A Time For Love

di Nikki_killjoy_darkside___
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione - This is the real,, this is Me! ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - We will never sleep... ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Love the way you lie ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - When it rains ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Just boiling in my blood. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 – Feeling Good ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Born for this ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - That's what you get... ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Miserable at Best ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Bring Me to Life ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - It's not easy love... ***



Capitolo 1
*** Introduzione - This is the real,, this is Me! ***


Introduzione – This is the real,, this is Me!

A volte nella vita capita di innamorarsi, a volte si fa di tutto per farlo capitare.

Molto spesso amiamo qualcuno che non ricambia, o siamo amati da qualcuno e non ricambiamo.

A volte capita di innamorarsi della persona sbagliata, capita di sprecare tempo per persone che non ti amano e che mai lo faranno.

Poi, più raramente, capita di rendersi conto di amare una persona che ci è sempre stata accanto, a cui noi non abbiamo mai fatto caso.

Nel mio caso, è capitato tutto ciò che ho elencato.

Mi presento: il mio nome è Nicole, ma tutti mi chiamano Nikki.

Sono una quattordicenne che cammina per le strade di un piccolo paese dimenticato da tutti indossando tutù fluorescenti e top leopardati e ascoltando un tipo di musica in cui i cantanti urlano e basta.

La gente mi ha sempre reputata come una ragazza con qualche rotella fuoriposto, forse per il mio modo di vestire, o per la musica che ascolto. E io con il tempo ho finito per dargli ragione.

Sono timida, silenziosa e introversa, di difficili gusti e con un cervello talmente complicato che a volte faccio fatica anche io a capirlo.

Mi piace stare da sola, e quando lo sono adoro pensare e sognare ad occhi aperti immaginando avvenimenti che non accadranno mai. Li chiamo film mentali, io.

Amo piangere fino a prosciugarmi gli occhi, ridere e urlare fino a rimanere senza fiato. Le emozioni forti sono le mie preferite.

Ma basta parlare di me.

È ora di raccontarvi la mia storia.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - We will never sleep... ***


Capitolo 1- We will never sleep, cause sleep is for the weak. And we will never rest, 'till we are fucking dead!

Dicembre. Domenica mattina. Ore 9:30.

“We will never sleep, ‘cause sleep is for the weak.

And we will never rest, ‘till we are fucking dead!”

Fu l’urlo del cantante dei Bring Me The Horizon a svegliarmi di soprassalto dal sogno stupendo che stavo facendo:

Sono sull’altalena del parco sotto la luce del tramonto, con le cuffie alle orecchie ascolto la mia canzone preferita, immersa nei pensieri. Alle mie spalle arriva lui, mi ruba le cuffie e inizia a correre. Lo rincorro fino a che inciampa e finisco per cadergli addosso sull’erba del prato. Mi fa il solletico, e iniziamo a rotolarci nell’erba e a ridere come due ragazzini piccoli. Ci alziamo, passeggiamo mano nella mano per il parco fino a che non cala la notte. Ci sediamo su una panchina, mi prende il viso tra le mani, mi guarda negli occhi, mi bacia.

Che cosa stupenda. Quel sogno ero abituata a farlo da circa due anni, ma ogni volta che lo facevo era come se fosse la prima.

Con gli occhi ancora chiusi, allungai il braccio sul comodino e con la mano cercai a tentoni il pulsante per spegnere la sveglia.

Avrei accettato con piacere di rimanere ancora a letto per prolungare quel sogno all’infinito, ma subito mi tornò in mente che giorno era.

«AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!» scesi urlando dal letto.  Presi in mano il cellulare e chiamai di corsa Valeria.

«Pronto?» rispose lei col la voce di una che stava ancora dormendo profondamente.

«AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH» urlai.

La poverina sussultò e si svegliò definitivamente. «Oh mamma, Nikki, CALMATI!»

«Ma oggi è, oggi è...» ero così agitata che non riuscivo nemmeno a dirlo.

«OGGI È IL GRANDE GIORNOOO!» continuò lei urlando.

«Sii! Ehi bagascia, dovresti già essere qui, lo sai vero?»

«Sto arrivandoo!»

Riattaccai.

Finalmente il giorno tanto atteso era arrivato...

Corsi in bagno super eccitata. Mi feci una doccia, mi lavai i denti e cercai di pettinare i miei capelli, che assomigliavano più a un nido di uccelli.

Quando tornai in camera la mia migliore amica mi stava già aspettando seduta comodamente sul letto.

Si chiama Valeria, e per lei sarei disposta anche a strapparmi il cuore dal petto.

Quella ragazza così piccola, era un concentrato di energia e simpatia. Era sempre stata presente, disposta a difendermi e a starmi ad ascoltare. Una delle poche persone che mi conoscevano veramente, una delle poche che non mi reputava una pazza esaurita.

