Neshfir

di ceciotta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Gary ***
Capitolo 3: *** Eileen ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Prologo


Jeb cadde in ginocchio, sfinito. Con gli occhi colmi di lacrime guardò il corpo di Neshfir e si chiese se fosse effettivamente finita. Trasalì quando due mani si posarono sulle sue esili spalle e alzò il volto: suo padre era in ginocchio accanto a lui e piangeva, sorridendo.
“Ce l’hai fatta, Jeb… L’hai sconfitto…” mormorò. “Sono davvero orgoglioso di te”
Jeb tirò su col naso. Stentava a credere che fosse morto davvero.
L’uomo si rialzò e lo prese in braccio. Il ragazzino lo lasciò fare, ancora scombussolato. Il tempo di festeggiare sarebbe venuto, ma al momento non ce la faceva.
Il professore guardò indifferente la scena. “Ora andiamocene. Qualcuno potrebbe aver sentito qualcosa e non voglio che la polizia faccia troppe domande” disse.
Il padre di jeb gli lanciò un’occhiataccia. “Mio figlio è stanco, ha appena combattuto” disse, arrabbiato.
“Riposerà in viaggio” replicò il professore. Aspettò che l’uomo si fosse allontanato, poi lanciò uno sguardo al bosco e li seguì.

Una figura barcollava nella notte, i vestiti inzuppati di sangue. Neshfir digrignò i denti, il corpo che aveva occupato non era adatto ad essere posseduto.
Poveri stolti, non avevano capito nulla… Pensavano di averlo sconfitto e ci erano quasi riusciti, ma non si erano accorti del suo piano di riserva. Ora però doveva recuperare un altro corpo, più giovane, in cui poter riprendere le forze.
Il pastore che aveva posseduto era vecchio e aveva dovuto ferirlo per farlo stare buono. Lo sentì ribellarsi alla sua presenza e quasi cadde. L’odio verso quel vecchio e tutta la sua specie lo travolse e un grido disumano uscì dalla sua bocca, ossia quella del suo ospite. Lui, il potente Neshfir, costretto a strisciate, allo stremo delle forze, mentre quell’essere inferiore ferito gravemente riusciva quasi a combatterlo. Odiava gli umani, doveva riprendersi la sua rivincita, doveva annientarli fino all’ultimo, debole individuo.
‘Tornerò’ pensò, mentre arrancava, trascinando quel corpo martoriato. ‘Tornerò e pregherete di morire al più presto’
Percepiva il terrore del vecchio e quella paura gli diede la forza di ghignare.
‘Già, tornerò, peccato che tu morirai prima… Non puoi fermarmi, vecchio. L’unico che poteva farlo mi crede morto’ gli disse.
Poi la vista di una casa gli ridiede la speranza. Neshfir percepì altre forme viventi, ormai era salvo. Quasi strisciò verso la costruzione a due piani e si diresse verso la luce che filtrava dalla finestra. Sentiva dolore provenire da qualcuno e se ne nutrì per fare gli ultimi metri.
“Spingi, amore mio. Spingi, è quasi finita” diceva un uomo con voce rotta, mentre una donna urlava.
Neshfir sbirciò dentro e vide quattro persone nel salotto. La donna dalla pancia enorme era sdraiata su un lettino e teneva le gambe piegate e divaricate, mentre il marito le stringava la mano.
Il medico era chino sulla donna e, intuì Neshfir, la stava facendo partorire, assistito da un’infermiera. Valutò le sue possibilità: il medico aveva già una cinquantina d’anni ed era troppo in là per fare ciò che voleva; la invece coppia era giovane, sui trentanni, forse meno, ma la donna stava partorendo e comunque sembrava troppo esile per superare lo choc, e poi erano entrambi troppo al centro dell’attenzione: rischiava di farsi scoprire. L’infermiera sembrava invece il candidato perfetto: era molto più giovane e al momento si era allontanata per recuperare qualcosa da un carrello pieno di strumenti. Eppure… Neshfir lanciò un’occhiata al pancione. E se… Certo, il trauma poteva ucciderlo, ma se fosse successo si sarebbe diretto subito verso l‘infermiera, e c‘era il vantaggio che il bambino non si sarebbe accorto di nulla.
Neshfir abbandonò il corpo del vecchio, sfruttando tutte le risorse del suo ospite che cadendo si sgretolò in cenere e la donna urlò più forte mentre il suo ventre subiva una contrazione diversa dalle altre.
Ci siamo quasi… annunciò il medico, mentre la testa spuntava.
Dopo alcuni dolorosi minuti, il pianto di un bambino riempì la stanza.
La donna ricadde sul lettino, singhiozzando di felicità, mentre il marito l’abbracciava.
L’infermiera si avvicinò, un sorriso a trentadue denti, con il bambino avvolto in un asciugamano sterilizzato tra le braccia. “Complimenti, è un bel maschietto” disse, mettendoglielo in grembo.
La donna lo prese e sorrise tra le lacrime, mentre insieme al marito guardava quegli occhioni spalancati sul mondo.
“Gary” mormorò. “Ti chiamerò Gary”

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Capitolo 2
*** Gary ***


Capitolo Modificato

Gary


Quattordici anni dopo…


Gary sospirò mentre percorreva le scalette che dal lago lo avrebbero portato a casa sua.

Non aveva gran voglia di tornarci: di certo, i suoi già sapevano di ciò che aveva fatto...

Non capiva cosa gli fosse capitato: era lì, all'allenamento, quando all'improvviso aveva perso la testa e dopo una piccola discussione aveva colpito un ragazzino più giovane di lui. Conseguenza: l'allenatore lo aveva escluso dalla squadra e gli aveva promesso che avrebbe chiamato i suoi genitori.

Strinse le labbra e ripensò alla furia con cui era saltato addosso al suo compagno. Non era da lui... In quel momento aveva sentito come se una parte di lui prima sconosciuta avesse preso il sopravvento, perché non era in sé quando era successo, come guardare la scena attraverso gli occhi di un altro.

A metà della scalinata, si fermò come sempre ad osservare uno spiazzo poco lontano dal lago. Era circondato da alberelli e cespugli e la parte priva di arbusti era un cerchio perfetto, al cui centro era sdraiato un enorme masso rettangolare simile ad un altare. Ovviamente, quel posto tempo prima era stato preso d’assalto da specialisti e semplici curiosi, alla ricerca di qualche spiegazione sul motivo per cui all’interno del cerchio non crescesse nemmeno un fiore, lasciando spazio alla nuda terra. Le spiegazioni erano state fin troppe, e per la maggior parte comprendevano folletti o extraterrestri.  Poi era semplicemente passato di moda.

Quante cavolate’ pensò Gary con una smorfia. Aveva smesso di credere in quelle cose da quando aveva cinque anni. A lui semplicemente piaceva quella porzione di terra brulla, per quello di tanto in tanto scendeva al lago e si dirigeva alla pietra rettangolare. Si sedeva lì accanto e si sentiva a casa.

Cosa che non succedeva mai nella sua abitazione.

Mestamente percorse gli ultimi metri che lo separavano dalla villa, come un condannato a morte.

Gary Armstrong!” esclamò infatti sua madre non appena ebbe superato la porta d’ingresso: era appostata di fronte alle scale e lo fissava con sguardo furente.

Mamma, io… mi dispiace” disse, pur sapendo che era inutile.

Ti dispiace?” ripeté lei, arrabbiata. “Vorrei anche vedere!”

Non so cosa mi è preso” tentò lui, invano.

Punizione. Per almeno tre mesi” replicò la donna.

Lui non disse nulla: quando sua madre diventava così telegrafica era meglio non parlare.

