sono giorni che Norma mi tiene rinchiusa qui come una carcerata! Non sai che piacere mi fa vederti!
Noah sorrise di evidente piacere, si sedette accanto a lei e cominciò a raccontargli tutte le novità degli ultimi giorni.
 - Lo sapevi che il postino si è rotto una gamba, perché mentre passava il cane dei vicini gli è corso dietro e l'ha fatto cadere di sella? E lo sapevi che Jacob, il garzone del macellaio, si è sposato l'altra settimana? Mi hanno invitato alla festa, dovevi vedere che meraviglia, che bevute … cioè, io non ho bevuto mica niente, ma insomma, coi violini, la musica, la gente tutta allegra mi sono divertito un sacco! E poi mi hanno chiesto anche di vedere i miei piccoli esibirsi, non sai che emozione! Creamy è stato eccezionale nel numero del salto della corda, ma anche gli altri sono stati bravissimi. Alla fine mi battevano le mani … e ci ho anche guadagnato queste.
Tirò fuori dalla tasca tre monete lucide e lustre. Le posò sul copriletto ed Eileen poté ammirarle da vicino.
- Stupende! Il tuo Circo è di sicuro una bomba!
- Quando starai di nuovo in piedi se vuoi organizzo uno spettacolo per te - sorrise.
Eileen se ne mostrò entusiasta. Poi passarono a parlare delle cose di casa Thompson.
- Niente di nuovo - raccontò Noah - il signor Nibbles ha interrato le petunie e speriamo che vengano su bene. Elizabeth sta cucendo un grembiule e lo stalliere Johnson pare che abbia trovato una nuova fidanzata. Foster è noioso come al solito e Norma è una pacchia da quando scende in cucina solo per prendere da mangiare a te. Non sai che pace! Coi miei piccoli mi alleno dove voglio. Anche in cucina - confessò - l'altro giorno.

- E il signor Thompson?
Noah si strinse nelle spalle.
- Non c'è quasi mai, esce sempre con quella ragazza, quell'Aurora. Devo dirti che non mi sta simpatica. L'altro giorno avevo lasciato libere le mie processionarie in giardino e lei passava di lì … quando le ha viste si è messa a gridare! Fortuna che non c'era nessuno. Quando è scappata sono corso a riprenderle e le ho nascoste bene bene nella scatola. Comunque dopo è arrivato il Signor Thompson, a chiedermi se ne sapevo niente. Io gli ho risposto che di processionarie è pieno il mondo a questa stagione, e che non sono per forza tutti miei gli insetti che circolano in giro. Non so se ci ha creduto, comunque mi ha detto di tenermi alla larga dal giardino se c'è la signorina Aurora che passeggia. Per non darle fastidio, capisci? Ha detto proprio così la signorina Aurora. Ma figurati!
Eileen rise, ma aveva altri pensieri per la testa.
- Davvero Aurora e Thompson escono insieme?
- Proprio così, e quasi tutti i giorni.
- Tutti i giorni? E dove vanno tutti i giorni insieme?
Noah ci stette un po' a pensare.
- Non lo so. So solo che li vedo uscire sempre dal cancello, a braccetto e sempre a piedi. O quasi sempre, insomma. A volte prendono la strada per Londra. Altre volte quella per la campagna. Hanno sempre un cestino dietro, quello per metterci la roba da mangiare. Probabilmente vanno a fare dei pic nic. C'è un gran bel sole di questi giorni, sai?
Eileen scoccò uno sguardo assassino fuori dalla finestra finestra.
- Lo vedo - borbottò acida. E poi - Il tenente non va mai con loro?
Noah strizzò gli occhi con curiosità.
- Perché lo vuoi sapere? - chiese.
Eileen non seppe che rispondere.
- Non sarà mica che ti piace, vero?
Noah aveva fatto una faccia strana. Parecchio buffa.
- Perché? - rise lei - Se anche fosse?
Il ragazzino si rabbuiò all'istante.
- Oh, niente. Sono affari tuoi. Francamente non me ne importa niente, se ti piace o non ti piace il signor Prescott. Comunque no, non mi pare. Di solito vanno da soli. E il tenente va a giocare a biliardo insieme al signor Nibbles. Vedessi che partite che fanno. Scommettono forte, lui vince sempre e non vuole mai riscuotere niente da Nigel. Un tipo a posto, penso.
- Ma non ti sta molto simpatico, o sbaglio?
Noah mise su una specie di broncio.
- Vuoi vedere come è cresciuto Creamy?
Eileen disse di sì e così il grosso coleottero argentato vagò per circa dieci minuti ad esplorare il suo colorato copriletto. Quando ne ebbe fatto per la terza volta il giro a suon di capitomboli, Noah lo raccolse delicatamente, perché stava per ribaltarsi di nuovo.
- Adesso devo andare, Linny. Mi piacerebbe restare di più, ma ho paura che Norma mi becchi. E lo sai che non le piace affatto che veniamo a trovarti fin quassù.
- Hai ragione. Forse è meglio che vai. Ma … me lo faresti un piccolo favore se sei in giro, in questi giorni?
Noah fece una faccia furbetta.
- Dipende da quanto puoi pagarlo.
- Mi puoi tenere d'occhio il Signor Thompson?
Noah fischiò piano.

- Non dirmi che sei gelosa di … ma non eri innamorata di Prescott?
- No, no, assolutamente. Che dici! Solo che ho una certa cosa che … beh, insomma tu tienimelo d'occhio. Guarda se va da qualche parte, se fa cose insolite, insomma.
- Ti costerà moltissimo. Voglio dire, il tempo è denaro … non so che cosa potrei chiedere in cambio.
- Capisco - rise Eileen - Ma penso proprio che riuscirò a convincerti.
Noah si grattò la testa.

- Hai qualche idea precisa? Voglio dire, a che cosa devo stare attento. Non è che voglia sapere niente, Linny, ma se non sei un po' più precisa, io …
-  Ecco, non so … diciamo che vorrei sapere se sale mai al piano di sopra.
- Ma è disabitato!
- Appunto! Ehm … insomma, vorrei sapere questo. Niente di più. Soltanto se ogni tanto sale al piano di sopra. O se fa cose particolarmente strane. Ecco tutto.
- E delle gite con Aurora che faccio? Ti vengo a raccontare anche quelle? Ahi!
Nonostante la debolezza, Eileen era una buona tiratrice. Il cuscino colpì in piena faccia Noah.
- Ahi, non ho detto niente di male! - ridacchiò il piccolo.
- Incredibile quanto puoi essere impudente! Fila via, piccolo mostro prima che …
- E il mio compenso quale sarebbe? - fece Noah con la sua faccia impertinente.
Eileen gli indicò un cassetto e gli disse di portargli lo scrigno che c'era dentro. Quando lo ebbe tra le mani, sorrise ed estrasse una piccola chiavetta.
- Mi avevi detto tempo fa che non sapevi dove andarti a esercitare coi tuoi piccoli … beh diciamo che io ho la soluzione. Se tu accetti di seguire Thompson, io ti do il modo di esercitarti quanto vuoi, quando vuoi, in un posto sicuro. Un posto dove puoi tenere liberi i tuoi animali senza problemi.
A Noah brillarono gli occhi.
- Dove sarebbe questo posto? - chiese.
Eileen sorrise e strinse in pugno la piccola chiave.
- Seguirai Thompson?
- E' davvero un posto così sicuro?
- Sicurissimo.
- Davvero potrò andarci ogni volta che voglio? E tenere liberi gli animali?
- Esattamente.
- Va bene allora, seguirò il tuo Thompson. Ma adesso dimmi dov'è questo posto!
Eileen fece una pausa strategica. Dopo di che, consegnandogli la chiave:
- Ho notato che la biblioteca non è una stanza molto frequentata. Norma ci entra solo per spolverare, e Foster non ci mette mai piede. Il Signor Thompson, che pura ama i libri, preferisce leggere nel suo studio, e comunque ci va solo dopo cena, o al massimo di tardo pomeriggio. La mattina è completamente vuota. Se sgusci dentro e vai dietro uno scaffale, nessuno potrebbe vederti. Tieni. Penso proprio che faccia al caso tuo.
Noah prese la chiave e cominciò un balletto forsennato per la stanza.
- Un posto tutto nostro, un posto tutto per noi! - ululò
.
- Sssht! Vuoi che ti senta tutto il palazzo?
- Oh, no, scusa. Ma senti un po' com'è che l'hai avuta? Voglio dire, la chiave ce l'ha Thompson …
- E adesso ce l'ho io. Non preoccuparti di come ho fatto ad averla, pensa solo a farne buon uso. Se ti comporti in maniera assennata, penso proprio che andrà tutto liscio.
Noah era fuori di sé dalla gioia: fece un altro giro su se stesso. Ma almeno lo fece in silenzio.

--- Piccola comunicazione di servizio: da ieri Ad Armi Pari è anche su Facebook!  ---

@Senza Fiato, Lady_2008 e Beatrix: Sorella di Thompson? Fuochino, fuochino ... :)) Ormai ci siamo quasi ...

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Capitolo 18
*** AVVISO IMPORTANTE ***


AVVISO SOSPENSIONE 'AD ARMI PARI'

Care ragazze ,

    purtroppo, per un lutto gravissimo, mi trovo costretta a sospendere per un po' la mia fiction.
Ho voluto avvertirvi perché questa storia su EFP è molto importante per me, e non volevo sparire senza dire niente a voi, che siete state sempre così assidue nella lettura.
La riprenderò, è una promessa, e spero il più presto possibile, perché è quasi conclusa e voglio che veda tutta intera la luce. Adesso vi lascio, a presto e un grande abbraccio
Vale

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciottesimo ***


- Capitolo Diciottesimo -

Qualche altro giorno si trascinò indeciso, senza significative novità. Eileen non capiva molto bene se essere triste o felice. Tutti i giorni, verso l'ora di cena, Noah le portava le solite, banali, notizie sul conto del Signor Thompson. Pareva fosse tutto normale, niente strani movimenti, niente incidenti al piano di sopra, niente visite nel cuore della notte, tanto che a volte Eileen quasi pensava di essersi immaginata tutto nella febbre: violino, musica, custodia e prigioniera. Se non fosse stato del tutto impossibile, si sarebbe potuto pensare che Thompson si fosse accorto del pedinamento di Noah, e per questo si comportasse bene. Che poi, bene … c'erano sempre, al termine di ogni resoconto anche le solite, trite notizie sui modi sempre nuovi che Thompson scovava per rendere piacevole il soggiorno di Aurora a Thompson House.
Un giorno erano andati a cavallo, un altro a passeggio in calesse fino alle cascate del Gladstone che fanno un'ansa curiosa in mezzo al fiume formando come una specie di palude. Una terza volta avevano fatto addirittura un pic nic sul lago e erano stati fuori fino a sera. Una cosa abbastanza riprovevole, si sarebbe potuto commentare. Soprattutto perché erano andati soli. Senza Prescott e senza cocchiere. Thompson aveva guidato lui il calesse, il che aveva quasi dell'incredibile: si spiegava solo col tardivo ma persistente desiderio di un trentenne di far colpo su una ragazzina.
Una cosa davvero riprovevole.
Soli come due amanti felici. Soli come due stelle in cielo. Soli come due vermi solitari.
Non che ovviamente le importasse niente. Semplicemente le dava fastidio che quei due stessero così appiccicati. Non era, come dire, decente.

Questo poi per non contare l'infinita varietà di distrazioni che Thompson tendeva a offrire alla sua giovane ospite anche a casa. Gli echi arrivavano fin nella stanza dove Eileen doveva fare grandi sforzi per tapparsi le orecchie col cuscino ed ignorarli: partite a scacchi fino a notte fonda, tornei di whist col vicinato, soireé coi tipi più brillanti della contea, musica, rinfreschi, gioventù e tutto quello che si può desiderare per trascorrere in allegria e gaiezza la stagione calda in campagna. 
Eileen ne rimaneva disgustata: sembrava proprio che il vecchio scapolone si fosse deciso tutto insieme a spalancare le porte del palazzo e a fare entrare un po' di vita in quelle stanze. Non concepiva come un individuo di ben trentatré anni potesse farsi ancora carico di tutta quella gaiezza in giro per casa. Non era ancora stanco della vita? Nella sua mente Eileen godeva molto a rappresentarselo vecchio, vecchissimo, come il signor Nibbles, e a vederlo decrepito mentre cercava di ballare ancora con Aurora, mentre invece le gambe gli tremavano. Adorava soprattutto soffermarsi sul momento in cui Aurora, attratta da un bel giovane - quello sì, davvero giovane - lo mollava con una scusa qualunque accanto al tavolo degli aperitivi.
Era un pensiero davvero confortante. L'unico a rendere appena un pochino sopportabile la vita ad Eileen da quando era caduta malata e le toccava stare in disparte.
Allora sì che poteva permettersi il lusso di compiangere Thompson, lui, la sua casa, la sua incredibile vecchiaia di trentenne e tutto il resto.
A volte, aveva notato Eileen, che seppur giovane aveva buoni occhi e era piuttosto incline a riflettere, a volte le persone lo facevano: ammobiliare il vuoto di canzoni, oscurare le tende del silenzio, riempire tutto nella cieca furia di ascoltare qualcosa di nuovo, di vedere nuovi posti, di non stare da soli con il proprio rumore. Perché spesso il rumore del cuore è qualcosa di quasi insopportabile, e i rimorsi, le disperazioni, i sogni di qualcosa di passato e perduto sono ospiti troppo impegnativi per essere tollerati a lungo, e da soli.

Anche suo padre era stato così: allegro e sempre alla ricerca di qualcosa che lo tenesse lontano dal pensare. Ora Eileen l'aveva capito, che a volte gli esseri umani fanno fuochi d'artificio per troppa paura del buio.
In queste strane meditazioni assorta, Eileen spesso si scordava tutto il resto. Non le importava che Norma entrasse e uscisse reggendo vassoi enormi di minestra, non le importava che le mettesse sotto il naso melasse strane di sciroppi colorati, che le mandasse giù a forza qualcosa o che si lamentasse del suo stato. A lei piaceva essere melanconica, e ci si crogiolava come un lago. Del resto andava di moda.
- Se continuate così diventerete più magra di un'acciuga fritta, e più antipatica di una medusa. E poi vedrete che non vi vorrà nessuno! - le ripeteva all'infinito Norma, per cercare di farla mangiare. E lei allora sospirava, e per non sentirla ficcava la testa sotto il cuscino.
- Vedrete bene se non ho ragione! - diceva Norma, scrollando testa e mestolo - Voi non siete più davvero malata, la vostra malattia è qualcos'altro - e poi, più dolce - perché, bambina mia, non dici alla tua Norma che cos'hai?
Ma Eileen non lo sapeva neanche lei. E del resto andava e veniva. A volte la tristezza era più forte, altre volte addirittura impercettibile. Forse era colpa del tempo o forse soltanto del fatto che stare chiusa sempre in quella camera ad ascoltare le risate degli altri non le giovava certo alla salute. Alla fine anche Norma si convinse, e giudicò che era il tempo di tornare a permettere le visite in camera.
Fu così che da un giorno all'altro fu di nuovo permesso a chiunque di andare a bussare alla sua porta. Eileen non seppe se esserne felice.
Fu Prescott il primo ad arrivare.
- Posso far visita alla bella malata? - chiese giulivo, affacciandosi alla porta. Eileen, che aveva avuto dal dottore il permesso di leggere in poltrona, sollevò gli occhi e fece un salto di spavento.
- Accidenti, signorina, che eleganza! - rise Prescott, andandole vicino - Vedo bene che neanche la malattia è riuscita a togliervi un grammo di eleganza e bellezza. Anzi, direi che forse l'avete fatto apposta: siete ancora più bella di prima!
Eileen si ricompose subito. Certe volte aveva voglia di piangere. E proprio adesso, aver sentito bussare le aveva come rimescolato il sangue. Ma poi era entrato Prescott, e lei chissà perché si era rabbuiata.
- Allora, mia cara, che mi dite? Di nuovo in forma, e più bella di prima! Abbiamo un sacco di cose da fare, andare a Bath il mese prossimo in vacanza, la nostra gita in calesse alla Floss, il mercato rionale delle piante … e lo sapete che in città hanno aperto uno splendido negozio di tessuti d'importazione? Stoffe indiane, greche, siriache: dovreste vedere voi stessa! Ho l'idea che un giro da quelle parti vi farebbe tornare il colore!
Eileen ringraziò di cuore. Ma disse che non si sentiva ancora bene.
- Sciocchezze - rise Prescott - Vedrete se la mia cura non vi rimette in piedi! E vi siete già persa troppe cose di nostri bei divertimento a palazzo! L'altra sera abbiamo avuto musica, e forse di nuovo domani. Poi c'è stata la baronessa di *** che ha cantato due arie di opera, e il signor ***, l'organista della chiesa che ha suonato al clavicembalo Bach. Non che sia niente di speciale, questo tedesco, a me piacciono molto di più i francesi, ma Aurora era andata in solluchero … non sapete quante volte ha ringraziato il vostro caro cugino per la musica. E pensare che fa tutto per lei, solo per farla divertire un po'.
Eileen dovette virare al viola cupo, perché Prescott si affrettò a riprendersi.
- Certo però, mancate voi … e niente è davvero divertente in questo caso. Ogni sera io la passo addormentato su una vecchia poltrona nell'angolo, a pensare  a quando vi deciderete a tornare tra i vivi, angelo caro! Ci ho perso l'appetito, sapete? E senza voi la vita ha poco gusto!
- Ma se mi conoscete appena! - protestò Eileen divertita.

- Appunto! E non so già più fare a meno di voi … del resto poi, non sono mica l'unico: anche vostro cugino è in pensiero, e non c'è sera che non mi stressi per sapere se ho notizie di voi. Io glie lo chiedo sempre 'che cavolo ti costa andare ad informarti da solo?', ma lui allora mi si rabbuia subito, e sparisce senza dire altro. E' veramente uno strano ragazzo, il nostro vecchio Nicholas.
- Davvero Thompson chiede di me?
- Ovviamente, siete sua cugina! Sarebbe un mostro vero e proprio se non gli importasse niente di voi! Voglio dire, una parente stretta … pensate che l'altra sera ha sequestrato per un'ora il dottor Finley proprio mentre stava scendendo le scale. Lo aspettavamo tutti al tavolo del whist, già con i nostri bravi sherry al fianco, ma lui si è piazzato sulle scale per aspettare il barbagianni, e non si è mosso finché non ha finito il suo interrogatorio al dottore. Finley alla fine era stremato, abbiamo dovuto dare lo sherry pure a lui! Sembrava davvero che Nicholas gli avesse chiesto conto anche di Adamo ed Eva, lo aveva prosciugato, poverino, con tutti quei 'come sta, la paziente, dottore?', e 'Pensate che se la caverà? Oh, grazie al Cielo?'. Una cosa da perderci la testa!
- Davvero ha chiesto al dottor Finley di me? Voglio dire … lo ha tenuto davvero sulle scale per tutto quel tempo?
- Non gli faceva rimettere il cappotto! E il poveraccio aveva altre visite! Alla fine gli ha promesso che gli avrebbe prestato il suo cavallo per andarci, bastava solo che si trattenesse ancora a spiegargli bene cosa avete.
- E il dottore cosa ha detto che ho?
Prescott si strizzò nelle spalle.
- Una specie di congestione nervosa. Non ho capito bene, ma sembra che sia per via di un grosso spavento unito a costituzione indebolita. Dovete mangiare di più, e prendere molta aria balsamica. Una cosa che ha bisogno di tempo, tranquillità - e qui strizzò il naso - e pace. E pace, mi capite? Quel vecchio barbagianni non è proprio uno sciocco? Quando mai si è sentito che una ragazza, una bellezza come voi ha bisogno di pace per rimettersi in sesto? Date retta piuttosto al dottor Prescott, che ve lo dice lui cosa dovete fare: domattina vi toglierete questa e verrete con me a fare spese!
Così dicendo indicò la sua vestaglia, eredità che aveva pescato nel guardaroba di sua madre: a parte qualche gala antiquata (che la perizia di Elizabeth era del resto riuscita a scucire senza rovinare il resto), le sue lunghe maniche ondulate che finivano in pizzi crespi e morbidi, la doppia fila di bottoncini sul petto e la chiusura di pizzo al sottogola ne facevano qualcosa di incantevole. A Eileen, per lo meno, piaceva.
 - Verrete con me a fare spese: - ripeté Prescott - ho intenzione di regalarvi un bel vestito. E badate che non accetterò obiezioni!
- Verrà con noi anche il Signor Thompson? - chiese Eileen prima di rendersi conto che era una domanda ben sciocca. Prescott le sorrise con garbo, pensando di non aver capito.
- Nicholas aveva già in programma di scarrozzare Aurora per Londra. Ma saranno di ritorno per cena, non vi dispiace mica, vero?
Eileen arrossì lievemente.
- Ma se vi manca, ne sono davvero lieto. Sembrava che non lo amaste molto, voglio dire, non siete mai molto espansiva con lui …

- … espansiva?
- Ovviamente! Voglio dire, Aurora lo conosce appena eppure sono già grandissimi amici! Voi invece … sembra quasi che Nicholas vi stia tutt'altro che simpatico. O almeno lui dice in giro così.
- Lo dice in giro? - esclamò Eileen stupita.
- Oh, sì, sì, sì! Dice esattamente così: 'mia cugina è una smorfiosa scostante che mi odia con tutte le sue forze!'.
A Eileen per poco non mancò il respiro.
- Ma non è vero! - gridò - Io gli voglio un gran bene, io gli voglio un gran bene, lo a …
- Lo amate?
- Io? Amarlo?
- Come un cugino, ovviamente.
- Ah! Certo! - rise nervosamente - Il Signor Thompson è proprio un caro cugino!
- Ovvio. E io scherzavo, state tranquilla. Il vecchio Nicholas non direbbe mai niente del genere, non su di voi, almeno. E' un po' tetro, ma vi vuole bene. Anzi parla sempre di voi. Dice che siete stata molto sfortunata, ad aver perso il padre così presto … è molto premuroso, sapete. Anche con la mia piccola Aurora, sempre a chiederle se c'è qualcos'altro che le può fare piacere. Un gran tenerone, il nostro Nicholas, sotto quella brutta scorza da cattivo. Comunque, ora passiamo alle cose serie - e così dicendo Prescott tirò fuori dalla giacca un piccolo involto - stamattina ero per caso in città. Quando le ho viste ho pensato a voi e non ho proprio saputo resistere!
- Cosa sono? - chiese Eileen guardando i due piccoli involti tubolari. Ma Prescott glie li tolse di mano.
- Alle scimmiette curiose bisogna prima chiedere qualcosa in ricompensa. - sorrise a mezze labbra - Altrimenti sono capaci di prendere quel che gli dai e non pensare neanche a ringraziarti!
- Cosa volete? - sospirò Eileen.
- Un bacio.
- Un bacio?
- Sulla guancia, beninteso. Ma un bacio. Non cederò per niente di meno. Quello che tengo qui dietro lo vale. Lo vale assai, oh, sì, se lo vale!
Eileen, che era troppo curiosa, finì per accordare il bacio. Naturalmente solo dopo che le avesse permesso di vedere cosa cosa c'era dentro gli involti.
- Le donne hanno sempre ragione - sospirò Prescott, e le porse i due piccoli tubi di pelle. Eileen li srotolò:
- Ma sono stampe colorate! - esclamò estasiata. Le erano sempre piaciuti i disegni, le stampe, le cartelle coi paesaggi, ma era la prima volta che teneva in mano quelle rare novità.
- Fotografie ridipinte ad acquarello - corresse Prescott, mostrandogliele orgoglioso - riproduzioni a colori di quadri. Prima si fa la fotografia, in tinta seppia, e poi ci si ripassano i colori. E' una tecnica abbastanza recente … è l'effetto è davvero incantevole.
Eileen annuì, contentissima. Ne aveva viste di sfuggita alcune in qualche affollata vetrina di città, ma neanche nei suoi sogni più fervidi aveva mai pensato di possederne una. E Prescott glie ne aveva regalate due!
- Che cosa raffigurano? - chiese.
In una c'erano un'antica rovina gotica e dei lunghi platani scuri che sembravano dita di velluto contro il cielo ombroso della sera. Un cappella e qualche stele antica testimoniavano esserci stato un convento. In basso a destra, tra un tralcio di edera e una pietra muscosa, c'era vergato il nome di Glastonbury. Il cielo cupo e il tramonto malinconico davano al dipinto un'aria surreale, quasi mistica.
Nell'altra invece era raffigurato un castello con delle lunghe mura, a strapiombo su un dirupo, e merli e un cielo nuvoloso contro i monti. In primo piano, una dama in abito medievale, con grandi maniche a sbuffo e folte trecce, scrutava con la fronte increspata qualcosa di più lontano, a valle.
- E' Elinor - spiegò il tenente posando un dito bianco contro la manica scura della dama.
- Chi è Elinor?
- Un'antica eroina dei miei luoghi. Vengo dal nord dell'Inghilterra, sapete? E al Nord ci sono molte leggende che parlano di Cedric ed Eilnor.
- Cedric?
- E' così chiama il cavaliere. Questo qui, che viene su per la strada piano piano. Non lo vedete, ma è questo punto bianco che Elinor guarda piena di attesa. Purtroppo la strada è ancora lunga, la sera cala e il buio pullula di oscuri pericoli in agguato.
Eileen sentì un brivido correrle lungo la schiena.
- Pericoli? - chiese con voce roca e ricordò la sua prima notte a Thompson House, quando aveva scorso il Signor Thompson passarle accanto come un'ombra della notte.

Prescott annuì, molto serio.
- La leggenda narra che un tempo Cedric Hightower del castello di Malsbury fosse il più grande e il più forte cavaliere di tutta l'Inghilterra del nord. Era prestante, bello e valoroso. I giovani adoravano il suo ardore, i vecchi non finivano di lodare la sua saggezza nelle cose della guerra. Ma un giorno i nobili vicini, che lo odiavano come le brutte ombre odiano il sole, ordirono una trama per ucciderlo. Odiavano la sua grande baldanza, le sue ricchezze e la sua fortuna. Come spesso succede speravano di distruggere tutto questo uccidendolo. Sapevano che era partito e il giorno in cui sarebbe tornato, così si appostarono nel bosco e attesero che passasse di lì. Lo attendevano dentro a una gola, certi che al momento in cui fosse passato avrebbero potuto saltargli addosso senza altri impedimenti e finirlo. Ma le cose non andarono così. Quei farabutti si erano scordati che Cedric aveva una dama che viveva soltanto per lui. Erano sposi da non più di un anno ma si amavano come fossero mille. Nessuno mai riusciva a separarli, e ogni volta che Cedric doveva partire per amministrare la giustizia nelle sue terre, la dama Elinor - questo era il suo nome - la dama Elinor sempre lo aspettava smarrita e ansiosa sopra i merli del castello.
Anche quella sera, all'imbrunire, era là. Vide Cedric entrare nella gola, e il cuore le diede un balzo di gioia in petto. Ma subito dopo una mano, una nera mano di morte le afferrò la gola come un gelo che si spandesse dovunque mortale. Elinor seppe all'istante che c'era qualcosa che avrebbe messo in pericolo il suo Cedric: lo seppe con la lugubre certezza che hanno a volte gli animali del bosco quando rizzano le orecchie nel nulla e paiono sentire echi arcani scorti nel vento. Lo seppe con l'orrore del certo, e con tutte le sue forze gridò.
Qui Prescott fece una pausa, aspettò qualche secondo e poi chiese ad Eileen:
- Devo continuare? Guardate che il seguito è spaventoso.
Eileen annuì senza parlare.
- Benissimo - riprese Prescott - Cedric era troppo lontano, giù a valle, e delle grida di panico di Elinor non avvertì che un mormorio leggero che spostava le foglie, inquieto. Scrollò le spalle e spronò il suo cavallo. Elinor vide con orrore che avanzava, lo vide entrare nella gola e a quel punto, ad una svolta della strada, stretta ai merli, vide i neri cavalieri appostati con archi e frecce. E la morte le scese nel petto. 'Dei del cielo' pregò 'io non posso con la mia sola debole voce dire a Cedric del pericolo che incombe. Aiutatemi voi, e prendete in cambio quel che volete'.
Così disse, e gli dei l'ascoltarono. Allargarono il petto di Elinor, le diedero corde vocali d'argento e una lingua di bronzo capace di urlare mille miglia lontano. Ed Elinor gridò la sua pena e lo strazio di vedere che moriva l'unico essere che aveva mai amato. Gridò, gridò, gridò, e la Morte ebbe pietà di lei. Cedric, nel folto del bosco alzò gli occhi e udì la sua dama che gridava, e vide i lampi delle  frecce scoccare e si gettò giù dal cavallo in tempo. Nel cielo si squarciarono le nubi e un fulmine cadde esattamente dove il cavallo si era impennato. I nemici fuggirono atterriti, e Cedric poté rialzarsi. Ora la strada era deserta, ma nell'aria non si muoveva più nulla. Non si vedeva più Elinor sulle mura.
Cedric corse al castello, corse come se avesse alle calcagna tutti i diavoli e le furie dell'inferno. Ma quando giunse sugli spalti di lei non c'era più alcuna traccia. Solo un lungo filo argentato che era stato uno dei suo lunghi capelli e adesso oscillava come un ramo d'oro alla tenue brezza della sera.

'- Dove sei, Elinor?' - gridò Cedric, e nulla rispose.
'- Dove sei?' - gli fece eco la selva, e i monti intorno e tutto e il nulla, e l'enorme strazio che aveva dentro il petto si allargò.
Di Elinor non fu trovata traccia né al castello né in nessun altro luogo. Alcune vecchie del villaggio che tornavano da cogliere erbe nell'ora dell'agguato dissero di averla vista volare via nel vento tramutata in sola voce. Dissero che l'avevano scorta mentre un lungo corteo di uccelli neri la scortava sulle sue ali lucide verso le nebbie impervie della montagna. Cedric vagò sopra la terra nera per tutti gli anni che gli restarono consumando scarpe e lacrime e sempre supplicando gli dei che concedessero alla bella Elinor di tornare. Non fu più visto neanche lui, e si pensa che si si addormentato o sia morto, in una sera di pioggia come questa, ai piedi di un albero frondoso che col suo canto gli ricordasse Elinor.
Eileen stette per un po' in silenzio. Poi una finestra sbatté, e li riscosse da quei lugubri pensieri.
- Cosa pensate sia accaduto ad Elinor?
Prescott continuò a fissare il fuoco.
- Voi che pensate che le sia successo?
- E' morta?
Prescott scosse la testa.
- Io penso che si sia volata via e nessuno l'abbia mai più vista. Ma che viva ancora, nascosta, e che sempre pianga il suo Cedric.
Stavolta fu Eileen a tacere. Quando riprese c'era come un pensiero che le ardeva subito dietro agli occhi.
- E' così facile, tenente, scomparire senza lasciare traccia di sé a questo mondo?
- Quando si muore …
- Non sto parlando di morte, piuttosto … se qualcuno volesse intenzionalmente far sparire una persona. Voglio dire, potrebbe riuscirci?
Prescott aprì la bocca per rispondere, ma Eileen lo fermò.