Bassa e paffutella, aveva i capelli lunghi fino alle spalle, leggermente mossi, di un castano brillante. E gli occhi vispi mi guardavano impazienti di cominciare il mio makeover.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Love the way you lie ***


Capitolo 2 -  Love the way you lie

Domenica pomeriggio.

Era molto che aspettavo quel momento.

Dopo un’intera giornata dedicata ai preparativi per quell’occasione così importante, tra shopping e parrucchiere, finalmente avrei potuto incontrare il ragazzo dei miei sogni.

Il fortunato si chiamava Lorenzo, e mi aveva fatto perdere la testa dalla prima volta che l’avevo visto, due anni prima.

Naturalmente, essendo una goticona sfigata, lui non mi aveva mai notato. Era troppo occupato con la sua ragazza, la più carina della scuola.

Ma, dopo due anni passati ad aspettarlo, finalmente la mia occasione per farmi notare era arrivata: Valeria era riuscita a farmelo incontrare, quello stesso giorno, alle 4:30 alla pista di pattinaggio del centro commerciale.

Erano le 4:50 e lui non si era ancora fatto vivo.

“Cavolo ma che fine ha fatto?” pensai mentre guardavo nervosamente l’orologio.  Lo facevo in continuazione, come per accelerare il tempo.

“È in ritardo! Vabbè, intanto faccio il biglietto.”

Arrivai alla bancarella e mi sporsi in avanti per controllare che ci fosse qualcuno. Notai subito la commessa seduta su una panchina, che ruminava una cicca e spettegolava al cellulare. Tossii rumorosamente per attirare l’attenzione della ragazza, che riagganciò il telefono stizzita e si trascinò nella mia direzione.

«Ciao» si lagnò iniziando a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli stinti e crespi «Posso esserti utile? » chiese cercando di essere gentile, ma era chiaro che fosse infastidita.

«Si, grazie» risposi cordialmente «Vorrei un ingresso per un ora e un paio di pattini numero 38»

Si allontanò per troppo tempo, facendomi seriamente pensare all’idea di riempirla di botte. Al suo ritorno aveva un paio di pattini in una mano e un biglietto nell’altra. Notò la mia fretta, e come per farmelo apposta, avvicinò le braccia fin troppo lentamente al bancone per appoggiare la roba.

Era snervante. Gli strappai i pattini dalle mani e lasciai i soldi sul bancone, senza nemmeno aspettare che mi facesse lo scontrino. Mi diressi velocemente nello spogliatoio e cercai di infilarmi i pattini, che naturalmente erano troppo stretti. Lasciai perdere il numero in meno, e iniziai a camminare come un’impedita sul tappeto che portava alla pista. Entrai in pista bofonchiando di tornare per pestare quella cretina della commessa, e mi appoggiai sul bordo ad aspettare.

5:00.

5:10.

5:20.

5:30.

Era un ora che aspettavo, e l’altoparlante che chiamava il mio nome a tutto volume diceva che il mio turno era finito. Oramai non avrei avuto più alcuna possibilità con Lorenzo, visto che non si era presentato all’appuntamento. Mi diressi controvoglia verso l’uscita, quando vidi qualcosa che non avrei voluto vedere…

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - When it rains ***


CAPITOLO 3 -  When it rains.

Al di là della finestra della pista, sotto la pioggia, c’era lui, Lorenzo.

Era abbracciato a una ragazza e si stavano dando un bacio. Il MIO bacio.

Mi immobilizzai, rimasi a fissarli.

Con un flashback mi passarono davanti tutte le immagini di quegli ultimi due anni della mia vita passati ad amarlo: tutte le volte che l’avevo visto, tutte le volte che il mio cuore era battuto così forte da sfondarmi il torace, tutte le volte che avevo avuto le farfalle nello stomaco, tutti i tentativi vani di parlargli, di farmi notare.

Che illusa che ero stata. Accecata dall’amore, non mi ero mai resa conto di non essere il tipo di ragazza che interessa ai bellocci come Lorenzo.

Mentre li fissavo, la mia testa vagava a ruota libera.

Immaginai di esserci io al posto di quella ragazza. Immaginai di trovarmi io tra le braccia di Lorenzo, con le sue labbra che si muovevano morbide sulle mie, mentre le gocce di pioggia ci inzuppavano dalla testa ai piedi.

Che sensazione stupenda, ma orribile allo stesso tempo. Quel film così bello fu come una pugnalata dritta al cuore. Ciò che mi divideva da colui che amavo era soltanto una finestra. Ma nonostante fosse così vicino, era comunque irraggiungibile.