Adesso va’ in camera tua, ne riparleremo quando ci sarà anche tuo padre” sbottò lei.

Gary strinse i pugni, contrito, poi ubbidì. Richiudendo la porta alle sue spalle, sospirò e lanciò il borsone accanto alla scrivania, ripromettendosi di svuotarlo in un secondo momento, quindi si sedette sul letto e cominciò a pensare a ciò che era successo.

Non si era mai tirato indietro quando c’era da fare a botte, certo, ma si scontrava sempre con ragazzi della sua taglia, a volte più grandi, e sempre con un buon motivo. Ora se l’era presa con un ragazzino mingherlino con l’unica colpa di aver sbagliato un passaggio… ed era solo un allenamento; aveva concluso nel peggiore dei modi una discussione che lui aveva cominciato.

Non biasimava sua madre, anche lui sapeva che quella punizione se l’era meritata, ma avrebbe voluto che lei lo ascoltasse di più. Il loro rapporto si stava deteriorando in quel periodo, anche perché quando Gary cercava di spiegare le sue motivazioni per un determinato comportamento lei non voleva sentire ragioni. Era da circa un anno e mezzo che Gary passava la maggior parte del suo tempo in punizione. Non voleva certo l’assoluzione, solo che sua madre capisse che lui non avrebbe voluto fare tutte quelle cose…

Gary non sapeva cosa gli stava accadendo e cominciava ad esserne spaventato, ma a chi rivolgersi? I suoi genitori l’avrebbero presa come una patetica scusa, i professori idem, i suoi amici… rise alla sola idea di confidarsi con loro su quell’argomento, l’avrebbero preso come una femminuccia isterica. L’unica a cui ne aveva parlato era Sarah, che era stata piuttosto comprensiva, ma l’unico consiglio che era riuscita a tirar fuori era di consultarsi con uno psicologo. E dove lo andava a pescare? Per non parlare del fatto che tutti lo sarebbero venuti a sapere e lui sarebbe diventato lo zimbello della scuola intera.

Ma il problema rimaneva, e lui non vi aveva trovato una soluzione.

I suoi scatti d’ira peggioravano e con essi scemava la sua forza nel contrastarli; si sentiva in balia di sentimenti che non avvertiva come propri.

Si sdraiò sul letto; l’indomani aveva un compito in classe di scienze, ma lui non aveva né la voglia né la concentrazione per mettersi a studiare, almeno per il momento.

 ***

 

I tre uomini stavano preparando il piccolo battello che di solito usavano per la pesca, ma non stavano uscendo a lavorare, non caricavano lenze e reti, bensì una cassa di legno intarsiata e ben lavorata. Era leggera, nonostante misurasse mezzo metro per lato, e loro non sapevano cosa mai contenesse di tanto importante per essere costretti ad usare tanti accorgimenti nel muoverla.

Una quarta figura incappucciata li osservava. “State molto attenti, è fragile” sibilò, quando uno dei due uomini che avevano raccolto la cassa incespicò.

Ed, l’uomo che era quasi caduto, sbiancò terrorizzato da ciò che l’altro gli avrebbe fatto se avesse lasciato andare la cassa. “M-mi scusi…” mormorò, quella strana presenza lo inquietava non poco. Insieme al suo amico Frank si incamminò verso il battello, facendo più attenzione, mentre  John preparava i motori.

Posarono il forziere a terra e lo assicurarono con delle cime.

Ed si rivolse al quarto uomo - sempre che umano fosse, cosa di cui cominciava a dubitare - e stentò a formulare la domanda che voleva porgli. “Ma non capisco… perché vi serve il nostro aiuto? Perché non prendete il nostro battello e…” Si bloccò: pur non potendolo vedere in faccia, percepiva l’irritazione del misterioso interlocutore.

Perché è così che vogliamo” replicò lui, la voce intrisa di odio e rabbia. “E tu, piccolo essere inutile, farai ciò che ti dico senza discutere” Si avvicinò minaccioso all’uomo che aveva osato troppo e lui arretrò di scatto, inciampò in un asse non assicurata al pavimento e questa volta cadde. “Ho cose più importanti da fare che ascoltare i tuoi piagnistei. Ora partite, i miei compagni vi stanno aspettando”

Frank temette per la vita dell’amico, ma per sua fortuna la figura gli voltò le spalle e scese dal battello; pochi istanti dopo, svanì alla loro vista, nel bosco.

Ed si rialzò aiutato dall’amico, poi lanciò un’occhiata alla cassa. “Cosa contiene, secondo te?” chiese.

Frank deglutì e scosse la testa. “Non lo so e non voglio saperlo. Questa storia non mi piace” borbottò. “Vado a dire a John che possiamo partire, te la senti di stare di guardia?” chiese. Tutti e tre, dalla prima volta che l’avevano toccata, ne avevano avuto una folle paura.

N-non preoccuparti per me” rispose Ed, gli occhi fissi su di essa.

Una volta solo, Ed ripensò al loro compito. Dovevano risalire il fiume, stando attenti che ciò che trasportavano non subisse alcun danno, fino al lago; lì avrebbero ritrovato i tizi incappucciati che li avevano incaricati di trovare lo strano contenitore.

Ricordò con orrore il momento in cui se li erano trovati davanti con le loro tuniche nere…

Avevano avuto paura mentre eseguivano i loro ordini e si erano messi a cercare seguendo le loro indicazioni. C’erano voluti mesi, in cui ogni tanto qualcuno di loro veniva a controllare come procedesse il lavoro, ma alla fine erano riusciti nel loro intento, grazie soprattutto alle conoscenze di Frank, che prima di tornare a fare il pescatore come suo padre e suo nonno, aveva avuto una travagliata carriera da archeologo, conclusasi prematuramente a causa di uno scandalo da cui non si era mai risollevato: era stato infatti accusato di aver trafugato alcuni reperti e averli rivenduti al mercato nero; Ed non sapeva se fosse vero o no e Frank non voleva parlarne, ma era un buon pescatore e tanto bastava a John per assumerlo nella loro minuscola impresa.

Quegli ultimi avvenimenti avevano riportato a galla tutte le conoscenze di Frank, ma anche il dolore per la fine ingloriosa della sua carriera.

Era stato proprio Frank ad opporsi alla loro curiosità di sapere cosa contenesse, impedendo loro di aprire il forziere.

Ed sospirò e si sedette su una panca. Quando l’avevano trovata, aveva sperato che quell’incubo finisse lì, ed invece ora dovevano soddisfare anche quella richiesta. Non vedeva l’ora di averla consegnata e di potersene tornare a casa, ma aveva ancora un bel viaggio da affrontare, tanto valeva mettersi comodo.

Era passata un’ora, quando Frank lo sentì gridare. Accorse subito e lo trovò seduto a terra con la schiena contro il bordo del battello, con gli occhi sbarrati dal terrore.

Ed! Cos’è successo?!” esclamò.

Ed sollevò un dito tremante e lo puntò contro ciò che stava osservando con tanta paura.

Frank si voltò e trattenne un urlo: dai bordi della cassa filtrava una luce giallastra, intermittente.

Che cazzo è?!” gridò Ed non appena ebbe ritrovato la voce.

Non lo so…” mormorò Frank. “Questa storia mi piace sempre meno…”

Oh, santo cielo!” Ed si rialzò, camminando avanti e indietro. “Senti, liberiamocene!” sbottò poi. “Scapperemo, cambieremo nome, ci metteremo al sicuro, ma non possiamo lasciarla in mano loro! Chissà per cosa la useranno!”

