Twins' switch

di Daphne_Descends
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** She'd be California ***
Capitolo 2: *** Don't let your enemies become friends ***
Capitolo 3: *** Losing grip ***
Capitolo 4: *** Slide ***



Capitolo 1
*** She'd be California ***


She’d be California

 

 

L’aria calda entrava dal finestrino abbassato della mia vecchia utilitaria, scompigliandomi i capelli e rombandomi nelle orecchie, mentre il lungomare californiano mi scorreva di fianco.
Nonostante il sole del primo pomeriggio infiammasse il terreno, ero deciso a farmi una nuotata rinfrescante, dopo aver passato tutta la mattina a servire clienti nel bar del vecchio Al, amico di famiglia e mio datore di lavoro.
Rallentai in prossimità dei parcheggi e mi infilai accanto ad una monovolume, spegnendo il motore e rilasciando il respiro. Anche quella volta ero riuscito ad arrivare a destinazione.
Tirai fuori il cellulare dalla tasca dei bermuda e composi velocemente un numero che ormai conoscevo a memoria; lo sentii suonare un paio di volte, finché una voce allegra si sostituì al segnale di chiamata.
«Ehi, Dan! Ma dove diamine sei finito?! Ti sto aspettando da un’eternità!»
Roteai gli occhi, esasperato dall’atteggiamento di quello che, purtroppo, era il mio migliore amico «Ho avuto un contrattempo, sono arrivato soltanto adesso. Tu dove sei?»
«Solito posto, oggi c’è anche una vista fantastica, non so se mi spiego» rispose malizioso, ridacchiando subito dopo tra sé, come un perfetto idiota.
Ignorai la sua ultima uscita «Adesso arrivo, cerca di trattenerti» dissi sarcasticamente, sperando che non si facesse cacciare a pedate da chi formava la vista fantastica.
Chiusi la chiamata e mi voltai a prendere lo zaino malandato dal sedile del passeggero, ma in quel momento sentii un colpo contro la macchina e un fastidioso rumore di metallo strisciato. Non mi ci volle molto a capire che qualcuno, probabilmente un incapace, aveva centrato la mia auto durante la complicata impresa di parcheggiare la sua lucente decappottabile.
Guardai fuori dal finestrino con una smorfia scocciata e incontrai gli occhi azzurrissimi di Juliet Harris, indiscussa reginetta del liceo per due anni consecutivi, ora al secondo anno dell’università di Yale e mia dirimpettaia.
Mi salutò con un sorriso e un cenno della mano «Scusa Daniel, ma May non ha frenato abbastanza» lanciò un’occhiataccia alla ragazza al suo fianco, che sbuffò, sollevando la frangia bionda, e spense la macchina.
«Tanto una botta in più o una in meno» disse scrollando le spalle e guadagnandosi una lieve gomitata e uno sguardo eloquente, che la obbligarono a tirarsi su gli occhiali da sole e fissarmi intensamente con le stesse iridi azzurre di Juliet «Scusami tanto Smith, ma il tuo catorcio è passato inosservato».
«Non avevo dubbi Harris, a te passano inosservate molte cose, anche l’assenza di un cervello» ribattei seccato.
«Sempre il solito simpatico».
La ignorai e mi decisi finalmente a scendere e dare un’occhiata al danno subito dalla mia auto: c’era una piccola botta vicino al faro posteriore e una riga che si confondeva con il resto della carrozzeria ammaccata. Tanto una botta in più o una in meno.
«Non è nulla di grave, spero» disse Juliet, avvicinandosi preoccupata.
La rassicurai scuotendo la testa e mi caricai lo zaino su una spalla.
«Visto?» disse May, lanciandole una borsa pescata dal bagagliaio «Ti preoccupi troppo».
«Certo che mi preoccupo, visto che poi devo sempre rimediare ai tuoi guai» si scostò con stizza una ciocca di capelli castani dal viso, puntando lo sguardo sulla sorella.
«Non ce n’è bisogno, sono capace di cavarmela da sola. E poi finiscila di comportarti da sorella maggiore, sono nata ben tre minuti prima di te!» berciò May, afferrando il suo borsone e chiudendo con stizza la macchina.
«Appunto, quindi sono io la maggiore e come tale sono responsabile delle tue azioni».
«Beh, vi saluto» mi intromisi, ben deciso ad evitare di assistere all’ennesimo litigio tra sorelle.
Entrambe si voltarono verso di me, guardandomi con gli stessi occhi azzurri e lo stesso viso dolce, peccato che quello di May fosse piegato in una smorfia.
Mi allontanai di fretta, mentre loro riprendevano la discussione, e diedi un’occhiata all’orologio, dirigendomi verso la spiaggia affollata.
 

Trovai Ryan sdraiato sul suo asciugamano rosso, a pochi metri di distanza da un gruppo di ragazze chiacchierine e sorridenti. Buttai lo zaino al suo fianco, facendogli volare un po’ di sabbia in faccia; lui tossì e aprì gli occhi chiari infuriato, ma si rilassò quasi subito.
«Finalmente! Pensavo ti fossi perso» si mise seduto, mentre tiravo fuori il mio asciugamano e lo stendevo accanto al suo.
«Ho avuto un contrattempo» dissi laconico, togliendomi le scarpe e la maglietta.
«Tu hai sempre dei contrattempi» si lamentò, passandosi una mano tra i capelli biondi e lanciando un’occhiata al gruppetto alla nostra sinistra «Inizio a pensare che siano tutte balle, sai?»
Alzai gli occhi al cielo e tornai a fissarlo da dietro le lenti scure dei miei occhiali «May mi ha tamponato mentre parcheggiava».
«Oh. Non le hanno ancora tolto la patente?»
«Evidentemente no» mi tolsi gli occhiale da sole e gli feci un cenno col capo, avviandomi verso l’oceano per il primo bagno della giornata.



 

«Mi passi il sacco, tesoro?»
Con un sospiro impercettibile avvicinai il bidone del pattume alla figura chinata di mia madre, intenta a togliere le erbacce dal nostro giardino.
Adoravo mia madre, sul serio, ma l’avrei adorata ancora di più se non mi avesse acciuffato al ritorno dalla spiaggia, non appena messo piede giù dalla macchina.
Durante l’anno vivevo al campus, nonostante l’università di Santa Barbara non fosse lontana, e tornavo solo per i fine settimana e le vacanze. Preferivo stare lì, senza distrazioni e in grado di poter organizzare il mio tempo come più mi piaceva; senza contare che il campus era come una piccola città e non avevo bisogno di uscire per procurarmi l’indispensabile, avrei potuto addirittura girare in bicicletta.
Quindi approfittavo delle vacanze per stare con i miei genitori e quella peste del mio fratellino.
«Danny, giochi con me?» mi chiese Damon, saltellando giù dai gradini del portico con la sua adorata palla da football e un sorrisone sul volto.
Feci una smorfia, scostandomi un ciuffo da davanti agli occhi «Non posso, sto aiutando mamma».
«Non preoccuparti caro, andate pure a giocare» agitò una mano guantata e riprese a lottare contro una pianta infestante dalle radici particolarmente robuste.
Mollai il bidone esasperato: prima mi obbligava a darle una mano e poi mi cacciava via!
Damon corse a qualche metro di distanza e si girò verso di me, agitando la palla sopra la testa.
«Va bene, vai» mi arresi, sistemandomi meglio gli occhiali da sole e stirando i muscoli della schiena.
Mio fratello lanciò con forza il pallone ovale e io non ebbi difficoltà ad afferrarlo, mettendoci soltanto un attimo per ritirarglielo.
Damon sognava di diventare un quarterback professionista, non avevo la più pallida idea del perché, e appena poteva ne approfittava per allenarsi. In realtà ne avrebbe dovuta fare parecchia di strada per anche soltanto pensare di poter resistere ad un placcaggio, visto il suo fisico mingherlino, ma lui non si arrendeva e continuava a provarci ed era una cosa che ammiravo parecchio, nonostante mi premurassi di non farglielo sapere.
Personalmente preferivo il basket e avrei potuto passare ore a palleggiare su un campo qualsiasi, ma purtroppo nella mia vita dovevo trovare spazio anche per lo studio.
«Ehi, Dan» mi chiamò Damon, andando a recuperare il pallone mancato «Sai che il fratello di Josh sta organizzando un torneo di beach volley per il quartiere?»
«No, ti prego» mormorai esasperato «Quell’idiota di Matt non sa nemmeno giocarci a beach volley».
A basket era un grande playmaker, ma non sapeva nemmeno fare una battuta.  A pallavolo e in qualsiasi altro senso.
Damon scrollò le spalle e tirò la palla «Dice che possono partecipare tutti, senza limite di età» iniziavo a capire dove volesse arrivare «Fai squadra con me? Io e Josh abbiamo scommesso: chi perde paga il cinema».
«Dom, sai che non sono capace» soffiai, massaggiandomi una tempia «Non so quanto ti convenga avermi come compagno».
Lui si imbronciò «Per favore! Almeno facciamo qualcosa insieme!»
«Non vuoi vincere?»
«Sì, ma voglio giocare con te! E poi Josh gioca con Matt e Matt ha detto di obbligarti a partecipare!»
Alla prima occasione l’avrei di sicuro fatto secco «E va bene, ci sto!» esclamai arreso «Ma la prossima volta facciamo qualche tiro a canestro, invece di football».
Damon esultò e tirò la palla con troppa forza, facendola finire ben oltre la mia testa e su quella di qualcuno che imprecò poco finemente.
«Chi è l’incapace?» sibilò May, massaggiandosi il capo e fulminandoci, mentre con una mano teneva il pallone.
Mia madre ridacchiò, con i guanti e il viso sporchi di terra, e Damon si illuminò «Ciao May!» esclamò correndole incontro.
Purtroppo i miei genitori e i signori Harris erano buoni amici e, di conseguenza, la mia famiglia adorava le due gemelle; mia madre in particolare aveva una predilezione per May, anche se proprio non riuscivo a capire il perché.
Mi avvicinai svogliato, mentre Damon aggiornava May sulle novità del quartiere, non pensando alle terribili conseguenze che ne sarebbero scaturite.
Perché purtroppo May Harris era una grande appassionata di pallavolo, tanto quanto Damon lo era di football e mia madre di giardinaggio, e, purtroppo, era anche attaccante della squadra femminile del college e colpiva la palla con una violenza impensabile per il suo fisico minuto. Quindi sì, bravo Dom, per averci appena procurato l’avversaria più terribile della zona.
«Beach volley? Interessante» Per l’appunto «Voi partecipate?»
Damon annuì con un sorriso «Dan gioca con me! Dobbiamo assolutamente battere Josh e Matt!»
May mi lanciò un’occhiata divertita «Ma tuo fratello è sicuro di sapere come si gioca?» chiese con un ghigno.
La fulminai «Certo che sì, grazie tante» sibilai irritato. Sapeva sempre tirare fuori il peggio di me, il problema era che con mia madre presente non potevamo insultarci come al solito.
«Era pura e semplice curiosità!» alzò le mani con una finta aria innocente, provocando le risate della mia solidale genitrice, che stava iniziando a riporre i suoi attrezzi da giardiniera pazza per andare a preparare la cena «In realtà sono venuta qui per un altro motivo: devo parlarti» mi disse, tornando seria.
Tirai su gli occhiali da sole e la fissai con una smorfia: quando May voleva parlarmi, dovevo sempre aspettarmi il peggio.
«Non fare quella faccia, sembri costipato!» ribatté lei, gentile come sempre, chiaro segno che mia madre era appena rientrata in casa, portandosi dietro Damon.
«Cosa vuoi?»
«Hai presente Hazel Green?» mi chiese, portandosi indietro una ciocca di capelli biondi con un colpo distratto della mano.
«Chi, la rossa con la quarta?» E i genitori fuori di testa? Chi mai chiamerebbe la propria figlia “nocciola”, quando il suo cognome è Green?
L’occhiataccia che mi lanciò mi fece desiderare non aver mai parlato «Esattamente» sibilò «La rossa con la quarta finta».
Regola numero uno: non parlare con una ragazza facilmente irritabile del seno di qualcun’altra.
«Sì e allora? Cosa ti ha fatto Hazel Green?» La domanda più appropriata sarebbe stata: cosa hai fatto ad Hazel Green, ma se l’avessi detta probabilmente avrei scatenato una delle solite scenate e, dopo una giornata piena come quella, avrei preferito decisamente non sprecare altre energie litigando con May.
«Mi ha sfidato per una questione che non ti deve interessare, quella brutta tro-».
«Aspetta un attimo» la interruppi, prima che iniziasse ad insultare la Green «Cosa vuoi da me?»
Roteò gli occhi azzurrissimi, storcendo il naso abbronzato «Se mi fai finire, ci arrivo» sospirò, come a prendere coraggio, e sputò fuori «Mi devi insegnare a giocare a basket».
Non registrai subito le sue parole, perché mi sembravano assurde: May non amava il basket, probabilmente perché giocavamo nello stesso centro sportivo e i nostri allenatori litigavano sempre per il campo, quindi il solo fatto che volesse imparare mi lasciava a bocca aperta.
«Perché?!»
«Perché la tua adorata Hazel mi ha sfidato ad una partita di basket, visto che entrambe non sappiamo giocarci!»
«Ehi, non è la “mia adorata Hazel”!  Non la conosco neanche!»
May incrociò le braccia, chiaramente irritata «Beh, sta’ sicuro che non ti perdi niente. Allora, hai intenzione di darmi una mano? Deciditi, altrimenti mi tocca chiederlo a quel borioso di Wilson».
Entrambi facemmo una smorfia al pensiero della felicità di Matt se l’avesse saputo, vista la sua ben conosciuta cotta per May.
«Va bene» acconsentii di malavoglia «Almeno posso insultarti quando sbagli».
«Non ci conterei se fossi in te» ribatté, col naso per aria «Sarò talmente brava che non riuscirai nemmeno a toccare palla!»
Alzai un sopracciglio scettico, mentre si voltò per andarsene, salutandomi con una mano e la solita aria indisponente.
Non rimasi a guardarla arrivare fino a casa sua, sinceramente mi interessava poco e avrei potuto essere insultato per averle fissato il sedere, anche se non era certo la mia aspirazione, a differenza di Matt.
Ma all’ultimo mi ricordai di una cosa e dovetti per forza correrle dietro, prima che rientrasse in casa «Ehi, Harris!» la chiamai, attraversando la strada.
May si girò sorpresa, cercando di assumere un’espressione infastidita, e mi fece un cenno del capo per spingermi a parlare. Almeno non mi aveva ancora insultato.
«Quando avete la sfida?» chiesi, appoggiandomi alla ringhiera del suo portico.
«Tra due settimane».
«Due settimane? Come pretendete di imparare a giocare a basket in due settimane?!»
Incrociò le braccia, alzando gli occhi al cielo «Che palle, dobbiamo solo fare qualche canestro, non è una sfida da professionisti».
Scossi la testa, lasciando perdere la questione «Domani mattina sei libera?»
«Sul tardi, però. Tu potrai anche svegliarti al canto del gallo e ammirare il sole nascente, ma io vorrei dormire, sai?»
Quella volta toccò a me alzare gli occhi al cielo, esasperato «Facciamo verso le dieci?»
«Ok».
La salutai con un cenno del capo e mi voltai per tornarmene indietro, avvertendo per tutto il tempo il suo sguardo azzurro e penetrante addosso.

