A Time For Love di Nikki_killjoy_darkside___ (/viewuser.php?uid=108399)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione - This is the real,, this is Me! ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - We will never sleep... ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Love the way you lie ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - When it rains ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Just boiling in my blood. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 – Feeling Good ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Born for this ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - That's what you get... ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Miserable at Best ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Bring Me to Life ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - It's not easy love... ***
Capitolo 1 *** Introduzione - This is the real,, this is Me! ***
Introduzione – This is the real,,
this
is Me!
A
volte nella vita capita di innamorarsi, a volte si fa di tutto
per farlo capitare.
Molto
spesso amiamo qualcuno che non ricambia, o siamo amati da
qualcuno e non ricambiamo.
A
volte capita di innamorarsi della persona sbagliata, capita di
sprecare tempo per persone che non ti amano e che mai lo faranno.
Poi,
più raramente, capita di rendersi conto di amare una
persona che ci è sempre stata accanto, a cui noi non abbiamo
mai fatto caso.
Nel
mio caso, è capitato tutto ciò che ho elencato.
Mi
presento: il mio nome è Nicole, ma tutti mi chiamano Nikki.
Sono
una quattordicenne che cammina per le strade di un piccolo
paese dimenticato da tutti indossando tutù fluorescenti e
top leopardati e
ascoltando un tipo di musica in cui i cantanti urlano e basta.
La
gente mi ha sempre reputata come una ragazza con qualche
rotella fuoriposto, forse per il mio modo di vestire, o per la musica
che
ascolto. E io con il tempo ho finito per dargli ragione.
Sono
timida, silenziosa e introversa, di difficili gusti e con
un cervello talmente complicato che a volte faccio fatica anche io a
capirlo.
Mi
piace stare da sola, e quando lo sono adoro pensare e sognare
ad occhi aperti immaginando avvenimenti che non accadranno mai. Li
chiamo film
mentali, io.
Amo
piangere fino a prosciugarmi gli occhi, ridere e urlare fino
a rimanere senza fiato. Le emozioni forti sono le mie preferite.
Ma
basta parlare di me.
È
ora di raccontarvi la mia storia.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 - We will never sleep... ***
Capitolo
1- We will never sleep, cause sleep is for the weak. And we will never
rest, 'till we are fucking dead!
Dicembre.
Domenica mattina. Ore
9:30.
“We
will never sleep, ‘cause sleep is for the weak.
And
we will never rest, ‘till we are fucking dead!”
Fu
l’urlo del cantante dei Bring
Me The Horizon a svegliarmi di soprassalto dal sogno stupendo che stavo
facendo:
Sono
sull’altalena del parco sotto
la luce del tramonto, con le cuffie alle orecchie ascolto la mia
canzone
preferita, immersa nei pensieri. Alle mie spalle arriva lui, mi ruba le
cuffie
e inizia a correre. Lo rincorro fino a che inciampa e finisco per
cadergli
addosso sull’erba del prato. Mi fa il solletico, e iniziamo a
rotolarci
nell’erba e a ridere come due ragazzini piccoli. Ci alziamo,
passeggiamo mano
nella mano per il parco fino a che non cala la notte. Ci sediamo su una
panchina, mi prende il viso tra le mani, mi guarda negli occhi, mi
bacia.
Che
cosa stupenda. Quel sogno ero
abituata a farlo da circa due anni, ma ogni volta che lo facevo era
come se
fosse la prima.
Con
gli occhi ancora chiusi,
allungai il braccio sul comodino e con la mano cercai a tentoni il
pulsante per
spegnere la sveglia.
Avrei
accettato con piacere di
rimanere ancora a letto per prolungare quel sogno
all’infinito, ma subito mi
tornò in mente che giorno era.
«AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!»
scesi urlando dal letto. Presi
in mano
il cellulare e chiamai di corsa Valeria.
«Pronto?»
rispose
lei col la voce di una che stava ancora dormendo profondamente.
«AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH»
urlai.
La
poverina sussultò e si svegliò
definitivamente. «Oh
mamma, Nikki, CALMATI!»
«Ma
oggi è, oggi
è...»
ero così agitata che non riuscivo nemmeno a dirlo.
«OGGI
È IL GRANDE GIORNOOO!»
continuò lei urlando.
«Sii!
Ehi bagascia,
dovresti già essere qui, lo sai vero?»
«Sto
arrivandoo!»
Riattaccai.
Finalmente
il giorno tanto atteso
era arrivato...
Corsi
in bagno super eccitata. Mi
feci una doccia, mi lavai i denti e cercai di pettinare i miei capelli,
che
assomigliavano più a un nido di uccelli.
Quando
tornai in camera la mia
migliore amica mi stava già aspettando seduta comodamente
sul letto.
Si
chiama Valeria, e per lei sarei
disposta anche a strapparmi il cuore dal petto.
Quella
ragazza così piccola, era
un concentrato di energia e simpatia. Era sempre stata presente,
disposta a
difendermi e a starmi ad ascoltare. Una delle poche persone che mi
conoscevano
veramente, una delle poche che non mi reputava una pazza esaurita.
