Gli occhi di Anais...

di baby80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** fantasma ***
Capitolo 2: *** Una nuova vita ***
Capitolo 3: *** André ***
Capitolo 4: *** Amore? ***
Capitolo 5: *** Cenere ***
Capitolo 6: *** Oscar ***
Capitolo 7: *** Tempesta ***
Capitolo 8: *** C'è del marcio in Danimarca... ***
Capitolo 9: *** Il tocco ***
Capitolo 10: *** Peccato? ***
Capitolo 11: *** Natale 1788 ***
Capitolo 12: *** La resa dei conti ***
Capitolo 13: *** Senza parole ***
Capitolo 14: *** Sussurri e segreti... ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** fantasma ***


È una mattina di inizio dicembre, così fredda e scura che perfino il gallo, quest'oggi, ha deciso di privarci del suo canto.
Cammino a piedi scalzi sul pavimento che pare ghiaccio, una pessima abitudine che mi porto dietro dall'infanzia, e per la quale, un tempo, ho rimediato innumerevoli sculacciate.
Comprendo perfettamente i rischi di questo mio incosciente vezzo, ma non mi è possibile farne a meno, ho bisogno di sentire, attraverso la pelle, ciò che sta al di sotto.
Se mi fosse permesso camminerei scalza da mattina  a sera, calpesterei quella terra che la maggior parte delle dame disprezza, colpevole, pur senza colpa, di macchiare le loro preziosissime scarpette di raso.
Ah, io non ho certo di questi problemi! Io stessa ricerco la colpa della terra sulla mia carne, correndo nelle pozzanghere di fango come fosse la cosa più naturale di questo mondo, e non disdegno neppure i deliziosi ristagni di pioggia o le distese di fili d'erba, bagnati dalla rugiada del mattino.
Se solo potessi correre, ora, su quel delizioso manto di neve che ricopre il giardino, credo che morire di gioia, o di polmonite, come direbbe la cara vecchia Nanny.
Tutto ciò che mi è concesso fare è osservare, i gomiti sul davanzale di marmo e il mento poggiato sui palmi delle mani, e lo sguardo corre, al di fuori di questa finestra annebbiata dal mio alito caldo.
Scruto il buio di un mattino ancora lontano, in contrasto con il candore della neve, così bianca e pura che sembra illuminare ogni cosa, se solo questo momento non giungesse mai alla fine... il sole potrebbe nascondersi sotto le vesti della notte, ed il gallo potrebbe barattare il  proprio stornello con un'intera vita di riposo, ed io, io potrei privarmi delle mie vesti di fantasma e divenire una presenza finalmente viva!
Se solo il giorno non sorgesse quest'oggi, io potrei essere una persona diversa.
Ma tutto questo non è possibile, ed eccolo li, l'ingrato sole, innalzare il proprio orgoglio con una tale prepotenza da far nascere in me un moto di stizza.
Tra qualche minuto il gallo si desterà, così come l'intero palazzo, ed io diverrò ciò che sono sempre stata, un fantasma, un ombra, un pensiero che non si rammenta più.
Tra qualche istante, ma non ora, ora sono io, ed io soltanto, l'anima di questo luogo.
Sorrido di questi miei stupidi pensieri, sbuffando aliti di respiro sul vetro che prontamente pasticcio, tracciando, con la punta delle dita, strambi scarabocchi.
Una figura attira la mia attenzione, una macchia scura a sporcare la purezza della neve, sollevo  il corpo sulle punte dei piedi, intirizzite dal freddo del pavimento, e lo vedo, colui che vive, come me, nella parte oscura del mondo.
Eccolo li, André, che ha fatto dell'ombra il suo vestiario.
Sospiro sperando che questa notte non veda mai la fine, socchiudo gli occhi cancellando la neve e la figura d'uomo che vi cammina all'interno.
Il canto del gallo.
L'intero palazzo riemerge dal sortilegio della notte, riempendo ogni più piccolo angolo di voci, rumori, di vita, ed io cado nell'ombra del giorno, divengo un insolito fantasma.
Un nuovo giorno, ed io sempre la stessa.
Mi chiamo Anais e sono nata nel silenzio.


Non parlo, mi pare di non averlo mai fatto, da che ho memoria per ricordare.
I miei genitori hanno temuto per la mia vita fin dal mio primo respiro, sono venuta alla luce prima del tempo, con la malasorte a mordermi il didietro, o almeno è così che racconta la vecchia Nanny.
Nessuno sa perché non vi è parola in me, incalcolabili ipotesi sono state coniate per il mio mutismo, e ancor di più sono state le maldicenze.
C'è chi ha affermato che fossi nata senza lingua, ma si dovettero ricredere quando, con la sfrontatezza dell'infanzia, non facevo altro che mostrare quella che fu definita, una linguaccia, a chiunque mi si avvicinasse.
Le menti più bizzarre erano fermamente convinte che in me ci fosse il male oscuro, il marchio inequivocabile del diavolo.
Non rammento più le volte che venni segnata col segno della croce, con fazzoletti impregnati d'acqua santa, da dame di cui non conoscevo neppure il nome.
Per i medici sono stata una sfida, era insolito per loro che io non avessi l'uso della parola, ma che al contrario ci sentissi benissimo.
“Chi nasce muto deve essere necessariamente sordo!” così dicevano, e allora... “Forse la bambina è pigra” affermavano con voce ferma e decisa, per poi concludere la diagnosi in un sussurro, in un angolo della casa, cercando di confortare mia madre.
“O magari, madame, la bambina è semplicemente tarda.”
Muta, tarda, pigra, maledetta da lucifero, qualunque fosse stata la mia condanna, mia madre tentò con ogni mezzo di estirpare anche una sola parola dalle mie labbra, provò con tutta se stessa, con tutto l'amore e l'ostinazione che solo una madre possiede.
Povera cara mamma.
Tentò, e tentai io stessa, fino a quando arrivò il giorno in cui semplicemente smisi di provare.
Ed eccomi qui, cameriera a palazzo Jarjayes, grazie al buon cuore di Nanny, se lei non avesse interceduto non vi sarebbe stato alcun genere di lavoro per una povera disgraziata come me.
Sono nata nel silenzio, cresciuta nella malattia, ed ora sono quella che nessuno nota, quella che nessuno vede.
Sono un fantasma, un'ombra, e tutto ciò che mi è concesso di fare è guardare.
Ed io ho visto.
Ho visto qualcosa che probabilmente non avrei dovuto vedere, e che forse dovrei dimenticare.
Ho visto qualcosa che forse nemmeno Loro comprendono, mi è stato concesso di scorgere i segreti, i sospiri, quei piccoli gesti che si compiono quando si crede d'esser soli.
Io ho visto tutto questo perché sono quella che nessuno vede.
Ma io esisto, e non posso smettere di vivere, da quando loro, Oscar e André, hanno riempito i miei occhi.

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Capitolo 2
*** Una nuova vita ***


È sera a palazzo Jarjayes, siedo sul letto ed ascolto il silenzio della notte, rotto, di tanto in tanto da suoni ogni volta differenti.
La notte ha il potere di calmare i turbamenti della giornata, accogliendomi in un mondo che mi somiglia, fatto di ombre e pensieri segreti, colmo di parole rimaste in sospeso tra la mente e la lingua, un universo che pare dormiente agli animi poco attenti, e che invece, al contrario, ha in sé il il fuoco della vita.
La notte nasconde il rossore dalle gote delle vergini, così come, allo stesso modo le ombre rendono impavidi coloro che, alla luce del sole, tremano al sol pronunciando il proprio nome.
Con le tenebre si può divenire ciò che si vuole, se stessi, o qualcun altro, tutto è permesso dinnanzi alla luna.
Ed io posso essere me stessa solo quando l'oscurità avvolge ogni cosa, solo in queste ore mi è permesso d'essere Anais, solo Anais, così dissimile dalla povera ragazza muta.
È ormai notte in questa stanza che è divenuta il mio rifugio, un piccolo mondo dentro il quale vivere ciò che non mi è concesso durante il giorno.
Una stanza, la mia vita.
Ricordo come fosse oggi il giorno in cui misi piede in questo luogo, in questa camera, ricordo ancora chiaramente la mia prima sera in questa grande casa, il buio, i silenzi spezzati da suoni sconosciuti, e la paura di venir inghiottita dall'oscurità.
Arrivai a palazzo Jarjayes che avevo da poco compiuto 10 anni.
Mia madre mi lasciò una mattina di novembre, la trovai seduta al tavolo della cucina con la testa abbassata, per un istante pensai che si fosse appisolata, ma quando mi avvicinai posando una mano sulla sua, la sentii fredda, le scostai una ciocca di capelli scuri e ciò che mi si parò dinnanzi fu qualcosa che mai riuscirò a dimenticare.
Cercai in tutti i modi di svegliarla, di riportarla da me, ma non bastarono i colpi che le diedi alle braccia, così d'istinto la mia bocca si dischiuse, ma non emise alcun suono, tentai di urlare, cercai con tutte le mie forze di trovare quella voce che non ho mai udito ma ogni sforzo fu vano.
Corsi fuori casa, corsi per strada in cerca di un viso noto e quando lo trovai mi aggrappai alle sue sottane, implorando con gli occhi, e con la forza delle mie braccia, un aiuto.
Quanti rimproveri mi furono rivolti, e quanti schiaffi, nessuno capiva cosa realmente stesse accadendo, pensarono agli insoliti capricci di una bambina ritardata, quando invece erano l'urlo disperato di una creatura terrorizzata.
Mia madre morì di crepacuore, a causa della malnutrizione e del troppo lavoro, questo mi venne detto dal medico del quartiere.
Quello che invece mi dissero i sussurri e le confidente mal celate al di là degli usci, fu che lei, mia madre, morì per causa mia, per il dispiacere che solo una “croce” come me può provocare.
Non piansi mai. Non piansi la sua mancanza per un anno intero, e per questo fui additata e guardata con disprezzo e compassione.
Poi un giorno successe, all'improvviso, senza il benché minimo sentore, piansi.
Bastò un lieve pensiero, il banale ricordo del suo profumo, e gli occhi mi si riempirono di lacrime e non li abbandonarono per ore ed ore.
Rimasi sola al mondo, mio padre ci abbandonò pochi mesi dopo la mia nascita e non si seppe più nulla di lui. Non conosco con certezza il motivo che lo spinse ad andarsene, ma non mi fu difficile intuirlo col trascorrere degli anni, era chiaro che non riuscì a sopportare il peso di una figlia malata.
Non udii mai mia madre parlare male di lui, al contrario, spesso mi raccontava di quel padre che mi aveva desiderata con tutto il cuore.
Per quanto mi riguarda non provo odio nei sui riguardi, e neppure amore, ho imparato a vivere senza una figura maschile al mio fianco ed è normale, credo, non sentire la mancanza di qualcosa che non si conosce.
Per qualche giorno, dopo la morte di mia madre, rimasi a casa di alcune vicine, ma ben presto mi resi conto che la mia presenza non era gradita, ero consapevole che vivere con me fosse difficile ma cercai di comportarmi sempre nei migliore dei modi, ma anche un tranquillo fiumiciattolo, apparentemente innocuo, se provocato dai forti acquazzoni può divenire feroce e distruttivo, così io, nel medesimo modo, divenni intollerante e spietata con coloro che ebbero per me solo maldicenze e cattiverie.
In quei giorni pensai di scappare, trascorrevo ore ad imbastire un modo per allontanarmi dalle dimore che mi ospitavano, fino a quando arrivò lei, Nanny.
Mia madre e Nanny erano grandi amiche, legate da un affetto profondo, prestarono servizio presso gli stessi padroni, molti anni prima ch'io venissi al mondo, e da quel momento non persero mai i contatti.
Nanny fu la mia liberazione, mi trascinò via da quelle persone che lei stessa definì “esseri senza dio, incapaci perfino di accudire delle bestie”, se avessi potuto sorridere con quella voce che mi è stata negata, lo avrei fatto, ma lo fecero i miei occhi, e le mie labbra, al suo posto.
Giungemmo a palazzo Jarjayes che era ormai già tarda sera, durante il viaggio mi fu spiegato che avrei dovuto lavorare come cameriera nella casa di un nobile, un generale, ma sopratutto mi fu raccomandato d'essere diligente e volenterosa, più di qualsiasi altro servo.
Posso vedere ancor oggi lo sguardo di Nanny dinnanzi al mio.
Mi prese il viso tra le mani e mi disse.

“Ascoltami attentamente bambina, tu dovrai lavorare più di chiunque altro, io stessa dovrò essere dura con te, più che con qualsiasi altra persona. Dovrai dimostrare al padrone d'essere in grado di svolgere il lavoro che ti è stato assegnato, e agli altri servi che non hai nulla di meno rispetto a loro.
Perché la tua malattia verrà sempre prima di te, e tu dovrai essere più veloce, più forte, dovrai provare che questa tua condizione non sarà d'intralcio al tuo lavoro. Sono stata chiara, tesoro?”

Annuii con convinzione, poco prima di perdermi nell'abbraccio di Nanny, ma compresi solo una minima parte della parole appena udite. Perché mai avrei dovuto lavorare il doppio degli altri? Solamente perché non vi era parola nella mia bocca? Possedevo braccia e gambe, come ogni individuo, ed il mio silenzio non avrebbe indebolito i miei arti, allora perché avrei dovuto sgobbare come un mulo per dimostrare ciò che in realtà non avrei dovuto dimostrare?
Dimenticai quella conversazione, quasi subito, persa nella magnificenza della dimora che mi si presentò davanti agli occhi.
Sentii parlare spesso della Reggia di Versailles e, per quel che ne potevo saper io, poteva essere benissimo quella dentro la quale mi stavo incamminando.
Vi erano saloni immensi, scale interminabili e lampadari che parevano gioielli, non ch'io ne avessi mai visti, ma immaginai fossero fatti sicuramente di quella foggia.
Col naso all'insù rimasi immobile al centro del salone, cogliendo ogni piccolo particolare del soffitto dipinto in un modo che mi lasciò senza fiato, e quasi non mi accorsi del giungere di Nanny, ricordo solo, come fosse ora, il ticchettio cadenzato di tacchi sul pavimento.

“E' dunque questa la bambina?”
una voce forte, chiara e decisa mi distolse dai miei pensieri.
“Si, Signor Generale. Lei è Anais.”
Nanny mi diede un lieve colpetto tra le costole, invitandomi, senza parole, a porgere i miei saluti al padrone del palazzo.
Mi inchinai dinnanzi ad un uomo altissimo, con un paio di occhi azzurri che tanto mi ricordavano l'azzurro del cielo in una giornata priva di nuvole.
“Dunque, è muta?”
“Si signor Generale, ma...”
“Ma...? Non sarà per caso tarda? Sei sicura che sarà in grado di svolgere le mansioni che le verranno assegnate? Sembra così... fragile.”
Disse l'uomo stringendomi un braccio nella sua grande mano.
“Oh no, glielo assicuro Signor Generale! Ha avuto la disgrazia di nascere muta ma per il resto è perfettamente sana, comprende qualsiasi cosa! E vi assicuro che è forte, non fatevi ingannare dal suo aspetto, ha gambe sane, di polpa forte.”
Nanny cercò di convincere il padrone tastandomi la coscia, al di sotto della mia sottana.
Il Generale alzo un sopracciglio, si passò un dito sulle labbra e finalmente pronunziò il suo verdetto.

“E va bene, da domani prenderà servizio, ma alla prima difficoltà la riporterai da dove è venuta, senza discutere! Ora portala nelle cucine, dalle da mangiare e sistemala in una delle stanze della servitù.”
Ascoltai distrattamente il dialogo tra Nanny ed il Generale Jarjayes, vi era qualcosa di più interessante che attirò la mia attenzione.
Nascosti nel buio del sottoscala vidi muoversi delle figure indefinite, a cui cercai di dare un senso, allontanandomi di qualche passo, e fu in quell'istante che, i due fantasmi, sgattaiolarono oltre l'ombra, per poi dirigersi verso un lungo corridoio, celandosi nuovamente dentro la notte.
Rimasi a bocca aperta, confusa, spostai lo sguardo da Nanny al Generale, e mi stupii nel rendermi conto che nessuno si era accorto delle due presenze sbucate dal nulla.
Vidi ciò che nessuno vedeva. Fu quello, l'inizio di ciò che ora è una consuetudine, nella mia vita.
Quella sera vidi due bambini correre a piedi scalzi, tenendosi per mano, con un sorriso complice sulle labbra e la tensione per quelle risate che riuscivano a trattenere a stento.
Il bambino che immaginai essere il più grande, aveva i capelli scuri, racchiusi in un nastro azzurro, mentre l'altro, il più piccolo, quello che con molta probabilità doveva avere la mia stessa età, possedeva dei meravigliosi boccoli biondi.
Li seguii con lo sguardo fino a che potei scorgerli, e non potei smettere di pensare a loro quando Nanny mi condusse nelle cucine e poi, più tardi, in quella che divenne la mia stanza.
Mi fu data una piccola camera, che avrei occupato io solamente, perché così fu deciso, era chiaro che nessuno avrebbe mai accettato di dividere la stanza con una ritardata.
Rammento il silenzio assordante di quella notte e il gelo che riuscì a penetrare tra le lenzuola, nonostante le pesanti coperte che mi ricoprivano il corpo.
Chiusi gli occhi, fin quasi a strizzarli, fin quasi a farmi male, impedendomi di piangere mentre pensavo a mia madre, poi, improvvisamente udii qualcosa, un suono che mi spaventò da principio, un suono che mi calmò, quando compresi che si trattava di piccole e lievi risate.
Mi alzai dal letto e posai i palmi della mani contro il muro, e feci lo stesso col mio orecchio, trattenni il respiro per ascoltare più attentamente e mi fu facile sorridere quando udii risate e parole incomprensibili, al di là della parete.
Ero ancora spaventata, ma quei piccoli fantasmi riuscirono a donarmi un senso di pace.
Mi addormentai con la convinzione di aver scoperto un mondo nascosto.
Ero pronta ad affrontare una nuova vita.

Sono passati parecchi anni da quel giorno, e col tempo scoprii che quei bambini altro non erano che la figlia del Generale, Oscar Francoise de Jarjayes, e André, il nipote di Nanny.
Vi sono giorni in cui, ancora oggi, poso il mio orecchio alla parete, al di là di questo muro dove vi è la stanza di André.
Col passare del tempo ho imparato a convivere con il silenzio di questi luoghi, e con quei rumori che, di tanto in tanto, spezzano la quiete.
Ho udito pianti, urla, risate, grida di piacere, ogni genere di suono che ha accompagnato, o impedito, il mio sonno.
Questa notte, come allora, il gelo è riuscito a infilarsi al di sotto delle coperte, e come allora socchiudo gli occhi, per udire meglio quel mondo nascosto.

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Capitolo 3
*** André ***


Le giornate a palazzo Jarjayes hanno avuto da sempre la stessa consuetudine, una sorta di monotona sicurezza, e di lenta pazzia.
Oggi, come ieri, la sveglia giunge, almeno per me, prima del canto del gallo.
Indosso gli abiti da lavoro e mi dirigo nelle cucine dove consumo una scarna colazione, una tazza di latte fresco e un tozzo di pane, il tutto ingurgitato con un'urgenza apparentemente senza senso.
Quando il tempo me lo permette esco sul retro del palazzo, siedo sui gradini di pietra ed assaporo il profumo del mattino, e la pace di un luogo ancora dormiente, sperando di non aver sprecato minuti preziosi con stupidi pensieri.
Minuti che dedico a ciò che amo di più al mondo, la lettura.
Stringo tra le mani uno dei tanti libri che ho fatto miei in questi anni, e mi ritorna alla mente il primo, quello che mi giaceva in grembo, una mattina di tanti anni addietro.
Il giorno in cui conobbi André.


Era una fredda mattina di dicembre, e incurante del gelo sedetti lo stesso sul retro del palazzo, sentivo il bisogno di immergermi in un mondo che mi era amico, un mondo in cui si parlava la medesima lingua della mia anima.
Tra le pagine dei libri anch'io divenivo una bambina normale, visibile al mondo intero, non più nascosta all'ombra del sole.
Ed anche quel giorno d'inverno mi persi tra parole che avevo letto e riletto innumerevoli volte, così tante da poterle declamare a memoria.
Il freddo intenso aveva indurito le mie dita, tanto che il semplice gesto di voltar pagina mi procurava dolore, ma non volli smettere, in fondo quello era il solo ed unico momento in cui poter stare in tranquillità, ero stanca di udire le solite maldicenze alle mie spalle.
Scacciai quei pensieri dalla mente e ricominciai a leggere, quando sentii dei passi, d'istinto chiusi il libro e, in uno sciocco gesto di protezione, lo nascosi al di sotto del grembiule.
Abbassai il capo pronta a ricevere i consueti scherni.

“Ciao! Sei Anais, giusto? Non hai freddo qui fuori?”

Sollevai la testa e puntai il mio sguardo in un paio di occhi che possedevano un verde così simile al mio, e in quella figura vi riconobbi il nipote di Nanny.
Scossi il capo in una muta risposta alla domanda di André, no, non avevo freddo, o almeno non me ne curavo, era un piccolo disagio che potevo sopportare facilmente.
Il ragazzino mi sorrise e mi si sedette accanto, un'azione insolita per me, abituata ad essere evitata da chiunque, alla stregua di un'impestata.
Guardai la punta delle mie scarpe con la piena consapevolezza di volermi allontanare da quella presenza che non conoscevo e che, senza ombra di dubbio, mi turbava, ma lui sembrava non voler andarsene, anzi, senza ch'io potessi impedirlo vidi le sue dita afferrare l'orlo del mio grembiule, sollevandolo lievemente.

“Allora era questo che stavi nascondendo. Un libro. Sai leggere Anais?”
Mi domandò come se fosse la cosa più ovvia da chiedere, me ne stupii, perché lui mi chiese ciò che gli altri non domandarono mai.
Gli altri domestici, notando questo oggetto tra le mie mani, si diedero quella risposta che, al contrario, sarebbe dovuta provenire da me.
Per loro no, io non sapevo leggere, e quel mio modo di fare era una delle tante stramberie di una ritardata.

“Ma davvero secondo voi quella sa leggere? Non sappiamo leggere noi, che abbiamo tutte le rotelle al posto giusto, come potrebbe farlo lei che certamente ha biada nella zucca?”

“Oh Marie, è naturale che quella non sa leggere! Non capisce nemmeno che quello che ha tra le mani è un libro, probabilmente per lei è una bambola di pezza! Ah ah ah!”

“Ciao piccola! Oh, ma che bella bambola che hai, come si chiama? Ah ah ah ah!”

Questi furono gli abituali discorsi che intrecciarono sulla mia schiena, loro, che per primi non conoscevano istruzione.
Ero così avvezza a tali parole che quelle di André mi parvero strane.
Annuii con energia alla sua domanda, accennando un timido sorriso, avrei voluto proferir a voce quello che invece gli spiegai col pensiero.
Si André, so leggere, e scrivere. Imparai a farlo grazie a mia madre che, nella sua amabile ignoranza, pensò che questo avrebbe aiutato la mia situazione di bambina muta.
Solo l'amore di una madre può partorire un simile pensiero, con chi avrei potuto comunicare, attraverso la scrittura, se la maggior parte della gente come me, come noi, era analfabeta?
Accettai di buon grado la sua decisione, ed ora non posso che esserle grata per questo dono.
Ricevetti lezioni da un maestro di Parigi, lezioni che lui mi elargiva come compenso per il lavoro che mia madre svolgeva per lui.
Quanto amore ho avuto da mia madre, così immenso da farsi spaccare le ossa da due lavori, solo per assicurarmi un futuro migliore.
Non fu facile per il maestro insegnarmi le basi della scrittura e della lettura, come non fu facile per me imparare, ma la mia caparbietà mi venne in aiuto.
Ed ora è come se non fossi più sola, perché avrò sempre la compagnia di un buon libro, e l'amore di mia madre che basterà per un'intera esistenza, e forse oltre.

“Mi mostreresti di che libro si tratta?”
Mi chiese André, con quella dolcezza che ho imparato a conoscere col passare degli anni.
Gli porsi il libro senza esitazioni, con un sorriso sempre più sicuro sulle labbra.

“Questo è uno dei libri che preferisco, credo d'averlo letto un sacco di volte!”
Disse, facendo scorrere le dita sulle pagine.
Per l'ennesima volta venni sorpresa, allora anche André, come me, sapeva leggere! La scoperta mi riempì di gioia, forse finalmente avrei avuto la possibilità di comunicare con qualcuno, sempre che lui avesse voluto, certo.
Poggiai il mento sul palmo della mano che, a sua volta, sostava sulle mie ginocchia, mi persi a guardare quel ragazzino che riuscì a scorgermi, a differenza degli altri, in mezzo all'oscurità che mi ha da sempre circondata.
Non ero più un fantasma, non per lui almeno. Avrei voluto porgli domande, ma tutto quello che potei fare fu sorridere, e lui ricambiò con lo stesso entusiasmo.
Incontrai André quasi ogni mattina, da quel primo giorno di dicembre, e grazie a lui, grazie a qualcosa che lui fece per me, mi si aprì, dinnanzi agli occhi, e dentro al cuore, un mondo sconfinato.
Successe qualche giorno prima di Natale.
Poco dopo il canto del gallo, come ogni mattina, mi trovavo nelle cucine per la colazione, quando vidi André comparire sulla soglia con uno strano sorriso sulle labbra, gli occhi ancora gonfi per il sonno e il nastro blu annodato con poca cura, attorno ai capelli.
Lo salutai con un sorriso, lo guardai avvicinarmisi, e quando fu a pochi centimetri dal mio volto mi chiese di mostrargli i palmi delle mani.
Il sorriso mi morì tra le labbra, pensai ad uno scherzo, uno dei tanti che avevo subito dagli altri domestici.
Oh quanto avevo torto, non vi fu scherno nei miei riguardi, ma qualcosa di inaspettato, qualcosa che  mai avevo provato nella mia breve vita.
Ricevetti il mio primo regalo.
André mi regalò alcuni dei suoi libri, dicendo che ormai li aveva letti e riletti un centinaio di volte e sarebbe stato un peccato lasciarli ingiallire in una libreria.

“Sono tuoi adesso. Buon Natale Anais.”


