Twins' switch di Daphne_Descends (/viewuser.php?uid=23226)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** She'd be California ***
Capitolo 2: *** Don't let your enemies become friends ***
Capitolo 3: *** Losing grip ***
Capitolo 4: *** Slide ***
Capitolo 1 *** She'd be California ***
She’d
be
California
L’aria
calda entrava dal
finestrino abbassato della mia vecchia utilitaria, scompigliandomi i
capelli e
rombandomi nelle orecchie, mentre il lungomare californiano mi scorreva
di
fianco.
Nonostante il sole del
primo pomeriggio infiammasse il terreno, ero deciso a farmi una nuotata
rinfrescante, dopo aver passato tutta la mattina a servire clienti nel
bar del
vecchio Al, amico di famiglia e mio datore di lavoro.
Rallentai in prossimità
dei parcheggi e mi infilai accanto ad una monovolume, spegnendo il
motore e
rilasciando il respiro. Anche
quella volta ero riuscito ad arrivare a
destinazione.
Tirai fuori il cellulare
dalla tasca dei bermuda e composi velocemente un numero che ormai
conoscevo a
memoria; lo sentii suonare un paio di volte, finché una voce
allegra si
sostituì al segnale di chiamata.
«Ehi, Dan! Ma dove diamine
sei finito?! Ti sto aspettando da
un’eternità!»
Roteai gli occhi,
esasperato dall’atteggiamento di quello che, purtroppo, era
il mio migliore
amico «Ho avuto un contrattempo, sono arrivato soltanto
adesso. Tu dove sei?»
«Solito posto, oggi c’è
anche una vista fantastica, non so se mi spiego» rispose
malizioso,
ridacchiando subito dopo tra sé, come un perfetto idiota.
Ignorai la sua ultima
uscita «Adesso arrivo, cerca di trattenerti» dissi
sarcasticamente, sperando
che non si facesse cacciare a pedate da chi formava la
vista fantastica.
Chiusi la chiamata e mi
voltai a prendere lo zaino malandato dal sedile del passeggero, ma in
quel
momento sentii un colpo contro la macchina e un fastidioso rumore di
metallo
strisciato. Non mi ci volle molto a capire che qualcuno, probabilmente
un
incapace, aveva centrato la mia auto durante la complicata impresa di
parcheggiare la sua lucente decappottabile.
Guardai fuori dal
finestrino con una smorfia scocciata e incontrai gli occhi azzurrissimi
di
Juliet Harris, indiscussa reginetta del liceo per due anni consecutivi,
ora al
secondo anno dell’università di Yale e mia
dirimpettaia.
Mi salutò con un sorriso e
un cenno della mano «Scusa Daniel, ma May non ha frenato
abbastanza» lanciò
un’occhiataccia alla ragazza al suo fianco, che
sbuffò, sollevando la frangia
bionda, e spense la macchina.
«Tanto una botta in più o
una in meno» disse scrollando le spalle e guadagnandosi una
lieve gomitata e
uno sguardo eloquente, che la obbligarono a tirarsi su gli occhiali da
sole e
fissarmi intensamente con le stesse iridi azzurre di Juliet «Scusami
tanto
Smith, ma il tuo catorcio è passato inosservato».
«Non avevo dubbi Harris, a
te passano inosservate molte cose, anche l’assenza di un
cervello» ribattei
seccato.
«Sempre il solito
simpatico».
La ignorai e mi decisi
finalmente a scendere e dare un’occhiata al danno subito
dalla mia auto: c’era
una piccola botta vicino al faro posteriore e una riga che si
confondeva con il
resto della carrozzeria ammaccata. Tanto
una botta in più o una in meno.
«Non è nulla di grave,
spero» disse Juliet, avvicinandosi preoccupata.
La rassicurai scuotendo la
testa e mi caricai lo zaino su una spalla.
«Visto?» disse May, lanciandole
una borsa pescata dal bagagliaio «Ti preoccupi
troppo».
«Certo che mi preoccupo,
visto che poi devo sempre rimediare ai tuoi guai» si
scostò con stizza una
ciocca di capelli castani dal viso, puntando lo sguardo sulla sorella.
«Non ce n’è bisogno, sono
capace di cavarmela da sola. E poi finiscila di comportarti da sorella
maggiore, sono nata ben tre minuti prima di te!»
berciò May, afferrando il suo
borsone e chiudendo con stizza la macchina.
«Appunto, quindi sono io
la maggiore e come tale sono responsabile delle tue azioni».
«Beh, vi saluto» mi
intromisi, ben deciso ad evitare di assistere all’ennesimo
litigio tra sorelle.
Entrambe si voltarono
verso di me, guardandomi con gli stessi occhi azzurri e lo stesso viso
dolce,
peccato che quello di May fosse piegato in una smorfia.
Mi allontanai di fretta,
mentre loro riprendevano la discussione, e diedi un’occhiata
all’orologio,
dirigendomi verso la spiaggia affollata.
Trovai
Ryan sdraiato sul
suo asciugamano rosso, a pochi metri di distanza da un gruppo di
ragazze
chiacchierine e sorridenti. Buttai lo zaino al suo fianco, facendogli
volare un
po’ di sabbia in faccia; lui tossì e
aprì gli occhi chiari infuriato, ma si
rilassò quasi subito.
«Finalmente! Pensavo ti
fossi perso» si mise seduto, mentre tiravo fuori il mio
asciugamano e lo
stendevo accanto al suo.
«Ho avuto un contrattempo»
dissi laconico, togliendomi le scarpe e la maglietta.
«Tu hai sempre dei
contrattempi» si lamentò, passandosi una mano tra
i capelli biondi e lanciando
un’occhiata al gruppetto alla nostra sinistra
«Inizio a pensare che siano tutte
balle, sai?»
Alzai gli occhi al cielo e
tornai a fissarlo da dietro le lenti scure dei miei occhiali
«May mi ha
tamponato mentre parcheggiava».
«Oh. Non le hanno ancora
tolto la patente?»
«Evidentemente no» mi
tolsi gli occhiale da sole e gli feci un cenno col capo, avviandomi
verso
l’oceano per il primo bagno della giornata.
«Mi
passi il sacco,
tesoro?»
Con un sospiro
impercettibile avvicinai il bidone del pattume alla figura chinata di
mia madre,
intenta a togliere le erbacce dal nostro giardino.
Adoravo mia madre, sul
serio, ma l’avrei adorata ancora di più se non mi
avesse acciuffato al ritorno
dalla spiaggia, non appena messo piede giù dalla macchina.
Durante l’anno vivevo al
campus, nonostante l’università di Santa Barbara
non fosse lontana, e tornavo
solo per i fine settimana e le vacanze. Preferivo stare lì,
senza distrazioni e
in grado di poter organizzare il mio tempo come più mi
piaceva; senza contare
che il campus era come una piccola città e non avevo bisogno
di uscire per
procurarmi l’indispensabile, avrei potuto addirittura girare
in bicicletta.
Quindi approfittavo delle
vacanze per stare con i miei genitori e quella peste del mio fratellino.
«Danny, giochi con me?» mi
chiese Damon, saltellando giù dai gradini del portico con la
sua adorata palla
da football e un sorrisone sul volto.
Feci una smorfia,
scostandomi un ciuffo da davanti agli occhi «Non posso, sto
aiutando mamma».
«Non preoccuparti caro,
andate pure a giocare» agitò una mano guantata e
riprese a lottare contro una
pianta infestante dalle radici particolarmente robuste.
Mollai il bidone
esasperato: prima mi obbligava a darle una mano e poi mi cacciava via!
Damon corse a qualche
metro di distanza e si girò verso di me, agitando la palla
sopra la testa.
«Va bene, vai» mi arresi,
sistemandomi meglio gli occhiali da sole e stirando i muscoli della
schiena.
Mio fratello lanciò con
forza il pallone ovale e io non ebbi difficoltà ad
afferrarlo, mettendoci
soltanto un attimo per ritirarglielo.
Damon sognava di diventare
un quarterback professionista, non avevo la più pallida idea
del perché, e
appena poteva ne approfittava per allenarsi. In realtà ne
avrebbe dovuta fare
parecchia di strada per anche soltanto pensare di poter resistere ad un
placcaggio, visto il suo fisico mingherlino, ma lui non si arrendeva e
continuava a provarci ed era una cosa che ammiravo parecchio,
nonostante mi
premurassi di non farglielo sapere.
Personalmente preferivo il
basket e avrei potuto passare ore a palleggiare su un campo qualsiasi,
ma
purtroppo nella mia vita dovevo trovare spazio anche per lo studio.
«Ehi, Dan» mi chiamò
Damon, andando a recuperare il pallone mancato «Sai che il
fratello di Josh sta
organizzando un torneo di beach volley per il quartiere?»
«No, ti prego» mormorai
esasperato «Quell’idiota di Matt non sa nemmeno
giocarci a beach volley».
A basket era un grande
playmaker, ma non sapeva nemmeno fare una battuta. A
pallavolo e in qualsiasi altro senso.
Damon scrollò le spalle e
tirò la palla «Dice che possono partecipare tutti,
senza limite di età»
iniziavo a capire dove volesse arrivare «Fai squadra con me?
Io e Josh abbiamo
scommesso: chi perde paga il cinema».
«Dom, sai che non sono
capace» soffiai, massaggiandomi una tempia «Non so
quanto ti convenga avermi
come compagno».
Lui si imbronciò «Per
favore! Almeno facciamo qualcosa insieme!»
«Non vuoi vincere?»
«Sì, ma voglio giocare con
te! E poi Josh gioca con Matt e Matt ha detto di obbligarti a
partecipare!»
Alla prima occasione
l’avrei di sicuro fatto secco «E va bene, ci
sto!» esclamai arreso «Ma la
prossima volta facciamo qualche tiro a canestro, invece di
football».
Damon esultò e tirò la
palla con troppa forza, facendola finire ben oltre la mia testa e su
quella di
qualcuno che imprecò poco finemente.
«Chi è l’incapace?»
sibilò
May, massaggiandosi il capo e fulminandoci, mentre con una mano teneva
il
pallone.
Mia madre ridacchiò, con i
guanti e il viso sporchi di terra, e Damon si illuminò
«Ciao May!» esclamò
correndole incontro.
Purtroppo i miei genitori
e i signori Harris erano buoni amici e, di conseguenza, la mia famiglia
adorava
le due gemelle; mia madre in particolare aveva una predilezione per
May, anche
se proprio non riuscivo a capire il perché.
Mi avvicinai svogliato,
mentre Damon aggiornava May sulle novità del quartiere, non
pensando alle
terribili conseguenze che ne sarebbero scaturite.
Perché purtroppo May
Harris era una grande appassionata di pallavolo, tanto quanto Damon lo
era di
football e mia madre di giardinaggio, e, purtroppo, era anche
attaccante della
squadra femminile del college e colpiva la palla con una violenza
impensabile
per il suo fisico minuto. Quindi
sì, bravo Dom, per averci appena procurato
l’avversaria più terribile della zona.
«Beach volley? Interessante»
Per l’appunto
«Voi partecipate?»
Damon annuì con un sorriso
«Dan gioca con me! Dobbiamo assolutamente battere Josh e
Matt!»
May mi lanciò un’occhiata
divertita «Ma tuo fratello è sicuro di sapere come
si gioca?» chiese con un
ghigno.
La fulminai «Certo che sì,
grazie tante» sibilai irritato. Sapeva sempre tirare fuori il
peggio di me, il
problema era che con mia madre presente non potevamo insultarci come al
solito.
«Era pura e semplice
curiosità!» alzò le mani con una finta
aria innocente, provocando le risate
della mia solidale genitrice, che stava iniziando a riporre i suoi
attrezzi da
giardiniera pazza per andare a preparare la cena «In
realtà sono venuta qui per
un altro motivo: devo parlarti» mi disse, tornando seria.
Tirai su gli occhiali da
sole e la fissai con una smorfia: quando May voleva parlarmi, dovevo
sempre
aspettarmi il peggio.
«Non
fare quella faccia, sembri costipato!» ribatté
lei, gentile come sempre, chiaro
segno che mia madre era appena rientrata in casa, portandosi dietro
Damon.
«Cosa
vuoi?»
«Hai
presente Hazel Green?» mi chiese, portandosi indietro una
ciocca di capelli
biondi con un colpo distratto della mano.
«Chi,
la rossa con la quarta?» E
i genitori fuori di testa? Chi
mai
chiamerebbe la propria figlia “nocciola”, quando il
suo cognome è Green?
L’occhiataccia
che mi lanciò mi fece desiderare non aver mai parlato
«Esattamente» sibilò «La
rossa con la quarta finta».
Regola
numero uno: non parlare con una ragazza facilmente irritabile del seno
di
qualcun’altra.
«Sì
e allora? Cosa ti ha fatto Hazel Green?» La domanda
più appropriata sarebbe
stata: cosa hai
fatto ad Hazel Green, ma se l’avessi detta probabilmente
avrei scatenato una delle solite scenate e, dopo una giornata piena
come
quella, avrei preferito decisamente non sprecare altre energie
litigando con
May.
«Mi
ha sfidato per una questione che non ti deve interessare, quella brutta
tro-».
«Aspetta
un attimo» la interruppi, prima che iniziasse ad insultare la
Green «Cosa vuoi
da me?»
Roteò
gli occhi azzurrissimi, storcendo il naso abbronzato «Se mi
fai finire, ci
arrivo» sospirò, come a prendere coraggio, e
sputò fuori «Mi devi insegnare a
giocare a basket».
Non
registrai subito le sue parole, perché mi sembravano
assurde: May non amava il
basket, probabilmente perché giocavamo nello stesso centro
sportivo e i nostri
allenatori litigavano sempre per il campo, quindi il solo fatto che
volesse
imparare mi lasciava a bocca aperta.
«Perché?!»
«Perché
la tua adorata Hazel mi ha sfidato ad una partita di basket, visto che
entrambe
non sappiamo giocarci!»
«Ehi,
non è la “mia adorata Hazel”! Non
la
conosco neanche!»
May
incrociò le braccia, chiaramente irritata «Beh,
sta’ sicuro che non ti perdi
niente. Allora, hai intenzione di darmi una mano? Deciditi, altrimenti
mi tocca
chiederlo a quel borioso di Wilson».
Entrambi
facemmo una smorfia al pensiero della felicità di Matt se
l’avesse saputo,
vista la sua ben conosciuta cotta per May.
«Va
bene» acconsentii di malavoglia «Almeno posso
insultarti quando sbagli».
«Non
ci conterei se fossi in te» ribatté, col naso per
aria «Sarò talmente brava che
non riuscirai nemmeno a toccare palla!»
Alzai
un sopracciglio scettico, mentre si voltò per andarsene,
salutandomi con una
mano e la solita aria indisponente.
Non
rimasi a guardarla arrivare fino a casa sua, sinceramente mi
interessava poco e
avrei potuto essere insultato per averle fissato il sedere, anche se
non era
certo la mia aspirazione, a differenza di Matt.
Ma
all’ultimo mi ricordai di una cosa e dovetti per forza
correrle dietro, prima
che rientrasse in casa «Ehi, Harris!» la chiamai,
attraversando la strada.
May
si girò sorpresa, cercando di assumere
un’espressione infastidita, e mi fece un
cenno del capo per spingermi a parlare. Almeno
non mi aveva ancora insultato.
«Quando
avete la sfida?» chiesi, appoggiandomi alla ringhiera del suo
portico.
«Tra
due settimane».
«Due
settimane? Come pretendete di imparare a giocare a basket in due
settimane?!»
Incrociò
le braccia, alzando gli occhi al cielo «Che palle, dobbiamo
solo fare qualche
canestro, non è una sfida da professionisti».
Scossi
la testa, lasciando perdere la questione «Domani mattina sei
libera?»
«Sul
tardi, però. Tu potrai anche svegliarti al canto del gallo e
ammirare il sole
nascente, ma io vorrei dormire, sai?»
Quella
volta toccò a me alzare gli occhi al cielo, esasperato
«Facciamo verso le
dieci?»
«Ok».