Bassa e paffutella, aveva i
capelli lunghi fino alle spalle, leggermente mossi, di un castano
brillante. E
gli occhi vispi mi guardavano impazienti di cominciare il mio makeover.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 - Love the way you lie ***
Capitolo
2 - Love the way
you lie
Domenica
pomeriggio.
Era
molto che aspettavo quel
momento.
Dopo
un’intera giornata dedicata
ai preparativi per quell’occasione così
importante, tra shopping e
parrucchiere, finalmente avrei potuto incontrare il ragazzo dei miei
sogni.
Il
fortunato si chiamava Lorenzo,
e mi aveva fatto perdere la testa dalla prima volta che
l’avevo visto, due anni
prima.
Naturalmente,
essendo una goticona
sfigata, lui non mi aveva mai notato. Era troppo occupato con la sua
ragazza,
la più carina della scuola.
Ma,
dopo due anni passati ad
aspettarlo, finalmente la mia occasione per farmi notare era arrivata:
Valeria
era riuscita a farmelo incontrare, quello stesso giorno, alle 4:30 alla
pista
di pattinaggio del centro commerciale.
Erano
le 4:50 e lui non si era
ancora fatto vivo.
“Cavolo
ma che fine ha fatto?” pensai
mentre guardavo nervosamente l’orologio.
Lo facevo in continuazione, come per accelerare il tempo.
“È
in ritardo! Vabbè, intanto
faccio il biglietto.”
Arrivai
alla bancarella e mi
sporsi in avanti per controllare che ci fosse qualcuno. Notai subito la
commessa seduta su una panchina, che ruminava una cicca e spettegolava
al
cellulare. Tossii rumorosamente per attirare l’attenzione
della ragazza, che
riagganciò il telefono stizzita e si trascinò
nella mia direzione.
«Ciao» si
lagnò iniziando a
giocherellare con una ciocca dei suoi capelli stinti e crespi «Posso
esserti utile? »
chiese cercando di essere gentile, ma era
chiaro che fosse infastidita.
«Si,
grazie»
risposi
cordialmente «Vorrei
un ingresso per un ora
e un paio di pattini numero 38»
Si
allontanò per troppo tempo,
facendomi seriamente pensare all’idea di riempirla di botte.
Al suo ritorno
aveva un paio di pattini in una mano e un biglietto
nell’altra. Notò la mia
fretta, e come per farmelo apposta, avvicinò le braccia fin
troppo lentamente
al bancone per appoggiare la roba.
Era
snervante. Gli strappai i
pattini dalle mani e lasciai i soldi sul bancone, senza nemmeno
aspettare che
mi facesse lo scontrino. Mi diressi velocemente nello spogliatoio e
cercai di
infilarmi i pattini, che naturalmente erano troppo stretti. Lasciai
perdere il
numero in meno, e iniziai a camminare come un’impedita sul
tappeto che portava
alla pista. Entrai in pista bofonchiando di tornare per pestare quella
cretina della
commessa, e mi appoggiai sul bordo ad aspettare.
5:00.
5:10.
5:20.
5:30.
Era
un ora che aspettavo, e
l’altoparlante che chiamava il mio nome a tutto volume diceva
che il mio turno
era finito. Oramai non avrei avuto più alcuna
possibilità con Lorenzo, visto
che non si era presentato all’appuntamento. Mi diressi
controvoglia verso
l’uscita, quando vidi qualcosa che non avrei voluto
vedere…
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 - When it rains ***
CAPITOLO
3 - When it rains.
Al
di là della finestra della pista, sotto
la pioggia, c’era lui, Lorenzo.
Era
abbracciato a una ragazza e si stavano
dando un bacio. Il MIO bacio.
Mi
immobilizzai, rimasi a fissarli.
Con
un flashback mi passarono davanti
tutte le immagini di quegli ultimi due anni della mia vita passati ad
amarlo:
tutte le volte che l’avevo visto, tutte le volte che il mio
cuore era battuto
così forte da sfondarmi il torace, tutte le volte che avevo
avuto le farfalle
nello stomaco, tutti i tentativi vani di parlargli, di farmi notare.
Che
illusa che ero stata. Accecata
dall’amore, non mi ero mai resa conto di non essere il tipo
di ragazza che
interessa ai bellocci come Lorenzo.
Mentre
li fissavo, la mia testa vagava a
ruota libera.
Immaginai
di esserci io al posto di quella
ragazza. Immaginai di trovarmi io tra le braccia di Lorenzo, con le sue
labbra
che si muovevano morbide sulle mie, mentre le gocce di pioggia ci
inzuppavano
dalla testa ai piedi.
Che
sensazione stupenda, ma orribile allo
stesso tempo. Quel film così bello fu come una pugnalata
dritta al cuore. Ciò
che mi divideva da colui che amavo era soltanto una finestra. Ma
nonostante
fosse così vicino, era comunque irraggiungibile.
