Then you catch him

di Mary15389
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Then you catch him CAP1 Spoiler: Episodio 2x11
Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, sono di Jeff Davis. Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
Note: Ho provato a immaginare lo svolgersi degli avvenimenti quattro anni dopo l'episodio 'Eros e Tanathos'.

Then you catch him
 
CAPITOLO 1
 
Stava lentamente riprendendo possesso delle facoltà del suo corpo. Quel corpo che era stato sconvolto così pesantemente fino a qualche secondo prima. L’orgasmo lo stava abbandonando, lasciando il respiro ancora irregolare e i battiti del cuore accelerati. Aspettava da tanto questo momento e non pensava che avrebbe provato sensazioni del genere. Per parecchio tempo si era dovuto frenare, non aveva potuto fare quello che sentiva più naturale, ma ora si sentiva bene, finalmente vivo.
Alzava piano le mani dinanzi a sé e un ghigno si disegnava sul suo volto. Il sangue scorreva fino ai gomiti, provocandogli intensi brividi di piacere. Poi l’attenzione cadeva su quel corpo esanime a terra, e subito la forza di un nuovo orgasmo crescente lo colpiva. Per accompagnare il momento, si voltava per afferrare qualcosa nella tasca del suo cappotto scuro.
Niente poteva più fermarlo stavolta.
 
L’agente speciale Aaron Hotchner si voltava a guardare l’alba dalla finestra del suo ufficio nell’edificio dell’ FBI di Quantico. La vedeva spesso, visto che passava tra quelle quattro mura la maggior parte della sua giornata. E non solo perché era il capo dell’Unità Analisi Comportamentale, ma soprattutto perché sapeva che quando toglieva le vesti dell’agente supervisore, restava di lui solo un uomo che soffriva per la lontananza del figlio. Il suo appartamento non era rallegrato dalle risate di Jack quando la mattina facevano colazione tutti insieme, nessuna traccia del sorriso della moglie, Haley, quella donna che tanto aveva amato, e per cui continuava a provare un profondo sentimento. Nonostante lei l’avesse tagliato fuori dalla sua vita senza mezzi termini, avevano pur sempre un figlio insieme.
Un sospiro faceva sollevare le spalle di Hotch, prima di concentrarsi nuovamente sul rapporto che stava finendo di scrivere. Poi lo squillo del telefono lo fece quasi sobbalzare.
“Hotchner!” rispondeva portandosi l’apparecchio all’orecchio sinistro.
“Agente Hotchner, sono il detective Carlson.” Una voce affannata si stava qualificando prima di dare la motivazione della telefonata. Aaron aveva già inteso che non erano buone notizie. “Abbiamo appena trovato una vittima in un motel di Washington. Il modus operandi è compatibile con quello di Ronald Weems, dal database risulta che l’avete arrestato voi quattro anni fa.”
“Ricordo il caso, le prostitute del Campidoglio...cosa posso fare per voi?” Hotch si stropicciava con le dita la zona tra l’attaccatura del naso e la fronte. Quel vecchio caso l’aveva portato a scontrarsi con il deputato Karen Steyer, una donna che di certo non le mandava a dire. Sperava stavolta di non dover affrontare nulla del genere.
“Vorremmo chiudere il caso il prima possibile, quindi vorremmo il vostro aiuto per confermare che sia veramente opera sua.” Chiedeva il poliziotto con voce calma.
“Mi dia il tempo di raccogliere la squadra e presentare il caso. Mandi tutto quello che avete all’agente Jennifer Jareau e ci risentiremo al più presto.” L’agente supervisore sapeva che quando i poliziotti si mettevano in testa di chiudere un caso in fretta, si concentravano solo su quello che poteva tornare utile perché ciò accadesse. Non importava se in carcere mettevano un innocente, e l’assassino era ancora libero di continuare la sua azione indisturbato. Il caso era chiuso e loro potevano andare a festeggiare la vittoria. Per la sua squadra non funzionava così.
“La ringrazio agente Hotchner. Aspetto una sua.” Il rumore della cornetta che si poggiava all’apparecchio fu l’ultima cosa che sentì prima di restare qualche minuto con il telefono vicino all’orecchio. Lo poggiò lentamente con un sospiro profondo e lo riprese subito dopo componendo velocemente un numero.
“Agente Hotchner, faccia una chiamata d’emergenza agli agenti Jareau, Rossi, Morgan, Prentiss, Reid e Garcia. Abbiamo un nuovo caso...” alla risposta affermativa all’altro capo del telefono Hotch aveva riposto delicatamente la cornetta.
Poi aveva finalmente apposto l’ultima firma sul rapporto che stava compilando, guardava quelle lettere incise sul foglio con la penna nera fortemente impugnata nella sua mano sinistra. Ma ora era il momento di impegnarsi in un nuovo caso.
 
Pochi secondi dopo lo squillo di sei cellulari in diverse parti della città stava svegliando altrettante persone. Ognuna di loro era impegnata in diverse attività, ma dopo quel segnale erano tutti pronti a raggiungere l'ufficio.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Then you catch him CAP2 CAPITOLO 2
 
La telefonata era arrivata mentre lei lo guardava dormire. Un figlio le aveva cambiato la vita. Ora oltre ad essere Jennifer Jareau, coordinatrice del rapporto con i media dell’FBI, era anche la madre di uno straordinario bambino, Henry. La lontananza dall’ufficio si era fatta sentire i primi tempi, a tal punto che una volta aveva deciso di portare lì il suo pargolo, così da avere un ricordo felice di quella sala conferenze dove di solito lei e la sua squadra vedevano i peggiori orrori.
Ma una volta tornata al lavoro, settimane prima di quando era previsto il suo rientro, altrettanto era stato il sentimento di mancanza del suo piccolo. Mancanza che colmava mostrando ai suoi colleghi le foto del pargolo, che documentavano ogni attimo della sua piccola vita che aveva superato il primo anno.
Era abituata a non dormire molto, e anche a stare fuori per parecchi giorni. Quindi quando era a casa, certe mattine si svegliava presto e ne approfittava per passare del tempo accanto al suo bambino, con una mano che non smetteva di accarezzare quel piccolo corpo. E proprio mentre osservava il lento respiro del suo scricciolo beatamente perso nel mondo dei sogni, lo squillo del cellulare aveva interrotto l’incanto, riportandola alla realtà dei fatti. Avevano un nuovo caso, e lei era richiesta in prima linea perché in poco tempo sarebbero arrivati gli altri e li avrebbe dovuti aggiornare sui dati in loro possesso.
Erano questi i pensieri di lei, mentre entrava nel suo ufficio di Quantico. La ormai ben nota carpetta beige con sopra stampata in toni scuri l’effigie dell’FBI la attendeva sulla sua scrivania. La prendeva tra le mani, accompagnando il gesto con un profondo sospiro. Adagiava i suoi effetti personali, borsa e cappotto, su una delle sedie e raggiungeva la sua poltrona lasciandosi sprofondare su di essa. L’ultimo pensiero ad Henry, il cui sorriso la salutava dalla foto di fronte a lei, ed era pronta a gettarsi completamente nel suo lavoro.
Apriva il fascicolo, ma dopo aver letto il necessario, un ricordo saettò nella sua mente. Non poteva crederci, ma sapeva che quel caso non sarebbe stato facile. Almeno per qualcuno di loro. Si alzava affrettandosi verso l’ufficio di Hotchner. Non poteva permettere che questo accadesse.
 
Aaron attendeva l’arrivo della sua squadra studiando il fascicolo del caso. Tutto sembrava ricondurre a Weems, anche se qualcosa non lo convinceva. Piccoli dettagli nel modus operandi si distaccavano dal precedente e sapeva che c’era ancora quella possibilità...ma preferiva scacciare in fretta quel pensiero, sperava di arrivare ad una soluzione senza risvegliare vecchi fantasmi del passato. Poi sentiva un bussare alla porta del suo ufficio. Sollevava gli occhi verso la stessa prima di permettere a chiunque ci fosse fuori di entrare.
“Hotch, hai visto il fascicolo del caso?” la bionda collega entrava dirompente nell’ufficio lasciando la porta aperta dietro di se. Aaron si alzava in piedi, turbato dall’espressione che poteva scorgere nei profondi occhi blu di JJ.
“Mi hanno chiamato direttamente, vogliono che confermiamo che sia opera di Ronald Weems. Fine della storia.” Non voleva che qualcuno si facesse venire i suoi stessi dubbi, avrebbe reso tutto più reale.
“Ma...se così non fosse? Ci hai pensato?” la voce le tremava. Il capo non sapeva come risponderle, la donna stava dicendo il vero, ma doveva calmarla. Dopo un prolungato silenzio cercò di formulare la frase nel miglior modo possibile.
“Non possiamo tirarci indietro. Se deve succedere succederà, anche se non ce ne occupiamo noi direttamente. Meglio muoverci e sperare di chiudere in fretta e senza problemi il caso.” L’espressione di Jennifer suggeriva che le parole dell’uomo non l’avevano calmata, ma non riusciva a controbattere nulla.
 
Il dottor Reid stava attraversando la porta a vetri della BAU per raggiungere la sua scrivania nell’open space. Era arrivato abbastanza in fretta, dopo aver ricevuto la telefonata. Aveva finito di leggere il libro che aveva preso dallo scaffale pochi minuti prima, aveva indossato i suoi soliti vestiti e dopo aver preso la sua inseparabile tracolla aveva lasciato il suo appartamento. Aveva raggiunto senza grandi intoppi lungo le strade l’edificio e ora si domandava dove fossero gli altri. Si aspettava di trovarli lì e invece le due scrivanie dei suoi colleghi erano ancora vuote. Si guardò intorno prima di notare la porta dell’ufficio di Hotchner aperta, decise di avvicinarsi, magari erano tutti riuniti lì dentro. Ad un certo punto fu raggiunto da delle voci, e riconobbe una discussione in corso tra JJ e Hotch.
“Non può affrontare anche questo...” stava gridando l’agente Jareau con voce preoccupata.
“Che sta succedendo?” interveniva Spencer per cercare di capire cosa turbasse la bionda collega. In un primo momento i colleghi erano sobbalzati sentendo la sua voce, ma dopo averci pensato un po’ Aaron gli aveva risposto.
“Niente Reid, sta tranquillo. Gli altri sono già arrivati?” chiedeva poi mettendosi di nuovo a sedere dall’altro lato della scrivania.
“Nell’open space non c’è nessuno...” sentiva ancora l’aria tesa, “Quale è il caso?” a questa domanda Jennifer rispondeva consegnandogli tra le mani il fascicolo che aveva tenuto stretto durante il piccolo diverbio con il suo capo.
“Tieni. Io vado a prendere gli altri.” Lui la osservava lasciare nervosa la stanza. Qualcosa non andava, lo sentiva. Voleva chiedere a Hotch, ma era concentrato in qualche lavoro. Apriva allora lentamente il fascicolo per iniziare a farsi un’idea di quello che li attendeva. Caso locale, sarebbero rimasti a Washington. I suoi occhi scorrevano con estrema velocità le righe di quei fogli, fino a quando i ricordi dolorosi si affacciarono alla sua mente. Ricordava quel caso con particolare nitidezza, ricordava quello che era successo mentre cercavano Weems. Aveva messo tutto se stesso in quel caso, ed era rimasto segnato da come si era concluso. Brividi freddi gli attraversavano schiena e braccia. Alzava timidamente lo sguardo verso il suo capo che ora lo stava guardando.
"Io...preferirei...insomma...io vado in sala conferenze. Voglio guardare meglio il fascicolo e qui...credo di disturbarti..." non gli aveva lasciato il tempo di rispondere, quando invece l'agente Hotchner era pronto a dirgli qualcosa. Aveva bisogno di aria, aveva bisogno di convincersi che non era quello che credeva. Sapeva in cuor suo che questo momento sarebbe arrivato, ma si augurava anche che sarebbe stato in grado di affrontarlo. In quegli anni era cresciuto. Evidentemente si sbagliava.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Then you catch him CAP3 CAPITOLO 3
 
Derek Morgan stava rimescolando la tazza del suo caffè, lo sguardo fisso nel vuoto. Voleva essere ancora in quel caldo letto accanto alla bellissima donna con cui aveva passato la notte, ma il lavoro chiamava. E lui era pronto a rispondere, amava il suo lavoro e non gli piaceva farsi cogliere impreparato. Aveva bevuto un sorso e si stava lasciando andare ad uno sbadiglio quando una voce entusiasta catturava la sua attenzione.
“Ma buongiorno!” Emily Prentiss era di fronte a lui poggiata con la spalla al muro che aveva accanto. Si stava godendo la scena divertita. La bruna agente dell’FBI era stata svegliata dalla chiamata dell’ufficio, ed era contenta di sapere che qualcuno, come lei, era ancora insonnolito. Stare in quella squadra le piaceva ogni giorno di più, erano passati quattro anni ma le emozioni erano sempre le stesse del primo giorno. Ora guardava il suo collega imbarazzato dall’essere stato scoperto in flagrante.
“Beccato! Ma che ci posso fare? È stata una nottata dura...” lo sguardo di malizia negli occhi dell’agente di colore suggeriva ad Emily più di quanto avesse realmente detto. Il volto della collega cambiava di scatto, il sorriso scompariva e la donna alzava una mano verso l’uomo, accompagnando il gesto con espressione scherzosamente disgustata.
“Non voglio sapere i dettagli grazie...” e prima che potesse continuare qualcuno arrivava a sostenere la sua causa.
“Credo che nessuno di noi sia impaziente di conoscerli!” un paterno sorriso si rivolgeva a Morgan, che scuoteva il capo abbassato per come lo stavano trattando, e a Prentiss che si era voltata per incontrare l’affettuosa figura di David Rossi di fronte a lei. La stima per quell’uomo era profonda, era il pilastro dell’Unità Analisi Comportamentale ed era sempre riuscito ad arginare con estrema maestria le crisi all’interno della squadra. Era stato per tutti in diverse occasioni una spalla su cui piangere, una valvola di sfogo, un confidente, un amico, lo sprone ad andare avanti.
“Scusate se cerco di mettervi di buon umore in qualche modo.” Lo sguardo di Derek cercava ora di catturare la pietà dei suoi colleghi che si stavano prendendo gioco di lui. Sulle sue labbra un timido sorriso che ben presto si trasformava in un broncio di finta offesa.
“Di che si tratta?” chiedeva Emily al ragazzo cercando di cambiare discorso, mentre un David divertito rideva alle sue spalle.
“Beh,” un cenno delle sue sopracciglia che si sollevavano ripetutamente e ritmicamente accompagnava le parole, “Alta, formosa...” smetteva di parlare perché la sua collega aveva preso la parola.
“Sei senza speranze. Mi riferivo al caso.” Diceva la bruna portandosi una mano alla testa in segno di disperazione.
“Scusate se vi interrompo, ma con permesso io raggiungerei Hotch.” Si intrometteva Rossi avviandosi poi sempre con il sorriso sulle labbra verso la scala che l’avrebbe portato nell’ufficio di Aaron. La donna si girava nuovamente interrogativa verso il giovane collega per avere delucidazioni sul caso.
“Non so nulla...e non parlo più...” Derek raccoglieva la tazza tra le mani prima di allontanarsi verso la sua scrivania.
“Fai come vuoi, io mi preparo un caffè.” Prentiss non voleva perdere tempo con i capricci di Morgan, sapeva che entrambi si divertivano a stuzzicarsi così, altrimenti le giornate sarebbero state noiose, specialmente quando si trovavano tutti riuniti di prima mattina in ufficio. Emily si chiedeva se sarebbero dovuti partire, e dove li attendevano per il caso, nel frattempo prendeva la moka e la caricava nella macchinetta aspettando che il liquido nero scendesse fumante all’interno della tazza con lo stemma dell’FBI in bella evidenza sul fianco.
“Siamo pronti?” la voce della coordinatrice del rapporto con i media che scattava nella loro direzione carica di fascicoli catturava la loro attenzione. Emily afferrava il suo caffè e Derek si alzava dalla sedia della scrivania. Entrambi raggiungevano la bionda collega che cominciava a dare loro i fascicoli del caso. Prentiss si guardava intorno prima di rispondere a JJ.
“Rossi è in ufficio da Hotch, ma manca ancora Reid.” Era vero, non avevano ancora visto il piccolo genio raggiungere l’ufficio. La sua scrivania era vuota, nessun segno che potesse essere già passato da lì. Non potevano sapere che appena arrivato era stato costretto a fare i conti con una triste verità. Jennifer sollevò gli occhi vedendo tra le fessure delle persiane la sagoma di Spencer nella sala conferenze.
“Lui è già arrivato...” indicava verso il vetro, “Sta studiando il caso.” Anche gli altri due agenti si voltarono per vedere quella chioma di capelli castani stagliarsi dall’altra parte della finestra. “Raggiungetelo, io chiamo gli altri e possiamo cominciare.” Con la sua solita eleganza l’agente Jareau stava raggiungendo l’ufficio del capo per invitarlo insieme a David a raggiungere la sala dal tavolo rotondo.
 
Spencer leggeva per l’ennesima volta le parole su quei rapporti della polizia, sperando ogni volta che cambiassero. Era seduto con i gomiti appoggiati al tavolo e con una mano si tormentava la zona sotto il mento, combatteva con i suoi pensieri. Desiderava farli sparire, o avere la forza di affrontarli senza piegarsi. Poi sentì alle sue spalle i passi di qualcuno che entrava nella sala conferenze. A breve tutta quella situazione avrebbe assunto tratti ancora più reali, e non avrebbe potuto più far nulla per evitarlo. Era agitato e nervoso.
“Ehi ragazzino, mattiniero oggi...” lo apostrofava Derek. Un altro giorno avrebbe trovato la domanda una battuta divertente del suo collega per stuzzicarlo, ma quel giorno non era in vena. Si voltava per vederlo entrare dalla porta seguito da Emily.
“Buongiorno ragazzi. Nottata insonne, quindi all’arrivo della chiamata ero già abbastanza reattivo.” Dopo queste parole tornava a guardare il fascicolo aperto sul tavolo. Con la coda dell’occhio seguiva però i movimenti degli altri due agenti. Derek, con il fascicolo sottobraccio, allontanava una sedia prima di accomodarsi. Evidentemente aveva capito che non doveva insistere con il ragazzino. Emily invece teneva tra le mani la tazza fumante di caffè e stava bevendo ancora in piedi. Dopo pochi secondi dalla porta entrarono anche JJ, Hotch e Rossi. Erano pronti a cominciare. Prentiss si sedeva accanto a Morgan poggiando la tazza di fronte a se. Prendevano posto anche Aaron e David, mentre Jennifer avviava lo schermo a parete prima di prendere tra le mani il telecomando per controllarlo. Poi cominciava a parlare accompagnando le parole con le immagini.
“Questa donna, di cui non si conosce ancora il nome, era una prostituta di Washington. È stata trovata morta questa mattina in una stanza di un motel. Indossava solo l’intimo e la causa della morte è una pugnalata al cuore. È stata lasciata lì ad agonizzare mentre le venivano inferti altri colpi a fianchi e gambe. Non è stata riscontrata nessuna violenza sessuale e la vittima non ha avuto nessun rapporto prima della morte.” Ora la donna si avvicinava al tavolo per sedersi anche lei. Gli altri guardavano le altre informazioni nei fogli a loro disposizione nel fascicolo. Poi David interrompeva il silenzio.
“Vittime simili?”
“Al momento nessuna.” Rispondeva JJ portandosi sotto il mento la mano con cui teneva il telecomando.
“Potrebbe non essere un seriale, potrebbe essere un omicidio isolato. Perché ci hanno chiamati?” chiedeva Emily attendendo una risposta che le spiegasse la strana situazione.
“Alla vittima sono stati tagliati i capelli.” L’agente Jareau accompagnava alle parole un’espressione sconfitta. Conosceva il peso di quella affermazione. Poteva leggere il terrore negli occhi del suo giovane collega, così intelligente ma così indifeso. Poi la voce di Derek la faceva voltare verso di lui.
“Non ci posso credere...” il ragazzo di colore colpiva con la mano il tavolo e lasciava andare indietro la testa con una smorfia sulle labbra. Ora aveva capito perché tutto gli sembrava così familiare.
“Ci hanno chiamato perché sembra opera di Ronald Weems,” interveniva Aaron sentendosi il più autorizzato a spiegare meglio la situazione avendo ricevuto lui la telefonata e conoscendo i dettagli riferitigli dallo stesso detective. “L’abbiamo arrestato quattro anni fa, per chi allora non c’era,” si rivolgeva adesso a David “uccideva le prostitute nell’area del Campidoglio di Washington. Vogliono conferma che sia lui il colpevole anche stavolta.”
“Hotch, ma quell’uomo incideva scritte nel ventre delle donne. Qui non c’è nessun messaggio.” Interveniva Derek, ma prontamente l’agente supervisore lo interrompeva. Non voleva che i dubbi assalissero anche i suoi colleghi.
“Quei messaggi erano legati all’imminente dichiarazione del deputato Steyer.” Nella stanza era calato nuovamente il silenzio.
“Garcia ha già controllato questo Ronald Weems?” chiedeva Rossi che in realtà non conosceva nulla del precedente caso. Si sarebbe aggiornato al più presto. Quattro anni prima c’era ancora Jason Gideon in quella squadra e lui era a condurre la vita da pensionato promuovendo i suoi libri.
“Vado ad avvertirla.” Spencer si era alzato di colpo facendo quasi rovinosamente cadere la sedia su cui era seduto. Aveva bisogno di allontanarsi dagli altri un’altra volta. E raggiungere Penelope poteva essere un’ottima soluzione. Lei avrebbe capito. Lei sapeva anche più degli altri.
Mentre Reid raccoglieva il fascicolo e lasciava in fretta la sala, gli altri si scambiarono un’occhiata veloce prima che Aaron riprendesse la parola per assegnare a ciascuno un incarico. “Morgan, Prentiss, voi interrogate le prostitute nella speranza di trovare notizie sulla nostra vittima. O su eventuali altre scomparse e non denunciate direttamente. David, tu vieni con me al motel dove è stato ritrovato il corpo. JJ, appena Garcia scopre qualcosa aggiornaci subito.” Detto questo tutti si alzavano per avviarsi a portare a termine i propri compiti. Ma la voce di Jennifer bloccava Hotch.
“E Spence?” si era accorta che per lui non c’era nessun incarico. Tutti si voltarono a guardarla, non riuscendo a capire il perché di quella domanda. Aaron la guardava intuendo perfettamente a cosa si riferisse. Dopo averci pensato un po’ le rispose.
"Dagli tempo..." lei fece un cenno del capo in risposta all'uomo e quando tutti furono usciti dalla stanza JJ si ritrovò sola con i suoi pensieri. E con le sue preoccupazioni.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Then you catch him CAP4 CAPITOLO 4
 
“Che l’ira della divina Penelope si scagli su di te! Come osi metterti contro la regina del cyberspazio?”
Penelope Garcia era nel suo ufficio. Era arrivata da poco ma non avendo trovato nessun altro ad accoglierla aveva pensato bene di riprendere l’attività che svolgeva prima di ricevere la convocazione alla BAU. Era nel suo variopinto appartamento, sul divano del salotto impegnata nell’ennesimo gioco di ruolo che conduceva su internet. E ora continuava a giocare dal suo ufficio, circondata dalla multi task con la quale lavorava per aiutare la sua squadra.
Ricordava ancora quando con il videogame in stile da ciclo arturiano aveva messo in pericolo tutti i suoi colleghi, quando il Re Pescatore era entrato nel sistema e l’aveva bloccato. Ma quella per lei era diventata l’ennesima sfida, l’aveva tracciato e aveva poi migliorato il sistema così da renderlo ancora meno vulnerabile. E aveva ripreso a giocare dal suo ufficio, senza timori stavolta.
Stava svolgendo un incontro corpo a corpo con un altro giocatore e stava avendo la meglio, quando fu distratta da un rapido e agitato bussare alla porta. La distrazione fu fatale, Penelope perse la battaglia cibernetica.
“Manifestati mortale, e sii pronto a ricevere la punizione per quello che hai combinato!” dire che l’informatica era furente sarebbe stato un eufemismo. Stava abbandonando la partita per riporre il suo portatile nell’apposita valigetta che aveva sempre con se. Si voltava poi ancora infuriata verso la porta che si stava lentamente aprendo.
“Spero si tratti di una catastrofe naturale...” guardare Spencer negli occhi l’aveva fatta smettere di gridare e le aveva fatto capire che c’era qualcosa che non andava. “Genio, che succede?” la rabbia era svanita in un sol colpo.
“Garcia, dovresti cercare informazioni su Ronald Weems.” Reid aveva abilmente ignorato la domanda rivoltagli dalla collega. Voleva che tutto restasse un suo problema.
“Subito!” affermava Garcia prima di riprendere posto sulla sedia e iniziare a far saettare le dita sulla tastiera del suo computer. “Ronald Weems, è stato un nostro caso...” sembrava quasi sbalordita nel leggere questa informazione. Non ricordava alla perfezione tutte le persone che i suoi colleghi avevano arrestato, ma non appena lesse di che caso si trattava, tutto le tornò alla mente. Aprì la bocca senza poter emettere alcun suono, mentre al di la delle lenti i suoi occhi vibravano guardando lo schermo. Preferì non interferire, se il ragazzo non le aveva detto nulla, non l’avrebbe fatto lei. Deglutì con difficoltà e continuò a rovistare nei files che riusciva a trovare. “È libero per buona condotta da una settimana.” Diceva infine, “Ma questi viscidi come fanno a diventare degli agnellini in carcere?” chiedeva poi sperando in una reazione del giovane che aveva accanto.
“Ora dove si trova?” chiedeva invece Reid disposto a convincersi che fosse proprio lui il colpevole.
“Spence...” la voce di JJ li raggiungeva dalla porta. Entrambi gli agenti nella stanza si voltavano per guardarla. I suoi occhi erano ancora preoccupati. Voleva chiedere al ragazzo come si sentiva, ma una volta trovatoselo davanti il coraggio era scomparso. “Avete...” indugiò un attimo, poi si ricompose. “Avete trovato qualcosa?” riuscì infine a dire.
“Weems è fuori per buona condotta.” Le rispondeva il dottore mentre la donna gli si avvicinava per guardare anche lei verso lo schermo sul quale la maga del computer stava visualizzando gli ultimi spostamenti del sospettato.
“Oh.” si intrometteva Garcia “Lavora come volontario in un centro di recupero per senzatetto e prostitute...ditemi che c’è una ragione psicologica vi prego.”
“Ci sono cose che nemmeno le più grandi scienze dell’universo possono spiegare.” Le rispondeva Reid che al momento non aveva un briciolo di ottimismo in corpo.
“Gli altri sono già andati, Derek e Emily in strada ad interrogare le prostitute, Hotch e Rossi sulla scena del crimine. Volevano essere avvisati quando trovavamo qualcosa.” Spiegava brevemente la donna bionda al magro ragazzo, che poi si rivolgeva all’agente seduta davanti al computer.
“Chiama Hotch...”
La donna velocemente schiacciava con la penna colorata che teneva in mano il tasto di chiamata veloce per il suo capo sul telefono che aveva alla sua sinistra. Al termine del primo squillo li raggiunse la voce di Aaron.
“Ditemi tutto.”
“Ronald Weems è stato scarcerato una settimana fa e ora lavora in un centro di ricovero per senzatetto e prostitute...” aveva riferito Spencer mentre si tormentava le mani sfregandole l’una contro l’altra. Jennifer non poteva fare a meno di guardare lo stato di agitazione nel ragazzo, e lo stesso faceva Penelope.
“Quindi la tempistica per commettere l’omicidio ieri sera potrebbe essere quella giusta. Te la senti di andare con JJ a prenderlo a lavoro e portarlo lì a Quantico per interrogarlo?” Hotch voleva dare al giovane la possibilità di tirarsi indietro qualora non se la fosse sentita.
Reid si voltava verso la bionda collega, fissando i suoi occhi in quelli blu che si trovava davanti e poi rispondeva alla persona all’altro capo del telefono, “Posso farcela...” La collega aveva mantenuto il suo sguardo senza vacillare un attimo, sapeva che lui aveva bisogno di un appoggio e lei era ben disposta a darglielo.
“Vi mando in ufficio Morgan e Prentiss appena finiscono il loro giro, io e David vi raggiungiamo appena possibile.” A queste parole di Aaron, i due agenti FBI risposero che stavano per incamminarsi subito verso il centro di ricovero dove lavorava il loro sospettato. La comunicazione era stata chiusa e Penelope si era messa alla ricerca dell’indirizzo al quale i due giovani dovevano recarsi.
“Vi mando tutto sui palmari...” aveva detto loro mentre lasciavano la stanza diretti a recuperare le loro cose prima della partenza. Mentre camminava, JJ aveva tirato fuori dalla tasca un elastico con cui si stava raccogliendo i capelli in una coda. Quando doveva muoversi per qualche azione preferiva non avere i capelli sciolti, lo trovava più pratico. Reid era invece andato nella sala conferenze, dove aveva lasciato la sua tracolla.
In pochi minuti erano pronti a partire, anche se il giovane si sentiva teso, particolarmente teso. I due entravano nell’ascensore senza dirsi nulla. Lei non sapeva esattamente cosa dire, lui era troppo perso nei suoi pensieri per parlare. Quando le porte della cabina si aprirono sul garage, camminarono verso la macchina, e una volta raggiuntala, Spencer prendeva posto dal lato guidatore e Jennifer dal lato passeggero. Il ragazzo girava la chiave nella toppa e avviava il motore, facendo la manovra per uscire dal posteggio. La ragazza osservava la strana presa che aveva il collega sul volante, mentre pensava che quel caso avrebbe sicuramente avuto delle conseguenze nella vita di Reid, ma lei, come del resto l’intera squadra, sarebbe stata accanto a lui e lo avrebbe aiutato con tutte le forze possibili.
 
“Agente Hotchner,” l’uomo stava porgendo la mano al detective che sostava davanti alla porta della stanza del motel nella quale avevano trovato il corpo. “Questo è l’agente Rossi.” Il collega faceva altrettanto, prima di concentrare l’attenzione in quello che li aspettava all’interno.
“Sono il detective Carlson, ci siamo sentiti per telefono...” rispondeva il poliziotto ad Aaron.
“Io comincio a dare un’occhiata...” David lasciava Hotch e Carlson a discutere delle questioni formali ed entrava nella stanza. Il corpo era stato già inviato al coroner che l’aveva analizzato, ma era visibile a terra il luogo in cui era stato ritrovato. Il pavimento di moquette recava una macchia di sangue, che difficilmente e solo con il tempo sarebbe andata via. L’agente teneva sotto braccio il fascicolo del caso, si piegò sulle ginocchia per vedere meglio e aprì il documento per cercare le foto del ritrovamento. Il corpo della donna era stato abbandonato lì, in una posa scomposta, quindi nessuna traccia di rimorso da parte della vittima. Il sangue era probabilmente dovuto al colpo inferto al cuore, ne aveva perso parecchio e la morte doveva essere stata lenta e dolorosa.
A parte il corpo, nulla era stato toccato, quindi mancava qualcosa. I biondi capelli della donna, tagliati, non erano lì. Proprio quello che era stato il segno distintivo di Ronald Weems.
Dave rigirava tra le mani le foto, e si guardava intorno. Parecchie erano le macchie di sangue nel resto della stanza. Sul letto, su una sedia vicino a dove era stata ritrovata la vittima, su un mobile e sulle pareti. Un lavoro sicuramente caotico, poco riconducibile ad una persona che aveva già ucciso altre volte. “Cosa abbiamo?” la voce del collega l’aveva fatto voltare verso la porta, dove era in piedi con il solito volto pensieroso. L’agente Rossi si sollevava lentamente, riponendo il tutto nella cartelletta che teneva tra le mani.
“Non ti sembra tutto...troppo caotico?” chiedeva sperando magari in qualche delucidazione da chi conosceva il precedente caso. Poi rimaneva a fissare l’uomo negli occhi mentre rifletteva portandosi una mano alle labbra. “C’è sangue ovunque, non sembra qualcuno che abbia già ucciso prima.” Continuava a sostenere la sua tesi.
“Però in tutto questo caos, non ha lasciato nessuna impronta.” Rispondeva infine Aaron, “Quindi non possiamo ritenerlo disorganizzato.”
“I capelli come souvenirs...le uccide ma conserva la loro femminilità?” chiedeva ancora l’uomo grattandosi il pizzetto brizzolato. Poi sentiva pesante lo sguardo di Hotch su di se.
“Come hai detto?” gli chiedeva quasi incredulo.
“Ha portato via i capelli che ha tagliato alla donna. Come ben sappiamo sono simbolo della femminilità...” non poteva proseguire perché l’agente supervisore si era già rivolto al detective sulla porta.
“Detective Carlson, oltre al corpo avete rimosso altre prove?” chiedeva per sentirsi rivolgere una risposta negativa. Hotchner stretto nel suo cappotto nero, si avvicinava di nuovo a David per dirgli sottovoce “Ronals Weems non teneva souvenirs...”
“Ma voi avete detto...” interveniva il collega.
"Si, tagliava loro i capelli ma li lasciava sparsi sulla scena del crimine, che era pulita. Ed era la strada..." a qualcuno doveva pur confessare i suoi dubbi, e sperava di aver scelto la persona giusta.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Then you catch him CAP5 CAPITOLO 5
 
Era da poco mattino e le strade di Washington sulle quali si aggiravano gli agenti speciali Morgan e Prentiss erano popolate da prostitute. Avevano imparato la volta precedente che quelle ragazzine lavoravano anche la mattina, e molto spesso con uomini che subito dopo prendevano servizio nell’area del Campidoglio. Emily non poteva fare a meno di notare quanto fossero giovani, ricordava ancora la bambina che aveva interrogato quattro anni prima. Aveva mentito sulla sua età, e solo quando la donna l’aveva trovata a terra, morta, con il ventre inciso di lettere sanguinanti, aveva scoperto che aveva solo sedici anni.
Derek e la sua collega camminavano da un po’ e ancora non avevano scoperto nulla, nessun’altra donna scomparsa e nessuna prostituta disponibile a dare loro informazioni sul cadavere della sera precedente. Poi avevano avvistato in un angolo due ragazze che si guardavano intorno, e avevano deciso di fare l’ennesimo tentativo. “Emily Prentiss, questo è l’agente Derek Morgan.” Si qualificavano mostrando il distintivo, che faceva quasi scappare le due ragazze. Dopo averle tranquillizzate la donna ricominciava a parlare, “la conoscevate?” stendeva la mano nella quale teneva la foto della vittima come gli era stata consegnata dalla scientifica prima di rimuovere il corpo. Nessuna delle due ragazze sembrava battere ciglio per lo spettacolo raccapricciante che avevano davanti gli occhi.
“Ci conosciamo tutte...” rispondeva con poca voglia la più grande delle due. Aveva vestiti che lasciavano ben poco all’immaginazione e capelli particolarmente colorati. Masticava vistosamente una gomma. La sua collega era invece più timida e chiusa. Anche lei aveva molta pelle scoperta, ma sembrava da poco avviata al mestiere della strada. Derek decise di puntare sulla seconda per sapere qualcosa, sorrise dolcemente prima di rivolgerle la parola.
“Piccola, ci servirebbe sapere qualcosa in più di lei.”
“Nancy...” la risposta era arrivata immediata dalla ragazza più giovane che però era stata subito interrotta dalla gomitata sferratale dall’amica. Emily aveva visto il gesto ed era subito intervenuta per non rovinare la possibilità di uno spiraglio di contatto aperto dal suo collega.
“Non vi porteremo dentro, e non vi denunceremo. Ma voi dovete aiutarci...” aveva detto dolcemente. Ma la reazione della ragazza dai capelli colorati fu violenta. Stizzita si voltò e andò via, senza voler sentire ragioni di rimanere con quegli sbirri. L’altra ragazza dopo averla seguita con gli occhi si voltava nuovamente per parlare con gli agenti federali.
“Scusatela...” era seriamente imbarazzata per il comportamento della collega. “È stata in prigione e non vuole tornarci...in realtà posso capirla, ma voglio fidarmi e aiutarvi. La ragazza della foto si chiama Nancy Sulligan, io sono arrivata da poco ma lei era già qui in strada da parecchio. Non so altro, mentiamo sempre e anche tra di noi.” Era seriamente dispiaciuta di non poter aiutare in altro modo.
“Hai visto per caso qualcuno girare in questa zona, qualcuno che magari prestava particolare attenzione alle prostitute...o in particolare a Nancy?” chiedeva Morgan sfruttando la voglia di collaborare della ragazza, che però si guardava intorno furtivamente prima di rispondere alla domanda senza nemmeno pensarci il tempo necessario.
“Nessuno. Mi dispiace, abbiamo tanti clienti ma sono praticamente tutti abituali.”
“Piccola sei stata gentilissima.” La congedava cordialmente l’agente di colore, guardandola poi raggiungere l’amica che l’aspettava sul fondo di una stretta traversa accanto a loro. Durante tutto il tragitto la ragazza continuava a guardarsi alle spalle, come se volesse essere certa di non essere stata vista.
“Chiamo Garcia...” interveniva Emily richiamando l’attenzione di Derek, e mentre componeva il numero sul suo cellulare, i due si avviavano verso la zona dove avevano lasciato il SUV.
“Genio informatico a rapporto!” il vivavoce aveva permesso a entrambi di essere fermati dall’esuberanza della tecnica di Quantico. Erano pronti ad ascoltare cosa aveva da dire loro.
“Penelope, hai trovato qualcosa su Ronald Weems?” Prentiss riprendeva la parola, alzando poi gli occhi verso Morgan che si era fermato di fronte a lei per ascoltare.
“Ma certamente mia cara. È stato rilasciato una settimana fa per buona condotta. Chissà perché questi delinquenti quando arrivano in prigione diventano sempre dei santi...” questa domanda tormentava l’eccentrica donna, non poteva fare a meno di rivolgerla anche a loro.
“Non chiedertelo bambolina...potresti diventare pazza per trovare una risposta.” Le rispondeva amorevolmente Derek, e anche se non poteva vederlo, aveva rasserenato con un sorriso il volto della collega dall’altro lato del telefono. “Che altro?” chiedeva poi invitandola a continuare.
“Udite udite, ora lavora come volontario in un centro di ricovero per senzatetto. JJ e Reid sono già andati a prenderlo con un mandato.” Una lieve preoccupazione incrinava ora la sua voce, non aveva visto il piccolo genio troppo sereno nell’intraprendere quell’azione.
“Ora abbiamo bisogno che cerchi questo nome: Nancy Sulligan, è la nostra vittima.” Interveniva Emily, attendendo poi una risposta che arrivava immediata.
“Più veloce della luce. Vi richiamo appena so qualcosa.” Le ultime parole erano accompagnate dal rumore della penna colorata di Garcia che schiacciava il tasto di interruzione della chiamata.
“Weems verrà interrogato a Quantico, sarà meglio tornare.” diceva Prentiss mentre riponeva il cellulare nella tasca e i due agenti si avviavano verso il SUV. Una volta raggiuntolo Derek si era fermato e lo stesso aveva fatto la donna in attesa di sentire cosa il suo collega aveva da dire.
“Non sarebbe meglio chiamare Hotch?” suggeriva l’uomo per essere subito interrotto dallo squillo del cellulare che teneva alla cintura. L’aveva preso e aveva guardato l’identificativo del chiamante, “Hotch, dimmi tutto.” Rispondeva prima di premere il tasto per il vivavoce.
“Reid e JJ  hanno appena prelevato Ronald Weems e a breve saranno a Quantico per interrogarlo. Voglio che li raggiungiate anche voi. Io e David arriviamo appena finiamo qui sulla scena del crimine. L’interrogatorio ha la massima priorità.” Ordinava l’agente Hotchner.
“Noi abbiamo un nome,” interveniva l’agente Prentiss, “Nancy Sulligan. Penelope sta già facendo ricerche.”
“Ottimo. Ci aggiorniamo in ufficio.” Queste le ultime parole del capo prima che chiudesse la comunicazione. Emily afferrava la maniglia dello sportello del SUV prima di tirarla verso di se e salire a bordo. Morgan girava intorno al veicolo e compiva gli stessi gesti della donna. Dopo i colpi degli sportelli che venivano richiusi Emily sospirò e prese la parola.
“Ma non ti sembra strano?”
“Cosa?” chiedeva il collega appoggiandosi sul volante con un braccio e voltandosi verso di lei.
“Nessuna delle due ragazze ha fatto domande di alcun genere su Nancy. Siamo agenti dell’FBI, sono spaventate dell’eventualità che le arrestiamo ma non si insospettiscono o fanno domande se mostriamo una foto di una loro collega in quelle condizioni?” il suo sguardo incredulo aspettava una risposta.
“Probabilmente sanno qualcosa di più, ma non vogliono dirlo. Per ora interroghiamo il nostro sospettato, forse sarà tutto più semplice del previsto. In caso contrario ripartiremo proprio da questo punto.” Morgan girava con decisione la chiave e metteva in moto la macchina, mentre Emily si metteva comoda sul sedile non meno dubbiosa. Erano diretti all’ufficio della BAU.
 
Spencer Reid e Jennifer Jareau erano appena scesi dal SUV e guardavano l’edificio che avevano innanzi. Era un grande capannone abbandonato, che ora veniva usato come rifugio per senzatetto e prostitute. Qualche persona sostava lì fuori, abbandonato su qualche cartone.
Il giovane era agitato, sperava che vedere Weems lo avrebbe convinto che fosse proprio lui il colpevole di quegli atti. La ragazza stringeva gli occhi blu per la forte luce della mattina, in attesa che il suo collega fosse pronto a varcare quella soglia. Mentre aspettava, decise di avviarsi verso il portabagagli del veicolo. “Dove vai?” l’aveva fermata la voce di Spencer.
“A prendere i giubbotti antiproiettili. Non vorrai certo entrare senza...non sappiamo se il nostro sospettato è armato e come reagirà.” Mentre parlava aveva aperto il portellone e stava afferrando due giubbotti blu con la scritta FBI sul petto.
“Hai, hai ragione...non ci avevo pensato.” Si avviava ora per raggiungere la collega sul retro della macchina. Lei si voltava per porgergli il giubbotto, ma non l’aveva sentito arrivare alle sue spalle, e quasi si spaventò a trovarselo così vicino. “Grazie.” Rispose lui iniziando a indossarlo. Poi si volse a grandi passi verso l’edificio. Era meglio entrare subito, altrimenti sapeva che sarebbe rimasto a rimuginarci sopra troppo tempo.
JJ, dopo un attimo di imbarazzo, aveva chiuso velocemente il portellone e correva dietro al suo collega. In breve tempo si trovarono dentro quell’unico ambiente, vedevano letti sparsi ovunque, alcuni occupati da uomini e donne, altri vuoti. Alla loro destra si trovavano le cucine, e molte donne erano già all’opera per preparare i quantitativi di cibo necessari a sfamare tutta quella gente per il pranzo. “Come posso aiutarvi?” la voce di un uomo li raggiunse dalla sinistra, ed entrambi si voltarono per trovarsi davanti Ronald Weems, sorridente. Quella visione lasciò per un attimo interdetti i due agenti. Ricordavano un uomo triste, accigliato, burbero e furioso. Nulla era rimasto di lui nella persona che avevano dinnanzi.
“Ronald Weems?” chiedeva Jennifer ridestandosi dallo stupore iniziale.
“Si sono io. Perché l’FBI mi cerca?” chiedeva indicando la scritta sul petto della donna.
“Abbiamo un mandato per portarla all’ufficio dell’Unità Analisi Comportamentale per un interrogatorio.” La donna tirava fuori dalla tasca il mandato ripiegato, ma l’uomo la precedeva. Le porgeva delicatamente i polsi, vicini, pronti per essere ammanettati. Lei non poteva far altro che osservarli in silenzio.
“Ha il diritto di rimanere in silenzio, tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei...” Reid si era mosso superando JJ e stava afferrando le braccia dell’uomo portandole dietro la schiena e bloccandole con i bracciali di ferro. Non opponeva nessuna resistenza.
“Non vuole sapere perché la stiamo arrestando?” chiedeva la donna camminando dietro Spencer che già accompagnava Ronald verso l’uscita.
“E che cosa cambierebbe?” l’aveva guardata dritta negli occhi nel formulare questa domanda. Lei non aveva saputo controbattere. Avevano raggiunto il SUV e il giovane aveva accompagnato l’uomo a sedersi al suo interno, una mano sulla testa per evitare spiacevoli inconvenienti. Poi aveva preso posto accanto a lui, avrebbe guidato la ragazza. Non le avrebbe mai permesso di stare sul sedile posteriore del veicolo con un uomo che era stato in carcere per diversi omicidi e ora era sospettato per un nuovo reato.
L'agente Jareau si era messa al volante e stava guidando verso Quantico. Ma non poteva smettere di pensare che era stato tutto fin troppo semplice.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Then you catch him CAP6 CAPITOLO 6
 
L’ufficio della BAU era davanti ai loro occhi. Jennifer aveva posteggiato il SUV nel garage e aiutava Spencer a portare fuori dal veicolo il sospettato che avrebbero dovuto scortare fino alla sala interrogatori. Proprio mentre entravano nella cabina dell’ascensore, qualcosa catturò l’attenzione di Reid. Si sentiva osservato e si voltò di scatto in quella direzione proprio mentre le porte si richiudevano impedendogli di vedere bene.
“Spence che succede?” lo raggiunse la voce sussurrata di JJ.
“Niente...niente...” rispose strofinandosi il viso con la mano con cui non stava reggendo il braccio di Ronald Weems. La ragazza aveva notato lo sguardo che si era disegnato sul volto del collega, ma non voleva insistere. Il giovane aveva ancora quella figura negli occhi, non l’aveva visto bene, ma era sicuro si trattasse di lui. Per il momento si riscosse da quel ricordo.
 