Andò in questo modo, e da allora non ha mai smesso di passarmi i suoi libri.
Grazie a lui, almeno per qualche ora, vivo alla luce del giorno, come qualsiasi altra persona.
Conobbi André quando entrambi eravamo dei bambini, e col passare del tempo ho imparato a conoscerlo sempre più profondamente, e solo oggi, dopo tanti anni, mi è possibile comprendere perché a lui fu così semplice scorgermi, quando per tutti ero solo un fantasma.
André mi vide tra le pieghe del mattino, mi trovò in mezzo all'oscurità del silenzio, lui ci riuscì, perché lui stesso ne faceva parte.
André viveva all'ombra di una vita che non gli apparteneva, una vita che lo aveva scelto, in principio, e che col tempo fu lui stesso a scegliere, come unico scopo della propria esistenza.
André scelse di divenire l'altro lato della luce, e in quel modo, forse, condannò il proprio cuore alla dannazione, o almeno è quello che ho creduto, fino a poche settimane fa.
Ed ora, seduta sui freddi gradini di pietra di palazzo Jarjayes, non posso impedire ai miei occhi di guardare ciò che forse non dovrei vedere, quella sfumatura che a me soltanto è concesso di comprendere.
Stringo uno dei miei fedeli libri tra le mani, lo poso sulla bocca in un delicato bacio, mentre il mio sguardo corre lontano, in un punto preciso oltre il cortile, tra il verde degli alberi e l'impalpabile nebbia mattutina.
Ed è in quel piccolo lembo di terra, che pare al di fuori del mondo, che la luce diventa ombra, e l'ombra si fa luce.
Con il sorriso sulle labbra, e un velo di rossore a scaldarmi le gote, guardo ciò che non dovrebbe essere, ma che sarebbe la bellezza mutata in forma, se solo potesse.
Lascio scorrere lo sguardo su due corpi che sembrano combattere una guerra invisibile, come fosse una danza, e vecchie parole mi nascono dinnanzi agli occhi e si posano, leggere, su un Romeo dai bellissimi occhi verdi, e su di una Giulietta dai lunghi riccioli biondi.

“Amore è un fumo levato col fiato dei sospiri; purgato, è fuoco scintillante negli occhi degli amanti; turbato, un mare alimentato dalle loro lacrime. Che altro è esso? Una follia discreta quanto mai, fiele che strangola e dolcezza che sana.”

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Capitolo 4
*** Amore? ***


La primavera è giunta puntuale anche quest'anno, richiamata dalle invocazioni che le vengono rivolte, dagli uomini, quando il gelo ghiaccia la pelle.
Compare come fosse una regina, sicura e altera, seguita dai fedeli servitori.
Il tiepido sole, che tesse per lei manti di verde, su cui vi ricama, poi, ghirlande di fiori d'ogni colore.
Il vento, lieve, che ha il compito di allontanare, con grazia, le soffici nuvole che potrebbero oscurare il suo passaggio.
Ed infine, l'amore.
L'amore, che sussurra il proprio verbo alle orecchie degli amanti, e si posa, con tocco leggero, sui corpi delle vergini, così da ingolosirne la curiosità.
Anche qui a palazzo Jarjayes vi è profumo d'amore, come è sempre stato, lo si può capire dalla baldanza improvvisa dei giovani servi, o dal chiocciare di un gruppo di cameriere.
Mi sono domandata spesso quale fosse il vero significato dell'amore, ho ricercato risposte tra i miei amati libri, e il verde dei miei occhi, ma è difficile comprenderne l'essenza, vi sono troppe variabili, troppe venature, in una semplice parola.
È amore quello che si ricerca tra il sudore della carne, a ridosso di un muro?
È amore quell'istante di piacere che si fa sussurro e grida?
È amore quello che induce alla rinuncia pur di godere, anche con un sol sguardo, dell'oggetto della propria bramosia?
È amore tutto questo? O solamente lussuria e masochismo?
Ho udito di sovente disquisizioni in tal proposito, ma come avrei potuto chiedere spiegazioni o palesare il mio pensiero, se non mi è dato di proferir parola?
E se anche avessi potuto non l'avrebbero preso in considerazione, perché per loro, per le giovani donne della servitù, io non sarò mai in grado di comprendere tale argomento.
Ancora oggi, ogni tanto, odo i loro discorsi sussurrati alle mie spalle.

“Marie, sei lenta, cosa ti prende stamattina? Il tuo Gaspard ti ha stancata troppo questa notte?”
“Si Marie, raccontaci come è stato cavalcare quello stallone di Gaspard!”
“Shhhh, abbassate la voce... non vorrete sconvolgere la piccola Anais! Ahahah.”

La piccola Anais che si confonde con le ombre, la piccola Anais che lavora sodo senza mai prender fiato, La piccola Anais che mai nessuno scorge nel proprio aspetto dimesso.
La piccola Anais... se solo loro sapessero.

Per questo, tutto ciò che ho potuto fare è stato ascoltare, e comporre, pezzo dopo pezzo, quello che è divenuto una sorta di mosaico, nella mia testa.
Esistono varie forme di amore, o almeno è questa l'idea che mi son fatta.
Vi è quindi l'amore per convenienza, che in questa dimora ha fatto il proprio ingresso innumerevoli volte, ricordo ancora i volti compiaciuti dei conti che hanno preso in sposa le figlie del Generale Jarjayes, così come non potrò mai cancellare le espressioni di desolazione, sui visi di quelle povere ragazzine, a cui fu negato, per sempre, qualunqual'altro significato di quella parola, per loro non vi sarebbero state alternative, per loro l'amore sarebbe stato, in eterno, una luttuosa benda ad avvolgere gli occhi, e il cuore.
Vi è poi la passione che si finge amore per appagare la carne, e di questo tipo, tra le mura della servitù, ne sono nati molti, come funghi di fine estate, ed altrettanti ne sono morti, come fuochi fatui.
Ma esiste anche l'amore puro, quello che non comprende l'interessa materiale, ma che ha in sé il rispetto e la fiducia, ed è un amore raro che mai ho avuto la fortuna di vedere, ma di cui ho sentito parlare tanto, dalle vecchie governanti di questo luogo.
Sono amori differenti, storie dissimili, vicende che giungono da un passato che pare lontano ma che in realtà non lo è, perché i racconti che ci vengono narrati appartengono alla vita di Nanny e del suo povero marito, e dei genitori di André, che non sono poi così distanti dal nostro presente.
E allora mi domando, dov'è l'amore che tanto ho letto nei libri? Dov'è quella passione che strugge l'anima?
Esiste quell'amore che fa desiderare di vivere, e morire, nel medesimo istante?
Forse. A giudicare da ciò che ho scorto, qualche settimana addietro.

Era già tardo pomeriggio quando mi fu intimato, con poco garbo, di stendere le lenzuola pulite, prima del giungere del buio.
Camminai con passo lento per raggiungere il retro del palazzo, il cesto con la biancheria pulita poggiato sul mio fianco, e la mano destra a sorreggerlo pigramente.
Mi diressi in direzione dei fili in prossimità del giardino, su cui vi erano già posti dei panni, e fu in quel momento che udii dei suoni che mi erano ormai familiari.
Grida, di uomo e di donna.
Risate, di un uomo e di una donna.
Rumori di oggetti metallici scagliati uno contro l'altro.
Avrei potuto riconoscere quei suoni ovunque, e in qualunque luogo avrei affermato, perfino giurando sulla mia vita, che dinnanzi a me avrei scorto Oscar e André.
Oscar... so che dovrei chiamarla Madamigella Oscar, come si confà ad una serva, ma nella mia testa, dove solo io posso udire le mie parole, questo tipo di formalità è bandita.
Posai il cesto e mi feci strada tra i teli bianchi, richiamata dalle parole sussurrate, e dai respiri pesanti prodotti dallo sforzo di quello che immaginai fosse dovuto ad un affondo o al ritrarsi.
Ho imparato parecchio sulla scherma, in questi anni a palazzo Jarjayes, non ricordo nemmeno più le volte che mi sono persa ad osservare Oscar allenarsi con la spada, ma quel giorno vi era qualcosa di differente.
Oscar e André si allenavano con le spade, e come di consueto udii gli scherni che i due si rivolgevano di tanto in tanto, le solite parole nate per provocare una reazione che, se incastrata al momento opportuno, avrebbe abbassato il livello di attenzione dell'avversario.
E così successe, ma contrariamente a ciò che di norma accadeva, fu Oscar a cadere nella trappola.
Catturai il momento esatto in cui abbassò la guardia, fu questione di un battito di ciglia, ma tanto bastò per coglierla impreparata, ed un piede poggiato nel punto sbagliato, fece il resto.
Guardai il suo corpo perdere l'equilibrio e precipitare pericolosamente all'indietro, ero pronta a serrare gli occhi, in attesa di quello che si preannunciava come un brutto ruzzolone, ma le mie iridi me lo impedirono, quando videro qualcosa di inaspettato.
Oscar riacquistò quella lucidità e quella attenzione che poco prima aveva smarrito, e, con un gesto deciso, afferrò tra le dita il tessuto delle maniche di André.
Mi portai una mano alle labbra dischiuse, a placare un improbabile grido, io che non ero in grado di produrre alcuno suono, è bizzarro come sia l'istinto, a volte, a guidare le nostre azioni.
Perpetuai il mio peccato, spiando ciò che non avrei dovuto scorgere, nascosta dietro le lenzuola accentuai ciò che sono sempre stata, da quando venni al mondo, un piccolo fantasma che nessuno scorge.
Mi trovai, senza ch'io potessi impedirlo, a studiare la scena che mi si parò dinnanzi.
Oscar era stesa di schiena, gli occhi chiusi per il brutto colpo ricevuto, André le stava sopra, con i gomiti poggiati a terra, ad impedirsi di rovinarle addosso, anche se, il resto del corpo, poggiava pesantemente su quello di lei.
Altre volte mi capitò, come a molti abitanti di questa dimora, di scorgere egual scena, che vedeva il proprio finale giungere con una fragorosa risata dei due, e la riacquistata posizione eretta, ma non quel pomeriggio.
Osservai Oscar dischiudere gli occhi, ed incontrare, con uno sguardo fisso e privo di esitazioni, quelli di André, come mai le avevo visto fare.
Scostai i bordi del lenzuolo per riuscire a cogliere meglio ciò che stava accadendo, e fu in un battito di cuore che la vidi posare le mani sulle braccia di lui, ed insinuarsi al di sotto delle maniche prive della costrizione dei legacci, e risalire lungo gli avambracci, e più su, scoprendone la pelle tesa ed abbronzata.
Le mani di Oscar ruotarono attorno ai muscoli, in tensione nello sforzo di reggere il proprio peso, su di essi.
Notai chiaramente le sue dita tremare, come il corpo di lui, colpito da un sussulto di sorpresa, e le sue labbra, dischiudersi in un gesto di stupore.
Non vi furono parole, solo sguardi, e quel contatto così inatteso e stranamente ricercato, come non lo era mai stato, fino ad allora era accaduto per sbaglio, che i loro corpi si toccassero, ma in quell'istante, che mi parve lungo come l'eternità, fu lei che volle toccarlo, e mi parve di cogliere un tremito nel petto di Oscar, come un respiro convulso, quei tipici movimenti che accompagnano la paura, o l'eccitazione.
E non vi era paura in lei.
Rimasero uniti per un tempo che non potei calcolare, qualche minuto o un'ora intera? Non potrei affermarlo con certezza, ma posso dire che, sia l'uno che l'altra, godettero di quella vicinanza, ed io con loro, perché mi parve la cosa più naturale di questo mondo, come se fosse giusto, agli occhi, e al cuore, che vi fossero quei gesti tra loro.
È anche questo amore? Mi domandai quasi senza rendermene conto.
Mi ridestai dai miei pensieri quando quell'istante di inaspettato venne interrotto, e fu in un attimo che André fece slittare i palmi della mani, che poggiavano sull'erba, sotto la schiena di Oscar e, con un movimento deciso si riportò in piedi, trascinandosi lei al seguito, con una semplicità che mi ricordò, anche se non ve ne era bisogno, che nonostante gli abiti fossero uguali, lui, era l'uomo.
Esitarono un istante prima di sciogliere definitivamente quell'insolito abbraccio, lo fecero solo quando udirono un rumore, lo schiamazzo di un gruppo di servi, e allora raccolsero le proprie spade e si allontanarono, senza più sguardi né parole.


È notte oramai, quando, a piedi scalzi, mi trovo a rincasare sperando di non essere udita.
L'orlo della veste stretto tra le mani ed i capelli sciolti lungo la schiena, in una cascata di riccioli castani, che mai hanno visto la luce del giorno.
Sorrido ripensando all'amore, e alle parole delle cameriere, quando credono ch'io non posso udirle.
Sorrido immaginando i loro volti, se solo sapessero, che è il corpo della piccola Anais che i loro “stalloni” bramano, quando il buio prende il posto della luce.
Getto il mio corpo stanco sul letto, serro gli occhi e mi domando dove sia l'amore di cui ho tanto letto nei libri.
Ed ora, più di ieri, mi è facile darmi una risposta, perché ho scorto quell'amore, acerbo, flebile, piccolo, ma vivo.
Ho guardato quell'amore dritto negli occhi, steso su un manto di verde erba, e posso affermare, in piena consapevolezza, che esiste amore sotto un affetto fraterno, o un tremito, inaspettato, di passione.
E, anche se loro ancora non posso comprenderlo, io so.
Era amore ciò che ho visto in Oscar e André.

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Capitolo 5
*** Cenere ***


Rintocchi, nel silenzio di palazzo Jarjayes.
Il pendolo, al centro del grande salone, ha battuto tre colpi dopo la mezza.
È notte fonda ormai, eppure mi trovo nelle cucine, seduta accanto al camino ormai spento, tento di ravvivare delle braci che sembrano ormai morte.
Col mento poggiato sui palmi della mani, soffio lievi aliti di respiro su quei resti di fuoco che ricordano il carbone, ma quando il mio fiato giunge al centro delle ceneri, un bagliore rosso illumina l'intera stanza, così come, un sempre più intenso calore, mi scalda le gote, fin quasi a bruciarle.
Il tempo di un battito e i piccoli tizzoni ardenti mutano in cenere, ed è di nuovo il buio a far da padrone.
Sento freddo in ogni lembo del corpo, all'infuori delle guance, ancora impregnate dal calore del camino.
Spingo le ginocchia contro il petto, bloccandole con la morsa del mio abbraccio, nel vano tentativo di scaldarmi, ma è un'ardua impresa, questa notte, scacciare il gelo che è penetrato fin dentro le ossa.
Questa notte... Questa notte sono stata scoperta, e l'amarezza che mi è nata dentro pare non aver fine.
Mi domando fin dove è in grado di spingersi la cattiveria umana, di certo più in là dell'intelligenza, pare che sia più facile colpire a morte piuttosto che cercare di comprendere.
Se solo mi fosse possibile parlare forse potrei... Un rumore alle mie spalle inghiotte la fine dei miei pensieri.
Lancio il viso incontro ad un ticchettio di passi che ormai mi è familiare, ed eccolo lì, colui che vive nell'ombra, esattamente come me, un fantasma che si aggira tra i corridoi di questa dimora, un uomo che non ha vita facile, negli ultimi tempi.

“Anais? Sei tu?”
Quanto stupore c'è nella tua voce, André? Si, sono io, la piccola Anais, sempre la stessa, eppure così dissimile, vero?
Alzo il verde del mio sguardo per incontrarne un altro, accenno un lieve sorriso, e di nuovo chino le ciglia, quando lui, abbassandosi, si siede accanto a me.
Vorrei domandargli la stessa cosa. Sei tu André?
Da qualche tempo è così diverso dal ragazzino che un Natale di tanti anni addietro mi regalò i suoi libri.
Vorrei chiedere ma non mi è possibile, e allora mi limito a osservare i suoi gesti, così nuovi, eppure così antichi, lo guardo ravvivare il camino, con naturalità, come se non avesse fatto altro che accedere un fuoco, per tutta la vita, e forse così è stato.
Non rammento più le volte che l'ho visto chino dinnanzi al camino, con Oscar alle sue spalle, sprofondata in una poltrona, con un sorriso quasi impercettibile sulle labbra, il medesimo sorriso che disegnava la bocca di lui, una volta recuperata la posizione eretta.
Una vita ad accendere fuochi... una vita a tentare di accendere il “suo” fuoco, non  è vero Andrè?
Le fiamme son ormai alte ma non sono sufficienti a placare i brividi che mi scuotono il corpo, e che mi è impossibile fermare, ed è in quell'istante che André si priva della giacca e la posa sulle mie spalle, imprigionandovi, sotto, i miei lunghi riccioli castani.
Tento un movimento, ma ancora una volta è lui a precedermi, infilando delicatamente le mani al di sotto della mia nuca, e sollevando la massa di boccoli.
Sorrido, sorride, sorridiamo entrambi cercando di camuffare la malinconia che vela i nostri sguardi.

“Cosa succede Anais, perché sei ancora sveglia a quest'ora? Non ti senti bene?”
Scuoto il capo, in segno di diniego.
E tu André, cosa fai ancora sveglio? Sei di ritorno da una delle solite serate alcoliche? No, non questa notte, non vi è l'olezzo di alcool nel tuo respiro.
Dove sei stato allora?
L'urgenza di sapere, di scoprire la verità, mi fa odiare, forse per la prima volta, questo mio mutismo.
L'agitazione si fa sempre più insistente, insinuandosi al di sotto della pelle come piccoli vermi striscianti, e sul cuore, come un martello impazzito.
Tormento l'orlo del grembiule, mentre osservo la punta dei mie piedi, scalzi, picchiettare sul pavimento.

“Anais? Stai bene?”
André, è preoccupazione quella che sento tra le parole appena pronunziate? Non ti angustiare, sto bene, Anais sta bene. Anais deve stare bene.
Allora perché non mi è possibile guardarti negli occhi e annuire, come ho sempre fatto?

“Anais...”
Le tue mani hanno catturato il mio viso, ancor prima di giungere alla fine del mio nome, ed ora non vi è modo di mentire, eppure sarebbe così facile per me, col silenzio come complice, ma gli occhi non conoscono inganno, e la verità scivola oltre le ciglia.

“Cosa...? Cosa ti è successo?”
Mi domandi, con l'affanno tra una parola e l'altra, come sei caro André, lo sei sempre stato con me, e con chiunque.
Cosa mi è successo? Dio, ma come potrei risponderti? Come? Eppure vorrei... Vorrei...
Dischiudo le labbra, e l'insofferenza di un intera vita mi invade le vene, la sento correre verso la gola, ed è li che la rabbia esplode, bloccandomi il respiro.
Scuoto il capo, ancora prigioniero delle tue mani ormai bagnate dalle lacrime dei miei occhi.
Muovo la bocca, senza controllo, spalancandola di tanto in tanto, boccheggiando come un pesce fuor d'acqua, e tento, con tutta me stessa, di produrre un qualunque suono, un lamento, un verso senza senso, qualsiasi cosa pur di liberarmi dal silenzio!

“Calmati Anais, ti prego! Ma... cosa ti prende?”
Mi hanno scoperta, André! Si sono accorti di me, il fantasma di palazzo Jarjayes, nel peggiore dei modi, e invece di “guardarmi” hanno preferito girare il capo, e gettarmi addosso il solito fango.
Marie mi ha sorpresa mentre rientravo, attraverso le cucine, da uno dei miei incontri con Gaspard, mi pare di vederla anche adesso, con la camicia da notte e un bicchiere d'acqua in mano, spalancare le labbra ed afferrarmi per un braccio.
Mi ha trascinata dinnanzi al candelabro, ispezionandomi come fossi una ladra, ho visto sorpresa e disgusto sfigurarle il volto, e un paio di occhi indagatori puntarmisi addosso.

“Dove sei stata? Con chi...? Chi ti ha fatto...?”
Affermazioni travestite da domande, le sue, ma d'altronde è tipico di Marie, accusare ancor prima di comprendere.
Certo la mia presenza lasciava poco all'immaginazione, su di me vi erano i tipici segni di un incontro intimo.
I piedi privi di calze, la lunga sottana imbrattata di terra lungo tutto il bordo, i capelli sciolti sulle spalle, le labbra arrossate, gonfie, e forse ancora umide... una manica dell'abito, lievemente scucita, abbandonata lungo la spalla nuda, e la pelle, chiara, macchiata dal rossore del piacere.
Ma non è il piacere ciò che vi ha visto Marie, per lei quelli non potevano che essere segni inconfutabili di una violenza, senza ombra di dubbio, e non vi è stato verso di farle cambiare idea, non è bastato aver scosso il capo con prepotenza, in segno di negazione, o tentare di liberarmi dalla morsa della sua mano.
Ho smesso di lottare quando, senza mai abbandonare il mio braccio, ha richiamato le sue fedeli compagne, per raccontare cosa fosse accaduto alla povera Anais.

“Anais è stata violentata. Guardate voi stesse.”
“Oddio... ma chi può essere stato?”
“Come posso saperlo Julie? Non c'era nessuno con lei!”
“Hai ragione Marie, ma... credi che sia successo altre volte? Ma come è possibile?”
“Come è possibile? Mi stupisco che non sia accaduto prima! Per una ritardata è più che normale subire certe cose, poveretta, non capisce... per lei probabilmente non c'è differenza tra questo e un abbraccio, chissà quante volte avrà incoraggiato gli uomini! Povera anima disgraziata.”

Quello che è accaduto nelle scuderie, agli occhi delle altre ragazze, e forse di chiunque, è semplicemente una violenza, perché è impensabile che una donna muta posso provare amore, o desiderio.
Una muta non ha cuore e anima, né pelle e sesso, e se un uomo si accompagna al suo fianco è solo per riversare la propria brutalità su di essa.
Perché, a quanto pare, chi è tardo, come lo sono io, non comprende l'amore, eppure io comprendo, io amo, desidero, come qualunque altro essere umano, e non è stata la violenza a farmi dischiudere le gambe, ma la voglia, e col tempo, l'amore.
Ma come potrei spiegare tutto questo, come potrei spiegare l'amore, quando io stessa non ne conosco il pieno significato, Gaspard mi vuole bene ma... è vero amore il suo?
Poco importa, domani l'intero palazzo saprà, e Lui non si azzarderà più ad avvicinarmisi.
Domani anche tu saprai, André, e so già che morirò di vergogna, e dolore, quando il tuo sguardo compassionevole si poserà su di me.
Oh André, smetti di guardarmi e domandare, perdonami ma questa volta non mi è possibile rassicurarti.
Vuoi sapere cosa mi è accaduto, e la risposta è un grido dentro la mia anima, possibile che nessuno sia in grado di udirla?
Poso le mie mani su quelle di André, che ancora mi circondano le guance, allontanandomele dal viso, mentre cerco di calmare il pianto con un sorriso sincero.

“Stai meglio?”
Mi domanda senza smettere di guardarmi, e annuire mi pare la cosa più giusta da fare, mentre lo invito ad andare, con una leggera spinta al braccio.
Vai André, vai, non ti preoccupare per me, starò bene, come sempre, e lui sembra convinto, il suo sguardo pare sereno nel momento in cui posa una carezza tra i miei capelli e si allontana, col sorriso sulle labbra, verso il buio al di là delle cucine.

Rimasi seduta davanti al fuoco per una buona mezz'ora prima di rifugiarmi nella mia stanza, facendo attenzione a non destare nessuno.
Spogliai il mio corpo dell'interminabile nottata appena trascorsa, per indossare la camicia da notte che m'avrebbe condotto in un sonno di pace e tranquillità, e fu nell'istante in cui scostai le coperte che notai qualcosa di insolito.
Con un velo di timore accesi la candela, per liberare dall'ombra l'oggetto sconosciuto, e quando la luce prese il posto dell'oscurità, mi parve che il cuore mi si gonfiasse di gioia.
Trovai, posati sul letto, penna, calamaio, e un pacco di fogli legati da un nastro azzurro, provai quasi paura quando mi ci avvicinai, quasi che il mio tocco potesse far scomparire quel regalo inaspettato.
Presi tra le mani i fogli, li portai al viso e respirai il loro profumo, quell'aroma che tanto mi ricordava gli amati libri, slegai il nastro, che riposi delicatamente in un cassetto, e l'ennesima sorpresa mi si parò davanti agli occhi.
Un foglio ripiegato, scivolato dal pacco di carta, cadde sul pavimento, lo raccolsi con l'impazienza di sapere cosa vi fosse all'interno.

Un piccolo aiuto per colmare il vuoto che gli occhi non possono riempire...
André

André, chi altri avrebbe potuto avere un tale pensiero nei miei riguardi, se non lui.
Rilessi quelle parole innumerevoli volte, studiandone la grafia elegante ma decisa, e le lacrime mi sembrarono ormai un brutto ricordo.
Non mi restava altro da fare che dimenticare, e proteggere ciò che di buono vi era in me, e come la cenere decisi di nascondere, di celare quel fuoco che vi arde al di sotto.

Ed eccomi qui, seduta sul letto leggo le parole che le mie dita hanno concepito, per la prima volta dopo tanti anni, e un velo di tristezza mi stringe il cuore, ripensando all'ignoranza di alcuni individui, e al dolore che le loro azioni possono causare a persone innocenti.
Questa notte, io, sono stata la vittima, ma a chi toccherà domani? Su quale anima verranno puntate le dita del pregiudizio?
E se fosse André? Prego il signore che questo non accada mai, perché certamente sarebbe la fine.
Se qualcuno scoprisse, ciò che io ho dinnanzi agli occhi ogni giorno, non vi sarebbe pietà per lui, e forse nemmeno per lei.
Cosa penserebbero di voi se vedessero ciò che i miei occhi hanno scorto qualche tempo fa? Eppure, mai nessuno vi ha dato peso, quando era un piccolo soldatino, dai bellissimi riccioli biondi, a infilarsi tra le coperte del suo altrettanto piccolo servo.
Ma cosa penserebbero ora, se scoprissero una donna dai lunghi capelli biondi, sopita tra le braccia di un uomo dagli occhi verdi?


Quanto ad Amleto e alla corte che ti fa, considerala galanteria, capriccio, una viola nella primavera della giovinezza, precoce ma non durevole, dolce ma non costante, nient'altro che un profumo e lo svago di un minuto...

 Il pregiudizio può ferire più della lama di un fioretto... in guardia, André!
Anais

Lascio scorrere il foglio al di sotto della sua porta, con la dolce eccitazione che accompagna l'inizio di qualcosa di nuovo, e, mentre cerco di figurarmi lo stupore del suo sguardo di qui a poche ore, scivolo lungo il corridoio, incontro al buio, ed al ricordo di Oscar e André, di qualche notte fa, che m'ha riempito lo sguardo di una dolcezza infinita.

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Capitolo 6
*** Oscar ***


La vita a palazzo Jarjayes è rimasta invariata, o quasi, dalla notte in cui Marie mi scoprì nelle scuderie.
Inutile dire che del “fatto” fu informata l'intera servitù di li a poche ore, la bocca di Marie possiede lo stesso difetto delle gambe di una prostituta, entrambe non sono in grado di restar chiuse più di qualche minuto.
Non si scoprì mai chi fu l'uomo che commise la violenza, anche se si indagò in modo più che approfondito, schierando nelle cucine tutti gli uomini di casa, André compreso.
Nanny e Marie non fecero domande, si limitarono a guardare, con sguardi fermi e pericolosi, un maschio dopo l'altro, convinte che il responsabile avrebbe ceduto, prima o poi.
Mai convinzione fu più sbagliata, perché non vi era nessun colpevole, ma soltanto un uomo che aveva agito col pieno consenso dell'interessata, per questo, nemmeno Gaspard lasciò trasparire il benché minimo segno di reità.
Alla fine si giunse ad un solo ed unico verdetto, quello più logico, dato l'esito negativo nelle cucine, il criminale altro non poteva essere che un servo di qualche dimora ai confini del palazzo, o un contadino degli innumerevoli appezzamenti di terra del Generale Jarjayes.
Ed ora sono diventata, se mai questo fosse possibile, ancora più disgraziata, agli occhi di tutti.
Tutti tranne André, lui mi guarda come sempre, e lui soltanto, quel giorno nelle cucine, quando l'intera servitù bisbigliava senza il minimo ritegno alle mie spalle, notò lo sguardo, e l'impercettibile carezza, che Gaspard lasciò sul mio braccio.
E solo lui, e lui soltanto, mi domandò la verità.

