Trittico Black di Miki_TR (/viewuser.php?uid=3404)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione e doverose spiegazioni ***
Capitolo 2: *** Storia di una Madre ***
Capitolo 3: *** Come per errore ***
Capitolo 4: *** Ecco l'uomo ***
Capitolo 1 *** Introduzione e doverose spiegazioni ***
Introduzione e doverose spiegazioni:
Introduzione e doverose
spiegazioni:
Dunque, in realtà questa fanfic sono
tre storie diverse che si intrecciano.
La prima, "Storia di una madre",
l'avevo già pubblicata come fanfic singola. Il fatto è che,
quando ho scritto le tre storie, quella mi è sembrata
qualitativamente su un altro pianeta rispetto alle altre due.
Avevo deciso di pubblicare solo quella proprio perchè le altre
due parti non le ritenevo all'altezza.
Però mi sono resa conto che, anche se
ognuna di queste storie è indipendente e potrebbe essere letta
da sola, sono una cosa unica. Sono nate insieme, in
contemporanea, si ispirano alla stessa idea e si completano a
vicenda. Quindi ho deciso di lasciare "Storia di una madre"
da sola, ma di pubblicare anche il lavoro completo. Non è stata
una decisione presa alla leggera, ma era doveroso secondo me.
Perchè la storia che volevo raccontare non si esaurisce nel suo
primo capitolo. E perchè ci sono delle parti di "Come per
errore" e "Ecco l'uomo" che mi sono piaciute.
Questa storia vuole essere un piccolo
"Trittico", tre visioni diverse di quello che si
nasconde sotto un apparente odio. Forse in fin dei conti è solo
una storia d'amore.
E' anche un omaggio ad un personaggio
che io amo molto. Sicuramente il fatto che mi piaccia ha
influenzato tutto in questa storia. Non cerco di pensarla
diversamente. E' sicuramente così, e io non sono stata oggettiva
nello scrivere questa storia.
Nella terza parte c'è un sottinteso di
slash. E' assolutamente voluto. Chiedo scusa a chi non ama il
genere, ma io non sono stata capace di immaginare un'altra chiave
di lettura. Non succede nulla, comunque. E' solo una
contestualizzazione.
Come la maggior parte di quello che
scrivo, questa storia nasce da una costola di un altro racconto,
ma è indipendente. Si è ritagliata il suo spazio nella mia
mente e non ha bisogno di altro.
Avverto in tutta sincerità che i
personaggi sono tutti, senza eccezione, Out Of Charater. Non si
tratta di un tentativo di ricostruire qualcosa che sia fedele
alla storia originale. Ho cercato solo di dare una luce diversa
all'odio che si intuisce nella relazione tra i personaggi. E se,
come penso, l'odio a volte è l'altra faccia della stessa
medaglia rispetto all'amore, allora basta girare la medaglia per
capire il perchè di questa storia.
Infine, volevo ringraziare tantissimo
chi ha letto e recensito "Storia di una madre".
Grazie a Ivory e Sailormeila,
che hanno pensato alla madre come a Narcissa e non si sono
allontanate tanto dalla verità. Grazie a Sybelle Gray
dallo splendido nick, che ha capito per prima chi stava parlando.
Grazie a kishal e a Patty che
mi hanno commossa e imbarazzata con le loro recensioni. Grazie a Joy
per essere sempre presente, per farmi rabbrividire e per
non aver trovato l'odio tra le righe. Grazie a Pink,
Briseide e yelle, incontrate
sul Gruppo Recensori, che mi hanno incoraggiato con un parere
autorevole, ed emozionata con i loro commenti. Grazie a Serpedoro,
che ha raccolto tanti dettagli e che ha sempre saputo leggere tra le mie righe.
E, di nuovo, grazie a Sepedoro, grazie perchè nel momento in cui io
per prima dubitavo della storia e delle mie motivazioni per pubblicarla, ha
saputo con le sue parole far pendere l'ago della bilancia. Se questa storia è
qui è merito, o colpa, sua, dei suoi incoraggiamenti e delle nostre lunghe
chiacchierate.
Grazie a tutti e, se vorrete seguirmi, buona lettura.
Miki_TR
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Storia di una Madre ***
Storia di una madre
Storia di una madre
Stanotte le ombre sono tornate. Il
grande letto nella stanza scura è freddo e la seta non scalda il
mio vecchio corpo, e improvvisamente in un angolo loro mi
guardano, grazie al cielo sono ancora solo due.
Mi ricordano che l'orologio scorre e che
qualcosa di scuro mi divora da dentro, mentre per un attimo
l'odore dei medicinali impregna l'aria come un profumo troppo
forte, e per una volta spero che non torni più la luce.
Oggi è venuto un uomo. Con gelida
cortesia mi ha mostrato campioni e modelli, e un repertorio di
frasi fatte, come se dovessi scegliere un abito o le nuove tende
del salone, e voleva sapere con dovizia di particolari quale
marmo e incisione preferivo, e continuava a ripetere quella
parola, madre, come se da sola dovesse racchiudere la
mia vita. Fui moglie devota e madre amorevole. Alla fine
l'ho accontentato, perchè ormai cosa mi costa? Chi ne può
soffrire o gioire? Non ci saranno rose sulla mia tomba, nè
pianti per me, perchè anche se non sono l'ultima ho seminato
odio e solo odio raccoglierò da lui.
Non voglio il mio nome sulla lapide. Che
importa? Nessuno saprà mai il mio nome e lui forse
nemmeno lo conosce. E se la mia vita è stata spesa a proteggere
e innalzare quel nome, la mia morte sarà solo mia, qualcosa di
intimo e privato come una carezza, e il mio nome è dimenticato.
Fui moglie e madre. Moglie di
un uomo senza un'anima. Avevo vent'anni quando in un giorno di
aprile andai sposa in abito bianco, e ancora non sapevo nulla
della vita. E quella macchia di bianco nei miei ricordi e nelle
fotografie sbiadite è rimasta l'unica, l'unica macchia di
candore a sporcare il nero di un'intera esistenza. Ricordo il
sorriso di mia madre quel giorno e anche adesso non so pensare a
qualcosa di più finto. Ricordo il mio orgoglio e tutti quei
metri di seta bianca e le perle purissime, e il bacio -il mio
primo bacio- e le labbra di mio marito, e sembrava di baciare un
morto. E l'odore dei fiori è ancora in questa stanza, putrido e
invecchiato come me e le mie speranze.
Ho vissuto in altri tempi. I miei
giocattoli erano pesanti libri sulla testa e passi rigidi e
incerti, i miei passi di bambina nei corridoi bui e tetri, e la
decadenza delle cose distrutte dal tempo e la polvere delle
soffitte. Andai alle nozze con l'orgoglio della nobile povera, e
mio marito, ricco e bello, mi sembrava un principe azzurro mentre
mi guardava, ma aveva un cuore nero e mi regalava diamanti senza
guardarmi negli occhi.
Non ricordo il colore dei suoi occhi. La
sua ombra mi scruta altera dall'angolo della stanza, so che è
qui per me, ma io non ricordo.
Fui devota e fedele, devota alla
famiglia fino al punto di donarle la mia anima -e mio figlio, mio
figlio...- e fedele all'odio che portavo quando lui entrava nel
mio letto, questo letto, e sentivo le sue mani fredde e pensavo
solo al nome e alla dinastia, e immaginavo un figlio a cui
insegnare per non pensare al disgusto e al dolore che provavo. E
qualcosa di me si è perso in questo vecchio letto, tra queste
cortine buie e queste lenzuola fredde, e solo adesso che le ombre
sono arrivate e che la mia carne cede capisco che non ho mai amato.
Credevo di amare, forse, ma poi l'ho
dimenticato. Non sono fatta per amare. Sono nata per essere moglie
devota e madre amorevole e questo scriveranno di me. Non
sono fatta per amare perchè non sono mai stata amata.