Emily e Derek erano alle loro scrivanie in attesa dell’arrivo di Reid e JJ con il sospettato da interrogare. Quando li videro entrare dalla porta si avvicinarono a loro per seguirli fino all’anticamera della sala interrogatori. Spencer consegnò Weems alle guardie che lo portarono dentro, sciogliendogli i polsi per poi mettergli nuovamente le manette fissandolo alla sedia sulla quale si era accomodato.
“Ha opposto resistenza?” chiese Derek indicando con la testa verso il sospettato che potevano vedere al di là del vetro.
“No, per nulla. Appena ha visto il mandato ci ha porto i polsi per farsi ammanettare.” Rispose JJ mentre scioglieva i suoi lunghi capelli biondi.
“Come procediamo?” domandò poi il dottor Reid riavvicinandosi al gruppo. Prentiss osservava l’uomo seduto tranquillo al tavolo, lo stesso guardo triste che ricordava dalla prima volta, ma c’era qualcosa di diverso, anche se ancora non sapeva stabilire di cosa si trattasse.
Morgan decise per condurre lui l’interrogatorio con Emily, e poi chiese a JJ di dargli il materiale necessario. La donna uscì rapidamente dall’anticamera per dirigersi nel suo ufficio e recuperare il fascicolo con le foto e tutto ciò potesse servire ai colleghi. Non poteva smettere di pensare a come lo sguardo di Spencer fosse mutato dentro il vano ascensore, come se d’improvviso avesse visto un fantasma. Forse erano i tristi ricordi che si riabbattevano su di lui. In pochi minuti era di ritorno, e consegnò tutto al collega di colore che apriva la porta, facendo entrare per prima la donna bruna. Una volta richiusa la porta JJ e il ragazzo si sistemarono per seguire dall’esterno lo svolgimento dell’interrogatorio. Weems si guardava intorno, stranamente sereno.
 
David era sul sedile passeggero del SUV che stava guidando Aaron, mentre erano diretti nuovamente a Quantico con le informazioni della scena del crimine da comunicare agli altri. Continuava a pensare a come il suo collega avesse espresso i suoi dubbi, quando aveva scoperto che era cambiato qualcosa nella firma di Ronald Weems, se proprio di lui si trattava.
“Aaron,” decise di rompere il silenzio per capire qualcosa di più di quello che stava accadendo, “Io non c’ero quando avete affrontato il caso per la prima volta. Per aiutarvi ho bisogno di capire esattamente il profilo del nostro sospettato...”
L’agente Hotchner non distoglieva l’attenzione dalla strada che stava percorrendo, ma continuava a pensare se veramente si stesse realizzando quello che tutti temevano che un giorno potesse accadere. Poi decise di mettere Rossi al corrente del profilo che avevano steso per l’S.I. quattro anni prima, “Si trattava di un uomo furioso e frustrato, faceva parte delle Guardie della Moralità, un gruppo di sostegno ad un progetto di legge per la prevenzione del crimine a Washington, ma questo suo ruolo da semplice comparsa lo faceva sentire impotente, come se la sua voce non fosse ascoltata. Sui documenti che abbiamo trovato a casa sua, l’odio verso le prostitute era tangibile, le considerava sporche e da cacciare. Abbiamo parlato anche con alcune donne che erano state avvicinate da lui, e tutte ne parlavano come di un uomo spaventato inizialmente. Quando poi prendeva coraggio, chiedeva loro prestazioni che avrebbe solo guardato, per poi dire loro che erano sporche. Era un qualcosa di cui non poteva fare a meno, e prima di passare alle prostitute aveva fatto le stesse richieste alla moglie. Quando aveva smesso con lei per rivolgersi alle donne della strada, lei aveva notato con sollievo che usciva di casa furioso, ma  poi lo vedeva rincasare sereno come quando l’aveva conosciuto. La sua era una sorta di missione per lo stato. Si impegnava a correggere quello che secondo lui la politica non riusciva realmente a fare.” Concluse la sua spiegazione con un profondo sospiro.
“Non si può definire il classico sadico sessuale...” aggiunse il collega guardandolo con attenzione. “Non era mosso semplicemente dal bisogno di uno sfogo sessuale, ma agiva con uno scopo ben preciso. E allora perché non rivendicare anche ora la sua missione? Ma soprattutto perché iniziare a raccogliere trofei?”
“Sono confuso quanto te, Dave.” Esclamò Hotch non sentendosi ancora pronto a raccontargli la più completa verità.
“Avevate altri sospettati?” chiese poi Rossi a bruciapelo. Era quella la domanda che l’agente supervisore voleva evitare, perché sapeva quale sarebbe stata la risposta, lo tormentava da quando aveva accettato il caso.
 
“Ci rivediamo dopo un paio di anni Ronald.” Lo provocò l’agente Derek Morgan mentre lanciava sul tavolo il fascicolo del caso. Alle sue spalle Emily Prentiss prendeva silenziosamente posto sulla sedia posta dall’altro lato del tavolo di fronte al sospettato.
“Cosa volete da me?” chiese l’uomo senza mutare espressione del viso. Non vi si leggeva nessuna particolare preoccupazione, sembrava più che altro spaesato.
“Sei nei guai, credimi.” Continuò l’agente di colore mettendogli davanti le foto della vittima. L’uomo era ora improvvisamente sorpreso. “Da quanto sei tornato in libertà? Una settimana? La voglia di uccidere si è riaccesa subito?” Emily non aveva ancora proferito parola, lasciava fare a Morgan osservando tranquilla la scena.
“Non so di cosa sta parlando.” Weems guardava Prentiss con la speranza di ricevere un qualche aiuto.
“Oh si che lo sai, Ronald,” Derek riprese controllo dell’attenzione dell’uomo, ostruendogli quasi la vista della collega, poi continuò, “questa è Nancy. Ieri sera avevi voglia di passarti un piacere e hai pensato bene di cercare una prostituta. Ma poi sei stato assalito dal tuo istinto naturale di ucciderla...”
Il sospettato si stava agitando sempre più, implorava con gli occhi un aiuto che lo cavasse da quell’impiccio in cui non voleva credere di trovarsi. Sembrava non sapere più gestire la situazione, il che richiedeva l’intervento di Emily.
“Calmati Ronald, parla un po’ con me. Come mai hai scelto di lavorare in un centro di ricovero per senzatetto?” la donna si sporse lentamente in avanti, appoggiando le braccia sul tavolo e sorridendogli dolcemente.
“Buono contro cattivo, ottimo!” esclamò il dottor Reid all’esterno della sala, prima di ripiombare di nuovo nel silenzio per ascoltare la risposta che stava per arrivare dall’uomo.
“Io, sentivo che dovevo provare ad avvicinarmi a loro. Capire che quello che avevo fatto era sbagliato. Cioè...” sfregava le mani per il nervosismo, “l’ho già capito, ma volevo in qualche modo ripagare il male fatto con buone azioni.”
“Ma a chi vuoi darla a bere!”  Morgan aveva colpito violentemente il tavolo della sala interrogatori mentre gridava quelle parole. “Vuoi farci credere che sei diventato un agnellino?” continuò avvicinandolo quasi come se volesse mettergli le mani addosso.
“Io...non ho fatto del male a nessuno.” Weems stava quasi per mettersi a piangere e chiese ancora aiuto alla donna che era di fronte a lui.
“Non sembra l’uomo che abbiamo arrestato la prima volta. Era rabbioso, ci inveiva contro...” JJ era molto perplessa ed esprimeva ad alta voce i suoi dubbi, mentre Spencer sembrava fin troppo concentrato nei suoi pensieri. Non aveva nemmeno risposto alla ragazza.
“Vogliamo crederti,” cercò di tranquillizzarlo Prentiss, “dove eri ieri sera?” continuò poi con la dolcezza che la caratterizzava.
“Se sei veramente innocente non avrai problemi a rispondere...” le parole di Derek coprirono con un filo di sarcasmo l’esitazione dell’uomo.
“Io...ero...facevo un turno al centro. Era fuori dal mio normale orario, e prima che possiate domandarmelo, nessuno può confermare il mio alibi.” Il suo tono di voce era sconfitto, sapeva che la mancanza di testimoni l’avrebbe fatto restare in cima alla lista dei sospettati.
“È troppo calmo, c’è qualcosa che non va.” Reid era finalmente esploso confermando le preoccupazioni di JJ, si voltò di scatto prima di lasciare l’anticamera diretto chissà dove. La donna rimase sola oltre quel vetro ad ascoltare la conclusione di un interrogatorio svoltosi in maniera contraria alle aspettative di tutti.
“Sai cosa significa questo, Ronald?” chiese Morgan avvicinandosi all’uomo. Non gli lasciò nemmeno il tempo di rispondere, aprì le manette e lo sollevò dalla sedia per trascinarlo violentemente fuori dalla stanza, lasciandolo poi alla custodia delle guardie. Era in stato di fermo.
“Troppo semplice...” Emily scuoteva la testa mentre raggiungeva la collega che era dubbiosa quanto lei. “C’è qualcosa che non mi convince.”
L’agente Jareau rispose alla donna ponendo l’attenzione sul comportamento tenuto dall’uomo, “È troppo calmo, anche in una situazione di stress, mostra un autocontrollo non indifferente. Anche quando stava per agitarsi, più che rabbia, la sua sembrava paura.”
“Penso che questo è il caso che abbiamo chiuso in minor tempo...” le interruppe Derek raggiante avvicinandosi a loro.
“Aspetta a cantar vittoria...” la voce di Rossi anticipò il suo arrivo. I tre agenti si voltarono verso l’ingresso per vederlo entrare sorridente.
"Ci sono novità dalla scena del crimine." intervenne Hotchner serio, facendo segno a tutti di dirigersi verso la sala dal tavolo rotondo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Then you catch him CAP7 CAPITOLO 7
 
Il dottor Reid aveva abbandonato carico di dubbi l’anticamera di quella sala interrogatori. Aveva sperato che arrestare Weems avrebbe significato fugare una volta per tutte i suoi dubbi. E invece la visione di quell’uomo, completamente diverso dal Ronald che ricordava, non aveva fatto che accrescerli.
Aveva percorso in tempo record il corridoio fino all’ufficio di Garcia e aveva bussato cautamente, aprendo poi la porta senza attendere una risposta.
“Che notizie porti forestiero?” Penelope lo accolse voltandosi con la sedia verso l’ingresso.
“Non buone...” rispose il ragazzo avvicinandosi a lei. “Puoi cercare altre informazioni su Ronald Weems e scavare più a fondo?” chiese poi.
La maga del computer si voltò nuovamente verso gli schermi chinandosi sulla tastiera e iniziando a far saettare le sue dita mentre si rivolgeva a Spencer. “Cucciolo penso di aver trovato tutto il necessario ma si può sempre fare un tentativo. Cosa cerchiamo esattamente?”
“Ho bisogno di informazioni sulla condotta carceraria del nostro sospettato.” rispose il giovane cominciando a camminare avanti e indietro alle spalle della donna concentrata sulla ricerca.
“Oh. Mio. Dio.” Esclamò Garcia. Reid corse verso di lei abbassandosi verso lo schermo. Aveva aperto un file che la prima volta aveva ignorato perché non riguardava le ultime informazioni sull’uomo. Ma ora era decisamente una notizia fondamentale. I due si voltarono l’uno verso l’altra guardandosi intensamente prima che Spencer rompesse il silenzio.
“Vai più a fondo.” Le disse come se fosse un ordine e rimase a bocca aperta mentre la donna cercava altri rapporti sulla vicenda.
 
I cinque agenti dell’FBI avevano preso posto intorno al tavolo rotondo pronti a sentire cosa Hotch e Rossi avevano da dire loro sulla scena del crimine, quando un trafelato Spencer Reid varcò la soglia correndo e tenendo tra le mani un foglio. “Ho scoperto qualcosa.” Disse nell’affanno della corsa. Poi si arrestò dopo aver capito che i suoi colleghi stavano per discutere di qualche cosa.
“Prima tu Reid...” lo invitò infine a parlare Aaron.
Spencer iniziò a riportare, “Dunque, il comportamento di Weems non mi convinceva e ho fatto fare delle ricerche a Garcia. Risulta che in prigione ha tentato il suicidio, ma l’hanno salvato in tempo. Lo stato di frustrazione era arrivato al limite, hanno richiesto una perizia psicologica e il dottore ha optato per tenerlo in cura farmacologica, con farmaci che lo rendono tranquillo, mascherando il suo lato furioso e aggressivo. E quei farmaci non ha mai smesso di prenderli, l’ultima ricetta con relativo acquisto è di qualche giorno fa.”
“Questo significa che non può aver commesso l’omicidio?” chiese sorpreso Derek.
“Non dico che è impossibile, ma c’è un alta percentuale statistica che sia così...” concluse il giovane con una smorfia lasciando sul tavolo il foglio su cui erano scritte le informazioni appena riferite.
“Se non abbiamo prove concrete non possiamo scagionarlo.” Li informò Hotch come se stesse solo riflettendo ad alta voce.
“Si potrebbe condurre un’analisi per sapere se il farmaco è in circolo o sta solo fingendo?” suggerì Rossi.
“Potremmo tentare questa strada.” accordò l’agente Hotchner uscendo dalla sala per telefonare.
“La scena del crimine?” chiese Emily richiamando l’attenzione di tutti.
“Anche la scena sembra dire che non si tratti di Weems,” cominciò David, “innanzitutto i capelli non sono rimasti lì, l’S.I. li ha portati con se. Poi c’era troppo caos, non sembra per nulla la scena di un assassino che ha già ucciso altre volte. Le ferite lasciate sul corpo durante l’agonia sembrano suggerire una lama corta, diversa da quella con cui è stato inferto il colpo mortale. Però nessuna prova organica sembra disponibile, quindi il nostro uomo è organizzato. Ha ripulito tutte le tracce che potevano farlo incastrare.”
“O forse si sta organizzando e perfezionando...” rifletté Derek ad alta voce interrompendo il collega. Lo sguardo di tutti saettò poi verso Spencer che aveva fatto cadere a terra alcuni fogli. Sembrava nuovamente turbato.
“Cosa vuoi dire?” intervenne Emily.
“Voglio dire che potrebbe trattarsi di qualcun altro, magari un imitatore, e questo forse è il suo primo omicidio. Non conosce a fondo i dettagli degli omicidi di Weems e deve ancora migliorare la sua tecnica.”
Aaron rientrò nella stanza ordinando a JJ di comunicare alla stampa che avevano arrestato un uomo per l’omicidio di una prostituta. “Non dire nulla dei dubbi che si hanno. Se si tratta di un altro S.I., si farà avanti per farci capire lo sbaglio.”
“Consideralo fatto.” Rispose la coordinatrice del rapporto con i media alzandosi e avviandosi velocemente verso il suo ufficio.
“Noi intanto concentriamoci sul profilo, se Ronald Weems si rivelerà innocente, dobbiamo avere pronto qualcosa da comunicare alle forze dell’ordine.” Continuò l’agente supervisore.
“Proporrei di seguire sia la linea dell’imitatore che quella di un nuovo S.I.” suggerì Rossi.
“Per quanto riguarda l’imitatore, Reid, appena finiamo questa riunione vai al carcere dove era detenuto il nostro sospettato e fatti dare delle informazioni, magari una lista, sulle visite che ha ricevuto.”
Un semplice cenno del capo di Spencer aveva comunicato il suo assenso.
“Ora concentriamoci sul profilo.” disse Hotch prendendo posto con gli altri intorno al tavolo. Solo il piccolo genio era rimasto in piedi e non stava fermo un attimo.
“Pugnalata e nessuna violenza sessuale, impotente?” chiese Morgan poggiandosi con i gomiti sul tavolo.
“Potrebbe essere un’idea, la lama che perfora la pelle potrebbe sostituire la reale violenza fisica per lui impossibile. Potrebbe avere anche un senso di inadeguatezza.” Aggiunse Emily.
“Le colpisce di notte, quando sono più attive e a caccia di prede, quindi sicuramente vuole mascherare la sua inadeguatezza. Non accetta la sua impotenza e cerca le prostitute per salvare il suo onore.” Continuò il dottor Reid dondolandosi sulle gambe con le mani in tasca.
“Sprezzante e organizzato. Si eccita con la violenza, quindi direi che si tratta di un sadico sessuale. Non prova in nessun altro modo piacere se non guardando soffrire la vittima.” Concluse Rossi.
“Se la scena del crimine è caotica perché è alle prime armi, potrebbe essere giovane.” Propose Derek prima di essere interrotto da Hotch che ricordò di dover comunicare qualcosa.
“Mi hanno accordato l’analisi per Ronald Weems. Fra un’ora, io e Prentiss andiamo ad assistere che tutto sia fatto nella più totale correttezza.” Poi un ticchettio alla porta li fece voltare tutti verso l’ingresso.
“Scusate, ho qui i risultati sulla ricerca di Nancy Sulligan. Non ho trovato molto ma è sempre un punto di partenza.” Penelope appoggiò delicatamente un foglio sulla tavola per poi voltarsi e tornare nel suo ufficio.
“La nostra vittima...” spiegò Emily per chi non sapeva di chi si trattasse seguendo con gli occhi David che prendeva il fascio di carta portato da Garcia.
“Io e Morgan restiamo qui ad indagare sulla vittima,” Rossi scorse velocemente con gli occhi le informazioni sul foglio. “Andremo ad interrogare la famiglia...beh, quello che ne resta.”
“Ci rivediamo nel tardo pomeriggio per aggiornarci sugli sviluppi.” Hotch sciolse la riunione alzandosi e lasciando la sala.
 
“Agente Speciale Jennifer Jareau. Devo riferire un comunicato dell’FBI, fra mezz’ora alla sede della BAU di Quantico si terrà una conferenza stampa in merito all’omicidio di una prostituta...” La giovane stava parlando al telefono con le testate giornalistiche di Washington per invitarli a partecipare alla conferenza nella quale avrebbe dato i dettagli necessari per loro per cercare di arrestare la giusta persona.
Il lavoro per JJ era questo. Trovare sempre le parole giuste da dire, mandare sempre il messaggio più corretto perché l’assassino cadesse nella trappola tesa da loro esperti profiler. Era tutta una questione di retorica.
Quello che doveva fare nella prossima conferenza era far credere alla stampa che il caso era risolto. Per gli S.I. ogni assassinio era un’opera d’arte, e quasi mai erano felici di vedere i loro lavori attribuiti alle persone sbagliate. A quel punto scattava in loro il bisogno di rivendicare la propria azione, di far capire che era stato commesso un grande errore. Dovevano rimediare. E loro li avrebbero aspettati al varco.
“La ringrazio.” Disse la donna rimettendo la cornetta al suo posto. E con quella aveva concluso le telefonate. Si alzò dalla sedia del suo ufficio e si avviò verso l’appendi abiti per indossare la giacca che era appesa lì. Sarebbe passata dal bagno per rinfrescarsi prima di mettersi davanti alle telecamere ed andare in onda.
Sapeva che la maggior parte delle volte la rivendicazione che aspettavano arrivava con un altro cadavere. Era una cosa orribile, ma molte volte necessaria. E aveva imparato anche dopo anni di esperienza a non ritenersene colpevole. Lei faceva solo il suo lavoro, l’omicidio nasceva solo dalla mente perversa del loro S.I. Inutile dire che se riuscivano a prenderlo prima che uccidesse di nuovo, lei riteneva la vittoria doppiamente fondamentale.
Prese fiato per l’ultima volta e uscì dal suo ufficio per avviarsi verso il bagno quando vide Rossi e Morgan uscire dall’open space. Li raggiunse per sapere gli ultimi svolgimenti e li incontrò davanti agli ascensori.
“Qualche novità?” chiese JJ.
“Stiamo andando ad interrogare la famiglia di Nancy Sulligan, la prima vittima. Ci servirebbe proprio il tuo aiuto.” Le rispose Dave con voce sconfitta per la realtà che avrebbero dovuto affrontare in quella casa.
“Ho una conferenza stampa da tenere fra meno di mezz’ora.” Si scusò la ragazza. “Gli altri?” domandò.
“Hotch e Prentiss resteranno qui in attesa di sottoporre Weems al test,” cominciò a spiegare Derek, “nel caso di risultato positivo abbiamo già un profilo da rilasciare alla polizia. Reid intanto è andato in carcere per informarsi sulle visite ricevute dal nostro sospettato.”
“Solo?” esclamò JJ interrompendolo.
“Si, ce la farà. È forte.” La rassicurò Morgan mettendole una mano sulla spalla prima di congedarsi ed entrare con David nell’ascensore.
L'agente Jareau vide le porte scorrevoli chiudersi tra se e i colleghi, tirò un sospiro e si avviò verso il bagno. Si bagnò il viso con l'acqua gelida, poi rimase qualche secondo a guardarsi allo specchio. Quando sentì di essere pronta si asciugò, richiuse il rubinetto e si avviò decisa verso la stanza in cui si sarebbe data in pasto ai giornalisti.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Then you catch him CAP8 CAPITOLO 8
 
La presa sul volante era salda, ma la mente di Spencer vagava senza sosta. Si soffermava specialmente su quella notte di quattro anni prima. La paura e il dubbio erano ancora vivi sulla sua pelle, ricordava ogni minimo dettaglio. E faceva male, molto male.
Il carcere in cui era stato detenuto Ronald Weems non era molto lontano da Quantico, quindi il ragazzo lo raggiunse in fretta. Posteggiò il SUV accanto al marciapiede e si prese qualche minuto per rilassarsi. Per quanto questo fosse possibile.
Il tempo passava ma l’ansia era sempre tanta. Aveva paura delle risposte che avrebbe potuto ricevere dalle persone che avrebbe incontrato a breve. Ma quello era il suo lavoro e non poteva tirarsi indietro.
Con un ultimo profondo sospirò avvicinò le dita alla maniglia dello sportello e la tirò verso di sé. I battiti del cuore erano accelerati e poteva sentirli fino alle punte delle dita. Ogni emozione era amplificata al massimo. Mise un piede sull’asfalto e poi l’altro, voltandosi per richiudere il veicolo prima di lanciare un ultimo sguardo preoccupato all’edificio di fronte a sé. Poi si lasciò inghiottire.
Percorreva l’ingresso del carcere sfregando le mani l’una contro l’altra, diretto verso una guardiola dove gli avrebbero indicato a chi rivolgersi.
“Agente Speciale Spencer Reid.” Disse il ragazzo mostrando il distintivo all’uomo in divisa al di là del vetro. “Desideravo...si insomma, volevo parlare con la guardia che si è occupato di Ronald Weems. È stato mandato in prigione quattro anni fa ed è stato rilasciato la settimana scorsa per buona condotta...” a Spencer non sembrava quasi vero essere riuscito a dire tutte quelle parole senza balbettare troppo. Ora in attesa di una risposta riprendeva fiato.
“Controllo il registro.” Rispondeva l’uomo alzandosi dalla sua sedia e avviandosi sul retro in una sorta di archivio. L’agente federale nel frattempo si guardava intorno spaventato.
“Arthur Cale.” Il grido dell’uomo dall’interno della stanza lo fece voltare nuovamente dopo alcuni minuti. “Arthur Cale,” ripeté l’ufficiale avvicinandosi, “è nella stanza dei colloqui al momento. Può andare e se non è impegnato può parlargli anche subito.” Lo congedò l’uomo riprendendo posto sulla sedia a lui assegnata. Reid alzò una mano in segno di saluto e si avviò seguendo le indicazioni che lo avrebbero portato alla stanza indicatagli.
 
Morgan stava bussando delicatamente alla porta dell’appartamento dove viveva Nancy Sulligan prima che fosse brutalmente uccisa la notte precedente. Nel frattempo Dave osservava il corridoio di quel palazzo. Le pareti erano distrutte, tutto era particolarmente vecchio e malandato.
Nessuno era venuto ad aprire, ma il portiere li aveva informati che il padre della ragazza era in casa, quindi Derek bussò nuovamente. Dopo una lunga attesa un rumore di chiavistello li avvertì che qualcuno stava finalmente aprendo la porta, che videro allontanarsi dal muro lasciando intravedere un viso sconvolto.
“Agente Morgan e Agente Rossi, FBI. Possiamo entrare?” disse Derek mentre David si avvicinava a lui.
L’uomo all’interno della casa chiuse il battente senza proferire parola e dopo aver sganciato la catenella lo riaprì permettendo l’ingresso nell’appartamento ai due federali.
Rossi lo vide camminare sconfitto all’interno della casa, e non appena superata la soglia e richiusa la porta, un forte odore di alcol lo investì. Si scambiò un’occhiata con Derek e entrambi capirono che sarebbe stato più difficile di quanto avevano immaginato.
“Signor Sulligan, dovremmo farle qualche domanda...” intervenne David seguendo l’uomo verso la cucina. Lo vide versarsi l’ennesimo bicchiere di alcolico. Ancora non proferiva parola.
Nel frattempo Morgan stava osservando le pareti spoglie della casa, bianche e scrostate dal tempo. Nessuna fotografia, nessun quadro, niente che potesse far intendere che quella casa era abitata. Era un piccolo monovano con cucina, ma vi era un solo letto. E nessun altro mobile oltre ad un tavolo, due sedie e una cassettiera consumata.
“Cosa volete?” chiese infine l’uomo nel silenzio che si era creato. La sua voce era particolarmente cantilenante.
“Vorremmo farle qualche domanda su sua figlia Nancy.” Aggiunse David, mentre l’uomo mandava giù l’ennesimo bicchierino.
“Non è ancora tornata, ed è una cosa normale. Spero non sia andata a spendere i soldi che guadagna, sa che servono a me.” si lasciò quindi andare ad una fragorosa risata.
Dave sapeva che in quel momento il signor Sulligan non era in grado di capire nemmeno la frase più banale, ma doveva tentare. “Nancy, non credo che tornerà...è stata uccisa ieri sera.”
Nessuna reazione da parte dell’uomo. Continuava a giocherellare con la bottiglia che teneva tra le mani senza nessuna espressione in viso.
“Rossi, andiamo. Non riusciremo a sapere nulla da lui, saremo più utili in ufficio.” Lo incitava Derek avvicinandosi ai due uomini che tentavano di intrattenere una conversazione impossibile.
“Ve l’ho già detto. Nancy lavora e torna quando le pare. Se aspettate magari la incontrate e potete chiedere direttamente a lei tutto quello che volete...” si intromise l’uomo prima di vuotare nella sua bocca la bottiglia di liquore.
I due agenti decisero di abbandonare ogni speranza di ricavare qualche informazione da quell’uomo. Si congedarono e si diressero verso l’ingresso senza che nemmeno il signor Sulligan li accompagnasse. Si richiusero la porta alle spalle e decisero di tornare in ufficio.
 
Spencer aveva depositato l’arma nella cassetta di sicurezza, procedura non certo nuova per lui, prima di entrare nella sala dei colloqui. Si era avvicinato ad una guardia mostrando il distintivo. “Agente Speciale Spencer Reid, desideravo parlare con Arthur Cale.”
L’uomo fine ed elegante sorrise a Spencer rispondendogli, “Sono io, mi segua.” Lo accompagnò così a sedersi in un angolo tranquillo. “Al momento non sono impegnato, quindi mi dica, cosa desidera?”
“Ehm...io volevo delle informazioni riguardo a Ronald Weems, era sotto la sua custodia fino alla sua scarcerazione qualche giorno fa.” chiese timidamente Reid che aveva gentilmente rifiutato di sedersi. I due uomini erano quindi rimasti in piedi per parlare.
“Si, mi ricordo benissimo di lui. I primi tempi era irrequieto, non lo si poteva lasciare solo un momento. Il tentativo di suicidio, oh Dio, è successo tutto in un secondo. Mi sono voltato ed era appeso alle sbarre. Per fortuna l’abbiamo salvato in tempo. Poi dopo la visita e la cura è diventato un’altra persona.” Spiegò brevemente la guardia.
“Ha ricevuto visite durante la detenzione?” la voce del giovane era sempre più insicura ora che era arrivato alla domanda che gli interessava maggiormente.
“Mai nessuno...anzi ora che ci penso, poco prima di cercare di togliersi la vita ha ricevuto la visita della moglie. È stata l’unica persona con cui lo abbia mai visto parlare. Una donna timida e riservata, quasi si spaventava ad aggirarsi in un luogo del genere. Peccato che fosse venuta ad avvisarlo che avrebbe al più presto richiesto il divorzio.”
“Nessuno lo ha mai avvicinato in nessuna situazione?” Spencer voleva un’ulteriore conferma, più per dubbi personali che per questioni di procedura.
“No, o almeno, non in mia presenza. Ma cosa gli è successo?” i suoi occhi erano seriamente preoccupati.
Il dottor Reid rifletté qualche secondo sulla possibilità di informare l’uomo. Infine rispose, “Ieri sera è stata uccisa una prostituta, e gli indizi indicano che possa essere opera di Weems.”
“La stessa ragione per cui è stato portato dentro. Mi dispiace non potervi aiutare, ma se mi verrà in mente qualcosa vi informerò subito.” Con queste parole Cale afferrò il biglietto da visita portogli da Spencer, che prontamente accompagnò verso l’uscita. Dopo una stretta di mano, lasciò che il giovane uscisse e richiuse la porta della sala colloqui.
Reid recuperò la pistola dalla cassetta e se la rimise alla vita. Poi si avviò lungo il corridoio del carcere in direzione della strada.
Varcato il portone ricominciò a respirare a pieni polmoni. Quello che temeva non si era avverato, non ancora. Estrasse il cellulare dalla tasca e compose il numero dell’agente Hotchner.
“Hotch, Weems non ha ricevuto nessuna visita in carcere. Dobbiamo escludere la possibilità di un imitatore?” chiese al capo che lo ascoltava dall’altra parte dell’apparecchio.
“Non è ancora detta l’ultima parola, magari ha avuto notizie del delitto senza mettersi in contatto direttamente con lui.” Replicò Aaron. “Ora ti devo lasciare, stiamo per iniziare l’esame sul sospettato.”
“Un’ultima cosa. Verrà eseguito a Quantico?” continuò il giovane mentre raggiungeva la macchina e toglieva l’antifurto.
“Si, Reid. Torna in ufficio e aspetta gli altri.” Concluse il supervisore capo prima di riagganciare.
Spencer si sedette al volante e mise subito in moto. Aveva bisogno di incontrare Ronald Weems e questa volta da solo. Doveva fargli delle importanti domande.
 
Emily Prentiss stava attendendo dentro la sala che era stata allestita per effettuare le analisi al loro sospettato. Weems era già sistemato, ma aveva ordinato di non procedere quando il suo collega aveva lasciato la sala per rispondere al cellulare.
La donna non smetteva di osservare quell’uomo che si lasciava spostare, legare e fare qualsiasi cosa senza nessuna obiezione. Sorrideva, ma nello stesso tempo l’agente Prentiss poteva notare una leggera paura nei suoi occhi.
“Scusatemi, possiamo procedere.” La voce di Aaron arrivò dalla porta mentre rientrava e si posizionava accanto alla collega.
“Novità?” chiese Emily, mentre i medici si avviavano ad effettuare l’analisi.
“Era Reid, nessuna visita al carcere.” La informò Hotch, non distogliendo lo sguardo dalla scena che si svolgeva davanti a loro.
“Dobbiamo supporre che il probabile imitatore sia venuto a conoscenza dei dettagli degli omicidi in altro modo?”
“Probabile...speriamo che la conferenza stampa di JJ smuova le acque abbastanza da farci avere qualche risposta positiva da parte del nostro S.I. Sempre che non lo abbiamo già sotto gli occhi.” Hotchner indicò con il mento l’uomo che aveva di fronte e che stava seguendo con attenzione ogni movimento dei medici che gli stavano intorno.
"Non lo so. Non credo c'entri qualcosa." Sospirò la donna, tornando anche lei a concentrarsi sull'esame che si stava svolgendo in quella sala.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Then you catch him CAP9 CAPITOLO 9
 
Non appena Jennifer si era avvicinata alla sala dove avrebbe tenuto la conferenza stampa era stata assalita da luci, telecamere, microfoni. Tutti erano in ansia per avere le ultimissime notizie su quello che stava accadendo alle prostitute di Washington.
“Agente Jereau, l’avete preso?”
“La prego, ci dica se dobbiamo preoccuparci a girare per le strade.”
“Può mostrarci le foto dell’omicidio?”
“Abbiamo un nuovo seriale sulle strade di Washington?”
JJ si faceva largo tra quella gente invadente. “Vi prego, saprete tutto durante la conferenza. Non posso rilasciare ulteriori dichiarazioni.”
Con qualche difficoltà l’agente Jareau aveva raggiunto il leggio con il simbolo dell’FBI posto di fronte ad una serie di file di sedie stracolme di gente che attendeva che lei iniziasse a parlare.
I flash e le luci continuavano a darle fastidio agli occhi mentre sistemava i tre microfoni che campeggiavano su quella struttura di legno. Piano piano il ronzio causato da tutte quelle persone stipate in una sola stanza si stava affievolendo.
Quando finalmente ci fu silenzio, JJ si schiarì la voce prima di cominciare a parlare. “Devo riferire un comunicato dell’FBI.” Prese un leggero respiro profondo e poi continuò con voce ferma, “Ieri sera in città c’è stato un omicidio. Una prostituta ha perso la vita in circostanze che fanno pensare all’opera di un uomo che è già sotto la custodia della nostra squadra.”
“Si tratta di un seriale?” chiese interrompendola un giornalista del pubblico.
“Al momento non abbiamo avuto segnalazioni di altri omicidi riconducibili a quello di ieri sera.” Rispose professionalmente JJ.
“E allora perché è stato richiesto l’intervento dell’Unità Analisi Comportamentale?” intervenne quindi un’altra giornalista.
“L’uccisione sembra collegata ad un caso che è stato seguito da questa squadra quattro anni fa.” Non era facile per Jennifer far sembrare l’arresto definitivo, ma nello stesso tempo non dare nessuna certezza. Sapeva che se avesse esagerato nel sottolineare la sicurezza che Weems fosse colpevole e si fosse rivelato innocente, la squadra, la BAU, avrebbe perso di credibilità. Ma nello stesso tempo il reale S.I., qualora fosse stato ancora a piede libero e stesse ascoltando le sue parole, doveva convincersi che qualcun altro si stava prendendo il ‘merito’ delle sue azioni.
“Le prostitute di Washington potranno quindi stare tranquille stanotte?” aveva chiesto a bruciapelo un autorevole signore che lavorava per qualche grossa testata del luogo. La domanda aveva mandato in confusione JJ per qualche secondo. Ma si era prontamente ripresa.
“Vorrei poterle dire che preso un assassino, non ce ne saranno altri in giro. Ma purtroppo non è così...lavoriamo per cercare di consegnare alla giustizia la maggior parte di questi psicopatici. Ma qualcuno è sempre pronto ad uccidere non appena voltiamo le spalle.” La diplomazia era sempre stata il suo forte, non a caso era la coordinatrice del rapporto con i media dell’FBI. Non avrebbe mai cambiato ruolo in quella squadra. La vicinanza con i suoi colleghi le stava facendo acquisire qualche nozione di profiling. Ma d’altronde anche nella scelta dei casi doveva cercare di fare una sorta di profilo preliminare per decidere la migliore destinazione per la squadra. Ma lei non era una profiler. “Se ci saranno ulteriori sviluppi, vi saranno comunicati al più presto.” Affermò infine scendendo dal leggio e avviandosi fuori dalla sala prima di poter essere raggiunta dai giornalisti, desiderosi di qualche altra informazione che lei non poteva rilasciare.
Non restava altro da fare che aspettare.
 
“I risultati saranno pronti al più presto, abbiamo dato loro la massima priorità su tutto il resto.” Affermò il coordinatore delle analisi appena eseguite su Ronald Weems stringendo vigorosamente la mano dell’agente Hotchner.
Aaron restituiva la stretta, prima di incamminarsi dietro a Prentiss verso l’uscita della sala. Le guardie stavano ammanettando nuovamente il sospettato per riaccompagnarlo nella cella.
Non appena Hotch ed Emily rimasero soli, lui prese la parola. “Non sappiamo cosa diranno questi risultati. Non possiamo restare con le mani in mano mentre attendiamo i risultati. Appena arrivano tutti consegneremo il profilo preliminare che abbiamo steso alla polizia. Dobbiamo essere un passo davanti a lui, se realmente Weems è innocente.”
L’agente Prentiss rispose scuotendo il capo e avviandosi verso l’open space. Aveva bisogno di un caffè.
 
Spencer si era precipitato a Quantico con la speranza di poter vedere il loro sospettato e poter scambiare qualche parola con lui. L’attesa per l’ascensore gli era sembrata infinita. Aveva varcato in fretta le porte della sala comune per trovarsi di fronte Emily che si avviava a prendere un caffè nell’area relax.
“Reid, perché tutta questa premura?” lo fermò lei guardandolo dubbiosa.
“Io...beh, si insomma...Weems dov’è?” chiese invece lui a bruciapelo dopo una prima esitazione.
“L’hanno riportato in cella, perché hanno finito le analisi. Perché?” si informò lei. Tutta quella situazione si faceva sempre più strana.
“No, niente. Curiosità!” concluse lui con un tono poco convincente prima di avviarsi alla sua scrivania.
Prentiss l’aveva seguito con lo sguardo, poi si era ricordata. “Reid, Hotch ci vuole tutti per presentare il profilo preliminare alle forze dell’ordine.” richiamò la sua attenzione per quella comunicazione.
Lui aveva risposto scuotendo semplicemente il capo prima che lei continuasse il suo cammino fino all’agognato caffè. Aveva raggiunto la sua scrivania e aveva abbandonato su questa la sua tracolla. Poi si era lasciato andare sulla sedia stropicciandosi con forza il viso e gli occhi. Sperava di svegliarsi da un momento all’altro dall’atroce incubo in cui era rimasto intrappolato. Ma questo non sarebbe successo.
 
Un lieve bussare alla porta aveva riscosso JJ dal rilassamento a cui si era abbandonata sulla poltrona del suo ufficio. “Avanti!” disse rivolta alla porta, rimettendosi composta. La porta si aprì lentamente e vide affacciarsi il viso di Hotch.
“Come è andata la conferenza?” le chiese entrando e richiudendosi la porta alle spalle.
“Al solito. Sono ancora brava a combattere contro i giornalisti!” rispose lei abbozzando un sorriso e facendo cenno al suo capo di accomodarsi nella sedia di fronte a lei.
“No grazie, sono solo passato per dirti di chiamare Derek e David e vedere fra quanto arrivano. Dobbiamo consegnare il profilo alla polizia.” Ribatté cordialmente Aaron, mentre Jennifer prendeva già tra le mani il telefono.
 
“Rossi!” Dave rispose prontamente al cellulare scambiandosi poi uno sguardo con Derek che era al volante del SUV.
“Hotch vuole consegnare il profilo preliminare alla polizia. Vi aspettiamo?” chiese JJ al suo interlocutore sotto lo sguardo vigile di Aaron.
“Non penso che riusciremo ad essere lì a breve e soprattutto non portiamo nessuna nuova notizia. Vi spiegheremo poi con calma, ma intanto procedete pure senza di noi.” Ribattè deciso David, prima di congedarsi e chiudere il telefono.
“Cosa volevano?” chiese Morgan non distogliendo l’attenzione dalla strada.
“Hotch vuole dare il profilo alle forze dell’ordine, volevano sapere se dovevano aspettarci.” Rispose Rossi rimanendo poi a fissare il collega pensieroso. “Ho come l’impressione che ci sia qualcosa di veramente grosso e importante dietro a questo caso,” continuò poi, “ma che nessuno di voi vuole dire ad alta voce, come per paura che diventi reale.”
“Credimi. È meglio così...” lo interruppe lapidario Derek prima di schiacciare a fondo l’acceleratore con la voglia di arrivare a Quantico il prima possibile e tenersi impegnato in qualcosa che non gli facesse pensare a quella notte di quattro anni prima.
 
“Possiamo procedere senza di loro.” Comunicava JJ al suo capo mentre riponeva il telefono.
Un cenno del capo di Aaron e si era già avviato fuori dalla porta, lasciando Jennifer di nuovo sola nel suo ufficio deserto.
Fece le dovute telefonate per radunare le forze dell’ordine per ascoltare il profilo. Poi si prese qualche minuto per rilassarsi, e quando si sentì pronta si avviò verso l’open space per un caffè.
Varcando la porta a vetri vide Spencer alla sua scrivania, si stropicciava il viso con le mani ed era immerso nei suoi pensieri, che JJ poteva solo lontanamente immaginare. Non riusciva a smettere di fissarlo, ma poi si decise a dirigersi verso la macchina del caffè, dove incontrò Emily che sorseggiava dalla sua tazza.
Sorrise alla collega e si mise ad armeggiare con la moka per prepararsi la sua razione necessaria di liquido bollente.
“Sosterrà tutta questa pressione?” esordì Prentiss catturando l’attenzione di Jennifer che si voltò verso di lei interrogativa. Un cenno del capo verso il genietto fece capire a JJ a cosa esattamente si riferisse la collega.
“Me lo auguro per lui.” Rispose lei cominciando a soffiare per cacciar via il fumo che saliva dalla tazza che stringeva tra le mani. “Dobbiamo consegnare il profilo alla polizia.” Disse poi decisa a cambiare discorso.
“Lo so. Sarà una notte lunga.” Riprese Emily voltandosi verso la collega. “I risultati dell’esame arriveranno fra qualche ora, e penso che saranno la risposta definitiva per decidere la direzione di questa storia.” Concluse.
Le due donne sospirarono in silenzio prima che Hotch si affacciasse dal suo ufficio facendo loro cenno che erano pronti a cominciare.
 