“Anais, dimmi, davvero qualcuno ti ha fatto del male?”
Lanciai il mio sguardo in alto per raggiungere il suo, e sorridendo alzai ed abbassai il capo, con decisione.
No André, nessuno mi ha fatto del male, non c'è stata violenza quella notte, ma forse tu già lo sapevi, quella notte c'è stato amore, o qualcosa che gli somigliava tanto.

Da quel giorno non ho mutato, di molto, il mio quotidiano, come di consueto svolgo le mie mansioni, leggo i miei libri, e rimango nell'ombra, invisibile agli occhi, come sempre.
Anche lui ha ricominciato a cercarmi, e così pure i nostri incontri segreti, durante i quali cerchiamo d'essere attenti, ma viviamo con più leggerezza, forti del fatto di poterci nascondere dietro una piccola bugia, se mai qualcuno ci dovesse scorgere insieme.

“Ho accompagnato Anais, è buio, Nanny si è tanto raccomandata di starle accanto, specialmente di sera, per evitare che succeda ancora... quella cosa...”
Una semplice scusa, studiata a tavolino da Gaspard, ed approvata con un enorme sorriso, dal mio volto.
Un'innocente bugia, per poter stare insieme, senza essere travolti dai pregiudizi e dalla cattiveria delle persone, in fondo non vi è nulla di male in ciò che facciamo, siamo solamente due esseri umani che cercano la compagnia l'uno dell'altra, e se ogni altro individuo può dimostrare amore col verbo, a me è stato concesso di esprimerlo col corpo.
Questo fa di me una donnaccia? Una poco di buono? No, no di certo, non ad occhi attenti e sensibili.
Non ad un paio di occhi azzurri come il cielo in primavera, che hanno saputo guardarmi al di là dell'ombra.

Poche ore fa mi trovavo sul retro delle scuderie, un posto abbandonato, dove vi sono accatastati i ciocchi di legno troppo bagnati, o verdi, per essere bruciati, e qualche attrezzo arrugginito di cui non comprendo l'utilità, il punto ideale per due giovani amanti che non vogliono essere disturbati.
E così è stato per qualche minuto, in cui ho potuto gustare nuovamente il sapore delle parole del mio uomo, raccogliendole come miele, rubandole alla sua lingua, imprigionata tra le mie labbra.
Frasi d'amore, di desiderio, di passione inarrestabile che ho lasciato scivolare lungo la gola, e che ho reso, poi, gesti.
Il suo amore si fa voce, ed il mio corpo obbedisce.
Lui mi ama con il suono, ed io lo amo col calore del mio corpo, ed è così che diveniamo un unico essere, ed è così che l'amore vince sul silenzio e sul pregiudizio.
Inchiodata dal peso del corpo di Gaspard, poggiavo pesantemente contro il muro, il capo abbandonato sulla sua spalla, le braccia premute lungo i muscoli della sua schiena, al di sotto della camicia, ed il respiro reso pesante dalla sua bocca dischiusa sulla pelle candida del mio collo, ed è dalla lingua malandrina che ho udito, in un sospiro, e sentito, in eccitante tocco, pronunziare il mio nome.

“Anais...”
Oh, come avrei voluto gridare anch'io il suo nome! Lo avrei ripetuto in sussurri, in gemiti, fino a non poterne più, ma la parola non è mia alleata, e  allora vi sono le mani, le gambe, l'intero corpo, a supplire tale mancanza.
E le mie mani si son fatte voce, scivolando lungo la sua schiena, lentamente, liberando dagli abiti i lombi del bacino.

“Oh, Anais...”
Ed è la volta delle gambe pronunciarne il nome, aprendosi al suo desiderio, nell'istante in cui le sue mani hanno alzato le mie gonne, denudando la carne delle cosce, ed il suo vigore ha unito il nostro amore, così diverso, eppure così simile.
Il capo posato sulla mia spalla, il respiro bollente sul mio seno, una mano tra i suoi capelli scuri e l'altra, salda, sulla schiena, così, in questo intreccio d'ardore, ho seguito i movimenti del suo corpo, incurante della ruvidità del muro a graffiarmi le spalle.
Ho socchiuso gli occhi, per raccogliere in me ogni istante, concentrandomi su ogni singolo gesto, in una danza dai ritmi decisi, convulsi, un andare ed un venire sempre più profondi, nel mio intimo.
Poi, un movimento più energico, ha sorpreso la mia gola, in una muta contrazione, ed i miei occhi, così violentemente da indurli ad aprirsi, come fossero finestre, ed è in quel momento che ho scorto qualcuno, una figura, nascosta al di là del mucchio di legna abbandonata.
Ed è stato quando ho socchiuso gli occhi, per mettere a fuoco quell'ombra appena baciata dalla luna, che lo stupore mi ha portata ad aggrapparmi, con prepotenza, alle spalle di Gaspard, come se, ciò che mi si parò dinnanzi, avesse potuto strapparmi un grido, quel grido che, con la ragione, mai avrei potuto produrre.
Oscar.
Chi altri possedeva lunghi capelli color dell'oro? E quale donna indossava abiti militari? Chi, se non la nostra Madamigella Oscar.
Non fermai Gaspard, e neppure il mio corpo, a ridosso del suo, perpetuai la nostra danza, facendomi scudo della sua spalla, per nascondere il viso e spiare la figura celata nell'ombra della notte, quella stessa figura che non sembrava voler abbandonare il proprio posto, e mi parve di scorgere, nel suo sguardo, che sapevo essere d'un azzurro così limpido, quello stupore che solo i bambini possiedono, e quella punta di curiosità che ha il potere di rendere ogni uomo impavido.
Come vi può essere stupore negli occhi di una donna che giace nel letto di un uomo?
Può, se la donna porta il bizzarro nome di Oscar, e l'uomo, quello di André.
Persa tra il piacere della carne, ed un dolce ricordo non troppo lontano, serro lo sguardo e riporto alla mente quelle dolci immagini che hanno deliziato il mio sonno, dalla notte di qualche giorno fa.


Rammento una notte consumata tra le righe di un libro, e la sete prepotente che mi seccò la gola, tanto da ottenere la mia resa, ed indurmi a sfidare il gelo che m'aspettava nei lunghi corridoi di palazzo Jarjayes.
Camminai fino alle cucine, presi un bicchiere d'acqua che tracannai con la stessa urgenza, e maleducazione, di un vecchio beone.
Placata l'arsura mi diressi, a ritroso, nella mia stanza, quando notai qualcosa che, ringraziando il cielo, nessun altro vide.
La vecchia porta di legno, della camera di André, era socchiusa, forse un po' troppo, o troppo poco, ad occhi indiscreti.
L'istinto mi portò ad avvicinarmi, più per rubare qualcuna della immagini che, da sempre, rendevano la mia vita più dolce, in quel palazzo, che per pura cortesia.
Poggia la mano sullo stipite ed insinuai il viso, lievemente, all'interno della stanza, e ciò che vidi mi spinse a rimanere immobile nel punto in cui mi trovavo, anche se l'intelletto sembrò gridare qualcosa che, in quel momento, non avevo intenzione di ascoltare.
Feci un passo e mi inoltrai, per metà del mio corpo, nel buio della camera, e guardai, con una mano a coprirmi la bocca, un uomo, ed una donna, giacere insieme.
Guardai, Oscar e André, dormire nel medesimo letto, come tante volte gli vidi fare, quando ancora erano bambini, ma da allora ne erano passate di stagioni, e susseguiti gli anni, ed i corpi acerbi avevano mutato le proprie forme, rendendo diversi coloro che un tempo parevano uguali.
Oscar era distesa su un fianco, le gambe leggermente piegate e le braccia contro il petto, i lunghi capelli ricoprivano parte del cuscino e del materasso sottostante, André giaceva al suo fianco, a pochi centimetri dalla sua schiena, nella medesima posizione, una mano poggiata al cuscino, e l'altra abbandonata, quasi con noncuranza, attorno alla vita di lei.
Mi si riempì il cuore, immaginando la giusta conclusione al tormentato amore del mio caro André, ma poi vi fu un lampo e, subito dopo, un fragoroso tuono. Un temporale. Quasi me ne dimenticai, la lettura aveva il potere di estraniarmi completamente, rendendomi sorda, oltre che muta.
Osservai André destarsi, e sollevarsi sul braccio che poco prima riposava inerme sul cuscino, e il suo sguardo si posò, con una naturalezza disarmante, su Oscar, come se, il verde dei suoi occhi, avesse il dono di proteggerla dal mondo intero.
Guardai la sua mano, stretta attorno alla vita di lei, scivolare, come fosse piuma, sul suo torace e lungo il braccio, ed indugiare, per qualche istante, sulla mano di Oscar, che gli vidi stringere nella propria.
Rimase in quella posizione per minuti interminabili, senza smettere di vegliare sul volto di le, persa nel sonno più profondo, quello stesso torpore che colpì anche lui, costringendolo a distendere il capo sul cuscino, e ricondurre il proprio braccio sul materasso, ma fu in quell'istante, nel momento preciso in cui la mano di André abbandonò quella di Oscar, che lei gli strinse la manica della camicia, e subito dopo, in uno scatto degno di un soldato, il braccio, e, senza scomporsi, lo attrasse a sé, cancellando quella distanza che, fino a quel momento, vi era stata tra i loro corpi.
Non si voltò mai, Oscar, nemmeno quando il corpo di lui aderì completamente al suo, in un incastro che mi sembrò perfetto. Il petto di lui contro la schiena di lei, la base della schiena di lei, contro il ventre di lui.
Un lampo, e tutto mi fu chiaro, la risposta ai miei dubbi giunse con l'arrivo del tuono, non vi fu amore tra quelle lenzuola, di certo non l'amore carnale che sarebbe così facile da immaginare, ma un affetto lontano, quello di un amico che accoglie l'amichetta spaventata dal brutto temporale.
Quell'affetto antico che possiede radici profonde, e che è germogliato, col tempo, creando un sentimento nuovo, così forte da condurli l'uno nelle braccia dell'altro, alla ricerca di quel contatto fisico che era consuetudine, nella loro infanzia, ma che ora possiede un significato differente.
Rimasero così, in quell'abbraccio innocente che solo due bambini potrebbero concepire, o forse, in uno differente, saturo di sensualità, che altro non è che il preludio alla passione, un provocarsi senza ragione, di un  uomo e di una donna, che ancora non comprendono appieno le parole della carne.



Ho lasciato che i tuoi occhi mi guardassero, qualche ora fa, sperando, con tutta me stessa, che tu provassi quella stessa invidia che provai io, quando ti vidi nel letto con André.
Si, ho provato gelosia Oscar, per quell'amore che vi unisce, quell'amore che è fatto di parole, di confidenze, di risate e rimproveri.
Un amore completo, che mai mi sarò dato modo di provare, ma che bramo pur sapendo di desiderare l'impossibile, eppure, nella mia stupidità, tento ogni giorno, di costruire qualcosa di diverso con Gaspard, aggiungendo piccoli gesti, al di la della lussuria, al nostro insolito amore.
Ed è per questo che ho permesso che tu guardassi, Oscar, per far si che tu desiderassi, perché prima di tutto si desidera con gli occhi.
Desideriamo ciò che vediamo.
E tu hai visto.
La passione, il desiderio, la carne, la lussuria, tutte quelle cose che sono lì, a pochi passi dal tuo cuore, nascoste dietro una sottile maschera, che, col l'incoscienza del sonno hai tu stessa hai gettato via, cercando il corpo di André, qualche notte fa.
E allora, dov'è la ragione?
E allora, mia cara Oscar, dov'era quella maschera quando i tuoi occhi sono stati dinnanzi all'amplesso di due giovani amanti? O quando era il tuo corpo a volere il calore della carne di un uomo, così intensamente da impedirgli di allontanarsi da te?
Allora ti domando...

O vergogna dov'è il tuo rossore?

Non vi è vergogna, quando è la verità a comandare le nostre azioni.

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Capitolo 7
*** Tempesta ***


La giornata di lavoro è finalmente giunta al termine, ed ora posso concedermi un lembo di vita, un attimo di tranquillità, dove poter dare ascolto a quei pensieri sovrastati dal rumore del quotidiano.
Sono stanca, nel corpo e nella mente, le faccende sono rimaste immutate negli anni, non vi è ne più ne meno da fare rispetto al passato, ma ora, col peso dell'età, lavorare il doppio degli altri domestici, come mi fu ordinato chiaramente il primo giorno in cui posai piede in questo palazzo, uccide qualsiasi entusiasmo.
Non ch'io sia vecchia, questo no, ma non mi è più permesso definirmi una ragazzina. Sono una donna, una donna adulta e stanca.
Termino l'ultima incombenza nelle cucine, auguro la buonanotte a Nanny mentre fingo di entrare nella mia stanza, chiudo la porta alle mie spalle, attendo qualche minuto, giusto il tempo di far quietare ogni cosa, e scivolo via, come fossi un fantasma, lungo il corridoio buio.
Il clima mite mi permette di uscire all'aperto di sera, e così mi incammino verso le scuderie, abbandonando i miei abiti da piccola serva disgraziata, per indossarne altri, quelli che rispecchiano ciò che sono, dentro, in un posto dove nessuno sembra voler guardare.
Getto alle spalle i brutti pensieri, le maldicenze sussurrate, gli sguardi di compassione, e, col sorriso sulle labbra entro nelle scuderie, pronta a prendermi un pizzico di meritato piacere.
Il buio mi sorprende alle soglie, lo oltrepasso con fare deciso, inseguendo la flebile luce che scorgo in un angolo, nel punto preciso in cui vi sono ammassate le balle di fieno, ed è li, su una di esse, che vedo una figura, ed è li che lo vedo, seduto con i gomiti poggiati sulle cosce e le mani a sorreggergli la testa.
Mi avvicino, lentamente, con la mano a mezz'aria, se possedessi la voce potrei pronunciarne il nome, ma per supplire a tale mancanza non posso far altro che ricercare un contatto. Poso la mano sul suo braccio, delicatamente, ma la reazione che ne consegue è di tutt'altra natura.
La sua mano, mossa da un gesto improvviso, mi colpisce il braccio, in un moto così rabbioso e violento da farmi sfuggire un respiro, come fosse un grido, sulla bocca spalancata.

“Anais! Oh mio dio, sei tu!”
Serro le labbra mentre massaggio il braccio dolorante.

“Anais, scusami, cosa ci fai qui? Non credevo di trovare qualcuno a quest'ora!”
Neppure io credevo di trovare te, André, ma Gaspard, che pare aver deciso di non venire all'appuntamento, o forse ti ha visto entrare e ha preferito tornare a palazzo senza degnarsi di dirmi nulla, il codardo.
E tu? Cosa ci fai qui? Non dovresti essere a casa, ad ascoltare Oscar suonare, o conversare con lei dinnanzi ad un bicchiere di vino? O magari ad una delle riunioni giù alla chiesetta?
Ah, giusto, tutto questo non ti è più concesso, e non è il caso che tu cavalchi di notte, dopo il brutto incidente all'occhio.
Oh, povero André, se solo sapessi quanto siamo stati in pensiero durante i giorni della tua convalescenza, tua nonna ha costretto tutti, compresa me, a  pregare la santa vergine, e l'ho fatto sai, anche se non ho un buon rapporto col padreterno, ma ho pensato che un'anima in più sarebbe stata più difficile da ignorare.

“Volevi qualcosa? Mi stavi cercando?”
Mi domandi con la tua solita dolcezza e con una stanchezza che pare centenaria, a scandire ogni singola parola.
No, non ti stavo cercando, tento di farti capire, col sorriso sulle labbra e scuotendo il capo.
Mi siedo al tuo fianco, imitando i tuoi gesti, i gomiti sulle ginocchia, le mani ad incorniciarmi le guance, a sorreggere il volto inclinato lievemente di lato, e ti guardo, come forse non ho mai fatto, con quell'insistenza che non mi appartiene, o meglio, non alla luce del giorno, e tu sembri disarmato, come se le mie iridi verdi avessero il potere di leggerti l'anima, e forse è così, non è vero André?
Non distogli lo sguardo nonostante vi sia un evidente disagio in te, e questa volta sono io a dover cedere, scagliando i miei occhi in basso, a scrutare con fin troppo interesse i nostri piedi, ed è osservando i tuoi stivali, imbrattati di fango, che scorgo ciò che è la palese conferma del tuo malessere. Una bottiglia di vino, quasi vuota.
Senza darti modo di fermarmi afferro la bottiglia, poso le labbra attorno al collo e bevo, fino all'ultima goccia, ciò che ne rimane, e solo allora la lascio cadere sulle tue gambe, con prepotenza.

“Mah... cosa? Non credo che dovresti bere!”
Io non dovrei bere? E tu perché lo fai André? Credi davvero che tutti i problemi si dissolveranno dentro questo dannato liquido rosso? Pensi che le cose cambieranno, per te, per lei, per tutti noi, con i fumi dell'alcool?
Non sarà un po' di succo d'uva che ti farà riavere la luce del giorno, né tanto meno ti aiuterà ad avere lei!
Mi alzo in piedi e perpetuo il mio sguardo su di te, accentuando il mio disappunto pianto i pugni chiusi ai lati dei miei fianchi, nella tipica posa di Nanny, e allora tu comprendi senza bisogno di parole, ed è in questo momento, mentre osservo le lacrime lambirti gli occhi, che maledico la mia impulsività.

“Si Anais, ho bevuto... lo so, non dovrei, lo so bene ma... a volte mi pare l'unico rimedio al mio... se solo tu sapessi, se solo tu sapessi cosa ho fatto... io... ho rovinato tutto! Maledizione!”
Io so. Io vi ho visti.
Ma credimi, caro André, non hai guastato nulla, al contrario, hai aperto uno spiraglio che potrebbe portare ad un cambiamento.
Ti sorrido abbandonando mollemente le braccia lungo il corpo, non sono più adirata, davvero, ma tu non piangere, non farlo, non permettere ch'io ti veda in questo stato.
Sorrido con quella dolcezza che ho imparato da te, mentre ti carezzo la pelle nuda del braccio, e mi aspetto la medesima foggia, sulle tue labbra, ma vi è solo uno smorfia a disegnarti la bocca.

“Scusami Anais, debbo andare.”
Mi dici mentre ti chini a raccogliere qualcosa da terra, e solo adesso mi rendo conto di qualcosa che avrei dovuto notare fin dal principio, non c'è traccia del tuo cavallo, e cos'è quella sacca che stai issando sulla spalla? Cosa significa?

“Fila a dormire Anais, è tardi... e mi raccomando, fai la brava.”
Eccolo lì, il suo dolce sorriso e la voce rassicurante, ma vi è altro in fondo agli occhi, un velo di malinconia, in un mare di dolore.
Dove vuoi andare? Hai intenzione di lasciare questa casa, non è vero André?
No, non puoi! Non puoi sparire proprio ora! Hai portato il finimondo in questo palazzo ed ora vorresti voltarci la schiena?
Per Dio, Grandier, non ti lascerò mandare tutto al diavolo!
Sento la rabbia bruciarmi le guance e il sangue scorrere con violenza alla testa, non aspetto un secondo di più, nemmeno il tempo di lasciar scivolare il pensiero, e sono di fronte a te, con un'espressione inaspettata, a giudicare da quella che si dipinge sul tuo volto.

“Cosa ti prende? Dico sul serio Anais, devo andare.”
Scandisci le parole, con una calma irritante e inopportuna, spingendomi delicatamente di lato, ma il mio corpo pone resistenza, quella resistenza che non ti aspettavi, e allora studi una nuova mossa, aggirandomi e proseguendo il tuo cammino verso l'uscita.
Credi davvero di avermi scoraggiata? Ti sbagli di grosso, sono un osso duro, questa notte più che mai sono pronta a rischiare tutto pur di proibirti di rovinare la tua vita, e quella di Lei, a costo di farmi uscire questa dannata voce ed urlarti, in pieno volto, l'errore che stai commettendo!
Io stessa corro verso l'uscita ed è li che termino il mio moto, sbarrando la porta e poggiandomici contro.
Ed ora? Cosa vuoi fare? Sei pronto ad affrontare le tue paure? Sei disposto a guardare negli occhi l'amore? O forse deciderai di scaraventarmi a terra e mollare tutto?
Non farlo André, te ne prego, sarebbe un'azione da vigliacco, e tu non lo sei, ne sono certa!

“Per favore Anais, spostati, si sta facendo tardi.”
Scuoto la testa e con lei i miei lunghi capelli. No, non mi sposterò, almeno non di mia volontà.
Ti guardo avvicinarti a me ed abbassare l'unico occhio rimastoti, sui miei, che hanno il fuoco della furia a bruciarne le ciglia, e poi spostarsi sulle mie labbra, arricciate in un broncio rabbioso.
Sfiori il mio viso con le dita, dallo zigomo alle labbra, in una carezza che ne disegna i contorni.
Cosa stai facendo? Sei impazzito? Possibile che tu abbia bevuto a tal punto da pensare ch'io...?
Stupido! Dio, se solo potessi parlare! Se solo potessi ti strapperei dalle vene il nettare di bacco, a suon di schiaffi!
Non ho modo di fermare il tuo avanzare verso di me, e così pure le tue labbra, troppo vicine alle mie da sentirne il fiato alcolico.

“Non ti preoccupare  Anais, tornerò a trovare mia nonna qualche volta, ci rivedremo ancora, te lo prometto.”
E le tue labbra imprigionano le mie, in una morsa che è forza e dolcezza al tempo stesso, ed io mi perdo solo un istante, il tempo di un battito di ciglia, ad assaporarti, perché è la ragione, poi, a farmi posare i palmi sul tuo petto e spingerti via, lontano, il più lontano possibile.
Adesso posso vedere la stessa rabbia sul tuo volto, tra le sopracciglia corrugate e la bocca mutata in un ghigno.
Sei furibondo, vero? Bene, è ciò che voglio.
Aderisco alla porta di legno con sempre maggior forza, allargando le braccia ai lati dei fianchi, rendendoti chiare, così, le mie intenzioni, da qui non si esce!
Ed eccoti nuovamente a ridosso del mio corpo, mi stringi contro il portone, mentre con le mani cerchi di arrivare all'asse che lo tiene chiuso, ma ogni volta blocco i tuoi attacchi.
Mi fai male, ti faccio male, ma non è il dolore fisico a turbarci, ma la consapevolezza di uno sbaglio più che evidente.
Non vi è più parola in te, solo respiro bollente e convulso fuoriesce dalle tue labbra, lo sento chiaramente di fianco al mio viso, ed è lì che rimani, quando le tue mani si stringono attorno alle mie braccia e tentano nuovamente di spostarmi, ma oppongo resistenza, puntando i piedi a terra.
Le dita perdono di potenza, precipitando giù, fino ai polsi.
Abbassi il capo, nascondendoti alla mia vista.

“Fammi andare via, ti prego. Sarà meglio per tutti, me compreso, se lascerò questa casa.”
Lo sussurri in un soffio e provi ancora, a forzare l'asse che ti separa da quella che credi possa essere la libertà, ed è così che ci ritroviamo in un insolito abbraccio, le tue braccia protese per poter andar via, le mie per farti restare.
Smettiamo di lottare, i tuoi attacchi divengono una stretta attorno alla mio busto, e così pure i miei mutano in carezze.
Ti stringo, invitandoti a farti più vicino, ed accompagno la tua testa a posarsi sulla mia spalla, mentre le dita ti carezzano i capelli.
Piangi ed io sorriso, ora so che non te ne andrai.
Era questo che volevi vero? Era questo che volevi da lei, poche ore fa.
Lei lo avrebbe fatto, ne sono certa, se il dolore del tuo cuore non ti avesse reso folle, ma non dubitare dei suoi sentimenti, e non dubitare dei tuoi, che sono nobili e saldi.
Traggo un lungo sospiro, perché ora so che la tempesta non ci abbandonerà, ma non dobbiamo averne timore, perché a volte, la distruzione, porta cambiamenti e nuova vita.
Rimaniamo uniti fino al placarsi del tuo pianto, e quando le lacrime abbandonano i tuoi occhi ci guardiamo, e vi è un grande sorriso a parlare per noi.
Stringo una tua mano tra le mie, rivolgo il suo palmo all'insù, e col dito traccio, su di esso, degli invisibili segni, delle lettere che non hanno bisogno di parole, ne di carta e inchiostro.
Mi sorridi, mi ringrazi, con una carezza sulla gota.
Ora vai, André, e credi a quello che le parole non possono dire.

Lei ti ama

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Capitolo 8
*** C'è del marcio in Danimarca... ***


È una limpidissima mattina di fine inverno, quella che mi vede desta, come di consueto, prima del canto del gallo.
Sono immobile dinnanzi alla scalinata di marmo bianco, al centro del grande salone d'entrata di palazzo Jarjayes, i piedi scalzi poggiati ognuno su di una singola mattonella sembrano non risentire del freddo che alberga, perpetuamente, in questo luogo.
Osservo il mio corpo compostamente abbigliato per la quotidiana giornata di lavoro, la vestina blu, il grembiule bianco, la cuffietta finemente ricamata ad imprigionare i miei lunghi riccioli castani, tutto perfettamente in ordine, come in apparenza pare ogni cosa, in questa dimora.
Ma la perfezione, diceva mia madre, non è di questo mondo.
Non vi è movimento nei miei arti quando la luce prende il posto del buio, rimango ferma nella mia posizione, mentre la vita prende a danzare di fronte ai miei occhi, e mi sorprendo della noncuranza di questi individui che ignorano la nudità dei miei piedi, e la devastazione di questa casa.
Come è possibile che nessuno scorga la distruzione che il finimondo ha lasciato su ogni cosa?
Camminiamo nel mezzo di una tempesta, ma io soltanto ne comprendo la sventura, e tutto questo mi fa ribollire il sangue nelle vene.
Odio quell'indifferenza che viene indossata con lo stesso orgoglio con cui si indossa un bell'abito.
Tutto è come sempre, gli splendidi sorrisi sui volti dei nobili, i gesti di reverenza della servitù, e questo velo di pace innaturale che aleggia come una coltre di fumo, che nessuno però scorge.
Nessuno vede, e tutti tacciono, tacciono coloro che potrebbero dire, ed io che vorrei non posso, è così che la vita si burla di noi?
Vorrei poter urlare la verità e scuotere l'anima di questa gente, dannazione non vi rendete conto che è tutto maledettamente sbagliato? È mai possibile che non giunga, alle vostre narici, questo insopportabile puzzo di sterco?
No, tutto è perfetto, tutto è come deve essere, non è vero?
Ma certo, le figlie del generale Jarjayes hanno scelto i propri consorti con l'amore nel cuore.
Madame ha approvato fin dal principio le decisioni del padrone, ed è il dovere a tenerla lontana da casa, perché altrimenti il suo desiderio la terrebbe qui, accanto all'amato Figlio soldato.
Oscar è felice ed appagata della propria vita da uomo.
Stolti! Non vedete un cumulo di menzogne sotto tanta perfezione?
Stringo le mani in pugni dirigendomi verso la mia stanza, e solo quando sbatto violentemente contro qualcosa mi rendo conto di star correndo.

