Age Six Racer - Sei anni di te

di Keyra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Vita ***
Capitolo 4: *** Sotto il cielo ***
Capitolo 5: *** Considerazioni 1 ***
Capitolo 6: *** Anni di pura follia ***
Capitolo 7: *** Fatti dietro parole ***
Capitolo 8: *** Il destino di una peccatrice ***
Capitolo 9: *** Vicino al fiume ***
Capitolo 10: *** Quando la fine avanza ***
Capitolo 11: *** Come la neve ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***








Quando mi svegliai nel letto del ragazzo con cui avevo passato quella notte fui allibita.
Provai una sensazione opprimente, quasi ossessiva. Mi guardai intorno.
Non conoscevo quel ragazzo, e, forse, quella era una delle solite sbandate che prendevo oramai una volta al mese.
La camera era buia. Il letto era stretto, ma le lenzuola erano di una morbidezza eclatante.
Mi voltai verso il comodino che stava accanto al letto.
Pian piano, per non svegliare il ragazzo, mi sedetti sul materasso. Sul comodino c'erano dei cd e dei fumetti. Ne presi alcuni, guardai che gruppi ascoltava e cosa leggeva.
Aveva buoni gusti. Abbastanza diversi dai miei, direi, ma molto molto buoni.
Ad un certo punto venni assalita da un dubbio. Come si chiamava, quel ragazzo?
Lo guardai in faccia. Era moro, e aveva un bel viso. Era un bel ragazzo. E si chiamava.. Sì, ricordavo. Si chiamava Eisen.
Sorrisi tra me e me, pensando che, dopotutto, avevo anche io buoni gusti, anche se forse non nel campo della musica.
Lentamente scesi dal letto e cominciai a girare per la stanza.
Quanti anni avrà avuto? Non ricordavo. Forse la sbronza era stata davvero efficace. Sperai solo che non avesse molti più anni di me, ma guardando il suo viso, prima, era sembrato abbastanza sui diciannove-vent'anni.
Guardai alcune fotografie appese al muro. Era un corridore, un perfetto corridore. Le foto mostravano le numerose coppe vinte, le medaglie.. Era un atleta. E questo lato mi piaceva, molto.
Subito dopo la foto con la coppa delle nazionali, c'era una foto di un ragazzino. Avrà avuto quattordici-quindici anni. Quel viso mi ricordava qualcosa. Sforzai la mia mente, cercai di capire.
Ma era uno sforzo inutile. Chi poteva essere?
Capii che evidentemente lo conoscevo. Conoscevo quel ragazzino nella foto. Forse poteva essere suo cugino, o suo fratello.
Guardai gli abiti della gente. Paragonandoli a quelli che io e le mie coetanee portavamo, sembravano di un paio d'anni fa.
E allora ci arrivai. Non so come, a intuizione, forse. Guardai in fretta Eisen. Poi guardai la foto.
Come potevo essere stata così stupida? Come potevo esserci cascata di nuovo? E lui, non sapeva? O mi aveva ingannata a conoscienza di tutto?
Corrugai la fronte in cerca di una spiegazione.
Eravamo quasi bambini, quando, insieme, dividevamo la merenda e giocavamo con le bottiglie dell'acqua in mensa.
Eravamo quasi ragazzini, quando andavamo insieme al cinema e al karaoke. Quando ci trovavamo insieme in un bar, quando lui non aveva mai tempo per uscire.
Eravamo solo dei ragazzini.
Quanti anni sono passati? mi domandai. Cinque, forse sei.
E allora com'è che mi sono già dimenticata di lui? pensai. Ciò che è successo tra noi due è stato così traumatico da essere completamente rimosso dalla mia mente?
Avevo letto da qualche parte, che le persone collegate ad avvenimenti "traumatici" o comunque brutti, spesso potevano essere rimosse dalla nostra mente, insieme ai ricordi di quei periodi. E forse era successo esattamente così.
Poi, i miei pensieri, affollati uno sopra l'altro, vennero interrotti dalla sua voce.
"Hanae?" disse.
Aprì gli occhi. Erano belli. Ed erano i suoi. Quelli di quel ragazzino che frequentavo ai tempi delle medie.
"Ciao, Eisen." Non sapevo se prendermela con lui, o cos'altro. E così sorrisi.
"Ciao. Che ora è?" chiese. Si sedette con la schiena dritta e, alzando le braccia, si stiracchiò per bene, volumizzando anche un sonoro sbadiglio.
Cercai attorno a me un orologio. Ce n'era uno sul comodino. Aguzzai la vista.
"Circa le nove e mezza." Riflettei se parlargli o no di quel che avevo capito. E la risposta fu sì. "Senti, potremmo parlare un attimo? Ho bisogno di alcuni chiarimenti". Dissi, tutt'ad un fiato.
Inclinò la testa, come per dire "Quali chiarimenti?".
"Dobbiamo chiarire qualcosa?". Il suo modo di fare era alquanto strafottente, ma allo stesso tempo gentile. Probabilmente cercava di non ferirmi, ma capii che non era nella sua natura parlare tanto dopo una notte passata insieme. Forse, per lui era solo un divertimento.
E anche per me, che un sabato al mese andavo in discoteca con i miei amici, e incontravo persone come lui.
Erano cose che capitavano.
Mi sedetti accanto a lui.
"Io non voglio niente da te. Voglio solo capire se tu sai chi sono. Perché io non sapevo chi sei, fino a poco fa. Ho guardato le tue foto e ti ho visto, un po' di anni fa. Sei cambiato, e forse anche io. Prima eri biondo". Feci un piccolo sorrisetto.
"Cosa? Aspetta.." si passò la mano tra i capelli. "Vuoi dire che tu.. Tu, sei quella Hanae?". Era abbastanza sorpreso.
"Sì, quella Hanae."
"Io.. non ti avevo riconosciuta."
Era evidentemente imbarazzato.
Sorrisi di nuovo. Mi dava sicurezza, sorridere.
"Neanche io, altrimenti, non so se avrei fatto quel che abbiamo fatto.. E comunque, quel che è fatto è fatto."
Mi alzai dal letto.
C'era un piccolo specchio vicino alla porta. Mi guardai. Avevo indosso la canottiera grigia del sabato e gli slip che avevo comprato tre giorni prima.
"Sono davvero carina, devo ammetterlo" dissi ridendo.
Lui mi guardò perplesso, poi alzò un sopracciglio.
"Ecco la Hanae di sempre. Convinta, esuberante, egocentrica."
Si alzò anche lui.
"Aggiungi pure generosa, gentile, solarissima".
"Aspetta aspetta. Penso che tu abbia dimenticato qualcosa! Invidiosa, gelosa, possessiva"
Scoppiai in una risata di stupore. "Cooosa? Ah è così che mi pensi! Codardo!".
Ci guardavamo attraverso lo specchio. Era divertente quel gioco.
"No, sei anche.. vediamo.." rimase un po' perplesso. "Sei anche molto triste, a volte. Almeno, così era un po' di anni fa.. E poi sei sempre stata più matura di noi della nostra età. Penso che sia ancora così, o no?".
Mi girai verso di lui.
"Sono cambiate molte cose" lo guardai dispiaciuta.
"Cioè che non sei più triste?"
"No. Forse sono più le volte che sono triste, di quelle in cui sono felice e spensierata.".
Rimase immobile, come deluso. E poi mi guardò negli occhi. "Ma io.. lo sento dalle tue parole che sei.. matura. In qualche modo, non so come, ma lo sei."
Quelle erano parole che non avrebbe mai pronunciato, anni prima. Ma in un qualche modo, capii che erano cose che pensava da sempre.
I suoi occhi erano quasi spenti, come assorti nei pensieri più vari.
Vedevo che nella sua sicurezza e certezza, c'era quel piccolo filo di infelicità, che faceva intristire ancora di più me, che lo guardavo a quel modo.
Riuscivo a scrutarlo dentro, a capire cosa pensasse..
Ho sempre creduto che forse è proprio questa la capacità di chi scrive.
Vedere dentro le persone, e capire. Capire tutto, capire cose che non si sono mai provate.
Riuscire a immaginare le emozioni, i vuoti che si possono provare.
Non sapevo cosa dire. Mi aveva lasciata senza parole. Lo guardai e sorrisi.
Me ne uscii fuori con un "Andiamo a fare colazione?".
"Certo, preparati" e si intrufolò in bagno.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Quel che mi aveva portato a riconoscere Eisen era il suo sorriso. Il sorriso di chi ha in mente progetti ben definiti, di chi si impegna, di chi riesce in ciò che vuole.
Era un sorriso che non avevo mai visto, se non in lui.
In quella foto stava sorridendo, e fu ciò che mi collegò a pensare all'Eisen delle scuole medie.
Odiavo Eisen, lo disprezzavo.
Mi aveva fatta soffrire pazzamente, mi aveva portata alla disperazione assoluta.
Ed ero solo una ragazzina.
Però, quando arrivai alle superiori, capii che mi aveva aiutata. Dovetti ringraziarlo, per avermi insegnato a soffrire. Probabilmente, arrivando alle scuole superiori indifesa e ingenua, avrei preso delle botte inimmaginabili. Ma, grazie al suo comportamento menefreghista e superficiale, avevo imparato a difendermi dalla sofferenza e dalle lacrime.
E ora ero lì, con lui, al tavolino di un cafè in centro.
Ma la cosa più strana, era che non lo odiavo. Neanche un po'. Proprio niente.
Parlavamo sorridendo, tranquilli. Come quella tranquillità della domenica mattina, quando ti svegli e non hai niente da fare.
Lasciai cadere il cucchiaino accanto alla tazza di capuccino, facendolo tintennare.
"Hai la ragazza?". Avevo paura di fare quella domanda, ma la feci ugualmente. Non mi andava di essere presa in giro.
Aspettai la sua risposta. Guardava la tazzina di caffè preoccupato. Io, invece, avevo la sguardo dritto davanti a me, quasi nei suoi occhi, impaziente.
"Sì, ho la ragazza".
Mi aspettavo quella risposta. Fu come un buco allo stomaco.
Non ci tenevo particolarmente, ma ancora una volta ero stata messa in secondo piano.
Con lui ero sempre in secondo piano. Non una volta che fossi importante, non una volta che contassi qualcosa.
"Sei uno stronzo però. Non per me, ma per lei. Ti rendi conto che l'hai tradita?" feci sporgendomi in avanti.
"Tu non sai niente di noi, Hanae. Lei è davvero speciale, e mi piace molto. Ma a volte ho bisogno di distrarmi. E' troppo perfetta. E a volte ho bisogno di sentirmi perfetto anch'io."
Era esattamente quello che avevo provato io anni prima. Se solo avesse capito..
"Tu le piaci?" chiesi.
"Mah.. penso di sì. Insomma, se stiamo insieme un motivo c'è, no? Ma a volte è così presa, così.. Non so. Forse considera la cosa davvero seria, ma io non me la sento di avere una storia importante." Era realmente dispiaciuto.
"In ogni storia ci sono problemi. Si aggiusterà tutto." Sorrisi.
"Tu sai sempre tutto, un giorno mi spiegherai come fai."
Ridemmo.
Dopo aver pagato il conto, mi accompagnò alla fermata dell'autobus più vicino.
Ci salutammo, promettendoci di sentirci, e di vederci.