Frank continuava a fissare la luce. Era d’accordo con Ed, di certo era qualcosa di pericoloso, ma se se ne fossero disfatti avrebbero scatenato l’ira dei loro mandanti e dubitava che sarebbero riusciti a nascondersi da loro…

La consegneremo” disse infine.

Ma Frank…”

No, senti: io ho già abbastanza problemi senza pestare i piedi a degli individui del genere! Tra qualche ora saremo arrivati e consegneremo il carico, poi potremo dimenticarci tutto”

Ed non sembrava convinto.

Oramai che possiamo fare?” chiese Frank. “Ci daranno una ricompensa, hanno detto che i nostri problemi economici non dovranno più preoccuparci. Io ho bisogno di soldi!”

Ed deglutì. A lui non sembrava una buona ragione, ma la paura di quelle persone stava prendendo il sopravvento. Annuì.

Frank si sedette con lui sulla panca, deciso a fare la guardia con lui. Rimase a guardare quella luminosità sempre più intensa che andava e veniva, seguendo un ritmo particolare. Si accigliò e cercò di seguirne la cadenza.

Ci mise qualche minuto per capire cosa gli ricordava.

Luce - piccola pausa - luce - lunga pausa. La pausa tra i due lampi di luce era sempre più corta.

Sembrava il battito di un cuore.

 ***

Suo padre era silenzioso mentre consumavano la cena e Gary non ce la faceva più a sopportarlo. Respirò a fondo, concentrando lo sguardo sul proprio piatto, e inforchettò una montagnola di insalata di pollo. Masticando, lanciò uno sguardo alla sala da pranzo e trattenne una smorfia: i suoi genitori gli avevano riempito la testa di storie sulla sua nascita e a detta loro era avvenuta proprio in quella stanza. Ne parlavano sempre come se fosse una cosa meravigliosa, ma lui ne era solo disgustato: come poteva mangiare nello stesso posto dove era nato?

Una volta inghiottito l’ultimo boccone, sperò di poter sgattaiolare di sopra, ma suo padre non aveva ancora finito con la ramanzina. Quando la moglie fece per alzarsi e sparecchiare, le posò una mano sul braccio e le fece segno di aspettare, quindi si rivolse al figlio.

Sto ancora aspettando una spiegazione” disse.

Gary sapeva che quello era il momento per rivelare ciò che sentiva, la sua unica occasione per essere capito, ma non aprì bocca. Sentì un acuto mal di testa.

Quindi l’hai colpito così, perché ti andava?” insistette l’uomo, pacato, come la quiete prima della tempesta.

Gary incrociò le braccia mentre la rabbia cresceva di nuovo. Avrebbe davvero voluto parlare, ma era troppo arrabbiato.

Gary, ti avverto…” minacciò il signor Stuart.

Che te ne importa?!” sbottò Gary all’improvviso, con violenza. “Tanto in punizione mi ci mettete comunque, quindi perché spiegare?!”

L’uomo era rosso di rabbia. “Come ti permetti di parlare così a tuo padre?!”

Ma Gary non riusciva a sentirsi spaventato dalle conseguenze di ciò che stava facendo. “Io ti parlo come mi pare! Non fate altro che punire e punire e punire! Non sapete niente di ciò che provo, e mai lo saprete!” gridò balzando in piedi.

Gary!” Sua madre sembrava scandalizzata.

E tu sta’ zitta! Non…” Gary non riuscì a finire la frase che un sonoro schiaffo gli arrivò in faccia e lui cadde a terra, ai piedi del padre.

Ora basta! Vai in camera tua!” gli urlò l’uomo. “Starai in punizione fino a quando non deciderò che va bene! Niente tv, niente feste, niente uscite con gli amici! Uscirai da questa casa solo per andare a scuola!”

Gary si rialzò rosso in volto quanto suo padre e lo fronteggiò per un attimo con aria di sfida, poi si voltò e corse al piano di sopra. Sbatté la porta dietro di se così forte da far tremare i vetri dalla finestra e si gettò sul letto, stringendo tra le mani la testa dolorante.

Quando la rabbia prese a scemare, il ragazzo cominciò a singhiozzare per la vergogna e il pentimento. ‘Ma che mi prende, oggi?’ si chiese, bagnando il cuscino di lacrime.

Aveva avuto un’opportunità: suo padre finalmente gli chiedeva spiegazioni e lui perdeva la testa così? Ormai aveva toccato il fondo, urlando a quel modo ai suoi genitori. L’avrebbe pagata a caro prezzo…

Fuori dalla finestra, una figura incappucciata sorrise dal ramo che la ospitava e rimase a fissare per qualche istante il ragazzo che si struggeva nei suoi dubbi, poi balzò giù dalla cima dell’albero. Da un’altezza simile, un uomo normale si sarebbe come minimo slogato qualcosa, ma lui atterrò con grazia, quasi senza produrre rumore, e subito cominciò a correre veloce.

I suoi compagni lo aspettavano sulla cima del colle, immobili come li aveva lasciati; quando lo videro, voltarono appena il capo coperto.

È pronto” si limitò a dire, ma l’eccitazione era palpabile nella sua voce.

Ne sei sicuro?”

È da mesi che lo seguiamo! E oggi ho avuto la conferma che ormai possiamo intervenire!” rispose lui con urgenza. “Il ragazzo non ha più il controllo delle sue azioni! Lui è pronto. Se aspettiamo ancora rischiamo che il nostro nemico si risvegli prima di lui, e allora sarebbe la fine!”

Giusto in tempo, allora” replicò una voce vagamente più acuta. “Ciò che da tanto aspettiamo giungerà a breve”

Un’ondata di soddisfazione si allargò nel gruppo. Erano due ottime notizie, che arrivavano proprio quando cominciavano a disperare.

Allora prepariamoci. Abbiamo ancora molto da fare” tagliò corto la figura che aveva spiato Gary.

Mentre gli altri si voltavano verso il sentiero, lui lanciò uno sguardo al panorama: presto il mondo sarebbe stato di nuovo nelle loro mani.

Come lo prenderemo?” chiese un altro.

Lui sorrise. “Oh, penso proprio che sarà lui a venire da noi”

 ***

 

Gary non riusciva a dormire.

Si rigirava nel letto, inquieto. Non era la prima volta che gli capitava e come sempre sentì il bisogno di alzarsi. Con passo felpato, uscì nel corridoio, sperando di non svegliare i suoi genitori; li aveva sentiti andare a letto poco dopo che lui si era chiuso in camera e avevano continuato a parlare a lungo, forse discutendo di cosa fare con lui.

Scese le scale e si diresse in cucina, dove si riempì un bicchiere d’acqua, nella speranza che placasse la sua ansia. La bevve a piccoli sorsi, senza smettere di pensare al suo problema. Doveva fare qualcosa, non poteva più far finta di nulla con gli altri. L’indomani avrebbe dovuto parlare con i suoi genitori, in un modo o nell’altro, e…

Ah” gemette lasciando cadere il bicchiere. Il dolore sordo che lo aveva colpito al petto sparì com’era venuto e lui si ritrovò piegato in due. Lanciò uno sguardo preoccupato alle scale, ma nessuno scese, quindi si chinò a raccogliere i frammenti di vetro. Non riusciva a capire cosa gli fosse accaduto, ma non era più una novità per lui, ormai.

L’ansia, invece di diminuire, cresceva. Forse, una boccata d’aria fresca glia avrebbe fatto bene…

Guardò di nuovo verso le scale, incerto. Era già in punizione, se l’avessero beccato sarebbe stato peggio. Ma, del resto, la sua situazione non poteva peggiorare, giusto?

Il bisogno di uscire era impellente, quindi tornò di soppiatto in camera e si infilò un maglione, le scarpe e il giaccone; afferrata la torcia che teneva nel cassetto, scese di nuovo e oltrepassò silenziosamente la porta.