- Non sto parlando di Elinor, tenente, ma di una cosa nascosta in questa casa.
Prescott corrugò le sopracciglia.
- Cosa volete dire, mia cara?
- Vorrei farvi una domanda, signor Prescott. Sapete se in questa casa c'è qualcuno, o c'è mai stato, che sappia suonare molto bene il violino?
Prescott vacillò, lievemente.
- Non raccontatemi bugie, tenente. So che qualcuno c'è o c'era, davvero. E forse lo sapete anche voi … voi ci tenente un poco a me, signor Prescott?
- Ma certo, che domande, noi, io …
- Non non ci vedremo mai più se adesso non mi dite esattamente chi sa suonare il violino in questa casa. Badate, so già che né Thompson né vostra sorella lo suonano. Né io né voi, né il signor Nibbles o Norma, o Foster o Elizabeth. E nemmeno il piccolo Noah. Quindi cercate di non raccontarmi frottole.
Prescott la guardò con uno sguardo strano. Sembrava volerle leggere i pensieri.
- Mi dite almeno perché lo chiedete?
Eileen sospirò, e scosse la testa.
- No. Voglio prima sapere chi sa suonare il violino in questa casa. E badate che so che qualcuno doveva saperlo suonare molto bene. Quindi cercate di non ingannarmi. Ne ho abbastanza di gente che mente.
Fuori la pioggia continuava a scendere monotona. Prescott si alzò dalla sedia e andò verso il camino.
- Perché volete sapere del violino?
- Vi ho fatto una domanda, signor Prescott. Potete decide di non rispondere, ma in tal caso … andiamo, che cosa vi costa: vi ho chiesto solo se in casa c'è qualcuno che sa suonare il violino.
Prescott sospirò piano.
- Nessuno sa suonare il violino, in questa casa. No. Non c'è nessuno che suona il violino.
- E se io vi dicessi che lo so? Che so che c'era qualcuno che sapeva, che sapeva suonare il violino?
Prescott fece una piccola risata. Di tensione, di scherno, forse. Come quando si ha paura di guardare in uno specchio perché è sera, perché buio, perché è notte.
- Non so di che cosa parlate.
- Era lei, vero? La stessa che dormiva in questa stanza, a suonare il violino. O mi sbaglio? Avanti Prescott, ditemi soltanto se era lei che suonava il violino.
Prescott la fissò per lungo tempo.
- Chi ve l'ha detto? - sussurrò.
Eileen face un gesto vago.
- Lo sapevo. Poi l'altro giorno ho trovato la custodia. Me ne parlava a volte mia madre, dimenticate che siamo parenti? Così ho voluto … saperne qualcosa di più. E' una brutta storia, vero, Prescott?
Il tenente guardò da un'altra parte.
- Cosa sapete di quella donna, Prescott?
- Non molto più di voi. Davvero.
- Vi spiacerebbe raccontarmi chi era?
Prescott sorrise e andò alla finestra.
- Sono amico vostro, Eileen, davvero. Ma sono anche amico di Nicholas. Chiedetelo a lui, non a me. Se non vorrà dirvi niente, non è giusto che sia io a rivelarvi delle cose che ha preferito dimenticare.
- E' sua sorella, vero? - chiese Eileen, e senza aspettare una risposta, si alzò anche lei e andò dietro a Prescott. Gli cinse con un braccio la vita. Non sapeva neanche lei cosa faceva, ma era decisa a farlo, a tutti i costi.
- Ho bisogno di voi, signor Prescott - disse stringendogli forte la vita - Ho bisogno di voi per capire. Vi prego, non ditemi di no. Ve ne prego, io … io ho bisogno di sapere, vi prego.
Prescott si voltò lentamente verso di lei e le cinse le spalle con le braccia.
- Cosa volete sapere? - chiese.
La bocca di Eileen si mosse a pochi centimetri dalla sua.
- Tutto quello che potete dirmi - sussurrò.

Prescott cedette, ma prima che potessero di nuovo parlare dei misteri in soffitta trascorse ancora qualche istante. Il più incantevole che forse il tenente avesse mai vissuto.

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo Diciannovesimo ***


- Capitolo Diciannovesimo -

Quando Prescott finì di parlare, Eileen rimase a lungo in silenzio.
- Mi immaginavo una cosa del genere … ma non cos
ì tragica, purtroppo.
Prescott prese un gran respiro.
- Al tempo ne furono tutti molto scossi, pare … Catherine era cos
ì giovane, e Nicholas fu quasi sull'orlo della catastrofe. Non riusciva ad accettare la cosa.
- Certo. Un brutto colpo, non c'è che dire.
Prescott sospir
ò di nuovo, e insieme guardarono il fuoco. Adesso si tenevano per mano, ma Eileen quasi non ci faceva caso. Quel che aveva sentito occupava per intero i suoi pensieri: sette anni prima, a sentire Prescott, in quella casa era successo qualcosa di tanto brutto da spingere tutti a cercare per sempre di dimenticarlo. La scomparsa di Catherine Thompson, la sorella minore di Nicholas.
Una mattina Norma si era alzata, era andata a fare le faccende e poi, come ogni giorno, si era diretta alla stanza di Catherine per svegliarla. Catherine era un po' pigra a amava pare che amasse restare a letto più che poteva: ma quel giorno aveva promesso di aiutare Norma a fare una crostata di mirtilli. Per cui Norma sal
ì, tutta giuliva, per andarla a svegliare. Ma non la trovò nel suo letto. Anzi, il letto era intatto come se nessuno ci avesse dormito, quella notte. Eppure la sera prima l'aveva accompagnata lei stessa nella sua stanza, le aveva sciolto i bei capelli biondi e l'aveva aiutata a spazzolarli. Catherine era una bella ragazza di circa sedici anni, con lunghissimi capelli color oro e belle guance fresche di rosa. Una fanciulla serena e in salute che era una benedizione per la casa, e un piacere per gli occhi.
L
ì per lì Norma aveva pensato che si fosse alzata presto per andare a passeggiare. La ragazza amava molto la campagna e la cosa non sarebbe stata affatto insolita. Così era corsa in giardino per vedere se ere là da qualche parte. Ma visto che anche lì non v'era traccia, aveva mandato il signor Nibbles a vedere se era nelle stalle. Catherine ci teneva
Lindsay, un purosangue bianco che il fratello le aveva regalato. Non era raro che la ragazza trascorresse interi pomeriggi a spazzolarlo, a dargli da mangiare a intrecciare la sua lunghissima criniera di latte. Ma Nibbles era tornato a mani vuote: Lindsay c'era, la sua padrona no.
A quel punto era stato chiaro che non c'era più molto da scherzare: Catherine era sparita, e bisognava cominciare le ricerche. Erano stati mandati in città due stallieri per battere le strade, e Norma stessa, infilandosi la cuffia, aveva detto che non sarebbe tornata fintanto che non l'avesse trovata. Ma tutto era stato infruttuoso. A mezzogiorno nessuno ancora aveva avuto notizie di lei.
In quei giorni Thompson era a Londra per certi affari, e Norma decise di mandare Nibbles a cercarlo, nel frattempo lei e Foster avrebbero continuato le ricerche insieme. Si trattennero in paese fino al tramonto e chiesero ad ogni negozio, rivendita, persona che trovavano lungo la strada. Piano piano la voce si sparse, e nella notte era già organizzata una lunga spedizione per cercarla. C'era da dire che - eventualità a cui nessuno preferiva pensare - le campagne là intorno erano piene di brutte bestie, brutta gente e compagnie da cui era bene tenersi lontani. C'era poi, ad est, un pezzo di brughiera, non molto esteso, certo, ma abbastanza per sperdercisi in mezzo senza guida: dall'erica fitta spuntavano all'improvviso pantani e laghetti, doppi fondi di infide sabbie mobili, qualche piccolo stagno paludoso in cui era fin troppo facile scivolare inavvertitamente. Norma, quando fu al margine di quell'intrico piano di erica che ondeggiava al vento, scoppi
ò in singhiozzi talmente isterici che dovettero riportarla a casa. E stette con la febbre tre giorni, ma sempre rifiutandosi di mettersi a letto finché si fosse ritrovata la sua Catherine.
Ma le ricerche, protratte per giorni, non dettero i frutti sperati. Thompson, arriv
ò il mattino dopo la scomparsa, come una furia, a cavallo. Dopo la morte prematura di suo padre e quella improvvisa della madre, si era attaccato a sua sorella più di quanto la sua consueta, piana freddezza lasciasse immaginare. Dette ordine di cercarla dovunque, lui stesso scese insieme agli altri uomini per dragare i pantani più profondi e poi al fiume, e al Gladstone, e dovunque ci fosse stata speranza di ritrovarla. Ma se era caduta nel fiume, le correnti vorticose dovevano averla già portata lontana.
Quando fu chiaro che intorno non c'era più speranza di ritrovare la ragazza, Thompson quasi impazz
ì per il dolore e per la rabbia. Si chiuse in casa, rifiutò di mangiare e per un'intera settimana Norma picchiò invano notte e giorno alla porta del suo studio. Ma lui neanche si degnò di rispondere, e certamente ne sarebbe morto, se in quei giorni non fosse intervenuto un accidente a mutare le cose.
Norma, che non riusciva a consolarsi neanche lei della scomparsa di Catherine, metteva un giorno in ordine la stanza con quel sacro e religioso rispetto che si dedica alle cose dei morti. Ad un tratto, tra una lacrima e l'altra, vide sbucare un angolino bianco da sotto la sponda del letto. Incuriosita si chin
ò a guardare.
Era un foglietto tutto stropicciato, ma ancora perfettamente leggibile. Vi erano annotati sopra con meticolosa calligrafia infantile gli orari di tutte le diligenze che passavano dal vicino paese e attraversavano quella parte di campagna dirette a Southampton.
Ma che motivo avrebbe avuto Catherine per andare a Southampton? Non risultava che ci fosse mai andata, ne che mai ne avesse avuto bisogno. Allora Norma, quasi folgorata da una strana intuizione, fece quello che prima non avrebbe mai pensato di fare: apr
ì ogni cassetto della stanza, frugò tra le cose di Catherine, e scoprì che mancavano certi piccoli oggetti sfuggiti prima alla sua attenzione: tre vestiti, tra quelli più vecchi e meno appariscenti, che certe volte lei usava per andare in campagna, una piccola sacca di tela in cui teneva gli attrezzi da giardino e il minuscolo ritratto di sua madre. Catherine lo teneva sempre chiuso nel primo cassetto del suo sécretaire, come una specie di amuleto e mai se ne sarebbe separata, per nulla al mondo, volontariamente. Ma il ritratto adesso non c'era più.
Norma corse da Thompson, e davanti a questa nuova evidenza meditarono che poteva essere successo: Catherine forse se ne era andata di sua spontanea volontà, aveva preso con sé delle cose ne aveva riempito una sacca prima di allontanarsi, il ritratto di sua madre, dei vestiti. Non era morta o stata rapita. Grazie al cielo forse non era morta, e era ancora possibile ritrovarla.
Ma se aveva portato con sé il ritratto, se aveva fatto i bagagli e tutto il resto, voleva dire solo una cosa, forse non meno amara dell'altra: la ragazza si era allontanata di sua spontanea volontà dalla casa.
Se n'era andata vestita in maniera da non attirare l'attenzione, con poca roba e non pareva che avesse portato con sé denaro o oggetti di valore. Dovunque fosse diretta - e ora quello strano appunto per Southampton illuminava questo dettaglio in tutta la sua sinistra evidenza - dovunque fosse diretta non aveva portato niente di valore con sé, segno che non voleva stare via molto o aveva qualche appoggio stabilito. E visto che da Southampton partivano le grosse navi dirette dovunque ai quattro angoli del mondo, visto che quella era la grande testa dell'impero mercantile d'Inghilterra, c'era solo da immaginare che Catherine fosse salita con qualcuno su una nave per chissà dove. Che fosse stata aiutata a fuggire. Per chissà dove e chissà perché.
Thompson allora strinse in pugni e chiese a Norma se lei ne sapeva niente. Era stata lei la balia di Catherine, la sua maggiore confidente, la sua tata. Possibile che non si fosse mai accorta che c'era qualcosa che non andava, che la ragazza nascondeva qualcosa? Norma scosse la testa affranta. E per un po' pianse tutte le sue lacrime. Poi, a un certo punto, aiutata dalle incalzanti domande di Thompson, ricord
ò certe piccole cose, particolari che tempo prima le erano sembrati privi di importanza, ma che adesso, composti tutti insieme, formavano un ben  inquietante quadro.
Era vero: ricord
ò di avere avuto certe volte il sentore che in Catherine fosse in atto qualche strano cambiamento, le lunghe passeggiate ai margini del giardino, le mille e una visite alla sarta in paese per un vestito che non era mai finito. Ma lì per lì non ci aveva dato peso. Nella sua infinita ingenuità pensava ancora che sua pupilla fosse una piccola, semplice bambina.
Ora invece si faceva tutto chiaro: Catherine era d'accordo con qualcuno, e con qualcuno una mattina d'inverno era fuggita per South Hampton diretta chissà dove.
- E non hanno chiesto mai al postiglione se per caso l'aveva vista? - chiese Eileen.
Prescott scosse la testa.
- La diligenza attraversa tre grandi città una delle quali è Londra, mi capite? Se il cocchiere dovesse ricordarsi di tutte le facce imbacuccate che salgono, probabilmente non avrebbe più cervello per guidare neanche mezzo metro.
-Ho capito, ma comunque Thompson non ha fatto altri tentativi di ritrovarla?
- No, nessun'altro, a quanto mi risulta. La faccenda era stata terribile, e scoprire che Catherine era fuggita di sua spontanea volontà fu forse peggio che se fosse annegata nel lago. Thompson decise che per lui era morta. E non c'era alcun bisogno che gli altri conoscessero una storia diversa. Fu cos
ì Catherine Thompson rimase e rimarrà sempre per tutti uno spirito  in fondo a un lago o che vaga nella brughiera, scomparsa chissà come, svanita come succede agli spiriti del bosco.
- E se non fosse scomparsa? Se fosse ancora viva, e ben vitale, e rintracciabile?
Il tenente sospir
ò.
- Sono passati quasi sette anni, Eileen. E la vita là fuori è molto dura per una piccola graziosa ragazza sedotta e abbandonata, lo capite? La cosa più probabile di tutte è che sia morta di stenti quasi subito, o che piano piano il rimorso se la sia portata via.
- E il vostro amico non ha mai provato a cercarla? Davvero pu
ò aver fatto tutto questo?
- Non giudicatelo, Eileen, mia cara. Nicholas era attaccato a sua sorella più di quanto un padre potesse esserlo alla sua creatura prediletta. Io ho visto Catherine solo qualche volta, nelle rare vacanze che passavo in questa casa, quando io e Nicholas eravamo ancora studenti. Me la ricordo come una piccola gazza, una civetta graziosa e leggera che non avrebbe fatto male a una mosca. Le piacevano i cavalli e le corse, le belle rose e i giochi da bambini. Ma soprattutto le piaceva il suo violino: era una specie di dote naturale, sapeva suonarlo benissimo. Io l'ho sentita solo un paio di volte, ma quando accostava la testa a quella piccola cassa intarsiata, sembrava che all'improvviso tutto quel che era in terra diventasse diverso. Sembrava che parlasse la lingua degli antichi alberi e dei monti. Toglieva il cuore dalle labbra. E Nicholas, già capofamiglia, l'adorava come la luce dei suoi occhi. Avrebbe fatto tutto per lei, si sarebbe anche dannato l'anima per vederla sorridere appena. Capite perché non si è più ripreso e ha detto a tutti che è morta? Si è sentito tradito nel profondo quando lei se ne è andata cos
ì.
- Siete sicuro che non l'abbia più cercata? Che non abbia fatto più un tentativo di cercare di capire dov'era? Voglio dire, potreste giurarlo?

Prescott scosse piano la testa.
- Lo conosco e me ne ha parlato spesso: per lui è morta nell'istante esatto che è salita su quella diligenza. Non c'è altro da dire, per lui.
- E se vi avesse mentito? Se per caso avesse continuato a cercarla? Potete giurare davvero che l'abbia lasciata andare cos
ì.
- Lo escludo. Nicholas fa sempre quello che dice.
Eileen cap
ì che con tutti quei discorsi non sarebbe mai riuscita a convincere il tenente della chiara evidenza che invece a lei andava formandosi in testa, perfettamente chiara, e lampante, e incredibile. Decise che per darci un taglio bisognava decidersi a dire quello che fino a quel momento aveva a malapena osato pensare tra sé.
- E se invece l'
avesse cercata, magari all'insaputa di tutti? E se l'avesse ritrovata e riportata in questa casa, senza dir niente agli altri?
Il tenente sbottò in una risata che non aveva niente di allegro.

- Cosa? Ma come fate a dirlo, fino a un'ora fa non sapevate neanche che esisteva …
- Ricordate il suo violino, Prescott? Sapete se lo aveva con sé? Se lo aveva con sé quando è partita?
- Non lo so, non ne ho idea, ma non capisco cosa c'entri questo con …
- Thompson è tornato da poco da un viaggio. Mi risulta, da pochissimo tempo.
Prescott la fiss
ò. Aveva il volto lievemente contratto.
- E' vero - mormor
ò.
- E da dove tornava, lo sapete?
Prescott scosse la testa avanti e indietro.
- Dall'India … o almeno, cos
ì ha detto. E' stato il viaggio per cui ha lasciato …
- Esattamente. Per cui ha piantato di punto in bianco la sua sposa. A pochi mesi dal matrimonio, capite? E sapete perché l'ha piantata?
- No, io non lo so, ma …
Eileen sorrise trionfante.
- Da dove partono le navi per l'India?
Il tenente allarg
ò le braccia.
- Da Southampton, non lo so, almeno penso … - poi si ferm
ò a bocca aperta, sorpreso da quel che aveva appena detto - … voi pensate … ?
- Che sia stato chiamato in India, o dovunque sia andata Catherine quando è partita, sette anni fa. All'improvviso, esattamente, richiamato da qualcosa che gl premeva troppo per poterselo lasciare sfuggire. Forse il modo di vendicarsi o forse l'occasione di riabbracciare sua sorella.  
- Ma non pu
ò … voglio dire, non può essere vero. Altrimenti lo avrebbe detto, voglio dire …
- Thompson? Ma lo avete detto voi stesso che per tutti sua sorella è morta. Non avrebbe potuto farla certo resuscitare di punto in bianco! No,  tenente, se Thompson l'ha portata indietro adesso deve per forza tenerla nascosta. Tenerla nascosta e prigioniera, magari per farle scontare tutto il male che ha fatto a lui sparendo.
- E dove potrebbe mai tenerla? In un posto sicuro, lontano …
Eileen scosse la testa, animata come da una strana felicità animale.
- Sopra le nostre teste.
- Cosa?
- Esattamente sopra le nostre teste. A meno di tre metri sopra dove adesso io e voi stiamo seduti.
Prescott spalanc
ò la bocca.
- Non è possibile … io credo che … non …
- Non è solo possibile: è vero. L'ho sentita suonare più volte, ho visto Thompson salire in soffitta, al buio di notte. E in questa stanza ho trovato la custodiama del violino nessuna traccia: se lo avesse portato con lei avrebbe preso anche quella, se invece è ritornata e lo ha chiesto, beh … Thompson pu
ò averle portato il violino senza doversi portar dietro tutto il resto.
Prescott era basito.
- Voi dite …?
- Lo dico e ne sono sicura. Thompson tiene prigioniera sua sorella nella soffitta. Non so bene perché ma adesso posso anche immaginarlo: l'ha ritrovata, ma se ne vergogna, ne ha paura, la teme o chissà cosa. Pu
ò essere impazzita dal dolore, può essere brutta, invecchiata, malata … ma è pur sempre sua sorella. Così l'ha presa e l'ha riportata indietro, ma per non far sapere a nessuno quanto è caduta in basso la tiene segregata dal mondo. La nutre, la veste e la protegge ma non la fa vedere a nessuno, perché il mondo non deve sapere che Catherine Thompson è ancora viva, e solo un piano sopra le nostre teste.
A questo Punto Prescott fece una cosa che Eileen non si sarebbe aspettata. Si alz
ò in piedi e la fissò negli occhi.
- Avete prove di quello che dite?
- Ma come, non mi credete, neanche voi? E il violino, la custodia, la musica …
Prescott scosse le mani.
- No, per carità. Io vi credo. Vi credo ciecamente perché penso che siate una ragazza intelligente e non una sciocca sognatrice. Se dite di aver sentito quel violino, vi credo, punto e basta. E del resto è ben possibile che sia come dite. - poi fece una pausa - Ma, lo capite, c'è bisogno di prove. Non si accusa qualcuno cos
ì, alla cieca. Almeno non uno come Thompson.
- Ma come, e allora? Quella povera ragazza … Catherine …
- Non ho detto che non sia fattibile. Dico solo che ci vogliono le prove. E bisogna stare anche molto attenti. Se Thompson si accorge che sapete qualcosa quanto pensate che ci metterà a trasferire nottetempo sua sorella in qualcun altro dei suoi possedimenti, e a farvi passare per una sciocca bambina che dà retta alle favole?
- E allora? Cosa pensate di fare? Posso salire lassù quando voglio, anche stanotte, e trovare le prove, tutte quante le prove che volete!
- Che fate, voi? - poi, più dolce, avanz
ò verso di lei e la prese tra le braccia - Eileen, piccola Eileen, ti prego, ascolta. Giurami, giura che non faresti mai una sciocchezza del genere. Salire di notte nella stanza di un fantasma … Non capisci che può esserci di tutto dietro quella porta? Tu stessa mi hai detto poco fa che hai sentito i Nibbles parlare … parlare di una creatura pericolosa. Non sappiamo niente di lei, sempre ammesso che sia Catherine …
- E allora?
- Allora voglio che tu mi stia a sentire. Stattene quieta, aspetta, aspetta me. Voglio rendermi conto di che cosa esattamente sta succedendo. Alla fine sono amico di Nicholas. Lascia che provi a capire qualcosa di più sulla faccenda.
- Ma tu stesso hai detto che mai e poi mai …!
- Ho detto che non lo ammetterà mai. Certo che no, è chiaro. Trattandosi di Nicholas, no, certo. Si farebbe sgozzare prima di ammettere una cosa del genere … l'onore e tutto il resto … no. Qui bisogna giocare di astuzia. Lasciar passare qualche tempo, aspettare …
- Io non aspetto un secondo di più.
Prescott la strinse più forte.
- Non voglio più sentirti dire che non aspetterai. Hai aspettato e adesso lascia fare a me. Se davvero là sopra c'è lei, avremo bisogno di molta prudenza e di una buona dose di fortuna … ma lascia fare a me e vedrai che ne verremo a capo, noi due, insieme.
Eileen gli sorrise debolmente.
- Davvero pensi che sia la cosa giusta?
Prescott le accarezz
ò una guancia. In quel freddo pomeriggio piovoso, sembrò che loro due fossero sempre stati cos', vicini, a respirare insieme.
- Ti fidi di me?
- Certamente.
- Bene. Perché io ti amo, Eileen, e non voglio che ti succeda niente di male. Quel che mi hai detto è sconvolgente, è forte … e mi auguro col cuore che non sia vero. Ma se dovesse risultare che il mio amico, che il mio Nicholas è un farabutto tale …
- Come facciamo a dimostrarlo?
- Aspetta e non preoccuparti di niente. Trover
ò il modo prima di domani. Ma nel frattempo tu devi stare quieta, e riposarti e …
- Cos
ì non mi fai molto riposare - mormorò Eileen piano piano mentre le labbra del tenente cominciavano a solleticale le orecchie.
Ma il tenente già non l'ascoltava più.

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo Ventesimo ***


- Capitolo Ventesimo -

Eileen era troppo scossa per stare ferma. Innanzitutto la faccenda di Catherine, e poi … beh, non che Prescott non le avesse dato un bel po' da rimuginare su sé stessa. Quando uscì dalla porta, era troppo sbattuta per rimettersi a leggere, troppo eccitata per mettersi a letto, troppo piena di strani pensieri per pensare di riuscire a riposare. Era l'ora di cena, appena dopo il tramonto. Norma e gli altri dovevano essere a tavola.
Senza pensarci due volte si gettò sopra alla camicia da notte una vecchia giacca stinta che aveva chissà come rubato a suo padre. Pensò che se la notte era mite, tanto valeva approfittarne, e poi era tanto che osservando il giardino dalla finestra aveva una gran voglia di uscire a passeggiarci in mezzo. Quella era l'occasione ideale.
Uscì dalla stanza guardandosi a destra e sinistra in corridoio, per esser certa che non arrivasse anima viva ne dall'una né dall'altra parte. Sarebbe stato un bel guaio se Norma l'avesse vista in piedi, e a quell'ora per giunta!
Scese le scale scivolando rasente al grande muro coperto di arazzi, allungò uno sguardo alla sala d'ingresso e vide che anche quella era vuota, dunque via libera. Si inoltrò a passi svelti sul tappeto, spinse una porticina dal battente di legno, e in un istante era fuori, nella penombra confortante del giardino.
Tirò un sospiro di sollievo: quello che aveva appena fatto avrebbe potuto costarle carissimo, se qualcuno si fosse accorto della fuga, ma grazie al cielo era andato tutto bene. Sorrise, e respirò a pieni polmoni l'aria tiepida: nel giardino non si muoveva foglia, sembrava tutto avvolto da uno strano pacifico e dolce incantesimo. Come a volte succede quando si è stati troppo tempo al chiuso, ad Eileen sembrò di avere le ali ali piedi. Si mise a passeggiare su un vialetto molto discosto dal centro, in quel modo anche qualcuno affacciato alla finestra non avrebbe potuto scorgerla. La ghiaia sottile scricchiolava sotto le suole delle sue ciabatte, e piano piano Eileen fece l'abitudine al rumore, che era l'unico a rompere la quiete.
Cominciò a rimuginare, prima di tutto le rivelazioni sulla triste storia di Catherine: ormai era chiarissimo che Thompson l'aveva ritrovata da qualche parte, e la teneva chiusa in soffitta. L'unica era ancora capire se lo faceva in qualche modo a fin di bene (magari per salvarla da qualcuno o perché era ormai incapace di badare a sé stessa), oppure se era per una sorta di tardiva, crudele punizione.
Ma anche questo si sarebbe appreso presto. Prescott, prima di andarsene, le aveva fatto giurare di stare quieta e di non prendere iniziative, e lei ovviamente, di rimando, gli aveva fatto promettere che avrebbe cercato alla svelta di capirci qualche cosa in più. Non che le andasse particolarmente a genio vedere che qualcuno si prendeva tutto il divertimento di indagare sulla storia - e qui Eileen si fermò, un po' scossa, al termine divertimento - mentre lei se ne stava chiusa in camera a fare ipotesi solo col cervello. Ma, rifletté poi, era questo più o meno il senso della vita di una donna in quel secolo buio e oscuro: altro che Medioevo! Aveva sentito dire che in quell'epoca almeno certe donne indossavano la cotta di maglia e andavano a combattere in guerra. O diventavano regine, o papesse. Ogni tanto era successo davvero, che qualcuna si vestisse da uomo e andasse in giro per il mondo a dimostrare le sue grandi doti.
A lei invece, come del resto a tutte le donne del suo triste secolo, era precluso praticamente tutto quel che non fosse stare quiete a ricamare, disegnare paesaggi pittoreschi o tutt'al più a suonare il pianoforte: le guerre, così come le sfide, gli affari e le investigazioni, erano cose da uomini.
E infatti i risultati si vedevano: nel mondo ci si continuava ad ammazzare per un piccolo lembo di terra, le economie rendevano i ricchi sempre più ricchi e i poveri miserabili, e nella maggior parte dei casi le indagini della polizia si arenavano senza riuscire ad approdare a nulla.
Per ogni Sherlock Holmes che risolveva un caso, c'erano quattro Jack Lo Squartatore che se ne andavano a farsi una birra arcisicuri di non venire acchiappati. Ci sarebbe stato da credere che il crimine, in quegli ultimi anni, calasse non tanto per rischio quanto per noia. Per ogni banchiere Rotschild che fondava una fortuna sul commercio e l'industria c'erano per lo meno quattro individui come suo padre che facevano bancarotta (oddio, com'era triste ammetterlo) lasciando in miseria i creditori. Il mondo andava così, e non era per niente un bell'affare.
Scostò un piccolo avvallamento nella ghiaia su cui rischiava di finire e poi ricominciò a riflettere, stringendosi un po' la giacca addosso, che cominciava a fare un po' freddo.
Non sarebbe stato meglio se gli uomini avessero dato anche alle donne il potere di decidere almeno nelle cose che le riguardavano da vicino?
Bastava prendere ad esempio Norma: mentre Nibbles e Foster litigavano come due cani arrabbiati tutto il giorno, lei era sempre lì a lavorare, a fare torte, cuocere il brodo, rammendare. In una parola a spaccarsi la schiena in silenzio e sempre col sorriso sulle labbra. Foster e Nibbles messi insieme non sarebbero stati capaci di sbrigare in un mese un decimo del lavoro che Norma mandava giù in due ore, e con l'aria di non sentirlo affatto.
No, decisamente a loro donne, l'ipocrisia del secolo affidava molti lavori pesanti e insidiosi, ma sempre stando bene attenta a non riconoscerne il valore.
Cosi le donne, ben aldilà che vegetare nei salotti, potevano vendere carbone, scivolare per gli oscuri anfratti in miniera, lavorare coi bambini nelle fabbriche invase da vapori malsani. Potevano fare tutto come gli uomini, ma mai, mai una volta che la loro fatica fosse messa al pari di loro: prendevano metà del salario, lavoravano il doppio delle ore, e quando tornavano a casa dovevano anche sentirsi dire che non avevano voce in capitolo.
Così era adesso con lei e il tenente: dopo che Eileen aveva fatto la fatica di indagare e raggiungere quelle che le sembravano conclusioni abbastanza sensate sul caso Catherine, ecco che arrivava lui, bel bello, e le portava via di sotto il lavoro dalle mani. Sarebbe stato lui a salire con la pistola stretta in tasca le scale che separavano i vivi dai morti. Sarebbe stato lui, e solo lui, a girare piano la chiave nella toppa della stanza in soffitta. Sarebbe stato lui a fissare per primo in faccia gli occhi della follia …
- Se non state attenta a quelle aiuole, penso proprio che ci finirete in mezzo.
Eileen soffocò un grido e si voltò.
Thompson sedeva a pochi metri da lei.
- Una bella serata per andare un po' a spasso, non lo nego. Ma pensate che la signora Nibbles sarebbe d'accordo con noi?
Eileen tirò il fiato e non rispose. L'imbarazzo di trovarsi così, in camicia da notte e  e ciabatte davanti all'uomo che odiava e che …
- Il gatto vi ha mangiato la lingua. O almeno così pare e del resto … deve avervi mangiato anche il gusto. Non che quella giubba da cacciatore non vi doni, intendiamoci. Ma per un incontro galante vi avrei visto … in qualcosa di più femminile.
- Non credevo che venendo a passeggiare avrei fatto questo tipo di incontri.
- Brutti o belli?
- Non lo so.
- Probabilmente aspettate qualcun altro e io sono, come dire, di troppo.
Eileen arrossì come una pera.
- Oh, no, no, no … cioè, io, veramente …
- Volevate soltanto passeggiare. Benissimo, allora, visto che il caso ci ha messo sulla stessa strada, che ne direste di passeggiare un po' insieme? Ma prima forse sarebbe meglio che vi metteste qualcosa di più serio sulle spalle. Vi ho già detto che la giubba va benissimo, ma temo che tra poco sarà freddo.
E prima che potesse dire niente, Thompson le aveva drappeggiato addosso la giacca lunga che portava lui.
- Ecco, adesso sono più tranquillo che quando Norma ci scoprirà - perché lo farà, statene certa, bambina - che quando Norma ci scoprirà avrò almeno questo a mia discolpa: l'avervi fatta passeggiare ben coperta.
Eileen sorrise.
- Come vi sentite?
- Molto meglio, grazie. La febbre è passata e le ginocchia non mi tremano più come prima.
- Ne son felice. Mi era giunta voce che vi eravate abbastanza ripresa … sono contento, perché avrei voluto parlare un po' con voi e non sapevo se questo avrebbe potuto turbarvi, nella condizione in cui versate.
Eileen aggottò le sopracciglia.
- Turbarmi?
Thompson fece un gesto vago con la mano. Staccò un ciuffetto di foglie da un ramo e lo osservò con grandissimo interesse.

- Le belle notizie certe volte sono quasi come le brutte - disse - Lasciano segni profondi in superficie e ancora più profondi all'interno. Non volevo che annunciandovene una voi poteste essere, come dire … scossa più di quanto fosse necessario.
- E qual è questa buona notizia, se posso chiederlo? Adesso non abbiate paura, sto benissimo, lo vedete anche voi.
Thompson lasciò andare il rametto e le fissò gli occhi dritto in volto. Aveva un'espressione curiosa, a metà fra la ferocia e la dolcezza. Quando parlò, ad ogni modo, la sua voce era insolitamente gentile.

- E' incredibile quanto poco io e voi ci siamo frequentati, pur vivendo sotto lo stesso tetto. Eppure a forza di sapervi a girare sopra la mia testa … è finita che quasi vi considero una di casa.
Eileen lo guardò allibita. Era davvero lo stesso Signor Thompson? Scosse un paio di volte la testa, giusto per controllare di non essersi addormentata sopra una panchina, e stare sognando. Ma non successe niente.
- Vi dicevo che ormai - continuò lui - è un po' come se vi considerassi una parte di casa, mia cara. E poi sono il vostro tutore, il vostro mentore, si potrebbe dire … da quando il vostro sciagurato padre …
- Non è uno sciagurato!
- Ah no? Davvero? Ad ogni modo, non litighiamo ora …
- Se non vi rimangiate lo 'sciagurato' non si va proprio da nessuna parte! Arrivederci Signor Thompson!
- Aspettate! - così dicendo la fermò per un braccio, poi le sorrise e si rimise quieto -Non vi sembra che io e voi giochiamo un po' troppo a nascondino? Se fossimo dentro a un romanzo e qualcuno leggesse la nostra storia potrebbe anche prenderci per matti.
Eileen si riaggiustò giacca enorme che le stava cadendo di dosso.