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Capitolo 3
*** Vita ***


Passarono due mesi.
Arrivò l'inverno, il freddo e la pioggia. Le strade erano umide, e il buio si faceva largo tra le vie appena alle sette di sera.
Le luci dei negozi e dei lampioni erano le uniche cose che illuminavano la città.
Presa dall'università, dal lavoro e dal libro che cercavo di scrivere, non mi resi conto dei giorni che passavano, e più andavo avanti, più rimandavo la chiamata che mi ero promessa di fare ad Eisen.
Le nostre erano due vite completamente diverse, e separate.
Non mi permettevo di chiamare, nè di farmi viva se lui non faceva lo stesso. Avevo paura di tanti altri rifiuti, come in passato.
Quella mattina ero stata bene davvero, ma poi avevo pensato ai tempi precedenti. A quando ero stata gettata via come una bambola di pezza.
In quei due mesi il tempo era trascorso come sempre.
Le notizie del telegiornale continuavano a scorrere ogni sera, la cena del venerdì sera con la mia famiglia era ovviamente inevitabile, e i sabato pomeriggio passati nei negozi del centro della città con le amiche non mancavano mai.
Da un po' di tempo frequentavo un ragazzo. L'avevo conosciuto una sera, grazie ai miei amici.
Era in programma una serata in pizzeria, ma quando arrivai non c'erano solo Saki, Misata e Jason. Ad aspettarmi c'erano anche una ragazza e un ragazzo.
In poche settimane legai subito con la ragazza, Mona. Stringemmo un'amicizia onesta e leale. Cominciammo ad andare insieme, lei, Saki ed io in palestra. Ci vedevamo almeno tre volte alla settimana, nonostante gli impegni e gli studi.
Mona aveva i capelli corti, biondicci, e dei grandi occhi scuri. Era una splendida ragazza. E, inevitabile da dire, era la nuova amante di Misata!
Jin era suo fratello. Quella sera, in pizzeria, mi era sembrato subito un tipo strano, distaccato ma allo stesso tempo simpatico. Un po' troppo formale, forse. Sembrava così immaturo, ma allo stesso tempo adulto.
Forse, pensai, era il tipico comportamento da fratello minore.
Come Mona, aveva degli occhi molto grandi e belli. Era uno sguardo che penetrava dentro, il loro. Che per anni e anni, e tanti ancora, riconoscerei sempre e comunque. Occhi che non si possono dimenticare.
Io e Jin fummo all'inizio molto freddi l'uno con l'altro. Non immaginavo in lui un ragazzo con cui poter uscire, bere una cioccolata calda in un bar di periferia, e scattare fototessere a tutt'andare.
Eppure, dopo tre settimane dal nostro primo incontro, fu tutto quello che feci, proprio con lui.
Era la mia prima storia vera dopo quasi otto mesi, quando mi lasciai con il mio compagno di liceo.
Jin mi sapeva ascoltare, consolare, abbracciare. Mi piaceva uscire con lui la sera, andare al cinema insieme, e il film non vederlo proprio.
Eppure, qualche volta, mi capitava di ripensare a quella sera e a quella mattinata, passata insieme al vecchio Eisen, al suo sorriso, alle foto appese in camera.
E, senza un perché (o forse il perché c'era, ma era molto nascosto), provavo un odio immenso a ricordare quel sorriso lucente.
Quel sorriso che, ignaro di tutto, sempre e comunque, si faceva avanti solo nei momenti meno opportuni.
Sì, Jin per mi piaceva. Eccome se mi piaceva.

