Il nostro destino

di pachelbel90
(/viewuser.php?uid=102369)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Pensieri ***
Capitolo 2: *** 2.Furia e resa ***
Capitolo 3: *** 3.Preparativi ***



Capitolo 1
*** 1.Pensieri ***


Ringraziamenti: volevo ringraziare le persone che avevano commentato in precedenza e che avevano inserito questa storia tra le seguite. Mi scuso infinitamente per l'errore commesso. 

Purtroppo non so quanto velocemente riuscirò a postare; per fortuna ho un po' di capitoli pronti. Mi scuso se non sarò costante, ma il fandom RDJude mi occupa un sacco di tempo e invade i miei pensieri...<3 ___ <3 Comunque non disperate, non vi abbandonerò! Buona lettura!

CAPITOLO 1: PENSIERI

 

Aprii gli occhi. Tutto intorno a me era bianco. Ma…era un sogno? Oppure era la realtà?

Certo che era la realtà! Mi trovavo in una distesa ghiacciata, e per miglia e miglia non si vedeva niente, solo il bianco della neve…persino ad occhi ben più penetranti degli umani! Gli occhi di un vampiro. O meglio, dovrei dire mezzo-vampiro.

Infatti io non sono un vero e proprio vampiro. Sono il risultato di un incrocio tra un’umana, mia madre, e un vampiro, mio padre. Non siamo in molti; per quanto mi ricordo esistono solo altre quattro persone come me, Nahuel e le sue tre sorelle. Purtroppo la loro nascita violenta ha causato la morte delle loro rispettive madri, mentre io sono l’unica mezza-vampira della Terra ad avere una madre, per fortuna. Il mio amore per la mia strana famiglia supera ogni immaginazione.

Mi presento: il mio nome è Renesmee, e fra poco compirò sei anni. In realtà non li dimostro affatto!

Non sono tanto alta, non ho ancora raggiunto l’altezza della mamma, che certo non è una stanga. Ho gli occhi di lei, prima che diventasse vampira, cioè di un bel color cioccolato, a detta di tutti, ma che io in realtà trovo insignificanti. Il colore dei miei capelli è quello del mio papà, ramati, e ricci, come quelli di nonno Charlie. Ad occhi umani posso sembrare una quindicenne, ma purtroppo per ora non so molto bene cosa potrebbero pensare di me, dato che non ho mai parlato con un essere umano all’infuori del nonno, di Sue Clearwater e Billy Black, che comunque sanno, o almeno hanno una vaga idea, di ciò che siamo e soprattutto di ciò che sono.

Prerogativa dei mezzi-vampiri infatti è quella di crescere molto in fretta, perciò per ora mi è stato vietato di farmi vedere troppo dagli umani. La mia crescita repentina potrebbe spaventarli. Dovrò ancora aspettare un anno: dopo sette anni di vita infatti la crescita di un mezzo-vampiro si ferma e si vive per sempre. A meno che qualcuno non decida il contrario. Io non sono immortale; o meglio, per un certo verso sì. Tutti i vampiri lo sono, anche se c’è un modo con cui possono venire uccisi. Ma io? Io non sono un vampiro normale. Come si uccide un mezzo-vampiro? Basta solo metà della procedura usata per i vampiri normali? Per uccidermi basterebbe solo tagliarmi in mille pezzi oppure solo essere bruciata? Dato che per i vampiri veri occorrono entrambe le procedure, per me, che sono metà vampiro, basterebbe solo metà di questa tortura?

Oh, ma cosa vado a pensare?? Non dovrei farmi prendere da pensieri così deprimenti, soprattutto quando sono sola. Pensai.

La verità è che mi mancava qualcuno con cui scherzare e giocare, come facevo da piccola. Certo, avevo i miei fantastici genitori, che dimostravano solo pochi anni più di me, essendo fermi entrambi alla splendida età di diciassette anni l’uno e diciotto l’altra; avevo i miei splendidi zii e i miei nonni, più belli di qualsiasi divo del cinema. Ma, pur volendo loro un bene immenso, sapevo di chi avevo bisogno in quel momento.