- Non siamo in un romanzo, Signor Thompson.
- Va bene. Ma il nostro tempo è molto romanzesco. Direi intrinsecamente romanzesco. Giusto ieri leggevo di una storia molto pietosa: si ambienta qui vicino, parla una ragazza orfana di entrambi i genitori, che dopo lunghe peripezie in collegio trova lavoro in un castello antico. E c'è un padrone di casa molto burbero, di cui lei alleva la figlia illegittima …
- State parlando di Jane Eyre.
- Esattamente.
- E del suo grande amore, il signor Rochester.
- Certo.
Eileen esitò un attimo, guardandosi la punta delle ciabatte.

- Il signor Rochester aveva una moglie pazza. Voi che cosa nascondete, Signor Thompson?
- Prego? Non credo di aver …
- Niente, niente. Pensavo così, tra me e me. Ma comunque, cosa volevate dirmi? Qual è questa notizia sconvolgente che, pur ottima, potrebbe turbarmi?
Il Signor Thompson frugò nella siepe che aveva alla sua destra e staccò un rametto molto lungo, che cominciò immediatamente a spogliare di ogni foglia, meticolosamente.

- Io e Aurora ci sposiamo - disse fissando il rametto - il mese prossimo, molto probabilmente.
A Eileen per un istante mancò il fiato.
- A … Aurora Prescott? Oh, santo cielo, questo è … è … magnifico?
Il Signor Thompson fece una faccia strana.
- Oh, certo che è magnifico, certo. Come tutti i matrimoni noiosi … e felicissimi.
- Cosa state cercando di dire?
- Niente - disse continuando a torturare le foglie del rametto - Niente che non sia sotto gli occhi di tutti. Che il mese prossimo mi sposo, che la moglie che mi sono scelto è la splendida Aurora, che la vita va avanti e che le cose … le cose restano sempre le stesse. Non c'è niente di nuovo sotto il sole, recita un libro che vi consiglio di leggere. Contiene molte interessanti meditazioni a riguardo della vita. Di come tutto sia scontato e prevedibile. Rassicurante, e vagamente opprimente.
E ciò detto guardò il rametto spoglio, lo spezzò in due e se lo gettò alle spalle.

Eileen lo fissò senza capire. Decisamente a quell'ora di sera, in giardino, alla luce della luna quello che aveva davanti sembrava tutt'altro che il solito Thompson. O forse era stata lei, tanto distratta da certi particolari esteriori del suo carattere da non capire quanto di inquieto, di silenzioso, di strano si celasse sotto quella bella fronte piana e regolare? Del resto la cosa di Catherine avrebbe dovuto metterla in guardia.
Il Signor Thompson parve captare qualcosa.
- Poco fa vi ho citato un bel libro, e voi subito me l'avete indovinato. Non credete a certe affinità, Miss Merriott? Io penso che, se chiudessimo gli occhi e fossimo anche un solo istante capaci di scordare questi involucri umani, questi nostri affaccendati pensieri, forse davvero raggiungeremmo la vera, la difficile e esclusiva conoscenza di cosa siamo. Perché capite, così legati a terra siamo tutt'altro che liberi. Siamo cumuli dei nostri stessi errori, come valanghe che crescono e  crescono da una minuscola palla di neve. Come valanghe di passato corriamo senza una meta, dritti al futuro.
-  Voi non pensate che abbiamo una meta? Voglio dire, che esista un ordine, qualcosa che ci dice dove andare, che cosa fare, che vedere, come vivere …
- Poco fa vi dicevo di quel libro, Eileen. Bene, se esistesse una Provvidenza o qualcosa noi adesso saremmo esattamente nelle stesse condizioni in cui si vengono a trovare la buona istitutrice e il suo padrone. Ricordate la scena culminante? Loro due, in giardino, di notte, e poi lui che non decide sé stesso ad andare né avanti né indietro. E lei, la buona Jane, che aspetta … ma aspetta cosa? Velo chiedo, Miss Merriott.
- Aspetta che lui dica qualcosa.
- Precisamente, ed è questo il problema? Pensate che il signor Rochester sappia che cosa deve dirle? O meglio, cosa dovrebbe
- C'è differenza? - chiese Eileen.
- Enorme. C'è un'enorme differenza, Miss Marriott. Non dimenticate che nel libro il signor Rochester non è che un farabutto. Un buon diavolo di farabutto, d'accordo, ma sempre uno poco raccomandabile. Quindi se amasse veramente Jane, dovrebbe tenerla lontana, il più possibile lontana da sé.
- E non lo fa già abbastanza, il signor Rochester?
Thompson sorrise, di sghimbescio, a un larice.

- Ci prova. Ma a volte questo gli pesa un po' - sussurrò come se lo confidasse all'albero. Fece tre passi avanti sulla ghiaia, poi si voltò di nuovo e prese il fiato come dovesse rimanere sott'acqua cent'anni:
- C'è stato un tempo, signorina Merriott, in cui credevo, come tutti gli altri, di poter essere felice e di poter tentare di rendere tali anche alcuni esseri intorno a me. Purtroppo ho sbagliato con tutti. O comunque mi è andata molto male. Ne ho tratto il salutare insegnamento che nella vita è necessario camminare il più possibile in punta di piedi. Attutire, attenuare, sorridere e sforzarsi di avere vita propria cercando di non nuocere eccessivamente a quanti ci stanno d'intorno. Cercare di far loro del bene è quasi soltanto un miracolo. No … non  parlate. Lasciatemi finire, potreste non avere una seconda occasione. Vi dicevo che quel che si può fare è cercare di garantire agli altri una  vota dignitosa e a se stessi una relativa pace, nient'altro. Ho conosciuto Aurora Prescott due mesi fa, a Londra. Per me era un brutto periodo. Prima non sapevo neanche chi fosse. Suo fratello me l'ha presentata e io l'ho portata a teatro. Ho bel palco, giù al Globe, lo sapete? E la ragazza è spiritosa, giovane, graziosa. Il teatro le è piaciuto molto. Sarà una moglie perfetta per me. Non chiedo altro e non voglio altro. Un graziosa farfallina accanto.
Eileen, che per tutto il tempo era rimasta a braccia incrociate ad ascoltare quella strana confessione, adesso gli si fece vicino.
- Avete detto queste cose anche a lei? - gli sussurrò con un certo livore - Lo sa di stare per sposare un uomo che la ritiene una graziosa farfallina?
Thompson scosse la testa.
- Non le importa. Dubito che le importi qualcosa. Lei mi ama come le api amano il fiore colorato che vedono. Se fosse un altro fiore colorato, lo amerebbero alla stessa maniera. Ma io mi chiedo, c'è poi un modo diverso? Io sono contenta, lei è contenta, voi …
- Io cosa?
- Voi avrete il vostro Prescott … non cercate di dire niente, lo so. Vi ho visti, e lui mi ha parlato. Uscendo da voi, questa sera, è venuto a dirmi tutto quanto. So tutto, e non vi preoccupate, avete ogni mia benedizione.
Eileen aprì la bocca per parlare, ma un gesto di Thompson la fermò.
- Prima o dopo sarebbe uscito fuori. Tanto valeva dirlo subito, chiaro …
- Cosa vi ha detto esattamente, Prescott?  - chiese Eileen con un filo di voce. Davvero il tenente aveva potuto rivelare il loro segreto? Parlare a Thompson di Catherine?
Thompson fece un sorriso atroce ed allargò le braccia.
- Che vi ama e che vi vuole sposare. Che vi adora alla follia e che non chiede niente di meglio che vivere con voi tutto il resto della sua lunga vita …
- E voi?
- E io cosa?
- Cosa gli avete detto? Quando vi ha chiesto il permesso di sposarmi …
Un altro rametto ebbe la sorte che era toccata a quello prima.
- Gli ho detto che per me faceva bene. Ha avuto gusto nello scegliere, vi ha vista, vi ha coltivata come un fiore, vi ha fatto visita … indubbiamente è stato molto più assennato di quanto ci si potrebbe aspettare. Siete una donna di rara efficacia, Madame Prescott, e io sono contento che il mio amico abbia saputo scegliere così bene.
Ad Eileen ronzava la testa.
- Efficacia?
- La facoltà di stare sempre nel mezzo. Essere franca. E captare quello che gli altri ci tengono molto a nascondere. Certuni la trovano una dote … come dire, un poco indisponente. Ma io l'apprezzo molto …
- Quindi non vi ha detto altro …
- Che cosa avrebbe dovuto dirmi?
- Niente … niente, ma … davvero mi ha chiesto in sposa? A voi?
- Come vostro tutore ufficioso. Ricordatevi che lui non sa niente della vostra vera condizione. Vi crede mia cugina, e, penso, ricca. Non conosce i vostre debiti, la situazione che ha lasciato vostro padre … ma per questo ho già provveduto. Da circa un'ora siete proprietaria di un cottage a Burton House, di ventiquattro acri di terra a maggese, due greggi, quattro cavalli, una serva che provvederete a scegliere e una piccola rendita che frutta circa duecento sterline l'anno. Potete dunque sposarlo alla pari, senza alcuna difficoltà economica.
Eileen non lo stava più a sentire. Qualcosa dentro di lei si era rotto.
- Davvero avete detto sì? Voglio dire, lo avete fatto senza consultarmi?
- Perché, avete qualcosa in contrario? Non mi pareva che disdegnaste Prescott. E del resto, con tutte quelle visite … ma che fate, piangete adesso?
- Che avete fatto, farabutto? … Voi! Mi avete … mi avete fatto una dote? Per darmi in sposa a Prescott? - strillò Eileen. Le lacrime che per tutta la serata era riuscita a trattenere adesso sgorgavano fuori come lampi e fulmini di morte.
- Mi avete fatto la dote, farabutto, soltanto per sbarazzarvi di me!
Thompson si avvicinò di un passo. Alzò le mani per proteggersi dai graffi.

- Eileen, io … io non pensavo di farvi del male …
- Farabutto! Idiota! Insensato! Farabutto! Possiate andare al diavolo adesso! Anzi, ora! Andateci subito!
Così dicendo scappò via ma Thompson fu più veloce di lei e l'afferrò per le braccia. Adesso sul volto c'era una collera che Eileen non gli aveva mai visto.
- Ascoltami bene, signorina. Ascoltami perché non ripeterò: io mi sposo il mese prossimo con Aurora e Prescott ha chiesto la tua mano. Non vedo cosa ci sia di così strano. Ogni carta va a posto e tutti saremo più contenti, non trovi? C'è bisogno di mettersi ad urlare, per questo?
Eileen alzò gli occhi ai pugni in cui Thompson le stringeva i polsi.
- Saremo tutti più contenti, vero? - disse con rabbia, e anche un po' spaventata - Esattamente. Lasciatemi andare. Saremo tutti più contenti. Esatto.
Thompson, ansimando, la lasciò
.
- Perdonatemi, io …
- Non dite niente. No! A quante miglia da qui è Burton House?
- A diciassette - disse Thompson - ma …
- A diciassette. Perfetto. Spero solo che saranno a sufficienza da non rischiare di vedervi più in tutta la mia vita. Buona notte, Signor Thompson. E dite al tenente che avrà presto la risposta che ha chiesto.

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Risposte :)

 @Beatrix: Ciao, ben trovata! :) In effetti le cose non sono esattamente quelle che sembrano ... diciamo che sulla storia di Catherine non è ancora stata detta l'ultima parola. Di solito misteri come questi ce ne sono a decine in ogni libro, e di mogli/amanti/sorelle pazze se ne potrebbero riempire vagoni ... quindi io non starei troppo tranquilla ad affidarmi alla versione di Eileen ;) Probabilmente ci sarà ancora qualche piccolo colpo di scena. Un bacio, e davvro grazie mille di seguirmi con tutta questa aspettativa :) A presto, Vale
p.s. Il Signor Thompson chiede come fai ad essere sicura che sia meglio per lui lasciar perdere la bella Aurora ... cosa ti fa pensare che Eileen come moglie non sarebbe una gatta da pelare ben peggiore della nostra bella pianista??  Comunque si associa al mio saluto, e ci aggiunge un inchino galantissimo!

@Miss_Slytherin: Addirittura affascinata *_________________* Santo cielo, davvero, non mi aspettavo tanto! XD Per questo mi inchino compita, come farebbe il nostro Singor Thompson, e ti ringrazio di tuttissimo cuore! Per quanto riguarda Prescott, data la generale avversione che di solito suscita nel pubblico femminile la sua comparsa, il tenente ci tiene a mandarti personalmente - per mio tramite - un bacio soffiato sulle dita. Trova che questo sia molto galante, e, come dire, comme-il-faut. In attesa di prossimi sviluppi, io non posso che associarmi al bacio (magari non soffiato sulle dita :) ) e ringraziarti della tua recensione, che non è stata per niente noiosa, ma anzi, davvero piacevole! 

@Senza Fiato: Ciao! Ho letto, e ti ringrazio davvero di cuore, il tuo messaggio sulla bacheca della pagina Facebook di Ad Armi Pari. Anche per te vale quello che ho detto a Beatrix: io non sarei troppo sicura della versione che della scomparsa di Catherine ha dato Prescott, né tanto meno delle ipotesi di Eileen. La realtà è a volte un po' più complicata di quel che sembra ;) ... ma spero che nei prossimi giorni lentamente il mistero verrà a galla. Sia quello che abbiamo sempre sospettato, sia certi altri particolari che non immagineremmo neanche ... nel frattempo un bacione da me, da Eileen e naturalmente dal Singor Thompson! A presto presto, V.

@Lhoss: Last but - obviously - not least, my dear! Eccoci a noi. Certamente Prescott è diciamo ... volutamente un personaggio ambiguo. Del resto, se tutti fossero come il nostro bravo, onesto e tenebroso Signor Thompson probabilmente passeremmo tutto il tempo a sbavare senza costrutto, e la trama  non procederebbe di un millimetro. Invece Prescott è stato, come dire, plasmato su un altro personaggio che mi pareva molto adatto al ruolo: il simpaticissimo e amabile Febo di Chateaupers, che come sai io adoro in quanto specchio di ogni rigorosa onestà e virtù. Chiaramente un miracolo d'uomo. Insomma, è chiaro che il tenente non gode a fondo delle mie simpatie ma ... potrebbe sempre rivelarsi un uomo onesto, non dobbiamo avere pregiudizi! :)) Un abbraccio, e a prestissimo, Vale

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo Ventunesimo ***


- Capitolo Ventunesimo -


La mattina dopo Eileen scese a colazione meditando sul da farsi.
Tecnicamente avrebbe dovuto aspettare che fosse Norma a portagliela su, ma quel giorno - e dopo quella notte - non aveva nessuna voglia di aspettare. E poi non voleva rischiare che rimanendo in camera Prescott si facesse vivo con lei. Era ancora molto arrabbiata per come si era comportato: che diamine! Chiedere a Thompson la sua mano senza averla prima affatto consultata, eppure … Eppure era anche lusingata di aver ricevuto tutta quell'attenzione. Era cos
ì poco che si conoscevano, e lui già si spingeva così avanti. Certo, questo le metteva anche inquietudine: va bene che un bacio era un bacio … ma insomma, c'era tutta questa fretta? Si conoscevano da così poco tempo!
Rimuginando scese le scale, passò in cortile e di là in cucina. La giornata era bella e soleggiata, le fece piacere respirare. Evitò accuratamente il giardino in cui la sera prima si era svolto quel surreale dialogo. Certo che anche Thompson ne aveva di faccia tosta! Addirittura farle la dote, proprio lui …
- Signorina, non dovresti essere a letto? - le chiese Norma, che affacciata alla piccola finestra stava mettendo a raffreddare una torta.
Eileen cercò di protestare.
- Va bene - fece Norma - Ma vieni dentro, svelta, che non hai una bella cera stamattina. Cosa sono quelle occhiaie lì? Se non fossi malata direi quasi che hai pianto. Non hai mica pianto, vero?
- No, di certo. Non ne avrei avuto proprio nessun motivo.
- Ah, menomale - fece Norma - sai quante volte sbircio quel visetto e mi viene da pensare, ma ... gradisci una fetta di torta?
Eileen si sedette e prese la fetta di torta ed il thé. Stavolta era alla rosa canina.
- Delizioso.
- Grazie, mia cara. Ho raccolto le bacche giorni fa e non vedevo proprio l'ora di bermelo in santa pace … e finalmente ora che tutti se ne sono andati, anche io ho il mio momento di tregua!
E così detto si imburrò un crostino. Eileen la fissò incredula.
- In che senso se ne sono andati tutti? Non vorrete …
- Dico che se ne sono andati tutti, stamattina. Il signor Thompson, Prescott e anche quella piccola smorfiosa di Aurora. Pensa che è una ragazza così sciocca, che l'altro giorno … Ma. Che hai? Per caso non ti avevano avvertito avvertito?
Eileen era rimasta con la tazza a mezz'aria.
- Non … non mi hanno detto niente, no. Ma chi è andato via, il Signor Thompson? Aurora? Sono andati in città? Torneranno?
Norma sorrise e scosse la testa.
- No, no, te l'ho detto, tutti quanti. Se ne sono andati tutti quanti e penso proprio che non li rivedremo per un bel pezzo. Stamattina il padrone è venuto  e mi ha detto che dovevano partire, lui e i suoi amici, subito. Affari urgenti che li chiamavano a Londra. Qualche ballo sicuramente, o una festa. Ad ogni modo, quando ho chiesto se pensavano di ritornare presto, Thompson ha scosso la testa: 'ce ne staremo via parecchio tempo, Norma' ha detto proprio così 'parecchio tempo, penso, davvero'. Dopo di che mi ha voltato le spalle ed è sparito. Pensavo che ti avesse salutato! Ma non fare quella faccia, bambina. Il Signor Thompson fa sempre così: un attimo prima è lì accanto e un attimo dopo è sparito chissà per quanto. L'ultima volta è stato via quasi un anno.
Eileen deglutì a fatica.
- E non sapete dove è andato, di preciso?
- Oh, no. Il padrone non lascia mai un recapito. Semmai è lui a mettersi in contatto con noi, dice che questo tiene lontani i seccatori.
- Ah, ho capito. E il tenente? Anche il tenente …
- Il tenente - disse Nibbles entrando e togliendosi di dosso il grembiule che usava sempre quando innaffiava i fiori di buon mattino. Aveva nella tasca una lettera che sventolò sotto gli occhi di Eileen - Il tenente ti ha lasciato questa. L'ho visto stamattina, mentre stava per salire in carrozza. Mi ha fatto cenno di avvicinarmi e di aspettare un secondo. Poi ha scritto queste due righe e me le ha date, raccomandandomi di darle solo a voi - e qui Nibbles fece la faccia di uno che ha trovato in un bel cesto di pesche una biscia grossa come un tubo.
Eileen afferrò la lettera e lesse due volte le quattro righe che la componevano.
- Tutto qui? - chiese quando rialzò gli occhi.
Nibbles si strinse nelle spalle.
- Se vuoi posso aggiungere qualcosa, ma penso che non sarebbe educato.
Norma lo fulminò con lo sguardo.
- Che succede, bambina, cose gravi?
Eileen scosse la testa e si alzò.
- No, niente, niente, signora Nibbles. E grazie della torta, era ottima. E ora scusatemi, ma devo proprio andare.
Così dicendo scappò via in giardino. Nibbles e Norma si fissarono l'un l'altra. 

La lettera di Prescott, rifletté Eileen non appena fu riuscita a ripararsi dietro una siepe, era quanto di più strano al mondo si potesse immaginare: diceva telegraficamente che Thompson aveva chiesto ad Aurora di partire per Londra il giorno dopo, e a Prescott di seguirli. Il tenente diceva di aver ponderato le possibili ragioni di un rifiuto, e di non aver trovato niente che non avrebbe destato sospetti nel suo amico, così aveva deciso di accettare. Non si sa mai che durante quell'assenza riuscisse a cavare di bocca a Nicholas qualche ulteriore particolare dell'intricata vicenda di sua sorella. Dopo di che la salutava con un bacio e le diceva di stare tranquilla e di non prendere alcuna iniziativa. Avrebbe pensato lui a farsi vivo non appena ne avesse avuto modo. Seguiva firma, data e un piccolo cuore vergato in fretta con la penna.
Eileen storse la testa disgustata. Nient'altro?
Niente indirizzo a cui scrivere, niente indicazioni sulla meta del viaggio, niente bisogno di metterla al corrente di tutti questi nuovi sviluppi? Davvero si aspettava che lei se ne sarebbe stata buona così, ad aspettare alla finestra come Elinor il ritorno del suo prode Cedric?
Le venne da ridere di un riso per niente sano.
Per non mettere a rischio i suoi nervi, Eileen pensò che era meglio sedersi prima di affrontare il problema. Davvero Thompson era stato così assurdo da averle detto tutte quelle cose senza senso ed essere corso posi subito a dire a Norma che voleva partire? A prendere con sé la sua bella e il suo migliore, adoratissimo amico, ed andarsene senza dirle niente. Come se lei fosse una parte del mobilio di casa? Ma non aveva forse messo in conto che Eileen Merriott non sarebbe stata mai parte del mobilio di nessuno! E se qualcuno non l'aveva capito, era bene che lo imparasse adesso.
Furiosa si alzò di nuovo dalla panchina di pietra e fece due o tre volte avanti e indietro sulla ghiaia del vialetto.
Davvero era possibile che fossero tutti così idioti? Thompson scappava, Prescott non capiva e Aurora cinguettava felice perché preso si sarebbe sposata. E lei cosa faceva, in tutto questo? L'ospite orfana, la brutta Jane Eyre? Non si sarebbe mai detto di Eileen Merriott che faceva la stupida Jane Eyre!
Avrebbe preferito mille volte essere come la terribile Bertha, la moglie pazza e incendiaria del signor Rochester, piuttosto che starsene quieta a vedere che tutto andava a rotoli! No, decisamente non l'avrebbe permesso, era per questo che avrebbe … un pensiero le attraversò la testa.

Avrebbe fatto cosa?
Nessuno sapeva dove erano andati i fuggitivi, e come rintracciarli. L'unica cosa che si poteva fare era cercare in ogni angolo di Londra, una città di un milione di abitanti.  Una città da un milione di abitanti da passare al setaccio da sola.
E poi per cosa? Non capiva bene neanche cosa ci fossero andati a fare a Londra quegli idioti … e il perché di una partenza del tutto inaspettata.
Stette per male tutta la giornata. Pranzò di cattivissima voglia, sempre incollata alla finestra per vedere se per caso ritornava la carrozza con notizie da Prescott.
Chiese a Nibbles di andare due volte alla posta per chiedere se c'erano lettere per lei, frugò nella camera del tenente e anche in quella di Aurora, per vedere se per caso non avevano lasciato indizi.
Fu tutto inutile, sembravano essersi dileguati nel nulla.
Sempre chiedendosi che cosa li aveva fatti scappare tutti a quel modo (e avendo anche una piccola idea al riguardo, che concerneva gli ultimi momenti del suo strano colloquio con Thompson), Eileen si ritrovò alla fine del pomeriggio senza sapere come ci era arrivata. Ed era stanca, stanca morta.
Succede a volte che quando si passa il tempo immersi in strane domande, o a cincischiare, ci si senta alla fine più stanchi e esausti che se si fosse lavorato. Eileen, almeno, si sentiva la testa pesantissima e troppo piena di idee, una più confusa dell'altra.
Pensò bene di andare a svagarsi un po' in biblioteca.
Come si è detto, quella per i libri era una sua grande passione.
Contrariamente a quel che si può pensare, quando era davvero troppo confusa, immergersi nella lettura di un volume non solo l'aiutava a rilassarsi e ad allentare un po' la tensione, ma addirittura a riflettere meglio.
Andò in biblioteca e si scelse una piccola nicchia vicino alla finestra. Da lì poteva comodamente tenere d'occhio sia la piccola stanza completamente tappezzata di scaffali e foderata di damasco rosso, sia la vetrata e il cortile di sotto, caso mai si facesse vedere qualche carrozza con notizie all'orizzonte.
Agli scaffali c'erano decine e decine di volumi: alcuni recavano sul dorso strani stemmi e monogrammi, o qualche macchia più scura di muffa o di usura.
C'erano poi, relegati in file di alti codici borchiati, alcune decine di atlanti dall'aria piuttosto imponente, volumi spessi di enciclopedie, qualche mappa della terra e persino un grande atlante anatomico. Eileen scorse tutto con interesse, rosicchiandosi ogni tanto le labbra quando era indecisa su che scegliere. Si fece più avanti, e osservò quello che c'era proprio accanto alla porta.
Negli scaffali centrali, sotto una pila di vecchi albi illustrati e decine di opere in lingua greca e latina, c'erano anche alcuni metri di Bibbie, probabilmente retaggio di qualche paffuto antenato canonico.
Eileen si mise a sfogliarle, ammirò le belle illustrazioni e le pagine tutte ghirigori decorate e odorose di paglia. Prese poi in mano una buffa edizione di un vecchio libro che suo padre amava molto: il Thristram Shandy di Sterne. Lei non l'aveva mai letto, ma giudicò, dall'usura delle pagine, che a qualcuno doveva piacere molto.
Sulla pagina di guardia del volume c'era una bella firma svolazzante che doveva appartenere al signor Thompson o a qualche suo antenato.
Da un'altra parte trovò invece, e ne sorrise, qualche decina di quaderni vecchissimi dove ben altre e meno certe firme erano state vergate dalla stessa, giovane mano. Si trattava di appunti ed esercizi del piccolissimo Nicholas. Trovò frasi sgrammaticate e macchie dove l'inchiostro aveva fatto un disastro, le note in rosso di qualche precettore e certi bruttissimi schizzi di casette e di alberi deformi.
Rise molto, e ciò servì a distrarla. Non si accorse che passava il tempo fin tanto che non notò che il sole tramontava oltre la vetrata. A quel punto qualcosa le disse che non sarebbe più tornato nessuno. Tanto valeva, aspettando la cena, di scegliersi qualcosa da leggere.
Puntò dritto allo scaffale dei romanzi francesi. Va detto che questa parte non era così aggiornata come tutto il resto, ma vi trovò comunque delle opere tali da mozzargli in gola il fiato.
Tra gli altri spiccavano una splendida e rarissima edizione delle Liaisons Dangereuses di De Laclos, libro introvabile e assolutamente proibito a motivo della licenziosità che pareva ne pervadesse le pagine sotto una patina di astuto perbenismo. Più avanti, qualche tomo di un tizio che si chiamava Zola e che Eileen non aveva mai sentito nominare: per di più erano tomi enormi. Ne sfogliò uno, ma lo posò contrariata. Che le importava di sapere le avventure di una banda di ferrovieri di Parigi? Erano molto più interessanti certe opere altamente istruttive che parlavano di bei sentimenti e imprese galanti e avventurose. Ne scorse una, Le Vicomte de Bragelonne , che aveva letto tempo prima e che le era piaciuta un sacco. Parlava della famosa leggenda della Maschera di Ferro e di come avesse infine epilogo la storia dei Tre Moschettieri.
Accanto a quella campeggiavano due tomi dei Misteri di Parigi, e una raccolta di alcune novelle di Merimeé. Carmèn era la sua preferita: pareva che a Parigi qualcuno ne avesse tratto addirittura un'opera. Poi c'erano altre opere minori, racconti di fiabe e leggende, ma ad un tratto quando si era quasi decisa per un romanzo gotico, scorse vicino alle sue spalle due splendidi volumi illustrati di Hugo. Uno era Notre-Dame de Paris, libro che aveva letto circa cento volte trovandolo davvero stupendo, l'altro era Les Miseràbles, un altro capolavoro assoluto che non riusciva proprio a dimenticare. Si immerse per un buon quarto d'ora nelle vicende del buon Jean Valjean e in quelle, ancora meno fortunate dello sciocco e irresoluto Gringoire, e si dimenticò di tutto il resto.

'Se io fossi un personaggio di Hugo'  pensò a un certo punto ricordando la fine di entrambe le storie 'protesterei vivamente con l'Autore. Non è possibile che alla fine di ogni libro tre quarti dei personaggi principali siamo morti di una morte atroce o siano sfiniti dagli stenti'. Ma alla fine monsieur Victor rimaneva sempre il migliore.
Accanto a Hugo c'erano certi russi di cui aveva solo sentito parlare, un po' più in là delle insulse commedie di una certo, noioso Oscar Wilde, e in fine un piccolo tomo che quando vide, fece un balzo dalla gioia.
Si trattava di un'edizione recentissima dei Delitti della Rue Morgue. Nonostante fosse una signorina e le piacessero moltissimo i romanzi, Eileen non disdegnava affatto di pascersi di letteratura macabra. E quel piccolo scritto - a quanto aveva sentito - racchiudeva delle storie inquietanti ed assolutamente orripilanti. Proprio quello che ci voleva per distendere i nervi, così  lo prese, lo portò alla finestra e accomodatasi comodamente in poltrona s'immerse nella lettura.
Non seppe mai quanto tempo fosse passato, ma ad un certo punto sentì una risatina accanto a sé. Fece un balzo per lo spavento, ma intorno non vide nessuno.  Si rimise a leggere pensando di aver sognato. Del resto le capitava spesso, di cadere in una specie di trance, se solo aveva un libro per le mani. Ma non aveva ancora letto due righe che la risata si ripeté. E siccome era arrivata ad un punto che faceva parecchia paura, Eileen sobbalzò sulla sedia.
- Se mi reagisci così quando rido, cosa farai quando vedrai lo Spettacolo?
Noah sgusciò da sotto la coperta di damasco del tavolino a fianco, e dopo un attimo comparve la sua scatola.
- Da quant'è che mi spii, brutto …
Noah rise.
- Sono arrivato da dieci minuti, ma ho visto che leggevi e non volevo … certo che quando leggi fai sempre quella faccia buffa e immusonita? E poi ti rosicchi le punte dei capelli …
Eileen arrossì.
- Nessuno ti dava il diritto di starmi a spiare! E, a proposito … come hai fatto ad arrivarci? Avevo chiuso la porta …
- Non ti ricordi? Sei sul mio territorio! E' la mia pista per fare esercizi!
Eileen lo fissò stralunata.
- Ma se sei stata proprio tu a darmi la chiave! - rise di nuovo - Ti vedo un pochino strana, oggi, Linny … non sarà mica che è successo qualcosa? No, - continuò - perché se non stai bene ho la medicina. Le mie bambine hanno quasi finito di imparare il loro magico numero. Se te la senti potrei anche mostrarti … ma non ti voglio anticipare niente! Ti va di darci un'occhiata?
Eileen sospirò e lasciò andare il libro.
- Certo che mi va … fai vedere …
Noah fece un bel sorriso e cominciò a disporre le sue processionarie.
- E' quasi tutto pronto, manca solo il numero del giro della morte. Il problema è che sanno andare dritte, ma quando arrivano agli angoli non svoltano. Ed è un problema questo, perché così il cocchio non gira, e Creamy cade sempre di lato. E' un grosso peccato, davvero. E pensa che ieri sera ci erano quasi riuscite, quando quei due sono venuti qui e mi hanno interrotto! Ho dovuto a nascondermi lì sotto, per non rischiare di esser visto, che roba! Un altro po' e ci stavano un secolo … me non male che poi se ne sono andati, altrimenti Creamy ci impazziva!
Eileen aggrottò le sopracciglia.
- Chi erano quei due? - chiese.
- Il signor Prescott, il tenente, e … quella smorfiosa della signorina Aurora.
- Erano qui ieri sera, vuoi dire? Sono entrati per prendere un libro?
- See … come io ero qui per cucinare! Ma no, che libri, sono sgusciati dentro come se avessero una spia alle calcagna. Si sono chiusi la porta alle spalle, e, beh … sono venuti qui alla finestra. Poi Prescott le ha detto qualcosa, e non la finivano più di sussurrare. Te l'ho detto, ci è voluta una mezz'ora perché mi lasciassero in pace.
- E che si sono detti? Lo hai sentito?
Noah fece la faccia contrita.
- Lo so che non sta bene, Linny … ma qui sotto si sentiva proprio tutto.
- E sai cosa si sono detti?
- Certamente. Parlavano del Signor Thompson e di una tizia, una sua cugina. Dicevano che bisogna separarli.
- Cosa?
- Esattamente. Ha detto così. 'Portare il Signor Thompson lontano da sua cugina, e subito. Prima che quella scopra qualcos'altro'.
Eileen divenne bianca come un cencio.
- Sei sicuro di aver sentito bene?
- Benissimo - fece Noah - Ma ti interessa? Tu per caso conosci sua cugina?
Eileen non rispose.
- Hanno detto che una volta è andata male - continuò Noah, sempre stando sistemando le sue processionarie - ma che bisogna che vada bene ora. Per non ci dovevano essere grane. O intoppi, o roba del genere. Quindi bisognava portare il Signor Thompson subito a Londra. Doveva chiederglielo la signorina Aurora. Portarlo via con una scusa qualsiasi. Prescott ha detto che questa cugina, la cugina di Thompson, voglio dire, ha scoperto qualcosa di brutto, e che era meglio per tutti se loro se ne vanno il prima possibile. Sembra che Prescott debba anche sposarla, questa cugina del padrone, e voglia portarla via, molto lontano, subito dopo il loro matrimonio. Pare sia sempre per tenerla lontana da qualcosa …
- Cosa? - chiese Eileen era terrea.
Noah si strizzò nelle spalle.
- Non lo so, non l'ha detto, ma … che ti importa? Non tu sei mica sua cugina! Ehi! Aspetta! Ma che ho detto? Dove vai …
Eileen era scattata in piedi e si era precipitata fuori dalla porta. Cosa significava quel dialogo che Prescott aveva avuto con Aurora? Cos'era stato a portarlo lontano, ad indurre sua sorella a chiedere a Thompson di partire per Londra? Se c'era una cosa certa era che Prescott aveva mentito: non era stato il Signor Thompson a chiedergli di allontanarsi. Ma perché? Cos'era successo nel frattempo?
Con la testa che le prendeva fuoco Eileen salì le scale e si diresse in camera sua. Appena arrivata si chiuse la porta alle spalle e cominciò a rovistare dentro ai suoi bagagli. Doveva andare a Londra, subito. Doveva prendere Prescott e chiedergli che significava quella partenza improvvisa e quel biglietto, doveva fermarli tutti quanti, chieder conto,  prendere Aurora, sbatterla via, dire a Thompson che … ma un momento!
Ripensò a quello che aveva detto Noah e alla raccomandazioni del tenente: qualcuno voleva tenerla il più possibile lontana dalla soffitta. Qualcuno non voleva che scoprisse il mistero che si celava dietro la triste storia di Catherine Thompson.
Eileen guardò fuori dalla vetrata. Il sole ormai era solo un ricordo, e le tenebre avanzavano circospette. Una rondine planò
sopra un platano dove aveva il nido e si dispose a richiudere le ali per la notte. Cominciavano invece a svegliarsi gli inquieti animali notturni.
Eileen decise che quella notte avrebbe vegliato con loro.