La
salutai con un cenno del capo e mi voltai per tornarmene indietro,
avvertendo
per tutto il tempo il suo sguardo azzurro e penetrante addosso.
Si
dice che il primo amore non si scorda mai, che è speciale e
va custodito per
sempre.
Beh,
io invece avrei proprio voluto dimenticarlo, soprattutto
perché non mi aveva
portato altro che un sacco di problemi e scocciature. Come May Harris e
il suo
carattere irritante.
Perché
mai mi ero innamorato di Juliet?
Era
innegabilmente bella e perfetta sotto ogni punto di vista, ma mi erano
bastati
pochi anni per stufarmene. Mi piaceva ancora parlare con lei ed era
rilassante
stare in sua compagnia, ma solo come amica. Niente di più.
In
compenso sua sorella era insopportabile e nonostante ci conoscessimo da
una
vita non riuscivamo ancora ad andare d’accordo.
Seguiva
più o meno i miei stessi corsi in università, era
nel mio stesso dormitorio e
frequentava i miei stessi locali. Un
vero incubo.
Me
la ritrovavo sempre tra i piedi, sia durante l’anno
accademico sia in vacanza.
Davvero, non c’era persona
al mondo che sopportavo meno di May Harris.
N/A:
Salve a tutti! Questa è la versione riveduta e
totalmente cambiata di una storia che stavo scrivendo un po’
di tempo fa. Mi è
venuta voglia di pubblicarla, anche se l’ho praticamente solo
iniziata, e spero
vi possa interessare.
L’università di Santa
Barbara, così come la città (luogo in cui
sarà ambientata la storia), esiste
davvero e personalmente me ne sono innamorata, tanto che ormai
è diventata la
mia università da sogno. Non ci sono mai stata (purtroppo)
quindi non so come
possa realmente essere, le informazioni sono tutte state prese da
Wikipedia e
ho dato un’occhiata con Street View di Google Maps.
Sinceramente vi consiglio
di andarla a cercare, credetemi ne vale proprio la pena!
Il titolo del capitolo è
il titolo di una canzone dei Rascal Flatts, trovata per caso mentre
ascoltavo
dei video su YouTube e devo dire che è perfetta!
Avviso per chi segue le
altre mie storie: non
preoccupatevi perché prima o poi le aggiornerò,
solo che in questo periodo
faccio un po’ fatica a scrivere, sarà
l’estate! Comunque non ho intenzione di
lasciarle incomplete, basta avere pazienza e riuscirete a leggere la
fine!
Volevo poi ringraziare Yellow_B
(sperando che passi di qui) per aver letto e recensito quasi tutte le
mie
storie, mi ha fatto moltissimo piacere, sul serio! Spero che
continuerai a
seguirmi!
Grazie per aver letto,
spero vogliate farmi sapere cosa ne pensate!
Al prossimo capitolo,
anche se non so quando sarà!
|
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Capitolo 2 *** Don't let your enemies become friends ***
Don’t let your enemies become
friends
Non
riuscivo ancora pienamente a capire come diavolo fossi finito in quella
situazione.
Forse
lassù qualcuno mi odiava profondamente.
O
magari nella mia vita precedente ero stato un assassino.
O
forse ero soltanto terribilmente sfigato.
Il
che avrebbe spiegato diverse cose, soprattutto il fatto che quella era
la sesta
volta che May Harris mi travolgeva con la sua incredibile grazia da
bisonte,
cercando di far finta di palleggiare e avvicinarsi al canestro.
«Oh
che palle, ti ho già chiesto scusa» si
lamentò roteando gli occhi azzurri,
mentre la palla rimbalzava poco più in là, il
più lontano possibile da lei. Che
pallone intelligente.
«Sì,
la prima volta!» esclamai, massaggiandomi il fianco con una
smorfia «Riesci ad
essere più delicata? Forse non te ne sei ancora accorta, in
pieno delirio
distruttivo, ma stiamo tentando di giocare a basket, non a football,
chiaro? Basket».
«Cosa
cambia? Fanno schifo tutti e due».
Mi
scostai i capelli dalla fronte sudata, esasperato «Non ti
sopporto più. Perché
diavolo ho accettato?» mi domandai ad alta voce.
Ma
lei rispose lo stesso, alzando il naso per aria
«Perché volevi insultarmi, ma
come vedi non ti ho dato nessuna occasione per farlo».
La
fissai stralunato «Dimmi che stai scherzando. Hai fatto
davvero pena».
Fece
schioccare la lingua indispettita e andò a recuperare il
pallone «Sei tu che
non sai spiegare!»
«Sei
tu che sei un’incapace» ribattei, afferrando al
volo la palla che mi aveva
lanciato con stizza.
«Se
non fosse che Wilson cercasse sempre di palparmi, l’avrei
chiesto a lui.
Sicuramente è più bravo di te».
Io
scrollai le spalle, indifferente a quello che voleva sembrare un
insulto,
perché non avevo alcun dubbio che Matt sapesse spiegare il
gioco meglio di me
«Sei liberissima di andare da lui, sai? Per me sarebbe una
grande liberazione».
Mi
fulminò con i suoi occhi azzurri «Mi senti quando
parlo?! Ho detto che ci
andrei solo se non cercasse
sempre di palparmi!»
strillò infuriata.
Feci
una smorfia «Cosa diavolo ci trova in te? Sembri una
gallina».
«E
tu cosa ci trovavi in Juliet?» mi chiese, mentre le sue
labbra si piegavano in
un ghigno «La verità è che voi maschi
siete tutti uguali. La prima cosa che
vedete è l’aspetto fisico, se una ragazza
è bella, ha tante tette o le gambe
lunghe, ma non vi importa davvero di com’è
realmente! A te Juliet piaceva
soltanto perché è bella, infatti te ne sei
stancato subito. Non era il tuo
genere di ragazza, forse? Eh,
Daniel?»
La
fissai senza distogliere lo sguardo, cercando di capire cosa le
passasse per la
testa.
Non
ci avevo mai pensato molto, a dire la verità, ma forse aveva
ragione lei.
Juliet mi piaceva perché era la ragazza più bella
del quartiere, perché
sorrideva sempre ed era gentile. Mi sentivo elettrizzato quando mi
parlava, ma
niente di più. Non provavo nient’altro,
perché forse in fondo sapevo che non
era la ragazza adatta a me.
Era
stata solo una cotta passeggera; volevo bene a Juliet, lei era
magnifica, ma di
certo non l’amavo e non l’avevo mai amata.
«Sì,
mi piaceva per il suo aspetto, ma questo non significa che non apprezzi
tutte
le sue altre qualità! Juls è unica» le
risposi sinceramente, scrollando le
spalle.
Una
strana luce le passò negli occhi e non riuscii a decifrarne
il significato, ma
il tono della sua voce era inconfondibile: amaro e sdegnato «Unica?
Non
farmi ridere» puntò lo sguardo sul canestro
attaccato al muro del retro di casa
mia. Non la interruppi, perché sebbene non volessi
ammetterlo, la conoscevo
abbastanza per sapere che c’era dell’altro oltre a
quello che aveva sputato
fuori.
Si
morse un labbro, cercando di trattenere il fiume di parole che stava
per
sgorgare, ma inutilmente «Nessuna di noi due sarà
mai unica. Mai.
Perché
ogni volta che qualcuno ci guarda, vedrà sempre anche
l’altra» iniziò
riluttante, stringendosi le braccia intorno al corpo, come a
proteggersi dalla
realtà. Non cercai di dire nulla, non mi mossi nemmeno,
perché lei si sarebbe
ritratta sicuramente, nascondendosi di nuovo dietro ad una finta
immagine di
sé.
«Io
e lei siamo uguali, abbiamo lo stesso identico aspetto e, credimi,
è una cosa
che non sopportiamo. E’ per questo che il nostro carattere
è l’opposto, perché
pensavamo che la gente potesse distinguerci più facilmente,
ma la verità è che
non è servito. C’è sempre stato e ci
sarà sempre qualcuno che ci confonderà.
Perché credi che Juliet sia andata a Yale, quando poteva
restare qui in
California? Lì non c’è nessuno che la
conosce e non ci sarà nessuno che la
scambierà per me» riportò gli occhi su
di me, studiandomi attentamente «Non c’è
stato nessuno che non ci abbia mai scambiato. Nemmeno i nostri
genitori,
nemmeno gli amici. Nemmeno tu».
Aggrottai
le sopracciglia, palesemente in disaccordo. Non mi ricordavo di averle
mai
confuse una con l’altra. Come
potevo confondere Juliet con una come May?
«Non siete uguali, May» iniziai piccato
«Tra te e Juls c’è un abisso, non
potrei mai confondervi!»
Si
lasciò scappare una risata ironica e alzò un
sopracciglio biondo, piegando le
labbra nella solita smorfia riservata al sottoscritto
«Quindi, in realtà, la
sera della festa del diploma volevi davvero baciare me e non mia
sorella? Che
stupida! E io che avevo sempre creduto il contrario! Ti ricordi,
Daniel?»
Serrai
i denti e distolsi lo sguardo, mentre il mio stomaco iniziava a
contorcersi in
maniera spiacevole: certo che me lo ricordavo, come potevo
dimenticarlo? Era
stata l’unica volta che avevo provato qualcosa stando insieme
a Juliet. Forse
perché non era Juliet.
«Avevo
bevuto» sibilai.
«Non
avevo dubbi».
Rimanemmo
in silenzio, con i suoni che provenivano dalla strada come unico
sottofondo,
finché May rilassò la postura e decise di
andarsene.
«Finiamola
qui per oggi. Tra poco devo uscire» mi superò
senza salutare e senza nemmeno
dirmi quando ci saremmo visti di nuovo.
Non
che mi importasse veramente, ma sarebbe stato gentile da parte sua
trattarmi
come un essere umano. Ma alla fine lei era May e non era mai stata
gentile con
me.
«Cioè
avete litigato?»
«Litigato.
Chiamiamolo scambio di opinioni».
«Avete
litigato. E ci stai male!»
Storsi
il naso, passandomi una mano tra i capelli e cercando di evitare lo
sguardo
malizioso di Ryan «Non ci sto male» borbottai a
bassa voce, ma lui scoppiò a
ridere sguaiatamente, tenendosi il fianco. La
solita regina del melodramma.
Alzai
gli occhi al cielo, mentre il sole pomeridiano si rifletteva sulla
superficie
dell’oceano affollato, arrostendo i bagnanti e tutti coloro
che avevano deciso
di passare la giornata in spiaggia.
La
discussione con May continuava ad affollarmi la mente e non riuscivo a
pensare
ad altro, tanto che mi ero rassegnato a parlarne con Ryan, che a volte
era
peggio di una vecchia pettegola di quartiere.
Non
avevo mai seriamente litigato con May; non ci sopportavamo per niente,
ma
quando bisticciavamo era sempre per delle stupidate.
Però
quella volta era stato diverso.
Non
mi ricordavo molto della festa del diploma: solo alcool, musica e
sesso. Era
stata organizzata in un locale dalla squadra di football, la sera, dopo
le
feste in famiglia, e c’erano un sacco di imbucati da altri
licei. La musica era
talmente forte che la si sentiva rimbombare dentro il petto e nelle
orecchie,
per trovare una bevanda analcolica bisognava accontentarsi
dell’acqua dei
lavandini e coppiette con gli ormoni a mille finivano di decorare la
sala,
senza nemmeno preoccuparsi di appartarsi da qualche parte.
Vidi
più mutande e corpi mezzi nudi in quella sera che in tutta
la mia vita.
Nel
pieno delirio della serata, probabilmente per dimenticare le
oscenità a cui
avevo assistito, mi buttai a peso morto sul banco degli alcolici. Non
mi ubriacai,
ma l’alcool mi riempì di coraggio e intraprendenza
e ben presto mi ritrovai a
cercare il volto di Juliet tra la folla.
Forse
avevo pensato di tentare il tutto e per tutto e dichiararmi, o forse
era stato
soltanto l’avere avuto un incontro ravvicinato con le sue
gambe scoperte, dopo
essere inciampato nei miei stessi piedi e averla travolta. Forse erano
state le
sue labbra rosse, aperte in un’esclamazione di sorpresa, o i
suoi occhi azzurri
spalancati, che nel buio del locale sembravano blu. Ma
la baciai. Così,
premetti semplicemente le mie labbra sulle sue e lasciai che le mie
mani
esplorassero il suo corpo.
E
mi piacque da matti, tanto che sarei rimasto ore ed ore lì
ad assaggiarla. Peccato
che non fosse Juliet.
Ed
entrambi avevamo deciso di dimenticare l’accaduto. Peccato
che May l’avesse
ritirato fuori.
E
ci ero anche riuscito, dannazione. Peccato
che adesso continuassi a pensarci.
«Parli
del diavolo…» esclamò Ryan, accennando
poco più avanti.
Alzai
lo sguardo, senza registrare esattamente le sue parole, e mi ritrovai a
fissare
il volto annoiato di May, che ci stava venendo incontro con una sua
amica.
Entrambi
roteammo gli occhi e ci fermammo uno di fronte all’altra.
«Sei
peggio di una persecuzione».
«E
io che speravo di essermi liberato di te».
Ci
lanciammo un’occhiataccia, tornando
all’atteggiamento di sempre, come se quella
mattina non fosse mai passata, e dentro di me tirai un sospiro di
sollievo.
«Beh,
è stato un dispiacere. Ora dobbiamo proprio andare, vero
Emily?»
La
sua amica dai capelli rossi ridacchiò, divertita da qualcosa
che non riuscivo a
capire, May la afferrò per un braccio e ci
superò, proprio nell’esatto istante
in cui una voce tanto zuccherosa quanto falsa la chiamò.
«Harris,
che sorpresa trovarti qui».
Era
la prima volta che mi ritrovavo faccia a faccia con Hazel Green. Avevo
vagamente presente il suo aspetto, perché una come lei non
passava di certo
inosservata, ma non le ero mai stato così vicino come allora.
Non
era molto alta e il suo costume svelava in maniera dannatamente
attraente ogni
sua singola forma. Ed Hazel
Green di forme ne aveva parecchie.
Le
labbra rosse erano piegate in un lieve sorriso di circostanza e gli
occhi
castani brillavano grazie alla luce del sole; il viso abbronzato era
circondato
da una massa di ricci scarlatti, che mi facevano sudare soltanto a
guardarli.
Così
quella era Hazel Green. Con la
sua quarta di seno.
«Cos’è,
vi siete messi d’accordo per rovinarmi la
giornata?» berciò May, mollando la
sua amica Emily e incrociando le braccia con aria scocciata.
«Non
sapevo venissi in spiaggia anche tu» disse Hazel per niente
turbata,
squadrandola da cima a fondo con il chiaro intento di trovare qualcosa
con cui
deriderla.
Ma
May era una a cui l’aspetto estetico non importava
più di tanto e,
fortunatamente per lei, la natura era stata magnanima con i geni delle
gemelle
Harris.
Quindi
se ne stava lì, di fronte ad Hazel Green, con i capelli
legati in una lunga
coda bionda, gli occhi azzurri che sicuramente scintillavano di
irritazione
dietro le lenti scure degli occhiali da sole e il suo costume verde
che, benché
non l’avessi mai ammesso ad alta voce, le stava divinamente
bene. Anche meglio
di quello della Green.
Ma
a May tutto questo non importava «Beh, che cazzo
vuoi?»
Roteai
gli occhi: sboccata come sempre.
Hazel
strinse le labbra e si portò indietro i capelli
«Volevo soltanto sapere come va
con il basket» disse, sbattendo le ciglia lunghe con fare
innocente.
«Bene!»
su quello avrei avuto da ridire
« E tu, hai trovato qualcuno che ti
aiutasse senza doverlo pregare con le tue tette?»
Ryan
ridacchiò, girandosi di lato per non farsi vedere, ed Emily
lanciò
un’occhiataccia a May, che come al solito aveva parlato
fregandosene delle
conseguenze.
«Mi
è bastato chiedere al mio ragazzo. E’ un asso del
basket, sai? Credo proprio
che vincerò io, mi dispiace» ribatté,
fintamente dispiaciuta. Un
asso del
basket?