“Penelope Garcia, cerca di trovare qualcosa. Hai già sorvolato su un dettaglio della vita di quel lurido verme, cosa ti sta sfuggendo ora sulla piccola Nancy?”
Il tecnico informatico continuava a parlare da sola davanti alla sua multi task risoluta a trovare il dettaglio da fornire come appiglio alla sua squadra. Ma la vita di una prostituta era la vita di un fantasma. Non lasciavano nessuna traccia da poter percorrere passo dopo passo. Niente di niente.
Della vittima era riuscita a trovare solo un certificato di nascita, da cui era risalita al nome del padre, e solo tramite quello aveva reperito l’indirizzo. Il padre, un altro personaggio della feccia umana, alcolizzato, senza un impiego.
Ma aveva bisogno di altro Penelope, un piccolo magari all’apparenza insignificante particolare.
“Pensa come una donna indifesa...tuo padre non ti aiuta, anzi...” continuava con le sue teorie ad alta voce, quando iniziò a digitare freneticamente sulla sua tastiera tecnologica. Improvvisamente davanti ai suoi occhi un file lampeggiava con un avviso.
"Aprire?" ripetè a se stessa Garcia. "Mostrami le tue meraviglie bellezza!" si rispose da sola prima di inviare il comando al suo sistema.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Then you catch him CAP10 CAPITOLO 10
 
La folla di poliziotti era in attesa delle delucidazioni in merito al profilo che avrebbe dato loro la squadra dell’agente Hotchner. I tre profilers erano pronti per cominciare. Il primo a prendere la parola fu proprio l’agente supervisore. “Come sapete, abbiamo già un sospettato sotto custodia, ma nel caso in cui non sia opera sua vi consegneremo un profilo dell’S.I. che cerchiamo.” cominciò Aaron.
“Vi preghiamo di non diffondere il profilo e la notizia che ci sono dei dubbi sull’uomo arrestato.” Intervenne JJ, prima di mettersi di lato e lasciare la parola ai profilers.
“Crediamo si tratti di un imitatore di Ronald Weems, l’uomo che abbiamo fermato. Costui uccideva le prostitute perché sentiva messa in minoranza la sua voce a sostegno dell’approvazione di un progetto di legge che prevedeva la diminuzione del crimine a Washington.” Riprese il capo.
“Il nostro S.I. potrebbe invece essere mosso da sadismo sessuale. Non ha altri motivi per uccidere e ferire le vittime se non quella di provocarsi un piacere fisico, non altrimenti raggiungibile.” Spiegò Emily.
“Crediamo che possa essere alle prime armi perché il tasso di disorganizzazione è evidente, anche se manifesta un’organizzazione che gli permette di non lasciare tracce. Sta migliorando e si sta evolvendo. Motivo per cui crediamo che attaccherà di nuovo. Data questa possibilità potrebbe essere molto giovane. È un elemento disturbato, vive con disagio la sua sessualità, non lega facilmente con gli altri.” Fu la volta del dottor Reid. La voce gli tremava particolarmente.
“È il caso di pattugliare le strade?” chiese un agente.
“Sicuramente si, alcuni dei miei uomini saranno in strada, potranno affiancarvi.” Informò Hotch.
“Se non ci sono altre domande...” scherzò l’agente Rossi entrando con Morgan dalla porta. Un raro sorriso dell’agente supervisore congedò poi tutti gli uomini in divisa.
Non appena la sala fu deserta, David si lasciò andare su una sedia grattandosi il mento. Alle sue spalle Derek prendeva posto attorno al tavolo e si stropicciava visibilmente la testa. “È stato devastante interrogare la famiglia di Nancy. In casa c’era solo il padre, ubriaco.”
“Non ha nemmeno capito cosa è successo a sua figlia. Diceva che era una cosa perfettamente normale che non si fosse ritirata a casa. Capitava spesso. Non gli abbiamo nemmeno mostrato le foto, sarebbe stato inutile.” Intervenne Rossi decisamente spiazzato da quello che avevano appena vissuto.
“Immagino che non avete scoperto molto quindi.” Chiese timidamente Jennifer.
“Un profilo della casa è il massimo che potevamo fare. Di certo a lavoro non guadagnava troppo, o meglio, quello che guadagnava lo spendeva il padre per bere. Pareti spoglie. Una casa che per quanto riguarda lei era solo un appoggio per i momenti in cui non lavorava. Un solo letto, pochi mobili...” Espose Morgan.
“Ma d’altronde le prostitute vengono scelte il massimo delle volte perché sono facili da trovare, giusto?”
Hotch scosse il capo in direzione di Emily che aveva appena ricordato quel dettaglio, poi passò ad assegnare gli incarichi. “Derek te la senti di uscire di nuovo?”
“Certo, Hotch.”
“E allora vai con Prentiss a pattugliare le strade. Io resto qui in attesa dei risultati dell’esame.” Gli ordinò mentre già l’agente si alzava per andare fuori con Emily.
“Resto anche io, la notte sarà più breve se siamo in due.” Aggiunse David poggiando amichevolmente una mano sul braccio del collega.
“Io...avrei...del lavoro da fare, quindi resto qui.” Balbettò Spencer, rimasto in silenzio fino a quel momento.
Anche JJ diede la sua disponibilità a rimanere in ufficio con gli altri, non senza aver prima fatto una telefonata al suo bambino.
 
Le ore passavano in quella notte trascorsa alla BAU in attesa ancora nemmeno loro sapevano bene di cosa. I semplici risultati di Ronald Weems se negativi potevano chiudere il caso in pochissime battute.
La telefonata per un nuovo cadavere avrebbe invece aperto fin troppe nuove porte, e avrebbe impegnato fisicamente e soprattutto psicologicamente tutti loro. Qualcuno più degli altri.
JJ aveva telefonato a casa, aveva parlato con Henry, che le aveva chiesto quando sarebbe tornata a casa. Lei aveva dovuto mentire, “Presto...”, conscia del fatto che a breve il piccolo si sarebbe addormentato e non si sarebbe nemmeno accorto che lei non c’era.
Ora la donna stava bevendo l’ennesimo caffè, mentre osservava Spencer alla sua scrivania. Era seduto, o per meglio dire, sdraiato sulla sedia, con i piedi incrociati adagiati alla scrivania. Era stanchissimo e fissava il tetto pensieroso, mentre giocherellava con le sue stesse dita.
“Sei preoccupata per lui?” le chiese una voce, facendola voltare verso il sorriso di Dave. Lei scosse il capo impercettibilmente, tornando poi ad osservare il fondo della tazza.
“Penso che lo siamo tutti...” sussurrò.
“Secondo me devi solo dargli tempo di capire che ha bisogno di qualcuno. Prima o poi dovrà confidarsi, e sa che noi siamo qui...” Rossi stava cercando di rassicurarla, ma Jennifer non sembrava sentirsi meglio. Aveva visto troppe volte il ragazzino distruggersi interiormente in silenzio. “Io non c’ero quattro anni fa.” Continuò David, “Non so cosa è accaduto, non so nemmeno se c’entra con questo caso...”
“David!” gridò Hotch interrompendo il dialogo dei due agenti. Entrambi alzarono lo sguardo, mentre Spencer si rimise dritto e sollevò gli occhi verso la balconata su cui si trovava il loro collega dopo essere uscito dal suo ufficio. “I risultati.”
Tutti avevano interrotto le loro attività e si erano affrettati all’interno dell’ufficio dell’agente Hotchner in attesa di una risposta. L’atmosfera era carica di attese mentre il capo scorreva con gli occhi il foglio che era appena venuto fuori dal suo fax.
Aveva alzato gli occhi verso il suo uditorio e aveva scosso il capo, “I farmaci sono in circolo allo stato attuale. Tecnicamente non può essere stato lui...”
“...ma fin quando non abbiamo una prova inconfutabile non possiamo rilasciarlo.” Aveva completato Rossi.
Tutti sospirarono nel silenzio prima di essere interrotti da una voce che proveniva dall’ingresso.
“Scusatemi, posso?” la donna era rimasta in attesa di una risposta.
“Che c’è Penelope?” le chiese JJ mentre Hotch fece cenno al tecnico informatico di entrare.
“Ho continuato a cercare notizie su Nancy Sulligan. Ha sporto denuncia perché qualcuno la importunava qualche mese fa. Il rapporto dice che si trattava di un ragazzino...” l’informatica non riuscì a dire altro. Dopo aver incrociato lo sguardo con Spencer, quest’ultimo aveva colpito una sedia che aveva vicino ed era uscito di corsa dalla stanza.
 
Aveva bisogno di prendere aria il dottor Reid. Ogni possibilità di avere sollievo veniva presto soffocato da un nuovo dettaglio che riportava l’indagine proprio nella direzione che voleva evitare.
Era solo colpa sua quello che stava accadendo, la voce dentro di lui non smetteva di ripeterglielo. Si era trovato ad un bivio anni prima e la scelta che aveva fatto, secondo lui al momento quella più corretta, si stava rivelando invece quella errata.
Senza smettere di pensare aveva raggiunto la sua scrivania, si era appoggiato in avanti con la necessità di dare ossigeno ai suoi polmoni che non erano in grado di svolgere le loro funzioni in tranquillità.
Poi il suo cellulare aveva iniziato a suonare svegliandolo da quell’intorpidimento. L’aveva prontamente estratto dalla tasca e dopo aver letto l’identificativo del chiamante aveva risposto.
“Spencer Reid!”
 
Hotch aveva seguito con gli occhi Reid uscire dalla stanza, silenziosamente. Poi aveva invitato Garcia a continuare. “Dicevo che si trattava di un ragazzino che le si avvicinava di sera. Non voleva pagarla per avere i suoi favori e la sua presenza allontanava altri clienti. Non parlava, non faceva nulla, ma poteva affermare con certezza che aveva un comportamento strano.”
“Nessun riscontro con qualche altra denuncia o qualche sospetto?” chiese Rossi.
“No signore, la cosa strana è che qualche giorno dopo la vittima ha ritirato la denuncia dicendo che aveva inventato tutto per giustificare gli scarsi guadagni.”
“Prentiss mi ha detto una cosa,” riprese David, “quando lei e Morgan hanno interrogato le prostitute, hanno notato che in molte non volevano nemmeno rispondere alle loro domande. Ma soprattutto non riusciva a capire perché l’unica che ha dato loro le informazioni non ha battuto ciglio nel vedere la foto della vittima...”
“Sembra che nascondano qualcosa.” Concluse il capo.
“Se si convincessero a parlare, forse potremmo scagionare Ronald Weems.” Intervenne l’agente Jareau prima che uno Spencer trafelato entrasse improvvisamente dalla porta.
Tutti si voltarono a guardarlo preoccupati.
“Morgan...ha chiamato...” disse nell’affanno, “...è scomparsa una prostituta, ma nessuno sa chi era il cliente che è andato con lei...”
“David, raggiungiamoli.” Hotch invitò il collega a seguirlo afferrando il cappotto.
Prima di uscire dalla porta si voltò verso JJ e il dottor Reid. “Potrebbe essere quello che ci serve per scarcerare Weems, vi faccio sapere e in caso ve ne occuperete voi.” Un cenno affermativo del loro capo e poi videro i colleghi attraversare l’open space e sparire oltre la porta a vetri.
Penelope si voltò per tornare nel suo studio dopo aver guardato intensamente ancora una volta Spencer, che ora era rimasto solo con Jennifer. “Vado nel mio ufficio, fra poco cominceranno le telefonate dei giornalisti.” Disse la donna al ragazzo lasciandolo così solo.
Ma Reid sapeva già quale era la prossima mossa per lui. Se veramente Weems era innocente sarebbe toccato a lui occuparsi della scarcerazione, e quindi gli avrebbe finalmente potuto parlare. Ma per farlo, prima aveva bisogno di qualcosa.
Uscì dall’open space e raggiunse la porta dell’ufficio di Garcia. Bussò timidamente e poi aprì la porta. Penelope si voltò verso di lui, “Cucciolo, mi dispiace...” cominciò a dire ma fu interrotta dal ragazzo che si era richiuso la porta alle spalle.
"Ho bisogno che tu mi faccia un favore." Le disse prima di metterla al corrente di quello che aveva intenzione di fare.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Then you catch him CAP11 CAPITOLO 11
 
Le sue dita si intrecciavano nella chioma bionda della ragazza che stava baciando. Nelle sue orecchie risuonavano le sue stesse parole pronunciate poco prima. “Io cerco compagnia...”
Guardava la donna sfilarsi via la maglietta e continuava a chiedersi perché questo non gli provocasse alcuna reazione. Poi portava una mano in tasca e il semplice contatto con il metallo freddo lo eccitava.
Si adagiava sul letto, la prostituta cavalcioni su di lui. Iniziò a sorridere mentre lei cercava di piegarsi su di lui. Ma era stato più veloce.
Gli occhi sbarrati di lei lo fissavano e lui sentiva già il calore del suo sangue scivolare dalla lama ancora conficcata nel suo petto fino alle sue dita.
Proprio come aveva sempre immaginato. Forse anche meglio...e l’orgasmo iniziava a imporsi prepotente in lui.
 
“Non possiamo rilasciare dichiarazioni al momento.” Continuava a ripetere JJ al telefono che non smetteva di suonare. Passavano pochi secondi da quando aveva poggiato la cornetta per l’arrivo di una nuova chiamata. Tutti sapevano già che era scomparsa una prostituta. Le notizie correvano veloci di bocca in bocca.
L’ennesimo squillo. Ma questa volta era il suo cellulare. “Jareau...” rispose.
“JJ, abbiamo una segnalazione per una scena del crimine. Ancora una volta un motel. Hotch è già lì con David e sta organizzando il trasferimento di Ronald Weems lì da voi. Tenetelo nella stanza degli interrogatori fino alla conferma che può essere scarcerato.” La aveva rapidamente informata Prentiss che stava raggiungendo con Morgan gli altri due agenti sul luogo segnalato.
“Avete bisogno di essere raggiunti?” chiese Jennifer.
“Per il momento no. Pensate al sospettato, in caso vi richiamiamo.” Affermò interrompendo poi la comunicazione.
La giovane agente ripose il cellulare e dopo pochi secondi fu il telefono a squillare per informarla che Weems era già in arrivo. Erano veramente tutti molto efficienti.
Riposta la cornetta, l’agente si avviò fuori per raggiungere il collega nell’open space. Lo trovò seduto alla scrivania, intento ad osservare qualcosa sul ripiano.
“Spence...” lo chiamò avvicinandosi, ma prima che potesse vedere su cosa fosse così concentrato Reid raccolse qualsiasi cosa fosse tra le mani e lo nascose nella tasca interna della giacca. Rimase poi in attesa di sentire cosa dovesse dirgli JJ.
La ragazza si riscosse e ricominciò a parlare. “Ha chiamato Emily. Hanno una nuova scena del crimine e stanno trasferendo qui Ronald Weems in attesa di una conferma di scarcerazione. Direi di tenerlo in sala interrogatori...” il ragazzo non le permise di terminare la frase.
“Ottimo...vado dentro io con lui se non ti dispiace.” I suoi occhi si erano accesi come non accadeva da tempo mentre si alzava in piedi.
“Fai pure, se questo può farti stare meglio...” gli sorrise JJ amorevolmente.
Lui allungò timidamente un braccio verso la spalla di Jennifer. “Caffè?” chiese poi ritraendo la mano di scatto dopo qualche minuto di silenzio.
“Ottima idea!” rispose la ragazza seguendolo verso l’area relax. Lo guardò preparare la moka e quando si voltò per porgerle la tazza lei non poté trattenere una domanda. “C’è qualcosa in questo caso che ti preoccupa, ho ragione?”
“Si è vero...” Non riuscì a mantenere un contatto visivo. Si lasciarono quindi andare ad una silenziosa bevuta, senza approfondire l’argomento.
 
La scientifica stava già analizzando le tracce organiche di quella stanza. David li osservava al lavoro, spostando poi gli occhi sul corpo senza vita di quella ragazza a terra. Stavolta erano arrivati prima che lo portassero via. La vittimologia corrispondeva. Ancora una volta la prostituta scelta aveva occhi azzurri e capelli biondi.
“Stanno trasferendo Weems a Quantico. Cosa abbiamo qui?” chiese Hotch avvicinandosi a lui dopo aver parlato con il detective Carlson che si sentiva particolarmente scoraggiato dal dover ricominciare da capo con un caso che riteneva chiuso.
“La vittimologia corrisponde.” Espose Rossi, attendendo poi notizie dal medico legale che stava facendo un esame preliminare.
L’uomo si voltò verso i due agenti quando fu pronto a dare la sua diagnosi, “A prima vista sembra abbastanza chiaro che il motivo della morte è la pugnalata al petto. Ci sono diversi tagli sul resto del corpo...”
“Come la precedente vittima.” Intervenne Dave, ma il dottore non aveva completato.
“Quello che è diverso questa volta è che la vittima presenta una ferita lungo tutto il petto...potrò essere più preciso solo dopo averla portata all’obitorio. Per ora è tutto.” Concluse l’uomo sollevandosi da terra e riponendo la sua attrezzatura.
“La scena è più pulita della precedente volta.” Sussurrò Hotch quando rimase solo con Rossi. “È evidente che c’è uno sviluppo nel modus operandi, si sta perfezionando.”
“Te la senti di affermare che si tratta dello stesso uomo?” chiese David grattandosi il mento e continuando a rivolgere lo sguardo verso la donna a terra.
“I capelli Dave...” accennò Aaron abbassandosi sulla vittima. “…tagliati e non sono qui...” ad un cenno affermativo del collega, l’agente Hotchner si rialzò e si avviò verso l’uscita per fare delle telefonate.
 
In poco tempo le forze dell’ordine varcavano la soglia dell’open space della BAU, accompagnando il sospettato in manette. JJ posò la tazza ormai vuota sul piano e si diresse spedita verso di loro.
“Agente Jareau. Dobbiamo prendere in custodia il sospettato. Vi prego di seguirmi da questa parte.” Li guidò verso la stanza degli interrogatori e in fretta anche il dottor Reid la raggiunse.
Mentre le guardie sistemavano l’uomo dentro la sala, il piccolo genio le si avvicinò furtivamente.
“Io...cioè...vorre..vorrei parlargli. Da solo. Ti dispiacerebbe?”
“Non c’è problema, resto qua dietro.” Jennifer indicò il vetro che le avrebbe permesso di vedere dentro la stanza, ma si sarebbe rivelato un semplice specchio per chi era dall’altra parte.
“No, intendevo...completamente solo.” La richiesta la lasciò senza parole per qualche secondo ma decise poi di accontentarlo.
“Va bene, ma ascoltami bene.” Gli afferrò con forza un braccio. “Se succede qualcosa, non fare l’eroe e chiamami. Intesi?” un cenno con la sua testa accompagnato da un triste sorriso l’avevano convinta che avesse recepito il messaggio.
L’agente Jareau ritornò nel suo ufficio, in attesa di un segnale da parte dei colleghi, e pregando che Spencer non si mettesse in qualche guaio solo dentro quella stanza.
Dopo svariati minuti il cellulare suonò nuovamente.
“Jareau.”
“JJ, siamo certi che l’S.I. di questa scena del crimine sia lo stesso della precedente. A breve arriverà un fax che ti permetterà di avviare il procedimento di scarcerazione per Weems. Fatto questo, tu e Reid raggiungeteci subito.”
“Ricevuto, Hotch.” Interruppe la conversazione riponendo il telefono sul tavolo e avviandosi poi alla stanza in cui il fax avrebbe recapitato il documento. Era una stanza spoglia, serviva solo come postazione per usare quell’apparecchio. La ragazza si guardava intorno camminando in cerchio, in attesa che emettesse qualche suono.
 
Spencer era entrato nella sala interrogatori e si era richiuso la porta alle spalle. Aveva aspettato qualche secondo per essere certo che la sua collega fosse andata via e poi si era portato istintivamente una mano alla tasca della giacca accarezzandola.
Aveva preso posto di fronte a Ronald e lo guardava. “Cosa sta succedendo?” chiese ad un certo punto l’uomo.
“Presto potrebbe essere fuori di qui.” Rispose Reid non smettendo di guardarlo. Era diventata la sua unica ancora di salvezza. E invece a breve lo avrebbe rigettato nel caos più totale.
“Un nuovo omicidio?” chiese spaventato.
“I miei colleghi stanno indagando...” controbattè Spencer prendendo poi un respiro profondo. “Io volevo sapere se lei ha ricevuto delle visite. La sua guardia mi ha detto che non è venuto nessuno a trovarla, ma preferisco chiedere a lei.”
L’uomo non capiva bene a cosa potesse servire tutto quello, ma si decise a rispondere comunque. Non aveva nulla da perdere. “In carcere nessuno. Ma appena sono uscito mi ha avvicinato qualcuno...”
Spencer portò nuovamente la mano alla tasca e tirò fuori quello che custodiva gelosamente.
 
Arrivato il documento, Jennifer si avviò rapida verso la sala interrogatori. Aprì lentamente la porta dell’anticamera e guardò attraverso il vetro quello che accadeva. Il collega era ancora dentro, le dava le spalle ma stava mostrando qualcosa a Weems. La donna riuscì a percepire solo la risposta di quest’ultimo.
“Si lo conosco, è venuto da me al centro per senza tetto subito dopo la mia scarcerazione. Mi ha rivolto diverse domande, sui miei precedenti omicidi, e su di me. Era interessato soprattutto a conoscere quanto tempo era passato tra l’inizio delle mie fantasie omicide e la messa in atto delle stesse.”
“Agente, c’è qualche problema?” chiese la guardia rivolta a JJ. Probabilmente doveva aver assunto qualche strana espressione nel tentativo di capire di cosa stessero parlando.
“Oh no,” disse la ragazza ricomponendosi. “Prego.” Aggiunse poi porgendo il foglio che aveva tra le mani. “Potete avviare la scarcerazione a questo punto. Siamo certi non si tratti di lui.”
I due ufficiali aprirono la porta per recuperare l’uomo. L’agente Jareau entrò velocemente subito dopo loro nella speranza di vedere cosa avesse mostrato Spencer a Ronald Weems.
Al rumore della porta che si apriva, il dottor Reid alzò gli occhi e appena vide la collega, raccolse rapidamente quello che c’era sul tavolo e lo infilò furtivamente nella tasca posteriore sinistra dei pantaloni, alzandosi in piedi. JJ non era riuscita a cogliere molti particolari, aveva solo capito che si trattava di una fotografia.
“Che succede?” le chiese. Lo sguardo di terrore di nuovo vivo e più forte nei suoi occhi
“Non è stato lui, va scarcerato. Dobbiamo raggiungere gli altri sulla nuova scena del crimine.” Lei lasciò cadere in basso gli occhi, in direzione del luogo dove aveva nascosto gelosamente la foto. Automaticamente, seguendo la direzione del suo sguardo, lui portò una mano a protezione del suo segreto.
"Andiamo..." le rispose superandola fuori dalla porta.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Then you catch him CAP12 CAPITOLO 12
 
“La divina Penelope per servirvi!” rispose l’allegra tecnica dell’FBI schiacciando con la sua penna colorata il tasto sul telefono alla sua sinistra.
“Garcia, servirebbe che lei controlli questo nome: George Swide.” Chiese David mentre sostava di fronte al bancone della reception del motel continuando a consultare il libro in cui venivano registrati gli ingressi. Ovviamente il loro uomo aveva pagato in contanti. Mai nessuno che usasse una carta di credito facilmente tracciabile. Erano furbi.
“Signore, non ho trovato nessun riscontro con quel nome.” Rispose la donna all’altro capo del telefono.
“Un nome falso, c’era da immaginarselo.” Rifletté ad alta voce l’agente Rossi, formulando subito dopo una nuova richiesta. “Può dirmi se il motel di ieri sera ha un database elettronico per i clienti?”
“Già fatto. E la risposta è si. Nessuno con questo nome però registrato né nella serata di ieri né in nessun’altra.” Disse Penelope continuando a inserire campi di ricerca nel suo computer.
“Ottimo lavoro. Lei è veramente in gamba.” Rispose l’uomo con un furbo sorriso abbozzato sulle labbra.
“La ringrazio.” Concluse riponendo il cellulare in tasca.
Erano nuovamente ad un punto morto.
 
Per tutto il tempo della strada non si erano rivolti la parola. Reid guidava guardando fisso la strada. Leggermente accigliato avrebbe potuto dire Jennifer che invece guardava fuori dal finestrino con il viso sorretto dal braccio. Era tardi e nessuno dei passanti che incrociava poteva sapere quello che stava accadendo a qualche isolato di distanza.
La ragazza sospirò. Dal quantitativo di chiamate ricevute, avrebbe trovato molti giornalisti davanti a quel motel. Lei l’avrebbe potuto sopportare, era abituata. Ma il silenzio del collega e la sua inaspettata voglia di guidare, quelli erano delle novità.
“Siamo arrivati.” Annunciò il ragazzo apprestandosi ad iniziare la manovra di posteggio accanto agli altri due SUV neri. Dovevano essere già tutti lì.
Spento il motore scesero entrambi dal veicolo. JJ si voltò verso di lui e gli comunicò che sarebbe rimasta a tenere a bada tutte quelle telecamere e microfoni. Spencer aveva assentito e si era diretto verso il portone d’ingresso.
 
“Eccoci.” Affermò Derek varcando la soglia della stanza con Prentiss.
“È pieno di giornalisti qui fuori.” Aggiunse la donna mentre Hotch si voltava verso di loro.
“JJ e Reid stanno arrivando.” Rispose guardando poi David rientrare nella stanza.
“Nome falso e nessun riscontro dal motel di ieri sera.” Li informò l’agente anziano raggiungendo i due nuovi arrivati. “Praticamente dobbiamo ripartire da zero.” Lasciò andare un sospiro, voltandosi poi insieme agli altri verso l’ingresso da cui stava entrando Spencer.
“JJ è rimasta fuori con i giornalisti.” Esordì portandosi poi vicino agli altri. “Cosa abbiamo?” era particolarmente impaziente di sapere cosa li aspettasse.
“Prostituta ancora da identificare. Colpo al cuore come la precedente vittima, ma stavolta le ha anche procurato una ferita lungo tutto il petto.” Spiegò Dave accogliendolo con un sorriso. Che il giovane non ricambiò.
“La scena è più pulita, credo si tratti veramente di qualcuno che si sta perfezionando vittima dopo vittima.” Continuò Emily, ma venne interrotta dalla voce di Reid.
“Con che nome si è registrato il cliente alla reception?”
“Nome falso e non corrispondente a nessuno di quelli che si erano registrati nella precedente scena del crimine. Ho già fatto controllare a Garcia.” Rispose Rossi.
“Possibilità di riconoscerlo e di fare un identikit?” incalzò ancora Spencer.
“C’è stato il cambio di turno, il portiere che li ha fatti entrare non lo stanno riuscendo a rintracciare...” rispose Hotch.
“Fantastico!” il tono ironico del giovane era un po’ troppo sostenuto.
“Calmati ragazzino...” Derek si avvicinò per calmarlo portandogli sulla spalla una mano che il dottore respinse energicamente.
“Non ho bisogno di calmarmi.” Scandì lentamente. Uno sguardo volò tra Emily e David: erano seriamente preoccupati, non lo avevano mai visto reagire in quel modo. A calmare la situazione carica di tensione che si era creata intervenne il supervisore capo.
“Fino a domattina non riusciremo ad avere maggiori notizie, o i referti dell’autopsia, quindi tornatene a casa, fatti una dormita e ci rivediamo domani mattina quando sarai più tranquillo.” Dopo queste parole Aaron indicò con il mento la porta d’uscita che il giovane ragazzo imboccò sbattendola dietro di sé.
“Hotch, lo sai...” iniziò Morgan ma l’agente lo interruppe. Lo sapeva, ma non era una motivazione accettabile per giustificare un simile comportamento. Stavano facendo tutto il possibile e lui avrebbe fatto meglio ad aiutarli piuttosto che andare così in escandescenze.
“Spero che siano soddisfatti, almeno fino a domani mattina...ho visto correre fuori Spence, cos’è successo?” l’agente Jareau si guardò intorno entrando nella stanza. Gli altri la guardarono ma non risposero alla sua domanda.
“Cosa hai detto ai giornalisti?” chiese invece Rossi alla donna.
“Che non possiamo ancora rilasciare dichiarazioni. È stato ritrovato un corpo, una prostituta, ma questo già lo sapevano, e che non siamo ancora in grado di accertare che sia collegabile a quello dell’altra sera.” Spiegò brevemente attendendo ora che le dessero qualche indicazione sul da farsi.
“Noi abbiamo interrogato di nuovo le prostitute mentre eravamo di sorveglianza...” Cominciò Prentiss ma si interruppe quando Aaron aveva sollevato un braccio che prima teneva incrociato con l’altro al petto.
“Quello che ho detto a Reid è vero. Aspettiamo i referti domattina e ci aggiorniamo in sala conferenze appena pronti.”
In breve tempo tutti uscirono dalla stanza e si diressero ognuno al proprio SUV per tornare a casa. Almeno qualche ora di sonno l’avrebbero potuta fare. L’indomani avrebbero dovuto fare i conti nuovamente con la realtà.
 
Aveva quasi superato i limiti di velocità. Ma non aveva raggiunto casa sua come gli era stato consigliato di fare. Era tornato a Quantico, perché sentiva che non si sarebbe potuto riposare.
Mentre raggiungeva la sua scrivania e lanciava sopra questa la sua tracolla, portò la mano alla tasca posteriore dei pantaloni. Era ancora tutto al suo posto.
Mentre spostava la sedia per sedersi fu raggiunto dalla voce di Penelope che si avviava verso l’area relax con la sua tazza colorata tra le mani. “Piccolo, che succede?”
Si voltò mentre lei si avvicinava alla sua scrivania poggiandosi poi contro il piano di lavoro mentre lui si sedeva sulla sedia. “Non abbiamo nessun punto da cui partire. Due vittime e nessun maledetto indizio.” Ringhiò.
“Tu hai sempre quel sospetto?” chiese la donna timidamente.
“Lo hanno tutti, ma non vogliono dirlo.” Non riuscì a continuare spostando gli occhi verso la superficie liscia del tavolo.
“Cucciolo...” continuò Garcia portandogli una mano sotto il mento e facendolo voltare di nuovo verso di lei. “Hai fatto la scelta giusta...”
“Ho già sentito queste parole.” La interruppe Spencer cercando di sfuggire a quella presa, ma l’informatica non glielo permise.
“Ehi...io ero lì con te. Ti ho aiutato. Se veramente credi che sia colpa tua, allora è anche colpa mia.” Era sincera nel pronunciare quelle parole.
Reid non rispose, sospirò solamente per ricevere poi un buffetto sulla testa dall’eccentrica donna che continuò a parlare, “Riposati. Ne hai bisogno.” Lo lasciò finalmente andare mentre sorrideva camminando verso l’area relax, sua destinazione originaria.
“Dovresti farlo anche tu.” Le gridò dietro lui avvicinando la sedia alla scrivania.
“Io ho il mio caffè!” esclamò entusiasta sventolando la tazza psichedelica. Si voltò poi per prepararsi l’ennesima razione. Quando il fumo si sollevò dal bordo del recipiente in ceramica si voltò per tornare nella sua stanza. Il dottor Reid dormiva con la testa poggiata sul piano del tavolo. La donna non riuscì a trattenere un amorevole sorriso.
 
Si era svegliato dopo qualche ora. Era confuso, stava cercando di capire dove si trovava. Era il suo ufficio e quella che vedeva subito accanto al suo occhio era la sua scrivania.
Si sollevò sulla schiena che doleva leggermente per la strana posizione assunta nel sonno. L’intero open space era nella semioscurità, solo qualche persona lavorava al proprio rapporto con un piccola luce puntata sui propri fogli, così da non disturbare gli altri.
Si sgranchì le ossa, poi ricordò cos’era successo. Aveva reagito in maniera sconsiderata davanti a tutti ed era stato gentilmente allontanato dalla scena del crimine. Quel caso lo stava consumando e aveva bisogno di riposo. L’istinto era quello di rimanere a lavorare, ma ormai non aveva più strade da controllare senza destare troppa curiosità in quelli che erano i suoi colleghi.
Decise di dare ascolto alle parole di Hotch, sarebbe tornato a casa, avrebbe provato a dormire e poi sarebbe tornato in ufficio. Raccolse la tracolla e si avviò verso l’ascensore.
Non aveva voglia di guidare, preferiva utilizzare la metropolitana, ma anche quella si rivelò presto una cattiva idea. Stava ancora scendendo nel sotto passaggio quando proprio il poggiare il piede su quel gradino riportò indietro la sua mente a quel giorno. Lo vedeva di nuovo di fronte a lui. Ricordava ogni minimo dettaglio.
Lui teneva tra le mani un bicchiere di caffè, e quel giovane così timido l’aveva fermato, conosceva il suo nome, sapeva chi era. E lui, che doveva essere un profiler dell’FBI, non aveva capito niente, non aveva capito chi si trovava davanti e l’aveva semplicemente lasciato andar via.
Si riscosse dai suoi pensieri e riprese a scendere verso il posto dove avrebbe staccato il biglietto che lo avrebbe portato in quel posto sicuro che era casa sua. E proprio quando strinse finalmente il pezzo di carta tra le mani sentì di nuovo quella sensazione, la stessa che lo aveva colpito quando con JJ stava portando Ronald Weems nel garage di Quantico. Si sentiva osservato.
Si voltò circospetto, ma non incrociò i due occhi azzurri che tanto lo atterrivano in quei giorni non appena chiudeva le palpebre. Forse stava semplicemente immaginando tutto, la sua mente, che tanto temeva, gli stava giocando qualche brutto scherzo.
Quella storia doveva finire, e sapeva come avrebbe fatto. Doveva semplicemente aspettare l'indomani mattina.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Then you catch him CAP13 CAPITOLO 13
 
L’agente Hotchner era arrivato l’indomani mattina molto presto come al suo solito e aveva immediatamente raggiunto l’ufficio di Penelope Garcia. Avevano ricevuto i vari risultati, compresa l’identificazione del cadavere, aveva fatto cercare notizie sulla donna, ma l’informatica non aveva avuto riscontri utilizzabili. Il capo le aveva quindi ordinato di preparare il resto del materiale per l’aggiornamento di JJ in sala conferenze e di raggiungerli lì anche lei.
Si era poi portato nel suo ufficio a raccogliere il necessario, aveva visto arrivare Morgan e Prentiss che iniziavano a consultare incartamenti alle loro scrivanie e David che era passato a salutarlo prima di infilarsi nella sua stanza. E quando aveva visto varcare l’ingresso dell’open space da Penelope e Jennifer si era avviato nella sala conferenze, dove l’avevano subito raggiunto gli altri.
“Siamo pronti?” chiese prendendo posto.
“Manca Reid.” Avvertì Rossi guardandosi intorno. “Qualcuno l’ha visto o sentito?”
Garcia si era sistemata gli occhiali sugli occhi prendendo poi posto attorno al tavolo. “Signore, ieri notte è tornato qui. Si era addormentato sulla scrivania, poi credevo fosse andato a casa, non so perché non sia ancora qui.”
“Procediamo comunque.” Stabilì Hotch facendo cenno a JJ di mostrare i nuovi dettagli.
“La prostituta è stata identificata, si chiamava Sarah Navy.” Cominciò a spiegare la liaison dell’FBI spostando le immagini sullo schermo con il telecomando che aveva tra le mani.
“Io ho già controllato, abbiamo solo un certificato di nascita. I genitori sono morti entrambi quando era ancora bambina e non c’è altra traccia di questa donna da nessuna parte. Non è chiaro nemmeno a chi sia stata affidata.” Intervenne la tecnica informatica.
“Ora che siamo in possesso di due vittime possiamo parlare di vittimologia.” Intervenne Rossi.
“Bionde, occhi chiari. Non penso ci serva altro, le prostitute sono vittime ad alto rischio, è facile che vengano scelte solo perché sono facili da trovare.” Tagliò corto Morgan.
“Possiamo ipotizzare che sia un modello?” chiese Emily sporgendosi in avanti.
“Credo proprio di si, queste donne che stanno sulla strada sono tutte diverse, e proprio perché facili da trovare avrebbe potuto prendere chiunque. Invece ha scelto due ragazze somiglianti.” Rispose Rossi sotto lo sguardo vigile di Aaron che in seguito aggiunse altri dettagli.
“Il modus operandi è invece cambiato tra le due vittime. Sempre un colpo al cuore, ancora una volta lesioni in altre parti del corpo, ma questa volta si è spinto oltre, ha deciso di aprirle il petto.”
“Ha portato via qualche organo?” si informò Jennifer.
“No, tutto al suo posto. Dimostra ancora di essere organizzato, nessuna traccia utilizzabile. La scena era anche più pulita, sta decisamente imparando e migliorando. È giovane e intelligente. Non credo si tratti di un imitatore però...” continuò David.
“Perché lo pensi?” l’agente Prentiss si incuriosì.
“Ancora una volta ha portato con sé i capelli della vittima. Weems non lo faceva, come non ha mai torturato le vittime dopo l’uccisione o ancor peggio non ha mai tagliato loro il petto. Credo che sia lo sfogo di una patologia, la realizzazione di una fantasia. E solo per puro caso queste somigliano a quelle del nostro precedente S.I.”
“Il nostro profilo allora è errato?” intervenne Morgan.
“No, è giovane, organizzato, sadico. Lo rilasceremo alla stampa per cercare un punto di partenza per le nostre ricerche, l’uomo non può passare inosservato. Ha terrorizzato anche Nancy Sulligan, spingendola a sporgere denuncia.” Concluse Hotch.
“E se nessuno lo riconosce?” chiese JJ titubante.
“Non serve un segnale dall’esterno. Io ho un nome...” la voce di Spencer arrivò dalla porta. Era appena rientrato, aveva il volto sconvolto che non lo aveva ancora abbandonato negli ultimi giorni. “Nathan Harris.” Dichiarò sfilando dalla tasca posteriore dei pantaloni una foto e poggiandola sul tavolo rotondo.
“Ragazzino è una vecchia storia...” Derek non era disposto a credergli.
“È giovane, mi aveva raccontato di avere fantasie sull’uccisione di prostitute. Aveva fatto accenno anche al taglio dei capelli. Io tenterei questa strada.” Insistette il ragazzo ancora in piedi.
“Non conosco questa storia.” Si intromise David attirando l’attenzione di tutti. “Vorrei provare a capirne di più.”
Il dottor Reid prese un respiro profondo girando poi intorno al tavolo fino a trovare una sedia vuota. Prese posto e cominciò a raccontare. “Quattro anni fa, Nathan Harris mi ha avvicinato prima che si scoprissero i cadaveri di Ronald Weems. Mi aveva visto ad una conferenza ed era interessato al profiling, mi aveva fatto domande sull’uccisione delle prostitute. Solo grazie a lui siamo venuti a conoscenza di quello che stava accadendo a Washington. Avevamo sospettato di lui, ma si era rivelato innocente. Gideon...” deglutì con sofferenza dopo aver pronunciato quel nome, “...beh lui lo aveva sottoposto ad una perizia psicologica ed era risultato chiaro che se non avesse seguito adeguate cure, sarebbe arrivato ad uccidere qualcuno.”
“Hai i dettagli della perizia?” chiese Hotch poco intenzionato a lasciare tempo al ragazzino per concentrarsi su quello che era finalmente riuscito ad ammettere apertamente.
“No, ma c’era un avvocato con loro, se non è nel database dell’FBI, lui avrà conservato i documenti sicuramente.” Non sembrava meno turbato ora che aveva vuotato il sacco.
Aaron fece un cenno con il capo e si fermò a pensare. Poi riprense la parola. “Penelope, pensi di poter fare qualcosa per trovare questa perizia?”
“Posso provarci, se c’è la troverò sicuramente.” Affermò sicura raccogliendo le carpette che si era portata dietro.
“Reid vai con lei.” ordinò il capo e subito il ragazzo scattò in piedi seguendo l’informatica verso il suo ufficio. L’agente Hotchner si voltò poi verso i colleghi. “Prentiss, mi dicevi ieri sera che avevate parlato con le prostitute nuovamente...”
Emily si sporse in avanti rispondendo di si con la testa, “Esatto, ci hanno detto che Nancy aveva ricevuto delle attenzioni da un ragazzino. Lo stesso era successo anche alle altre, ma lui le aveva avvertite di non avvisare la polizia. Per questa ragione non volevano parlare con noi e la nostra vittima aveva ritirato la denuncia. Erano atterrite dalle sue minacce.”
“Vuoi muoverti sulla linea di Nathan Harris?” chiese Dave leggendo il dubbio negli occhi del suo capo.
“Possiamo provare, ma con discrezione, fin quando non avremo ulteriori conferme. Prentiss, raggiungi Reid e non appena avrete finito da Garcia, andate ad interrogare la madre di Nathan Harris. Morgan e Rossi, voi tornate in strada con la foto di Harris e cercate di farvi dire dalle donne se il ragazzino a cui si riferivano era proprio lui. Io e JJ organizziamo la conferenza stampa per comunicare il rilascio di Weems e rilasciare il nuovo profilo.”
In breve erano tutti pronti all’incarico che gli era stato assegnato.
 
“Inutile che ti dica di metterti comodo come se fossi a casa tua.” Scherzò Penelope recuperando la sua sedia e portandola fino allo schermo principale della sua multi task. Si mise comoda e iniziò a far saettare le dita sulla tastiera alla ricerca della perizia psicologica. “Ecco qui tutte le perizie di Gideon. Anno?”
“Duemilasei. Nathan Harris. Quantico, Virginia.” Rispose il dottor Reid.
“Bingo!” fu l’esclamazione di Garcia quando con i campi da lei inseriti venne fuori un solo riscontro. “Non puoi immaginare come sale l’adrenalina quando questa scritta lampeggia davanti ai miei occhi.” Scherzò la donna, ma Spencer le disse di aprire il file senza perdere altro tempo.
“È permesso?” chiese una voce alle loro spalle.
“Emily, giusto in tempo per goderti la lettura della perizia.” Rispose l’informatica, dando subito dopo il comando per visualizzare il documento.
Prentiss si avvicinò allo schermo insieme agli altri due colleghi e assunse la stessa espressione interdetta nel vedere le poche informazioni disponibili. Le loro aspettative furono distrutte all’istante.
Il giovane Nathan Harris necessita di assistenza medica a tempo pieno, va ricoverato e tenuto sotto controllo. Nel ragazzo sono stati riscontrati impulsi psicotici. Tutto qui?” chiese Spencer con un misto di rabbia e stupore.
“Cucciolo, non capisco. Non c’è altro, la registrazione di Gideon è questa, c’è anche la sua firma.” Rispose Penelope non volendo dubitare delle sue abilità.
“Jason non avrebbe mai rilasciato una perizia così povera. C’è qualcosa di strano...” riflettè il giovane ad alta voce.
“Hotch vuole che andiamo ad interrogare la madre di Nathan.” Comunicò Prentiss rompendo quel momento di smarrimento.
“Vi do l’indirizzo.” Rispose Garcia digitando sui tasti.
“La stessa casa dove siamo andati a prelevarlo la prima volta.” Fu la risposta di Reid nel leggere il risultato della ricerca.
“Andiamo, magari lei ci chiarirà qualche dubbio.” Affermò Emily invitando il ragazzo a precederla fuori da quell’ufficio.
 