“Ehy... una signora non dovrebbe mai correre, specialmente a piedi scalzi... camminare con il mento sollevato evita parecchi lividi, credimi, Anais...”
Tu dici, André? Da quando sei diventato così spiritoso, e ti prego, togliti quell'odioso sorriso dalle labbra, cosa c'è da ridere? Vi è forse un motivo per essere felici in questa casa?
Oh André, tu sei l'ultima persona che dovrebbe esserlo, debbo forse ricordarti che Oscar se ne è andata?
Ma cosa vi prende a tutti quanti?
Mi guardi con dolcezza, come hai sempre fatto, mentre le tue dita stringono ancora le mie braccia ed io provo una rabbia incontenibile, sono così furente che vorrei pestarti i piedi, in un gesto infantile, ma tutto quello che faccio è liberarmi dalla tua presa, con stizza, e volgere il viso di lato, alzando il mento e serrando gli occhi, esattamente come farebbe una donnicciola viziata, offesa da uno sgarbo insignificante.
Corro via, senza voltarmi, percependo le tue parole, lontane.

“Anais... ma...”
Ma, cosa? Cosa non ti è chiaro André? Possibile che anche tu sia diventato insensibile alla vita?
Sono così in collera, Oscar è fuggita, si è fuggita, io e te lo sappiamo perfettamente, anche se per tutti è soltanto partita per una breve vacanza di riposo! Ed ecco l'ennesima menzogna! E tu non hai fatto nulla per fermarla, codardo!
Sbuffo con quella stanchezza che non dovrebbe esistere a quest'ora del mattino, ma che c'è e che si è impadronita d'ogni mio senso, obbligandomi a sedermi sul letto con le braccia, pesanti come massi, lungo i fianchi.
Odo bussare, alzo gli occhi al cielo, in segno di fastidio, perché bussare? come se io potessi invitare qualcuno ad accomodarsi, certamente se mi fosse dato di parlare, ora, non vi sarebbero parole di cortesia per “la mente eccelsa” al di là della porta.
Qualche istante dopo, uno spiraglio di luce si fa strada nella stanza, portando con sé una figura di uomo.
Gaspard, bene, mancavi solo tu questa mattina!

“Anais, stai bene? Ti ho vista correre via... ti senti male? Sai che non dovresti stare a piedi scalzi, se  ti vedesse Nanny o peggio il generale Jarjayes non posso immaginare cosa potrebbe succedere!”
Eccolo qui, il mio uomo, coraggioso come un pulcino bagnato!
Sollevo una mano sulla fronte, cercando di portare un po' di sollievo alle tempie doloranti, mentre mio malgrado debbo ascoltare altre parole.

“Senti, devo andare, sta arrivando qualcuno e non vorrei mi trovassero qui, ci vediamo dopo la mezza, al solito posto.”
Vai Gaspard, corri, non vogliamo che qualcuno pensi che siamo amici, o ancor peggio amanti, e che dio non voglia, innamorati!
Al diavolo! Tu, André, i padroni, e questa maledetta dimora!
Afferro con prepotenza la cuffietta e le forcine che, in questo gesto violento, strappano un gran numero di capelli, ma non mi curo del dolore, la rabbia ha il potere di anestetizzare ogni lembo di pelle, e rendermi consapevole di un sentimento che da tempo covava al mio interno.
Voglio andarmene!
Rovisto nell'armadio, raccogliendo quel poco che mi appartiene nella stessa borsa che preparai quando venni a stare in questo luogo, quasi vent'anni fa, ed è proprio in uno dei cassetti della piccola credenza, che trovo la causa della tempesta che non cessa di infuriare dinanzi ai miei occhi.
Una candida camicia lacerata ed un pezzo di stoffa, la sua camicia, quella che Madamigella Oscar indossava quando lui... quando André... quella sera... quella sera che pare lontana mille e mille anni, eppure sono trascorse solo due settimane.
Gioco col lembo di batista arrotolandolo tra le dita, mentre richiamo alla mente il giorno subito dopo il “fatto”, quando Oscar si presentò in questa stanza alle prime ore del giorno, e mi ordinò di rammendare l'indumento che, mi disse, aveva lacerato durante uno dei suoi tanti allenamenti, premurandosi ch'io facessi un buon lavoro, ma nel caso questo non fosse possibile mi era permesso di gettare la camicia, non aggiunse altro, e come giunse se ne andò, prima che l'intera servitù si destasse.
Mi sono domandata molte volte, in queste settimane, perché Oscar si preoccupò almeno di tentare di salvare la camicetta, un indumento in più o in meno non avrebbe fatto differenza per lei, allora perché non mi ordinò semplicemente di buttarla?
Comprendo però il motivo per cui decise di darla a me, per il semplice fatto che io non avrei posto domande, ed in qualsiasi altro caso non avrei potuto farne oggetto di pettegolezzi, certamente Nanny le avrebbe fatto il più temibile degli interrogatori e qualsiasi altra cameriera avrebbe tessuto storie assurde attorno a quello squarcio.
Così, da allora, possiedo quello che è divenuto ormai un cencio di tessuto, che innumerevoli volte ho trafitto con la punta del mio ago, ma quando la cruna lo attraversava non mi era possibile proseguire, e allora strappavo la gugliata di filo e riponevo tutto, di nuovo, nella credenza, non avrei mai e poi mai unito nuovamente i due lembi di tessuto, non ora che la corazza è stata finalmente infranta.
Infilo la camicetta tra le mie cose, lancio un lungo e profondo respiro, e sono pronta per abbandonare questa stanza, carezzo il letto, la scrivania, e il muro contro il quale ho poggiato l'orecchio ogni qualvolta, da bambina, udivo le voci di André ed Oscar, nella stanza accanto.
Un rumore alle mie spalle mi spinge a voltarmi con mal disposizione, pronta a scommettere di trovarmi davanti Gaspard, ma il mio istinto oggi pare avermi abbandonato, perché vi trovo André.

“Si può sapere cosa ti prende?”
Cosa prende a me? Non provarci André, non ti azzardare a riversare i tuoi problemi su di me!
Con la più fredda indifferenza raccolgo la borsa dal pavimento e cammino verso l'uscita, senza degnarlo di uno sguardo, ma lui precede i miei passi, spingendosi contro la porta, in un gesto che ha il potere di catapultarmi in un passato poco lontano, quando ero io a compiere queste stesse azioni.
Ti prego André, io non sto fuggendo dal senso di colpa, io fuggo perché qui non posso più respirare.

“Dove credi di andare Anais?”
Non lo so André, cosa importa, mi basta allontanarmi da qui e da tutta questa ignoranza! Non posso più sopportare l'indifferenza delle persone, così come non posso più guardarti negli occhi e vedervi la resa.
Non ti rendi conto dell'errore che stai commettendo, lei ti ama, ma è ancora troppo presa dal cercare se stessa per rendersene conto, ma è amore quello che vedo ogni volta che Oscar posa lo sguardo su di te.
Perché hai permesso che se ne andasse? Ah, maledizione, siete così stupidi a volte!
Sbuffo dinnanzi al tuo viso, poggio la borsa a terra e mi allontano di pochi passi, con calma, e con la medesima flemma, senza che tu possa scorgermi, prendo tra le mani il calamaio di vetro, e prima che tu posso vedermi lo scaglio contro la porta, a pochi centimetri dal tuo volto.
Il rumore prodotto dal vetro infranto in mille pezzi farà sicuramente accorrere qualcuno, ma tu non muovi un muscolo, sei fermo, immobile, vi sono solo piccoli rigagnoli di inchiostro nero a correre lungo le venature del legno.
Sei testardo, ma bada che la prossima volta non sbaglierò di proposito la mira!

“Credi di spaventarmi Anais?”
Si, voglio spaventarti, voglio che te ne vada!
Non tolgo il mio sguardo da te mentre la mia mano impugna la prima cosa che trova sul tavolo ed è pronta a lanciartela addosso, ma non ne ho il tempo, tu mi sei già contro bloccandomi il polso e requisendomi “l'arma”.
Cosa vuoi fare André? Ricambiare il favore che ti feci nelle scuderie? Non ve ne è motivo, io non ho nessun amore da vivere, io non ho legami in questo palazzo, che senso avrebbe rimanere dove non mi è permesso di vivere appieno? E comunque mi pare che il mio gesto non abbia portato a nulla, credevo di potervi aiutare, ma sbagliavo, per questo vorrei che mi lasciassi andare, è ora ch'io viva la mia vita.

“Anais smettila di fare la ragazzina, cosa credi di poter fare la fuori, proprio ora che vi sono tumulti in ogni angolo della Francia? E poi, cosa direbbe mia nonna, se te ne andassi ne morirebbe... e Gaspard? Non credi che sarebbe un dolore anche per lui? Non guardarmi così, credevi davvero che non me ne fossi accorto?”
No André, non immaginavo, non fino a questo punto almeno, ma cosa dovrei fare? Lui non mi ama, o almeno pare più forte il terrore d'essere visto in mia presenza, cosa dovrei pensare?
Sono così stanca di lottare il doppio degli altri, sono stanca di dover dimostrare d'essere un essere umano, sono stanca di fingere di non sentire nulla, come tutti sembrano fare, compreso tu André, ed Oscar.
Io desidero sentire, e vivere, e amare, infischiandomene delle conseguenze, ma in questa casa non è possibile farlo, forse anche la fuori, ma perlomeno potrò dire di averci provato.
Ora lasciami passare, te ne prego, guarda i miei occhi e leggi ciò che la mia bocca non può pronunziare.
Ti guardo mentre tento di scivolare lontano da te, e tu mi lasci andare senza dire una parola, raccolgo la borsa, apro leggermente la porta e non è ancora finita, la tua mano cattura il mio polso trascinandomi contro il tuo petto, posso sentire il profumo di pulito sulla tua camicia, e l'odore della tua pelle.
Mi stringi in un abbraccio che mi impedisce di respirare, i tuoi capelli ormai corti e sciolti sulle spalle mi solleticano il viso, e le tue labbra, bollenti, si posano senza imbarazzo sul mio orecchio.

“Non posso impedirti di andartene, Anais, vai se è quello che desideri davvero, ma sappi che mi mancherai, più di quel che avrei mai creduto. Ascoltami attentamente, non vi è bisogno di parole se si possiede un cuore e una sensibilità come i tuoi, è così facile comprenderti semplicemente guardandoti negli occhi. Volevo ringraziarti per quello che hai fatto per me nelle scuderie, non lo dimenticherò mai, e sappi che credo a ciò che le parole non potrebbero dire, non faccio che pensarci da quel giorno, e credimi, non mi sono arreso, sto soltanto attendendo...  Ah, un'ultima cosa... un paio di mesi fa Gaspard mi ha domandato di insegnargli le basi della scrittura e della lettura, non ha voluto rivelarmi il motivo di questo interesse ma... credo che tu sappia, senza ch'io debba parlare, non è vero? Abbi cura di te, piccola Anais”
Mi stringi, se possibile, ancora più forte, sposti le labbra dall'orecchio alla mia bocca, ed è li che vi consegni un piccolo e dolce bacio, innocente e delicato come quello di un bambino.
Ti allontani e svanisci oltre lo scuro della porta ed io... io...
Ed io piango come se fosse la prima volta, e forse è esattamente così, perché non vi erano più state lacrime, a lambire i miei occhi, dal giorno in cui morì mia madre.
Asciugo le lacrime con il dorso della mano e poso la borsa all'interno dell'armadio, forse non vi è poi così tanta fretta per andar via, forse prima dovrei salutare la cara Nanny, e non mi sembra cortese non presentarmi all'appuntamento con Gaspard... forse... domani sarà il giorno ideale per partire, chissà.
Indosso la cuffietta di pizzo, il grembiule bianco e le scarpette nere, pronta a svolgere le mie consuete mansioni, con un peso in meno sul cuore e le parole di André, a bruciarmi le labbra.
Giungo in prossimità del salone e sul volto mi nasce un sorriso, senza ch'io possa far qualcosa per impedirlo.
Oscar è tornata! Con tre settimane d'anticipo!
Sorrido guardando il suo bellissimo viso, sicuramente più sereno, sorrido nell'immaginare lo stupore nello sguardo di André una volta scoperto questo piacevole inaspettato.
Sorrido, a me stessa, fantasticando sul motivo che ha condotto Madamigella Oscar a palazzo, prima del tempo.
Che sia stata la noia?
O forse chissà, che sia causa mia? magari di quella imperdonabile sbadataggine che si impossesò di me, il giorno in cui preparai i bagagli di Madamigella Oscar, e che mi fece posare, per errore, una camicia di André, che gli portai via dalle mani con la promessa di riconsegnargliela pulita, tra i suoi indumenti personali, e nella quale mi scivolò, per pura ed innocente svista, un biglietto.

Dubita che le stelle siano fuoco, dubita che il sole si muova, dubita che la verità sia mentitrice, ma non dubitare mai del mio amore...

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Capitolo 9
*** Il tocco ***


Ho fatto un sogno pochi istanti fa, ed ora, in questo limbo tra il sonno e la veglia, mi domando dove sia finito quel tocco che ha mandato in tumulto il mio cuore.
Guardo attorno, al di sotto delle coperte, ma non vi è nulla e nessuno, sono sola in questa stanza troppo fredda, eppure mi sembra di sentire la pelle bruciare, là dove sono stata toccata.
Mi alzo dal letto senza lasciarmi sorprendere dal gelo che ferisce i miei piedi, compio un paio di passi e stringo tra le mani la brocca di ceramica, inclinandola sulla bacinella, dove poi vi immergo le mani, riempendole d'acqua che lascio scorrere sul viso, sperando di cancellare i segni del sogno, e quando il liquido ghiacciato entra in contatto con la mia carne il respiro mi si blocca nel petto.
Innalzo la testa, finalmente libera di respirare, sollevo un lembo della camicia da notte, scoprendo le gambe nude, per asciugarmi il viso, mentre cerco di rammentare quella vita appena vissuta, nel mondo di Morfeo.
Siedo sul letto con le gambe incrociate, serro gli occhi e tutto compare nuovamente dinnanzi agli occhi... ed un attimo fa ero...
Seduta sul retro del palazzo, sull'ultimo gradino della grande scalinata che vi è di fronte al cortile, poco prima dell'immenso giardino, osservo il vento muovere le grandi lenzuola stese sui fili del bucato, in una danza che pare un gioco a rincorrersi.
Non sono sola, c'è qualcuno dietro di me, posso sentire la consistenza di un corpo contro la mia schiena, e posso vedere, ai lati dei miei fianchi, delle gambe fasciate in un paio di pantaloni maschili.
La figura alle spalle mi è ignota, ma la cosa non sembra interessarmi perché perpetuo il mio sguardo tra le lenzuola candide, e sono talmente presa da qualcosa di così insignificante che sfugge un alito di respiro, alle mie labbra, quando le braccia dello sconosciuto mi cingono il busto, ed è allora che poso il verde dei miei occhi su una mano, grande, che si stringe sotto la mia, piccola e pallida.
Ed eccolo qui, il tocco leggero che ha fatto impazzire i battiti del mio cuore, guardo le dita dell'uomo carezzarmi il palmo della mano, tracciandovi strani disegni, e proseguire, poi, lungo il polso, in un circondare, e toccare, che mi ricorda la morbidezza della seta.
Può un tocco così innocente far ardere la pelle come fosse stata la più cruda lussuria a posarvisi?
Mi lascio carezzare, e io stessa imito quel gesto, ed è allora che l'altra mano, di uomo, scivola sulla mia guancia, invitandola con cortesia a voltarsi, per ricevere un bacio che ha la forma ed il sapore di un frutto maturo, un bacio che è purezza e carnalità al tempo stesso.
Labbra umide e piene che imprigionano, assaporano, divorano, in un intreccio di emozioni che riempiono il cuore e l'anima, donandomi una pace, ed una tranquillità, che credo di non aver mai provato prima.
Dischiudo gli occhi e l'oscurità mi colpisce come uno schiaffo, sospiro per tentare di colmare, con l'aria, il vuoto che mi è nato dentro, stupidamente, per colpa di un sogno sciocco.


Inginocchiata dinnanzi al camino delle cucine, immersa nel buio della sera, tento di smuovere le ceneri, e lo scoppiettio delle braci, ravvivate dall'attizzatoio, illuminano la stanza di una luce intensa, e il mio viso, donando alla pelle candida un insolito colore scarlatto.
Non mi riesce di dormire questa notte, non vi è verso di togliermi dalla mente il folle sogno che mi ha destata, e quando qualcosa mi frulla per la testa mi è impensabile perfino pensare, figuriamoci tentare di leggere o scrivere, tanto valeva, quindi, alzarsi dal letto e trovare qualcosa da fare.
Il lavoro manuale ha sempre avuto il potere di quietarmi, fin dall'infanzia, così mi par logico  preparare una torta, una delle tante insegnatami da Nanny, ma che io, col tempo, ho reso più mia, aggiungendo un ingrediente o privandole di un altro.
Accendo una sola candela e socchiudo la porta di legno, non voglio svegliare qualcuno, non sono dell'umore adatto per sopportare, senza reagire, domande e accuse varie.
Poggio sul tavolo una zuppiera dentro cui vi lascio scivolare mezzo panetto di burro, che prontamente mescolo con un cucchiaio di legno, e mi sembra già di sentire la tensione sciogliersi e scivolare lungo il collo.
Un po' di zucchero, tre uova belle grandi, anche loro si uniscono al burro divenuto ormai una soffice crema, e vi è ancora il fedele cucchiaio a creare un dolcissimo mulinello all'interno del recipiente.
Immergo un dito a raccogliere il composto giallognolo, lo porto alle labbra succhiandolo avidamente, mentre gli occhi si chiudono senza controllo e la voglia induce a compiere questo gesto all'infinito. Sorrido di questa piccola gioia che ha distolto, per qualche istante, la mia mente dall'uomo misterioso, e da una mancanza che non pensavo di provare, ma che invece esiste, e che è così prepotente da farmi desiderare le lacrime.
Scaccio i cattivi pensieri e afferro il sacco della farina, la verso a pioggia nella zuppiera, ma un rumore mi irrigidisce i muscoli, ed è l'intero sacco a finire nel composto.
Maledizione! Domani cosa racconterò a Nanny? Un chilo di farina per una sola torta?
Un altro rumore. Delle voci.
Con un soffio deciso sulla candela porto il buio nella stanza, e schiudo la porta, quel tanto che mi consente di scorgere due figure aggirarsi per il lungo corridoio che porta alle cucine, e al retro del palazzo.

“Oscar!”
La voce di André, lieve come un sussurro, eppure imperiosa.

“Non c'è nulla di cui discutere André, hai preso la tua decisione ed io non sono d'accordo, le nostre posizioni sono più che chiare.”

“C'è molto di cui parlare invece! Non credo di doverti alcuna spiegazione, ora che non sono più al tuo servizio, quindi, che tu approvi o no la mia scelta non è affar mio!”

“Hai detto bene André, tu non sei più al mio servizio, io non ho più bisogno di te, per questo non tollero che tu mi abbia seguita un'altra volta!”

“Cosa avrei fatto Oscar? Mi sono arruolato tra i soldati della Guardia perché un amico ne fa parte, tutto qui, non vi sono altre motivazioni dietro questo gesto, credimi! Il mondo seguita a girare anche senza il permesso di Oscar Francois De Jarjayes!”

“Mi hai stancato André, fai come ti pare! Ora se non ti dispiace me ne andrò a letto, domani debbo essere in caserma molto presto.”
Avverto l'affaticamento in ogni singola parola di Oscar e nel semplice gesto di sbottonarsi l'uniforme, come se l'intero peso del mondo le premesse sul petto, impedendole di respirare.
Provo una sorta di pena per questa donna prigioniera di se stessa, se solo bastasse far scivolare dei bottoni d'oro dalle asole per renderla libera, ma temo che occorra molto di più.

“E quella che diavolo significa?”
Il tono di André fa sobbalzare ogni muscolo del mio corpo, spaventandomi, e con me anche Oscar, che non proferisce parola ma rimane immobile nella propria posizione, la bocca dischiusa in segno di sorpresa e gli occhi smarriti, in quelli di lui.

“Oscar, cosa significa?”
Ma cosa ti prende André? Stai urlando così forte da svegliare l'intero palazzo!
Non smetto di guardarli, illuminati dalla flebile luce del candelabro, e solo quando trovo il coraggio di fare un passo oltre la porta mi rendo conto di ciò che sta accadendo.
La tempesta è giunta nel pieno della propria distruzione, e non vi sarà nulla che potrà arrestarla, se questo sia un bene, o un male, non mi è dato saperlo, so soltanto che, da questo momento in poi, non si potrà più tornare indietro.
Guardo André stringere tra le dita la stoffa leggera della manica di Oscar, e vedo lei lasciar scivolare sul pavimento l'uniforme, che pochi istanti prima teneva tra le mani, come se fosse divenuta troppo pesante.

“Cosa André, cosa?”
Ed è lei, ora, ad alzare la voce, tentando di liberarsi dalla stretta di lui.

“Questa Oscar!”
Sigillo la bocca, come se dovessi impedire la fuoriuscita di qualche sorta di segreto, nel momento in cui guardo le dita di André stringere con violenza la stoffa della manica.

“Sei impazzito André? È una camicia! Hai forse bevuto?”
Vi è di nuovo stanchezza, e stupore, nelle parole di Oscar, quello stupore che ha abbandonato la mia testa per lasciare il posto al dubbio.

“Questa non è una camicia Oscar, questa è la Mia camicia!”

“Oh, davvero? Non vi avevo fatto caso, deve essere finita per sbaglio tra le mie, chiederò a Nanny di fare più attenzione d'ora in poi.”
Tenta di mantenere una parvenza di indifferenza, come se questo potesse riportare la calma là dove vi è l'irrequietezza, oh come ti sbagli Oscar, non riuscirai a placare il finimondo.

“Bugiarda!”

“Non ti permettere! Debbo ricordarti con chi stai parlando André?”

“Non c'è motivo Oscar, so esattamente chi ho di fronte... una donna che non si limita più a mentire a se stessa, ma ora anche al resto del mondo!”
Non vi sono parole a sporcarle le labbra, ma soltanto un movimento così veloce da risultare quasi impossibile da cogliere, e tutto ciò che mi si pare dinnanzi è la mano di Oscar a pochi centimetri dal viso di André, che sorprendendo le mie previsioni riesce a bloccare quello che certamente sarebbe stato un contatto maledettamente doloroso.
Osservo le dita di André lasciar libero il polso di Oscar, ma non la manica della camicia.

“Dovresti smettere di picchiare chiunque ti sbatta in faccia la verità Oscar! E rivoglio indietro la mia camicia.”

“Sei soltanto uno stupido André. Ed avrai indietro la tua camicia il prima possibile.”
Immobili, uno di fronte all'altra, Oscar sembra non volere distogliere lo sguardo, di falsa noncuranza, dagli occhi di André, che ancora non abbandona la stretta attorno alla stoffa.

“Cosa c'è André? La rivuoi adesso la tua camicia?”
E negli occhi di Oscar nasce una nuova luce, così simile a quella che le compare sulle labbra, curvandole la bocca in un sorriso di sfida.
Mi sorprendo a compiere un paio di passi, in un moto involontario, quando i miei occhi scorgono la mano di Oscar sciogliere il primo laccio della camicia ed avanzare verso il successivo, in un gesto fermo e deciso.
E non posso far altro che sorridere di questa situazione che i miei occhi hanno già scorto, anni ed anni addietro, tra le mura di questo palazzo.
Rido senza suono, di queste due persone che ho visto discutere in maniera analoga quando erano due frugoletti che litigavano per un gioco rubato, o per un biscotto in più nel piatto dell'altro, e dei loro battibecchi imbastiti da  parole senza fine, e da quei gesti di sfida che avrebbero potuto condurli oltre il limite e che portavano, invece, alla resa di uno dei due.
Provocare per indurre l'avversario a gettare le armi.
Credi di aver vinto Oscar? No, non questa volta, ed anche tu lo sapresti se solo ricordassi quello che per me è limpido come l'acqua.
Non ricordi? Non rammenti cosa facevi poco prima di partire per le lunghe vacanze estive che il generale ti imponeva di trascorrere in Normandia?
Entravi nella stanza di André, prendevi una sua camicia e la indossavi come se fosse la cosa più naturale del mondo, odorandone il tessuto e sorridendo a quei pensieri che sono rimasti celati nella tua piccola testolina bionda.
Nessuno, oltre me, si è mai accorto di nulla, forse perché quegli indumenti erano così simili allora, stessa foggia, stessa dimensione, uguali, come voi due.
Ma ora tutto è differente, diversi sono i vostri corpi, diverso è lo sguardo che André sta posando sulla tua mano, diverso è l'epilogo che potrebbe portare questa provocazione, e forse è per questo che lui libera finalmente il tuo braccio e dischiude le labbra, pronto a parlare.

“No! Certo che non la rivoglio ora, Oscar, ma...”

“Ma cosa  André?”

Lo vedo camminare oltre Oscar, ritornare poi sui propri passi per sorprenderla alle spalle, e sussurrarle all'orecchio quelle parole che io stessa ho sulla lingua.

“Mi chiedevo perché non vuoi avermi accanto, ma hai bisogno di portare sulla pelle una mia camicia... una camicia usata, come quando eri bambina. E sia chiaro che non c'è bisogno che tu risponda. Buonanotte Oscar.”
Colpita ed affondata!
André scompare nella propria stanza e lei rimane lì, ferma, nell'oscurità di una menzogna.
Socchiudo la porta col sorriso sulle labbra, la distruzione è cominciata, ne sento il rumore, e non vi potrebbe essere suono più bello, forse ci vorrà un po' di tempo ma almeno ora si rivolgono la parola, è già un passo avanti.
Riconduco la luce nella stanza e la voglia di terminare il dolce, magari con una piccola aggiunta di cioccolato, un vezzo che sicuramente pagherò caro l'indomani, assieme alla sfuriata di Nanny!
Sistemo i lembi del grembiule dietro la schiena, pronta a ripulire il tavolo dalla farina, quando il sangue sembra gelarmi nella vene, è un attimo, un battito di ciglia, sento una mano afferrarmi il polso in una stretta leggera ma decisa, e poi giù, lungo il palmo, una lieve carezza.
Il cuore dimentica un battito, e non mi è possibile voltarmi, vorrei ma non posso.
Eccolo qui, il tocco.
E un soffio di respiro sul volto.

“Anais... sei stata tu a mettere la mia camicia nella valigia di Oscar, vero?”

Andre!

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Capitolo 10
*** Peccato? ***


La fiamma della candela trema per un tempo che non mi è possibile quantificare, facendo oscillare il buio e la luce, in una danza ipnotica dinnanzi ai miei occhi.
Guardo questo gioco di ombre riflesse in ogni angolo della stanza, sembrano quasi rincorrersi, e nascondersi, poi, nei pertugi più improbabili.
Perdo lo sguardo contro il muro che mi è di fronte, e mi par quasi d'essere divenuta sorda, oltre che muta, non odo più il suono del vento, o lo scoppiettio del fuoco, tutto ciò che riesco a percepire è il battito del mio cuore e il respiro dell'uomo che è ancora immobile dietro di me.

