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Perché
scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.
1-Tell me something of you. (DraNina)
Nina
bevve un’altro sorso di Guinness. Precisamente, dalla sua terza pinta di Guinness.
“Ok,
siamo arrivati al momento delle verità.” Annunciò, leccandosi la schiuma
corposa via dalle labbra. Sergei le restituì il suo
solito sguardo vago, apparentemente privo di interesse, mentre la imitava,
sorseggiando la sua seconda pinta di
birra.
“Dunque:
ora ti dirò una verità sconvolgente su di me. E tu ne dirai una sconvolgente su
di te.”
“E
tutto questo perché?”
Nina
alzò le spalle. “Boh. Così. Giusto per fare conversazione. In questo pub siamo
gli unici a tacere. E visto che ci terrei a passare inosservata, è meglio
mimetizzarci tra gli avventori del locale.” Accennò con un movimento del capo
il resto degli avventori di quel locale di Dublino dove era stato trascinato suo malgrado – Dannazione, quei quattro
giorni in Irlanda era una specie di viaggio di nozze posticipato di quasi un
anno e lei lo costringeva ad uscire
dalla loro camera d’albergo con la scusa di un non ben precisato patrono
irlandese. Almeno la birra era ottima. La
seconda irlandese estremamente piacevole che gli era capitato di trovarsi tra
le labbra.
“Allora,
vediamo.” Le labbra di Nina si incresparono mentre cercava tra i ricordi
qualcosa di eclatante su di sé. “Ho
perso la verginità con un metallaro. Questa cosa me la ricordo…”
Dragunov mantenne il suo sguardo fisso su
di lei. “Credo che ti espelleranno dall’esercito per il tuo losco passato.”
commentò ironico. “Sinceramente, da te mi aspettavo qualcosa di meglio.”
“Oh,
suvvia: avevo 16anni, credo. Tocca a te.”
“...”
“Ok,
chiedo io. Come ti sei fatto la cicatrice sul labbro?”
“…?!”
“Si,
esatto, quella che mi piace così tanto…”
Con
le sue dita affusolate che gli sfioravano il labbro, SergeiDragunov si trovò davanti a tre opzioni.
A-Dire
la verità –lo scopo del gioco era quello,
no?- ovvero che a 3anni, mentre correva per casa era caduto contro lo
spigolo del tavolo, rompendosi labbro, denti da latte e mezzo naso. Poco
onorevole, per un soldato. E anche se ormai Nina Williams era sua moglie da
quasi un anno ci teneva alla sua solita figura stoica di soldato imbattibile,
reduce da mille battaglie.
B-Mentire
spudoratamente. Inventarsi un non ben specificato sanguinoso combattimento
corpo a corpo in una qualche missione all’estero. Sennonché Nina possedeva una
specie di radar per le bugie, e l’ultima volta che ne aveva snocciolato una – aveva effettivamente rotto il suo visore
notturno -si era ritrovato a testa
in giù in un bidone della spazzatura, con le stringe delle scarpe legate tra di
loro
C-Essere
vago. La sua opzione preferita.
Alzò quindi le
spalle.
“Cioè?” incalzò la
donna, giocherellando con il bicchiere.
“Cioè sono affari
miei.”
Nina aggrottò le
sopracciglia. Dal modo in cui sbatteva le ciglia si denotava una certa
ubriachezza. “Non sarà mica stata una donna, vero?”
L’uomo le lanciò
uno sguardo orripilato.
“Non sono mica
gelosa, veh!”
“Davvero? E la mia
costola fratturata quando pensavi
stessi guardando un tabellone pubblicitario con una modella?”
“Incomprensioni.
Capitano nelle coppie.” La terza pinta di Nina era finita, e iniziava a svbattere troppo gli occhi, che si facevano troppo pesanti.
“Quindi: come ti sei fatto quella cicatrice?”
La seconda pinta
di Guinness stava dando fastidio anche a lui. Non era tarato per la birra
irlandese. “… lo spazzolino da denti.” Bofonchiò senza pensarci troppo.
“Ci avevi montato
una baionetta?”
Doveva
ricordarselo. Nina ebbra perdeva lucidità. Tutto ciò poteva giocare a suo
favore.“Eh già.”
“Che idiota.” Le
palpebre della donna sembrava più pesanti del normale. “Uhn.
Sergei… comincio a sentirmi un po’… come dire… fuori. Meglio se rientriamo in hotel, che ne dici?”
Poteva giocare DECISAMENTE a suo favore.
Che la Vostra EvilCassy fosse egocentrica, immagino l’abbiate già capito.
Così come è palese
che io sia a corto di idee/voglia/tempo per scrivere Ff
intere, di senso compiuto.
Perciò, se vi può
bastare, al momento, giusto per ravvivare la sezione, questa accozzaglia di flashfic dedicate alla mia saga (beh, si diamoci pure tutte
‘ste arie.), che mi dispiacerebbe abbandonare…
Perché
scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.
2-
Christmas with the yours.
Quali erano state
le parole di Sergei giusto sulla scaletta dell’aereo?
“Uhmph. Prevedo una tragedia.”
Profetico. Forse
il soprannome Rasputin datogli da
Steve calzava più che a pennello.
Eppure non era
iniziato tutto così male.
La sua proposta indecente era stata quella di partire
per un breve viaggio.
A New York.
Per Natale.
Con la Sacra
Famiglia Chaolan e i piccioncini Julia e Steve.
Una proposta fatta
un militare russo, nostalgico sovietico, ateo e asociale che aveva (debolmente)
annuito.
La riprova che un
mitra puntato alla nuca poteva convincere chiunque.
Certo, ovviamente
poi la situazione era degenerata in breve tempo.
Raccattati dei simil regali di Natale in un grande magazzino, si erano
voltati giusto in tempo per ritrovarsi davanti ai tre Chaolan
in tenuta natalizia, con tanto di cappello in testa.
E si erano trovati
loro volta addobbati con copricapi a tema in men che non si dica.
Un’aureola, per
Nina.
Curiose corna da
Renna per Sergei.
Nina aveva
ringraziato qualsiasi nume presente nell’aldilà (celtico, cattolico,
protestante o islamico che fosse) per averle dato l’idea di non portar armi con loro.
Si sarebbe potuta
compiere una strage.
E siccome ormai
conosceva anche Sergei, aveva fatto bene pure a
sequestrargli il cellulare. Per comporre il numero del Colonnello Volkov e richiedere rinforzi aerei ci metteva sempre
pochissimi secondi.
La cena della
vigilia di per sé non era stata neppure così tragica.
Certo, Steve e
Julia erano stucchevoli. Però la collana che gli aveva regalato suo figlio era
splendida.
E Jamie era veramente fenomenale. Trotterellando sulle
gambette paffute, bighellonava attorno al tavolo del ristorante, sorridendo a chiunque
gli passasse vicino.
Aveva conquistato
tutto lo staff femminile, con sommo orgoglio di Lee, commosso dal vedere il suo
erede seguire precocemente le sue orme di playboy.
Periodo che Anna ricordò con una smorfia di finta insofferenza, scuotendo la testa
sospirando.
Sua sorella aveva
cercato persino di scambiare un paio
di parole con Sergei. Tutto inutile, visto che suo
marito sembrava aver premuto il tasto muto
e si era isolato dal mondo. Sospettava che le due capatine in bagno gli fossero
serviti per rifornirsi di vodka dalla sua fiaschetta, giusto per sopportare
meglio la situazione.
Infine, giusto al
dolce, Jamie le si era arrampicato in grembo e si era
abbandonato ad un sonno ristoratore. Così profondo e pacifico che Anna si era
rifiutata di toglierglielo dalle braccia.
Nina si era
sentita avvampare, accorgendosi di essere al centro dell’attenzione: a distanza
di un anno e mezzo da quello che si rifiutava di chiamare con un nome diverso
da ‘brutta situazione’,Anna aveva
colto l’occasione al volo per un altro bieco tentativo di risvegliare in lei un
pseudo istinto materno. Sicura che, in fondo, Nina soffrisse per quella
mancanza.
Stronza. Aveva sussurrato, quasi
ringhiando all’indirizzo della faccia sogghignante della sorella, senza
riuscire a smettere di cullare il nipote.
Un’ora dopo, nel
corridoio deserto dell’Hotel, la serata aveva preso una piega del tutto
imprevista. Aveva giusto trovato la chiave della camera nella borsetta,
leggermente alterata dal drink che Lee aveva offerto prima nel bar della hall,
quando si era ritrovata con le spalle al muro e le labbra di Sergei ad un millimetro dalle sue.
“Ne vuoi uno, uhn?”
“di cosa?”
“Non fare la finta
tonta. ”
“…?”
“Non eri male con
tuo nipote, prima.”
Nina alzò gli
occhi al cielo. Movimento insignificante che le fece girare lievemente la
testa.
“Senti, se ne vuoi
uno, ti conviene approfittarne di stasera che sono abbastanza ubriaco.”
“Ma da ubriaco non
sei granché.”
“…!?”
“… Quella volta in
Siberia ti sei addormentato nel mentre.”
“Sono meno ubriaco
di allora.” Con un movimento fluido, Sergei se l’era
caricata in spalla, era riuscito ad aprire la porta e ne aveva varcato la
soglia, ignorando i suoi deboli lamenti.
Tre minuti dopo
Nina si abbandonò contro la testiera del letto sbuffando.
Non si riusciva a
combinare nulla.
Per mancanza di concentrazione.
Al suo fianco
l’uomo aveva un’espressione più terrea e seccata di lei.
Nel silenzio della
loro stanza, il pianto isterico del bambino nella camera di fianco rimbombava
come un’eco insopportabile.
“Ma è tuo nipote
questo?”
“Già. Confiniamo
con la suite dei Chaolan…” sospirò, aggiustandosi le
coperte. “C’è da dire che ha un futuro da tenore.”
“Un minuto fa
dormiva, dannazione!” ringhiò l’uomo, aggiustandosi il cuscino e sprofondandoci
la faccia.
“Prendi la
pillola.” Le ricordò con voce afona.
Nina alzò un
sopracciglio, uno scatto nervoso: “L’idea più breve che tu abbia mai avuto…” Commentò ironica, una nota acida nella voce. “Per
fortuna che ho insistito per i preliminari…”
“Per fortuna che
sono abbastanza sobrio da riuscire a capire il pericolo imminente, altrimenti
saremmo già in guai seri.” Borbottò di rimando lui, allungando la mano verso
l’abat-jour e spegnendo le luci.
Al pianto
incessante e penetrante di Jamie si aggiunse anche la
voce cantilenante del padre, nel tentativo disperato di farlo calmare. Stonato
come una campana, peggiorava la situazione. A Nina sfuggì un ringhio, mentre
l’emicrania già le lambiva le tempie.
Già, Sergei aveva ragione. Per fortuna che si erano fermati in tempo.
Eppure la cosa le
aveva lasciato l’amaro in bocca.
Si coricò,
voltando le spalle all’uomo, lasciando che le loro schiene si toccassero.
Rimase qualche minuto in silenzio, mentre il bambino nella stanza a fianco si
calmava e la sua voce non trapassava più le pareti.
Chiuse gli occhi
cercando di scivolare invano nel sonno. Sospirò voltandosi nel letto, cercando
un’altra posizione, più e più volte.
Alla fine capì il
problema.
Tra lei e Sergei non correvano troppe parole. Si capivano e si
completavano abbastanza così, tanto erano simili. Bastava uno sguardo, un
gesto, una lieve espressione sul viso per comunicare con l’altro.
Eppure c’erano
casi –rari- in cui le parole
servivano e valeva la pena spenderne giusto un paio.
Anche tra loro
due.
Quello era uno di
quei casi. Perché era una situazione mai vissuta, o almeno, vissuta solamente
in parte e in una occasione iniziata e finita in una maniera diversa.
“Sei sveglio?”
“… aspettiamo un
altro po’, va bene?”
Giusto poche
parole. Bastava una frase: la prontezza con cui aveva risposto, il tono in cui
l’aveva pronunciata
Nel buio, a Nina
scappò un sorriso. “Volevo solo darti la buona notte…”
sussurrò morbida, appoggiando le labbra sul collo dell’uomo.
“Uhmph. E allora buona notte e smettila di rigirarti come se
fossi un’anguilla.”
NOTA
dell’Autrice: “Christmas with the yours”
è il titolo di una canzone di Natale di Radio Deejay, cantato dal ‘Complesso Misterioso’
ovvero Elio e le Storie Tese e Graziano Romani.A mio parere, è una canzone a dir poco esilarante, a iniziare dal titolo
(traduzione letterale di Natale con i tuoi ) alla bellissima frase “Panettone is on the table, and everybodyisdrinkinMoscheito”. Mi è sembrata adatta, come frase, alla situazione…
Questa
parte è effettivamente molto legata a ‘ChillingEyes’, anzi, a dire il vero era stata pensata per farne
parte. Spero che sia congruente alla storia e attinente al carattere dei
personaggi, che ho sempre cercato (con difficoltà e spesso senza grandissimo
successo) di non mandare a ramengo. E se pensate che Sergei
che vola negli States per Natale è una cosa fuori dal
mondo… pensate che, davvero, un mitra alla testa può
convincere chiunque. Soprattutto se a puntare il mitra è Nina Williams.