Avrei voluto urlare a squarciagola, distruggere quell’insignificante lastra di vetro che ci divideva fino a raggiungerlo, e toccare la sua pelle bagnata dalla pioggia solo per sentirmi bene. Ma non sarebbe comunque servito a niente.

In cuor mio, sapevo benissimo che, anche se avessi trovato il coraggio di fare una cosa del genere, lui sarebbe rimasto indifferente... O ancora peggio, mi avrebbe respinto. 

E questo avrebbe fatto mille volte più male.

Sconvolta dal dolore, non riuscii a muovere un muscolo. 

Mi limitai a far scendere solo qualche lacrima sul mio viso.

Iniziai a pattinare per abbandonare al più presto quel posto terribile, cercando disperatamente il telefono nella borsa per chiamare Valeria. 

Ma mentre mi avvicinavo all'uscita, non guardai dove mettevo i piedi.

Grande errore.

Andai a sbattere contro un  ragazzo.

 Il cellulare mi cadde dalle mani, schizzò via sul ghiaccio e si frantumò in mille pezzi lungo il bordo della pista.

Non ebbi il tempo di dire niente, perché caddi anche io, e sbattei violentemente la testa contro il ghiaccio.

È tutto quello che ricordo.



**********************************************

Heilà gente, qui è l'autrice che vi parla! *7*
scusate se ci ho messo tanto a pubblicare questo capitolo, ma ho avuto qualche problemino con il computer e ho dovuto riscriverlo da capo .____.''
A presto (^^)/

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Just boiling in my blood. ***


CAPITOLO 4 – Just boiling in my blood.

A un certo punto, fu come se il sangue tornasse a scorrermi nelle vene.

Capii chiaramente che ero svenuta, e che, a giudicare dalla superficie morbida su cui mi trovavo, ero allungata sul lettino in infermeria. Oramai avevo imparato a riconoscerlo, visto che, da distratta quale ero, quando ero al centro commerciale  mi capitava spesso di sdraiarmi su di esso.

L’unica cosa che non mi era chiara era il motivo per cui mi trovassi lì...

 Aprii gli occhi di scatto e vidi riflesso sullo specchio vicino al lettino due figure.

La prima era infermiera Daisy, che camminava su e giù per la sala con le mani dietro alla schiena e un’aria preoccupata. La seconda era di un ragazzo seduto di fronte allo specchio, con le mani tra i capelli e il viso corrucciato per la preoccupazione.

Girai la testa di scatto e mi misi a fissarlo, cercando di capire chi fosse.

Lui alzò la testa, mi vide sveglia e si rasserenò.

«...Daisy?»

Gli occhi della signora guizzarono subito su di me.

«Oh, si è svegliata.» disse sollevata. Mi aveva visto parecchie volte conciata male, ma non così male.

Cercai di alzarmi, ma la testa mi ricadde inerme sul lettino. Mamma mia quanto girava!

«Mh la testa!» mi lamentai.

In pochissimo tempo il ragazzo attraversò la stanza e mi si parò davanti:

«Ciao, come ti senti?» disse preoccupato, e poi continuò senza darmi il tempo di rispondere «Mi dispiace di esserti finito addosso... Io, io non stavo guardando dove andavo…» era mortificato.

«C-cosa è successo?» dissi frastornata.

«...non ti ricordi nulla? Stavi pattinando e ti sono venuto a sbattere contro...»

La scena della mia testata sul ghiaccio freddo della pista mi balenò in mente. Cercai di dirgli che stavo bene e che era stata colpa mia, ma la voce mi rimaste strozzata in gola.

Lui continuò: «Mi dispiace davvero moltissimo… Comunque, piacere, io sono Andrea, ma tutti mi chiamano Andy» disse timido, e mi porse la mano per aiutarmi a sedermi.

Accettai l’aiuto con piacere, e quando riuscii a mettermi seduta, mi venne un po’ di nausea. La testa non voleva smettere di girare.

Strinsi la mano ad Andrea e mi presentai, anche se ero un po’ frastornata «Piacere, io sono Nicole, ma tutti mi chiamano Nikki» dissi imitando il suo tono di voce.

Sorrise.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 – Feeling Good ***


Capitolo 5 – Feeling Good

Appena riuscii a mettere in fila qualche parola e a formare una frase di senso compiuto, cercai di spiegare ad Andy che era stata tutta colpa mia.

Naturalmente, lui non si dava per vinto, e continuava a sostenere che fosse stato lui il cretino che non aveva guardato dove aveva messo i piedi.

Quindi, passammo la successiva mezz’ora a battibeccare su chi fosse il colpevole.

Dopo un po’, qualcuno tossì infastidito.

Ci girammo all’unisono e ci rendemmo conto che Daisy ci fissava da parecchio tempo con la faccia di una che voleva suicidarsi.