________

Dopo l'università, Jin mi portò in un fastfood a mangiare. Lo facevamo spesso, andavamo a pranzo e poi, subito dopo, ci dirigevamo in libreria, per comprare qualche libro.
Era la nostra grande passione. Ne prendevamo uno a caso tra le file interminabili di libri, leggevamo la trama, una pagina qualsiasi, commentavamo, e infine era fatta: se l'esito era positivo, lo compravamo.
Leggevamo, insieme, lo stesso libro, distesi sul divano di casa sua. Non parlavamo, nè fiatavamo. Semplicemente leggevamo le pagine di quel libro.
E poi, quando dovevo tornare a casa, lo chiudevamo commentando i capitoli.
Forse, quello che mi piaceva di Jin era il suo spirito intelligente, quasi letterario. Il suo saper essere responsabile e diligente, quasi come un professore.
Stare con lui era una continua contraddizione. Mi sentivo protetta, ma più matura di lui, quasi come una mamma. Lo vedevo forse come un fratello, come una figura a cui insegnare tante cose.
E poi, puntualmente, era lui che insegnava tutto a me, era lui che, con la sua serietà, mi proteggeva.
Quell'espressione da ragazzino, gli occhi dolci e grandi, forse era ciò che più mi ingannava.
Arrivati al McDonald's della piazza più vicina, ci sedemmo a un tavolino. Le luci erano soffuse, quasi opache. Non c'era musica, solo il brusio della gente.
Mangiavamo i nostri hamburger silenziosamente, osservando gli altri.
"A cosa pensi?" mi chiese ad un tratto.
Mi sforzai di sorridere. Pensavo alla gente, alla gente che, come me, viveva una storia d'amore in quel determinato periodo, e chi invece, era solo, senza scopo, disperato.
"Pensavo.. pensavo a noi due" dissi. Mentii.
"Noi due? C'è qualcosa che non va?"
"No, non fraintendermi. Ecco, non è che oggi, così, per cambiare, potremmo andare da qualche altra parte? Non in biblioteca, ecco tutto. Sono un po' stanca.."
Mi guardò sorridendo. Si era come tolto un peso grandissimo. Evidentemente, si era molto preoccupato, a sentire il mio tono pesante.
"Ma certo. Hanae, è successo qualcosa? Ti vedo cupa"
Era questo che mi piaceva di Jin. Il suo preoccuparsi così dolcemente, così come un bambino.
"Non è successo niente, niente di importante".
Feci un grande sorriso e lo baciai. "Allora, mi porti da qualche altra parte?" dissi.
"Scommetto che mi stai chiedendo di andare a fare shopping.."
Era da troppo che non la facevo. E la mia vena ispiratrice, in quel momento, mi consigliava proprio di buttarmi a capofitto nei negozi.
"Tipregotipregotiprego" scongiurai.
"E va bene, che così sia!".
Ridemmo rumorosamente, causando lo sconvolgimento di molte persone.
Due ragazzi, felici, innamorati, che ridevano come due bambini.
Scena da imprimere nella mente.

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Capitolo 4
*** Sotto il cielo ***


Sì, mi porto nei negozi più chic della città.
No, non è vero. Mi portò nei negozi che ci piacevano, quelli in cui ci fotografamo con addosso vestiti e cappelli, e tremila cose in più del normale.
Ci divertivamo così. Facendo i pazzi. Come dei bambini dell'asilo.
Però, non è per questo che racconto di quel pomeriggio.
Ma è per ciò che vidi dopo.
Camminavamo lenti, mano nella mano, verso l'auto di Jin.
Erano le sette, il cielo era più o meno scuro, l'aria era limpida come poche volte. Tutto era nitido e ben visibile.
Le ragazzine camminavano per la strada emettendo striduli risetti, i ragazzi le corteggiavano con battutine pronte da secoli, gli impiegati si dirigevano a passo veloce verso le loro rispettive case. Eravamo avvolti da quest'atmosfera giornaliera e abitudinale, talmente normale da non esser presa neanche in considerazione.
Io e Jin stavamo parlando del Natale, del Natale che si stava avvicinando.
E proprio come il Natale gelido e freddo, il Natale in cui il respiro è annaspato a causa del freddo, mi gelai completamente alla vista di Eisen con una ragazza.
Venivano dritti verso di noi, e si tenevano anche loro mano nella mano.
E, proprio in quel momento, con gli occhi assenti e spenti, balottarono nella mia mente mille immagini. Quella di quando, appena ragazzina, soffrivo per lui, quando piangevo, mi disperavo, e credevo che l'adolescenza sarebbe sempre stato un groviglio d'emozioni, di paure, di sofferenze. Quando avevo saputo che aveva avuto un'altra, dopo di me.
E quando, dopo tre mesi dall'inizio delle scuole superiori, l'avevo visto per la prima volta con un'altra ragazza, oltre me.
Conoscevo bene quei sentimenti, quel ghiacciarsi istantaneamente.
Mi sentivo usata. Usata per quella notte. "Quelle parole, quella mattina.. sono state tutte una bugia, come sempre, come ogni altra volta" pensai.
Jin continuava a parlare. Ma io ero spenta. Non so bene cosa stessi pensando, forse era il dolore. Sì, ero accecata dal dolore.
Avrei voluto tanto gridargli tutto quello che pensavo di lui. Tutto quello che avevo sempre pensato.
Ma c'era Jin con me, e c'era quell'altra ragazza. Quella ragazza che non era stupefacente, non era una snob, non era una miss. E questo mi fece gridare dentro di me qualche parola cattiva ancora di più. Ero un'illusa. E lo sarei stata sempre.
Poi, in quei pensieri, Jin mi strattonò.
Avevamo cambiato rotta. Girato a destra, c'era la macchina. Ritornai alla realtà, ancora un po' vacillante, e lui mi sorrise.
"Prego, madamoiselle" mi disse facendomi entrare in auto, e poi non vidi più la sua figura.
Quella di Eisen, non quella di Jin.