“Hotch ho chiamato i giornalisti, li ho convocati tra un’ora qui alla BAU.” Informò JJ entrando nell’ufficio del supervisore capo, che alzò gli occhi dai fogli che stava compilando.
“Io ho chiamato il detective Carlson per comunicargli che stiamo seguendo una nuova pista.”
“Pensi che sarà quella giusta?” chiese la donna accomodandosi sulla sedia di fronte alla scrivania.
Aaron sospirò senza riuscire a rispondere. La donna allora riformulò meglio la sua domanda, “Pensi che sarà una strada semplice da intraprendere?”
“Nessuna strada è facile da intraprendere. Come pensi di organizzare il discorso per la stampa?” l’agente Hotchner era intenzionato a cambiare discorso.
Jennifer si lasciò trascinare in quella nuova discussione senza insistere. “Pensavo di iniziare spiegando il motivo del rilascio di Ronald Weems e segnalando poi l’allerta per tutte le donne che lavorano sulle strade di Washington.”
“Proporrei di non accennare a Nathan Harris fin quando non abbiamo una conferma.” Intervenne l’uomo alzandosi dalla poltrona e girando intorno al tavolo.
L’agente Jareau scosse il capo in segno di assenso e si alzò a sua volta. A breve sarebbe andata in onda su tutte le reti, questa volta per evitare che dovessero trovare una nuova vittima per compiere il passo successivo. Questa volta si trattava di anticipare l’S.I. Stavano compiendo quelle procedure che avrebbero dato loro il vantaggio.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Then you catch him CAP14 CAPITOLO 14
 
Spencer continuava a guidare pensando a quello che avevano letto sul referto della perizia psicologica. Era impossibile che Jason Gideon avesse scritto quelle poche parole prive di senso, sperava per questo che la madre sarebbe stata d’aiuto. Lei era stata una pedina importante la prima volta che avevano incontrato il minorenne Nathan Harris, era stata lei quindi a dare la parola finale su ogni decisione nei riguardi del figlio. Si era adirata non volendo accettare che Nathan avesse dei problemi e necessitasse di un ricovero, ma per fortuna infine si era convinta per il bene del ragazzo.
Erano scesi dal SUV e si erano avviati in quell’appartamento. Emily aveva bussato alla porta che dopo qualche secondo si era lentamente aperta rivelando una discreta signora con un caschetto biondo e degli occhi azzurri che si erano illuminati alla vista del ragazzo.
“Dottor Reid?” chiese sbalordita mentre apriva di più il battente permettendo ai due agenti di entrare in casa.
“Signora Harris...” fu la cordiale risposta di Spencer nell’atto di accomodarsi, mentre anche Prentiss si qualificava con la donna.
“A cosa devo questa visita?” Sarah fissò le due figure sedute sul divano di fronte a lei e sfregò nervosamente le mani tra di loro.
“Io...noi volevamo semplicemente qualche notizia di Nathan...” il dottor Reid era timoroso, non voleva esporre troppo il caso, ma prima voleva sondare il terreno.
“Sa che il mio lavoro mi prendeva del tempo, me lo prende tutt’ora. Insomma, non lo vedo da tempo. Anzi, non l’ho mai visto. Non riuscivo ad accettare quello che gli stava accadendo, non a mio figlio...”
“Signora ci sta dicendo che non l’ha fatto ricoverare?” chiese Prentiss allarmata per la verità che stava emergendo dalle parole della donna.
“Oh si, certo. Alla fine l’agente Gideon mi aveva convinta, anche se l’avevo pregato di non rovinare il nostro nome e di scrivere nel rapporto sulla perizia solo lo stretto e necessario...” si interruppe per guardare lo sguardo che saettò da Emily verso Spencer che tirò un sospiro di sollievo. Non poteva accettare che Jason fosse completamente impazzito e non avesse emesso un referto corretto se non sotto la spinta di qualche fattore esterno. Ora sapeva quale fosse stato.
“Abbiamo bisogno che ci racconti come è andata dopo che abbiamo rilasciato definitivamente Nathan.” Il tono del giovane, contrariamente alle aspettative era calmo. Voleva mettere la donna nelle condizioni perché si aprisse e dicesse tutto il necessario per mandare avanti l’indagine.
Sarah Harris raccolse le forze per immergersi in ricordi di un passato doloroso e che avrebbe voluto cancellare con un semplice colpo di spugna, qualora fosse stato possibile, poi cominciò a parlare. “All’uscita dal distretto sono dovuta tornare a lavoro d’urgenza. Lui mi aveva promesso che sarebbe tornato a casa da solo. Era la sua ultima serata di libertà, l’indomani mattina avevamo deciso che saremmo andati alla clinica. Io sono tornata a casa quando lui non era ancora rientrato, sono andata a dormire. Era normale che rimanesse fuori, è un uomo, lo trattavo come tale. Poi l’indomani mattina sono dovuta uscire d’urgenza nuovamente. Sa noi medici...” prese un sospiro prima di ricominciare. “Al pomeriggio quando mi sono liberata siamo andati alla clinica. Da allora non sono andata a trovarlo o a vederlo nemmeno una volta. Ancora ora non ho accettato la situazione.”
“Dovrebbe dirci il nome della clinica in cui è stato ricoverato.” chiese gentilmente Emily sporgendosi in avanti verso la donna che la guardò con occhi terrorizzati.
“Gli è successo qualcosa?”
“No, non ne siamo sicuri. Stiamo solo facendo dei controlli.” La tranquillizzò l’agente Prentiss con un sorriso e il tono più dolce che potesse modulare.
“Alla clinica Saint James. Dottor Reid,” la donna si voltò di scatto afferrando con forza il braccio di Spencer. “Mi prometta che qualsiasi cosa scoprirete mi farete sapere...” lo stava implorando. Il ragazzo fece un cenno con la testa. “Una promessa non conta se non si fa ad alta voce...” lo riprese amorevolmente Sarah.
“Glielo prometto.” Sussurrò l’agente prima di alzarsi con la collega per dirigersi verso l’uscita.
Arrivati in macchina Emily non poté fare a meno di manifestare ad alta voce i suoi dubbi.
“Fattore di stress?”
“Cosa?” il magro ragazzo non aveva capito le parole di Prentiss.
“La madre che lo abbandona...”
“Potrebbe essere.” Era di poche parole, e ancora sconvolto.
“Reid dì qualcosa, te ne prego.” La donna era preoccupata e cercò di scuotere il collega.
“Lo ha abbandonato senza mezzi termini, ti rendi conto?” sbottò finalmente non allontanando gli occhi dalla strada che stava percorrendo.
“Non mi stupisce per nulla. Se Nathan è quello che è dipende strettamente dalla famiglia che ha alle spalle. Nessun padre, la madre che non si curava di lui, dai, quale madre non si accorge che il figlio è malato? Ai suoi livelli è impossibile non farci caso.”
Seguì un pesante silenzio, che dopo qualche minuto Emily infranse.
“Stiamo andando in clinica?” chiese timidamente.
“Si.”
“Credi che sia ancora ricoverato?” indagò più a fondo nei pensieri del ragazzo che non aveva voglia di lasciarsi andare a confidenze.
“Non lo so, ma lo spero...” pronunciò come se avesse scagliato una pietra.
Prentiss si sistemò meglio sul sedile e il viaggio proseguì nel silenzio.
 
Per la seconda volta in due giorni Jennifer si stava dando in pasto ai giornalisti per la conferenza stampa, ma questa volta le dichiarazioni le avrebbe rilasciate Hotch. Lei doveva solo essere lì pronta a sfoderare le giuste parole nell’eventualità in cui venisse rivolta qualche scomoda domanda.
Alternarsi nel rilasciare le dichiarazioni davanti alle telecamere serviva per dare una maggiore idea di squadra e per evitare che in caso di fallimento o di smentita JJ non diventasse l’unico e solo capro espiatorio.
Il segnale che stavano per andare in onda arrivò mentre Aaron sistemava i microfoni sul podio dal quale avrebbe parlato. Raccolse il fiato necessario e cominciò, “Ieri è stata rilasciata la dichiarazione che l’FBI aveva sotto custodia l’uomo ritenuto responsabile dell’omicidio di una prostituta qualche notte fa. Gli avvenimenti della notte scorsa hanno dimostrato che Ronald Weems era la persona sbagliata, quindi il sospettato è stato rilasciato nelle prime mattinate di oggi. Chiediamo pertanto a tutte le donne che lavorano sulle strade di Washington di prestare particolare attenzione ai clienti che le avvicinano. L’uomo che cerchiamo uccide le sue vittime in camere di motel, le pugnala al cuore. Pensiamo che il Soggetto Ignoto sia giovane e particolarmente disturbato, che viva con difficoltà la sua sessualità e che per questo provi sempre maggior piacere con i suoi atti criminosi. Si sta evolvendo, quindi crediamo che questa notte attaccherà di nuovo e possibilmente con maggior violenza. Chiunque noti una persona che corrisponde a questa descrizione è pregato di chiamare il numero di emergenza per un intervento immediato.”
“Agente Hotchner, avete qualche sospetto?” un giornalista si sporse in avanti in cerca della dichiarazione da pubblicare in esclusiva nel suo articolo.
L’agente Jareau salì sul podio dando gentilmente il cambio al suo capo. “Al momento non ci è permesso rilasciare altre dichiarazioni in merito. La polizia ha il profilo dettagliato dell’S.I., chiediamo la collaborazione di tutti perché questo caso si chiuda nel minor tempo possibile.” Un cenno del capo della donna comunicò che la conferenza era finita e i due agenti si allontanarono mentre i giornalisti insoddisfatti continuavano a fare pressione con le loro domande.
 
Penelope stava continuando a processare informazioni sola nel suo ufficio. Fermarsi avrebbe voluto dire pensare, e non le sembrava la cosa più adeguata da fare in quella situazione. Meglio concentrarsi sul lavoro e cercare di scoprire qualcosa di utile prima che fosse veramente troppo tardi.
Un lieve bussare alla porta la fece voltare prima di invitare il visitatore ad entrare. Era Aaron Hotchner, quindi lei istintivamente si portò in piedi.
“Signore?” chiese preoccupata.
“Nessuna novità.” Rispose il capo richiudendosi il battente alle spalle.
Garcia si rilassò lievemente sedendosi nuovamente. “Ho provato a processare di nuovo il nome della seconda vittima, ma non ne ho acquistato nulla di più. È stata affidata alla nonna paterna, che è morta qualche anno fa lasciandola sola. È finita all’ospedale un paio di volte per lesioni, non ha mai denunciato il colpevole. Nessun precedente penale, nessuna traccia che porti da qualche parte. Un fantasma...”
“Garcia, va bene così. Abbiamo una nuova strada da seguire ora. La perizia di Gideon?” ricordò poi.
La donna si voltò verso lo schermo aprendo nuovamente il documento. “Solo questo Signore, è...è una cosa incredibile...” esclamò indicando il monitor vicino a lei.
“Prentiss e Reid potrebbero avere una spiegazione anche per questo.” Sospirò l’uomo sistemandosi la cravatta.
“Tu credi...” la donna fu interrotta dalla tempestiva risposta di Aaron.
“Non lo so.” Dopo queste tre parole si voltò per scomparire dietro la porta lasciando Penelope sola con i suoi pensieri e i suoi computer.
 
Vagavano da ore senza alcun risultato. Se la prima volta Morgan e Prentiss aveva estorto qualche risposta alle donne impegnate nelle strade di Washington, questa volta Derek e Dave non riuscivano nemmeno ad avvicinarle.
Non appena cercavano di rivolgersi loro, queste scappavano. L’agente di colore aveva anche riconosciuto la ragazza che li aveva aiutati la prima volta, aveva provato a parlarle, ma l’amica questa volta l’aveva afferrata e portata via, sussurrandole parole che sicuramente potevano essere minacce.
“E io che pensavo che vedendo un fusto come te avrebbero fatto a pugni per parlarti...” ironizzò l’agente Rossi fermandosi al centro del marciapiede che stavano percorrendo.
Derek si arrestò a sua volta guardando verso il cielo al di là dei suoi occhiali da sole e facendo schioccare la lingua all’interno della bocca, “Sono pur sempre un agente federale.” Ribattè sornione.
I due sorrisero per un attimo prima di rimettersi in marcia. David rigirava tra le mani la foto di quel ragazzino che per lui era uno sconosciuto. Era stato ritratto quando poteva avere qualcosa come quindici o sedici anni e i suoi occhi esprimevano sicuramente tutto il disagio che viveva.
Ad un certo punto una presa ferma strinse il braccio di Rossi che si voltò di scatto per incontrare il viso di una donna giovanissima. Era terrorizzata. Morgan notò il movimento quando già la prostituta trascinava il collega verso un vicolo abbandonato e corse a passo spedito dietro di loro.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Then you catch him CAP15 CAPITOLO 15
 
“Agente Prentiss e Dottor Reid.” I due federali mostrarono i distintivi all’accoglienza della clinica Saint James all’interno di un edificio antico e immenso. Un uomo di mezza età seduto al di là del bancone li osservò interessato. “Volevamo delle informazioni su Nathan Harris, un vostro paziente...” spiegò Emily, ma la strana figura la interruppe con voce particolarmente allegra.
“Errato signorina.” Rise.
Prentiss si irrigidì guardando Spencer che non aveva idea di quello che stesse accadendo. “Come prego?” chiese profondamente interdetta.
“Lei ha detto che è un nostro paziente, e questo non è vero.”
“La madre ci ha dato il vostro recapito, l’ha ricoverato qui quattro anni fa.” Intervenne Reid con voce tremante.
“Sapete? Io non sono autorizzato a dare informazioni, quindi forse è meglio che vi chiamo il medico.” L’uomo balzò dalla sedia trottando poi verso una piccola porticina al di là della quale scomparve.
La donna si voltò verso il giovane scuotendo il capo interrogativa. “Siamo sicuri che non era un paziente quello?” domandò con il dito indice proteso verso la porta in cui lo avevano visto dileguarsi.
“Buongiorno, sono il dottor Scott.”  La voce profonda di un autoritario medico li raggiunse alle spalle.
Il più rapido a voltarsi fu Spencer che mostrò il badge affermando, “Dottor Reid e Agente Prentiss.” Emily alle sue spalle aveva tirato fuori dalla tasca anche il suo tesserino. “Desideravamo parlare di Nathan Harris.” Il ragazzo magro deglutì profondamente dopo aver pronunciato quelle parole.
“Seguitemi nel mio studio, così possiamo metterci comodi.” Li invitò cordialmente l’uomo facendo loro strada lungo un corridoio intervallato da porte con spesse sbarre di ferro.
Raggiunto il suo ufficio, permise loro di entrare per primi. Si trovarono all’interno di una stanza elegantemente arredata, ogni fascicolo era meticolosamente sistemato negli appositi spazi. Quell’ambiente risplendeva di luce propria in quanto a ordine e pulizia. Prentiss non poté fare a meno di pensare che una tale precisione fosse normale visto quello che si trovava a dover affrontare ogni giorno quell’uomo; quello si rivelava essere l’unico posticino in cui poteva rimettersi in pace con se stesso.
Il dottore la riscosse dai suoi pensieri facendo cenno ai due agenti di prendere posto sulle comode sedie di fronte alla scrivania che aggirò per sedersi alla sua poltrona di pelle. Si sporse in avanti poggiando i gomiti sul vetro del tavolo e incrociò le mani a sostenere il viso. “Nathan Harris...” cominciò a parlare. “Sicuramente una bella grana. La madre lo accompagnò qui il pomeriggio del suo ricovero circa quattro anni fa e poi scomparve. Quel ragazzo non ha mai ricevuto una visita da nessuno, era irrequieto, alternava momenti di confusione, con momenti in cui si chiudeva nel suo mondo interiore a riflettere. Aveva una grande intelligenza però, voleva sempre sapere cosa gli stavamo facendo e perché.”
“Possiamo vederlo?” chiese improvvisamente Reid che non riusciva a trovare comodità sulla sedia su cui si era accomodato.
“Dottore, non vorrei sconvolgerla. Ma lui non è più un nostro paziente.” Pronunciò Scott mantenendo la calma. Un bagliore saettò nello sguardo di Spencer prima di spegnersi. Emily si sentì in dovere di intervenire.
“Ma come è possibile?”
“Quando ha compiuto la maggiore età ha subito firmato la dimissione. Seguiva le cure, era stato ricoverato minorenne, sua madre era scomparsa, non potevamo impedirglielo. Anche se a mio avviso non era sicuro, doveva essere tenuto all’interno dell’istituto ancora.”
“Come...come viveva il suo...essere...rinchiuso qui?” balbettò con difficoltà il giovane che non riusciva quasi a respirare.
“Male. E oserei dire che sia quasi un eufemismo. Si sentiva costretto, ripeteva che non sarebbe mai uscito di qui. Aveva paura anche di se stesso.” Il dottor Scott prese un respiro profondo ad accompagnare le sue ultime parole, poi si lasciò andare con le spalle contro la poltrona.
“Sa per caso dove sarebbe andato una volta uscito?” tentò l’agente Prentiss.
“Ha detto che sarebbe tornato a casa...”
“Cosa che non ha fatto.” Concluse Spencer interrompendo il medico. “Avete una cartella con i suoi referti?” domandò.
“Certo, gliela vado a prendere subito. Vogliate scusarmi.” Cordialmente si congedò per uscire dall’ufficio.
Il silenzio improvviso in quella stanza aveva mandato Reid in confusione, uno strano fischio gli tormentava le orecchie, mentre la vista gli si appannava. Si portò le dita a stropicciarsi le palpebre.
Prentiss lo fissava soffrire e decise di rompere il silenzio, “Non è ancora detto nulla. Non vuol dire nulla che non sia più ricoverato.” Cercò di infondergli coraggio, me quello che stava vivendo il collega era panico.
“Prendiamo questi documenti e torniamo dagli altri prima di prendere qualsiasi decisione.” Pronunciò lui con pochissimo fiato spingendosi in avanti e strofinando i palmi delle mani sul pantalone.
“Ecco qui tutto quello che ho trovato.” Il dottor Scott rientrò alle loro spalle sorridendo. “Qualcosa è andato perduto, diciamo che a volte anche i nostri assistenti meriterebbero di essere internati come pazienti.” Ironizzò non sortendo alcun effetto sui due agenti che non erano dell’umore adatto.
“È stato gentilissimo.” Emily si alzò in piedi porgendo la mano all’uomo, lo stesso fece Reid alle sue spalle.
“Per qualsiasi cosa sono a vostra disposizione.” Il medico li accompagnò cortesemente alla porta.
In silenzio i due agenti ripercorsero il corridoio e videro la gente rinchiusa in quelle stanze che avevano tutta l’aria di prigioni, anche se ben sapevano che la prima prigione che tutte quelle persone avevano era proprio la loro mente.
Sospirando raggiunsero il SUV e si diressero alla volta di Quantico.
 
“Ma che...” il pensiero sussurrato da Rossi mentre la donna lo trascinava contro la parete del vicolo.
In pochi secondi Derek fu al suo fianco, stava per afferrare la ragazza ma questa lasciò Dave prima che l’uomo potesse fare nulla.
“Io lo conosco...” biascicò abbassando gli occhi.
“Come?” intervenne Morgan mentre il collega si risistemava la giacca.
“Questo ragazzino. Io lo conosco!” affermò senza dire altro indicando la foto ancora tra le mani dell’uomo.
Derek sospirò alzando gli occhi al cielo, richiedendo quindi l’intervento del più paziente e distaccato David. “E hai qualcosa da dirci?” domandò freddo.
“Lui ci spia, tutte quante. Ha anche minacciato molte di noi, anche me. Ma non mi importa, se potete toglierlo di torno sono più contenta.” Sciorinò la prostituta guardandosi poi intorno per assicurarsi che occhi indiscreti non li stessero guardando.
“Ehi, hai altro da dirci?” si intromise Morgan spingendola quasi contro il muro. La ragazza scosse timidamente la testa in segno negativo per poi sgusciare via dalla morsa del ragazzo e scomparire oltre l’angolo.
I due agenti si guardarono negli occhi, prima che Rossi interrompesse il silenzio. “Questo non vuol dire nulla di certo. Le spia, ma non per forza deve anche ucciderle, che sia un ragazzo disturbato l’avevamo capito anche prima.” Spiegò brevemente.
Nessuna risposta dal ragazzo di colore che si incamminò nuovamente sulla via principale in direzione del SUV. “Torniamo a Quantico.” Disse semplicemente quando avevano quasi raggiunto la vettura.
 
L’agente speciale Aaron Hotchner era nel suo ufficio a studiare referti e altri incartamenti quando un lieve bussare alla sua porta gli fece sollevare lo sguardo verso l’agile figura di Jennifer.
“Hotch, ci sono tutti. Se vogliamo aggiornarci...” espose in tono calmo e pacato.
“Arrivo subito.” Fece cenno l’uomo invitandola a precederlo. Lui richiuse ciò su cui stava lavorando, prese un foglio e si alzò dalla poltrona richiudendosi la porta alle spalle e raggiungendo la sala conferenze. Tutti occupavano le loro sedie intorno al tavolo. Tutti tranne il dottor Reid che come sempre ultimamente preferiva un’irrequieta posizione in piedi in un angolo della sala.
“Qui ho il referto di Gideon sulla perizia psicologica.” Affermò posando il foglio sul tavolo. “Per chi non l’ha già letta...” concluse.
Rossi si allungò sul tavolo per raccogliere il documento e leggerlo rapidamente.
“Sappiamo il perché.” Lo anticipò Emily nel vederlo intento a proferire una domanda, “La madre di Nathan Harris ha chiesto a Jason di non screditare il loro buon nome, ma di scrivere lo stretto e necessario.” Spiegò.
“La stessa madre che lo ha accompagnato al ricovero e l’ha abbandonato non avendo più sue notizie per i seguenti quattro anni.” Intervenne Spencer dal fondo.
Derek batté un lieve colpo sul tavolo gettando indietro la testa, non sapeva come dire al ragazzino che loro sapevano per certo che fosse lui ad importunare le donne sulla strada. Parlò al suo posto Dave.
“Noi siamo riuscite a parlare con una prostituta che ha riconosciuto nella foto del sospettato il giovane che le spia e le minaccia. Ma non ha saputo dire altro.” Gli occhi di tutti saettarono verso il dottor Reid che si premurò ad aggiungere:
“So già che è in giro...alla clinica Saint James, dove Sarah ha detto di averlo ricoverato, abbiamo saputo che compiuta la maggiore età ha firmato per essere dimesso e le sue tracce si sono perse...” era incapace di dire qualsiasi altra parola.
“Ma il fatto che sia stato riconosciuto come un molestatore di prostitute, non vuol dire che sia un assassino. Giusto?” chiese preoccupata JJ con l’intento di tranquillizzare il collega in primo luogo ma anche se stessa.
Nessuno disse nulla, e Spencer concentrò la sua attenzione sulla cartella che teneva tra le mani, “I medici erano contrari al rilascio di Nathan, mi sono fatto dare i referti. Segue una cura meno invasiva di quella di Weems, nonostante i suoi problemi fossero maggiori. È sicuramente in grado di commettere un omicidio, anche nel caso in cui stia seguendo correttamente la somministrazione dei farmaci, cosa di cui dubito fortemente.”
“Perché lo credi?” intervenne David.
Il giovane arricciò le labbra prima di rispondere, “Non lo so...lo sento semplicemente.” Allungò quindi il fascicolo della clinica sul tavolo. Fascicolo che prontamente Hotch afferrò e lesse.
“Ha mostrato grande intelligenza, ma non ha passato i test sotto provocazione. Tutti i sintomi psicotici sono presenti. Dobbiamo sapere il profilo che ne aveva fatto Jason con la perizia.” Sospirò sconfitto.
“Se solo quella donna non l’avesse fatto praticamente sparire...” ringhiò Derek.
Un lungo silenzio calò in quella sala, quando infine il volto di Reid si illuminò. Arrestò la sua camminata frenetica e si avvicinò al tavolo.
“Un modo ci sarebbe...” esclamò e tutti rimasero in attesa di sapere cosa avesse in mente.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Then you catch him CAP16 CAPITOLO 16
 
“Non mi sembra la soluzione migliore...” azzardò JJ nel silenzio carico di aspettative che si era creato.
“No.” Intervenne Spencer comprendendo cosa la collega avesse immaginato. “Non ho intenzione di cercare Gideon, però pensavo che quando Jason fece la perizia si fece affiancare da un avvocato che doveva supervisionare che tutto avvenisse a norma di legge e che Nathan non fosse trattato come un sospettato.”
“Sappiamo il suo nome?” chiese Hotch.
“Non credo, ma forse Garcia può...”
“Vai.” lo interruppe Aaron prima di fargli cenno di uscire dalla stanza.
“Vado con lui.” Esclamò Jennifer raggiungendo il ragazzo. “Potrebbero esserci problemi di ordine burocratico.” Spiegò attendendo poi un cenno del capo dell’agente supervisore che le diede conferma.
Non appena i due uscirono dalla stanza, Rossi rivolse gli occhi verso l’orologio e poi si voltò di nuovo verso i colleghi. “Se si sente il fiato sul collo, potrebbe essere già in giro in cerca della prossima vittima.” Comunicò.
“Possiamo organizzare delle pattuglie sulla strada affiancando la polizia...” propose Derek per incontrare il favore dei tre colleghi nell’intraprendere quell’azione.
 
La tecnica informatica era ancora persa nella ricerca di notizie su Nathan Harris e sulla perizia psicologica eseguita su di lui, quando un bussare alla porta interruppe i suoi pensieri. “Amorini miei, come posso aiutarvi?” salutò mentre i due entravano nel suo antro.
“Quando Gideon ha fatto la perizia al nostro sospettato c’era un avvocato, per caso da qualche parte potresti risalire alla sua identità?” chiese Spencer avvicinandosi alla donna seguito a ruota da JJ.
“Ci provo subito genietto.” Rispose lei voltandosi verso la tastiera e cominciando a digitare velocemente. “Dagli archivi dell’FBI non risulta nulla, però prima ho trovato qualcosa di interessante.” Continuò dopo qualche minuto ricercando un file lasciato in standby sul desktop. Lo aprì per mostrarlo agli altri che si sporsero verso il monitor. “Ecco qui. Nathan Harris ha pubblicato un libro.”
“Lo stesso Nathan Harris?” domandò sbalordita la biondina.
“Oh si mia cara, si tratta di un testo illustrato, e, cosa che non mi stupisce per nulla, parla dell’uccisione di alcune prostitute. Molti i riferimenti a Jack lo squartatore...”
“La stava scrivendo quando siamo andati a prenderlo a casa.” ricordò Reid. “Quando è stato pubblicato?”
“Poco tempo fa.”
“È stato dimesso dalla clinica, ha completato il libro, lo ha fatto pubblicare ma non ha ricevuto l’appagamento che desiderava. Quindi è passato alle uccisioni vere e proprie. Penelope abbiamo bisogno di parlare con quell’avvocato.” Riassunse il giovane cominciando ad aggirarsi nervosamente per la stanza.
“Tesorino ci sto provando, ma avrei bisogno di qualche dettaglio in più...”
“C’è la data nella perizia?” chiese improvvisamente l’agente Jareau.
“Controllo subito...si eccola.” Si accertò Penelope.
“Nessuno si può muovere nell’edificio senza uno di questi, giusto?” JJ indicò il badge con la sua foto e la qualifica che aveva appeso alla cintura. “E per qualcuno che non sia dell’FBI c’è bisogno di una registrazione...”
“Mia cara sei un genio!” esclamò Garcia. “Recupero i registri degli ingressi nell’edificio di Quantico e controllo le persone che sono entrate quel giorno e...momento di suspense per i federali che sono attorno a me...” un sorriso si disegnò sulle labbra di Spencer forse per la prima volta in quella giornata, ma svanì in pochi secondi. “Joseph Acorn. Eccovi il vostro legale.”
“Sei tu il genio Penelope...grazie mille.” Rispose raggiante la liaison dell’FBI.
“Sempre a disposizione.” Scherzò con il suo solito tocco di brio vedendo i due colleghi lasciare di nuovo la stanza.
 
“Abbiamo il nome, Joseph Acorn. In più abbiamo scoperto che Harris ha pubblicato un romanzo illustrato sull’uccisione delle prostitute.” Esordì Jennifer rientrando nella sala conferenze.
“Ha provato con questo e non soddisfatto, ha cercato Weems appena uscito di prigione ed è passato all’azione.” Continuò Spencer.
“Come hai detto?” chiese Morgan sollevando gli occhi dalla tazza di caffè che teneva tra le mani. Il silenzio calò tra i presenti, tutti gli occhi rivolti verso il magro ragazzo. “Hai detto che ha cercato Weems?”
“Ah...si, gli ho mostrato la foto di Nathan e mi ha detto che era andato a cercarlo al posto di lavoro e gli aveva fatto delle domande...”
“Deve averlo seguito per sapere che era stato scarcerato e che lavorava proprio in quel centro.” Rifletté a voce alta Prentiss.
“Perché non ci hai avvertito prima?” intervenne David con fermezza.
“L’avevo dimenticato scusate...” fu la risposta del giovane che abbassò gli occhi prima che la sua attenzione venisse catturata nuovamente dall’agente Hotchner.
“Che tipo di domande gli avrebbe fatto?”
“Gli...gli ha chiesto quando aveva capito chi era...e quanto tempo era passato da quando aveva scoperto i suoi istinti a quando aveva ucciso la prima vittima...”
“Non si controlla, è più grave di quello che si credeva. E non sta assolutamente seguendo le cure. Tornerà a caccia stasera sicuramente. Io, Prentiss, Morgan e Dave torniamo in strada, voi andate dall’avocato Acorn e quando finite raggiungeteci.” Ordinò Aaron.
“Ricevuto...” risposero i cinque agenti preparandosi a partire.
 
Come sempre in quegli ultimi giorni, il posto di guida era occupato da Reid che si dirigeva in silenzio verso l’indirizzo segnalato da Penelope come lo studio dell’avvocato Joseph Acorn. Sul sedile accanto a lui c’era JJ, anche lei non parlava, si limitava a guardare fuori dal finestrino con un’espressione particolarmente preoccupata.
“Non eri costretta a venire.” Disse infine il ragazzo vedendo gli occhi blu di lei saettare verso di lui.
“Non sono stata costretta, lo faccio perché lo voglio. Ma soprattutto, potrebbe servirti il mio aiuto.” Precisò. Il silenzio si fece di nuovo fitto.
La ragazza sospirò prima di parlare di nuovo. “Sei pronto per qualsiasi cosa scopriremo?”
“Perché me lo chiedi?”
“Perché ti vedo troppo coinvolto...”
“Siamo arrivati.” Aveva evitato la domanda, non era per nulla un buon segno. Posteggiò il SUV e si diresse seguito dalla donna verso il grattacielo di quaranta piani dove aveva sede lo studio legale.
“Ascensore...” disse Jennifer vedendo il ragazzo dirigersi verso le scale. “Non vorrai fare ventitre piani a piedi?”
“Ah...” deglutì lui spaventato. “Certo che no.” Si convinse allora ad entrare nella scatola metallica al cui interno non c’era nessun altro oltre la collega che schiaccio il pulsante per il ventitreesimo piano.
“Paura?” chiese vedendo diventare il ragazzo sempre più pallido.
“No, anche se diciamo che le statistiche non aiutano.”
“Ma riesci a fare qualcosa senza pensare alle statistiche?” sorrise lei.
“Va bene...allora diciamo che parlo per ricordo di vecchie esperienze.”
“Già va meglio...rimasto bloccato qualche volta?” domandò ancora nell’intento di distrarlo per tutto il tempo della corsa.
“Non dirmi che non te l’hanno raccontato. Con Morgan, durante un caso. Ha completamente perso la testa...e anche se dicono il contrario, io non avevo paura. Anzi cercavo di calmarlo, era lui che stava per morire dal panico...”
Si bloccò per lo sguardo sul viso dell’agente Jareau, lo fissava fin troppo seria. “Visto che ti piacciono le statistiche...quante probabilità ci sono che io non creda a questa storia?” disse lei.
Proprio su uno dei classici sguardi da cucciolo bastonato che riusciva a sfoderare Reid le porte dell’ascensore si aprirono rivelando il piano desiderato. “Da questa parte...” indicò il giovane raggiungendo la porta che recava la targhetta dello studio associato. La segretaria li lasciò entrare chiedendo loro di attendere qualche minuto, il tempo che l’avvocato Acorn avesse terminato l’appuntamento in corso. Quando finalmente fu il momento di entrare furono accolti da un uomo distinto, con una folta barba bianca. “Cosa vuole l’FBI da me?” chiese porgendo la mano agli agenti. Era completamente all’oscuro del motivo della loro visita.
“Niente di compromettente, non si preoccupi. Volevamo solo sapere se per caso aveva qualche documento della perizia psicologica effettuata in sua presenza dall’agente Jason Gideon su Nathan Harris. Parliamo di qualche anno fa, quattro all’incirca, ma speravamo che avesse un archivio magari.” Spiegò brevemente JJ con la sua solita dolcezza e pacatezza mentre prendeva posto di fronte alla scrivania.
“Posso provare a controllare se ho qualche traccia. Anche se stranamente quel ragazzo mi colpì molto. Un attimo di pazienza.” Si rivolse all’interfono che aveva sul tavolo. “Agatha, un favore, controlla nell’archivio se c’è un documento a nome di...” spostò gli occhi verso i suoi ospiti.
“Nathan Harris.” Sussurrò Spencer.
“Si esatto, Nathan Harris. Se lo trovi portalo subito nella mia stanza.” Concluse concentrandosi poi sui due federali. “Come vi dicevo, ricordo quella storia, ma come potete vedere la memoria non mi accompagna molto, quindi preferisco avere i documenti alla mano. Era un ragazzo particolarmente disturbato, la mia presenza lo metteva in imbarazzo, ma ha comunque risposto alle domande del vostro collega. Ma come mai chiedete a me?”
“Lui...” cominciò Spencer, ma non riuscì a proseguire.
“L’agente Gideon ha lasciato l’FBI da un po’ di tempo e non ci sembrava il caso di cercarlo per una cosa del genere.” Intervenne in suo aiuto la donna.
“Capisco, spero nulla di grave. Ricordo che il ragazzo era sospettato di omicidio, si rivelò colpevole?”
“No, ma stavolta potrebbe esserlo...” rispose il dottor Reid voltandosi poi verso la porta alla quale qualcuno aveva bussato. Il battente si aprì per lasciare entrare la segretaria che si diresse a passo spedito verso l’avvocato, al quale consegnò un fascicolo che teneva tra le mani, uscendo poi subito dalla stanza.
“Ecco qui. Nathan Harris, il ragazzo conosceva i segnali d’allarme della psicopatologia del dottor Hare e affermava di non aver mai bagnato il letto o appiccato fuochi. Si preoccupava del suo essere e alla domanda se avesse mai fatto del male a qualcuno, aveva ammesso di aver ucciso un uccellino perché si sentiva triste, questo...”
“Avvocato, mi scusi.” Lo interruppe Jennifer. “Se non le dispiace, potremmo avere una copia del materiale così da poterlo mostrare ai nostri colleghi?”
“Ma certo, nessun problema.” Chiamò immediatamente Agatha per farsi produrre una copia dei documenti che consegnò ai federali accompagnandoli alla porta.
Una volta sul pianerottolo, JJ stuzzicò Spencer. “Sei ancora convinto sul voler fare le scale?”
“Ma no dai, vada per l’ascensore.” Rispose avviandosi non troppo sereno verso la cabina.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Then you catch him CAP17 CAPITOLO 17
 
Questa volta Jennifer aveva optato per guidare lei, così che il piccolo genio potesse rapidamente leggere i documenti e aggiornare telefonicamente i colleghi che erano già in strada a Washington.
“Hotchner!” rispose al telefono il capo. Reid si era premurato di mettere il vivavoce e poggiare il telefono nel posto adibito all’interno del SUV, così da avere le mani libere e poter maneggiare meglio i documenti. Nel frattempo dall’altra parte i colleghi si stavano raccogliendo intorno ad Aaron che aveva fatto lo stesso per permettere a tutti di essere aggiornati.
“Abbiamo i documenti e il profilo è praticamente nero su bianco.” Esordì il giovane cercando di riordinare i fogli datigli dall’avvocato Acorn. “Nathan conosceva i segnali d’allarme della psicopatologia del dottor Hare e affermava di non aver mai appiccato incendi e di non bagnare il letto. Jason lo lodò per la sua curiosità che lo portava a interrogarsi e documentarsi su quello che gli stava accadendo, ed è riuscito anche a fargli dire che da piccolo aveva ucciso un uccellino, sapendo che anche questo fosse presente nella triade del dottor Hare. Harris ammise di aver provato un senso di sollievo nel compiere quel gesto: era triste e dopo si sentiva felice perchè lui era ancora vivo.”
“La violenza diventa uno sfogo per un adolescente che non ha ancora esperienza sessuale. Ha incanalato i suoi sentimenti nel gesto che poteva meglio sfogarli e farlo sentire meglio.” Aggiunse Morgan aspettando poi di sentire altro dal giovane collega.
“Le domande di Gideon si sono spinte allora più sul personale. Nonostante l’iniziale imbarazzo il ragazzo ha risposto, confidando di avere strani pensieri, culminati addirittura nell’esserci eccitato alla vista di una donna nuda a lezione in facoltà da sua madre.”
“Beh, non può capitare ad una certa età?” interruppe JJ senza distogliere l’attenzione dalla strada.
“Può succedere.” Rispose Spencer. “Ma lui ha detto di essersi sentito bene solo perché pensava che quella donna era morta.”
“È peggio di quello che pensavamo.” Sospirò David.
“Sulle prostitute ha detto qualcosa?” domandò Emily.
“Si.” Rispose il magro ragazzo continuando a rovistare tra i fogli in cerca di quello giusto. Aveva già memorizzato tutto, ma visto il coinvolgimento personale non voleva sbagliare qualche dato. “Ecco qui. Ha detto che quando vede le prostitute non immagina di farci...sesso, ma di aprirle in due.”
A quelle parole seguì il silenzio e anche la stessa Jennifer voltò lo sguardo verso il collega accanto a lei.
“Come l’ultima vittima.” Derek fu l’unico ad avere il coraggio di rompere la stasi del momento. “Ha detto anche il perché?”
“Non lo sa...forse per guardarci dentro, ma si eccita nel sentire il sangue scorrere sulle sue mani. Il semplice pensiero gli fa raggiungere l’orgasmo, che alimenta con immagini che non riesce ad allontanare dalla mente.”
“La fantasia sta alla base del sadismo sessuale,” cominciò a spiegare l’agente Rossi. “Gli serve da giustificazione. Si inizia con riviste e video...”
“…come quelli che ha trovato la madre in camera quando si è decisa a farlo ricoverare.” Aggiunse Reid.
“...quando nemmeno questo riesce a soddisfarli si rivolge alle prostitute e se continua a non funzionare, passa alla vittime. La fantasia è sempre perfetta e quando l’S.I. si rende conto che anche mettendola in atto non ritrova la stessa perfezione, continua a ricercarla con altri omicidi.” Concluse l’agente anziano.
“Le conclusioni di Jason?” chiese infine Hotch.
“Discusse con la madre e poi relazionò all’avvocato Acorn la necessità di un ricovero per Nathan. Aveva bisogno di assistenza medica a tempo pieno da parte di professionisti, viste le fantasie omicide direttamente collegate ai suoi impulsi sessuali e al loro sfogo.”
“Allerto la polizia, stasera potremmo prenderlo. Raggiungeteci sotto il Campidoglio, ci divideremo in squadre e pattuglieremo le strade.” Ordinò Aaron prima di interrompere la comunicazione. Si guardarono tutti negli occhi prima di dirigersi al luogo in cui avrebbero dovuto incontrare gli altri due colleghi.
 
Spencer si allungò sul sedile per riprendere il telefonino e dopo esserselo rimesso in tasca, riordinò tutti i fogli che aveva sparsi sulle gambe. Cominciava a far buio e avrebbero dovuto affrontare un’altra dura nottata. Cominciò a riflettere ad alta voce mentre richiudeva il fascicolo che aveva tra le mani. “Sai? Gideon cercò di convincermi che i profili e le valutazioni non fossero scienze esatte. Ma lui stesso ammise che la domanda non fosse se Nathan avrebbe finito per uccidere, ma semplicemente quando questo sarebbe accaduto.”
“Pensi che non sia stato fatto il necessario?” chiese la ragazza.
“Penso che se solo...” si interruppe ripensando a quella sera. Lo squillo del suo cellulare, quella voce nel panico, la corsa in quella stanza del motel e poi...
“Spence...va tutto bene?” l’agente Jareau lesse la paura nel volto del collega e lo riscosse dai suoi pensieri.
“Si, si..dicevo solo che...se lo avessero saputo trattenere in clinica magari non saremmo arrivati a questo punto.” Mentì, ma JJ non volle indagare di più percependo lo sconforto in quelle parole.
 
La sera. Il momento della giornata che preferiva maggiormente. Vagava per le strade di Washington guardando la gente, ma soprattutto le prostitute. C’era voluto del tempo prima che si decidesse ad avvicinarne veramente una. Era successo quattro anni prima, poi era stato costretto a smettere, ma non appena libero aveva ricominciato. Sapeva che non poteva fermarsi a guardarle, a parlare con loro. Doveva agire, doveva provare a farle finalmente sue, magari quel gesto avrebbe incanalato i suoi impulsi in un altro sfogo non nocivo per nessuno.
“Calma, non voglio farti del male.” Disse stringendo con forza quel braccio. Ormai erano in confidenza.
“Ancora tu?” chiese la donna.
“Non mi piace il tuo tono.” Ammonì prima di tirarla a sé. “Stasera scelgo te.” Sorrise.
“Annie che succede?” chiese un’altra ragazza avvicinandosi preoccupata per la scena che accadeva sotto i suoi occhi.
“Tu sei nuova, sta tranquilla.” La tranquillizzò lui. “Annie diglielo che stiamo solo giocando...” le ordinò stringendo ancora di più la presa.
“Si...” mormorò la donna con il fiato spezzato. “Ci...ci conosciamo. Sa che mi piace la violenza.” Balbettò fingendo di essere tranquilla.
La ragazza aveva sentito le voci che giravano da un po’ di tempo e non era sicura che quello che vedeva fosse solo un gioco. “Ah va bene...magari posso unirmi a voi. Se mi dite in che motel andate...” azzardò, così da assicurarsi di avere l’amica sotto controllo.
La ragazza deglutì, mentre l’uomo ci pensò su qualche istante. Sarebbe stato tutto più stimolante.
 
Emily stava osservando la strada quando vide il SUV di JJ accostarsi e posteggiare. Vide venir fuori i due colleghi che li raggiunsero.
“Il Detective Carlson è stato avvertito, in strada ci sono agenti in borghese, le prostitute sono state allertate anche. Teniamo gli occhi aperti, potrebbe colpire prima della notte. Gideon ha sottolineato più volte l’intelligenza del ragazzo, spiegando che quando avrebbe agito, sarebbe stato preciso ed efficiente. Rimaniamo in macchina, se ci vede potrebbe non farsi vivo.” Spiegò brevemente l’agente Hotchner e dopo un segno con il capo continuò, “Io vado con JJ e Prentiss, Reid, Morgan e Rossi sarete insieme. Ricordate che se è veramente Nathan Harris, conosce i nostri volti.”
Si separarono tutti, le due donne e il capo in un SUV da una parte, e gli altri tre uomini dall’altra. Era snervante dover rimanere chiusi in una macchina senza potersi muovere liberamente, senza entrare nel vivo dell’azione. Hotch continuava a smistare telefonate insieme a JJ, erano il centro delle comunicazioni tra l’FBI e la polizia. A qualche chilometro di distanza gli altri tre uomini discutevano del caso.
 