-----------------------------------------------------     Risposte :)   -------------------------------------------------------------

@Beatrix: Eccoci qui a rispondere ... innanzitutto: ciao e mille grazie per la recensione. Mi inchino di nuovo davanti ai complimenti *___________________* :  troppi! Comunque ti ringrazio molto, e la mia vanità si associa ai ringraziamenti. Per quanto poi concerne Aurora e il Signor Thompson, beh, penso che, disgraziatamente, dovrà essere lui stesso a decidere. Noi non possiamo forzarlo, ma ad ogni modo io il mio piccolo consiglio all'orecchio glie l'ho soffiato ... magari gli trasmetto anche il tuo, sperando che rinsavisca e ci ripensi a sposare la piccola ape. Più di così noi non possiamo fare, aspettare è tutto quello che possiamo. Io spero vivamente che il Tempo stia lavorando dalla parte giusta, anche se potremo saperlo soltanto strada facendo, perché in effetti certe volte 'sti personaggi hanno un po' la malefica tendenza a fare quello che par loro e a sgusciarmi lesti lesti tra le mani .... come dice il poeta: habent sua fata libelli (i libri vanno un po' per conto loro)!  

@SenzaFiato: Aspetta, aspetta, e ne vedrai delle belle ... come vedi già on questo capitolo si cominciano a mostrare le carte, e a scoprire certi altarini che qualcuno vorrebbe nascondere. Ma ... non voglio dire altro, altrimenti vi rovino la sorpresa! Bacioni! p.s. Grazie per aver definito 'romanzo' questo piccolo pezzettino di niente ... non me lo merito ma mi ha fatto non sai quanto piacere! :)))

@Miss_Slytherin:  Dunque dunque dunque ... prima di tutto il tenente - pur momentaneamente assente dalla scena - mi dice che risponde con estremo piacere alla tua richiesta di un altro bacio. Te ne manda anzi  quattro, tutti ovviamente molto galanti e appropriati, conella speranza che siano sufficienti durante la sua assenza ... ma non per troppo, spera, eh! Lui ama molto che gli siano richiesti di tanto in tanto, solleticano la sua vanità :) Per quanto riguarda il resto, beh ... diciamo che Prescott sta facendo qualche piccolo gioco azzardato. Chissà se gli andrà in buca oppure no. Nel frattempo, ora che è scappato, possiamo solo tirare a indovinare e aspettare la sua prossima mossa! p.s. Ah, e naturalmente - anche se Thompson avrebbe qualche probelmino a ammetterlo a sé stesso - al sua unione con Aurora è tutt'altro che una cosa pacifica. Anche lui, poverino, è tormentato ;)

@Lhoss: Mia cara, temo che l'Arcidiacono debba cercare di allungarsi le braccia quanto più può: non è facile contenerci entrambe, ma penso che debba riuscirci, ne va della sua vita e della sua ... felicità. Tornando alle più prosaiche cose (ma l'Arcidiacono di Josas ovviamente sta sempre nel nostro cuore come Padrone e Signore - nonché Maestro indiscusso e sublime di Perdita-del-Controllo-con-Botto), temo che non ci sarà nessun gobbo che si incarichi del pietoso ufficio di defenstrare il tenente. Dovrà pensarci qualcun altro, sempre che certe cose siano chiarite. Nel frattempo non ci resta che aspettare e goderci le sublimi scene di raccapricciante quanto amabile incertezza sentimental-vittoriana. Un grande abbraccio, a cui si unisce ovviamente anche la parte più tormentata di Thompson, la tua V.

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Capitolo 23
*** Capitolo Ventiduesimo ***


- Capitolo Ventiduesimo -

Era decisa. Aspettò che tutti fossero andati a dormire (sentiva sempre il signor Nibbles chiudere con molta attenzione il portone del pianterreno prima di salire in camera), e poi scivolò in corridoio. Era buio tutto intorno a lei, ma luna le permetteva di vedere almeno dove metteva i piedi. Avanzò.
Non sentiva alcun rumore, ad eccezione di un animale notturno che su un ramo si stava scambiando opinioni con l'aria immobile.  Quando la vide, attraverso il vetro di una grande finestra spettrale, fiss
ò gli occhioni gialli su di lei, e non si mosse. Eileen non seppe se inquietarsi o ridere. Tirò a diritto.
Arriv
ò ai piedi della scala. I gradini si srotolavano come un serpente nell'oscurità. Mosse un passo decisa a salire, poi un altro.
Per qualche metro non successe niente, poi, proprio alla svolta della scala qualcosa, un piccolo rumore la fece sobbalzare: era la musica.
Era più quieta del solito, forse più dolce, non lo seppe dire. Ma era anche incredibilmente bella. Come una specie di cantilena ipnotica l'attirava e le indicava la strada. Poi tacque di nuovo, lasciandola.
Eileen fece altri quattro passi, poi si ferm
ò. Stava davvero per salire quelle scale? Tutti i misteri, tutte le stranezze, e poi Thompson, e Prescott, e … mentre un sudore freddo e lieve cominciava a serpeggiarle su per la schiena, scosse la testa e decise di continuare. Qualunque cosa avesse trovato sarebbe sempre stato meglio dell'eterna ignoranza a cui volevano votarla. Era nata con un cuore tenace: era calma, tranquilla, lieta, ma non si sarebbe mai fatta dire da qualcuno cosa doveva fare. Non almeno in quelle circostanze.
Un piede dopo l'altro arriv
ò all'ultimo gradino.
Uno spettacolo insolito si apr
ì nella penombra davanti ai suoi occhi. Era arrivata ad un pianerottolo interamente ingombro di scaffali: non c'era niente sui ripiani, solo polvere e qualche vecchio giornale bisunto. Un altro passo sull'impiantito vecchio fece schizzare via nell'oscurità qualcosa che poteva essere un topo.
Eileen gir
ò lo sguardo e non capì: lo spazio davanti a lei sembrava finire come era cominciato, una specie di corridoio cieco che dava sul nulla. Non c'era più neppure la musica a guidarla. Accanto a lei, sulla destra, una vecchia poltrona sfondata e un corrimano che si stava staccando dal legno marcio della ringhiera, un piatto vuoto, stracci, una brocca. Sembrava proprio non esserci niente, ma … Tornò a dare uno sguardo al piatto e vide che era appiccicoso. Di qualcosa che sembrava marmellata - almeno a giudicare dall'odore - ed era recente. Anche il dentro della brocca era umido, come se fosse stata usata da poco.
Consider
ò la poltrona, il giornale e pensò che forse potevano essere le tracce di un qualche recente passaggio. O di qualcuno che facesse la guardia. Ma a che cosa? Strizzò bene le palpebre nell'ombra per cercare di sfruttare al meglio la pallidissima luce che filtrava da un abbaino molto in alto.
Tast
ò le pareti ad una ad una, col solo risultato di imbrattarsi le mani di calcina vecchia e muffa. Non trovò nulla: né una porta né un tendaggio, una leva, qualcosa che facesse intuire un passaggio. Sembrava tutto perfettamente opaco.
Scoraggiata, si appoggi
ò alla ringhiera che costeggiava la vecchia balaustra. Il tappeto sotto ai suoi piedi scricchiolava con un rumore soffice che sembrava attutito dai secoli, tutti intorno era silenzio e la polvere vorticava nella luce della luna che scendeva a perpendicolo dal soffitto … ma un attimo, a quell'altezza non ci dovevano più essere finestre! Si era in alto, non si vedeva niente, eppure quella luce … guardò meglio da dove proveniva.
Non era un abbaino come a tutta prima aveva pensato. Era una lama che scendeva dritta dal soffitto, a perpendicolo. Sembrava tagliare le assi del soffitto, o meglio … del pavimento!
Cap
ì che quello che cercava non era davanti a lei, ma sopra. Evidentemente quella specie di piccolo stanzino era un inganno che finiva in un vicolo cieco. Sorridendo, nonostante la paura e la tremenda eccitazione del momento, si ricordò che una volta sua nonna, una simpatica vecchietta azzimata che era stata moglie di un archeologo, l'aveva portata a vedere una specie di mostra in un museo. Le aveva mostrato degli strani dipinti egizi, oblunghi e colorati di mistero.
- Come mai le figure sono piatte? - aveva chiesto Eileen.
Sua nonna, ridendo, le aveva detto una cosa che non si sarebbe mai dimenticata.
- Sono piatte, bambina cara, perché l'uomo ci mette molto tempo a capire che le cose non sono sempre tutte come sembrano. O come riescono a lui. Che c'è una terza dimensione dove riusciamo a vederne solo due. E' un po' come gli asini quando vanno a diritto e se la strada curva loro continuano ad andare ancora dritti. E' tutta una questione di abitudine. A volte le cose sono sotto i nostri occhi, ma siamo noi che non vogliamo vederle.
L
ì per lì non aveva capito, e si era stretta nelle spalle. Adesso invece, con quella porta che era non a destra o a sinistra, ma in alto, le cose cominciavano a tornare. Sorrise, e ringraziò mentalmente sua nonna. Poi si detta risolvere il problema di come riuscire ad arrivarci. Capì che ovviamente ci doveva essere un qualche tipo di scala. Di certo qualcuno saliva a portare da mangiare alla creatura.
Frug
ò intorno con lo sguardo alla ricerca di qualcosa di vagamente simile. Una scala doveva essere solida, di legno, e lunga almeno tre metri … in un angolo, il mucchio si stracci su cui non si era soffermata prima attirò la sua attenzione. Si chinò lì accanto. A ben guardarlo, era tutt'altro che un mucchio si stracci. Era una scala di corda, molto ingegnosa perché in cima aveva un rampino che permetteva di attaccarla alla botola.
'E di aprire la botola stessa'  si disse Eileen piena di speranza. Si affaccendò a sbrogliare la corda e quando fu pronta ne saggiò la consistenza mettendoci un piede sopra e tirando con tutte le forze che aveva. Era solida. Adesso non c'erano più scuse.
Prese un respiro per farsi coraggio, e ringraziando mentalmente sua nonna and
ò a piazzarsi proprio sotto alla botola. Con un paio di tentativi riuscì ad agganciare la corda alla maniglia che serviva da appoggio. Tirò piano. Nulla si mosse, a parte un po' di polvere che venne giù dal soffitto sui suoi abiti. Tirò di nuovo e stavolta sentì distintamente le assi smuoversi. Prese coraggio e ci riprovò di nuovo.
- Chi c'è lassù? - sent
ì che diceva una voce allarmata ai piedi delle scale. Era Foster. Eileen si interruppe e restò muta con il sangue che le ronzava nelle orecchie. Pregò con tutte le sue forze che Foster non sentendo più niente se ne andasse. E per un istante, un lunghissimo istante, pensò di aver avuto ragione. Poi però sentì distintamente che il primo gradino della scala scricchiolava sotto il peso di una scarpa.
- Sei tu, Nadir? Quante volte te lo devo dire di non buttarti contro la botola … poi ti fai male e Norma si arrabbia …
Eileen era pietrificata. Un altro istante e Foster sarebbe arrivato anche lui sul pianerottolo. Non c'era alcuna via di fuga, l'avrebbe vista per forza. Tir
ò il fiato e chiuse gli occhi e … quando non c'è una via a destra, o a sinistra, guarda in alto e vedi se c'è qualcosa. Eileen, svelta, scattò verso il giornale che giaceva sulla poltrona e lo tirò oltre la balaustra. L'oscurità lo inghiottì.  Dovette atterrare in corridoio, a pochi metri da Foster.
- Chi è là? - chiese il vecchio, con voce vagamente spaventata. Forse neanche a lui andava troppo a genio trovarsi l
ì in quel momento. Eileen sentì che si girava e cominciava a scendere le scale. Dopo un attimo in cui pensò solo a non cadere in terra dal sollievo e lo spavento, si scosse e afferrò la scala. Tirò, e questa volta la botola cedette. Prima che Foster potesse tornare, prese tutto il coraggio che aveva e si arrampicò lesta.
Quando la mano afferr
ò il legno marcio del soffitto e gli occhi le si ritrovarono al buio capì che era arrivata. A quel punto non c'era altro da fare che chiudere la botola, tagliandosi alle spalle, da sola, ogni via di fuga.
Lo fece, pregando Dio che quella non fosse l'ultima cosa che faceva.

Dentro era buio. Aspettò giusto il tempo che gli occhi le si abituassero al fioco chiarore che proveniva da un angolo.
La stanza era enormemente vasta, ma il soffitto molto basso accentuava una certa sensazione di oppressione. Eileen mosse un passo, poi un altro. Scrutò nell'ombra, circospetta, sapendo bene che se i suoi occhi non vedevano quasi niente, probabilmente altri occhi, abituati, la stavano squadrando da qualche parte. Pensò che al punto in cui si era nessuna mossa da fare sarebbe stata in grado di salvarla, se la creatura aveva deciso di attaccare. Tanto valeva fare il primo passo.
- Catherine? - sussurrò piano. Niente le rispose.
Si fece ancora lentamente avanti sul pavimento di legno. Le assi scricchiolavano a ogni passo.
- Catherine? - ripeté.
E fu allora, che nel fioco chiarore che proveniva chissà come da un angolo, sentì di nuovo il suo della musica. Era la solita melodia dolce, ma ora era come accentuata, come sei il tempo e il ritmo si fossero dilatati enormemente, allunganti in lago sonoro che scivolava in ogni anfratto, traendone le ombre, in ogni buco, incantando i topi, in sotto ogni scaffale e in ogni stanza.

'Il Pifferaio di Hamelin' pensò Eileen e poi non seppe come aveva fatto a collegare quel nome alla situazione presente.
'Il pifferaio porta i topi alla morte, e poi ci porta anche gli umani', si disse.
Ora gli occhi abituati alla luce lunare le rimandavano l'immagine strana di un enorme stanzone imbiancato. In un angolo c'erano un letto intatto e un catino, uno specchio e un tavolo. Una sedia, dei vestiti, coperte giacevano poco lontano, sembravano puliti e recenti. Poi un mucchio di libri e giocattoli che parevano non essere stati mai toccati da mano umana. Erano lucidi e lindi, e facevano uno strano contrasto con la polvere che invece regnava nel fondo. Tra le cataste di roba vecchia e calcinacci c'erano oggetti disparati, arnesi rugginosi. Le ragnatele rilucevano nell'ombra come fili spettrali.
Fece due passi avanti, girò intorno ad una grande testata di letto semi coperta da un telo, oltrepassò un divano sfondato, e infine arrivò al luogo da cui le sembrava che provenisse la musica.
- Catherine? - fece di nuovo, sovrastando appena il lugubre lamento. Fu in quell'attimo che il suono si interruppe, e il silenzio sembrò farsi di pietra.
- Catherine? - ripeté, con un filo di voce.
Dall'interstizio tra un tavolo vecchio e qualche sedia male impagliata, arrivò un lento gemito. Come di pianto.
Eileen, pietrificata, si fece forza e piegò le ginocchia per guardare.
Quello che vide la lasciò senza fiato. Ma non fece un tempo a rialzarsi, o ad accordare quel aveva visto con quel che aveva sempre pensato.
Un istante prima che potesse, il bambino schizzò fuori dal buco con un feroce ringhio di animale. Era piccolo, ma estremamente forte.
Con un balzo scattò
fuori e morse, morse con tutta la forza che aveva proprio sul dorso della mano e poi il braccio, e scalciando, e gridando e urlando le fu addosso, senza lasciarle via di scampo.
Norma e Foster fecero appena in tempo ad entrare e a gridare qualcosa che Eileen era già svenuta, inerme, sul pavimento.
Il piccolo fissava i due con silenziosa aria di sfida.

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Piccola nota dell'Autrice:

Lungi da me non apprezzare i film mentali, anzi ... Se avete qualche idea di chi possa essere questo piccolo selvaggio, siete pregate di esporla! Domani si scoprirà la verità, chi nel frattempo indovina vincerà quattro giri di quadriglia e una mazurka col Signor Thompson al ballo di fine stagione. Affrettatevi, e ... Buona Fortuna! ;)

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Capitolo 24
*** Capitolo Ventitreesimo ***


- Capitolo Ventitreesimo -

Una mezz'ora dopo, in cucina, Norma serviva a tutti una grossa tazza di thé aromatico. Eileen era seduta in un angolo, con gli occhi bassi e una vistosa fasciatura all'altezza del polso sinistro. Foster, accanto a lei, accigliato, si massaggiava una tempia, dove la creatura di cui aveva la custodia, o meglio il piccolo selvaggio Nadir, l'aveva colpito con un lancio da competizione olimpica.
- E' alla melissa, bevilo, bambina - spieg
ò Norma indicando il thé - Stai tremando. Certo che ci hai fatto prendere proprio un bello spavento … che ti è saltato in testa di salire così, senza nessuno, e di notte?
Eileen abbass
ò gli occhi e non rispose. Buttò giù con aria colpevole la bevanda, e pensò che Norma era davvero una santa. L'aveva presa molto meglio di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi. In fin dei conti aveva appena violato il segreto più segreto della casa. Una cosa che si erano dati tutti molto da fare a nascondere.
Il thé le bruci
ò piacevolmente lo stomaco diffondendo un senso di benessere, e mentre Norma ne versava un po' anche a Foster, Eileen azzardò la domanda che le bruciava da un po' sulle labbra. Quasi quanto il morso che il piccolo le aveva affibbiato sul braccio.
- E' nipotino del Signor Thompson, quindi.
Norma la squadr
ò per un istante. Con il bricco del thé a mezz'aria, valutò se rispondere o meno. Poi ovviamente l'amore per Eileen (e per le storie molto lacrimose) la vinse su ogni ulteriore buon senso.
- Esattamente - sospir
ò - tanto vale che tu sappia tutta la verità. Ma prima mettiti questo scialle, non mi piace che tremi in quel modo! Lo sai che ha una bruttissima cera?
Era vero. Eileen accett
ò lo scialle piena di gratitudine. Si sentiva completamente svuotata. La mezz'ora successiva all'assalto subito dal bambino era stata un fitto via vai di medicazioni, sussurri, perplessità e domande. Era quasi svenuta due volte, e per due volte Foster e Norma avevano dovuto sorreggerla mentre scendevano per la ripida scaletta.
- Ci hai fatto prendere un bello spavento! E lo hai fatto prendere anche a Nadir!
- Chi è Nadir? - chiese lei, intontita.
- Il bambino - mormor
ò Foster sovrappensiero.
 - Purtroppo gli hanno dato questo nome assurdo - complet
ò Norma - E quando il padrone lo ha ritrovato, ormai, era troppo tardi. Selvaggio fuori e dentro, dalla testa ai piedi.
- In che senso selvaggio? - chiese Eileen.
Norma si riaggiust
ò la cuffia e sorrise. Aggiunse un'altra zolletta al suo thé e si mise comoda.
- Devi sapere, bambina mia, che quando la povera Catherine è scomparsa, il Signor Thompson ci raccomand
ò di dire in giro che sua sorella era morta. E così noi facemmo, obbedendo. Ma non lo fece, come sembra, per metter a tacere la cosa, anzi. Era convinto che, mostrandosi rassegnato, avrebbe potuto condurre molto meglio certe indagini che intendeva fare. Per non essere disturbato, capisci? Così finse di essersi messo il cuore in pace.
- E invece?
- E invece, bambina cara, lui, senza dir nulla, continu
ò le indagini per cercare di ritrovare Catherine. E dopo qualche giorno trovò un primo indizio.
- Quale? - chiese Eileen allungandosi sul tavolo per versarsi un altro po' di thé- Norma sorrise, e la preven
ne servendogliene una dose sufficiente per quattro.
- Un postiglione, alla locanda di Chester - continu
ò poi - gli disse di aver visto una ragazza che corrispondeva alla descrizione salire sulla vettura di posta insieme ad un giovane biondo. Erano entrambi diretti a South Hampton, e di sicuro viaggiavano insieme.
- E si è saputo chi era questo giovane?
Norma scosse la testa.
- Purtroppo il postiglione non fu in grado di descriverlo. Lo aveva visto solo per un istante, disse, e tutti i soldi che il padrone gli offr
ì per sciogliergli la lingua non servirono a fargli cambiare idea. Segno che davvero non aveva visto quel farabutto in faccia. Comunque al Signor Thompson questo bastò per capire che sua sorella era scomparsa con l'aiuto di qualcuno. E che era andata molto lontano. Si recò a South Hampton il giorno stesso, e lì scoprì che nelle settimane precedenti erano salpate tre navi per l'estero. Una andava nelle Indie Meridionali, una in Cina e una avrebbe fatto scalo in Malesia e poi, fatto il carico di tessuti e banane, avrebbe fatto rotta per Ceylon, per poi tornare indietro, dopo un anno. Thompson capì che se sua sorella era salita su una di quelle, non l'avrebbe più rivista in vita sua. Andò a Londra e per qualche settimane non dette notizie di lui. Poi tornò a casa, e come spesso succede, parve pian piano ritornare lo stesso. Sembrò persino avere dimenticato Catherine.
- Ma invece non l'aveva fatto, giusto?
- No, mia cara. Non l'aveva fatto. Allora nessuno lo seppe, ma sembra che a Londra avesse preso contatti con un'agenzia privata e che tramite questa avesse contattato un inglese che lavorava a Delhi sotto copertura. Diceva a tutti di di fare il commerciante, ma in realtà era un investigatore. Il britannico emigrato era stato incaricato di gettarsi sulle tracce della sorella di Thompson, e di cercarla dovunque. Era un'impresa disperata, ma lui volle tentarla ugualmente. L'investigatore part
ì, e continuò a mantenere una serrata corrispondenza con il Signor Thompson. Ad intervalli regolari Thompson riceveva certe lettere che spiegavano la situazione, come il suo uomo si stesse muovendo e frequentasse le città a più alta concentrazione di britannici. Una volta era Jaipur, e un'altra a Mumbay. Setacciò per quanto possibile Delhi e  visitò ogni quartiere di Calcutta in cui abitassero emigrati bianchi.  Ma a conti fatti era quasi impossibile riporre speranze in questo metodo. Non so se sai quanto è grande l'India …
- S
ì - annuì Eileen, rabbrividendo appena, per il freddo, o forse per l'idea di una ragazza dispersa in quel gran mare di gente lontanissimo.
Norma and
ò avanti ancora un po' a raccontare delle peregrinazioni dell'investigatore. Certe volte, disse, era sembrato che fosse vicino a scoprire qualcosa di nuovo, certe volte gli sembrava di avere tracce certe, trovò persino una tale Cathleen Robson che assomigliava molto a Catherine, ma nulla che facesse sperare in una conclusione positiva. Alla fine dovette rinunciare. Scrisse a Thompson che non c'era stato modo di avere ulteriori notizie, e rispettosamente fece capire che continuare a cercare ancora sarebbe solo stata un'enorme perdita di tempo e di denaro.
- E Thompson?
- E Thompson? - disse Norma sorridendo con orgoglio come se stesse parlando di un suo figlio -  Niente, continu
ò a cercare. Disse all'investigatore che gli avrebbe semplicemente triplicato la paga, e quello riprese con più lena che se avesse il demonio alle calcagna. E alla fine, la fortuna ci premiò.
- Che cosa accadde?
- Una sera di dicembre dell'anno scorso, mentre Thompson era a Londra impegnato con i preparativi del suo matrimonio, gli giunse una lettera inaspettata dal suo corrispondente di Delhi. Gli diceva di aver trovato, in circostante fortunose e quasi assurde, un tizio che - a sentirlo - era in grado di dire esattamente dove si trovava suo nipote.
- Nipote? - chiese tossendo Eileen.
- Nipote. Per l'appunto, il piccolo Nadir. Ma tu stai bene? Continui a tossire e …
- La prego, signora Nibbles, vada avanti. Sto bene, davvero, non si preoccupi.
Norma la guard
ò un po' sospettosa, poi sospirò e riprese.
- Non appena ricevuta questa lettera Thompson lasci
ò Londra come un fulmine, e si precipitò qui in segreto. Non voleva dire a nessuno dove andava, ma il suo corrispondente gli chiedeva l'enorme sforzo di andare lui stesso a controllare se era la verità. Il tizio che aveva promesso di ritrovare il bambino non disse che fine avesse fatto sua sorella, né tanto meno chi l'aveva sedotta. Disse soltanto che il bambino si trovava in mano di certe persone che sarebbero state disposte a venderlo dietro lauto compenso.
- E Thompson?
- Fece i bagagli, e la sera dopo era già su una nave per l'India. Part
ì senza dire niente a nessuno. Sembrava preso da una furia cieca. Avrebbe sacrificato tutto per Catherine. E io pregai, che se trovava il furfante che ce l'aveva strappata, un Dio giusto glie lo lasciasse qualche minuto tra le mani.
- E and
ò così?
Norma scosse la testa.
- Solo a metà, purtroppo. Il bambino fu ritrovato in una specie di serraglio per animali. Portava addosso, unico tra gli stracci, una specie di cordicella leggera con appeso un piccolo  ciondolo che di sicuro era appartenuto a Catherine. E aveva gli stessi occhi di Thompson. Impossibile che non fosse lui. Il padrone fu felice come se al modo fosse d'improvviso ricomparso il sole. Ma i dolori non erano finiti. Il bambino, come fu presto chiaro, non era mai stato allevato da nessuno, a parte dei farabutti di mercanti che lo avevano raccolto e lo usavano per farlo mendicare. Non parlava una parola di inglese, né di alcuna altra lingua conosciuta, ed era allo stremo delle forze per la fame. Nella sua vita aveva solo ricevuto calci e minacce, per cui attaccava chiunque gli si avvicinasse appena. E era storpio da una gamba, poverino, perché le bestie dei suoi aguzzini glie l'avevano rotta anni prima. Zoppicando e strascicando la gamba avrebbe fatto più compassione a chiedere l'elemosina per strada.
Qui Norma si arrest
ò per asciugarsi una lacrima con l'enorme grembiule. Poi riprese.
- Per la stessa ragione gli avevano bruciato un orecchio e metà fronte. Non ti ha dato il tempo di accorgertene, ma se lo avessi visto in piena luce, vedresti che strazio ne hanno fatto … ed è un cos
ì bel bambino! Assomiglia alla madre nei capelli rossi, ma ha gli occhi verdi come quelli di Thompson, e il viso fiero del suo povero bisnonno …
Eileen approfitt
ò della pausa per fare la domanda che più gli bruciava le labbra.
- E la madre? Che ne era stato della povera Catherine?
Norma scosse la testa, sconsolata.
- Sua madre, bambina mia, era morta nel darlo alla luce. E il padre doveva esser fuggito. Quando si era reso conto che Thompson non solo non l'avrebbe mai accolto come genero, ma addirittura lo avrebbe ucciso se fosse riuscito a mettere le mani su di lui … probabilmente abbandon
ò il bambino, o lo vendette lui stesso ai mercanti.
Eileen per qualche istante non riusc
ì neanche a parlare.
- Capisco - disse infine - E cos
ì, la madre morta e il padre …
- Il bambino fu preso da quei mercanti. E trascin
ò un'esistenza tremenda finché suo zio non ebbe la fortuna di ritrovarlo.
Eileen tacque un istante. Norma ne approfitt
ò per mettere addosso una coperta al vecchio Foster che si era beatamente addormentato accanto al fuoco.
- Povero Foster - sospir
ò - si è tanto affezionato al bambino …
- Ma scusate - disse Eileen - non capisco perché Thompson lo tenga chiuso l
ì. Voglio dire, ora che lo ha ritrovato, perché non lo fa educare civilmente, perché non lo riconosce legalmente? E' sempre il figlio di sua sorella, in fondo.
Norma spost
ò il bricco del thé e giocherellò qualche istante con il piccolo manico. Aveva gli occhi bassi e per un attimo Eileen pensò che stesse per piangere di nuovo.
- Il bambino è un selvaggio, mia cara. Non parla, non ascolta, non capisce. Morde soltanto. Non hai idea di che cosa ci sia voluto al Signor Thompson per portarlo indietro senza enormi problemi. Nessuno ha mai insegnato al bambino a mangiare, a parlare o anche solo a camminare diritto. Se lo si veste si strappa i vestiti, se lo si porta alla luce del sole si mette a piangere e ad urlare e non la smette fin tanto che non lo si riporta in casa. Ha una specie di terrore per tutto, a parte certe cianfrusaglie e il suo violino. E' un selvaggio, te l'ho detto, e appena gli si avvicina una persona sconosciuta … fa come ha fatto a te. A suo zio, a me, a Nibbles, persino al signor Foster che gli porta da mangiare tre volte al giorno. Non riconosce nessuno, non capisce, urla e basta, piange e poi … Pensi che un bambino, figlio di nessuno, possa essere portato da noi cos
ì, senza dir niente a nessuno? Le autorità vorrebbero sapere di chi  figlio, e perché, e come ha fatto Thompson a ritrovarlo. E poi si dovrebbe dimostrare che Thompson è davvero suo zio, come dice … l'unica prova che abbiamo, è quel ciondolo e la sua straordinaria somiglianza. Ma penso che varrebbero poco, in tribunale …
- Pensate che potrebbero toglierglielo?
- E' questo che teme il signor Thompson. Cos
ì ha proferito portarlo qui in incognito, e lo tiene in soffitta. Cioè, lo avrebbe tenuto anche in casa, se non fossi arrivata tu e tuo padre …
Eileen sorrise, e poi abbass
ò gli occhi. Sentir nominare suo padre le dava ancora una specie di brivido.
- Signora Nibbles? - disse dopo un po' sussurrando per non svegliare Foster che adesso si era messo a russare.
- Dimmi cara.
- E' Nadir che suona in quel modo il violino?
- S
ì, mia cara.
- E come fa a suonarlo in quel modo? Nessuno lo sa fare, in casa, e non credo che glie lo abbiano insegnato quei mercanti …
Norma si alz
ò dalla sedia e girò intorno al tavolo.
- Nessuno sa come ne sia capace. Lo suona e basta, da quando è arrivato. Un giorno Thompson lo ha portato in camera, la stessa dove adesso dormi tu, e il bambino, come se lo sapesse, si è buttato contro l'armadio. Ha continuato a tempestarlo di pugni finché suo zio non è riuscito ad aprirlo. E ha dovuto forzare le ante, perché il mobile non si apriva più. Catherine aveva portato via la chiave.
- E che cosa c'era dentro?
- Vestiti, pieni di muffa, ormai. Del resto è rimasto quasi tutto tale e quale. A parte che quando sei venuta tu io avevo tolto da poco i vestiti.
- E il violino?
- Era l
ì, dentro la sua custodia. Nadir lo ha visto ed ha cominciato a urlare. Lo voleva a tutti i costi. Era in alto, su un ripiano, nascosto. Ma lui, in qualche modo sapeva che il violino di sua madre era lì.
Eileen rimase in silenzio un istante.
- E poi?
- E poi Thompson glie lo ha tirato giù, sperando che non lo rompesse. Era un ricordo di Catherine, ma …
- Ma il bambino, appena lo ha preso in mano, sembrava essere diventato un altro. Si è messo quieto, accovacciato per terra ed ha cominciato a suonarlo, come se non avesse fatto mai altro in tutta la sua vita. Thompson non credeva ai suoi occhi. Io ero al piano di sotto che spazzavo, e quando l'ho sentito, giuro che …
- Che?
- Era la stessa canzone che sua madre suonava sempre. Non ne suona mai altre, Nadir. Soltanto quella, solo quella, sempre. Io penso che abbia fili di fata legati alle dita. Con quelli sua madre suona il violino per lui, muovendo i fili dal Paradiso. Non si sa come tutto questo possa accadere, ma Nadir è uno strano bambino. E a volte quello che non capiamo ci rende inquieti e ci fa paura, ma non è detto che non ci siano modi, su questa terra, tramite i quali i vivi e i morti comunichino. Nadir suona il violino per sua madre, e forse Catherine, per tramite suo, ogni tanto ci manda un saluto.
Eileen annu
ì, e si asciugò una lacrima. Se i vivi e i morti comunicavano avrebbe tanto voluto sentire per un istante la voce di sua madre. Anche lei come Nadir non l'aveva mai conosciuta.
Alz
ò la testa e disse a Norma che sentiva di avere una gran stanchezza addosso e non si sentiva molto bene. Norma l'accompagnò in camera e le rimboccò le coperte.
Prima di spegnere la candela le dette un bacio, e le soffi
ò in uno orecchio che mai l'avrebbe più lasciata andare via.