Piccolo Angolo dei Ringraziamenti
Commossi:
Miss Trent: mia
paziente uditrice e lettrice di sproloqui e ca22ate, di mezze idee e boiate
pazzesche, spero di essere all’altezza delle tue aspettative…
(Che ansia…!)
Krisalia: Ohllellè!
Contenta di sopperire alle tue necessità! Uno stralcio di Jamie?
Come questo?? non preoccuparti, il piccolo James Patrick Chaolan
Williams ricomparirà ancora…
Bloody Road: Oddio, mi fai arrossire! Immagino
che perderò molti punti con questo capitolo, però…
Per quanto riguarda il libro… beh, è un mio sogno nel
cassetto da quando ho iniziato ad imparare a scrivere il mio nome… e temo che rimarrà tale. E’ un sogno così grande che,
nel caso non troppo remoto di un fallimento, mi devasterebbe. Anche perché mi
manca il tempo, la voglia e l’inventiva per comporlo. Un conto sono storielle
qua e là su qualche personaggio inventato da terzi. Un conto è creare e far
crescere un personaggio.
E questo è il difficile…
Grazie
davvero a tutte quante! Ce la si seeente, donzelle!
Perché scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa
fatica.
3 – New
York, New York.
“”Jamie! Jamie! Amore, aspetta la mamma!”
Sulle sue corte ma
robuste gambette, Jamie si era lanciato in una folle
corsa nel corridoio dell’albergo, diretto verso l’ascensore che, era abbastanza
furbo per saperlo, portava diretto alla stanza della colazione.
Anna aveva cercato
di raggiungerlo, correndo sui tacchi vertiginosi delle sue Manolo Blahnik.
Evidentemente
corse e salti su tacchi alti non erano più il suo forte: inciampando, si era distesa
nella porta aperta dell’ascensore.
Ascensore che
conteneva suo figlio, l’usciere e sua sorella Nina, scoppiata immediatamente in
una fragorosa e spontanea risata da stronza qual’era. “Questa vista non ha
prezzo!”
“Si, e per tutto
il resto ci sono le carte di credito.” Rispose l’altra piccata, rialzandosi
come se avesse avuto una molla e riassettandosi il costoso cappotto orlato di
pelliccia cercando di recuperare contegno, quanto bastava almeno per
rimproverare delicatamente il figlio per esserle scappato di mano.
“Colazione da
sola?” cinguettò poi ignorando i singhiozzi ilari della sorella.
“Già. E volevo
addirittura saltarla… pensa cosa mi sarei persa!”
Ma Anna
evidentemente si era data alla meditazione tibetana o aveva smesso di sentirci
da quell’orecchio, dato che aveva ignorato di nuovo il commento. “Al momento
anche noi. Jamie era intrattenibile questa mattina, e
Lee voleva fare le cose con un po’ più di calma. Inutile dirlo, quella che è
stata costretta ad alzarsi presto dal letto e a prepararsi per la colazione
sono stata io.”
Nina squadrò la mise della sorella: tacchi alti, trucco
perfetto e cappotto coordinato con il vestito. “…un’ora
fa?”
“Quaranta minuti,
il tempo minimo per una rinfrescata veloce.”
I negozi di New
York avevano riaperto subito il giorno dopo Natale. E Nina era stata convinta,
per non dire trascinata, ad un giro di shopping da sua sorella, dato che il suo
aereo sarebbe partito nel tardo pomeriggio.
Inizialmente aveva
cercato qualche scusa, come il freddo polare di quei giorni, ma Anna non si era
lasciata abbindolare: “Nina, vivi a Mosca, trova una scusa migliore” aveva
commentato con un sopracciglio alzato.
E lei, che di fantasia
ne aveva assai poca, non aveva trovato nessuna scusa migliore.
Con il giro di
negozi che sua sorella frequentava, di certo era molto difficile trattenersi
dal comprare tutto. Soprattutto con
la compagnia che si era ritrovata: la carta di credito di Anna aveva iniziato a
fumare, da tanto che era stata usata nell’ultima ora.
Aveva provato un
moto d’invidia talmente potente, davanti ad una splendida Louis Vuitton che
sembrava uscita da Sex and The City,
da maledire quella volta, vent’anni prima, che aveva rifiutato sdegnosamente un
drink di MrChaolan: se
avesse giocato meglio le sue carte, invece da fare l’idiota asociale, le
cinghie di quella borsetta sarebbero state appoggiate alla sua spalla.
Che diamine,
valeva ben la pena essere sposata con quel cretino!
Mentre Anna
decideva di prendere anche il portafogli e la cintura intonati con la borsetta,
Nina provò un odio feroce verso tutta quanta madre Russia.
Così, per
scrollarsi di dosso quella fastidiosa sensazione di frustrazione, si era messa
a giocare il ruolo che Anna aveva ricoperto per tanti anni, tra loro due – la seccante
rompiballe blaterante.
Lee Chaolan aveva deciso di vestire pesantemente suo figlio e
di fare quattro passi: era curioso di vedere la sua reazione di fronte alla
neve di Central Park.
Così imbottito Jamie assomigliava all’omino della Michelin, ma era meglio
evitare che si prendesse un accidente: chi l’avrebbe sentita poi sua moglie?
Il bambino se l’era
spassata un sacco: vivendo alle Bahamas, la neve e il freddo per lui erano due
cose assolutamente nuove; e Jamie adorava le novità e
le scoperte. Lanciava gridolini estasiati pasticciando la neve con le manine guantate, imparando a farne palline da lanciare al genitore
e assaggiandone anche un po’.
“E’ buona, piccolo?”
gli aveva chiesto Lee, immortalando il tutto con la Reflex, compresa la sua
espressione stupita nel vedere due scoiattoli attraversare il prato a pochi
metri da lui.
Accorgendosi che
era quasi ora di pranzo, e che Anna sarebbe tornata a momenti, se l’era
caricato sulle spalle e si era diretto verso l’Hotel canticchiando canzoni
natalizie. Chissà perché Jamie, ogni volta che apriva
la bocca per cantare cercava di riempirlo di botte. Era l’unico momento in cui
sui figlio dimostrava aggressività. BAH! Probabilmente non aveva grandi
affinità con la musica…
Si era ritrovato
nell’ascensore con Steve e Julia, che avevano fatto un giro a Broadway e
comprato due biglietti per la rappresentazione de ‘Il Fantasma dell’Opera’ di
quel pomeriggio.
Arrivato al suo
piano, il tableau luminoso che annunciava l’arrivo dell’altro ascensore gli
fece scintillare un certo sesto senso. “E se su questo ascensore ci fosse la
mamma, eh Jamie? Che facciamo, l’aspettiamo?”
Il piccolo si
dimenò, alzando per aria le braccine imbottite: “Ciii!” gridò.
“Bene! Allora facciamole
una sorpresona” decise l’uomo, piazzandosi davanti
alle porte di metallo lucido.
Quanto si aprirono,
però, Lee Chaolan si ritrovò davanti ad una scena che
sperava proprio di non rivedere, soprattutto in quella ricorrenza: Nina
Williams era attaccata alla parete in radica dell’ascensore, bloccata da un
gomito di Anna, scarmigliata e con un tacco delle Manolo Blahnik
rotto. Borse e scatole di svariate marche erano sparse per tutto lo spazio, e l’uscire
osservava la scena, terrorizzato, seduto in un angolino.
“Allora, brutta
stronza che non sei altro. Volevi farmi incazzare? Bene, ci sei riuscita.
CONTENTA?” Ringhiò Anna, resistendo alle mani di Nina intorno al collo.
Ed in quel
momento, probabilmente sentendo il richiamo irresistibile della battaglia per
mezzo di chissà quale sesto senso, SergeiDragunov aveva fatto la sua comparsa (dal nulla, manco
fosse stato il fantasma che il suo
colorito suggeriva fosse).
Senza di nulla (e
questa non era una novità) si era messo a fissare la scena incrociando le
braccia al petto, con l’espressione del volto che suggeriva quanto trovasse
patetica quella zuffa.
Nina era riuscita
a voltarsi appena per accorgersi di loro e domandare l’ausilio di un
lanciafiamme.
“Me l’hai fatto
lasciare a casa” borbottò lui, alzando gli occhi glaciali al cielo. “E se ce l’avessi
qui in questo momento, di certo lo userei contro tutte e due.”
Riavendosi dal suo
stato di furia, Anna si era accorta degli spettatori. Togliendo il gomito dalla
gola della sorella, l’additò di scatto: “Ha iniziato lei!”
“TSK! Ma se sei
stata tu a perdere le staffe!”
“Tu mi hai
aizzato!”
“Non è colpa mia
se ti scaldi per niente.”
“Scaldarmi per
niente?” Lo sguardo di Anna si stava incendiando di nuovo.
Togliendosi Jamie dalle spalle, lanciandolo a Dragunov
– che l’aveva afferrato al volo di riflesso ma lo fissava come se fosse una
bomba con il timer prossimo allo 0 – si era frapposto quasi eroicamente tra le
due, sfoderando il suo miglior sorriso calmo e rassicurante. “Oh, suvvia,
signore, niente che si possa risolvere davanti ad una tazza fumante di Thè… nevvero Dragunov? Dragunov, hey, Dragunov???”
“Eh? … Da” Sergei
sembrava molto in difficoltà a maneggiare Jamie.
Mentre le due contendenti
recuperavano borse e dignità, camminando impettite fuori dall’ascensore con un
muso lungo tre chilometri, Lee recuperò il piccolo: “Jamie,
tesoro, ti ricordi quella canzoncina sul Natale festa di pace e serenità?”
“…Ci.”
“Bene,
dimenticala.”
Svoltato l’angolo,
Nina aveva gettato un’occhiata al marito. “Non eri male con mio nipote, prima.”
“Nina?”
“….?”
“TRACHNITJE ETO.”
“Eh?”
Di certo in questa
famiglia non ci si annoia….
E poi ora abbiamo
capito come si dice Vaffa in russo…
:P
Piccolo angolo dei
ringraziamenti sentiti:
Miss Trent:
Tessora mia milioni di ThankYou
- Io inizio a farti presssssioni per la tua prossima Opera… Allora, quando la pubblichi???? DAAI!
Nefari: Mi mandi in brodo di giuggiole,
graazie! Beh, evidentemente Serghino
aveva esagerato con la vodka, quella volta… non oso
pensare cosa gli abbia combinato Nina per vendetta….!
Perché
scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.
4- Just a little bit of love. (AnnaLee)
Anna Williams non
si sarebbe mai scordata il momento in cui la sua vita era cambiata radicalmente.
Quanto pesava
quella borsa che portava in spalla mentre si affrettava ad uscire dall’edificio
della MishimaZaibatsu. Si
ricordava perfettamente il rimbombo della battaglia sulla sua testa e i vetri
che si staccavano dalle finestre del grattacielo e si schiantavano in strada.
Aveva varcato la
soglia dell’uscita principale nell’esatto momento in cui il grattacielo aveva
iniziato a tremare.
Subito dopo aveva
sentito il rombo potente di una Ferrari che svoltava l’angolo e inchiodava, a pochi
metri da lei.
“Posso offrirti un
passaggio?” Lee vestiva ancora gli abiti dell’incontro che aveva disputato
poche ore prima, un taglio sulla fronte medicato e dei Rayban
scuri. E il suo sorriso smagliante, provocatore e irresistibile.
Aveva intenzione
di sembrare inizialmente diffidente, di fare la preziosa, ma un boato proveniente
alle sue spalle l’aveva convinta a gettarsi all’interno dell’abitacolo
dell’auto con una certa fretta.
Sgommando, Lee era
partito a tutta velocità. “Destinazione?”
“Uhn… non ne ho una in particolare…
vediamo, dove potrei andare…?”
“Io sto andando
all’aeroporto, prima che scoppi il caos e che chiuda. Il mio jet privato mi
attende in pista. Posso invitarti?”
“Dipende dalla
destinazione.”
“Nassau, Bahamas.
Ovviamente. Con sosta necessaria per il rifornimento a Honlululu
e Miami. Posso contare sulla tua compagnia per tutto il viaggio?”
“Le Bahamas devono
essere un bel posto per una vacanza rigeneratrice.”
“Assolutamente.
Posso chiederti cosa hai portato in quel tuo voluminoso bagaglio? Sei l’unica
che è riuscita a fare le valigie, a quanto vedo!”
La donna
tamburellò sulla superficie di camoscio della borsa: “Honey… qui dentro c’è la mia liquidazione da Bodyguard di Kazuya…!”
“La cassaforte del
ventisettesimo piano?”