Avevo bisogno di Jacob Balck. Il mio Jacob, il mio lupo rossiccio. Da quanto tempo non lo vedevo? Da mesi ormai.

Sì, perché poco dopo che i Volturi vennero a farci una “visita di piacere”, la mia famiglia decise di abbandonare Forks, e trasferirsi per un po’ dal clan di Denali, in Alaska.

Ed ecco qui spiegato il bianco intorno a me!

Decisi di scacciare questi pensieri dalla mia mente e di concentrarmi solo sulla mia preda, che si mimetizzava tra i ghiacci. Se solo ci fosse stato Emmett con me!! Si sarebbe divertito a dare la caccia all’orso.

All’improvviso lo vidi: un maschio, bello e maestoso, e temibile per qualsiasi umano. Ma io ero umana solo a metà, perciò l’orso polare prima mi guardò, per capire quanto potevo essere pericolosa, poi, appena vide i miei canini, sentì il pericolo e provò a scappare, ma fu tutto vano. Con un balzo mi fiondai sul suo collo e, tenendolo fermo con le mani, gli portai via tutto il sangue che aveva. Finito con lui, mi sentii sazia.

Di solito quando cacciavo mi era facile sentirmi un vampiro come tutti gli altri. Ero letale proprio come loro; il cibo umano non mi attirava, preferivo di gran lunga bere il sangue di qualche animale. Anche io, come tutti, avevo deciso di astenermi dal cacciare gli umani, proprio come voleva Carlisle, mio nonno. Seguivo la dieta “vegetariana”, come amavamo definirla, e sinceramente ne ero ben felice. La mia parte umana si rifiutava categoricamente anche solo di pensare di assaggiare sangue umano. E poi diciamocelo: avevo paura che mi diventassero gli occhi rossi, e di certo non mi avrebbero donato affatto!

Decisi di tornare a casa, così mi misi a correre; ma i pensieri continuavano a tormentarmi e la mia andatura non era veloce quanto avrei voluto e dovuto; tanto per cominciare la mia temperatura non è fredda quanto quella dei vampiri, anzi, è molto più calda, perciò mi stavo quasi congelando, e poi i miei, quando mi mandavano a caccia da sola, non volevano che mi allontanassi troppo, o che almeno non stessi troppo tempo lontano da casa.

Rinunciai a correre, e mi misi a camminare, con passo abbastanza sostenuto, pensando. Mi sarebbe davvero piaciuto tornare a Forks. Lì mi sentivo a casa, anche se avevo passato più tempo in Alaska che nello stato di Washington. Ma com’è che si dice? È il posto in cui si è nati dove ti senti più a casa tua? Oppure è il posto dove ti sei trovata meglio? Non ricordavo molto bene.

Il fatto è che volevo tornare. Mi mancavano i pini, le distese di alberi, e non di ghiaccio, animali diversi da foche e orsi polari. E mi mancava la grande casa Cullen dove ero nata, dove avevo giocato.

E poi tutta questa neve mi faceva venire in mente quella terribile mattina in cui avevo pensato di morire. Nonostante avessi solo qualche mese di vita, ricordavo molto bene di avere percepito l’ansia e la rassegnazione della mia famiglia, dei licantropi Quileutes e dei vampiri coraggiosi che erano venuti a testimoniare in mio favore. Avevo sentito la stretta di mia madre più forte del dovuto, gli sguardi di mio padre sostenuti, come se fosse l’ultima volta che mi vedeva. E avevo visto il mio Jake preoccupato. Da morire.

Ecco un altro motivo per cui desideravo tornare. Jacob. Il mio amico mi mancava in maniera terribile. Lui era il mio migliore amico, il mio protettore, e la sua mancanza si faceva sentire ogni giorno di più, e non solo perché mi mancava giocare con lui. Mi mancava il suo calore, la sua tenerezza e quell’attenzione speciale che riservava solo a me.

All’inizio, quando la mia famiglia decise di trasferirsi, ero troppo piccola per ribellarmi, e poi a dirla tutta ero felice, perché Carmen mi stava molto simpatica, così come tutti gli altri membri del clan di Denali. Non riuscivo a capire che cosa avrei perso lasciando Forks. Lasciando lui. Perciò non mi opposi.