Forse solo lui. Lui solo mi
aveva amato e lui solo io avevo amato, e per questo mi ha
spezzato il cuore. E io ho spezzato il suo e l'ho cacciato, il
mio bambino, e non cerco il suo perdono e mai l'avrò.
Ricordo che volevo essere madre, con il
desiderio così umano dell'amore e del calore che non erano fatti
per me. Mi aggrappavo a questo desiderio mentre imparavo l'ordine
delle stanze scure e i nomi dell'arazzo e l'odio mi veniva
instillato in ogni respiro. L'ho voluto tanto, l'ho amato nella
mia mente in maniera così ossessiva che quando finalmente arrivò
a me non sapevo che farne davvero.
Eppure lo amavo mentre si aggrappava al
mio seno con la bocca vorace e le unghie di madreperla che mi
segnavano la carne, lo amavo quando il suo pianto turbava il mio
riposo, e i miei sogni e i miei incubi erano solo per lui. Amavo
il suono della sua voce nelle parole sconnesse e la sua forza che
mi sorprendeva ogni giorno, e la tempesta nei suoi occhi. Era il
mio solo amante, e glielo ripetevo all'infinito nelle orecchie a
conchiglia mentre si nutriva di me. E imparai ogni suo respiro e
ogni suo gesto, per ore lo guardavo nel sonno e lo svegliavo solo
per il piacere di sentire il suo pianto rimbombarmi nell'anima.
Il mio bambino. Adesso è solo e nessuno più lo culla. E il
nostro amore unico e istintivo è diventato l'odio più
devastante, ma ancora è il sentimento più forte della mia vita
-e so che il mio ultimo respiro sarà per lui.
Poi lo tradii. Per mesi odiai con tutta
me stessa l'intruso che cresceva nel mio ventre che lui accarezzava
con le dita minuscole, e odiai l'uomo che portò lui lontano
da me nel dolore del travaglio, perchè in quel momento
l'incantesimo si spezzò e lui non fu più mio, e io non
fui più sua e l'amore morì per sempre nel mio cuore.
L'odio che provai per il più piccolo
dei miei figli non fu senza conseguenze. Da quell'intruso imparai
la paura, per il suo corpo fragile e il suo respiro debole che
per anni ogni tanto spariva. Io che invocavo demoni e uccidevo
uomini senza un battito di ciglia, io che da tutta la vita sapevo
che l'uomo è un mostro, tenevo tra le mani quel corpo fragile e
morivo dalla paura di perderlo e non lo amavo. Portai per anni la
colpa di quel non amore, e guardavo il mio primogenito chino
sulla culla e sentivo amore e paura quando sfiorava suo fratello.
Poi la paura divenne più forte dell'amore e di nuovo tradii lui
e me stessa. L'ombra ora sa che non l'ho mai odiato perchè
mai l'ho amato. E la mia ora suonerà e non ci sarà conforto per
me tra le braccia dell'ultimo dei miei figli.
Mi chiesi per anni perchè il tempo
scorre mentre i miei figli crescevano. Instillavo in loro la
forza dei valori in cui avevo sempre creduto e lottavo con tutta
me stessa per creare per loro un mondo perfetto. Insegnavo al più
grande per amore e al più piccolo per lenire la colpa. Ma
ugualmente, come era stato per me, non c'erano carezze tra di
noi, solo schiaffi e parole velenose e la loro paura di un padre
di ghiaccio. Mi applicai con molto più impegno sul più grande,
e lo strinsi tanto che non mi accorsi di quando mi scivolò dalle
mani.
Ma aveva sedici anni quando mi accorsi
con orrore che il nostro amore era divenuto odio, che i suoi
occhi erano bui e che la sua bellezza non era più per me. Il mio
figlio perfetto e crudele mi lacerò l'anima con unghie affilate,
e non ricordo di averlo mai visto sorridere. Fuggì in una notte
d'estate e il caldo soffocante delle stanze buie e delle tende
tirate alimentò implacabile il mio dolore e il mio odio. E
l'altro era lì, vicino e consolatorio e ancora io non lo amavo.
Vedevo l'orgoglio del proprio essere nei suoi occhi -così
identici a quelli di suo padre. Vedevo l'incomprensione quando
io, sempre dignitosa prima, giravo sperduta in camicia da notte
per le stanze invocando con la mente mio figlio e il mio amore.
Vedevo il suo dolore, e il suo sforzo consapevole -e così sbagliato-
di essere quello che io volevo. Il mio bambino malato crebbe e si
fece forte, e odiò suo fratello e si costrinse ad una strada che
non era la sua, e tutto per compiacere me. Me, che ancora e per
sempre non l'amavo.
Poi mio marito morì. In una sera
d'ottobre improvvisamente si accasciò nel mezzo di una frase, e
il suo respiro divenne un rantolo di agonia mentre il suo cuore
freddo cessava di battere. Lo seppellimmo nella tomba di famiglia
con un lungo e straziante funerale. E indossando il nero da
vedova pensai che avrei dovuto sentirmi libera e non avevo mai
avuto più catene. I presenti ammiravano la mia dignità senza
lacrime, io sentivo uno strano calore mentre il vuoto dentro di
me si allargava e si portava via un po' del mio odio.
Per la prima volta in due anni rividi lui
quel giorno. Era bellissimo quel mio figlio, dignitoso nell'abito
a lutto, la pelle serica e il volto dipinto come in un quadro di
Botticelli, e l'aria composta e il freddo che irradiava. Ma era lì,
al funerale del padre che odiava, e anche se non l'ha mai capito
era lì per me. Poteva reclamarmi quel giorno e io l'avrei
seguito ovunque, incurante della famiglia in lutto e di suo
fratello che lo scrutava con odio e invidia. Ricordo che mi
sganciai dal braccio dell'altro che mi sosteneva e mi avvicinai a
lui, e fissai i suoi occhi e mi vidi come in uno specchio.
Riuscivo solo a pensare che era mio, mio come non era mai stato
nessun altro al mondo, e bello e forte e infinitamente lontano da
me. Spezzò di nuovo il mio cuore e non mi reclamò quel giorno.
Mi salutò con la fredda cortesia che gli avevo insegnato nel
nostro salotto, e di nuovo lo amai. E mentre gli urlavo contro
che era la vergogna della mia famiglia, che aveva ucciso suo
padre con la sua fuga sconsiderata, che era un traditore, pregavo
ipocritamente che leggesse dentro di me e sentisse che in realtà
volevo solo dirgli ti amo. Che sentisse la mia anima che lo
implorava di tornare da me. Ma lui non capì quel giorno, e mi
lasciò sola, con il mio figlio più giovane come bastone e la
pioggia che cominciava a cadere e mio marito freddo e rigido in
una bara. Lo persi ancora e di nuovo lo odiai.
Davvero sarei cambiata per lui? Come
posso saperlo. Sono rimasta in questa casa fredda e gelida e
buia, gli anni sono passati e ora sto morendo e lui non può
tornare. Il mio bambino bellissimo è solo al freddo, e io sono
sola al freddo e ancora siamo incatenati insieme. Lo lascerò
libero presto. Lui non tornerà più qui e non penserà più a me.
Le nostre catene si sfalderanno e il cordone dal mio ventre al
suo marcirà come deve essere, e se rimpiango qualcosa al mondo
è che non potrà gioirne mai.
Intanto il tempo era passato e anche
l'altro non era più bambino. Lui continuava a consolare la mia
solitudine e io continuavo a guardarlo ammirata e indifferente
come una statua di cera. Scelse il suo cammino per compiacere me
a cui non importava nulla di lui. Tutta la sua vita fu spesa,
adesso lo so, a cercare disperatamente il mio amore. Ma il mio
amore era per lui, e l'ombra non mi perdonerà. Il
piccolo scelse la via dell'odio nella ricerca dell'amore, e fu
redento per amore e per amore morì. Non ho mai saputo chi fosse
lei, quella che lui non volle uccidere, quella che me lo donò in
una cassa come un regalo. Era pallido da morto.