“Oh no, no. Quella
del centovettisettesimo: La personale del tuo adorato
nipotino”
Il Jet di Lee era
l’apoteosi del lusso. Sedici comodi posti a sedere, un salottino e una piccola
camera da letto completa dibagno con
doccia. “Sei incorreggibile!” rise di gusto lei, alla vista del letto rotondo.
Il viaggio verso
Nassau era stato lungo quanto piacevole. Alternavano gli atterraggi e i decolli
seduti sulle poltroncine ai brividi ad alta quota del letto rotondo. Tutto
questo finché, mentre facevano un giro nell’aeroporto di Miami durante il
rifornimento, sulle televisioni avevano mostrato chiaramente la distruzione
della MishimaZaibatsu, i
cadaveri estratti dalle macerie dei Mishima e
l’elenco dei dispersi, tra cui figurava anche Nina. La borsetta di Gucci che si
era appena comprata le era sfuggita di mano ed era caduta per terra, mentre il
cuore le mancava di battito.
“Andiamo, Anna… sai quanto è brava tua sorella a nascondersi.” Aveva
detto Lee, raccogliendogliela con un gesto cavalleresco. “Per quanto riguarda i
Mishima… non potrei essere più sollevato di così. E’
grave?”
“…cosa?” aveva domandato lei assente, lontana.
Lee le aveva
rivolto uno sguardo sorpreso: “Forse è meglio che torniamo sull’aereo. Sei un
po’ scombussolata, non è vero?”
“Ah-ha…”
Erano passati mesi
interi in cui lei si sentiva completamente vuota, apatica e incompleta.
Conosceva bene quella sensazione, l’aveva provata più e più volte nella sua
vita. Niente la scuoteva, neppure notare come le calzassero a pennello i
vestiti che Lee le regalava per tirarle su il morale.
Anzi, la
compiacenza dell’uomo le dava fastidio, la innervosiva l’averlo vicino,
accondiscendente senza capire che cosa le stesse succedendo.
Si sentiva un’ingrata,
ma non riusciva ad evitarlo.
Così aveva deciso
che l’unico modo per star meglio era di farla finita. In una sera in cui Lee
era fuori casa si era immersa nella superba e gigantesca Jacuzzi di marmo con
un bicchiere di vino rosso in mano. Dopo aver svuotato il calice, l’aveva
spaccato contro il bordo e si era piantata un coccio acuminato nel polso. Stava
ammirando il sangue così scarlatto che ne sgorgava, prendendo coraggio per
terminare la sua opera, quando la porta si era improvvisamente aperta e si era
ritrovata davanti uno sbalordito e terrorizzato Lee.
E la
consapevolezza di aver sbagliato di nuovo tutto
l’aveva colpita come uno schiaffo.
Quando si tocca il
fondo, si possono fare soltanto due cose: O restare li ed annegare o darsi una
bella spinta e risalire.
Con Lee che teneva
la ferita avvolta nel suo fazzoletto di seta e l’accompagnava in ospedale, incurante
della camicia candida che si macchiava di sangue, Anna concluse che aveva una
buona ragione per risalire.
Qualche mesi dopo si
rigirava il test di gravidanza positivo tra le dita.
Era entrata
nell’ufficio di Lee e glielo aveva detto tutto d’un fiato. “Guarda che non è un
problema per me crescere il bambino da sola, se tu non lo vuoi.” Aggiunse,
vedendolo impallidire.
Sembrava che Lee
stesse per avere un infarto, mentre quasi la implorava di farsi vedere da un
medico.
Per averne la
certezza.
La cena della
serata, in un raffinato ristorante, l’aveva angosciata. Lee non aveva
spiaccicato parola per tutta la durata del pasto, rifiutandosi di rispondere
alle sue domande e alle sue richieste.
E quando lei stava
per sbottare e innaffiarlo con il contenuto incredibilmente analcolico del
bicchiere, ecco che tirava fuori imprevedibilmente una scatolina di velluto blu
dalla tasca interna della giacca.
Una scatolina cosi
piccola che conteneva il più grosso solitario che Anna Williams avesse mai
visto.
“Direi
che è l’occasione giusta per chiederti di sposarmi”
Tre mesi dopo si
erano sposati sulla spiaggia, davanti ad un tramonto mozzafiato. Loro due da
soli e la sua pancia che iniziava a spuntarle.
E da allora la
vita era stata di gran lunga più rosea. La perfezione che aveva tanto
invidiato, agognato, cercato sembrava tenerle la mano. Probabilmente erano gli
ormoni, che calmavano il suo animo irrequieto.
Eppure non si
sentiva ancora completa, nonostante la vita che stava crescendo dentro di sé le
regalava una serenità di cui mai avrebbe potuto crederne l’esistenza.
Così, dopo averne
parlato con Lee, aveva deciso di cercare Nina, cogliendo l’occasione dell’annuncio
del Settimo Torneo del Pugno d’Acciaio.
Quanto c’era
rimasta male davanti all’iniziale astio che continuava a covare sua sorella! Ma
poi Nina era con lei, al momento del bisogno, in mezzo a quella città distrutta
mentre aveva deciso di ‘scodellare il primo figlio’.
Jamie era la cosa migliore che la vita
potesse darle.
Eppure, nonostante
il suo bambino, nonostante il suo matrimonio perfetto e la sua famiglia
d’origine ritrovata in parte, ad Anna mancava qualcosa.
Nel corso degli
anni la ricerca della perfezione era stata il ritornello delle sue mille
peripezie, diventando un’ossessione da cui non riusciva ancora a liberarsi.
Non riusciva a far
pace con sé stessa. C’era sempre qualche ombra sui suoi passi.
E quello che stava
capitando ora era il capitolo successivo della sua inquietudine.
Lee si infilò il
suo nuovo Rolex, regalo di Anna del loro secondo anniversario di matrimonio,
aggiustandosi poi il polsino della camicia e della giacca. Elegante,
impeccabile, anche quando doveva andare ad una banale cena con dei fornitori
della Violet System. La classe non era acqua, amava
precisare.
“Anna, tesoro, sto
andando.” Fece appena in tempo ad annunciare la sua partenza che la porta del
loro bagno en suite si spalancò
immediatamente. “TU non vai da nessuna parte!” Anna si lanciò tra le
sue braccia, facendolo cadere all’indietro sul tappeto, fissandolo implorante a
cavalcioni su di lui, mentre gli guidava con forza le mani sui suoi seni. “Non adesso, almeno. Lee, io sto ovulando.”
“… Anna…”
“… e la
temperatura basale è ottima!”
“…Amore, io…”
“Jamie è impegnato in salotto a guardarsi Cars. Questa volta ci siamo, me lo sento!”
Lee sospirò,
roteando gli occhi grigi. “Anna… per favore…”
“Solo un po’ di zucchero…”
“Anna…”
“Un pochiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiino…”
“NO.” era giunto
il momento di prendere una posizione decisa in merito. Ormai quella situazione
stava sfociando nel ridicolo. Riuscì a sfuggire dalla stretta della moglie,
facendola rotolare di lato, e ad alzarsi sistemandosi la giacca. Poi le porse
una mano, dispiaciuto della sua espressione abbattuta. Se pensava di
intenerirlo così però si sbagliava di grosso: Era ora di parlarsi chiaro.
“Principessa,
ascoltami: così non funziona. Stiamo cercando un altro bambino, questo è vero,
ma non mi pare il caso di buttar il tutto in una mera ginnastica, non sei
d’accordo? Non mi piace che quando tento un approccio tu prima scappi in bagno
a controllare il test della fertilità,
per poi informarmi che è inutile farlo in
quel momento. Così come non mi piace che tu mi salti addosso nei momenti
più improbabili giusto perché stai
ovulando. Mi rifiuto di essere il tuo gingillo di riproduzione.”
Anna si era
appoggiata alla parete, lo sguardo –adirato ed innervosito – che saettava sulla
sua faccia. “Stiamo cercando di avere un bambino, è questo il metodo, no?”
“Oh, Anna, per
avere Jamie ci è bastato…”
“Non so se l’hai
notato, ma pare che ora sia un po’ più difficile. Lee, è da più di un anno che
si stiamo provando senza risultati. Senza contare il periodo del se arriva arriva.
Siamo stati sull’isoletta dove abbiamo concepito Jamie
per ben quattro volte. Ho modificato
per tre volte la nostra dieta, ti ho
proibito di fumare e mi metto sempre a testa in giù dopo che abbiamo fatto. Nulla. Direi che è il caso di farlo solo al momento giusto, non trovi?”
Il marito incrociò
le braccia, fissandola serio. “No. Non stiamo facendo ginnastica per dimagrire,
Anna. Stiamo cercando di concepire un
figlio.”
“Una figlia” lo
corresse distrattamente la donna, giocherellando nervosamente con le dita.
“Giusto. Ma
evidentemente neppure questo funziona. E sinceramente non mi stupisco. Non
credi che ci voglia un pochino di amore, un pochino di tranquillità? Non credi
che senza ansia si possano migliorare le cose? Per Dio, Anna, ne stai
diventando ossessionata!”
“Io voglio solo…”
“… ed è quello che
voglio anche io, Principessa. Ma non posso permettere che questa ricerca
diventi una malattia. Non voglio che tu…”
“… io… non riesco a capire che cosa non funzioni…
ed è una cosa che... non mi va giù.”
L’uomo le cinse la
vita sottile, stampandole un bacio sulle labbra. “Forse è arrivato il momento
di rivolgerci ad uno specialista.”
“E’… come una
sconfitta.”
“Mi avevi detto
che avevi imparato ad accettarle, le sconfitte. E poi questa non la è proprio:
dobbiamo capire cosa non va: vogliamo dare a Jamie un
fratellino e…”
“Sorellina”
“Noi vogliamo dare
a Jamie una sorellina e cerchiamo solo di capire bene
cosa dobbiamo fare per farla arrivare.”
“L’altra volta era
stato così facile…” Anna sospirò sfregandosi gli
occhi, improvvisamente stanca. “Hai ragione, Lee. Ti ho trattato come gingillo
sessuale.”
“Non è quello che
mi ha dato fastidio. Adoro essere il
tuo gingillo sessuale. E’ il fine della riproduzione e basta che mi sconvolge.
Ultimamente non c’era più… passione, calore. Insomma,
le nostre solite cose. Domani contatteremo la migliore clinica di Nassau e
andremo a farci visitare entrambi. Vedrai che in men
che non si dica troveremo la soluzione. Nessuno
può mettere Baby in un angolo.”(*)
Anna sorrise
conciliante alla citazione cinematografica del marito. “Va bene ha ragione.”
Gli sistemò il bavero della giacca e il nodo della cravatta. “Ecco, così sei
perfetto. Buona cena, tesoro.”
Dopo un bacio a
stampo Lee scese al piano di sotto.
Anna sentì Jamie ridere ad un saluto dispettoso, rispondendogli con
una pernacchia e facendosi promettere un pomeriggio sulla spiaggia insieme.
Sospirò,
guardandosi allo specchio, gettando l’ennesimo ed inutile stick
di ovulazione nel cestino, a far compagnia ad altri sei uguali.
Si, tutto ciò
stava divento un’ossessione pericolosa. Come la era stata quella di battere e
umiliare sua sorella equella, più
recente, di fare l’impossibile pur di mantenere un fisico perfetto per paura
che Lee cominciasse a rivolgere le sue attenzioni a qualcun’altra.
Pareva che la sua
vita gravitasse sempre attorno ad uno stato ossessivo. Ciò in cui non riusciva
diventava per lei un’ossessione, quasi una malattia.
“Mamma?” una vocetta sulla soglia della porta le fece voltare la testa
di scatto. Jamie, il suo cucciolo dagli occhioni blu e i capelli argentati la fissava stringendo
tra le mani il suo modellino di Saetta McQueen
preferito. “… tuo.” Decise, porgendogli la macchinina.
Anna si chinò di
fronte al figlio, prendendo Saetta delicatamente. Era raro che Jamie la facesse utilizzare a qualcuno, era molto geloso
dei suoi giocattoli preferiti. “E’ per me? Davvero?”
Il piccolo annuì,
dondolandosi da un piede all’altro. “E tu cosa usi, amore mio?”
“Sally” rispose,
porgendole la mano. “…giochi?”
Eccola lì, la
perfezione. Lei, che l’aveva cercata così tanto, alfine l’aveva creata. Con
quella faccia da furbetto – tutto suo padre, e i suoi occhioni
azzurri e limpidi. Il vero uomo della sua vita, quello che non l’avrebbe
lasciata neppure nell’improbabile ipotesi che diventasse vecchia, brutta e
grassa.
“Certo tesoro,
andiamo giù di sotto?”
Jamie annuì. “Andiamo Madame!” esclamò
ad alta voce, imitando suo padre, strappandole una sonora risata.
Ragazze!
I
vostri commenti positivi mi stravolgono!!!
Spero
di non deludervi con questo (improbabile, noioso, assurdo e non richiesto)
spaccato della vita quotidiana di un’altra coppia…
E
spero di riuscire ben presto a scrivere del ----Kazakistan!!!----
(*) La
citazione viene da Dirty Dancing Non so se vi
ricordate, ma (stando alle mie Ff) ad Anna piaceva
Patrick Swayze.