Inspirò a pieni polmoni l’aria fredda della notte. Era da tanto che non tornava al lago…

 ***

Frank non ce la faceva più.

Il battello per conto suo procedeva troppo lentamente, ma ormai era notte e non potevano rischiare di scontrare qualche sasso affiorante.

Guardò la cassa dove la luce pulsava più intensa che mai.

Signore, aiutaci…” mormorò.

 ***

Gary riconobbe il familiare senso di pace quando si avvicinò alla pietra.

Andava spesso lì, di notte, quando non riusciva a dormire. Mai una volta i suoi se n’erano accorti e del resto non correva pericoli: gli animali sembravano sfuggire quel posto, cosa che inquietava non poco la gente del posto, che, seguendo il loro esempio, ne stava alla larga.

Quello era il suo posto, non era turbato da altri esseri viventi. La superstizione teneva lontani i più e anche i curiosi che ne avevano turbato la tranquillità qualche anno prima si erano stancati. Gary ricordava quanto aveva sofferto in quel periodo in cui il suo rifugio era stato violato, si era arrabbiato molto, ma per fortuna ora era tornato suo, solo suo. Gli archeologi che avevano profanato quel terreno erano rimasti delusi da ciò che avevano trovato: il nulla. E non si erano dati una spiegazione su quei quattro semicerchi si pietra che spuntavano dalla superficie, quasi agli angoli della pietra.

Avevano anche osato vietare l’accesso e tecnicamente questa proibizione era ancora valida, ma dato che nessuno se ne interessava più i controlli erano pressoché inesistenti.

E comunque quella notte nessuno avrebbe potuto impedirgli di visitare la sua pietra.

Con un sorriso vi passò sopra la mano, accarezzandola. Era coperta da dislivelli posti a distanza regolare, come se il tempo avesse mangiato precedenti incisioni di cui rimaneva però il ricordo. Probabilmente segni di un’antica popolazione. O qualcos’altro?

Quel pensiero turbò Gary, che si accigliò: lui non credeva a sciocche leggende. ‘È solo una pietra!’ cercò invano di convincersi e, all’improvviso, l’unico posto in cui si fosse mai trovato a suo agio lo spaventò.

Indietreggiò di scatto, atterrito.

Forse era solo la notte, ma tutto sembrava aver preso una prospettiva agghiacciante, ogni cosa sembrava diversa.

Di nuovo, fu colto da un dolore al petto e il suo cuore prese a battere all’impazzata. Lasciandosi andare al panico, si voltò e cercò di correre via, ma inciampò sui suoi piedi e cadde faccia a terra. Si portò una mano sul torace, con una smorfia sofferente, poi cercò di rialzarsi, ma una luce in lontananza gli suggerì di non fare mosse brusche. Col respiro spezzato dal dolore e dalla paura, si alzò molto lentamente e raggiunse gli alberi, nascondendosi dietro ad uno di essi per sbirciare ciò che accadeva accanto al lago. Non scorgendo bene chi tenesse la fiaccola in mano, avanzò piano e attento, poi, giunto al limitare del bosco, si fermò a spiare.

Si appiattì dietro ad alcuni massi, spaventato, e guardò sgomento lo strano spettacolo che poteva scorgere poco lontano.

Una decina di figure avvolte in una tunica nera come la pece e incappucciate avanzavano lentamente nella notte senza fare rumore, a due a due. La coppia a metà della fila trasportava una cassa di legno, come uno scrigno.

Gary trattenne il fiato, spaventato a morte, quando una tenue luce pulsò dalle fessure del coperchio, ma non osò muoversi. Chi erano? Cosa portavano? Si pentì di essere uscito, quella notte, e prese a tremare; cercò di strisciare via, ma il suo corpo era come congelato.

Il gruppo si fermò accanto ad un piccolo molo a cui attraccavano le barche che portavano la gente a fare il giro del lago ma che in quel momento era sgombro; sembravano in attesa di qualcosa. Il ragazzo si trovò suo malgrado a scrutare l’orizzonte oscuro per capire cos’altro dovesse accadere: sentiva, senza alcun dubbio, che qualcosa di tremendo stava arrivando dalle acque. Eppure non riusciva a scappare.

Il suo cuore ebbe un sussulto quando riuscì a scorgere un battello in mezzo al lago. La sua paura si tramutò in terrore puro; eppure, sentì una sorta di macabra curiosità di scoprire cosa trasportava.

Una delle nere figure alzò la fiaccola e la tenne ben alta. Gary deglutì: un’altra luce rispose dall’imbarcazione; la fiaccola fu dunque coperta e mostrata tre volte e altrettanto fu fatto dal battello. Il terrore del ragazzo salì a dismisura mentre esso puntava dritto verso il molo. Con la bocca arida, si aggrappò ai massi coperti di muschio; voleva scappare, ma non ce la faceva, qualcosa lo teneva fermo sul posto. Il suo corpo non gli rispondeva…

Ora mi sveglio. È un incubo, non c’è altra spiegazione…’ pensò.

Il battello nel frattempo aveva raggiunto la meta. Gary riusciva a scorgere due uominia volto scoperto che scendevano lungo una passerella di legno, trasportando una cassa simile a quella che già era in possesso del gruppo.

Alla luce della luna, i due uomini apparivano terrorizzati almeno quanto Gary, abbastanza vicino da scorgere i loro volti.

Ed e Frank posarono il forziere di fronte al gruppo e si raddrizzarono tutti tremanti. Attesero gli ordini, senza il coraggio di parlare.

Uno degli incappucciati si chinò e aprì la cassa, studiandone il contenuto. I due uomini furono abbagliati dalla luce e non riuscirono a scorgerlo. “Ora andatevene” disse minaccioso.

Ma…” Frank si interruppe subito.

Per la ricompensa saremo noi a trovarvi” ruggì lui.

I due sbiancarono e a Ed non piacque il modo in cui aveva pronunciato quella parola. Terrorizzato, si affrettò a risalire, seguito a ruota da Frank.

Gary guardò il battello ripartire e si accorse di respirare a fatica per il dolore. L’imbarcazione era quasi sparita, quando dal ragazzo si levò un gemito acuto.

Con le lacrime agli occhi per la sofferenza e la paura, vide inorridito che una delle figure stava guardando dritto verso di lui e ne percepì un ghigno. Il ragazzo boccheggiò, mentre una parte di lui ruggiva la sua approvazione, e vide due incappucciati incamminarsi tranquillamente verso il nascondiglio ormai rivelato.

Lanciò un grido e, balzato in piedi, prese a correre verso la scalinata, ma le due figure gli sbarrarono la strada con una velocità impossibile per un uomo. Gli finì praticamente addosso e loro lo afferrarono per le braccia, mentre lui strillava e scalciava. Imperturbabili, cominciarono a trascinarlo verso lo spazio brullo che conteneva la pietra.

Mio signore, il tempo del vostro risveglio è finalmente giunto” disse uno di loro.

Gary urlò con tutto il fiato che aveva mentre il dolore gli squarciava il petto. Lottò piangendo contro le due figure incappucciate mentre la pietra si avvicinava. “Lasciatemi!” gridò. “Lasciatemi andare, bastardi!”

Fu spinto sull’altare e gambe e braccia gli furono divaricate a forza, mentre i quattro semicerchi di pietra ruotavano sotto i suoi occhi increduli, intrappolandogli polsi e caviglie. Immobilizzato continuò ad urlare ma nessuno sembrava sentirlo.

Le dieci figure si strinsero a cerchio attorno a lui e quelli che portavano le casse le deposero sulla pietra e cominciarono ad aprirle.

