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Capitolo
2.
Quando
non si è sinceri bisogna fingere,
a
forza di fingere si finisce per credere; questo è il principio
di ogni fede.
(Alberto
Moravia; Gli indifferenti)
[…]
- Cosa significava quella canzone? - chiese Maryl, strabuzzando gli
occhi lanciando un'occhiata al suo ragazzo.
-
Non lo so – ammise lui. - Ma hai visto come si comportavano
Maggie e quel ragazzo lì?
-
Kevin, al momento non mi interessa, voglio sapere perché mia
sorella ha dedicato al suo ragazzo una canzone d'addio e non la loro
Fly with me!
-
Maryl, non ne ho idea, io... - Kevin alzò lo sguardo. - Ah,
ciao Nick.
Il
diciassettenne, comparso ansimante dalla porta d'ingresso, quasi
inciampò nei suoi stessi piedi rischiando di cadere a terra,
ma si aggrappò a una sedia e si resse in piedi, avvicinandosi
a Maryl e al fratello maggiore.
-
Scusate, mi hanno trattenuto, non sono riuscito ad uscire dallo
studio fino a quindici minuti fa, mi sono catapultato qui subito. È
già finito lo spettacolo? Maggie dov'è? - chiese tutto
d'un fiato, con il fiatone per la corsa.
Maryl
e Kevin fecero per dire qualcosa ma la voce di Maggie li interruppe
prima che potessero dire alcunché.
-
Ciao Nick – disse con tono piatto.
-
Maggie – esalò lui. - Mi spiace, sono stato trattenuto,
ho provato in tutti i modi di sbrigare la cosa ma non sono
riuscito...
La
mora scosse il capo, osservando i clienti del locale uscire, anche
Blake insieme al padre, probabilmente per parlare con qualche amico.
-
Potete aspettare fuori? - chiese lei alla sorella e a Kevin. - Per
favore.
Entrambi
annuirono e Kevin mise una mano sulla schiena della sua ragazza
spingendola dolcemente verso l'uscita.
-
Maggie... - riprese Nick, non appena scomparirono dietro la porta.
-
Me l'avevi promesso! - lo accusò lei, infiammandosi. - Mi
avevi promesso che saresti venuto! Che questa sera saresti stato qui
per ascoltare la nostra canzone!
-
Mi spiace – disse il ragazzo.
-
No! Le tue scuse non mi bastano più, Nicholas, sono stanca di
sentire soltanto le tue scuse quando manchi alle tue stesse promesse!
- sbottò la diciassettenne, irritata.
-
Io volevo esserci! - si difese il ragazzo. - Sono stato trattenuto,
Maggie!
-
Come sempre – si sfogò la mora.
-
Senti – riprese lui, fingendo di non averla sentita - sono
certo che la canzone sia piaciuta a tutti, la prossima volta ci sarò,
davvero.
-
Nicholas, forse non l'hai capito, non ci sarà più una
prossima volta! - gridò Maggie, e la sua voce rimbombò
nel bar vuoto.
Il
cantante rimase immobile qualche istante, poi sbatté le
palpebre e strabuzzò gli occhi, confuso.
-
Cosa intendi dire? - osò.
La
mora abbassò il capo, mordendosi il labbro inferiore fino a
farlo sanguinare.
-
Nick – iniziò, - cos'è più importante per
te? La musica o io?
-
Come puoi chiedermi una cosa simile?! - gridò il ragazzo,
infiammandosi subito. - Come?!
-
E tu come hai potuto mancare a questo impegno per l'ennesima volta
quando mi avevi promesso che ci saresti stato?! - ribatté lei.
-
Non mi hai risposto.
-
Se per questo nemmeno tu!
Nick
non l'aveva mai vista così combattiva. Riconobbe solo una cosa
di quella nuova Maggie, lo sguardo e la strana luce che le oscurava
gli occhi: la stessa che aveva quando aveva visto lui ed Emma
baciarsi.
-
Maggie... Io voglio essere sincero, amo entrambe con tutto me stesso,
non potrei vivere senza uno di voi – ammise, fissandola negli
occhi.
La
ragazza si paralizzò.