Scoppiai a ridere, e lei mi guardò male.

«Beh, ora che non mi gira più la testa mi sento mooooolto meglio. Posso anche andarmene.»

Feci per alzarmi, ma Andy mi bloccò.

«Scusa Nikki, ma dove hai intenzione di andare?»

«Sto bene! Posso tranquillamente tornare a casa!» protestai.

«Oh poverina, ha sbattuto la testa, non sa quello che dice» disse ridendo.

«Mi prendi per il culo? Sto benissimo!»  dissi dimenandomi inutilmente dalla sua presa ferrea che mi teneva inchiodata al lettino.

Si fece un attimo pensieroso, poi il suo viso si illuminò e si stampò un sorriso ironico sulla faccia, uno di quelli che si fanno quando si cerca di ragionare con una ragazzina capricciosa.

«E va bene, ti lascerò tornare a casa… Ma ad una condizione: ti accompagno io» disse soddisfatto.

Lo guardai sbigottita, poi scoppiai a ridere.

«Ahahah TU ahahah VORRESTI ahahah RIACCOMPAGNARMI A CASA? Ahahah qua l’unico che non sa quello che dice sei tu ahahah» dissi, e poi saltai giù dal lettino.

Mi infilai le vans, il giubbotto e feci per andare a prendere la borsa, ma lui mi bloccò la mano.

«Tu non vai da nessuna parte! Hai preso una botta violentissima in testa e sei rimasta svenuta per 2 ore, e ora pretendi di tornartene a casa DA SOLA? E se mentre cammini svieni di nuovo e ti investe un tram?» disse facendo finta di essere preoccupato.

Non potei fare a meno di non ridere alla cosa del tram.

«Okay, hai vinto.» mi arresi «Puoi riaccompagnarmi a casa.» 

Lui sorrise soddisfatto e mollò la presa sulla mia mano.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Born for this ***


CAPITOLO 6 -  Born for this

Il tragitto verso casa non fu lungo, e nell’autobus mezzo vuoto ne approfittammo per fare conoscenza.

«Parlami di te» mi disse «Quanti anni hai? Sei di queste parti? Dove vai a scuola? I tuoi hobby?» stava per chiedere qualcos’altro ma io lo interruppi.

«Ehi ehi ehi, con calma! Che mi stai facendo, il quarto grado?»

Rise, ma poi tornò serio. Incrociò le braccia e disse con fare da sergente dei marines  «Signorinella, non ha ancora risposto alle mie domande!»

Ridemmo entrambi.

«Agli ordini» dissi, portando la mano destra sulla fronte a mo’ di saluto militare.

«Vediamo… Mi chiamo Nicole, ho 14 anni, vivo qui a pochi chilometri dal centro commerciale e frequento il primo anno del liceo linguistico...»

«Linguistico?»

«Già, linguistico.»

«Io avrei detto artistico, chissà perché...» era sovrappensiero.

«Oh, artistico. Me lo dicono tutti, sai? Forse perchè sembro strana...» mi rattristii.

«...strana?» ora era scettico.

«Già, strana. Tutti mi reputano una tipa strana... Forse per il mio abbigliamento o forse per la musica che ascolto... Magari lo sono realmente!» dissi facendo finta di essere divertita, ma in realtà mi aveva ferito il fatto che anche Andy fosse esattamente come tutti gli altri. Abbassai la testa e mi spostai una ciocca di capelli dietro un orecchio per camuffare la lacrima che mi stava rigando il viso.

Lui si accorse subito del mio cambiamento d’umore: «Oh, ma che cretino che sono, non la chiudo proprio mai quella cavolo di bocca che mi ritrovo! Io... M-mi dispiace...» disse triste.

Sentii il suo respiro avvicinarsi sempre di più... e poi tornate ad essere lontano.

«Ti va se adesso parliamo un po’ di me?»

Annuii senza alzare la testa.

Fece un respiro profondo prima di parlare: «Mi chiamo Andrea, ho 15 anni e anche io vivo qui. Frequento il secondo anno del liceo linguistico...»

Alzai la testa di scatto «...linguistico?»

«Già, linguistico...»

«È... strano. Conosco la maggior parte della gente di quella scuola, ma non ti ho mai visto...»

«Io si però.» mormorò con voce appena percettibile.

«Cosa?» dissi sorpresa.

«Niente, niente.» ora era lui ad essere triste «Beh, allora ti spiego la situazione: molti mi credono uno sfigato, altri un figo tremendo. Io mi reputo semplicemente uno che si distingue dalla massa, uno che ha un cuore per amare e una testa per pensare, a differenza di molte persone.» concluse freddo.