Ci fu ancora un funerale, e lì vidi lui
per l'ultima volta in questa vita. So che non potrò aspettarlo,
perchè il mio tempo non è infinito come la sua prigionia. Al
funerale di suo fratello era ancora più bello, sempre in
disparte a non farsi notare. Ma presente. Aveva il volto fiero e
le sue labbra così morbide erano una linea pallida, e la forma
delle dita di sua cugina si tingeva di rosso sulla sua guancia
indifferente. Ancora mi avvicinai a lui, avevo occhi solo per lui
mentre l'intruso nella nostra vita spariva per sempre tra terra e
marmo. Il mio bambino piangeva in silenzio, il volto impassibile
e le sue lacrime, come perle, che segnavano le rughe precoci di
chi a vent'anni conosceva la morte. Piangeva suo fratello come
mai avrebbe pianto me, e anche se ormai non avevo più un cuore,
qualcosa di nuovo si spezzò e svenni.
Durò pochi istanti e poi tornai in me,
ed ero tra le sue braccia e lui mi cullava leggermente in una
sensazione sbagliata e dolce. Il suo volto era sereno e turbato
al tempo stesso, e le lacrime non si erano fermate. Sembrò che
sorridesse e per un secondo mi aggrappai all'illusione che non
fosse finita tra noi. Mi rimise gentilmente in piedi e poggiò
leggermente le labbra sulla mia guancia gelida. Improvvisamente
seppi che mio figlio era l'unico calore della mia vita, e sentii
che non l'avrei mai più riavuto tra le mie braccia. Per questo
mi scolpii nella mente le sue ultime parole verso di me in questo
mondo.
-Non posso tornare indietro, Madre.-
Si allontanò verso una presenza
indistinta ai margini del cimitero, qualcuno che non avevo notato
e che passò un braccio amichevole sulle spalle di mio figlio.
Qualcuno che avrebbe asciugato le sue lacrime, raccolto quelle
perle rare sulle guance del mio bambino e ne avrebbe fatto tesoro.
E di nuovo un amore soffocante mi invase per mio figlio che non
avrei rivisto mai più, per mio figlio che mi aveva chiamato
Madre.
Le sue parole mi echeggeranno in testa
fino all'ultimo respiro. Questo amore e questo odio per lui sono
la nenia della mia ultima notte su questo mondo, il mio monito
eterno, e non alzo lo sguardo perchè so che le ombre sono
scomparse per sempre. Ma lui non è un'ombra, è vivo e lontano,
e esiste ancora quel sorriso che io ho potuto solo immaginare.
Vorrei vederlo solo una volta, ma so che anch'io non posso
tornare indietro.
Con le mie ultime forze lascio il letto.
Il mio vecchio scrittoio mi vede per l'ultima volta mentre
correggo con difficoltà il mio testamento. Domani sarò in una
tomba senza nome, e sulla lapide sarà scritto Non posso
tornare indietro. Nessuno capirà, ma se mai un giorno lui
sarà libero e si troverà lì, forse saprà.
________________________
Lontano quella stessa notte un uomo
dormiva inquieto in una cella di Azkaban. I suoi vestiti erano
laceri e sporchi e il giaciglio freddo. L'uomo stava
raggomitolato su se stesso come a condividere il calore del suo
cuore con tutte le membra. Come un feto nell'utero materno, e il
suo respiro era irregolare e le palpebre fremevano.
Le guardie dicevano che da qualche
giorno parlava nel sonno. Ripeteva ossessivo una frase, a volte
chiara e a volte incomprensibile, ma sempre la stessa. Ma quella
notte la guardia provò per la prima volta un moto di pietà per
l'assassino nella cella. Perchè due sole sillabe lasciarono la
sua bocca nella notte per essere consegnate alle stelle.
Mamma.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Come per errore ***
Come per errore
Come per errore
Quando sono nato avevo già un fratello.
Ovviamente non lo sapevo, forse conoscevo quegli occhi quando mi
guardava, e di sicuro potrei ricordare le braccia di mia madre se
solo non fossi così stanco. Sono nato in una grande casa piena
di segreti, in una grande famiglia piena di segreti e ora so che
fu un errore. Qualcuno ci chiede prima di nascere dove vogliamo
andare? Se è così, ho sbagliato tutto. Se tornassi indietro
vorrei una piccola casa e una piccola famiglia e soprattutto
nessun fratello nella stanza di fianco.
Mi chiamo Regulus Black e tra poco morirò.
Qualcuno dirà che me lo sono meritato. Qualcuno dirà che mi
sono invischiato in qualcosa più grande di me. Sirius di sicuro
dirà così. E qualcuno potrebbe pensare che ci sia un riscatto,
ma io non lo vedo in questa cella fredda e lurida, perchè è
stato solo un errore. Uno stupido errore di valutazione. E vorrei
tornare indietro, urlare al carnefice che c'è stato un malinteso
e che io non dovrei essere qui. Eppure qui resterò, il silenzio
come compagnia fino alla mia ora. I ricordi sono più intensi,
come riflessi sulle pareti umide e scure, mi prendono con loro.
Ma se vogliamo addentrarci nel
dormiveglia della mia infanzia le luci devono essere basse e
malate, perchè così ricordo casa mia, e l'odore di cera e di
chiuso deve impregnare l'aria, e da qualche parte deve sentirsi
il battito cupo di un pendolo. Ci deve essere mio padre, rigido
in cima alla scala, e deve guardare in basso con gli occhi severi
a noi bambini che giochiamo, come se odiasse la nostra innocenza,
perchè così io me lo ricordo. Mio padre è la paura. Ci deve
essere mia madre e il suo sorriso vuoto, seduta in poltrona
rigida come una bambola di porcellana, un libro polveroso e
terribile tra le mani bianche. Mia madre è il freddo. E ci deve
essere lui, ovviamente, Sirius sempre pronto a prendere la mia
mano e a ridere di tutto, che si erge come un faro tra me e il
buio. Mio fratello è tutto il mio mondo.
Non è stata lunga la mia infanzia, sebbene allora mi
sembrasse infinita. Diventiamo adulti acquisendo consapevolezza,
e a me accadde prima che ad altri. Ma in questo momento,
nell'attimo che è la mia morte e che si protrarrà all'infinito
in questa notte di luglio, tutta la mia vita adulta affonda le
sue marce radici nella palude della mia infanzia, e io, bambino,
corro ancora per le stanze e trattengo il respiro, e la paura e
il freddo sono ancora lì, e naturalmente c'è anche Sirius.
Sono nato, dicevo, nella maestosa stanza di mia madre, tra le
urla e il sangue come tutti. Trassi un primo respiro esitante tra
le mani di una balia, e inspirai quell'aria greve che sapeva di
Black. Da subito somigliavo a mio padre, e crescendo non feci
altro che avvicinarmi a lui. Se potessi vedermi a quarant'anni
vedrei di nuovo lui, bello forse, ma infinitamente nero e
pallido, la linea perfetta delle sopracciglia e degli zigomi così
dura e inflessibile.
Fu chiaro da subito che io ero il figlio che lui preferiva.
Forse il suo sangue antico gli aveva donato un'intuizione di
quello che avrebbe fatto da grande Sirius. Forse si rifletteva in
me e, vanesio com'era -com'ero anch'io- amava questo figlio-specchio.
Forse percepiva in qualche modo la viscerale e morbosa attrazione
tra mio fratello e mia madre, e cercava di proteggermi dalla
pazzia di lei e dall'infantile e innocua gelosia di Sirius.