Una
buona serata a tutti, vado a mettere le birre in fresco per Italia – Paraguay.
Perché
scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.
5
- Kazakistan
SBAM!
La Jeep color
verde militare ondeggiò alla furiosa chiusura della portiera, mentre
l’occupante che ne era scesa, livida in volto dalla rabbia, si allontanava
percorrendo a passo svelto il cortile infangato del campo base.
Il cielo plumbeo
aveva iniziato a scaricare le prime gocce di pioggia gelida direttamente sulla
sua testa bionda, ma lei, Nina Williams, quasi non se ne accorgeva tanto era
arrabbiata.
Entrando dentro
una delle baracche, chiudendo la porta con un calcio, lasciò cadere a terra il
pesante zaino per poi sedersi su una sgangherata sedia che scricchiolò in
maniera inquietante.
Un paio di minuti
dopo la porta si riapriva, e Nina rivolgeva il suo sguardo gelido e sprezzante
verso l’uomo comparso sulla soglia.
Non che Sergei
Dragunov si aspettasse realmente un saluto migliore, ma l’espressione di Nina
aveva avuto il potere di guastargli la giornata. Giornata che, dopo un
bombardamento ben riuscito, era stata dal suo punto di vista radiosa. “Ben
arrivata.” Disse, gustandosi il suo classico sigaro post combattimento. “Fatto
buon viaggio?”
Nina voltò lo
sguardo da un’altra parte, fuori dai vetri rigati di pioggia della finestra,
verso il cortile dove un mezzo blindato stava transitando.
“Volkov ti vuole
vedere per fare il punto della situazione e per darti ragguagli sulla missione.
Hai tempo mezz’ora.” Spiegò, cercando di non mostrarle quanto fosse realmente
infastidito dal suo muso lungo. Non ottenendo reazione, con una leggera smorfia
di insofferenza Dragunov richiuse la porta della baracca, per poi avvicinarsi
di più alla donna, chinandosi per averla ad altezza del viso. “Quattro mesi
senza vederci e questo è il tuo saluto?”
L’espressione che
gli rivolse Nina avrebbe potuto far congelare un vulcano in eruzione: “Quattro
mesi? Così pochi in confronto a quelli che ho speso cercando il mio obbiettivo, facendogli piazza pulita
intorno e trovando il modo di eliminarlo senza
attirare troppo l’attenzione generale. E quando sono ad un passo – ma che dico,
a tre centimetri! – dal completare la mia missione… tu che fai? Mi fai
trascinare in questa landa fangosa a cercare quattro mentecatti di merda
nostalgici Mishimae con deliri di
onnipotenza? E ti aspetti che faccia persino
i salti di gioia nel rivederti!”
“Guarda che non è
stata una mia idea… so benissimo che prediligi le missioni pulite da agente snob quale sei.”
“Agente snob? Razza d’un cretino, è
quello il mio RUOLO! Come il tuo è quello di andare a combattere a destra e a
manca puzzando come una capra.”
“Sono un soldato,
sono addestrato a ciò ed eseguo gli ordini senza far tanto il difficile, al
contrario di te.”
“Se sono qui,
significa che anche io ho eseguito gli ordini – di certo non sono arrivata a
casa di Borat per vederti. Stavo benissimo a Londra, in quello splendido sushi
bar pronta ad avvelenare la spia nemica.”
Il soldato scattò
in piedi, allontanandosi come se avesse preso la scossa: “TSK! Sushi bar… tu e
la tua stupida ossessione per il pesce crudo. Ne vuoi un po’? Beh, c’è un fiume
a tre chilometri, prendi una rete e vattelo a pescare il tuo cazzo di sushi!”
“Imbecille”
“Stronza”
Seguì qualche
minuto di silenzio, in cui Dragunov cercava di smaltire la furia guardando
anche lui il cortile, prima che Nina si alzasse dalla sedia e gli chiedesse
dove si trovasse il colonnello Volkov.
“La casupola in
fondo a destra è il suo ufficio” rispose l’uomo stancamente, avvicinandosi. In
fondo Nina non aveva tutti i torti ad essere furibonda: era stata appena
costretta a buttare alle ortiche il lavoro di quasi un anno. Il più era
convincerla che non c’entrava nulla, e che per quanto non vedesse l’ora di
ritrovarsela davanti, l’idea di chiamarla in Kazakistan tra i rinforzi gli
aveva fatto storcere il naso. Le appoggiò una mano sul braccio, attirandola
appena a sé. Riuscì a catturare il suo sguardo, avvicinando le labbra alle sue.
Con un colpo secco
in pieno petto, Nina Williams lo spedì sulla sedia, che rovinò a terra sotto il
peso dell’uomo. Senza indugiare oltre la donna uscì lasciandolo gambe all’aria
sul pavimento.
Imprecando
sonoramente, Dragunov si rialzò scivolando sui pezzi frantumati della sedia.
Doveva ammetterlo:
adorava quando faceva così. Già
pregustava la lotta per infilarsi nel suo stesso letto…
Alle h.23 della
stessa notte, montando di vedetta al campo base, Sergei Dragunov si era
ritrovato a pensare con nostalgia al bromuro che gli rifilavano nella minestra
in Accademia. Ma perché diavolo era diventato illegale? Neppure il diluvio
sotto cui faceva la guardia gli faceva passare il nervoso al pensiero di Nina a
pochi metri da sé, in branda, algida ed intoccabile.
Ne era uscita dal
colloquio con Volkov guardandolo con sufficienza, sibilandogli di starle alla
larga, perché c’era in gioco una sua promozione e non ne aveva la minima
intenzione di lasciarsela sfuggire a causa di una qualche distrazione
assolutamente irregolare.
Aveva dissimulato
il tutto con una smorfia ovvia: e che pensava quella, un trattamento di favore
solo perché era sua moglie? Erano in missione, non in luna di miele!
Fanculo
a Volkov…
Alle 5 di mattina
rientrò nel suo alloggio – la casupoladalla sedia distrutta in cui aveva avuto il primo incontro con Nina, il
giorno precedente- completamente zuppo d’acqua, assonnato – non dormiva da
quasi ventiquattro ore- innervosito ed
imprecante.
E con sommo
stupore si ritrovò davanti a Nina che si allacciava la tuta militare. “Che ci
fai qui?”
Senza voltarsi,
annodandosi i lacci degli anfibi, la donna gli aveva spiegato che non c’era
posto nell’accampamento femminile, e così aveva avuto il permesso di dormire,
per quella notte, nell’alloggio del Sergente, dato che era di guardia. “Ti ho
lasciato il letto caldo, tesoro”
aggiunse poi, con una smorfia irrisoria.
“E tu ora dove
vai?”
“In
perlustrazione: mi hanno affidato alla squadra di Pavlov.”
Per sua fortuna la
dissimulazione era il suo forte. Dopo aver augurato buona fortuna alla moglie –
e una morte lenta e dolorosa a Pavlov - si era gettato sul letto, accontentandosi
di avere fra le sue lenzuola solo il profumo di Nina.
Poche ore dopo era
stato svegliato di botto da un soldato semplice, con la comunicazione di una
convocazione urgente da parte di Volkov.
Doponeppure un quarto d’ora aveva assunto il
comando della sua squadra e si era lanciato sulla scia della squadra di
perlustrazione di Pavlov: doveva aspettarselo che quel coglione si sarebbe esposto al fuoco nemico.
Come
mandare a puttane un’intera operazione. Con Nina appresso, poi!
Sbuffando,
controllò di nuovo il suo equipaggiamento, intimando all’autista del mezzo
blindato di accelerare.
Sotto la pioggia
battente, con la luce del giorno che si affievoliva di minuto in minuto, il
fitto bosco dove avevano perso il segnale dei compagni cominciava a somigliare
all’Amazzonia.
Si erano divisi,
restando in contatto via radio. Un paio dei suoi avevano ritrovato un cadavere
di un commilitone. Un altro era riuscito ad avvistare Pavlov ferito, e stava
prodigandosi per andare a soccorrerlo. Vincendo il desiderio di ordinargli di
lasciarlo crepare in quel bosco, Dragunov aveva acconsentito.
All’appello mancavano
ancora tre membri della squadra, compresa Nina.
Dragunov avanzava
lentamente, facendo il meno rumore possibile, mimetizzandosi nella vegetazione,
mentre gli occhi iniziavano a bruciarsi per lo sforzo di restare vigili nella
semioscurità.
Uno strattone alla
schiena lo fece cadere all’indietro, mentre il fischio di un proiettile gli
passava a pochissimi millimetri dal volto andando a conficcarsi nel tronco di
un albero e gli occhi celesti di sua moglie gli si piantavano in faccia. “C’è
un cecchino appostato sull’albero di fronte. E’ tutto il pomeriggio che cerco
di colpirlo: sei fatto apposta per rovinare i piani alla gente tu, eh?” sibilò.
Dragunov calcolò la traiettoria del proiettile che stava per colpirlo, poi
caricò il fucile e si alzò in piedi.
“Che stai facendo,
creti….!”
PUM!
Un urlo soffocato
e un tonfo.
Voltandosi
nuovamente verso la donna, non riuscì a trattenere un sorrisetto compiaciuto “C’era un cecchino. Ma grazie a me
abbiamo un problema in meno.”
“E grazie a me non
hai la testa aperta in due come un melone. Chissà quanta segatura ne sarebbe
uscita.” Rispose Nina accettando la mano che l’uomo le stava porgendo. Notando
una grossa macchia di sangue sulla casacca, l’uomo le domandò se fosse ferita.
“Oh, tesoro, non far finta di non conoscermi.
Sai benissimo che questo sangue non è mio!”
….Quando si parlava di dolce metà, eh!
“Andiamo, immagino
non ti garbi campeggiare in questo posto, vero?”
“Puoi giurarci.
Non vedo l’ora di farmi una doccia calda!” Pigolò la donna, stropicciandosi le
membra fradice.
“TSK! Doccia calda
al campo base? Ma dove pensi di essere, in villeggiatura?”
Nina stava per
aprire la bocca per insultare pesantemente lui e tutto l’esercito, quando la
voce di Volkov alla radio gli aveva richiamati all’ordine per dargli le ultime
direttive.
La notte era scesa
senza che la pioggia smettesse di scrosciare. “E’ difficile sentire i rumori
così.” Borbottò Nina, guardandosi attorno nella semioscurità che avvolgeva la
casupola semidiroccata che era diventata loro rifugio per quella notte.
Con l’oscurità che
avanzava e il nemico in agguato, Volkov aveva deciso di mandare rinforzi nel
bosco, sicuro di aver individuato la base nemica. Aveva comunque ordinato a
Dragunov di mantenere la posizione, essendo meno rischioso che tornare
indietro, e aveva individuato una vecchia catapecchia abbandonata dove si
sarebbero potuti rifugiare in attesa delle prime luci del mattino, in cui
avrebbero sferrato l’attacco decisivo.
Aiutandosi con il
suo visore notturno, decidendo fosse meglio evitare di accendere luci che gli
avrebbero fatti individuare, Dragunov aveva trovato una scala che conduceva ad
un piccolo scantinato. “Vieni di sotto, saremo più riparati.”
Intirizzita dal
freddo, Nina lo seguì, invocando un clemente fuocherello per riscaldarsi. “Non
sono abituata come te a questo genere di missioni” borbottò rabbrividendo.
L’unico mobilio
presente nello scantinato erano due panche rovesciate e zoppe, che Dragunov
rialzò e assicurò con qualche pezzo di legno sotto i piedi irregolari, per poi
unirle contro la parete dello scantinato. “Niente fuoco, ci individuerebbero.”
Spiegò brevemente, mentre la donna si sedeva e si raggomitolava su sé stessa
per preservare un po’ di calore. “Turni di guardia?”
“Direi di si.
Inizio io.” Si sedette al suo fianco, cingendole la vita e facendole appoggiare
la testa su di sé. “Andiamo Williams, sei sopravvissuta alla Kamkatcha!”
“Avevamo delle
coperte e un fuoco per scaldarci là.” Brontolò di rimando, avvicinandosi di
più, passando un braccio attorno alle spalle, aderendo ulteriormente.
“Dovresti
toglierti quei vestiti bagnati” consigliò l’uomo, aprendosi il giubbotto e
sfilandoselo dalle spalle. “Credimi, è meglio.” Aggiunse, indovinando lo
sguardo perplesso della donna. Frugò poi alla cieca nel suo zaino
d’equipaggiamento, trovando un paio di barrette energetiche.
“Uh, che gentile
che sei ad offrirmi una cena…” commentò ironica Nina, prendendone una e
divorandola.
Rimasero per un
po’ in silenzio, le orecchie tese che cercavano di captare qualche altro rumore
oltre a quello della pioggia che ticchettava sulle tegole rotte e sulle foglie
degli alberi.