 
Si dice che il primo amore non si scorda mai, che è speciale e va custodito per sempre.
Beh, io invece avrei proprio voluto dimenticarlo, soprattutto perché non mi aveva portato altro che un sacco di problemi e scocciature. Come May Harris e il suo carattere irritante.
Perché mai mi ero innamorato di Juliet?
Era innegabilmente bella e perfetta sotto ogni punto di vista, ma mi erano bastati pochi anni per stufarmene. Mi piaceva ancora parlare con lei ed era rilassante stare in sua compagnia, ma solo come amica. Niente di più.
In compenso sua sorella era insopportabile e nonostante ci conoscessimo da una vita non riuscivamo ancora ad andare d’accordo.
Seguiva più o meno i miei stessi corsi in università, era nel mio stesso dormitorio e frequentava i miei stessi locali. Un vero incubo.
Me la ritrovavo sempre tra i piedi, sia durante l’anno accademico sia in vacanza.

 
Davvero, non c’era persona al mondo che sopportavo meno di May Harris.









 

N/A: Salve a tutti! Questa è la versione riveduta e totalmente cambiata di una storia che stavo scrivendo un po’ di tempo fa. Mi è venuta voglia di pubblicarla, anche se l’ho praticamente solo iniziata, e spero vi possa interessare.
 
L’università di Santa Barbara, così come la città (luogo in cui sarà ambientata la storia), esiste davvero e personalmente me ne sono innamorata, tanto che ormai è diventata la mia università da sogno. Non ci sono mai stata (purtroppo) quindi non so come possa realmente essere, le informazioni sono tutte state prese da Wikipedia e ho dato un’occhiata con Street View di Google Maps. Sinceramente vi consiglio di andarla a cercare, credetemi ne vale proprio la pena!
 
Il titolo del capitolo è il titolo di una canzone dei Rascal Flatts, trovata per caso mentre ascoltavo dei video su YouTube e devo dire che è perfetta!
 
Avviso per chi segue le altre mie storie: non preoccupatevi perché prima o poi le aggiornerò, solo che in questo periodo faccio un po’ fatica a scrivere, sarà l’estate! Comunque non ho intenzione di lasciarle incomplete, basta avere pazienza e riuscirete a leggere la fine!
 
Volevo poi ringraziare Yellow_B (sperando che passi di qui) per aver letto e recensito quasi tutte le mie storie, mi ha fatto moltissimo piacere, sul serio! Spero che continuerai a seguirmi!

 
Grazie per aver letto, spero vogliate farmi sapere cosa ne pensate!
Al prossimo capitolo, anche se non so quando sarà!

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Capitolo 2
*** Don't let your enemies become friends ***


Don’t let your enemies become friends

 

 

Non riuscivo ancora pienamente a capire come diavolo fossi finito in quella situazione.
 
Forse lassù qualcuno mi odiava profondamente.
O magari nella mia vita precedente ero stato un assassino.
O forse ero soltanto terribilmente sfigato.
Il che avrebbe spiegato diverse cose, soprattutto il fatto che quella era la sesta volta che May Harris mi travolgeva con la sua incredibile grazia da bisonte, cercando di far finta di palleggiare e avvicinarsi al canestro.
 
«Oh che palle, ti ho già chiesto scusa» si lamentò roteando gli occhi azzurri, mentre la palla rimbalzava poco più in là, il più lontano possibile da lei. Che pallone intelligente.
«Sì, la prima volta!» esclamai, massaggiandomi il fianco con una smorfia «Riesci ad essere più delicata? Forse non te ne sei ancora accorta, in pieno delirio distruttivo, ma stiamo tentando di giocare a basket, non a football, chiaro? Basket».
«Cosa cambia? Fanno schifo tutti e due».
Mi scostai i capelli dalla fronte sudata, esasperato «Non ti sopporto più. Perché diavolo ho accettato?» mi domandai ad alta voce.
Ma lei rispose lo stesso, alzando il naso per aria «Perché volevi insultarmi, ma come vedi non ti ho dato nessuna occasione per farlo».
La fissai stralunato «Dimmi che stai scherzando. Hai fatto davvero pena».
Fece schioccare la lingua indispettita e andò a recuperare il pallone «Sei tu che non sai spiegare!»
«Sei tu che sei un’incapace» ribattei, afferrando al volo la palla che mi aveva lanciato con stizza.
«Se non fosse che Wilson cercasse sempre di palparmi, l’avrei chiesto a lui. Sicuramente è più bravo di te».
Io scrollai le spalle, indifferente a quello che voleva sembrare un insulto, perché non avevo alcun dubbio che Matt sapesse spiegare il gioco meglio di me «Sei liberissima di andare da lui, sai? Per me sarebbe una grande liberazione».
Mi fulminò con i suoi occhi azzurri «Mi senti quando parlo?! Ho detto che ci andrei solo se non cercasse sempre di palparmi!» strillò infuriata.
Feci una smorfia «Cosa diavolo ci trova in te? Sembri una gallina».
«E tu cosa ci trovavi in Juliet?» mi chiese, mentre le sue labbra si piegavano in un ghigno «La verità è che voi maschi siete tutti uguali. La prima cosa che vedete è l’aspetto fisico, se una ragazza è bella, ha tante tette o le gambe lunghe, ma non vi importa davvero di com’è realmente! A te Juliet piaceva soltanto perché è bella, infatti te ne sei stancato subito. Non era il tuo genere di ragazza, forse? Eh, Daniel?»
La fissai senza distogliere lo sguardo, cercando di capire cosa le passasse per la testa.
Non ci avevo mai pensato molto, a dire la verità, ma forse aveva ragione lei. Juliet mi piaceva perché era la ragazza più bella del quartiere, perché sorrideva sempre ed era gentile. Mi sentivo elettrizzato quando mi parlava, ma niente di più. Non provavo nient’altro, perché forse in fondo sapevo che non era la ragazza adatta a me.
Era stata solo una cotta passeggera; volevo bene a Juliet, lei era magnifica, ma di certo non l’amavo e non l’avevo mai amata.
«Sì, mi piaceva per il suo aspetto, ma questo non significa che non apprezzi tutte le sue altre qualità! Juls è unica» le risposi sinceramente, scrollando le spalle.
Una strana luce le passò negli occhi e non riuscii a decifrarne il significato, ma il tono della sua voce era inconfondibile: amaro e sdegnato «Unica? Non farmi ridere» puntò lo sguardo sul canestro attaccato al muro del retro di casa mia. Non la interruppi, perché sebbene non volessi ammetterlo, la conoscevo abbastanza per sapere che c’era dell’altro oltre a quello che aveva sputato fuori.
Si morse un labbro, cercando di trattenere il fiume di parole che stava per sgorgare, ma inutilmente «Nessuna di noi due sarà mai unica. Mai. Perché ogni volta che qualcuno ci guarda, vedrà sempre anche l’altra» iniziò riluttante, stringendosi le braccia intorno al corpo, come a proteggersi dalla realtà. Non cercai di dire nulla, non mi mossi nemmeno, perché lei si sarebbe ritratta sicuramente, nascondendosi di nuovo dietro ad una finta immagine di sé.
«Io e lei siamo uguali, abbiamo lo stesso identico aspetto e, credimi, è una cosa che non sopportiamo. E’ per questo che il nostro carattere è l’opposto, perché pensavamo che la gente potesse distinguerci più facilmente, ma la verità è che non è servito. C’è sempre stato e ci sarà sempre qualcuno che ci confonderà. Perché credi che Juliet sia andata a Yale, quando poteva restare qui in California? Lì non c’è nessuno che la conosce e non ci sarà nessuno che la scambierà per me» riportò gli occhi su di me, studiandomi attentamente «Non c’è stato nessuno che non ci abbia mai scambiato. Nemmeno i nostri genitori, nemmeno gli amici. Nemmeno tu».
Aggrottai le sopracciglia, palesemente in disaccordo. Non mi ricordavo di averle mai confuse una con l’altra. Come potevo confondere Juliet con una come May? «Non siete uguali, May» iniziai piccato «Tra te e Juls c’è un abisso, non potrei mai confondervi!»
Si lasciò scappare una risata ironica e alzò un sopracciglio biondo, piegando le labbra nella solita smorfia riservata al sottoscritto «Quindi, in realtà, la sera della festa del diploma volevi davvero baciare me e non mia sorella? Che stupida! E io che avevo sempre creduto il contrario! Ti ricordi, Daniel?»
Serrai i denti e distolsi lo sguardo, mentre il mio stomaco iniziava a contorcersi in maniera spiacevole: certo che me lo ricordavo, come potevo dimenticarlo? Era stata l’unica volta che avevo provato qualcosa stando insieme a Juliet. Forse perché non era Juliet.
«Avevo bevuto» sibilai.
«Non avevo dubbi».
Rimanemmo in silenzio, con i suoni che provenivano dalla strada come unico sottofondo, finché May rilassò la postura e decise di andarsene.
«Finiamola qui per oggi. Tra poco devo uscire» mi superò senza salutare e senza nemmeno dirmi quando ci saremmo visti di nuovo.
Non che mi importasse veramente, ma sarebbe stato gentile da parte sua trattarmi come un essere umano. Ma alla fine lei era May e non era mai stata gentile con me.

 

 

«Cioè avete litigato?»
«Litigato. Chiamiamolo scambio di opinioni».
«Avete litigato. E ci stai male!»
Storsi il naso, passandomi una mano tra i capelli e cercando di evitare lo sguardo malizioso di Ryan «Non ci sto male» borbottai a bassa voce, ma lui scoppiò a ridere sguaiatamente, tenendosi il fianco. La solita regina del melodramma.
Alzai gli occhi al cielo, mentre il sole pomeridiano si rifletteva sulla superficie dell’oceano affollato, arrostendo i bagnanti e tutti coloro che avevano deciso di passare la giornata in spiaggia.
La discussione con May continuava ad affollarmi la mente e non riuscivo a pensare ad altro, tanto che mi ero rassegnato a parlarne con Ryan, che a volte era peggio di una vecchia pettegola di quartiere.
Non avevo mai seriamente litigato con May; non ci sopportavamo per niente, ma quando bisticciavamo era sempre per delle stupidate.
Però quella volta era stato diverso.
 
Non mi ricordavo molto della festa del diploma: solo alcool, musica e sesso. Era stata organizzata in un locale dalla squadra di football, la sera, dopo le feste in famiglia, e c’erano un sacco di imbucati da altri licei. La musica era talmente forte che la si sentiva rimbombare dentro il petto e nelle orecchie, per trovare una bevanda analcolica bisognava accontentarsi dell’acqua dei lavandini e coppiette con gli ormoni a mille finivano di decorare la sala, senza nemmeno preoccuparsi di appartarsi da qualche parte.
Vidi più mutande e corpi mezzi nudi in quella sera che in tutta la mia vita.
Nel pieno delirio della serata, probabilmente per dimenticare le oscenità a cui avevo assistito, mi buttai a peso morto sul banco degli alcolici. Non mi ubriacai, ma l’alcool mi riempì di coraggio e intraprendenza e ben presto mi ritrovai a cercare il volto di Juliet tra la folla.
Forse avevo pensato di tentare il tutto e per tutto e dichiararmi, o forse era stato soltanto l’avere avuto un incontro ravvicinato con le sue gambe scoperte, dopo essere inciampato nei miei stessi piedi e averla travolta. Forse erano state le sue labbra rosse, aperte in un’esclamazione di sorpresa, o i suoi occhi azzurri spalancati, che nel buio del locale sembravano blu. Ma la baciai. Così, premetti semplicemente le mie labbra sulle sue e lasciai che le mie mani esplorassero il suo corpo.
E mi piacque da matti, tanto che sarei rimasto ore ed ore lì ad assaggiarla. Peccato che non fosse Juliet.
Ed entrambi avevamo deciso di dimenticare l’accaduto. Peccato che May l’avesse ritirato fuori.
E ci ero anche riuscito, dannazione. Peccato che adesso continuassi a pensarci.
 