 

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Bene, bene, bene!
Noto con piacere che il Signor Thompson avrà molto da fare al ballo di fine stagione. Ci speravo, dato che siete sempre delle attentissime (e preziosissime) lettrici: avete tutte perfettamente indovinato com'è la situazione! Il bambino, Naidr, è figlio della defunta Catherine, e - non si sa ancora bene perché - sa suonare il violino come lei. Molto, molto bene. Per quanto riguarda la storia di un possibile coinvolgimento del tenente Prescott in tutta la faccenda ... beh, bisognerà avere ancora un po' di pazienza per vedere se ci avete azzeccato!
Nel frattempo vi metto qui sotto la lista che ho composto, che ho appena inviato anche a Thompson perché ne prenda visione: visto che avete tutte visto giusto, mi sono permessa di mettervi a pari merito, riservando un ballo a ciascuna. L'ordine che vedete qui sotto ripete rigorosamente quello seguito dalle vostre recensioni. In breve, correte al vostro armadio e tirate fuori il vestito più bello che avete, perché  ....


Carnet di Ballo del sig. Nicholas Thompson
di Thompson House
Soirée di Fine Stagione  

Polka - M.lle Just My Imagination
Mazurka - M.lle Lhoss
Quadriglia - M.lle Beatrix
Bourée-
M.lle Ayra
Gavotte - M.lle Lady
Waltzer - M.lle Sawadee
Polonaise - M.lle Senza Fiato

- La S.V. è caldamente invitata a partecipare all'Evento,
Voglia avere la compiacenza di confermare la Sua Graditissima Presenza -


Pensate che sia troppo formale? Io l'ho fatto presente a Nicholas, ma lui è stato irremovibile:

'O le cose si fanno all'antica, o non si fanno'  ha detto, serio.

Quando ti imbatti in uno così, è assolutamente impossibile discutere ;) Alla prossima, e un bacione, V.







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Capitolo 25
*** Capitolo Ventiquattresimo ***


- Capitolo Ventiquattresimo -


Stavolta la cosa era seria. Eileen si addormentò tossendo, e il mattino dopo aveva la febbre. Il dottor Finley, chiamato d'urgenza, disse che adesso non c'era da scherzare: la ragazza rischiava la vita. Il raffreddore di qualche giorno prima stava velocemente degenerando in qualcosa di ben più grave.
Norma singhiozz
ò stringendo il grembiule che il giorno prima la sua bambina stava bene, che sembra essersi ripresa. Finley rispose che in questi casi le ricadute sono a volte peggiori del male. Poi chiuse la sua borsa e se ne andò. Con la mano sul pomello della porta, promise che sarebbe tornato di nuovo prima di notte.
Norma pianse tutte le sue lacrime, e sempre accanto al capezzale di Eileen. Quando Nibbles tent
ò di  farla scendere in cucina a mangiare qualcosa, Norma gli si rivoltò come una furia. Dovettero portarle una coperta: volle dormire in poltrona accanto a Eileen.
Nibbles andava e veniva. Entr
ò in camera un paio di volte con la scusa di portare a Norma quello che aveva chiesto, e sempre dimenticava qualcosa. Ogni volta si spinse fino al letto, guardò la mano livida di Eileen che sbucava da sopra le coperte e mormorò qualcosa tormentando il fazzoletto che teneva nel taschino.  Norma non riuscì a sentire cosa diceva, e del resto era troppo occupata a macerarsi per sentire alcunché, ma erano preghiere e frammenti di antichi scongiuri irlandesi.
A volte Eileen riprendeva coscienza a tratti, muoveva la testa sul cuscino madido e poi sprofondava di nuovo in un sonno simile al coma. Era inquieta, e dormendo si agitava e diceva parole senza senso.
Quando il dottore torn
ò, quella sera, aveva la febbre tanto alta che gli impacchi freddi di Norma diventavano tiepidi già prima di toccare la fronte, e la tosse non accennava a smettere.
- Dobbiamo aver pazienza - disse Finley dopo averla auscultata a lungo - Dobbiamo aver pazienza e aspettare. La situazione è grave, ve l'ho detto.
E nei giorni seguenti, ogni volta, dopo aver riposto lo stetoscopio, continuava a mormorare quella frase. Sempre scuotendo l'ossuta testa bianca, ma sempre con gli occhi più tristi.
Alla fine anche Norma cap
ì.
- E' polmonite? - chiese. Il dottore non le disse né s
ì e né no. Non sapeva neanche lui che cos'era.
- E' possibile, vista la tosse e la febbre, ma i sintomi sono strani, non ve lo nascondo. Sembra ci sia qualcos'altro, qualcosa che il suo corpo non vuole accettare. La ragazza ha salute da vendere, è di costituzione robusta, e … sembrava aver passato bene la fase acuta della sua prima malattia. Non è che per caso ha avuto qualche … dispiacere, negli ultimi giorni? Qualcosa che possa averla turbata?
Norma pens
ò all'improvvisa partenza del tenente, alla scoperta in soffitta, a Nadir, alla notte in cui tutto si era rivelato sulla triste vicenda di Catherine. Rivide gli occhi inquieti di Eileen la mattina in cui le aveva detto che tutti erano andati via, anche il Signor Thompson. Erano occhi inquieti, che vagavano. Erano occhi disperati, troppo simili a quelli di Catherine per pensare che tutto andasse bene.


Nei giorni successivi ogni tanto Eileen apriva gli occhi e Norma le si avvicinava per farle inghiottire appena un cucchiaio di brodo. Poi le labbra di Eileen si serravano, e la testa ricadeva sul cuscino.
Una sera, mentre erano sole e il fuoco crepitava nel camino benché fuori fosse una bella serata, Norma stava cucendo in poltrona, quando qualcosa la distrasse. Alz
ò gli occhi e vide che Eileen era sveglia.
- Oh, santo cielo, bambina mia - sorrise - Mi hai chiamato? Non sono più abituata alla tua voce e … come stai? Ti senti meglio? Hai fame, sete, freddo?
Eileen sorrise debolmente e disse che si sentiva meglio.
- Vuoi che vada a prenderti qualcosa da mangiare? Ho fatto un pudding proprio stamattina, per quei due marpioni di Noah e Nigel …
Eileen fece segno di no. Poi le chiese se poteva avvicinarsi.
Norma accost
ò la sedia.
- Dimmi, bambina, cara. Cosa c'è?
- Il Signor Thompson è tornato? - chiese Eileen, muovendo appena le labbra.
Norma scosse la testa.
- No, bambina. Non abbiamo più notizie di lui da quando sono tutti partiti.
Pass
ò qualche tempo in silenzio.
- Da quanto tempo sono a letto, Norma?
- Due settimane, bambina cara. Giusto il tempo di farmi venire tutti i capelli bianchi per lo spavento - rise - Ma adesso starai meglio, non è vero? Anche Finley dice che sei in ripresa …
Eileen fece di s
ì con la testa. Ma non si sentiva affatto bene. Era come se qualcosa di ingombrante le occupasse la metà del petto. Era una sensazione spiacevole, come una cosa morta, fredda e triste che non voleva andarsene.
- E il mio assassino?
Norma corrug
ò la fronte. Pensò che stesse di nuovo delirando.
- Nadir - spieg
ò Eileen facendo qualche sforzo per non cedere di nuovo a quel senso di spossatezza galleggiante. Spesso precedeva di poco uno svenimento.
- Nadir sta bene, piccola mia. E ha imparato a mangiare con la forchetta. Pare che Foster ci si sia messo d'impegno. Penso che un giorno ne farà un gentiluomo. Uno di quelli con cavalli e carrozza. Niente resiste a Foster, prima o dopo, se Foster ci si impegna quel tanto che basta.
- Voi avete resistito.
Norma rise.
- Ogni tanto facciamo cose sciocche. Io per esempio ho dato retta al signor Nibbles.
- Dite sul serio?
- Ma certo che no!  Solo che a volte, sai, l'affetto è strano … credi di amare una persona e invece … poi ne ami un'altra. Ma questo lo scopri solo dopo. Io, nel mio caso, sono stata fortunata.
- Perché?
- Perché il caso mi ha dato il signor Nibbles, e dopo ho scoperto di amarlo.
Restarono in silenzio qualche tempo.
- Chi amavate dei due, signora Nibbles?
- Questo è un po' presto per spiegarlo. Diciamo che era una situazione complicata.
- E alla fine?
- Alla fine cosa?
- E' andata come desideravate?
Norma sorrise, e non disse niente. Eileen si fece più vicina, le prese una mano con la sue dita deboli.
- Pensate che sia solo il caso a governare queste cose, Norma? Oppure c'è qualcos'altro, una ragione, un modo per capire, per scegliere … Voi come avete fatto a scegliere? Tra il signor Nibbles e il signor Foster, voglio dire …
- Questo, mia cara, dovresti proprio chiederlo al signor Nibbles. E' stato lui l'artefice di tutto. In ogni scelta cruciale è il destino che ci mette sulla strada giusta. Ma poi siamo noi, e solo noi, a doverci muovere per raggiungerla. Ma perché me lo chiedi, bambina? C'è forse qualcosa che ti turba?
Eileen mosse un polso sul copriletto di raso. Era liscio, sottile e lasciava impronte lucide dove posava il braccio.
- Perché non so che cosa devo fare - sussurr
ò.
Norma aspett
ò in silenzio che Eileen continuasse.
- E' difficile, Norma.
- Lo so. E' sempre difficile, bambina.
- Ha detto che mi avrebbe sposato.
- Chi, il Signor Thompson?
- Prescott.
- Ah. Ho capito. E tu lo ami, bambina mia?
Eileen mosse appena il braccio, e cerc
ò l'angolo morbido del letto. Dove la coperte, tutte le coperte, smettevano di andare diritte e si tuffavano giù, come in un mare ignoto, a perpendicolo fino al pavimento.
- Io non lo so.
- E per questo stai male, non è vero? Perché non sai se lo ami e lui ti ha chiesto di sposarlo.
Eileen annu
ì.
-  E poi sto male anche perché qualcuno che forse amo non mi darà mai modo di scoprire se lo amo davvero. Ma forse è meglio che mi ci rassegni: amare me non è nei suoi progetti, temo.
Norma la guard
ò fisso un istante, e un sorriso parve alleggiare sulle sue belle guance.
- Il miglior modo per far ridere il buon Dio  - disse - è raccontargli i propri progetti, cara. E' importante che tu lo sappia, questo. Evita un sacco di patemi nella vita.
Ma Eileen si era già riaddormentata. E Norma continu
ò a sorridere fissando il caminetto di pietra.


Nibbles entr
ò come un fulmine in casa una mattina di due giorni dopo. La sua considerevole mole, che non gli aveva mai impedito i movimenti ('agile come un gatto!' diceva sempre di se stesso battendosi allegramente una mano sulla pancia), stavolta gli dette un gran daffare per attraversare di corsa tre piani di scale. Arrivò alla camera di Eileen, ormai seconda dimora di Norma, e bussò piano.
- Che c'è? - fece piano sua moglie che l'aveva riconosciuto dal passo - lo sai che non sopporto che veniate a disturbare il sonno della bambina. E va bene che ormai è quasi guarita …
Nibbles le sventol
ò sotto il naso una piccola busta lunga e stretta, di carta elegantissima e pesante.
- Si sposa - ansim
ò, senza aver tempo di riprendere fiato - si sposa.
Norma cadde dalle nuvole.
- Chi?
- La signorina Aurora Prescott.
- Ah, che bello. Tante felicitazioni, complimenti. C'era bisogno di tutto questo baccano? A noi per ora non interessa la sorella. Ci interessa Prescott, ricordi?
Nibbles alz
ò gli occhi al cielo.
- Il padrone! - disse scuotendo Norma per le braccia.
- Cosa c'entra il padrone? Non stavamo parlando di Aurora Prescott? E non farmi cos
ì che mi fai male!
- Appunto. Aurora Prescott si sposa con il Padrone! Dopo domani, presto!
Norma fisso il signor Nibbles come se gli fossero spuntate delle orecchie fatate molto grosse e molto pelose.
- Stai scherzando, vero? Noi puoi dirmi …
Nibbles si limit
ò ad annuire molto solennemente.
- Dobbiamo fare qualcosa - disse Norma - Dobbiamo impedirglielo.
- E' chiaro.
- Quella ragazza non deve sposarlo. Non con quello che abbiamo scoperto.
- Non davvero. E ha un pessimo carattere, poi.
- Lascia il cibo nel piatto.
- Cavalca in un modo indecente.
Si fissarono per un lungo istante.
- Le piace Thompson. Alla bambina, dico. Lo sospettavo, ma ora ho la conferma.
Nibbles annu
ì, serio serio.
- Allora dobbiamo muoverci subito. Dov'è il tuo amico Foster?
- In salone che spolvera i quadri. Ti aspettavamo, lo vado a chiamare. In cucina tra venti minuti.  


Foster fu convocato alle tredici. Elizabeth fu mandata in città con la scusa di un cavolo verza che Norma si era dimenticata di comprare. Noah ricevette, caso raro, quattro penny extra da spendere, pur che fosse lontano da l
ì. Non ci pensò due volte a allontanarsi, ovviamente reggendo la sua scatola.
Quando furono tutti e tre intorno al tavolo della cucina, Norma apr
ì il dibattimento.
- La situazione la sapete tutti. Ora mi chiedo, voi per chi votate?
- Il signor Nibbles alz
ò la mano:
- Eileen e Thompson per tutta la vita. Io non la voglia in casa quell'Aurora.
Foster alz
ò un sopracciglio. Aveva tirato fuori di tasca una moneta e ci giocherellava. La faceva roteare su se stessa e poi vedeva se era uscita testa o croce. Era un suo vecchio vizio.
- E voi, signor Foster, cosa dite?
- Io che cosa?
- Siete voi che dovete decidere. In fin dei conti l'avete trovato voi.
- S
ì, ma nella scatola di Noah! - protestò Nibbles.
- Silenzio, Nigel. Fai parlare Foster.
- Io avrei preferito - scand
ì Foster - io avrei preferito portarla a un posto di polizia …
- Avanti - scatt
ò a dire Nigel - Avanti! Sei sempre il solito vecchio barbagianni …
Norma gli assest
ò una pedata sotto il tavolo. Il signor Nibbles tacque all'istante.
- Siete voi che l'avete trovata, siete voi che ci dovete riflettere. E' chiaro che cos
ì la situazione è insostenibile. E è ancora più chiaro che il farabutto ha le ore contate. Quello che mi domando adesso è: possiamo usare questa prova soltanto contro di lui, oppure ne facciamo anche un motivo di felicità per altri? Spetta a voi la decisione, Signor Foster.
Foster sostenne il suo sguardo. La moneta continuava a roteare.
- Non sempre si pu
ò essere felici. A volte, nella vita, va male.
Norma annu
ì.
- E' vero signor Foster. E' vero. Avete perfettamente ragione. Per questo vi dico … zitto Nigel! Per questo dico che è compito vostro decidere. Siete voi l'arbitro della faccenda. Ci rimettiamo al vostro giudizio. Soltanto, fate presto, vi prego. Abbiamo le ore contate.
La moneta si ferm
ò e cadde. Foster ci mise una mano sopra senza guardare che cosa era uscito.
- Cosa ci ottengo se faccio quello che volete? - chiese.
- La mia gratitudine eterna.

 

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  Care tutte, buon giorno! Ho provato a contattare Thompson per questa faccenda del ballo, visto che molte mi hanno fatto presente quanto sia poco galante concedere un solo giro di danze a testa. Thompso mi ha risposto un po' accigliato (è molto bello quando si acciglia, però) che al massimo può concederne due, ma soltanto se qualcuna accetta di ballare anche con Prescott. Dice che lui odia ballare alle feste e  fa già moltissima fatica così ... ma dico un po'? E' un vero mascalzone, certe volte. Io quasi quasi lo escludo dalla storia! Voi che ne dite? Lo perdoniamo o ci inventiamo qualcosa si carino per fargliela pagare?

E, a proposito di Thompson: alla pagina Facebook di 'Ad Armi Pari
(la trovate qui: http://www.facebook.com/pages/Ad-Armi-Pari/135061089857482?v=wall&ref=ts ) 
ho pensato di bandire un piccolo conocorso dal titolo ...

SCegLi il *TuO* SigNOR ThOMPson!

Come partecipare? Semplice: Nella rubrica Foto dei Fan potete caricare a piacimento l'immagine ( o le immagini) che secondo voi meglio rappresentano il Signor Thompson (e ovviamente, anche il tenente Prescott), come ve lo immaginate voi. Potete mettere anche commenti/didascalie/suggerimenti e quant'altro! Alla fine della storia saranno scelte le migliori immagini e ... le vincitrici avranno in dono un giro supplementare al Gran ballo, descritto su EFP in una one-shot conclusiva. Affrettatevi! ^________________^ I posti *NON* sono limitati! :))) 

Un bacio, V.

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Capitolo 26
*** Capitolo Venticinquesimo ***


- Capitolo Venticinquesimo -


Eileen piangeva da ore. Più o meno da quando Norma, entrando, le aveva detto che doveva darle una brutta notizia. Aveva la fronte arrossata e tormentava con la mano un pizzo del grembiule: Eileen aveva capito che si trattava di Thompson prima ancora che cominciasse a parlare.
Poi Norma, dopo averle detto tutto con gli occhi al tappeto, le aveva detto 'io sono di là, nel caso avessi bisogno' e se ne era andata con insolita, trepida discrezione.
Da quel momento le porte dell'Inferno si erano spalancate per Eileen. Si era mossa nel letto, aveva scostato le coperte, si era slacciata sulla gola la camicia perché le sembrava di non riuscire più a respirare.
Aveva pensato ad ogni singolo dialogo avuto con Thompson. Erano stati pochi, troppo pochi, si sarebbe anche potuto dire. Eppure adesso vedeva delle cose che prima non aveva mai visto. Capiva che Thompson, solo lui, era l'uomo che aveva desiderato fin dal principio. E Prescott, il bel tenente simpatico, spiritoso, divertente, arguto, era stato solo una distrazione? Le chiese qualcosa dentro di sé. Si disse di no, che a suo modo aveva amato anche lui, ma di un amore completamente diverso.
Di Prescott si era innamorata la parte di sé che amava il gioco, la bellezza, la vita e, soprattutto, detestava la solitudine. La Eileen che adorava le spezie, e tuffare il naso in spazzole e profumi, quella della carta velina che scricchiola quando apri una scatola e ci trovi dentro un bel vestito elegante. La parte di sé, insomma, che forse assomigliava a suo padre, magari con qualche difetto in meno, certe volte.

Quella che era innamorata di Thompson, e - adesso lo capiva - lo era stata dal primo momento, era invece quella che volentieri avrebbe vagato nell'immensa brughiera a caccia di una fata o perché solo il vento le aveva sussurrato qualcosa in segreto. Quella che si incantava a leggere in un salice il lieve fruscio di racconti ormai smarriti, quella che amava la notte, e le stelle, e il fuoco che le accende di splendore.
Si disse, e anche questo lo scopriva pur avendolo sempre saputo, che Thompson le era necessario come il vento è necessario al lago del quale increspa la superficie liscia. Senza il vento, il lago non riflette che cielo e nubi.
E lei avrebbe voluto specchiarsi negli occhi di Thompson che avevano il colore delle foglie, litigare con lui, chiuderlo a chiave di nuovo in biblioteca, ma stavolta perché non fuggisse più. Avrebbe voluto dirgli che la notte pensava solo a lui, che tutti i sogni di cui non ricordava neanche un tremito, quei sogni, tutti, parlavano di lui. Erano scritti nel cuore di entrambi, e aspettavano solo di esistere.
Fissò la stanza intorno a lei: tutto l'amore che Norma le aveva dato in quei giorni era lì, come fosse una cortina palpabile come la polvere, il camino, le cose che aveva cominciato a amare.
E pensò come sarebbe stato andarsene, fuggire via, sapere che Thompson stava rendendo un miracolo la vita di qualcun'altra. Che un'altra abitava quelle stanze che erano ormai la sua casa.  
Scese dal letto, fece tre passi avanti e indietro, inciampò nella poltrona e rise, del riso lugubre e senza significato che hanno a volte le eroine pazze. Sentiva il dolore che dalla testa le si andava irradiando nel cuore. Sapeva che la sua mano gelida presto avrebbe catturato tutto il resto. E non sarebbe rimasto più niente.
Sospirò, pianse, mollò un calcio alla poltrona. La poltrona non si mosse di un millimetro, lei invece si fece un male cane. Il camino continuava a crepitare indifferente.
Fu in quell'istante che bussarono alla porta. Eileen si precipitò a letto: se fosse stata Norma, essere sorpresa a piangere coi piedi nudi sul pavimento di pietra non le avrebbe giovato affatto.
Ma non era Norma, era qualcuno che non si sarebbe mai aspettata.
- Posso entrare? - chiese Foster, inclinando appena il busto in un cenno elegante.
Eileen gli disse sì, certo. Cosa diavolo era venuto a fare Foster, in quel momento, e a quell'ora, per giunta? Ma per non essere scortese cercò di asciugarsi le lacrime e  ripianò una piega al copriletto disfatto, spinse più sotto il cuscino che poteva il fazzoletto stropicciato e umido, e poi sorrise. Foster non disse una parola, raggiunse la poltrona accanto al fuoco.
- Posso? - e si sedette prima che Eileen potesse dire qualsiasi cosa.
Rimase lì qualche istante, senza parlare ed evitando di guardarla. Poi le dette uno sguardo di sbieco, prese un respiro, si schiarì la voce e attaccò con tono monocorde.
- C'era una volta un uomo molto stupido - disse fissando il fuoco - o meglio, era un ragazzo molto stupido. Quel ragazzo era anche molto bello, e vanitoso. Così vanitoso che la cosa finì per dargli alla testa. Lavorava come servo in una casa, ma si sentiva un gran signore, ed era vero: a confronto degli altri domestici, lui aveva qualcosa di più. Era un signore. Nel vero, antico, senso della parola. Amava tutto della vita dei padroni, e si studiava di imitarla in tutto. Diceva quello che dicevano loro, parlava solo di argomenti alla moda, sapeva come inchinarsi alla maniera di un lord e come fare il nodo a una cravatta senza sembrare un bifolco arricchito. Sapeva un sacco di cose, questo stupido, bravo ragazzo di campagna. Un po' troppe, e alla fine gli dettero alla testa. Nella casa dove viveva, viveva anche una bella ragazza. Simpatica, attraente, rispettosa, lavoratrice, servizievole, allegra: era un fiore e tutti l'adoravano. Tutti tranne il nostro stupido ragazzo, che aveva occhi soltanto per le donne altolocate. E la ragazza ne soffriva molto, visto che forse - e dico forse - a lei, il ragazzo piaceva parecchio.  Ma i giovani spesso sono ciechi, e il ragazzo stupido e bello non si accorse che il destino gli aveva messo davanti una grande fortuna. Semplicemente la ignorò, e continuò ad occuparsi di gemelli alla moda e colletti inamidati. La ragazza ci rimase molto male.
A questo punto Foster, sempre senza staccare gli occhi dal fuoco, fece una specie di sorriso triste e tirò fuori di tasca una moneta. La fece roteare sul palmo perfettamente dritto della mano, poi la strinse tra le dita e le richiuse. Poi riprese.
- Nella casa c'era anche un altro ragazzo. Meno bello, e anche meno altezzoso. Vide che la ragazza intristiva e diventava ogni giorno meno allegra. Perché piangeva tutte le sue lacrime dietro a un amore che non dava alcun frutto. Si fece avanti, e le offrì semplicemente una spalla su cui piangere, una vera, autentica amicizia. La ragazza lo trattò come si trattano i cani affamati davanti ai pub di sera. Lo scacciò.
Il giorno dopo quel goffo ragazzo tornò da lei con un mazzo di violette. Stette davanti alla porta della cucina più di due ore, finché la vecchia cuoca disse: 'Ragazza mia, se non esci, prendi quelle rose e fai contento quel povero diavolo, giuro che non ti faccio più lavorare. Non sopporto la gente insensibile'. Così la ragazza uscì e accettò sbuffando le rose. Il ragazzo, che il giorno prima si era accordato con la cuoca, tornò poi con una grossa scatola di cioccolatini anche per lei. Era stata un'alleata preziosa.

Il terzo giorno, a rischio del posto, lo sventato ragazzo rubò il calesse del padrone e portò Norma … volevo dire, la ragazza, a passeggio. La fece ridere, le comprò del pan pepato, fecero insieme due volte avanti e indietro, a braccetto, la strada che costeggia il fiume Gladstone e porta dal paese alle cascate. Risero molto, di cuore, e si narrarono le sciocche storie della loro vita, che fino ad allora non contava, forse, neanche diciotto primavere. Rimasero così, fino a sera, sdraiati sulla sponda del fiume sotto i salici che con le fronte accarezzavano le anse del fiume. Restarono così, e io oso immaginare che fossero felici. Quando alla sera tornarono, tardissimo, avevano tutti le guance accese, e anche il goffo ragazzo, in quella luce, sembrava meno goffo, e più elegante.
Da quel giorno furono inseparabili. Quando il giovane bello si accorse che la ragazza usciva insieme all'altro, ne fu lieto sulle prime, perché si era levato dai piedi un bell'intralcio. E continuò a fare i nodi alle cravatte. Poi le cose cambiarono: vide il ragazzo meno bello che iniziava a sorridere come mai prima, e fischiettava mungendo una vacca o canticchiava all'orecchio dei cavalli zuccherosissime canzoni d'amore. Capì che quello era felice, mentre lui era soltanto molto ben educato. E quando poi arrivò il giorno in cui la ragazza dovette scegliere tra i due l'amore della sua vita, lo sapete chi scelse?
Eileen non fiatò, lasciò che fosse Foster a sospirare, come fosse solo.
- Fece una domanda al suo cuore, e si chiese chi doveva amare. Da una parte c'era un ragazzo bello, intelligente, superbo, elegante. Dall'altra c'era un cuore  onesto che si era accontentato delle briciole, pur di aspettarla. Uno aveva buttato la torta che gli veniva offerta con tutti gli onori. L'altro l'aveva raccolta da terra e se l'era portata via. Alla fine scelse quello che l'aveva amata fin dal principio. Chi non si era arreso, chi aveva dato tutto il sangue che aveva pur di vederla felice un istante. Non scelse il fiore più bello, scelse quello che profumava di più. E vi assicuro che fu una scelta felice.
Foster fece una pausa, guardò il fuoco, poi aprì la mano, vide cos'era uscito sulla faccia liscia della moneta, fece una smorfia e la ricacciò in tasca.

- Fu una scelta felice - ripeté - Ma non per tutti, ahimè, non per tutti. Perché chi lascia agli altri la fortuna, raramente poi si sente felice.
Così detto, si alzò in piedi e senza un fiato si avvicinò al letto di Eileen. Si cavò di tasca un foglietto di carta e glie lo porse.
- Tenente questo - disse - e meditate. Vi auguro che possiate fare la scelta giusta. Quando sarete pronta sappiate che siete attesa da tutti noi in cucina. Buona serata.  
Eileen non seppe spicciare parola. Era confusa e tutto quello che fece fu allungare le dita. Lo fece come in sogno, come fanno gli automi.
Mentre raccoglieva il biglietto e cominciava a dispiegarne le pieghe ormai ingiallite, Foster si voltò indietro sulla porta
.
- Credete a me - disse guardandola negli occhi con uno sguardo che Eileen non avrebbe più dimenticato - la vita è davvero troppo lunga per consumarla tutta nel rimpianto.

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Carissime, spero siate rimaste piacevolmente sorprese dal racconto di Foster su come si sono svolti certi eventi lontani nel tempo, ma molto, mooolto significativi, come avete potuto leggere ... Stavolta il capitolo è piccolo, ma solo perché è, come dire, di transizione ... domani avrete da leggere - spero (sempre che riesca a scrivelo tutto, con questo caldo :) )- un capitolo ben più corposo. Nel frattempo, ricordandovi che potete postare tutte le foto del *vostro personale Signor Thompson* sull'apposita pagina facebook, vi mando un bacio e vi ringrazio come sempre per la costanza con cui mi seguite! Un abbraccione, e buon inizio di martedì,
Vostra Vale :)

@Just My Imagination: Basta, XD non puoi indovinarmi sempre tutto, aaaargh!!! :))))) Sei bravissima, davvero, penso proprio che dovrei prenderti come gosth writer. Quando non mi ricordo qualcosa della trama ... chiamo te, che le pensi tutte *identiche* alla sottoscritta. Mica per caso Thompson ti dice prima come vanno a finire i capitoli? No, perché se è così lo pesto ... 
p.s. Per la faccenda degli anticorpi, devi sapere che alle eroine romantiche di solito fanno un trattamento per eliminarli a piccole.Altrimenti poi come fanno ad ammalarsi di polmonite/pleurite/scarlattina/difterite/tetano/pertosse appena prendono due schizzi di pioggia, per poi farsi salvare dagli eroi? Mary Anne Dashwood (slogatura e febbre maligna) docet. 'Se non si è capaci di ammalarsi almeno due volte di due malattie diverse all'interno dello stesso romanzo, non si è degne di farme parte come attrazione principale', è un pilastro del Genere!| 

@Beatrix_: Ho promesso per conto di Thompson perché ho modo di ricattarlo, stai tranquilla ^___^ Se fa tanto di rifiutare, cambio tutto e lo faccio sposare con un'isterica lattaia quarantenne butterata dal vaiolo, e vedi come riga dritto subito. In quanto sua creatrice ho questo potere, muahahaha ! Per quanto riguarda le immagini, sono bellissime! Mi è piaciuto soprattutto il secondo Prescott, anche se forse è più somigliante il primo a come lo immaginavo! Un bacione V.