Ricordo la sua voce fiera e il luccichio dei suoi occhi verdi
e le sue parole fredde e fiere -Bravo, Regulus- e lo stesso tono,
sempre quello, quando imparavo a reggere il cucchiaio e quando
imparavo nuovi poteri. Ricordo la stessa voce quando nell'ultima
estate prima del tradimento colpiva Sirius col dorso della mano,
e mentre mio fratello lo sfidava con gli occhi, io diventavo
involontario oggetto di confronto e bersaglio di odio.
Ero il figlio perfetto per lui. Ero il figlio che voleva. Lui
non fu mai il padre che desideravo, e le sue attenzioni mi
spaventavano. E poi non c'era mai, e per ore e giorni noi tre
aspettavamo, e io ero da solo. Ma i suoi ritorni significavano
premi per me e sofferenza per Sirius, e paura, perchè per quanto
figlio preferito nessuno in casa era immune dalla sua rabbia.
Ricordo che avevo quattro anni una volta, e ruppi un vetro
della credenza del soggiorno. Al suo rientro tremavo in un angolo
della mia stanza, pieno di paura.
Ricordo che a dodici anni ebbi il permesso di bere vino a
tavola per la prima volta. La cena in casa nostra era formale,
con posate d'argento e servitori in un angolo e tovaglie candide
e preziose. La mia mano tremava per emozione e anticipazione,
perchè bere vino voleva dire essere un uomo agli occhi della
famiglia. Ma ero solo un bambino, e il tremore si trasmise
impalcabile al cristallo e la tovaglia si tinse come di sangue. E
venne la paura. E fui punito.
Ricordo la sua morte e le lunghe ore inutili di attesa che
seguirono, e mia madre che per tre giorni non parlò. E allora
forse divenni davvero un uomo, e mi caricai la famiglia sulle
spalle e avevo solo sedici anni. Non c'era nessun altro per farlo.
Solo io e lei nelle stanze e i parenti lontani in lutto. La
sostenni per giorni ma non fu a me che tornò a parlare.
Forse mia madre non mi ha mai amato. Ma è certo che io amavo
lei. Cercavo il suo calore e non l'ho mai trovato davvero, solo
mani gelide e occhi spenti, tanto che spesso mi chiesi se
conosceva il mio nome davvero. Non disse mai Regulus come diceva
Sirius. Mi chiamava "ragazzo" e lui "figlio".
Non credo neppure che lo sapesse; semplicemente, io ero qualcuno
di troppo, inutile se aveva già Sirius. E lui del resto le
somigliava, stessi occhi fieri e stesso coraggio e dignità. Io e
mio padre confronto a loro eravamo statue. Dove noi eravamo
marmo, loro erano ghiaccio e fuoco. La nostra bellezza era
dipinta e la loro sempre così viva. Noi eravamo superbi e loro
orgogliosi. Noi furbi e loro coraggiosi. Mia madre non ha mai
trattato Sirius meglio di me, nè peggio. Ma per lui c'era il
calore nelle sue grida, per me solo freddo e convenzioni.
Come posso stanotte dare voce e parole a tutto questo? Loro
erano i vivi, e noi i morti. Nei gesti di lei, sempre misurati e
così perfetti, ricordo l'emozione trattenuta, e non sono mai
riuscito ad imitarla. E quando mio fratello ci lasciò, e quando
mio padre morì, anche allora noi ci allontanammo. Mi sforzai di
essere per lei più di un ritratto. Imboccai la strada che mi ha
portato qui. E' amaro sapere che l'unico dono che avrei potuto
farle era di non nascere da lei.
Ci sono altre figure che dalla mia infanzia stanotte mi
visitano. Voci di bambini in un cortile, parenti austeri e
famiglie nobili a cui rivolgersi con rispetto e ammirazione. Ma
adesso che il mio tempo è così poco, i ricordi d'infanzia si
allontanano, si sfocano, eccetto quelli di lui. Mi tormenta come
nei quattordici anni che abbiamo condiviso, amandoci e odiandoci
come solo due fratelli possono fare. Mi tormenta e ancora mi
protegge dal buio della mia disperazione.
Non ricordo un momento della mia infanzia in cui lui non fosse
lì. La mattina a colazione mi guardava con occhi impazienti
dall'altro lato della tavola e scalpitava sulla sedia come se
odiasse quel posto. -Sbrigati, Regulus.-
Lui voleva correre a giocare, sentirsi forse libero nel
giardino dietro casa nostra, scoprire nuovi tesori e esplorare
quella giungla a misura di bambino. Io lo seguivo ovunque.
Eravamo soli, due bambini contro un mondo di adulti.
Condividevamo un'infanzia solitaria, piccoli segreti e
un'innocenza che abbiamo perso. Anche la luce del giorno era
malata tra gli alberi antichi, ma era l'unica luce che
conoscessimo. La mia mano poteva toccare infinite meraviglie e la
sua voce ripeteva il mio nome ad ogni scoperta. E già allora il
mio volto era immobile e il suo fremeva di vita.
Ricordo che una una notte bussò piano alla porta della mia
stanza. Forse avevo cinque anni. Ricordo il temporale che
infuriava fuori e la luce dei lampi che bandiva le ombre e lo
scoppio dei tuoni che mi paralizzava nel letto nell'infantile
paura. So che stringevo le coperte come un rifugio e che avevo
imparato a piangere in silenzio la mia paura da bimbo. E lui entrò,
silenzioso come un piccolo spettro, e sapeva dall'alto dei suoi
sette anni quello che sentivo. Rimase vicino a me e la sua forza
si mise tra me e la paura, e lui era lì solo per confortarmi.
Asciugò le mie lacrime e si prese cura di me, e nessun altro
l'ha mai fatto. Lui aveva la forza di chi c'è già passato, e
negli occhi un coraggio che io non avrò mai. Con la
determinazione dei piccoli rimase con me quella notte, e
incredibilmente presi sonno. Il mattino ci sorprese limpido con
le grida di mia madre nella stanza. La paura era una colpa e mio
padre un giudice inflessibile delle debolezze dei suoi figli. E
Sirius si assunse la colpa di quella fuga notturna e ridente e
ribelle fu punito per la mia paura. Mia madre capì e lessi il
disprezzo nei suoi occhi per la mia debolezza.
L'Oscuro Signore non sa. Non può conoscere di quelle notti.
Non capirebbe, forse. E' mai stato bambino? Qualcuno si è mai
preso cura di lui? Le ore scorrono e le mie domande non avranno
risposta. Quei giorni non torneranno, e mio fratello non è qui
per stringere la mia mano.
Lui non è mai stato come me. Ma certo io volevo essere come
lui, e questo fu il mio errore. Quando crescemmo nei nostri studi
era sempre lui ad aiutarmi. Ricordo che non capivo come tenere in
mano la lunga penna senza sporcare d'inchiostro la pergamena e le
dita. Sapevo che per ogni mio errore mi attendeva un rimprovero.
Allora lui prese la mia mano e la guidò sul foglio, e io imparai
a scrivere da lui.
Come posso non amare mio fratello? Ma lui mi ha reso quello
che sono.
Un giorno Sirius se ne andò. La casa rimase silenziosa, e gli
occhi di mia madre si spensero e io imparai la solitudine.
Desideravo come un dono il rientro a scuola per non sentire
nell'eco dei miei passi in casa il suono dei suoi. Per non
trovarmi davanti alla sua stanza con il desiderio di avere un
motivo per bussare.
Negli anni dell'adolescenza già l'amicizia fra noi era
sparita. Così diversi da non potere parlare tra noi senza
insulti, così simili nel non perdonare mai. Ma la mia
ammirazione per lui non si spense mai davvero. Prese la forma di
un'invidia lacerante, e per la prima volta provai soddisfazione
nel mio ruolo falso di figlio ideale. Un giorno d'estate persi
anche questo mentre la porta d'ingresso si chiudeva. Pensai a mio
fratello come un debole senza il coraggio delle sue azioni.