Nina sembrava
essersi assopita, il respiro regolare che tremava e la pelle d’oca lungo le
braccia nude. L’uomo se la portò in grembo, abbracciandola meglio per cercare
di scaldarla. Abituato com’era al freddo e al dormire all’addiaccio, reputava
quella debolezza di Nina una lacuna enorme cui sopperire il prima possibile.
Eppure non riusciva a scrollarsela di dosso.
Con un sospiro
Nina sembrò risvegliarsi. “Stavo pensando una cosa.”
“…?”
“Domani potremmo
morire.”
“…!”
“Uau. Morire
insieme. L’apoteosi del romanticismo”
“Uhn…”
Con un movimento
fluido, Nina si mise a cavalcioni su di lui, passandogli le braccia attorno al
collo. Individuò il suo fiato caldo e appoggiò le labbra sulle sue. Ne stuzzicò
la lingua, aderendo al suo petto. Dragunov non la fermò, rispondendo al bacio,
cercando la pelle sotto la maglietta bagnata. La casacca bagnata scivolò sul
pavimento, la ricetrasmittente cadde sul pulsante d’accensione, ma loro non
sentirono il lieve brusio che emise.
“…un po’ pericoloso non trovi?”
Nina si fermò,
pensierosa. La intravide mentre sembrava contare qualcosa con le dita,
pensando. “Beh, in effetti… però…” Le sue labbra tornarono sul collo. “In
fondo, è un rischio che vale la pena correre, no?”
“Terrò il fucile a
portata di mano…”
“…?”
“Beh, insomma, per
ogni evenienza e…”
“Oh, Sergei, ma ‘sta
zitto un buona volta!”
“Colonnello Volkov,
stiamo ricevendo una comunicazione dal Sergente Dragunov, signore!”
“Ah-ha! Sono sicuro
che è andato in perlustrazione notturna e ha trovato qualcosa di interessante:
Soldato, metti in viva voce, voglio sentire i dettagli delle informazioni.”
“Sissignore!”
“…
Terrò il fucile a portata di mano…”
“…?”
“Beh,
insomma, per ogni evenienza e…”
“Oh,
Sergei, ma ‘sta zitto un buona volta!”
“…?”
“….!!”
Senza dire una
parola, qualcuno sopprimendo una risatina qualcun altro alzando la fiaschetta
di Vodka, l’intera base stava fissando l’altoparlante della radio.
“Co-colonnello…
ehm… che faccio, chiudo la comunicazione?”
Signore, a voi il
famoso capitolo del Kazakistan! E voi sapete cosa ne viene fuori!
Sono es-ta-sia-ta
dai vostri commenti! Resto senza parole!
Miss Trent, visto
che ho seguito il tuo consiglio?
Spero che anche
questa Pill vi scivoli in gola senza intoppi!!Una buona giornata da
Perché
scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.
6
– London Falling.
“Allora… Mini ricetrasmittente … c’è. Pistola con
silenziatore – ah, la mia cara Beretta 92,
anche. Colt di riserva…
ecco qui. Orologio multiuso… al proprio posto. Uhn…. Si, il filo nylon ogni tanto si inceppa, devo
ricordarmi di farlo controllare. Rossetto- bomba, ecco qui il mio tocco di
classe. Infine: latrotossina,
ottimo veleno: la vedova nera non sbaglia mai. Prendo su anche lo spray al
peperoncino? Ma si, tanto tiene poco spazio.”
Con movimenti
fluidi e calmi, come se stesse preparando il beauty case per un weekend fuori
città, Nina Williams faceva la cernita di tutto quello che le serviva,
nascondendo sapientemente le varie armi nella borsetta e nelle tasche. Si
ravvivò i capelli avendo ben cura di raccoglierli con un sottile ma appuntito
spillone, e si legò al collo una luccicante e robusta collana.
Ogni singolo
accessorio del suo guardaroba doveva poter essere utilizzato per raggiungere lo
scopo, niente veniva lasciato al caso.
Canticchiò un
motivetto mentre si ritoccava il trucco allo specchio: con dei cerchi scuri
attorno agli occhi, gli occhiali da sole non erano solo una formalità del suo ruolo.
Guardò il
risultato allo specchio con un sorrisetto compiaciuto, lisciandosi la camicetta
di seta verde lungo le curve perfette dei fianchi.
E’
tutto a posto. Cercò
di convincersi.
No
che non lo è. Ribatté un’odiosa vocina dentro di sé.Non lo
è affatto.
Era di una
settimana in ritardo.
Aveva la nausea da
quattro giorni.
L’odore del the
era diverso.
E lei conosceva
troppo bene quegli indizi.
Tanto più che, proprio
accanto al silenziatore faceva bella mostra un test di gravidanza ancora
impacchettato, acquistato un paio d’ore prima.
Ed ora
tamburellava le dita sulla superficie di marmo del mobile, indecisa se farlo
subito o meno.
Se
è positivo dovrei mandare all’aria la missione. Pensò. Aveva già sperimentato
cosa succedeva a portare a termine un compito del genere in quello stato.
Ma
se non lo faccio, non so se è positivo o meno e ho la coscienza a posto. No?
No.
Nina Williams
focalizzò la sua attenzione sulla sua immagine riflessa, mentre apriva
meccanicamente la confezione del test.
Dannato
Kazakistan.
Dannato
Dragunov.
E
dannata soprattutto la voglia costante che aveva di lui.
Camminava spedita lungo
il Millennium Bridge avvolta in un sottile
impermeabile scuro, gli occhi gelidi e nervosi nascosti dietro a degli occhiali
di Gucci del medesimo colore.
Per passanti era
un’elegante donna d’affari, indaffarata e frettolosa, che gettava un’occhiata
fugace alla facciata della Tate ModernGallery con l’aria di chi dovrebbe decidersi prima o poi a
prendersi un pomeriggio libero per visitarla per poi girare per Canvey Street. Al civico 4 voltava quasi inconsapevolmente
il viso verso la vetrina del ristorante giapponese Tsuru, fermandosi come se si
ricordasse di non aver ancora pranzato e occhieggiando al menu in esposizione
con l’acquolina in bocca.
Ma
si, un veloce sushi ci può stare. Ne ho sentito parlare così bene di questo posto! Sembrava suggerire la sua
espressione. Dopo di che controllava nuovamente l’orologio Basta che sia veloce, però! Ed entrava.
Il bersaglio di
Nina, Vladimir Neitchenko, era seduto lungo il
bancone, e si stava giusto infilando un maki in bocca. Alla vista del piatto lo
stomaco le si attorcigliò improvvisamente, e fu davvero difficile dissimulare
la nausea che le era salita, mentre il cameriere le si avvicinava per ricevere
l’ordinazione.
La donna aveva già
aperto bocca per ordinare una porzione di sushi misto, quando la vocetta fastidiosa dentro di sé iniziò a pigolare: Ma non puoi mangiar pesce crudo!
Rimase un istante
con le labbra schiuse, a formulare questo pensiero con una nausea crescente. E non dovresti neppure essere qui.
“U- una bottiglia
d’acqua. Naturale, grazie.” Biascicò, aggiustandosi nervosamente gli occhiali
da sole. Neitchenko, al suo fianco, la stava
osservando con la coda dell’occhio. Merda.
Si è insospettito. Meglio battere in ritirata. Prese la bottiglietta
d’acqua, la pagò ed uscì con un sorriso tirato, bevendone un sorso e avviandosi
sempre a passo svelto dalla direzione opposta al suo arrivo.
Ecco che si era
impantanata. La sortita della sua coscienza infame l’aveva portata a commettere
un errore. Neitchenko era una ex spia, certi particolari
non passavano osservati: Ora probabilmente le stava dando sua volta la caccia,
ed ora era costretta ad anticipare le sue mosse, ad attirarlo in trappola.
Ma prima doveva depistare
un suo eventuale inseguimento.
Riattraversò il
Tamigi sul Southwark Bridge e proseguì sino alla
City, dove per giustificare la fretta in caso il suo bersaglio la seguisse
davvero, individuò una banca di cui era correntista e vi entrò per una banale
operazione di prelievo allo sportello, prolungata con domande e richieste di
informazioni inutili all’impiegata.
Uscita, cercò di
sembrare più rilassata e passeggiò con più calma, come se avesse fatto tutte le
cose importanti.
Comprò in edicola
il nuovo numero di Cosmopolitan, si soffermò a
guardare una vetrina e a provare un paio di scarpe, dopodiché riprese la
metropolitana a Mansion House e tornò in albergo
facendo un giro più lungo e tortuoso del solito, cercando di far perdere le sue
tracce nel dedalo di vie di Soho.
Appena entrò nella
camera, gettò impermeabile e occhiali sul letto, e si sedette stancamente.
Doveva trovare un piano che non la coinvolgesse troppo a livello fisico, e alla
svelta.
Ma soprattutto,
doveva riflettere.
Incinta di quattro
settimane e due giorni.
Da quell’incontro
avventuroso e pericoloso (sotto molti aspetti) con Sergei
in quella catapecchia del Kazakistan. Avrebbe dovuto resistere, avrebbe dovuto
starci lontana, no? Era la cosa più
logica da fare quando ci si ritrovava a migliaia di chilometri di distanza da
una farmacia e con il blister della pillola contraccettiva sul comodino del suo
appartamento a Mosca.
E invece, complice
la prolungata lontananza e l’eccitazione per il pericolo, gli si era lanciata
tra le braccia.
Nina,
che idiota che sei stata. E adesso?
E adesso avrebbe
dovuto per prima cosa completare la missione. E poi affrontare tutto il resto.
Non ne avevano più parlato della possibilità di aver figli, e vista la
disastrosa esperienza precedente, era stata ben attenta a non farne capitare
più.
Una cosa era
certa: questa volta Sergei l’avrebbe saputo da lei, a viva voce e a quattrocchi.
E
poi cosa succederà?
“Valuteremo
insieme il da farsi.” Si rispose, sospirando. Affondò la testa nel cuscino: non
riusciva ad immaginarsi madre, per quanto realmente già lo fosse, tanto quanto
non riusciva a prendere in considerazione l’idea di non tenerlo.
Sfilò dalla
borsetta il cellulare e cercò sulla rubrica il numero di Steve, sentendo la sua
voce si sarebbe schiarita le idee.
Sergei la chiamò dopo pochi minuti che
aveva riattaccato con suo figlio.
“’Sera Williams, tutto bene?”
“Ciao.
Si, si, va tutto bene.” Mormorò con un filo di voce, trattenendosi dal parlare
oltre.
“…Fatto?”
“Non
ancora. C’è stato un inconveniente, non ho potuto finire. Ma è questione di
ore.”
“Niente di grave, spero.”
Dipendeva
dai punti di vista… “Oh, no. solo un contrattempo.”
“C’è qualcosa che non va? Sei
strana.”
Nina
prese un respiro. Valutò bene prima di parlare, ma l’importanza del discorso
richiedeva che lui fosse davanti a lei. Voleva vederne l’espressione, voleva
capire realmente cosa pensasse. Non
poteva dirglielo per telefono. “Dobbiamo parlare.”
La
voce di Sergei si era fatta improvvisamente più
bassa, iniziando a parlare inglese. “Cosa
è successo?”
“Voglio
parlartene dal vivo al tuo ritorno.”
“La settimana prossima torno a
Mosca, avrò un paio di giorni di licenza. Se non avrai ancora finito potrò
raggiungerti a Londra.”
“Va
bene.”
“Williams, sei sicura di star
bene?”
Nina
sorrise. Sbagliava o quella era una punta di preoccupazione? Magari anche di
gelosia. Qualsiasi cosa fosse, proveniva da suo marito ed era indirizzata a
lei. Una cosa più unica che rara, parlando di SergeiDragunov.
“Si.
Sto bene.”
La
stazione della metropolitana di LeichesterSquare all’ora di punta era affollata come al solito. Nel suo
cappotto Burberry in tartan beige, dietro ai soliti
occhiali scuri, Nina Williams attendeva il treno cercando di farsi venire in
mente un’idea su come risolvere la situazione. Il suo orgoglio e gli ordini del
comando le impedivano di lasciare libero un bersaglio senza neppure tentare
realmente di farlo fuori.
Ma
la sua lista delle priorità ora era cambiata.
Lascia stare, sai come è finita
la volta scorsa in cui hai deciso di portare a termine una missione. Sospirò stancamente la solita
voce interiore.
Aveva
sognato tutta notte quella goccia rubino che cadeva sul pavimento, tra i suoi
piedi, e che segnava il suo primo fallimento, la prima volta in cui aveva
pagato cara la sua attitudine omicida.
Si
sfiorò la tempia, colta da un lieve capogiro, poi si sforzò di prestare
attenzione all’annuncio dell’altoparlante. La donna vicino a lei spinse il
passeggino un po’ avanti, preparandosi ad entrare nel convoglio in arrivo.
Dentro, un batuffolo avvolto in una coperta rosa dormiva beatamente. Si ritrovò
a sorridere lievemente, decidendo all’improvviso sul da farsi.