-
Davvero? Entrambe? - scoppiò in una risata senza gioia. - Ho
sempre saputo che non avrei mai sostituire la musica, e non ho mai
voluto, ad essere sincera, ma da quando hai pubblicato Who I am
sembri non avere cinque minuti da dedicarmi!
Si
stava sfogando, rivelando quello che si teneva dentro da troppo
tempo.
-
Non ho cantato Fly with me, questa sera – aggiunse la ragazza,
con voce roca. - Per tutto il tempo ho rimandato la canzone, sperando
di vederti varcare quella porta, ma non l'hai fatto. - prese un
respiro profondo. - Ho cantato Goodbye my lover.
Nick
dapprima non comprese ciò che la sua ragazza gli stava
dicendo, le sue parole gli sembravano prive di senso, come se stesse
parlando un'altra lingua, poi comprese, anche se non voleva crederci.
Non era stupido, sapeva cosa Maggie stava per fare.
-
Nicholas, voglio una pausa – disse la mora, dopo aver preso un
respiro profondo, fissandolo negli occhi mentre i suoi si
inumidivano.
Il
cantante la fissò senza emettere un verso, mentre qualcosa
dentro di lui si spezzava. Il suo cuore.
-
Io... non credo di provare per te quello che provavo qualche tempo fa
– spiegò. - Ho bisogno di chiarirmi le idee –
senza volerlo i suoi pensieri corsero a Blake. Li scacciò come
se fossero una mosca fastidiosa.
-
Ah – sussurrò Nick, a bassa voce, con il tono roco.
-
Già – annuì lei. - Ah.
-
È colpa mia – disse lui, parlando quasi fra sé e
sé.
Maggie
scosse il capo, lottando per trattenere le lacrime che premevano per
uscire.
-
No, non è vero, è anche colpa mia – disse,
sincera, - non sai quanto sia anche colpa mia.
Il
ragazzo scoppiò in una risata senza gioia.
-
Le ragazze lo dicono sempre quando lasciano qualcuno – mormorò,
- per non far sentire troppo in colpa i ragazzi e anche se stesse.
-
No, Nick – scosse la testa Maggie. - Io sono sincera.
Due
occhi verdi e due cioccolato si incrociarono ancora una volta,
inumiditi delle stesse lacrime di dolore, entrambi mentre sentivano
un rumore di vetri infranti. I loro cuori.
-
Ti aspetterò – disse lui. - Finché non avrai
deciso.
-
Non farlo, Nicholas – sussurrò la ragazza. - Vivi la tua
vita, io proverò a fare lo stesso.
-
Non credo di riuscirci senza di te – ammise Nick. Anche senza
credo.
Maggie
sospirò e si strinse nelle spalle.
-
Mi dispiace.
Fece
per allontanarsi ma Nick la prese per un braccio e la strinse a sé
un'ultima volta, annusando il suo profumo, l'odore della sua pelle e
per ultima cosa baciò i suoi capelli.
Maggie
rimase immobile, trattenendo ancora una volta dalle lacrime che le
sentiva sgorgare.
Una
lacrima le scivolò lungo la pelle candida e prima che la
potesse nascondere Nick la vide.
-
Ciao Nick – sussurrò Maggie, gli diede un bacio su una
guancia, un bacio freddo, distaccato, di quelli che di solito lui
dava alle sue fan.
-
Ciao Maggie – mormorò di rimando lui, ma lei non lo
sentì: se n'era già andata.
**
«Se
avete lacrime, preparatevi a versarle adesso»,
citò Maggie Campbell, seduta sulla cattedra della propria
aula, guardando negli occhi tutti i suoi ventidue studenti. «Chi
sa dirmi chi disse questa frase?».
Gli
studenti si lanciarono delle occhiate perplesse; alcuni si grattavano
la testa con il beccuccio della penna, altri mordevano nervosamente
una matita.
«Nessuno?
Dai, ragazzi, l'abbiamo studiato poco tempo fa...», osservò
la giovane donna, scostandosi i capelli mori dagli occhi verdi come
smeraldi. «Moore?».