@Lhoss: Ammiro le tue doti intuitive e prendo appunti ... in effetti certe cosucce che suggerisci potrebbero anche non essere del tutto sbagliate, ma chissà ... quel che hai postato su facebook (Alanuccio nostro in magnifica versione tira-baci) è ovviamente sempre troppo perfettissimo. Sembra che per questo genere di cose io e te abbiamo una specie di cordone ombelicale. A proposito: anche per Foster penso che potremmo avere le idee simili ... alto, elegante, grigio chiaro i capelli, aristocratico, scostante ... ti viene in mente nulla? Aspetto tuoi suggerimenti. Io in mente una faccia ce l'ho già. Nel frattempo, come sempre, un abbraccio, tua V.

@ SenzaFiato: Posta, posta, posta l'immagine del tuo! Per il resto, penso proprio che Aurora non sia nelle grazie di molti, ma chi lo sa ... potrebbe anche rivelarsi una brava ragazza, e rendere Thompson felice! Nel frattempo, come hai visto, il nostro Foster ha abbandonato certe sue riserve per mettersi al servizio della Causa (o di un bene superiore, se vuoi): nonostante tutto anche lui sembra possedere un cuore, e qualche volta lo usa persino!! Un bacio, grazie delle recensioni e a presto, Vale :)

@Lady_2008: Cara Lady, la Signora Nibbles ti ringrazia di tutto cuore e promette che prima o poi sfornerà solo per te una torta a tre piani di meringa, panna e fragole. Berrete insieme il suo thé alla rosa (o a qualcos'altro se preferisci, ne ha centinaia e centinaia di barattoli nella sua fornitissima cucina) e chiacchiererete accanto al fuoco di tutto quello che vi può venire in mente, compresi gli ultimi pettegolezzi di casa Thompson. Un abbraccione, a rileggerci a presto, Vale


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Capitolo 27
*** Capitolo Ventiseiesimo ***


- Capitolo Ventiseiesimo -

 
Si dice che in certi paesi, per lo più a nord, esistano luoghi incantati dove vivono le fate. E non una, badate bene, ma decine e decine di centinaia. Formano cos
ì delle specie di alveari, e vivono nelle profondità del bosco provando e riprovando ogni giorno i loro incantesimi fatati. Alcune di loro intrecciano i crini caduti dalle groppe dei cavalli e ne fanno lunghe trecce con cui appendono piccole amache di foglie di verbena. Ci sono altre che raccolgono le bacche e ne impilano cumuli e cumuli in ordine preciso e simmetrico. Altre ancora si danno da fare ad addomesticare animaletti perché amano la natura e pensano che questa sia una lieta occupazione. Pensate di aver a sufficienza immaginato quel luogo sereno?
Benissimo.
Thompson House quella mattina era esattamente l'opposto. Una tremenda, caotica baraonda.
Norma girava avanti e indietro per i corridoi come un'ape impazzita, Elizabeth le teneva dietro con le braccia ingombre di vestiti, Nibbles era scomparso da ore e Noah si era nascosto sotto un tavolo per sfuggire all'agitazione generale. E c'era veramente da temere che qualcosa prima o dopo esplodesse per tutte le vibrazioni nell'aria.
Eileen, la sera prima, era scesa in cucina, con il foglio in mano. Non c'era stato bisogno di parlare. Mentre Norma l'abbracciava stretta, Nibbles era scattato in piedi felicissimo perché sarebbero andati fino a Londra.
- Erano anni che aspettavo un'avventura di questo genere! - aveva detto sfregandosi le mani e accennando un passo di danza davanti a Norma - Del resto sono ancora così agile che le mie doti non vanno sprecate!
Foster aveva sollevato un sopracciglio, e era rimasto muto accanto al fuoco. Ma quando Noah, saltellandogli eccitatissimo intorno per quell'inatteso diversivo, gli aveva pestato un piede, non solo non lo aveva fulminato, ma aveva addirittura abbozzato un sorriso.
Poi, sovrastando il generale cicaleccio, Norma aveva preso la parola.
- Dobbiamo metterci sotto a lavorare, se vogliamo che il piano riesca!
Nibbles e Foster assentirono insieme, Eileen chiese stordita:
- Quale piano?
Ma la risposta, l'inquietante risposta, fu un sorridente:
- Tu lascia fare a noi.
Da quel momento non c'era più stata pace.

Elizabeth aveva cucito tutta la notte sotto la direzione di Norma, lavorando a dei vecchi vestiti che la signora Nibbles aveva fatto trasportare dentro un baule giù da chissà dove. Ne avevano fatto una cernita, che era durata almeno un paio d'ore.
A niente erano serviti di tentativi di Eileen di capirci qualcosa. Quando aveva provato a chiedere, Norma l'aveva spinta fuori dalla porta della biblioteca - trasformata in quartier generale di chissà cosa - dicendo che doveva riguardarsi e riposarsi per il giorno dopo.
- Se quando vengo a portarti la tisana non ti trovo a letto, bambina, conoscerai gli sculaccioni di Norma.
Eileen si era mezza buona buona ad aspettare in camera sua, ma verso l'una del mattino era cominciata una seconda tortura: la musica del piccolo Nadir.
L
ì per l' non ci aveva fatto caso, perché la casa aveva le mura spesse e lei un sonno incredibile, ma mentre cercava di affondare la testa bene bene nel cuscino, si era cominciato a far sentire il suono della solita canzone. O meglio, con molto sforzo la su poteva riconoscere, perché era orribilmente storpiata da miagolii di corde di violino e passaggi incredibilmente striduli. Sembrava suonata con un coro di grattugie strusciate su coperchi di vecchie pentole. Una cosa da mettere i brividi. Eileen dovette affondare la testa sotto tre strati di coperte per non sentirla. Ma quello scempio trapassava i cuscini e d andava ad annidarsi fino là, nelle sue povere orecchie torturate. Il piccolo Nadir probabilmente si divertiva quella sera a tener sveglia tutta la compagnia. O forse qualcuno gli aveva dato inavvertitamente da bere.
Maledicendo Foster che non saliva a togliergli quel coso di mano, alla fine si era addormentata.
Ma era stata svegliata all'alba da un rumore sgangherato di ferraglia che passava sulla ghiaia là sotto. Non aveva fatto in tempo ad aprire gli occhi che il rumore si era allontanato verso le stalle.
Insomma, quella notte era stata la più terribile Eileen avesse mai sopportato. Quando si fu lavata distrattamente il collo e annodata alla meglio la vestaglia, scese di sotto per andare in cucina con un mal di testa che sarebbe bastato per quattro. Aveva gli occhi pesti e i capelli tutti rialzati da una parte.
Ma molto prima di raggiungere le scale del secondo piano fu a un tratto intercettata da Norma che usciva dalla biblioteca esattamente con lo stesso brio con cui era entrata la sera prima.
- Eccoti qua! - esclam
ò giuliva, e l'afferrò per un braccio, trascinandola il più lontano possibile dall'imponente porta semichiusa.
- Dove andiamo? - chiese Eileen. Norma rote
ò gli occhi di delizia e sorrise con un'aria piena di finto, eccitatissimo mistero.
Poi la port
ò a fare colazione, le mise davanti due fette di pudding, una scodella di uova fritte e pancetta, un piattino di pane e marmellata e una gigantesca tazza di caffè e insistette perché mangiasse tutto.
- Tra poco vedrai che capirai a che ti serve tutta questa energia.
Eileen mand
ò giù tutto senza fiatare. Il giorno prima, causa pene di cuore, non aveva mangiato quasi nulla, e ora aveva una fame da lupi.
Quando ebbe spazzolato bene tutto e si fu pulita con il tovagliolo, solo allora Norma annunci
ò con aria indicibilmente soddisfatta:
- Adesso puoi venire a vedere.
La port
ò di nuovo al piano di sopra. Oltrepassarono Noah che armeggiava con una grossa valigia in un angolo e cercava di imbacuccare Creamy dentro uno spesso strato di cotone (- 'Sennò ti ammacchi, nel viaggio, piccolino!'), sfilarono lungo la teoria di porte e arrivarono in fine in biblioteca. Da dietro la porta proveniva una specie di rumore metallico intervallato da fischi sinistri. Eileen provò una vaga inquietudine.
Norma buss
ò tre volte con un intervallo in mezzo, come una specie di segnale convenuto. Immediatamente il rumore cessò, e dopo un attimo Elizabeth comparve sulla soglia, in sottoveste, col bavero slacciato, la cuffia tutta di traverso e una lunghissima sequenza di spilloni tra le labbra. Sorrise a bocca stretta per non far cadere gli spilloni e fece un gesto che indicava 'dopo di voi'.
Norma entr
ò e con un gridolino disse:
- Ci siamo, ci siamo, ci siamo! Lizzy mia cara hai superato tre stessa!
Eileen gir
ò la testa un po' smarrita. Quella che ricordava come una tranquilla saletta da lettura sembrava aver visto nella notte il passaggio di più eserciti consecutivi. A parte i vecchi scaffali che erano stati alla meglio protetti da lenzuoli, tutto il centro era stato sgombrato per far posto a qualcosa che a prima vista sembrava un ammasso di ferro. Non c'era più il tavolino né la poltrona, il tappeto arrotolato di sbilenco per far posto a dei pedali lunghissimi che uscivano dalla pancia della cosa, le finestre tutte oscurate da decine e decine di metri di stoffe antiche, mezze chiazzate e stinte. Su ogni stoffa era stato applicato un cartellino con scritto 'sì' o 'no', e i cartellini erano a decine. In fondo alla stanza un grosso manichino era coperto da un lenzuolo bianco. Un altro lenzuolo copriva un lungo, piatto rettangolo a lato. Sembrava trattarsi di un quadro o di uno specchio.
Norma sorrise tutta fiera in direzione dei due oggetti coperti dal lenzuolo.
- Adesso lo proviamo, e vediamo se il lavoro pu
ò andare - disse rivolta a Elizabeth. Quella fece una specie di risolino piuttosto isterico, e si vide dagli occhi molto gonfi che non aveva dormito un secondo.
Eileen, invitata da Norma con un gesto cerimonioso, si dispose davanti ai due aggeggi.
- Et voilà - annunci
ò Norma scoprendo quello che sembrava un manichino. Da sotto il lenzuolo venne fuori qualcosa di totalmente inaspettato.
- Ma .. cos'è? - fece Eileen.
- Non lo vedi? E' un vestito, mia cara, un vestito piuttosto importante, direi!
Eileen fiss
ò imbambolata quei vari metri di stoffa e si chiese come mano umana avesse potuto cucirlo.
- L'ho fatto io - sorrise Elizabeth - tutto per te, stanotte …
Eileen assent
ì distrattamente, senza neanche capire che diceva. La realtà era che quel vestito era la cosa più bella che mai le fosse capitata sotto gli occhi (a parte il Signor Thompson, ovviamente, ma quello non era una cosa): tra due ali di stoffa vaporosa di un tenuissimo color albicocca si apriva una gonna enorme fatta di lucido satin color crema. Il bustino, squisitamente attillato, era avvitato e ricamato tutto intorno con un lievissimo e complicato motivo di foglie d'edera, una trina di pizzo leggerissimo partiva dal seno e andava a coprire il petto fino alla gola, terminando in una fila lunghissima di stretti bottoncini di stoffa. Eileen fissò il miracolo che aveva davanti, e chiese per chi fosse, per quale regina.
- Ma che Regina e Regina! - rise Norma - E' per te, è il tuo vestito di scena!
E senza darle il tempo di replicare butt
ò giù anche il secondo lenzuolo. Se ne fosse uscito un fantasma sarebbe stato meno impressionante.
Era un quadro, lo stesso quadro che Eileen aveva visto il giorno del suo arrivo, poggiato in disparte nell'atrio tra la confusione delle casse. E nel quadro, proprio come quel giorno, era rappresentata una ragazza che somigliava - ora lo capiva - incredibilmente al Signor Thompson. Gli stessi occhi verdi la stessa bocca, le stesse sopracciglia scure e belle. Ma la cosa davvero impressionante non era la somiglianza dei tratti: era il vestito, lo stesso vestito che aveva a fianco, riprodotto da Elizabeth, in stoffa e cuciture, completo.
Eileen rimase a bocca aperta.
- Ma come hai fatto? - chiese.
Elizabeth divent
ò rossa fino alla punta dei capelli, e Norma le dette un bell'abbraccio.
- Brava, bambina mia, sei stata grande! Con questo indosso conquisteremo il mondo!
Eileen le guard
ò senza capire.
- Che significa il mio vestito di scena? E questa donna, nel quadro chi è?
Ma Norma era già immersa con Elizabeth in fitti commentari sull'abito: dovevano provarlo indosso a Eileen, stringerlo forse un po' alla vita, allentare appena appena le spalline … Eileen non fece in tempo a dire altro. Venne presa, spogliata, rivestita e questo senza mai che le fosse dato neanche il tempo di fiatare.
Quando fu pronta, e tutta in ghingheri, Norma per poco non svenne dalla gioia. Anche Elizabeth si un
ì alla festa dicendo che non aveva mai visto niente di simile.
- Ma mi volete spiegare che significa?
Nessuno volle, perché:
- Tutto a suo tempo - come sorrise maliziosa Norma. Dopo di che si affrett
ò a ricoprire la fatica della notte di Elizabeth e la spinse con sé fuori dalla porta.

Col signor Nibbles non fu molto diverso. Anche lui si era dato da fare. Eileen lo vide, con terrore, quando Elizabeth e Norma la spinsero fuori dalla porta dell'ingresso, per partire. Erano incredibilmente eccitate dall'idea che quella sera Eileen avrebbe avuto la fortuna di scendere in una vera locanda di Londra, e di dormire nella grande città.
- Oh, che bellezza -sospirò Linny in estasi, e Norma le fece eco convinta. Poi, visto che Nibbles non si vedeva e anche Foster mancava all'appello (era stato deciso che fossero loro due insieme a Noah a scortarla fin nelle fauci della grande città per mascherare in tempo il tenente prima del matrimonio), la signora Nibbles si mise a ricordare di quante volte era stata, al seguito del vecchio Eleazar e di sua moglie, i visita in case distintissime.
- Devi sapere bambina mia che portavano sempre me in giro con loro. La signora aveva una cameriera, una francese che teoricamente avrebbe avuto più diritto di me ad accompagnarla nei suoi giri di visite. Ma capirai, bambina, la ragazza era piuttosto bruttina e sgraziata. Confondeva i manicotti con le sciarpe, non sapeva né parlare ne stare zitta, aveva sempre qualche brutto malanno … e insomma, la signora decideva sempre all'ultimo di portare me. E io non l'ho mai fatta sfigurare. Così andavamo per salotti eleganti: io stavo indietro, rispettosamente, e aspettavo che …
Ma non fece in tempo a finire. Un assordante rumore di ferraglia cominciò a rombare subito accanto alla stalla e di lì a un attimo qualcosa di incredibile si mosse.
- Aspettavi che suo marito, quella canaglia, buon'anima, ti facesse scivolare in mano qualche bel bigliettino … - gridò Nibbles avvicinandosi alla porta alla guida di un enorme carrozza che sembrava scolpita nella pietra. Era enorme, e vistosissima, di un nero lucido che sembrava finto. Attaccati c'erano due cavalli, uno bianco, pezzato, spelacchiato. L'altro più giovane, ma con un occhio solo.
Nibbles scese agilmente, nonostante la mole, dalla cassetta di guida su cui si era arrampicato e con un gesto galante andò ad aprire lo sportello di dietro.
- Tutta per voi, mademoiselle - disse portandosi la mano alla fronte, e imitando la voce cerimoniosa e vagamente nasale del suo ex acerrimo nemico Foster : ­ - per portavi in capo al mondo e anche di più.
Dico ex nemico perché da quando Eileen era discesa la sera prima in cucina a dire che voleva farla pagare a quel tremendo farabutto di Prescott, sembrava che tra Foster e Nibbles si fosse instaurata una fragile, ma comunque miracolosa tregua.
Eileen sorrise, vagamente  disagio. Davvero stavano per andare a Londra - lei, Nibbles, Foster, Noah e una banda di insetti - rinchiusi in quell'arnese?
Nibbles intercettò lo sguardo incerto di Eileen.
- E' del canonico - si scusò - serve principalmente per il funerali. Ma il padrone si è portato via la sua, ma … dopo aver tolto gli angioletti dorati e aver dato una bella ripulita, l'effetto è piuttosto signorile. Non vorrai mica che ti porti a Londra sopra il carro per il fieno, giusto o no?
Eileen sorrise, e non seppe che dire. D'altra parte Thompson si era portato via l'unica carrozza della casa. Non potevano mica andarci a piedi, fino a Londra … non comunque con quella fretta addosso. Senza volerlo una punta di paura le attanagliò le viscere al pensiero che molto presto Thompson aveva intenzione di portare all'altare Aurora …
- Foster! Dove vi eravate cacciato santo cielo! - Norma strillava in direzione del maggiordomo, che stava appunto uscendo dalla porta con entrambe le mane ingombre di roba. In una portava una valigia di bella pelle elegante e rifinita, anche se un po' vecchia e dall'aria di esser stata troppi anni chiusa in un armadio, nell'altra un involto molto grosso che aveva una curiosa forma oblunga.
- Dove vie eravate cacciato? Avanti, avanti, che è tardissimo, avanti!
Foster sorrise - aveva l'aria soddisfatta - e mentre sistemavano il bagaglio fece un sorriso enigmatico a Eileen. Le ormai si lasciava trascinare, aveva rinunciato a capire.
Quando furono tutti pronti, il signor Nibbles salì a cassetta, e Noah subito accanto con la sua scatola. Era eccitato dall'idea del viaggio, ma soprattutto da qualcosa che Norma gli aveva sussurrato all'orecchio qualche ora prima. Erano la punta di diamante del piano, lui e Creamy e tutti gli altri animaletti, e lui non si era mai sentito più importante di quel momento. Sorrise soddisfattissimo, e chiese a Nibbles di reggere le redini.
Norma spinse Eileen dentro la carrozza e subito dietro salì Foster.
- Mi raccomando, vecchio gufo - disse Norma - ditele tutto quel che le dovete dire, e fate in modo che non sbagli una virgola!
Foster fece di nuovo il suo strano sorriso, e si portò una mano sul petto.
- Tutto quello che volete, madame. Lo sapete che per voi farei di tutto.
Dopo di che, con uno schiocco di frusta che forse era un po' più forte del dovuto, Nibbles fece partire i cavalli. La carrozza, con un enorme baule fissato in cima e decine di oggetti che penzolavano ai lati, si mosse in direzione di Londra.
Norma ed Elizabeth agitarono i fazzoletti finché non sparì caracollando oltre in cancello.
Poi Norma sospirò:
- Speriamo che facciano in tempo. Se c'è un Dio, quel farabutto di Prescott dovrà scontare tutte le sue colpe. 

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Carissime,

     perdonate la fretta con cui posto oggi (e forse anche qualche piccolo errore di battitura - ma quelli li faccio anche quando non vado di fretta ^___^), ma causa invasione di parenti probabilmente non potrò dedicarmi come vorrei alla stesura della storia per un paio di giorni. Lo so, lo so che è crudele lasciarvi proprio a questo punto, mentre i nostri sgangherati eroi sono partiti alla volta di Londra su una carrozza trafugata al parroco, e con in mente un piano segretissimo per strappare Thompson dalle grinfie di chi vuole ingannarlo ... se avrete la pazienza di aspettare un paio di giorni, penso proprio che avrete delle sorprese!

Nel frattempo vi bacio, come sempre, e spero di trovare le vostre solite, preziose recensioni: non esitate a farmi notare se c'è qualcosa che pensate si possa migliorare, il vostro aiuto è sempre fondamentale! E nel frattempo, ricordatevi di postare il Vostro Thompson, sono troppo curiosa di sapere comne ve lo immaginate!

Un abbraccio, a presto presto, vostra


Vale

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Capitolo 28
*** Capitolo Ventisettesimo ***


- Capitolo Ventisettesimo -


- Che significa che non avete stanze?
Nibbles, al bancone della locanda, gridava talmente forte che Eileen e Foster lo sentivano da dentro la carrozza.
- Significa che non le abbiamo e basta - sbadigli
ò il garzone del banco. Mingherlino, con molta acne, continuava a lisciarsi con una mano le lunghe ciocche unte che gli uscivano da sotto un pretenzioso berretto da portinaio. Una cosa raffinata, in fin dei conti erano al White Lion, mica una locanda qualsiasi.
- Vi sembra il modo di rispondermi, giovane?
Il ragazzo brufoloso occhieggi
ò la marsina di Nibbles, e il cilindro che era passato di moda più o meno quando sua nonna era una giovinetta. Per non parlare dell'assurda carrozza che aveva appena abbandonato lì davanti, con tutto che era ora di punta e c'era un sacco di traffico: una specie di attrezzo nero e oblungo che sarebbe andato benissimo per una fiera di paese, o per un morto. Assomigliava vagamente a un carro funebre, pensò il garzone mentre osservava l'unto che gli era rimasto sulle dita.
- Non ce l'abbiamo - ripeté, annoiato - E se anche ce l'avessimo non penso che voi potreste permettervela.
- Che?
- E' esattamente quello che ho detto - sorrise quello con un sorriso acido - siamo la miglior locanda del quartiere, non credo che possiate permettervi una stanza al White Lion. Qui ospitiamo solo borghesi ricchi, gente di una certa levatura.
- Borghesi ricchi? - esclam
ò Foster entrando. Aveva una strana andatura da giraffa, quella delle occasioni solenni - Borghesi ricchi, avete detto? Che Dio ce n  scampi! Non conosco gente più volgare. La miglior cosa che possiamo fare è andarcene subito di qui. Andiamo Nibbles? La carrozza è la fuori che aspetta. E di certo non si guida da sola. Su, hop, hop!
I suoi denti perfetti scintillarono, e le sue mani impeccabili descrissero un minuscolo giro nell'aria.
Nibbles lo squadr
ò interdetto.
-Che vieni a metterci il naso in mezzo, Foster?
Il maggiordomo gli assest
ò un lievissimo, ma doloroso pestone ad un piede.
- Lord Foster. Quante volte te lo dovr
ò ripetere? Di questi tempi - sorrise al garzone - è impossibile trovare della servitù anche solo decente. Qualche problema, ragazzo mio, a proposito?
Il ragazzo deglut
ì.
- Io? No, signore …
- E allora ditemi perché ci vuole tanto per ottenere una camera. Mi sembra che questa fosse una locanda, una cosa di un certo tenore. O almeno lo era una volta.
- Ecco, io …
- Sono già dieci minuti che aspettiamo. Avete qualche giustificazione per avermi costretto a scendere personalmente di carrozza, per venirmi a sincerare della cosa? A me, Lord Francis Fordham Foster di Fosterville House?
Il ragazzino era troppo intimidito dalle sdegnose narici di Foster riuscire a replicare alcunché. Balbett
ò una mezza scusa indistinta.
- Benissimo - concluse Foster - Avanti, Nibbles, andiamocene. Stasera tutta la Londra che conta saprà che al White Lion di South Kensington si fa penare la nobiltà di sangue per una camera.
- Aspettate - fece il ragazzo - Io non sapevo che …
- Non sapevate chi avevate di fronte? - chiese Foster tirando su il mento e producendosi in una perfetta imitazione della Nobiltà Offesa - Sappiate, ragazzo mio, che nella vita molte cose non si sanno. Ma sarebbe meglio per voi, soprattutto con il lavoro che fate, che imparaste a riconoscere la paglia dai diamanti, quando l'incontrate. Certo è vero che il mio maggiordomo, Nibbles è talmente sventato che … ma basta parlare. Arrivederci.
Il ragazzino li fiss
ò per un istante. Dopo di che si precipitò fuori dal banco per prendere a Foster il soprabito.
- Perdonatemi, eccellenza … Milord, lord …
- Lord Foster - sorrise quello senza voltarsi indietro - Lord Foster di Fosterville House. Quello che avete fatto aspettare ben dieci minuti sulla strada per assegnargli una stanza, e che prima di sera - statene certo - troverà il modo di farvi licenziare.
- Oh, perdonatemi, Lord Foster, io … non avevo capito, ma … prego, accomodatevi, mando subito qualcuno a scaricare la vostra carrozza. E per la camera … non c'è alcun problema. C'è quella del padrone, al piano di sopra. Lui pu
ò benissimo dormire con …
- Tre camere, ragazzo mio. Mi servono almeno tre camere: viaggio con mia nipote quindi una per me, una per lei e una … per i miei servi, il ragazzo con quel cesto e il signor Nibbles. Un brav'uomo, splendido maggiordomo. Forse un tantino pigro. Non pretenderete mica che io dorma con i servi, no? Ecco, appunto. Vedo che capite. Nibbles? Segui il signore e scarica i bagagli. Vi aspetter
ò qui, mandatemi mia nipote. Dobbiamo essere dal Duca di Derby tra meno di mezz'ora e spero bene che questo giovanotto non ci faccia sprecare altro tempo prezioso…
Ma il giovanotto scatt
ò come un fulmine per andare a scaricare i bagagli. Nibbles fissò Foster con uno sguardo che esprimeva in ugual misura astio (gli aveva fatto fare il maggiordomo!) e sollievo per l'impiccio risolto.  Prima di sparire oltre la porta fece un tempo a indirizzargli un gesto non proprio amichevole. Ma Foster già non guardava da quella parte. Aveva accavallato le gambe nella comoda poltrona di velluto, e se ne stava tutto beato per la recente promozione sociale. 

Più tardi, quel pomeriggio, Eileen passeggiava avanti e indietro per la sua, stanza al primo piano della locanda. Teneva per un po' le mani dietro la schiena, poi le intrecciava sul davanti, spostava qualcosa su una mensola e tornava a sedersi sul letto. Scattava in piedi dopo cinque minuti e poi si rimetteva a sedere. Erano già quattro volte che faceva questa intera sequenza di gesti, solo con qualche piccola variazione quando per caso passava davanti allo specchio.
Allora fissava poco convinta le lunghe trecce bionde che aveva e si diceva che il piano non avrebbe mai funzionato: Catherine era rossa come il fuoco, e di una spanna più alta di lei.
Durante il viaggio, inscatolati dentro l'abitacolo e cullati dagli sbalzi tremendi della vettura a tutta velocità per le strade dissestate della regione, Foster l'aveva istruita a dovere sull'impresa che dovevano compiere: più il momento si avvicinava, più le sembrava una missione disperata. Una cosa da un crederci, assurda.
Eppure era l
ì, in quella stanza, con il baule dove stava rinchiuso, piegato con ogni cura, l'enorme e splendido vestito  cucito dalle mani di Elizabeth: soltanto poche ore e poi avrebbe dovuto indossarlo veramente. Era una cosa che le dava i brividi, che la metteva veramente a disagio. Ma se era necessaria per smascherare quel farabutto di Prescott e salvare Thompson dall'amicizia di quella serpe in seno, beh, allora … Eileen scosse la testa, e sorrise di una specie di smorfia ironica allo specchio. Altro che amicizia. Lei non faceva tutto questo soltanto per amicizia. Per salvare il Signor Thompson dall'imparentarsi con chi gli aveva rubato la sorella. No, no, no. Lei lo faceva per amava Thompson, anche se non sapeva dire perché. Forse semplicemente perché l'idea che lui abbracciasse un'altra donna, che potesse essere buono con un'altra la … la faceva star male, ecco. La faceva stare male nel profondo.
Pens
ò alle volte in cui erano stati insieme. Non ne ricordava neanche una in cui non fosse finita malissimo. Perché allora lo amava, ma, ancora peggio: c'era speranza che lui amasse lei?
Di miracoli ne erano già successi, per esempio Foster era riuscito ad ottenere dall'oste ben tre camere in quel lussuoso albergo da ricchi, e lei occupava ora un lindo e spaziosissimo quartiere al primo piano. Doveva essere stata fino a qualche istante prima la camera della moglie dell'oste, perché si vedevano dovunque le tracce di una cura amorevole per niente consona all'aspetto informale che hanno gli alberghi, anche i migliori. Un bel vaso di fiori di campo freschi era posato sul largo davanzale della finestra, e ai vetri tendine di mussola lasciavano passare l'aria leggera di quel pomeriggio di fine maggio. Londra era come se la ricordava: caotica, luccicante, stupenda.
Arrivando dalla periferia avevano subito notato una certa animazione fremente che non c'era in altro paesi. Botteghe, macellerie, fioraie che decantavano agli angoli di strada la loro merce. E poi, avvicinandosi al cuore pulsante della capitale, miriadi di strade sempre più fitte, una folla di passanti e venditori. E poi i grandi negozi di Bond e Oxford Street: gioiellerie, drogherie ampie come navi, negozi di giocattoli alti tre piani. Era rimasta tutto quel tempo incantata fuori dal finestrino. Alla fine Foster aveva dovuto scrollala delicatamente per il braccio, perché erano quasi arrivati.
Nell'ultimo tratto avevano attraversato il Tamigi salendo direttamente con carrozza e tutto su  un largo battello piatto che li aveva scaricati sulla riva opposta. Avrebbero potuto attraversare uno qualunque delle decine di ponti che collegavano le due parti della città, ma Noah era troppo affascinato da quel mezzo di trasporto mercantile, e Nibbles glie l'aveva data vinta. Alla fine la riuscita del piano, detto a mezza bocca a Foster, dipendeva dalle sue creature.
Arrivati al quartiere di South Kensington, si erano fermati a quella locanda. Dopo di che Nibbles, assicuratosi che fossero tutti ben sistemati, bauli compresi, era scomparso in un vicolo dicendo che aveva una mezza idea di dove rintracciare il Signor Thompson.
- Prima di sera avremo il nostro uomo - aveva detto con aria misteriosa e un mezzo sorriso.
Dopo di che era scomparso nel nulla.

Era ormai quasi l'imbrunire quando Eileen, facendo per la millesima volta il tragitto dalla porta alla finestra della linda camera dell'ostessa, guardò in basso e sul marciapiede vide Nibbles che si affrettava a tornare.
- E il Signor Thompson? - chiese quando fu entrato nella stanza, tutto giulivo.
- Sta venendo qui - annunci
ò lui togliendosi il cappello e controllando nello specchio che sotto tutti i capelli fossero al loro posto. Ci teneva molto ai suoi capelli, detestava che prendessero pieghe.
- Come sarebbe sta venendo qui? - quasi grid
ò Eileen, colta del tutto alla sprovvista.
- Sarebbe che sta arrivando. Probabilmente è già quasi alla porta - sorrise Nibbles scrollando le spalle.
A Eileen venne voglia di picchiarlo.
- Gli ho detto della vostra malattia - continu
ò il vecchio, giustificandosi - La roba delle ultime settimane. Senza omettere niente, ovviamente.
- E non gli avrete mica rivelato anche il piano!
Nibbles assunse l'espressione di un tenero agnello appena nato.
- Ho fatto solo in tempo a dirgli dove siamo alloggiati - mormor
ò allargando le braccia - poi un tizio importante ci ha interrotti. Doveva parlare con lui, e io non ho fatto una piega. Ufficialmente siamo cui per potargli i nostri auguri e presenziare al matrimonio. Ho l'idea che ho fatto appena in tempo a precederlo. Non appena quel signore avrà finito di parlare, Thompson si sarà già bruttato per strada. Vedrete se non ho ragione, era così agitato quando ho detto quanto eravate stata male …
- Ma perché? Perché glie lo avete detto? Adesso lui verrà qui!
Nibbles la scrut
ò per un istante. Uno dei pochi in cui Eileen gli vide passare in faccia un'espressione seria.
- Non preferite rivederlo prima di fare quello che stiamo per fare? Prescott non scappa, lo possiamo smascherare anche domani. Ma se lo facciamo stasera, il matrimonio va a monte. Non volete avere un'ultima occasione di parlargli prima di decidere in modo irreparabile della sua felicità, e della vostra? Non credete che sia meglio sapere se lui ama Aurora oppure no? Io vi ho portato fin qui per vendicare Catherine, e vi porterei anche in capo al mondo se ci
ò servisse a ridarcela, ma voi, voi stasera deciderete della vita del Signor Thompson, della vostra e di quella di miss Aurora. Non volete essere prima sicura che Thompson non la ami davvero?
Eileen lo fiss
ò per un istante.
- Non la ama - disse poi - ne sono certa. E anche se lui dicesse il contrario, io continuerei a non crederci.  