«Parli del diavolo…» esclamò Ryan, accennando poco più avanti.
Alzai lo sguardo, senza registrare esattamente le sue parole, e mi ritrovai a fissare il volto annoiato di May, che ci stava venendo incontro con una sua amica.
Entrambi roteammo gli occhi e ci fermammo uno di fronte all’altra.
«Sei peggio di una persecuzione».
«E io che speravo di essermi liberato di te».
Ci lanciammo un’occhiataccia, tornando all’atteggiamento di sempre, come se quella mattina non fosse mai passata, e dentro di me tirai un sospiro di sollievo.
«Beh, è stato un dispiacere. Ora dobbiamo proprio andare, vero Emily?»
La sua amica dai capelli rossi ridacchiò, divertita da qualcosa che non riuscivo a capire, May la afferrò per un braccio e ci superò, proprio nell’esatto istante in cui una voce tanto zuccherosa quanto falsa la chiamò.
«Harris, che sorpresa trovarti qui».
Era la prima volta che mi ritrovavo faccia a faccia con Hazel Green. Avevo vagamente presente il suo aspetto, perché una come lei non passava di certo inosservata, ma non le ero mai stato così vicino come allora.
Non era molto alta e il suo costume svelava in maniera dannatamente attraente ogni sua singola forma. Ed Hazel Green di forme ne aveva parecchie.
Le labbra rosse erano piegate in un lieve sorriso di circostanza e gli occhi castani brillavano grazie alla luce del sole; il viso abbronzato era circondato da una massa di ricci scarlatti, che mi facevano sudare soltanto a guardarli.
Così quella era Hazel Green. Con la sua quarta di seno.
«Cos’è, vi siete messi d’accordo per rovinarmi la giornata?» berciò May, mollando la sua amica Emily e incrociando le braccia con aria scocciata.
«Non sapevo venissi in spiaggia anche tu» disse Hazel per niente turbata, squadrandola da cima a fondo con il chiaro intento di trovare qualcosa con cui deriderla.
Ma May era una a cui l’aspetto estetico non importava più di tanto e, fortunatamente per lei, la natura era stata magnanima con i geni delle gemelle Harris.
Quindi se ne stava lì, di fronte ad Hazel Green, con i capelli legati in una lunga coda bionda, gli occhi azzurri che sicuramente scintillavano di irritazione dietro le lenti scure degli occhiali da sole e il suo costume verde che, benché non l’avessi mai ammesso ad alta voce, le stava divinamente bene. Anche meglio di quello della Green.
Ma a May tutto questo non importava «Beh, che cazzo vuoi?»
Roteai gli occhi: sboccata come sempre.
Hazel strinse le labbra e si portò indietro i capelli «Volevo soltanto sapere come va con il basket» disse, sbattendo le ciglia lunghe con fare innocente.
«Bene!» su quello avrei avuto da ridire « E tu, hai trovato qualcuno che ti aiutasse senza doverlo pregare con le tue tette?»
Ryan ridacchiò, girandosi di lato per non farsi vedere, ed Emily lanciò un’occhiataccia a May, che come al solito aveva parlato fregandosene delle conseguenze.
«Mi è bastato chiedere al mio ragazzo. E’ un asso del basket, sai? Credo proprio che vincerò io, mi dispiace» ribatté, fintamente dispiaciuta. Un asso del basket?
«Ah, sì? E chi sarebbe?» chiese May, come se mi avesse letto nel pensiero.
«Rick Norris, ma tanto tu cosa ne vuoi sapere?» rispose con aria di superiorità.
«Norris?» sibilai senza riuscire a trattenere una smorfia e richiamando, non volendo, l’attenzione su di me «Rick Norris?»
«Lo conosci?» mi chiese May aggrottando la fronte.
«Purtroppo sì» riuscì a soffiare attraverso i denti digrignati.
Rick Norris era uno dei pochi giocatori che odiavo profondamente. Probabilmente il tutto era nato dal fatto che avevamo lo stesso ruolo in due squadre rivali, oppure che nella prima partita che avevamo disputato mi era venuto contro con forza, facendo un fallo e rompendomi la tibia. Non avevo potuto giocare per due mesi. La seconda partita eravamo stati espulsi per aver scatenato una rissa sul campo. E, pensandoci bene, non capivo perché il mister continuasse a tenermi in squadra; forse era perché, se c’era qualcuno che odiava più dell’allenatore della squadra femminile di pallavolo dell’università di Santa Barbara, era il mister della squadra maschile di basket dell’università di Northridge. La stessa università per cui giocava Norris.
«Conosci Rick?» chiese Hazel, studiandomi attentamente, e per un momento mi sentii come un pasticcino sotto gli occhi di una donna a dieta.
«Diciamo di sì» borbottai di malavoglia.
«E tu saresti?» mi chiese scoccandomi un sorriso scintillante, totalmente diverso da quelli che aveva riservato a May fino a quel momento.
«Fatti gli affari tuoi, brutta gallina» sibilò la mia graziosa e alquanto squilibrata allieva, superandomi e andando a fronteggiare Hazel.
«Ti da fastidio, Harris? Cercavo solo di essere cordiale. A differenza di qualcun altro».
Si squadrarono in cagnesco e decisi di intervenire prima che iniziassero a darsele di santa ragione. Afferrai May per un braccio, tirandola verso di me con difficoltà, visto che continuava ad agitarsi come una pazza «Mi chiamo-».
«Smith. Cosa diavolo ci fai qui?»
Ed ecco come quella giornata era andata allegramente a farsi fottere.
Perché in aiuto della sua prosperosa ragazza era arrivata l’ultima persona al mondo che avrei mai voluto vedere, compresa la mia bionda dirimpettaia: Rick Norris.
Feci una smorfia, mentre davanti a me May si calmava per squadrare il nuovo venuto «Norris» sillabai con uguale disgusto.
Sentii Ryan sospirare e avvicinarsi, pronto a fermarmi nel caso avessimo deciso di picchiarci, ma l’idea mi aveva soltanto sfiorato, perché non avrei di certo potuto scatenare una bella rissa con quella scocciatrice di May tra i piedi.
«Sarebbe lui lo Smith con cui litighi sempre durante le partite?» chiese Hazel, rompendo il silenzio che si era creato.
May alzò un sopracciglio e si girò a fissarmi incredula «Litighi durante le partite?» chiese vagamente divertita «Questa mi mancava».
Strinsi di più la presa sul suo braccio, iniziando ad innervosirmi; lei non fece un piega e si avvicinò di un passo, per evitare che la strattonassi troppo.
«Comunque è lui che mi sta insegnando a giocare a basket, Harris. E sta sicura che basteranno cinque minuti per stracciarti».
Soffocai una risata. Norris come insegnante? La cosa peggiore che potesse capitare a chiunque.
«Hai qualcosa da dire, Smith?»
«Niente. A parte commentare la tua scarsa abilità di gioco, chiaro» sibilai sarcastico.
«Credi di poter fare di meglio?» mi chiese, scostandosi i capelli biondi dalla fronte con un gesto secco della testa.
«Ovvio».
Nessuno dei due osava distogliere lo sguardo per primo, ma per fortuna ci pensò Ryan a distrarci, con una delle sue idee bizzarre «Ehi, perché questa sfida a basket non la fate in due contro due?»
Ci voltammo tutti a guardarlo, contemplando per un attimo la proposta. Non che ci fosse poi molto da contemplare, visto che ero sempre pronto a stracciare Norris.
«Il biondino non ha tutti i torti» ghignò lo pseudo giocatore di basket «Ci stai Smith, o hai paura?»
Avevo una voglia terribile di spaccargli quella faccia da schiaffi che si ritrovava «Di te? Spero tu stia scherzando».
Lui non ribatté, probabilmente era la presenza della Green a non fargli perdere la testa come al solito e a farlo comportare come una persona vagamente matura «Io ed Hazel contro te e la bionda focosa-».
«Bionda focosa?!» berciò May, boccheggiando incredula «Ma-».
Lui alzò un sopracciglio «E come ti chiameresti?»
Risposi io al suo posto, tappandole la bocca con una mano e tirandola contro di me, prima che potesse sputargli in faccia e prenderlo a pugni. Non che mi sarebbe dispiaciuto vederlo ridotto ad una poltiglia sanguinolenta, conoscendo la violenza di May, ma avrei preferito di gran lunga farlo io «Si chiama May e questo è un dettaglio irrilevante».
Ci fissammo per diverso tempo, senza aprire bocca, ma minacciandoci con gli occhi.
«Tra due settimane, allora» disse infine Norris, scrutandoci tutti con un il suo stupido ghigno.
«Tra due settimane» ribadii io, non desiderando altro che stracciarlo all’unica cosa che pensava di saper fare.
 
Mi sbagliavo. La persona che sopportavo di meno al mondo non era May, ma Rick Norris.

 

 

«Brutto damerino odioso! Bionda focosa?! Ma dico, dove diamine siamo finiti?! E poi chi si crede di essere?! Si dà arie da grand’uomo, ma in realtà ha il sex appeal di una carota marcia!»
Trattenni a stento una risata, più per non darle la soddisfazione di sapere che mi stavo divertendo un mondo, anche se ero sicuro che se mi fossi rotolato ai suoi piedi in preda a risate isteriche non se ne sarebbe nemmeno accorta, presa com’era ad insultare Norris e la Green.
Nella foga del discorso, aveva appoggiato al muretto su cui eravamo seduti la sua coppetta di gelato, che si stava sciogliendo velocemente, così ne approfittai per assaggiare il nuovo gusto mango, che May aveva abbinato al suo adorato limone. Non era certo una sorpresa che fosse sempre così acida.
«E lei, sempre così altezzosa! E poi che aveva da guardarti così, eh? Sembrava non avesse mai visto un ragazzo prima di oggi! Certo che non fatico a crederlo, visto che Norris è tale e quale ad un merluzzo!»
Alzai un sopracciglio gustandomi il suo gelato, visto che il mio era finito da un pezzo, ma lei mi diede una gomitata per niente leggera, facendomi cadere il contenuto del cucchiaino di plastica sul costume.
«Mi stai ascoltando?!» berciò poco gentilmente, senza neanche mostrare di essersi accorta del danno che la sua grazia aveva combinato.
Sospirai «Per quanto sia piacevole sentire insultare Norris, il tuo sproloquio non mi interessa per niente».
Si tirò su gli occhiali da sole e mi scrutò aggrottando le sopracciglia «Dobbiamo vincere, capito? Assolutamente!»
«Non c’è bisogno che me lo dici. Certo, se non fossi così incredibilmente negata, forse avremmo più possibilità» ribattei ironico.
«Certo, se non fossi così incredibilmente incompetente, forse potresti insegnarmi qualcosa!»
Alzai lo sguardo al cielo ormai tendente all’arancio e mandai giù un altro cucchiaino di gelato «Sei proprio petulante».
«Ehi, quello è il mio gelato!» esclamò oltraggiata, accorgendosi solo in quel momento che avevo in mano la sua coppetta.
«Si stava sciogliendo» dissi con l’espressione più innocente che riuscii a fare.
Lei ovviamente non ci cascò e tentò di strapparmi di mano l’oggetto incriminato; ingaggiammo una lotta fatta di tiri e spintoni, corredata da insulti e occhiatacce, finché il premio della vittoria non si spiaccicò sull’asfalto, lasciandoci a bocca asciutta.
«E’ colpa tua!»
«Mia?! Potevi continuare a blaterare e lasciarmi mangiare in pace!»
Ci fulminammo e, come due bambini, incrociammo le braccia per poi voltarci dall’altra parte. Sì, eravamo molto infantili.
Un click mi fece voltare verso Ryan con espressione scocciata, ma lui si limitò a sorridere e abbassare la sua adorata macchina fotografica da professionista, di cui non avrei saputo dire la marca nemmeno a volerlo.
«Siete le persone più fotogeniche che conosca, sapete?» ci disse allegramente, mentre al suo fianco Emily gli porgeva un cono mezzo mangiato.
«Sei una spina nel fianco, Carter» ribatté May, scrutando la sua amica rossa che, nella sua mente malata, probabilmente si stava alleando con il nemico.
Ryan la ignorò e riprese a gustarsi il suo gelato «A proposito, non avete ancora visto le foto del Solstizio! Ti devo passare il cd, Dan, ce n’è una che ti piacerà di sicuro!»
«Dimmi che hai quella in cui Harris va a sbattere contro il palo della luce, ti prego».
«Dimmi che hai quella in cui Smith viene rimorchiato dalla vecchia, ti prego» mi scimmiottò May, fulminandomi.
Rabbrividii, ricordandomi ancora bene l’episodio dell’attacco: mai passeggiare senza pensieri durante una parata.
«Le ho tutte! Anche quelle delle ballerine di flamenco!» esclamò Ryan, mettendo in bella mostra tutti i denti.
May ed Emily lo fissarono vagamente disgustate e la prima saltò giù dal muretto e si stiracchiò «Noi, andiamo. Grazie per il gelato» aggiunse a malincuore, ben consapevole di essere in debito.
Emily ci salutò più allegramente ed entrambe tornarono in spiaggia, lasciando Ryan a fissarle come un baccalà.
«Non è magnifica?» domandò al vento, con sguardo da triglia ben fisso sul didietro di Emily Snow.
E lì seppi per certo di essermi giocato il mio migliore amico.

 

 

 




 
N/A: Ecco qui il secondo capitolo. Sinceramente non pensavo che l’inizio potesse venire fuori così… deprimente, diciamo. Con tutta quella storia di Daniel, Juliet e May. In realtà non pensavo neanche potesse uscire fuori quella storia, sul serio! Hanno fatto tutto da soli, io non c’entro! Se volete prendervela con qualcuno, fatelo con Daniel, qui a vostra disposizione per qualsiasi lamentela! Non vi faccio discutere con May, perché è un tantino violenta e potrebbe finire male.
Ehm. Ok, dopo il delirio iniziale (dovuto alla psicotica consapevolezza che i personaggi di questa storia sono in qualche modo vivi!) passiamo alle cose più serie. Devo ammettere di non sapere come ragiona un ragazzo, quindi ho fatto del mio meglio per non scrivere esattamente come una ragazza. Non so se ci sono riuscita, però, dovrete dirmelo voi. Personalmente Daniel mi sta simpatico e, per come me lo sono immaginata, ha decisamente un certo fascino! May è insopportabile quando ci si mette, ma in fondo è decisamente diversa da come appare.
Ah, il titolo è quello di una canzone degli Spill Canvas, gruppo che adoro e che devo piazzare dappertutto (come ben saprà chi ormai mi conosce).
Per quanto riguarda i posti citati: le università di Santa Barbara e di Northridge esistono sul serio e qui vi metto alcuni link se volete vedere le immagini e avere più chiaro il posto.
Tra l’altro ho letto su Wikipedia che la squadra di calcio di Northridge è quella di punta dell’università e ha sbattuto fuori quella di Santa Barbara nella stagione 2005/2006. Allora ho pensato che dovrebbe esserci un minimo di rivalità tra le due università.

Università di Santa Barbara (Sito ufficiale)
Santa Barbara su Wikipedia 



 
Passiamo alle recensioni! Siete state molto gentili a farmi sapere cosa ne pensavate dello scorso capitolo. Spero che lo facciate anche con questo!
 

sciona: Davvero ti piace! XD Sono contenta! Grazie mille per i complimenti, spero che questo capitolo ti sia piaciuto come lo scorso!
 

mayetta: Aaah, grazie infinite! Spero di meritarmi la tua fiducia e non deluderti con la storia! Anch’io trovo interessante leggere qualcosa dal punto di vista di un ragazzo, giusto per capire cosa pensano, solo che scriverlo non è semplicissimo! Comunque non penso si alterneranno, perché preferirei non far scoprire troppo May, visto che c’è qualcosa che nasconde. Ho già detto troppo! >.<
 

Penny Black:
E io sono contenta che tu abbia iniziato a leggerle tutte! Ryan lo adoro, è un tipo un po’ alla Jeremy di Spin, e Juliet è davvero un tesoro e più avanti non si smentirà! Povero Matt, ti giuro che si potrà mettere sulle stesso livello di Ryan! In quanto ad Hazel… beh, l’hai vista qui, con Rick Norris. May e Daniel sono complicati: lei non è per niente come te la aspetti e lui… direi che è piuttosto confusionario! Qui ho postato i link, così potrete vedere esattamente dove è ambientata la storia.
 
Fatemi sapere cosa ne pensate, alla prossima!

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Capitolo 3
*** Losing grip ***


Losing grip

 

 
 

Palleggia. Tira. Canestro. Palleggia. Tira. Canestro. Palleggia. Tira. Canestro.
Ero totalmente concentrato sulla palla; c’eravamo soltanto io, lei e l’altro. No, non era una telenovela romantica.
La verità era che dovevo allenarmi a giocare a pallavolo per il torneo di quartiere, non gingillarmi sul campo di basket, ma il fatto era che, anche se Damon e Josh volevano affrontarsi, non era detto che sarebbero capitati uno contro l’altro e se uno di loro fosse finito contro May sarebbe stato eliminato in cinque minuti.
Quindi che motivo c’era di sprecare il mio tempo con la pallavolo?
Tirai di nuovo la palla, facendo l’ennesimo canestro.
In realtà era un’altra la sfida che mi innervosiva: quella contro Norris. Per quanto odiassi ammetterlo lui era davvero un ottimo giocatore e non ero sicuro di poter riuscire a batterlo. Se non altro, però, May stava migliorando. Per fortuna.
«Lo sapevo che ti avrei trovato qui».
Fermai il pallone e mi voltai verso Ryan, scostandomi i capelli dalla fronte sudata. Che grande scoperta, il campo da basket era l’unico luogo che riusciva a calmarmi.
«Chi ci fai da queste parti?» gli chiesi, asciugandomi la faccia con il bordo della canottiera. Mamma non ne sarebbe stata contenta.
«Volevo chiederti se ti andava di fare un giro, devo scattare delle foto dal lungomare» mi spiegò allegro.
«Non posso. Non c’è nessuno in casa e Damon è fuori senza chiavi».
«Dov’è andato?»
Feci una smorfia «A casa Harris. May gli sta insegnando a giocare a pallavolo» sibilai disgustato.
Lui alzò le sopracciglia «E a te no? Povero, piccolo Danny, lasciato tutto solo!»
«Oh, taci! Chi vuole imparare uno sport stupido come la pallavolo?» tirai con forza la palla sul cemento, facendola rimbalzare in un angolo.
Ryan ghignò divertito «Te la sei presa, vero? Damon sì e tu no».
Gli lanciai un’occhiataccia «Ti ho detto che non me ne importa nulla! Che facciano pure quello che vogliono, anzi, sai cosa ti dico? Vengo con te» così Damon imparava a fraternizzare col nemico.
«Almeno vai a dirglielo» mi consigliò Ryan ridacchiando come uno stupido. Cosa ci trovava di così divertente proprio non lo sapevo.
«Io a casa di Harris non ci vado!»
«Ti vergogni?»
«Vai al diavolo!»
 