Avrei
voluto urlare a squarciagola, distruggere
quell’insignificante lastra di vetro che ci divideva fino a
raggiungerlo, e
toccare la sua pelle bagnata dalla pioggia solo per sentirmi bene. Ma
non
sarebbe comunque servito a niente.
In
cuor mio, sapevo benissimo che,
anche se avessi trovato il coraggio di fare una cosa del genere, lui
sarebbe
rimasto indifferente... O ancora peggio, mi
avrebbe respinto.
E
questo avrebbe fatto mille volte più
male.
Sconvolta
dal dolore, non riuscii a muovere
un muscolo.
Mi
limitai a far scendere solo qualche
lacrima sul mio viso.
Iniziai
a pattinare per abbandonare al più
presto quel posto terribile, cercando disperatamente il telefono nella
borsa
per chiamare Valeria.
Ma
mentre mi avvicinavo all'uscita, non
guardai dove mettevo i piedi.
Grande
errore.
Andai
a sbattere contro un ragazzo.
Il
cellulare mi cadde dalle mani,
schizzò via sul ghiaccio e si frantumò in mille
pezzi lungo il bordo della
pista.
Non
ebbi il tempo di dire niente, perché
caddi anche io, e sbattei violentemente la testa contro il ghiaccio.
È
tutto quello che ricordo.
**********************************************
Heilà gente, qui è l'autrice che vi parla! *7*
scusate se ci ho messo tanto a pubblicare questo capitolo, ma ho avuto
qualche
problemino con il computer e ho dovuto riscriverlo da capo .____.''
A presto (^^)/
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 - Just boiling in my blood. ***
CAPITOLO
4 – Just boiling in my blood.
A
un certo punto, fu come se il
sangue tornasse a scorrermi nelle vene.
Capii
chiaramente che ero svenuta,
e che, a giudicare dalla superficie morbida su cui mi trovavo, ero
allungata sul
lettino in infermeria. Oramai avevo imparato a riconoscerlo, visto che,
da
distratta quale ero, quando ero al centro commerciale mi
capitava spesso di sdraiarmi su di esso.
L’unica
cosa che non mi era chiara
era il motivo per cui mi trovassi lì...
Aprii gli occhi di scatto e
vidi riflesso
sullo specchio vicino al lettino due figure.
La
prima era infermiera Daisy, che
camminava su e giù per la sala con le mani dietro alla
schiena e un’aria
preoccupata. La seconda era di un ragazzo seduto di fronte allo
specchio, con
le mani tra i capelli e il viso corrucciato per la preoccupazione.
Girai
la testa di scatto e mi misi
a fissarlo, cercando di capire chi fosse.
Lui
alzò la testa, mi vide sveglia
e si rasserenò.
«...Daisy?»
Gli
occhi della signora guizzarono subito su di me.
«Oh,
si
è svegliata.»
disse sollevata.
Mi aveva visto parecchie volte conciata male, ma non così
male.
Cercai
di alzarmi, ma la testa mi
ricadde inerme sul lettino. Mamma mia quanto girava!
«Mh
la testa!»
mi lamentai.
In
pochissimo tempo il ragazzo
attraversò la stanza e mi si parò davanti:
«Ciao,
come ti senti?»
disse
preoccupato, e poi continuò senza darmi il tempo di
rispondere «Mi
dispiace di esserti finito addosso... Io, io
non stavo guardando dove andavo…» era
mortificato.
«C-cosa
è successo?»
dissi
frastornata.
«...non
ti ricordi nulla? Stavi pattinando e ti sono venuto a sbattere
contro...»
La
scena della mia testata sul ghiaccio freddo della pista mi
balenò in mente. Cercai
di dirgli che stavo bene e che era stata colpa mia, ma la
voce mi rimaste strozzata in gola.
Lui
continuò: «Mi
dispiace davvero moltissimo… Comunque,
piacere, io sono Andrea, ma tutti mi chiamano Andy»
disse timido, e mi porse la mano per aiutarmi a sedermi.
Accettai
l’aiuto con piacere, e
quando riuscii a mettermi seduta, mi venne un po’ di nausea.
La testa non
voleva smettere di girare.
Strinsi
la mano ad Andrea e mi
presentai, anche se ero un po’ frastornata «Piacere,
io sono Nicole, ma tutti mi chiamano Nikki»
dissi imitando il suo tono di voce.
Sorrise.
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 – Feeling Good ***
Capitolo
5 – Feeling Good
Appena
riuscii a mettere in fila
qualche parola e a formare una frase di senso compiuto, cercai di
spiegare ad
Andy che era stata tutta colpa mia.
Naturalmente,
lui non si dava per
vinto, e continuava a sostenere che fosse stato lui il cretino che non
aveva
guardato dove aveva messo i piedi.
Quindi,
passammo la successiva
mezz’ora a battibeccare su chi fosse il colpevole.
Dopo
un po’, qualcuno tossì
infastidito.