Il 22 Novembre io, Mona, Saki, Misata, Jason e Jin andammo al concerto dei Dashboard Confessional.
Il concerto si sarebbe svolto nel quartiere di Rappongi, dalle sette di sera a mezzanotte.
Partimmo da Nihombashi e, con le auto di Jason e Jin arrivammo poco dopo a Rappongi.
Insieme alle luci, il traffico e i rumori assordanti, passeggiavamo tra le vie di Rappongi come un gruppo di turisti esterefatti.
"E' bellissimo qui, non ci ero mai stata" feci guardando su in alto.
Jin sorrise. "Davvero? Pensavo che una maniaca come te del divertimento fosse già un'esperta di questo posto"
"Ah è così?!" sbottai. "Mi consideri una maniaca del divertimento?! Buffone di corte che non sei altro!".
Tutti risero.
Arrivati davanti alla discoteca in cui i DC avrebbero suonato, ci mettemmo in coda.
"C'è molta gente" sussurrai a Saki.
"Sì, non me lo aspettavo.."
I DC erano poco conosciuti, ma quei pochi che li conoscevano sapevano come apprezzarli.
"Sarà una grande nottata, questa" disse Jin sospirando.
Alzai gli occhi al cielo.
Mi ero presto dimenticata di quel pomeriggio, quando avevo visto Eisen. Ci avevo pensato per un po' di giorni, ma poi tutto era passato.
Eppure, proprio quella sera, mi sfiorava quel pensiero: "Cosa starà facendo, ora, lui?".
E con spintonate su spintonate, ridendo e felicitando, riuscimmo a entrare nel locale.
E quindi, per l'ennesima volta, vissi l'emozione di un concerto dal vivo.

Era ormai notte fonda quando uscimmo da Rappongi. Passammo per Tsukiji, e fece uno strano effetto vederlo vuoto, notturno, senza il rumore chiassoso del mercato del pesce.
Io e Jin eravamo in macchina insieme, seduti ai posti anteriori, mentre dietro sedevano Saki e Jason.
"Come vanno le cose tra Misata e Mona?" chiese Jason.
Jin, attento alla guida, rispose con aria abbastanza seria, senza staccare lo sguardo dalla strada. Era buio, molto buio.
"Sembra bene, anche se ho sentito che un paio di giorni fa hanno avuto una discussione".
"Una discussione?" intervenni io. "Che tipo di discussione?"
"Sembra che abbiano litigato per colpa di Mona. E' sempre stata troppo indipendente, mia sorella"
Jin sembrava non ne volesse parlare. E così, in una notte di autunno freddo, caldi per le forti emozioni provate poche ore prima, tralasciammo quel discorso triste e apparentemente doloroso, che sembrava quasi intristire tutti, ma soprattutto Jin.
Noi certo non sapevamo, ma lui sì. Lui sapeva, e voleva difendere il segreto che custodiva da sempre. O meglio, quasi sempre.

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Capitolo 5
*** Considerazioni 1 ***


Considerazioni parte 1

Dedicherò alcuni capitoli di questa storia alle mie considerazioni.
Bene, cosa posso dirvi? Fin ora ho scritto quattro capitoli, che, secondo me, sono in sè molto diversi l'uno dall'altro, non succede niente di entusiasmante, la storia è sempre tranquilla e ha dei tempi molto lenti e quieti. E, devo ammetterlo, ciò mi inquieta!
Spesso i fatti che accadono della mia vita, i sentimenti che provo, e cose del genere, influenzano ciò che scrivo, ed è proprio per questo che in 4 capitoli, la storia è cambiata così tanto.
Il primo e il secondo capitolo parlavano della relazione apparentemente affettiva tra Hanae ed Eisen. Il loro passato non è ancora ben chiaro a voi (a me sì, ma può essere che lo cambierò frequentemente.. le mie idee sono sempre instabili!), ma il presente è nitido e ben delineato: nessun legame tra i due, solo libero divertimento.
Nel terzo capitolo qualcosa cambia. Mentre dai primi due capitoli si sarebbe pensato che la storia fosse concentrata sulla relazione Hanae-Eisen, si sposta su altri personaggi, che sono Hanae e Jin, e altri di seconda importanza (Saki,Misata,Jason e Mona).
La relazione tra Hanae e Jin mi piace molto. Sono evidentemente innamorati, è una storia quasi da definire "pura".
La scomparsa quasi definitiva di Eisen (ovviamente portata dai fatti che accadono dalla mia vita..lol) mi è costata molto.. la storia è cambiata praticamente del tutto. Eisen è un personaggio molto ma molto comune, che si può trovare spesso nei ceti sociali alti, ricco, bello, sportivo. Jin invece è intelligente, ancora un po' bambino ma allo stesso tempo maturo, semplice e gentile. Sono due ideali di ragazzi completamente differenti, ed è per questo contrasto che Hanae mi piace. Il suo sapersi innamorare di persone completamente differenti, che forse mi rispecchia un po'.
La figura di Mona è ancora un po' troppo indistinta, per questo penso che dedicherò un capitolo (anche due) solamente a lei e alla sua storia con Misato.
Da quanto si può vedere nel capitolo 4, c'è un mistero attorno a Mona e Jin, che non so bene quando si svelerà, ma penso comunque che sarà più o meno il cuore della storia.
Anticipazioni? Non ne posso dare un gran numero, dal momento che io stessa scrivo senza seguire un filo logico e una via precisa.
Posso soltanto dire che Eisen tornerà, forse a breve e forse no, e che finalmente Hanae metterà fine alla sua sofferenza. Come? Io lo so, ma dovrete scoprirlo voi. Il segreto di Jin e Mona sarà svelato in modo abbastanza drammatico.
La storia, probabilmente, assumerà toni abbastanza gravi, ma spero di non farlo pesare troppo.

E questo è tutto, almeno credo!


Al capitolo 5 ^____-

Key

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Capitolo 6
*** Anni di pura follia ***


Dal diario di Mona - Quel che sento dentro

Mi chiamo Mona, e ho ventiquattro anni.
Il mio segreto è uno solo, ma molto, molto grande. Ormai al mondo non c'è più nessuno che sappia del mio segreto, oltre a mio fratello.
I nostri genitori sono morti tre anni fa in un incidente, e Jin, mio fratello, è rimasto l'unico che sapesse di ciò che successe anni fa.
Ora sono felice, ma un velo di tristezza alleggia sempre sopra di me.
Ricordo che tempo fa, quando andavo alle medie, lessi per caso una poesia di un poeta italiano, Giacomo Leopardi, e, approfondendo il discorso su di lui, studiai che il suo pensiero era rivolto sempre alla tristezza, alla sofferenza, e alle illusioni.
Pensandoci ora, la vita mia e quella di Leopardi sono forse in qualche modo collegate.
La tristezza, l'infinito, il credere in un destino che non si avvererà mai..
Da ragazzina sognavo che mi sarei sposata con un ultra miliardario, bello, giovane, serio e dolce. Ma poi, più avanti, ho scoperto che non esiste gente del genere.
Che i ricchi staranno sempre con i ricchi, e i poveri staranno sempre con i poveri.
Da qualche mese frequento Misata, e io lo amo. Lo amo più di quanto io possa fare, perché il limitare dei miei sentimenti è molto stretto.
L'unica volta che ho amato alla follia è stato quando avevo diciassette anni, gli anni più belli e, allo stesso tempo, più tristi della mia vita. Non vorrò più ricordarli, non vorrò più pensarci, mi promisi quando finì tutto.
E così non mi innamorai più.
Ma ora c'è Misata accanto a me. Nel senso fisico e mentale. Sta dormendo e io scrivo su un foglio di carta, e guardo il suo profilo dolce e spensierato. Mi è capitato di chiedermi che fine farò se anche Misata mi lascerà, se perderò anche lui.
E la risposta è che credo in un destino crudele, come il vecchio Leopardi.
In una sua poesia cita un verso che fa "Silvia, remembri ancora i tempi della tua vita mortale, quando beltà splendea nei occhi tuoi ridenti e fuggitivi?".
E io mi chiedo, Mona, ricordi ancora quei tempi della tua giovane vita, quando la bellezza splendeva nei tuoi occhi ridenti e fuggitivi?
Sì, li ricordo. E ricordo che i miei diciassette anni furono stupendi. Ma ho un vuoto mentale. Ricordo solo questo. Ricordo solo sorrisi. Ricordo solo amore. Ma non ricordo cosa successe, nè cosa provassi. Ed è in momenti come questi che ho paura, che mi sento sola.
Anche se ora, c'è Misata vicino a me.
E, nonostante lui abbia fiducia in me, ora capisce, incomincia a dubitare.. A dubitare della mia lealtà, della mia sincerità.
Ma io sono una persona per bene, dico. Io sono una persona onesta. Non sono vigliacca, non sono maligna. Ma è successo quello che io non avrei mai voluto succedesse.
E se Misata lo scoprisse, mi lascerebbe. E se l'intero mondo lo scoprisse, mi esternerebbe.
E per questo lo sa solo Jin, soltanto lui. Per questo io amo mio fratello più di ogni altra creatura, per questo più gli anni passano e più mi consumo, più si allarga il vuoto dentro il mio stomaco, i ricordi si allontanano, tutto diventa più scuro, più vago.
E' come se arrivasse un'ondata di nebbia la mattina d'autunno, e sempre, pian piano, si dilatasse fino a travolgermi e portarmi via con sè.