E fu così che mi ritrovai a suonare il campanello della mia simpatica dirimpettaia con Ryan che cercava di trattenere le risate, sperando che la signora Harris non ci fosse per evitare che mi invitasse a bere qualcosa e non mi lasciasse più andare.
Fortunatamente aprì Juliet che ci salutò allegramente «Ciao ragazzi, cosa posso fare per voi?»
Nonostante fossero passati due anni dalla fine della mia cotta per lei, non potevo fare a meno di sentirmi imbarazzato «Ciao Juls, Damon è ancora qui?»
«Sì, è con May ed Emily sul retro. Stanno facendo una confusione allucinante, ma sta bene» mi rispose con un sorriso.
«Bene» più o meno «Volevo so-».
«Emily?» mi interruppe Ryan, spostandomi di lato «Emily Snow è qui?!»
Juliet lo fissò sorpresa e mi lanciò un’occhiata perplessa «Sì, per-».
«Perfetto!» esclamò il mio amico, con un sorriso che avrebbe potuto abbagliare anche i bagnanti in spiaggia, stringendo le mani di Juliet e guardandola implorante «Vero che possiamo restare?» piagnucolò.
«Ehm… sì, cer-» Juls lo fissò stralunata, probabilmente pensando che fosse pazzo, prima di venire interrotta di nuovo.
«Grazie!» esclamò Ryan, superandola e fiondandosi dentro, come se fosse stata a casa sua.
Io mi massaggiai la fronte esasperato «Scusa, ma si è preso una sbandata per la Snow e non capisce più nulla. Non che prima fosse tanto normale».
Juliet scoppiò a ridere divertita «L’avevo immaginato. Vuoi entrare anche tu?» mi chiese ironica.
Io scrollai le spalle e varcai la soglia con un sorriso.
Che si spense quando mi ritrovai nella loro cucina faccia a faccia con May.
Lei sbuffò «Certo che sei davvero una persecuzione».
Decisi di ignorarla, mentre Juliet prendeva le mie difese «Sii un po’ più cordiale, May. Stai diventando troppo acida».
Si fissarono per un attimo, impegnate in una di quelle conversazioni fatte di sguardi che io proprio non capivo per nulla. Alla fine May alzò le spalle, chiuse il frigorifero e tornò in giardino.
Juliet sospirò, seguendola ancora per qualche istante, poi si voltò verso di me «Io devo mettere via un paio di cose, ma arrivo subito, tu intanto raggiungi pure gli altri» mi salutò con un cenno del capo e un sorriso, per poi avviarsi al piano superiore.
Io sospirai e uscii dalla porta di servizio, tornando alla calura pomeridiana. Sotto il sole, Damon si passava la palla con May ed Emily, che ogni tanto gli correggevano la postura o la posizione delle mani, mentre Ryan scattava foto qua e là, puntando l’obbiettivo sempre nella direzione della Snow.
«Ehi, Dan!» esclamò Damon non appena mi vide «Sei venuto a giocare anche tu?»
Dovetti mordermi la lingua per non dire niente di offensivo nei confronti della padrona di casa, che si limitava a fissarmi con i suoi occhi azzurri.
«No. Sono venuto per…» non sapevo cosa rispondere, perché nonostante in alcuni momenti avrei voluto strangolarlo, Ryan rimaneva il mio migliore amico e non ero sicuro che fosse la cosa giusta rivelare che l’avevo soltanto seguito nel suo sprint verso Emily.
Ma fu proprio lei che mi evitò una risposta «Damon ha detto che partecipi anche tu al torneo. Perché non ci alleniamo insieme?»
«Sì, alleniamoci tutti insieme!» esclamò Ryan con sguardo acceso.
Alzai gli occhi al cielo «Tu non partecipi» gli ricordai annoiato.
«Questo non vuol dire che non ami la pallavolo con tutto il mio cuore!» mi lanciò uno sguardo divertito, che si trasformò non appena Emily gli rivolse la parola.
«Ti piace la pallavolo?» chiese curiosa.
A qualche metro di distanza vidi May esibirsi nella mia stessa smorfia.
«Ma certo che mi piace! E’ il mio sport preferito!» Ryan il Conquistatore alla riscossa.
Mentre quei due cominciavano a parlare, Dom venne a farmi vedere quello che aveva imparato.
«E so fare anche il muro! Solo che May dice che sono troppo basso» le lanciò uno sguardo colmo di risentimento, che lei ignorò «Io non sono basso».
Alzai un sopracciglio verso May, che rispose con una scrollata di spalle. Certo, a lei non importava dover sopportare per la prossima settimana le lamentele di Damon e i suoi inutili tentativi di allungarsi.
«Ma anche se fa l’antipatica è molto brava a spiegare» continuò poi con un sorriso, facendomi quasi strozzare con la mia stessa saliva.
«May? Brava a spiegare?»
«Sempre meglio di te, Smith» sibilò irritata, incrociando le braccia con aria stizzita.
«Non ci credo».
«Non me ne importa».
«Perché allora non provate? Io gioco con Damon» propose Juliet, appena arrivata.
«Non ci penso nemmeno!» esclamammo all’unisono io e May, lanciandoci subito dopo un’occhiataccia.
Ma lei ci ignorò candidamente «Ti va, Damon?» gli chiese con un sorriso, lui non poté fare a meno di accettare e ricambiare, visto che adorava indiscutibilmente Juliet.
E io e May fummo lasciati a fissarci con odio.
«Sia chiaro, non voglio imparare nulla da te».
«Sia chiaro, non voglio insegnare nulla a uno come te».
Sbuffammo entrambi e non riuscii a trattenermi dal domandarle «Non dovresti allenarti a basket, invece di pallavolo?»
Lei roteò gli occhi azzurri «Odio il basket tanto quanto tu odi la pallavolo».
«Però ti tocca farlo».
«Anche a te».
Era frustrante parlare con May: non faceva altro che ributtarti in faccia tutto quello che le dicevi. Dovevo ammettere che mi era capitato di pensare a come potesse essere parlarle come facevo con Juliet, ma c’era sempre qualcosa che mi bloccava, perché non riuscivo a pensare a lei come a sua sorella. Se immaginavo di stare con lei, o litigavamo o facevamo altre cose, che mi lasciavano spesso col fiato corto e una strana sensazione nello stomaco. Non avevo quasi mai pensieri di quel genere, e men che meno avrei voluto averli su di lei, però ero un ragazzo e certe cose le notavo, anche da sbronzo.
Se mi piaceva Juliet per il suo aspetto, non poteva non piacermi anche May, visto che erano gemelle, l’unica cosa di May che non riuscivo proprio a sopportare era il suo carattere scontroso. Se fosse stata diversa non mi sarei stupito se me ne fossi innamorato.
«Dimmi la verità» cominciò dopo qualche secondo «Quanto è forte Norris?»
Feci una smorfia e distolsi lo sguardo, tutto quello che riuscii a mormorare fu un «E’ bravo».
Ma lei capì lo stesso, perché se ammettevo che una persona che non sopportavo era brava, allora era brava sul serio.
Imprecò lievemente e borbottò «Allora dovrò fare sul serio».
Sentendo quelle parole un piccolo dubbio si fece strada dentro di me «Non vorrai dire che fino ad adesso hai giocato e basta».
May non rispose subito, ma alzò un sopracciglio biondo divertita «Gioco a pallavolo, Daniel, so come usare una palla».
Per la prima volta nella mia vita lo sguardo di May riuscì a mandarmi a fuoco le guance e io ringraziai chiunque avesse deciso di rendere la giornata di oggi così tremendamente calda. Piccola imbrogliona.

 

 

Il torneo di quartiere fu un delirio.
Come c’era da aspettarsi vinsero May ed Emily, entrambe giocatrici titolari della squadra dell’università. Damon saltellò letteralmente di gioia quando vincemmo contro i fratelli Wilson e io mi divertii un mondo a stracciare Matt. Ma niente poteva battere la faccia sconsolata del mio capitano quando May gli rifilò un altro due di picche. In realtà ero piuttosto convinto che continuasse a provarci con lei per puro divertimento, perché avevo notato le occhiate che lanciava a Juliet, quando pensava che nessuno stesse guardando.
Il culmine si raggiunse quando Ryan stampò un bacio sulla bocca di Emily, che la prese decisamente meglio del previsto, visto che cominciarono ad assomigliare spaventosamente a due ventose, tanto erano appiccicati. A quanto pareva la loro relazione non aveva fatto altro che svilupparsi in meglio dalla prima volta che si erano parlati, qualche tempo prima.
Io e May avevamo continuato gli allenamenti e lei stava dando davvero il massimo e dovevo ammettere, seppur riluttante, che quando voleva sapeva essere molto brava.
Ed incredibilmente era in grado anche di non essere insopportabile, specie quando, invece di insultare me, lanciava improperi a Norris e la Green.
Sì, iniziava a diventare più semplice starle accanto. Non che fosse il mio passatempo preferito, chiaro. Se potevo, preferivo ancora starle il più lontano possibile, non mi ero rincitrullito del tutto. Solo che avevo iniziato a notare che la sua espressione tranquilla era molto più bella di quella stizzita. E che aveva un bel paio di-
«Ehi, bello addormentato, ci sei?» Matt mi agitò una mano davanti agli occhi, riscuotendomi fortunatamente dai miei pensieri, che stavano prendendo una piega preoccupante.
«Che vuoi?» esclamai ad alta voce, cercando di superare il frastuono della musica.
Lui mi fissò con un’espressione divertita «A cosa stavi pensando?» urlò, chinandosi verso di me, dall’altra parte del tavolo «Sembravi un ebete!»
Feci una smorfia «Non è vero!».
«Ti prego, sembravi Ryan mentre guarda la Snow!»
Spalancai la bocca, offeso «Non dire cazzate!» Come se avessi davvero potuto avere quell’espressione da imbecille pensando a May «A proposito, dov’è finito Ryan?»
Matt scrollò le spalle «E’ da un pezzo che se n’è andato con la sua bella, probabilmente nel parcheggio a limonare. Sul serio, ma su che pianeta sei finito, nel frattempo?»
Gli lanciai un’occhiataccia «Taci!» Non avremmo dovuto lasciare che fosse Ryan a decidere il locale dove andare quella sera, sicuramente si era messo d’accordo con Emily per trovarsi lì, anche quando avrebbe dovuto passare la serata con noi, i suoi migliori amici. E di sicuro Emily non era venuta da sola, ma si era portata dietro May e io non avevo voglia di trovarmela davanti quando potevo evitare di vederla, con la sua gonna corta e le gambe scoperte. E i capelli sciolti che svolazzavano qua e là, lasciandosi dietro una scia di odioso profumo alla mandorla, e la scollatura indecente, che praticamente ti obbligava a dare una sbirc-
«Lo stai facendo ancora!» esclamò Matt esasperato, svegliandomi dalla trance in cui ero piombato.
Saltai su, spaventato «No!» negai, spalancando gli occhi. Cacchio, l’avevo fatto di nuovo.
Vidi Matt alzare gli occhi al cielo «Si può sapere cosa ti succede? Sei più strano del solito!»
«Sto benissimo! E non ho niente che non va!» strillai con voce un po’ più acuta del normale, guadagnandomi un’occhiata inquisitoria.
«Senti» cominciò lui, fissandomi attentamente «sei uno dei miei migliori amici, ti conosco praticamente da dieci anni e so che l’unica volta che hai avuto quella faccia è stato quando pensavi continuamente a Juliet. Ora mi spieghi cosa diamine mi stai nascondendo» il suo sguardo si incupì appena, non appena menzionò Juliet.
«Ti piace Juliet?» gli chiesi a bruciapelo.
Ebbe uno strano tic del capo ed esitò, prima di lanciarmi un’occhiataccia e sibilare «Non cercare di sviare la conversazione!»
Cazzo.  Non potevo certo dirgli che era da almeno una settimana che avevo strani pensieri su May. Non l’avrei ammesso neanche morto!
«Non ti sto nascondendo niente, perché dovrei?» cercai di non incontrare i suoi occhi penetranti, cosa alquanto semplice nella confusione del locale.
Ryan era la persona che sapeva tutto di me, che mi conosceva meglio di chiunque altro, ma a Matt non serviva conoscermi alla perfezione, perché lui era in grado di leggermi dentro con una sola occhiata. Mi metteva addosso una dannata fifa.
«Mi hai preso per un deficiente? A momenti sbavavi, porca miseria!»
«Io non sbavo!» esclamai inorridito. E sicuramente non per May.
«Continua a crederci, amico».
Sbuffai esasperato e mi alzai di scatto «Vado a fare un giro».
Matt non mi rispose, ma quando gli passai accanto mi afferrò per un braccio e mi guardò dritto negli occhi «Non è Juliet, vero?»
Se non fossi stato preoccupato e infuriato con me stesso, sicuramente sarei scoppiato a ridere della sua espressione insicura, che non mostrava mai a nessuno, invece mi limitai a fare una smorfia e scuotere la testa. Non era Juliet, non quella volta, ma ci si avvicinava parecchio.
Mi feci largo tra la gente che affollava la pista da ballo, diretto verso l’uscita, evitando le mani delle sconosciute e cercando di farmi sommergere dalla musica alta, così da dimenticare tutto quanto.
 
Non c’era umidità nell’aria e, a confronto del caldo soffocante della discoteca, lì fuori si stava benissimo.
Mi appoggiai con la schiena al muro, lontano dai gruppetti di fumatori e le coppie che, senza il minimo pudore, si strusciavano contro qualsiasi superficie solida.
Cosa mi stava succedendo? Avevo sempre ignorato il fatto che May assomigliasse a Juliet e che il suo aspetto fosse uno dei migliori che avevo mai visto. Cos’era cambiato, allora? Perché improvvisamente mi ritrovavo a pensare a lei in quel modo? Forse era da troppo tempo che non avevo rapporti di nessun genere con una ragazza e allora mi incantavo sulla prima che trovavo. Sicuro.
Odiavo quella fottutissima situazione. Cosa cazzo aveva May di particolare? Era bella da mozzare il fiato, ma il suo carattere da stronza compensava abbondantemente e fino ad un mese fa non la sopportavo. E non la sopportavo tutt’ora… cazzate! Era diventato quasi piacevole stare con lei. Era simpatica e divertente quando voleva e il suo sorriso mi faceva girare la testa.
Sospirai e chiusi gli occhi, cercando di trovare la forza di entrare di nuovo e cercare una ragazza qualsiasi con cui passare la serata e che mi avrebbe fatto passare tutti quegli strani pensieri.
«Ti ho detto di non toccarmi, stronzo!»