Ci
girammo all’unisono e ci
rendemmo conto che Daisy ci fissava da parecchio tempo con la faccia di
una che
voleva suicidarsi.
Scoppiai
a ridere, e lei mi guardò male.
«Beh,
ora che non mi gira più la testa
mi sento mooooolto meglio. Posso anche andarmene.»
Feci
per alzarmi, ma Andy mi
bloccò.
«Scusa
Nikki, ma dove hai intenzione di andare?»
«Sto
bene! Posso tranquillamente tornare a casa!» protestai.
«Oh
poverina, ha sbattuto la testa, non sa quello che dice» disse
ridendo.
«Mi
prendi per il culo? Sto benissimo!» dissi
dimenandomi inutilmente dalla sua presa ferrea che mi teneva inchiodata
al
lettino.
Si
fece un attimo pensieroso, poi
il suo viso si illuminò e si stampò un sorriso
ironico sulla faccia, uno di
quelli che si fanno quando si cerca di ragionare con una ragazzina
capricciosa.
«E
va bene, ti lascerò tornare a casa… Ma ad una
condizione: ti
accompagno io»
disse soddisfatto.
Lo
guardai sbigottita, poi
scoppiai a ridere.
«Ahahah
TU ahahah VORRESTI ahahah RIACCOMPAGNARMI A CASA? Ahahah
qua l’unico che non sa quello che dice sei tu ahahah» dissi, e
poi saltai giù dal lettino.
Mi
infilai le vans, il giubbotto e
feci per andare a prendere la borsa, ma lui mi bloccò la
mano.
«Tu
non vai da nessuna parte! Hai preso una botta violentissima in
testa e sei rimasta svenuta per 2 ore, e ora pretendi di tornartene a
casa DA
SOLA? E se mentre cammini svieni di nuovo e ti investe un tram?» disse
facendo finta di essere preoccupato.
Non
potei fare a meno di non
ridere alla cosa del tram.
«Okay,
hai vinto.»
mi arresi «Puoi
riaccompagnarmi a casa.»
Lui sorrise soddisfatto e
mollò la
presa sulla mia mano.
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 - Born for this ***
CAPITOLO 6 - Born for this
Il tragitto
verso casa non fu lungo,
e nell’autobus mezzo vuoto ne approfittammo per fare
conoscenza.
«Parlami di te» mi disse «Quanti anni hai? Sei
di queste parti? Dove vai a
scuola? I tuoi hobby?»
stava per chiedere
qualcos’altro ma io lo interruppi.
«Ehi ehi ehi, con
calma! Che mi stai facendo, il quarto grado?»
Rise, ma poi
tornò serio. Incrociò
le braccia e disse con fare da sergente dei marines «Signorinella,
non ha ancora risposto alle mie domande!»
Ridemmo entrambi.
«Agli ordini» dissi,
portando
la mano destra sulla fronte a mo’ di saluto militare.
«Vediamo…
Mi chiamo Nicole, ho 14 anni, vivo qui a pochi
chilometri dal centro commerciale e frequento il primo anno del liceo
linguistico...»
«Linguistico?»
«Già,
linguistico.»
«Io
avrei detto artistico, chissà
perché...» era sovrappensiero.
«Oh,
artistico. Me lo dicono tutti, sai? Forse perchè sembro strana...» mi rattristii.
«...strana?» ora era scettico.
«Già,
strana. Tutti mi reputano una
tipa
strana... Forse per il mio abbigliamento o forse per la musica che
ascolto...
Magari lo sono realmente!»
dissi facendo
finta di essere divertita, ma in realtà mi aveva ferito il
fatto che anche Andy
fosse esattamente come tutti gli altri. Abbassai la testa e mi spostai
una
ciocca di capelli dietro un orecchio per camuffare la lacrima che mi
stava
rigando il viso.
Lui si accorse
subito del mio
cambiamento d’umore: «Oh,
ma che cretino che sono,
non la chiudo proprio mai quella cavolo di bocca che mi ritrovo! Io...
M-mi
dispiace...» disse triste.
Sentii
il suo respiro avvicinarsi sempre di più... e poi tornate ad
essere lontano.
«Ti
va se adesso parliamo un po’ di me?»
Annuii
senza alzare la testa.
Fece un respiro
profondo prima di
parlare: «Mi
chiamo Andrea, ho 15 anni e
anche io vivo qui. Frequento il secondo anno del liceo linguistico...»
Alzai la testa
di scatto «...linguistico?»
«Già,
linguistico...»
«È...
strano. Conosco la maggior parte della gente di quella scuola, ma non
ti ho mai
visto...»
«Io
si però.» mormorò con voce appena
percettibile.
«Cosa?»
dissi sorpresa.
«Niente,
niente.» ora era lui ad essere triste «Beh, allora
ti spiego la situazione: molti mi credono
uno sfigato, altri un figo tremendo. Io mi
reputo semplicemente uno che si distingue dalla massa, uno che ha un
cuore per
amare e una testa per pensare, a differenza di molte persone.» concluse
freddo.