«Ah,
sì? E chi sarebbe?» chiese May, come se mi avesse
letto nel pensiero.
«Rick
Norris, ma tanto tu cosa ne vuoi sapere?» rispose con aria di
superiorità.
«Norris?»
sibilai senza riuscire a trattenere una smorfia e richiamando, non
volendo,
l’attenzione su di me «Rick Norris?»
«Lo
conosci?» mi chiese May aggrottando la fronte.
«Purtroppo
sì» riuscì a soffiare attraverso i
denti digrignati.
Rick
Norris era uno dei pochi giocatori che odiavo profondamente.
Probabilmente il
tutto era nato dal fatto che avevamo lo stesso ruolo in due squadre
rivali,
oppure che nella prima partita che avevamo disputato mi era venuto
contro con
forza, facendo un fallo e rompendomi la tibia. Non avevo potuto giocare
per due
mesi. La seconda partita eravamo stati espulsi per aver scatenato una
rissa sul
campo. E, pensandoci bene, non capivo perché il mister
continuasse a tenermi in
squadra; forse era perché, se c’era qualcuno che
odiava più dell’allenatore
della squadra femminile di pallavolo
dell’università di Santa Barbara, era il
mister della squadra maschile di basket
dell’università di Northridge. La
stessa università per cui giocava Norris.
«Conosci
Rick?» chiese Hazel, studiandomi attentamente, e per un
momento mi sentii come
un pasticcino sotto gli occhi di una donna a dieta.
«Diciamo
di sì» borbottai di malavoglia.
«E
tu saresti?» mi chiese scoccandomi un sorriso scintillante,
totalmente diverso
da quelli che aveva riservato a May fino a quel momento.
«Fatti
gli affari tuoi, brutta gallina» sibilò la mia
graziosa e alquanto squilibrata
allieva, superandomi e andando a fronteggiare Hazel.
«Ti
da fastidio, Harris? Cercavo solo di essere cordiale. A differenza di
qualcun
altro».
Si
squadrarono in cagnesco e decisi di intervenire prima che iniziassero a
darsele
di santa ragione. Afferrai May per un braccio, tirandola verso di me
con
difficoltà, visto che continuava ad agitarsi come una pazza
«Mi chiamo-».
«Smith.
Cosa diavolo ci fai qui?»
Ed
ecco come quella giornata era andata allegramente a farsi fottere.
Perché
in aiuto della sua prosperosa ragazza era arrivata l’ultima
persona al mondo
che avrei mai voluto vedere, compresa la mia bionda dirimpettaia: Rick
Norris.
Feci
una smorfia, mentre davanti a me May si calmava per squadrare il nuovo
venuto «Norris»
sillabai con uguale disgusto.
Sentii
Ryan sospirare e avvicinarsi, pronto a fermarmi nel caso avessimo
deciso di
picchiarci, ma l’idea mi aveva soltanto sfiorato,
perché non avrei di certo
potuto scatenare una bella rissa con quella scocciatrice di May tra i
piedi.
«Sarebbe
lui lo Smith con cui litighi sempre durante le partite?»
chiese Hazel, rompendo
il silenzio che si era creato.
May
alzò un sopracciglio e si girò a fissarmi
incredula «Litighi durante le
partite?» chiese vagamente divertita «Questa mi
mancava».
Strinsi
di più la presa sul suo braccio, iniziando ad innervosirmi;
lei non fece un
piega e si avvicinò di un passo, per evitare che la
strattonassi troppo.
«Comunque
è lui che mi sta insegnando a giocare a basket, Harris. E
sta sicura che
basteranno cinque minuti per stracciarti».
Soffocai
una risata. Norris come
insegnante? La cosa peggiore che
potesse
capitare a chiunque.
«Hai
qualcosa da dire, Smith?»
«Niente.
A parte commentare la tua scarsa abilità di gioco,
chiaro» sibilai sarcastico.
«Credi
di poter fare di meglio?» mi chiese, scostandosi i capelli
biondi dalla fronte
con un gesto secco della testa.
«Ovvio».
Nessuno
dei due osava distogliere lo sguardo per primo, ma per fortuna ci
pensò Ryan a
distrarci, con una delle sue idee bizzarre «Ehi,
perché questa sfida a basket
non la fate in due contro due?»
Ci
voltammo tutti a guardarlo, contemplando per un attimo la proposta. Non
che ci
fosse poi molto da contemplare, visto che ero sempre pronto a
stracciare
Norris.
«Il
biondino non ha tutti i torti» ghignò lo pseudo
giocatore di basket «Ci stai
Smith, o hai paura?»
Avevo
una voglia terribile di spaccargli quella faccia da schiaffi che si
ritrovava
«Di te? Spero tu stia scherzando».
Lui
non ribatté, probabilmente era la presenza della Green a non
fargli perdere la
testa come al solito e a farlo comportare come una persona vagamente
matura «Io
ed Hazel contro te e la bionda focosa-».
«Bionda
focosa?!»
berciò May, boccheggiando incredula
«Ma-».
Lui
alzò un sopracciglio «E come ti
chiameresti?»
Risposi
io al suo posto, tappandole la bocca con una mano e tirandola contro di
me,
prima che potesse sputargli in faccia e prenderlo a pugni. Non che mi
sarebbe
dispiaciuto vederlo ridotto ad una poltiglia sanguinolenta, conoscendo
la
violenza di May, ma avrei preferito di gran lunga farlo io
«Si chiama May e
questo è un dettaglio irrilevante».
Ci
fissammo per diverso tempo, senza aprire bocca, ma minacciandoci con
gli occhi.
«Tra
due settimane, allora» disse infine Norris, scrutandoci tutti
con un il suo
stupido ghigno.
«Tra
due settimane» ribadii io, non desiderando altro che
stracciarlo all’unica cosa
che pensava di saper fare.
Mi
sbagliavo. La persona che sopportavo di meno al mondo non era May, ma
Rick
Norris.
«Brutto
damerino odioso! Bionda focosa?! Ma dico, dove diamine siamo finiti?! E
poi chi
si crede di essere?! Si dà arie da grand’uomo, ma
in realtà ha il sex appeal di
una carota marcia!»
Trattenni
a stento una risata, più per non darle la soddisfazione di
sapere che mi stavo
divertendo un mondo, anche se ero sicuro che se mi fossi rotolato ai
suoi piedi
in preda a risate isteriche non se ne sarebbe nemmeno accorta, presa
com’era ad
insultare Norris e la Green.
Nella
foga del discorso, aveva appoggiato al muretto su cui eravamo seduti la
sua
coppetta di gelato, che si stava sciogliendo velocemente,
così ne approfittai
per assaggiare il nuovo gusto mango, che May aveva abbinato al suo
adorato
limone. Non era certo una
sorpresa che fosse sempre così acida.
«E
lei, sempre così altezzosa! E poi che aveva da guardarti
così, eh? Sembrava non
avesse mai visto un ragazzo prima di oggi! Certo che non fatico a
crederlo,
visto che Norris è tale e quale ad un merluzzo!»
Alzai
un sopracciglio gustandomi il suo gelato, visto che il mio era finito
da un
pezzo, ma lei mi diede una gomitata per niente leggera, facendomi
cadere il
contenuto del cucchiaino di plastica sul costume.
«Mi
stai ascoltando?!» berciò poco gentilmente, senza
neanche mostrare di essersi
accorta del danno che la sua grazia aveva combinato.
Sospirai
«Per quanto sia piacevole sentire insultare Norris, il tuo
sproloquio non mi
interessa per niente».
Si
tirò su gli occhiali da sole e mi scrutò
aggrottando le sopracciglia «Dobbiamo
vincere, capito? Assolutamente!»
«Non
c’è bisogno che me lo dici. Certo, se non fossi
così incredibilmente negata,
forse avremmo più possibilità» ribattei
ironico.
«Certo,
se non fossi così incredibilmente incompetente, forse
potresti insegnarmi
qualcosa!»
Alzai
lo sguardo al cielo ormai tendente all’arancio e mandai
giù un altro cucchiaino
di gelato «Sei proprio petulante».
«Ehi,
quello è il mio gelato!» esclamò
oltraggiata, accorgendosi solo in quel momento
che avevo in mano la sua coppetta.
«Si
stava sciogliendo» dissi con l’espressione
più innocente che riuscii a fare.
Lei
ovviamente non ci cascò e tentò di strapparmi di
mano l’oggetto incriminato;
ingaggiammo una lotta fatta di tiri e spintoni, corredata da insulti e
occhiatacce, finché il premio della vittoria non si
spiaccicò sull’asfalto,
lasciandoci a bocca asciutta.
«E’
colpa tua!»
«Mia?!
Potevi continuare a blaterare e lasciarmi mangiare in pace!»
Ci
fulminammo e, come due bambini, incrociammo le braccia per poi voltarci
dall’altra parte. Sì,
eravamo molto infantili.
Un
click mi fece voltare verso Ryan con espressione scocciata, ma lui si
limitò a
sorridere e abbassare la sua adorata macchina fotografica da
professionista, di
cui non avrei saputo dire la marca nemmeno a volerlo.
«Siete
le persone più fotogeniche che conosca, sapete?»
ci disse allegramente, mentre
al suo fianco Emily gli porgeva un cono mezzo mangiato.
«Sei
una spina nel fianco, Carter» ribatté May,
scrutando la sua amica rossa che,
nella sua mente malata, probabilmente si stava alleando con il nemico.
Ryan
la ignorò e riprese a gustarsi il suo gelato «A
proposito, non avete ancora
visto le foto del Solstizio! Ti devo passare il cd, Dan, ce
n’è una che ti
piacerà di sicuro!»
«Dimmi
che hai quella in cui Harris va a sbattere contro il palo della luce,
ti
prego».
«Dimmi
che hai quella in cui Smith viene rimorchiato dalla vecchia, ti
prego» mi
scimmiottò May, fulminandomi.
Rabbrividii,
ricordandomi ancora bene l’episodio dell’attacco: mai
passeggiare senza
pensieri durante una parata.
«Le
ho tutte! Anche quelle delle ballerine di flamenco!»
esclamò Ryan, mettendo in
bella mostra tutti i denti.
May
ed Emily lo fissarono vagamente disgustate e la prima saltò
giù dal muretto e
si stiracchiò «Noi, andiamo. Grazie per il
gelato» aggiunse a malincuore, ben
consapevole di essere in debito.
Emily
ci salutò più allegramente ed entrambe tornarono
in spiaggia, lasciando Ryan a
fissarle come un baccalà.
«Non
è magnifica?» domandò al vento, con
sguardo da triglia ben fisso sul didietro
di Emily Snow.
E
lì seppi per certo di essermi giocato il mio migliore amico.
N/A: Ecco
qui il secondo capitolo. Sinceramente non
pensavo che l’inizio potesse venire fuori
così… deprimente, diciamo. Con tutta
quella storia di Daniel, Juliet e May. In realtà non pensavo
neanche potesse
uscire fuori quella storia,
sul serio! Hanno fatto tutto da soli, io non
c’entro! Se volete prendervela con qualcuno, fatelo con
Daniel, qui a vostra
disposizione per qualsiasi lamentela! Non vi faccio discutere con May,
perché è
un tantino violenta e potrebbe finire male.
Ehm. Ok, dopo il delirio
iniziale (dovuto alla psicotica consapevolezza che i personaggi di
questa
storia sono in qualche modo vivi!)
passiamo alle cose più serie. Devo
ammettere di non sapere come ragiona un ragazzo, quindi ho fatto del
mio meglio
per non scrivere esattamente come una ragazza. Non so se ci sono
riuscita,
però, dovrete dirmelo voi. Personalmente Daniel mi sta
simpatico e, per come me
lo sono immaginata, ha decisamente un certo fascino! May è
insopportabile
quando ci si mette, ma in fondo è decisamente diversa da
come appare.
Ah, il titolo è quello di
una canzone degli Spill Canvas, gruppo che adoro e che devo piazzare
dappertutto (come ben saprà chi ormai mi conosce).
Per quanto riguarda i
posti citati: le università di Santa Barbara e di Northridge
esistono sul serio
e qui vi metto alcuni link se volete vedere le immagini e avere
più chiaro il
posto.
Tra l’altro ho letto su
Wikipedia che la squadra di calcio di Northridge è quella di
punta
dell’università e ha sbattuto fuori quella di
Santa Barbara nella stagione
2005/2006. Allora ho pensato che dovrebbe esserci un minimo di
rivalità tra le
due università.
Università di Santa Barbara (Sito ufficiale)
Santa Barbara su Wikipedia
Passiamo alle recensioni!
Siete state molto gentili a farmi sapere cosa ne pensavate dello scorso
capitolo. Spero che lo facciate anche con questo!
sciona:
Davvero ti piace! XD
Sono contenta! Grazie mille
per i complimenti, spero che questo capitolo ti sia piaciuto come lo
scorso!
mayetta:
Aaah, grazie infinite!
Spero di meritarmi la tua
fiducia e non deluderti con la storia! Anch’io trovo
interessante leggere
qualcosa dal punto di vista di un ragazzo, giusto per capire cosa
pensano, solo
che scriverlo non è semplicissimo! Comunque non penso si
alterneranno, perché
preferirei non far scoprire troppo May, visto che
c’è qualcosa che nasconde. Ho
già detto troppo! >.<
Penny
Black: E io sono contenta che
tu abbia iniziato a
leggerle tutte! Ryan lo adoro, è un tipo un po’
alla Jeremy di Spin, e Juliet è
davvero un tesoro e più avanti non si smentirà!
Povero Matt, ti giuro che si
potrà mettere sulle stesso livello di Ryan! In quanto ad
Hazel… beh, l’hai
vista qui, con Rick Norris. May e Daniel sono complicati: lei non
è per niente
come te la aspetti e lui… direi che è piuttosto
confusionario! Qui ho postato i
link, così potrete vedere esattamente dove è
ambientata la storia.
Fatemi
sapere cosa ne
pensate, alla prossima!
|
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Capitolo 3 *** Losing grip ***
Losing
grip
Palleggia.
Tira. Canestro. Palleggia. Tira. Canestro. Palleggia. Tira. Canestro.
Ero
totalmente concentrato sulla palla; c’eravamo soltanto io,
lei e l’altro. No,
non era una telenovela romantica.
La
verità era che dovevo allenarmi a giocare a pallavolo per il
torneo di
quartiere, non gingillarmi sul campo di basket, ma il fatto era che,
anche se
Damon e Josh volevano affrontarsi, non era detto che sarebbero capitati
uno
contro l’altro e se uno di loro fosse finito contro May
sarebbe stato eliminato
in cinque minuti.
Quindi
che motivo c’era di sprecare il mio tempo con la pallavolo?
Tirai
di nuovo la palla, facendo l’ennesimo canestro.
In
realtà era un’altra la sfida che mi innervosiva:
quella contro Norris. Per
quanto odiassi ammetterlo lui era davvero un ottimo giocatore e non ero
sicuro
di poter riuscire a batterlo. Se non altro, però, May stava
migliorando. Per
fortuna.
«Lo
sapevo che ti avrei trovato qui».
Fermai
il pallone e mi voltai verso Ryan, scostandomi i capelli dalla fronte
sudata.
Che grande scoperta, il campo da basket era l’unico luogo che
riusciva a
calmarmi.
«Chi
ci fai da queste parti?» gli chiesi, asciugandomi la faccia
con il bordo della
canottiera. Mamma non ne
sarebbe stata contenta.
«Volevo
chiederti se ti andava di fare un giro, devo scattare delle foto dal
lungomare»
mi spiegò allegro.
«Non
posso. Non c’è nessuno in casa e Damon
è fuori senza chiavi».
«Dov’è
andato?»
Feci
una smorfia «A casa Harris. May gli sta insegnando a giocare
a pallavolo»
sibilai disgustato.
Lui
alzò le sopracciglia «E a te no? Povero, piccolo
Danny, lasciato tutto solo!»
«Oh,
taci! Chi vuole imparare uno sport stupido come la
pallavolo?» tirai con forza
la palla sul cemento, facendola rimbalzare in un angolo.