Gary fissava la scena con orrore, ma il peggio doveva ancora arrivare: mentre armeggiava con le chiusure, la mano di uno degli incappucciati scivolò fuori dalla lunga manica. Gary temette di svenire: era marroncina e coriacea, tutta ritorta, artigli lunghi almeno dieci centimetri al posto delle unghie. Il ragazzo boccheggiò e fu solo la paura a tenerlo cosciente. 

Oddio, no! NO!” sbraitò, mentre il dolore al petto raggiungeva picchi altissimi. Si agitò come impazzito, ma non poteva muoversi molto.

Non temete, mio signore, presto verrete liberato” disse il proprietario della mano.

Il ragazzo gridava sempre più forte, divincolandosi con furia, ma uno dei rapitori lo colpì sul viso e lui si accasciò stordito dalla botta. Quel pugno era duro come una roccia… Singhiozzò e aprendo gli occhi vide la mano terrificante strappargli di dosso il maglione e la maglia del pigiama, lasciandolo a rabbrividire. Quella strana figura infilò la mano nella cesta più vicina e tirò fuori un pugnale con l’elsa contorta piena di pietre dall'aspetto prezioso, che brillavano di luce propria. La sollevò in aria, proprio sopra il suo petto.

NOOO!” urlò Gary, singhiozzando. La pelle sul suo torace prese a bruciare, diventando rossa mentre una litania senza senso attraversò il gruppo.

Gary era senza fiato per il dolore e inarcò la schiena, emettendo un verso agonizzante. Rovesciò all’indietro la testa, la bocca spalancata priva di voce.

La litania crebbe e con questa la sofferenza della vittima, che sentiva il suo corpo muoversi di propria volontà a ritmo di quella nenia;divenne alta, quasi urlata, e si interruppe di colpo. Gary ricadde giù, ansimando, e alzò gli occhi sul pugnale. Lo vide brillare nel buio e i suoi occhi si riempirono di lacrime. L’arma calò inarrestabile su di lui, strozzando il suo grido in un rantolio. Il dolore al petto esplose e il buio calò sui suoi occhi.

La figura estrasse con delicatezza il pugnale e si chinò sull’altra cesta. La litania riprese, più aspra questa volta, mentre una boccia piena di liquido rosso veniva aperta. Il suo contenuto fu sparso sul ragazzo senza vita. Un cuore si ricompose a fatica e riprese a battere.

Il ragazzo fu liberato e rivestito con cura con una lunga tunica nera, poi gli esseri incappucciati si ritrassero, osservandolo.

Gli occhi vitrei si riaccesero e il ragazzo annaspò per ritrovare aria, come dopo essere stato troppo sott’acqua. Regolarizzato il respiro, Neshfir rimase per un attimo immobile mentre la ferita si richiudeva del tutto. Infine si tirò su, guardandosi attorno: i suoi compagni lo fissavano immobili, tradendo apprensione.

Neshfir si rialzò, con un ampio ghigno. “Amici miei…” sussurrò.

Signore, siamo felici di rivederti!” Quello che aveva compiuto il rito si prostò ai suoi piedi.

Alzati” disse Neshfir, posando la sua mano sulla spalla del suo secondo. La voce era sempre quella di Gary, il corpo era quello della patetica forma di vita con cui aveva condiviso quei quattordici anni, ma ora il ragazzo era morto. Ora lui era tornato. “Alzati, voi mi avete riportato effettivamente in vita e avete eliminato il potere che lui aveva su di me. Non dovete più inginocchiarvi al mio cospetto, senza di voi avrei continuato ad essere niente più che un parassita, a vivere solo di quei momenti che il ragazzino abbassava la guardia… Ad osservare la sua inutile vita! Ma non fraintendetemi, avete fatto bene ad aspettare fino ad adesso: prima non avrei avuto la forza di dominare il suo corpo”

Guardò le sue mani e aprì e chiuse i pugni, come per saggiarne la forza, poi si voltò verso la collina e individuò subito la villetta bianca.

I parenti del ragazzo domattina non lo troveranno nel suo letto e si preoccuperanno” disse un incappucciato e il risvegliato intuì un ghigno sul suo viso coperto. “Non vorrai far soffrire quei poveri genitori...”

Il volto un tempo appartenuto a Gary si aprì in un sorriso diabolico. “Oh, no, sarebbe crudeltà, fratello” confermò. Ali membranose, da pipistrello, strapparono la tunica che indossava. “Ci metterò poco” promise sollevandosi in volo. Un attimo dopo era lanciato verso l'abitazione e si gustava il vento che gli frustava la veste addosso. Sciocchi umani!

Sono tornato pensò.

 

continua....





 
 
Spazio autrice:
Eccoci qua!
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
Per Ely79: sono felice di averti interessato e spero di tenere alta l'attenzione.  Eh, sì, Neshfir è un'entità molto negativa e il suo desiderio di vendetta lo rende ancora più cattivo. :-)
Alla prossima!


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Capitolo 3
*** Eileen ***


Ho modificato il capitolo precedente, grazie alle indicazioni di Ely79, che ringrazio molto per le indicazioni! Accidenti, per poco non mi pigliava un colpo quando mi hai fatto notare la similitudine tra Gari Stuart e Gary Stu: ti giuro che ho cacciato un urlo... e mi sono affrettata a cercargli un altro cognome! Ho riletto il capitolo e corretto alcuni strafalcioni. in effetti per i 'dislivelli regolari'... intendevo a distanza regolare, ma la mia mente malata a semplificato il tutto in una frase senza senso, ahimè... U.U Ti ringrazio ancora e se trovi altri errori non farti remora a farmeli notare! mi serve proprio...

Chiedo scusa per l'enorme ritardo, ma non avevo ispirazione. Spero di poter aggiornare il prima possibile e mi raccomando leggete e recensite numerosi!

Eileen

Nel cuore della notte, una ragazza urlò con tutte le sue forze.

George Ross si svegliò di soprassalto, gettò di lato le coperte e balzò in piedi, subito lucido; corse fuori dalla stanza, mentre sua figlia continuava a strillare.

“Eileen!” gridò, raggiungendo la sua stanza. Spalancò la porta e trovò la ragazza che si agitava nel letto, lanciando urla sempre più forti; si chinò su di lei e la scosse chiamandola per nome, finché non si svegliò.

Eileen aprì gli occhi di scatto, il respiro spezzato dalla paura e dall’angoscia.

“Tesoro, era solo un incubo” la tranquillizzò George, accarezzandole la fronte umida di sudore. “È finito, adesso…”.

Ma Eileen non si calmava. “È tornato!” gridò, facendolo sussultare. “Neshfir è tornato!”.

George sbiancò. “Che cosa stai dicendo?” mormorò.

“Neshfir…” ripeté lei, tremando come una foglia. “L’ho visto, è tornato! Non era un incubo!”

George non smetteva di fissarla, sconvolto. Non doveva accadere, non di nuovo…

Eileen si appoggiò al petto di suo padre, singhiozzando e rabbrividendo, mentre lui la stringeva forte.

***

George respirava appena, mentre distoglieva lo sguardo dai due corpi martoriati. Non voleva più guardare quello spettacolo orribile…

Nick Martin deglutì e si chinò sulla donna distesa sul pavimento, cercando eventuali segni di vita, ma anche se non fosse stato un medico, avrebbe capito con un solo sguardo che non era più in questo mondo. Trasse le stesse conclusioni anche per l’uomo riverso disordinatamente sulle coperte. Entrambi i cadaveri presentavano profonde artigliate e strane ustioni e solo una creatura poteva lasciare segni del genere, a quanto ne sapeva. Ma com’era possibile che si fosse ripresentato così presto?