Sarebbe
rientrata a Mosca, avrebbe fatto certificare il suo stato e si sarebbe ritirata
dalle missioni. Non per sempre, solo il tempo necessario.
Si
mosse verso il limite della banchina con la sensazione di essere osservata. Il
suo sesto senso, il suo istinto affinato da anni di clandestinità e di vita
mercenaria, l’avvertivano del pericolo. Si voltò lentamente, pronta a tutto,
mostrando quasi indifferenza.
A
tre metri di distanza, al di là della madre con la carrozzina e altre persone,
c’era Neitchenko.
Il mondo è fottutamente piccolo. Pensò, restando immobile.
Bluffa! Le impose il suo istinto.
Mentre
l’uomo rimaneva immobile a studiarne la prossima mossa, le labbra di Nina si
incurvarono nel suo piccolo sorriso sadico. Si alzò gli occhiali con studiata
calma, ipnotizzandolo con i suoi occhi di ghiaccio, mentre la mano le scorreva
all’interno del cappotto. L’uomo ebbe un moto di sorpresa, si mosse appena
dalla sua posa, sorpassò la linea gialla del bordo con un piede, mentre la
folla si accalcava.
Una
distrazione fatale: scivolò quasi comicamente dalla banchina.
La
folla fece appena in tempo ad urlare all’unisono che la metropolitana lo
travolse.
Nina
arretrò di un passo, in una mossa inorridita, imponendosi di non guardare il
sangue, di non controllare ulteriormente.
Non
l’aveva toccato con un dito. Non l’aveva ucciso. Neitchenko
era caduto vittima della sua distrazione.
Ora capisco perché lo volevano
far fuori. Altro che ex spia con informazioni strettamente riservate. Questo
era un idiota bello buono!
Mentre
fingeva sgomento ed orrore lasciando la stazione, Nina sorrise dietro alla mano
che si teneva premuta contro le labbra.
Questo
si che era salvare capra e cavoli.
Luck
of the Irish.
“Agente Williams. Proprio lei desideravo vedere.”
Porc…!!
“Colonnello, agli ordini.” Salutò, mettendosi
sull’attenti, stringendo convulsamente tra lin una
mano la busta con il certificato medico, quasi nascondendolo tra le dita.
“Riposo,
agente. Volevo solamente complimentarmi con lei per come ha risolto la
questione Neitchenko. Ottima idea, quella di simulare
un incidente in metropolitana. Molto discreto e al di sopra di ogni sospetto. Anche
dalle telecamere di sorveglianza la Polizia londinese non ha trovato nessuna
anomalia, e l’episodio non è stato neppure sottoposto ad indagine. Non c’è che
dire, Williams, lei ha stile.”
“La
ringrazio, Colonnello.”
“Alla
luce di questo successo la sua promozione è praticamente assicurata, non
possiamo fare a meno dei suoi servizi: abbiamo altre missioni per lei.”
Nina
rimase un attimo interdetta. “Io...”
Prima
che potesse proseguire, lo sguardo del Colonnello Volkov
si era già posato sul cerotto bianco nell’avambraccio, indizio del prelievo di
sangue. “Controllo annuale? Non l’aveva già fatto prima di Londra?”
“Si,
signore.” Sospirò la donna. Oh, al
diavolo. Non è una cosa che si può nascondere a lungo, no? Lentamente,
vedendo la promozione volare lontano lontano da lei,
Nina porse la busta bianca al Colonnello, che la aprì.
“Ah.”
Disse, una volta letto il certificato, restituendole il foglio. “Questo cambia
le cose.”
La
donna non poté fare a meno di sospirare con un moto didelusione: “Già.”
“…
ed è di…?”
“Beh,
certo!” rispose piccata. Si accorse di dovere ulteriori spiegazioni circa la
propria condotta – anche uno stupido ci sarebbe potuto arrivare che il bambino
era stato concepito durante un’operazione militare - ma Volkov
non domandò ulteriori spiegazioni.
“Il
Sergente Dragunov farà di ritorno questa sera dal
Kazakistan. Credo sperasse di passare diversamente i due giorni di licenza.”
“Beh,
io…”
“Non
occorrono spiegazioni, Williams. Ad ogni modo, in bocca al lupo. Con il figlio
di Dragunov ne avrà bisogno.”
“Gr… grazie signore. Crepi. Il Lupo.”
Mentre
il colonnello si allontanava dalla direzione opposta alla sua, Nina pensò di
fortuna gliene serviva più di quanto fosse normalmente a disposizione di un’irlandese.
Buonasera ragasse!
Allora, premetto che NON sono MAI
stata a Londra…
Perciò, ringrazio prima di tutto Mr Google Maps per il suo
splendido servizio di mappe della città e di cartine della metropolitana! Le
stazioni, le vie e soprattutto il ristorante giapponese esistono! (e quest’ultimo
ha 5 stelle come recensione su Google)
Detto ciò, ora Nina è davvero nei
guai…J
Oltre a Mr
Google Maps ringrazio calorosamente:
Miss Trent,
i cui pareri/elucubrazioni/ipotesi sono sempre ben accetti, ricercati e
agognati.
Nefari,
puntuale ed entusiasta con l’immaginazione moooolto
ampia e la bocca piena di muesli dietetico.
Miss Rose, new,
graditissima entry che mi ha fatto andare ancora di più in brodo di giuggiole
WhisperOf The Wind altra new entry
fanwriter, gentilissima e ‘Annista’:
Per quanto riguarda la morte del papa di Anna e Nina, mi sono basata sulla
storia di Tekken, in cui la morte avveniva dopo il
primo torneo per circostanze mai chiarite, e non su Death ByDegrees. Mi piaceva di più cosi….
Abbi pietà di una povera pazza!
Bloody
Road, che mi fa emozionare ed intrigare con la sua Cyanide…!
Perché
scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.
7 – Die Another Day!
Mentre
estraeva le chiavi di casa dallo zaino militare tutto ciò a cui riusciva a
pensare Sergei Dragunov era gettarsi sul divano. Sino a quel momento non poteva
dirsi ufficialmente in licenza.
Dopo
quei cinque mesi infernali passati in Kazakistan, di cui l’ultimo a schivare
raffiche di pallottole praticamente ventiquattrore al giorno, ogni singola
cellula del suo corpo reclamava il meritato riposo, il premio dell’eroe:
Divano, TV e birra fresca portata da una bionda discinta.
E
se riusciva a trovare le chiavi di casa, poteva star certo di veder realizzate
tutte le sue necessità.
Soprattutto
quella della bionda discinta.
Aprì
la porta sul salotto incredibilmente ordinato dell’appartamento. Rimase
inizialmente un po’ perplesso a riguardo: Nina era tutto fuorché una donna di
casa decente. Era raro non trovare borse, vestiti e armi sparsi in giro per la
casa.
Ma
era davvero troppo stanco per
mettersi solamente a sospettare. Tanto più che Nina era comparsa – Jeans
attillati a vita bassa e canotta – dal corridoio. Nessuno sguardo minaccioso,
nessun sorrisetto sadico.
“Bentornato,
eh!” l’aveva salutato appoggiandosi alla parete, le mani infilate – chissà come
– nelle tasche degli striminziti jeans.
Forse
si aspettava di certo un saluto migliore da parte sua. Ma no, non ce la poteva
fare. Il richiamo del divano era troppo forte. Ci si schiantò sopra a peso
morto, facendo appena in tempo a mollare per terra lo zaino.
Stranamente,
ma era sempre troppo stanco per sprecare energie sospettando, Nina l’aveva
osservato alzando un sopracciglio quasi divertita. “Comodo, uh? Devi proprio
essere sfinito…”
“Se
continuo così ai trent’anni non ci arrivo vivo.” Bofonchiò l’uomo,
accomodandosi meglio tra i cuscini e sfilandosi scarpe e giacca senza
rialzarsi.
“Ti
conviene arrivarci.” Eccolo lì, il temuto sorrisetto Williams: una piegolina
del labbro a metà tra il sadico e l’irrisorio, da cui ci si poteva aspettare
una notte di sesso sfrenato come una pallottola in mezzo agli occhi.
Sperando
nella prima possibilità, l’uomo si sforzò di guardarla: “Perché, mi hai già
preso il regalo?”
Nina
prese un bel respiro scuotendo la chioma bionda e disse, con la stessa
tranquillità con cui di solito gli annunciava di aver comprato un paio di
scarpe con la sua carta di credito : “No, sono incinta.”
Lì
per lì non capì immediatamente: l’accento irlandese di Nina, nonostante i tanti
anni trascorsi a Mosca, non voleva proprio saperne di andarsene e spesso
storpiava le parole.
Poi
però comprese. Non appieno. “AH.” Non riusciva a rendere tangibile quello che
Nina aveva appena detto. Da tanto era stanco, poteva anche esserselo sognato.
Forse. “… e quando?”
Le
mani di Nina si posarono sui fianchi, mentre la sua voce prendeva una nota
sarcastica: “Dunque,facendo un paio di
calcoli direi durante la missione in Kazakistan, ricordi? Quando ci siamo
nascosti nello scantinato… in attesa dell’alba per attaccare…? Effettivamente
avevi detto che poteva essere pericoloso.”
“Intendevo
che potevano spararci.”
“Oh,
beh. Invece quello che ha fatto centro sei stato proprio tu. Complimenti. Una
sola botta in cinque mesi, colpita e affondata! Che mira…”
“AH”
La faccenda continuava a suonargli abbastanza confusa. Meglio dormirci su.
“Svegliami per cena.”
L’ultima
cosa che vide, prima di chiudere gli occhi, era la bocca di sua moglie che si
apriva sdegnata.
Si
svegliò a notte inoltrata, rimanendo per qualche istante incredulo nel
constatare che il salotto era avvolto nel buio e non si sentiva all’interno
dell’appartamento alcun rumore.
Uhn…
C’era
qualcosa che non andava.
Uhn…
Il
divano c’era, ma la Tv era spenta e nessuna traccia della birra portata dalla
bionda discinta.
A
proposito, la bionda discinta non doveva svegliarlo per la cena?
Bah.
Valle
a capire le donne. Probabilmente era uscita, o si era scordata, o era a dieta,
o chissà che.
Si
alzò grattandosi la testa e prendendo contro a tutti gli spigoli dei mobili della
casa, prima di entrare in cucina. Nel frigo c’era solo un solitario toast con
un foglietto dalla eloquente didascalia “La cena dello stronzo”.
Uhn….
Cosa
doveva tanto onore?
Bah.
Valle
a capire le donne.
Trangugiò
il toast congelato accompagnandolo da un pacchetto di patatine come contorno e
una birra. Dopo essersi lavato i denti e aver deciso di rimandare a domani la
rasatura della barba si era avviato verso la camera
Aprì
la porta piano, illuminando con il fascio di luce la figura femminile avvolta nelle
coperte. Di Nina si intravedeva una ciocca bionda sul cuscino e un braccio che
sporgeva dal piumone.
Un
braccio solo, già abbastanza invitante.
Di
certo il riposo aveva giovato ad un suo certo tipo di appetito. Si infilò sotto
le coperte, cercando il suo corpo. La sentì mugolare morbida mentre le
accarezzava le gambe, i fianchi, sino ad arrivare al collo da cigno, respirare
il suo profumo, accarezzarle la guancia e…
“AH!”
Ricevere
un morso.
“Che
cazzo…?”
Nina
era balzata in piedi sul materasso, gli occhi furenti quasi fuori dalle orbite,
i capelli gonfi e scarmigliati.
“comeosipezzodimerda!!”
“…?”
“Dopo
che prima ti sei addormentato, come
se quello che ti ho detto non fosse affar tuo, chiedendo mi svegliarti per cena… cosa pensi che sia,
la tua cameriera personale?”
“…aspetta…”
“Certo,
non mi sarei mai aspettata che tu facessi i salti di gioia, ma questo tuo menefreghismo nei miei confronti, anzi,
nei nostri confronti, è disgustoso! E io ho ammazzato per MOLTO
MENO.”
“…
Nina io…”
“TU
COSA?”
“…
non ricordo quello che mi hai detto.” Era una mezza verità. Qualcosa gli
suggeriva che Nina, qualche ora prima, gli avesse riferito una notizia
sconvolgente, ma, davvero, il tutto era avvolto in una fitta nebbia.
…
e tra poco, a giudicare dallo sguardo assassino della donna, sarebbe stato
anche macchiato di sangue.
“COME
FAI AD ESSERTI SCORDATO CHE TI HO DETTO CHE SONO INCINTA?”
Dopo un istante di disorientato silenzio,
mentre la memoria gli faceva il favore di ritornate, l’uomo deglutì
faticosamente. “AH.” Deglutì di nuovo. “… e lo vuoi tenere?”
Si
ritrovò schiantato contro la parete di fronte, con Nina che scendeva, con
studiata calma felina, dal letto e si avvicinava, gli occhi brillanti nel buio.
“Ho
deciso che non avrei più ucciso nessuno finché il bambino non fosse nato. Ma per te farò volentieri un’eccezione.”