Ryan
ghignò divertito «Te la sei presa, vero? Damon
sì e tu no».
Gli
lanciai un’occhiataccia «Ti ho detto che non me ne
importa nulla! Che facciano
pure quello che vogliono, anzi, sai cosa ti dico? Vengo con
te» così
Damon
imparava a fraternizzare col nemico.
«Almeno
vai a dirglielo» mi consigliò Ryan ridacchiando
come uno stupido. Cosa ci
trovava di così divertente proprio non lo sapevo.
«Io
a casa di Harris non ci vado!»
«Ti
vergogni?»
«Vai
al diavolo!»
E
fu così che mi ritrovai a suonare il campanello della mia
simpatica
dirimpettaia con Ryan che cercava di trattenere le risate, sperando che
la
signora Harris non ci fosse per evitare che mi invitasse a bere
qualcosa e non
mi lasciasse più andare.
Fortunatamente
aprì Juliet che ci salutò allegramente
«Ciao ragazzi, cosa posso fare per voi?»
Nonostante
fossero passati due anni dalla fine della mia cotta per lei, non potevo
fare a
meno di sentirmi imbarazzato «Ciao Juls, Damon è
ancora qui?»
«Sì,
è con May ed Emily sul retro. Stanno facendo una confusione
allucinante, ma sta
bene» mi rispose con un sorriso.
«Bene»
più o meno
«Volevo so-».
«Emily?»
mi interruppe Ryan, spostandomi di lato «Emily Snow
è qui?!»
Juliet
lo fissò sorpresa e mi lanciò
un’occhiata perplessa «Sì,
per-».
«Perfetto!»
esclamò il mio amico, con un sorriso che avrebbe potuto
abbagliare anche i
bagnanti in spiaggia, stringendo le mani di Juliet e guardandola
implorante
«Vero che possiamo restare?» piagnucolò.
«Ehm…
sì, cer-» Juls lo fissò stralunata,
probabilmente pensando che fosse pazzo,
prima di venire interrotta di nuovo.
«Grazie!»
esclamò Ryan, superandola e fiondandosi dentro, come se
fosse stata a casa sua.
Io
mi massaggiai la fronte esasperato «Scusa, ma si è
preso una sbandata per la
Snow e non capisce più nulla. Non che prima fosse tanto
normale».
Juliet
scoppiò a ridere divertita «L’avevo
immaginato. Vuoi entrare anche tu?» mi
chiese ironica.
Io
scrollai le spalle e varcai la soglia con un sorriso.
Che
si spense quando mi ritrovai nella loro cucina faccia a faccia con May.
Lei
sbuffò «Certo che sei davvero una
persecuzione».
Decisi
di ignorarla, mentre Juliet prendeva le mie difese «Sii un
po’ più cordiale,
May. Stai diventando troppo acida».
Si
fissarono per un attimo, impegnate in una di quelle conversazioni fatte
di
sguardi che io proprio non capivo per nulla. Alla fine May
alzò le spalle,
chiuse il frigorifero e tornò in giardino.
Juliet
sospirò, seguendola ancora per qualche istante, poi si
voltò verso di me «Io
devo mettere via un paio di cose, ma arrivo subito, tu intanto
raggiungi pure
gli altri» mi salutò con un cenno del capo e un
sorriso, per poi avviarsi al
piano superiore.
Io
sospirai e uscii dalla porta di servizio, tornando alla calura
pomeridiana.
Sotto il sole, Damon si passava la palla con May ed Emily, che ogni
tanto gli
correggevano la postura o la posizione delle mani, mentre Ryan scattava
foto
qua e là, puntando l’obbiettivo sempre nella
direzione della Snow.
«Ehi,
Dan!» esclamò Damon non appena mi vide
«Sei venuto a giocare anche tu?»
Dovetti
mordermi la lingua per non dire niente di offensivo nei confronti della
padrona
di casa, che si limitava a fissarmi con i suoi occhi azzurri.
«No.
Sono venuto per…» non sapevo cosa rispondere,
perché nonostante in alcuni
momenti avrei voluto strangolarlo, Ryan rimaneva il mio migliore amico
e non
ero sicuro che fosse la cosa giusta rivelare che l’avevo
soltanto seguito nel
suo sprint verso Emily.
Ma
fu proprio lei che mi evitò una risposta «Damon ha
detto che partecipi anche tu
al torneo. Perché non ci alleniamo insieme?»
«Sì,
alleniamoci tutti insieme!» esclamò Ryan con
sguardo acceso.
Alzai
gli occhi al cielo «Tu non partecipi» gli ricordai
annoiato.
«Questo
non vuol dire che non ami la pallavolo con tutto il mio
cuore!» mi lanciò uno
sguardo divertito, che si trasformò non appena Emily gli
rivolse la parola.
«Ti
piace la pallavolo?» chiese curiosa.
A
qualche metro di distanza vidi May esibirsi nella mia stessa smorfia.
«Ma
certo che mi piace! E’ il mio sport preferito!» Ryan
il Conquistatore alla
riscossa.
Mentre
quei due cominciavano a parlare, Dom venne a farmi vedere quello che
aveva
imparato.
«E
so fare anche il muro! Solo che May dice che sono troppo
basso» le lanciò uno
sguardo colmo di risentimento, che lei ignorò «Io
non sono basso».
Alzai
un sopracciglio verso May, che rispose con una scrollata di spalle. Certo,
a
lei non importava dover sopportare per la prossima settimana le
lamentele di
Damon e i suoi inutili tentativi di allungarsi.
«Ma
anche se fa l’antipatica è molto brava a
spiegare» continuò poi con un sorriso,
facendomi quasi strozzare con la mia stessa saliva.
«May?
Brava a spiegare?»
«Sempre
meglio di te, Smith» sibilò irritata, incrociando
le braccia con aria stizzita.
«Non
ci credo».
«Non
me ne importa».
«Perché
allora non provate? Io gioco con Damon» propose Juliet,
appena arrivata.
«Non
ci penso nemmeno!» esclamammo all’unisono io e May,
lanciandoci subito dopo
un’occhiataccia.
Ma
lei ci ignorò candidamente «Ti va,
Damon?» gli chiese con un sorriso, lui non
poté fare a meno di accettare e ricambiare, visto che
adorava indiscutibilmente
Juliet.
E
io e May fummo lasciati a fissarci con odio.
«Sia
chiaro, non voglio imparare nulla da te».
«Sia
chiaro, non voglio insegnare nulla a uno come te».
Sbuffammo
entrambi e non riuscii a trattenermi dal domandarle «Non
dovresti allenarti a
basket, invece di pallavolo?»
Lei
roteò gli occhi azzurri «Odio il basket tanto
quanto tu odi la pallavolo».
«Però
ti tocca farlo».
«Anche
a te».
Era
frustrante parlare con May: non faceva altro che ributtarti in faccia
tutto
quello che le dicevi. Dovevo ammettere che mi era capitato di pensare a
come
potesse essere parlarle come facevo con Juliet, ma c’era
sempre qualcosa che mi
bloccava, perché non riuscivo a pensare a lei come a sua
sorella. Se immaginavo
di stare con lei, o litigavamo o facevamo altre
cose, che mi lasciavano
spesso col fiato corto e una strana sensazione nello stomaco. Non avevo
quasi
mai pensieri di quel genere, e men che meno avrei voluto averli su di lei,
però ero un ragazzo e certe cose le notavo, anche
da sbronzo.
Se
mi piaceva Juliet per il suo aspetto, non poteva non piacermi anche
May, visto
che erano gemelle, l’unica cosa di May che non riuscivo
proprio a sopportare
era il suo carattere scontroso. Se
fosse stata diversa non mi sarei stupito
se me ne fossi innamorato.
«Dimmi
la verità» cominciò dopo qualche
secondo «Quanto è forte Norris?»
Feci
una smorfia e distolsi lo sguardo, tutto quello che riuscii a mormorare
fu un
«E’ bravo».
Ma
lei capì lo stesso, perché se ammettevo che una
persona che non sopportavo era
brava, allora era brava sul serio.
Imprecò
lievemente e borbottò «Allora dovrò
fare sul serio».
Sentendo
quelle parole un piccolo dubbio si fece strada dentro di me
«Non vorrai dire
che fino ad adesso hai giocato e basta».
May
non rispose subito, ma alzò un sopracciglio biondo divertita
«Gioco a
pallavolo, Daniel, so come usare una palla».
Per
la prima volta nella mia vita lo sguardo di May riuscì a
mandarmi a fuoco le
guance e io ringraziai chiunque avesse deciso di rendere la giornata di
oggi
così tremendamente calda. Piccola
imbrogliona.
Il
torneo di quartiere fu un delirio.
Come
c’era da aspettarsi vinsero May ed Emily, entrambe giocatrici
titolari della
squadra dell’università. Damon saltellò
letteralmente di gioia quando vincemmo
contro i fratelli Wilson e io mi divertii un mondo a stracciare Matt.
Ma niente
poteva battere la faccia sconsolata del mio capitano quando May gli
rifilò un
altro due di picche. In realtà ero piuttosto convinto che
continuasse a
provarci con lei per puro divertimento, perché avevo notato
le occhiate che
lanciava a Juliet, quando pensava che nessuno stesse guardando.
Il
culmine si raggiunse quando Ryan stampò un bacio sulla bocca
di Emily, che la
prese decisamente meglio del previsto, visto che cominciarono ad
assomigliare
spaventosamente a due ventose, tanto erano appiccicati. A quanto pareva
la loro
relazione non aveva fatto altro che svilupparsi in meglio dalla prima
volta che
si erano parlati, qualche tempo prima.
Io
e May avevamo continuato gli allenamenti e lei stava dando davvero il
massimo e
dovevo ammettere, seppur riluttante, che quando voleva sapeva essere
molto
brava.
Ed
incredibilmente era in grado anche di non essere insopportabile, specie
quando,
invece di insultare me, lanciava improperi a Norris e la Green.
Sì,
iniziava a diventare più semplice starle accanto. Non
che fosse il mio
passatempo preferito, chiaro. Se
potevo, preferivo ancora starle il più
lontano possibile, non mi ero rincitrullito del tutto. Solo che avevo
iniziato
a notare che la sua espressione tranquilla era molto più
bella di quella
stizzita. E che aveva un bel paio di-
«Ehi,
bello addormentato, ci sei?» Matt mi agitò una
mano davanti agli occhi,
riscuotendomi fortunatamente dai miei pensieri, che stavano prendendo
una piega
preoccupante.
«Che
vuoi?» esclamai ad alta voce, cercando di superare il
frastuono della musica.
Lui
mi fissò con un’espressione divertita «A
cosa stavi pensando?» urlò, chinandosi
verso di me, dall’altra parte del tavolo «Sembravi
un ebete!»
Feci
una smorfia «Non è vero!».
«Ti
prego, sembravi Ryan mentre guarda la Snow!»
Spalancai
la bocca, offeso «Non dire cazzate!» Come se avessi
davvero potuto avere
quell’espressione da imbecille pensando a May «A
proposito, dov’è finito Ryan?»
Matt
scrollò le spalle «E’ da un pezzo che se
n’è andato con la sua bella, probabilmente
nel parcheggio a limonare. Sul serio, ma su che pianeta sei finito, nel
frattempo?»
Gli
lanciai un’occhiataccia «Taci!» Non
avremmo dovuto lasciare che fosse Ryan a
decidere il locale dove andare quella sera, sicuramente si era messo
d’accordo
con Emily per trovarsi lì, anche quando avrebbe dovuto
passare la serata con
noi, i suoi migliori amici. E di sicuro Emily non era venuta da sola,
ma si era
portata dietro May e io non avevo voglia di trovarmela davanti quando
potevo
evitare di vederla, con la sua gonna corta e le gambe scoperte. E i
capelli
sciolti che svolazzavano qua e là, lasciandosi dietro una
scia di odioso
profumo alla mandorla, e la scollatura indecente, che praticamente ti
obbligava a dare una sbirc-
«Lo
stai facendo ancora!» esclamò Matt esasperato,
svegliandomi dalla trance in cui
ero piombato.
Saltai
su, spaventato «No!» negai, spalancando gli occhi. Cacchio,
l’avevo fatto di
nuovo.
Vidi
Matt alzare gli occhi al cielo «Si può sapere cosa
ti succede? Sei più strano
del solito!»
«Sto
benissimo! E non ho niente che non va!» strillai con voce un
po’ più acuta del
normale, guadagnandomi un’occhiata inquisitoria.
«Senti»
cominciò lui, fissandomi attentamente «sei uno dei
miei migliori amici, ti
conosco praticamente da dieci anni e so che l’unica volta che
hai avuto quella
faccia è stato quando pensavi continuamente a Juliet. Ora mi
spieghi cosa
diamine mi stai nascondendo» il suo sguardo si
incupì appena, non appena
menzionò Juliet.
«Ti
piace Juliet?» gli chiesi a bruciapelo.
Ebbe
uno strano tic del capo ed esitò, prima di lanciarmi
un’occhiataccia e sibilare
«Non cercare di sviare la conversazione!»
Cazzo. Non
potevo certo dirgli che era da almeno una settimana che avevo strani
pensieri su May. Non
l’avrei ammesso neanche morto!
«Non
ti sto nascondendo niente, perché dovrei?» cercai
di non incontrare i suoi
occhi penetranti, cosa alquanto semplice nella confusione del locale.
Ryan
era la persona che sapeva tutto di me, che mi conosceva meglio di
chiunque
altro, ma a Matt non serviva conoscermi alla perfezione,
perché lui era in
grado di leggermi dentro con una sola occhiata. Mi
metteva addosso una
dannata fifa.
«Mi
hai preso per un deficiente? A momenti sbavavi, porca
miseria!»
«Io
non sbavo!» esclamai inorridito. E
sicuramente non per May.
«Continua
a crederci, amico».
Sbuffai
esasperato e mi alzai di scatto «Vado a fare un
giro».
Matt
non mi rispose, ma quando gli passai accanto mi afferrò per
un braccio e mi
guardò dritto negli occhi «Non è
Juliet, vero?»
Se
non fossi stato preoccupato e infuriato con me stesso, sicuramente
sarei
scoppiato a ridere della sua espressione insicura, che non mostrava mai
a
nessuno, invece mi limitai a fare una smorfia e scuotere la testa. Non
era
Juliet, non quella volta, ma ci si avvicinava parecchio.
Mi
feci largo tra la gente che affollava la pista da ballo, diretto verso
l’uscita, evitando le mani delle sconosciute e cercando di
farmi sommergere
dalla musica alta, così da dimenticare tutto quanto.
Non
c’era umidità nell’aria e, a confronto
del caldo soffocante della discoteca, lì
fuori si stava benissimo.
Mi
appoggiai con la schiena al muro, lontano dai gruppetti di fumatori e
le coppie
che, senza il minimo pudore, si strusciavano contro qualsiasi
superficie
solida.
Cosa
mi stava succedendo? Avevo
sempre
ignorato il fatto che May assomigliasse a Juliet e che il suo aspetto
fosse uno
dei migliori che avevo mai visto. Cos’era cambiato, allora?
Perché
improvvisamente mi ritrovavo a pensare a lei in quel modo? Forse era da
troppo
tempo che non avevo rapporti di nessun genere con una ragazza e allora
mi
incantavo sulla prima che trovavo. Sicuro.
Odiavo
quella fottutissima situazione.
Cosa cazzo aveva May di particolare? Era bella da mozzare il fiato, ma
il suo
carattere da stronza compensava abbondantemente e fino ad un mese fa
non la
sopportavo. E non la sopportavo tutt’ora… cazzate!
Era diventato quasi piacevole
stare con lei. Era simpatica e divertente quando voleva e il suo
sorriso mi
faceva girare la testa.
Sospirai
e chiusi gli occhi, cercando di trovare la forza di entrare di nuovo e
cercare
una ragazza qualsiasi con cui passare la serata e che mi avrebbe fatto
passare
tutti quegli strani pensieri.
«Ti
ho detto di non toccarmi, stronzo!»
Ma porca di quella-
«Andiamo,
non ti ho fatto niente!»