Ma porca di quella-
«Andiamo, non ti ho fatto niente!»
«Ah sì? Vedi allora come ti concio io, se allunghi ancora una volta quelle manacce!»
«Senti piccola-».
«Non osare finire la frase! Non ti conosco nemmeno!»
«Guarda che sei tu ad avermi baciato!»
«Sì, ma questo non ti autorizzava ad infilare la tua merdosa mano sotto la mia gonna!»
Aprii gli occhi all’istante, puntandoli qualche metro alla mia destra, dove proprio la persona a cui stavo cercando di non pensare litigava furiosamente con un ragazzo.
Avevo avuto ragione a non volerla incontrare, perché la sua gonna era davvero troppo corta e avevo l’impressione di avere un debole per le sue gambe.
E probabilmente non ero l’unico, visto come la stavano guardando alcuni ragazzi.
Serrai la mascella, tentando a tutti i costi di ignorarla e tornarmene dentro, ma quando quel tipo le afferrò il polso e la tirò verso di sé scoppiai.
Sapevo perfettamente che era in grado di difendersi da sola, considerato lo schiaffo che gli mollò subito dopo, tanto forte da costringerlo a lasciarla e portarsi una mano alla guancia colpita, e quello scoraggiò sicuramente gli altri spacconi che rimasero a fissarla stupiti, però ero stufo e preferivo mettere a tacere quella strana sensazione nello stomaco.
Mi staccai dal muro e mi avvicinai, maledicendomi in ogni lingua per quello che stavo facendo, la afferrai per un braccio e lei si voltò di scatto, come se fosse stata pizzicata da un animale. I suoi occhi lampeggiavano, ma aggrottò le sopracciglia confusa quando mi riconobbe «Andiamo» dissi, voltandomi e portandomela dietro, di nuovo nel locale; stranamente lei mi lasciò fare, senza lamentarsi né dire niente.
Mentre mi facevo di nuovo spazio tra la gente che si scatenava a ritmo di musica, diretto al tavolo da Matt, le lanciai delle brevi occhiate, constatando poco felicemente che era esattamente come me l’ero immaginata e quello non andava bene per niente.
Per di più Matt non c’era, ma non era di certo una grande sorpresa, probabilmente era andato a ballare con qualche ragazza.
«Eri con Emily?» le chiesi, scrutando la sala.
«Sì, prima che sparisse con il tuo amico. Ora puoi anche lasciarmi il braccio, sai?»
Non mi ero nemmeno reso conto di trattenerla ancora; la mollai all’istante, ma continuai a fissarla, mentre mi studiava.
«Che c’è?» le chiesi scorbutico, imponendomi di guardare i suoi occhi e nient’altro.
Lei si portò una ciocca di capelli dietro le spalle e fece schioccare la lingua «Beh, accompagnami a casa, no?»
Spalancai la bocca, oltraggiato «Cosa?! Perché dovrei, scusa?»
«Non so, forse perché abiti davanti a me e il tuo amico mi ha portato via il passaggio?»
«Sei proprio insopportabile».
«Lo so. Andiamo?»
Sbuffai, roteando gli occhi annoiato «Va bene. Ma solo perché me ne stavo andando anch’io».
«Sì, certo».
Quanto mi faceva infuriare quando mi guardava in quel modo: col sopracciglio alzato e quel ghigno storto, come se sapesse perfettamente che stavo mentendo, ma facesse finta di credermi.
Mandai velocemente un messaggio a Matt, facendogli sapere che me ne andavo, mentre May apriva la strada verso l’uscita del locale. Starle dietro non era difficile, visto l’enorme numero di ragazzi che la fermavano per chiederle di ballare, e lei sembrava innervosirsi ogni passo che faceva, tanto che alla fine non mi stupii quando mi prese per mano e mi tirò più vicino. Cosa c’era di meglio per liberarsi degli scocciatori che far vedere di essere già impegnate?
Mi lasciò una volta superata la pista da ballo e si diresse a passo sicuro verso l’uscita, mentre i miei occhi si posavano sulle sue gambe e quello che c’era sopra. Fantastico, fottutamente fantastico.
Una volta fuori la guidai verso la mia macchina e salimmo senza dire una parola, come per tutto il resto del viaggio di ritorno, perché non avevamo niente di cui parlare.
Parcheggiai nel mio vialetto e scesi, subito imitato da May; ci fissammo per un istante da sopra il tettuccio dell’auto e poi parlammo nello stesso momento.
«Non c’era bisogno di aiutarmi».
«Da dove diamine è sbucato quello?»
Realizzare di aver pensato alla stessa cosa per tutto il tragitto, mi fece rabbrividire, anche se non avrei saputo dire se in positivo o negativo.
«A voi ragazzi non si può dare un dito che vi prendete l’intero braccio» sbuffò May, alzando gli occhi al cielo.
«Se vai in giro a baciare sconosciuti è ovvio che penseranno che sei una facile» sibilai più acidamente di quello che volevo.
«O già, quindi se una ragazza che non conosci ti bacia tu pensi che voglia fare sesso con te» disse sarcastica, fissandomi con una smorfia.
Appoggiai le braccia incrociate al tetto della macchina «Io no, ma alcuni sì. La prossima volta bacia qualcuno che conosci, almeno non corri rischi» risposi con voce aspra.
«Ti stai offrendo volontario?» fece schioccare la lingua divertita, lasciandomi a bocca aperta, prima di salutarmi con un cenno del capo e avviarsi verso caso sua.
Dovetti stringere forte i pugni per evitare di andarle dietro e offrirmi davvero volontario. Quando si chiuse la porta alle spalle, sbattei ripetutamente la testa sull’auto, insultandomi a mezza voce.

Cosa diavolo mi stava succedendo?

 

«Ti piace?»
Mi trattenni dall’insultarla, optando per un più diplomatico «Cosa vuoi che me ne importi?»
May fece un verso stizzita e incrociò le braccia, iniziando per l’ennesima volta il suo stupido discorso sull’importanza di scegliere un colore per la sfida contro la Green e Norris.
Io me ne stavo beatamente stravaccato sulla sdraio nel giardino sul retro e, nascosto dietro le lenti scure dei miei occhiali da sole, guardavo quello che non avrei potuto guardare senza.
Odiavo l’estate. Perché doveva fare così caldo? E chi era l’idiota che aveva inventato i pantaloncini da donna? Probabilmente un povero maniaco represso che voleva vedere quello che nessuna gli aveva mai mostrato.
In quella posizione, le gambe abbronzate di May erano all’altezza dei miei occhi. Non era colpa mia se le guardavo. E se alzavo lo sguardo potevo tranquillamente osservare la sua pancia piatta, lasciata appena scoperta dal bordo della sua canottiera; purtroppo la scollatura era inaccessibile, ma sapevo accontentarmi.
«Mi stai ascoltando, idiota?» berciò irritata, schioccandomi le dita davanti alla faccia.
«Certo, certo» borbottai di rimando, senza degnarmi di alzare gli occhi verso di lei. Figuriamoci se stavo a sentire quello che aveva da dire.
«La Green mi ha detto che lei vuole il verde per la sua squadra, maledetta! E non mi ha neanche dato la possibilità di ribattere, visto che mi ha già fatto vedere le loro magliette! Ehi, mi stai ascoltando?!» si chinò su di me, reggendosi con le mani alla sdraio e portando il suo viso all’altezza del mio. Stava continuando a parlare infuriata, ma era come se non la sentissi nemmeno, visto che il mio sguardo dalle sue labbra piene scese più giù, fino a posarsi sul suo seno. Generalmente non ero un maniaco, quel ruolo l’avevo sempre lasciato a Ryan, ma avere la ragazza che da un paio di settimane a quella parte mi faceva ribollire il sangue e avere pensieri per niente casti a pochi centimetri di distanza, mise al tappeto il mio cervello. E inavvertitamente le sfiorai la gamba con una mano.
Lei non se ne accorse neppure, troppo presa a sputare insulti, io non le staccai gli occhi di dosso, perché nessuno sano di mente l’avrebbe fatto, e la mia mano si posò da sola poco sopra il suo ginocchio, decidendo di sua spontanea volontà di restare lì.
«-odio, non ho intenzione di perdere, in nessun campo, chiaro? Quindi diamoci una mossa a trovare un colore!»
Alzai un sopracciglio e la linea dello sguardo «Che colore?» chiesi ingenuamente, non sapendo in che guaio mi stessi andando a cacciare.
Lei tremò di rabbia «Non te le lavi le orecchie?! Razza di idiota, ti ho detto che dobbiamo trovare un colore per la nostra stupida squadra! Ed è da mezz’ora che lo ripeto! Perché diavolo non mi ascolti mai?!»
Ignorai i suoi insulti e roteai gli occhi «Non c’è bisogno di farne un dramma, è solo un colore».
Mi fulminò e mi strinse il colletto della maglietta, strattonandomi verso di lei e appoggiando un ginocchio accanto alla mia gamba «Se non mi dici all’istante che maglietta vuoi metterti per la sfida giuro che ti castro» mi sibilò, stringendo gli occhi azzurri.
Avevo sempre avuto un certo istinto di sopravvivenza, per cui riaccesi il cervello, che si premurò innanzitutto di spostare la mia mano in un altro posto, e dissi il primo colore che mi venne in mente «Rosso!»
«Rosso?» allentò la presa e aggrottò le sopracciglia pensierosa «Sì, direi che si può fare» si rialzò di scatto, privandomi del panorama e si sistemò la canottiera, tirando in basso e scoprendo un po’ in alto, cosa che non mi rese per niente triste «Beh, ora vado, ci vediamo domani per l’allenamento e guai a te se ti fai trovare ancora a letto!»
Feci una smorfia «Sei venuta alle sette, May! Che persona sana di mente si sveglia alle sette durante le vacanze estive?» mi lamentai, incrociando le braccia.
«Mi stai dando della pazza?» sibilò, con le mani sui fianchi, facendo calamitare il mio sguardo in quella zona.
«Te la sei data da sola».
«Faccio finta di non averti sentito: sono già in ritardo» con un brusco cenno del capo mi salutò e si voltò per andarsene. Si era girata così in fretta che non avevo avuto il tempo di distogliere lo sguardo, per cui rimasi a fissarle il sedere finché non scomparve.
Sospirai e ripresi il blocco che avevo lasciato da parte con l’arrivo di May: era un po’ rovinato, ma faceva ancora molto bene il suo lavoro. Sfogliai distrattamente alcune pagine, piene di schizzi o disegni completi e arrivai a quello che avevo iniziato quel pomeriggio, che rappresentava semplicemente un pezzo del mio giardino.
Ripresi a disegnare, perdendomi nel frattempo nei miei pensieri: non avevo ancora chiaramente capito quello che mi stava accadendo in quell’ultimo periodo, però sapevo che fissare May diventava di giorno in giorno sempre più piacevole e la cosa non mi dispiaceva affatto.

 

 

 

 


 

N/A: Solo due cose su questo nuovo capitolo: innanzitutto mi scuso se ci sono troppe parolacce, ma Daniel è così, punto. Secondo, come avrete notato il tempo scorre più velocemente, arrivando a circa due settimane dall’inizio della storia, senza soffermarsi sul torneo di pallavolo del quartiere. Daniel ha avuto modo di conoscere meglio May, perché nonostante abitino da anni e anni uno di fronte all’altra, non si sono mai veramente frequentati, quindi è per il fatto di averla scoperta che inizia a fare quei pensieri, perché May è diversa da come appare a prima vista. Poi c’è Ryan che in un lampo ha conquistato Emily (almeno una relazione facile! XD) e si da un po’ più spazio a Matt e Juliet. Non ho nient’altro da dire, tranne che il titolo “Losing grip” è una canzone di Avril Lavigne.
A questo link si può trovare un’immagine di Daniel (Matt Lanter! *ç*) e May (è l’unico volto che riesco a darle, anche come espressioni): Spin forum
Spero di sentire le vostre opinioni su questo capitolo!
Un grazie a tutti quelli che hanno letto e soprattutto Penny Black per aver commentato: penso di averti già risposto sul forum, Irene, ma comunque lascia che ti dica che hai inquadrato alla perfezione il carattere di May e i motivi della sua reazione contro Daniel nel capitolo precedente. In più ti dico solo che, anche se non sembra, Daniel ha un forte ascendente su di lei! Per questo si lascia trascinare e zittire.

Alla prossima!