“Anais? Mi hai sentito?”
Si André ti ho sentito, forte e chiaro, ma cosa vuoi che ti risponda la servetta muta? Non domandarmi ciò che è ovvio.

“Non mi arrabbierò, te lo giuro. Sei stata tu?”
Si, sono stata io, chi altro potrebbe averlo fatto? Una delle cameriere? La severa Nanny? Andiamo André, sono la sola persona, in questo palazzo, ad essersi accorta di quello che c'è tra te ed Oscar! L'ho capito ancor prima di voi due.
Quindi si, sono stata io, lo confesso, sono colpevole!
Però adesso vattene, lasciami sola, e ti prego, smetti di toccare la mia mano.

“Ehy...”
Si, dannazione! Si! Sono stata io!
Scuoto la testa, su e giù, in un movimento così prepotente da procurarmi un lieve dolore al collo.
Sei soddisfatto ora?

“Dio, Anais... perché lo hai fatto?”
Perché? Perché voi due siete così stupidi! Se avessi aspettato che uno dei due avesse compiuto anche un solo gesto, probabilmente sarebbero trascorsi anni prima di rivolgervi nuovamente parola.
Dovresti ringraziarmi André, invece di mostrarti scandalizzato e risentito per qualcosa che gioverà a te e alla tua Oscar.
Ho ancora un braccio dietro la schiena, bloccato dalla mano di André, quando sento la rabbia insinuarsi al di sotto della pelle, un'ira così violenta che mi fa desiderare di poter gridare al mondo intero tutte quelle parole che non ho mai potuto pronunciare, ma posso solo tacere, e riempire questa stanza con un silenzio che odio.
Porto il braccio in avanti, in un gesto di stizza, invitando le dita di André ad abbandonare il palmo, ma tutto ciò che ottengo è una presa maggiore della sua mano, e il suo braccio a seguito del mio, ed il suo corpo, troppo vicino.

“Scusami se sono sembrato insistente...”
Mi sussurri all'orecchio, scostandomi, con la sola mano libera, i lunghi riccioli castani, ed è a questo punto che sento il tuo respiro caldo lungo il collo, ed ogni tua parola, ed ogni tuo gesto, divengono di una lentezza insopportabile.
Oh signore, si, sei scusato André, non è accaduto niente di tragico, ma adesso torna nella tua stanza, o dovunque tu voglia andare, purché te ne vada da qui.
Ma non sembri intenzionato a lasciare le cucine, al contrario, pare che questa sera tu voglia parlare all'infinito.

“Non sono in collera con te, devi credermi Anais, io...”
Un movimento inatteso e sei a ridosso del mio corpo, sento chiaramente il tuo petto contro la mia schiena, e allora non sono più un grado di udire quelle parole che stai scagliando contro il mio viso, dimentico di ascoltare, di respirare, perfino il cuore sembra scordarsi di battere.
E tu non accenni ad allontanarti da me, hai capito la mia intenzione di non voltarmi, per nessuna ragione al mondo, forse è questa convinzione che ti porta a spingerti ancora di più contro il mio corpo e cercare un contatto tra i nostri occhi, ed è in quell'istante ch'io non posso più sopportare la tua vicinanza.
Colpita lungo la schiena, da una sensazione che conosco fin troppo bene, scivolo dinnanzi a me, posando i palmi delle mani sul tavolo imbrattato di farina, e questa mia azione improvvisa sorprende il tuo corpo, che ricade pesantemente sul mio.
Dischiudo le labbra in cerca d'aria, ed il respiro diviene convulso, in preda ad uno sforzo che tanto ricorda la resa dopo l'amore, ed è questo pensiero, più simile alla verità che alla menzogna, che mi lascia stranita, perché comprendo perfettamente il senso che ha piegato il mio corpo, quel senso che altro non è che desiderio, ed eccitazione, per qualcuno che non dovrei neppure considerare uomo.
Ma tu sei un uomo André, lo sento dal tuo peso che grava sulla mia schiena, dalle braccia forti che si sono poggiate, accanto alle mie, sul tavolo pregno di farina, dalla barba appena accennata che per un istante ha graffiato la mia guancia, e da quel particolare che ti rende un essere dissimile da me, quell'accenno di vigore che non dovrei sentire, e che forse ha sorpreso anche te.
Cosa ci succede André? Vorrei tanto potertelo domandare, ma forse non basterebbero tutte le parole di questo mondo per rispondere, forse non vi è risposta alla carne, ma, è solo di lussuria che si tratta?
Mi è difficile ragionare lucidamente, ogni azione mi risulta impossibile, perfino guardare le tue mani accanto alle mie, mi ferisce gli occhi, ed allora non mi resta altro da fare che serrare gli occhi, e respirare, pregando che tutto questo finisca in fretta, sperando che sia soltanto un sogno, ma non lo è, la tua voce me lo ricorda, così come le tue dita che lievemente sfiorano le mie, in una carezza così dolce da sembrarmi fastidiosa.

“Anais io...”
Lo so André, tu ami Oscar, ed io amo Gaspard, non vi è dubbio in questo, ma ora voglio quello che lei ha avuto per tutta la vita, solo un pezzetto, solo un assaggio, niente di più.
Volgo il viso, e questa volta sono le mie labbra a posarsi sulle tue, in un bacio impaziente, e non vi sono muri a fermare la mia impudenza, ma soltanto una bocca arresa al piacere.
Sento le tue mani stringersi attorno alle mie, ancora bloccate sulla tavola, e le mie fare altrettanto, in una stretta tanto violenta da far male
Il respiro si è fatto umido, frenetico, incontrollabile, ed il tuo corpo riverso sul mio dorso è sempre più vicino, sempre più insistente, lo sento spingersi contro, rendendo più evidente il tuo piacere, ma tutto questo non mi turba, anzi, sono pronta a concedermi ad ogni silenziosa richiesta, schiudo le gambe ed avvicino a mia volta i fianchi, seguendo le tue spinte.
Sono consapevole del fatto che vi è solo una manciata di stoffa a dividere ciò che con tutta probabilità sarebbe l'errore più grande, per me e per te, ma questo pensiero non è abbastanza forte da fermarmi, o fermare te, che hai abbandonato la mia bocca, per deliziare la pelle del collo, con innumerevoli baci, languidi, dolci, resi deliziosamente dolorosi da quel filo di barba che punge e graffia, e da piccoli morsi che mi stupiscono, ad ogni arrivo.
Persi. Siamo irrimediabilmente perduti, non ci vorrà molto ch'io ti permetterò di sollevarmi le sottane e...
Cosa stiamo facendo? Mio Dio, André, dobbiamo smettere, non possiamo andare oltre!
Se entrasse qualcuno? Nanny, Gaspard, Oscar? Non oso immaginare cosa potrebbe accadere, no André, no, bisogna fermarsi...
Ma questi buoni propositi svaniscono in un battito di ciglia, come la nebbia del mattino, quando le tue mani lasciano le mie, per voltarmi finalmente al tuo cospetto, e posarsi, poi, sulle mie guance, sporcandomi di farina, che la tua bocca si premura di ripulire da ogni lembo di carne.
Il tuo alito bollente mi brucia le labbra, respiriamo l'uno dalla bocca dell'altro, come se da questo dipendessero le nostre vite, come se non potessimo respirare in altro modo per sopravvivere, e forse è realmente così, forse abbiamo bisogno di tutto questo, di un attimo di vita in cui qualcuno ha bisogno di noi, in cui poterci sentire indispensabili, e voluti, capiti, amati, fino ai limiti dell'anima.
Non siamo dei traditori André, siamo semplicemente due disgraziati.
Un ultimo bacio, il mio, disperato, violento, inarrestabile, credo d'averti fatto male perché è il sapore del sangue quello che sento sulla lingua, ed ora fermiamoci André.
Lo dico, con il solo modo che conosco, e che tu comprendi, posando le dita sulla tua bocca, in una carezza prepotente, ed un sorriso amaro ad imbellettarmi le labbra, ed anche tu ora mi sorridi, ricalcando il mio medesimo velo di tristezza.
Osservo la candela ridotta ormai ad un moncherino di cera e prima che il buio si impossessi della stanza, poso gli occhi sul tavolo, un pezzo di legno su cui vi sono impressi i segni di un amore impossibile, due mani tra il candore della farina, due esistenze che sono state una cosa sola, per un soffio di respiro.
Guardo André avvicinarsi alla fiamma e soffiare su di essa, portandoci così, in quel luogo che fa parte di noi, il buio, l'ombra, quella parte di mondo cui nessuno bada, ma dove è possibile vedere chiunque, ed ogni cosa, dalla più evidente a quella più insignificante.
Ora però non voglio vedere nulla, attendo solamente qualcosa che non tarda a giungere, quel tocco che ho sognato, e vissuto, e di cui ho goduto qualche istante fa.


Indosso l'abbraccio di André a coprirmi la pelle, non vi è bisogno di altro a scaldarmi la carne, e il cuore.
Sono nella tua stanza, nel tuo letto, giacciamo l'uno tra le braccia dell'altro e odoro solo purezza in questo pensiero.
La mia testa posata sul tuo petto, posso sentire chiaramente i battiti del tuo cuore e il respiro regolare, calmo, rilassato, come lo è il mio.
Il mio braccio, su cui è posato il tuo, ti cinge il torace, mentre l'altra mano non ha smesso di carezzarmi i capelli, nemmeno ora che potresti sembrare addormentato, ma non lo sei, non credo riusciremo dormire questa notte, forse solo Morfeo potrebbe condurci al sonno, ma per farlo dovrebbe rapirci, ma immagino che anche in quel caso non glielo permetteremmo, non è vero André?
No, nessuno può rubarci questo momento, che sia il sonno, la notte, Gaspar o Oscar, nessuno!
Siamo solo noi, io e te, fatti della stessa essenza, cresciuti nell'ombra di qualcosa e di qualcuno, spettatori silenziosi di una vita che ci ha lasciati ai margini, due anime simili, così simili da crederci figli della stessa madre.
Non abbiamo commesso alcun peccato, non vi è peccato nell'amore dell'anima, non vi è peccato quando si agisce in piena coscienza.
Era quello che volevamo, non è così André? Era questo che anelavi, vero? Poter avere quello che di lei ti manca, anche solo per una notte, sentirsi desiderato, voluto, fin in fondo all'anima, senza paura, senza limitazioni.
Ed io ho avuto te, e quel piccolo pezzo di mondo che da sempre ho invidiato, a te ed Oscar, dal momento in cui ho messo piede in questo palazzo.
Socchiudo gli occhi, che il sonno stia riuscendo a sedurre la mia coscienza? Di certo non ha alcun effetto su di te, che ancora perpetui quel lieve tocco tra i miei capelli, sorrido di questo stato di grazia che non durerà, ma che ringrazio Dio d'avermi concesso.
Ora so, almeno in parte, cosa può dare un sentimento completo, nato tra due persone simili, che si comprendono senza bisogno di parole, quel sentimento che difficilmente potrò trovare in qualcuno che non sia l'uomo che giace a ridosso della mia pelle.
Ed ora so che se non avessimo incontrato Oscar e Gaspard, sarebbe stato amore, tra me e André.

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Capitolo 11
*** Natale 1788 ***


È notte, e sono sveglia, “come un grillo” direbbe mia madre, e non vi è nulla che possa fare contro quella che sta diventando una condanna.
Il Natale è alle porte, manca poco meno di una settimana e l'intero palazzo è in pieno fermento.
Lavoriamo come asini dalla mattina presto alla sera tardi, senza sosta.
In questo periodo dell'anno i nostri servigi sono sfruttati fino all'osso, non vi è momento in cui ci è concesso di riposare, c'è sempre qualcosa da fare: una lista da stilare, una cena da preparare, l'ennesimo ricevimento da gestire.
Sono stanca, fisicamente esausta, fatico a prender sonno e quando infine vi riesco è ormai giorno, ma vado avanti, come tutti, sperando in quei giorni di riposo che il generale Jarjayes ci concede ogni anno, e in qualche moneta in più come ringraziamento per il lavoro svolto, in questo è sempre stato molto generoso, ma non m'importa del denaro, tutto ciò che desidero quest'anno è poter avere qualche momento per me stessa.
Mi rigiro nel letto, infastidita da una strana sensazione, che vi sia qualcosa al di sotto del materasso? Controllo, tasto con le mani, nulla! Eppure è come se ci fossero delle pietre al posto delle piume d'oca, le sento trafiggermi il costato.
Al diavolo! Restare a letto è impossibile tanto vale che mi alzi, agguanto la coperta di lana e la poso sulle spalle, corro a grandi passi verso la scrivania, ed una volta seduta sulla sedia nascondo le gambe sotto la camicia da notte: spingo le ginocchia, ridotte a due pezzi di ghiaccio, contro il petto, in cerca di un po' di calore.
Apro il cassetto del vecchio mobile di legno dentro cui vi sono riposte delle lettere, fermate da un nastro azzurro, sciolgo lentamente il fiocco e stringo tra le dita la carta ruvida, sottolineando con i polpastrelli le parole che vi sono impresse al di sopra. La stanza è avvolta dal buio, all'infuori di un ritaglio di luna che, questa notte, si è fatta beffe dell'infingardo scuro, dimenticato ai lati della finestra.
Poco importa, non ho bisogno della luce, non ho bisogno degli occhi, rammento ogni parola, ogni virgola, ogni sbavatura...

“...non ragioniam di lor, ma guarda e passa...
Ricorda queste parole Anais, servitene per bendarti gli occhi e far tacere il cuore.
Tienile strette e attendi... attendi il mio ritorno.
Con affetto
Andrè”

Il suo ritorno.
Domani, o per meglio dire tra qualche ora, lui ed Oscar torneranno a palazzo, uno dei tanti rientri di Madamigella, il primo dopo due lunghi mesi per André.
Due mesi esatti da quella notte, dalla notte in cui mi destai tra le sue braccia.



Alla fine poi non ho chiuso occhio, non mi è riuscito di dormire quelle ore che mi sarei dovuta concedere prima di questo inferno.
Non ce l'ho fatta, ho seguitato a leggere le lettere di André, quei carteggi che sono nati per colmare un vuoto, una mancanza che si è palesata con una prepotenza che mai avrei immaginato.
Scrivere è divenuta la mia droga, non ne posso più fare a meno, ma credo sia normale, come normale è parlare a chi è concesso l'uso della parola.
La scrittura è la mia sola fonte di comunicazione ed ora che ne ho saggiato il sapore mi è impossibile smettere, senza contare che con André mi è tutto stranamente naturale, e così, ogni sentimento covato durante il giorno, che sia uno sfogo di rabbia, un istante di gioia, o il più inconfessabile desiderio, scivola con facilità attraverso l'inchiostro, come un fiume in piena, e non vi è vergogna perché so, con certezza, che lo sguardo che si farà custode delle mie parole possiede un anima simile alla mia.
Ricordo la prima volta che covai la folle idea di scrivere ad Andrè, fu qualche giorno dopo la sua partenza da casa, e da quel momento cercai un modo per riuscire a fargli avere le mie missive.
La risposta non tardò ad arrivare.
Nanny mi incaricò di preparare i cestini che, una volta alla settimana, avrebbe portato in caserma per il suo amato nipote, e non mi ci volle molto per architettare un piano che si rivelò degno di un furfante; mi sarebbe bastato infilare la lettera nel tovagliolo, che avrei riposto sul fondo, al di sotto delle innumerevoli pietanze cucinate della cara vecchina e... e lui si rivelò un complice perfetto.
Ci scrivemmo regolarmente ogni settimana, raccontandoci quella che era divenuta la sua quotidianità, e quella che per me era una vecchia e noiosa consuetudine.
Per lui, la vita di caserma, dura e stancante, scandita da massacranti esercitazioni e turni interminabili, e da compagni di “viaggio” difficili e prepotenti, incattiviti da una vita di stenti e da un lavoro scelto per necessità, per poter sopravvivere e mantenere la famiglia, piuttosto che per vocazione. Tra tutti questi bruti, però, c'era un soldato diverso dagli altri, altrettanto prepotente e duro ma con un qualcosa di differente che conquistò André, un ragazzotto “grande quanto un mobile di legno massiccio” ma con un cuore d'oro, il suo nome era Alain e gli aneddoti che mi raccontò su di lui mi fecero ridere fino alle lacrime ed arrossire come un'educanda, ma ciò che mi lasciò senza fiato fu l'ardire di questo giovane, che non aveva timore di Oscar, né come comandante, né come donna, tanto da averlo condotto, più di una volta, allo scontro verbale e fisico.
Rimasi affascinata da questa persona, e non nascondo di aver desiderato di incontrarlo, così come rimasi colpita dalla serenità che sentii tra le parole di André, la vita non era facile, certo, ma per qualche bizzarro motivo il suo vivere sembrava aver abbandonato qualche peso lungo la strada. O almeno così mi parve.
Per me l'esistenza trascorreva uguale ad ogni giorno vissuto a palazzo da 20 anni a quella parte, sempre di corsa tra una faccenda e l'altra, sempre costretta a sgobbare il doppio degli altri servi, sempre sola e invisibile agli occhi di tutti, ma non immune alle maldicenze, no, quelle mi venivano elargite spesso e con piacere, dalle ragazze della servitù.
L'ultima cattiveria giunse la sera successiva alla notte che passai con André, mi fu sbattuta in faccia senza ritegno, con un odio che mi ferì come una bastonata.

“Eccola qui, la  piccola muta, non può parlare ma non ha difficoltà ad allargare le gambe con gli uomini di questo palazzo. Cosa farai ora che André se ne è andato? Ti conviene filare nella tua stanza e rimanerci, se non vuoi passare dei guai!”

Rimasi immobile dinnanzi a Marie e le altre ragazze, non abbassai mai lo sguardo, questo no, sentii le lacrime bruciarmi gli occhi, ma non mi permisi di piangere.
Eravamo stati scoperti, mi fu tutto più chiaro nei giorni seguenti. Madeline mi vide uscire dalla stanza di André e non le ci volle molto per trarre le conclusioni, e riferire ogni cosa al resto delle cameriere.
I mesi che ne seguirono furono estenuanti, ogni giorno vi era un insulto nuovo, un diverso modo per darmi fastidio o semplicemente per mettermi nei guai. Mi chiamarono sgualdrina, puttana, e in breve tempo quelle parole giunsero alle orecchie di chiunque, Gaspard compreso, e fu l'inizio della fine.


Ed eccomi qui, nel mezzo del purgatorio, dove si è costretti ad attendere l'ignoto in balia di una tortura continua. E la mia tortura ha le sembianze di cinque donne con sguardi affilati come pugnali e dell'intera servitù schierata nel salone principale, ognuno di noi indaffarato a sistemare, lucidare, pulire, in attesa dell'arrivo di Madamigella Oscar.
Fantastico.
Dio, non sarebbe più semplice mandarmi direttamente all'inferno?
Smetto di fare ciò che sto facendo, distrattamente punto gli occhi verso il basso, osservo le fughe delle preziose mattonelle, guardo i miei piedi calpestarne un paio e ne seguo poi il percorso verso il portone d'ingresso, ed è in quel momento che la vedo comparire.
Oscar entra nel salone e mi pare più bella del solito, sarà il freddo che le ha imporporato le guance, o magari i raggi del sole che si riflettono sui suoi lunghi capelli biondi, rendendoli ancora più chiari, qualunque cosa sia la fa sembrare diversa, più donna.
Il rumore dei suoi stivali sulle mattonelle ha il potere di un ordine, in un attimo l'intera servitù è immobile, fermi e composti come tanti soldatini sull'attenti, e lei, da bravo comandante, cammina nella nostra direzione, puntando l'azzurro dei suoi occhi su ognuno di noi, accennando un lieve gesto del capo, un saluto al quale rispondiamo, all'unisono, con un inchino.
Nanny giunge di corsa dalle cucine richiamando l'attenzione della sua “bambina”, ed è solo per lei che Oscar concede qualche parola di cortesia e di sincero affetto, ma il tutto dura il tempo di un soffio, ed è già diretta verso la grande scalinata, ed è in quell'istante che fa il suo ingresso André.
Lo vedo oltrepassare la soglia con passo deciso mentre le mani armeggiano di già con i bottoni della divisa.

“Buongiorno a tutti!”
La sua voce, dolce e decisa, spazza via il gelo dell'inverno, e quel sorriso, che ci regala qualche istante dopo, ha il potere di contagiare chiunque, inducendoci a fare altrettanto.
E sono strette di mano, pacche sulle spalle, e di nuovo sorrisi, chiacchiere, e tutto quel calore che parrebbe impossibile da elargire in pochi minuti, eppure...

“Ah, bambino mio! Sei finalmente a casa! Mi hai fatto morire di preoccupazione!”
Le parole di Nanny giungono ancor prima della sua persona, e le braccia di André la circondano e la sollevano prima che lei abbia il tempo di lamentarsi.

“Nonna, nonna... quanto mi sei mancata.”

“Bugiardo! Mi farai morire di crepacuore... e mettimi giù!”

Tutto come sempre, tutto o quasi...
Mi ritrovo a sorridere di una “scenetta” che ho visto e rivisto per anni e che da sempre mi riempie il cuore di quella familiarità che mi fa sentire a casa, protetta, al sicuro, ed è mentre questi pensieri mi invadono la mente che vedo André avvicinarmisi.
Trattengo il respiro, cercando di capire cosa stia accadendo, ma non ho il tempo di farlo perché André si ferma dinnanzi a me, si porta una mano davanti al volto e la fa ruotare mentre si inchina al mio cospetto, in una scanzonata riverenza.

“Madamigella...”
Mi sussurra col sorriso sulle labbra, ed io prontamente rispondo a tale cortesia; come una brava damina stringo tra le mani i lati della sottana allargandola mentre mi piego in un inchino.

“Monsieur...”
Gli dico, e non mi è possibile trattenere il riso, ed è tutto ciò che odono le mie orecchio, ogni altro suono pare essere svanito, mi guardo attorno e scorgo solo volti stupiti, bocche spalancate e...
Oscar immobile a metà scala, le dita strette attorno allo scorri mano e un paio di occhi che colpiscono me e André in una metodica alternanza.
L'inferno è alle porte, non solo l'intero palazzo è stato spettatore di quelli che altro non sono che gesti confidenziali, alimentando ancora di più i pettegolezzi, ma anche Oscar ha intuito quello che le voci, che certamente cominceranno a circolare appena io e André ci allontaneremo, renderanno una certezza.
Allontano lo sguardo dalla mia padrona, rifuggo l'odio dei miei compagni, dimentico il resto del mondo per pensare solo a me stessa e all'amicizia di André, e domandarmi perché mai dovrei sentirmi in colpa per questo. Non ho forse diritto anch'io, come ogni essere umano, di provare affetto per qualcuno? Cosa vi è di male nel sentirsi così a proprio agio da non aver timore di scherzare e portare un po' di riso sulle labbra?
Non vi è nulla di sbagliato in ciò che siamo, io e André, eppure mi par di sentire un peso sul cuore, come un ladro vittima di un rimorso di coscienza per aver rubato un tozzo di pane, e che a tal  peccato non può più rimediare perché col peccato si è dovuto nutrire.
Cosa si può fare, allora, per espiare la propria colpa?
Ma vi è davvero qualcosa da espiare?
Io non ho rubato nulla, Lui non appartiene a nessuno.
Oh Oscar, allora perché leggo rabbia nel tuo sguardo? Credo di conoscere il motivo di tanto sdegno, ma tu forse non sei ancora pronta ad ammetterlo, e allora non volermene se mi delizio con ciò che tu non hai il coraggio di reclamare.
Scordo i miei pensieri, disturbata dal ciarlare alle mie spalle, tento di non dar peso alle malignità che stanno fuoriuscendo da labbra che sembrano nate per partorire lerciume, ma mi rendo conto che è difficile, ora più che mai fatico a mantenere la calma...
Continuo le mie mansioni per tenere a bada le mani, mentre punto il verde delle mie iridi su quei diavoli travestiti da donne, e ringrazio Dio per avermi privata della parola, perché loro non sanno, nemmeno immaginano in che modo le avrei ferite se solo avessi potuto parlare...
Una carezza allenta la tensione dei miei muscoli ed un altro paio di occhi verdi, così simili ai miei,  mi studia dall'alto sciogliendo il ghigno che poco fa m'aveva sporcato le labbra.

“...guarda e passa, Anais... guarda e passa...”




Il rintocco delle campane desta il mio sonno leggero, ne conto i colpi... uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici, e un ultimo colpo più basso;  mezzanotte e mezza.  25 dicembre 1788.
Un altro Natale è giunto puntuale, e silenzioso, come ogni anno, ma non vi è nessuno ad attenderlo qui a palazzo, all'infuori di me, alla servitù è stata concessa la serata libera, una tradizione che si ripete da che ne ho memoria, la vigilia di Natale.
Ci si ritrova a festeggiare in qualche locanda fino alle prime ore dell'alba, beandosi di un istante di quiete prima della fatica che ci attenderà l'indomani per la consueta cena di Natale dei Jarjayes, a cui vi parteciperanno i nobili più in vista di Francia.
Un momento di pace che anch'io dovrei concedermi, ma che rifiuto da che vivo in questa casa, perché al trambusto delle locande ho sempre preferito il silenzio di questo luogo, una calma che raramente si respira da queste parti e che bramo con avidità, così, durante questo giorno, poco dopo la mezzanotte, lascio la mia stanza per raggiugere le cucine, dove mi concedo un paio di  biscotti che Nanny cucina solo in questo periodo e un bicchiere di buon vino.
Serro gli occhi pregustando quei sapori che profumano di Natale, quando un rumore improvviso mi riporta alla realtà, ricordandomi il freddo che sta gelandomi i piedi perennemente scalzi.
Cammino lungo il corridoio rincorrendo un suono che mi par di riconoscere come il ticchettio di un paio di stivali, e il buio, dentro cui mi trovo questa notte, come del resto da una vita intera, è spezzato da una flebile luce, che mi permette di scorgere quel paio di stivali che avevo immaginato e la figura di un uomo che non mi è difficile identificare.
André.
Eccoti qui, caro André, già di ritorno dai bagordi con i ragazzi? Non me ne stupisco, quando mi hai domandato di unirmi a voi non ho letto il benché minimo entusiasmo nella tua voce, eppure sei voluto andare, perché? Pensi davvero che l'alcool possa cancellare il dolore?
Proseguo l'inseguimento di quell'ombra che conosco, rendendo la mia andatura sempre più audace, fino a trovarmi a pochi passi dal salottino, dentro cui non posso fare a meno di guardare...
Osservo la stanza illuminata soltanto dalle fiamme del camino, e la figura di André inoltrarsi all'interno e...