“Hai parlato con l’FBI.” Disse il ragazzo nel silenzio della stanza guardando la donna timidamente seduta sul letto.
“Cosa te lo fa pensare?” chiese lei con estrema naturalezza.
Il ragazzo si avvicinò e solo quando fu a pochi centimetri dal suo viso le rispose. “Non lo penso. Ti ho visto.” Ringhiò. Ora le cose si stavano mettendo veramente male. “Spogliati.” Le ordinò infine. Lei si alzò e cominciò a svestirsi, ripetendosi mentalmente che quello era il loro mestiere, dovevano fingere, dovevano accontentare il cliente qualsiasi cosa richiedesse. Anche se il cliente era un pazzo.
 
Un lieve bussare al vetro del SUV catturò l’attenzione di JJ che si voltò quasi spaventata prima di tirar giù il finestrino. Una delicata ragazza la stava fissando spaventata. “Siete dell’FBI?” domandò timidamente. La bionda cercò di tranquillizzarla e rispose affermativamente. “Ci hanno detto quello che sta accadendo, io...io ho visto un ragazzo comportarsi in modo strano con Annie...” sussurrò guardandosi intorno.
“In che modo?” chiese Prentiss avvicinandosi a lei.
“La strattonava con forza, lei ha cercato di tranquillizzarmi, ma non mi ha convinto del tutto.”
“Sono andati via insieme?” intervenne Hotch, prendendo già tra le mani il cellulare e al cenno del capo della ragazza aggiunse allarmato, “Sai in che motel?”
 
Derek era appoggiato al volante mentre si guardava intorno. Rossi e Reid stavano discutendo di Nathan Harris, di altri dettagli che il giovane continuava a ricordare e a riferire ai colleghi, quando il cellulare dell’agente di colore suonò. Si voltarono tutti a guardarlo mentre rispondeva. “Come? Si. È a qualche isolato di distanza da noi, vi raggiungiamo.” Disse riponendo poi il telefono e mettendo velocemente in moto.
“Che succede?” chiese Spencer allarmato.
“Ha preso un’altra donna una mezz’ora fa, sappiamo in che motel sono andati.”
 
Il luogo indicato era dietro l’angolo della strada in cui avevano posteggiato Hotch, JJ e Prentiss. I tre scesero dal SUV e si diressero verso la struttura dividendosi per coprire meglio l’edificio. Aaron si fermò per chiamare il Detective e i rinforzi, mentre le due donne si avviarono nella struttura. Emily controllò le registrazioni all’ingresso e non appena rintracciò il numero della stanza lo comunicò a Jennifer che si trovava proprio di fronte a quella porta.
 
La ragazza bionda e con gli occhi azzurri continuava a baciarlo, ma lui ancora una volta non provava nulla. Solo l’intensa voglia di colpirla. Il ritmo della donna che si muoveva su di lui cercando invano di eccitarlo cresceva sempre di più, fin quando in preda alla noia più totale lui estrasse dalla tasca il solito coltello e lo infilò dritto nel cuore della prostituta. Non ebbe nemmeno il tempo di percepire il sangue toccare le sue mani che la porta si spalancò rivelando un viso che lui conosceva. Guardò la donna che puntava la pistola contro di lui e non riuscì a trattenere una risata ricca di soddisfazione.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Then you catch him CAP18 CAPITOLO 18
 
I tre agenti si trovavano più lontano di quanto credessero dal luogo segnalato come il motel in cui il loro S.I. aveva portato la donna. Arrivarono dopo parecchi minuti e assistettero ad una scena di puro caos. La folla era raccolta intorno all’ingresso dell’edificio. Morgan posteggiò il SUV e i tre scesero afferrando le pistole e facendosi largo verso l’ingresso.
Ancora prima che potessero arrivare a varcare la soglia, il suono di un’ambulanza che si avvicinava attirò la loro attenzione. Si voltarono tutti verso il veicolo che si fermò proprio lì davanti, mentre i paramedici si precipitavano all’interno del motel. Proprio accanto alla reception c’era Hotch che dava indicazione agli uomini per raggiungere la stanza.
“Eravamo troppo distanti. Cos’è successo?” chiese Derek con il volto nervoso.
“La vittima è sopravvissuta, ma ha urgente bisogno di essere portata in ospedale. Emily è con lei.” disse l’uomo riponendo la pistola.
“L’avete preso?” gli occhi di Spencer imploravano una risposta positiva da parte del suo capo, che invece si limitò a scuotere il capo in segno negativo. Rossi si rese conto che qualcosa non andava bene, ma non domandò nulla, mentre la barella con la donna sfilava accanto a loro. Ancora una volta l’S.I. aveva scelto una donna bionda e dalle iridi azzurre.
“Non riesce a dire nulla. È sotto shock, dovremmo provare a parlarle in ospedale. Sempre che se la cavi.” Esordì Prentiss raggiungendoli dal fondo e scambiando un misterioso sguardo con Aaron.
“Stessa vittimologia, ma qualcosa è andato storto questa volta.” Disse David per essere interrotto da Reid.
“Dov’è JJ?” riuscì a dire con un filo di voce. Quello che seguì fu il silenzio, quindi il ragazzo ripeté nuovamente la domanda alzando il tono. Derek e Dave si guardavano interrogativi, Hotch non parlava, e Emily cercava di far andar via le macchie di sangue dalle sue mani. “Volete dirmi cos’è successo?” gridò infine il magro ragazzo, avviandosi poi velocemente verso la stanza in cui era stata trovata Annie. Rimase immobile sulla porta, non riuscendo a fare un passo in avanti.
“Mi stavo mettendo in contatto con il Detective Carlson, Prentiss era alla reception e lei si è diretta da sola qui...” spiegò Hotch raggiungendolo alle spalle.
“E ora dov’è?”
“Non lo sappiamo. Presumibilmente l’ha presa il nostro S.I.” ammise.
Spencer fece qualche passo in avanti guardando la scena. Ancora del sangue a terra, stavolta meno abbondante delle volte precedenti, e il resto della stanza in perfetto ordine. Poi un particolare attirò la sua attenzione, si voltò verso il tavolo e si avvicinò timoroso, mentre con la coda dell’occhio notava Aaron che lo controllava. Allungò la mano sul ripiano afferrando quel piccolo oggetto di carta che rigirò un paio di volte tra le dita per accertarsi di quello di cui era già fin troppo sicuro. “È lui Hotch.” Disse non riuscendo a smettere di osservare il suo biglietto da visita lasciato in quella camera.
 
Era successo tutto con troppa velocità perché se ne rendesse conto. Forse aveva completamente sbagliato nell’avventurarsi per quei corridoi da sola. Riusciva a pensare solo a suo figlio, non le importava di quello che sarebbe potuto accadere a lei.
Aveva spalancato quella porta e si era trovata davanti il ragazzo che aveva accoltellato la donna. Non appena l’aveva vista si era lasciato andare ad una fragorosa risata che l’aveva paralizzata. Non aveva sparato, non riusciva a tirare il grilletto, mentre lui si alzava lasciando cadere il corpo agonizzante della donna e puntava ora il coltello alla sua gola. Ripose la pistola come le aveva ordinato di fare sotto minaccia della fredda lama e poi i ricordi si facevano confusi e incomprensibili. Si era risvegliata in un posto umido e buio. Sola.
 
“Era di turno lei quando è stata occupata la stanza?” chiese Morgan all’uomo alla reception.
“Si, era un ragazzo strano...se vuole le posso dare il nome.” Rispose afferrando già la grossa agenda per le registrazioni.
“Non serve, si sarà registrato con un nome falso. Lo riconosce?” chiese ancora l’agente allungando sul ripiano la foto di Nathan Harris. La risposta dell’inserviente fu positiva, quindi l’uomo di colore tornò da Dave e Emily che lo aspettavano poco distante discutendo ancora di quello che poteva essere successo a Jennifer.
“Lo ha identificato.” Disse mostrando la foto ai colleghi. Tutto stava andando nella direzione sbagliata.
“La donna...” sussurrò Rossi alzando di colpo gli occhi verso Derek. “Aveva un aspetto familiare, è la prostituta che ci ha avvicinato in strada.”
“Ci avrà visto parlare con lei.”
“Qualcuno dovrebbe andare in ospedale e provare a parlarle non appena possibile.” Propose Prentiss e poi si voltò verso i due agenti che arrivavano dal corridoio.
“Mi ha lasciato questo.” Disse Reid allungando verso gli altri il suo biglietto da visita.
“L’uomo alla reception ha riconosciuto la foto di Nathan.” Informò l’agente Morgan, attendendo ora istruzioni dal capo.
“La vittimologia è ancora una volta la stessa, ci deve essere uno schema alla base che ci sfugge. Ha iniziato la sua mattanza e non si fermerà.”
“Ma ora ha preso JJ, lei...si insomma, lei non è una prostituta, quindi dobbiamo ipotizzare che il suo modello cambi.” Intervenne la donna volendo rassicurare in primo luogo se stessa. Il silenzio seguente fu spezzato dalla voce di Aaron.
“Prentiss, vai in ospedale e cerca di interrogare la donna se possibile. Dobbiamo sapere esattamente cosa è successo in quella stanza. Noi torniamo in ufficio e cerchiamo di ripercorrere i vari passi di questa storia per trovare un qualsiasi indizio che ci aiuti.” Ordinò avviandosi poi verso l’uscita. I quattro uomini salirono su un SUV diretti a Quantico, mentre Emily prese l’altro e raggiunse l’ospedale sostando per svariate ore nei corridoi in attesa di sapere se Annie avrebbe potuto rispondere alle sue domande.
 
Penelope osservava con sguardo lucido lo schermo posto in alto nella sua stanza, quella voce rimbombava nelle sue orecchie.
Stanotte l’uomo che si aggirava per le strade di Washington uccidendo le prostitute è tornato a colpire, ma questa volta non è riuscito a portare a termine il suo intento. La donna che aveva avvicinato è stata portata via dai paramedici in condizioni critiche e alcune indiscrezioni ci informano che sia scomparsa un’agente dell’FBI…” queste erano le ultime parole che la donna era riuscita a sentire prima di cadere nel caos più totale. Solo dopo parecchio tempo riuscì a riscuotersi e a farsi forza per uscire dalla sua stanza, per raggiungere l’open space. Voleva incontrare i suoi colleghi e rendersi conto che era tutta una menzogna, ma una parte del suo cervello permaneva nel panico.
Lo spazio comune era ancora deserto e Garcia continuava a fare avanti e indietro tra le scrivanie ripetendosi ad alta voce che andava tutto benissimo, che fosse solo un trucco architettato dalla squadra per cogliere l’uomo con le mani nel sacco. Poi l’ascensore si aprì rivelando Aaron Hotchner, subito seguito da Derek, Spencer e David. Un tuffo al cuore della donna la fermò sui suoi passi. Gli uomini si avvicinarono a lei sconfitti.
“Emily e JJ sono ad interrogare la vittima...non è così?” domandò con gli occhi spalancati dietro i colorati occhiali. Nessuno rispose alla sua domanda. Vide Reid sedersi pensieroso alla sua scrivania, mentre gli altri uomini indugiavano lì intorno.
“Annie Temper, la prostituta che è scampata. Ci serve che trovi tutte le informazioni necessarie.” Disse l’agente Hotchner.
“Mi perdoni, signore, ma prima vorrei una risposta alla mia domanda.” Insistette con audacia la tecnica.
“Prentiss sta aspettando di avere notizie della donna all’ospedale.” Rispose semplicemente il supervisore capo.
“E JJ?” sussurrò con pochissimo fiato in gola. Saettava con gli occhi su tutti i suoi colleghi, solo gli occhi di Derek per lei non erano un mistero. E quegli occhi trasmettevano paura e preoccupazione. “La stampa aveva ragione, ha preso un’agente. Ha preso JJ...” si rispose da sola prima di essere abbracciata dall’aitante uomo di colore.
“Garcia, ci serve il suo aiuto per trovarla.” Intervenne David.
“Hanno confermato che si tratta del nostro ragazzino?” chiese allontanandosi dal corpo di Morgan che scosse il capo in segno affermativo. “Mi metto subito al lavoro.” Concluse avviandosi nuovamente nella sua stanza, con il cuore che continuava a pulsare.
 
“È una parente di Annie Temper?” chiese una voce alle sue spalle e Emily si voltò per incontrare un omone completamente vestito di blu con una cartella in mano.
“Veramente no.” Sussurrò portando una mano alla tasca posteriore dei pantaloni. “Agente Emily Prentiss, FBI. Sono qui perché vorrei avere la possibilità di rivolgere qualche domanda alla donna, non appena sarà possibile ovviamente.”
“Mi dispiace. Non ce l’ha fatta.” Annunciò il medico con sguardo vuoto. La donna avvertì un tuffo al cuore. Avevano bisogno di parlare con Annie, scoprire anche il minimo dettaglio che li avrebbe condotti a dove Nathan Harris teneva JJ. E invece brancolavano nel buio.
“La...la ringrazio.” Balbettò voltandosi poi per estrarre il cellulare. “Hotch, Annie Temper...lei non ce l’ha fatta...” annunciò nel panico.
 
Ripose il cellulare fissando i tre colleghi in attesa di notizie. “La nostra vittima non ha superato l’intervento.” Riferì notando la reazione sconfitta degli agenti. “Ci è rimasto solo il profilo...” aggiunse invitandoli a seguirlo in sala conferenze dove si trovavano le prove.
“Vittimologia...” cominciò David nell’intento di raccogliere le idee in cerca di quello che era sfuggito loro.
“Prostitute di Washington, bionde e con gli occhi azzurri.” Ripose immediatamente Derek.
“Perché proprio quei colori?” intervenne Hotch, che notò il piccolo genio alzarsi dalla sedia e avvicinarsi al tabellone per guardare meglio le foto delle due vittime, ancora la foto di Annie Temper non era stata aggiunta.
“La madre...” sussurrò alzando un dito vicino al viso.
“Come?” chiese Morgan avvicinandosi.
“Sarah Harris è bionda e ha gli occhi azzurri. Lei lo ha abbandonato in clinica...” spiegò meglio il dottor Reid.
“Sta ripetendo l’uccisione della madre?” Aggiunse Rossi portandosi le mani alle tasche.
“Reid, torna a interrogarla e cerca di scoprire il maggior numero di informazioni, tutto quello che non ha detto prima. Posti dove andava il figlio per stare solo, segreti, ogni cosa può essere rilevante.” Ordinò il capo al ragazzo pronto ad avviarsi fuori dalla sala conferenze. “Noi allertiamo la polizia, ma non facciamo mosse avventate o potremmo spingerlo ad uccidere JJ.”
“Se non l’ha già fatto...” disse con estremo realismo Derek. Ricordava la spietatezza di quel giovane ragazzo che aveva dovuto interrogare, non sembrava il tipo da farsi scrupoli. Sapeva quello che voleva e l’avrebbe ottenuto, in un modo o in un altro.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Then you catch him CAP19 CAPITOLO 19
 
I suoi occhi si stavano abituando lentamente all’oscurità, ma quell’odore nauseabondo di umidità aveva ormai saturato le sue narici. Si muoveva sul pavimento freddo cercando di spostarsi, non aveva le gambe legate. Ciò preferiva attribuirlo al fatto che evidentemente per lei non c’era via di fuga da quel luogo piuttosto che alla distrazione del ragazzo, che sapeva essere fin troppo intelligente e organizzato.
Un rumore raggiunse improvviso le sue orecchie, una porta che si apriva con grande rumore. JJ fece silenzio nascondendosi nell’angolo in cui si trovava. Qualcuno si stava muovendo in quell’ambiente alla ricerca di qualcosa. Lo sentì agitarsi e poi scorse una fioca luce avvicinarsi a lei, mostrandole quegli occhi azzurri che conosceva. Iniziò ad indietreggiare sul pavimento.
“Agente Jareau, perché scappa?” chiese la voce, mentre la donna continuava ad osservarlo in silenzio. “È così forte quando parla di fronte alle telecamere e poi davanti a me si spaventa?” domandò ancora.
“Ti troveranno.” Disse semplicemente lei raddrizzando la schiena in moto di sfida.
“E chi le dice che non è quello che voglio?” provocò ancora il giovane. Le iridi azzurre della ragazza vibravano vigili, mentre lo vedeva avvicinarsi sempre più a lei. Cercò di mantenere la calma, mentre sentiva il suo fiato su di sé.
“Io non sono come le donne che hai ucciso.” Rispose sicura allontanandosi.
“Oh, agente Jareau, lo so benissimo. Ma nessuno le ha detto che mi interessa riservarle lo stesso trattamento.” Continuò lui lasciandola sfuggire alla sua presa. Si rimise in piedi e si voltò. “Perché devo far del male all’esca che mi porterà da colui che più di tutti mi preme incontrare?” concluse allontanandosi e portando via quell’unico spiraglio di luce, lasciando così nuovamente la donna al buio.
 
Gli agenti Hotchner, Rossi e Morgan aveva ragguagliato le forze di polizia sulla situazione vigente. Una loro collega era ostaggio di un S.I. e dovevano fare di tutto per ritrovarla ancora viva e arrestare il colpevole.
Poi si erano separati, Dave e Derek si erano messi in contatto con l’uomo della reception dell’ultimo motel, lo stesso che aveva riconosciuto la foto di Nathan Harris doveva ora rilasciare loro il maggior numero di informazioni possibili. Lo stavano aspettando a Quantico quando lo videro arrivare e lo condussero nella sala interrogatori. L’uomo si irrigidì leggermente per la formalità del colloquio.
“Sono accusato di qualcosa?” chiese una volta arrivato nella stanza.
“No…signor…?” cominciò David prendendo posto sulla sedia.
“Grane.” Rispose l’uomo rimanendo in piedi e continuando a stringere tra le mani l’agenda.
“No, signor Grane, dobbiamo solo farle qualche domanda sull’uomo che stiamo cercando. Precisamente sul suo comportamento...” continuò l’agente anziano ma fu interrotto dall’uomo.
“Io non ricordo...molto.”
“Signor Grane, non si preoccupi.” Intervenne il ragazzo di colore richiudendo la porta e raggiungendo il tavolo. “La aiuteremo noi a ricordare, però si deve sedere.” Lo invitò indicando la sedia dall’altra parte del tavolo. Lo vide guardarsi intorno dubbioso, prima di decidere di mettersi finalmente comodo. Lasciando il piccolo libro alla sua sinistra.
“Va bene...ditemi cosa devo fare.”
“Si rilassi, poggi le mani sul tavolo e chiuda gli occhi. La guiderò a rivivere la serata in cerca di elementi importanti.” Spiegò brevemente Derek vedendo il signor Grane reagire alle sue indicazioni. Quando capì che era pronto, cominciò sotto lo sguardo vigile di Dave che non sarebbe intervenuto. “È la sua solita serata di lavoro, in cosa consiste?”
“Sono seduto oltre il bancone all’ingresso del motel, la gente entra e mi da le generalità per affittare una stanza. Spesso si tratta di prostitute con i loro clienti.”
“Si è appena seduto, sta iniziando il suo turno di lavoro. Chi è la prima persona ad entrare?”
L’uomo corrugò la fronte un attimo, “Peter, lui viene sempre nei giorni dispari, mi chiede la solita stanza. Sua moglie non sa...”
“La stanza è libera?”
“Si, gli do la chiave e se ne va.”
“Poi cosa succede?”
“Accendo la televisione...”
“Non sta entrando più gente?” lo sguardo dell’agente Morgan si posò su un silenzioso Rossi che si allungava sul tavolo per afferrare l’agenda e controllare le affermazioni di Grane.
“No, stranamente una serata tranquilla.”
“Quando cambia qualcosa?”
“Più tardi...entra Fanny, con un cliente. Le do la chiave e va via.”
“Poi cosa fa signor Grane?” chiese Derek voltandosi verso Dave che con un cenno del capo confermò ciò che aveva appena detto l’uomo.
“Ricomincio a vedere la televisione, ma...” si interruppe improvvisamente.
“È arrivato lui?”
“La porta si apre di scatto, è Annie, con un giovane ragazzo.”
“È nervosa?”
“La saluto come sempre, ma lei non risponde, mi guarda...ed è spaventata. Oddio, dovevo capirlo...”
“Signor Grane, resti concentrato, non è colpa sua. Ci parli dell’uomo che è con lei.”
“La stringe al braccio, la tiene vicina e lei non lo guarda, lascia parlare lui.”
“Si soffermi su di lui...come è vestito?”
“Rasato di fresco. Ha...ha un cappotto. Scuro. Sembra un capo su misura, niente di particolare, nessuna stampa, niente. Mi dispiace io...non...”
“Sta andando benissimo, ha qualcosa con sé?”
“Niente, tiene...tiene la mano nella tasca destra...”
“Le sta parlando?” Grane confermò con un cenno del capo in segno affermativo. “Cosa le sta dicendo?”
“Mi guarda fisso negli occhi, e mi dice che ha bisogno di una camera. Io afferro l’agenda e gli chiedo il nome. Adam Leeson, io lo appunto e sento un mormorio.” Derek lo vide strizzare gli occhi. “Sollevo lo sguardo e la sta stringendo più forte. Ma penso che sia una cosa normale, cioè...insomma a qualcuno piace con la violenza. Consegno la chiave, la afferra lei, la mano le trema. Poi scompaiono lungo il corridoio.”
“Lei cosa fa?”
“Chiudo l’agenda e mi rimetto a guardare la televisione, poi si apre nuovamente la porta, una donna bruna con la pistola mi chiede in che stanza può trovarli.”
“Prentiss...grazie signor Grane.”
L’uomo riaprì gli occhi sentendosi lievemente confuso. “Mi dispiace, io...potrei averlo evitato, potrei aver visto qualcosa, ma non ricordo.” Si portò una mano alla fronte.
“Ci è già stato di grande aiuto.” Rispose Rossi rimettendosi in piedi. Accompagnarono l’uomo fuori dalla sala e poi si guardarono negli occhi. Le informazioni appena avute avevano rivelato loro qualcosa di importante.
 
Aaron era rimasto solo dopo il colloquio con le forze di polizia. Dopo aver espletato altre operazioni di routine e burocratiche, quelle di cui si solito si occupava Jennifer, si era quindi diretto all’ufficio di Penelope per capire cosa aveva scoperto di nuovo la loro informatica. Arrivato nell’ufficio la donna era balzata in piedi fissandolo negli occhi. “Niente di nuovo.” Le disse e lei non sapeva se esserne sollevata o no.
“Signore, io ho cercato tutto quello che si può trovare su Nathan Harris, non ci sono carte di credito a suo nome, non ha una patente di guida, niente che possa lasciare una traccia del suo passaggio.”
“Annie Temper?” chiese l’uomo e la donna rispose senza nemmeno voltarsi.
“Con tutto il rispetto signore, non abbiamo trovato nulla di rilevante sulle altre due vittime, non...non credo che indagare nella sua vita serva a qualcosa. È più importante trovare Nathan.” Disse velocemente lasciando il supervisore capo senza parole. Aveva ragione, e anche lui era preoccupato per JJ.
“Non ha superato l’intervento.” La informò brevemente, prima che qualcuno bussasse alla porta. Si voltarono entrambi e videro entrare Derek e David.
“Abbiamo completato il colloquio con l’inserviente del motel. Nathan Harris era rasato di fresco e indossava un capo su misura. Un cappotto di sartoria.” Informò brevemente Rossi.
“Si mantiene in qualche modo e anche bene.” Continuò Derek.
“Un lavoro?” chiese Hotch grattandosi il mento.
“Non credo, altrimenti non potrebbe controllare le prostitute durante il giorno.” Obiettò ancora Dave.
“Come dicevo, non ci sono carte di credito a suo nome. Se ha dei soldi, sono contanti.” Garcia rispose cercando poi altre informazioni.
“Piccoli furti?” azzardò Morgan.
“Perché rubare dei soldi per farti fare un capo su misura, se puoi rubare direttamente l’indumento. Non credo...” spiegò Aaron.
“Nathan Harris, ha pubblicato il libro.” Esclamò Penelope lanciandosi alla ricerca. “Magari si mantiene con i diritti e i soldi delle vendite. No...” concluse poi, “non gli è stato pagato molto e non ha venduto che poche copie.” L’ennesimo buco nell’acqua.
“Ha una casa dove ha tutte le comodità, si fa cucire dei capi su misura di ottima fattura,come si muove?” domandò l’agente anziano.
“Non c’è una patente di guida a suo nome.” Ripeté l’informatica.
“Quindi o si muove a piedi, per cui il suo appartamento o qualsiasi cosa sia è in zona, oppure usa i mezzi pubblici e quindi...” cominciò Derek per essere interrotto dall’agente Hotchner.
“...altri soldi necessari.”
“Magari qualche amico...” propose la donna ormai a corto di idee.
“Non lo so bambolina, speriamo che Reid sia più fortunato di noi con questo secondo colloquio con la madre del ragazzo.” concluse Morgan.
I quattro si guardarono senza risposte. Potevano solo aspettare, anche se ogni minuto che passava era un dubbio in più sulle sorti di JJ.
 
Spencer aveva percorso velocemente il tragitto tra la sede della BAU e la casa di Nathan Harris. Era notte e le strade erano deserte. Aveva posteggiato e si trovava ora dinnanzi alla porta dell’appartamento in attesa di suonare e attendere l’arrivo di Sarah ad aprirgli la porta. L’orario non era certo dei migliori e avrebbe avuto molte cose da spiegare a quella donna. Troppe e difficili. Si fece coraggio e bussò.
Nessuno venne ad aprire, quindi insistette ancora, fin quando un’assonnata donna si affacciò all’uscio, il suo sguardo mutò sensibilmente quando incontrò gli occhi del giovane agente che era di fronte a lei.
“Dottor Reid, è successo qualcosa?” chiese allarmata e ormai completamente sveglia.
“Devo farle qualche domanda, ma è meglio se mi fa entrare.” Disse brevemente prima di varcare quella soglia per prepararsi a scoprire la verità. Una volta per tutte.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Then you catch him CAP20 CAPITOLO 20
 
Continuava a guardarsi intorno, incapace di prendere posto sul divano di fronte alla donna che si era invece accomodata. Tranquilla, troppo tranquilla. Prima che riuscissero a dirsi qualcosa, il telefono del ragazzo squillò e lui rispose. Poche battute e ripose il telefono continuando a guardare la donna, che domandò ancora una volta se fosse successo qualcosa.
“Signora Harris, suo figlio aveva qualche amico molto intimo?” chiese infine l’agente, voltandosi poi nuovamente verso gli scaffali di quel salotto.
“Io...non credo. Cioè...non lo so.” Rispose balbettando.
“Lei e suo marito volevate avere un figlio, o Nathan è stato semplicemente un incidente di percorso?” disse a bruciapelo senza voltarsi, ormai incattivito dalla sua implicazione in quella situazione e dalle risposte insensate della donna.
“Ma come si permette...?” urlò lei alzandosi dal divano. Il giovane si voltò a fissarla.
“Dico solamente, che più che indipendenza, quello che riserva a suo figlio mi sembra disinteressamento. Non sa cosa fa, se ha amici, resta sempre solo...” continuò vedendo la donna ritrarsi in silenzio e tornare seduta al suo posto. “Non è nemmeno troppo preoccupata per la mia visita.” Concluse voltandosi di nuovo.
“Senta, io ho il mio lavoro, la morte di mio marito ha fatto ricadere su di me tutta la responsabilità anche di Nathan, ma lui è un ragazzo intelligente e forte. È riuscito a crescere bene anche così.”
“Suo figlio potrebbe essere responsabile di tre omicidi.” Confessò infine e notò la donna non reagire in maniera sconsiderata, non disse nulla, quindi riprese a parlare. “Si è dimesso dalla clinica quando ha compiuto diciotto anni, non sapeva nemmeno questo?”
“Io...” mormorò solamente la donna non aggiungendo altro.
“Crediamo che abbia un posto dove vivere e soprattutto dei soldi. Chi l’ha riconosciuto sostiene che usi capi di sartoria...”
“Dottor Reid dove vuole arrivare?” chiese infine la donna all’agente che non smise di far scorrere le dita sui libri, fin quando si fermò su un tomo che catturò la sua attenzione. Nel silenzio lo afferrò e ne guardo la copertina, avviandosi poi verso la donna e mostrandoglielo. Lei sollevò gli occhi dal volume agli occhi del giovane. “Il romanzo illustrato di mio figlio...sono pur sempre una madre.”
“Ripeto la domanda...” il ragazzo prese posto di fronte alla donna. “...non ha mai visto suo figlio dal giorno del ricovero?” dopo che la donna scosse la testa in senso negativo il ragazzo aprì la copertina. “Non è un libro comprato in una libreria, ma uno di quelli che vengono dati agli autori da distribuire come omaggio alle persone più intime.”
La donna lo fissava non riuscendo a proferire parola, si stropicciava le labbra con le dita di una mano. Tesa, ma non come qualcuno preoccupato per il proprio figlio. Piuttosto come qualcuno preoccupato per se stesso. “È vero...” confessò sospirando, “è venuto a cercarmi appena uscito dalla clinica. Era felice di essere tornato a casa, ma io non riuscivo ad accettarlo. Mio figlio era stato in una struttura psichiatrica...”
“L’ha respinto di nuovo.” Completò Spencer accompagnato dal cenno di assenso della donna.
“Qualche tempo dopo mi sono ritrovata questo dietro la porta. L’ho preso come una sorta di ringraziamento.”
“Per cosa?” chiese l’agente. Tutto poteva immaginarsi tranne che Nathan dovesse in qualche modo ringraziare la madre per qualcosa.
“Io gli faccio avere dei soldi. Tutti quelli di cui ha bisogno e anche di più a volte. Non ci incontriamo mai di persona, li lascio in facoltà in una busta. Lì non sanno nulla di quello che è successo a Nathan, quindi semplicemente lui va lì a ritirarli.”
“Lei sa che le donne che uccide...sono tutte bionde e con gli occhi azzurri?” chiese quasi sottovoce, provocando una reazione di terrore negli occhi della donna.
“Non sono stata una buona madre...” sussurrò affondando il viso tra le mani.
“Signora Harris, mi deve dire dove si potrebbe trovare Nathan.” Ordinò quasi il giovane, trattenendo per un secondo il fiato, sentendo forse vicina la conclusione di quel caso.
La donna risollevò il volto verso l’uomo asciugando alcune lacrime che glielo rigavano. “Questo veramente non lo so dottor Reid.”
Il ragazzo si alzò afferrando nuovamente il romanzo di Nathan. “Le dispiace se lo tengo? A fine delle indagini potrà riaverlo.” Disse semplicemente, attendendo una risposta da Sarah.
“Faccia pure.” Rispose alzandosi a sua volta e accompagnando l’agente alla porta. “Non...non c’è nessuna speranza che vi stiate sbagliando?” domandò in un sussurro.
“Me lo auguro signora Harris, non sa quanto.” Concluse scomparendo alla vista della donna.
 
Emily Prentiss occupava la toilette femminile della BAU. Era tornata da parecchi minuti da quell’ospedale e si era rifugiata in quella stanza a guardarsi allo specchio, camminando avanti e indietro. Non riusciva a non pensare alla collega che non era in ufficio con loro. Erano entrate insieme in quell’edificio, poi si erano separate. E non l’aveva vista più.
Avevano così pochi elementi in mano, che il pensiero che potessero non ritrovarla si materializzava insistente nelle loro menti. Ma lei lo rifiutava. Nathan Harris sapeva perfettamente chi era JJ, non era una prostituta, non l’avrebbe uccisa. Le sue vittime erano solo le prostitute. Lo ripeteva costantemente nella speranza di convincersi, ma era anche vero che la collega corrispondeva perfettamente alla vittimologia del ragazzo. Era bionda e aveva gli occhi azzurri. Ricordava ancora quando lei stessa le aveva chiesto come facesse a mantenere tutta quella calma sul lavoro. Ma erano altri tempi, molti anni prima, quando ancora non si era del tutto ambientata. Ora era parte integrante di quella squadra, e il panico la stava assalendo.
Si controllò ancora una volta, cercando di riprendere padronanza di sé, poi si avviò verso la porta e uscì di nuovo nei corridoi. Inevitabilmente, per raggiungere l’open space, passò davanti all’ufficio dell’agente Jareau, al quale lanciò un’occhiata veloce. Poi portò le mani alla base della giacca che indossava, sistemandola mentre spingeva la porta a vetri e raggiungeva la sua scrivania, facendo un cenno di saluto a Derek che era seduto alla sua postazione.
“Reid?” chiese indicando la sedia di fronte a sé.
“È tornato a interrogare la signora Harris, abbiamo scoperto che il ragazzo si mantiene in qualche modo e che forse la sua vittimologia è definita dal bisogno di uccidere un surrogato della madre.” Spiegò brevemente, tornando poi a concentrarsi sui suoi fogli, restando comunque a sorvegliare la donna con la coda dell’occhio. La vide stropicciarsi il viso e osservare il vuoto. Dopo minuti di silenzio parlò finalmente.
“Non c’era nessuno in quei corridoi con me.” disse semplicemente continuando a guardare il nulla di fronte a sé. Il ragazzo ripose i fogli e fece girare la sedia fino ad incontrare la figura della collega che riprese a parlare. “Probabilmente non aveva nessuno, il medico mi ha chiesto se ero una parente. Nessuno che piange la sua morte, nessuno che ne reclama il corpo.” Era quasi una riflessione ad alta voce.
“Che ti succede? Non ti ho mai vista così...” chiese l’agente di colore incontrando finalmente lo sguardo terrorizzato di Emily.
“Io sono entrata con lei, dovevo coprirle le spalle...” confessò portando ora l’attenzione a JJ.
“Emily, non è colpa di nessuno, vi siete separati tutti. Anche Hotch era con voi ed è rimasto fuori. Semplicemente è successo, è terribile lo so, ma abbiamo bisogno di stare concentrati per trovarla.” Cercò di infonderle la forza necessaria. Lei scosse la testa sospirando. Aveva ragione, dovevano essere al loro meglio per rintraccialo, non era il momento per cedere.
 
L’agente Hotchner era uscito dall’ufficio di Penelope seguito da Dave. Si erano diretti insieme verso l’ufficio del capo, dove l’uomo aveva allertato la polizia di intensificare le pattuglie per le strade. Il fatto che avesse con sé JJ, non voleva dire che non avrebbe cercato altre donne da uccidere. Jennifer non corrispondeva del tutto al suo profilo di vittima. Si trovò a dover parlare anche con la stampa, cercando di calmare l’allarmismo che stavano creando, non avrebbe voluto che la famiglia della donna si preoccupasse apprendendo la notizia dalla televisione.
David osservava con sguardo vigile i movimenti del collega, seduto alla sedia dall’altra parte della scrivania, si tormentava il pizzetto riflettendo. Quando finalmente l’uomo ripose il telefono e prese un sospirò, si sporse in avanti per parlargli. “Il profilo è stato dato alla polizia, ma d’altronde nemmeno serve. Abbiamo un nome e cognome e delle foto, cosa dovremmo fare adesso?”
“Dobbiamo capire dove si trova, dobbiamo raggiungerlo prima che sia troppo tardi.” Rispose Aaron portandosi le dita alla fronte.
“Reid dovrebbe fare un profilo geografico.” Propose ancora l’agente anziano.
“Intanto scopriamo che notizie riesce ad ottenere dalla donna, poi...non so quanto possa servire. Nathan è troppo intelligente per aver lasciato una qualsiasi traccia.”
“Ma tentar non nuoce, d’altronde passeremo tutta la notte in ufficio. Con JJ là fuori nessuno di noi vorrà pensare a tornare a casa.” Continuò Rossi, controllando istintivamente l’orologio.
“Questa serata sarà particolarmente lunga.” Pronunciò l’agente supervisore alzandosi dalla sua poltrona e girando intorno al tavolo. Prima che arrivasse alla porta il collega aveva fatto lo stesso. Entrambi scendevano le scale che li avrebbero portati nell’open space dove Derek ed Emily stavano rivedendo i fascicoli del caso in cerca di qualsiasi cosa che potesse mettere luce su quello che era accaduto.
“Hai parlato con il medico?” chiese Hotch raggiunta la donna.
“Si, pugnalata al cuore anche questa volta. La ferita non era profonda, ma ha perso comunque troppo sangue. Non ha avuto il tempo di procedere con gli altri suoi rituali perché...” il discorso le si troncò spontaneo tra le labbra. Sospirarono tutti guardandosi intorno, quando le porte si aprirono e Spencer li raggiunse con un volume sotto braccio.
“Gli manda dei soldi.” Esordì poggiando sulla scrivania il tomo.
“Ehi ragazzino, hai comprato un libro?” domandò Morgan sporgendosi in avanti.
“È il romanzo illustrato di Nathan Harris.” Spiegò il dottor Reid, “Lo ha lasciato alla madre come ringraziamento per i soldi con cui lo mantiene. Uscito dalla clinica l’ha cercata, ma lei lo ha respinto ancora, ma non gli ha negato un supporto finanziario.”
“Ti ha detto dove trovarlo?” la speranza di David era forte nel formulare la domanda.
“No...non ha idea di dove possa essere, non sa se ha amici. I soldi glieli lascia in facoltà e lui li va a ritirare lì, perché nessuno sa che Nathan è stato in clinica. Pensano che tutto sia normale come sempre.” Concluse prendendo posto alla sua scrivania e aprendo il libro.
“Ci servirebbe un profilo geografico, magari può aiutarci a capire qualcosa.” Lo esortò Aaron scambiando un’occhiata con i colleghi.
Il ragazzo faceva scorrere velocemente le dita sulle pagine, voltandole una dopo l’altra. “Giusto il tempo di finire qui e lo faccio subito.” Rispose senza distogliere l’attenzione dalla lettura.
Quel comportamento lasciò tutti interdetti. Nonostante la facciata di tranquillità e professionalità, il giovane agente non stava per niente bene. Si chiedevano in silenzio per quanto ancora avrebbe resistito in quelle condizioni, quanto ci sarebbe voluto perché esplodesse. Ma soprattutto, non riuscivano a immagine come avrebbe potuto sfogarsi.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Then you catch him CAP21 CAPITOLO 21
 
Era uno schema che si ripeteva costantemente. Il protagonista del romanzo andava avanti a mietere vittime, in un misto tra quella che era ora la vita dello stesso Nathan Harris, le sue fantasie e la storia di Jack lo Squartatore. Le immagini che accompagnavano le parole erano altrettanto forti. Sicuramente gli impulsi psicotici del ragazzo non si erano per nulla sanati anche dopo la permanenza alla clinica.
Spencer conosceva quel tomo a memoria. E non solo grazie alla sua memoria eidetica, ma perché ormai l’aveva letto e riletto fin troppe volte, in cerca di quell’elemento mancante. Che continuava a non trovare.
Si guardò intorno rendendosi conto di essere ormai rimasto solo e non si era nemmeno accorto di quando e dove se ne fossero andati tutti i suoi colleghi. Si alzò dalla scrivania e si diresse in sala conferenze dove si trovava il tabellone con tutte le prove e la cartina della zona di Washington dove il loro S.I. operava. Afferrò il pennarello e cominciò a incrociare i dati in suo possesso soffermandosi più volte su tutte quelle informazioni. Ma non riusciva a trovare nulla che potesse essere di aiuto per loro.
Riprovò a inserire i dati convinto di aver dimenticato qualcosa, ma ancora una volta non riusciva ad identificare quella zona di sicurezza che avrebbe dato un’area in cui potesse risiedere Nathan. Cominciò a camminare avanti e indietro tormentandosi i capelli. Tutta quella situazione era assurda, si sentiva coinvolto, troppo coinvolto. Ricominciava a sentire il peso della responsabilità su di sé. Sudava e non riusciva a ragionare con lucidità. Portò le mani alle tasche e sentì il contatto con qualcosa che per un momento aveva del tutto trascurato. Quel piccolo quadrato di carta che aveva trovato al motel. Lo portò fuori per osservarlo e tutti i ricordi si abbatterono pesanti su di lui.
Di nuovo si rivide alla stazione della metro con quel ragazzino che lo fermava, gli parlava e lui se lo lasciava sfuggire. La prima volta. Poi l’identikit, la ricerca del ragazzo, la visita a casa sua e il fermo. I prolungati interrogatori, la necessità di una perizia psicologica. Il risultato di quell’esame. Nathan in quella chiesa dove l’aveva ritrovato, che gli confidava la necessità per lui di uccidersi perché altre persone non fossero in pericolo. E poi quella telefonata, dovuta proprio ad un biglietto da visita. Una sera spensierata con Penelope Garcia, si era trasformata in un’emergenza. Da cui era uscito profondamente segnato e con mille dubbi. E anche se tutti continuavano a ripetergli che aveva fatto la scelta giusta, gli era chiaro che non fosse così. Ora più che mai. Ora che JJ era nelle sue mani. Mani che potevano essere fermate.
Scagliò con violenza quel biglietto da visita lontano da sé. Gli era chiara solo una cosa. Nathan Harris stava cercando proprio lui.
 
Dall’altra parte dell’edificio, gli agenti erano riuniti nella stanza della tecnica informatica, il cui pensiero era costantemente rivolto alla collega scomparsa.
Quando avevano visto Reid reagire in quel modo, concentrarsi sulla lettura del libro troppo profondamente, ignorando anche l’ordine di Hotch, avevano deciso di allontanarsi e avevano raggiunto la donna, nella speranza di trovare qualche altro indizio. Pensavano di tentare di tracciare il cellulare di Jennifer, ma risultava spento. Compito di Penelope era ora tenere sotto controllo quell’apparecchio nell’eventualità, alquanto remota, che venisse acceso.
“Garcia, isoli tutte le sartorie che fanno capi su misura a Washington.” Propose Rossi sporgendosi verso lo schermo del computer. La donna eseguì subito l’ordine e generò un discreto numero di risultati.
“Puoi piazzare su una cartina della città questi posti?” chiese Hotch e vedendo materializzarsi davanti ai suoi occhi la locazione di quelle attività commerciali.
“Bambolina, segna su quella carta i luoghi dei ritrovamenti.” Si intromise Derek, speranzoso di trovare qualche punto di contatto. Ma nessuno dei punti corrispondeva o si avvicinava in qualche modo.
“Non hanno un database dei clienti?” domandò ancora Emily, disposta a trovare la collega prima che fosse troppo tardi.
“Controllo.” Replicò l’esuberante bionda digitando sui tasti, ma non riscontrando nulla. “Mi dispiace, però posso darvi gli indirizzi dei proprietari.”
I quattro agenti si guardarono tra di loro, prima che Aaron scuotesse la testa in segno affermativo. “Chiamo Carlson, torniamo fuori. Interrogheremo questi uomini, mostreremo loro la foto di Nathan e cercheremo di capire dove si serve. Prentiss, tu resta qui, nel caso dovesse esserci qualche novità dal telefono di JJ.” definì il capo prima di farsi consegnare gli indirizzi dalla tecnica e avviarsi fuori dalla sala con gli altri. Si fermò davanti alle porte a vetri, dividendo i fogli con le generalità delle persone che avrebbero interrogato, dando qualche ultima istruzione ai due colleghi. “Dividiamoci, cominciamo da quelli più vicini ai luoghi dei ritrovamenti. So che è tardi, ma fate capire loro che è un’emergenza.” Furono le ultime parole dell’uomo, prima che i tre entrassero nell’ascensore e facessero la loro corsa in silenzio. Fino a separarsi nel garage, ognuno diretto verso un SUV.
 