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Capitolo 4
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Continuai a strofinare con lo straccio bagnato il bicchiere, fingendo di ascoltare gli sproloqui di Ryan, seduto al bancone di fronte a me.
Quel giorno ero di turno al bar di Al e a metà mattina mi ero visto piombare davanti il mio migliore amico, con un sorriso smagliante e la parlantina attivata; ovviamente io, appena sentito l’argomento, avevo iniziato a pensare ai fatti miei, più nello specifico alla partita del giorno seguente.
Sul campo, io e May eravamo piuttosto affiatati e probabilmente avevamo anche diverse possibilità di vittoria. Sempre che non finissimo come il giorno prima contro Matt e Juliet.
Alzai gli occhi al cielo: come si faceva a dimenticarsi di palleggiare? Era la base del basket, per la miseria. E magari io avrei potuto concentrarmi meglio, senza incantarmi a fissarle le tette. Anche se aveva due gran belle tette.
«… e l’ha chiesto anche a May, quindi sarebbe davvero-».
«Eh?» mi riscossi all’improvviso al sentire il suo nome, senza nemmeno volerlo, e fissai Ryan, nascondendo bene la mia distrazione.
«Non mi stavi ascoltando, vero?» mi chiese con un ghigno poco confortante. Forse non tanto bene.
Feci un lieve sorriso «Scusa, ma il fatto è che continui a parlare di Emily. Cioè, non ho assolutamente niente contro di lei, ma dopo un po’ diventi noioso».
«E così tu ti metti a fare pensieri sconci».
«Non stavo facendo pensieri sconci!» esclamai, mentre sentivo le guance andarmi a fuoco «E comunque non su May!»
Il ghigno di Ryan si allargò e io sprofondai. Cazzo. «E chi stava parlando di lei?»
Non risposi, ma abbassai lo sguardo sul bicchiere che avevo ancora tra le mani, decidendo di metterlo via e prenderne un altro. Prima di calpestare quello che rimaneva della mia dignità.
«E così il piccolo Danny fa pensieri sconci su May».
«Abbassa la voce!» sibilai, sbattendo lo strofinaccio sul bancone e guardandomi veloce attorno per assicurarmi dell’assenza di orecchie indiscrete «E smettila di ripetere “pensieri sconci”!»
«Carino. Non tenti nemmeno di negare».
Avevo una strana voglia di usare quello straccio per strangolarlo e appenderlo al lampadario, ma non credevo che il vecchio Al avrebbe apprezzato le migliorie all’arredamento.
«Senti, non so cosa hai capito, ma a me non piace May. Assolutamente!» mi chinai sul bancone e abbassai la voce ad un sussurro.
Ryan alzò un sopracciglio biondo, con aria scettica «Ti rendi conto che stai facendo tutto tu?» mi chiese, spingendo via la sua tazza di caffelatte «Non credevo sarebbe arrivato questo giorno, ma te lo devo dire: amico mio, tu sei innamorato perso di May Harris».
«Non dire cazzate» mormorai con un gemito, massaggiandomi ad occhi chiusi la base del naso «Senti, Ryan» cominciai, appoggiandomi al bancone «posso ammettere che stare a stretto contatto con May per due settimane mi ha portato a conoscerla un po’ meglio e che adesso mi sta decisamente più simpatica di prima. Mi piace il suo aspetto fisico, ma questo era ovvio, visto che avevo una cotta per la sua gemella. Però non significa che mi sono innamorato di lei, cazzo!»
«Allora era per lei che sbavavi sabato sera!»
L’esclamazione stupita di Matt ci fece sobbalzare, mentre lui si accomodava accanto a Ryan e si chinava verso di noi ad occhi spalancati.
«Sbavavi?»
«Io non sbavavo proprio per nessuno!»
Matt mi ignorò e si voltò verso Ryan, assumendo all’istante l’aria da cospiratore «Continuava a sospirare e fissare il vuoto con un’espressione da ebete. Lo sapevo che c’entrava una ragazza!»
«Te la sei presa proprio brutta, questa volta» osservò Ryan, iniziando a fissarmi, subito imitato da Matt.
Alzai gli occhi al cielo, ignorando il rossore sempre più intenso che si faceva largo sulle mie guance, e mi levai il grembiule «Bene, ci rinuncio. Il mio turno è finito e io non ho intenzione di stare a sentire le vostre ipotesi assurde e assolutamente prive di alcun fondamento!» Filai via a salutare Al, sentendo i loro sguardi curiosi e divertiti addosso, e poi scappai fuori dal locale, nel caldo di quel mercoledì mattina.
Non ebbi la possibilità di fare nemmeno un passo, che due braccia poco delicate mi circondarono il collo.
«Lo sapevo, lo sapevo!» esclamò Ryan esaltato, strillandomi nell’orecchio come un’aquila agonizzante.
«Raccontaci tutto» mi esortò Matt con forza.
Io digrignai i denti «Non c’è proprio nulla da dire» sibilai irritato.
«Quando è iniziata?»
«Le hai detto qualcosa?»
«Ti ha beccato a fissarla?»
«Sai se può essere interessata?»
Bloccare le loro voci era praticamente impossibile, così mi decisi ad esclamare «Volete chiudere il becco?!»
Ryan fece una smorfia imbronciata «Perché non ce lo vuoi dire, Danny? Siamo i tuoi migliori amici!»
«Semplicemente perché non è vero!»
Prima che lui potesse ribattere, Matt si fermò in mezzo al marciapiede, tirandoci con lui.
«Ok. Segreto per segreto».
Serrai gli occhi per un attimo, maledicendo l’entità misteriosa che sembrava avercela con me. Sapevo di non poter scampare al “segreto per segreto”. Risaliva a quando eravamo ancora dei bambini stupidi e senza cervello, che pensavano che non avere segreti fosse segno di vera amicizia e che un bel giorno avevano deciso di cominciare una pratica patetica ed umiliante. Un segreto era qualcosa che si doveva tenere nascosto e non rivelare a nessuno, per evitare di rendersi ancora più ridicoli. Non era una giocata da mettere sul piatto e scambiarsi con gli altri. Non mi piaceva dover rivelare qualcosa che preferivo non sapesse nessuno ad altri, che a loro volta avrebbero fatto lo stesso con me. Mi sarei rifiutato di farlo, avrei mentito, se soltanto non fossero stati loro.
Io, Ryan e Matt eravamo cresciuti insieme, diventando inseparabili, per quanto potesse sembrare banale, erano come dei fratelli per me. Solo con loro non avevo paura di mostrare il vero me stesso. Quindi non potei fare a meno di accettare il “segreto per segreto”, ancora una volta.
«Ho pianto perché Emily non mi prende sul serio quando le dico che la amo» cominciò seriamente Ryan «Pensa che lo dica per gioco e mi fa male. Però faccio finta che sia tutto a posto».
Non dicemmo niente, nessuna parola di comprensione o rassicurazione: il “segreto per segreto” era uno scambio, noi ascoltavamo e a nostra volta venivamo ascoltati. Era come un momento particolare, una parentesi sospesa nel tempo: rivelavamo i nostri segreti, aspettavamo un minuto e poi cominciavamo a parlare, prenderci in giro, dare consigli, aiutarci. Era sempre stato così, fin dalla prima volta.
Matt fece un bel respiro e poi parlò «Mi sono innamorato di Juliet».
Dopo un attimo di silenzio si girarono verso di me e io sospirai. Non potevo mentire, ma non sapevo nemmeno io quale fosse la verità, quindi lasciai che le parole uscissero da sole, guidate unicamente dal mio istinto.
«Mi piace fissare May. E forse mi sono preso una sbandata, una brutta» soffiai esasperato, infilando le mani in tasca e alzando la testa «Cazzo, a volte mi faccio schifo da solo per i pensieri che mi vengono» ammisi a malincuore.
Ci sedemmo su una panchina lungo il viale che costeggiava la spiaggia, rivolti verso il sole cocente, e rimanemmo in silenzio per un minuto ancora.
«Cazzo» commentò Matt.
«E’ stato il peggior “segreto per segreto” che abbiamo mai fatto» aggiunse Ryan.
Io mi limitai ad annuire.
Il rumore delle macchine si confondeva con il cicaleccio della spiaggia, c’era un po’ di vento fastidioso e faceva davvero troppo caldo, ma stavo bene, mi sentivo incredibilmente più leggero.
«Piangere è roba da femmina» iniziò Matt, dando il via ai commenti «Tira fuori le palle e falle vedere chi sei! Oh, forse le hai già tirate fuori un po’ troppo» scoppiammo a ridere sguaiatamente, mentre Ryan roteava gli occhi esasperato e ci mostrava elegantemente il dito medio. Si comportava sempre come un bravo ragazzo e ne aveva anche l’aspetto, ma quando voleva sapeva essere peggio di me e Matt messi insieme.
«State zitti, è stato solo un momento di debolezza! La prossima volta vedrete! Sarà così contenta che mi lascerà farle tutto quello che voglio».
«Ti prego, evita i dettagli» mormorò Matt con una smorfia disgustata.
Ryan ghignò «Me lo vieni a dire proprio tu? Forse se iniziassi a non frequentare più nessuna avresti qualche possibilità».
Matt incrociò le braccia al petto «Io non frequento proprio nessuna, mi diverto e basta. Poi sono loro che mi vedono e si trasformano in assatanate» fece un sospiro drammatico, guardando il cielo azzurro «Che ci posso fare, sono il ragazzo che tutte vorrebbero portarsi a letto!»
Ryan scoppiò a ridere, io schioccai la lingua divertito «Che maniaco».
Entrambi si voltarono verso di me, alzando in modo eloquente le sopracciglia.
«Tu sei proprio l’ultimo che può parlare, porco» ghignò Ryan.
«Già» gli diede manforte Matt «Una sbandata, pff. Sicuro, Dan».
«Lo sapete come l’ho sempre pensata su di lei. E’ già tanto se ho ammesso quello che ho ammesso!» era imbarazzante e la sola idea che potessi provare davvero qualcosa per May… mi lasciava spiazzato. Era insopportabile quando ci si metteva e più acida di uno yogurt scaduto, ma purtroppo sapeva anche essere divertente e simpatica, una con cui si poteva parlare e confrontarsi. E il fatto che avesse un corpo da favola non faceva che migliorare la prospettiva. E non ero sicuro che fosse la cosa giusta.
«Cosa importa?» disse Matt, scrollando le spalle «Non la conoscevi bene e quindi non la sopportavi, ma adesso hai tutto il diritto di cambiare idea. Solo gli stupidi non lo fanno».
«Se ti piace buttati e basta. Cos’hai da perdere? Male che vada tornerete a litigare o ignorarvi come avete fatto fin’ora».
Sbuffai e mi voltai verso di loro, poggiando una gamba sulla panca di legno «Perché date per scontato che voglia provarci con lei?» chiesi irritato. Avevo ammesso che May mi poteva piacere un pochino, ma questo non significava affatto che volessi averla come ragazza. Non avevo intenzione di sopportare le sue lamentele, i suoi sbalzi d’umore, il suo odio per il mondo intero e la fila di ragazzi che aveva dietro.  Non ero stupido fino a quel punto.
«Vuoi dire che non hai mai pensato a chiederle di uscire?» domandò Ryan perplesso.
«No. E non credo proprio che lo farò» dissi serio e convinto. Non ci avrei mai provato, proprio per niente… ecco.
«Fammi capire» esclamò Matt arricciando il naso e la fronte «Ti sta simpatica, le sbavi addosso e non fai altro che pensare a lei, ma non la vuoi come ragazza?»
Detta così suonava stupida persino a me.
«Non-».
«Non dire che non è vero» mi interruppe Ryan.
Sbuffai, passandomi esasperato una mano tra i capelli «Sentite, non voglio legarmi a nessuna, men che meno lei. Sì, è vero, la bacerei e me la porterei a letto volentieri, ma non-» mi interruppi vedendoli ghignare divertiti e alzai un sopracciglio, pronto a chiedere spiegazioni, ma ci pensò una voce gelida a farmi sbiancare.
«Chi è che ti porteresti a letto, brutto porco?»
Deglutii, sbattendo velocemente le palpebre, e con tutto l’autocontrollo che potevo racimolare mi voltai lentamente, sperando che la mia espressione non mi tradisse.
Non davanti a May.
«Che diavolo ci fai qui?» berciai irritato e terrorizzato allo stesso tempo. Doveva sempre comparire nei momenti più inopportuni, diavolo! Il colmo sarebbe stato se avesse capito che parlavamo di lei.
«Stavo facendo un giro e vi ho visti» sibilò, socchiudendo gli occhi «Volevo solo ricordarti dell’allenamento di oggi pomeriggio, ma forse avrai da fare con chiunque sia la tipa da sballo» arricciò il naso disgustata «Vorrei soltanto che mi avvertissi quando hai intenzione di cancellare un impegno, sei totalmente inaffidabile».
Rimasi a bocca aperta, mentre Matt e Ryan se la ridevano, quasi piegati in due. Era completamente fuori di testa.
«Si può sapere che cazzo stai dicendo?»
«Vaffanculo» mi lanciò un’occhiataccia e girò sui tacchi, incamminandosi velocemente lungo il viale.
Guardai con disapprovazione i miei amici, poi fissai di nuovo May, dondolai per un paio di secondi la gamba e mi decisi ad andarle dietro. Solo perché non volevo che tra noi ci fosse qualche conto in sospeso prima della partita.
«Cos’è, la Green ha deciso di fregarti il colore delle magliette?» le chiesi ironico, camminandole alle spalle con le mani in tasca.
Mi fulminò di sfuggita e aumentò il passo, io la imitai con un ghigno, riuscendo facilmente a mantenere la distanza.
«Smettila di seguirmi».
«Non se non mi dici cos’hai. Ti rendi conto di aver elaborato tutta una tua teoria assurda, senza che io ti abbia detto nulla?»
«Sei tu che prendi appuntamenti, quando hai già degli impegni!» esclamò irritata.
«Non ho nessun appuntamento, idiota».
Si bloccò di colpo e si voltò per fronteggiarmi. Avrebbe potuto essere davvero terrificante, se il suo naso mi fosse arrivato più su del petto e non mi fosse stata così vicina.
«Non darmi dell’idiota! E non parlare della Green! Non osare pronunciare il suo nome e nemmeno pensarla! Quella stronza!»
Alzai un sopracciglio, vagamente curioso «Cosa ha fatto adesso?»
«Ha voluto cambiare un po’ la posta in gioco. Non la sopporto!» strinse i pugni, più infuriata che mai.
«Beh, ci basta vincere e non dovremo preoccuparci».
«No! Se vinciamo dovrai uscire con lei!»
Spalancai gli occhi e la bocca «Cosa?!»
May incrociò le braccia e distolse lo sguardo, imbronciandosi lievemente «Oltre a quello che avevamo stabilito e che non ho intenzione di dirti, ha detto che chi vince può scegliere con chi uscire tra i due giocatori dell’altro sesso» si morse un labbro e si scostò velocemente una ciocca di capelli dal viso.
Osservai con attenzione i suoi lineamenti, cercando inutilmente di trovare qualche imperfezione «E tu sei sicura che sceglierò la Green» dissi piattamente.
Sbuffò «Lei vuole uscire con te, nonostante stia con la carota. E figurati se a te non va bene, visto che metterà in bella mostra la sua quarta» fece una smorfia «A tutti i ragazzi piacciono le tettone, no? Anche se sono finte» aggiunse risentita.
Probabilmente non era il caso di dirle che io preferivo le sue. Mi avrebbe preso a schiaffi e magari mi sarei beccato pure un doloroso calcio nello stinco.
«Tranquilla» sospirai, alzando gli occhi al cielo «Se vinciamo ti porto a fare un giro alle Channel Islands».
Alzò gli occhi brillanti su di me e mi fissò sospettosa «Cos’è, vuoi buttarmi giù dal traghetto?»
«Non rovinarmi le sorprese» dissi ironico.
Lei fece una smorfia e riprese a camminare, questa volta più lentamente. Era il suo modo per dirmi che non ce l’aveva più con me, anche se di sicuro sarebbe durato ancora per poco.
Sapevo che era sbagliato, ma non riuscii a trattenermi «Non c’è bisogno di essere gelosa, sai?» ghignai «Se vuoi venire a letto con me, basta chiedere».
Mi lanciò l’occhiataccia più spaventosa di tutta la mia vita e accelerò il più possibile, sperando di lasciarmi indietro.
Una volta ciascuno, dolcezza. Non puoi provocare sempre tu.

 

 

«E se sei in difficoltà passami la palla, non cercare di avanzare e soprattutto non farti fregare!»
«Sarà la quindicesima volta che me lo ripeti, ho capito!»
«E non farti marcare da Norris, a lui ci penso io».
«Settima volta».
«E non ascoltare quello che dicono! E non scatenare risse!»
«Tredicesima. La vuoi piantare?» May mi tirò un pizzicotto sul braccio, facendomi contrarre la faccia in una smorfia di dolore «Sembri una ragazzina isterica. Dovrei essere io quella agitata».
Mi morsi la lingua e mi guardai attorno inquieto: sì, ero in preda ad un attacco d’ansia, mi tremavano le ginocchia e la mia sudorazione aveva iniziato inspiegabilmente ad aumentare e non era l’effetto del sole.
«E’ pur sempre una sfida contro Norris» borbottai, muovendo velocemente su e giù una gamba, per poi alzarmi di scatto dal muretto in pietra del campetto, afferrare il pallone e cominciare a palleggiare per distrarmi.
May fece schioccare la lingua e accavallò le gambe, appoggiandosi sui palmi delle mani «Qual è la strategia di Norris?» mi chiese annoiata. Probabilmente ce l’aveva ancora con me per averla obbligata ad arrivare lì un’ora prima del previsto.
«Mi piacerebbe dire che è un incapace e non sa nemmeno elaborarla una strategia, ma non sarebbe vero» cominciai, senza perdere d’occhio la palla arancione «E’ abituato alla difesa a uomo, quindi ci sono buone possibilità che decida di marcare me, per evitare di farmi giocare e chiaramente io farò lo stesso con lui. Quindi rimarrai ad affrontare la Green. Ora, non ho idea del suo livello di preparazione, ma sono sicuro che riuscirai a tenerla a bada facilmente» le lanciai un’occhiata veloce, decidendo per una volta di soddisfare il suo ego «Sei migliorata molto».
«Grazie» disse impassibile, continuando ad osservarmi, prima di saltare giù dal muretto e fregarmi la palla.
Alzai un sopracciglio, mentre lei faceva qualche passo, avvicinandosi al canestro; mi squadrò con l’ombra di un sorriso e in risposta scossi la testa.
«Io non sono la Green» osservai, avvicinandomi.
«Me n’ero accorta» rispose, lanciando la palla dall’area dei tre secondi. Io ebbi tutto il tempo di saltare, afferrare la palla, girare intorno a May e tirare, centrando perfettamente il canestro.
«Non c’è bisogno di darsi arie» commentò lei, riprendendo la palla e arricciando il naso «Lo so fare anch’io».
Si piazzò sotto il canestro e saltò, facendo rimbalzare la palla sul ferro.
«Impressionante, davvero» dissi ironico, afferrandola al volo «Peccato che l’obiettivo sia mandarla dentro».
 