“Oscar...?”
Un'affermazione che sembra più una domanda, quella di André.
Scorgo Oscar seduta compostamente sulla poltrona, la testa chinata pesantemente sul mento, tanto che i lunghi riccioli biondi le nascondono gran parte del volto, rendendola se possibile ancor più bella, in un gioco di luce ed ombra che ne evidenzia le rotondità delle gote, e il turgore delle labbra.
La voce di André sembra non averla toccata, rimane immobile nella sua posizione per qualche istante, per poi rispondere alle parole dell'uomo sollevando il braccio, e il calice, dentro cui scorgo galleggiare una ciliegia, in un insolito saluto.
Guardo Oscar assumere la medesima posizione di qualche secondo prima, le mani strette attorno al liquore e il capo chino, il silenzio è così intenso che anche un semplice soffio avrebbe lo stesso effetto di un vaso rovinato a terra, e allora trattengo il respiro, sperando in una parola, un gesto, qualunque cosa.
André si priva stancamente della giacca, senza smettere di scrutare Oscar, e lei...
Lei carezza con le dita il bordo del bicchiere, le immerge nel liquido ambrato giocando con la ciliegia al suo interno, e poi le posa sulle labbra, in una diversa carezza che ha il gusto della seduzione, così come lo è il lambire il labbro e succhiarne via il liquore... ma vi è consapevolezza in questi gesti? Non potrei giurarlo ma...

“Oscar, cosa ci fai a casa? e... dove sono tutti?”

“Sono a Versailles, al ricevimento per i soliti auguri di Natale della Regina... Io... io ho usato la scusa di una forte emicrania, a quanto pare mi è concesso avere malori femminili qualche volta...”
Risponde Oscar con il medesimo sorriso amaro che si dipinge sulle labbra di André, che non tace, ma azzarda.

“L'emicrania non sarà una scusa tra poco... è passata la mezzanotte, Buon compleanno Oscar.”

“E cosa ci sarebbe di buono? Compio 33 anni, ho abbandonato la guardia reale per comandare un gruppo di uomini che non mi vuole e non mi rispetta e... sto festeggiando il mio compleanno da sola...”

“Scusami Oscar, ti rinnoverò i miei auguri domattina, quando sarai più lucida.”
Ribatte fermo e deciso André mentre si allontana a grandi passi verso l'uscita, che mi premuro di abbandonare prima d'essere vista, ma qualcosa ferma entrambi.

“E tu dove sei stato André?”
domanda Oscar con un velo d'ansia, come se fosse stata costretta a vomitare le prime parole che le giravano nella mente, pur di arrestare la sua dipartita.
E lui ritorna sui propri passi.

“Sono uscito a festeggiare con i ragazzi della servitù.”

“Ah...”
e vi è puro risentimento in quella breve affermazione di Oscar, che non aggiunge altro ma attende.
Cosa attendi? Una sua parola, un qualsiasi tipo di rassicurazione? Se solo ti fossi resa conto della stanchezza che vela il verde del suo sguardo non ti aspetteresti nulla, credimi, al contrario, forse saresti tu a confortare lui.
André non dice nulla, rimane fermo nella proprio posizione, e non vi è fiato ad oltrepassare la bocca, così, inevitabilmente, è lei a cedere questa volta.

“Senti André io vorrei... vorrei che tu fossi più discreto...”

“Prego?”
domanda lui confuso.

“Dovresti essere più discreto... entrambi dovreste essere più discreti...”

“Cosa?”
domanda lui, pur sapendo a cosa si stia riferendo Oscar, così come lo so io.

“Non mi pare il caso che l'intero palazzo veda entrare una donna nella tua stanza... quella... quella... al diavolo, non ricordo mai i nomi!”

“Certe cose sono inammissibili, specialmente in questa famiglia. Non ti è permesso farlo, non puoi André, perché tu sei il mio atten...”

“No Oscar, non lo sono più. Tante cose non sono più per te, da molto tempo.”

“...e quella si chiama Anais, se vogliamo parlare chiaro Oscar, e non sono tenuto a dar conto a te, ne a nessun altro, su chi viene a farmi visita nella mia stanza.”

“Andiamo André, pensi davvero che sia così ingenua? Una donna non entra nella stanza di un uomo, in piena notte, per conversare... lo so io, e lo sa l'intera servitù...”

“Davvero Oscar? È così che la pensi? Chissà allora cosa diranno sul tuo conto, dal momento che hai dormito nel mio letto per anni...”

Vedo André avvicinarsi minaccioso verso Oscar, e lei alzarsi con movimenti instabili dalla poltroncina. Temo l'irreparabile, e le mie paure prendono forma attraverso le parole di una donna ubriaca.

“Non ti permettere André! Io... io entravo nella tua stanza per chiacchierare, e tu lo sai benissimo, io lo facevo perché avevo bisogno di... perché... Ma... ma lei? Lei non parla! Come può tenerti compagnia una donna muta? Cosa può darti una donna così? Se non...”

“Smettila Oscar! Anais è una persona esattamente come me e te, non ha nulla di diverso da noi, e se non fossi annebbiata dall'alcool forse ti renderesti conto delle sciocchezze che stai dicendo. Anais è una donna intelligente, di cuore, che non merita le cattiverie che le stai gettando addosso. Lei mi è stata di conforto, mi ha dato tanto e...”

“Certo... immagino...”

“Non è come pensi tu Oscar. Non è facile imparare a comunicare senza parole, ma è possibile...”

Il cuore sembra essersi fermato nel petto, quando è stato che io, una piccola serva, sono diventata l'oggetto di questa conversazione? Come è possibile che Oscar sia... ho quasi timore a pensarlo ma... sia gelosa di me?
Attendo il proseguo di quello che mi pare un duello, quando vedo Oscar gettare il capo all'indietro, scoprendo finalmente il viso, e ridere come non le avevo mai sentito fare, una risata sgorgata dal profondo e scagliata all'esterno con una prepotenza tale da far male.
Copro le orecchie con le mani, in un gesto involontario, nel momento in cui lei dischiude la bocca per pronunziare chissà quale altra maldicenza, ma non ne ha il tempo, le dita di André le si posano sulle labbra, e quando lei arresta quella che doveva esser parola lui allontana la mano.

“Ma cosa...”
E sono di nuovo dita sulle labbra di lei, e ancora tentativi e tocchi di mano che bloccano qualsiasi verbo. Tutto questo la innervosisce, scatenandole un'ira incontrollabile, ma lui non ne ha timore, al contrario, ne sembra quasi compiaciuto.

“Allora? È così facile e bella la vita di Anais?”
Le domanda lui provocandole l'ennesimo scatto di rabbia e la naturale voglia di esprimersi con la voce, ma al primo accenno di parola vi è ancora la mano di André a bloccarla.

“Cosa Oscar? Cosa? Dimmi quello che vuoi, senza parole!”

Oscar solleva il braccio, ha ancora il calice in mano e, inaspettatamente, ne versa il contenuto sulla camicia di André, lentamente, senza scatti violenti, anzi, lo fa guardandolo negli occhi, poi, getta il bicchiere di lato, sul pavimento, e neppure il frastuono del vetro in frantumi distoglie il suo sguardo ancora fisso in quello di lui.
Non vi è imbarazzo tra i due, nemmeno quando le labbra sembrano sfiorarsi, sento i loro respiri affannosi, e non posso far altro che immaginare il calore che certamente starà bruciando le rispettive bocche.
Rimangono immobili, uno di fronte all'altra per un tempo che non mi è dato modo di quantificare, ma nell'istante in cui comincio a sperare in una sorta di “miracolo”, Oscar compie un passo indietro e, col mutismo più assoluto, se ne va.
La osservo camminare verso l'uscita, nel punto esatto dove sono rimasta fino a questo momento, e dove rimarrò...
Ed è esattamente qui, nell'ombra, che l'attendo.

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Capitolo 12
*** La resa dei conti ***


Indietreggio di qualche passo, quel tanto da rasentare il muro al mio fianco, ed attendo la sua venuta col respiro affannoso e il cuore in tumulto.
Tendo l'orecchio per udire quei rumori che giungono prima della sua persona: il ticchettio degli stivali, il suono cadenzato dei suoi passi, a sottolineare quell'andatura così perfetta, impeccabile, riconoscibile ad occhi chiusi tra mille altre.
Ma è quando vedo la sua ombra fondersi con la mia che ho la conferma del suo arrivo, e infatti non debbo aspettare molto per scorgere la figura longilinea e quei lunghi riccioli che so essere color dell'oro, ma che ora mi appaiono neri come la pece.
Guardo Oscar oltrepassare la soglia del salottino e voltare in direzione della grande scalinata di palazzo Jarjayes, cammina distrattamente con la testa bassa e le dita strette in pugni, ed è in questo attimo di debolezza che mi è permesso di attaccare il soldato, quel soldato che in condizioni di normalità avrebbe fiutato la mia presenza ancor prima di oltrepassare la porta, ma il comandante è nascosto chissà dove, forse addormentato dai fumi dell'alcool, e qui, ora, vi è soltanto una donna imprigionata da un groviglio di pensieri, che non mi è difficile afferrare per un braccio e trascinare nella mia direzione.

“Ma... chi è...?”
sono le sole parole che riesce a pronunciare Oscar, ancora frastornata, spiazzata da un gesto che l'ha colta impreparata, proprio lei, che da sempre ha tutto sotto controllo, è caduta in un banalissimo agguato, in casa proprio, per mano di una serva.
Serro le labbra, senza mai mollare la presa attorno al suo braccio, conscia del fatto che prima o poi i suoi sensi si risveglieranno, e così accade, all'improvviso.

“Anais?”
Il mio nome fuoriesce dalle sue labbra in un misto di stupore e rabbia, la medesima rabbia che colorerebbe la mia voce se solo potessi parlare, ma non mi è possibile, per questo ho bisogno di altre armi.
Stringo le dita attorno al suo braccio senza curarmi del suo ruolo di padrona, non vi è rango nel mio mondo, nell'oscurità possediamo tutti lo stesso volto.

“Cosa vuoi?... che cosa ti prende? Ti stai comportando in modo ridicolo...”
Davvero Oscar? Non è così che si dovrebbe comportare una serva? Certo che no, questi sono i modi che solitamente usano i padroni... oh no, mi sbaglio, questo è il modo che riservi tu ad una sola persona! Non è cosi? E sia chiaro, biondina, non ho intenzione di lasciarti andare!
Socchiudo gli occhi puntandole addosso il verde del mio sguardo.

“Cosa credi di fare? Forse non te ne rendi conto ma tutto questo potrebbe costarti caro... Ti conviene lasciarmi andare prima che decida di sbatterti fuori di qui, e non m'importa se è notte e siamo in pieno inverno! Sono stata chiara?”
Cerca di spaventarmi alzando il tono della voce, e non mi resta altro da fare che afferrarla per la camicia, con la sola mano libera, e trascinarla lungo il corridoio.
Non posso rischiare che lui ci senta.
Ma è in quest'istante che il soldato ritorna in vita, lo scorgo nell'azzurro dei suoi occhi e in un movimento così veloce da essere impercettibile.
Oscar mi afferra per le braccia e mi sbatte contro il muro, una volta soltanto ma con una tale potenza da farmi mollare la presa, rendendola finalmente libera.
La guardo voltarmi le spalle e allontanarsi verso il salottino.
Cosa fai comandante, vai in cerca di aiuto? Non hai abbastanza coraggio per affrontarmi da sola? O forse vuoi semplicemente fargli del male, perché sei tu, ora, a soffrire come un cane.
No, non posso permettertelo. Non questa volta, sono stanca dei vostri stupidi problemi, ne ho fin sopra i capelli di voi due!
Sento la rabbia ribollirmi il sangue e martellarmi le tempie, prendo un profondo respiro e in meno d'un soffio le sono dietro, le cingo la vita con le braccia obbligandola ad arretrare.
Questo non te lo aspettavi Oscar, non è così? Il mio aspetto minuto può trarre in inganno, sotto questo corpicino esile c'è della polpa buona, come fece notare la cara vecchia Nanny tastandomi le cosce dinnanzi al Generale, il giorno che arrivai in questa casa, ed è proprio così, sono piccola ma dura come la roccia.
Compiamo qualche passo indietro rischiando di cadere nell'intreccio confuso delle nostre gambe, ma non abbandono la presa, non lo faccio neanche quando cominci a darmi delle dolorose gomitate sul petto, ai fianchi, in qualsiasi punto ti è possibile, sei un osso duro, ma lo sono anch'io.
Il pensiero che qualcuno possa scoprirci in questa folle lotta mi fa nascere un inopportuno riso sulle labbra, chissà cosa penserebbero se ci vedessero... non ho il tempo di concludere il pensiero, Oscar ha eluso la mia morsa e mi è di fronte, furente, pronta a far di me qualunque cosa le passi per la testa, ma tutto ciò che fa è afferrarmi un braccio e trascinarmi nell'ala della servitù.

“Dov'è la tua stanza?”
mi domanda senza guardarmi ed io punto i piedi, obbligandola a voltarsi.
Dannazione Oscar, sono muta, come credi che possa risponderti se non guardandomi in volto?
Ed è quando i suoi occhi azzurri colpiscono i miei che le faccio cenno col capo, sollevando il mento   indicandole l'ultima porta del corridoio.

“Quella è la tua camera?”
Si Oscar, la mia stanza è accanto a quella di André. Non lo sapevi? Ed ora perché stringi le dita attorno al mio polso? Cos'è che ti rende furiosa? Cosa stai pensando? Che in fondo sarebbe stato facile per me intrufolarmi nel suo letto nel cuore della notte, mi sarebbe bastato oltrepassare l'uscio e compiere pochi passi, e così per lui, questo spiegherebbe tante cose, i pettegolezzi delle servette e quello strano saluto che ci siamo rivolti, io e André, il giorno del vostro rientro. Non è così Oscar?
Vorrei poterti parlare, ma immagino che mi sarebbe difficile rimaner calma, ho così tanti rospi da vomitarti addosso, uno su tutti André. Era necessario trattarlo alla stregua di un cane rabbioso anche questa notte? Quale torto ti ha arrecato questa volta, di grazia, per meritarsi il tuo disprezzo? Ha parlato troppo o troppo poco? O magari sono io il problema questa volta, il nome di un'altra donna sulla sua lingua.
Non lo sopporti. E mai ti saresti aspettata di sentire il gusto della gelosia sulle labbra. È questo che ti divora, non è vero?
Dio, Oscar, non è contro di lui che devi combattere. Devi semplicemente amarlo.
Ahia... dannazione! Hai intenzione di spezzarmi un braccio?
Pare di si vista la forza che stai mettendo nello spostarmi di qua e di la, mentre ti aggiri in un ambiente che ti è sconosciuto, alla ricerca di un qualcosa che mi fa capire le tue intenzioni.
Vuoi davvero mandarmi via.
Ti osservo aprire le ante di quell'armadio che di qui a poco non potrò più definire mio, estrarne i pochi vestiti che contiene e gettarli poi, senza riguardo, nel borsone che hai trovato sotto il letto, e ancora la tua mano rovistare nei cassetti della scrivania e divenire pietra.
Mi strattoni a ridosso del mobile senza quasi rendertene conto, la tua attenzione è tutta su quei fogli di carta che rammento a memoria, legati ancora da un nastrino di seta.
Hai riconosciuto la sua scrittura e la tua ira è ovunque: nelle dita strette attorno alle lettere, nelle labbra serrate così fortemente da aver perso il loro colore, nei tuoi occhi velati da quelle che sembrano lacrime.
Fuggi le parole d'inchiostro per raggiungere il mio volto.

“Cosa significano queste? Cosa?”
mi domandi con la voce ormai fuori controllo gettandomi le lettere addosso.
Sono lettere Oscar, delle banali lettere, ti rispondo senza verbo raccogliendone una e sbattendola con forza sul tavolo, ma tu vuoi sapere altro, vuoi scavare a fondo, al di là delle dell'ovvio.

“Cosa pensavi di poter ottenere? Credi davvero che lui voglia qualcosa di più di...”
Dillo Oscar.
Ti sfido, con uno sfrontato sorriso sulle labbra.

“...di quello che gli hai dato finora, infilandoti tra le sue lenzuola?”
sibili sulle mie labbra, priva della ragione, persa in un vortice di emozioni che non credevi di poter provare.
Ed eccola la verità, una confidenza passata di bocca in bocca, tra un sussurro e un bisbiglio, dai bassi fondi della servitù ai piani alti dell'aristocrazia, una verità che di vero ha mantenuto ben poca cosa.
Dici bene Oscar, ho dormito nel suo letto, tra le sue lenzuola, ed anch'io ora conosco il profumo della sua pelle, ma chi può dire cosa sia accaduto tra le mura di quella stanza che è a pochi passi da noi? L'esservi entrata in piena notte e l'esservi uscita alle prime ore dell'alba fa di me la sua amante? Ebbene, parliamo di te, mia cara Oscar, quante volte hai fatto l'amore con lui? Ogni qualvolta ti ho vista addormentata tra le sue braccia?
Il confine tra verità e pregiudizio è così sottile, è sufficiente che vi sia un briciolo di infamia o un soffio di ignoranza per marchiare a fuoco, su qualcuno, la colpa.
Perpetuo il mio sorriso e tu, a ragione, non comprendi.

“Ti ha permesso di entrare nel suo letto, ma questo non significa che lui ti ami... lui non potrà mai amarti perché...”
Perché? Perché lui ama te? Stai parlando troppo Oscar, non è da te.
Non smetto di sorridere, al contrario, inarco un sopracciglio burlandomi quasi di te e delle tue parole, ed è a questo punto che esplodi, ma non m'importa, sono pronta a tutto, a lottare fino alla fine se necessario.
Sento le tue dita stringersi con maggior vigore attorno al mio polso, e le unghie graffiarmi la pelle, mentre mi trascini, ancora.
Attraversiamo il lungo corridoio fino a giungere nelle cucine, dove d'improvviso arresti la nostra corsa, distratta da un particolare che ti mette in allarme. La porta sul retro è aperta, qualcuno oltre a noi è sveglio, e la cosa non ti piace, non l'avevi previsto.
Guardo oltre la tua spalla, attraverso la finestra, cogliendo qualcosa che a te sembra sfuggire questa notte.
André.
Cammina nel cortile, coperto soltanto da una giacca nonostante il gelo invernale, alla volta delle scuderie, certamente diretto alla locanda in cerca di un po' di sollievo, un po' di quiete lontano da lei.
Ti senti in gabbia, non è così André? Non puoi stare dove c'è lei, hai bisogno di respirare, prima di commettere un altro sbaglio.
Sospiro con l'amarezza nel cuore ma non c'è pace per me, non questa notte, lei mi è ancora una volta di fronte, ignara della sua presenza, così distratta da non essersi accorta che lui è là fuori, a pochi passi da noi.
Oscar mi lascia il polso, posa la mano sul mio braccio e m'invita, con poca cortesia, ad attraversare l'uscio, faccio resistenza, voltandomi e puntando i piedi.
Maledizione! Non sono io a dover varcare questa porta!
Mi aggrappo allo stipite tentando di eludere i suoi “inviti” ad abbandonare le cucine, traggo un respiro profondo e, al limite della sopportazione, punto i palmi delle mani contro il suo petto spingendo con tutta la forza che possiedo, e, ancora prima che lei possa proferir parola la blocco contro la parete.

“Pensi di spaventarmi? Ascoltami attentamente... tu non metterai più piede in questo palazzo! Mai più!”
E tu, credi di spaventare me? Sei così folle di gelosia da non renderti conto di quanto sia irragionevole il tuo comportamento. Lo sei a tal punto da gettare in mezzo ad una strada una donna, colpevole d'essere l'amante di un uomo che è alle tue dipendenze, e di cui affermi di non aver bisogno.
Per quanto ancora vorrai prenderti in giro? Come giustificherai tutto questo domattina? Ti guarderai allo specchio convincendoti che l'hai fatto perché... perché non ero degna del tuo amico? Perché una muta non può rendere felice un uomo? Cosa inventerai per celare la verità? Non è per lui che stai mandando alle ortiche te stessa, la tua reputazione, la tua dignità, no, lo stai facendo per te stessa.
Perché non puoi sopportare nemmeno il pensiero che lui guardi un'altra che non sia tu, non è vero?
Sono così stanca. Esausta.
Ti afferro per le braccia e ti strattono, una, due, tre volte, e quando sembri esserti calmata ti mostro ciò che avresti già dovuto vedere.
Lui.
E tu parli, ma a sproposito, fraintendendo ogni cosa. Dio ti ha fatto dono della parola, ma questa notte ne stai facendo un pessimo uso.

“Cosa c'è Anais, non vuoi andare da lui? Non vuoi raggiungere il tuo uomo?”
me lo sbatti in faccia con disprezzo e cattiveria, con il preciso intento di ferirmi, ma sarò io a ferire te, per il tuo bene, cara Oscar.
Ti guardo, scuoto il capo muovendolo su e giù, e nuovamente giù, e su, tento con ogni mezzo di rispondere alle tue stupide domande.
No, non voglio andare da lui, perché lui non è il mio uomo. Lui è tuo, ma sei così spaventata da negare l'evidenza e riversare la paura su di me, invece andare a prenderti ciò che vuoi.
Mi guardi con fare di scherno, vuoi provocarmi, non aspetti altro che lo scontro, testarda come un mulo prosegui nel tuo intento.

“Cosa? Scusa, ma davvero non capisco cosa stai dicendo...”
sorridi a mezza bocca, prendendoti gioco di me, ma non importa, non è necessario che tu capisca.
Ho sempre pensato che fosse una perdita di tempo parlare con te.
Questo pensiero mi attraversa la mente nel momento in cui la colpisco, dandole quello schiaffo che qualcuno avrebbe dovuto darle, molto tempo prima.

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Capitolo 13
*** Senza parole ***


Silenzio.
Nessun suono, nessun grido, nemmeno il più piccolo movimento, la dove mi sarei aspettata il finimondo.
Oscar è immobile dinnanzi a me, si è portata una mano al volto, sulla gota che ha già preso un colore purpureo, e tace, pare essersi quietata a tal punto che mi è difficile perfino udire il suo respiro.
Il mio invece è forte e violento, ancora pregno della rabbia che mi ha spinta a schiaffeggiarla, respiro con affanno con la mano a mezz'aria, all'erta, pronta a colpire di nuovo se necessario, ma dopo secondi che mi paiono ore mi convinco che non ce ne sarà più bisogno.
Guardo quella che non riconosco più come la mia padrona, e neppure come un algido comandante, ma come una persona che sembra essersi resa conto, solo ora, degli sbagli e della sofferenza di un'intera vita, ed è questa donna che fugge i miei occhi, abbassando la testa, permettendo così ai capelli di nasconderle il volto e quel briciolo di dignità che ancora le è rimasto.
Lascio che il mio braccio si posi lievemente lungo il fianco, getto le armi, non vi è più motivo di lottare.
Non è così Oscar? Anche tu hai smesso di combattere, ti sei arresa a quella paura che volevi vincere con ogni mezzo, ma è lei, ora, ad aver vinto te, ed è la cosa migliore che ti potesse accadere, perché è una paura gentile, un piccolo pegno da pagare per vivere quella parte di te che hai cercato di soffocare, ma che nonostante tutto è sopravvissuta.
Continuo ad osservarla, indecisa se attendere un suo movimento o passare nuovamente alle maniere forti, quando la vedo sollevare il capo, lentamente, ed una lacrima oltrepassare le ciglia e rigarle il volto, in una veloce corsa verso le labbra.
Avanti, non è questo il momento di piangere, ma di tirar fuori quegli attributi che tanto avrebbero reso orgoglioso tuo padre! Quindi, mia bella Madamigella, mento in alto e petto in fuori! Esci da questa dannata cucina, c'è un uomo che ti aspetta da tutta la vita.
Le poso una mano sul petto, le sorrido, sperando che questo sia sufficiente a farle capire tutto quello che con le parole non mi è possibile dire, e lei mi scruta con un paio di occhioni terrorizzati, come se dovesse attenderla il patibolo invece di un uomo innamorato.
Cosa ti prende adesso? Vai, mula testarda, o debbo prenderti a calci?
Rido nella mia muta risata mentre la spingo con dolcezza al di là dell'uscio, e quando pare essere finalmente al di fuori si volta, cancellando un passo, e senza verbo mi domanda la verità.
No, Oscar, no... e adesso vai, prima che lui scappi via.

Scruto Oscar camminare incontro ad André, in un'andatura così differente dal solito, vi è poco della sicurezza del soldato, forse soltanto la capacità di non essere udita, ed è grazie a questa che lui non la sente arrivare quando lei gli giunge alle spalle, posandogli una mano sulla schiena.
André si volta di scatto, colto di sorpresa, ha uno sguardo incattivito, ombrato da quella stanchezza che forse nemmeno Oscar pensava di trovarsi davanti.

“E adesso cosa vuoi?”
le domanda lui mettendo un passo in più tra di loro, ma lei non risponde, getta lo sguardo a terra e pare l'Oscar di sempre, impavida in guerra ma codarda nei sentimenti.

“Senti Oscar, non ho voglia di fare i soliti giochetti... soprattutto se non ho bevuto. Torna in casa.”
Gli sento dire mentre già si allontana per raggiungere la stalla, ed è quando lui non la può scorgere che lei allunga una mano per afferrargli la manica della giacca.

“Che ti prende? Lasciami...”
Le intima André mentre, senza troppi convenevoli, tenta di staccarsela di dosso, ma lei non ha nessuna intenzione di lasciarlo andare, rimane ferma davanti a lui con le dita strette attorno alla stoffa, e le labbra serrate.

“Ti prego Oscar, non farmelo ripetere un'altra volta, lascia la manica... stasera mi sono preso i tuoi insulti, mi hai rovesciato un bicchiere di liquore addosso, risparmiami almeno queste stramberie da ubriaca...”
Le dice tentando di mantenere un tono civile, ma di tanto in tanto vi è un velo d'ira a spezzargli la voce, e lei... lei non sembra ascoltare, lo guarda, stringe la manica e non dice una parola.

“Adesso mi hai veramente stancato!”
annuncia André, con un tono di voce che ha superato di molto il livello di guardia, rasentando il grido, eppure non sembra sortire nessun effetto su Oscar, ed è a questo punto, dinnanzi ad una inspiegabile tranquillità, che vedo lui posare una mano su quella di lei e forzarle le dita con una tale prepotenza da indurla a lasciare la presa. Ed una volta libero proseguire il cammino, invitandola con un gesto della mano, senza mai voltarsi, a tornare indietro, e scomparire poi oltre il portone delle scuderie.
Oscar rimane inerte per qualche istante, giusto il tempo di farmi dubitare, ma un attimo dopo anche lei oltrepassa l'ingresso seguendo i passi di André, ed io non posso far altro che abbandonare il tepore delle cucine per raggiungerli, e seguitare ad osservare il pandemonio che ho creato.
Il gelo mi colpisce come uno schiaffo in pieno volto, e in ogni lembo di pelle esposto, ma non demordo, non mi lascio spaventare.
Mi avvicino alle mura laterali delle scuderie, là dove vi è una piccola finestrella rotta, troppo alta per la mia modesta statura, per questo mi vedo costretta a sopperire a tale mancanza salendo su di un secchio capovolto.
Ora, sono ben consapevole che la buona creanza mi suggerirebbe di non fare ciò che sto facendo, ma la  paura di un passo falso dei due, che certamente rovinerebbe ogni più piccolo sforzo di questi anni, mi esorta a restare, e forse, debbo essere sincera, anche quella piccola morbosa curiosità con cui ho alimentato gli occhi e il cuore.
Strofino la manica del vestito sul vetro, ripulendolo da una sporcizia centenaria, così da facilitarmi la visuale e poter osservare finalmente ciò che sta accadendo all'interno...