Pensai a lui come un traditore e per anni -fino a ieri, forse-
alimentai il mio odio per lui nella speranza inutile di farlo
diventare reale. Spensi i miei tentativi di assomigliargli e fui
un bravo figlio per genitori come i miei. Crescendo imparai a
nascondere alla mia mente le cose che sentivo, e la paura morì e
il freddo divenne abitudine.
Per anni nascosi il ricordo del suo sorriso quando diceva -Regulus,
vieni a vedere!- nelle nebbie delle illusioni infantili. E la
stanza accanto rimase vuota e silenziosa, e non ci sono più
entrato. Il sangue che dividiamo e che mi fa levare fiero la
testa divenne solo mio. Scordai mio fratello come un errore
mentre vedevo il suo nome sparire nel fuoco dall'arazzo che tante
volte ammiravamo da bambini.
Cos'è cambiato? Avrei dovuto nasconderlo meglio, bruciarlo
via dalla mia anima, eppure lui è parte di me e il nostro sangue
è ancora lo stesso. E, Mio Signore, davvero ieri ti ho tradito.
Davvero non potevo uccidere mio fratello. Se lui non fosse mai
nato, sarei stato un uomo diverso. Ma dal giorno in cui si chinò
per la prima volta sulla mia culla e i suoi occhi toccarono i
miei e la sua mano sfiorò la mia guancia, lui fu mio fratello, e
nulla può cancellare questa realtà. Domani morirò perchè ho
un fratello. Non ci saranno fiori sul mio sentiero verso l'aldilà,
nè redenzione. La mia vita non è mai esistita senza di lui, e
così sarà per sempre.
Non voglio che lui sappia del piano, e nell'ultima
misericordiosa lettera a mia madre inventerò una donna e un
amore proibito, per mascherare che se mai io e lei abbiamo avuto
qualcosa da spartire nella vita era l'amore per quel suo figlio
preferito. Ma lui non saprà che ha rischiato di morire
vergognosamente in un giorno di luglio, sotto il peso di una
maledizione scagliata alle spalle da suo fratello. Non saprà che
accettando la missione ho firmato la mia condanna per cancellare
la sua. Avevi ragione, Mio Signore, davvero quel mio fratello è
un uomo pericoloso. Davvero ora desidero che la sua mano
inconsapevole possa vendicare il suo sangue.
Sirius non saprà, e so che la sua onestà lo condurrà al mio
funerale con gli occhi asciutti, e potrò pensarlo così, dritto
e fiero tra le vecchie lapidi, in un doveroso ricordo.
Non è stato un errore. Forse tutto il resto lo è stato, ma
salvare la sua vita è stata solo giustizia. Domani mi metteranno
in una tomba, e so che non avrò paura del buio, perchè Sirius
sarà lì.
Vorrei ringraziare coloro che hanno commentato Storia di una Madre, in
entrambe le pubblicazioni.
Non sono molto brava con queste cose, davvero. Rispetto ai ringraziamenti per
l'altra versione che sono nell'introduzione, aggiungo un grazie a Ida59
che mi ha fatto venire un certo nodo nello stomaco con il suo commento. E anche
dancer/Briseide che addirittura ha pensato di inserire la storia tra
quelle consigliate dal Comitato Consiglio Fanfiction, rischiando seriamente di
mandarmi a fuoco la faccia...
Per quanto riguarda questa pubblicazione, invece, ho modo di rispondere in
maniera più completa a chi ha commentato senza combinare uno dei miei soliti
guai...
Agartha: Il tuo commento era magnifico, lo dico davvero. Grandissimo,
perchè in poche parole mi hai davvero fatto capire che questa fanfic aveva
raggiunto il suo scopo, e che le sue contraddizioni, volute ma difficili da
rendere, hanno saputo suscitare emozioni, contrastanti forse, ma emozioni. Non
sai quanto piacere mi faccia, soprattutto vedere come hai letto tra le righe e
colto quei mille piccoli sentimenti che avevo nascosto nel mezzo. Ti ringrazio
tantissimo, davvero, anche se non so esattamente con che parole dirtelo. Un
bacione grande.
Joy: Come sempre le tue parole, qui come nell'altra recensione che non
ho dimenticato, mi hanno emozionato davvero tanto; leggi tutto con una poesia
che rende impossibile risponderti senza sentirmi banale. Te l'ho già detto, ma
sentirti parlare delle cose che scrivo me le fa amare di più, per merito tuo,
anche se può sembrare assurdo. Ogni tanto mi chiedo come sia vedere le cose con
i tuoi occhi, sai? Essere capace di emozionare con un commento, come fai tu con
me... Grazie Joy. Credo che altre parole siano superflue. Grazie. Un bacione
gigante.
Chu: Grazie, Chu, davvero. Grazie sorellina, soprattutto per esserti
messa nei panni della madre, al punto di aver odiato Sirius pur non potendolo
odiare davvero. Hai descritto davvero bene, non banalmente, ma con precisione e
cuore, le emozioni che io stessa lego a questa storia, la crudeltà, i sentimenti
estremi e la dignità che ho cercato di mettere in ogni riga. Hai colto tutto
quello che avevo messo tra le righe con una grandissima sensibilità, e mi hai
davvero emozionato usando quella parola, perla, che mi ha fatto luccicare gli
occhi pericolosamente. Grazie davvero, sorellina, e un bacione grande con lo
schiocco.
Serpedoro: Sta diventando un'abitudine buttare un occhio allo specchio
e vedermi di colori improponibili dopo una tua recensione. Un'abitudine molto
piacevole. La tua capacità di leggere tra le righe mi sorprende e mi spiazza
sempre, anche se ormai dovrei esserci abituata. La forza della madre e il suo
amore-odio così contraddittorio, descritte dalle tue parole in un commento, mi
hanno fatto innamorare di lei di nuovo, sai? "Una famiglia devastata dall'odio
perchè non sapeva comunicare i proprio amore" è una definizione perfetta, al
punto che la sento mia davvero, come se l'avessi pensata io. Ma
soprattutto, in questa sede, ancora grazie, grazie del sostegno e di aver
capito, dell'incoraggiamento e di tutte quelle faccine estatiche che continuano
a sembrarmi spropositate, ma che mi spingono a tirare fuori le cose da cassetto
quando penso a cosa c'è dietro... Grazie. Un bacione enorme.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Ecco l'uomo ***
Ecco l'uomo
Ecco l'uomo
Ecco, questo davvero è Sirius Black. Il
pensiero mi coglie improvviso mentre osservo il volto stanco
nella penombra della cucina. Mi è stato donato di cogliere anche
l'ultima sfumatura, ed essere qui è l'ultimo tassello del quadro
della nostra esistenza.
Questa casa buia e orribile oggi
illumina quel riflesso che senza sapere ho sempre cercato. Era la
luce di questo luogo la pennellata che mancava al suo ritratto, e
l'eco di della vita che visse qui risuona nella mia mente, ed è
parte di lui.
Abbiamo deciso che questa casa custodirà
il segreto dell'ultima speranza contro le tenebre. E quando lui
è entrato ho visto qualcosa sul suo volto, un ombra sconosciuta,
e un ricordo del ragazzo che era e che visse qui. La casa è
vecchia e polverosa, e custodisce segreti terribili e le porte
hanno maniglie d'argento. Pezzi di creature morte sono stati
usati come ornamento, e esseri infestanti vivono tranquilli tra i
vecchi mobili e i tappeti neri. Tutto in questo luogo grida Black.