Probabilmente era lui quello che avrebbe dovuto mantenere un maggior distacco. Era arrivato per ultimo in quella squadra, non conosceva Nathan Harris, non sapeva esattamente cosa fosse successo a Reid. Non riusciva a credere che fosse tutto legato a quel caso. Il ragazzo non era stupido, sapeva mantenere il suo distacco anche quando si identificava...sapeva sfruttare le sue emozioni canalizzandole al meglio. Se stava reagendo a quel modo doveva esserci di più.
Non gli riusciva nemmeno di mantenere la calma, si era integrato in quella squadra. E JJ era in pericolo. Non poteva dimenticarlo. Continuava a pensarci mentre percorreva le strade buie di Washington diretto a casa di Anthony Faris. Lo avrebbe svegliato, sconvolto, interrogato. E sarebbe andato via con qualche risposta positiva. Era quello che sperava più di tutto.
Posteggiò il SUV e scese, indirizzandosi verso la porta di quell’appartamento. Bussò ripetutamente, fin quando una donna aprì la porta. “La signora Faris?” domandò esibendo il distintivo e facendo così sobbalzare la donna. “Non si preoccupi, dovrei fare delle domande a suo marito, so che l’orario è strano, ma è un’emergenza.”
La donna non riuscì a rispondere, semplicemente accennò con il capo, richiudendo la porta di fronte a Dave, che attese paziente che si riaprisse, mostrandogli adesso un uomo di una certa età. “Perdoni mia moglie, venga dentro.” Lo invitò cordialmente, mentre l’agente allungava la mano verso di lui.
“David Rossi,” disse stringendo quella dell’uomo. “Mi scusi per l’orario, ma come dicevo è un’emergenza. Lei produce capi su misura nella sua bottega?”
“Si...ma non capisco come questo potrebbe esservi utile.”
“Questo ragazzo...” disse porgendo la foto di Nathan Harris, “Ha mai ordinato qualche capo da lei?” domandò lasciando poi il tempo all’uomo di osservare con calma la foto. Minuti di silenzio per lui interminabili.
“Mi dispiace...sono abbastanza fisionomista, ricordo i volti dei miei clienti. Ma lui non l’ho mai visto.” Restituì la foto all’uomo che si congedò con una nuova stretta di mano.
Il primo tentativo era andato a vuoto.
 
Osservava ancora quel tabellone di fronte a sé. Vuoto. Nessuna indicazione che potesse far apparire all’orizzonte un profilo geografico nitido. A terra giaceva ancora quel biglietto che aveva scagliato via e che fu presto seguito dal pennarello. Si voltò a prendere i fogli sul tavolo. Alla ricerca di qualcosa. Una ricerca disperata che si tradusse presto in uno scagliare frenetico di fogli in tutte le direzioni. Stava perdendo il controllo come mai gli era accaduto finora.
Non riusciva a respirare, il fiato gli mancava sempre più. Aveva provato prima di allora quella sensazione, in un periodo che preferiva non ricordare. Mai come ora aveva bisogno di quel conforto che gli era stato accanto per molti mesi prima che riuscisse a rendersi conto che poteva andare avanti con le sue sole forze.
Sudava ancora...sfregava le mani l’una contro l’altra. Doveva controllarsi. Doveva essere più forte di quell’istinto così profondamente sbagliato. Ma che in quel momento sembrava l’unico giusto.
Si guardò intorno ancora un paio di volte, mentre la voce di Nathan Harris che lo implorava di lasciarlo morire si insinuava insistente nelle sue orecchie. Sempre più forte, sempre più convincente. Sempre più a ricordargli come avesse sbagliato quel giorno di quattro anni prima.
Le sue gambe si stavano già muovendo, senza passare dal suo cervello. Stava seguendo l’istinto. Quell’istinto. Mettendo da parte la sua spiccata razionalità. Attraversava i corridoi senza nemmeno rendersi conto di quello che accadeva intorno a lui. I suoi sensi si erano assopiti, fin quando raggiunse l’unica stanza in cui sperava di poter soddisfare i suoi bisogni. Aprì la porta guardandosi per un attimo intorno, prima di sgusciare all’interno di quel piccolo vano, richiudendosi il battente alle spalle. Era solo. Fortunatamente. Pronto a lanciarsi alla ricerca dell’unica sostanza che avrebbe potuto farlo stare meglio.
 
Emily aveva visto uscire i colleghi e si era intrattenuta ancora qualche momento nella stanza di Penelope. Non era esuberante come le altre volte, e non poteva biasimarla.
“Certe volte mi domando se sia meglio rimanere qui a sperare di vedervi tornare o rischiare la vita con voi.” Sussurrò la tecnica informatica con gli occhi bassi. “Per le prossime ore vivrò pendendo dalle sorti di questa piccola finestra.” Continuò indicando alla collega la zona dello schermo in cui era avviato il software che controllava i movimenti del cellulare di Jennifer.
“Saremo in due a farlo...” rispose la mora sporgendosi in avanti e mettendo con delicatezza una mano sulla spalla della donna. “Caffè?” chiese poi riportandosi in posizione eretta.
“Volentieri..ci servirà.” Ribattè Garcia sollevandosi sulla sedia.
“No, vado io, non si sa mai.” Prentiss indicò con il dito lo schermo, mentre la collega annuiva con il capo riprendendo posto sulla sua poltroncina. Si voltò per afferrare il suo tazzone giallo e lo porse alla donna che accennò un sorriso prima di uscire dalla porta. Attraversò i corridoi raggiungendo ancora una volta l’open space, dove le scrivanie erano tutte vuote. Alzò quindi istintivamente gli occhi verso la sala conferenze, convinta di trovar lì il piccolo genio, ma anche quella stanza era vuota. Una strana sensazione la spinse a raggiungerla. Salì le scale e attraversò la balconata fino a varcare la soglia. C’era confusione...un profilo geografico incompleto al tabellone. Fogli sparsi per terra e in un angolo un pennarello e un biglietto da visita, quello di Spencer, a terra.
Si guardò intorno incredula un’ultima volta, prima di decidere di raggiungere l’area relax per preparare il caffè per sé e per Penelope. Poggiò la tazza sul ripiano e ne prese una con il logo della BAU per lei. Armeggiò con gli attrezzi e mise in funzione la macchina, avviandosi poi a dare anche una sbirciata al contenuto del piccolo frigorifero. Ma non aveva fame. Camminò ancora un po’ avanti e indietro in attesa che la bevanda scura fosse pronta, ma la sua attenzione fu improvvisamente catturata da un tremendo frastuono proveniente da una stanza vicina.
Sollevò la testa di scatto, dubbiosa e portò quasi automaticamente la mano alla pistola che teneva alla cintura avviandosi verso la fonte di quel rumore.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Then you catch him CAP22 CAPITOLO 22
 
“Cosa crede che riusciremo ad ottenere svegliando delle persone nel cuore della notte?” domandò il detective Carlson tenendosi alla maniglia al di sopra dello sportello del SUV che stava guidando l’agente Hotchner. Stavano tornando nella zona dell’ultimo ritrovamento, perché proprio alle spalle di quel motel abitava Andrew Nelson, uno dei proprietari di una sartoria di Washington.
“Speriamo di restringere la zona in cui vive Nathan Harris. Presumibilmente non fa molta strada per comprare i capi d’abbigliamento, quindi se scopriamo dove si serve, avremo scoperto la sua zona di sicurezza.” Rispose Aaron senza distogliere l’attenzione dalla strada, davanti a sé vedeva già la strada dove erano posteggiati con Emily e Jennifer prima che la donna bussasse al loro vetro mandandoli nel motel da cui uno di loro non sarebbe uscito, se non tra le grinfie dell’S.I. Posteggiò scendendo dal veicolo e richiudendosi lo sportello alle spalle.
“Ancora nessuna notizia della vostra collega?” chiese allora il poliziotto moderando i toni rispetto alla precedente domanda.
“Nessuna, è per questo che dobbiamo tentare questa strada.” Disse Hotch raggiungendo l’uomo dall’altra parte del veicolo. “Ho già interrogato un uomo prima di passare in dipartimento a prenderla, non aveva mai visto il nostro sospettato.” aggiunse.
“Saremo più fortunati questa volta.” Lo incoraggiò l’uomo poggiandogli una mano sulla spalla e spostandosi poi per permettergli di far strada fino al portone che varcarono con notevole agitazione. Fece strada l’agente supervisore, raggiungendo la porta della persona che cercavano. Bussò discretamente attendendo una risposta, che arrivò in fretta mostrando al di là del battente che si scostò un giovane uomo dal volto turbato.
“Agente Hotchner, FBI, e il detective Carlson.” Li qualificò Aaron mostrando il suo distintivo e indicando l’uomo accanto a lui.
“FBI?” domandò incredulo il giovane.
“Possiamo entrare?” chiese deciso Carlson avviandosi verso la porta che non si spostò, l’uomo lo fissava ancora interrogativo.
“Lei è Andrew Nelson, proprietario della sartoria che si trova qui sotto?” intervenne Hotch inclinando il capo.
“Sono io, ma non vedo perché dobbiate voler parlare con me.”
“Conosce questo ragazzo?” continuò l’agente speciale mostrando la foto di Nathan Harris al signor Nelson che si nascondeva ancora dietro la porta leggermente scostata dalla parete.
“Può essere...” rispose senza alcun trasporto. Per tutto il pianerottolo risuonò un boato, causato dalla mano del detective che si era violentemente assestata contro il legno del battente.
“Senta...veda di fare meno il saccente e cerchi di rispondere.” Minacciò avvicinandosi alla figura spaurita che aveva di fronte. “Questa è una indagine federale, c’è un’agente in pericolo...”
“Lo...lo conosco...” balbettò Andrew deglutendo visibilmente. “Ha ordinato un cappotto, qualche tempo fa, poi non l’ho più rivisto.” Confessò spaventato.
“Ha rilasciato una fattura per cui ha richiesto un indirizzo?” chiese Hotch sereno.
“Non ha voluto...ha pagato in contanti ed è scomparso.”
“Aveva solo bisogno di essere scosso un po’.” Commentò ironico il detective indicando con la testa verso l’uomo che stavano interrogando.
“La ringrazio.” Concluse Aaron avviandosi deciso verso l’uscita, proprio quando il suo telefono cominciò a suonare.
 
Le dita di una mano tamburellavano nervose sul volante del SUV, mentre l’altra sorreggeva il suo volto contro il finestrino. L’agente speciale Derek Morgan aveva già parlato con due dei nominativi che aveva con sé, ma nessuno di quei produttori di capi su misura aveva mai visto Nathan Harris o qualcuno che gli somigliasse. Si avviava ora in casa del terzo uomo da interrogare sperando finalmente in qualche notizia utile. Il telefono non aveva squillato, quindi evidentemente nemmeno Hotch o Dave avevano scoperto qualcosa. Erano tutti ad un punto morto, ma c’era la vita di JJ in gioco, quindi bisognava tenere duro e continuare a cercare uno spiraglio che aprisse una nuova via per le indagini. Sperava che Reid riuscisse a tirar fuori qualcosa dal romanzo illustrato, anche se capiva benissimo quanto fosse turbato.
Ricordava ancora quando aveva raggiunto lui e Penelope insieme a Gideon vicino a quel motel. Erano sconvolti, con le mani insanguinate e mentre Jason si dedicava a Spencer, lui era rimasto con la sua informatica preferita. Non l’aveva mai vista così triste e confusa. Gli aveva raccontato l’agitazione provata mentre il genio le chiedeva la sciarpa e gliela faceva legare intorno ai polsi di quel ragazzino agonizzante, come avesse dovuto ripetutamente chiamare il nome dell’agente per convincerlo a spostarsi da quel corpo mentre anche i paramedici lo invitavano a far spazio. Sapeva che Garcia non avrebbe cancellato quei ricordi facilmente, così come non ci sarebbe riuscito Spencer.
Sospirò profondamente rendendosi conto di essere arrivato all’indirizzo di Michael Mane. Scese dal veicolo e raggiunse la porta bussando. Dopo qualche minuto un uomo anziano e assonnato apparve oltre l’uscio.
“Mi dispiace disturbarla, sono l’agente speciale Derek Morgan, FBI,” disse il ragazzo estraendo il distintivo, “dovrei farle qualche domanda, posso entrare?” domandò attendendo una risposta.
Il signor Mane si allontanò lasciandogli lo spazio necessario per entrare, il volto preoccupato. “FBI? Sono accusato di qualcosa?” domandò richiudendo la porta.
“No, non si preoccupi, abbiamo un’emergenza e vorremmo solo sapere se questo ragazzo ha mai acquistato qualcosa da lei.” chiese l’agente porgendo all’uomo la foto.
“Un momento...” rispose l’anziano prendendo la fotografia e avvicinandosi ad un tavolino. Lentamente ma con attenzione inforcò gli occhiali e accese una luce ponendogli sotto il volto di Nathan Harris, che studiò in silenzio per qualche minuto. “Ah, lei è tanto giovane. Io amo il mio lavoro e lo faccio ancora con grande attenzione, ma la vista inizia a non accompagnarmi più.” Disse sollevando il volto e raggiungendo di nuovo Derek. “Ma io lo conosco...è venuto da me qualche tempo fa, ha richiesto un cappotto su misura. Ottima fattura e anche molto costoso.”
Un lampo di speranza si accese negli occhi di Morgan, che subito domandò, “Ne è sicuro?”
“Mi stupì il fatto che un ragazzo così giovane avesse tutti quei contanti, lo ricordo abbastanza bene.” Allungò di nuovo la fotografia verso l’uomo di colore che la afferrò nuovamente.
“È venuto più volte da lei?”
“Solo quella volta. Il suo cappotto aveva uno squarcio alla tasca, volevo ripararglielo, ma ha richiesto un capo nuovo. Non ho insistito, devo dire che era un tipo abbastanza convincente. Ha...ha fatto qualcosa?” domandò curioso.
Derek evitò di rispondere alla domanda. “Ha rilasciato una fattura? Ha un indirizzo? Qualsiasi informazione potrebbe esserci utile al momento.”
“Non ha voluto dirmi nulla. Non so nemmeno il suo nome...le ripeto...è stato convincente.” Concluse l’uomo riponendo gli occhiali nel taschino della vestaglia.
“La ringrazio.” Sorrise Morgan allungando la mano e uscendo dall’appartamento. Raggiunse la macchina ed estrasse il telefonino componendo un numero. Quando lo raggiunse la voce dall’altro capo, parlò, “Hotch, ho un riscontro...”
 
La ricerca era cominciata serena. Si era richiuso la porta alle spalle tirando un profondo respiro, prima di avvicinarsi agli armadietti. Aveva aperto il primo e aveva sollevato ad uno ad uno tutti i medicinali che aveva trovato, leggendo le etichette e la composizione degli stessi. Solo una parola rimbombava insistente nella sua mente e non era quella che ritrovava scritta lì. Si avviò allora al secondo armadietto, mentre le mani cominciavano a tremare, segno evidente che l’astinenza era troppo forte, il bisogno non poteva essere placato ancora per molto. Cominciò a muoversi con sempre più foga, spostando i flaconi, facendoli cadere, sbattendo le ante. Stava facendo sempre più rumore, ma la voce nella sua testa era più forte, non gli faceva capire che qualcuno avrebbe potuto sentire il frastuono così da essere attirato verso l’infermeria dove avrebbe trovato uno Spencer Reid così scoraggiato da essere in cerca di una sola sostanza. L’unica che avrebbe potuto ridargli speranza in quel momento. Riusciva a pensare solo a come era riuscito a sentirsi qualche anno prima per un periodo della sua vita. Aveva bisogno di una dose di Dilaudid.
 
Emily era uscita dall’open space con la pistola dritta davanti a sé. Non c’era molta gente a Quantico a quell’ora, erano andati via quasi tutti, tranne loro ovviamente. Arrivata nel corridoio percepì il rumore ancora più forte, si muoveva con cautela verso la porta al di là del quale sembrava originarsi quel frastuono. Poggiò la mano sulla maniglia attendendo qualche secondo prima di abbassarla così da spostare in un unico movimento il battente ed entrare nella stanza. Quello che si trovò davanti la lasciò senza fiato.
Flaconi rotti per terra, armadietti delle medicazioni aperti e proprio da dietro una delle ante vide spuntare il volto del dottor Reid trafelato. Senza pensarci un secondo posò la pistola e richiuse la porta mentre quegli occhi spaventati la fissavano. Volevano spiegare qualcosa, ma non sapevano cosa dire. Volevano un aiuto da lei.
“Ma cosa...” la donna non riuscì a completare la frase, mentre Spencer si rimetteva dritto e si allontanava procedendo all’indietro da quella teca. Respirando a fatica, tenendo lo sguardo fisso sulla collega che doveva avere uno sguardo perplesso, le braccia allargate, non ben certa di come comportarsi, cosa dire, cosa fare.
Il piccolo genio continuava ad indietreggiare in un misto di vergogna per essere stato colto in quel momento di debolezza e di sofferenza per non essere riuscito nel suo intento. Improvvisamente sentì la parete alle sue spalle e non poté far altro che appoggiarsi lasciandosi andare verso il basso, fino a sedersi sul pavimento, le ginocchia verso il petto. Abbassò finalmente il viso lasciandolo sprofondare tra le braccia, introducendo le dita a stringere le ciocche dei suoi capelli. Soffriva perché non poteva risolvere quel caso, perché non poteva smettere di ritenersi colpevole, perché aveva pensato di cercare rifugio nella droga e se Prentiss non fosse entrata molto probabilmente ci sarebbe riuscito. “Io...” cominciò a balbettare con il volto ancora nascosto. “Io...ho sbagliato tutto...sto sbagliando tutto...” lasciò scappare un lamento prima di sentire le lacrime affollarsi ai suoi occhi.
La donna era rimasta immobile, non riusciva a  muovere un arto davanti alla scena che stava avvenendo di fronte ai suoi occhi. Solo quando il ragazzo riuscì a pronunciare quel balbettio sconnesso si riscosse e si avvicinò a lui. Si abbassò delicatamente fino ad appoggiarsi a terra con le ginocchia, sporgendosi poi in avanti, lievemente timorosa, fino ad afferrare le braccia del ragazzo, tirandolo verso di sé. Lo strinse con forza, senza dire nulla, offrendogli tutto il conforto che riusciva a dargli in quel momento.
“E’ tutta colpa mia...” mormorò lui prima di lasciarsi andare ai singhiozzi.
Emily rimase in silenzio, semplicemente abbracciandolo con più calore, perché aveva capito che era arrivato il momento per Reid di sfogarsi. Aveva trattenuto dentro di sé rabbia, paura, dubbi, agitazione. Ora doveva lasciar andar via tutti questi sentimenti, e lei era pronta a sostenerlo.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Then you catch him CAP23 CAPITOLO 23
 
Aveva bisogno di bere. E anche di mangiare. Lasciava lentamente oscillare la testa a destra e a sinistra cercando di far cessare i dolori. Era appoggiata alla parete, le gambe tirate verso il petto e le braccia dietro la schiena. Legate. Si domandava da quanto tempo fosse chiusa lì, al buio, se i suoi colleghi fossero già riusciti a capire dove si trovasse, se avessero già avvertito la sua famiglia. Quando riprese la mobilità del collo lasciò andare la testa all’indietro poggiandola contro il muro che aveva alle spalle.
Poi un rumore. Sollevò il capo di scatto e attese in silenzio, solo il suo respiro a riempirle le orecchie. In breve arrivò anche la fioca luce che piano piano rivelò la sagoma del ragazzo. Jennifer non aveva paura, non più. La sua era più rassegnazione al suo destino. Abbassò gli occhi ritornando ai suoi pensieri.
“A cosa sta pensando agente Jareau?” domandò il giovane sfilandosi il cappotto e lanciandolo alla sua sinistra.
JJ sospirò prima di rispondere. “A mio figlio.” Disse con sicurezza, notando una strana luce accendersi negli occhi di Nathan che si avvicinò a lei, cauto. “Mi domando se si sia già accorto della mia assenza...” sospirò.
“Sono...cambiate molte cose in questi anni.” Pronunciò il giovane vedendo poi il capo della donna muoversi lentamente dall’alto in basso. Tirò un profondo respiro anche lui, prima che il silenzio calasse su entrambi.
La donna tornò nei suoi pensieri quando avvertì un fruscio e voltandosi non vide più il ragazzo. Le era sembrato strano, troppo tranquillo per quello che ricordava. Ma lei non era una profiler. Poteva affidarsi al suo istinto e nulla di più.
“Beva.” Le disse il ragazzo attirando di nuovo la sua attenzione mentre le porgeva un bicchiere e glielo poggiava già sulle labbra. “È semplice acqua, si può fidare.” Rispose allo sguardo preoccupato di JJ, che infine cedette per la troppa arsura.
“Grazie.” Sussurrò quando ebbe vuotato il recipiente. Quella volta Nathan non rispose, si sollevò come un automa non presentando nessuna espressione negli occhi.
Ritornò dopo qualche secondo, serio, troppo serio. Si avvicinò a lei che cercò di mantenere la calma mentre sentiva le sue mani toccarla intorno alla vita. Ma non si mosse, lo lasciò fare mentre sembrava semplicemente cercare qualcosa. Poi le dita si spostarono alla sua giacca, come se non avesse ancora trovato l’oggetto dei suoi desideri. Ispezionò una tasca, poi l’altra, dove indugiò più tempo e Jennifer capì tutto.
Con il volto più sereno Nathan si rialzò stringendo tra le mani il suo tesoro. “È il momento di rimettere insieme i pezzi.” Le disse pigiando il tasto di accensione del cellulare che aveva sottratto all’agente.
 
“Michael Mane, ha visto Nathan Harris tempo fa. Abbiamo trovato la sua sartoria.” Affermò Derek mentre sostava vicino al SUV. Attendeva una risposta rapida e positiva da parte di Aaron e invece ci fu un prolungato silenzio. “Pronto?” domandò per accertarsi che il collega fosse ancora dall’altra parte.
“Anche noi abbiamo avuto un riscontro. Andrew Nelson, vicino all’ultima scena del crimine.” Pronunciò infine il supervisore capo.
Morgan sferrò un colpo alla carrozzeria del veicolo che aveva vicino a sé. “C’era da immaginarselo. Ha frequentato diverse sartorie così da non rendere identificabile la sua zona. Al signor Mane il pagamento è stato effettuato in contanti per altro.” Spiegò.
“Anche qui, solo contanti, nessun indirizzo. Questa strada non ci porterà da nessuna parte, quindi torniamo in ufficio e vediamo se Garcia ha scoperto qualcosa tramite il cellulare o se Reid ha dedotto qualcosa dal romanzo.” Ordinò Hotch.
“E Dave?” chiese l’agente di colore.
“Chiamalo e digli di raggiungerci a Quantico anche lui.” Concluse l’agente Hotchner interrompendo la comunicazione.
Derek chiuse il cellulare stringendolo tra le mani e avvicinandolo al viso rapito nei suoi pensieri. Non avevano nulla, nessuna traccia, nessun indizio, nulla di utilizzabile per trovare l’S.I. e soprattutto per salvare JJ. Non poteva essere vero, non si erano mai trovati così disarmati prima d’ora. E non poteva continuare a negare che non fossero tutti in qualche modo coinvolti a tal punto da non essere completamente lucidi.
Riprese il controllo di sé componendo il numero dell’agente Rossi, che subito rispose al telefono. “Abbiamo un nome?” domandò con una nuova speranza nella voce, che Morgan dovette subito interrompere.
“Torniamo in ufficio, sia io che Hotch abbiamo avuto un riscontro con due diverse sartorie. Ai due poli della città.” Mise in chiaro l’agente.
“È troppo furbo questo ragazzo, confonde le sue tracce. Mi chiedo come faremo a...” azzardò David per essere interrotto dalla voce del collega.
“Ce la faremo. Ce l’abbiamo sempre fatta.” Sentenziò con voce ferma senza possibilità di repliche. “A Quantico, dove Garcia o Reid potrebbero aver scoperto qualcosa.” Concluse riponendo il telefono al suo posto alla sua cintura. Poi aprì lo sportello e si sedette alla guida del SUV, diretto verso l’edificio dell’FBI.
 
Il silenzio continuava a regnare in quella stanza, dove Spencer si stava riprendendo lentamente dopo aver pianto con forza. Era ancora tra le braccia della comprensiva Emily, entrambi a terra vicino a quella parete, dove la donna lo aveva lasciato fare senza intromettersi.
“Scusami...” sussurrò il genietto ad un certo punto quando i singhiozzi gli permisero di parlare di nuovo.
Prentiss si allontanò da lui per catturare il suo sguardo e gli sorrise dolcemente. “La tua è stata una reazione più che giustificabile.” Lo rassicurò con sincerità prima di spostare il peso sulle sue gambe rimettendosi in piedi e porgendo al collega una mano che prontamente afferrò per tirarsi su.
“Mi sento così...vile per aver cercato...” provò a dire ma non riuscì a continuare, fissando semplicemente lo sguardo sui vetri che c’erano a terra.
“Ti aiuto a sistemare.” Liquidò l’imbarazzo Emily dirigendosi già a raccogliere i flaconi in frantumi.
In poco tempo tutto era tornato alla normalità, almeno nell’assetto di quella stanza, gli occhi di Spencer tradivano ancora una certa tristezza e profondo smarrimento.
“Non è colpa tua.” Gli disse l’agente Prentiss poggiandogli una mano sulla spalla. “Non devi pensarlo nemmeno.”
“Avrei potuto evitarlo.” Dichiarò il ragazzo senza alzare gli occhi sulla figura della donna.
“E come avresti potuto? Non eri nemmeno con noi, siete arrivati il più in fretta possibile. Nessuno poteva prevederlo.”
“Io gli ho salvato la vita.” la interruppe Reid fissandola finalmente con panico.
“Come?” domandò interdetta Emily vedendo le pupille del ragazzo rimbalzare nervose sul suo viso.
Il giovane prese fiato prima di raccontare quello che era successo quella notte di quattro anni prima. Quando sentì di essere pronto cominciò. “Quando abbiamo chiuso il caso di Ronald Weems, Penelope mi ha invitato ad uscire con lei per festeggiare la nostra vittoria. Non eravamo nemmeno arrivati alla sua macchina quando ho ricevuto una telefonata che mi avvertiva che Nathan era in pericolo, si era tagliato i polsi in una camera del motel. Io e Garcia siamo corsi lì e io l’ho salvato, mentre lui mi implorava di lasciarlo morire.” Aveva detto troppo, non poteva continuare.
“Perché ha chiamato proprio te?” chiese Prentiss.
“Lui aveva lasciato il mio biglietto da visita sul tavolo.”
“Come...” la donna sapeva benissimo cosa le ricordava quel dettaglio ma non riuscì a completare la frase mentre Spencer già scuoteva il capo per dirle che era proprio quello che era successo qualche ora prima quando era scomparsa JJ. “Hai fatto solo quello che andava fatto.” lo incoraggiò lei.
“È quello che dicono tutti.”
Non c’era altro da dire e lo sapevano bene entrambi mentre uscivano in silenzio dall’infermeria, avviandosi lungo il corridoio del Bureau ormai deserto. Erano quasi arrivati alla porta a vetri, quando Reid parlò:
“Ho bisogno di...stare un po’ da solo. Devo...devo rinfrescarmi.” Le disse indicando con il dito la porta della toilette maschile. Prentiss non era ben disposta a lasciarlo solo di nuovo in quel momento, ma non poteva nemmeno opporsi alla sua scelta, o peggio entrare con lui nel bagno. Acconsentì infine, seguendolo nel suo percorso fin quando lo vide scomparire oltre la porta.
La donna lasciò andare un sospiro, prima di sistemarsi la giacca e avviarsi ancora lungo quel corridoio fino alla stanza dove la stava aspettando Penelope, che come accadeva spesso in quelle ore balzò in piedi non appena sentì il rumore della porta. “È successo qualcosa?” chiese con il panico nella voce.
Emily scosse il capo invitandola a riprendere posto comoda. “Nessuna notizia dal cellulare?” domandò a sua volta.
“No, ma ci hai messo troppo tempo.”
“Reid, non stava bene...” liquidò il discorso. Il ragazzo si era mostrato in un momento di debolezza che sarebbe rimasto tra loro.
“Sapessi cosa vuol dire per lui questo caso.”
“Ora lo so.” Sorrise all’informatica che si girò di scatto verso di lei nel sentire quelle parole. Avevano capito entrambe con un semplice sguardo che si stava ancora prolungando, quando il dispositivo sulla multi task di Garcia cominciò a lampeggiare emettendo un suono ad intermittenze regolari.
Il volto della donna mutò considerevolmente, mentre si voltava verso lo schermo e si risistemava gli occhiali sul naso.
“Che succede?” chiese Prentiss avvicinandosi a lei.
“Il cellulare di JJ si è acceso.” Spiegò iniziando ad accanirsi sulla tastiera senza nemmeno indirizzare lo sguardo verso di lei. “Stiamo venendo a prenderti viscido verme schifoso.”
 
La sue dita si stavano stringendo intorno al lavabo mentre spingeva con le spalle, proteso in avanti. Come aveva potuto desiderare il Dilaudid? Come si era potuto far scoprire in quella disperata ricerca dalla sua collega? Come aveva potuto permettere che le lacrime sgorgassero sul suo volto?
Queste e mille altre domande tormentavano il suo cervello mentre l’acqua scorreva sotto di lui. Mise le mani a coppa, lasciando che quel liquido gelido si raccogliesse al loro interno, poi lo gettò sul suo viso, massaggiandolo delicatamente. Ripetè il gesto un paio di volte, fin quando richiuse il rubinetto e si asciugò il volto, fissandosi per un po’ allo specchio. Sentiva che stava riprendendo il controllo.
Sarebbe tornato in sala conferenze e avrebbe lavorato ancora al profilo geografico, sperando nell’apporto di notizie da parte dei colleghi che ormai mancavano da parecchio tempo. E avrebbe guardato ancora il romanzo illustrato. Qualcosa lo turbava, come se la soluzione fosse sotto i suoi occhi, troppo annebbiati per coglierla. Si scostò i capelli dalla faccia, respirando con forza. Si sistemò la camicia e la cravatta e gettò nella cestino la carta che teneva ancora tra le mani. L’ultimo sguardo prima di lasciare quel locale e di gettarsi nel lavoro.
Stava per voltarsi, quando il suo cellulare iniziò a suonare. In un gesto meccanico rispose senza guardare l’identificativo del chiamante, posando poi di nuovo gli occhi sulla sua figura allo specchio. “Spencer Reid.”
Fu un secondo.
Vide il suo volto mutare come se appartenesse a qualcun altro. Il mondo gli crollò addosso.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Then you catch him CAP24 CAPITOLO 24
 
“È una cosa impossibile!” imprecò l’informatica senza abbandonare le speranze.
“Che succede?” domandò Emily che continuava a fissare lo schermo senza capire bene cosa stesse accadendo.
“Non riesco a tracciare il segnale. Sembra...schermato. Come se qualcosa impedisse al mio programma di raggiungerlo.” Spiegò con sempre maggiore agitazione. “Sta telefonando.” Comunicò.
“Non puoi fare altro?”
“Posso provare a capire a chi sta telefonando e cercare di tracciare il destinatario mentre continuo a identificare la sorgente.”
Prentiss fissava l’immagine che le rimandava lo schermo. In alto un riquadro con il numero di telefono di JJ al di sotto del quale lampeggiava la scritta ‘In funzione – Chiamata in corso’. Le dita di Penelope fluttuavano sulla tastiera facendo apparire in fretta una mappa di Washington, che la donna andava via via stringendo tramite l’aiuto del suo software.
“Non mi abbandonare.” Pregava in un sussurro diretto al suo fedele amico computer.
Improvvisamente una zona sulla cartina si illuminò. “L’abbiamo preso?” chiese Emily sporgendosi in avanti.
“E’ riuscito a infrangere la barriera, ma non con troppa forza. Abbiamo una zona con un raggio di otto chilometri, ma non un punto esatto.”
“Sempre meglio di niente. A chi sta chiamando?” domandò mentre la speranza cresceva in lei.
Garcia si risistemò ancora una volta velocemente gli occhiali, allontanando le dita dai tasti solo il tempo necessario. “Questo dovrebbe essere più semplice.”
Ancora una volta la cartina cominciò a muoversi sotto gli occhi dell’agente fin quando di nuovo una zona si illuminò cominciando a rimpicciolirsi sempre più.
“Non è possibile...” affermarono in coro fissandosi negli occhi, mentre l’immagine si avvicinava sempre più.
“Quello è Quantico?” chiese l’agente.
“No bellezza, quello è il palazzo dell’FBI per l’esattezza.” Replicò la donna ancora incredula, quando il punto si fermò definitivamente facendo apparire un numero di telefono, subito seguito da un nome. “E quello è il telefono di Reid.” Concluse con gli occhi spalancati e prima che potesse terminare la frase, Emily si era già alzata e stava correndo fuori dalla stanza.
Penelope rimase a fissare lo schermo fin quando un avviso non spense l’intero dispositivo. “Chiamata terminata...” sussurrò prima di alzarsi e dirigersi anche lei fuori dal suo ufficio. Ormai non c’era più nulla che potesse fare con il suo programma. Il telefono si era spento di nuovo.
 
Prentiss stava correndo per il corridoio. L’ultima volta che aveva visto Spencer era stato quando le aveva chiesto di rimanere da solo e aveva varcato la soglia del bagno. E proprio quella fu la stanza che raggiunse per prima, e senza pensarci un secondo di più si introdusse al suo interno. Non importava trovarvi dentro qualcuno in atteggiamenti sconvenienti. Era un’emergenza e a Quantico non c’era quasi più nessuno.
“Reid!” chiamò a gran voce una volta dentro il locale. In risposta ebbe solo il silenzio. “Reid!” chiamò nuovamente svoltando dietro l’angolo. Non c’era nessuno.
Uscì in fretta continuando a chiamare il collega mentre si dirigeva nell’open space, anche quello deserto, e su fino alla sala conferenze. C’era ancora la stessa confusione di prima, il ragazzo non era nemmeno passato di là. Emily si voltò ed uscì dalla stanza ripercorrendo al contrario il percorso su quel piano rialzato.
“Dov’è?” domandò nel panico Penelope che la aveva raggiunta nell’open space.
“Nel bagno non c’è, in sala conferenze nemmeno.” Disse senza nemmeno scendere le scale ma estraendo il cellulare e componendo il numero del giovane. Sentiva gli squilli susseguirsi a intervalli regolari e l’agitazione cresceva. Nessuna risposta. Riprovò mentre la campanella dell’ascensore catturò l’attenzione di Garcia che si voltò con il desiderio di vedere spuntare il piccolo genio. Ma invece si trattava di Morgan, seguito da David e Hotch.
L’agente vide subito il cambio di espressione negli occhi dell’informatica. “Che succede?” chiese affrettandosi oltre la porta a vetri.
“Ancora una volta niente.” Sentì dire a Prentiss dalla balconata rivolta alla collega mentre riponeva il telefonino.
“Che sta succedendo?” domandò di nuovo Dave sotto lo sguardo preoccupato di Hotch.
Penelope ricacciò indietro lacrime e agitazione e iniziò a spiegare velocemente. “Il telefono di JJ si è acceso, ho provato a tracciare il segnale ma ho ottenuto solo un’area con un raggio di otto chilometri. C’era una strana schermatura che non mi permetteva di andare oltre. Ma ho rintracciato il destinatario della chiamata...” non riuscì a continuare.
“La telefonata era diretta a Quantico,” intervenne Emily sentendo subito tutti gli sguardi curiosi dei colleghi su di sé, “al cellulare di Reid.”
“Cosa?” esclamò Derek incredulo.
“E dov’è lui?” si intromise Aaron.
Emily allargò le braccia guardandosi intorno. “È scomparso e non risponde al cellulare.”
 
Quella voce lo aveva ipnotizzato. Non la credeva reale mentre raggiungeva le sue orecchie tramite il suo telefonino.
“Dottor Reid, è passato del tempo dall’ultima volta che ci siamo visti...” aveva pronunciato con una calma troppo pronunciata e i piedi di Reid si erano già mossi per portarlo fuori da quel bagno.
Non capiva più nulla, era andato dritto fino all’ascensore e giù nel garage, sedendosi al sedile e mettendo in moto. Mentre quella voce continuava a parlare, sillabe che scorrevano nelle sue orecchie. Ma che lui non percepiva più.
Chiuse la telefonata e continuò a guidare ancora nel suo stato di trance, quando il suo cellulare suonò di nuovo. Stavolta guardò il display che recava il nome della sua collega Emily Prentiss. Mise il telefono di lato deciso a non rispondere, ma a concentrarsi sulla strada che si allungava di fronte a lui.
Presto tornò il silenzio in quel veicolo, seguito a breve da nuovi squilli ancora una volta ignorati.
Ora era tutto più chiaro, Nathan lo stava invitando a raggiungerlo e improvvisamente lui sapeva esattamente dove trovarlo.
 
Il panico iniziale aveva lasciato ora posto alla razionalità nelle menti dei cinque agenti. Emily e Penelope erano sedute alle scrivanie dell’open space, mentre Hotch, Dave e Derek erano in piedi vicino a loro. Dovevano far mente locale in fretta e decidere come muoversi.
“Perché ha chiamato proprio Reid?” chiese Rossi interrompendo il silenzio. Da come lo guardarono gli altri si rese conto che forse era rimasto l’unico a non sapere i dettagli di quella storia.
Morgan guardò Garcia che non riusciva a sostenere lo sguardo fisso su nessuno. Lei più di tutti aveva vissuto quell’esperienza sulla sua pelle e la sentiva ancora bruciante. Infine fu Aaron a decidere di spiegare anche al collega tutta la verità. “Quattro anni fa al nostro primo incontro con Nathan Harris come già sai avevamo scoperto che non fosse lui il colpevole. Ma il ragazzo tentò comunque di togliersi la vita per evitare che in futuro facesse del male a qualcuno. Prima di tagliarsi i polsi lasciò sul tavolo per la prostituta che era con lui il biglietto da visita di Reid che fu il primo ad accorrere e a salvarlo, anche contro la sua volontà.” Ricordava ancora quando aveva dovuto leggere il sofferente rapporto stilato dal giovane.
“È diventata una questione personale quindi?” chiese ancora l’agente anziano. Nessuno in realtà conosceva la risposta a quella domanda, quindi seguì il silenzio.
“Cosa abbiamo in mano?” domandò Derek che ormai si teneva fermo a fatica.
“Un profilo geografico incompleto, ma i vostri interrogatori nelle sartorie potrebbero...” cominciò a dire Prentiss, ma l’agente Hotchner la interruppe.
“Quelli non hanno portato a nulla. Ha cambiato sempre sartoria così da non poter essere ricollegabile a nessuna zona.”
“Ma abbiamo ora un raggio di otto chilometri ben definito da cui è partita la telefonata.” Ricordò agli altri l’informatica.
Hotch prese un sospiro prima di passare ad assegnare i prossimi incarichi. “Io e Garcia ci occuperemo di comunicare a Carlson la zona da controllare e di cercare Reid. Voi tre date un’occhiata al romanzo.” Ordinò indicando il volume in bilico sulla scrivania di Spencer.
“Cosa dobbiamo cercare?” chiese David, mentre già Penelope si alzava in piedi e precedeva il capo fuori dall’open space.
“Qualsiasi cosa, qualsiasi accenno a qualche nascondiglio.” Rispose l’uomo prima di sparire oltre la porta.
I tre agenti si guardarono in silenzio prima di affollarsi intorno al piano di lavoro del genietto. Erano abituati a vederlo in ordine e ora vi regnava sopra solo il caos.
“Al lavoro.” Stemperò l’aria Dave prima di afferrare il volume e di aprirlo alla prima pagina.
 
“Signore, è tutto quello che abbiamo.” Disse Penelope allontanando la sedia una volta arrivati nel suo ufficio, così da permettere all’agente supervisore di vedere la zona segnalata sullo schermo.
L’uomo fece un cenno con il capo, “Ottimo lavoro.” La incoraggiò ben consapevole di quanto fosse difficile per lei tutta quella situazione, poi estrasse dalla tasca il telefono e compose il numero del detective. “Carlson, sono Hotchner. Abbiamo bisogno dei vostri uomini per controllare una zona. Abbiamo un’area con un raggio di otto chilometri all’interno della quale dovrebbe trovarsi Nathan Harris, le mando in dipartimento il fax, noi appena riusciremo a scoprire altro vi faremo sapere.” Comunicò mentre Garcia si sedeva per inviare la comunicazione alla polizia di Washington.
Quando ebbero finito, Aaron si appoggiò alla scrivania vicino alla donna. “Puoi tracciare il telefono di Reid?” domandò.
“No signore, non è in funzione.”
“Puoi controllare il nostro garage?” incalzò ancora l’agente supervisore.
La donna schiacciò un tasto facendo apparire una griglia che segnalava la piantina del posteggio interno con i rispettivi posti assegnati. “Cosa vuole sapere?”
“Il SUV di Reid è al suo posto?”
Penelope schiacciò una serie di due tasti, poi rispose. “No, signore.”
Hotch sospirò. “Puoi anche vedere gli spostamenti che sono stati effettuati?”
“Certo. La macchina ha lasciato il suo posto un quarto d’ora fa.”
“Confrontali con l’orario della telefonata.”
L’informatica fece apparire il file con i dettagli orari della chiamata effettuata quella notte dal cellulare della collega. “È andato via quando era ancora in corso.”
“Il GPS del veicolo, Garcia.” Suggerì Aaron e una nuova luce si accese negli occhi della donna che subito cominciò le sue ricerche sulla stessa cartina su cui era segnata la zona da controllare. In breve una luce cominciò a lampeggiare in movimento.
“Eccolo, si sta dirigendo verso la zona da cui è partita la telefonata.” Disse con lieve stupore.
“Lo sta raggiungendo...” sussurrò l’agente Hotchner alzandosi e avviandosi fuori senza aggiungere altro.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Then you catch him CAP25 CAPITOLO 25
 
“Perché?” sussurrò con il poco fiato che aveva ancora in gola. Non aveva ancora smaltito la scena a cui era stata costretta ad assistere. La figura davanti a lei aveva ancora sul viso un ghigno soddisfatto, mentre la guardava ponderando bene sulla risposta.
Infine parlò, “Io e il dottor Reid abbiamo tante cosa da dirci.” Le spostò lievemente una ciocca di capelli dal viso, mentre lei si ritrasse da quel tocco. “Tu non hai nulla da temere.” Le disse alzandosi in piedi e allontanandosi, voltandosi solo per aggiungere un dettaglio. “A meno che il dottor Reid non opponga resistenza.” Rise allontanandosi e facendo si che un sentimento di panico si diffondesse nella donna.
JJ strinse ancora di più le ginocchia contro il suo petto poggiandosi con la fronte alle stesse, continuando a naufragare nei suoi pensieri.
 
Lo aveva avuto sotto gli occhi per tutto il tempo, ma il suo cervello era troppo offuscato per accorgersene. Serviva quella chiamata per fargli capire tutto. L’errore che stava commettendo ricercando il Dilaudid, l’agitazione crescente che non gli permetteva di svolgere il suo lavoro in pace. Tutto. Aveva sbagliato tutto.
Posteggiò il veicolo, scendendo rapidamente. Non indossò il giubbotto antiproiettili, non ci pensò nemmeno concentrato nel voler chiudere la questione al più presto. Camminò ancora per un po’, fino ad arrivare di fronte all’edificio che cercava. Ce la poteva fare, lo sentiva con chiarezza, mentre sollevava una mano richiudendo le dita a pugno per colpire ritmicamente quella superficie consumata.
 