“ASPETTA!”
“…hai
un ultimo desiderio da esprimere?”
“Ho
una considerazione da fare che…”
“RISPARMIA
IL FIATO!”
Solo
gli incredibili riflessi del soldato lo salvarono dal calcio di Nina, che colpì
la parete facendo cadere il poster del film ‘Scarface’ appeso di fianco e tremare pericolosamente l’armadio.
Nina si rimise in posizione, pronta ad attaccare di nuovo. “Nina, è sleale, non
posso combattere contro di te!”
“Oooh.
Ma che dolce. Così mi rendi tutto più facile.” Sembrava sul punto di spiccare
un balzo, quando si fermò, una gamba a mezz’aria e l’espressione disgustata.
Premendosi una mano sulla bocca, corse in bagno, gettandosi sulla tazza.
Ne
uscì qualche istante dopo, la faccia stravolta.
“…hai
vomitato?”
Nina
annuì, sedendosi sul materasso. “Ho la nausea in continuazione. Facciamo che ti
uccido un altro giorno.” Disse, coricandosi stancamente e riavvolgendosi nel
piumone.
“Meglio,
grazie.” Sospirò Sergei, coricandosi a sua volta. Rimasero un istante in
silenzio, entrambi svegli, senza guardarsi.
Eccezionalmente,
il primo a parlare fu proprio l’uomo: “Ma quindi sto per diventare padre?”
“Complimenti
per l’intuito, Capitan Ovvio!” Nina lo fissò, studiandone l’espressione.
Impassibile, come al solito. “Tu non lo vuoi, vero?”
Dragunov
rimase un attimo in silenzio. Si aggiustò il cuscino più volte. “Non è questo.
E’ che non me l’aspettavo. Mi hai colto di sorpresa.”
“Se
è per questo ha colto di sorpresa anche me. Però… non so. Sento che è una cosa
positiva. Forse sono gli ormoni, non lo so. Ho fatto la prima settimana
completamente scombussolata, ma poi… Credo che sia dall’altra volta che aspetto questo momento.”
“…
Forse quella volta mi hai colto ancora di più di sorpresa.”
Nina
si sorprese ad accarezzarsi il ventre ancora piatto. Lo sarebbe stato ancora
per poco, forse era solo una sua impressione, ma poteva notare un piccolo
rigonfiamento spuntare. “Dovrebbe nascere i primi di maggio.”
“Ah.
Come me.”
“Ma
non eri nato a luglio?”
“No,
quella sei tu.”
“Ah,
già, è vero.”Nina sospirò,
aggiustandosi il copripiumone. “Dovranno cambiare un po’ di cose, qua dentro.”
“Già.
Dovremo nascondere le armi.”
“E’
vero. Dove le mettiamo? Non abbiamo di certo tutto questo spazio…”
“Uhn…”
“Forse
dovremmo cambiare casa, che dici?”
“…
che quasi quasi mi faccio trasferire in Afghanistan.”
“Provaci,
e scateno l’inferno in terra.”
“…
come se fosse una novità.”
Finalmente, dopo lungo rimandare,
riesco a postare in questa torrida domenica di metà luglio!
Die Another Day è una canzone di
MADONNA…
Ragazze, sono rimasta senza
parole dalla rapidità delle vostre recensioni!!! E’ RECORD!!
XD
BLOODY ROAD: Aiuto, ragazza mia!
Che adulazione! Tu sei già bravissima di tuo, io non mi trovo così eccezionale!
MISS TRENT: Probabilmente
cercherai di strozzarmi dopo la storia della data di compleanno di Sergei… ;)
grazie tesoro per l’infinita pazienza con cui mi sopporti, e grazie grazie
grazie grazie per la FF che mi hai dedicato!Non vedo l’ora di leggere la tua nuova produzione.
WISHPER OF THE WIND: Grazie!!!
Diciamo che il matrimonio di questi due lo vedo come una semplice firma in
comune, tra una missione e l’altra… (forse perché è questo il mio matrimonio
ideale…)
NEFARI: mmmmm…. Mi fa troppo gola
quel muesli….Volkov è come il grande fratello… non te lo puoi scollare dai
maroni maiiii!!!
Perché
scrivere una storia intera e di senso compiuto comporta troppa fatica.
8-
Purple Shades of Victory.
Il
lavanda era stato un colore facile da stendere sulle pareti della stanzetta. Appoggiando
il rullo ancora imbibito di pittura nel secchio, Nina guardò soddisfatta il
risultato del suo lavoro. Ora doveva montare il lettino, il fasciatoio e
l’armadio. Il regalo di Steve avrebbe fatto bella mostra di sé da qualche parte
–se solo sapesse che diamine aveva
intenzione di regalarle quell’invasato del suo figlio maggiore.
Certo,
sarebbe stato ancora più facile se non avesse avuto quella pancia enorme ad impedirle i movimenti.
Beh,
colpa sua che aveva atteso l’ultimo momento prima di dipingere la cameretta
della bambina in arrivo.
Colpa
sua che aveva cercato di convincere Sergei a farlo.
Era incredibilmente bravo a fare orecchie da mercante tanto quanto
approfittarne del suo stato interessante e di incredibile serenità ormonale.
Intanto i nove mesi stavano per
scadere. Si sarebbe potuta vendicare con comodo DOPO. Nina Williams non perdona
né dimentica.
Si
accarezzò la pancia, la stoffa della vecchia salopette blu che aderiva.
“Allora, piccola, ti piace il tuo nido?” domandò, non aspettandosi realmente
nessun segno di risposta. La marmocchia iniziava ad essere piuttosto strettina là dentro, ed aveva iniziato a limitare i
movimenti a quelli essenziali. Probabilmente non vedeva l’ora di venirsene
fuori. Tanto meglio, ormai il mal di schiena iniziava a farsi sentire e lei non
era di certo come sua sorella che sosteneva di sentirsi in sintonia con
l’intero universo durante la gravidanza e pervasa da una pace cosmica. Fosse
stato per lei, Jamie ci sarebbe rimasto per altri tre
- quattro anni. Per Nina, sarebbe bastato che suo nipote non avesse tutta
quella fretta di nascere, visto dove si trovavano quando aveva deciso di fare
il suo ingresso trionfale nel mondo.
Sperava
invero che la piccola decidesse di seguire le orme del cuginetto e di
presentarsi all’appello con discreto anticipo.
Il
rumore della porta d’ingresso che si apriva la distrasse dalla sua
contemplazione. “Toh, vuoi dire che papà è tornato in anticipo?”
Il
tempo di togliersi la pittura dalla faccia che Sergei
le era comparso alle spalle. Guardò il risultato del lavoro con occhio critico
e la solita espressione impassibile.
“Visto?
Non è così terribile come dicevi, no?” commentò Nina. “Ora, visto il tuo
efficientissimo buon orario, ti va di aiutarmi a montare i mobili?”
Momento
di silenzio. Qualcosa non andava: stava fissando il soffitto e non incrociava
il suo sguardo. “Uhn. Temo di non poterlo fare.”
“…ma che strano…”
“Ho
due ore per preparare l’equipaggiamento. Devo partire per…”
Sintonia
con l’Universo?
Pace
Cosmica?
Incredibile
Serenità Ormonale?
L’ematoma
sul sopracciglio sinistro di Dragunov, corredato da
un taglio dicevano l’esatto contrario, mentre usciva – abbastanza di fretta -
con lo zaino militare sulle spalle e il ghiaccio sulla ferita.
Si
sentiva abbastanza abbattuta mentre si lasciava cadere stancamente sul divano.
Dopo quarantacinque minuti di tentativi vani per montare il mobilio della
cameretta – le istruzioni non mentivano quando segnavano che bisogna essere in due per il montaggio, aveva
mandato tutto al diavolo ed aveva rimandato a data da destinarsi.
Accese
il pc portatile per distrarsi un po’, scoprendo un
messaggio di Steve sulla sua casella di posta elettronica.
Le
domandava se stesse bene, come stava procedendo e le raccomandava di Chiamarlo nel caso avesse bisogno.
Lo
sguardo azzurro di Nina si posò sui vari pezzi di mobilio sparsi per terra.
Tra
dieci giorni sarebbe scaduto il termine della gravidanza.
A
volte anche i lupi solitari dovevano arrendersi all’evidenza che il gioco di
squadra era necessario in alcune situazioni. Prese in mano il cellulare e cercò
in rubrica il numero di suo figlio.
Alle
11 e 30 del mattino seguente Nina Williams fu svegliata da un insistente
scampanellio della porta d’ingresso.
Si
alzò imprecando contro il postino, sicura che fosse quel dannato ad aver
interrotto il suo sonno ristoratore.
Con
sua somma sorpresa, al di là della porta si era presentato un noto ragazzo dai
capelli biondo platino, gli occhioni azzurri e una
giacca a vento aperta sopra ad una camicia hawaiana a sua volta completamente
sbottonata.
“Sarei
arrivato prima… ma Julia mi ha fatto comprare la
giacca.”
“…
e poi ti ha spedito con FedEx?” Nina si spostò per farlo entrare
nell’appartamento. “E poi siamo a fine Aprile, neppure qui fa più così freddo."
“Infatti
sto facendo la sauna.”
“…te non sei normale…”
Steve
si era messo a guardarsi intorno, sbirciando tra le porte “Carina la casa
nuova.” Commentò. “Un po’ più grande di quella prima. Anche se ormai sono
abituato alle case americane…”
“Uh,
già. Dimenticavo che mio figlio è diventato uno yankee. Il che, per una madre
irlandese, è meglio di un figlio dannatamente inglese.”
“Per
il mio patrigno no, o sbaglio?”
“Deve
essere ancora inventato qualcosa che vada a genio al tuo patrigno. A parte il
suo AKS-74.”
Con
fare conciliante e con un sorriso da orecchio a orecchio, il ragazzo appoggiò
le mani sul pancione di Nina. “Sono sicurissimo che ci sia un’altra cosa che
gli va a genio…”
“Evidentemente
non hai visto la sua espressione quando ha scoperto che è femmina.”
“Vammi
indovinare: la solita?”
“La
faccia di Dragunov ha diversi tipi di impassibilità.
Quella era la stessa impassibilità che utilizza anche nei post sbronza.”
“…Colorito verdognolo?”
“Precisamente.”
“Oh,
beh. Poteva andar peggio, no?”
“Certo,
poteva assumere l’impassibilità di quando si ritrova davanti Raven. Hai fame? Vuoi qualcosa da mangiare?” quasi
cinguettò, facendo cenno di seguirla nella cucina.
Il
cellulare di Nina squillò quando l’ultimo lato di sbarre di legno del lettino
bianco era stato messo al proprio posto.
Senza
guardare il display, la donna chiese quasi cortesemente al ragazzo dei
rispondere in sua vece.
Lui
provò a protestare, ovviamente senza risultato.
“Stevie, sei qui per aiutarmi, giusto?”
Con
un sospiro il ragazzo si portò l’apparecchio al telefono. “Pronto? E’ Dragunov, vuole parlare con te.”
“Dragunov…Dragunov… mi pare di
aver già sentito questo nome da qualche parte…dev’essere il mio coinquilino saltuario, si, quello che
canta le canzoni delle t.A.T.u sotto la doccia.”
Steve
soffocò una risata, mentre dall’altro capo del telefono proveniva un silenzio a
dir poco inquietante. Poi un sibilo, che Steve interpretò con un: “Credo voglia
il divorzio…”
“Rispondigli
TRACHNITJE ETO.”
Dopo aver ripetuto le parole della madre, Steve
guardò angustiato il telefono: “…temo mi abbia
minacciato di morte, prima di riattaccare.”
“Oh, non preoccuparti. Lo fa con tutti.”
“Riattaccare o minacciare di morte?”
“Entrambe le cose. Sai, non è molto loquace. E va
direttamente al sodo.”
La
contrazione era stata inaspettata quanto forte, e l’aveva fatta svegliare di
scatto. Con qualche difficoltà si rizzò a sedere, la fronte imperlata di
sudore. Si appoggiò alla testiera del letto, cercando di focalizzare il dolore
e di concentrarsi sul tempo che trascorreva. Faticava a rimanere in quella
posizione a causa della sciatalgia: l’effetto collaterale della gravidanza più
odioso che potesse venirle, e ormai la tormentava da un paio di giorni pieni. Restò
vigile per qualche minuto, gli occhi aperti nel buio, per poi piano piano assopirsi lentamente.
“AH!”
Un’altra. Dannazione. Le contrazioni sono
molto comuni al nono mese. Specie con un caldo come questo. Un paio di
contrazioni non volevano di certo dire che…
“AH!”
Beh, non c’era il due senza il tre e… “AGH!!”
Era
come se le avessero vuotato un secchio d’acqua in mezzo alle gambe. Il che era
una prova abbastanza inconfutabile.
“STEVE!”
“Ok,
Ok, devi fare dei respiri profondi. Reeeeespiri
profondi. Reeeespiri profondi.”
“Steve,
sto già respirando profondamente. Non c’è bisogno che me lo ripeti ogni trenta
secondi.”