«Ah
sì? Vedi allora come ti concio io, se allunghi ancora una
volta quelle
manacce!»
«Senti
piccola-».
«Non
osare finire la frase! Non ti conosco nemmeno!»
«Guarda
che sei tu ad avermi baciato!»
«Sì,
ma questo non ti autorizzava ad infilare la tua merdosa mano sotto la
mia gonna!»
Aprii
gli occhi all’istante, puntandoli qualche metro alla mia
destra, dove proprio
la persona a cui stavo cercando di non pensare litigava furiosamente
con un
ragazzo.
Avevo
avuto ragione a non volerla incontrare, perché la sua gonna
era davvero troppo
corta e avevo l’impressione di avere un debole per le sue
gambe.
E
probabilmente non ero l’unico, visto come la stavano
guardando alcuni ragazzi.
Serrai
la mascella, tentando a tutti i costi di ignorarla e tornarmene dentro,
ma
quando quel tipo le afferrò il polso e la tirò
verso di sé scoppiai.
Sapevo
perfettamente che era in grado di difendersi da sola, considerato lo
schiaffo
che gli mollò subito dopo, tanto forte da costringerlo a
lasciarla e portarsi
una mano alla guancia colpita, e quello scoraggiò
sicuramente gli altri
spacconi che rimasero a fissarla stupiti, però ero stufo e
preferivo mettere a
tacere quella strana sensazione nello stomaco.
Mi
staccai dal muro e mi avvicinai, maledicendomi in ogni lingua per
quello che
stavo facendo, la afferrai per un braccio e lei si voltò di
scatto, come se
fosse stata pizzicata da un animale. I suoi occhi lampeggiavano, ma
aggrottò le
sopracciglia confusa quando mi riconobbe «Andiamo»
dissi, voltandomi e
portandomela dietro, di nuovo nel locale; stranamente lei mi
lasciò fare, senza
lamentarsi né dire niente.
Mentre
mi facevo di nuovo spazio tra la gente che si scatenava a ritmo di
musica,
diretto al tavolo da Matt, le lanciai delle brevi occhiate, constatando
poco
felicemente che era esattamente come me l’ero immaginata e
quello non andava
bene per niente.
Per
di più Matt non c’era, ma non era di certo una
grande sorpresa, probabilmente
era andato a ballare con qualche ragazza.
«Eri
con Emily?» le chiesi, scrutando la sala.
«Sì,
prima che sparisse con il tuo amico. Ora puoi anche lasciarmi il
braccio, sai?»
Non
mi ero nemmeno reso conto di trattenerla ancora; la mollai
all’istante, ma
continuai a fissarla, mentre mi studiava.
«Che
c’è?» le chiesi scorbutico, imponendomi
di guardare i suoi occhi e nient’altro.
Lei
si portò una ciocca di capelli dietro le spalle e fece
schioccare la lingua
«Beh, accompagnami a casa, no?»
Spalancai
la bocca, oltraggiato «Cosa?!
Perché dovrei, scusa?»
«Non
so, forse perché abiti davanti a me e il tuo
amico mi ha portato via il
passaggio?»
«Sei
proprio insopportabile».
«Lo
so. Andiamo?»
Sbuffai,
roteando gli occhi annoiato «Va bene. Ma solo
perché me ne stavo andando
anch’io».
«Sì,
certo».
Quanto
mi faceva infuriare quando mi guardava in quel modo: col sopracciglio
alzato e
quel ghigno storto, come se sapesse perfettamente che stavo mentendo,
ma
facesse finta di credermi.
Mandai
velocemente un messaggio a Matt, facendogli sapere che me ne andavo,
mentre May
apriva la strada verso l’uscita del locale. Starle dietro non
era difficile,
visto l’enorme numero di ragazzi che la fermavano per
chiederle di ballare, e
lei sembrava innervosirsi ogni passo che faceva, tanto che alla fine
non mi
stupii quando mi prese per mano e mi tirò più
vicino. Cosa c’era
di meglio
per liberarsi degli scocciatori che far vedere di essere già
impegnate?
Mi
lasciò una volta superata la pista da ballo e si diresse a
passo sicuro verso
l’uscita, mentre i miei occhi si posavano sulle sue gambe e
quello che c’era
sopra. Fantastico,
fottutamente fantastico.
Una
volta fuori la guidai verso la mia macchina e salimmo senza dire una
parola,
come per tutto il resto del viaggio di ritorno, perché non
avevamo niente di
cui parlare.
Parcheggiai
nel mio vialetto e scesi, subito imitato da May; ci fissammo per un
istante da
sopra il tettuccio dell’auto e poi parlammo nello stesso
momento.
«Non
c’era bisogno di aiutarmi».
«Da
dove diamine è sbucato quello?»
Realizzare
di aver pensato alla stessa cosa per tutto il tragitto, mi fece
rabbrividire,
anche se non avrei saputo dire se in positivo o negativo.
«A
voi ragazzi non si può dare un dito che vi prendete
l’intero braccio» sbuffò
May, alzando gli occhi al cielo.
«Se
vai in giro a baciare sconosciuti è ovvio che penseranno che
sei una facile»
sibilai più acidamente di quello che volevo.
«O
già, quindi se una ragazza che non conosci ti bacia tu pensi
che voglia fare
sesso con te» disse sarcastica, fissandomi con una smorfia.
Appoggiai
le braccia incrociate al tetto della macchina «Io no, ma
alcuni sì. La prossima
volta bacia qualcuno che conosci, almeno non corri rischi»
risposi con voce
aspra.
«Ti
stai offrendo volontario?» fece schioccare la lingua
divertita, lasciandomi a
bocca aperta, prima di salutarmi con un cenno del capo e avviarsi verso
caso
sua.
Dovetti
stringere forte i pugni per evitare di andarle dietro e offrirmi davvero
volontario. Quando si chiuse la porta alle spalle, sbattei
ripetutamente la
testa sull’auto, insultandomi a mezza voce.
Cosa diavolo mi stava
succedendo?
«Ti
piace?»
Mi
trattenni dall’insultarla, optando per un più
diplomatico «Cosa vuoi che me ne
importi?»
May
fece un verso stizzita e incrociò le braccia, iniziando per
l’ennesima volta il
suo stupido discorso sull’importanza di scegliere un colore
per la sfida contro
la Green e Norris.
Io
me ne stavo beatamente stravaccato sulla sdraio nel giardino sul retro
e,
nascosto dietro le lenti scure dei miei occhiali da sole, guardavo
quello che
non avrei potuto guardare senza.
Odiavo
l’estate. Perché doveva fare così caldo?
E chi era l’idiota che aveva
inventato i pantaloncini da donna?
Probabilmente un povero maniaco represso
che voleva vedere quello che nessuna gli aveva mai mostrato.
In
quella posizione, le gambe abbronzate di May erano
all’altezza dei miei occhi. Non
era colpa mia se le guardavo. E
se alzavo lo sguardo potevo tranquillamente
osservare la sua pancia piatta, lasciata appena scoperta dal bordo
della sua
canottiera; purtroppo la scollatura era inaccessibile, ma sapevo
accontentarmi.
«Mi
stai ascoltando, idiota?» berciò irritata,
schioccandomi le dita davanti alla
faccia.
«Certo,
certo» borbottai di rimando, senza degnarmi di alzare gli
occhi verso di lei. Figuriamoci
se stavo a sentire quello che aveva da dire.
«La
Green mi ha detto che lei vuole il verde
per la sua squadra, maledetta!
E non mi ha neanche dato la possibilità di ribattere, visto
che mi ha già fatto
vedere le loro magliette! Ehi, mi stai ascoltando?!» si
chinò su di me,
reggendosi con le mani alla sdraio e portando il suo viso
all’altezza del mio.
Stava continuando a parlare infuriata, ma era come se non la sentissi
nemmeno,
visto che il mio sguardo dalle sue labbra piene scese più
giù, fino a posarsi
sul suo seno. Generalmente non ero un maniaco, quel ruolo
l’avevo sempre
lasciato a Ryan, ma avere la ragazza che da un paio di settimane a
quella parte
mi faceva ribollire il sangue e avere pensieri per niente casti a pochi
centimetri di distanza, mise al tappeto il mio cervello. E inavvertitamente
le sfiorai la gamba con una mano.
Lei
non se ne accorse neppure, troppo presa a sputare insulti, io non le
staccai
gli occhi di dosso, perché nessuno sano di mente
l’avrebbe fatto, e la mia mano
si posò da sola poco sopra il suo ginocchio, decidendo di
sua spontanea volontà
di restare lì.
«-odio,
non ho intenzione di perdere, in nessun campo, chiaro? Quindi diamoci
una mossa
a trovare un colore!»
Alzai
un sopracciglio e la linea dello sguardo «Che
colore?» chiesi ingenuamente, non
sapendo in che guaio mi stessi andando a cacciare.
Lei
tremò di rabbia «Non te le lavi le orecchie?!
Razza di idiota, ti ho detto che
dobbiamo trovare un colore per la nostra stupida squadra! Ed
è da mezz’ora che
lo ripeto! Perché diavolo non mi ascolti mai?!»
Ignorai
i suoi insulti e roteai gli occhi «Non
c’è bisogno di farne un dramma, è solo
un colore».
Mi
fulminò e mi strinse il colletto della maglietta,
strattonandomi verso di lei e
appoggiando un ginocchio accanto alla mia gamba «Se non mi
dici all’istante che
maglietta vuoi metterti per la sfida giuro che ti castro» mi
sibilò, stringendo
gli occhi azzurri.
Avevo
sempre avuto un certo istinto di sopravvivenza, per cui riaccesi il
cervello,
che si premurò innanzitutto di spostare la mia mano in un
altro posto, e dissi
il primo colore che mi venne in mente «Rosso!»
«Rosso?»
allentò la presa e aggrottò le sopracciglia
pensierosa «Sì, direi che si può
fare» si rialzò di scatto, privandomi del panorama
e si sistemò la canottiera,
tirando in basso e scoprendo un po’ in alto, cosa che non mi
rese per niente
triste «Beh, ora vado, ci vediamo domani per
l’allenamento e guai a te se ti
fai trovare ancora a letto!»
Feci
una smorfia «Sei venuta alle sette, May! Che persona sana di
mente si sveglia
alle sette durante le vacanze estive?» mi lamentai,
incrociando le braccia.
«Mi
stai dando della pazza?» sibilò, con le mani sui
fianchi, facendo calamitare il
mio sguardo in quella zona.
«Te
la sei data da sola».
«Faccio
finta di non averti sentito: sono già in ritardo»
con un brusco cenno del capo
mi salutò e si voltò per andarsene. Si era girata
così in fretta che non avevo
avuto il tempo di distogliere lo sguardo, per cui rimasi a fissarle il
sedere
finché non scomparve.
Sospirai
e ripresi il blocco che avevo lasciato da parte con l’arrivo
di May: era un po’
rovinato, ma faceva ancora molto bene il suo lavoro. Sfogliai
distrattamente
alcune pagine, piene di schizzi o disegni completi e arrivai a quello
che avevo
iniziato quel pomeriggio, che rappresentava semplicemente un pezzo del
mio
giardino.
Ripresi
a disegnare, perdendomi nel frattempo nei miei pensieri: non avevo
ancora
chiaramente capito quello che mi stava accadendo in
quell’ultimo periodo, però
sapevo che fissare May diventava di giorno in giorno sempre
più piacevole e la
cosa non mi dispiaceva affatto.
N/A:
Solo due cose su questo nuovo
capitolo:
innanzitutto mi scuso se ci sono troppe parolacce, ma Daniel
è così, punto.
Secondo, come avrete notato il tempo scorre più velocemente,
arrivando a circa
due settimane dall’inizio della storia, senza soffermarsi sul
torneo di
pallavolo del quartiere. Daniel ha avuto modo di conoscere meglio May,
perché
nonostante abitino da anni e anni uno di fronte all’altra,
non si sono mai
veramente frequentati, quindi è per il fatto di averla
scoperta che inizia a
fare quei pensieri, perché May è diversa da come
appare a prima vista. Poi c’è Ryan
che in un lampo ha conquistato Emily (almeno una relazione facile! XD)
e si da
un po’ più spazio a Matt e Juliet. Non ho
nient’altro da dire, tranne che il
titolo “Losing grip” è una canzone di
Avril Lavigne.
A questo link si può
trovare un’immagine di Daniel (Matt Lanter! *ç*) e
May (è l’unico volto che
riesco a darle, anche come espressioni): Spin forum
Spero di sentire le vostre
opinioni su questo capitolo!
Un grazie a tutti quelli
che hanno letto e soprattutto Penny
Black per aver commentato: penso
di
averti già risposto sul forum, Irene, ma comunque lascia che
ti dica che hai
inquadrato alla perfezione il carattere di May e i motivi della sua
reazione
contro Daniel nel capitolo precedente. In più ti dico solo
che, anche se non
sembra, Daniel ha un forte ascendente su di lei! Per questo si lascia
trascinare e zittire.
Alla prossima!
|
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Capitolo 4 *** Slide ***
Slide
Continuai
a strofinare con lo straccio bagnato il bicchiere, fingendo di
ascoltare gli
sproloqui di Ryan, seduto al bancone di fronte a me.
Quel
giorno ero di turno al bar di Al e a metà mattina mi ero
visto piombare davanti
il mio migliore amico, con un sorriso smagliante e la parlantina
attivata;
ovviamente io, appena sentito l’argomento, avevo iniziato a
pensare ai fatti
miei, più nello specifico alla partita del giorno seguente.
Sul
campo, io e May eravamo piuttosto affiatati e probabilmente avevamo
anche
diverse possibilità di vittoria. Sempre
che non finissimo come il giorno
prima contro Matt e Juliet.
Alzai
gli occhi al cielo: come si
faceva a dimenticarsi di palleggiare?
Era la
base del basket, per la miseria. E magari io avrei potuto concentrarmi
meglio,
senza incantarmi a fissarle le tette. Anche
se aveva due gran belle tette.
«…
e l’ha chiesto anche a May, quindi sarebbe
davvero-».
«Eh?»
mi riscossi all’improvviso al sentire il suo nome, senza
nemmeno volerlo, e
fissai Ryan, nascondendo bene la mia distrazione.
«Non
mi stavi ascoltando, vero?» mi chiese con un ghigno poco
confortante. Forse
non tanto bene.
Feci
un lieve sorriso «Scusa, ma il fatto è che
continui a parlare di Emily. Cioè,
non ho assolutamente niente contro di lei, ma dopo un po’
diventi noioso».
«E
così tu ti metti a fare pensieri sconci».
«Non
stavo facendo pensieri sconci!» esclamai, mentre sentivo le
guance andarmi a
fuoco «E comunque non su May!»
Il
ghigno di Ryan si allargò e io sprofondai. Cazzo.
«E chi stava parlando di
lei?»
Non
risposi, ma abbassai lo sguardo sul bicchiere che avevo ancora tra le
mani,
decidendo di metterlo via e prenderne un altro. Prima di calpestare
quello che
rimaneva della mia dignità.
«E
così il piccolo Danny fa pensieri sconci su May».
«Abbassa
la voce!» sibilai, sbattendo lo strofinaccio sul bancone e
guardandomi veloce
attorno per assicurarmi dell’assenza di orecchie indiscrete
«E smettila di
ripetere “pensieri sconci”!»
«Carino.
Non tenti nemmeno di negare».
Avevo
una strana voglia di usare quello straccio per strangolarlo e
appenderlo al
lampadario, ma non credevo che il vecchio Al avrebbe apprezzato le
migliorie
all’arredamento.
«Senti,
non so cosa hai capito, ma a me non piace May. Assolutamente!»
mi chinai
sul bancone e abbassai la voce ad un sussurro.
Ryan
alzò un sopracciglio biondo, con aria scettica «Ti
rendi conto che stai facendo
tutto tu?» mi chiese, spingendo via la sua tazza di
caffelatte «Non credevo
sarebbe arrivato questo giorno, ma te lo devo dire: amico mio, tu sei
innamorato perso di May Harris».