Thompson arrivò mezz'ora dopo. Eileen lo vide entrare dalla porta del White Lion. Salì le scale a precipizio e bussò alla camera di Nibbles, che era proprio accanto a quella di Eileen. Dal divisorio lei sentì che parlavano.
Poi un bussare discreto alla sua porta. Divent
ò di mille colori e cercò di aggiustarsi alla meglio la brutta cuffia da camera che aveva appena fatto in tempo a buttare in valigia con il resto.
- Avanti! - disse mentre trafficava febbrilmente con la maniglia. Pass
ò un tempo infinito prima che riuscisse a far scattare la serratura.
- Avanti! - ripeté sorridendo di imbarazzo. Ma la porta si mosse di pochissimo.
 - Togliere anche la catenella potrebbe essere un modo per facilitarmi l'ingresso. Sempre che vogliate farmi entrare, e che non vi aspettiate che io sappia passare attraverso le fessure.
- Oh! S
ì, scusate.
Un istante dopo, tolta la maledetta catenella di mezzo, apparve inquadrato nella porta il signor Thompson.
- Oh, menomale - sorrise ironico entrando con il suo solito passo sicuro - pensavo di dovermi fare a fette per il piacere di potervi fare visita.
Eileen teneva gli occhi bassi. Magicamente tutto l'armamentario di formule scialbe ma rassicurantemente cortesi che si era preparata in anticipo si era sciolto come neve al sole davanti alla figura di poco prima. Riusc
ì solo a balbettare un incerto:
- Accomodatevi - prima di lasciarsi cadere in poltrona.
Thompson sorrise accomodandosi anche lui. Poi gir
ò intorno uno sguardo molto attento, sorrise all'aria e si schiarì la voce.
- Felice di vedervi da queste parti. Vi confesso che non mi aspettavo una vostra visita, ma vedervi non pu
ò che farmi piacere. C'è qualcosa di interessante, sul tappeto?
Eileen alz
ò di scatto gli occhi.
- No, niente. Semplicemente … semplicemente …
- Semplicemente siete in imbarazzo. In dannato imbarazzo, e vi capisco. L'ultima volta che ci siamo visti non ci siamo lasciati molto bene. Mi pare, se non vado errato, che la nostra discussione si concludesse con una delle vostre solite, garbate maledizioni.
Sorrise. Eileen voleva morire.
- Posso sapere il perché siete qui? Siete forse venuta a fare pace? In questo caso, io…
- No, niente affatto. Sono venuta soltanto per farvi i miei più fervidi auguri di … di …
- Di matrimonio?
- Di matrimonio, esattamente.
- Ottimo. Fino adesso ne ho ricevuti cos
ì pochi … ancora sotto il migliaio, comunque. I vostri sono graditissimi, comunque.
Dopo di che cal
ò il silenzio nella stanza per almeno dieci minuti.
- Mi ha detto Nibbles che siete stata male - riprese Thompson dopo qualche tempo. Teneva d'occhio la finestra, dove un piccione si era appena posato a spulciarsi -  Niente di grave, spero.
- No. Una specie di costipazione al petto. Una cosa da niente, ha detto Finley.
- Nibbles mi ha detto che siete stata a letto per circa tre settimane.
- Nibbles dice tante cose.
- Ma è vero?
Eileen sospir
ò.
- E' vero, s
ì. Ma non è stato niente di grave.
- E perché non sono stato avvertito?
- Non era niente di grave, vi ho detto. Una specie di brutto raffreddore.
- Siete stata in fin di vita, non mentite.
Eileen sollev
ò il mento.
- E anche se fosse?
Thompson la guard
ò fisso fin quando non la costrinse ad abbassare gli occhi.
- Che vi piaccia o no, madamigella, siete sotto la mia stretta tutela. Se vi pungete un dito con un ago, se vi ammaccate una caviglia correndo o trovate un coniglietto in una tana, io devo essere avvertito.
- Dovete esserlo di ogni cosa che accade?
- Di ogni cosa che accade in casa mia, s
ì. Soprattutto se cono cose gravi. La diagnosi del dottor Finley è stata una mezza polmonite, mia cara. O volete negare anche questo?
- Il dottor Finley esagera sempre. E Nibbles non tiene mai la bocca chiusa.
Thompson la fiss
ò in modo truce per un istante, poi sbottò a ridere.
- Neanche voi, se è per questo. Dev'essere una specie di vizio nell'aria a Thompson House.
Eileen si alz
ò dalla sedia e cominciò a passeggiare avanti e indietro sul pavimento di legno.
- In compenso c'è qualcuno che la tiene chiusa anche troppo - disse alla fine, dopo un gran respiro.
- A chi vi riferite? - chiese Thompson.
- A nessuno. A nessuno in particolare. Ma constato un semplice fatto.
- Allora vi riferite a qualcuno.
Eileen si ferm
ò ad aggiustare il lembo di un centrino all'uncinetto che cadeva storto sulla mensola del caminetto. Guardò con interesse quasi ipnotico una specie di orologio a cucù che era posato proprio lì accanto e aggiustò meccanicamente la posizione di un piccolo quadro. Poi riprese, quando Thompson ormai pensava che non l'avrebbe più fatto.
- Ebbene s
ì, mi riferisco a qualcuno. A qualcuno che poteva avvertirmi di stare per coronare il suo sogno di felicità eterna.
- Ma io vi ho avvertito - sorrise Thompson increspando appena appena l'angolo esterno del sopracciglio sinistro.
- Ah davvero? - fece Eileen, girandosi con rabbia. Si pent
ì subito di quello scatto.
- O meglio- alz
ò le mani Thompson - Vi ho annunciato che stavo per sposarmi. Per l'eterna felicità, invece, temo proprio che sia un po' presto.
- E perché mai? - chiese lei.
- Perché un saggio diceva che un uomo davvero felice si giudica solo nell'ultimo giorno della sua vota. Prima pu
ò succedergli di tutto. Non è saggio fare previsioni azzardate.
- Ma se doveste?
- Se dovessi cosa?
- Se doveste fare previsioni?
Thompson sorrise e guard
ò l'orologio.
- Direi che tra tre ore al massimo saremo sulla buona strada. E sarà tardi. Un po' troppo tardi per certuni. E ancora molto presto per altri.
- Cosa significa? - facendosi vicina.
- Voi che dite?
- Non lo so.
- Neanche io. Ma se volete, stasera potrei invitare anche voi alla mia cena. Ci ho già invitato Noah, e il signor Nibbles … dicono di essere venuti fin qua apposta per farmi tante congratulazioni …
- Loro due?
- Loro due soli. E voi? Voi per cos'è che siete venuta?
Eileen guard
ò in basso e si sforzò con tutta sé stessa di sorridere.
- Per farvi anche io le mie, ovviamente. Tante, tante congratulazioni Signor Thompson, ed estendetele alla signorina Aurora. Tante, tante congratulazioni, davvero.
- E allora fatemele, finché siamo in tempo. Tra poco sar
ò un uomo sposato.
Cos
ì dicendo allargò la braccia, si alzò dalla poltrona e avanzò verso di lei di due passi.
- Cosa volete che faccia? - chiese lei vagamente allarmata.
- Che mi auguriate buona fortuna - sorrise lui.
- Buona fortuna, signor Thompson. Ma per cosa?
- Per il mio matrimonio, ovviamente.
-  Buona fortuna per il vostro matrimonio.
- Lo dite come se ingoiaste del vetro.
- Lo dico come mi pare, se non vi spiace.
Thompson rise di nuovo, poi sollev
ò le mani in un gesto di resa.
- Posso chiedervi anche un'altra cosa? O è troppo per la mia piccola Eileen?
- Chiedermi cosa? - scatt
ò lei, con uno sforzo immane per trattenersi dal piangere. Il modo con cui Thompson stava mandando avanti il gioco, beh, lei lo trovava disgustoso. Era arrabbiata e se avesse potuto gli avrebbe cavato con le sue stesse mani quei begli occhi verdi.
- Che ci lasciamo da buoni amici - disse lui, e allung
ò il braccio per prenderle la mano tra le sue - Avanti, datemi la mano, Eileen Merriott, e promettete che sarete sempre la mia sincera, punzecchiante amica.
- Benissimo - tir
ò lei su col naso. Nonostante ci stesse impiegando tutte le sue forse, non riusciva davvero ad odiarlo - Benissimo, Signor Thompson. Prometto che sarò sempre vostra amica.
- Bene cos
ì, e adesso … verrete alla cena di questa sera? Guardate che avete promesso.
- Solo di essere sempre vostra amica. Per la cena … ci devo pensare.
- Venite. Non mancheranno i divertimenti. E voi, del resto, mi sarete oltremodo necessaria.
- Perché mai?
- Perché siete mia amica, bambina. E nonostante tutto quello che credete, non è facile trovare amici veri, al giorno d'oggi. Come dice un vecchio adagio, bambina, 'è più amica la spina che ti punge dell'ortica che ti accarezza la mano'.  E ora scusatemi, devo proprio andare. Alle nove in Perry Street, mi raccomando. Sarà una memorabile serata: al vostro posto io non mancherei.

 

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Carissime tutte, 

    innanzitutto ben trovate! Vi sono mancata almeno un pochino ieri? Contro le aspettative sono riucita a postare questo capitolo prima del previsto: naturalmente, anche se impedita a scrivere dall'assalto parentale, ho meditato, e quello che vedete qui sopra è il frutto delle mie ultime, complesse elucubrazioni serali sui destini dei nostri amati personaggi, che, come sapete, certe volte, hanno la perniciosa tendenza a compiere fatali scempiaggioni  O_____________________o.
   Spero che l'incontro alla locanda di Eileen e del Signor Thompson sia stato dei vostro gradimento, io ho cercato di ridurre i danni e di farli litigare il meno possibile, ma sempra che quei due, quando si incontrano, non possano fare a meno di ustionarsi reciprocamente di cattiverie.
  Per quanto riguarda il prossimo capitolo, sono aperte le danze per le supposizioni in merito! Il Ventottesimo è già scritto per metà, ma trattandosi della scena capitale del racconto, mi ci vorrà forse un po' più di tempo a prepararlo: vi do appuntamento a dopodomani (ma se riesco a postare prima, giuro che lo faccio :) ), sempre sperando che ce la facciate ad aspettare per conoscere come andrà a finire questo fatidico ballo in onore di Thompson e Aurora!

    Nel frattempo come al solito vi mando un bacione, e vi abbraccio (insieme a Thompson, ormai ça va sans dire ...) ^_____^, a presto presto, la vostra affezionata

Vale

 

 

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Capitolo 29
*** Capitolo Ventottesimo ***


- Capitolo Ventottesimo -

 
Il ballo cominciava alle nove. Alle otto e tre quarti, dopo una cena a base di rognone stufato servita ai due da uno spaesato cameriere, il signor Nibbles e Noah si mossero in direzione del luogo indicato. Noah saltellava per la strada con la sua cappelliera sotto il braccio. Gli animaletti erano tutti dentro tranne Creamy, che era stato sistemato in una piega del cappello che Norma gli aveva confezionato per l'occasione. Era un piccolo aggeggio di panno che gli ricadeva floscio su un lato, e dell'altro aveva una visiera. Proprio all'intersezione dei due, se ne stava appallottolato il coleottero.
- Volevo che anche lui vedesse Londra - spieg
ò Noah al signor Nibbles, e poi si rimise ad indicare al suo amico tutto quel che di interessante vedevano per la strada.
- Li vedi quello, Creamy? E' un negozio di caramelle, quello! Quelli là colorati in vetrina sono lecca lecca a rondelle, i migliori se vuoi saperlo. E più in là ci sono torte di zucchero, pan di spagna, meringhe, cioccolata … signor Nibbles, non è che per caso …
-Tutto quello che vorrai ragazzo, dopo che Creamy avrà fatto il suo dovere e tu il tuo! Ti prometto che se tutto va bene domattina ti ci porto dentro e ti compro così tante caramelle da farti scoppiare la pancia!
Noah rise di piacere al pensiero di tutte quelle caramelle, poi si affrettò a rimettere Creamy nella piega da cui, a ogni saltello, il coleottero rischiava di cadere. Fu una bella passeggiata, comunque.
Quando arrivarono davanti alla dimora londinese del Signor Thompson, che non avevano mai visitato, trovarono già le carrozze che sfilavano davanti all'entrata. Ce n'erano di piccole e grandi, alcune scoperte e tirate da una pariglia di eleganti cavalli, altre discrete, lucide, signorili con lacchè gallonati a cassetta.
Ce n'era una foderata di raso e un'altra da cui stava scendendo una grassa signora impellicciata. Ava un curiosissimo copricapo fatto di piume di pavone e chiffon.
Noah provò ad indicarla a Creamy, ma quello si era incastrato con il corno dentro il nastro del cappello e agitava le zampette per aria. Il ragazzo lo prese e lo rimise diritto, ma ormai la signora era passata. Tutti sciamavano verso l'ingresso, così anche loro si misero in coda ad aspettare il loro turno.
- Mister Nibbles - sorrise Nibbles al portiere che squadrava la sua marsina che voleva essere elegante. Norma l'aveva tirata fuori dall'armadio delle Grandi Occasioni, dove c'erano anche il suo vestito da sposa e quello di quando si erano sposati certi cugini ricchi di Nigel, ma evidentemente quella specie di gualdrappa stinta non convinceva il portiere, e che indugiava.
- Avanti! - spinse da dietro un signore calvo. Aveva al braccio una megera magra che sembrava scolpita lei stessa negli smeraldi che portava addosso. Il portiere li fece passare alzando un sopracciglio, e solo dopo che Nibbles ebbe spiegato che era un collega della casa di campagna, Thompson House.
Poi entrarono nell'atrio e Nibbles non poté reprimere un grido di ammirazione per il luogo. La vasta sala d'ingresso ondeggiava per un mare di cappelli, cappellini, piume di struzzo e acconciature delle più diverse e strane composizioni. C'erano dame vestite di broccato, sete lucide, rasi iridescenti, gioielli brillanti che danzavano alla luce mobile delle candele. C'erano migliaia e migliaia di candele su ogni lato della scala, sorrette da enormi candelabri d'argento modellati con gusto squisito. Valletti dalle uniformi dorate scivolavano tra la folla reggendo grandi vassoi traboccanti di champagne, tartine e ghiaccio che offrivano agli ospiti. Oltre la scalinata si intravedeva un'enorme sala da ballo, il cui soffitto decorato a stucchi sembrava andare tutto a fuoco per la luce di un enorme lampadario di cristallo: nonostante fosse sospeso a un'altezza vertiginosa, quasi toccava le teste degli invitati da quanto erano lunghi i suoi pendenti.
Anche Noah era incredibilmente eccitato e non smetteva un attimo di sbirciare dentro la cappelliera per far vedere tutte quelle meraviglie anche agli altri insetti che se ne stavano inquieti a percorrere il fondo della scatola.
Da un angolo  in fondo alla sala, semisommerso dal rumore delle chiacchiere di tutta quella bella gente che rideva e commentava sbalordita gli arredi, giungeva a ondate il suono di un ottetto d'archi. Dovevano essere appollaiato sopra quel piccolo balcone di legno che nascondeva per metà la vista dei musicisti al resto della sala. Stavano suonando una polka.
Nibbles, sgomitando qua e là, cercò di alzare il mento sopra quel gran mare di teste e acconciature per arrivare a trovare il padrone. Impresa ardua, perché una matrona di enorme stazza e alta quasi quanto un armadio gli si era piazzata davanti e chiacchierava con una sua smunta amica degli ultimi pettegolezzi del giorno.
- Pensa un po’, Amabel, che enorme fortuna è toccata a quella ragazza, Aurora Prescott: non ha un soldo di suo, che io sappia, e suo fratello è un misero tenente. Eppure, guarda qua che spettacolo: tra meno di dodici ore sarà la moglie di uno degli uomini più ricchi del Paese … ahi! Ma che modi …
- Perdonatemi, Madame - fece Nibbles, mentre la oltrepassava sgomitando - Ma quel signore è il mio padrone e sto proprio cercando di raggiungerlo, quindi …
La matrona si fece da parte offesa, poi continuò a chiacchierare con Amabel sulla fortuna che baciava sempre più sciocche e insipide creature. Non come lei, che pur essendo piena di talenti aveva sposato uno sciocco buono a nulla. Nibbles sorrise e strizzò l'occhio a Noah, che si era faceva avanti a fatica da sotto le gambe di un vecchio ammiraglio decorato.
Il signor Thompson era poco distante, vicino al tavolo del buffet, che parlava con un gruppo di signori molto eleganti.
- Quello, lo vedi? - gridò Nibbles a Noah per sovrastare il rumore della folla e dell'ottetto d'archi - quello dev'essere il Primo Ministro. Lo riconosco dalla faccia da scimmione! E quello accanto, quello è un Giudice della Suprema Corta di Giustizia. Noah fissò per un istante tutti quei tizi impennacchiati che parlavano a tu per tu, in confidenza, col padrone.
- Dov'è il mio uomo? - chiese.
- Eccolo là - disse Nibbles, e indicò Prescott che in effetti faceva parte del gruppo anche se era parzialmente nascosto da un'enorme zuppiera per il punch.
- Avvicinati discreto al padrone e digli che siamo arrivati, ma guarda bene di non farti vedere da nessuno. Poi incollati dietro Prescott, sempre senza farti vedere, e vedi di tenerlo d'occhio fino al momento dell'esibizione: è importante non perderlo di vista neanche un attimo.
- Ricevuto! - scattò Noah tutto impettito, e poi scomparve in mezzo alla calca. Nibbles sorrise e si avviò a passo lento verso il centro più gremito della sala. Voleva raggiungere il tavolo dei rinfreschi, tanto per farsi un goccetto mentre aspettava che prendesse il via tutto il loro bell'ambaradan, ma fu interrotto sul più bello dall'entrata della regina della serata.
Aurora Prescott aveva appena fatto il suo ingresso a braccetto del fratello, da una porta molto vicina al tavolo buffet. Sembrava un filamento di luna, uno spettacolo da togliere il fiato nel suo vestito verde smeraldo con enormi volant di seta nera. Tutti si fermarono a guardarla.
Aguzzando gli occhi Nibbles vide Noah che spezzava un sandwich al granchio per Creamy poco distante. Non perdeva di vista il loro uomo neanche un istante.
Aurora e Prescott si diressero verso il buffet. Là Thompson, contornato gente che non faceva altro che lodare tutto e servirsi di tutto due volte, sorrise alla sua promessa sposa come uomo completamente innamorato. Aspettò che si avvicinasse per prenderla dal braccio di Prescott. La presentò a tutti i signori che facevano cerchio intorno a lui, fu ammirato, invidiati, sommerso di complimenti per la splendida scelta. Aurora era al settimo cielo, e mostrava la sua perfetta dentatura calibrando splendidi sorrisi. Il Pirmo Ministro le fece un complimento, e lei arrossì di piacere dietro il ventaglio di pizzo che reggeva in mano. Poi Thompson le chiese se voleva qualcosa da mangiare, e fu lui stesso a scortarla per scegliere quello che più si confacesse ai suoi gusti. Nibbles, che era poco distante, dette un'occhiata anche lui al buffet.
Al momento - e si era solo all'inizio - erano già stati serviti oltre millecinquecento cesti d'ostriche, venti interi vassoi di caviale, infiniti tipo di tartine, formaggi molli, pasticci di carne, di rognone, di verdure cotte nel lardo sotto una spessa e soffice crosta di pane, rosee fette di prosciutto, rotondi e morbidi panini imburrati, torte di erbe, torte salate e un enorme vassoio d'argento in cui erano accomodate tra le altre venti pernici croccanti, cinque tacchini cucinati completamente interi, cestini di pane in crosta di formaggio e decine e decine di volatili decorati con le più diverse salse.
Alla fine Aurora scelse del caviale una minuscola tartina al salmone. Thompson vi aggiunse qualche piccola ostrica che liberò personalmente dal guscio perché Aurora non rischiasse di sporcarsi. Poi entrambi tornarono agli ospiti, mentre Nibbles era molto occupato a ficcarsi dentro le tasche dell'abito la maggiore quantità possibile di stuzzichini. Noah invece era sempre dietro a Prescott, e non si mosse finché non fu il momento.
Alle dieci e mezza la festa era al suo culmine. I camerieri facevano avanti e indietro per rifornire il buffet su cui la gente si infrangeva come onde della marea sulla sabbia. E come le onde, anche l'enorme massa ingioiellata finiva con l'erodere velocemente tutto quel che vi era depositato dall'incessante andirivieni dalle cucine al piano di sotto. L'ottetto d'archi suonava una polka a tutta forza per contrastare il frastuono, e i più giovani tra gli ospiti già ballavano, per lo più molto stretti nella calca - non è facile mantenere una complicata figura mentre scarpini e ghette multicolori continuano a capitarti tra i piedi.
Quando Nibbles capì che era l'ora, il piano ebbe inizio. Come sbucato dal nulla, una specie di tintinnio continuo percorse la folla. Sembrava una campanella che trillasse, ma non si vedeva da dove proveniva. Lentamente tutti si voltavano a capire l'origine di quel suono, che venne finalmente individuato in un angolo, a metà della sala.

- Avanti gente, venite a vedere il Circo del Piccolo Noah! Il Circo più minuscolo che esista, l'Ottava Meraviglia del Mondo!
Il Signor Nibbles, in piedi col cilindro calcato in testa e la marsina lunga fino ai piedi invitava gli ospiti ad assieparsi intorno alla piccola cappelliera. Molte teste che si erano girate, cominciarono a disporsi in cerchio attorno a loro.
- Un Circo come non l'avete mai visto! Niente leoni, tigri, elefanti: il Circo più Minuscolo del mondo: Sta tutto dentro una Cappelliera!
- Dove sono gli animali? - chiese un tizio che aveva inforcato il monocolo sui grossi baffi per guardare meglio.
Nibbles sorrise e indicò la cappelliera.
- Tutti dentro questa scatola, signore! E' il Circo più piccolo del mondo! Ed ecco a voi il nostro domatore!
La gente guardò incuriosita chi fosse mai questo domatore. Anche il Signor Thompson, insieme al Primo Ministro stava guardando da quella parte.
- Cosa succede? - chiese Aurora. Ma nessuno le dette una risposa. Erano tutti troppo occupati a guardare cosa stava accadendo.
Da una piccola porta laterale era appena uscito qualcuno, ma così piccolo che le teste più indietro facevano fatica a vederlo. Lo percepivano dal moto della folla.
Quando Noah - perché di lui si trattava - raggiunse il piccolo spazio circolare in cui era sistemata la cappelliera, fece un gran sorriso emozionato al pubblico e si inchinò un paio di volte.
- Il piccolo domatore Noah - annunciò Nibbles imponendo il silenzio, e parlando a voce altissima perché tutti nella sala lo sentissero - Adesso ci mostrerà di che cosa sono capaci i suoi animali!
Così dicendo scoperchiò la cappelliera, e un mormorio percorse le file di quelli che potevano vedere.
- Ma non c'è niente! - gridò una signora con un'enorme turbante argentato.
- Non è esatto, Madame - rispose Nibbles - Un po' di pazienza e potrete giudicare coi vostri stessi occhi. Avanti, Noah, mostra i tuoi animali alla signora!
Noah sorrise e chinandosi raccolse tre piccole processionarie in mano. Le alzò bene bene per aria, e qualcuno fece una faccia schifata.
- Ma sono processionarie! - gridò.
Noah si chinò un'altra volta e tirò fuori la seconda mandata:
- Anche tre bombici e una cavalletta, altre quattro processionarie e due formiche giganti. Due cimici e … la star della serata, Il Magnifico Supremo Superbo Roboante Creamy!
Qualcuno rise.
- Che sa fare?
Noah armeggiò con la sua borsa a tracolla, estrasse una scatola di fiammiferi che aveva dipinto a colori vivaci, un minuscolo cancelletto fatto di rete metallica intrecciata e un grosso guscio di noce a cui aveva attaccato alcuni nastri e una bandierina inglese. Sotto il guscio c'erano quattro rotelle, talmente minuscole che pochi riuscivano a vederle.
Noah si assicurò che girassero a dovere strusciandole sul palmo. Tirò fuori uno straccetto con dell'olio e le unse per la centesima volta, tanto per essere sicuro. Il piano doveva funzionare, non potevano permettersi sbagli. Poi prese Creamy, le processionarie e il guscio e infilò tutto dentro la scatola. Nessuno vide bene che faceva. Quando tornò a vedersi, la cappelliera era stata trasformata in una specie di piccola pista per cavalli, con tanto di strisce che seguivano il percorso circolare della scatola, una linea di arrivo e la casetta da cui saprebbero partiti i cavalli. Noah sorrise soddisfatto e alzò la testa verso la balconata dove stava l'ottetto d'archi.
- Signori! - scandì a voce alta -  Una Marcia per la Grande Parata!
Dal balconcino non se lo fecero ripetere.  Si sentì che il Maestro, imparruccato batteva un paio di volte il tempo con il piede, e poi partì da tutta l'orchestra una marcia indiavolata e allegrissima.
Noah sorrise soddisfatto e alzò la grata che teneva chiusa la scatola di fiammiferi. Un istante dopo ne usciva qualcosa che catalizzò l'attenzione della folla. Sulla musica allegra, una pariglia di otto processionarie, allineate in fila perfetta, faceva la sua solenne comparsa strisciando fuori dalla scatola e trainando un grosso occhio. Ognuna aveva legato sul davanti (sempre che quello fosse il davanti e non il dietro) un minuscolo filo colorato a mo' di collare. Ognuna di esse spingeva in avanti con grande abnegazione ed energia.  
Dietro veniva, come un carro vero, il guscio. Era enorme, dipinto d'oro e argento come una vera carrozza da Regina, e si reggeva barcollando un po' sulle rotelle. A cassetta, fissato su una specie di piccolo rostro di legno c'era una lunga cavalletta che teneva con le minuscole zampe una corda. Noah le aveva insegnato in qualche modo a stare piegata come se sedesse, e le aveva assicurato la corda a una zampina con una palla di colla. L'effetto, amplificato dai grandi occhi e dai movimenti a scatto della testa, era quello di un attento guidatore che trasportasse tutto compito il suo veicolo. La folla diete di un'esclamazione di raro giubilo, e quelli della prima fila si sporgevano ad ammirare quel piccolo miracolo.
Ma la sorpresa più sorprendente di tutte doveva ancora venire. Un istante dopo oltre il cancello finì di sbucare anche l'ultima parte del corteo: era Creamy, assiso dentro la guscio come un monarca su una specie di piccolo trono improvvisato. Era fatto di pasta di sale, e luccicava alla luce delle candele. Per dare un effetto migliore, Noah aveva cosparso il suo beniamino di una piccola dose di polvere d'oro con cui Norma decorava certi dolci: il risultato era che Creamy brillava con un Gran Maraja. Protendendo il suo corno avanti e indietro sembrava proprio che stesse dando ordini alla sua ciurma di andare più lenta, e si godesse degli applausi del pubblico.
- Straordinario!
- Incredibile!
- Superbo!
Creamy era l'attrazione principale, e tutti ne erano catturati come in sogno. Nel frattempo le processionarie continuavano col loro lavoro, avevano già fatto mezzo giro di pista, e adesso descrivevano una specie di complicata figura di marcia. La musica si era fatta tenebrosa, a sottolineare il rischio di quell'avventata manovra.
Ma un istante dopo le piccole portavano a compimento perfettamente l'esercizio.
La folla era in visibilio. Mentre la musica terminava, solenne, partì un doppio applauso per il piccolo Noah e per gli insetti.
Noah si inchinò più volte, poi prese Creamy tra due dita e lo innalzò ben sopra la propria testa, perché anche lui potesse ringraziare degnamente. A quel punto cominciava la seconda parte del piano.
- Un minuto di attenzione, signori!
Nella sala il brusio cessò immediato e si fece un gran silenzio.
- Attenzione! - ripeté Noah guardandosi intorno. Vide Nibbles che gli faceva un segno dopo aver guardato per aria in direzione della balconata, e continuò.
- Un istante fa vi abbiamo mostrato un esercizio, e non dei più semplici! Il piccolo Creamy e la truppa si sono esercitati mesi e mesi per raggiungere questo livello di perfezione. Ma non è tutto qui, nel nostro Circo! Se vorrete, stasera siamo in grado di mostrarvi ben maggio di prodigi!
La folla fu percorsa da un mormorio.
- Prodigi inimmaginabili, cose da far accapponare la pelle, magia, mistero, contatti con questo e l'altro mondo!
Nella sala non volava una mosca.
- Vi chiedo allora - scandì Noah guardando fisso avanti a sé - volete vederli?
Dalla folla partì un grande applauso. Nibbles sorrise e si chinò verso Noah, sussurrandogli qualcosa all'orecchio.
- Benissimo - disse poi il ragazzino - ora Creamy vi mostrerà un esercizio che ha davvero dell'incredibile! Ma prima mi serve un volontario.
Un ragazzo dall'aria impaurita, che faceva il lacchè al signor Thompson quando era in città, si mosse a disagio fuori dal cerchio protettivo della folla. Sembrava che fosse stato spinto.
- Come ti chiami? - chiese Noah.
- Jebediah - esalò il ragazzo in un singulto.
- E cosa vuoi sapere, Jebediah? - chiese Noah sorridendo alla folla.
Jebediah si strinse nelle spalle. Non gli andava di avere tutti quegli occhi addosso se solo … il padrone non l'avesse costretto.
- Vorrei sapere - deglutì - se la mia cara bisnonna si ricorda ancora di me. E' morta nel 1870, quando io avevo … dieci anni - spiegò poi, a beneficio del pubblico.
Noah allora fece una faccia strana, si chinò sulla cappelliera e sistemò Creamy proprio davanti alla scatola di fiammiferi.
- Avanti, Magnifico Creamy! Portaci un messaggio dal Passato!
Creamy rimase un istante fermo e si guardò intorno. Poi col corno puntò dritto la porta della scatola e ci si tuffò dentro, convinto. Passarono dei lunghissimi istanti. Noah sudava e sorrideva nervosamente. Alla fine Creamy sbucò di nuovo, a marcia indietro, rotolando con le zampette davanti una minuscola pallina di carta. Quando fu davanti alle dita di Noah dette un colpetto alla pallina col corno e quello la sollevò a mezz'aria.
- Certo che mi ricordo di te, zuccone! - lesse mostrando il bigliettino alla folla - Sono vecchia ma mica rimbambita!
Tutti risero, e Jebediah, avvampando fece un mezzo sorriso e ritornò dov'era.
Noah alzò gli occhi e disse:
- Altri volontari?
Stavolta toccò a un ricco signore alto, distino e con un gran bavero di pelliccia alla giacca. Aveva una splendida aria da dandy e le sue mani scintillavano di anelli.
- Avrei anche io una domanda da fare - disse Foster, avanzando tra la folla con la sua grazia inimitabile e sicura - Una domanda che mi preme molto.
Tutti lo lasciarono passare finché non fu davanti alla scatola.
- Vorrei sapere, ragazzo mio - disse - se la mia devota moglie, dal Cielo a cui è volata tre anni orsono, si ricorda per caso dove ho messo quei gemelli di diamanti che ho perso e che non riesco più a trovare in nessuno posto …
Noah annuì e fece fare a Creamy la stessa cosa di poco prima. Quando uscì aveva un'altra pallottolina di carta tra le zampe.
- Cerca in casa della tua amante, disgraziato - lesse Noah - Quella ladra te li ha fregati, allocco!
La gente rise e Foster arretrò fingendo vivo disappunto e imbarazzo.
- A questo punto ho bisogno di un'ospite. Ma qualcuno di speciale - disse Noah. In sala calò il silenzio.
- Perché non lo chiedete al Signor Thompson? - disse una voce che nessuno riconobbe come quella dello stesso aristocratico di poco prima, adesso ben nascosto dietro il grande vassoio del punch - In fin dei conti è il padrone di casa!
Il signor Thompson uscì da una specie di piccolo assembramento di gente vicino al buffet.
- Volentieri - sorrise - Ma che domanda potrei mai fare ad un morto? Avanti, accetto suggerimenti.
Nella sala calò di nuovo il silenzio.
- Chiedi a tua madre se sarai felice! - bofonchiò una signora segaligna che si faceva vento con un gran ventaglio.
- A tuo nonno, il mercante, se le azioni del caffè saliranno ancora il prossimo anno! - disse invece un signore distinto.
Thompson scosse la testa.
- Troppo facile. Voglio sapere qualcosa che sia davvero così impossibile da sapere altrimenti … oppure potrei pensare che il nostro scarafaggio bara.
- Non è uno scarafaggio, è un coleottero - protestò Noah, Nibbles gli fece cenno di tacere.
- Perdonami - sorrise il Signor Thompson perfettamente calmo, e avanzando di un altro passo nella sala - C'è nessuno che saprebbe suggerirmi una buona domanda da fare?
- Chiedi chi ti ha portato via la tua Catherine - disse una voce femminile. Tutti all'istante si voltarono indietro, verso la porta. C'era una donna velata, vestita con un vestito bianco indosso.
- Perché dovrei chiedergli questo?
- Perché una cosa che nessuno può sapere, tranne chi te l'ha portata via.
Un mormorio percorse la sala. Chi era quella donna velata che interrompeva la festa così? Perché non mostrava il suo volto? E soprattutto, chi era questa Catherine? Tra la folla, i pochi che lo sapevano, cominciarono a sussurrare spiegazioni ai loro vicini.
- Va bene - scandì Thompson a voce molto lenta - Accetto il consiglio della signorina. Avanti Noah, chiedi al tuo amico una risposta dal regno dei morti.
Quel che successe dopo, rimase per lungo tempo negli annali delle storie che a Londra si raccontavano nei salotti la sera, davanti al fuoco e a un bicchiere di punch. Tutti coloro che ne furono testimoni, ricorderanno per sempre la tensione che si levò tra la folla degli invitati come un velo funebre.
Il coleottero avanzò trotterellando verso la sua casetta. Noah strinse i denti, il signor Nibbles mormorò una preghiera a fior di labbra, tutti fissavano ipnotizzati le mosse di quel piccolo animaletto nero che aveva in mano non si sapeva cosa. Era chiaro a tutti, in modo oscuro ma con fatale certezza, che dalle zampette dell'esserino sarebbero dipese molte cose.
Creamy sparì dietro la rete metallica. Non ci fu un moto nella folla, un sussurro. Neanche i musici si muovevano più: avevano abbandonato i loro strumenti e se ne stavano appoggiati tutti quanti alla piccola balconata, a guardare. Un solo movimento, veloce, fu di qualcuno che dalla zona del buffet cercava di farsi largo a gomitate. Era Prescott, ma Thompson aveva dato ordine a due servi di non perderlo d'occhio.
Alla fine, dopo molti secondi, Creamy uscì di nuovo, trascinando con tutte le sue forze stavolta non una piccola pallina, ma un foglietto di carta ripiegata. La folla fu percorsa da un mormorio come da un brivido.
Noah raccolse delicatamente la lettera dalle fauci di Creamy e la porse a Thompson senza una parola. Lui dispiegò il foglietto lentamente e lo lesse.
- Tenente Prescott - mormorò, a fior di labbra. Neanche quelli intorno capirono.
- Tenente Prescott? - chiamò poi più forte.
Il tenente, dal fondo della sala dove stata spingendo per raggiungere la sola uscita, si fermò, impietrito. Aveva centinaia di occhi, tutti addosso.
- Puoi raggiungermi un attimo - sorrise Thompson, implacabile reggendo ancora il foglietto tra le mani.
Prescott rimase un istante indeciso. Grosse perle di sudore avevano cominciato a rotolargli giù dalla fronte. Dovette prendere una decisione fulminea, e decidere il tutto in un istante. Fece la scelta sbagliata. Si slanciò correndo verso la porta. Un trambusto enorme si riscosse, i servi gli corsero dietro e Aurora cominciò a strillare dal posto in cui era. Svenne subito, e forse fu meglio così. Ma si perse una scena memorabile, che gli ospiti avrebbero per anni raccontato in ogni club che frequentavano.
Arrivato sulla porta, Prescott si scontrò con la donna velata di poco prima. Era alta, solenne, e vestita con un enorme vestito vaporoso. Lui dovette riconoscerlo, perché arretrò.
- Catherine? - mormorò, agghiacciato, a fior di labbra.
In quell'istante dalla balconata dei musicisti era partita una musica straziante. Un unico violino, sinistro, che sembrava spargere dovunque un lamento atroce e straziante.
- Sono tornata - disse solo la ragazza al di sotto dello spesso velo bianco - Sono tornata per portarti con me.
A quel punto si scatenò
il finimondo. Ma anche Prescott ora era svenuto, e si perse i gendarmi che arrivavano e la folla che esplodeva in un applauso nonostante la presenza - un po' inquietante, a dire il vero - di un fantasma velato nella sala.