Beh, in fondo mi
ero sbagliata sul
suo conto, ed ora che lo vedevo triste davanti a me, un po’
mi sentivo in
colpa.
«...hobby?» dissi sfoderando il mio
miglior sorriso.
«Mah,
passo la maggior
parte del mio tempo scarabocchiando qua e la, sullo
skateboard, oppure al parco con i miei amici a suonare o ad ascoltare
musica.»
«OHOHOH,
MUSICA! Ascoltarla è uno dei miei hobby, insieme a ballare e
a farmi i film
mentali... Che musica
ascolti?»
Sorrise
«Ecco uno dei motivi per cui mi danno dello sfigato, ma anche
del figo
tremendo: tutti dicono
che
quella che ascolto non è musica, ma solo un insieme di
chitarra elettrica e di
tipi che urlano come se avessero il mal di gola.»
Sentivo
gli occhi brillarmi e il cuore accelerare i suoi battiti.
«...che te ne
pare di Emo, Screamo e Deathcore?»
Lo guardai
sbalordita, ero
affascinata da quel ragazzo. «Cantanti
preferiti?»
«Mh,
vediamo… Escape the fate, My Chemical Romance,
Black Veil brides, Bring Me The
Horizon, Eyes Set To Kill...»
«AAAAAAAAH» urlai.
Tutti si
girarono a guardarmi e
noi scoppiammo a ridere.
«Sono anche i
miei cantanti preferiti. Waaa ma allora non sono
l’unica strana qui!»
Mi ero
decisamente sbagliata sul
suo conto. Stessi gusti musicali, stesso carattere. Era come se fossimo
nati
per questo: per conoscerci, per diventare amici. Era divertente passare
del
tempo con lui, e quando l’autobus arrivò alla
fermata, ne fui un po’
dispiaciuta.
«Beh, ci si
vede…»
dissi
imbarazzata scendendo dall’autobus.
«Quale autobus
prendi la mattina?»
chiese.
«Il numero 15» dissi
confusa.
Non sapevo dove volesse arrivare
«Bene, a domani
mattina allora. »
sorrise e poi l’autobus ripartì.
Rimasi impalata
alla fermata
dell’autobus bofonchiando un “a domani”,
poi scrollai la testa e mi avviai
verso casa.
***********************************************************************
Ehilà bella gente,
Nikki_Toxic è qui presente! *imita Gabri Gabra*
Occhei,
questa era pessima -w-''
Vvvolevo
solo dirvi che, per vostra immensa giUoia(??) questo capitolo
è stato più lungo!
"ECCERTO" direte voi,
"sono settimane che non scrivi e volevi anche farlo più
più corto 'sto fottuto capitolo?"
Voi avete ragione ma, tra
una traduzione d'inglese di qua e un 5 in matematica di la,
non rimane molto tempo per scrivere çwç''
Vaaaaabbè, ma son
cose che capitano! ùwù
Un bacio, a presto!
(^^)/
-Un ibrido tra una
papera e una patata. *w*
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 - That's what you get... ***
a time for love - 7
CAPITOLO
7 - That’s
what you get when you let
your heart win...
Dopo
circa 200 metri mi trovai
davanti alla villetta a schiera che era casa mia.
Cercai
le chiavi nella mia borsa,
aprii la porta e salii le scale. Solo pochi minuti e avrei potuto
chiudermi in camera
mia, impasticcarmi di aspirine per
farmi passare il mal di testa e chiamare Valeria, per raccontarle gli
avvenimenti di quel pomeriggio: «Se non mi chiami
appena rientri come minimo ti taglio quella testa cotonata che ti
ritrovi!» mi
aveva detto mentre si occupava del mio makeover.
«Ciao
mamma»
dissi mentre attraversavo
il corridoio.
«Ciao
tesoro, tutto bene?»
«Tutto
nella norma, ho solo un po’ di mal di testa.»
«Vuoi
che ti faccia un thè?»
«Nono,
tranquilla, adesso mi prendo un’aspirina e mi
passa.»
Non
ho mai conosciuto una donna forte come lei. A meno di 30 anni, pochi
giorni
prima che io nascessi, aveva preso una batosta terribile con mio padre
che
aveva messo incinta un’altra alla prima occasione che gli era
capitata. Lei ci
aveva messo fin troppo tempo a digerire la cosa, ma una volta smaltita,
era
diventata indistruttibile e ancora più combattiva di quanto
non fosse già. Purtroppo
però, riprendersi da una cosa del genere l’ha
fatta diventare cinica e bastarda
un po’ con tutti. Con
tutti tranne che
con me.
Alta
e snella, se ne stava sul divano davanti alla stufa leggendo un buon
libro, con
i capelli castani raccolti in una crocchia disordinata, e Garfield - il
nostro
gatto rosso ed obeso - sulle cosce.
Entrata
in camera chiusi la porta, schiacciai il bottone per accendere il computer e composi il
numero
di Valeria sul telefono di casa: "Meglio
chiamarla, altrimenti si incazza sul serio...” dissi tra a me
e me avvicinando il telefono all’orecchio.