«Non
dire cazzate» mormorai con un gemito, massaggiandomi ad occhi
chiusi la base
del naso «Senti, Ryan» cominciai, appoggiandomi al
bancone «posso ammettere che
stare a stretto contatto con May per due settimane mi ha portato a
conoscerla
un po’ meglio e che adesso mi sta decisamente più
simpatica di prima. Mi piace
il suo aspetto fisico, ma questo era ovvio, visto che avevo una cotta
per la
sua gemella.
Però non significa che mi sono innamorato di lei,
cazzo!»
«Allora
era per lei che sbavavi sabato sera!»
L’esclamazione
stupita di Matt ci fece sobbalzare, mentre lui si accomodava accanto a
Ryan e
si chinava verso di noi ad occhi spalancati.
«Sbavavi?»
«Io
non sbavavo proprio per nessuno!»
Matt
mi ignorò e si voltò verso Ryan, assumendo
all’istante l’aria da cospiratore
«Continuava a sospirare e fissare il vuoto con
un’espressione da ebete. Lo
sapevo che c’entrava una ragazza!»
«Te
la sei presa proprio brutta, questa volta» osservò
Ryan, iniziando a fissarmi,
subito imitato da Matt.
Alzai
gli occhi al cielo, ignorando il rossore sempre più intenso
che si faceva largo
sulle mie guance, e mi levai il grembiule «Bene, ci rinuncio.
Il mio turno è
finito e io non ho intenzione di stare a sentire le vostre ipotesi
assurde e assolutamente
prive di alcun fondamento!» Filai via a salutare Al, sentendo
i loro sguardi
curiosi e divertiti addosso, e poi scappai fuori dal locale, nel caldo
di quel
mercoledì mattina.
Non
ebbi la possibilità di fare nemmeno un passo, che due
braccia poco delicate mi
circondarono il collo.
«Lo
sapevo, lo sapevo!» esclamò Ryan esaltato,
strillandomi nell’orecchio come
un’aquila agonizzante.
«Raccontaci
tutto» mi esortò Matt con forza.
Io
digrignai i denti «Non c’è proprio nulla
da dire» sibilai irritato.
«Quando
è iniziata?»
«Le
hai detto qualcosa?»
«Ti
ha beccato a fissarla?»
«Sai
se può essere interessata?»
Bloccare
le loro voci era praticamente impossibile, così mi decisi ad
esclamare «Volete
chiudere il becco?!»
Ryan
fece una smorfia imbronciata «Perché non ce lo
vuoi dire, Danny? Siamo i tuoi
migliori amici!»
«Semplicemente
perché non è vero!»
Prima
che lui potesse ribattere, Matt si fermò in mezzo al
marciapiede, tirandoci con
lui.
«Ok.
Segreto per segreto».
Serrai
gli occhi per un attimo, maledicendo l’entità
misteriosa che sembrava avercela
con me. Sapevo di non poter scampare al “segreto per
segreto”. Risaliva a
quando eravamo ancora dei bambini stupidi e senza cervello, che
pensavano che
non avere segreti fosse segno di vera amicizia e che un bel giorno
avevano deciso
di cominciare una pratica patetica ed umiliante. Un segreto era
qualcosa che si
doveva tenere nascosto e non rivelare a nessuno, per evitare di
rendersi ancora
più ridicoli. Non era una giocata da mettere sul piatto e
scambiarsi con gli
altri. Non mi piaceva dover rivelare qualcosa che preferivo non sapesse
nessuno
ad altri, che a loro volta avrebbero fatto lo stesso con me. Mi sarei
rifiutato
di farlo, avrei mentito, se soltanto non fossero stati loro.
Io,
Ryan e Matt eravamo cresciuti insieme, diventando inseparabili, per
quanto
potesse sembrare banale, erano come dei fratelli per me. Solo con loro
non
avevo paura di mostrare il vero me stesso. Quindi non potei fare a meno
di
accettare il “segreto per segreto”, ancora
una volta.
«Ho
pianto perché Emily non mi prende sul serio quando le dico
che la amo» cominciò
seriamente Ryan «Pensa che lo dica per gioco e mi fa male.
Però faccio finta
che sia tutto a posto».
Non
dicemmo niente, nessuna parola di comprensione o rassicurazione: il
“segreto
per segreto” era uno scambio, noi ascoltavamo e a nostra
volta venivamo
ascoltati. Era come un momento particolare, una parentesi sospesa nel
tempo:
rivelavamo i nostri segreti, aspettavamo un minuto e poi cominciavamo a
parlare, prenderci in giro, dare consigli, aiutarci.
Era sempre stato
così, fin dalla prima volta.
Matt
fece un bel respiro e poi parlò «Mi sono
innamorato di Juliet».
Dopo
un attimo di silenzio si girarono verso di me e io sospirai. Non potevo
mentire, ma non sapevo nemmeno io quale fosse la verità,
quindi lasciai che le
parole uscissero da sole, guidate unicamente dal mio istinto.
«Mi
piace fissare May. E forse mi sono preso una sbandata, una
brutta» soffiai
esasperato, infilando le mani in tasca e alzando la testa
«Cazzo, a volte mi
faccio schifo da solo per i pensieri che mi vengono» ammisi a
malincuore.
Ci
sedemmo su una panchina lungo il viale che costeggiava la spiaggia,
rivolti
verso il sole cocente, e rimanemmo in silenzio per un minuto ancora.
«Cazzo»
commentò Matt.
«E’
stato il peggior “segreto per segreto” che abbiamo
mai fatto» aggiunse Ryan.
Io
mi limitai ad annuire.
Il
rumore delle macchine si confondeva con il cicaleccio della spiaggia,
c’era un
po’ di vento fastidioso e faceva davvero troppo caldo, ma
stavo bene, mi
sentivo incredibilmente più leggero.
«Piangere
è roba da femmina» iniziò Matt, dando
il via ai commenti «Tira fuori le palle e
falle vedere chi sei! Oh, forse le hai già tirate fuori un
po’ troppo»
scoppiammo a ridere sguaiatamente, mentre Ryan roteava gli occhi
esasperato e
ci mostrava elegantemente il dito medio. Si comportava sempre come un
bravo
ragazzo e ne aveva anche l’aspetto, ma quando voleva sapeva
essere peggio di me
e Matt messi insieme.
«State
zitti, è stato solo un momento di debolezza! La prossima
volta vedrete! Sarà
così contenta che mi lascerà farle tutto quello
che voglio».
«Ti
prego, evita i dettagli» mormorò Matt con una
smorfia disgustata.
Ryan
ghignò «Me lo vieni a dire proprio tu? Forse se
iniziassi a non frequentare più
nessuna avresti qualche possibilità».
Matt
incrociò le braccia al petto «Io non frequento
proprio nessuna, mi diverto e
basta. Poi sono loro che mi vedono e si trasformano in
assatanate» fece un
sospiro drammatico, guardando il cielo azzurro «Che ci posso
fare, sono il
ragazzo che tutte vorrebbero portarsi a letto!»
Ryan
scoppiò a ridere, io schioccai la lingua divertito
«Che maniaco».
Entrambi
si voltarono verso di me, alzando in modo eloquente le sopracciglia.
«Tu
sei proprio l’ultimo che può parlare,
porco» ghignò Ryan.
«Già»
gli diede manforte Matt «Una
sbandata, pff. Sicuro,
Dan».
«Lo
sapete come l’ho sempre pensata su di lei. E’
già tanto se ho ammesso quello
che ho ammesso!» era imbarazzante e la sola idea che potessi
provare davvero
qualcosa per May… mi lasciava spiazzato. Era insopportabile
quando ci si
metteva e più acida di uno yogurt scaduto, ma purtroppo
sapeva anche essere
divertente e simpatica, una con cui si poteva parlare e confrontarsi. E
il
fatto che avesse un corpo da favola non faceva che migliorare la
prospettiva. E
non ero sicuro che fosse la cosa giusta.
«Cosa
importa?» disse Matt, scrollando le spalle «Non la
conoscevi bene e quindi non
la sopportavi, ma adesso hai tutto il diritto di cambiare idea. Solo
gli
stupidi non lo fanno».
«Se
ti piace buttati e basta. Cos’hai da perdere? Male che vada
tornerete a
litigare o ignorarvi come avete fatto fin’ora».
Sbuffai
e mi voltai verso di loro, poggiando una gamba sulla panca di legno
«Perché
date per scontato che voglia provarci con lei?» chiesi
irritato. Avevo ammesso
che May mi poteva piacere un pochino, ma questo non significava affatto
che
volessi averla come ragazza. Non avevo intenzione di sopportare le sue
lamentele, i suoi sbalzi d’umore, il suo odio per il mondo
intero e la fila di
ragazzi che aveva dietro.
Non
ero
stupido fino a quel punto.
«Vuoi
dire che non hai mai pensato a chiederle di uscire?»
domandò Ryan perplesso.
«No.
E non credo proprio che lo farò» dissi serio e
convinto. Non ci avrei mai
provato, proprio per niente… ecco.
«Fammi
capire» esclamò Matt arricciando il naso e la
fronte «Ti sta simpatica, le
sbavi addosso e non fai altro che pensare a lei, ma non la vuoi come
ragazza?»
Detta
così suonava stupida persino a me.
«Non-».
«Non
dire che non è vero» mi interruppe Ryan.
Sbuffai,
passandomi esasperato una mano tra i capelli «Sentite, non
voglio legarmi a
nessuna, men che meno lei. Sì, è vero, la bacerei
e me la porterei a letto
volentieri, ma non-» mi interruppi vedendoli ghignare
divertiti e alzai un
sopracciglio, pronto a chiedere spiegazioni, ma ci pensò una
voce gelida a
farmi sbiancare.
«Chi
è che ti porteresti a letto, brutto porco?»
Deglutii,
sbattendo velocemente le palpebre, e con tutto
l’autocontrollo che potevo
racimolare mi voltai lentamente, sperando che la mia espressione non mi
tradisse.
Non
davanti a May.
«Che
diavolo ci fai qui?» berciai irritato e terrorizzato allo
stesso tempo. Doveva
sempre comparire nei momenti più inopportuni, diavolo! Il
colmo sarebbe stato
se avesse capito che parlavamo di lei.
«Stavo
facendo un giro e vi ho visti» sibilò,
socchiudendo gli occhi «Volevo solo
ricordarti dell’allenamento di oggi pomeriggio, ma forse
avrai da fare con
chiunque sia la tipa da sballo» arricciò il naso
disgustata «Vorrei soltanto
che mi avvertissi quando hai intenzione di cancellare un impegno, sei
totalmente inaffidabile».
Rimasi
a bocca aperta, mentre Matt e Ryan se la ridevano, quasi piegati in
due. Era
completamente fuori di testa.
«Si
può sapere che cazzo stai dicendo?»
«Vaffanculo»
mi lanciò un’occhiataccia e girò sui
tacchi, incamminandosi velocemente lungo
il viale.
Guardai
con disapprovazione i miei amici, poi fissai di nuovo May, dondolai per
un paio
di secondi la gamba e mi decisi ad andarle dietro. Solo
perché non volevo che
tra noi ci fosse qualche conto in sospeso prima della partita.
«Cos’è,
la Green ha deciso di fregarti il colore delle magliette?» le
chiesi ironico,
camminandole alle spalle con le mani in tasca.
Mi
fulminò di sfuggita e aumentò il passo, io la
imitai con un ghigno, riuscendo
facilmente a mantenere la distanza.
«Smettila
di seguirmi».
«Non
se non mi dici cos’hai. Ti rendi conto di aver elaborato
tutta una tua teoria
assurda, senza che io ti abbia detto nulla?»
«Sei
tu che prendi appuntamenti, quando hai già degli
impegni!» esclamò irritata.
«Non
ho nessun appuntamento, idiota».
Si
bloccò di colpo e si voltò per fronteggiarmi.
Avrebbe potuto essere davvero
terrificante, se il suo naso mi fosse arrivato più su del
petto e non mi fosse
stata così vicina.
«Non
darmi dell’idiota! E non parlare della Green! Non osare
pronunciare il suo nome
e nemmeno pensarla! Quella stronza!»
Alzai
un sopracciglio, vagamente curioso «Cosa ha fatto
adesso?»
«Ha
voluto cambiare un po’ la posta in gioco. Non la
sopporto!» strinse i pugni,
più infuriata che mai.
«Beh,
ci basta vincere e non dovremo preoccuparci».
«No!
Se vinciamo dovrai uscire con lei!»
Spalancai
gli occhi e la bocca «Cosa?!»
May
incrociò le braccia e distolse lo sguardo, imbronciandosi
lievemente «Oltre a
quello che avevamo stabilito e che non ho intenzione di dirti, ha detto
che chi
vince può scegliere con chi uscire tra i due giocatori
dell’altro sesso» si
morse un labbro e si scostò velocemente una ciocca di
capelli dal viso.
Osservai
con attenzione i suoi lineamenti, cercando inutilmente di trovare
qualche
imperfezione «E tu sei sicura che sceglierò la
Green» dissi piattamente.
Sbuffò
«Lei vuole uscire con te, nonostante stia con la carota. E
figurati se a te non
va bene, visto che metterà in bella mostra la sua
quarta» fece una smorfia «A
tutti i ragazzi piacciono le tettone, no? Anche se sono
finte» aggiunse
risentita.
Probabilmente
non era il caso di dirle che io preferivo le sue. Mi avrebbe preso a
schiaffi e
magari mi sarei beccato pure un doloroso calcio nello stinco.
«Tranquilla»
sospirai, alzando gli occhi al cielo «Se vinciamo ti porto a
fare un giro alle
Channel Islands».
Alzò
gli occhi brillanti su di me e mi fissò sospettosa
«Cos’è, vuoi buttarmi giù
dal traghetto?»
«Non
rovinarmi le sorprese» dissi ironico.
Lei
fece una smorfia e riprese a camminare, questa volta più
lentamente. Era il suo
modo per dirmi che non ce l’aveva più con me,
anche se di sicuro sarebbe durato
ancora per poco.
Sapevo
che era sbagliato, ma non riuscii a trattenermi «Non
c’è bisogno di essere
gelosa, sai?» ghignai «Se vuoi venire a letto con
me, basta chiedere».
Mi
lanciò l’occhiataccia più spaventosa di
tutta la mia vita e accelerò il più
possibile, sperando di lasciarmi indietro.
Una
volta ciascuno, dolcezza. Non puoi provocare sempre tu.
«E
se sei in difficoltà passami la palla, non cercare di
avanzare e soprattutto
non farti fregare!»
«Sarà
la quindicesima volta che me lo ripeti, ho capito!»
«E
non farti marcare da Norris, a lui ci penso io».
«Settima
volta».
«E
non ascoltare quello che dicono! E non scatenare risse!»
«Tredicesima.
La vuoi piantare?» May mi tirò un pizzicotto sul
braccio, facendomi contrarre
la faccia in una smorfia di dolore «Sembri una ragazzina
isterica. Dovrei
essere io quella agitata».
Mi
morsi la lingua e mi guardai attorno inquieto: sì, ero in
preda ad un attacco d’ansia,
mi tremavano le ginocchia e la mia sudorazione aveva iniziato
inspiegabilmente
ad aumentare e non era l’effetto del sole.
«E’
pur sempre una sfida contro Norris» borbottai, muovendo
velocemente su e giù
una gamba, per poi alzarmi di scatto dal muretto in pietra del
campetto,
afferrare il pallone e cominciare a palleggiare per distrarmi.
May
fece schioccare la lingua e accavallò le gambe,
appoggiandosi sui palmi delle
mani «Qual è la strategia di Norris?» mi
chiese annoiata. Probabilmente ce
l’aveva ancora con me per averla obbligata ad arrivare
lì un’ora prima del
previsto.
«Mi
piacerebbe dire che è un incapace e non sa nemmeno
elaborarla una strategia, ma
non sarebbe vero» cominciai, senza perdere d’occhio
la palla arancione «E’
abituato alla difesa a uomo, quindi ci sono buone
possibilità che decida di
marcare me, per evitare di farmi giocare e chiaramente io
farò lo stesso con
lui. Quindi rimarrai ad affrontare la Green. Ora, non ho idea del suo
livello
di preparazione, ma sono sicuro che riuscirai a tenerla a bada
facilmente» le
lanciai un’occhiata veloce, decidendo per una volta di
soddisfare il suo ego
«Sei migliorata molto».