“Dottore…?” La voce di George era tesa, mentre tornava a guardare i coniugi Armstrong.

“Non c’è più nulla da fare” confermò Nick, a disagio.

Il signor Ross sospirò e si passò una mano sul volto. “Eileen aveva ragione, non era un semplice incubo quello che ha avuto stanotte”.

“George, se lui… se lui è riapparso…”.

“Lo so, lo so!” George fece un gesto stizzito. “Non serve che mi ricordi ciò che è successo quattordici anni fa! Mio figlio Jeb ne porta ancora i segni!”

I due uomini tacquero, pensando al ragazzo e a tutto quello che aveva dovuto subire: anche per lui era cominciato così, con una specie di sogno che lo aveva svegliato nel pieno della notte e che si era rivelato solo l’inizio di una disperata corsa contro il tempo per la sopravvivenza sua e del mondo.

“Dovremmo andarcene…” disse infine George, scacciando quei pensieri. “Qui non possiamo fare nulla e se arrivasse la polizia avremmo troppe cose da spiegare. E non voglio lasciare Eileen da sola per troppo tempo”.

Nick assentì e insieme uscirono dalla villa, mentre le prime luci dell’alba rischiaravano il cielo.

George era ansioso di tornare da Eileen, la sua secondogenita, che li stava aspettando nella macchina lasciata a qualche chilometro di distanza. Al pensiero della sua piccolina, gli si strinse il cuore: ciò che l’aspettava era una lotta senza tregua, esattamente com’era successo con Jeb. Eppure non riusciva a capacitarsene: com’era possibile che Neshfir, distrutto solo quattordici anni prima, fosse già rinato?

Non poté fare a meno di provare un brivido nel ripensare al brusco risveglio che li aveva colti impreparati quella notte; le urla di sua figlia, la corsa verso la sua stanza e le parole che lei aveva gridato appena sveglia:‘È tornato! Neshfir è tornato!’.

A quel punto George aveva capito che quello non era un semplice incubo: Eileen non aveva mai saputo il nome della creatura contro cui Jeb aveva in precedenza lottato, a malapena sapeva che fosse mai esistita. E allora, giusto il tempo di chiamare Nick ed erano corsi fin lì, solo per trovare una famiglia annientata.

“Pensi che lui lo sappia?” chiese infine Nick.

“Non ne ho idea. Io e lui non ci parliamo molto, ultimamente” ammise George, abbassando lo sguardo. Non riusciva a pensare a suo figlio senza provare dolore: si era sempre sentito in colpa per non essere riuscito a proteggerlo, per aver lasciato che lo addestrassero a combattere contro Neshfir; poi, da quando Jeb se n’era andato di casa, tutto era precipitato. Ogni volta che provava a chiamarlo lui non rispondeva, non voleva nemmeno sentire la sua voce, figurarsi vederlo di persona; per questo, nonostante fosse sicuro che al momento abitasse a Dublino, George non aveva mai provato ad andare da lui.

Per un periodo si era convinto che, una volta sbollito il rancore, Jeb sarebbe tornato spontaneamente a casa, ma ciò non era mai avvenuto: i mesi si erano tramutati in anni e ora temeva che suo figlio non avrebbe mai smesso di odiarlo. Non poteva dargli torto: non era mai stato un buon padre per lui.

“Immagino… che per una cosa del genere… mi avrebbe chiamato immediatamente” disse poi, con la voce spezzata.

***

Eileen se ne stava raggomitolata contro lo sportello dell’auto, stringendo il cappotto sul suo corpo freddo come il ghiaccio. Aveva anche alzato il riscaldamento, ma continuava a tremare. Aveva paura, era stanca e provata da ciò che stava accadendo: solo il giorno prima era una quattordicenne come le altre, forse con qualche problema in più, visto che aveva perso la madre e suo fratello era scappato di casa, ma queste erano cose che accadevano fin troppo spesso.

Invece non accadeva a nessuno di svegliarsi nel cuore della notte e scoprire che quello che si credeva un sogno molto vivo era la realtà. Nessuno aveva visioni di morte, nessuno!

Eileen chiuse gli occhi e singhiozzò, mentre brevi flash del suo incubo tornavano in superficie: soprattutto una creatura umanoide, con le sembianze di un ragazzo ma con orribili ali di una brutta sfumatura marrone e artigli taglienti e letali. Una creatura che aveva ucciso due persone senza che loro riuscissero a difendersi…

Sussultò quando la portiera si aprì.

“Tesoro, calmati, sono io” la tranquillizzò George. Lei lo guardò con gli occhi pieni di lacrime, poi si tuffò tra le sue braccia.

“Papà…” mormorò singhiozzando. Il genitore la strinse a sé e scivolò nel sedile accanto a lei, accarezzandole i lunghi capelli color castano chiaro. “Papà, era tutto vero? Li avete trovati?” chiese mentre Nick saliva al posto del guidatore e metteva in moto.

“Sì, cucciola. È tutto vero”

Lei singhiozzò più forte. “Cosa… cosa accadrà adesso?”

“Shh…” mormorò lui, nel tentativo di calmarla. “Ora pensa a riposare. Ti dirò tutto quando saremo a casa”

Eileen annuì, ma sapeva che non sarebbe riuscita a riposare, non dopo ciò che aveva visto.

***

Nick posò una tazza di camomilla di fronte alla ragazza, che subito la prese tra le mani per riscaldarle.

“Grazie” mormorò. Erano seduti nello studio di George e lei attendeva, con gli occhi gonfi di pianto, che si decidessero a raccontarle tutta quella storia, ma suo padre sembrava distratto e fissava la parete senza vederla.

“Chi è Neshfir? O meglio, cos’è? È contro di lui che ha lottato Jeb, vero?” chiede quindi la ragazza.

Nick non smetteva di guardarla addolorato. ‘Ha solo quattordici anni’ pensò. Del resto, Jeb ne aveva dieci quando tutto era cominciato.

George si riscosse dai suoi pensieri e tornò a contemplare la figlia. “Neshfir…” mormorò, quasi parlando a se stesso. “Bene. Neshfir è un’entità difficile da definire. Alcuni lo considerano un demone, altri uno stregone, altri uno spirito del male…” cominciò, con voce più sicura. “Io credo che sia tutto questo. Comunque tu voglia definirlo, è una creatura del male il cui fine ultimo è la distruzione completa del genere umano“.

“Papà! Papà, questa non è una lezione!” lo fermò la ragazza. “Parli come un professore!”

George abbassò lo sguardo. “Lui è il male” riprese. “È il male nella sua forma più pura. Non ha sentimenti come l’amore, non prova pietà, vive dell’odio e della paura delle persone. Vive per distruggere e la tua visione dovrebbe dartene un’idea”

Eileen rabbrividì al ricordo di tutta quella violenza, ma attese paziente che il padre continuasse il racconto. Bevve un sorso di camomilla, attenta a non scottarsi.

“Nessuno è mai riuscito a sconfiggerlo definitivamente. Forse è impossibile: il male è insito nel mondo, non puoi scacciarlo una volta per tutte. Certo, Neshfir può essere battuto, almeno per il momento, ma torna sempre. Ci sono persone - come te, come Jeb - che sono in grado di uccidere la forma di Neshfir che affrontano. Di solito impiega qualche centinaio d’anni per rigenerarsi e svegliarsi dal suo lungo sonno”. George fece un’altra pausa e cercò lo sguardo di sua figlia. “Eppure, questa volta, qualcosa è andato storto. Quattordici anni fa, toccò a tuo fratello: lo sconfisse, nonostante fosse così giovane. Fu molto coraggioso, non risparmiò energie mentre combattevano. Neshfir sembrava più forte, ma Jeb era instancabile: ogni ferita che riceveva, la infliggeva a sua volta all’avversario. E alla fine trionfò” sospirò. “Ma ora, dopo soli quattordici anni, Neshfir è rinato”.