Beh, in fondo mi ero sbagliata sul suo conto, ed ora che lo vedevo triste davanti a me, un po’ mi sentivo in colpa.

«...hobby?» dissi sfoderando il mio miglior sorriso.

«Mah, passo la maggior parte del mio tempo scarabocchiando qua e la, sullo skateboard, oppure al parco con i miei amici a suonare o ad ascoltare musica.»

«OHOHOH, MUSICA! Ascoltarla è uno dei miei hobby, insieme a ballare e a farmi i film mentali... Che musica ascolti?»

Sorrise «Ecco uno dei motivi per cui mi danno dello sfigato, ma anche del figo tremendo: tutti dicono che quella che ascolto non è musica, ma solo un insieme di chitarra elettrica e di tipi che urlano come se avessero il mal di gola.»

Sentivo gli occhi brillarmi e il cuore accelerare i suoi battiti.

«...che te ne pare di Emo, Screamo e Deathcore?»

Lo guardai sbalordita, ero affascinata da quel ragazzo. «Cantanti preferiti?»

«Mh, vediamo… Escape the fate, My Chemical Romance, Black Veil brides, Bring Me The Horizon, Eyes Set To Kill...»

«AAAAAAAAH» urlai.

Tutti si girarono a guardarmi e noi scoppiammo a ridere.

«Sono anche i miei cantanti preferiti. Waaa ma allora non sono l’unica strana qui!»

Mi ero decisamente sbagliata sul suo conto. Stessi gusti musicali, stesso carattere. Era come se fossimo nati per questo: per conoscerci, per diventare amici. Era divertente passare del tempo con lui, e quando l’autobus arrivò alla fermata, ne fui un po’ dispiaciuta.

«Beh, ci si vede…» dissi imbarazzata scendendo dall’autobus.

«Quale autobus prendi la mattina?» chiese.

«Il numero 15» dissi confusa. Non sapevo dove volesse arrivare

«Bene, a domani mattina allora. » sorrise e poi l’autobus ripartì.

Rimasi impalata alla fermata dell’autobus bofonchiando un “a domani”, poi scrollai la testa e mi avviai verso casa.

***********************************************************************

Ehilà bella gente, Nikki_Toxic è qui presente! *imita Gabri Gabra*

Occhei, questa era pessima -w-''

Vvvolevo solo dirvi che, per vostra immensa giUoia(??) questo capitolo è stato più lungo!

"ECCERTO" direte voi, "sono settimane che non scrivi e volevi anche farlo più più corto 'sto fottuto capitolo?"

Voi avete ragione ma, tra  una traduzione d'inglese di qua e un 5 in matematica di la, non rimane molto tempo per scrivere çwç''

Vaaaaabbè, ma son cose che capitano! ùwù

Un bacio, a presto! (^^)/ 

-Un ibrido tra una papera e una patata. *w*

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - That's what you get... ***


a time for love - 7

CAPITOLO 7 -  That’s what you get when you let your heart win...

Dopo circa 200 metri mi trovai davanti alla villetta a schiera che era casa mia.

Cercai le chiavi nella mia borsa, aprii la porta e salii le scale. Solo pochi minuti e avrei potuto chiudermi  in camera mia, impasticcarmi di aspirine per farmi passare il mal di testa e chiamare Valeria, per raccontarle gli avvenimenti di quel pomeriggio: «Se non mi chiami appena rientri come minimo ti taglio quella testa cotonata che ti ritrovi!» mi aveva detto mentre si occupava del mio makeover.

«Ciao mamma» dissi mentre attraversavo il corridoio.

«Ciao tesoro, tutto bene?»

«Tutto nella norma, ho solo un po’ di mal di testa.»

«Vuoi che ti faccia un thè?»

«Nono, tranquilla, adesso mi prendo un’aspirina e mi passa.»

Non ho mai conosciuto una donna forte come lei. A meno di 30 anni, pochi giorni prima che io nascessi, aveva preso una batosta terribile con mio padre che aveva messo incinta un’altra alla prima occasione che gli era capitata. Lei ci aveva messo fin troppo tempo a digerire la cosa, ma una volta smaltita, era diventata indistruttibile e ancora più combattiva di quanto non fosse già. Purtroppo però, riprendersi da una cosa del genere l’ha fatta diventare cinica e bastarda un po’ con tutti.  Con tutti tranne che con me.

Alta e snella, se ne stava sul divano davanti alla stufa leggendo un buon libro, con i capelli castani raccolti in una crocchia disordinata, e Garfield - il nostro gatto rosso ed obeso - sulle cosce.

Entrata in camera chiusi la porta, schiacciai il bottone per accendere il computer e composi il numero di Valeria sul telefono di casa: "Meglio chiamarla, altrimenti si incazza sul serio...” dissi tra a me e me avvicinando il telefono all’orecchio.