“Si può sapere cosa diavolo ti prende?”
domanda spazientito André, stanco come mai mi è capitato di vederlo da quando vivo in questo luogo, quando Oscar gli stringe le dita attorno al braccio, trattenendolo.

“Oscar, smettila! Basta!”
ringhia tra i denti senza più controllo, provando in tutti i modi ad allontanarle la mano, ma quando sembra esservi riuscito lei torna alla carica afferrandolo nuovamente, e lui ancora la scosta, in un battibecco senza parole, fatto unicamente di gesti, e l'epilogo di quello che pare un gioco tra bambini vede André scostare Oscar di lato, con prepotenza, incurante della poca stabilità che per un soffio non le procura una rovinosa caduta.
Mi alzo sulle punte dei piedi in cerca di una posizione migliore, mentre i miei occhi guardano André raggiungere il proprio cavallo e, con pochi e veloci movimenti, sellarlo.
Azione che dura il tempo di un respiro, il silenzioso soldatino biondo ripercorre in senso contrario i gesti dell'amico, si impossessa della sella e la getta a terra con rabbia, senza mai distogliere lo sguardo dal verde dei suoi occhi, e lo stesso fa lui, quando senza il benché minino preavviso la afferra per le braccia e la sbatte, con un colpo forte e deciso, contro una delle grandi travi di legno.

“Hai deciso di distruggere tutto ciò che possiedi? Beh, io non sono tuo!”(1)
Le grida André strattonandola, e lei, che pare essere divenuta sorda oltre che muta, non ha nessun tipo di reazione, se non lo sguardo fisso, perso, negli occhi di lui.
Mio dio Oscar, cosa hai intenzione di fare? Vuoi farlo impazzire? Perché sia chiaro che è quello che succederà se non ti deciderai a metter fine a questa follia.
La tentazione di precipitarmi nelle scuderie per far cessare questa assurdità m'invade la mente, ma qualcosa blocca il mio corpo, spaventandomi a morte.
André, fermo dinnanzi ad Oscar, solleva il braccio e colpisce il legno a pochi centimetri dal viso di lei, con un colpo secco, preciso, così violento da farle socchiudere gli occhi, ma è quello che accade poi a lasciarmi senza fiato.
Dopo un primo momento di stupore Oscar muta nella consueta maschera di freddezza, impassibile, silenziosa, ed è questo che lui non può più sopportare, ed è per questo che, con quella forza che forse non ha mai usato nei suoi riguardi, le posa la mano alla base della nuca, infilando le dita tra i riccioli biondi e poggia il pollice sulla guancia, in una morsa che si fa sempre più stretta.

“Vuoi deciderti a parlare? Parla, maledizione! Parla!”
Le grida André furente, scuotendola, e lei trasale inaspettatamente, come scottata.
Mio Dio Oscar, da quanto tempo la sua vicinanza è divenuta così fastidiosa? È così forte l'ardore che nutri per lui da non sopportare nemmeno il tocco delle sue dita?
L'azzurro dei suoi occhi scompare per qualche secondo, nascosto dietro le lunghe ciglia, la bocca le si schiude per permettere al respiro, fattosi pesante, di scivolare all'esterno.
Lui ha ancora la mano stretta contro il viso di lei, il pollice così vicino alle sue labbra da poterle toccare, ma nessuno dei due si muove, nessuno dei due proferisce parola.
Oscar tace. André attende.
Fino a dove condurrete questo imbroglio?
Chi cederà per primo, decretando il vincitore, e la propria sconfitta?
André scioglie la presa, sbrogliando le dita dai capelli di Oscar, e nello scivolar via si porta dietro un paio di ciocche che si posano oltre la spalla di lei e giù, lungo il petto.
 
“Al diavolo...”
sussurra André mentre si allontana dandole le spalle, e in quelle due sole parole vi è tutto l'avvilimento di un intera esistenza, ed una stanchezza che non pretende più spiegazioni.
Maledizione Oscar, era questo che volevi? Razza di mula testarda... stupida... lo dicevo io che le parole con te non servono a nulla, non mi sarei dovuta fermare al primo schiaffo, io...
Rischio di cadere nel tentativo di sollevarmi ancora di più, perché... forse non tutto è perduto, piccola furfante...
Con la speranza negli occhi osservo Oscar muovere un passo e stringere il polso di André, in quella che nulla ha a che fare con una morsa, al contrario, sembra decisamente una dolce carezza, ma lui non pare percepirla nel medesimo modo.

“Non mi toccare! Non devi toccarmi Oscar!”
Grida a denti stretti André, eludendo la sua presa e catturandole il polso.

“Cosa vuoi da me? Cosa?”
Grida fuori di sé facendosi sempre più vicino al corpo di Oscar, fino a stringerla nuovamente contro la trave di legno, in un contatto così stretto da sfiorare l'imbarazzo.
André tiene il polso di Oscar tra le proprie dita, si è chinato leggermente per essere alla sua altezza e poterla guardare negli occhi, in quello sguardo che lei gli punto addosso con orgoglio, senza timore.
Guardo col cuore in gola i loro visi accostati, gli aliti affannosi mutati in forma per il gelo di questa notte colpire le rispettive bocche, a pochi centimetri l'uno dall'altra.
I loro petti si gonfiano ad ogni respiro, resi pesanti dalla rabbia e dal dolore che si sono procurati a vicenda, ed ho il terrore che tutto questo possa continuare all'infinito, quando lei mi sorprende.
Ci sorprende.
Oscar innalza l'unico braccio libero, infilandolo tra il proprio corpo e quello di lui, in un gesto che ricorda il passato, quando tutto questo preannunciava uno schiaffo.
La mano si posa sul capo di André, le dita si insinuano tra i suoi capelli, imprigionandoli in una morsa decisa che muta in una carezza pesante lungo la guancia, e in tocco leggero che indugia sulle labbra e giunge al mento.
Ed ora è lui che pare essere stato bruciato dal fuoco.
Un gemito sfugge alla bocca di André mentre la mano di lei prosegue lungo il collo, e più giù, fino a poggiarsi sul suo petto e stringere i due lembi aperti della camicia, ancora macchiati di liquore.
Fatico a tirare il fiato, sperando che nessuno dei due decida di compiere uno dei loro colpi di testa.
Non vi azzardate...
Lei non ha mai smesso di guardarlo negli occhi e lui, beh lui li ha serrati solo un istante quando lei gli ha sfiorato la pelle nello scollo della camicia, ma ora sono aperti, spalancati, persi in un mare di azzurro.
André  non muove un muscolo, resta fermo e tenta di quietarsi facendo dei lunghi e profondi respiri, e lei... lei poggia la fronte contro quella di lui, volge lievemente il viso e scivola giù, strusciandosi contro la sua tempia, fino a toccare con la propria guancia quella di lui, fino a respirargli a ridosso della bocca e catturare finalmente quelle labbra che sono di già schiuse, pronte, impazienti...
Grandier, hai ancora dei dubbi su quello che vuole? Come ho sempre pensato, le parole a volte non servono a nulla.
Sorrido del mio ruolo di “ladra”, consapevole di star rubando un momento di profonda intimità, ma non m'importa, sarebbe un peccato perdere tutto questo, in fondo è anche merito mio se...
Dio, se potessi parlare credo che rimarrei senza parole dinnanzi a tanta passione, così tanta da farmi dubitare dell'illibatezza di Oscar...
Ma d'altronde necessitavi soltanto di una piccola spinta, non è vero Oscar?
Dovevi soltanto essere accesa per divampare come fuoco.
Il bacio che si scambiano non ha nulla a che spartire con la dolcezza di un primo bacio, al contrario, ha in sé l'urgenza e la voglia degli amanti consumati.
Oscar porta le mani dietro la testa di André, infila le dita tra i suoi capelli e lo spinge contro di sé, invitandolo a rendere il bacio più profondo, e lui obbedisce, baciandola con sempre maggior trasporto, tanto che non mi è difficile vedere le loro labbra divorarsi e le lingue sfiorarsi, di tanto in tanto.

“Ma... non sai di liquore...”
sussurra all'improvviso André sulle labbra umide di Oscar, e lei sorride maliziosa, senza aggiungere verbo.

“Vuoi dire che ho creduto tu fossi ubriaca quando invece...”
Oscar non gli permette di concludere la frase, annuisce guardandolo negli occhi e mordendosi le labbra.

“Hai intenzione di non dire una parola Oscar?”
le domanda André serio, e lei sorride, posandogli un dito sulle labbra in una carezza che ne disegna i contorni, ne tasta il turgore, fino a giungere al labbro inferiore dove, con facilità, lo invoglia a schiudere la bocca e dentro cui vi posa un languido e profondissimo bacio.

“Neanche tu sai di liquore...”
gli dice lei, ai margini delle labbra, ancora bagnate di lei, di loro.

“Dio Oscar...”
le sussurra lui poco prima di prendere possesso del suo collo e, dopo aver fatto scivolare le mani lungo la sua schiena, afferrarle la camicia e sfilarla con impazienza al di fuori dei pantaloni, e risalire con le mani scoprendo la pelle nuda... e...

“Porca di quella...”
Una voce alle mie spalle.
Sussulto.
Solo ora mi accorgo di un respiro caldo che mi solletica il viso.
Non ho modo di voltarmi, né di compiere qualsiasi altro movimento, un braccio mi cinge la vita strascinandomi giù dal secchio capovolto.
Gaspard! Maledizione!



(1) per gentile concessione di Crissi.

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Capitolo 14
*** Sussurri e segreti... ***


Il gelo di questa notte mi colpisce nuovamente, sorprendendomi, fino a poco fa non sentivo freddo, ero talmente presa a guardare quel piccolo mondo che spio da una vita, da dimenticarmene.
Un brivido mi ferisce la schiena, facendomi tremare, e l'istinto guida i miei arti, e senza rendermene conto incrocio le braccia contro il petto, in un abbraccio solitario.
La mano di Gaspard è ancora poggiata tra la mia vita e il mio fianco, e lui mi è di fronte, non ci vediamo da qualche giorno eppure è come se non lo vedessi da anni.
Mi appare diverso, forse per via della barba incolta, o dei capelli ribelli che non accennano a rimanere in ordine, scivolandogli sul viso.
Osservo il suo viso illuminato dalla flebile luce della luna, quei lineamenti decisi ma al tempo stesso delicati che mi hanno conquistata, non rammento nemmeno più quanti anni fa, e lui...
Lui si volta senza dire una parola, appropriandosi della posizione che possedevo qualche istante fa,  sul secchio capovolto, issandosi sulle braccia per poter guardare con più attenzione.

“Anais, ma... hai visto quei due... cosa...?”
Si li ho visti, razza di idiota, e tu non dovresti guardare invece!
Penso mentre una rabbia folle mi spinge a raggiungerlo e colpirlo sul capo con il dorso della mano, un solo manrovescio, ma deciso, così forte da udire chiaramente il rumore delle mie nocche contro la sua testa.

“Ahia... maledizione Anais, cosa ho fatto?”
Cosa hai fatto? Hai anche l'ardire di domandarmelo? Allontanati di li prima che io...

“E tu... tu cosa ci facevi qui? Com'è che tu puoi guardare e io no?”
Mi chiede, abbandonando la finestrella rotta, e avvicinandomisi sempre di più.
Una domanda intelligente Gaspard, questa poi, non me la sarei mai aspettata da te.
A me è permesso guardare perché...

“Allora? Vuoi farmi capire perché ti ho trovata a spiare?”
Dio Gaspard come potrei spiegartelo? Come? Sono muta! Muta!
E tu... tu non mi capisci. Non riuscirai mai a comprendermi.
Al diavolo, so esattamente cosa pensi.
Credi che sia venuta a spiare lui, non è così? Chissà quali maldicenze sono giunte al tuo orecchio...
Se solo tu sapessi la verità.
Stringo i pugni agitandoli a vuoto, fendendo l'aria con gesti convulsi, sbuffando come una stupida, quando invece vorrei soltanto urlare.
Gaspard mi è sempre più vicino, lo vedo allungarsi verso di me in un abbraccio che non desidero, un abbraccio che distruggo ancora prima di nascere, spingendolo via.
Cosa fai? No, dannazione no! Non ho bisogno della tua pietà.
Troverò il modo di spiegarti ogni cosa, ma non ora, non qui, e adesso vai, vai!
Batto una mano sul petto e la lancio poi in alto, puntando col dito la finestra della mia stanza, e lui sembra aver compreso, quando, dopo avermi stretto il braccio mi sussurra.

“Non metterci tanto...”
Si, non ci metterò molto, ma ora vattene!
Attendo che lui scompaia nel buio oltre la porta delle cucine, ed è allora che anch'io percorro il suo stesso cammino, inoltrandomi in casa.
Raccolgo la borsa che Oscar aveva preparato per me, immaginando con un lieve sorriso sulle labbra che non vi sia più bisogno ch'io abbandoni questo palazzo, se non per voler mio.
Stringo i manici tra le dita e un lembo di tessuto, troppo pregiato per appartenermi, dondola sulla stoffa grezza della valigia.
La camicia! Quella camicia che lei mi ordinò di rammendare o gettar via... Talmente grande era la sua furia di cacciarmi via da non essersi accorta di ciò che aveva tra le mani.
Nuovamente sorrido e non ho altra migliore idea di rendere l'indumento alla sua legittima proprietaria, ci vorrà solo un attimo, il tempo di raggiungere la sua camera e lasciarla da qualche parte.
Un piccolo dono che, sono certa, ora entrambi guarderanno con occhi diversi.
Corro a perdifiato sulle scale e finalmente sono alle soglie della stanza di Oscar, vi entro e cerco con lo sguardo la poltrona su cui ho deciso di poggiare la camicia, quando odo un rumore alle mie spalle, troppo vicino per tornare indietro.
Se fossero loro? Dio del cielo rovinerei tutto se mi trovassero qui...
Mi guardo attorno in cerca di una improbabile soluzione, quando mi torna alla mente un particolare, qualcosa che è facile dimenticare se non ve ne fa uso.
Corro a ridosso della parete poggiando i palmi delle mani contro la pregiata tappezzeria, spingendo, passo dopo passo, ogni singolo pannello di legno, fino a sentire quel caratteristico suono che mi rammenta ciò che avevo scordato; una porta, un passaggio segreto, quei corridoi nascosti tra le mura dove un tempo erano soliti passare i servi, o gli amanti, senza esser visti.
Vi entro e socchiudo, quel tanto da permettermi di guardare.
Il fuoco che arde nel caminetto mi offre uno scenario surreale, fatto di una luce calda ed avvolgente, dal rosso più vivo, al giallo lucente, una luce che non potrebbe esistere senza il buio, che, di tanto in tanto, fa la propria comparsa, e che ora fa da padrone accogliendo due ombre veloci, impazienti.
Ed eccoli qui, Oscar e André, li osservo entrare nella stanza con passo veloce, le scuderie non erano il posto più sicuro a quanto pare.
André entra per primo, cammina fino al centro della stanza e si ferma in attesa di lei che, giunta un istante dopo, poggia pesantemente la schiena contro la porta e chiude a chiave, con un gesto deciso.
Stringo tra le mani la piccola trave, tirando verso di me il pannello, sperando di non far rumore, conscia del fatto che non dovrei trovarmi qui, ma...
Oscar si avvicina camminando con lentezza, slacciandosi i legacci delle maniche, senza mai distogliere lo sguardo dagli occhi di lui, colmi di stupore e dannatamente eccitati.
Il portamento è fiero, sicuro, di quella sensualità che è tale perché non consapevole, e mi domando quanto lei comprenda l'effetto che può provocare mentre le dita slegano i lacci che, uno dopo l'altro, allargano lo scollo della camicia, mostrando quelle rotondità che paiono ancora più arroganti sotto il riverbero del fuoco.
Lei non smette di camminare, si avvicina sempre di più ad André, ed una volta dinnanzi afferra l'orlo della camicia, che lui nelle scuderie le aveva di già tolto dai pantaloni, sfilandosela dalla testa, e gettandola poi a terra, con gli occhi fissi in quelli di lui.
I capelli le scivolano sul petto, adagiandosi incredibilmente su ciò che dovrebbe essere proibito al resto del mondo, ma non a lui, e lui si fa più vicino, prende una ciocca di capelli tra le dita e la segue fino in fondo, sfiorandole il seno con le nocche.
A lei sfugge un enorme respiro, André si china sul suo viso, sfiorandole le labbra, delicato, ma Oscar lo è un po' meno, con fare irrequieto gli mette le mani tra i capelli, tirandoselo contro per rendere il bacio più intimo, e lui risponde a tale sfida con pari ardore, abbandonando i consueti modi gentili.
Le mani di lei gli strattonano la camicia facendola scivolare al di fuori dei pantaloni, ed è sotto l'indumento che vi si infilano per carezzargli la schiena, ed è a questo punto che André le prende il viso tra le mani, quasi violento, baciandola con foga.
I gemiti si confondono con lo scoppiettio della legna nel camino, ed io debbo distogliere lo sguardo, solo un istante, ho come l'impressione che faccia troppo caldo in questo nascondiglio.
Torno ad osservare ciò che dovrebbe essermi negato, ma non ho modo di fermare i miei occhi, che si son già posati sulle dita di Oscar, intente a sbottonare la camicia di André, che in un batter di ciglia è aperta, facendo bella mostra del petto su cui lei vi lascia scorrere le dita, raggiungendo la stoffa sulle spalle e facendola scivolare via.
Lui la cinge con le braccia, le carezza il collo, la schiena, fino a scende giù a raggiungere il suo fondo schiena, che non esita a stringere tra le mani, tirandosela contro.
Oscar si arresta, e mi pare di scorgere uno sguardo stupito nei suoi occhi, ed un istante dopo prende a camminare dinnanzi a lei, facendolo indietreggiare, mentre le mani scivolano verso il basso, occupate ad armeggiare con la cintura di André.

“Oscar... aspetta... no, non così... aspetta mi fai male...”
farfuglia lui cercando di allontanarle le mani, ma lei non sembra voler ascoltare.

“Non voglio più aspettare.”
le sento dire un attimo prima che lui la volti, facendola poggiare senza troppo riguardo contro la parete, esattamente un pannello accanto al mio.
Trattengo il fiato, sperando di non essere vista.
Lei è finalmente riuscita a slegare la cintura, che penzola da una parte e dall'altra, ma ora vi sono dei piccolissimi bottoni ad intralciarle la strada, bottoni contro cui avvia una prepotente battaglia, toccando André in modo così ardito da renderlo folle di desiderio, senza rendersi conto di stare andando troppo in fretta.
Lui tenta di scostarle le mani finché gli è possibile, ma alla fine cede, vinto da quelle dita che gli stanno procurano un piacevole tormento, e in un attimo le fa scivolare le mani lungo i fianchi, sollevandola e spingendosi ancora di più contro di lei, muovendo la parete di legno che comincia a scricchiola, facendomi tremare.
Nessuno però sembra badare a me, nonostante sia così vicina a loro.
Vedo Oscar sollevare una gamba e portarla attorno ai fianchi di André, mentre lui le carezza il ventre, piano, fino a raggiungere il bordo dei pantaloni che abbassa quasi impercettibilmente, e dentro cui vi infila la mano.
Lei ha le mani poggiate dietro la testa di lui, le dita tra i suoi capelli scuri, si guardano, le labbra si sfiorano in un tocco bollente, entrambi hanno la bocca lievemente dischiusa, si respirano contro.
Mi volto poggiando le spalle al pannello di legno contro cui mi lascio scivolare fino a sedermi sul pavimento.
Non è più il caso che io guardi, in fin dei conti non dovrei nemmeno essere qui, tutto quello che sta accadendo in questa stanza sarebbe dovuto essere bandito ad occhi indiscreti, ai miei occhi sopratutto, che hanno rubato più del dovuto in questi anni.
Ripeto a me stessa di alzare i tacchi e correre via, ma il cuore è sordo, so che dovrei andarmene, ma è quasi consolante essere qui, parte di qualcosa che non ho mai vissuto e che forse non vivrò mai.
Spingo le gambe contro il petto, appoggio la guancia sulle ginocchio e serro gli occhi.
Ancora un istante, mi ripeto, ancora un istante.
Non ho idea di quanto tempo sono rimasta a terra, forse ci sarei rimasta fino all'indomani se non avessi sentito un ragnettino camminarmi sulla mano, obbligandomi a balzare in piedi.
Ringrazio Dio di avermi creata senza voce, perché contrariamente avrei destato l'intero palazzo.
È ora di andare Anais!
Ma prima di incamminarmi nell'oscurità del passaggio segreto mi è impossibile non dare un ultima occhiata...
Schiudo la porta e li vedo, sul grande letto di lei.
André è steso su Oscar, le braccia sono poggiate sopra le sue spalle, ai lati del suo viso, ogni tanto le carezza i capelli, il lenzuolo li copre solo in parte, lasciando intravedere la gamba di lei attorno ai  fianchi di lui, che sono in bella mostra come gran parte del suo fondo schiena.
Lui poggia completamente su di lei, non vi è spazio tra i loro corpi nudi, parlano, mentre lui si muove lentamente su di lei, in un andare e venire senza sosta.
Tendo l'orecchio per udire meglio quelle frasi sporcate dal crepitio del camino, posando lo sguardo sui loro volti, così vicini, imporporati dalla lussuria e imperlati dal sudore.

“Hai mai amato prima di me?”
Gli sussurra Oscar, col fiato spezzato, singhiozzando affannosamente parole.

“Mai...”
Le risponde lui nel medesimo modo, senza mai interrompere il suo perpetuo, lento, movimento.
Osservo le loro labbra toccarsi ad ogni sussurro, ad parola, ad ogni domanda, e poi...
Poi vi sono risposte che non giungono mai, quando lui si spinge ancora di più dentro di lei, mutando quel movimento costante in uno differente, più lungo, deciso, ed è li che rimane, fermo, col viso riverso accanto a quello di lei, la bocca a sfiorarle la guancia, e Oscar chiude gli occhi, il respiro le si mozza in gola, ed è un gemito l'unico suono ad oltrepassarle le labbra, ed un altro, e un altro ancora...

Ed è giunta per me l'ora di lasciarli soli, finalmente sicura che non faranno nulla di stupido, perchè non vi è più motivo di farsi la guerra, non più ora che anche Oscar ha ceduto all'amore.
Sfilo le scarpe e corro verso il percorso buio fino ad arrivare alla porta che da sul corridoio principale, e giù lungo la grande scalinata che mi conduce all'ala della servitù, e fino alla mia stanza, dove forse non troverò nessuno ad attendermi.
Spalanco la porta e lui è li, sdraiato sul mio letto, che stia dormendo? Non mi stupirebbe vista l'ora e il mio vergognoso ritardo.
Raggiungo Gaspard al bordo del letto e mi pare naturale scostargli una ciocca di capelli dal volto.

“Dove eri finita?”
mi domanda catturandomi il polso e trattenendomi.
Lo guardo e... cosa potrei dirgli? Che ho spiato due persone fare l'amore? Che quello è il solo modo per "sentire" un briciolo di amore?
Sollevo l'unico braccio libero, il tempo di un battito, e lo lascio ricadere lungo il mio fianco in segno di resa.
Lui mi guarda con occhi smarriti ed io non posso far altro che regalargli un sorriso, carezzargli il volto ed invitarlo ad andare.
Vai Gaspard, non c'è possibilità per noi, tu meriti di meglio che una donna che mai potrai comprendere, che non potrà mai esserti di sostegno, ed io... Io non posso vivere così, accontentandomi di un amore clandestino, che tale non dovrebbe essere, ma che di fatto è, perché tu sembri ricordarti di me solo negli angoli bui del palazzo, a ridosso di un muro del cortile, ma non mi rammenti quando siamo alla luce del giorno, in mezzo agli altri.
Sono stanca di consumarmi la carne alla stregua delle donne di strada, di corsa, tra un gemito e la paura che giunga qualcuno.
Non è questo che voglio. Non è questo che desidero. Questo non è amore. Ed io...
Io non posso più sopportarlo.
Perciò vai, lasciami sola.
Ma tu non accenni ad allontanarti, nonostante io stia tentando con tutte le mie forze di spingerti oltre la soglia.
Mi abbracci con vigore, ed io mi dimeno, infastidita da questo contatto, ma a te non importa, avvicini le labbra al mio collo e il tuo respiro è così caldo che quasi dimentico il motivo per cui mi sto agitando tanto.

“Mi sei mancata, piccola mula testarda.”
dovrei essere arrabbiata ma mi sfugge un sorriso, udendo quelle parole che io stessa ho gettato addosso ad una persona, e che ora lui sussurra al mio orecchio... a quanto pare non siamo poi così diverse noi due, non è vero Oscar?
Permetto che lui mi abbracci, e quando infine mi riesce di quietarmi, lui parla ancora.

“Sono tornato perché non m'importa delle dicerie che ho sentito su di te e... lui... non m'importa se tutto ciò che ho udito è vero, quello è un tempo che voglio dimenticare, perché in quel passato io stesso ho commesso degli errori, sono stato cieco, sordo, egoista e... al diavolo, Anais, io non voglio perderti.”
grida, quasi, davanti al mio viso, ed io abbasso la testa perché le lacrime mi pizzicano gli occhi e non voglio che lui veda, perché non vorrei piangere, ma sento di già le gote bagnate.
Nascondo il volto tra le mani, portando sui miei occhi quell'oscurità che mi è amica, ed è allora che sento le tue braccia che mi sollevano da terra, prendendomi in braccio.
Mi posi sul letto e le tue dita provano ad allontanare le mie mani, finché dopo attimi di resistenza debbo cedere, e guardarti.
Mi baci senza ch'io abbia il tempo di rifiutare e scopro sulle tue labbra il sapore delle lacrime.
Mio dio Gaspard perché piangi?
Ti rassicuro carezzandoti il viso e tu sorridi tra le lacrime, imitando i miei gesti, ti bacio e facciamo l'amore, e questa volta è davvero amore, e non un placare la voglia in qualche posto nascosto, al freddo, di fretta, no, non questa volta.
Facciamo l'amore lentamente, e tu rimani accanto a me, tenendomi tra le braccia fino a che il sonno non mi rapisce, facendomi dimenticare il resto del mondo.