Un
ragazzo dai ricci mori e gli occhi di cioccolata alzò lo
sguardo sulla professoressa, osservandola con un'occhiata profonda.
Come
sempre quando vedeva quello sguardo così assurdamente
familiare Maggie rabbrividì e si tenne stretta con le mani al
bordo della cattedra.
«Come
ha detto, prof?»,
chiese con voce laconica Matthew Moore.
«Chi
l'ha detto?»,
ripeté pazientemente la venticinquenne.
«Un
uomo depresso, immagino»,
sbadigliò il quindicenne, annoiato, e si accese qualche
risatina per la classe.
«Mi
sapresti dire il nome di questo uomo depresso?», chiese Maggie,
ignorando il commento. Sapeva che Matthew conosceva la risposta,
doveva solo dirla, smettere di fare l'indifferente.
Gli
occhi di Matthew e di Maggie si incrociarono per qualche misero
istante.
«Shakespeare»,
mormorò il ragazzo, abbassando il viso sul suo libro di
letteratura.
«Esattamente»,
sorrise Maggie, radiosa. «William
Shakespeare. Chi sa dirmi qualcosa su di lui?».
La
mano agile di Clarissa Bolton stava già per scattare in aria
quando la campanella suonò e immediatamente ventidue sedie
stridettero sul pavimento e tutti gli studenti raccattavano le
proprie cose, per uscire dall'aula afosa.
«Matthew,
ti fermeresti un istante?», domandò la mora non appena
vide la sua massa riccia sfilare davanti alla sua cattedra.
Il
ragazzo si fermò e la guardò male per un secondo, salvo
tornare indietro salutando con la mano il suo migliore amico, Chad
Oliver.
«Devi
prendere il pullman per tornare a casa, oggi?», chiese Maggie,
facendogli cenno di sedersi pure al primo banco.
«Sì»,
grugnì Matthew.
«Non
ti tratterrò a lungo, allora», annuì la giovane
donna. «Volevo solo parlarti qualche minuto perché ho
visto che sembri un po' strano, in questo ultimo periodo». Era
difficile per lei estraniarsi dalla vita dei propri studenti, con un
ragazzo come Matt, poi, era quasi impossibile.
«Al
solito, prof», disse lui, passandosi una mano tra i riccioli
ribelli. Un gesto così familiare per Maggie che dovette
stringere le mani ancora di più alla cattedra: erano così
simili...
«Sicuro?
Con tuo padre...».
«Prof,
mi scusi, devo correre o perdo il treno per tornare a casa», la
interruppe bruscamente Matthew, afferrando di nuovo il suo zaino e
uscendo dall'aula senza aspettare alcuna risposta.
Maggie
chinò il capo, osservandosi le scarpe con aria sconsolata. Le
aveva detto che sarebbe tornato a casa in pullman.
Con
un sospiro rassegnato infilò nella sua ventiquattr'ore dei
compiti in classe e uscì dalla stanza, toccandosi i capelli
con aria nervosa.
Sapeva
dei problemi a casa che aveva Matthew con suo padre, un alcolizzato
che non meritava di essere chiamato “papà”, e cosa
gli faceva ogni volta che il figlio lo deludeva in qualche modo.
Aveva tentato di convincere Matthew a parlare con la psicologa della
scuola ma non aveva mai mostrato segno di volerlo fare e lei non
sopportava di vedere quell'espressione spenta su quel bel viso
angelico.
Scosse
il capo, come per scacciare una mosca fastidiosa, la pensava in quel
modo solo perché Matthew e lui erano due gocce d'acqua,
quasi. Non riusciva a smettere di pensarlo.
Rivolse
un cenno di saluto all'addetto alle pulizie e uscì dalla
Washington High School, situata nel centro di Washington D.C.
Si
era trasferita lì all'età di diciannove anni, per
studiare. Doveva essere una cosa provvisoria mentre, alla fine, era
stato un cambiamento definitivo.
A
causa della partenza di Maryl per il Giappone si era trasferita per
un anno nella periferia di Los Angeles, da una zia che quasi non
sapeva nemmeno di avere; tutto pur di non andarsene dalla California
e seguire il padre ed Emily a Miami. Avrebbe voluto convincere Lexi a
seguirla ma la gemella era stata irremovibile e aveva seguito il
padre e la matrigna in Florida.