Eppure nel marcio di queste stanze è cresciuto qualcosa di vero
e puro, qualcosa incredibilmente capace d'amare, e quello è
Sirius. Sirius che poco fa guardava lei, ritratta per sempre
sulla parete dell'ingresso. Sirius che per un attimo ha
dimenticato la sua collera nel viso di sua madre, e ha lasciato
che il suo volto si rilassasse in un'espressione dolcissima di
dolore e rimpianto, e che è così simile a lei. Sirius che ha
sussurrato il suo perdono al ritratto anche se la sua voce si è
persa nelle urla eterne di lei.
Ora siamo di nuovo soli, in questa
vecchia cucina polverosa che stranamente non ha odore di odio,
io, lui e i fantasmi del suo passato. Attendo che parli, che
sfoghi i pensieri che assillano la sua mente e che torni alla sua
solita rabbia, e finalmente so che conoscerò il segreto di
alcuni silenzi impressi nella mia memoria nel corso degli anni.
Attendo che questa casa mi spieghi perchè un giorno di vent'anni
fa Sirius uscì per sempre di qui e divenne un uomo.
Ricordo un giorno simile, un giorno di
lacrime di tanti anni fa. Quando la prima volta qualcosa lo
riportò indietro agli anni in questa casa, e io intravidi un
riflesso che oggi mi verrà spiegato.
La luce calda del piccolo
appartamento sembrava troppo debole per raggiungerlo. Stava
seduto sul divano quando entrai, una postura rigida che non era
più sua da anni, un bicchiere in mano e le lacrime sul suo volto.
Io allora non avevo mai visto le lacrime di Sirius. Era
bellissimo in quel tramonto, ma come potevo notarlo? Il suo volto
e il suo corpo urlavano un dolore, e io desideravo solo vederlo
sorridere.
-Me lo ricordo. Non ci ho pensato
per anni, ma ora lo ricordo così bene...- disse, e le lacrime
impastavano la sua voce.
-Cos'è successo, Sirius?- gli
chiesi, sedendogli accanto, e quando la sua mano mi sfiorò e io
sentii che era fredda lo abbracciai, offrendogli in dono un po'
del mio calore.
-Lo odiavo, vero Remus? Ti ho sempre
detto che l'odiavo. Allora perchè fa così male?-
Il pianto si trasformò in
singhiozzi sulla mia spalla, e non potevo confermare le sue
parole, perchè improvvisamente avevo saputo di chi parlava, e in
quell'odio io non avevo mai davvero creduto. L'immagine mi si
formò in mente, vaga e sfocata come i ricordi di poca
importanza, un ragazzo magro nella divisa argento e verde. Mi
invase un senso di colpa profonda per la mia indifferenza. Era la
prima volta che Sirius soffriva senza di me. Il pianto intanto si
era calmato e la voce di Sirius riprese a sussurrare il suo
dolore come se le mie orecchie fossero lì per caso.
-Era un bambino così piccolo, io me
lo ricordo. Allora gli volevo bene. Era un ragazzino
insopportabile, ma era sempre mio fratello, vero? Ma poi...-
La luce calda del tramonto stava
lasciando il posto a quella fredda della sera. Ricordo che ero
smarrito, mentre Sirius piangeva il lutto per suo fratello e io
non sapevo che fare per consolarlo. Parlò a lungo e cercai di
confortarlo col silenzio. Poi si addormentò, ed eravamo ancora
abbracciati.
Mi riscuoto dai ricordi e guardo Sirius
che ha ancora l'aria triste di quel giorno. Non ci sono lacrime
oggi sul suo viso, ma una scintilla nei suoi occhi di chi ormai
alla morte è avvezzo.
-Sai,- mi dice -io mi sedevo sempre
nella sedia dove ora sei tu. Lui stava di fronte a me, e facevamo
colazione, noi due soli, ed era il momento più bello della
giornata, perchè avevamo davanti tante ore di luce, e mio padre
non sarebbe tornato fino a sera.-
Non sono sorpreso che i fili dei nostri
pensieri si siano intrecciati nei pochi minuti che siamo stati in
silenzio, ma taccio e ascolto la sua voce ripercorrere finalmente
i ricordi che non ha mai condiviso con me.
-Lei, mia madre, si alzava sempre
prestissimo. Quando avevamo finito di mangiare dovevamo andare a
salutarla, e Regulus da piccolo aveva paura di lei.-
Sorride al ricordo, un sorriso che è
triste e dolce insieme, e non posso evitare di chiedere:
-E tu?-
-Io non ho mai avuto paura di lei. Di
mio padre, forse, quando ero molto piccolo. Ma mai di lei. Ho
odiato le sue parole crudeli e il suo sguardo freddo, ma era mia
madre.-
Annuisco come se capissi, ma non è così.
Posso solo sentire l'emozione nella sua voce e chiedermi quanto
invece l'avesse amata perchè lei potesse fargli così male.
-E' buffo, non l'avevo mai pensato, ma
è merito loro se sono finito a Griffondoro. Dopo essere
cresciuto in questa casa, come poteva qualunque cosa farmi paura
davvero?-
-Non è buffo, Sirius. E' la tua
famiglia che ha fatto di te quello che sei, in un modo o
nell'altro. Tu... le somigli molto.-
Sirius rimane un attimo pensieroso. So
che le mie parole lo hanno toccato nel modo in cui una
rivelazione ci tocca sempre. Mi chiedo se qualcuno gli avesse mai
detto che somiglia a sua madre. Ma chi poteva farlo, se non io? E
io fino a ieri non conoscevo i segreti di questo luogo e della
sua famiglia, ma ora mi è tutto più chiaro.
-Usciamo in giardino, Moony?- mi chiede,
e lo seguo perchè so che il viaggio nella sua memoria non è
ancora finito.
________________________
Il giardino è afoso e umido e per un
attimo mi chiedo se davvero siamo ancora a Londra. Il caldo si
sposa bene con la rigogliosa, decadente vita di questo luogo. I
rami spezzati dal vento e il roseto ucciso dall'incuria degli
anni hanno una loro bellezza malata, e non so se avevo mai visto
tante sfumature di verde e di nero. In questo piccolo angolo di
giungla si respira ugualmente morte e vita, la rugiada scorre
ancora indifferente sulle larghe foglie di una pianta sconosciuta
e se una brezza scuotesse adesso i rami romperebbe l'incanto
dello squallore magnifico di questa vista. Ma la calura è
imprigionata nel terriccio e nell'aria c'è odore di pioggia.
Lui cammina come un cieco lungo un
viottolo, e sfiora leggero le foglie e il legno con le dita.
Forse sta ricordando un ordine passato che il tempo ha
dimenticato, la cura amorevole di questo giardino dove ora la
vita si sottrae al giogo dell'uomo. Ma così selvaggio il
giardino mi parla di lui, come se gli alberi antichi portassero
un marchio della sua presenza, come se in ogni dettaglio che vedo
qualcosa gridasse alla mia mente il suo nome. Sirius è
nell'aria, qui, e l'odore dei fiori è in parte il suo, Sirius è
nella terra smossa e umida, Sirius è nel calore del sole e il
nero del cancello di ferro è la linea delle sue ciglia. Sento di
amare questo luogo nonostante il suo orrore selvaggio.
Lui sembra stupito della piccolezza
delle cose, come se i suoi occhi fossero improvvisamente troppo
in alto per i suoi ricordi, e sorride incerto, e la luce qui è
strana ma lo illumina in una maniera che posso solo definire
giusta. Sento di amare l'orrore selvaggio di questo luogo.