Ho paura, Jin, ho paura.
Succederà qualcosa, è così, vero Jin?

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Capitolo 7
*** Fatti dietro parole ***


***Ho deciso di intitolare così questo capitolo in onore di Phra, della mia vecchia amica Phra, che mi ha recensito per seconda (qui i recensori -o recensitori o_O?- mancano! aiutooo!). E poi, è molto azzeccato per questo capitolo..bè, buona lettura, anche se so che nessuno leggerà ^^'! arrivederci***

"Prego, chi c'è dopo?".
Mi trovavo in una libreria di Jimbo-cho, ed ero da sola. In quei giorni io e Jin ci vedevamo poco, a causa del suo lavoro e la mia università.
Il posto era accogliente, forse la più bella e grande libreria in cui fossi mai stata.
"Ci sono io, grazie" dissi alla commessa. Era una bella donna, seria, molto alta e slanciata.
"Prego, mi dica signorina" mi disse sorridendo.
"Avrei bisogno di un testo.. di.. ehm.. Giacomo Leopardi" dissi, chiedendomi se l'avessi pronunciato correttemente. La mia pronuncia italiana lasciava un po' a desiderare.
"Oh, certo". La commessa sorrise. "Un qualunque testo? Leopardi ha scritto molte opere"
"No, veramente ho bisogno.." sfogliai un libretto dove contenevo i nomi dei libri per l'università. "Dei Primi Idilli" dissi.
"Bene, allora le dovrò dare tutti i Canti, dove sono contenuti sia le canzoni che i piccoli Idilli. Venga".
Mi accompagnò in una saletta più piccola, e, cercando attentamente con gli occhi i Canti, puntò il dito verso destra.
Era un libro enorme!
Tornammo alla cassa, e pagai.
Ormai fuori dalle librerie di Jimbo-cho (ne avevo girate un sacco, non per niente, Jimbo-cho è il quartiere dei librai), camminavo assorta nei pensieri.
Misata mi aveva parlato di questo autore italiano e, per coincidenza, avevo bisogno dei suoi testi per l'università. Così, dopo una settimana, mi decisi ad andare in libreria.
Misata aveva detto che era un grande autore, ma che c'era qualcosa che lo preoccupava.
Aveva trovato dei suoi testi a casa di Mona e, appuntati vicino alle strofe delle numerose poesie, pensieri e concetti scritti da Mona.
"Hanae, non sono semplici concetti.. è qualcosa di molto più reale.. quasi spaventoso. Io.. ho avuto paura" mi disse un giorno mentre mangiavamo insieme io e lui al tavolino di un bar, dopo l'università.
Misata mi preoccupò.
"Spaventosi? In che senso? Cosa dicono?" chiesi affollata dalla curiosità.
"Dicono.. dicono cose assurde. Come che la morte è una cosa terribile ma necessaria. Che quando qualcuno si merita di morire è meglio chiudere subito gli occhi. Oppure che la vita non ha un senso, che noi non siamo nessuno e che nessuno ha importanza."
A queste parole, mi venne in mente la sera del concerto dei Dashboard Confessional e dell'incertezza di Jin, in auto al ritorno.
"Senti Misata, ti prometto che farò qualcosa, okay? Cercherò di capire.. Anche se è tutto molto strano, e non so davvero come fare.."
Avevo molta paura, ma Mona era mia amica e Misata pure. Mi sembrava illogico un comportamento così da parte di Mona, e non sapevo se credere o no a Misata.
"Può essere che abbiano litigato, o che lui sia geloso di qualcosa, e allora si fa suggestionare da piccoli e ingenui appunti.." pensai. Eppure, più cercavo di convincermi, e meglio ci riuscivo.
Alla fine, decisi di andare a casa di Mona.

________


La sua era una casa piccola e sui toni scuri. C'erano solo il salotto, una camera da letto, un bagno e una cucinetta, ed era, probabilmente, la casa più normale che avessi mai visto.
Di solito, gli universitari avevano case tutte particolari. Chi disordinate, chi super lussuose, chi da poveracci e chi da campagnoli. Eppure, la sua era di una straordinaria formalità.
Al centro del salotto c'era un tavolino circolare, abbastanza basso, dove erano appoggiate diverse riviste.
Attorno ai muri c'erano due librerie di legno, colme di libri ed enciclopedie. Vicino al tavolino c'era un divano rossastro, e dietro una finestra con tende gialle.
Davanti al televisore Mona aveva messo un televisore abbastanza grande e una pianta.
Non c'erano luci, oltre a quella della finestra e di una piccola lampada accanto al divano.
Era un salotto immerso nel buio.
E fu proprio lì che le chiesi qualcosa su Leopardi.
"Mona, mi daresti un libro su Leopardi? Ne ho bisogno per l'università, e parlando Misata mi ha detto che tu ne hai parecchi".
Eravamo sedute sul divano e sorseggiavamo una tazza di tè.
Mona sembrava tranquilla. "Sì, certo" si alzò e andò a prendere un libretto piccolo. "Leggi questo. Parla della vita di Leopardi e delle sue opere.. a me piace molto" mi sorrise e me lo porse in mano.
Mona mi era sembrata assolutamente normale.
Ma tutto il mistero, stava dentro quel libro, e non nelle espressioni di Mona.