Dalle
gambe di Nina, aperte, sul lettino della sala da parto, arrivò la voce della
dottoressa: “Lo so che è seccante, Signora, ma la prego di lasciarlo fare. Gli
uomini hanno spesso attacchi di panico di fronte al parto della propria compagna…”
“…!”
“Ehm,
veramente, dottoressa, questa è mia madre. Giuro, non sono stato io a fare un
simile casino.”
L’ostetrica
era rimasta a bocca aperta, riemergendo dalle gambe in cui stava controllando
la situazione. “…Sta scherzando, vero?”Recuperò velocemente la cartella clinica di
Nina, e la aprì a controllare la data di nascita. Poi la guardò di nuovo,
ancora più basita. “Mi può lasciare il nome del suo antirughe, per favore?”
“Dottoressa,
la smetta di dire stronzate e faccia in modo di far finire questo momento al
più presto.”
“Signora,
purtroppo la dilatazione non è ancora sufficiente.”
Nina
imprecò nuovamente, gettando all’indietro la testa sudata, con Steve che le
tergeva solerte la fronte. “E allora mi dia qualcosa, cazzo! Mi sto aprendo in
due!”
“Posso
procedere con l’epidurale, se preferisce…”
Ma
Steve le toccò la spalla leggermente. “Mamma, so che non è il momento, ma tu mi
avevi chiesto di ricordarti una cosa, nel caso tu fossi piuttosto sconvolta dal
parto…”
“…?”
Steve
prese un bel respiro, indietreggiando a distanza di sicurezza e disse tutto d’un
fiato: “Zia Anna ha partorito in un hotel semidistrutto, in una città
completamente rasa al suolo, senza alcuna assistenza medica e nessuna pratica
contro il dolore. Ci tenevi che ti ricordassi questo, per non farti fare una
magra figura a confronto.”
Nina
lo fissò mentre cercava riparo dietro all’ecografo. Rimase un attimo
interdetta. Poi annuì, imprecando immediatamente dal dolore. “Dottoressa, si
levi dalle palle. Qui CI PENSO IO.”
L’ostetrica
fu lieta di accontentarla, scivolando velocemente fuori dalla stanza.
“Mamma,
forse non è il caso di imprecare… sai, non vorrei che
mia sorella iniziasse subito a percepire il mondo esterno come un posto ostile…capisci… già le scoccerà
uscire di li…”
“CHE
CAZZO STAI DICENDO, RAZZA DI IDIOTA! E’ ora che tua
sorella sloggi, e alla svelta. E se non si muove a farlo, andrò io
personalmente a prenderla. Sono ormai VENTISETTE ORE che agonizzo su questo
dannato letto.”
“In
effetti…”
“Steve,
ho bisogno di imprecare da sola. Levati pure tu dalle Palle, dai. Vatti a
prendere un caffè. Sparisci. Eclissati.”
E
giusto per rimarcare la questione, il telefono cellulare, che aveva iniziato a
squillare, fu scagliato nel bel mezzo del corridoio.
“Pronto?”
“…. Dunque?”
“E’
ancora in travaglio!”
“Ah. E’ in travaglio?”
“E
già da un po’. Ora la situazione sta degenerando. Senti, non credi sia meglio
rientrare e fare il tuo dovere di quasi padre?”
“…?”
“Voglio
dire sopportare tu le sue urla al mio posto.”
“Dovrei essere a Mosca tra cinque
ore circa. Devo prendere l’ultimo aereo.”
“Beh,
fallo. Che aspetti? Non ci sarà mica sciopero dei controllori oggi, no?”
“….”
“No.
Mi rifiuto di crederlo. Non può essere vero! Diamine, sei un sergente, no?
Chiama l’aviazione, o noleggia un blindato, fai qualcosa!”
“…TSK!
Gli eserciti non si mobilitano perché una donna è in travaglio!”
“Ehm…Sergei, ti rinfresco la
memoria. La donna in questione, oltre ad essere una certa Nina Williams, di
professione Killer, è anche tua moglie, nonché mia madre. E la bambina che sta
per venire alla luce si tratta di tua figlia.”
“…”
“…”
“…”
“…non oso immaginare la tua faccia in questo momento.” Commentò
ironico, voltandosi verso la sala parto, giusto in tempo per vedere quattro
medici attorno ad una barella. Una barella su cui era sdraiata una Nina
Williams piuttosto furente e al limite della sopportazione umana. “Hey, ma…!”
“Questi
luminari della medici vogliono portarmi in sala operatoria! Non capiscono che
posso farcela DA SOOOLAAAA!”
“Che diavolo sta succedendo?”
“Scusa tipo, ma devo proprio andare…” Gemette, chiudendo la conversazione, prima di
rincorrere la barella. “Mammmaaaaa! Era Dragunov al telefono…”
“Che
diavolo vuole da me ancora? Ha combinato abbastanza guai!”
“Sta
arrivando. Controllori di volo permettendo. Ma ha detto che, se necessario, si
paracaduterà sull’ospedale.” Mentì.
“TSK!”
“E
ha anche aggiunto che stai facendo un ottimo lavoro, che è tanto tanto fiero di te e che non vede l’ora di vederti, e che è
tanto tantotanto
dispiaciuto di non esserci e che…”
“Steve… ti ringrazio, ma non me la bevo.”
“…ha anche detto che anche se farai il cesareo, non
significa che tu sia inferiore a zia Anna.”
Nina
fece segno al barelliere più vicino a sé di fermarsi: “…davvero?”
“Si.
Per lui sei la migliore comunque. E anche per me, ovvio.”
L’espressione
della donna cambio, sotto il casco di capelli madidi di sudore. Sembrava
svuotata da qualsiasi furia, più tranquilla, mentre appoggiava le mani al
ventre gonfio e dolorante. “Mi dispiace se ho dato in escandescenze, Steve.
Credo siano gli ormoni.” La fronte si aggrottò di nuovo, mentre si gettava all’indietro
sulla barella. “No, ormoni un cazzo! Sono le contrazioni! Forza, che state
aspettando? TIRATELA FUORI DI QUA!”
“Ciao
Victoria, amore del tuo fratellone…!”
“Viktorija” corresse appena la pronuncia, mentre la piccola
era morbidamente attaccata al suo seno, gli occhietti chiusi. Un batuffolo rosa
attaccato al suo petto, fotografato costantemente da Steve. Una cosa
inaspettata, splendida, meravigliosa e completa.
Un
cucciolo perfetto in ogni sua forma. E le ventisette ore di dolori e l’operazione
erano solo un vago ricordo.
“E’
un nome valido sia in inglese che in russo. E la vittoria è una delle cose che
noi amiamo tanto.”
“L’altra
è il famoso AKS-74?”
L’espressione
di Nina era assolutamente nuova, assorta, serena. Sospirò sorridendo, incapace
di staccare gli occhi dalla figlia: “Oh, no… è l’AK-47.
Un kalashnikov in dotazione sia all’esercito russo che all’IRA. Una delle tante
cose che ci accomunano…”
“…voi non siete normali…”
Il silenzio del corridoio bianco e verde era rotto dai suoi passi.
L’infermiera alla guardiola alzò gli occhi dalla sua rivista e gli fece segno
fare piano.
Rallentò l’andatura senza degnarla di uno sguardo, anche se sembrò fare
più attenzione a non far troppo rumore. Individuò la camera dall’altra parte
del corridoio e lo attraversò.
La stanza era buia, poteva sentire solo il suo respiro regolare. Era
ovvio che dopo una giornata del genere stesse dormendo, sarebbe stato meglio
tornare al mattino. Stava per tornare sui suoi passi, quando la lampadina del
letto si accese. Alla luce bianca del piccolo neon Nina aveva un aspetto
spettrale: Più pallida del solito, gli occhi segnati da occhiaie profonde, i
capelli sciolti in disordine sulle spalle e una flebo infilata nel braccio.
“Alla buon ora!” esclamò debolmente, mettendosi a sedere con fatica. “Pensavo
non arrivassi più.”
“C’è stato un ulteriore imprevisto.” Si avvicinò, dando un’ulteriore occhiata
alla stanza.
“Non è qui.” Nina sbadigliò, alzandosi con una piccola smorfia sul
viso. Chiuse la valvola della flebo e staccò il tubicino dall’ago per infilarsi
la manica della vestaglia, e poi rimise tutto a posto. “E’ antidolorifico. Per
stanotte mi servirà” sbadigliò. “Ho fatto il cesareo.” Aggiunse. “Dopo ventisette
ore di travaglio non ne voleva sapere di uscire, il medico ha pensato che era
giunto il momento di sfrattarla con la forza”
“Capisco.” Era anormale parlare così della nascita della propria
figlia, anche se i genitori erano loro due, la coppia meno comune che si
potesse mai immaginare. Gli parve all’improvviso che fosse del tutto ingiusto non
aver saputo prima di come fosse avvenuta la nascita, delle complicazioni e del
tempo impiegato. Pensandoci, non sapeva neppure quanto pesasse la bambina.
Un gigantesco mazzo di fiori appoggiato sul comodino attirò la sua
attenzione. Chiese a Nina chi glieli avesse mandati.
“Steve” rispose con voce ovvia, mentre si allacciava la vestaglia. “E’
stato qui per tutto il tempo. Un angelo, davvero: mi ha tenuto compagnia, mi ha
aiutato molto. Non so come avrei fatto senza di lui. L’ho mandato a casa
un’oretta fa, si era addormentato in piedi con la testa fuori dalla finestra.”
La frecciatina della moglie lo infastidì ulteriormente, insieme al
sapere che il suo figliastro aveva preso egregiamente
il suo posto. “Lo sai che non potevo…”
“Si, lo so, lo so. Vieni, non sei curioso di vederla?”
L’aveva seguita sino alla nursery, studiando il suo volto che sembrava
riprendere colore e la sua espressione, che da stanca era diventata impaziente.
Un accenno di sorriso stendeva le labbra pallide.
Arrivati davanti all’ampia vetrata della stanza, gli aveva indicato un
fagottino rosa nella seconda fila.
Vedere la bambina era stato come un click: solo in quel momento era
riuscito davvero a realizzare che lei esisteva
davvero, che nulla sarebbe stato più lo stesso.
C’era il suo nome scritto in rosa sulla culla di plexiglass. C’era la
tutina bianca e rosa che aveva visto in mano a Nina prima di partire per la
missione e la copertina ricamata, regalo di Anna. Vedendoli, l’infermiera prese
in braccio la bambina, avvicinandosi alla vetrata per mostrarla meglio.
“Sembra una scimmietta, non è vero?” constatò Nina con un piccolo
sorriso, appoggiando la mano sul vetro.
C’era un casco di capelli neri spettinati, una boccuccia a forma di
cuore e un nasino piccolo e delicato. “Credo sia la cosa più perfetta che abbia
visto nella mia vita.” Sussurrò la donna. “Non è incredibile che siamo stati
noi a crearla? Più la guardo e più mi chiedo come sia stato possibile. Voglio
dire, io sono bella, certo. Ma tu… con quel naso…”
“Non si può vedere da più vicino?”
L’infermiera gliel’aveva portata fuori dalla nursery, proprio mentre la
piccola scimmietta aveva aperto gli occhi azzurrissimi, esibendosi poi in uno
sbadiglio gigantesco per le sue piccole dimensioni. “Approfittane ora per
presentarti, perché tra un po’ avrà voglia di mangiare e non vorrà sentire
ragioni.” Consigliò Nina, infilandogliela in braccio, raccomandandosi di tenere
la testina sorretta. “Ciao Viktorija, questo è tuo papà…So che in questi ultimi giorni l’hai sentito chiamare
con vari epiteti poco carini. Però il suo nome è Sergei.”
aveva sussurrato con un piccolo bacio sulla microscopica fronte. “Non ti
aspettare che sia così loquace come il tuo fratellone…”
Lo sguardo della piccola era un po’ vago, un po’ incuriosito. Apriva e
chiudeva le piccole manine, e con una catturò un suo dito, stringendolo. “E’
forzuta.” Constatò Dragunov. E la piccola,
incredibilmente, sorrise.
“E ha già capito con chi dovrà
fare la smorfiosa.”
Ed
Eccomi!!! Finalmente di ritorno dopo la luuuuunghissima
pausa estiva!
Per
me quest’anno c’è stata una splendida settimana in Irlanda! …e
quanti appunti che ho preso! ;)
Bene,
vi somministro anche questa PILL, sperando riscuota il vostro gradimento!
Arrivederci
a PRESTO (spero!)
PS:
AKS-74 e AK-47 sono fucili Kalashnikov da assalto davvero in forza all’esercito
russo. In particolare il tanto amato AKS-74 è utilizzato dalle forze speciali
SPETSNAZ. (Grazie MrWikipedia
di esistere!)
PPS:
Si, a Mosca fa caldo in estate. Quest’anno hanno pure avuto qualche problema di
incendi (… dite che SErgei si è acceso una sigaretta
a modo suo?)