Resto fermo e in un attimo i miei sensi
sono pieni di lui, ed è così nuovo e familiare al tempo stesso
che mi chiedo perchè non ho mai visto prima questo giardino
guardando lui. Il frinire di una cicala accompagna lieve i miei
pensieri, come se oggi fosse un qualunque giorno d'estate. E' la
sua voce che mi scuote quando mi chiama:
-Remus, vieni a vedere!-
Ecco Sirius, lo sorprendo a scrutare
qualcosa nel tronco di una vecchia quercia. E' in ginocchio,
incurante del fango sotto di lui, e guarda con occhi rapiti un
segno inciso nella corteccia, una piccola S al contrario
tracciata pazientemente nel legno da una mano infantile. Guardo
lui e lo vedo sorridente e commosso, e l'uomo sta guardando negli
occhi se stesso bambino.
Sotto al segno a terra c'è una grossa
pietra, e lui la solleva e sembra sorpreso di quanto sia leggera.
Sotto la pietra una scatola di latta, forse dimenticata, e lo
sento sospirare mentre la prende e con dita tremanti la sfiora e
la apre, e io guardo dentro e non sono sorpreso quando scopro
l'infantile contenuto, una semplice trottola blu. La sua voce è
dolce come l'aria e altrettanto umida di lacrime dimenticate, e
lui mi sta spiegando un perchè che non gli ho chiesto.
-Non è mia, sai. Era di Regulus. Una
volta lanciandola ruppe un vetro della credenza. Mio padre era
furioso e voleva bruciarla. Lui piangeva e io la presi e la
nascosi qui. Vedi l'iniziale? Avevo sei anni e non sapevo
scrivere la R. E come vedi anche la S mi dava qualche problema.-
Sorrido a pensarlo bambino, impegnato a
consegnare al futuro quel piccolo ricordo dimenticato.
-Regulus amava questa trottola. Quel
giorno mi disse che voleva tenerla per sempre con lui. L'avevo
dimenticato.-
E' triste, e so che ricorda come me il
giorno d'estate in cui suo fratello fu sepolto, e la piccola
tomba del giocattolo nel cortile di casa mi sembra più vera e
dolce di tutto il marmo dei miei ricordi.
Rimasi lontano quel giorno, distante
da lui, un estraneo che si aggira ai margini del dolore e del
lutto. Ricordo che pensavo che la morte dovrebbe prenderci
d'inverno, che la pioggia sul cimitero avrebbe confuso le lacrime.
Vidi tutta la famiglia dal mio nascondiglio sotto il sole, e vidi
dolore, e per la prima volta i miei occhi parziali li
contemplarono umani. Sapevo già allora che li avrei per sempre
rivisti nei sogni, che nella mia lotta giusta e implacabile
contro tanti di loro avrei da lì innanzi scorto una goccia di
umanità.
Qualcuno si è accorto nei secoli di
come sia freddo il marmo? Sentivo la pelle fresca nonostante la
canicola, e anche la terra non poteva scaldarmi, soffocata dalle
fredde pietre che custodiscono coloro che furono. Mi sentivo un
intruso sebbene non mi fossi avvicinato, e diviso da Sirius non
sapevo che farmene delle mani.
Lui, nonostante il diritto del
sangue, si teneva lontano dall'ira dei suoi, impressa come un
marchio sulla sua pelle dalle dita impietose di Bellatrix.
Restava distante, diritto e in lacrime, silenzioso e splendido, e
guardava seppellire suo fratello con gli occhi chiusi. Volevo
essere fuori da quel luogo, lontano dalle parole confuse del rito
latino, e volevo essere vicino a lui, e dimenticare il freddo del
marmo nel suo calore così familiare. Volevo asciugare le sue
lacrime e volevo raccoglierle e farne una collana da donare forse
a sua madre, a ricordarle per sempre il dolore. Rimasi fermo sul
cancello del cimitero a contare ogni perla dei suoi occhi.
Il mondo era immobile e gelido. Io
stesso mi sentivo immobile e gelido, e troppo distante da loro
quando lo vidi dire addio a sua madre. Lo osservai abbracciarla
con la scusa della debolezza di lei, e lo vidi girarsi ed
avvicinarsi a me. Qualcosa spezzò il ghiaccio attorno a me, e
tornò il calore con la sua presenza, e misi un braccio sulla sua
spalla quando mi disse -Ho freddo.-
E qualcosa nei suoi occhi mi parlò,
come mi era già successo, e vidi che aveva sepolto un fratello
che ricordava bambino, e che quel bambino stava piangendo. E
seppi che aveva lasciato una donna che aveva chiamato madre, e
che quelle lacrime erano anche per lei.
Uscimmo dal cimitero. Lui mi
camminava di fianco, il dolore ancora in strisce impudiche sul
volto pallido, e insieme lasciammo la sua infanzia sepolta in un
cimitero.
Oggi guardo Sirius rinnovare il suo
dolore con una sola perla, e so prima di lui dove andremo quando
mi dice -Moony, vorrei ridare a mio fratello la sua trottola.-
________________________
Qui è tutto come lo ricordavo, tranne
il dolore. C'è l'erba e il marmo e i fiori seccati dal sole, e
la presenza viva di chi non c'è più. Manca solo quel dolore
straziante, che adesso si è fuso nella dolce tristezza impressa
negli occhi di Sirius.
Da quando è tornato ogni giorno è
stato costretto a reimparare una piccola certezza. Ma oggi non c'è
indugio, lo vedo dirigersi fermo verso il mausoleo freddo della
sua fredda famiglia. Non ha dimenticato il dolore in questi anni,
non ha dimenticato loro. Fuggevole mi sfiora un pensiero, non so
se li abbia perdonati in questi anni. Io non l'ho fatto, però ho
imparato la gratitudine per il dono di Sirius.
Lo vedo chinarsi sulla lastra incisa e
poggiare il giocattolo come un fiore sotto il nome scolpito. La
trottola blu ha ora una nuova tomba.
-Non riesco a non pensare- comincia
Sirius, e la voce dolce impregna l'aria come un profumo, -che ora
sia più giusto. Che ovunque sia, ora è più sereno, il mio
fratellino.-
Il suo volto magro è asciutto ora, ma
sento la mia guancia bagnarsi di una lacrima, e piango al posto
suo la sua perdita, e quella parola, fratellino,
rimbalza nelle mie orecchie e mi riempie di una nostalgia che non
mi appartiene, del ricordo di risa che non ho mai sentito, e dopo
tutti questi anni sono dentro al suo dolore.
Sento la sua mano sul mio volto, ad
asciugare quelle lacrime ingiuste, e quando alzo gli occhi lui
sorride.
-Sono felice che tu pianga per me.- mi
dice, e non so perchè, ma lo sento più giusto, ora, sento
Sirius più vicino e anche questo cimitero non mi gela più.
Abbiamo scoperto una nuova serenità,
una calma sconosciuta al turbine della nostra vita, e ci avvolge
nel silenzio di quel piccolo luogo austero, mentre con occhi
distratti scorriamo i nomi sulla fila di lapidi finchè le
lettere perdono i contorni e le storie si mescolano. Perchè
adesso Sirius parla, racconta di persone, ed è tornato il suo
infantile sarcasmo che non sentivo da una vita.
Poi, come per caso, arrivo ad una lapide
recente, e la trovo senza nome. Mi assale lo stupore, e chiedo a
Sirius per sapere chi sia questo sconosciuto Black che non abbia
voluto essere ricordato come Black.
Lui osserva, silenzioso per qualche
attimo, mentre io ascolto il suo respiro e affido la mia
comprensione alla sua memoria.
-E' la tomba di mia madre.- mi dice, la
voce calma e calda. Forse percepisce la mia curiosità
inespressa, e sa che forse capirò, perchè continua -Questa è
l'ultima frase che le ho detto in questa vita.-
E mentre scolpisco nella mia mente le
parole incise sulla pietra, sento che la mia opera è conclusa.
Ora davvero conosco l'uomo che è davanti a me, vedo le sue
strade e le sue radici, le scelte coraggiose e il dolore, e tutto
l'amore e l'odio che hanno fatto di lui colui che è.