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Capitolo 8
*** Il destino di una peccatrice ***



Dal diario di Mona - Scappata dal destino


Sogno incubi tremendi, queste notti. Misata e gli altri scoprono tutto, nei miei sogni. Sono solo deboli immagini sfocate, ma così reali.
Continuo ad aver paura. Sento che quel giorno si avvicina. E sento che il mio destino non sarà molto felice.
Perderò Misata, lo so. Perderò tutto. Anche Jin non mi vorrà.
Ho paura. Mi sento così sola.
Per questo ho deciso che sarà meglio andare.
Non voglio continuare a vivere con quest'ansia. Non avrebbe significato.
E allora scapperò. Forse c'è una soluzione. Magari sono questi posti, queste strade..
Magari è anche solo Jin che risveglia quel ricordo.
Ma c'è qualcosa, un'irrefrenabile voglia, di dire tutto.
Perché forse, ho sentito dire, che scrivendo su fogli di carta le nostre paure, un po' di quell'ansia che abbiamo se ne va.
Ma come posso raccontare quel che è successo sette anni fa?
E se Jin si arrabbiasse con me?
Sento ancora quell'odore, sai. Jin, lo sai? Sento ancora quell'odore di sangue.
Non sono più riuscita ad amare. Non mi sono mai più innamorata.
E ora c'è Misata, e tutto è diverso. Mi ha di nuovo aperto gli occhi, mi ha fatta sognare.
Dopo quasi otto anni. Jin, ora posso quasi dire di star bene.
Ma questo star bene, allo stesso tempo, mi fa male. Mi fa sentire in colpa.
Non posso sorridere, Jin. Non posso sorridere se sento ancora l'odore di sangue, se vedo ancora quegli occhi imprecare pietà.
Di chi è la colpa? A volte credo sia tua, Jin. A volte mi vengono in mente le tue parole, e le mie grida. E allora penso che sia stato tu a portarmi a tutto questo. Ma poi capisco che sono accuse infondate.
Che la causa sono io. La causa di tutte le mie sofferenze, tutti i miei dolori.
Ho ucciso un uomo, Jin. E tu eri lì con me. Non mi hai fermata, perché hai sempre creduto che tutto quello che facessi io fosse giusto. Eppure l'ho ucciso, e me ne sono pentita. Darei qualsiasi cosa per tornare indietro.
Non me ne capacito io stessa.
L'ho ucciso, Jin. L'ho ucciso perché mi aveva tradita. E perché io lo amavo alla follia. E lui, lui mi aveva detto che era finita. Che stava con un'altra.
Ma io avevo solo diciassette anni, sai?
E non ho più saputo amare.
Mi faccio male da sola, Jin.
Mi nascondo. Questa maschera mi sta troppo stretta ormai.
Perciò ho deciso di scappare.
Non so dove, ma ci dev'essere un posto dove tutto è tranquillo, no? Un posto simile al paradiso. Ci sarà?
Prometto che te lo dirò. E per quanto riguarda Misata, non voglio mettere in pericolo le persone che amo.

Ti voglio bene, fratellino. Ti amo con tutto il mio cuore.

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Capitolo 9
*** Vicino al fiume ***


Trovammo il diario di Mona buttato sul suo divano, con le pagine aperte.
Mona era sparita. Non si faceva viva da giorni. Eravamo tutti in preda ad un'angoscia tremende, vivevamo col terrore, con la disperazione di inimmaginabili paure.
Dove sarà? Con chi? Cosa starà facendo? Sarà in pericolo? O sarà felice?, queste erano le domande che più ci tormentavano.
Finché, dopo due giorni, decidemmo di andare a casa sua.
Pensavamo fosse partita all'improvviso per lavoro, e che presto ci avrebbe chiamati.
Ma, quando entrammo in casa sua, ci fu qualcosa, come una presenza, che ci avvertì che non era così.
Tutto era abbandonato, triste.
La casa era vuota. E faceva male.
Eravamo zitti, non fiatavamo. Avevamo paura addirittura a guardarci. La prima cosa che pensammo? Era stata rapita.
"Hanae, tu cerca qualcosa qui, io vado in camera da letto" mi disse Jin.
Misata piangeva, sfogliando i libri di Leopardi. Piangeva, e si metteva le mani nei capelli.
Così, insieme a lui, cercai nel salotto.
E trovai il suo diario.
"Qui c'è qualcosa" dissi allarmata.
Misata si girò di scatto e venne subito verso di me. "Fa vedere", mi prese il diario.
Jin arrivò di corsa. "Avete trovato qualcosa?" chiese.
"Forse". Ero molto preoccupata.
Misata si sedette sul divano.
Al piegarsi di quel materasso, ricordai di un paio di giorni prima, quando io e Mona chiacchieravamo proprio lì, sorseggiando una tazza di tè.
Quando Misata finì di leggere rimanne immobilizzato.
Era come shockato. "Cosa c'è scritto, Misata? Cosa dice?" chiesi.
Jin era preoccupato. Misata lo guardò.
"Tu.. tu sei un traditore" disse.
In quel momento, i miei pensieri si dilatarono talmente tanto, che non ci capii più niente. Tutto era una confusione tremenda, illusioni su illusioni, tradimenti, bugie.. Non avevo mai immaginato nulla di tutto ciò.. Mi sentii sola, senza scopi, usata. Ma non ci potevo credere. Jin non avrebbe mai tradito nessuno. Almeno non noi.
"Misata.. Misata, ascoltami" Jin balbettava. "Quello che è successo sette anni fa, è acqua passata, capisci? Ora cercheremo Mona e.. vedrai, si aggiusterà tutto" disse in preda al panico.
Io ero sfinita. "Mi volete spiegare cosa sta succedendo? Di cosa parlate?". A malapena riuscii a pronunciare quelle parole.
"Lui.. lui non ce l'hai mai detto. Neanche ora, perché non ce l'hai detto?" disse riferendosi a Jin. "Perché?!" urlò.
Le voci si fecero confuse. La mia testa vacillava. "Perché?" continuavo a sentire. "Ha ucciso.. lei.. tu c'eri..". Sentivo solo voci sperdute.
Gli occhi cominciarono a chiudersi e, quasi inconsciamente, caddi a terra, sbattendo la testa.

 

"Mona è morta". Sedevo nella stanza d'aspetto di un ospedale e accanto a me c'era Jin, e quella era la sua voce.
L'avevano trovata senza vita vicino al letto del fiume Arakawa. Si era uccisa.
Le pagine del diario dicevano chiaramente che se ne sarebbe andata, ma evidentemente, per andarsene lei intendeva ben qualcos'altro.

"Perciò ho deciso di scappare.
Non so dove, ma ci dev'essere un posto dove tutto è tranquillo, no? Un posto simile al paradiso. Ci sarà?"