“Ma che aspetto ha?” chiese Eileen dopo un po’. “Voglio dire, presenta sempre la stessa forma?”

La pausa di suo padre fu più lunga, questa volta. “Nei casi documentati…” cominciò alzandosi e andando a frugare in una libreria. Tornò con un grosso volume rilegato. “…Neshfir si presenta sotto la forma di un essere mostruoso, alto quanto un uomo ma molto, molto più forte; la sua pelle non può essere scalfita dalle armi comuni, solo pochi prescelti hanno la possibilità di danneggiarlo in qualche modo. Tu sei una di queste persone”.

Eileen guardò la figura che campeggiava sulla pagina che suo padre le aveva aperto davanti; era solo un disegno, ma riusciva a rendere tutta la crudeltà e l’orrore che Neshfir emanava: era orribile, una figura con due gambe e due braccia come un umano ma dall’aspetto più possente, completamente glabra, dalla schiena vagamente ricurva; possedeva lunghi artigli letali e un volto allungato, con occhi completamente gialli e file di denti aguzzi che non avevano nulla da invidiare a qualsiasi predatore.

“Ma io… nella visione era tutto diverso…” farfugliò Eileen.

“Tutto diverso?” chiese Nick, stupito.

“Lui era… non era così…” disse Eileen guardando entrambi. I suoi occhi erano ancora gonfi di pianto. “Aveva l’aspetto di un ragazzo alato, ma era sicuramente lui… come se si stesse ancora trasformando” concluse, pensierosa.

George si accigliò. “Molte nozioni riguardanti questo essere non sono giunte fino a noi, ci sono molte cose che non conosciamo. Devi sapere che nella fase più avanzata Neshfir riesce a modificare il suo aspetto per confondersi tra gli uomini, cosa che lo aiuta nel suo piano di distruzione, ma non è mai accaduto che ottenesse questa facoltà all’inizio. Penso piuttosto che abbia trovato uno stratagemma per rinascere così presto…” osservò.

Eileen boccheggiò. “Intendi dire che forse ha usato un ragazzo per tornare in vita?” chiese, con voce flebile.

“Il ragazzo…” intuì Nick, aggrottando le sopracciglia. Padre e figlia si voltarono confusi verso di lui. “Il figlio degli Armstrong non era presente quando c’è stato l’attacco: abbiamo pensato che fosse a dormire da un amico, ma potrebbe essere andata diversamente” si spiegò.

“Pensi che lui…” cominciò George, ma Nick lo bloccò con un gesto della mano.

“Prima di saltare alle conclusioni, ho bisogno di fare alcune ricerche. Tieni conto che il luogo in cui Jeb lo ha sconfitto non era lontano da quella casa” disse il dottore. “Voi cercate di mettervi in contatto con Jeb e preparatevi a patire. Io tornerò non appena avrò idee più chiare sull’accaduto”.

George annuì e guardò l’amico uscire.

“Partire? E per dove?” chiese Eileen, presa alla sprovvista.

George esitò, voltandosi verso di lei. “Dobbiamo portarti in un luogo sicuro, Eileen…” disse. “I tuoi poteri non sono ancora sviluppati e, se Neshfir ti trovasse, non avresti speranze, ora come ora. In un posto protetto, imparerai a difenderti”.

“Quindi… dovrò combattere? Non c’è altra soluzione?” La voce di Eileen divenne più acuta.

“Sai che, se ci fossero altre possibilità, non ti lascerei affrontare tutto questo…” replicò lui. Il suo tono riproduceva fedelmente tutta la frustrazione che provava e, alzando lo sguardo, Eileen notò tutto il dolore che gli provocava.

“Lo so, papà…” mormorò. Rimase in silenzio, a lungo. “E dove andremo?”

“Prima di tutto, passeremo da Dublino: dobbiamo parlare con tuo fratello e preferirei farlo a voce” spiegò l’uomo. “Poi, insieme, troveremo il luogo adatto”.

“Ma sei sicuro che io abbia questi poteri di cui parli? E in cosa consistono?” insistette lei. “Ci sono ancora tantissime cose che non mi hai spiegato. E come farò ad imparare? Chi m’insegnerà? Quanto tempo impiegherò a padroneggiare i miei poteri?”

George indietreggiò, travolto da tutte quelle domande. “Non abbiamo molto tempo…” disse. “Molte cose dovrò spiegartele in viaggio; comunque non sarai sola: ci saranno persone che potranno insegnarti tutto ciò che devi sapere e avrai degli alleati, ragazzi con dei poteri che ti aiuteranno nell’impresa”

“Ci sono altri come me, dunque?”

“Sì, ma è più complicato di quanto pensi” George si risedette, con un sospiro, e lanciò un’occhiata grave alla figlia. “Devo raccontarti una storia, una leggenda. Non so quanto ci sia di vero, ma contiene qualche verità accertata”

Eileen annuì meccanicamente.

“La leggenda narra che, con l’evoluzione del genere umano, anche il male crebbe con esso: fu così che venne generato Neshfir, una creatura alimentata dall’odio e dalla crudeltà degli stessi uomini; ma la prima volta che si manifestò, nessuno sembrò in grado di fronteggiarlo. Lui e i suoi compagni fecero strage di uomini, donne e bambini, scagliandosi con crudeltà mai vista sulla popolazione più debole. Le prime comunità che incontrò non poterono opporvisi: per quanto i villaggi radunassero i guerrieri migliori, quelle creature erano troppo forti e violente. Sembrò la fine del genere umano. Fu allora che sette ragazzi sopravvissuti, provenienti dalle diverse parti del mondo toccate da Neshfir, nello stesso momento chiesero aiuto ai loro dei, per ricevere la forza per combatterle: per vendicare le proprie famiglie uccise e per salvare chi era ancora in vita. Il loro desiderio fu esaudito: i ragazzi si scoprirono portatori di un potere in grado di contrastare quegli esseri mostruosi che avevano messo in pericolo le loro vite e quelle dei loro cari; tutti e sette erano diventati potenti, ma uno di essi prevaleva come forza e come abilità e divenne la guida dei nuovi Guerrieri. Affrontarono Neshfir e dopo una lunga battaglia lo sconfissero. Con esso, anche gli altri demoni scomparvero e i giovani Guerrieri tornarono alle loro case distrutte: ricostruirono i loro villaggi o le loro tribù, e la storia riprese il suo corso. Ma passarono i secoli e Neshfir fece di nuovo la propria comparsa e i poteri dei Guerrieri rinacquero nei loro eredi”.

Eileen ascoltava ammaliata. “Quindi… io discenderei da uno di quei ragazzi?” chiese. Il padre annuì. “Non si conoscono i loro nomi?”

“No, non sappiamo altro di loro, non sappiamo nemmeno quanto di questa leggenda sia autentico, ma una cosa è assolutamente vera, ossia la discendenza: nella storia, tutti i Guerrieri sono legati ai precedenti in qualche modo” spiegò lui.

“Anche Neshfir ha dei compagni…” mormorò all’improvviso Eileen.

“Sì, sono legati a lui indissolubilmente. Il loro numero cresce ogni volta che lui ricompare: inizialmente erano solo tre…”

“E adesso? Quanti sono, ora?” chiese la ragazza.

Lui rimase in silenzio a lungo. “Dovresti andare a prepararti…” disse poi. “Dobbiamo partire al più presto”

Eileen provò un brivido e capì che la lotta sarebbe stata ancor peggiore di quanto si aspettasse.