Era rimasta sola nella sua stanza a osservare quel puntino in movimento sulla carta di Washington. Il giovane agente stava andando proprio in quella zona segnata in verde, che sembrò inghiottirlo ad un certo punto. Sembrava impossibile per un software avanzato come quello di Garcia, ma era accaduto proprio questo. Fortunatamente era riuscito a procedere per qualche altro chilometro visibilmente, riducendo il raggio a soli tre chilometri. Poi era scomparso.
Trasferì i propri dati sul suo computer portatile e si affrettò dagli altri nell’open space. “Ho ristretto la zona.” Dichiarò. “Il SUV di Reid si è fermato qui.” Illuminò un punto dello schermo. “Ci resta un raggio di tre chilometri invece di otto.” Spiegò alzando poi gli occhi verso i colleghi che interruppero ciò che stavano facendo per ascoltarla.
“Cosa c’è in quella zona?” domandò Dave accarezzandosi nervosamente il pizzetto.
Penelope digitò qualche tasto e poi si rivolse all’uomo. “Apparentemente nulla di significativo...” si interruppe per un bip che la raggiunse dall’apparecchio che guardò istintivamente.
“Che cosa c’è Garcia?” chiese Hotch avvicinandosi.
“La scena della prima uccisione...rientra in quel raggio.”
“Non era premeditata?” si sbalordì Emily, mentre Derek alle sue spalle rifletteva stropicciandosi le tempie.
“C’è rabbia, nelle sue uccisioni come in questo romanzo.” Cominciò a spiegare l’agente di colore. “Era motivato, tanto da motivi psicologici, quando dall’abbandono della madre, non mi sentirei di dire che possa aver affidato al caso un omicidio. Piuttosto il desiderio sarà stato così incontenibile la prima volta che non ha trovato la forza di pianificare nel dettaglio.”
“E’ lì vicino allora?” la speranza si era riaccesa negli occhi della tecnica informatica.
Derek sospirò, “Non credo bambolina...è troppo intelligente per farsi trovare.”
Aaron estrasse il cellulare. “Chiamo Carlson e gli comunico di restringere la ricerca alla nuova area individuata.”
“Li raggiungiamo?” intervenne Emily, ma l’uomo scosse il capo.
“Siamo più utili a lavorare su quei pochi dati certi che abbiamo...” rispose indicando il romanzo tra le mani della donna. “Garcia, non smettere di controllare il GPS di Reid. Torniamo al lavoro.” Concluse infine, mentre tutti si concentravano sul loro lavoro e sulla speranza di salvare la vita a JJ.
 
Dei colpi violenti le fecero sollevare il viso istintivamente. Vide Nathan muoversi deciso verso una zona che non poteva vedere, oltre la quale il ragazzo scomparve. Sperava che non fosse come credeva. Sperava che Reid non fosse realmente andato da solo a cercarli, ma si augurava che con lui ci fossero anche gli altri.
“Dottor Reid, ben arrivato.” Sentì dire al giovane e tutte le sue speranze si infransero. Strinse gli occhi sospirando profondamente. Pochi secondi dopo vide tornare Harris seguito da uno spaesato Spencer che subito guardò nella sua direzione. “Non serve che vi presenti...credo.” mormorò ironico il giovane, impedendo poi all’agente di avvicinarsi alla donna. Non aveva ancora proferito parola e la donna poteva leggere nei suoi occhi un misto tra paura, confusione e sicurezza, che non era solita scorgere in quelle iridi.
Osservò il giovane ragazzo invitare il suo collega a prendere posto su un divano improvvisato poco lontano da loro. Il genietto si avvicinò con timore senza riuscire a sedersi, e attese in silenzio cominciando a sfregare tra loro le mani. Tornava ad essere il Reid che conosceva lei, mentre la sicurezza scompariva dai suoi occhi.
Si era recato lì senza saper bene cosa fare e solo ora se ne stava rendendo conto, in quel freddo antro di cui gli altri non erano a conoscenza. Nessun rinforzo a guardargli le spalle e la sua collega da salvare, lì, nell’angolo, così indifesa e spaventata. “Nathan, io sono qui adesso.” Ebbe infine il coraggio da dire. “Puoi lasciare andare Jennifer...lei non c’entra nulla.” Salvare JJ, quello era il suo imperativo categorico, l’unica cosa che era certo dovesse fare. Dopo che la donna avesse lasciato quel luogo, lui sarebbe stato pronto ad affrontare qualsiasi cosa fosse successa.
Il ragazzo fece schioccare la lingua contro il palato. “Lei resta dov’è.” Intimò impedendo a Spencer di ribattere in alcun modo. “Ci rivediamo dopo quattro anni, non la trovo molto cambiato agente Reid.” Continuò ancora. “La mia vita è molto cambiata invece.”
“Perché hai lasciato la clinica?” chiese con voce ferma l’agente. Doveva condurre lui quella discussione e non fare in modo che Harris ne prendesse le redini.
“Non era quello il mio posto...e lei lo sa bene.”
“Andavi curato...”
“Mi sono curato.” Lo interruppe in un ringhio, vedendo poi il capo dell’agente oscillare da un lato e dall’altro.
“Non ti sei curato Nathan, hai ucciso tre donne.” Esclamò con enfasi, non riuscendo ad accettare il fatto che il giovane non si rendesse nemmeno conto di quello che stava facendo. Lo vide alzarsi in piedi e cominciare a muoversi avanti e indietro. Come per un riflesso automatico, assunse una posizione di allerta.
“Non capisce proprio...” sussurrò. “Io avevo bisogno di farlo, un bisogno incontrollabile.” Strinse i pugni ripensando al sangue caldo delle donne che scorreva tra le sue mani.
“Tua madre è preoccupata per te.” Affermò d’improvviso Spencer, senza smettere di concentrarsi su ogni dettaglio, attento all’eventuale precipitare degli effetti.
“A quella puttana non importa di me...”
“Ti manda dei soldi, ti mantiene e dici che non le importa di te?”
Le iridi azzurre di Nathan si fissarono in quelle castane di Reid. “Che madre è una donna che ti manda in una clinica? Che non ti viene a trovare nemmeno una volta e che, quando torni, non ti accoglie a braccia aperte...?”
Calò il silenzio tra quelle persone, un silenzio irreale e pesante. Il giovane ragazzo cominciò a muoversi per la stanza, dirigendosi verso la zona in cui JJ era seduta per terra. Spencer cominciò automaticamente ad accarezzare l’impugnatura della sua arma. Non doveva accadere nulla a lei. Osservò in silenzio l’assassino sollevare la donna dalle braccia e stringerla contro il suo petto, poteva leggere la paura viva negli occhi di Jennifer. “Lasciala...” sussurrò con pochissima voce.
“Lo sai perché?” domandò Nathan rivolto alla ragazza. “Se io oggi sto uccidendo delle donne, devo ringraziare lui.” Spiegò alzando il mento verso il magro ragazzo, mentre uno sguardo interdetto si disegnava sul volto della bionda. “Io volevo morire, ma lui mi ha salvato la vita.”
Reid fu incapace di sostenere gli occhi della collega fissi nei suoi, così abbassò il capo gonfiando il petto. Dolore, una fitta lancinante lo colpì al cuore, quando alzò di scatto la testa al sentire la voce dell’agente Jareau. “Spence no!” lo implorò. “Non è colpa tua.” Scandì volendosi far capire bene. “Non è colpa tua.” Ripetè con maggiore enfasi.
“Che tenero quadretto!” interruppe Harris scoppiando in una sonora risata, estraendo poi dalla tasca dei pantaloni un bisturi e puntandolo alla bianca gola della donna. Subito Spencer estrasse la pistola puntandola verso di loro, ma il sorriso soddisfatto di Nathan lo fece riflettere e come se leggesse i suoi pensieri il giovane cominciò a parlare. “Dottor Reid, voglio vedere se ora saprà fare la scelta giusta. Ha due vite da salvare, ma...” si guardò intorno teatralmente, “...a quanto pare non possono sopravvivere entrambe.”
Il respiro dell’agente accelerava mentre si concentrava nel tenere la mira ferma. Nathan aveva ragione, se l’avesse solamente ferito avrebbe potuto utilizzare la lama, e in ogni caso sparando rischiava di ferire anche la sua collega. Se non avesse fatto nulla...non voleva nemmeno considerare quella possibilità.
 
“L’abbiamo già riguardato tre volte. È impossibile che non ci sia nulla!” gridò Derek perdendo il controllo. Non ce la faceva più. Pensava al ragazzino perso non si sapeva dove e a JJ prigioniera di uno psicopatico, non riusciva a concentrarsi. Sentì su di sé lo sguardo di Rossi e si voltò a guardarlo.
“Agitandoti così non otterremo nulla di più.” Disse l’agente anziano posando poi gli occhi su Prentiss che teneva ancora tra le mani il piccolo tomo. “Abbiamo questo giovane psicopatico che decide di uccidere prostitute,” cominciò a ricapitolare il contenuto del romanzo, “le adesca per strada come un normale cliente, le porta in alcuni motel e le uccide. Esattamente quello che fa lui.”
“Poi torna a casa e si eccita nuovamente rivivendo le uccisioni.” Concluse Morgan.
Emily sospirò, “Ci interessa sapere dove sia questa casa però.” Disse facendo scorrere le dita sulle pagine, fino a soffermarsi. “Aspettate un attimo.” Si sporse in avanti cominciando a sfogliare il libro velocemente. Andava avanti, poi tornava indietro, poi ancora avanti. Improvvisamente sollevò il capo verso i due uomini. “Forse ci siamo!” esclamò alzandosi in piedi e dirigendosi velocemente fuori dall’open space.
Derek e Dave si guardarono interdetti per qualche secondo, prima di seguire la donna curiosi di scoprire cosa avesse colpito la sua attenzione.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Then you catch him CAP26 CAPITOLO 26
 
L’agente Prentiss non pensò nemmeno alla possibilità di bussare. Spalancò semplicemente la porta gettando nel panico Penelope che si alzò in piedi voltandosi con le lacrime già agli occhi. L’agente Hotchner si voltò con più calma ma non meno spaventato.
“Cosa...” cominciò a sussurrare Garcia ma si interruppe prendendo fiato con la bocca aperta, allargando l’intero petto come in deficienza di ossigeno.
Emily posò il volume sul ripiano che aveva vicino, “Nessuna novità da JJ, scusate se sono entrata come una furia...” si scusò spostandosi una ciocca di capelli dal viso e voltandosi sentendo entrare anche Derek e Dave che si fermarono a pochi passi dalla porta. La donna riportò l’attenzione sui colleghi di fronte a lei. “Stavo continuando a sfogliare il libro di Harris e ho notato questo.” Disse indicando un simbolo all’apparenza incomprensibile su una pagina.
“Cos’è?” domandò l’informatica sedendosi di nuovo e sistemandosi gli occhiali.
La mora scosse il capo. “Non lo so con esattezza, però...” cominciò a girare le pagine una dopo l’altra, “...appare altre volte, molte altre volte.”
“Pensi ad un indizio?” domandò Hotch strofinandosi il punto tra il naso e la fronte.
“Potrebbe essere...se voleva arrivare a Reid potrebbe aver lasciato anche questi segnali sparsi.”
“Dobbiamo capire cosa rappresenta però...” aggiunse Morgan.
David superò il collega prendendo tra le mani il volume e guardando con attenzione quel simbolo. “Ricorre dopo ogni uccisione, spesso quando il ragazzo è a casa a rivivere il crimine.” Constatò. “Garcia, potrebbe in qualche modo cercarlo sul suo sistema?” chiese alzando gli occhi verso la donna che si guardò intorno prima di rispondere.
“Si, signore, posso acquisirlo con lo scanner e cercare delle corrispondenze.” Rispose allungandosi per recuperare il volume dalle mani dell’agente anziano e ponendolo dentro il marchingegno elettronico. “Non ci vorrà molto.”
Gli agenti rimasero in attesa di scoprire forse finalmente la verità.
“Quante possibilità abbiamo che ci porti realmente da loro?” chiese Emily pensando poi che l’unico che avrebbe potuto rispondere esattamente a quella domanda sarebbe stato proprio Spencer.
Hotch scosse il capo voltandosi poi a guardare il monitor sul quale stava apparendo la scansione della pagina. “Prima cerca di capire cos’è.” Ordinò alla bionda che cominciò a digitare sulla tastiera.
“Evidenzio lo stemma e lo inserisco nella ricerca.” Spiegò mentre compiva l’azione. In una finestra alla sinistra dello schermo vi era la parte della pagina che interessava loro, mentre sulla destra si aprì un’altra zona in cui cominciarono a ruotare velocemente altri simboli. Tantissimi simboli che si andavano confrontando con quello che poteva essere la chiave di tutto. Stemmi della stessa dimensione, della stessa forma, che avevano qualche elemento in comune. Ce n’erano alcune migliaia, che sembravano molti di più visto il tempo che incalzava. Rimasero in silenzio ad osservare lo schermo in attesa di un segnale.
“Ma il padre di Nathan?” chiese l’agente Rossi nel silenzio.
“Un incidente stradale, è morto quando il ragazzo aveva solo nove anni.” Spiegò Hotchner, ma un allarme richiese l’attenzione di tutti.
“Trovato!” disse Garcia. “Vediamo di cosa si tratta.” Inviò il comando al sistema perché le aprisse un elenco di risultati sulla natura di quello stemma. Gli altri agenti si strinsero speranzosi intorno a lei.
“Una casa farmaceutica?” chiese Derek.
“La madre di Nathan è medico..lo portava spesso al lavoro. Ha dimestichezza con i medicinali.” Constatò Aaron. “Cos’altro sappiamo?”
L’informatica si concentro sul suo computer. “Produceva molti dei farmaci usati negli ospedali americani, ma è fallita cinque anni fa. Aveva filiali in tutti gli stati.”
“Cerca quella di Washington.” Propose Emily e l’altra donna subito lasciò saettare le dita sulla tastiera alla sua solita enorme velocità.
“La centrale della nostra città si trovava a questo indirizzo e c’era anche un magazzino per rifornire gli ospedali che non era nello stesso edificio...” la donna fu interrotta dalla voce di Morgan.
“Bambolina, sovrapponi i risultati alla mappa.” Il tono era particolarmente esaltato, il motivo fu confermato dal suono che fece il software quando segnalò che proprio il magazzino si trovava dentro quel raggio di tre chilometri che era stato evidenziato dalla scomparsa del segnale del GPS di Reid.
Penelope si voltò verso Emily lasciandosi andare ad un ampio sorriso. “L’abbiamo preso?” domandò e la donna scosse il capo in segno affermativo attendendo poi un comando dal capo.
“Chiamo Carlson per dirgli di far convergere le truppe verso quel magazzino, prepariamoci ad andare anche noi.” Comunicò Hotch avviandosi verso l’uscita, seguito dai tre agenti.
Prentiss si soffermò appena uscita dall’ufficio dell’informatica raccogliendosi i capelli in una coda, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. “Ottimo lavoro...” sentì dire da Dave prima che le sorridesse e la superasse lungo il corridoio. La donna pensò che in realtà non aveva fatto nulla di particolare. Aveva solo trovato una ricorrenza tra quelle pagine, come sicuramente aveva fatto il piccolo genio prima di lei. Ma il momento più difficile doveva ancora arrivare. Non erano certi che il luogo dove avrebbero trovato Harris fosse proprio quello, ma poteva essere sicuramente un ottimo punto di partenza. Ma soprattutto non sapevano cosa avrebbero trovato in quel capanno. Sospirò mettendosi nuovamente in marcia convincendosi che sarebbe andato tutto bene.
 
Spencer stava ancora osservando in silenzio JJ tra le braccia di Nathan, i suoi occhi concentrati a mirare di fronte a sé nonostante gli fosse impossibile sparare senza colpire la donna.
“Perché questo capanno Nathan?” gli domandò per distrarlo e acquistare tempo. Sperava che i suoi colleghi sarebbero arrivati ad aiutarlo ma ricordava di essere andato via senza dire nulla e loro non sapevano del nascondiglio del giovane.
“Piuttosto, mi dica come ha fatto a trovarmi.” ribatté Harris.
“Il romanzo...c’era lo stemma della casa farmaceutica. Ricordavo di aver letto la notizia della chiusura di questo magazzino sei anni fa. Ma non capisco come facevi a conoscerlo tu.”
“Ci venivo con mia madre a prendere le forniture per l’ospedale. È qui davanti che ho visto per la prima volta una prostituta. Quella visione mi ha causato una sensazione sgradevole. Quando lo hanno chiuso venivo qui se volevo stare da solo. Per un certo periodo è rimasto nelle mani di barboni e prostitute, ma al ritorno dalla clinica l’ho trovato vuoto e ho deciso di farne la mia casa. Visto che con mia madre non c’era più posto per me. Ma non creda che riuscirà a farmi distrarre a lungo.” Riportò l’attenzione su JJ cominciando a ferirle il collo in superficie con il bisturi. Un leggero rivolo di sangue le macchiò la candida pelle.
“Spara!” sussurrò la donna comprendendo la paura del collega che non rispose sentendo semplicemente il battito del suo cuore aumentare considerevolmente. Non poteva farlo, non poteva rischiare. “Spara...” ripetè la donna che sentiva la lama fredda premere ancora contro la sua pelle.
“Cosa succede agente Reid? Ha paura di colpirla?” domandò l’assassino beffardo al giovane che non poté fare a meno di distogliere l’attenzione dal mirino per concedere uno sguardo alla bionda agente. Gli dispiaceva di averla messa in quel guaio e voleva tirarla fuori da lì senza un graffio, ma non poteva uccidere nemmeno Nathan. Lo sguardo nelle iridi blu di JJ era strano, non più spaventato, ma sicuro. Improvvisamente Spencer si riconcentrò sulla sua mira.
“Può anche colpirmi...” cominciò la donna rivolta al ragazzo che la teneva stretta a se. “Ho scelto il mio lavoro con i suoi rischi perché amo farlo. Potrei avere solo un rimpianto...lasciare solo mio figlio.” Pronunciò con sicurezza e gli occhi di Harris si spalancarono. La donna avverti una strana vibrazione nella lama che le premeva contro il collo. Aveva ottenuto l’effetto sperato, lo avrebbe colpito dove l’aveva sentito più vulnerabile sperando in un suo errore che avrebbe permesso di prenderlo senza ferire nessuno. “Lo amo più di ogni cosa al mondo. Ogni volta che posso dedico tutto il mio tempo libero a lui, sono i momenti più belli della mia vita, quelli che mi fanno capire che nonostante io rischi costantemente con il mio lavoro una volta tornata a casa c’è il mio piccolo che mi aspetta...” Sentì la presa intorno al braccio allentarsi lievemente e il bisturi allontanarsi dalla ferita già provocata e si preparò a sgusciar via dalle sue mani non appena possibile.
“Avrei voluto avere anche io una madre come te...” mormorò il giovane e Jennifer si mosse per allontanarsi da lui. In quel momento uno sparo rimbombò riempiendo l’intero ambiente.
 
Morgan aveva guidato nervosamente per tutto il tragitto e Emily al suo fianco si era retta allo sportello con la speranza viva nel cuore che tutto sarebbe andato bene. Subito dietro di loro c’era l’altro SUV che ospitava Hotch e Dave, ugualmente agitati per la situazione che avrebbero affrontato. In breve raggiunsero la zona indicata dalle coordinate date loro da Garcia e videro la macchina di Reid posteggiata, intorno alla quale sostavano Carlson e gli altri poliziotti ad attenderli. Dopo aver spento il motore, scesero dal veicolo già con i giubbotti antiproiettili indossati e raggiunsero gli altri. C’era anche due ambulanze con dei paramedici, pronti nell’evenienza in cui ce ne fosse stato bisogno.
Derek si stacco dal gruppo avviandosi subito ad estrarre la torcia che usò per illuminare l’interno del SUV che aveva portato lì Reid in cerca nemmeno lui sapeva di cosa. Poi si voltò di nuovo verso i colleghi.
“Il magazzino che ci avete indicato è quello.” Disse Carlson indicando alla loro sinistra. “Da questa parte non c’è nessun ingresso. Sembra abbandonato.”
“Ma siamo nel posto giusto...” aggiunse Emily indicando con la testa il veicolo scuro del collega.
“Forse lo ha solo attirato qui per portarlo da qualche altra parte.” Azzardò l’agente Hotchner guardandosi intorno. “Dov’è Dave?” domandò poi e anche gli altri due agenti si voltarono scrutando ogni angolo intorno a loro. Sembrava sparito.
Poi un rumore di boscaglia precedette un grido. “C’è un sentiero!” sentirono dire da un lato dell’enorme capanno. Era la voce di Rossi. I tre agenti sfilarono le pistole dalla fondina e si avviarono verso il luogo da cui era provenuto il richiamo seguiti a breve da Carlson. All’imbocco di un sentiero alla destra del magazzino, nascosto da alcuni rami, ritrovarono David che tornava verso di loro. “Potrebbe essere passato da qui, ci sono alcuni rami spezzati.”
Aaron si voltò verso il detective, “Lei e i suoi uomini coprirete il lato opposto, noi quattro possiamo da questo sentiero. Dobbiamo trovare una porta da cui fare irruzione all’interno.” Ordinò e l’uomo si riportò dai suoi uomini per muoversi dal lato sinistro della costruzione.
Si stavano per incamminare quando il rumore di uno sparo risuonò in lontananza. Ebbero la conferma che erano nel luogo giusto. E che non c’era un minuto da perdere.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Then you catch him CAP27 CAPITOLO 27
 
Dopo aver sparato Spencer aveva visto cadere sia Nathan che JJ a terra. Sperava di avere la visuale libera, ma il giovane aveva intercettato il movimento della donna e l’aveva immediatamente ritirata verso di sé, quando ormai Reid aveva già premuto il grilletto. Non si era ancora perdonato l’errore, forse avrebbe dovuto aspettare ancora qualche secondo prima di lasciar partire il colpo.
Si affrettò verso i due corpi a terra, allontanando per prima cosa il bisturi dalle mani di Nathan che lo fissava con il respiro corto. Calciò via la lama metallica afferrando poi Jennifer e sollevandola. La allontanò dal suo aguzzino prendendola tra le braccia. “JJ...” la chiamò con terrore, e la donna aprì gli occhi guardandolo.
“Sto bene.” Sussurrò, ma lo sguardo del magro agente indugiò prima sul suo collo ferito e poi sul braccio che sanguinava. La poggiò a terra contro la parete vicina, esaminando meglio il taglio che le aveva provocato il proiettile sparato dalle sue mani. “Spence, non è nulla, mi hai colpito di striscio..” lo calmò la donna. “Va da lui.” Gli intimò poi indicando il ragazzo a terra in preda agli spasmi.
Ci volle qualche secondo perché Spencer metabolizzasse quelle parole, alzandosi per raggiungere Harris. Lasciò la pistola a JJ e si chinò accanto al giovane. Lo aveva colpito alla spalla e stava perdendo molto sangue. “Mi...mi sembra di aver già vissuto questa scena...” pronunciò Nathan con un filo di voce cercando di ridere, ma quello che venne fuori dalle sue labbra fu solo un lamento di dolore.
Il piccolo genio sollevò gli occhi in cerca di qualsiasi cosa gli potesse essere d’aiuto per tamponare la ferita. Vide degli asciugamani che subito si diresse a prendere, tornò e si abbassò nuovamente stringendo la spugna sulla spalla dell’S.I. “Ti farò un po’ di male.” Lo avvertì cercando di mantenere un tono di voce calmo.
“Perché lo fa dottor Reid? Non le è bastato salvarmi la vita una volta?” domandò il ragazzo nell’affanno.
Spencer sospirò profondamente, voltandosi verso l’agente Jareau per assicurarsi che andasse tutto bene. Lei sostenne sicura il suo sguardo, ma notò la macchia di sangue allargarsi sulla camicia. Tornò a concentrarsi su Nathan. “Non posso lasciarti morire, non sarebbe...giusto.”
Rapidamente si sollevò sulle gambe afferrando un altro asciugamani e ponendolo sulla ferita della collega. “Tienilo premuto.” Le disse e lei eseguì. Tornò poi dal ragazzo agonizzante che lo fissava con gli occhi sbarrati.
“Non merito tutto questo...” pronunciò ancora Harris, ma l’agente gli consigliò di non parlare.
In quel momento si spalancarono le porte e videro entrare Hotch e Dave, seguiti da Derek ed Emily. “Li abbiamo trovati!” gridò Morgan verso l’esterno.
“Serve un’ambulanza.” Disse Reid non smettendo di occuparsi del giovane.
Subito Prentiss corse verso la collega, aiutandola ad alzarsi in piedi. “Stai bene?” le domandò posando gli occhi sulla ferita del collo e sull’asciugamani macchiato di sangue che reggeva contro il braccio.
Jennifer annuì “Si sto bene, sono ferite superficiali.” La rassicurò lasciandosi accompagnare fuori dalla struttura.
I tre agenti incitavano l’arrivo dei paramedici, mentre gli occhi di Spencer cominciavano a tradire della paura. Nathan si faceva sempre più affannato. Infine un uomo intimò a Reid di spostarsi, così che potessero caricare il giovane sulla barella per portarlo fuori.
Il magro ragazzo si sollevò in piedi guardandosi le mani insanguinate, sentendo dopo poco una mano poggiarsi sulla sua spalla. “Hai fatto quello che dovevi.” Lo consolò la voce di Morgan, dandogli una pacca amichevole. L’agente non ottenne risposta, ma sentì solamente il collega scivolargli da sotto la presa e lo vide avviarsi fuori dal magazzino. Per il momento non lo seguì.
 
Aveva perso la cognizione del tempo che aveva passato lì fuori al freddo. Si era isolato dal resto dei rumori, semplicemente pensando a quello che era avvenuto poco tempo prima. Aveva rischiato di uccidere Nathan e anche Jennifer. Ma la sua collega ne era uscita quasi del tutto illesa. Si era subito precipitato ad aiutare il giovane, e al momento non riusciva a pensare lucidamente alle statistiche che lo avrebbero illuminato nel capire se se la sarebbe cavata oppure no. Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da un rumore di passi alle sue spalle. “Perdonami per prima.” Disse sicuro dell’identità della persona che era dietro di lui.
“Non hai nulla di cui scusarti.” Gli rispose Derek alzando le spalle.
Il magro agente si voltò incontrando gli occhi scuri del collega. “Avrei preferito non essere costretto a sparare, ma ho avuto paura per JJ.”
“È normale, ragazzino, tutti avrebbero fatto la tua stessa scelta.”
“Ma non potevo lasciarlo morire...”
“Hai fatto tutto il possibile per salvarlo. Non puoi incolparti di nulla.”
Reid sospirò abbassando lo sguardo verso i suoi piedi e calciando un sassolino. “Mi sembra di essere tornato a quattro anni fa. Le sensazioni sono ancora vive nella mia memoria. È successo proprio quello che temevo, l’avevo detto a Gideon.”
“E lui cosa ti aveva risposto?”
Morgan aveva toccato proprio la corda giusta, solo la risposta di Jason risuonava ora nella mente di Spencer, dopotutto anche quella non era molto lontana dalla realtà. Sollevò di nuovo lo sguardo prima di rispondere. “Che lo avrei arrestato se fosse tornato per uccidere.”
Derek sorrise avvicinandosi all’agente e porgendogli un panno pulito per asciugarsi le mani. Anche il giovane si lasciò andare ad un lieve sorriso mentre afferrava l’oggetto dalle mani del collega, cominciando a sfregare le dita. “In che ospedale li stanno portando?” domandò poi.
“Al centrale.” Rispose l’agente di colore.
“Posso tenerlo?” domandò Spencer indicando il panno e cominciando ad avviarsi fuori da quella radura.
Morgan lo seguì con lo sguardo. “Certo, ma...dove stai andando?”
“Devo fare una cosa. Ho una promessa da mantenere.” Disse velocemente scomparendo allo sguardo del collega e raggiungendo il suo SUV.
 
Le luci dell’ambulanza e dei lampeggianti della polizia illuminavano quella radura di fronte all’ingresso del capanno, quando Emily e JJ si avvicinarono ai medici. Prentiss aveva costretto la donna a farsi controllare.
“Sto bene, come devo dirtelo?” continuava a ripetere l’agente Jareau alla collega per convincerla, ma una volta arrivati al cospetto del dottore costui la fece sedere sul retro del veicolo.
“Ha battuto la testa?” domandò accendendo una piccola luce e indirizzandola contro le iridi blu della ragazza.
“Non che io ricordi...” fu la sua risposta mentre osservava i movimenti dell’uomo che subito le sollevò il viso per controllare la ferita al collo. “Diglielo anche tu che sto bene.” Disse rivolta alla mora che stava assistendo alla scena e che le sorrise non dicendo nulla. Capiva che sicuramente JJ era ancora in stato di shock e l’adrenalina le stava facendo sentire meno dolore di quanto avrebbe dovuto.
Il medico si concentrò sull’altra ferita sollevandole il braccio e togliendo l’asciugamano che la donna stava ancora stringendo. Esaminò il taglio da varie angolazioni.
“Il proiettile mi ha colpito di striscio.” Spiegò Jennifer.
“Ci vorranno dei punti, e ha bisogno di recarsi in ospedale per fare altri controlli.” Diagnosticò l’uomo facendole poi cenno di salire sull’ambulanza. La ragazza si sollevò ed entrò nel veicolo voltandosi poi verso la collega che si rivolse al medico.
“Posso accompagnarla?” domandò e dopo un cenno affermativo dell’uomo salì anche lei sul retro dell’ambulanza seguita da lui. Nel momento in cui si voltò per chiudere le portiere l’ultima cosa che le due donne riuscirono ad intravedere fu la barella con su Nathan Harris che veniva caricata sulla seconda ambulanza. Si guardarono sperando che il ragazzo se la fosse cavata, non osavano immaginare altrimenti la reazione di Spencer.
JJ si concentrò quindi sull’uomo che le chiese di togliere la camicia per poter cominciare a medicare il taglio, mentre Emily prese posto proprio quando il veicolo si metteva in moto e partiva.
 
Osservava il turbinio di volti e luci sopra di sé senza riuscire a distinguerli con nitidezza. L’ultimo che era riuscito a vedere chiaramente era il volto del dottor Reid, ancora una volta chino su di lui che gli prestava aiuto e che gridava la necessità di un’ambulanza per salvarlo. Anche il suono che raggiungeva le sue orecchie era confuso.
Si sentì sollevare da terra per qualche secondo, prima di ritrovarsi su una superficie dura e liscia al quale delle mani lo stavano assicurando, ponendogli sul viso una maschera che lo avrebbe dovuto aiutare a respirare meglio. Ma il dolore alla spalla era troppo forte, ora che qualcuno gli stava strappando via la maglietta e stava toccando la ferita.
Si stava muovendo, traballando per il terreno irregolare sotto le ruote della barella, le luci erano più insistenti e non riconosceva nessun volto mentre entrava in un ambiente neutro, con una forte luce bianca, calda. Si fermò improvvisamente mentre le mani continuavano a toccarlo, apponendogli sul petto dei cavi che avrebbero dovuto controllare il suo battito cardiaco. Lui lo sentiva rimbombare nella sua spalla, sempre più lento.
Sentì dei colpi non lontani da lui, poi il rumore del motore e ricominciò a muoversi. Resistette pochi secondi guardandosi ancora intorno, confuso, prima di perdere i sensi.
 
Aveva percorso la strada con tranquillità e ora stava attendendo che la porta alla quale aveva bussato si aprisse. Ancora una volta era un’ora tarda, ma si trattava di una visita necessaria.
Osservava le mani ancora macchiate del rosso del sangue quando finalmente il battente si aprì. “Dottor Reid...” pronunciò nel panico la donna all’interno.
Spencer si schiarì la gola prima di rispondere. “Le avevo promesso che le avrei portato qualsiasi notizia su suo figlio.” Sarah si irrigidì per la paura. “L’abbiamo trovato, ma sono stato costretto a sparargli. La accompagno all’ospedale, non so nemmeno io quali sono le sue condizioni.” Ammise in tutta onestà.
“Si accomodi.” Si premurò ad affermare la signora Harris aprendo la porta e lasciandolo entrare. “Sarò pronta in pochi minuti. Se nel frattempo vuole lavarsi le mani..il bagno è la seconda porta a destra.” Lo invitò indicando i suoi palmi prima di scomparire nel corridoio lasciando solo l’agente che cominciò a pensare a quello che aveva appena fatto, mentre si indirizzava verso il servizio. Aveva confessato ad una madre di aver sparato al figlio, si stupiva di come questa non l’avesse cacciato via.
Si lavò accuratamente le mani, strofinando con forza via il sangue e dopo averle asciugate, ritornò nel salotto attendendo la donna. In pochissimo Sarah Harris tornò nell’ingresso facendo cenno al ragazzo di essere pronta ad andare. I due uscirono di casa e dopo che la donna chiuse la porta si avviarono alla macchina.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Then you catch him CAP28 CAPITOLO 28
 
Dopo aver finito di perlustrare il magazzino dove Nathan si rifugiava, Aaron e Dave uscirono all’aria aperta, dove ormai le due ambulanze erano andate via. Venne incontro a loro il Detective Carlson, allungando una mano verso l’agente supervisore. “Agente, la ringrazio. Se non fosse stato per voi non l’avremo mai preso.” Disse stringendo energicamente la presa.
“Vanno repertate le prove, ci sono tutti i capelli delle vittime che il giovane ha conservato come trofei. Ora è tutto nelle vostre mani, vi faremo avere le prove che sono rimaste a Quantico.” Lo informò Rossi, portandosi le mani in tasca e sorridendo.
“Il ragazzo lo stanno portando in ospedale, non sanno ancora se se la caverà.”
“Lo raggiungeremo. Anche l’agente Jareau è stata portata al centrale per dei controlli.” Lo rassicurò Hotchner.
Carlson scosse la testa. “Ancora grazie.” Ricordò vedendoli allontanarsi, per dirigersi al SUV sul quale salirono, mettendolo in moto. Un altro caso era stato risolto.
 
Non riusciva più a capire quanto tempo fosse passato da quando tutti erano fuggiti fuori dall’edificio dell’FBI ormai occupato solo da lei. Era sdraiata sulla sedia con in mano un buffo pupazzo da usare come antistress. Lo rigirava nervosamente tra le mani lanciando continui sguardi al telefono e al monitor del suo computer. Improvvisamente lo squillo la fece quasi sussultare, gettandola nel panico. Rispondere o non rispondere? Non sapeva cosa si sarebbe dovuta aspettare dalla voce all’altro capo.
Timorosa si avvicinò all’apparecchio, strizzando ancora di più l’oggetto tra le sue mani e con un tocco tremante schiaccio il tasto di risposta. “Si?” domandò.
“Bambolina!” era la voce del suo affascinante collega, che le strappò un sorriso facendole per un attimo dimenticare la tensione precedente.
“Cosa succede?” chiese tornando alla realtà della situazione.
“L’abbiamo preso.” Disse trionfante. “Come potevi dubitare delle abilità del tuo agente preferito?” le domandò accarezzandosi la testa con la mano libera e ridendo.
Penelope si sistemò più comoda sulla sedia sporgendosi verso il telefono. “Mai dubitato mio concentrato di ormoni..JJ come sta?”
“Bene, l’hanno portata all’ospedale per dei controlli.”
“È ferita?” la voce della tecnica si incrinò lievemente.
“Reid l’ha colpita di striscio per sparare a Nathan.” Spiegò brevemente Morgan, guardandosi intorno nella radura da cui non si era allontanato dopo aver parlato con Spencer.
Garcia sobbalzò sulla sedia. “E lui è...” non riuscì a completare la frase.
“No, è gravemente ferito ma lo hanno portato in ospedale per salvarlo. Potrebbe farcela.”
“E il genietto? Lui...lui come sta?”
“Ho parlato con lui fino a pochi secondi fa, poi è andato via perché aveva una promessa da mantenere. È turbato, ma sembra aver capito. Ora vado con gli altri al centrale per avere novità. Ci vediamo dopo zuccherino...” cominciò a dire ma fu interrotto dalla voce perentoria della donna.
“Eh no! Tu mi vieni subito a prendere e andiamo insieme. Non dimenticarti che c’è anche JJ in ospedale.” Lo sgridò.
Morgan si lasciò andare ad una sonora risata. “Come ti si può dire di no bambolina? Sto arrivando.”
“Ti aspetto, mio cavaliere. Io ti aspetto sempre.” Gli rispose chiudendo la comunicazione e lasciandosi andare ad una risata liberatoria. Era tutto finito.
 
A quell’ora di notte, l’ospedale era deserto e i loro passi rimbombavano prepotenti nel tranquillo ambiente. Spencer camminava a passo spedito, seguito dalla donna ancora intontita dall’essere stata svegliata e scagliata in quella dura realtà. L’agente si avvicinò all’accoglienza, sorridendo ad una infermiera che si avvicinò a lui. “Agente Speciale Spencer Reid,” si qualificò mostrando il distintivo. “Dovrebbero essere arrivate due ambulanze, una con il paziente Nathan Harris e l’altra con l’agente Jennifer Jareau.”
Sarah alle sue spalle sospirò pesantemente in attesa di conoscere le sorti di suo figlio, mentre la giovane tirò fuori le cartelle degli ultimi ricoveri. “Si, Nathan Harris, ferita da arma da fuoco, è in sala operatoria al momento. Potete aspettarlo da quella parte,” indicò un corridoio alle loro spalle, “c’è un’altra agente che aspetta.” Li informò.
Reid sorrise ringraziando e si indirizzò verso il corridoio indicatole dall’infermiera, facendo cenno alla signora Harris di seguirlo. Girato l’angolo si trovarono davanti Emily seduta su una sedia, che al vederli si sollevò in piedi. “Signora Harris...” disse dirigendosi verso di lei e porgendole una mano che la donna strinse delicatamente.
“Come sta mio figlio?” domandò immediatamente stringendosi con la mano libera la giacca che indossava.
L’agente Prentiss sollevò lo sguardo verso il collega per capire cosa la donna sapeva già e cosa no, ma fu interrotta dal rumore di una porta che si apriva alle sue spalle. Si voltò e vide apparire il medico. “I parenti di Nathan Harris?” chiese guardando le tre figure che aveva di fronte.
“Sono la...sono la madre.” Balbettò Sarah avvicinandosi all’uomo in camice.
“La prego, mi segua.” Rispose lui, facendole segno di precederla all’interno. Spencer ed Emily rimasero soli.
“Come sta?” chiese il ragazzo spezzando il silenzio.
La donna si voltò tornando a sedersi, poi alzò gli occhi verso il collega. “Lo sai com’è JJ. Continuava a ripetere che va tutto bene e che sta bene, ma il medico ha voluto portarla qui comunque. Aveva bisogno di punti, ma sta alla grande. È una donna forte.” Lo rassicurò regalandogli un sorriso. Non poteva dimenticare le condizioni in cui l’aveva visto qualche ora prima. Tutto quel caso era stato molto pesante per lui, e ancora doveva sciogliersi del tutto.
A quelle parole il dottor Reid si sentì sollevato e decise di prendere posto anche lui, sedendosi di fronte a Prentiss. Dopo pochi secondi furono raggiunti dal rumore di passi e videro arrivare Hotch e Dave, che fissarono il loro sguardo sul giovane, che si alzò sentendosi inquisito. “Dove eri finito? Oggi ci sfuggi continuamente.” Ironizzò Rossi, sedendosi accanto alla collega. Hotch si lasciò scappare un velato sorriso per l’espressione sul volto del ragazzo, poi prese posto anche lui.
“Avevo promesso a Sarah Harris che l’avrei informata di qualsiasi novità su suo figlio e quindi mi è sembrato giusto portarla subito qui.” Spiegò brevemente.
“Cosa le succederà?” chiese Emily poggiandosi con i gomiti sulle ginocchia e sporgendosi in avanti. “Ci ha tenuto nascoste informazioni su Nathan che ci avrebbero potuto far arrivare prima a lui.”
“Se ne occuperà chi di dovere. Noi abbiamo risolto il caso..e questo è quello che importa.” Le rispose David, sistemandosi meglio sulla sedia.
Reid si guardò intorno prima di riprendere posto sul sedile che occupava precedentemente all’arrivo dei colleghi. Poi domandò, “Ma Derek?”
I tre fissarono lo sguardo su di lui, guardandosi poi tra di loro. “È uscito dal capanno poco dopo di te.” Osservò Aaron. “Pensavamo ti avesse raggiunto.”
“Si...si...abbiamo parlato ma poi io sono andato via da solo.” spiegò.
“Ma che succede agli agenti dell’FBI? C’è un mega torneo di nascondino e nessuno mi ha avvertito?” scherzò l’agente Rossi, prima di essere interrotto da un agitato rumore di tacchi che arrivava dal corridoio, che fu presto seguito da una frizzante voce.
“Pensavo ci sarebbe voluto di più.”
“Bambolina, tu mi sottovaluti.”
Da dietro l’angolo apparve Penelope Garcia, subito seguita da Derek. “Mh...dovresti mostrare meglio le tue qualità per non farti sottovalutare. Io sono pronta.” Scherzò la donna prima di incrociare gli occhi dei colleghi, lasciando quindi l’agente di colore senza la possibilità di replicare.
“Ci stavamo chiedendo che fine avessi fatto...” esordì David sorridendo al collega che era rimasto senza parole al trovarsi davanti quella schiera di persone.
“Colpa mia!” esclamò Garcia dirigendosi verso Emily e buttandosi a sedere accanto a lei. “Mi sono fatta passare a prendere, non potevo non venire qui a vedere come stava JJ.” concluse poggiando la testa sulla spalla della collega.
“Starà facendo impazzire il medico. Già sull’ambulanza gliene ha fatte vedere delle belle.” Raccontò Prentiss trattenendo a stento delle risate.
“L’adrenalina ancora in circolo.” Aggiunse Dave. Poi tutti si accorsero dell’estremo mutismo in cui si era gettato Spencer dall’altra parte del corridoio. Lo osservarono senza essere capaci di dire nulla. Un rumore improvviso li fece voltare verso la porta dalla quale venne fuori Jennifer. Subito Emily e Penelope le corsero incontro e l’informatica la abbracciò provocandole una smorfia di dolore.
“Scusa JJ...” si mortificò allontanandosi.
“Non avevi detto che non sentivi alcun dolore?” ironizzò la mora togliendole dalle mani la giacca che teneva e poggiandola sulla sedia vicina a loro.
L’agente Jareau inclinò il capo. “Adrenalina...” disse. “Avrei preferito che fosse rimasta ancora un po’.”
“Fa tanto male?” domandò Derek che nel frattempo l’aveva raggiunta con Hotch e David.
La bionda scrollò le spalle prima di rispondere. “Sopportabile...sono i punti che tirano la cosa più antipatica. Ma mi riprenderò in fretta e l’importante è essere uscita di qui. Ma...la donna che ho visto dentro è Sarah Harris?” domandò indicando verso la porta da cui era uscita.
Aaron scosse il capo, “Reid l’ha portata qui.”
Jennifer subito si ricordò della reazione del giovane quando la teneva prigioniera. Quella luce particolare che aveva attraversato i suoi occhi quando aveva parlato del suo bambino. “Lui non l’ha perdonata.” Disse e tutti la guardarono interdetti. “Nathan non l’ha perdonata per averlo abbandonato.” Spiegò meglio. “Si è...ha reagito in maniera strana quando ho parlato di Henry. Nei suoi occhi c’era malinconia, tristezza.”
“Non ti ha toccata per questo.” Aggiunse Emily accarezzandole il braccio sano. “Tu non sei come la donna che voleva punire, e lui l’ha capito.”
“Ma ora? Riusciranno a risanare questo strappo?” incalzò la liaison.
Nessuno seppe rispondere alla sua domanda, e Penelope si girò verso il piccolo genio seduto in un angolo. Non aveva avuto nemmeno il coraggio di alzarsi per avvicinarsi alla collega, la pressione che stava subendo dalla situazione doveva essere estrema. Prentiss notò la direzione verso cui Garcia stava guardando e fissò anche lei gli occhi sul ragazzo che gli sembrò indifeso come qualche ora prima. Poi tornò a voltarsi verso i colleghi. “Ehm...” si schiarì la voce. “A chi andrebbe un caffè?” disse tra i denti e tutti a partire dall’analista assentirono prima di allontanarsi da JJ e scomparire oltre il corridoio.
Jennifer spostò quindi lo sguardo sul piccolo genio seduto sulla sedia, non aveva nemmeno il coraggio di guardarla. Si avvicinò a lui, si sedette e prese la sua mano tra le sue. Solo allora lui riuscì a guardarla, mentre gli regalava un dolce sorriso.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Then you catch him CAP29 CAPITOLO 29
 
“Si accomodi...” il medico aveva invitato Sarah Harris a sedersi nel suo ufficio, mentre si richiudeva la porta alle spalle. La donna timorosa si fermò vicino alla sedia senza essere capace di accomodarvisi. Vide passare oltre i vetri la bionda agente dell’FBI che lavorava con il dottor Spencer Reid. La sua attenzione fu però subito ricatturata dall’uomo con il camice che fissò preoccupata. “La prego. Deve sedersi.” Ripetè il dottore girando oltre il tavolo per prendere posto sulla sua poltrona, portandosi di fronte un fascicolo.
La donna si decise finalmente e si sedette sul bordo della sedia, quasi in bilico. L’uomo la scrutò prima di inforcare gli occhiali e abbassarsi ad aprire la cartelletta. “Suo figlio è stato ferito da un colpo di arma da fuoco, che ha fratturato un osso e provocato un’ingente perdita di sangue. Se non avessero arginato la fuoriuscita ematica con quell’asciugamano a quest’ora sarebbe già morto. Il proiettile è già stato estratto e l’operazione sta per finire. Presumibilmente non dovrebbero esserci controindicazioni. Dovrà restare sotto osservazione per del tempo, ma non deve preoccuparsi.”
Quelle parole rincuorarono la donna, che subito si lanciò a chiedere. “Posso vederlo?”
Il medico si tolse gli occhiali, poggiandoli sui fogli che aveva appena finito di consultare. “Non appena uscirà dalla sala operatoria sarà portato in una stanza dove smaltirà l’anestesia. Le ricordo che suo figlio sarà sotto custodia della polizia e dei federali non appena varcherà quelle porte. Dovrà riposare, ma non appena riprenderà coscienza non c’è nulla di medico che le impedirà di vederlo. Dovrà però essere autorizzata dalle autorità.” Spiegò l’uomo riportando la signora Harris nell’abisso in cui si era dimenticata di essere caduta. Si era dimenticata perché tutto fosse cominciato, si era dimenticata che suo figlio presto sarebbe finito in carcere. “Signora, va tutto bene?” domandò il dottore vedendola assorta nei suoi pensieri.
Sarah si riscosse. “Si...si, tutto bene. Grazie per le sue informazioni. Posso aspettarlo nella stanza dove verrà portato dopo l’operazione? Se la polizia me lo permette ovviamente.” Domandò timorosa.
“Certo. L’accompagno subito.” Disse l’uomo, facendole strada verso un corridoio interno. In breve raggiunsero una zona tranquilla, dove c’era un modesto spiegamento di ufficiali in divisa. Il detective Carlson si stava coordinando con i suoi sottoposti, quando il medico lo interruppe per introdurre la signora Harris.
“È la madre del ragazzo.” spiegò mentre lei allungava una mano verso l’agente che gliela stringeva con forza.
“Volevo solo poter aspettare mio figlio e vederlo quando uscirà dalla sala operatoria.” Disse con riverenza.
Il detective Carlson si voltò verso i suoi uomini, prima di guardare la donna e risponderle. “Ci saranno dei poliziotti sempre di guardia. A parte questo, non credo che ci siano problemi.”
La donna si allargò in un sorriso, prima di ringraziare nuovamente il medico che si congedò gentilmente, lasciandola nelle mani del capo del dipartimento che la fece accomodare in una sedia in quella stanza ancora così vuota. Sarah non poteva smettere di pensare a tutto quello che era successo e non riusciva ad immaginare come sarebbero andate le cose. Si chiedeva se Nathan l’avesse perdonata e come avrebbe preso la sua presenza lì. Non lo vedeva da troppo tempo, non gli parlava da troppo tempo.
Si sporse in avanti poggiando i gomiti sulle ginocchia e lasciando affondare il suo viso tra le mani. Lui uccideva donne che somigliavano a lei perché non poteva arrivare direttamente a lei. Questo non cambiava il fatto che lei fosse decisa ad aspettarlo e a provare a parlargli. Di nuovo.
 