Le visite di Jacob si susseguirono negli anni, ma sempre più rare e di breve durata. In effetti non ne capivo il motivo…forse si era stufato di stare dietro a una bambina di pochi anni, nonostante la mia crescita accelerata? D’altronde lui era molto più grande di me, e dimostrava di essere ancora più grande del dovuto a causa della sua trasformazione in licantropo.

Decisi di scacciare i pensieri riguardanti il mio amico: mi mettevano troppa tristezza.

Mi concentrai quindi su un altro bell’aspetto del mio possibile ritorno a Forks. Io volevo andare a scuola. Certo, c’era il problema che assomigliavo in maniera terribile a mio padre, e gli occhi ricordavano troppo quelli di Bella e di nonno Charlie. Era passato troppo poco tempo da quando Edward Cullen e Bella Swan avevano frequentato il liceo di Forks, si erano fidanzati e si erano sposati, mentre gli abitanti del piccolo paese avevano sparlato sulla loro unione e sul loro matrimonio improvviso e dal loro punto di vista prematuro. Di certo qualcuno si ricordava di loro, e avrebbe potuto notare la somiglianza incredibile che c’era tra di noi.

Però avevo un piano.

 

 

 

Senza rendermene conto mi misi a correre e in breve tempo fui a casa.

I Cullen erano tutti là; i membri del clan di Denali invece non c’erano. Li sentivo, con i miei sensi super-sviluppati, allontanarsi da casa per andare a caccia. Evidentemente stavano aspettando solo il mio ritorno; chissà perché non mi avevano salutato…

Guardai i miei genitori: Edward e Bella, seduti su un divano, si guardavano negli occhi con uno sguardo così intenso da mettere quasi in imbarazzo coloro che per caso si trovavano a guardarli. Zia Rosalie, bellissima nel suo vestito rosso, stava giocando a scacchi con Esme, la mia cara nonna apparentemente trentenne. Mio nonno Carlisle, bello come il sole, stava chiacchierando con mio zio Jasper, alto e leonino; zia Alice stava dipingendo, veloce e perfetta, mentre zio Emmett, grosso come l’orso di cui mi ero appena cibata, la stava infastidendo. La mia strana, numerosa e perfetta famiglia di vampiri! Li guardai con attenzione. In effetti in questo momento sembravano quasi umani.

Appena  misi piede in salotto si voltarono tutti a guardarmi e mi sorrisero con calore. Mi amavano più di ogni cosa, era chiaro. Il pensiero di scatenare un possibile litigio riguardo al mio desiderio nascosto mi fece quasi rivoltare lo stomaco: come potevo farli preoccupare così? E poi…ero sicura che fosse nascosto? D’altronde avevo un padre che sapeva leggere nel pensiero! Ma ero stata attenta a nascondergli tutto, pensando sempre ad altro quando c’era lui nei paraggi.

“Nessie! Avevo capito che stavi per arrivare quando eri ancora a miglia da qui! Hai il fiato pesante quando corri.” scherzò zio Emmett.

Non essendo un vero e proprio vampiro, il mio cuore batteva, come quello degli umani, e sebbene riuscissi a correre veloce quanto i vampiri, il mio cuore si affaticava. Allo zio piaceva prendermi in giro per questo; io invece non lo sopportavo.

“Emmett, ti ho già detto di non chiamarla così! Quello stupido nomignolo datole da Jake non mi va proprio giù, e gradirei che voi non lo usaste!” disse irritata mia madre. Tuttavia, quando pronunciò il nome di Jake, la sua espressione si rilassò e fece un gran sorriso. Jacob mancava anche a lei; d’altronde era anche il suo migliore amico. Era una cosa che mi piaceva moltissimo: avere lo stesso migliore amico della mamma.

“Scusalo Bella, lo sai che tuo fratello è un idiota!” disse papà, e poi continuò, rivolto a me

“ Senti tesoro, non riuscirò a leggere cosa stai pensando, dato che tua madre ha potenziato tanto il suo scudo da tenerti quasi sempre protetta quando sei con me…però so leggere le persone anche senza ascoltare i loro pensieri. Mi sembri preoccupata. Vuoi dirmi che cos’hai?”