***

George non aveva mai parlato di tutto quello a Eileen e ora si pentiva di non averlo fatto: se non altro, sarebbe stata più preparata. 

Ma, del resto, quando ancora Jeb era a casa con loro, il ragazzo si rifiutava di parlarne e lui rispettava la sua decisione. Quando poi se n’era andato, il ricordo di quell’esperienza che li aveva allontanati faceva troppo male per riaffrontare il passato.

Eileen a quel punto, però, aveva cominciato a fare domande sul perché il suo adorato fratellone non tornava a casa e aveva dovuto raccontarle qualcosa sulla lotta che Jeb aveva affrontato, ma non tutto, solo lo stretto indispensabile per spiegarle il comportamento del fratello: era giusto che fosse Jeb a parlargliene, quando e se avesse voluto.

Sapeva che lui era in contatto con la sorella, che un paio di volte le aveva fatto la sorpresa di andare a prenderla a scuola; almeno di questo George poteva rallegrarsi: il rapporto dei due fratelli, nonostante la notevole differenza di età, era sempre stato molto buono e non voleva che Eileen soffrisse troppo la mancanza di Jeb. Era per questo che non aveva mai fatto domande, che aveva finto di non sentire quando aveva scoperto Eileen, alle due di notte, a parlare al telefono con il fratello. Non aveva mai guardato nella posta elettronica della figlia per vedere cosa Jeb le scriveva. Se il figlio avesse saputo che il padre tentava di spiarlo tramite Eileen, avrebbe rotto i ponti anche con lei e questa era l’ultima cosa che voleva.

Sapeva che Jeb stava bene, che se la cavava nel mondo esterno, e tanto gli bastava. Grazie a Nick, sapeva che anche economicamente tirava avanti e che aveva un lavoro fisso che gli consentiva di vivere abbastanza bene, forse con qualche minimo sacrificio, ma quelli erano briciole in confronto a ciò che aveva già affrontato. Non sapeva altro della sua vita privata, non voleva spiarlo ulteriormente e Jeb non gli avrebbe mai risposto, anche se si fosse degnato di parlargli.

Era sempre stato consapevole di poter fare poco o nulla per riavvicinare suo figlio, ma ora Jeb doveva sapere ciò che era accaduto quella notte; doveva fare ciò che non aveva mai voluto fare: rientrare a forza nella vita di suo figlio, obbligarlo ad ascoltare.

***

Eileen tirava su col naso mentre riempiva la grossa valigia sgualcita che aveva aperto sul letto; il rosso del bagaglio cozzava col violetto del piumone, ma lei nemmeno lo notava. Ancora non riusciva a capacitarsi di tutto quello che le stava capitando e già era costretta a partire.

Chissà quando rivedrò questa casa, o quando uscirò di nuovo con le mie amiche… rifletté, angosciata. Quasi le venne da ridere: in un momento come quello pensava alla sua camera e alle amicizie? Stava per affrontare un mostro! La aspettavano mesi di combattimenti e dolore, come poteva perdere tempo ad essere nostalgica?! Doveva smetterla di pensare a quelle frivolezze e concentrarsi sull’obiettivo.

Ma in fondo questa era la mia vita, prima che il destino si rivoltasse contro di me… soppesò Eileen, sedendosi sul materasso. Sentendosi una stupida, riprese a piangere e gli sembrò di non aver fatto altro da quando si era svegliata; ma non singhiozzava più: non era più un pianto disperato, piuttosto era rassegnato… come se volesse sfogarsi una volta per tutte, per poi riprendere in mano le redini di quella brutta situazione.

Voleva essere forte, voleva alzarsi e finire la valigia, invece rimase seduta. Si limitò a guardarsi attorno, mentre le lacrime le rigavano le guance: ogni fotografia, ogni poster, ogni oggetto accatastato sulla scrivania o sugli scaffali era un cimelio di una vita che ora le appariva lontana, e che pure era durata fino al giorno precedente. Ad ognuno era associato un ricordo e un volto, come il poster del suo attore preferito che la sua migliore amica le aveva regalato due anni prima, o i fumetti che il suo compagno di classe - Justin, quello carino, quello con cui sperava di uscire proprio quel finesettimana, quello a cui avrebbe dato buca dopo aver penato così tanto prima di essere invitata ad un innocente ma promettente appuntamento al cinema - le aveva prestato dopo che si erano scoperti appassionati della stessa saga… erano i primissimi numeri, quelli che lei non era mai riuscita a trovare.

Ora anche Justin le appariva lontano, sfocato. Chissà, forse non l’avrebbe più rivisto…

Si rialzò, asciugandosi le ultime lacrime. No, lei doveva tornare! Quello non poteva essere un addio, lei doveva vincere, anche se non sapeva ancora come.

Mentre infilava gli ultimi vestiti nella valigia, l’occhio le cadde sul portafoglio; con un sospiro lo aprì e vide i suoi documenti, che la identificavano come Eileen Ross. Fece una smorfia: il suo cognome non era Ross, bensì O’Sullivan.

Ross era il nome della sua nonna paterna da nubile; forse per il desiderio di voltare pagina, poco dopo la perdita della moglie, suo padre aveva mollato tutto - il suo posto d’insegnante in una scuola prestigiosa, le sue amicizie - e si era trasferito in quel paesino nel nord della Scozia, nella casa ereditata dalla madre di lui.

Chi ne aveva più sofferto era stato Jeb, perché all’epoca Eileen si rendeva a malapena conto di essere al mondo; ed infatti, quando se ne era andato di casa, il fratello aveva ripreso il suo cognome ed era tornato in Irlanda, la loro terra d’origine.

Eileen sapeva che, per il mondo esterno, Jeb O’Sullivan non aveva famiglia: nell’impeto d’odio che l’aveva spinto ad andarsene, lui aveva persino negato di avere un padre e una sorella ancora in vita. La ragazza era rimasta ferita da questo, quando Jeb gliel’aveva confessato. Forse non lo aveva mai perdonato davvero, ma non era riuscita a tenergli il broncio a lungo.

E adesso non vedeva l’ora di rivederlo.

Forse, questa brutta situazione porterà almeno qualcosa di buono rifletté: magari, ora che Jeb era costretto a parlare con suo padre, il loro rapporto si sarebbe risanato. Lei non credeva nei miracoli: sapeva che nulla sarebbe stato più come prima, ma si poteva sperare in una relazione civile tra i due.

Infilò il portafoglio nello zaino, insieme a chiavi, cellulare, ipod e un libro, poi controllò per l’ennesima volta di non aver lasciato nulla d’importante: tutte le fotografie di sua madre e dei suoi amici avevano abbandonato i loro abituali posti su scaffali e scrivania e giacevano nella valigia, ma aveva rinunciato a portare cose ingombranti anche se di gran valore per lei, come il peluche di una foca a grandezza naturale che Jeb aveva vinto per lei poco prima di abbandonarla; quello sarebbe stato al sicuro nell’armadio.

Aveva fatto una cernita di vestiti, consapevole che solo nei cartoni animati e nei fumetti era indispensabile un abbigliamento corretto e alla moda per salvare il mondo.

Chissà che un giorno non mi dedicheranno un manga? Eileen la guerriera… scherzò tra sé, per tirarsi su di morale.

Richiuse la valigia di scatto, sigillandovi la sua nuova vita.

“Tesoro, sei pronta?” la chiamò George.

“Sì, ora arrivo” rispose lei, guardandosi ancora una volta attorno.

Infine afferrò la valigia e prese a trascinarla nel corridoio.


Continua....

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