«Pronto?
Pronto? Ehilà, c’è nessuno? Nikki sei
tu? Pronto?» era
Valeria dall’altra parte della cornetta che
parlava, ma io non le rispondevo.
Perché?
Perché il mio fottutissimo
computer si era acceso, e sul mio dannato Desktop era apparsa la foto
di
Lorenzo, decorata da cuoricini, che avevo come sfondo.
Il
telefono mi scivolò dale mani, mentre tutto il dolore che
la botta in testa aveva
momentaneamente cancellato tornò a distruggere ogni singola
particella di felicità del mio corpo.
Avevo
dimenticato il dettaglio più
importante: dovevo raccontarle tutto... di Andrea, della
pista, dell'ifermieria. Ma soprattutto del bacio di Lorenzo e di quella
ragazza sotto la pioggia.
Le
lacrime tornarono a rigarmi il
viso come quel pomeriggio alla pista.
Avrei
preferito che mi avessero
strappato i capelli, che avessi sbattuto la testa contro il muro mille
volte,
che mi avessero estirpato il cuore dal petto a mani nude.
Avrei
voluto fare qualsiasi cosa
che mi avesse fatto soffrire più di quella scena che mi
trivellava nella testa.
Mi
buttai sul letto e scoppiai a
piangere. Presi il cuscino e me lo misi davanti al viso per soffocare
le urla
di dolore che non riuscii a trattenere.
Sconvolta
per gli strilli che erano
arrivati alle sue orecchie, mia madre entrò nella stanza con
la faccia di una
che aveva appena visto un fantasma.
«Nikki,
Nikki! Che ti prende?»
chiese agitata.
Alzai
gli occhi gonfi di lacrime
dal cuscino che avevo ancora davanti alla faccia.
«È
tutto finito, mamma»
Il
mio viso ricadde inerme sul cuscino macchiato di trucco nero.
Lei
capì subito a cosa mi stavo
riferendo. Si sedette accanto a me e iniziò ad accarezzarmi
la testa per
consolarmi.
«Eh, amore mio,
questo è quello che succede quando lasci vincere il tuo
cuore...»
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 - Miserable at Best ***
Capitolo
8 – Miserable at Best
Caddi
in depressione.
Passai
la settimana seguente a
piangere, non andai a scuola, non vidi nessuno, non risposi alle
telefonate.
Stavo
tutto il tempo a letto, con
il cuscino in grembo, a fissare la parete con uno sguardo vacuo.
Una
settimana dopo, decisi che per
il mio bene, dovevo alzarmi dal letto e uscire. Quel giorno camminai
per non so
quanto tempo, senza una meta, fino a quando si fece buio.
La mattina seguente mi alzai
presto e ripresi
la mia vecchia routine, solo per il gusto di farlo.
Ero
sempre, costantemente pallida,
i miei capelli erano spenti, e oramai avevo anche smesso di truccarmi
perché
piangevo talmente tanto che puntualmente il trucco si scioglieva
facendomi
assomigliare ancora di più a uno zombie in calze a rete.
Dormivo poco e male, e
nel mio sonno non c’era l’ombra di un sogno.
Mi
sentivo come se mi avessero
strappato l’anima.
Andavo
a scuola, ma non mi impegnavo.
Me ne stavo seduta al banco completamente assente.
Le
ragazze della mia classe parlavano
solo del ballo di fine anno che la scuola stava organizzando. Per me
erano
sempre state delle caccole fastidiose, ma in quel momento
più che mai. Le
ignoravo e basta, proprio come loro avevano sempre fatto con me.
L’unica
che sembrava preoccupata
per il mio malumore, oltre alla mia migliore amica Valeria che
però non
frequentava la mia stessa classe, era Tomata, la mia compagna di banco.
Quella
ragazza era un’altra delle
poche persone che mi capivano veramente, probabilmente
perché anche lei veniva
reputata strana.
Magra
e non molto alta,
decisamente poco atletica, nascondeva la pelle chiarissima del viso
sotto una
foresta di capelli mori e ricci, e gli occhi castano scuri sotto una
lunga
frangetta. Nel complesso assomigliava più a un barboncino
che a una 14enne.
Nessuno
conosceva il suo vero
nome, ma veniva chiamata Tomata perché in qualsiasi cosa
mangiasse c’era la
presenza di pomodori.
Tomata
era molto simile a me,
tranne per i gusti musicali e per il fatto che fosse lesbica. Era molto
intelligente e introversa, ma con le persone a lei care diventava
un’amica
adorabile, che esprimeva la sua gioia saltellando. Amava stare da sola
e il suo
carattere era talmente complicato che solo io riuscivo a capirlo,
perché era
identico al mio.
Ogni
giorno all’uscita di scuola,
incontravo Lorenzo. Ma oramai mi ero messa l’anima in pace, e
ogni volta che lo
vedevo soffrivo un po’ di meno, anche se il cambiamento era
impercettibile.