Ecco il motivo per cui il clan di Denali se n’era andato senza salutarmi. Evidentemente Edward aveva detto loro qualcosa, e quindi con molto tatto avevano deciso di non mettere il naso in questa storia, che riguardava solo i Cullen.

Questo significava che papà aveva capito che c’era qualcosa che non andava.

Come avevo pensato di potergli nascondere qualcosa?

Però in effetti mi sembrava fin troppo tranquillo: forse non aveva indovinato il mio desiderio. Aveva solo capito che c’era qualcosa che morivo dalla voglia di dire.

Il mio povero papà non immaginava neanche lontanamente che stessi per fargli una richiesta così tremenda; ai loro occhi certo, non ai miei. Io la consideravo una richiesta più che accettabile! Quale genitore al mondo avrebbe proibito al proprio figlio di non andare a scuola, per di più nel suo stesso liceo?   

Nonostante tutti i miei buoni propositi in quel momento mi sentivo un mostro. Ma come potevo  fare loro una domanda del genere? Come potevo chiedere a coloro che avrebbero rischiato la vita per me, e che lo stavano per fare in passato, di accettare la mia richiesta, così pericolosa per me, per loro e per la nostra segretezza?

Ma come potevo non fargliela? Era dei miei desideri che si stava parlando in fondo, no?

Mia madre, dolce e premurosa come sempre, spezzò il silenzio che si era creato dopo le parole di mio padre e mi disse:

“Tesoro, puoi chiedere tutto quello che vuoi! Avanti, parla.”

Ecco appunto, proprio come immaginavo! Non mi avrebbero mai detto di no. La mia io-diavolo, o come preferivo chiamarlo, il mio lato umano, stava esultando dopo le parole di Bella.

La mia io-vampira invece sapeva che non mi avrebbero accontentato, non questa volta almeno.

Tutte le persone che sapevano di come definivo i miei due io non capivano e dicevano che sarebbe dovuto essere il contrario. Per me invece era logico! Il mio lato umano era quello più debole, più incline a farmi sperare per il meglio, proprio come facevano gli umani. Il mio lato vampiresco invece era razionale e valutava sempre al meglio le possibilità che mi si presentavano davanti, tralasciando la stupida speranza umana. Di solito, se seguivo il mio lato umano, mi mettevo sempre nei guai. Se seguivo il mio lato vampiro, al contrario, andava tutto per il meglio.

Ora comunque sto divagando davvero troppo con i pensieri. Per fortuna che sono schermata! Pensai.

Con riluttanza decisi di seguire il mio lato umano; nonostante sapessi che era il più debole, lo facevo vincere quasi sempre. Così mi feci coraggio, presi un bel respiro profondo e sbottai:

“Voglio tornare a casa nostra. A Forks. So che è impossibile per voi tornare, perciò pensavo di andare senza di voi. Potrei trasferirmi da nonno Charlie, sempre se lui è d’accordo. E vorrei anche frequentare la scuola di Forks. So che la somiglianza con te, papà, e con te, mamma, potrebbe spiazzare, perciò pensavo di farmi passare per una lontana cugina di Edward e mettere delle lenti a contatto colorate per nascondere il vecchio colore degli occhi di Bella. Cosa ne pensate?”

Avevo parlato tenendo la testa bassa, lo sguardo fisso sul pavimento; quando alzai lo sguardo, davanti a me non c’erano più le persone quasi umane che avevo visto al mio arrivo. Ora davanti a me c’erano otto vampiri sconvolti e infuriati.  

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2.Furia e resa ***


CAPITOLO DUE: FURIA E RESA

 

I loro sguardi dicevano tutto ciò che non riuscivano a dire a parole. Non si aspettavano di certo una richiesta simile da parte mia; io d’altro canto mi aspettavo proprio questa reazione da parte loro.

In una frazione di secondo fui sommersa dalle grida dei miei familiari, che tutti insieme, persino la tollerante Esme, mi negavano ciò che avrei tanto voluto, adducendo scuse inutili come causa del loro rifiuto.