-Non posso tornare indietro.-
sussurra, e la parola si scioglie in pianto e io accolgo con
gioia le sue lacrime liberatorie, la mia comprensione e il suo
abbraccio.
Una casa vuota e un cimitero troppo
colmo mi hanno insegnato la sua vita. E mentre lo stringo come se
fosse la prima volta, vorrei dire al mondo: ecco, questo è
l'uomo Sirius Black, e se qualcuno ancora non lo capisce, lo
cerchi tra le righe di questa storia, nel suono del suo pianto,
nelle stanze e tra le tombe, perchè qui io l'ho trovato.
Ecco qua, questo è tutto. Il pezzetto che chiude la storia, l'ultima
pennellata del quadro... Questo era quello che volevo dire. Grazie di essere
arrivati fin qui.
Grazie a chi ha letto, a chi ha recensito, a chi ha scritto come me di questi
personaggi, in qualunque modo l'abbia fatto e in qualunque modo lo farà. Grazie
a chi ha avuto pazienza e a chi si è stancato prima della fine. Grazie a chi ha
scardinato questo cassetto e mi ha fatto tirare fuori tutto.
E, in qualche strano modo, grazie ai giardini selvaggi e incantati, alle
soffitte polverose e piene, alla pioggia, ai libri, alle scale e alle case piene
di stanze e ai cimiteri, alle ombre e alle famiglie, che sono tutte cose che mi
fanno sempre venire voglia di scrivere.
Miki
Agartha: Com'è bello leggere la tua interpretazione riga per riga,
quasi, e vedere il tuo modo speciale di cogliere le luci, le ombre, le metafore
e i legami tra le frasi! Hai davvero ricostruito le parole e le emozioni che ho
trasfuso nella storia in maniera precisa, giusta, essenziale. Leggendo il tuo
commento, dall'inizio alla fine, ho provato la sensazione di vedere tutta la
storia dall'esterno. Mi ha fatto bene, sai? A volte mi sembra che sia così tanto
di me in quel pezzo di storia, che fatico a vedere i confini di quelle che sono
le parole scritte. Perdo di vista il significato. Invece la tua occhiata, le tue
sensazioni, me lo fanno riscoprire. Regulus... a volte mi chiedo se questo
Regulus non sia tutte le mie ombre. Ma poi, leggendo il tuo commento, ricomincio
a vederlo con una nuova luce. Sai quante volte mi sono trovata a pensare "non mi
ero accorta che l'avevo scritto per questo"? La tua recensione ha fatto
risaltare tante sfumature di questo Regulus dentro la mia mente, non so bene
spiegarti come, solo che ho visto delle cose che prima non c'erano, ecco. La tua
analisi ha qualcosa di geniale, è un'introspezione nell'introspezione, e mi sono
accorta che mi ha permesso di imparare qualcosa di me. Davvero, Agartha, non so
come ringraziarti per questo. Un bacione grande.
Chu: Ah, la mia dolcissima sorellina Chu! Grazie davvero tanto per il
tuo commento entusiasta. Sono molto contenta che ti piaccia questo Regulus un
po' strano, del quale volevo soprattutto mettere in luce gli aspetti del suo
rapporto con Sirius che sono esattamente quelli che hai colto. Al di là di
tutto, penso che il loro rapporto dovesse essere molto stretto, nel bene e nel
male, anche se questa è un'interpretazione personale. Sono davvero contenta che
ti sia piaciuta. Mi è piaciuto molto il modo in cui hai notato e letto la
presenza della madre, che forse più di tutti ha condizionato l'esistenza di
Regulus con la sua indifferenza, relegandolo al ruolo di ombra. A questo uomo
ombra ho cercato di dare un po' di vita sulla carta, e il tuo commento mi ha
dato la sensazione di esserci riuscita. Grazie tantissimo, per la tua dolce
presenza e i tuoi complimenti bellissimi, e per il tuo adorare lo zio Regulus,
che penso un po' se lo meriti. Un bacione grande.
Mise_keith: Sono molto contenta di conoscerti, prima di tutto. Ti
ringrazio per il tuo commento, l'ho trovato estremamente profondo e poetico, mi
ha fatto riflettere, anche, soprattutto sui concetti di amore e odio. Ho cercato
di mettere in questa storia tutta una serie di sentimenti che sono più o meno
propri di ciascuno di noi, rendendoli alle volte sottili e alle volte
prepotenti, e cercando nel contempo di fare del linguaggio uno strumento di
condivisione di queste emozioni e sensazioni. Leggere il tuo commento,
essenziale e preciso, mi ha dato moltissimo, perchè mi ha fatto capire che tanto
di quello che ho messo tra le righe è stato letto. E mi ha fatto commuovere, nel
modo in cui tu hai usato le parole per descrivere tutta questa umana follia che
ho tentato di mostrare. Grazie davvero per aver capito. Un bacione grande.
Joy: Tu non puoi neanche immaginare, Joy, cosa mi ha scatenato dentro
questa tua recensione. Come mi ha reso felice e mi ha emozionato, come mi ci
sono ritrovata. La cosa speciale è stata notare ancora una volta come la tua
attenzione si sia posata con la tua grande sensibilità su quei particolari e
quei dettagli che più di tutti avevano emozionato me mentre scrivevo. Le scelte
di Regulus, sbagliate ma umane, e il loro legame con le radici nella sua casa e
nella sua famiglia, sono il movente di tutto il racconto, insieme alla sua
visione così personale e indistruttibile di suo fratello. Tu hai colto ogni
sfumatura di questo. Con la tua grandissima sensibilità mi hai fatto vedere di
nuovo queste cose. Il paragone che fai con l'arazzo è bellissimo e preciso, e
sebbene paradossalmente io abbia sempre immaginato questa storia come un quadro,
in cui è predominante il gioco di luci e ombre sulla tela, ho trovato che la tua
immagine rende ancora di più l'idea. Perchè ho cercato di intrecciare dei fili,
e perchè come per tutti i tessitori, da dietro non ho quella visione di insieme
che tu mi hai descritto meravigliosamente con le tue parole. E infine, le tue
ultime righe mi hanno stretto lo stomaco, perchè alla fine, nonostante io ami
scrivere, non riesco mai a capire se c'è vita nelle mie parole, e tu mi hai
detto che c'è. Grazie, Joy, davvero, tantissimo. Un bacione grande.
Serpedoro: Eccoti qui, tu che sei la responsabile di tutto questo.
Prima di tutto, prima di risponderti, grazie ancora. Di essere qui, prima
di tutto. Di farmi arrossire e di incoraggiarmi, di farmi riflettere e di
parlare con me. Detto questo, anche se non ancora abbastanza, parliamo di
Regulus. L'amore per questo personaggio deriva per me proprio dal suo essere un
abbozzo, nei libri, e in fondo a ben pensarci sappiamo qualcosa solo della sua
morte. Da questo, dal suo tradimento, è nata questa interpretazione. Regulus per
me è un po' un mistero, sempre. Non sapremo mai cosa sarebbe stato diversamente.
Io non saprò mai quanto Sirius abbia influenzato le scelte che l'hanno portato a
questa morte precoce e forse ingiusta, per questo non posso fare a meno di
cercare di immaginarlo. Leggere che quello che ho immaginato ti emoziona
emoziona me, profondamente. Così come mi emoziona il tuo cogliere il grande
sottinteso, l'atmosfera malata della casa. E quell'immagine a cui neppure avevo
pensato, di Regulus chiuso nella bara, e del buio che lo protegge da quel gesto
che per lui sarebbe, forse, l'ultima beffa. Torno, doverosamente e con tanto
piacere, a ringraziarti, per aver letto tra le righe così profondamente da
emozionarmi. Grazie davvero tanto. Un bacione grande.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=52141
|