«Pronto? Pronto? Ehilà, c’è nessuno? Nikki sei tu? Pronto?» era Valeria dall’altra parte della cornetta che parlava, ma io non le rispondevo.

Perché? Perché il mio fottutissimo computer si era acceso, e sul mio dannato Desktop era apparsa la foto di Lorenzo, decorata da cuoricini, che avevo come sfondo.

Il telefono mi scivolò dale mani, mentre tutto il dolore che la botta in testa aveva momentaneamente cancellato tornò a distruggere ogni singola particella di felicità del mio corpo.

Avevo dimenticato il dettaglio più importante: dovevo raccontarle tutto... di Andrea,  della pista, dell'ifermieria. Ma soprattutto del bacio di Lorenzo e di quella ragazza sotto la pioggia.

Le lacrime tornarono a rigarmi il viso come quel pomeriggio alla pista.

Avrei preferito che mi avessero strappato i capelli, che avessi sbattuto la testa contro il muro mille volte, che mi avessero estirpato il cuore dal petto a mani nude.

Avrei voluto fare qualsiasi cosa che mi avesse fatto soffrire più di quella scena che mi trivellava nella testa.

Mi buttai sul letto e scoppiai a piangere. Presi il cuscino e me lo misi davanti al viso per soffocare le urla di dolore che non riuscii a trattenere.

Sconvolta per gli strilli che erano arrivati alle sue orecchie, mia madre entrò nella stanza con la faccia di una che aveva appena visto un fantasma.

«Nikki, Nikki! Che ti prende?» chiese agitata.

Alzai gli occhi gonfi di lacrime dal cuscino che avevo ancora davanti alla faccia.

«È tutto finito, mamma» Il mio viso ricadde inerme sul cuscino macchiato di trucco nero.

Lei capì subito a cosa mi stavo riferendo. Si sedette accanto a me e iniziò ad accarezzarmi la testa per consolarmi.

 «Eh, amore mio, questo è quello che succede quando lasci vincere il tuo cuore...»

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Miserable at Best ***


Capitolo 8 – Miserable at Best

Caddi in depressione.

Passai la settimana seguente a piangere, non andai a scuola, non vidi nessuno, non risposi alle telefonate.

Stavo tutto il tempo a letto, con il cuscino in grembo, a fissare la parete con uno sguardo vacuo.

Una settimana dopo, decisi che per il mio bene, dovevo alzarmi dal letto e uscire. Quel giorno camminai per non so quanto tempo, senza una meta, fino a quando si fece buio.

 La mattina seguente mi alzai presto e ripresi la mia vecchia routine, solo per il gusto di farlo.  

Ero sempre, costantemente pallida, i miei capelli erano spenti, e oramai avevo anche smesso di truccarmi perché piangevo talmente tanto che puntualmente il trucco si scioglieva facendomi assomigliare ancora di più a uno zombie in calze a rete. Dormivo poco e male, e nel mio sonno non c’era l’ombra di un sogno.

Mi sentivo come se mi avessero strappato l’anima.

Andavo a scuola, ma non mi impegnavo. Me ne stavo seduta al banco completamente assente.

Le ragazze della mia classe parlavano solo del ballo di fine anno che la scuola stava organizzando. Per me erano sempre state delle caccole fastidiose, ma in quel momento più che mai. Le ignoravo e basta, proprio come loro avevano sempre fatto con me.

L’unica che sembrava preoccupata per il mio malumore, oltre alla mia migliore amica Valeria che però non frequentava la mia stessa classe, era Tomata, la mia compagna di banco.

Quella ragazza era un’altra delle poche persone che mi capivano veramente, probabilmente perché anche lei veniva reputata strana.

Magra e non molto alta, decisamente poco atletica, nascondeva la pelle chiarissima del viso sotto una foresta di capelli mori e ricci, e gli occhi castano scuri sotto una lunga frangetta. Nel complesso assomigliava più a un barboncino che a una 14enne.

Nessuno conosceva il suo vero nome, ma veniva chiamata Tomata perché in qualsiasi cosa mangiasse c’era la presenza di pomodori.

Tomata era molto simile a me, tranne per i gusti musicali e per il fatto che fosse lesbica. Era molto intelligente e introversa, ma con le persone a lei care diventava un’amica adorabile, che esprimeva la sua gioia saltellando. Amava stare da sola e il suo carattere era talmente complicato che solo io riuscivo a capirlo, perché era identico al mio.

Ogni giorno all’uscita di scuola, incontravo Lorenzo. Ma oramai mi ero messa l’anima in pace, e ogni volta che lo vedevo soffrivo un po’ di meno, anche se il cambiamento era impercettibile.