“Renesmee, sei impazzita per caso?”, la mamma.

“Tu mi vuoi proprio fare del male, non tieni minimamente a me!” zia Alice.

“Non posso crederci che vuoi lasciare questo posto Nessie; perché vuoi tornare a Forks? Lì ci sono troppi brutti ricordi!” zio Emmet.

“Renesmee, sai benissimo che non possiamo tornare a Forks. È passato troppo poco tempo da quando ce ne siamo andati da lì, le persone si ricordano di noi, e noteranno subito che nessuno di noi è cambiato!” Carlisle.

“Scommetto che c’entra quel cane! È lui che ti ha messo in testa questa idea vero?” zia Rosalie.

“Come puoi pensare che Charlie possa prendersi cura di te? Tu non mangi il cibo umano, si insospettirebbe troppo, e meno cose sa su di noi, meglio è per lui!” nonna Esme.

“Non ti darò mai il permesso di partire, dovessi rinchiuderti nella tua stanza per l’eternità!” papà, inesorabile.

Solo lo zio Jasper, fin’ora, era rimasto in silenzio. Magari stava pensando per bene a cosa dire, oppure si era sentito sommerso anche lui da tutte quelle emozioni violente che erano presenti nella stanza. Infatti urlò:

“Ora basta! Contenete un po’ le vostre emozioni! Sono così infuriato io stesso che non riesco a controllarle, e mi stanno uccidendo! Nessie non puoi minimamente pretendere di volertene andare, non puoi pensare neanche lontanamente di allontanarti da noi, per di più per andare a vivere da tuo nonno! È pericoloso.”

Durante tutte le loro sfuriate ero rimasta in silenzio, ad ascoltare le loro preoccupazioni. Una parte di me rifiutava di procurare loro tutto questo dolore e tutta questa paura; avrei subito dovuto dire che mi rimangiavo tutto, che era stata un’idiozia anche solo pensarlo. Però l’altra parte di me stava puntando i piedi. Io volevo andare a Forks. Volevo crescere. Volevo ritrovare il mio vecchio amico e andare a scuola. Ma perché non riuscivano a capirlo? Spinta dalla forza della disperazione gridai: “Io non sono impazzita. So che sto facendo una richiesta davvero troppo azzardata e che potrebbe essere pericolosa, però io so di potermi controllare. So di essere in grado di nascondere la mia vera natura; posso mangiare del cibo umano, poco certo, ma posso mangiarlo. E non penso che Charlie sia sempre a casa a controllare i miei movimenti. Sarebbe facile per me andare a mangiare nella foresta. E poi, questa idea non ha niente a che vedere con Jake; sappiamo tutti quanti che non lo vedo e non lo sento da Natale. E ora siamo ad agosto.”

A queste parole abbassai lo sguardo. I miei occhi si stavano riempiendo di lacrime.

Ma che mi capitava in questo periodo? Anche solo pronunciare il nome di Jacob mi faceva stare male. Pensai; scacciai questo pensiero dalla mia testa e continuai:

“Perché non riuscite a capire il mio desiderio di crescere e di staccarmi un po’da voi?”

Detto questo, non riuscii a proseguire; sentivo le lacrime cominciare a salire e volai su per le scale, fiondandomi in un baleno sul mio letto.

Odiavo essere una mezza-vampira! Essendo in parte umana, proprio come loro potevo piangere, e questo lo odiavo: dalle lacrime le persone possono capire troppe cose. E a me non piaceva proprio che la gente, soprattutto i miei familiari, si accorgessero subito, a causa delle mie lacrime, che qualcosa non andava.

Ma come poteva avvenire il contrario? Vivevo con dei vampiri che possedevano capacità come leggere nel pensiero e captare le sensazioni presenti intorno a loro. Come potevo nascondere ciò che provavo?

Stavo decisamente delirando!

Dovevo uscire da quella casa, e subito anche! Con un balzo uscii dalla finestra e mi misi a correre il più veloce del previsto. Mio padre non era riuscito a captare i miei pensieri: evidentemente lo scudo della mamma era ancora attivo. Perciò non avevo nessuno che mi stesse inseguendo per riportarmi indietro e impedirmi di fare la pazzia che stavo per compiere.