Concluso
il liceo con ottimi voti il padre aveva fatto di tutto per farla
ammettere ad Harvard a Boston e i voti l'avevano senza dubbio
aiutata, ma non appena aveva messo piede in quell'università
aveva fatto dietrofront ed era andata alla stazione. Destinazione: il
primo treno che sarebbe partito.
Ed
era stato così che si era trovata a Washington D.C. sola,
senza un soldo e un posto dove stare, se non fosse stato per Shannon,
una ragazza indiana dalle origini inglesi che allora viveva in una
casa con una stanza in più, sarebbe tornata ad Harvard
strisciando.
Ed
era stato così che aveva preso un dottorato in Scienze
Economiche e Sociali, si era laureata con ottimi voti e, alla fine,
era finita in una scuola di provincia in cui guadagnava una miseria.
Certo,
una vita emozionante, avevano detto in molti quando l'avevano
ascoltata, ma perché era accaduta? E Maggie aveva
raccontato la verità, o almeno una parte. Aveva raccontato che
si era innamorata follemente di un ragazzo, l'aveva chiamato Brett,
un atleta, e avevano passato insieme i mesi migliori della sua vita,
poi lui aveva preso altri impegni, lei era scalata in secondo piano e
si erano lasciati.
Il
suo nome, in realtà, era Nick Jonas, rock-star di successo, ma
era venuta a Washington per dimenticare il passato, non per
ricordare.
Arrivata
nel parcheggio aprì la sua macchina, la Mini rossa che il
padre le aveva regalato per i diciassette anni che aveva fatto
arrivare da Los Angeles grazie a Emily, la nuova moglie del padre.
Si
sedette sul sedile in pelle, troppo pacchiano per i suoi gusti, e
accese il motore, collegando intanto al cellulare l'auricolare e
accendendo la radio.
«Giornata
meravigliosa, qui a Los Angeles, il sole splende, gli uccellini
cantano... Ah, sì, il mondo ha ripreso a girare intorno a me,
mi sento molto più sereno, adesso!»,
commentò lo speaker, con tono beato, facendola sorridere.
«Derek!
Non te l'hanno insegnata la modestia?!», sibilò
un'altra speaker, con tono divertito.
«Perdonami,
Liz, la mode-che?»,
ma prima che l'altra potesse replicare partì una canzone: To
listen to reason, un
nuovo pezzo degli American Boys, una nuova teen band che, a quanto
pare, faceva impazzire migliaia di adolescenti.
Il loro sound a Maggie non
piaceva, ma come poteva non capire tutte le ragazze che li adoravano
e dicevano di amarli? C'era passata anche lei, una volta, sette anni
prima.
Il suo cellulare prese a
vibrare e la ragazza abbassò il volume della radio, accettando
la chiamata.
«Pronto?»,
disse, con un mezzo sorriso.
«Indovina chi si
sposa?!», saltò su dall'altra parte del telefono una
voce eccitatissima.
«Oh. Mio. Dio».
«Sì!
Mi sposo, Mags! Mi sposo!»,
continuò la ragazza, l'entusiasmo che trapelava da ogni
sillaba.
«Shannon, ma è
meraviglioso! È fantastico! Finalmente James te l'ha
chiesto?!», strillò allegra la mora, fermandosi a un
semaforo rosso, ostentando felicità.
«Lo consideri lo
stesso “chiedere” se sono stata io a supplicarlo?»,
rise nervosamente la ventisettenne dall'altra parte dell'apparecchio.
«Shy!».
«Ma lui ha accettato e
mi ha detto che me l'avrebbe chiesto lui 'sta sera... è una
buona notizia, no?», continuò a parlottare Shannon,
ridacchiando.
«È
meraviglioso, Shy, sono molto felice per te», sorrise materna
Maggie, schiacciando di nuovo l'acceleratore non appena il semaforo
divenne verde.
«Grazie!