«Grazie»
disse impassibile, continuando ad osservarmi, prima di saltare
giù dal muretto
e fregarmi la palla.
Alzai
un sopracciglio, mentre lei faceva qualche passo, avvicinandosi al
canestro; mi
squadrò con l’ombra di un sorriso e in risposta
scossi la testa.
«Io
non sono la Green» osservai, avvicinandomi.
«Me
n’ero accorta» rispose, lanciando la palla
dall’area dei tre secondi. Io ebbi
tutto il tempo di saltare, afferrare la palla, girare intorno a May e
tirare,
centrando perfettamente il canestro.
«Non
c’è bisogno di darsi arie»
commentò lei, riprendendo la palla e arricciando il
naso «Lo so fare anch’io».
Si
piazzò sotto il canestro e saltò, facendo
rimbalzare la palla sul ferro.
«Impressionante,
davvero» dissi ironico, afferrandola al volo
«Peccato che l’obiettivo sia
mandarla dentro».
Giocammo
ancora per circa un’ora, in attesa che arrivassero tutti.
Sopportai
poco le battute di Ryan e Matt, che ancora non volevano dimenticarsi
del segreto
per segreto del giorno prima, e
quando arrivarono Norris e la Green,
insieme a qualche amico, la mia pazienza era quasi giunta al limite.
«Allora
va bene mezzo campo, si gioca per quattro periodi, ok?»
Io
e Norris ci stavamo mettendo d’accordo sui dettagli tecnici,
mentre May e la
Green si fulminavano con lo sguardo, trattenendosi
dall’insultarsi.
«Gli
arbitri allora sono Matt e Chandler» Norris annuì,
facendo un cenno a Kevin
Chandler, ala piccola dell’università di
Northridge; Matt si strofinò le mani,
con un ghigno sul volto «E niente protagonismi, Norris. Non
è la nostra
partita».
«Hazel
non ha bisogno di me per vincere» ridacchiò lui,
appoggiando un braccio sulle
spalle della Green «Non sono sicuro di poter dire lo stesso
sulla bionda»
accennò verso May, che roteò gli occhi azzurri
annoiata.
«Ti
prego, risparmiami. Se non avessi una partita da vincere ti prenderei a
schiaffi».
Trattenni
una risata, mentre Norris la fulminava e Chandler si affrettava a
cominciare
l’incontro.
«Testa
o croce?»
«Testa!»
esclamò la Green di fretta.
«Vuota»
commentò ironica May, facendoci scoppiare a ridere e
procurandosi
un’occhiataccia «Beh, cos’ho
detto?» scrollò le spalle con aria innocente
«Non
mi sembra che tu abbia poi molto, lì in alto».
«Almeno
io non ho una misera seconda» ribatté con astio
Hazel.
Seconda?
May
arrossì e strinse gli occhi «Almeno le mie non
sono finte».
Io
non avevo assolutamente niente contro le seconde.
La
Green stirò un ghigno «Almeno le mie
servono».
«Come
giocattolo erotico?» sibilò May.
Io
e Norris spalancammo gli occhi nello stesso istante, per una volta
d’accordo su
qualcosa, ossia iniziare al più presto quella partita, prima
che tutto si
trasformasse nella fiera degli insulti a sfondo sessuale.
Chandler
soffiò nel fischietto, mentre Matt era piegato in due dalle
risate, e io e
Norris spingemmo via le due belve, prima che la partita iniziasse con
noi in
possesso di palla.
Fu
una sfida piuttosto impegnativa, anche se non potei gustarmela appieno
e
nemmeno vedere i progressi effettivi di May, visto che Norris mi stava
appiccicato peggio di una sanguisuga. Toccai palla circa cinque volte
in tutti
i quaranta minuti di giocata, mentre Norris solo tre volte e la maggior
parte
dei punti li fece May, nonostante fosse impegnata ad insultarsi
costantemente
con la Green.
Vincemmo
trentaquattro a ventitré, punteggio orribile a confronto con
i soliti, ma
niente male per delle principianti.
Alla
fine evitai di prendere in giro Norris, perché mi sentivo
più vicino che mai a
lui, vedendolo trascinare via la sua ragazza dalla parte opposta del
campo,
mentre io ero occupato a fare lo stesso con May, stando attento a non
venire
accecato per sbaglio da un suo dito, o pugno, o gomito.
Il
risultato, oltre ad una fantastica mangiata di pizza in un ristorante
italiano,
fu che dovetti andare con lei alle Channel Islands, che avevamo tutti
già
visitato, circa ogni estate per essere precisi.
Avremmo
potuto rifiutare entrambi di andarci, non ci obbligava nessuno, a parte
un
gruppo di amici impiccioni, ma nessuno dei due disse niente. Non sapevo
cosa
pensasse May con esattezza, ma io di sicuro non ci avrei rinunciato per
nulla
al mondo.
L’isola
che avevamo deciso di visitare era Santa Cruz: dal porto di Santa
Barbara
avremmo preso il traghetto del parco, che ci avrebbe portato
direttamente
sull’isola, May voleva vedere per l’ennesima volta
Painted Cave, quella stupida
grotta umida, poi ci saremmo rilassati sulla spiaggia, fatti una bella
nuotata
e poi saremmo tornati a casa. Piano perfetto. Se solo May si fosse
decisa ad
uscire di casa.
Sbuffai
di nuovo, dando un’occhiata all’orologio, nello
stesso momento in cui la porta
di casa Harris si spalancava e May compariva con un diavolo per
capello,
seguita per mia sfortuna dalla madre.
«Sei
sicura di aver preso tutto?» disse ansiosa Jane, torturandosi
le mani.
«Sì,
mamma, basta. Non sono una bambina!» sbuffò May
esasperata, buttando lo zaino
sui sedili posteriori.
«Hai
preso le bottiglie d’acqua? E la felpa?»
«Sì,
dannazione!»
«May!
Attenta a quello che dici!»
«Scusa».
Mi
trattenni dallo scoppiare a ridere, appoggiato alla macchina, mentre
Jane
riprendeva con le sue raccomandazioni.
«E
Daniel, per favore, stai attento a May».
Mi
raddrizzai di colpo e sorrisi alla donna che avevo davanti
«Non preoccuparti,
Jane. Con me May è al sicuro».
«Lecchino»
sibilò lei, dandomi una lieve gomitata, per sua fortuna
passata inosservata.
Jane
mi sorrise calorosamente «Lo so, caro»
esitò un attimo, tremando per trattenere
l’eccitazione, ma non resse e mi abbracciò con
slancio, soffocandomi quasi con
i suoi capelli vaporosi «Sono così contenta che
finalmente vi siate messi
insieme! Io e Violet lo speravamo tanto!»
«Mamma!»
esclamò May, diventando della mia stessa tonalità
di rosso «Non stiamo insieme
e non lo staremo mai!»
«Giusto.
Avete preso un granchio» aggiunsi frettolosamente.
Jane
mi lasciò andare, spalancando gli occhi «Oh,
scusatemi! Non volevo mettervi in
imbarazzo! Eravamo così-»
«Sì,
mamma, non importa» la interruppe May spintonandomi verso il
posto di guida
«Dobbiamo andare, altrimenti perdiamo il traghetto. Ci
vediamo stasera, ciao
ciao!» la salutò velocemente e balzò a
bordo «Muoviti, partiamo!» mi intimò
agitata, mentre mettevo in moto.
Restammo
in silenzio fino a quando la via non scomparve dallo specchietto
retrovisore e
allora rilasciammo un sospiro di sollievo.
«Quelle
due sono completamente fuori!» si lamentò May,
appoggiando un gomito alla
portiera.
Non
risposi, ancora troppo stupito che le nostre madri spettegolassero su
di noi,
senza che lo sapessimo.
«Comunque,
hai portato tutto?»
«Cos’è,
fai come tua madre?» le chiesi ironico.
«Qualcun
altro oltre me dovrà pur soffrire, no?»
Alzai
gli occhi al cielo, chiedendo la forza di sopportarla per tutto il
giorno e di
non saltarle addosso durante il pomeriggio.
Non
ero contraddittorio, avevo soltanto una cotta per lei e non la
sopportavo al
tempo stesso, ogni tanto.
«L’hai
portata la felpa?»
«Sì,
mamma».
«E
una corda con cui posso strangolarti?»
«Quella
l’ho lasciata appesa in camera mia. Sai, c’erano
ancora i panni bagnati stesi
su» ribattei sarcastico «Ma puoi sempre usare il
laccio del tuo costume. Non mi
offendo se la mia morte arriverà per mezzo di un costume da
donna».
May
mi lanciò un’occhiata divertita «Sei un
maniaco. E poi dovrei togliermelo, per
strangolarti».
«Appunto».
Fece
schioccare la lingua e si voltò dall’altra parte,
evitando di rispondermi e
mandarmi a quel paese.
«Oppure
potresti soffocarmi con le tue tette, così potrai dire alla
Green che anche le
tue servono a qualcosa».
Ci
guardammo per un istante e poi scoppiammo a ridere come due dementi,
anche se
non mi sarebbe affatto dispiaciuto venire soffocato dalle sue tette. Parlando
seriamente.
«Non
credo che il risultato sarebbe lo stesso» commentò
con un sorriso, per poi
voltarsi verso di me e appoggiare una gamba piegata sul sedile
«Ehi, posso
farti una domanda abbastanza personale?»
«Spara».
Esitò
un attimo, probabilmente per cercare le parole giuste
«Riguarda quello che ha
detto la Green prima della partita… sentiti pure libero di
non rispondere, ma
secondo te un seno grosso è più eccitante di uno
piccolo?»
Mi
voltai di scatto, leggermente imbarazzato «Scusa?!»
Che razza di domande faceva
ad un ragazzo? Per fortuna eravamo fermi al semaforo, altrimenti avrei
sbandato
di sicuro.
Sbuffò,
infastidita dalla mia sorpresa, e ripeté «Per te,
ti fa eccitare di più un seno
grande o uno piccolo».
Mi
voltai a bocca aperta «Ma che razza di domanda
è?!»
«Dai,
non fare lo stupido e rispondi!»
Scattò
il verde e ripartii, mentre tentavo di calmarmi ed elaborare un
risposta seria.
«Dipende»
tentai esitante.
«Da
cosa?» insistette lei, incrociando le gambe.
«Da
un sacco di cose! Innanzitutto dipende dal ragazzo: ad alcuni piace
grande ad
altri piccolo. Ma soprattutto dipende dalla ragazza e dal tipo di
relazione: se
lei ti piace da morire, te ne freghi di come è fatta o di
quanto è grande il
suo seno! Ti piace e basta, e al diavolo tutto il resto! Scusa, ma se
ti piace
uno vai a vedere se ce l’ha grande o piccolo? Basta che ce
l’ha, no?»
«Daniel!
Ma sei davvero un porco!» esclamò, diventando
più rossa di quando sua madre
aveva detto che stavamo insieme.
«Però
è la verità, no?» la incalzai
ghignando, mentre parcheggiavo lungo la strada
che portava al porto «C’è qualcuno che
ti piace?» le chiesi, prima di potermi
trattenere. Perché se ci avessi riflettuto attentamente non
le avrei mai
domandato una cosa simile, non se la risposta avrebbe potuto non
piacermi.
Lei
si morse un labbro e aprì la portiera in silenzio e solo
prima di scendere si
decise a borbottare «Sì».
Ignorai
lo stomaco che si attorcigliò in maniera sgradevole e la
imitai, afferrando
entrambi gli zaini «Qual è stata la prima cosa che
ti è piaciuta di lui?»
Mi
osservò a lungo, riflettendoci seriamente e probabilmente
rivivendo la scena
solo come sapevano farlo le donne, poi inforcò gli occhiali
da sole e rispose
«Il sorriso. E poi gli occhi».
Feci
il giro della macchina e le porsi lo zaino, meravigliato «Ma
va? Il sorriso?
Tipico da femmina».
Mi
strappò di mano lo zaino e mi diede uno spintone, partendo
poi in quarta verso
il centro turistico.
Io
la seguii con un sorriso, osservandola da dietro le lenti scure
«Non te la
sarai presa, vero? Era un complimento».
«Dovrei
ringraziarti perché mi hai dato della femmina?»
alzò scetticamente un
sopracciglio biondo per poi ribattere con la mia stessa domanda
«E tu, invece?
Qual è stata la prima cosa che ti è piaciuta
della fantomatica ragazza che ti
porteresti a letto volentieri?»
Ignorai
il tono ironico della domanda, concentrandomi sull’aspetto
paradossale della
faccenda: lei
mi stava chiedendo qual era stata la prima cosa che mi era
piaciuta di lei?
Il
lato divertente? Sicuramente che non sapeva di essere lei
quella
ragazza.
Ghignai,
decidendo di tirarmi un po’ su il morale «Le gambe.
Ha delle gambe da urlo».
Ci
mettemmo in fila per prendere i biglietti e questo le diede il tempo di
studiarmi attentamente, a braccia incrociate. Visto che non mi
interruppe,
decisi di andare avanti «Sono lunghe, dritte e sode, se fossi
un maschio stai
certa che piacerebbero anche a te».
Arricciò
le labbra «Non lo metto in dubbio»
mormorò ironica «Ma se lei non avesse quelle
gambe? Tu l’avresti notata lo stesso o saresti passato alle
gambe successive?»
Le
sorrisi e scrollai le spalle «Probabilmente avrei notato
qualcos’altro, no?»
Mi
guardò a lungo, senza dire niente, mentre la fila davanti a
noi si riduceva «Ti
piace molto, vero?»
Esitai,
arrossendo senza motivo. O meglio, il motivo era proprio lì
davanti a me,
sottoforma di una delle ragazze più belle che avessi mai
avuto la fortuna di
conoscere, con le braccia incrociate, gli occhi nascosti da un paio di
grosse
lenti e quelle gambe che mi facevano impazzire a portata di mano.
Potevo
davvero ammetterlo davanti a lei? Non sapeva di chi stavamo parlando,
ma per me
era un po’ come dichiararmi e non ero per niente pronto a
farlo.
Non
mi mise fretta e per questo gliene fui grato, mi chiese soltanto una
cosa «E’
ancora Juliet?»
«No,
ma non pensare che ti dica chi è».
«Non
lo voglio neanche sapere» fece un lieve sorriso
«Sentirti parlare di lei senza
sosta potrebbe farmi andare in pappa il cervello. Non ho bisogno delle
“lodi di
un giovane innamorato alla sua bella” nella mia
giornata» mi informò
sarcastica.
Il
cuore mi mancò un battito e riuscii soltanto ad esalare
«Innamorato?»
Lei
alzò un sopracciglio «E’ chiaro come il
sole, Daniel. Se fosse stata una
qualunque non ne avresti parlato così».
Si
avvicinò al bancone, lasciandomi come un pesce lesso. La
ragazza che mi piaceva
mi aveva appena detto che era chiaro che fossi innamorato di lei, senza
sapere
di stare parlando di se stessa? Che razza di situazione!
«Non
sono innamorato di lei!» esclamai non appena May mi si
avvicinò con i biglietti
del traghetto.
«La
negazione è il primo segno».
«No!»
la seguii, passandomi disperato una mano tra i capelli «Mi
piace, ma non la
amo!»
Lei
fece una smorfia «Voi maschi siete tutti uguali»
borbottò, camminando verso il
molo.
«Ti
dico di no!»
«Ma
perché non la smetti?» chiese esasperata
«Anzi perché non glielo dici e la fai
finita? Magari le piaci e non dovrai più struggerti nel
dubbio che tu non le
possa piacere».
«Io
non mi struggo in nessun dubbio!»
«Continua
a crederci».
«E
tu allora?!» esclamai disperato, tentando di cambiare
argomento «Sei innamorata
di lui?»
Si
bloccò lungo la banchina e si voltò a fissarmi in
silenzio; mi fermai anch’io e
il mio cuore prese a battere furiosamente, senza che potessi fare
niente per
fermarlo. Cazzo.