Non riuscii a piangere, ero troppo sconvolta. La botta alla testa mi aveva causato alcuni problemi sonniferi, e avevo dormito due giorni interi.
Non chiesi altre spiegazioni a Jin, sull'uccisione di quell'uomo. Mi aveva già detto abbastanza, e io non volevo sapere altro.
"Misata come sta?" chiesi lievemente. Avevo paura di dire cose inopportune.
"Male, non vuole ascoltarmi. Sto cercando di parlargli, da amico.. Ma non se ne parla neanche". Era dispiaciuto. Davvero tanto.
"Te la sei cercata, Jin. Te la sei cercata tu".
Avevo un tono duro e distaccato. Non potevo credere a quello che aveva fatto Mona. E Jin, nonostante tutte le belle parole, i baci, le carezze, il rapporto che si era instaurato, non mi aveva mai detto niente.
Non sapevo cosa pensare. Ero in uno stato confusionale troppo più grande di me. E, a quanto i proverbi dicono, chi vince in amore è colui che fugge.
Ma non era solo l'amore, questa volta. Era anche l'amicizia. Il dolore che una persona se ne fosse andata, in un modo diverso da come l'avevo conosciuta. E la sofferenza di qualcun'altro, che piangeva giorno e notte per la rabbia e la delusione.
Misata aveva amato Mona. E, a parer mio, l'amava ancora.
Jin mi guardò triste. "Hanae, non mi abbandonare anche tu.. Il segreto di Mona, era solo suo, capisci? Non volevo influenzasse nessuno, neanche la nostra storia.." mi disse.
Pensai a quelle parole, e a tutto quello che era successo in quegli ultimi mesi. Avevo voluto bene a persone che mentivano. Mentivano della loro vita. Erano persone a cui, nonostante le conoscessi da poco tempo, avrei dato tutto. E loro, in quel modo, ci avevano ingannati, a tutti.
"Sono stanca, vado a riposare un po'". Riuscii a dire solo questo. E alzandomi, lo salutai con la mano. Poi uscii dalla stanza.

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Capitolo 10
*** Quando la fine avanza ***


Il funerale di Mona fu terribile, ma passò in fretta, e anche se amavo Jin, mi tenni a distanze limitate da lui.
Giorni prima, mi era venuto a trovare in ospedale. E io non avevo saputo di nuovo mentire.
Gli avevo detto tutto.
"Io non so cosa mi succede dentro. Ma non posso, capisci? Non ci riesco. Non ci riesco a guardare la persona che amo, e che credevo mi dicesse completamente tutto, che non mi nascondesse nulla, e invece sapere che in questo senso mi ha tradita.
E non hai tradito solo me, Jin. Hai tradito tutti. Me e i miei, i nostri, amici. Voglio bene a Misata come a un fratello.
E non posso fare a meno di capirti. So che non avresti mai potuto andare a spifferare in giro che tua sorella ha ucciso un uomo.. Ma capisci anche me, Jin.
Non posso, non ci riesco. Ho un vuoto dentro di me che chiude tutto. Mi sforzo di pensare quale sia la cosa migliore da fare, e faccio di tutto per arrivare a credere che sia stare con te. Ma a quel punto, la mia mente è come se rigettasse quel pensiero, e non riesco più a pensare. E non credere che per me tu sia un nullafacente o  un traditore. Tu sei sempre la persona che amo, e non lo scordare. Ma ora non ce la faccio."
Fu questo ciò che gli dissi.
Sentivo le cose cambiare, sfocate. Mi sembrava di essere dentro a un film, dove i fatti accadono velocemente e senza preavviso.
Forse, l'unica spiegazione è che avevo paura. Che non avevo mai vissuto un suicidio così da vicino. E allora mi faceva paura.
Speravo solo che tutto passasse in fretta. Che i timori sparissero, e tutto finisse.
La mia vita da ventenne si stava complicando, e non riuscivo più a reggerla.
Tutto mi sembrava superasse i limiti che potevo sopportare. Era come un peso opprimente che mi soffocava.
Avevo perso le mie certezze. Jin, l'uomo che amavo, e i miei amici, che in quel momento erano troppo occupati a pensare al cuore infranto di Misata.
E allora, così per caso, in un pomeriggio di dicembre ormai gelido, quando ormai mancavano pochi giorni a Natale, pensai a tutto ciò che mi era capitato negli ultimi nove mesi.
La notte con Eisen, le sue parole dolci, il cafè in centro a parlare dei suoi problemi amorosi.. E poi la sera al ristorante, quando conobbi Eisen. I nostri pomeriggi nelle librerie, a casa sua sdraiati a leggere migliaia di libri. I venerdì pomeriggio in palestra insieme a Saki e Mona. Insieme a una persona che ora non c'era più. E poi mi venne in mente il concerto il 22 novembre a Rappongi, il ritorno in macchina e sempre in più in fretta apparvero le immagini di Misata ed io che parlavamo dei problemi di Mona, poi i libri di Leopardi, la paura che Mona fosse sparita.. e l'ospedale.
Ero lì, nella mia camera, da sola senza nessuno che mi potesse confortare. E avevo bisogno di parlare con qualcuno, chiunque. E, contemporaneamente, il pensiero che non potevo continuare a fuggire da Jin, mi attraversò la mente in un baleno.
Mi vestii, passai per la camera da pranzo, salutando frettolosamente mia madre e corsi giù per le scale, senza neanche prendere l'ascensore.
Andavo da Jin, e questa volta mi ero decisa.

 

Andai da lui. Parlammo, parlammo molto. Gli parlai della mia decisione, ed accettò.
L'avevo lasciato, avevo lasciato tutto.

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Capitolo 11
*** Come la neve ***


**Ho intitolato così questo capitolo per ricordare una persona che mi ispirato Eisen, che, per me, è come la neve. Fredda, gelida, presente solo in inverno..**


Diciotto mesi dopo.


17 Settembre, Venezia

Cara Hanae,
sono passati già diciotto mesi dal Natale dei nostri vent'anni, e se devo ammetterlo, sono felice che tutto sia finito così in fretta, anche se avrei voluto continuare a vederti per più tempo.
I viaggi che ho intrapreso mi hanno aiutato a vincere la tristezza, e mi sono rifugiato nei libri (come sempre, dirai) e nella pittura. Sono molto bravo a dipingere, l'avresti mai detto?
Ho conosciuto molte persone, durante i viaggi. Sono stato nelle Filippine, in Nuova Zelanda e in Grecia.
E ora invece sono qui a Venezia, in Italia. Ho conosciuto degli artisti niente male, sono tutti bravissime persone, ma ce ne sono pochi giovani come me.
Nelle Filippine però, ho conosciuto un bambino. Si chiamava Tanai, ed era speciale, davvero speciale. Mi ha ricordato un po' Mona. Quegli occhi grossi e la pelle scura.
Mi manca Mona, mi manca non sentirla per telefono, piangere o ridere. Mi manca il suo profumo, le sue parole da sorella maggiore. E mancano anche a te, lo so.
Ma ho capito che questo è l'andare della vita, è la via che ognuno di noi percorre.
Sono rimasto solo al mondo, non ho più nessun parente a cui essere legato.
Potrei definirmi libero, scollegato da ogni legame che avrei potuto avere con i miei familiari. Ma ho sempre amato la mia famiglia, e nonostante abbia perso tutti, l'amerò per sempre.
Mi hanno lasciato solo, ma ho imparato a difendermi senza l'aiuto di nessuno.
Non avere legami di sangue è duro, molto duro, ma a volte, le persone che non ti hanno seguito per tutta la vita vivendo con te ventiquattro ore su ventiquattro, possono essere più vere e sincere dei tuoi familiari.
Ho ricevuto la tua ultima lettera pochi giorni fa. Quando l'ho aperta ero insieme a una signora. Si chiama Anna, ed è una grande poetessa. Ha scritto anche molti racconti.
Per questo, le ho chiesto il suo parere. Il parere di una scrittrice professionale, riguardo a te, scrittrice apprendista.
Leggendo la tua lettera, ha detto di aver capito che sei una persona con un grande cuore, e che, pur di non farti male, preferisci far male agli altri. Ma ha aggiunto che non è una brutta cosa, perché è nella tua natura e comunque, bisogna sempre pensare prima a sè stessi.
Ha detto che le piacerebbe incontrarti, sai? "E magari leggere anche qualche suo scritto", ha aggiunto. Quella donna è come se ti volesse bene senza averti mai conosciuta.
Sono contento che tu abbia altri amici oltre a Saki e Misata, e la notizia che Jason sia tornato in America per cercare i suoi parenti mi ha colpito di sprovvista.
Il tuo nuovo lavoro non è molto allettante, hai ragione, ma come hai detto tu ti permette di andare avanti con l'università. Vorrò venire a prendere un caffè al bar in cui lavori, un giorno. Posso, o ti imbarazza farti vedere con il vestitino da brava cameriera? Sarai uno splendore, ne sono certo.
Tornerò presto in Giappone, o almeno credo. Forse tra due mesi, o tre, o quattro.
Ma tornerò, e quando sarà il momento ci vedremo, andremo in una di quelle librerie di Jimbo-cho, e compreremo tanti di quei libri per leggere fino alla nausea.
E' un mio sogno, Hanae, ci tengo davvero.