Domani sera usciamo a festeggiare? Oggi non posso, Jimmy ed io
festeggiamo a modo nostro», propose maliziosamente l'altra.
«Certo,
d'accordo, facciamo alle otto? Dove?», annuì Maggie,
svoltando a sinistra, rallentando vedendo che la macchina di fronte a
lei si stava quasi per fermare di fronte all'ennesima coda di
traffico cittadino.
«Andiamo
a mangiare un kebab? Al solito posto?», chiese Shannon.
«Va
bene, perfetto. Ci vediamo domani, allora».
«A
domani tesoro, un bacio», sorrise l'amica e poco dopo riappese.
Il
viso della venticinquenne era ancora increspato in un sorriso. Si
passò una mano tra i capelli mori, tagliati corti sopra le
spalle. Aveva quel taglio da qualche anno, ormai, ma non si era
ancora abituata, era solita avere i capelli lunghi almeno sotto le
scapole.
Rimase
ferma nel traffico per una decina di minuti, ma negli anni aveva
acquisito una discreta conoscenza di quelle strade e sapeva quale vie
prendere per evitare le zone meno trafficate.
Abitava
in un appartamento trilocale nel pieno centro di Washington D.C.,
all'ottavo piano. Non si lamentava affatto di quella sistemazione, i
vicini non erano troppo rognosi ed era comodo per andare a lavorare,
anche in quei giorni in cui nevicava e pioveva costantemente.
Aprì
il grosso portone e fece un cenno di saluto al portiere, che ricambiò
con un gesto del capo, e si fermò a controllare se fosse
arrivata della posta. Non era insolito in quel periodo dell'anno: di
certo suo padre, Emily e Daniel le avevano spedito qualcosa da Miami,
o da dove erano partiti per le vacanza natalizie. Ormai non sperava
più in una lettera di Lexi da anni, mentre Maryl, come al
solito, le avrebbe telefonato la mattina di Natale. Presto. Molto
presto, considerando il fuso orario tra Washington e Tokyo.
Williams
– Campbell.
Sentì
un brivido lungo la schiena, e non era per il freddo. Non si era
ancora abituata a vedere il suo cognome associato a quello del suo
compagno, Edward.
Aprì
la cassetta con la propria copia delle chiavi ed estrasse tre buste
delle lettere e una cartolina che ritraeva una spiaggia esotica.
Fiji. Ovvio.
Mentre
si avvicinava all'ascensore e schiacciava il pulsante per chiamarlo
diede un'occhiata alle due lettere: due bollette da pagare e una
lettera di Daniel per lei. Sorrise istintivamente.
Daniel
era il figlio di suo padre ed Emily, che aveva compiuto sei anni da
pochissimo tempo e aveva iniziato le elementari solo da pochi mesi,
eppure da quando aveva imparato a scrivere non faceva altro che
mandarle lettere.
Entrò
nell'ascensore e pigiò il tasto dell'ottavo piano, leggendo la
cartolina.
Ciao
Maggie, come stai? Ti sento poco ultemamente! Siamo alle Figgi, sai?
Qui è belissimo! Ti voglio bene, sorellona! Baci! Dan, Emy e
Pet
Pochissime
righe scritte con la scrittura sbilenca di Daniel, con tanto dei suoi
errori di ortografia.
Maggie
girò la chiave nella serratura e aprì la pesante porta
in legno.
Si
affacciava subito nel salotto di casa, ben illuminato dal sole di
quell'ora, le finestre che davano sulle strade di fronte e, più
in là, un parco in cui Edward andava spesso a correre non
appena spuntava il sole.
Non
era decorato con sfarzo: in mezzo al soggiorno era posto un divano da
tre posti angolato con un altro per due persone, alla parete era
appoggiata una televisione.
Edward
era un grande appassionato d'arte e le pareti erano ricoperte di
copie di quadri e, qua e là, qualche fotografia.
Sospirando
si tolse le scarpe e il giubbotto, appoggiando le chiavi su una
mensola vicina alla porta e riponendo i propri indumenti nello
sgabuzzino.
Appoggiò
le due bollette vicino alle chiavi e aprì la lettera di Daniel
con un lieve sorriso.