Si
grattò una guancia «Sì, penso di
sì» rispose semplicemente, scrollando le
spalle e riprendendo a camminare.
La
seguii dopo qualche secondo, troppo stupito dalla sua dichiarazione
tranquilla,
e tentai in tutti i modi di calmare il dolore che avevo nel petto. Fanculo.
«E
lui?» riuscii a chiedere.
Fece
un sorriso amaro e distolsi lo sguardo, non sopportando di vedere
quell’espressione sul suo volto «Non ho intenzione
di dichiararmi o cose
simili» ammise «Non penso che lui mi
vedrà mai in quel modo e se invece gli
piaccio, beh, sarà lui a dovermi venire a
prendere».
«Come
fai ad essere così tranquilla?» le chiesi
stizzito. Mi dava persino fastidio e
l’unica cosa che volevo sapere era il nome e
l’indirizzo di quel tipo per
riempirlo di botte e rovinare quel sorriso che le piaceva tanto. Magari
poi si
sarebbe decisa a cercare qualcun altro.
«Non
sono tranquilla» ribatté acidamente «Ho
solo deciso di dimenticare quello che
provo per una giornata. Chiedo troppo? Ti sarei grata se non ne
parlassimo
più».
«Come
vuoi» Non era quello che volevo, ma andava bene lo stesso.
Andava bene
qualunque cosa pur di dimenticare Mister
Sorriso.
Ci
aggregammo ad un gruppo di turisti, pronti a salire a bordo del
traghetto per
la partenza: erano quasi tutti giovani, solo pochi di
mezz’età ed una coppia di
anziani.
«Sei
sicura di voler andare alla Painted Cave?» le chiesi, non
trattenendo la
smorfia sofferente.
Lei
mi lanciò un’occhiata oltraggiata «Certo
che ci voglio andare, sono venuta
giusto per questo!»
Mi
portai una mano sul cuore, sbattendo le ciglia «E io che
pensavo fossi venuta
qui per me!»
May
roteò gli occhi e mi spintonò leggermente, prima
di sedersi in un sedile vuoto
«Perché mai? E’ già
terrificante il vederti tutti i giorni».
La
imitai sbuffando. Tipico.
«Andate
alla Painted Cave, cari?»
Ci
voltammo verso la donna che si era seduta col marito nei sedili accanto
a noi:
avevano entrambi i capelli bianchi e un reticolo di rughe sul volto, ma
a parte
quello ero convinto che avrebbero potuto battere in resistenza anche il
gruppo
di ragazzi chiacchieroni poco più avanti.
Non
attese una nostra risposta e si voltò verso l’uomo
«Hai sentito, Harold? Mi
fanno venir voglia di farci un giro, in ricordo dei vecchi
tempi».
Lui
sorrise e scosse la testa divertito, prima che lei si girasse di nuovo
verso di
noi e iniziasse a parlare allegramente «Sapete, la Painted
Cave per noi ha un
significato speciale. Risale a quando avevamo circa la vostra
età».
«All’età
della pietra, quindi» borbottò impercettibilmente
May, incrociando le braccia
contrariata: non amava molto quel genere di storie.
La
vecchia non se ne accorse e proseguì, persa nel suo mondo
fatto di ricordi
«Eravamo molto amici e ogni volta che era possibile facevamo
delle escursioni».
«Io
facevo escursioni, Rose, tu ci provavi e basta» la corresse
Harold, lei gli
diede una pacca affettuosa sul braccio e fece un gran sorriso.
«Io
ero innamorata di lui e ne approfittavo per stargli vicino, anche se
non ero
molto brava. Ma un giorno lo perdetti di vista e mi ritrovai da sola,
così
iniziai a cercarlo e finii dentro la Painted Cave, da una di quelle che
adesso
sono le entrate principali. Era una grotta magnifica, piena di alghe e
licheni
colorati; non so nemmeno quanto tempo passai lì dentro, ma
mi ricordo bene
quello che provai quando sentii la sua voce. Era spaventato e sollevato
allo
stesso tempo, mi sgridò perché ero sparita
all’improvviso ed era preoccupato
per me, così io lo abbracciai forte e gli dissi che lo
amavo, buttando al vento
tutti i miei timori e i miei dubbi sul poter rovinare la nostra
amicizia. Non
potevo certo immaginare che lui mi avrebbe baciata»
arrossì leggermente con un
sorriso compiaciuto sul volto, come se avesse tutto quello che poteva
desiderare ed io ero strasicuro che fosse così. La vidi
stringere la mano di
Harold, che ricambiò con un sorriso, per niente imbarazzato
che sua moglie
avesse raccontato la loro storia a due perfetti sconosciuti. E in quel
momento
pensai che non mi sarebbe dispiaciuto essere al loro posto: erano amici
e lei
aveva rischiato di rovinare tutto seguendo i suoi sentimenti, per poi
scoprire
che lui la ricambiava. Mi sarebbe piaciuto se la mia storia avesse
avuto lo
stesso finale.
Mi
voltai verso May, assecondando il mio istinto, e mi stupii a trovarla
con lo
sguardo fisso sulla coppia e gli occhiali in testa, mentre si mordeva
un labbro
pensierosa. Vidi passare uno strano lampo nei suoi occhi chiari, quasi
di
malinconia, prima che si decise a rimettere gli occhiali e voltare la
testa.
«In
amore bisogna sempre correre il rischio, altrimenti non sai mai cosa
potresti
perderti» Rose mi sorrise e per un istante mi
sembrò che potesse leggermi
dentro, ma accantonai subito quel pensiero stupido e ricambiai il
sorriso con
gentilezza.
«Divertitevi
alla Painted Cave, è uno spettacolo in questi
giorni».
«Scusa,
quello cos’era?»
«Oh,
taci! Sei tu che hai tirato male!»
«Almeno
io ho tirato ad altezza normale, non per nani. Le mie braccia non sono
attaccate alle ginocchia, sai?».
«Che
palle, Daniel. Sei peggio di una ragazzina!»
Alzai
un sopracciglio divertito e colpii la pallina con la racchetta,
spedendola
contro May, che ribatté con forza. Era primo pomeriggio e
teoricamente avremmo
dovuto evitare di stare sotto il sole, soprattutto dopo mangiato, ma la
Painted
Cave l’avevamo già vista quella mattina e dovevo
ammettere che era stata la
visita più bella che avessi mai fatto. Rose aveva ragione:
era davvero uno
spettacolo in quei giorni.
Prima
di mangiare ci eravamo rinfrescati con un bel bagno e poi avevamo
deciso di
destreggiarci coi racchettoni, evitando nel frattempo di tirare la
pallina
contro gli altri bagnanti.
La
spiaggia, come sempre, era abbastanza frequentata, ma non affollata
quanto
quella di Santa Barbara e questo rendeva le cose più
semplici, perché stare in
un posto deserto con May in costume non era il massimo per il mio
autocontrollo.
«Basta,
facciamo una pausa» disse, passandosi una mano sulla fronte
sudata.
Recuperai
la pallina, finita vicino al castello di sabbia di un bambino, e la
seguii
verso i nostri asciugamani.
«Certo
che potevi portare l’ombrellone» si
lamentò, sbuffando e cercando di ripararsi
dal sole con un braccio.
«Ti
sembro il tipo che va in giro con l’ombrellone?»
ribattei ironico «Le famiglie
vanno in giro con l’ombrellone, non i ragazzi!» Mi
aveva preso per un uomo
di mezz’età, per caso? Avevo ancora anni di
giovinezza davanti a me, diamine!
«Come
sei permaloso» mormorò con una smorfia
«Quando dovrai portare in spalla un
ombrellone pesante sotto il sole cocente, con sdraio e giocattoli tra
le mani,
mentre tenti di evitare che i tuoi figli scappino via o cadano nella
sabbia o
affoghino in mare, chiamami, così mi faccio quattro
risate».
«Pensa
per te!» esclamai, arrossendo lievemente. Lei alzò
un sopracciglio e iniziò a
spalmarsi di crema solare «E la finisci con quella cosa?
Sarà la quarta volta
da stamattina!»
«E’
evidente che tu non abbia idea di cosa sia la protezione
solare» mormorò
ironica e, nonostante non riuscissi a vederli, avrei potuto giurare che
avesse
alzato gli occhi al cielo.
«Non
mi interessa, però conosco altri tipi di protezione,
decisamente più-»
non feci in tempo a concludere la frase che il tubetto mezzo vuoto mi
finì
sulla spalla, accompagnato da un insulto. Me lo rigirai tra le mani,
leggendo
l’etichetta annoiato: che senso aveva spalmarsi quella cosa
addosso? Era di
sicuro tutta appiccicosa e l’odore sarebbe andato bene
soltanto per le femmine.
«Dovresti
metterla anche tu» mi consigliò May,
risvegliandomi dai miei pensieri.
«Scordatelo»
ribattei all’istante, ritirandoglielo. Non mi sarei mai messo
quella cosa, mai.
May
strinse le labbra «Sul serio, Dan, è solo
l’una e staremo qui almeno fino alle
cinque. Non ho intenzione di accompagnarti al pronto soccorso per colpa
di
un’insolazione!» mi strattonò per un
braccio e sibilò «Se non te la metti tu,
lo farò io. In un modo o nell’altro tu
avrai quella crema spalmata
addosso».
La
mia mente si era fermata a “lo farò io”.
Ecco, quello avrei potuto anche
sopportarlo: avere le mani di May addosso, senza che volesse
picchiarmi… No! A
pensarci bene non era tanto fantastico, sarebbe stato
troppo… troppo!
Non sapevo quanto avrei potuto resistere.
«Allora?»
mi spronò con un ghigno inquietante.
Non
volli indagare sul genere di brividi che mi erano appena venuti e
nemmeno sul
motivo per cui il mio cuore aveva iniziato a battere più
freneticamente, ero
irremovibile nella mia decisione «Ho detto di no!»
May
mi guardò per un istante e poi disse soltanto
«Bene», prima di aprire il tappo
e versare quella roba bianca sulle dita della mano. Si voltò
verso di me ed io
capii: cercai quindi di allontanarmi il più possibile, ma
non feci nemmeno in
tempo ad alzarmi che mi ritrovai con le sue unghie infilzate nella
pelle e
l’altra mano sulle spalle.
Mi
dimenai, ma lei non mollò la presa e fu solo quando sentii
il suo seno premere
contro la mia schiena che decisi di fermarmi, per evitare poi di
ritrovarmi in
una situazione imbarazzante, la cui unica via d’uscita
sarebbe stata sbatterla
a terra e mettere in atto una delle mie ultime fantasie. E
di sicuro poi si
sarebbe scordata di Mister Sorriso.
«Sei
proprio un bambino» soffiò esasperata da dietro di
me. Io mi morsi la lingua e
aggrottai la fronte, a braccia incrociate, ben deciso a non farmi
uscire
nemmeno un misero suono, mentre le sue mani morbide vagavano leggere
sulla mia
schiena «Serve anche contro i tumori della pelle,
sai?» cercai di ignorare il
soffio d’aria che le uscì di bocca a quelle parole
e che mi arrivò dritto sulla
nuca. Cercai di ignorare una ciocca che mi sfiorò la spalla
e la concentrazione
di sangue nelle parti basse, ma quando si spostò di lato e
mi fece voltare non
ce la feci più.
«Faccio
io!» esclamai con voce più acuta del normale,
togliendole di mano il tubetto di
crema.
Lei
alzò un sopracciglio e scrollò le spalle
«Basta che la metti bene» borbottò
annoiata, prima di sdraiarsi sul suo asciugamano e togliersi gli
occhiali da
sole.
Rilasciai
il sospiro, tentando di calmarmi: col cavolo che le avrei lasciato
continuare
quella tortura. Se ero in quelle condizioni solo perché
avevo sentito le sue
mani sulla schiena, non osavo immaginare cos’avrei fatto se
me l’avesse
spalmata davanti, probabilmente avrei perso totalmente il controllo.
Aprii
il tappo e con una smorfia terminai l’operazione, guardandola
con la coda
dell’occhio: lei se ne stava sdraiata a prendere il sole,
senza il minimo
problema, mentre io dovevo fare violenza su me stesso per non saltarle
addosso.
Quelle sì che erano le ingiustizie della vita.
Buttai
a terra il tubetto e mi decisi a riesumare il blocco da disegno dalle
profondità dello zaino: se non potevo giocare a basket,
quello era l’unico modo
per chiudere tutto fuori.
Certo
però che come la spalmava May la crema, non la spalmava
nessuno.
«Avresti
dovuto toglierti gli occhiali» osservò
candidamente per l’ennesima volta.
«Taci»
ribattei truce, non togliendo per un istante lo sguardo dalla strada.
«Almeno
non saresti stato ridicolo».
La
fulminai con un’occhiata, maledicendomi mentalmente per non
aver tolto quegli
stramaledetti occhiali, almeno non mi sarei ritrovato con due chiazze
bianche
intorno agli occhi.
«E’
la prima regola per una buona abbronzatura».
«La
vuoi piantare?»
Grazie
al cielo eravamo arrivati e parcheggiai nel mio vialetto, scendendo in
un lampo
dall’auto. Era stata tutto sommato una giornata piacevole,
nonostante gli
improvvisi e fastidiosi momenti di panico, e mi ero trovato bene
accanto a lei,
perfettamente a mio agio. Purtroppo.
«Beh,
è stato divertente» cominciò May,
scrollando le spalle e portandosi indietro
una ciocca di capelli. A quel gesto mi decisi a scrutarla attentamente,
perché
avevo scoperto che quando lo faceva era nervosa e non capivo
perché avrebbe
dovuto esserlo in quel momento, visto che dovevamo solo salutarci.
«Già,
qualche volta potremmo rifarlo» voltò di scatto la
testa e mi puntò gli occhi
azzurri addosso, facendomi attorcigliare lo stomaco «insieme
agli altri» mi
affrettai ad aggiungere «Sono sicuro che piacerebbe da
matti!»
Si
arrotolò una ciocca umida intorno al dito, prima di
sistemarla dietro
l’orecchio, e mi fissò da sotto le ciglia lunghe
«Ci vediamo, allora».
Deglutii
di fretta, rischiando di strozzarmi e balbettai uno stentato
«Sì, ciao».
Mi
fece un cenno con la mano e un lieve sorriso, poi si decise ad
attraversare la
strada, diretta verso casa sua, e io rimasi a fissarla come un perfetto
beota,
anche dopo che richiuse la porta d’ingresso.
Ormai
il problema era uno solo e l’avevo capito: mi ero innamorato
di May. Quella
volta sul serio.
Ed
ero ben deciso ad andarmela a prendere. E
Mister Sorriso poteva pure andare
a farsi fottere.
N/A:
Salve a tutti! Ecco il nuovo capitolo, spero che
l’attesa sia valsa la pena. Non so cosa dire con esattezza di
questo capitolo:
personalmente mi piace, ma in alcuni punti c’è
qualcosa che non mi convince.
Non credo però che avessi potuto fare di meglio.
Daniel ormai è diventato
amico di May e per questo gli piace sempre di più, anche se
è un po’ un maiale
e sinceramente non riesco a descrivere i suoi pensieri,
perché non saprei
neanch’io quali possono essere con esattezza, ma ognuno di
voi può immaginare
quello che vuole. Il titolo è una canzone dei Goo Goo Dolls
e per vostra
informazione ogni titolo sarà quello di una canzone, il cui
testo spesso
c’entrerà qualcosa.
Ho pubblicato solo perché
spero di tirarmi un po’ su, visto che in questi giorni mi
sento abbastanza
apatica e depressa, sarà il periodo…
Come sempre vi chiedo di
farmi sapere cosa ne pensate di questa storia, sono felice di leggere
le vostre
recensioni, e non so chi abbia messo mi piace al secondo capitolo, ma
sono
stata superfelicissima di averlo visto!
Se volete fare un salto
sul forum qui c’è il link: Spin forum
Ne approfitto per fare gli
auguri di Natale e buon anno nuovo a chiunque passa di qui!
Divertitevi e godetevi
questi giorni!
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