Giocammo ancora per circa un’ora, in attesa che arrivassero tutti.
Sopportai poco le battute di Ryan e Matt, che ancora non volevano dimenticarsi del segreto per segreto del giorno prima, e quando arrivarono Norris e la Green, insieme a qualche amico, la mia pazienza era quasi giunta al limite.
«Allora va bene mezzo campo, si gioca per quattro periodi, ok?»
Io e Norris ci stavamo mettendo d’accordo sui dettagli tecnici, mentre May e la Green si fulminavano con lo sguardo, trattenendosi dall’insultarsi.
«Gli arbitri allora sono Matt e Chandler» Norris annuì, facendo un cenno a Kevin Chandler, ala piccola dell’università di Northridge; Matt si strofinò le mani, con un ghigno sul volto «E niente protagonismi, Norris. Non è la nostra partita».
«Hazel non ha bisogno di me per vincere» ridacchiò lui, appoggiando un braccio sulle spalle della Green «Non sono sicuro di poter dire lo stesso sulla bionda» accennò verso May, che roteò gli occhi azzurri annoiata.
«Ti prego, risparmiami. Se non avessi una partita da vincere ti prenderei a schiaffi».
Trattenni una risata, mentre Norris la fulminava e Chandler si affrettava a cominciare l’incontro.
«Testa o croce?»
«Testa!» esclamò la Green di fretta.
«Vuota» commentò ironica May, facendoci scoppiare a ridere e procurandosi un’occhiataccia «Beh, cos’ho detto?» scrollò le spalle con aria innocente «Non mi sembra che tu abbia poi molto, lì in alto».
«Almeno io non ho una misera seconda» ribatté con astio Hazel.
Seconda?
May arrossì e strinse gli occhi «Almeno le mie non sono finte».
Io non avevo assolutamente niente contro le seconde.
La Green stirò un ghigno «Almeno le mie servono».
«Come giocattolo erotico?» sibilò May.
Io e Norris spalancammo gli occhi nello stesso istante, per una volta d’accordo su qualcosa, ossia iniziare al più presto quella partita, prima che tutto si trasformasse nella fiera degli insulti a sfondo sessuale.
Chandler soffiò nel fischietto, mentre Matt era piegato in due dalle risate, e io e Norris spingemmo via le due belve, prima che la partita iniziasse con noi in possesso di palla.
 
Fu una sfida piuttosto impegnativa, anche se non potei gustarmela appieno e nemmeno vedere i progressi effettivi di May, visto che Norris mi stava appiccicato peggio di una sanguisuga. Toccai palla circa cinque volte in tutti i quaranta minuti di giocata, mentre Norris solo tre volte e la maggior parte dei punti li fece May, nonostante fosse impegnata ad insultarsi costantemente con la Green.
Vincemmo trentaquattro a ventitré, punteggio orribile a confronto con i soliti, ma niente male per delle principianti.
Alla fine evitai di prendere in giro Norris, perché mi sentivo più vicino che mai a lui, vedendolo trascinare via la sua ragazza dalla parte opposta del campo, mentre io ero occupato a fare lo stesso con May, stando attento a non venire accecato per sbaglio da un suo dito, o pugno, o gomito.
 
Il risultato, oltre ad una fantastica mangiata di pizza in un ristorante italiano, fu che dovetti andare con lei alle Channel Islands, che avevamo tutti già visitato, circa ogni estate per essere precisi.
Avremmo potuto rifiutare entrambi di andarci, non ci obbligava nessuno, a parte un gruppo di amici impiccioni, ma nessuno dei due disse niente. Non sapevo cosa pensasse May con esattezza, ma io di sicuro non ci avrei rinunciato per nulla al mondo.

 

 

L’isola che avevamo deciso di visitare era Santa Cruz: dal porto di Santa Barbara avremmo preso il traghetto del parco, che ci avrebbe portato direttamente sull’isola, May voleva vedere per l’ennesima volta Painted Cave, quella stupida grotta umida, poi ci saremmo rilassati sulla spiaggia, fatti una bella nuotata e poi saremmo tornati a casa. Piano perfetto. Se solo May si fosse decisa ad uscire di casa.
 
Sbuffai di nuovo, dando un’occhiata all’orologio, nello stesso momento in cui la porta di casa Harris si spalancava e May compariva con un diavolo per capello, seguita per mia sfortuna dalla madre.
«Sei sicura di aver preso tutto?» disse ansiosa Jane, torturandosi le mani.
«Sì, mamma, basta. Non sono una bambina!» sbuffò May esasperata, buttando lo zaino sui sedili posteriori.
«Hai preso le bottiglie d’acqua? E la felpa?»
«Sì, dannazione!»
«May! Attenta a quello che dici!»
«Scusa».
Mi trattenni dallo scoppiare a ridere, appoggiato alla macchina, mentre Jane riprendeva con le sue raccomandazioni.
«E Daniel, per favore, stai attento a May».
Mi raddrizzai di colpo e sorrisi alla donna che avevo davanti «Non preoccuparti, Jane. Con me May è al sicuro».
«Lecchino» sibilò lei, dandomi una lieve gomitata, per sua fortuna passata inosservata.
Jane mi sorrise calorosamente «Lo so, caro» esitò un attimo, tremando per trattenere l’eccitazione, ma non resse e mi abbracciò con slancio, soffocandomi quasi con i suoi capelli vaporosi «Sono così contenta che finalmente vi siate messi insieme! Io e Violet lo speravamo tanto!»
«Mamma!» esclamò May, diventando della mia stessa tonalità di rosso «Non stiamo insieme e non lo staremo mai!»
«Giusto. Avete preso un granchio» aggiunsi frettolosamente.
Jane mi lasciò andare, spalancando gli occhi «Oh, scusatemi! Non volevo mettervi in imbarazzo! Eravamo così-»
«Sì, mamma, non importa» la interruppe May spintonandomi verso il posto di guida «Dobbiamo andare, altrimenti perdiamo il traghetto. Ci vediamo stasera, ciao ciao!» la salutò velocemente e balzò a bordo «Muoviti, partiamo!» mi intimò agitata, mentre mettevo in moto.
Restammo in silenzio fino a quando la via non scomparve dallo specchietto retrovisore e allora rilasciammo un sospiro di sollievo.
«Quelle due sono completamente fuori!» si lamentò May, appoggiando un gomito alla portiera.
Non risposi, ancora troppo stupito che le nostre madri spettegolassero su di noi, senza che lo sapessimo.
«Comunque, hai portato tutto?»
«Cos’è, fai come tua madre?» le chiesi ironico.
«Qualcun altro oltre me dovrà pur soffrire, no?»
Alzai gli occhi al cielo, chiedendo la forza di sopportarla per tutto il giorno e di non saltarle addosso durante il pomeriggio.
Non ero contraddittorio, avevo soltanto una cotta per lei e non la sopportavo al tempo stesso, ogni tanto.
«L’hai portata la felpa?»
«Sì, mamma».
«E una corda con cui posso strangolarti?»
«Quella l’ho lasciata appesa in camera mia. Sai, c’erano ancora i panni bagnati stesi su» ribattei sarcastico «Ma puoi sempre usare il laccio del tuo costume. Non mi offendo se la mia morte arriverà per mezzo di un costume da donna».
May mi lanciò un’occhiata divertita «Sei un maniaco. E poi dovrei togliermelo, per strangolarti».
«Appunto».
Fece schioccare la lingua e si voltò dall’altra parte, evitando di rispondermi e mandarmi a quel paese.
«Oppure potresti soffocarmi con le tue tette, così potrai dire alla Green che anche le tue servono a qualcosa».
Ci guardammo per un istante e poi scoppiammo a ridere come due dementi, anche se non mi sarebbe affatto dispiaciuto venire soffocato dalle sue tette. Parlando seriamente.
«Non credo che il risultato sarebbe lo stesso» commentò con un sorriso, per poi voltarsi verso di me e appoggiare una gamba piegata sul sedile «Ehi, posso farti una domanda abbastanza personale?»
«Spara».
Esitò un attimo, probabilmente per cercare le parole giuste «Riguarda quello che ha detto la Green prima della partita… sentiti pure libero di non rispondere, ma secondo te un seno grosso è più eccitante di uno piccolo?»
Mi voltai di scatto, leggermente imbarazzato «Scusa?!» Che razza di domande faceva ad un ragazzo? Per fortuna eravamo fermi al semaforo, altrimenti avrei sbandato di sicuro.
Sbuffò, infastidita dalla mia sorpresa, e ripeté «Per te, ti fa eccitare di più un seno grande o uno piccolo».
Mi voltai a bocca aperta «Ma che razza di domanda è?!»
«Dai, non fare lo stupido e rispondi!»
Scattò il verde e ripartii, mentre tentavo di calmarmi ed elaborare un risposta seria.
«Dipende» tentai esitante.
«Da cosa?» insistette lei, incrociando le gambe.
«Da un sacco di cose! Innanzitutto dipende dal ragazzo: ad alcuni piace grande ad altri piccolo. Ma soprattutto dipende dalla ragazza e dal tipo di relazione: se lei ti piace da morire, te ne freghi di come è fatta o di quanto è grande il suo seno! Ti piace e basta, e al diavolo tutto il resto! Scusa, ma se ti piace uno vai a vedere se ce l’ha grande o piccolo? Basta che ce l’ha, no?»
«Daniel! Ma sei davvero un porco!» esclamò, diventando più rossa di quando sua madre aveva detto che stavamo insieme.
«Però è la verità, no?» la incalzai ghignando, mentre parcheggiavo lungo la strada che portava al porto «C’è qualcuno che ti piace?» le chiesi, prima di potermi trattenere. Perché se ci avessi riflettuto attentamente non le avrei mai domandato una cosa simile, non se la risposta avrebbe potuto non piacermi.
Lei si morse un labbro e aprì la portiera in silenzio e solo prima di scendere si decise a borbottare «Sì».
Ignorai lo stomaco che si attorcigliò in maniera sgradevole e la imitai, afferrando entrambi gli zaini «Qual è stata la prima cosa che ti è piaciuta di lui?»
Mi osservò a lungo, riflettendoci seriamente e probabilmente rivivendo la scena solo come sapevano farlo le donne, poi inforcò gli occhiali da sole e rispose «Il sorriso. E poi gli occhi».
Feci il giro della macchina e le porsi lo zaino, meravigliato «Ma va? Il sorriso? Tipico da femmina».
Mi strappò di mano lo zaino e mi diede uno spintone, partendo poi in quarta verso il centro turistico.
Io la seguii con un sorriso, osservandola da dietro le lenti scure «Non te la sarai presa, vero? Era un complimento».
«Dovrei ringraziarti perché mi hai dato della femmina?» alzò scetticamente un sopracciglio biondo per poi ribattere con la mia stessa domanda «E tu, invece? Qual è stata la prima cosa che ti è piaciuta della fantomatica ragazza che ti porteresti a letto volentieri?»
Ignorai il tono ironico della domanda, concentrandomi sull’aspetto paradossale della faccenda: lei mi stava chiedendo qual era stata la prima cosa che mi era piaciuta di lei?
Il lato divertente? Sicuramente che non sapeva di essere lei quella ragazza.
Ghignai, decidendo di tirarmi un po’ su il morale «Le gambe. Ha delle gambe da urlo».
Ci mettemmo in fila per prendere i biglietti e questo le diede il tempo di studiarmi attentamente, a braccia incrociate. Visto che non mi interruppe, decisi di andare avanti «Sono lunghe, dritte e sode, se fossi un maschio stai certa che piacerebbero anche a te».
Arricciò le labbra «Non lo metto in dubbio» mormorò ironica «Ma se lei non avesse quelle gambe? Tu l’avresti notata lo stesso o saresti passato alle gambe successive?»
Le sorrisi e scrollai le spalle «Probabilmente avrei notato qualcos’altro, no?»
Mi guardò a lungo, senza dire niente, mentre la fila davanti a noi si riduceva «Ti piace molto, vero?»
Esitai, arrossendo senza motivo. O meglio, il motivo era proprio lì davanti a me, sottoforma di una delle ragazze più belle che avessi mai avuto la fortuna di conoscere, con le braccia incrociate, gli occhi nascosti da un paio di grosse lenti e quelle gambe che mi facevano impazzire a portata di mano. Potevo davvero ammetterlo davanti a lei? Non sapeva di chi stavamo parlando, ma per me era un po’ come dichiararmi e non ero per niente pronto a farlo.
Non mi mise fretta e per questo gliene fui grato, mi chiese soltanto una cosa «E’ ancora Juliet?»
«No, ma non pensare che ti dica chi è».
«Non lo voglio neanche sapere» fece un lieve sorriso «Sentirti parlare di lei senza sosta potrebbe farmi andare in pappa il cervello. Non ho bisogno delle “lodi di un giovane innamorato alla sua bella” nella mia giornata» mi informò sarcastica.
Il cuore mi mancò un battito e riuscii soltanto ad esalare «Innamorato?»
Lei alzò un sopracciglio «E’ chiaro come il sole, Daniel. Se fosse stata una qualunque non ne avresti parlato così».
Si avvicinò al bancone, lasciandomi come un pesce lesso. La ragazza che mi piaceva mi aveva appena detto che era chiaro che fossi innamorato di lei, senza sapere di stare parlando di se stessa? Che razza di situazione!
«Non sono innamorato di lei!» esclamai non appena May mi si avvicinò con i biglietti del traghetto.
«La negazione è il primo segno».
«No!» la seguii, passandomi disperato una mano tra i capelli «Mi piace, ma non la amo!»
Lei fece una smorfia «Voi maschi siete tutti uguali» borbottò, camminando verso il molo.
«Ti dico di no!»
«Ma perché non la smetti?» chiese esasperata «Anzi perché non glielo dici e la fai finita? Magari le piaci e non dovrai più struggerti nel dubbio che tu non le possa piacere».
«Io non mi struggo in nessun dubbio!»
«Continua a crederci».
«E tu allora?!» esclamai disperato, tentando di cambiare argomento «Sei innamorata di lui?»
Si bloccò lungo la banchina e si voltò a fissarmi in silenzio; mi fermai anch’io e il mio cuore prese a battere furiosamente, senza che potessi fare niente per fermarlo. Cazzo.
Si grattò una guancia «Sì, penso di sì» rispose semplicemente, scrollando le spalle e riprendendo a camminare.
La seguii dopo qualche secondo, troppo stupito dalla sua dichiarazione tranquilla, e tentai in tutti i modi di calmare il dolore che avevo nel petto. Fanculo.
«E lui?» riuscii a chiedere.
Fece un sorriso amaro e distolsi lo sguardo, non sopportando di vedere quell’espressione sul suo volto «Non ho intenzione di dichiararmi o cose simili» ammise «Non penso che lui mi vedrà mai in quel modo e se invece gli piaccio, beh, sarà lui a dovermi venire a prendere».
«Come fai ad essere così tranquilla?» le chiesi stizzito. Mi dava persino fastidio e l’unica cosa che volevo sapere era il nome e l’indirizzo di quel tipo per riempirlo di botte e rovinare quel sorriso che le piaceva tanto. Magari poi si sarebbe decisa a cercare qualcun altro.
«Non sono tranquilla» ribatté acidamente «Ho solo deciso di dimenticare quello che provo per una giornata. Chiedo troppo? Ti sarei grata se non ne parlassimo più».
«Come vuoi» Non era quello che volevo, ma andava bene lo stesso. Andava bene qualunque cosa pur di dimenticare Mister Sorriso.
Ci aggregammo ad un gruppo di turisti, pronti a salire a bordo del traghetto per la partenza: erano quasi tutti giovani, solo pochi di mezz’età ed una coppia di anziani.
«Sei sicura di voler andare alla Painted Cave?» le chiesi, non trattenendo la smorfia sofferente.
Lei mi lanciò un’occhiata oltraggiata «Certo che ci voglio andare, sono venuta giusto per questo!»
Mi portai una mano sul cuore, sbattendo le ciglia «E io che pensavo fossi venuta qui per me!»
May roteò gli occhi e mi spintonò leggermente, prima di sedersi in un sedile vuoto «Perché mai? E’ già terrificante il vederti tutti i giorni».
La imitai sbuffando. Tipico.
«Andate alla Painted Cave, cari?»
Ci voltammo verso la donna che si era seduta col marito nei sedili accanto a noi: avevano entrambi i capelli bianchi e un reticolo di rughe sul volto, ma a parte quello ero convinto che avrebbero potuto battere in resistenza anche il gruppo di ragazzi chiacchieroni poco più avanti.
Non attese una nostra risposta e si voltò verso l’uomo «Hai sentito, Harold? Mi fanno venir voglia di farci un giro, in ricordo dei vecchi tempi».
Lui sorrise e scosse la testa divertito, prima che lei si girasse di nuovo verso di noi e iniziasse a parlare allegramente «Sapete, la Painted Cave per noi ha un significato speciale. Risale a quando avevamo circa la vostra età».
«All’età della pietra, quindi» borbottò impercettibilmente May, incrociando le braccia contrariata: non amava molto quel genere di storie.
La vecchia non se ne accorse e proseguì, persa nel suo mondo fatto di ricordi «Eravamo molto amici e ogni volta che era possibile facevamo delle escursioni».
«Io facevo escursioni, Rose, tu ci provavi e basta» la corresse Harold, lei gli diede una pacca affettuosa sul braccio e fece un gran sorriso.
«Io ero innamorata di lui e ne approfittavo per stargli vicino, anche se non ero molto brava. Ma un giorno lo perdetti di vista e mi ritrovai da sola, così iniziai a cercarlo e finii dentro la Painted Cave, da una di quelle che adesso sono le entrate principali. Era una grotta magnifica, piena di alghe e licheni colorati; non so nemmeno quanto tempo passai lì dentro, ma mi ricordo bene quello che provai quando sentii la sua voce. Era spaventato e sollevato allo stesso tempo, mi sgridò perché ero sparita all’improvviso ed era preoccupato per me, così io lo abbracciai forte e gli dissi che lo amavo, buttando al vento tutti i miei timori e i miei dubbi sul poter rovinare la nostra amicizia. Non potevo certo immaginare che lui mi avrebbe baciata» arrossì leggermente con un sorriso compiaciuto sul volto, come se avesse tutto quello che poteva desiderare ed io ero strasicuro che fosse così. La vidi stringere la mano di Harold, che ricambiò con un sorriso, per niente imbarazzato che sua moglie avesse raccontato la loro storia a due perfetti sconosciuti. E in quel momento pensai che non mi sarebbe dispiaciuto essere al loro posto: erano amici e lei aveva rischiato di rovinare tutto seguendo i suoi sentimenti, per poi scoprire che lui la ricambiava. Mi sarebbe piaciuto se la mia storia avesse avuto lo stesso finale.
Mi voltai verso May, assecondando il mio istinto, e mi stupii a trovarla con lo sguardo fisso sulla coppia e gli occhiali in testa, mentre si mordeva un labbro pensierosa. Vidi passare uno strano lampo nei suoi occhi chiari, quasi di malinconia, prima che si decise a rimettere gli occhiali e voltare la testa.
«In amore bisogna sempre correre il rischio, altrimenti non sai mai cosa potresti perderti» Rose mi sorrise e per un istante mi sembrò che potesse leggermi dentro, ma accantonai subito quel pensiero stupido e ricambiai il sorriso con gentilezza.
«Divertitevi alla Painted Cave, è uno spettacolo in questi giorni».