Ciao
sorellona,
mi
manchi tanto! So che non vuoi partire con noi però vorrei che
tu venissi! Andiamo alle Fiji questo Natale, ho visto le foto e sono
bellissime, ma per una volta vorrei un Natale con la neve!
Ho
ricevuto le foto che mi hai spedito di te e lo zio Ed a casa tua.
Voglio venirci anch'io! Quando posso venire?
Sai
che Maryl mi chiama spesso ultimamente? Dice che le manco... anche
lei mi manca! E anche Lexi! Tu l'hai sentita?
Io
la chiamo ma non mi risponde mai... Mi ha chiamato solo una volta
qualche settimana fa, ma io voglio sentirvi di più!
Mamma
e papà stanno organizzando già un viaggio per il loro
settimo anniversario di matrimonio in aprile... posso venire da te
mentre loro stanno via? Per favore!
La
scuola va benissimo, sai? Vedi che non sto facendo nemmeno un errore?
Sono bravo, vero?
A
scuola c'è una ragazza simpaticissima che mi piace molto, si
chiama Rebecca ed è molto bella! Come le posso dire che mi
piace?
Chiamami
presto, Maggie!
Ti
voglio tanto, tanto, tanto, tanto, bene, sorellona!
Tuo
amatissimo fratellino Daniel
p.s.
Non è vero che sono bravo a scrivere, ora, è che mamma
mi ha aiutato a correggere gli errori che c'erano nell'altro foglio
così ho scritto bene qui, ti fa piacere?
La
ragazza sorrise materna.
Quel
bambino era assolutamente il più dolce che avesse mai
conosciuto, e non lo diceva perché era suo fratello.
«Bentornata
raggio di sole», disse una voce maschile, cingendole la vita.
Maggie
sfiorò con le dita le mani che la abbracciavano.
«Grazie,
tesoro. Anche a te», disse, felice. «Sei tornato a casa
prima?».
«Sì,
ho deciso di prendermi metà giornata libera», ammise
Edward, un ventisettenne con i capelli neri corti e profondi occhi
blu acceso, decisamente alto e dal fisico scolpito.
«Come
mai?», chiese Maggie, prima che il ragazzo calasse le proprie
labbra sulle sue e la baciasse dolcemente.
«Buone
notizie», spiegò semplicemente, con aria misteriosa.
«Ovvero?»,
rise la mora, districandosi dal suo abbraccio e andandosi a sedere
sul divano trascinando con sé Edward.
Lui
prese a giocare con i suoi capelli, annusandole il collo e
baciandoglielo con passione, appoggiando poi una mano su una gamba
della fidanzata.
«Ed...
Ed...», lo richiamò Maggie, irrigidendosi leggermente.
«Non ora, dai».
«Perché?»,
chiese lui, con aria corrucciata.
«Sono
stanca e ho tantissime cose da fare, e poi devo...», ma la
lingua di Edward che catturava la sua la zittì.
«Beh,
allora va bene», commentò il ragazzo, alzandosi con un
sorriso tranquillo. «Ma non trovare scuse per questa sera...».
Maggie
rise appena, e gli lanciò addosso un cuscino.
Edward
era una brava persona: aveva un buon lavoro, figlio di gente per bene
che l'avevano accolta in famiglia a braccia aperte, era un ragazzo
gentile, dolce, spiritoso. Era tutto questo, ma non era Lui.
Lui, l'amore della sua esistenza, la sua anima gemella. Il suo
Nicholas. Ma ormai era un ricordo lontano. Non sapeva niente di quel
ragazzo da quando si erano lasciati e non aveva fatto nulla per
informarsi della sua vita ora: era sposato? I Jonas Brothers erano
ancora un gruppo? Aveva una ragazza? Magari già un figlio? Non
lo sapeva, e non lo voleva sapere.
Era
certa che se avesse conosciuto Edward prima di Lui se ne
sarebbe innamorata follemente, sarebbe diventata la sua anima
gemella, ma – ora come ora – non avrebbe mai potuto
sostituire Nick.