Ero furiosa, avrei distrutto qualsiasi cosa mi fossi trovata sotto mano. Ma non c’era niente da distruggere!! Solo cumuli di neve e neve e neve e ancora neve! Possibile che ci fosse solo questo? Non c’erano alberi da sradicare, cespugli da distruggere…niente. Non c’era assolutamente niente attorno a me, a parte la grande casa che mi stavo lasciando alle spalle. Ma avevo troppo rispetto per Tanya per distruggerle la casa!

Dovevo assolutamente trovare qualcosa da fare, correre non mi bastava più; mi misi ad annusare.

Purtroppo per loro, l’odore di un grosso gruppo di foche mi giunse fino al naso. Localizzato il luogo mi ci fiondai, veloce come un razzo. Al mio arrivo, proprio come aveva fatto l’orso polare quel pomeriggio, rimasero un po’ interdette. La mia metà quasi umana faceva sì che all’inizio non fossero così spaventati, come invece succedeva con i vampiri normali. E questo mi fece infuriare ancora di più.

Se fossi stata un vampiro, ero sicura che sarei stata forte abbastanza da far capire alla mia famiglia che non avevo bisogno di nessuna protezione, che ero in grado di vivere la mia vita anche senza il loro aiuto. Purtroppo non lo ero. Ero solo una schifosa mezzosangue!

Accecata dalla rabbia e dal dolore, mi fiondai sulle povere foche, facendole a pezzi una dopo l’altra, solo per il gusto di farlo.

Proprio mentre stavo per fermarmi, disgustata da quello che stavo facendo, due mani forti mi strinsero da dietro e mi trascinarono via da lì. Lottai contro queste mani, ma mi sentii pervadere da una sensazione di tranquillità, che mi fece subito bloccare.

Mi girai.

Jasper era lì con me. E c’era solo lui.

Lo guardai negli occhi e lui ricambiò il mio sguardo con una strana espressione in viso. Senza pensarci, mi strinsi forte a lui e scoppiai a piangere. Lui, stranamente, mi strinse a sé.

Non ricordavo di essere mai stata abbracciata da Jasper. Il sangue che scorreva nelle mie vene gli dava fastidio, un fastidio tremendo in realtà, e lui non era ancora tanto bravo a controllare la sua sete. Fin da quando ero piccolina ricordavo di dovergli stare lontana e di non stuzzicarlo troppo. Avevo imparato a mascherare il mio odore, affinché non fosse tanto forte da dargli problemi. Sapevo che mi voleva bene e che non sarebbe mai stato in grado di farmi del male, ma dato che anche io gliene volevo, tentavo di facilitargli il compito.

Mi staccai da lui e lo guardai. Come immaginavo aveva smesso di respirare, tuttavia aveva un’espressione abbastanza rilassata. Mi sorrise e disse: “Anche io ti voglio bene Nessie, e ti sono davvero grato che tu mi renda il più facile possibile starti vicino.”

Ops! Evidentemente, mentre lo abbracciavo, non avevo controllato il mio potere, e lui aveva visto tutto ciò che avevo pensato. Arrossi violentemente. E poi subito dopo mi allontanai da lui.

Cavolo, non dovevo arrossire! Era peggio!

La sua risata mi raggiunse e scoppiai a ridere anche io, meravigliata dal suono della sua risata. Rideva così poco spesso. Ed era un peccato, perché aveva una voce bellissima e molto musicale.

Jasper si avvicinò lentamente a me dicendo:

“Dai piccola, torniamo a casa.”

Lo seguii senza fare una piega. Mentre correvamo uno vicino all’altro gli chiesi:

“Come facevi a sapere dove fossi?”

“Beh, tua madre, non trovandoti in camera, ha tolto lo scudo per consentire a Edward di localizzarti. Appena ti abbiamo localizzato ho convinto tutti a farmi venire qui da solo.”

“Perché da solo?”

“Beh, perché è più facile controllare le emozioni di una sola persona che di due.” e mi sorrise.