Dopo scuola prendevo sempre il solito autobus. Arrivata alla fermata tornavo a casa, pranzavo, facevo i compiti e mi infilavo in camera mia, da cui uscivo solo quando dovevo andare a danza.

Perfino mia madre non sapeva più che fare. Era disperata: ogni volta che mi vedeva o vagavo per casa bianca come un fantasma, oppure stavo sdraiata sul letto, con il cuscino in grembo a fissare il muro con lo stesso sguardo vacuo di sempre, ad ascoltare una sola canzone, sempre la stessa. “Miserable at Best” dei Mayday Parade.

Anche se non era esattamente il mio genere –quella canzone era TROPPO deprimente per i miei gusti- io non ci facevo proprio caso. La ascoltavo solo perché sapevo che fosse terribilmente triste e che mi aiutasse a deprimermi più di quanto non lo fossi già.

 

Ora che ci ripenso, in quel periodo ero parecchio masochista.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Bring Me to Life ***


Capitolo 9 – Bring Me to Life

L’unica cosa positiva di quei mesi trascorsi tutti allo stesso modo era Andrea.

Passare del tempo con lui era, come dire, rigenerante. Era un ragazzo così piacevole che riusciva sempre a sollevarmi un po’ il morale, nonostante il mio umore sotto i piedi. In un certo senso, mi aiutava a vivere.

Il lunedì in cui tornai a scuola, finite le lezioni, mi diressi verso la fermata dell’autobus. Lo trovai lì, seduto sulla panchina con lo sguardo perso nel vuoto e il viso corrucciato per la preoccupazione.

Mi avvicinai a lui e gli misi la mano sulla spalla cercando di sorridere.

Lui alzò di scatto gli occhi affranti verso di me e mi abbracciò forte, poi il suo viso si distese e disse sollevato: «Menomale, stai bene. Ero così preoccupato…».

Sciolse leggermente l’abbraccio per guardarmi in faccia, e notò subito che c’era qualcosa che non andava.

«Nikki, che hai?» chiese, era di nuovo preoccupato.

Una lacrima mi rigò il viso e scoppiai a piangere davanti a tutti come una cretina.

Iniziai a bofonchiare, e tra le parole confuse riuscii a fargli capire quello che era successo:

«Lo shopping... il parrucchiere... il make up...» mettevo insieme parole senza senso, ed a ognuna alzavo un po’ la voce «l’abbigliamento studiato nei minimi particolari... E niente!» urlai contro Andrea che mi guardava sbigottito «Non è servito a niente!»  

Ero in piena crisi: mentre lui mi stringeva contro il suo petto per consolarmi, io continuavo a bofonchiare «E poi la fretta, la commessa cretina che avrei voluto pestare di botte, i pattini troppo stretti, la pista, lui che era in ritardo, il suono dell’altoparlante che mi chiamava, il loro bacio, la botta, lo schermo del PC...»

Sciolsi l’abbraccio e mi allontanai guardandolo negli occhi «Io lo amo.» sussurrai «Ma lui l’ha baciata... Ti rendi conto?» urlavo di nuovo «Ci sarei dovuta essere stata io al posto di quella puttana!»

Stavo delirando, e in più stavo strattonando quel poveraccio di Andrea che non c’entrava niente con tutto quello che mi era successo.

«Nikki! Nikki! Calmati Nikki, così mi stacchi un braccio!» ripeteva mentre lo strattonavo come un’invasata. Poi, di punto in bianco, mi prese i polsi e li strinse, costringendomi a bloccarmi.

«Nikki, adesso calmati.» disse con tono deciso.

Lo guardai con occhi imploranti, poi, esausta, gli buttai le braccia attorno al collo.

«Shh, tranquilla piccola. Ora è tutto finito» cercò di consolarmi.

Lentamente riuscii a calmarmi e a placare i singhiozzi che mi partivano dallo stomaco. Rimanemmo abbracciati per non so quanto tempo, e mentre Andrea mi  accarezzava i capelli, io mi concentrai solo sulla sua voce che mi sussurrava all’orecchio “Ora è tutto finito”.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - It's not easy love... ***


Capitolo 10 - It's not easy love but you've got friends you can trust

Parte I

Da quel giorno iniziai a volergli veramente bene: il nostro legame si rafforzò e lui diventò il mio migliore amico. Era l’unico a conoscere il vero motivo del mio malumore cronico, l’unico sempre pronto a distrarmi dal dolore che oramai riempiva il mio tempo.

La maggior parte dei giorni, all’uscita da scuola, cercava di convincermi di non rintanarmi in camera mia, ma uscire con lui e andare in giro. Anche se, molto spesso, non ci riusciva.

Una volta, dopo scuola mi propose di andare al parco.