Dopo
scuola prendevo sempre il
solito autobus. Arrivata alla fermata tornavo a casa, pranzavo, facevo
i
compiti e mi infilavo in camera mia, da cui uscivo solo quando dovevo
andare a
danza.
Perfino
mia madre non sapeva più
che fare. Era disperata: ogni volta che mi vedeva o vagavo per casa
bianca come
un fantasma, oppure stavo sdraiata sul letto, con il cuscino in grembo
a
fissare il muro con lo stesso sguardo vacuo di sempre, ad ascoltare una
sola
canzone, sempre la stessa. “Miserable at Best” dei
Mayday Parade.
Anche
se non era esattamente il
mio genere –quella canzone era TROPPO deprimente per i miei
gusti- io non ci facevo
proprio caso. La ascoltavo solo perché sapevo che fosse
terribilmente triste e
che mi aiutasse a deprimermi più di quanto non lo fossi
già.
Ora
che ci ripenso, in quel
periodo ero parecchio masochista.
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 - Bring Me to Life ***
Capitolo
9 – Bring Me to Life
L’unica
cosa positiva di quei mesi
trascorsi tutti allo stesso modo era Andrea.
Passare
del tempo con lui era,
come dire, rigenerante. Era un ragazzo così piacevole che
riusciva sempre a sollevarmi
un po’ il morale, nonostante il mio umore sotto i piedi. In
un certo senso, mi
aiutava a vivere.
Il
lunedì in cui tornai a scuola,
finite le lezioni, mi diressi verso la fermata dell’autobus.
Lo trovai lì,
seduto sulla panchina con lo sguardo perso nel vuoto e il viso
corrucciato per
la preoccupazione.
Mi
avvicinai a lui e gli misi la
mano sulla spalla cercando di sorridere.
Lui
alzò di scatto gli occhi
affranti verso di me e mi abbracciò forte, poi il suo viso
si distese e disse
sollevato: «Menomale,
stai bene. Ero così preoccupato…».
Sciolse
leggermente l’abbraccio
per guardarmi in faccia, e notò subito che c’era
qualcosa che non andava.
«Nikki,
che hai?»
chiese, era di nuovo preoccupato.
Una
lacrima mi rigò il viso e
scoppiai a piangere davanti a tutti come una cretina.
Iniziai
a bofonchiare, e tra le
parole confuse riuscii a fargli capire quello che era successo:
«Lo
shopping... il parrucchiere... il make up...»
mettevo insieme parole senza senso, ed a ognuna alzavo un po’
la voce «l’abbigliamento
studiato nei minimi particolari... E niente!»
urlai contro Andrea
che mi guardava sbigottito «Non
è servito a niente!»
Ero
in piena crisi: mentre lui mi
stringeva contro il suo petto per consolarmi, io continuavo a
bofonchiare «E
poi
la fretta, la commessa cretina che avrei voluto pestare di botte, i
pattini
troppo stretti, la pista, lui che era in ritardo, il suono
dell’altoparlante
che mi chiamava, il loro bacio, la botta, lo schermo del PC...»
Sciolsi
l’abbraccio e mi allontanai
guardandolo negli occhi «Io
lo amo.»
sussurrai «Ma
lui l’ha baciata... Ti rendi conto?»
urlavo di nuovo «Ci
sarei dovuta essere stata io al posto di quella puttana!»
Stavo
delirando, e in più stavo
strattonando quel poveraccio di Andrea che non c’entrava
niente con tutto
quello che mi era successo.
«Nikki!
Nikki! Calmati Nikki, così mi stacchi un braccio!»
ripeteva mentre lo
strattonavo come un’invasata. Poi, di punto in bianco,
mi prese i polsi e li strinse, costringendomi a bloccarmi.
«Nikki,
adesso calmati.»
disse con
tono
deciso.
Lo
guardai con occhi imploranti,
poi, esausta, gli buttai le braccia attorno al collo.
«Shh,
tranquilla piccola. Ora è tutto finito»
cercò
di consolarmi.
Lentamente
riuscii a calmarmi e a
placare i singhiozzi che mi partivano dallo stomaco. Rimanemmo
abbracciati per
non so quanto tempo, e mentre Andrea mi accarezzava
i capelli, io mi concentrai solo
sulla sua voce che mi sussurrava all’orecchio “Ora
è tutto finito”.
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 - It's not easy love... ***
Capitolo 10
- It's not easy love but you've got friends you can trust
Parte
I
Da
quel giorno iniziai a volergli veramente
bene: il nostro legame si rafforzò e lui diventò
il mio migliore amico. Era
l’unico a conoscere il vero motivo del mio malumore cronico,
l’unico sempre pronto
a distrarmi dal dolore che oramai riempiva il mio tempo.
La
maggior parte dei giorni, all’uscita da
scuola, cercava di convincermi di non rintanarmi in camera mia, ma
uscire con
lui e andare in giro. Anche se, molto spesso, non ci riusciva.
Una
volta, dopo scuola mi propose di andare al
parco.