Provava
qualcosa per Edward, ovviamente, ma non era l'amore speciale che
aveva sognato e avuto. Sapeva che, però, sarebbero rimasti
insieme, forse per tutta la vita, avrebbero avuto dei figli e un
giorno si sarebbero seduti in giardino, vecchi e rugosi, circondati
dai nipoti. Edward sarebbe stato felice, la sua sarebbe stata una
vita piena. Maggie, invece, si sarebbe accontentata. Accontentata di
un uomo, un lavoro, una vita.
Guardò
Edward sorriderle e ricambiò.
Ma,
dopotutto, le sue scelte le aveva fatte. Non si poteva tornare
indietro. Il suo futuro era lì che la aspettava e lei avrebbe
mantenuto quella maschera per tutta la vita, se necessario.
Chissà,
magari un giorno avrebbe completamente dimenticato... Nicholas e
avrebbe potuto regalare a Edward tutto l'amore di cui aveva bisogno,
un amore pieno.
Non
restava che aspettare.
Continua...
Buonasera
(:
Ebbene
sì, aggiornamento veloce anche perché non so quando
potrò farlo di nuovo o.ò Spero presto!
Grazie
per le 7 persone che hanno
commentato lo scorso capitolo, mi avete stupita, sul serio, mi
aspettavo al massimo un paio di recensioni!
Questo
è uno sprazzo della vita di Maggie, ed è già il
penultimo capitolo di questa mini-long.
Uh,
nello scorso capitolo me n'ero scordata ma vi avverto che in questa
long sono comparse o compariranno un paio di personaggi della mia
prossima fic I'm Only Me When I'm With You.
Secondo voi, se sono già
comparsi, quali sono? Sono curiosa di sapere se avete indovinato *-*
Sì,
ora vi lascio i ringraziamenti, vi ho già rotto abbastanza le
scatole :D
Melmon:
Lexi, come sappiamo, è
testarda. Esageratamente testarda. Lei non vuole dimenticare Joe,
anche se lo nega, e ha tagliato i ponti anche con le sue sorelle
perché le ricordavano troppo la famiglia Jonas e i momenti
passati insieme. Spero di essere stata chiara :D Spero, comunque, che
questo capitolo ti possa piacere. Un bacio <3
Danger_Dreamer_93:
spero sia abbastanza presto :D Sono contenta che lo scorso capitolo
ti sia piaciuto e spero sia stato lo stesso per questo! Grazie mille
per le tue bellissime recensioni! Un bacio <3
Hollie:
ahah, senza dubbio lo
preferisco anch'io il finale originale, ma ho voluto mostrare anche
questo lato che sarebbe potuto accadere (: Grazie mille per i
complimenti, sul serio. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo.
Un bacio <3
She
is Mari: il perchè della
loro separazione è spiegato in UtM e, come hai potuto vedere,
ho mostrato uno sprazzo anche nel primo capitolo :D Ma noo, povero
Luc, mi ci sono affezionata, è un ragazzo intelligente u.u
Nono, Joe non è stato con madamoiselle Genevieve (anche se
sarebbe interessante xD). Dei Jonas in questa fic non si saprà
niente, loro sono la parte che le Campbell che vogliono dimenticare e
non vogliono sapere niente delle loro vite. Grazie per i complimenti!
*-* Un bacio <3
Who_I_Am:
nuova lettrice *___* Sono contenta che tu abbia commentato questa
fic! E grazie moltissimo per i bellissimi complimenti! Spero ti sia
piaciuto anche questo capitolo, un bacio! <3
FallInLove:
Joe è decisamente Joe,
non lo dimenticherò mai io che non lo conosco figuriamoci Lexi
xD Anche se è solamente una fiction... Mmh, ma dettagli ù.ù
Come ho già detto a She is Mari non ci saranno i Jonas perché,
ebbene sì, sono la parte “da dimenticare” per le
sorelle Campbell... anche se non ci riescono o.ò Grazie per i
complimenti! Un bacio <3
jonas_princess:
spero che abbia aggiornato
abbastanza presto :D Sono moolto contenta che questo finale
alternativo ti piaccia, sul serio! Spero ti sia piaciuto anche questo
capitolo! Un bacio <3
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