Io ero seduta ad aspettarlo sulla solita panchina, quando lui arrivò trotterellante con uno zaino enorme sulle spalle e un sorriso smagliante sulla faccia. Quanto lo invidiavo! Perché non potevo anch’io essere felice come lui?

«Ehilà Nikki! Dove andiamo di bello oggi?»

«Da nessuna parte. Oggi ho un sacco di compiti da fare e...»

«Ma non dire cazzate!» mi interruppe ridendo «Se fosse per te, saresti sempre piena di impegni e non usciresti mai di casa! Sai, te lo dico io dove andiamo. Oggi ti porto al parco»

«Non ho proprio vie di fuga, eh?» dissi esasperata alzando gli occhi al cielo.

«No, nessuna» sorrise soddisfatto.

Si vedeva chiaramente che gli piacevo, era troppo premuroso nei miei confronti. Non mi trattava come si tratta un’amica, lui mi adorava.

Io, però, non sapevo quali sentimenti provassi per lui: alla fine forse un po’ mi piaceva anche... ma accertarmene non era tra le mie priorità. Sarà anche da egoisti, ma io preferivo un amico che mi consolasse a un fidanzato. Anche se questo amico era interessato a me, e ciò significava farlo soffrire.

Prendemmo l’autobus che ci portò alla fermata della villa comunale. Scendemmo e ci avviammo verso il cancello principale.

Passeggiamo per almeno due ore, parlando di argomenti senza senso e ridendo come due scemi, o molto spesso senza dire niente.

A un certo punto il mio stomaco brontolò.

«Uhm, credo di avere fame...»

«Ti va una pizza in due?» disse con uno sguardo ammiccante.

«Certo, una pizza non si rifiuta mai!» risi «Ma dov’è che la andiamo a prend-» lasciai a mezz’aria la frase quando un delizioso odore di pizza margherita arrivò sotto il mio naso. Seguii con l’olfatto quel profumo così invitante, e mi ritrovai davanti agli occhi un chiosco per la pizza nuovo di zecca. «Oh, ecco» esclamai. Poi mi girai verso Andrea e lo guardai compiaciuta.

«Chi arriva per ultimo paga!» urlò. Poi poggiammo gli zaini a terra e iniziammo a correre.

 

Parte II

Dopo neanche cinque metri lo superai senza sforzo.

«Gnè gnè» gli feci la linguaccia una volta arrivata «Ho vinto io, ho vinto io, ho vinto io» giravo in tondo e mi lagnavo come una ragazzina piccola.

«Ma secondo te? Sono io quello che ti ha voluto far vincere!» disse lui col fiatone.

«Certo, certo, come no! Ma se non riuscivi nemmeno a starmi dietro!» risi.

«Ok, ho capito, pago io» alzò le mani e si avvicinò al chiosco.

Ordinammo una pizza margherita, e dopo essere tornati agli zaini, ci sedemmo sull’aiuola e iniziammo a mangiare.

Andrea prese il primo pezzo e iniziò a mangiucchiarlo. Non aveva molta fame, ed era evidente che aveva proposto la pizza solo per farmi mangiare qualcosa.

Ma quanto era premuroso? Forse un po' troppo.

Anche io ne presi un pezzo, ma a differenza sua lo divorai in cinque secondi. Non avevo fame, di più.

«Cacchio che sete! La pizza è salatissima! Ti va una bibita?» mi chiese.

«Certo, ho sete anche io» risposi.

Si alzò e si riavvicinò al chiosco, e quando tornò aveva in mano una lattina di coca. Nel frattempo io avevo già divorato metà della pizza.

«Mamma mia com’è salata!»

«Sarà pure salata, ma ne hai già mangiata la metà!» rise.

«Eh vabbè, ho fame!»

«Lo vedo!» sghignazzò.

Prese la lattina che aveva in mano e la aprì, poi tolse la carta dalla cannuccia e la infilò nell’apertura della bibita.

«Ehm, Andrea? Una sola cannuccia? E io non bevo?»

«Certo che bevi, scema!»

«Una sola cannuccia...» continuavo a non capire.

Mi rivolse uno sguardo ammiccante, bevve un sorso di coca e avvicinò la cannuccia alle mie labbra.

Io lo guardai storto, poi cercai di acchiapparla, ma lui continuava a muovere la lattina a destra e sinistra.

«Che cavolo!» gli strappai la bibita dalle mani, tolsi la cannuccia dall’apertura e ne trangugiai la metà direttamente dalla lattina. Rimisi la cannuccia al suo posto e mi pulii la bocca con la manica della maglietta. Infine porsi di nuovo la lattina ad Andrea sorridendo soddisfatta.

«Che maiale che sei!» scoppiò a ridere.

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