 

 

«Scusa, quello cos’era?»
«Oh, taci! Sei tu che hai tirato male!»
«Almeno io ho tirato ad altezza normale, non per nani. Le mie braccia non sono attaccate alle ginocchia, sai?».
«Che palle, Daniel. Sei peggio di una ragazzina!»
Alzai un sopracciglio divertito e colpii la pallina con la racchetta, spedendola contro May, che ribatté con forza. Era primo pomeriggio e teoricamente avremmo dovuto evitare di stare sotto il sole, soprattutto dopo mangiato, ma la Painted Cave l’avevamo già vista quella mattina e dovevo ammettere che era stata la visita più bella che avessi mai fatto. Rose aveva ragione: era davvero uno spettacolo in quei giorni.
Prima di mangiare ci eravamo rinfrescati con un bel bagno e poi avevamo deciso di destreggiarci coi racchettoni, evitando nel frattempo di tirare la pallina contro gli altri bagnanti.
La spiaggia, come sempre, era abbastanza frequentata, ma non affollata quanto quella di Santa Barbara e questo rendeva le cose più semplici, perché stare in un posto deserto con May in costume non era il massimo per il mio autocontrollo.
«Basta, facciamo una pausa» disse, passandosi una mano sulla fronte sudata.
Recuperai la pallina, finita vicino al castello di sabbia di un bambino, e la seguii verso i nostri asciugamani.
«Certo che potevi portare l’ombrellone» si lamentò, sbuffando e cercando di ripararsi dal sole con un braccio.
«Ti sembro il tipo che va in giro con l’ombrellone?» ribattei ironico «Le famiglie vanno in giro con l’ombrellone, non i ragazzi!» Mi aveva preso per un uomo di mezz’età, per caso? Avevo ancora anni di giovinezza davanti a me, diamine!
«Come sei permaloso» mormorò con una smorfia «Quando dovrai portare in spalla un ombrellone pesante sotto il sole cocente, con sdraio e giocattoli tra le mani, mentre tenti di evitare che i tuoi figli scappino via o cadano nella sabbia o affoghino in mare, chiamami, così mi faccio quattro risate».
«Pensa per te!» esclamai, arrossendo lievemente. Lei alzò un sopracciglio e iniziò a spalmarsi di crema solare «E la finisci con quella cosa? Sarà la quarta volta da stamattina!»
«E’ evidente che tu non abbia idea di cosa sia la protezione solare» mormorò ironica e, nonostante non riuscissi a vederli, avrei potuto giurare che avesse alzato gli occhi al cielo.
«Non mi interessa, però conosco altri tipi di protezione, decisamente più-» non feci in tempo a concludere la frase che il tubetto mezzo vuoto mi finì sulla spalla, accompagnato da un insulto. Me lo rigirai tra le mani, leggendo l’etichetta annoiato: che senso aveva spalmarsi quella cosa addosso? Era di sicuro tutta appiccicosa e l’odore sarebbe andato bene soltanto per le femmine.
«Dovresti metterla anche tu» mi consigliò May, risvegliandomi dai miei pensieri.
«Scordatelo» ribattei all’istante, ritirandoglielo. Non mi sarei mai messo quella cosa, mai.
May strinse le labbra «Sul serio, Dan, è solo l’una e staremo qui almeno fino alle cinque. Non ho intenzione di accompagnarti al pronto soccorso per colpa di un’insolazione!» mi strattonò per un braccio e sibilò «Se non te la metti tu, lo farò io. In un modo o nell’altro tu avrai quella crema spalmata addosso».
La mia mente si era fermata a “lo farò io”. Ecco, quello avrei potuto anche sopportarlo: avere le mani di May addosso, senza che volesse picchiarmi… No! A pensarci bene non era tanto fantastico, sarebbe stato troppo… troppo! Non sapevo quanto avrei potuto resistere.
«Allora?» mi spronò con un ghigno inquietante.
Non volli indagare sul genere di brividi che mi erano appena venuti e nemmeno sul motivo per cui il mio cuore aveva iniziato a battere più freneticamente, ero irremovibile nella mia decisione «Ho detto di no!»
May mi guardò per un istante e poi disse soltanto «Bene», prima di aprire il tappo e versare quella roba bianca sulle dita della mano. Si voltò verso di me ed io capii: cercai quindi di allontanarmi il più possibile, ma non feci nemmeno in tempo ad alzarmi che mi ritrovai con le sue unghie infilzate nella pelle e l’altra mano sulle spalle.
Mi dimenai, ma lei non mollò la presa e fu solo quando sentii il suo seno premere contro la mia schiena che decisi di fermarmi, per evitare poi di ritrovarmi in una situazione imbarazzante, la cui unica via d’uscita sarebbe stata sbatterla a terra e mettere in atto una delle mie ultime fantasie. E di sicuro poi si sarebbe scordata di Mister Sorriso.
«Sei proprio un bambino» soffiò esasperata da dietro di me. Io mi morsi la lingua e aggrottai la fronte, a braccia incrociate, ben deciso a non farmi uscire nemmeno un misero suono, mentre le sue mani morbide vagavano leggere sulla mia schiena «Serve anche contro i tumori della pelle, sai?» cercai di ignorare il soffio d’aria che le uscì di bocca a quelle parole e che mi arrivò dritto sulla nuca. Cercai di ignorare una ciocca che mi sfiorò la spalla e la concentrazione di sangue nelle parti basse, ma quando si spostò di lato e mi fece voltare non ce la feci più.
«Faccio io!» esclamai con voce più acuta del normale, togliendole di mano il tubetto di crema.
Lei alzò un sopracciglio e scrollò le spalle «Basta che la metti bene» borbottò annoiata, prima di sdraiarsi sul suo asciugamano e togliersi gli occhiali da sole.
Rilasciai il sospiro, tentando di calmarmi: col cavolo che le avrei lasciato continuare quella tortura. Se ero in quelle condizioni solo perché avevo sentito le sue mani sulla schiena, non osavo immaginare cos’avrei fatto se me l’avesse spalmata davanti, probabilmente avrei perso totalmente il controllo.
Aprii il tappo e con una smorfia terminai l’operazione, guardandola con la coda dell’occhio: lei se ne stava sdraiata a prendere il sole, senza il minimo problema, mentre io dovevo fare violenza su me stesso per non saltarle addosso. Quelle sì che erano le ingiustizie della vita.
Buttai a terra il tubetto e mi decisi a riesumare il blocco da disegno dalle profondità dello zaino: se non potevo giocare a basket, quello era l’unico modo per chiudere tutto fuori.
Certo però che come la spalmava May la crema, non la spalmava nessuno.

 

 

«Avresti dovuto toglierti gli occhiali» osservò candidamente per l’ennesima volta.
«Taci» ribattei truce, non togliendo per un istante lo sguardo dalla strada.
«Almeno non saresti stato ridicolo».
La fulminai con un’occhiata, maledicendomi mentalmente per non aver tolto quegli stramaledetti occhiali, almeno non mi sarei ritrovato con due chiazze bianche intorno agli occhi.
«E’ la prima regola per una buona abbronzatura».
«La vuoi piantare?»
Grazie al cielo eravamo arrivati e parcheggiai nel mio vialetto, scendendo in un lampo dall’auto. Era stata tutto sommato una giornata piacevole, nonostante gli improvvisi e fastidiosi momenti di panico, e mi ero trovato bene accanto a lei, perfettamente a mio agio. Purtroppo.
«Beh, è stato divertente» cominciò May, scrollando le spalle e portandosi indietro una ciocca di capelli. A quel gesto mi decisi a scrutarla attentamente, perché avevo scoperto che quando lo faceva era nervosa e non capivo perché avrebbe dovuto esserlo in quel momento, visto che dovevamo solo salutarci.
«Già, qualche volta potremmo rifarlo» voltò di scatto la testa e mi puntò gli occhi azzurri addosso, facendomi attorcigliare lo stomaco «insieme agli altri» mi affrettai ad aggiungere «Sono sicuro che piacerebbe da matti!»
Si arrotolò una ciocca umida intorno al dito, prima di sistemarla dietro l’orecchio, e mi fissò da sotto le ciglia lunghe «Ci vediamo, allora».
Deglutii di fretta, rischiando di strozzarmi e balbettai uno stentato «Sì, ciao».
Mi fece un cenno con la mano e un lieve sorriso, poi si decise ad attraversare la strada, diretta verso casa sua, e io rimasi a fissarla come un perfetto beota, anche dopo che richiuse la porta d’ingresso.
Ormai il problema era uno solo e l’avevo capito: mi ero innamorato di May. Quella volta sul serio.
Ed ero ben deciso ad andarmela a prendere. E Mister Sorriso poteva pure andare a farsi fottere.

 

 

 

 

 



 
N/A: Salve a tutti! Ecco il nuovo capitolo, spero che l’attesa sia valsa la pena. Non so cosa dire con esattezza di questo capitolo: personalmente mi piace, ma in alcuni punti c’è qualcosa che non mi convince. Non credo però che avessi potuto fare di meglio.
Daniel ormai è diventato amico di May e per questo gli piace sempre di più, anche se è un po’ un maiale e sinceramente non riesco a descrivere i suoi pensieri, perché non saprei neanch’io quali possono essere con esattezza, ma ognuno di voi può immaginare quello che vuole. Il titolo è una canzone dei Goo Goo Dolls e per vostra informazione ogni titolo sarà quello di una canzone, il cui testo spesso c’entrerà qualcosa.
Ho pubblicato solo perché spero di tirarmi un po’ su, visto che in questi giorni mi sento abbastanza apatica e depressa, sarà il periodo…
Come sempre vi chiedo di farmi sapere cosa ne pensate di questa storia, sono felice di leggere le vostre recensioni, e non so chi abbia messo mi piace al secondo capitolo, ma sono stata superfelicissima di averlo visto!
Se volete fare un salto sul forum qui c’è il link: Spin forum
Ne approfitto per fare gli auguri di Natale e buon anno nuovo a chiunque passa di qui!
Divertitevi e godetevi questi giorni!

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