Io
ero seduta ad aspettarlo sulla solita
panchina, quando lui arrivò trotterellante con uno zaino
enorme sulle spalle e un sorriso smagliante sulla
faccia. Quanto lo invidiavo! Perché non potevo
anch’io essere felice come lui?
«Ehilà
Nikki! Dove andiamo di bello oggi?»
«Da
nessuna parte. Oggi ho un sacco di compiti da fare e...»
«Ma
non dire cazzate!»
mi interruppe ridendo «Se
fosse per te, saresti sempre piena di impegni e non usciresti mai di
casa! Sai,
te lo dico io dove andiamo. Oggi ti porto al parco»
«Non
ho proprio vie di fuga, eh?»
dissi esasperata alzando gli occhi al cielo.
«No,
nessuna»
sorrise soddisfatto.
Si
vedeva chiaramente che gli piacevo, era
troppo premuroso nei miei confronti. Non mi trattava come si tratta
un’amica,
lui mi adorava.
Io,
però, non sapevo quali sentimenti provassi
per lui: alla fine forse un po’ mi piaceva anche... ma
accertarmene non era tra
le mie priorità. Sarà anche da egoisti, ma io
preferivo un amico che mi
consolasse a un fidanzato. Anche se questo amico era interessato a me,
e ciò
significava farlo soffrire.
Prendemmo
l’autobus che ci portò alla fermata
della villa comunale. Scendemmo e ci avviammo verso il cancello
principale.
Passeggiamo
per almeno due ore, parlando di
argomenti senza senso e ridendo come due scemi, o molto spesso senza
dire
niente.
A
un certo punto il mio stomaco brontolò.
«Uhm,
credo di avere fame...»
«Ti
va una pizza in due?»
disse con uno sguardo ammiccante.
«Certo,
una pizza non si rifiuta mai!»
risi «Ma
dov’è che la andiamo a
prend-»
lasciai a mezz’aria la frase
quando un delizioso odore di pizza margherita arrivò sotto
il mio naso. Seguii
con l’olfatto quel profumo così invitante, e mi
ritrovai davanti agli occhi un
chiosco per la pizza nuovo di zecca. «Oh,
ecco»
esclamai. Poi mi girai verso
Andrea e lo guardai compiaciuta.
«Chi
arriva per ultimo paga!»
urlò. Poi poggiammo gli zaini a terra e iniziammo a correre.
Parte
II
Dopo
neanche cinque metri lo superai senza
sforzo.
«Gnè
gnè»
gli feci la linguaccia una volta
arrivata «Ho
vinto io, ho vinto io, ho vinto io»
giravo in tondo e mi lagnavo come una ragazzina piccola.
«Ma
secondo te?
Sono io quello che ti ha voluto far vincere!» disse lui col
fiatone.
«Certo,
certo, come no! Ma se non riuscivi nemmeno a starmi dietro!»
risi.
«Ok,
ho capito, pago io»
alzò le mani e si avvicinò al chiosco.
Ordinammo
una pizza margherita, e dopo essere tornati agli zaini, ci sedemmo
sull’aiuola e iniziammo a mangiare.
Andrea
prese il primo pezzo e iniziò a
mangiucchiarlo. Non aveva molta fame, ed era evidente che aveva
proposto la
pizza solo per farmi mangiare qualcosa.
Ma
quanto era premuroso? Forse un po' troppo.
Anche
io ne presi un pezzo, ma a differenza sua
lo divorai in cinque secondi. Non avevo fame, di più.
«Cacchio
che sete! La pizza è salatissima! Ti va una bibita?»
mi chiese.
«Certo,
ho sete anche io»
risposi.
Si
alzò e si riavvicinò al chiosco, e quando
tornò aveva in mano una lattina di coca. Nel frattempo io
avevo già divorato
metà della pizza.
«Mamma
mia com’è salata!»
«Sarà
pure salata, ma ne hai già mangiata la metà!»
rise.
«Eh
vabbè, ho fame!»
«Lo
vedo!»
sghignazzò.
Prese
la lattina che aveva in mano e la aprì,
poi tolse la carta dalla cannuccia e la infilò
nell’apertura della bibita.
«Ehm,
Andrea? Una sola cannuccia? E io non bevo?»
«Certo
che bevi, scema!»
«Una
sola cannuccia...»
continuavo a non capire.
Mi
rivolse uno sguardo ammiccante, bevve un
sorso di coca e avvicinò la cannuccia alle mie labbra.
Io
lo guardai storto, poi cercai di acchiapparla,
ma lui continuava a muovere la lattina a destra e sinistra.
«Che
cavolo!»
gli strappai la bibita dalle
mani, tolsi la cannuccia dall’apertura e ne trangugiai la
metà direttamente
dalla lattina. Rimisi la cannuccia al suo posto e mi pulii la bocca con
la
manica della maglietta. Infine porsi di nuovo la lattina ad Andrea
sorridendo
soddisfatta.
«Che
maiale che sei!»
scoppiò a ridere.
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