Con affetto e rispondi presto,
Jin.


_________

Camminavo per le strade di Tokyo, le strade che percorrevo da ventidue anni ormai, e leggevo attentamente, sorridendo, la lettera di Jin. Eravamo rimasti buoni amici, dopo la sua partenza.
Non ci vedevamo ormai da un anno e mezzo, esattamente il tempo che era passato dal dicembre dei miei vent'anni.
Erano cambiate tante cose, e sembrava passata un'eternità.
Ero uscita da poco di casa, pronta per andare a fare alcune compere per il sabato che si stava avvicinando. Sarei andata nel quartiere di Rappongi, dopo tanto tempo, insieme alle mie amiche dell'università. Un sabato sera come quelli della serata con Eisen, che avevo ripreso a fare solo dopo la partenza di Jin.
Sì, camminavo per quelle strade di Tokyo, che calpestavo ormai da ventidue anni.
E sorridevo. Ingenuamente, sorridevo. Sorridevo perché sapevo che Jin mi voleva ancora bene. Mi voleva bene, da amico. E sapevo che Saki era ancora vicina a me, e anche Misata. E Misata aveva una nuova ragazza, e la amava alla follia.
C'era tutto, o quasi.
Tutto quello che potevo volere.
Lavoravo in un bar del centro come cameriera per aiutarmi con i soldi dell'università, ma non smettevo di scrivere il racconto che avevo in mano ormai da due anni.
Avevo dato un netto taglio molto drastico ai miei folti capelli che un tempo furono, e ora riuscivo a malapena a farmi una codina imbarazzante. Ma quello che più stupiva la gente era che avevo mantenuto la mia promessa di ragazzina: "Un giorno, mi tingerò i capelli di verde".
Avevo cambiato completamente look, e nel raccontarlo per lettere a Jin si era preoccupato seriamente del mio stato mentale.
Però, nonostante tutta la gente mi squadrasse, mi trovavo bene con i capelli di un verde accecante. E Saki e Misata erano gli unici che potevano capire.
Attraversando il ponte del fiume Arakawa, provai una certa tristezza, ma subito dopo, nel vedere la mia nuova amica dell'università venirmi incontro, quella tristezza sparì.
Forse, pensai, è davvero la volta buona.. forse la ferita nel mio cuore si è chiusa; forse, sto guarendo.
Fu questo che pensai. E nel salutare la mia amica, trovai una nota di commozione nelle mie parole.
Sì, ero davvero felice.


_________


Capitò di nuovo.
Mi trovavo di nuovo in quel letto. Lo conoscevo, ma non ricordavo bene. Le lenzuola erano morbide, pulite. La camera era buia. E accanto a me c'era un ragazzo.
Era girato di spalle, perciò non lo vidi in faccia.
Ma dalle spalle, dai lineamenti della schiena e dai capelli, riuscii a capire chi era.
Era di nuovo lui. E quella era la stessa stanza. Lui era sempre lo stesso, ma ero io quella diversa.
Lo svegliai. "Eisen?" dissi a bassa voce.
Si voltò verso di me, e mi guardò sorridendo, stirandosi le braccia. Era quello il suo movimento mattutino.
"Ciao, sono di nuovo io, Hanae" gli dissi.
Mi aspettavo tutte le reazioni possibili immaginabili. Grida, pianti, disperazione, rabbia. Sarebbe stato anche capace di buttarmi fuori di casa così com'ero.
E invece cosa mi disse? "Lo so". E sorrise.
"Lo sai?". Ero stupita.
"Sì lo so, ti ho subito riconosciuta. Ti stanno bene i capelli verdi, complimenti".
Sbuffai. "Sei un imbroglione!" dissi scherzando.
Cominciammo a giocare, e fu come se non l'avessi mai odiato.
Come se non fosse successo nulla in quegli ultimi diciotto mesi. Come se l'ultima cosa che ricordavo fosse la notte passata con lui la prima volta.
"E ora cosa facciamo?" gli chiesi.
"Ora.. ora siamo amici".
"Amici?"
"Sì, amici"
"Va bene".


Due giorni dopo Eisen mi stupì.
Mi era venuto a prendere al lavoro, e ora eravamo nella sua auto.
"Hanae, posso chiederti una cosa?" mi disse.
"Certo, che c'è?"
"Ecco, devo partire per delle gare di atletica, in Norvegia. Ed ecco, mi chiedevo.. mi chiedevo se ti andasse di venire con me"
Sorrise. Gli occhi mi brillarono pieni di speranza. Ero felice.
"Eisen, ti ho sempre considerato uno stupido ignorante che andava solo avanti per i soldi, ma questi due giorni.. mi hanno fatto capire tante cose, e non penso più nulla di tutto ciò che pensavo prima su di te. Quindi, la risposta mi sembra ovvia, quando si parte?" dissi sorridendo.
Mi guardò con gli occhi che un tempo mi avevano fatta innamorare.
"Il tempo di salutare amici e parenti, e dopodomani sfrecciamo nel cielo".

______

Se io ed Eisen ci mettemmo insieme? Fummo amici, o forse più che amici, certo.
Ma quei giorni in Norvegia non li scorderò mai.
Furono i giorni più belli della mia vita.
Pensai che, un anno e mezzo prima, non avrei mai pensato che nei giorni che non dimenticherò mai sarebbe stato presente Eisen. Eppure, in mezzo alle montagne e al gelo, passammo dei momenti fantastici.
E, scrivendo a Jin, gli rivelai il pensiero che più mi stupiva: il periodo in cui avevo conosciuto Jin e Mona era iniziato con Eisen. Ed ora, i miei dolori e le sofferenze che la conoscenza di Jin e Mona mi aveva portato, erano finito.. con Eisen.

Fine

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