Mi desto d'improvviso, svegliata da una strana sensazione. Sento freddo.
Strizzo gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco ciò che mi sta attorno, lancio lo sguardo al lato del letto e vedo la mia immagine riflessa nello specchio annerito del comò.
Sono stesa a pancia sotto, il lenzuolo mi copre soltanto le gambe, lasciando scoperti i glutei e il resto del corpo, osservo i miei riccioli scuri occupare gran parte della schiena e distolgo lo sguardo, imbarazzata dalla posa troppo audace e dalla mia carnagione troppo chiara.
Mi domando dove sia Gaspard, volgo il viso alla mia sinistra e lo vedo, seduto su una sedia, vestito soltanto dei pantaloni, mi guarda e non dice nulla, ed io faccio lo stesso perdendomi ad ammirare il suo bellissimo corpo, fino a quando non si alza e si siede alla testa del letto, in quel punto che non mi è possibile vedere.
Sto per alzare il capo ma qualcosa mi blocca, un tocco leggero mi scosta i capelli di lato, ed una delicata carezza prende vita dal collo e scivola giù, lungo la schiena, sorrido della piacevole sensazione, beandomi del calore delle sue mani.
Sto per sopirmi ancora, quando lui mi sorprende, cingendomi il polso del braccio che ho abbandonato penzoloni oltre il bordo del materasso, e prende a sfiorarmi il palmo con le dita, e di nuovo il polso, e a me pare di perdere di nuovo la ragione, come qualche ora fa, quando erano i sensi a guidare ogni mia azione.
Serro gli occhi per un istante ed è allora che percepisco qualcosa di bagnato sul braccio, apro il mio sguardo e ciò che mi si para dinnanzi è una bianca penna d'oca, stretta tra le dita di Gaspard, che lui fa danzare senza il minimo indugio, tracciando sulla mia pelle segni d'inchiostro.
Attendo che lui abbia finito e con l'impazienza in ogni dove scopro quella che mi sembra un'insolita follia.
Guardo il mio braccio, e vorrei potergli sussurrare quelle stesse parole che sono impresse sulla mia pelle.

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Un rumore insolito mi desta da un sonno profondissimo colmo di sogni che non ricordo, ma che son certa d'aver fatto.
Credo d'aver udito il gallo cantare questa mattina, ma a quanto pare non è stato abbastanza forte da indurmi ad alzarmi, e neanche ora vorrei abbandonare questo letto, che non mi è mai sembrato così caldo ed accogliente.
Sbatto un paio di volte gli occhi ed osservo la luce del giorno filtrare dagli scuri della finestra e precipitare sul pavimento, mentre i suoni che mi hanno svegliata mi paiono chiari, familiari; le cameriere che camminano lungo il corridoio, la voce di Nanny che impartisce ordini e rimproveri, le stoviglie che sbattono, e questo non può che significare una cosa sola...
Sono in ritardo spaventoso!
Che ore saranno? Le nove, le dieci passate? Oh signore, quella vecchina senza scrupoli mi ucciderà!
Anzi... ci ucciderà.
L'impazienza e la ragione di qualche istante fa svaniscono nel momento in cui poso gli occhi su un paio di braccia che mi tengono stretta.
Sono su un fianco, Gaspard è dietro di me, a ridosso della mia schiena, sento il suo corpo nudo toccare il mio, pelle contro pelle, e tutto il resto non ha più importanza.
Al diavolo il lavoro! Non ho nessuna intenzione di abbandonare questa stanza, è così bello avere qualcuno al proprio fianco, sentirsi finalmente parte di qualcosa, sapere che lui ci sarà.
Mi muovo lievemente ricercando un contatto maggiore con la sua carne, quando un soffio di alito bollente mi lambisce il viso e parte del collo.

“Buongiorno...”
mi sussurra Gaspard stringendomi ancora più a sé.
Mi volto e lui non smette di cingermi le spalle, quasi avesse timore ch'io possa scappare, sorrido di questo suo insolito comportamento perdendomi nei suoi bellissimi occhi azzurri.

“...e Buon Natale.”
continua Gaspard poco prima di posare le labbra sulla mia fronte, in un bacio leggero che mi fa nascere innumerevoli brividi lungo la schiena, ed una rabbia bizzarra che non tardo ad esternargli, posandogli le mani sul volto e baciandolo con bramosia.
Troppo grande era l'affronto che hai arrecato alla bocca per rimanere incurante ed immobile, mentre la tua deliziava questa mia stupida fronte!
Dovevo averti, subito, per saggiare nuovamente il tuo sapore.

“Se questo è il tuo modo di augurarmi Buon Natale, mi rammarico di non averlo trascorso con te prima...”
scherzi, con un filo di amarezza a macchiarti la voce, mentre ti insinui tra le mie gambe e poggi il petto sul mio, senza smettere mai di guardarmi negli occhi e carezzarmi il volto.
Cosa vuoi fare? Non avrai intenzione di...
Non possiamo, siamo in ritardo, non c'è tempo per...
Ma non voglio fermarti, e non lo faccio, quando ti sento scivolare dentro di me e rincorrere il mio piacere con una voglia che non può aspettare, e in quella foga che ha rapito i nostri corpi, rendendoli folli, ti vedo afferrarmi il braccio e leccare la pelle impregnata ormai d'inchiostro.
La paura di perdere qualcuno può far cambiare in tal modo? Perché tu non sei il Gaspard che conoscevo, tu sei l'uomo che ho sempre desiderato e che credevo di non poter avere mai.
Mi osservi, ed io osservo te; i capelli che ti ricadono sul volto, le sopracciglia perfette, il naso grande ma elegante, i lineamenti delicati, la cicatrice sulla guancia sinistra che pare una fossetta perenne(1), e le labbra carnose che sono lievemente dischiuse e dalle quali fuoriesce un respiro affannoso, quelle labbra che stanno per baciarmi, ora, in questo istante.

“Ti amo...”
mi riveli sulla bocca, ed anch'io vorrei potertelo dire, ma tu forse già lo sai, quando infilandoti le dita tra i capelli scuri, ti invito a baciarmi ancora e poggiare il palmo della mano sul mio petto, lì dove batte il cuore.
Facciamo l'amore con l'impazienza degli amanti, ma con la consapevolezza di avere tutto il tempo del mondo dinnanzi a noi...
Ma non in quello di Nanny, e allora dobbiamo vestirci in fretta scacciando ogni volta il desiderio di strapparci gli indumenti di dosso, e raggiungere controvoglia la vita reale.
Attraversiamo il corridoio della servitù senza badare a chi potrebbe scorgerci, al contrario, Gaspard sembra così felice oggi, non gli riesce di togliersi un sorriso enorme dal volto, così come non vuole smettere di stuzzicarmi, sollevandomi la veste o pizzicandomi il braccio, nemmeno quando arriviamo ad un passo dalla grande scalinata di palazzo.

“Alla buon'ora! Non voglio neppure sapere perché avete fatto tardi, stamane ne ho già avuto abbastanza di giustificazioni assurde! So esattamente cosa fate la vigilia di Natale... ubriacarsi in questo modo non è da cristiani, nostro Signore viene al mondo e voi come lo onorate? Questo paese andrà a rotoli con voi giovani! E adesso avanti, andate a fare quello che dovete, non voglio vedervi qui attorno!”
Ci rimprovera Nanny, più furente del solito, ma non m'importa, le sorrido, chino il capo e m'incammino verso le cucine, e lo stesso fa Gaspard.

“Hanno deciso di farmi impazzire... ah, ma prima o poi mi sentiranno, prima o poi mi sentirà l'intera Francia... Lo sa che il generale si spazientisce se qualcuno ritarda la mattina di Natale, lo sa... Quella benedetta ragazza mi farà morire... ti pare che debba trascinarla fuori dal letto come quando era bambina...? Inconcepibile, inconcepibile!”
sento borbottare Nanny tra sé e sé, mentre si incammina a grandi falcate sulla scalinata.
Dannazione! Devo fermarla!
Corro così veloce da precederla all'inizio delle scale.

“Anais? Cosa vuoi? Non ti avevo detto di metterti al lavoro?”
mi domanda col fiatone e le mani sui fianchi, mentre mi osserva stupita ed io non so cosa fare, se solo avessi la voce... l'idea migliore che mi balza alla mente è quella di afferrarle un braccio e portarla con me giù dalle scale, ma lei oppone resistenza, impedendoci di fare anche un solo gradino, ed è a questo punto che giunge Gaspard in mio soccorso.

“Anais, non avrai bevuto anche tu ieri sera?”
mi domanda sconvolta.

“Oh, no Nanny, no, state tranquilla... Credo che Anais abbia semplicemente bisogno di voi in cucina, non è così?”
si rivolge poi a me Gaspard, ed io annuisco col capo, con decisione.

“Non essere ridicola Anais, possono darti una mano Marie e Juliette. Io debbo chiamare Madamigella Oscar, è in ritardo e suo padre non vede di buon occhio certe cose. Ed ora andate! Andate!”
dice rabbiosa Nanny a pochi passi dalla porta di Oscar.
Dio, cosa posso fare? Cosa?
Sono ancora di fronte a Nanny, le sto dinnanzi mentre lei non cessa di camminare, ed io sono costretta ad indietreggiare.

“Cosa vuoi ancora? Anais, non farmi perdere tempo, da brava. Vai!”
mi intima sorpassandomi ed assestando un colpo deciso al mio didietro.
È la fine, mi dico, mentre la vedo bussare con forza alla stanza di Oscar.

“Oscar! Oscar! Sei sveglia? Bambina mia è tardi, tuo padre perderà la pazienza, e prima di lui la perderò io! Oscar? Oscar?”
tenta di mantenere un tono di voce basso, con pessimi risultati, ma è quando Oscar non le risponde che le vedo perdere il controllo, afferrando la maniglia, abbassandola e sollevandola più volte.
Grazie a Dio si sono ricordati di chiudere a chiave! Forse l'apocalisse ci è stata risparmiata per oggi.
Sospiro con sollievo, ed anche Gaspard pare rincuorato, ora possiamo andare.

“Da quando Oscar chiude a chiave la propria stanza? Oh, signore! Se si fosse sentita male? Ieri non stava affatto bene! Oh, no... la mia bambina... oh, no... cosa posso fare?”
la sento borbottare e temo il peggio.

“Ma certo, il passaggio... sono anni che non lo uso ma sono certa che si trovi dietro ad uno di questi pannelli...”
Mi pare di sentire cavalcare tutti e quattro i cavalieri dell'apocalisse... Pestilenza, Guerra, Carestia e Morte, tutti insieme... è la fine.
Corro nuovamente incontro a Nanny, ma una volta davanti rimango ferma, immobile, ed è a questo punto che mi sento afferrare per la vita, ed ho giusto il tempo di riconoscere Gaspard che mi attira contro di sé, e mi bacia, in un modo che io stessa definirei scandaloso.
Mi stringe così fortemente contro il proprio corpo che non mi è difficile sentire il suo desiderio, vivo, al di sotto degli indumenti, e mi debbo aggrappare al suo collo per non rischiare di cadere all'indietro.
Sento le sua bocca divorarmi le labbra, così come la sua lingua lambirne i contorni ed insinuarsi all'interno per iniziare una feroce danza con la mia, e lo benedico per aver trovato un diversivo tanto efficace, quanto piacevole, per distrarre la cara Nanny.
Nanny!
Ahia! Santo Dio, come è possibile che mani tanto piccole possano fare così male?

“Screanzati! Cosa... cosa state facendo? Non tollero simili porcherie! Oh, signore sto per sentirmi male... Staccatevi! Ah, ma non la passerete liscia...  Sarebbe potuto arrivare il generale Jarjayes, oh no, non ci voglio neanche pensare... Ho detto di smettere!”
urla Nanny tra i denti mentre tenta di dividerci, ma non abbiamo nessuna intenzione di farlo, se questo è il trattamento riservato a noi, due semplici servi, non voglio immaginare cosa toccherebbe se lei vedesse Oscar e André...

“Gaspard! Razza di farabutto, se ti vedesse tua madre! Oh, ma le racconterò tutto, stanne pur certo... e adesso vieni con me, ragazzino, io e te dobbiamo fare un discorsetto... inconcepibile! Inconcepibile! Irretire in questo modo una povera ragazza... Cammina! O vuoi che ti prenda per un orecchio?”
farfuglia senza più controllo, trascinando via Gaspard tra un rimprovero e un pizzicotto al torace.
Povero amore, costretto a subire tutto questo per evitare una tragedia, vorrei poter correre da Nanny e dirle che non vi è stato nessun inganno nei miei confronti, al contrario, io sono sua, per mio volere, ma... Non c'è tempo da perdere, debbo trovare un modo per avvertire quei due incoscienti!
Mi dirigo con sicurezza verso il pannello che conduce al passaggio segreto, ma una volta compiuti i primi passi mi domando cosa diavolo mi inventerò giunta alla soglia della stanza di Oscar.
Se mi fosse possibile parlare spiegherei la situazione rimanendo nascosta al di là della parete, se solo avessi portato con me carta e penna, dannazione!
Persa in questi pensieri non mi rendo conto d'essere arrivata dinnanzi al pannello, eccoci qui, non debbo indugiare, sono sicura che Nanny troverà il modo di entrare qui dentro, fosse anche costretta a buttar giù la porta.
Bisogna che porti via André, non c'è altra soluzione.
Traggo un respiro profondo e le dita sono di già strette attorno al legno, una piccola pressione e...
Li vedo abbracciati, sono svegli e sembrano non curarsi del mondo, e nemmeno dell'insistenza di Nanny, Oscar ha la testa poggiata sulla spalla di André, lui le cinge le spalle con il braccio, sussurrano qualcosa che non mi è possibile udire, ma immagino stiano scherzando perché lei solleva il volto per guardarlo con espressione falsamente contrita, e lui comincia a ridere così di gusto da trascinare anche lei in quella risata.
Io stessa sorrido e non posso far altro che pensare che forse non accadrà nulla, ed è un pensiero che mi consola, l'idea di dover trascinar via André mi fa penare il cuore.

“Oscar! Oscar bambina, sto per entrare, stai tranquilla! Sapevo d'avere delle chiavi di scorta da qualche parte... vedrai che la tua tata riuscirà ad aprire questa porta!”
sento la voce di Nanny giungere dal corridoio e mi pare che il sangue mi si stia gelando nelle vene.
Guardo Oscar sollevarsi a sedere sul letto con gli occhi sbarrati, ed io sono già pronta a scacciare l'imbarazzo per portare André lontano da qui, ma non ne ho il tempo, il rumore della chiave che cade sul pavimento, e della porta che si apre, mi immobilizza.
Nanny è riuscita ad entrare, pochi passi e sarà la fine.
Ed ora cosa faranno? Mi domando stringendo più forte il legno tra le dita, quando vedo André nascondersi con le coperte che compongono il giaciglio di Oscar e scomparire al di sotto.
Sono pazzi. Completamente pazzi.

“Oscar!”

“Nanny...”

“Bambina stai bene?”
Le domanda avvicinandosi.

“Si! Si, Nanny sto benissimo, non c'è bisogno che...”

“Da quando chiudi a chiave la tua stanza? Ho creduto ti fossi sentita male! Vuoi farmi morire?”

“Perdonami, l'emicrania di ieri sera mi ha scombussolata... scusami se ti ho fatta preoccupare, ora però puoi andare, scendo tra un attimo.”
Le dice Oscar sfoderando un sorriso che di convincente ha ben poco, mentre tiene strette tra le mani le coperte, all'altezza del seno, lasciando scoperte le spalle nude.

“Oscar... come mai non indossi la veste da camera?”
le domanda Nanny con aria interrogativa.

“Io... io sentivo un tale caldo stanotte, colpa dell'emicrania immagino...”
si giustifica Oscar sempre più a disagio, e Nanny sembra crederle, quando mi accorgo di un movimento al di sotto delle coperte e, un istante dopo, il volto di Oscar contrarsi in una smorfia di stupore e la pelle diventare lievemente rosata sulle gote.

“Bambina, sei sicura di sentirti bene, sei rossa... non avrai la febbre?”
le chiede Nanny avvicinandosi a lei e posandole il palmo della mano sulla fronte, per misurarle la temperatura, ed è in quel momento che Oscar dischiude le labbra, dalle quali fuoriesce un sussulto, prima, e una risata, dopo.
Sorrido immaginando la causa di quel suo insolito comportamento, e non mi è difficile figurarmi quali malefatte stia compiendo André al di sotto delle coperte, per metterla a disagio.
A quanto pare non hanno timore della morte, quei due.

“Fortunatamente sei fresca come una rosa, non c'è traccia di febbre, ma... stamane sei strana Oscar, davvero ti senti bene? Non mi stai mentendo, vero?”

“No, stai tranquilla, non mi sono mai sentita meglio e...”
Oscar trattiene a fatica il riso.

“...adesso vai, scendo subito.”
continua, tentando di darsi un contegno, anche se mi par di capire che vi sia l'inferno sotto le coperte, e non deve essere facile tenere a bada un uomo che ha deciso di mutare improvvisamente in un bambino dispettoso.

“Come vuoi Oscar, ma non mi persuadi dalla convinzione che ci sia qualcosa di strano in te... ti aspetto di sotto, ti concedo non più di venti minuti, o mi vedrò costretta a salire di nuovo, sono stata chiara?”
conclude Nanny allontanandosi dal letto ed uscendo dalla stanza.

“Sei impazzito? Volevi forse farci scoprire da...”
Oscar non ha il tempo di concludere la frase, quello che le sfugge dalle labbra è un lieve grido quando la vedo precipitare sul cuscino, e scivolare verso il basso.
In qualche modo cerca di arrestare la discesa, stringendo le dita attorno alla testata del letto, ancorandosi al materasso, ma dopo un attimo di resistenza cessa di lottare, abbandonando le braccia sopra la testa, e sorridendo si lascia trascinare sotto le coperte.
L'ultima cosa che mi è possibile scorgere sono i riccioli biondi di Oscar e poi più nulla, se non la montagna che le trapunte, ed i loro corpi, hanno creato.
Posso udire chiaramente le loro risate ovattate, le piccole grida soffocate, e tutti quei suoni che mi fanno pensare ad un trastullo tra bambini, ma sono più che sicura che andranno ben oltre i giochi se continueranno di questo passo.
Bisogna che qualcuno metta fine a tutto questo, e quel qualcuno, mio malgrado, debbo essere io, così non mi resta altro da fare che aprire dinnanzi a me il pannello.
Mi introduco in punta di piedi nella stanza, senza mai distogliere lo sguardo dal letto, non posso permettermi d'essere vista, e non lo tolgo neanche quando mi servo di penna e calamaio...
Torno al nascondiglio camminando all'indietro, poggio il foglio di carta a terra, davanti alla porta spalancata, un ultimo sguardo e...
Con tutta la forza che ho in corpo colpisco con un calcio la parete che mi divide dalla camera da letto, e non mi resta che scappar via il più velocemente possibile, sperando che, uno dei due, prima di farsi venire un colpo, si accorga delle righe che ho affidato al pavimento.

Perdonate questa mia scortese intromissione ma...
era il solo modo per condurre André fuori di qui senza essere scorto.
Il nascondiglio conduce al corridoio principale.
Buona fortuna.
Anais



Giungo nelle cucine col fiato corto, non credo d'aver mai corso in questo modo prima d'ora.
Nanny grazie a Dio è occupata a dirigere i “lavori” per il pranzo Natalizio per preoccuparsi di Oscar, ne avrà ancora per molto, forse il tempo necessario ad André per sgattaiolare via.
Sospiro con una certa soddisfazione ripensando al mio piano di fuga, o per meglio dire al nostro piano, ed immediatamente il verde del mio sguardo si posa su Gaspard che mi si avvicina sorridendomi, ed io rispondo al sorriso, che subito mi si smorza sul volto quando lui, spiazzandomi, di prende le mani tra le sue, regalandomi un dolce bacio sulla guancia.
Nanny ha ragione, quest'oggi sono tutti impazziti!
Gaspard cosa ti prende? Cosa fai?

“Gaspard? Ah ah ah... cos'è sei ancora sbronzo?”
dice con tono fastidiosamente acido Marie, attorniata dalle altre ragazze della servitù.

“Sbronzo? Marie, non ho toccato alcool ieri sera, a differenza vostra...”

“Allora devi essere completamente rincretinito per fare una cosa simile!”
risponde di rimando Juliette, ridendo sguaiatamente rivolta verso le altre.

“Gaspard! Ancora? Non avevamo fatto un discorso io e te?”
aggiunge Nanny, spazientita.
Ed io mi sento di pietra, non mi è possibile distogliere gli occhi da lui, non m'importa di guardare altro.

“Si, abbiamo fatto un discorso, ma permettetemi di dirvi che avete torto, perdonatemi. Anais non è una povera ragazza, ma una donna come tutte le altre, come voi cara Nanny. Una donna che non è stata ingannata da me, perché non vi è inganno in ciò che provo per lei. Ci amiamo, e non permetterò più a nessuno, a NESSUNO, di prendersi gioco di lei, sono stato abbastanza chiaro? Ed ora potete riprendere a fare ciò che stavate facendo, lo spettacolo è finito.”
conclude Gaspard facendosi ancora più vicino, quel tanto che gli permette di posare un delicato bacio sulle mie labbra.
Sento le lacrime rigarmi il volto, ma non mi curo di questo piccolo particolare, ora che so di non essere più sola non vi è più bisogno di mascherare ciò che sono realmente, non vi è più bisogno di difendermi dalla cattiveria.
Sorrido guardandomi attorno, colpita dal silenzio che raramente alberga in questa casa, ma sono i volti sconvolti e furenti di Marie e compagne, che hanno il potere di ripagarmi di anni di maltrattamenti.
Non ve l'aspettavate vero? La cara e povera Anais...
Al diavolo, dannate serpi!

“Oh mio Dio! Oh mio Dio! Non è uno scherzo vero? Avete intenzione di sposarvi? E tua madre? Tua madre lo sa Gaspard? Anais, tesoro... sono tanto contenta per te! Vieni qui, fatti abbracciare!”
Nanny pare essere la sola ad aver preso la notizia con anche troppo entusiasmo.
Mi abbraccia fin quasi a soffocarmi parlando confusamente di abiti da sposa, di dote e mi par di aver udito, qua e là,  la parola bambini...
Sposarmi? Avere dei figli? Credo si stia correndo un po' troppo qui... ma non mi dispiace, sono felice, dopo tanto tempo posso finalmente affermare d'essere serena.
Sorrido mentre stringo le mani dell'uomo che forse un giorno diverrà mio marito, e chissà magari anche il padre dei miei figli...
Vengo distratta dai miei pensieri quando la voce di Nanny, ad un livello esagerato, mi perfora le orecchie.

“Oscar, André! Finalmente vi siete degnati di farmi l'onore della vostra presenza... Avanti non restate sulla soglia, ci sono dei biscotti che vi attendono, anche se non li meritereste, assolutamente.”
Li rimprovera con fin troppa gentilezza la cara Nanny, e i due le si avvicinano, André da un lato, Oscar dall'altro, baciandole le guance nel medesimo istante, esattamente come erano soliti fare da bambini.

“Ruffiani! Siete degli incorreggibili ruffiani.”
ed è Nanny ora a baciare ed abbracciare i due, elargendo auguri di buon natale e buon compleanno.
Tutta questa armonia non mi par vera, ho quasi timore di questa felicità apparente, so che non dovrei avere simili pensieri, ma mi spaventa l'idea di ciò che potrebbe accadere se, e quando, Oscar e André usciranno allo scoperto.
Prego per loro, sperando in un fausto epilogo.



Boulogne – Natale 1790

Cara Anais,
come stai? O forse sarebbe più corretto domandarti come “state” dopo la tua ultima lettera... quando potrò finalmente sapere se scrivere di una “lei” o di un “lui”?
Mi ha reso molto felice sapere di questa bellissima notizia, immagino che Gaspard non stia più in sé dalla gioia, il primo figlio ha sempre il medesimo effetto sugli uomini, o almeno è ciò che ho sentito dire, ma chissà che anch'io un giorno non passa scoprirlo sulla mia pelle, lo desidero tanto, ma non voglio lamentarmi, non potrei, perché Lei è tutto ciò che voglio.
Vorrei ringraziarti nuovamente per quel che hai fatto per me in passato, ed ora che so, anche per quello che hai fatto per Oscar, se non fosse stato per la tua testardaggine tutto quello che possiedo ora non esisterebbe.
Oggi più che mai mi sento in dovere di farlo, la situazione non è facile, non ancora perlomeno, ma certamente lo è più di ieri, abbiamo superato la guerra, siamo sopravvissuti alla presa della Bastiglia, e mi domando come sia possibile, ma chissà, forse era questo il nostro destino.
Da qualche mese Oscar ed io ci siamo stabiliti in una piccola casa ad Arras, di certo non è nulla a confronto con la magnifica Villa che possedeva la sua famiglia, ma debbo dire che non è niente male, è una gran bella casa in effetti, con un piccolo pezzetto di terra e qualche albero da frutto.
E tutto questo non sarebbe potuto accadere se non ci fossi stata tu nelle nostre vite, quindi, mi prostro ai vostri piedi Madame, per donarvi i miei più sentiti ringraziamenti.
Immagino tu stia sorridendo in questo istante, mi è facile figurarmi i tuoi occhi verdi che corrono da una parola all'altra, un sopracciglio che si inarca interrogativo, e le tue labbra che si aprono in un sorriso che ricordo con chiarezza.
Mi auguro di potervi far visita il prima possibile, Arras non è così lontano da Boulogne, bisognerà attendere ancora qualche mese, giusto il tempo di far calmare le acque, e finalmente potremmo rivederci, Oscar non fa altro che ripetermelo, credo che voglia ringraziarti lei stessa di persona, si rimprovera di non averlo mai fatto, ma sopratutto di averti trattato piuttosto duramente anni fa... Si, so tutto... me lo ha confessato da poco, e sai quanto sia difficile carpire certe confessioni da Oscar, ma alla fine ha ceduto e... debbo ringraziarti nuovamente, per quello schiaffo che qualcuno avrebbe dovuto darle tanto tempo prima.
Stai ridendo, ti vedo Anais...
Sono felice, ora lo sono completamente, e so che lo sei anche tu, non lo credevamo possibile, non è vero? Credevamo che avremmo trascorso le nostre esistenze da soli o... mi pare sconveniente scrivere ciò che ho nel cuore, ma forse non vi è motivo di metterlo su un pezzo di carta, perché son certo che tu sai...
Grazie, per aver riempito, in una notte qualunque, un vuoto che avrebbe potuto condurmi alla pazzia.
Grazie per tutto ciò che hai fatto.
Ti auguro un felice Natale, porgi i nostri auguri anche a Gaspard.

“Quando nel dolore si hanno compagni che lo condividono, l’animo può superare molte sofferenze”


Con affetto
André



Ringrazio tutte le persone che da mesi seguono questa mia storia, che è stata, se possibile, più difficile delle altre, più dura perfino rispetto ad “André”... sarà che qui ho messo molto di me stessa. Ogni capitolo è stato scritto sull'onda di un particolare stato d'animo che mi faceva star bene, o male, in quel preciso momento, e certe frasi, azioni, e parole, dette e compiute dai protagonisti, non sono un caso... posso dire che questa ff è stata una sorta di valvola di sfogo, un foglio di carta su cui riversare le mie emozioni.
È stato un bel viaggio, come al solito, e voi siete state delle deliziose compagne.
Mi inchino, come di consueto, al vostro cospetto.
Grazie, di cuore.


(1) Quando ho immaginato un uomo per Anais ho pensato che avrebbe dovuto competere con la bellezza (gnoccaggine) di André, e la mia mente ha pensato immediatamente a quel gran figaccione di Gaspard Ulliel... ebbene si, gli ho fregato anche il nome...
Se qualcuno non lo conoscesse, ecco alcuni link:

http://gaspardulliel.net/photos/albums/public_appearances/2010/pub_app_05_16_leprincessedemontpensier_photocall/lpm_18.jpg

http://www.youtube.com/watch?v=pe78IwrsA3E

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