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Carissime, 

     innanzitutto ben trovate!  

   Spero che il capitolo vi abbia divertito, e che siate soddisfatte per quello che Prescott sta per subire (Yeah! Ora posso anchye dirvelo: io lo detesto quel ragazzo!! ^____^).  
  Ormai manca quasi solo l'Epilogo, dove tutto sarà svelato completamente, e vedremo anche che fine faranno i nostri Eileen e Thompson. Ma visto che ho immaginato la storia come passibile di avere un seguito, penso che non proprio tutto andrà a posto, e questo per lasciare qualche spunto ad un più che eventuale sequel non appena avrò aggiustato questo!
  Vi segnalo che domani e (forse) dopo domani sarò un po' impegnata con certi affarucci vacanzieri (fare le valigie, metetre a posto, partire, perché purtroppo per me la vacanza è  finita - sob). Vi prometto che mentre impacchetterò la roba penserò alacremente alla struttura dell'Epilogo che ho già più o meno in mente, e che spero di potervi postare al massino tra due o tre giorni giorni.  
   Nel frattempo vi mando un bacione, unita a Thompson che adesso ha un bel daffare a capire come stanno le cose, ad Eileen che è andata a togliersi la maschera (era ovviamente lei, vestita da Catherine), e a Nibbles, che sta ancora rovistando nelle tasche alla ricerca di quello che si è allegramente fregato al buffet. 

   Vi abbraccio, e spero che la festa non vi abbia stancato troppo, 

    sempre vostra

Vale

 

 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo Ventinovesimo ***


- Capitolo Ventinovesimo -


- Complimenti per la mascherata, Norma ha fatto un ottimo lavoro.
Eileen, nella sua stanza alla locanda, si stava giustappunto districando dal complicato marchingegno del vestito. Se indossarlo era stata una passeggiata (bastava stare attenta ai pizzi ed infilarlo dalle braccia come un tubo), un'altra cosa era slacciare tutto il complicato ambaradan di lacci che adesso le serrava la vita. In un contesto del genere, con metà testa fuori e metà dentro, una voce che ti prende alle spalle non è il massimo della simpatia. E infatti Eileen si volt
ò di scatto e fissò la porta come un fantasma.
Il Signor Thompson, ancora in abito da festa, se ne stava inquadrato tra gli stipiti con l'aria più serafica del mondo.
- Avreste fatto meglio a rimanere - disse muovendo un passo avanti - vi siete persa la parte migliore: quella in cui hanno caricato Prescott sulla carrozza dei gendarmi. Istruttivo, davvero istruttivo, non c'è che dire.
Eileen rimase ammutolita. Che ci faceva Thompson da quelle parti? E soprattutto cosa …
- Cosa ci faccio a quest'ora nella stanza di una signorina rispettabile? - sorrise lui - Lo so, lo so. Avrei dovuto bussare. Ma stasera è sera di sorprese, cos
ì ho pensato che visto che c'ero ... potevo fare i complimenti anche a voi, per l'interpretazione. Siete stata una splendida Catherine. Quasi quasi ci cascavo anche io.
Eileen, con il bustino mezzo slacciato, allung
ò una mano alla sedia per prendere la vestaglia.
- Pardon - disse Thompson e si copr
ì educatamente gli occhi per tutto il tempo che lei ci mise a sistemarsi.
Poi, andando verso il davanzale della stanza, scost
ò una tenda e guardò sotto, la strada.
- Non mi chiedete perché sono cos
ì calmo? Per essere uno a cui avete appena mandato a monte amicizia e matrimonio … beh, direi che la sto prendendo bene, non vi pare?
Ad Eileen, che adesso trafficava con il lungo laccio della vestaglia, venne voglia di mettersi a piangere. Perché non riusciva mai a trovare il buco dove andava infilato. E soprattutto, che ci faceva Thompson a fare dell'ironia in camera sua?
- Non dovreste essere a piangere in un angolo? Alla fine hanno appena arrestato il vostro migliore amico per aver sedotto e abbandonato vostra sorella, nonché aver tentato di fuggire alle sue responsabilità. Non mi sembra una cosa da niente. E poi io non vi ho mandato a monte nulla. Sua sorella non c'entra niente, no? Potete benissimo sposarla.
- Dopo che suo fratello è rovinato e non potrà mai più apparire in pubblico senza arrossire, ammesso che abbia sufficiente senso dell'onore per vergognarsi?
Eileen lo fiss
ò incredula.
- Dunque non sposerete Aurora soltanto perché ha la colpa di essere sua sorella? Non c'è che dire, un bel comportamento! Vi fa onore, e poi venite a dire che sono io a mandarvi a monte …
- Voi speravate di mandare a monte tutto questo dal momento esatto in cui avete saputo che io e Aurora ci saremmo sposati.
- Ma senti! Io …
- … e ci siete riuscita benissimo - la zitt
ì Thompson . Poi sorrise - Meno male che lo speravo anche io, altrimenti sarebbe stata dura da digerire.
Eileen lo fiss
ò senza capire.
- Lo sapevo - esal
ò lui come se stesse rivelando un tremendissimo arcano - Lo sapevo dal primo minuto e vi ho lasciata fare.
Eileen apr
ì e chiuse la bocca.
- Come, lo sapevate? E come potevate … non potevate sapere, la lettera, la cappelliera, Norma, Nibbles, io …
Il Signor Thompson si gir
ò di nuovo verso la stanza. Alla luce incerta delle due candele che rischiaravano la stanza dal camino, sembrava stranamente alto e incredibilmente distante. Ma non era qualcosa di spiacevole.
- Norma mi aveva avvertito- spieg
ò scandendo le parole -  Non appena è stato ritrovato il biglietto. C'era scritto abbastanza chiaro che il mio carissimo amico Prescott aveva dato appuntamento a Catherine in un certo luogo ad una certa ora. Combacia con il giorno della scomparsa. E lo sciocco lo aveva anche firmato.
- Lo sapevate - mormor
ò Eileen - lo sapevate, e quindi …
- Credete forse che avrei permesso a una bambina travestita da fantasma di rovinarmi le nozze se questo non fosse stato già nei miei piani?
Lei lo fiss
ò con odio estremo. Prese il laccio della vestaglia e cominciò a rigirarselo tra le mani, attorcigliandolo.
- E quindi sarei stata una vostra pedina? Lo sapevate? Davvero? Oh, che peccato, se avessi saputo che Aurora non era di vostro gradimento, mi sarei trattenuta dal fare qualsiasi cosa per togliervela di torno. Non volevo fare certo un favore a Vostra Altezza.
Thompson rise, le and
ò vicino e le tolse il laccio dalle mani.
- Non vorrei che vi feriste. Questo coso pu
ò essere pericoloso.
- Forse avete paura che vi strangoli?
- Conoscendovi non sarebbe un'ipotesi da trascurare. Comunque, per quanto riguarda o scompiglio di stasera,  vi ho già detto che era nei miei piani. Da quando ho capito che Prescott poteva essere l'autore di tutto, tanti piccoli indizi a suo carico, tante lievi reticenze sono andare al loro posto magnificamente. Mi è bastato fare qualche controllo per capire dove poteva essere stato negli anni in cui ci eravamo persi di vista, subito dopo la laurea e ho scoperto … beh, ho scoperto che i conti tornavano.
- E Norma vi aveva avvertito.
- Esattamente.
- Anche della notte in cui sono salita in soffitta.
Thompson fece una piccola smorfia ironica.
- Se non ci foste arrivata penso proprio che non se ne sarebbe fatto di nulla. L'avrei smascherato in un altro modo. Non potevo permettervi di sapere, ma visto che ormai la vostra innata propensione a mettere il naso dove non dovreste proprio metterlo aveva agito … beh, a questo punto potevamo includervi.
Eileen lo fiss
ò incredula.
- Includermi? Razza di sciocco, testa d'uovo, rimbambito! - scatt
ò in avanti, cercando di riafferrare il laccio che ora teneva Thompson. Lui alzò la mano e lotenne stretto in pugno mentre lei lo aggrediva - Se io non fossi salita voi vi sareste tenuto al fianco per una vita l'amico che vi aveva ucciso la sorella senza saperne niente!
- Ohi, ohi, non è il caso di aggredire - disse lui prendendole i polsi e fermando le sue unghie già vicine alla sua faccia - Ho detto solo che siete stata utile. Ma in effetti siete stata … necessaria.
Eileen si rabbon
ì tutto di un colpo. Come il mare quando viene la bonaccia. Il fatto è che era molto stanca e cominciava a confondere le cose. Per esempio, un istante prima, era stata quasi contenta che il farabutto le afferrasse i polsi, invece di infuriarsi e cominciare a gridare, come sarebbe stato forse più saggio fare.
- Ah, meno male - disse solo - E adesso, che cosa ne farete della vostra bella ape? Pensate di sposarla domani o rimandate il matrimonio a quando avranno processato suo fratello? Oppure adesso che lui è rovinato non avrete più niente da dirle? Che farabutto, se ci penso, io …
Thompson rise.
- Siete sempre lo stesso piccolo folletto canaglia travestito da ragazza perbene che mi è stata scaricato in casa appena due mesi fa. Neanche la febbre è riuscita a rabbonirvi? E' incredibile come si possa giudicarvi, a prima vista, una ragazza di buone maniere!
- Forse perché siete un presuntuoso prendete di queste cantonate.
- E voi siete una piccola ficcanaso che non si mostra per quello che è.
- Sempre meglio di un orrendo essere che gronda presunzione dovunque.
- Piccola ficcanaso.
- Presuntuoso. E lasciatemi andare le mani.
- Solo se promettete di non graffiarmi. E di non adoperare questo laccio. Ha l'aria di non fare troppo bene, intorno al collo.
- Solo se promettete di non dire altre scemenze. E di permettermi di allacciarmi di nuovo la vestaglia. Non è decente usare questi trucchetti per cercare di sbirciare qualcosa.
Thompson non volendo abbass
ò gli occhi sulla vestaglia anche troppo scollata. Sotto soltanto un camiciola di lino separava le spalle di Eileen da tutto il resto. Si arrese subito.
- Va bene - disse tendendole il laccio e fissando gli occhi da un'altra parte - E, andiamo, adesso facciamo la pace.
- Che pace posso fare con voi? Abbiamo forse litigato?
- No - disse Thompson, fissando il caminetto. Era un tantino arrossito - per
ò vi ho fatto prendere un bello spavento.
- In che senso?
- Nel senso che stavo quasi per sposarmi.
- Perché? Adesso non vi sposate più? Siete davvero cos
ì poco costante?
- Voi cosa dite?
- Non ne ho idea. E non credo che mi interessi affatto.
Lui sospir
ò, e si aggrappò al caminetto con una specie di voluttà da naufrago.
- E se vi dicessi che Aurora era sua complice? L'ho scoperto quando ho fatto queste indagini. E' stata lei a prenotare i biglietti su quella nave, usando il falso nome di Aurora Mason. Era il nome di sua nonna, lo stesso.
Eileen fece una faccia compita. Ma non riusc
ì a fare in modo che un sorriso, un trionfale sorriso di vittoria le irraggiasse per un istante tutti, ma proprio tutti i lineamenti. Dalla piega del mento alla punta estrema delle lunghe trecce.
- Oh, come mi dispiace, signor Thompson. Davvero.
- Come a Nerone dispiacque dell'incendio. Ma avete fatto bene, del resto.
- Non scherzate.
- Non sto scherzando.
- Ah no?
- No - disse lui - Davvero. Avete fatto bene ad evitarmi un matrimonio di cui forse mi sarei stancato il giorno stesso delle nozze. Anche se lei non fosse stata colpevole esattamente come lo era suo fratello.
Eileen, in piedi anche lei, cerc
ò con gli occhi la poltrona e si sedette. Improvvisamente sentiva le gambe essersi fatte di ricotta. Probabilmente l'enorme stanchezza di tutta la mascherata.
- Ah, meno male - disse solo, lasciandosi andare contro l'altro schienale.
- Meno male cosa? - chiese lui, voltandosi.
- Meno male che lo riconoscete.
Ci fu un silenzio lungo un minuto. Poi Thompson riprese, sorridendo come lei non lo aveva mai visto sorridere. In effetti la stava prendendo bene.
- Voi lo sapevate già, vero? Non si sfugge all'infallibile intuito della nostra piccola Eileen Thomps… Merriott. C'è un mio amico in città, un certo Sir Conan che di sicuro amerebbe conoscervi. Siete in tutto e per tutto simile ad una sua creatura letteraria.
- Ah s
ì? E chi sarebbe questa creatura?
- Un tizio bizzarro e diffidente che ficca il naso sempre dove non dovrebbe.  E che alla fine risolve ogni cosa.
- E io cosa dovrei risolvere?
Thompson la fiss
ò con una strana aria.
- Avete risolto il mistero di chi stava chiuso in soffitta. E mi avete aiutato ad incastrare il colpevole della morte di Catherine. Non mi sembra poco, e ora spero bene che non continuerete. Che vorrete prendervi anche voi un po' di riposo.
- Voi ve lo prenderete?
- Non lo so. Non sono tipo da stare molto fermo, ma … forse potremmo prendercelo insieme.
Eileen gir
ò lo sguardo intorno e cercò in tutti i modi di frenare il rossore che le saliva alle guance. Certo Thompson voleva dire una cosa innocente, non voleva certo implicare che ..
- Signor Thompson?
- Ora potete anche chiamarmi Nicholas. In fin dei conti mi avete salvato da un'impostura.
- Va bene. Signor Nicholas?
- Ditemi cara.
- Posso farvi una domanda?
- Tutto quello che volete, bambina. Basta che non chiediate al povero vecchio Thompson di fare un'altra serata come questa - rise.
- Non volevo chiedervi questo.
- Allora dite.
- Sentite - disse Eileen tormentando con le dita una stecca del bustino. Si fece male ma non se ne accorse - Sentite, Nicholas. Se lo sapevate, se Norma vi aveva detto tutto prima, già quando io ero malata, perché non avete fatto tutto da solo? Perché avete aspettato che guarissi?
Thompson sorrise.
- Potrei dirvi che era per il piacere di vedere la mia piccola, coraggiosa indagatrice gettarsi a testa bassa contro un'ingiustizia. Ma non sarebbe tutta la verità.
- Ah no?
- No.
- E quale sarebbe allora la verità?
Thompson sorrise e la guard
ò negli occhi.
- Volevo vedere se sceglievate me.
- Che cosa?
- Esattamente. Visto che Prescott vi aveva fatto una proposta precisa. Volevo vedere se l'amore per quell'idiota bellimbusto vi avrebbe accecata tanto da proteggerlo. Non sapevo se fidarmi di voi, volevo mettervi alla prova.
Eileen, in piedi davanti al camino, si appoggi
ò con due mani alla poltrona.
- Mi avete messo alla prova? Farabu …
Ma Thompson lo la fece finire. Le and
ò vicino e le prese una mano.
- Avanti, Eileen, ora non vi arrabbiate. Tanto più che è finita …
- Come?
- … è finita come doveva finire. Spesso le storie hanno un lieto fine. Questa, io spero, ce l'avrà.
- In che senso, Signor Nicholas, se posso?
- Nel senso che ora so che di voi mi posso fidare ciecamente.
Eileen lo fiss
ò dalla poltrona. So sentiva veramente stanca.  
- E a che vi serve ora la mia fiducia? - mormor
ò.
Thompson sorrise:
- A fare s
ì che questo imbarazzante momento - disse buttandosi in ginocchio vicino al bracciolo della poltrona - rimanga sempre e solo tra noi due. E ora state a sentire.
Eileen fiss
ò il Signor Thompson ai suoi piedi come se fosse in un'altra dimensione.
- Eileen Merriott - scand
ì lui, sempre tenendole la mano - Ai vostri piedi sta uno sciocchissimo essere che risponde al nome di Nicholas. E' un vecchio burbero di trentaquattro anni - era il mio compleanno, la settimana scorsa - orso, bisbetico e che dorme già con la maglia di lana per il freddo. Praticamente un rudere. Bene. Questo rudere, bifolco, caustico, certe volte sinceramente intollerante vi sta chiedendo in ginocchio (badate bene, in ginocchio, madamigella) di perdonarlo umilmente per tutte le volte che vi ha dato fastidio con la sua spocchia e di accettare - così dicendo trasse fuori di tasca un piccolo astuccio foderato - questo minuscolo pegno del suo affetto.
Eileen, in piedi, non credeva ai suoi occhi. Prese l'astuccio dalle mani di Thompson e lo apr
ì, senza spiccicare parola. Dentro c'era un minuscolo anello con un brillante e due bellissime perle.
- Io non … cioè …- cerc
ò di alzarsi, ma lui la trattenne.
- Era di Catherine - disse - Penso vorrebbe che lo teneste voi. Su, avanti, infilatelo al dito.
Eileen obbed
ì come in sogno. L'anello le scivolò all'anulare come se quello fosse il suo posto da sempre.
- E adesso? - fu l'unica cosa che riusc
ì a balbettare, dopo qualche tempo.
- Adesso direi che se non vi dispiace posso anche rialzarmi - fece Thompson - Sono vecchio, ricordate, e tutto questo in stare in ginocchio non mi fa bene. Comunque - disse rialzandosi e guardandola negli occhi (aveva stupendi occhi verdi che adesso rifulgevano di qualcosa che Eileen non aveva mai visto) - adesso che avete fatto l'errore di accettare il mio anello, dovrete sottostare a tutti i miei capricci.
Eileen, senza mollargli la mano, lo guard
ò sorridendo.
- E quali sono? - chiese.
- Prima di tutto vi toglierete questo brutto abito che non sopporto di vedervi indosso, Rimetterete quello delizioso che usate per andare a cavallo …
- Ma è orribile …
- E' delizioso! Dicevo … rimetterete il vostro abito da viaggio e scenderete giù dalle scale. Vi aspetter
ò alla porta della locanda. E vedete di non metterci molto. Al massimo cinque minuti.
- Perché mi aspetterete l
ì?
- Sono impaziente di condurvi in un posto. E voi dovete obbedirmi, ricordate? Dovremo forse cavalcare tutta la notte. Ma è una serata molto strana, questa. Cos
ì succedono cose molto strane. E adesso, avanti, preparatevi. Vi aspetto giù alle stalle. Su, coraggio. E cercate di non rompervi la testa con le domande. Per una volta mi seguirete e basta.
Eileen sorrise e fece s
ì con la testa. Era stanca, ma non si sarebbe persa il resto di quell'incredibile serata per nulla al mondo. E poi Thompson le aveva appena messo un anello con brillante al dito … probabilmente stava sognando, e voleva continuare a farlo finché qualcosa non l'avesse svegliata. Annuì.
Thompson sorrise, e dopo averle stretto la mano per un'ultima volta, si avvi
ò verso la porta della stanza.
Se era un sogno era proprio un bel sogno, si disse Eileen mentre cercava di alzarsi e di andare in contro al suo destino con indosso qualcosa di meglio di una vestaglia.

 

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Capitolo 31
*** Epilogo ***


- Epilogo -


Cavalcarono a lungo nella notte. Prima gli ultimi scampoli di Londra, poi le propaggini di un'incerta campagna, i fossi, i campi, e poi i boschi, i torrenti alla luce della luna, e poi più niente.
C'era soltanto silenziosa brughiera, solo erica e vento intorno a loro.
Un paio di volte Thompson affiancò il suo cavallo a quello di lei, e le chiese se era stanca. Ma Eileen non era stanca affatto. 
Come succede quando si è stati svegli cos
ì a lungo da dimenticare di aver mai dormito e tutto ormai si perde in una nube di assoluta, limpida chiarezza, così anche lei sentiva l'animo sgombro e una sorta di felicità sottesa appena al limite di nuovi pensieri. Scuoteva la testa in silenzio, e Thompson spronava il cavallo. Prima arrivavano, prima sarebbe finita. Le nubi, nel cielo dell'aurora, giocavano i loro giochi inconsapevoli.
Quando arrivarono a Burton House, a diciassette miglia da dove Eileen era vissuta in quei mesi, le colline erano ancora del colore di cui gli antichi imporporavano le mani alla dea dalle dita di rosa. 
- Siamo arrivati - disse Thompson. Ed Eileen cap
ì dov'erano e perché erano là. 
Era come se l'avesse aspettato da tutta un'eternità di sogno. Come se al fine di quel viaggio ci fosse quel necessario principio, che adesso si stagliava silenzioso davanti a loro come un relitto di epoche passate.
- Io sono pronta - disse lei, semplicemente.
Thompson allora chiuse gli occhi e fece s
ì con la testa. Lasciarono i cavalli legati alla piccola staccionata in fondo al viale che conduceva alla casa. Non c'erano niente altro intorno, muri o confini, solo una lunga, enorme marea.
- Siamo alla fine - disse lui, avvicinandosi alla porta. Eileen sorrise e fece segno che lo seguiva. Thompson bussò.
Una serva dall'aria stanca li accolse.
- Buon giorno Lydia, la signora dorme?
Lydia, da sotto la cuffia spiegazzata e con gli occhi grevi di sonno, guard
ò il padrone. Poi fece cenno di sì.
- E allora andiamo. Non vogliamo disturbarla, non temete. Ci tratterremo solo qualche istante.
L'interno del cottage era lindo, arredato con semplice, limpido gusto. Alle pareti quadri con piccoli fiori, e fiori essiccati sulle mensole. C'era un camino, nell'angolo, e davanti una grande poltrona. Accanto un cesto da lavoro, intatto, con ferri e calza e gomitoli di lana.
Lydia li accompagn
ò su per le scale incerte, reggendosi con una mano alla bianca spalliera che li separava dal vuoto. Le assi scricchiolavano quiete con l'antica solidità di quello che è lì da sempre. La luce a fiotti filtrava da una vecchia finestra a metà del pianerottolo. Aveva tende di mussola fine che sventolavano com  ricordi in un luogo dove tutto è passato. Eileen prese la mano al Signor Thompson. E Thompson dolcemente richiuse le dita sulle sue, come in un sogno.
Davanti a una porta di legno chiaro, la domestica, senza parlare, si sfil
ò una chiave dalla tasca, e attese.
- Lasciaci soli, Lydia, grazie.
E poi, a Eileen:
- Pronta?
- Pronta.
La chiave scivol
ò senza fatica. La serratura non fece alcun rumore. Un istante dopo, nell'incerta luce lattiginosa del mattino Eileen vide una camera da letto, le tende alle finestre e il pavimento di legno bianco. E uno specchio, un tavolo, una mensola, e un armadio, uno scendiletto, una coperta … sulla coperta una mano bianca. La mano della donna che era morta da sempre, e che non era mai del tutto morta.
- Mia sorella, Catherine Thompson - fece Thompson avanzando di un passo nella stanza - Colei che da quando l'ho ritrovata, e forse prima, vive la calma incoscienza dei saggi. Voi la vedete, Eileen, ma lei è rimasta chissà dove e chissà quando. Voi la vedete ma lei non vede noi.
La testa rossa di quel quieto sogno riposava su un guanciale di lino, un lieve velo di garza proteggeva il letto dal resto. E dietro al velo, come fosse sospeso nella corrente di anni ed anni di oblio, il respiro silenzioso di Catherine.
Era pallida, ma il suo viso aveva l'incerta compostezza degli angeli. Era bellissima, e perfettamente immobile. 
- Quindi l'avete ritrovata ...
- Subito. L'anno dopo la sua scomparsa. Per il bambino è stato più difficile, ma adesso adesso che tutto è andato a posto, potrei pensare di porlarlo qui e di ...chissà se il tempo non possa far qualcosa per tutti e due.
Eileen fece un passo avanti. Le tende del letto si mossero.
- Amore? - fece una voce da dietro le cortine. E una mano si mosse appena appena.
Eileen si ferm
ò, immobile.
- Sono qui, stai tranquilla - disse Thompson, dietro di lei. Poi sollev
ò la tenda di garza e fece scivolare una mano nella lieve stretta di sua sorella. La donna sembrò calmarsi all'istante.
- Perché sei stato tanto lontano?
Thompson sedette e le accarezz
ò la fronte.
- Ora sono qui.
Catherine sorrise, chiuse di nuovo gli occhi. 
- Non te ne andrai di nuovo, vero? Ho freddo … e sta per nascere il bambino. Il mio bambino, te lo ricordi, il nostro … sono sola, ho paura … amore mio … ho paura …
Thompson si curv
ò sul suo orecchio.
 - Stai tranquilla - sussurr
ò - La notte è calma e fuori ci sono le lucciole. Le vedi le lucciole, Catherine? Ce ne sono a milioni, sembrano stelle giù nel vecchio campo lungo il Gladstone … Ieri Norma te ne ha catturate un paio. Sono giù in cucina, nel bicchiere. E ha preparato il pudding, ci faremo colazione domattina … Piccola Catherine, dove sei finita? Vuoi che ti canti la nostra canzone, quella del gufo e della nido e del sole che va avanti e indietro e avanti e indietro …

 Ricordati, bambina, che la sera
non è mai cos
ì oscura come apparve.
Nell'inverno cresce già la primavera,
dentro i bozzoli si accendono le larve.
Il gufo dorme dentro il suo nido,
ma poi spalanca i suoi begli occhi gialli:
quello che adesso è oscuro, triste, infido,
col primo sole lo scacceranno i galli …
 

Quando Thompson smise di sussurrare a sua sorella questa vecchia canzone, sui lineamenti perlacei di Catherine si diffuse un sorriso beato. Subito dopo il sonno l'avvolse.
Eileen si asciug
ò una lacrima.
- Lo aspetta ancora? - sussurr
ò.
- Lo aspetta sempre. La sua mente è ferma là, a quella notte in cui il tempo ha smesso per lei di avere un senso. Il momento in cui lui l'ha abbandonata. Lo aspetta e spera che ritorni.
- Ma lui non tornerà, non è vero?
Thompson scosse la testa, piano.
- No, non tornerà. Ma forse è meglio cos
ì. Forse per lei sarà sempre quel Prescott che ha conosciuto. E questo forse sarà la sua salvezza. In fin dei conti, nel posto dov'è adesso, tutto è possibile e il vero non ha senso. Rimane solo quel che è sempre stato ...
- Pensate che non possa più tornare indietro? Che non esista qualcosa, una cura ...
- Ci vuole tempo, Eileen, ci vuole tempo. 
- Tutto il tempo che sarà necessario.
- Cosa intendete? Io non so se da solo potrei riuscire a ...
- Non sarete più solo.
- Come?
- Davvero, Signore caro, mai più. Ci sarà sempre qualcun'altro al vostro fianco. Che a voi piaccia o meno, s'intende.
Thompson fece una smorfia bizzarra, ma i suoi occhi smentivano tutto il resto.
- E di grazia, chi sarebbe ... Oh, certo ... c'è Nibbles, e poi Foster, e Norma, e Noah ...
- E poi? Nessun altro, in casa, a parte loro?
Lui finse di pensarci per un po'.
- Dunque, vediamo ... ah, sì. Ma certo, quasi dimenticavo, c'è un folletto vestito da canaglia che mi è stato scaricato di peso un paio di mesi fa. Una graziosa piccola canaglia di cui sulle prime non sapevo che farmi, e che per poco non ho fatto l'errore di farmi sfuggire tra le dita. Ma adesso - disse e le prese una mano, vicino alla finestra - adesso non la lascio più andare.
- No? E perché mai, se posso chiederlo, visto che dimenticate così facilmente di metterla in lista?
- Perché è fuori da ogni possibile lista. Su, adesso usciamo. Ne avete viste anche troppe per questa mattina. Norma ci aspetta a casa, e starà sulle spine. Nessuno le ha più fatto sapere se torno con un anello al dito oppure ...
- Signor Nicholas? - fece allora Eileen - Non avete risposto alla domanda.
- Quale domanda? - chiese lui, scendendo il primo gradino della scala.
- La domanda del perché volete tenere con voi la piccola canaglia. b' fastidiosa. In che cosa può esservi d'aiuto?
Thompson sorrise e allungò le braccia, cingendola piano piano alla vita e tirandola a sé.
- Mi chiedete perché non vi lascio più andare? - le sussurrò - Velo lo spiego: perché se c'è un solo modo per rendere la vita vagamente degna della fatica che facciamo per viverla, è avere qualcuno accanto da amare. Finché possiamo vivere per qualcuno, non è mai completamente finita.
- E quand'è che comincia, Signor Thompson?
- Adesso, amore mio. Proprio adesso.

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