In breve i cinque agenti raggiunsero una macchina del caffè in fondo ad un corridoio. A quell’ora, a parte la zona dell’accettazione, l’ospedale era completamente deserto. Il primo a lanciarsi sul dispenser per prepararsi una tazza di caffè fu Derek. Introdusse le monete ed schiacciò un pulsante per avere una tazza del liquido scuro, poi si voltò appoggiandosi al muro mentre attendeva, guardando i colleghi che attendevano il loro turno.
“Hai parlato con Reid?” domandò Emily al collega di colore, gli aveva sentito dire che si era intrattenuto con lui dopo essere uscito dal magazzino.
Morgan scosse il capo. Non voleva scendere nei dettagli di quello che si erano detti, conosceva la sensibilità del ragazzo e voleva tutelarla. “Era scosso...per JJ, per Nathan, per tutta la situazione.” Disse semplicemente.
“Ora come sta?” incalzò Rossi.
“Sembra che abbia capito di aver fatto solo quello che andava fatto.” Un suono lo avvisò che il caffè era pronto, così si voltò a prenderlo, lasciando che ora Aaron preparasse il suo.
Penelope osservava i colleghi, quando finalmente decise di dar voce ai suoi pensieri. “Ma se Nathan non dovesse farcela?” domandò indugiando a turno sul viso di tutti, soffermandosi poi su quello dell’agente di colore. “Voglio dire...si riterrà responsabile di averlo ucciso lui.”
Calò il silenzio, perché fondamentalmente la donna aveva espresso quello che vagava nella mente di ciascuno di loro da molto tempo, senza che però nessuno avesse il coraggio di farlo prima di lei.
Hotch si voltò con la tazza fumante tra le mani, “Magari sul momento potrà pensarlo, ma Reid è intelligente e con il tempo dovuto capirà che ciascuno di noi è artefice del proprio destino. Nathan ha scelto di uccidere e di ingaggiare questo scontro contro di lui. Ha voluto lui che reagisse. Riuscirà a superarlo.”
Mentre Dave si apprestava a ordinare anche la sua razione di liquido caldo Prentiss si avvicinò a Garcia poggiandole una mano sulla spalla. Vide il suo sguardo smarrito e cercò di confortarla. “Non è ancora detto che lui non si salvi.” Ricordò alla collega, che in risposta le sorrise dolcemente.
Quando Rossi finì con la macchina del caffè lasciò che anche le due donne lo preparassero per sé. Rimasero tutti in silenzio a sorseggiare dalle loro tazze, quando la loro attenzione fu attirata dal rumore di alcuni passi che si affrettavano nel corridoio.
 
Sentiva il calore di quelle dita tra le sue, e continuava a fissare quelle iridi blu. Era stanca, lo vedeva con chiarezza, ma d’altronde era pur normale vista la nottata che aveva passato.
“Non è colpa tua, vuoi capirlo?” disse la donna spezzando il silenzio che si era creato tra di loro.
Gli occhi di Spencer tremarono non smettendo di perdersi in quelli di JJ. “Mi dispiace...” pronunciò in un sussurro appena udibile.
La collega si lasciò andare ad una lieve risata. “Sono qui e sto bene. Se tu non avessi sparato, magari sarebbe andata peggio.” Spiegò e il tocco della mano del ragazzo divenne nervoso, prima di slacciare la presa allontanandosi.
Il giovane si mise in piedi allontanandosi di qualche passo da Jennifer che ora aveva mutato il suo sguardo con uno dubbioso. Che avesse detto qualcosa di sbagliato?
“Non pensare ad ora.” Spiegò triste lui. “Pensa a quel momento. Pensa, se non ti avessi solo colpita di striscio?” la sua voce si incrinò mentre non riusciva a tenere il pensiero fisso su quella possibilità per un secondo di più.
“Hai una mira perfetta e io mi fido di te.” Rispose lei.
Il piccolo genio scosse il capo abbassandolo. “Sai meglio di me che non è vero...sai che la mia mira il più delle volte non è giusta. Ti potevo fare del male. Avrei dovuto aspettare che fossi lontana.”
L’agente Jareau si sollevò a sua volta sulle gambe, lasciando le braccia lunghe sui fianchi. “Non farlo...” lo pregò. “Non pensarci nemmeno. Hai fatto solo quello che andava fatto e che chiunque avrebbe fatto. Lui mi stava minacciando, è arrivato a ferirmi. Spence...tu mi hai salvato la vita!” continuò scandendo bene le parole.
Reid alzò di scatto la testa fissandola, mentre JJ sosteneva il suo sguardo allargandosi in un sorriso. La bionda fece qualche passo in avanti, raggiungendo il collega. Allungò le braccia portandole delicatamente intorno alla vita di lui e poggiandosi con la guancia contro la sua spalla. Era il suo modo di dirgli grazie.
Inizialmente il federale non seppe bene come comportarsi. Gli ci volle qualche secondo per rispondere all’abbraccio della ragazza, portando anche lui le braccia a cingerla. Tutto sommato aveva ragione. Doveva semplicemente pensare che lei era lì e che stava bene. E Nathan stava per essere assicurato alla giustizia.
La strinse con più forza, lasciando che i morbidi capelli gli sfiorassero il viso in quel corridoio vuoto e silenzioso. “Ti fa male?” domandò dopo qualche minuto, senza allontanarsi da lei.
La donna si spostò quel tanto che bastava per guardare il collega in viso e inclinò il capo. “Un po’.”
“Ti resterà la cicatrice.” La avvertì lui, disegnando una smorfia sulle labbra.
JJ alzò le spalle, “Non importa.” Disse, poi si aprì in un sorriso. “Vorrà dire che quando la guarderò penserò a te.” Concluse, non riuscendo più a sostenere quello sguardo, così che nascose il viso contro il maglione del ragazzo. Stringendolo di nuovo.
Spencer arrossì per le parole della donna che si era subito stretta di nuovo a lui. Non ebbe nemmeno il tempo di formulare un pensiero su quello che stava accadendo, che una voce lo raggiunse dal fondo del corridoio. “JJ!”
I due ragazzi si sciolsero dall’abbraccio, voltandosi verso il luogo da cui proveniva quella voce. Will si stava affrettando verso di loro, con il volto preoccupato. Raggiunta la donna la abbracciò con vigore e Spencer preferì farsi da parte, indietreggiando di qualche passo.
“Non tornavi a casa e non rispondevi al telefono, così sono passato dall’ufficio e mi hanno detto che eri qui.” Pronunciò l’uomo velocemente. “Cosa ti è successo?”
Jennifer cercò di allontanarsi dalla presa troppo vigorosa del compagno per cercare di spiegargli qualcosa, senza contare il fatto che la ferita ricominciava a farle male. “Niente di grave. Mi hanno dato qualche punto, ma sto bene.” Rispose, accarezzandosi il braccio.
“Non sai come ero in pensiero.”
La donna sorrise, “Spence mi ha salvato la vita.” pronunciò dal nulla e Reid trasalì di colpo, voltandosi verso la coppia e incontrando gli occhi del detective LaMontagne che lo scrutava e che cominciò a muoversi per avvicinarsi a lui. Quando lo raggiunse gli batté una mano sulla spalla.
“Grazie...” mormorò al giovane, sorridendogli. Poi portò di nuovo l’attenzione sulla compagna che osservava la scena. “Stai bene?”
“Te l’ho detto...sto bene. Ti spiegherò tutto a casa.” Concluse allontanandosi per recuperare la giacca che Emily aveva gentilmente posato sulla sedia quando era uscita nel corridoio. “Henry come sta?” domandò voltandosi si nuovo, pensando al suo bambino che aveva tanta voglia di riabbracciare.
“Dorme. Non si è accorto di nulla.” La rassicurò il compagno.
Jennifer si sentì più tranquilla, si avvicinò a Spencer per salutarlo. Era giunto per lei il momento di tornare a casa a riposarsi. Guardò per qualche istante il ragazzo senza sapere bene cosa dirgli. “Ehm...ci...ci vediamo in ufficio allora?” formulò infine e in risposta ebbe solo una scrollata di capo dell’agente in segno affermativo.
La donna dopo aver ampiamente sorriso si voltò raggiungendo il compagno che abbassò il mento per salutare il magro giovane. Will allora avvolse JJ con un braccio incamminandosi nel corridoio finché Reid li vide scomparire entrambi dietro l’angolo. Tornava ad occupare quei corridoi da solo, quando la sua mente si ricordò chi ci fosse dall’altra parte di quella porta. Nathan era ancora lì, che lottava tra la vita e la morte. Per colpa sua.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Then you catch him CAP30 CAPITOLO 30
 
“Detective Carlson...” disse Hotch voltandosi verso l’uomo che si stava affrettando verso di loro. Superò tutti i colleghi portandosi in avanti e attese che l’agente si fermasse di fronte a lui. Tutti gli altri si fermarono osservando la scena, tesi.
“L’operazione è quasi terminata. È andata a buon fine, ma il ragazzo dovrà smaltire l’anestesia prima che si possa essere certi dell’esito.” Spiegò il detective rivolgendosi ad Aaron.
Una sensazione di sollievo si aprì nel petto di Penelope principalmente, ma in fretta anche gli altri furono contagiati dallo stesso sentimento.
“Ha perso molto sangue, ma se il vostro collega non avesse arginato la ferita prima che arrivassimo noi, probabilmente non ce l’avrebbe fatta.” Continuò l’uomo in divisa, mentre vedeva rasserenarsi i volti dei cinque agenti. Tutto ciò significava molto per loro, per Reid specialmente. Non si sarebbe dovuto ritenere colpevole di nulla, ma avrebbe capito di aver salvato ancora una volta la vita al ragazzo.
L’agente Hotchner allungò la mano verso il capo del dipartimento di polizia di Washington attendendo che gli offrisse la sua. La strinse avvolgendola anche con l’altra mano. “La ringrazio di averci avvertiti.”
“Al momento la madre è dentro la camera ad aspettarlo, ma se volete parlare con lui, una volta sveglio, non avete che da chiedere. D’altronde l’abbiamo arrestato per merito vostro.”
Un lieve sorriso appena annunciato si disegnò in risposta sulle labbra del supervisore capo, che lasciò la presa sulla mano di Carlson, permettendogli così di congedarsi e di scomparire oltre l’angolo. Aaron si voltò allora verso i colleghi, che stavano finendo di consumare i loro caffè. “Direi che visto l’orario possiamo tornare a casa. Domattina dovremo completare i rapporti in ufficio e se necessario torneremo qui per parlare con Harris.” Ordinò agli altri agenti, che scossero il capo in segno affermativo.
Emily si avvicinò a Penelope abbracciandola con sguardo stanco. Ora che era tutto finito, la fiacchezza si stava abbattendo con pesantezza su di lei. Sollevò una mano verso gli altri, inclinando il capo e avviandosi poi verso l’uscita dell’ospedale. Dopo poco anche Hotch e Dave seguirono l’esempio della donna, lasciando da soli in quel corridoio la bizzarra informatica e l’atletico agente di colore. Derek aveva già finito il suo caffè e guardava Garcia che sorseggiava ancora dalla sua tazza con sguardo assorto.
“Che succede bambolina?” domandò sorridendole.
Lei sollevò gli occhi verso di lui, senza allontanare il bicchiere dalle sue labbra. Lo guardò per un po’ senza rispondere. Poi abbassò il braccio. “Devo fare una cosa!” esclamò afferrando il collega per il braccio e trascinandolo con sé in quei corridoi deserti. Uno sguardo di sorpresa si disegnò negli occhi di Morgan, ma prima che potesse controbattere si fermò a pensare chi fosse la donna con lui. Era abituato ai suoi momenti di follia, quindi semplicemente scosse il capo lasciandosi guidare da quella presa sicura.
 
Aveva ceduto alla sua mente di nuovo. Troppi pensieri si stavano affollando nel suo cervello mandandolo in confusione. Era riuscito a trascinarsi fino ad una sedia sulla quale si era seduto, cominciando a ripensare a ciò che aveva vissuto in quegli ultimi giorni. Non voleva ricadere in quello stato pietoso in cui si era ridotto, alla disperata ricerca del Dilaudid. Lui era più forte di questo, l’aveva dimostrato smettendo di drogarsi, cercando Nathan quando l’aveva provocato. E riuscendo a salvare JJ.
Non bastavano queste parole ripetute dentro di sé per calmarlo. Non era chiaro nemmeno a lui cosa avrebbe potuto fare per calmarsi. Il sangue gli pulsava nelle tempie mentre volgeva lo sguardo verso la porta da cui era venuta fuori Jennifer qualche tempo prima, sperando di vedere anche il giovane camminare verso di lui. Erano tutte allucinazioni.
Abbassò di nuovo il volto tra le sue mani, perdendo la concezione del tempo e dello spazio, fin quando avvertì una voce insistente che lo chiamava. Non rispose subito, credendo che fosse tutto ancora una volta solo nella sua mente. Ma un tocco sulla schiena lo fece sobbalzare dal panico.
Si voltò di scatto alzando la testa e incrociando gli occhi terrorizzati di Penelope che aveva fatto un passo indietro ritraendo anche il braccio. Solo dopo notò che alle sue spalle c’era anche Derek che lo guardava senza spiegarsi bene il perché di quella reazione.
Il genio iniziò a sfregare i palmi delle mani sui pantaloni, respirando profondamente. “Ero...distratto.” si scusò a suo modo, deglutendo a fatica. Si stropicciò infine gli occhi attendendo una replica dai colleghi.
Garcia cominciò a rilassarsi dopo la paura che l’aveva assalita per il modo in cui si era comportato Reid. Si voltò a guardare Morgan, cercando in lui il coraggio per parlare. Poi, voltandosi di nuovo, aprì la bocca, “Abbiamo incontrato il detective Carlson...” Disse e come se fosse appena stata erogata una scossa elettrica alla sedia sulla quale era poggiato, Spencer balzò in piedi, stringendo i pugni. La donna si sbrigò allora a completare la sua frase “...Nathan ha superato l’operazione.” Sorrise stringendo gli occhi dietro la sua bizzarra montatura.
Quella notizia saettò nella mente di Reid che non riuscì a gioirne, né a preoccuparsene di più. Semplicemente non fu capace di provare alcun sentimento per un momento. “Voglio vederlo.” Pronunciò senza nemmeno controllarsi e guardando in attesa di risposta la collega.
Derek si mosse alle spalle della donna, superandola e poggiando una mano sulla spalla del piccolo federale. “Non è ancora uscito dalla sala operatoria, e c’è già sua madre ad attenderlo. Dovrà smaltire una forte anestesia.”
Il giovane sospirò, cominciando a sentire allentarsi lievemente la tensione dentro di lui. Forse quella poteva essere l’occasione per la signora Harris di chiarire con il figlio, di ricostruire un rapporto. Seppur non sapeva quanto ciò sarebbe stato possibile. Si era rotto qualcosa in profondità tra di loro. Forse troppo in profondità.
Riportò l’attenzione sui colleghi che lo guardavano. “Non ce l’avrebbe fatta senza il tuo aiuto. Se non avessi fermato l’emorragia dentro il magazzino, sarebbe stato spacciato.” Aggiunse Garcia, orgogliosa del suo collega. Lei aveva visto come si era premurato per aiutare Nathan la prima volta, ed era certa che anche stavolta ci avesse messo la stessa attenzione. Anche se non era presente, lo sentiva dentro di sé. Tra il genietto e il ragazzo si era stabilito un legame particolare, ed era per questo normale che gli volesse parlare. Ma l’avrebbe fatto solo a tempo debito.
Penelope fece qualche passo in avanti dando un buffetto al ragazzo, che non poté trattenere un lieve sorriso. Come sempre, a quella donna non si poteva resistere. “Ora devi riposarti però. Ne hai bisogno.” Lo rimproverò bonariamente.
Il dottor Reid cominciò a scuotere la testa, “Voglio aspettare qui di potergli parlare.” Protestò, spingendo Morgan ad intervenire.
“Ragazzino, sono andati tutti a casa. Domani abbiamo i rapporti da compilare, e non ho nessuna intenzione di dover scrivere anche il tuo. Quindi, ti accompagniamo a casa immediatamente.” Rispose con finto tono d’accusa l’agente che si divertiva a trattare il collega come un fratello minore.
Dinnanzi ad una minaccia del genere, Spencer non riuscì a tirarsi indietro. Era stanco, non poteva negarlo. Lui più di tutti aveva sentito la vicenda su di sé, specialmente a livello psicologico. Avrebbe potuto provare a dormire e l’indomani si sarebbe recato in ufficio. Avrebbe svolto il suo lavoro, come sempre, e poi avrebbe considerato la possibilità di parlare con Nathan. Ne sentiva un immenso bisogno.
Mentre questi pensieri attraversavano la sua mente, sentì il braccio di Derek stringersi intorno alle sue spalle, mentre anche Penelope si portava al suo fianco, serena. Lo stavano portando via, senza che lui potesse opporsi in alcun modo. Si fidò, lasciandosi guidare per quei corridoi deserti, fino all’uscita. Non aveva notato veramente quanto fosse fresca l’aria in quella serata, solo ora la avvertiva pungente sulla sua pelle.
Il SUV si trovava a pochi passi da loro, lo raggiunsero e Spencer prese posto sul sedile posteriore, mentre Derek si poneva alla guida. Quando anche Penelope richiuse lo sportello, l’agente mise in moto il veicolo e la donna si chinò verso di lui, sussurrandogli, “Non credevo si sarebbe convinto così in fretta.”
Morgan rise cominciando la manovra per uscire dal posteggio, “Piccola, so essere molto convincente quando voglio.” Le fece una lieve carezza al volto, concentrandosi poi sulla strada da percorrere, mentre i gridolini della tecnica informatica riempivano l’abitacolo.
Reid guardava le luci della città scorrere fuori dal finestrino velocemente, senza accorgersi di quello che accadeva sul sedile anteriore. Forse per la prima volta nel giro di giorni stava cominciando a rilassarsi, ma sapeva che sarebbe stato solo un fenomeno passeggero. Nella solitudine di casa sua o l’indomani mattina tutto si sarebbe potuto riabbattere su di lui. Sperava di avere la forza di contrastare questa eventualità.
 
Erano passate ore, credeva. Non lo sapeva con certezza. Da quando si era seduta su quella sedia in quella stanza vuota, sotto lo sguardo vigile di quei poliziotti, il tempo aveva preso a scorrere senza controllo.
Si era alzata qualche volta, mettendosi a passeggiare, ma aveva finito per sedersi di nuovo sentendo le gambe cedere lievemente. Poi mentre aveva assunto ancora una volta una posizione in piedi e guardava fuori dalla finestra nel buio di Washington, una strana agitazione l’aveva spinta a voltarsi e aveva visto gli uomini in divisa muoversi verso una barella in arrivo. La speranza si accese in lei.
Dopo alcuni controlli, ai medici era stato permesso di portare dentro il degente, che avevano sistemato vicino all’ossigeno e agli altri attrezzi necessari in caso di emergenza. Sarah aveva ringraziato quegli uomini e solo quando erano andati via aveva osato avvicinarsi a suo figlio. Sembrava tranquillo nel suo letto mentre dormiva, proprio come quando viveva ancora con lei. Ma non poteva ignorare i tubi e le flebo che erano attaccate al ragazzo, per tenerlo sotto controllo. Tutto ciò l’aveva riportata alla realtà.
Il tempo aveva continuato a scorrere mentre attendeva che aprisse gli occhi e la guardasse e un senso di stanchezza si stava impossessando di lei. Non avrebbe dovuto dormire, avrebbe solo dovuto aspettarlo sveglia, ma il sonno fu più forte di lei.
Si svegliò dopo del tempo, quando una voce si rivolse a lei, rabbiosa. “Cosa ci fai tu qui?”
La signora Harris sollevò di scatto la testa dal letto sul quale l’aveva inconsciamente poggiata, incontrando lo sguardo furente di Nathan. Era debole, ma non lo era altrettanto il sentimento nei suoi occhi. “Il dottor Reid mi ha detto quello che è successo. Come ti senti?” gli chiese in un sussurro alzandosi.
“Cosa ti importa?” biascicò il giovane, “Ti sei anche addormentata...” la rimproverò.
La donna pensò che non avesse tutti i torti. Sarebbe dovuta rimanere sveglia, ma non c’era riuscita. “Mi dispiace, ero in pensiero per te.” Disse, provando ad avvicinare una mano al viso del ragazzo, che però la fermò semplicemente guardandola.
“Sei patetica.” Le disse, voltandosi dall’altra parte. “Il dottor Reid ti ha detto anche cosa ho fatto?” domandò e Sarah rispose scuotendo semplicemente il viso. “Ti ha anche spiegato perché l’ho fatto?” aggiunse lui. Conosceva troppo bene il federale, sapeva che era bravo nel suo lavoro. E se era riuscito a trovarlo, voleva dire che aveva rimesso tutti i pezzi al loro posto.
La signora Harris si sentì raggelare il sangue nelle vene, ripensando al momento in cui l’agente le aveva spiegato chi erano le vittime di suo figlio. E perché. Non riuscì a rispondere, ma Nathan capì perfettamente, “Non cambierà nulla.” Le disse. “Andrò in carcere e tu mi abbandonerai di nuovo.”
Una lacrima rigò il viso di Sarah. Era stata così stupida a credere che le cose sarebbero cambiate, mentre si stava rendendo conto che suo figlio aveva perfettamente ragione. Non era riuscita a sopportare il ricovero in una clinica psichiatrica, come avrebbe potuto accettare la reclusione dietro le sbarre?
“Perdonami.” Sussurrò, allontanandosi da quel letto e avviandosi fuori da quella stanza. Abbassò il capo rivolta agli agenti e corse lungo i corridoi, fuori da quell’ospedale. Lontano da suo figlio. Per sempre.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Then you catch him CAP31 CAPITOLO 31
 
La notte era trascorsa in fretta, d’altronde erano tutti andati a dormire quando era già mattina. Ma il lavoro a Quantico li aspettava puntuali come tutti i giorni.
Il primo ad arrivare in ufficio, come sempre, fu l’agente Hotchner. Varcò le soglie della BAU e notò che tutto era rimasto esattamente come la sera prima. Passò dalla sala conferenze, dove vi era un tremendo stato di confusione. Fogli a terra e una lavagna che segnava ancora tutto ciò che avevano in mano sul caso Harris. Si affacciò dalla porta e fece un cenno ad Anderson che era al telefono alla sua postazione. Il giovane ripose velocemente la cornetta e si affrettò verso il supervisore capo che gli venne incontro lungo il corridoio.
“Anderson, ci serve qualcuno che ripulisca la sala conferenze.” Disse e l’uomo rispose con un cenno del capo. “Prima che arrivino gli altri.” Precisò. Non avrebbe mai voluto che Reid dovesse affrontare di nuovo tutto ciò.
“Lo consideri già fatto.” Rispose l’agente semplice, avviandosi giù dai tre gradini e raggiungendo nuovamente il telefono alla sua postazione.
Aaron si voltò verso il suo ufficio, entrandovi e richiudendo la porta alle sue spalle. Cominciò a raccogliere i fascicoli sparsi sul suo tavolo, poi si abbassò tirando fuori da sotto la scrivania una cassetta, all’interno della quale ripose con ordine le varie carpette. Cercò un pennarello, e dopo averlo trovato scrisse sul fianco dello scatolone ‘Nathan Harris’, voltandosi poi a cercare il coperchio. Fu distratto da un educato bussare alla sua porta. “Avanti.” Disse rimettendosi dritto e attendendo di scoprire chi si celava dall’altra parte.
“Signore.” Salutò Penelope attendendo un cenno per entrare, lasciando la porta aperta alle sue spalle. Anche lei era arrivata presto in ufficio, come suo solito. “Penso che questo vada tra i reperti. Era rimasto nel mio ufficio.” Continuò la donna camminando a passo svelto verso di lui e allungando il volume che stringeva tra le sue mani. Era il romanzo scritto dal loro S.I.
Hotch lo prese. “Grazie.” Le rispose ponendolo poi insieme alle altre prove e trovando finalmente il coperchio con cui richiudere il contenitore. La donna non si era ancora allontanata da lì e lo guardava tormentandosi le mani. “C’è dell’altro?” domandò allora l’agente.
L’analista sollevò una mano a sistemarsi la montatura degli occhiali. “Volevo...volevo sapere se verranno tutti in ufficio...oggi.” balbettò, senza capire bene il senso di quella domanda.
“Mancano i rapporti da aggiungere a questo materiale, quindi si. Solo Jennifer resterà a casa. Le ho dato un giorno libero, ho pensato che ne avesse bisogno.” Spiegò il capo, alzando poi gli occhi verso la porta al di là della quale vide comparire David.
“Buongiorno.” Esclamò facendo qualche passo in avanti. “Sembra quasi che ieri non sia successo nulla.” Commentò vedendo i colleghi di buon ora in ufficio.
“Torno ai miei computer.” Disse Penelope congedandosi gentilmente dai due uomini e richiudendosi la porta alle spalle.
L’agente Rossi si avvicinò ancora di più alla scrivania dell’amico e collega che stava prendendo posto sulla sua comoda poltrona. “Notizie dall’ospedale?” chiese.
Aaron si spostò in avanti, poggiandosi con le braccia al piano di lavoro. Scosse il capo, “Nessuna...”
“Cosa pensi che succederà adesso?” Hotch capì che Dave con quella domanda non si stava riferendo al caso, agli sviluppi legali che sarebbero seguiti. Era un interessamento più personale, al quale rispose con un sospiro. Non sapeva cosa sarebbe successo nelle ore successive. O nei giorni che sarebbero arrivati.
Si guardarono ancora negli occhi, completamente disarmati.
 
Con il passare del tempo l’open space della BAU di Quantico si stava riempiendo sempre più. Anche Emily e Derek erano arrivati e si erano seduti alle loro postazioni, cercavano di svegliarsi per bene. Avevano pochissime ore di sonno sulle spalle e tanta stanchezza fisica e soprattutto psicologica.
Speravano non ci fosse un nuovo caso da affrontare subito, ma che quella fosse solo una tranquilla e noiosa giornata da passare in un ufficio persi tra rapporti. Videro Dave uscire dall’ufficio di Hotch, sventolò una mano in loro direzione prima di scomparire oltre la porta della sua stanza.
I due agenti tra una parola e l’altra scritta sul loro foglio alzavano lo sguardo verso la scrivania di Spencer. Ancora vuota.
“L’abbiamo riaccompagnato a casa io e Penelope.” Disse Morgan spezzando il silenzio e indicando con la punta posteriore della penna verso la sedia che Prentiss stava osservando. “Stava bene. Cioè...non sembravano esserci problemi.” Si corresse perché bene non era l’aggettivo più appropriato per descrivere il ragazzino.
“Mi chiedo cosa accadrà ora...” commentò ad alta voce la donna, rivolgendosi poi al rapporto davanti a lei. Nessuno avrebbe saputo rispondere a quella domanda.
Entrambi si concentrarono di nuovo sul loro lavoro, in silenzio, fin quando sentirono qualcuno avvicinarsi a loro. Alzarono gli occhi per incontrare la magra figura di Reid. Reggeva un bicchiere di carta dello Starbucks e stava lanciando la sua tracolla sulla scrivania. “Buongiorno.” Li salutò sedendosi.
Emily e Derek si scambiarono un’occhiata dubbiosa, non era come si aspettavano di trovarlo. Poi risposero al saluto.
In effetti anche Spencer si sentiva strano quella mattina. Quando i colleghi l’avevano lasciato a casa, aveva varcato la soglia con una strana sensazione. Era nervoso e certo che non avrebbe chiuso occhio, invece dopo essersi rinfrescato si era gettato sul letto e il sonno l’aveva raggiunto subito, svuotando la sua mente e lasciandolo sereno per la prima volta dopo giorni. Aveva dormito profondamente, fin quando la sveglia gli aveva comunicato che era ora di andare in ufficio. Solo quando aveva raggiunto la solita stazione della metro, una morsa gli aveva stretto lo stomaco. Prima o poi avrebbe voluto affrontare Nathan in una situazione per quanto possibile tranquilla. Sperava di riuscirci in fretta.
Aveva fatto solo una fermata allo Starbucks prima di salire in ufficio, dove ora guardava i colleghi che non smettevano di fissarlo. Si voltò dopo un po’ e poggiò il bicchiere sul tavolo, rovistando nella tracolla in cerca del suo badge e una volta trovatolo, se lo fissò al maglioncino che indossava. Prese le ultime cose che potevano servirgli, poi mise la tracolla sotto il tavolo, avvicinando la sedia al ripiano. “Quindi...” esordì interrompendosi per bere un altro sorso di caffè, “...ci tocca compilare i rapporti?” domandò cercando il foglio con il logo dell’FBI sul quale avrebbe dovuto inserire i dati.
Emily guardò ancora una volta Derek, che decise di rispondere per primo. “Noi ci stiamo lavorando. Poi va tutto consegnato a Hotch, che li metterà con il resto dei reperti per consegnarli a Carlson.” Riassunse brevemente le istruzioni che avevano ricevuto loro.
Proprio mentre Morgan finiva di parlare, Spencer trovò il fascicolo con l’appunto lasciato dal capo. “Tutto scritto qui, grazie.” Disse agitando la carpetta verso i colleghi, prima di poggiarla sul ripiano e aprirla.
Come se avesse scoperchiato il vaso di pandora, i ricordi si abbatterono violenti su di lui, impazziti e aggressivi. Li ripose in un angolo, concentrandosi a fare il suo lavoro, doveva imparare a farlo. Doveva crescere ed essere pronto ad affrontare casi anche peggiori di quello riuscendo a non perdere la testa e dando il meglio di sé. Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi scese sul viso fino a grattarsi il mento. Afferrò la penna con quella sua presa strana e cominciò a scrivere, spostando alla sua sinistra i documenti che avrebbe potuto consultare se necessario. Ma lui aveva la sua memoria eidetica che gli aveva permesso di memorizzarli al primo sguardo.
Si era immerso nella scrittura, isolandosi da tutto ciò che lo circondava mentre mandava avanti il suo lavoro, quando con la coda dell’occhio scorse un movimento accanto a sé. Alzò di scatto gli occhi e incontrò la figura seria di Aaron Hotchner che lo guardava. Si sentì colpevole di qualcosa, leggendo quello sguardo negli occhi del suo capo. Deglutì profondamente, poi si concentrò su quello che stava per dirgli.
“Hanno chiamato dall’ospedale.”

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Then you catch him CAP32 CAPITOLO 32
 
Il mondo si fermò un istante, mentre Spencer elaborava a velocità quella frase nella sua mente. Hotch non gli diede tempo di replicare e continuò, “Nathan si è risvegliato dall’anestesia e sta bene. Ho pensato che volessi andare tu a interrogarlo e a...parlarci.”
Reid fu preso alla sprovvista. Era quello che più desiderava, ma non si aspettava di ottenerlo così presto e in quel modo. Continuava a fissare il suo capo, senza riuscire a proferire parola. Tormentava la penna che teneva tra le mani.
“Non sei obbligato..può andarci qualcun altro.” Lo tranquillizzò Aaron, continuando a fissarlo.
Spencer si accorse che anche gli altri lo stavano fissando preoccupati, era arrivato nell’open space anche Rossi, quindi si decise a reagire. “Grazie Hotch, si. Vorrei parlargli. Prima però completo il rapporto, se non ti dispiace.” Quello era il primo passo da compiere. Non permettere che quel pensiero si mettesse al primo posto e distruggesse tutto il resto.
L’agente Hotchner scosse il capo, rilassandosi per aver ottenuto una reazione composta da parte del collega. “Quando vuoi. Carlson sa che arriverà qualcuno dei nostri.” Lo rassicurò voltandosi per andar via.
Il piccolo genio si voltò per tornare al suo lavoro, poi si ricordò di una presenza che non aveva ancora notato tra quelle scrivanie. Non aveva potuto darle il buongiorno come era sempre abituato, quindi alzò il capo oltre il divisorio delle scrivanie e chiese non rivolto in qualcuno in particolare, “Ma JJ?”
Fu lo stesso Aaron a fermarsi sui suoi passi, voltandosi per rispondergli. “Le ho dato un giorno libero. Domani tornerà in servizio, salvo novità.”
Il peso che si era creato addosso al giovane agente si diradò nel sentire che non vi erano stati ulteriori problemi di cui magari non era stato messo al corrente. Decise allora di concentrarsi sul suo lavoro. L’avrebbe portato a termine con attenzione e calma. Solo in seguito si sarebbe occupato di Nathan.
 
Di giorno i corridoi dell’ospedale centrale di Washington erano popolati da gente in attesa delle loro visite, di poter incontrare parenti e amici. O nel peggiore dei casi di pazienti che dovevano essere curati.
Il dottor Reid si districava tra queste persone, mentre l’agitazione amplificava i rumori intorno a lui, facendoli rimbombare all’interno della sua testa. L’area in cui era Nathan era stata circondata dalla polizia, che non permetteva l’accesso a nessuno, quindi continuò a camminare, fin quando i corridoi cominciarono a farsi più tranquilli. Scorse in lontananza due agenti di guardia ad una prima porta. Si avvicinò cercando di calmarsi e portò una mano alla tasca, dalla quale estrasse il distintivo, mostrandolo agli uomini, “FBI, Agente Speciale Spencer Reid. Il Detective Carlson sapeva che sarei venuto ad interrogare Nathan Harris.” Disse con qualche difficoltà.
I due agenti lo lasciarono passare, così che ora si aggirava in corridoi deserti. Gli stessi che aveva visto la notte precedente. Raggiunse il luogo indicatogli dagli uomini in divisa e mostrò ancora una volta il distintivo. Gli furono aperte le porte, rivelandogli così una stanza tranquilla, con un solo letto al centro.
Sospirò e varcò la soglia, che sentì richiudere alle sue spalle.
Allo scatto della serratura, Nathan si voltò lentamente verso la porta, vedendo la magra figura dell’agente esitare qualche istante prima di avvicinarsi a lui. “Dottor Reid, cosa ci fa lei qui?” chiese seguendo tutto il suo percorso.
Spencer cercò di concentrarsi, poi parlò, “Volevo...volevo parlarti.” Balbettò guardandosi intorno.
Il ragazzo su quel letto fece un movimento per cui contrasse il volto per il dolore. “È un interrogatorio?” chiese poi con espressione disgustata.
“Diciamo più un incontro informale. Hai parlato con tua madre?” domandò ricordandosi di aver portato la donna lì non appena saputo in quale ospedale si trovasse. “Era in pensiero per te.”
Harris corrucciò le labbra, “Lei era pronta ad abbandonarmi di nuovo. Così è andata via prima di illudermi.”
Lo stomaco di Spencer si contrasse in una morsa. Non avrebbe mai creduto possibile una cosa del genere, e invece era accaduta. “Mi dispiace.”
“Non sarebbe mai cambiata, ormai l’ho capito.”
Finalmente Reid identificò all’interno della camera una sedia e fissò i suoi occhi su quella. Nathan se ne accorse e lo invitò a prenderla e a sedersi se ne aveva voglia. Quel comportamento era troppo pacato, ma poi l’agente si ricordò dell’eventualità che gli stessero somministrando quei farmaci che lui aveva smesso di prendere abbandonata la clinica.
Sembrava tornato il Nathan Harris che aveva conosciuto la prima volta. La permanenza in clinica e l’abbandono da parte della madre avevano risvegliato la sua parte più negativa, quella che dava ascolto agli istinti e impulsi psicotici, il suo lato sadico che l’aveva spinto ad essere aggressivo, a sfidarlo apertamente. Ora non vedeva più traccia di tutto ciò.
“C’era qualcosa in particolare che voleva dirmi, dottor Reid?” il giovane spezzò il silenzio che si era creato.
Spencer dopo essersi accomodato aveva cominciato a tormentarsi le mani, stringendole l’una dentro l’altra. “Volevo assicurarmi che tu stessi bene.”
“Perché? Perché, dottor Reid, mi salva sempre la vita?” La domanda aveva colpito con violenza l’agente. Era quello il nodo di tutto, lo sapeva. “Se lei mi avesse lasciato morire la prima volta, non saremmo arrivati a questo punto.”
Il piccolo genio abbassò il capo agitandolo lentamente da destra a sinistra. “Ho fatto quello che andava fatto.”
“Ma perché?” insistette il giovane.
“Quando ci siamo incontrati la prima volta io ho rivisto in te una parte di me. Anche io ho avuto paura di me, di ciò che vi era dentro la mia mente. Anche io ho cercato di conoscere i mostri che mi avrebbero potuto assalire, credendo che per questo potessi evitarlo.” Si limitò ad usare un tempo passato, omettendo il fatto che per lui quelle paure non avevano mai avuto una reale fine.
Ancora una volta il silenzio riempì quella stanza. Nathan lo osservava, colpito da quelle parole. “Cosa ne sarà di me adesso, dottor Reid?”
Rialzando il capo, il federale vide paura in quelle iridi blu, proprio come la prima volta che si erano incontrati. “Dovrai pagare per quello che hai fatto.” Scelse la via della cruda realtà. Non era mai stato bravo ad indorare la pillola.
“Mi sta arrestando ufficialmente?” domandò il giovane stringendosi a quelle lenzuola che lo avvolgevano. Spencer non poté fare a meno di notare lo smarrimento in quegli occhi.
Tutti i dubbi che avevano assillato il giovane si diradarono davanti a quella situazione. Aveva fatto la cosa giusta e avrebbe continuato a farla, se le circostanze l’avessero voluto. L’avrebbe salvato tutte le volte che sarebbe stato necessario, anche da se stesso.
Continuò a guardare quel ragazzo, considerando quanto, in fondo, doveva anche a lui la sua maturazione. La sua vicenda l’aveva segnato e l’aveva fortificato, non ne aveva dubbi.
E quelle parole di Jason Gideon risuonavano ancora una volta nelle sue orecchie. Cosa avrebbe fatto se quel ragazzo a cui pochi secondi prima aveva bloccato la fuoriuscita del sangue dalle vene avesse colpito ancora? Quante vite aveva messo in pericolo salvandolo? Era proprio vero, gli S.I. sceglievano il proprio destino da soli, non ne erano colpevoli loro agenti federali. Cosa avrebbe fatto se al suo ritorno avrebbe ucciso qualcuno, eventualità che aveva potuto provare essersi realmente verificata? Lui avrebbe fatto l’unica cosa che aveva il potere e il dovere di fare. Lui l’avrebbe arrestato.

 
FINE

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