Certo, dovevo ammettere che aveva senso. Ero felice che fosse venuto da solo, altrimenti non ci saremmo mai scambiati l’abbraccio che ci eravamo dati poco prima. Chissà perché tenevo tanto a questa cosa… Forse perché non ero del tutto sicura dei suoi sentimenti verso di me e volevo la conferma che il mio bellissimo zio mi volesse bene? Probabile.

Jasper mi guardò, confuso. Le mie emozioni erano confuse quanto la sua espressione in quel momento, e per fortuna non riuscì a recepirle tutte. Altrimenti mi avrebbe causato altro imbarazzo!

 

Giunti a casa entrammo insieme in salotto. Tutti erano dove li avevo lasciati. Il clan di Denali non era ancora tornato.

Bella mi corse incontro:

“Renesmee, tesoro, mi hai fatto preoccupare tantissimo!” mi disse; ma io ero troppo concentrata su papà, che stava guardando Jasper. Probabilmente lo zio gli stava facendo un resoconto dettagliato di ciò che era successo. Sperai che si tenesse per sé ciò che gli avevo trasmesso col mio potere.

Guardai papà e gli chiesi:

“Papà, per favore. Io voglio andare.”

Si girò lentamente verso di me e disse: “No”

Secco, sbrigativo. Doloroso.

Neanche Jasper riuscì più a controllare tutte le mie emozioni.

A passo umano questa volta, mi rintanai in camera mia e mi accucciai sul letto.   

Smisi di pensare e lasciai che tutte le lacrime cadessero sul mio cuscino e lo bagnassero; alla fine, stanca di tutta la forza che avevo sprecato per piangere e pensare, mi addormentai.

Ma poco prima di addormentarmi sentii due mani fredde che mi sfioravano la guancia: aprii pian piano gli occhi e intravidi la sagoma di mia madre. Senza dirle niente, sprofondai nel sonno.

 

La mattina dopo mi sentivo uno straccio. Mi trascinai in bagno e mi guardai allo specchio: avevo una bruttissima cera, gli occhi gonfi e le occhiaie pronunciate. I capelli mi si erano appiattiti in cima, e i miei boccoli, di solito definiti come quelli delle modelle delle pubblicità per capelli, avevano assunto la forma delle balle di fieno. Ultimo ritocco a questo splendido spettacolo era il segno del cuscino sulla guancia destra.

Dato che non avevo nessuna intenzione di uscire dalla mia stanza, anche perché se fossi uscita sarei partita seduta stante e il mio caro padre me lo avrebbe sicuramente impedito, mi lavai solo la faccia, i denti e ritornai a letto.

Rimasi per ore a guardare il soffitto, come potrebbe fare un carcerato nella sua cella. Ecco, io in quel momento ero proprio come un carcerato, con la sola differenza che almeno lui aveva l’ora d’aria, mentre a me non era concessa neanche quella.

Provai a cancellare tutti i pensieri che mi affollavano la mente e stranamente ci riuscii, ripiombando nel mio stato comatoso.

Verso la fine del pomeriggio sentii la voce di Carmen levarsi alta dalla cucina al piano di sotto. Il clan di Denali era tornato durante la notte, quando io ormai dormivo già; così non sapevo quanto loro sapessero di ciò che era successo in casa loro durante la loro assenza, ma dato che nessuno di loro entrò nella mia stanza, capii che probabilmente qualcuno doveva averli informati sull’accaduto. Io puntavo su Carlisle. Era lui il portavoce, il capo, la mente del nostro clan. Noi lo seguivamo in tutto e per tutto. Lui sapeva sempre qual era la cosa giusta da fare.

Ma allora perché non si era schierato dalla mia parte? Era così sbagliato desiderare di andare a scuola, di tornare alle origini e di rivedere un mio carissimo amico?

Beh, dovevo ammettere che quella era la cosa che io ritenevo giusta per me stessa. Carlisle invece sapeva qual era la cosa giusta da fare per tutto il clan; ed effettivamente la mia richiesta non rientrava nella categoria “le cose giuste per il clan”.

Carlisle non poteva fare nulla per lenire il mo dolore, o per accontentarmi, imponendosi sopra le decisioni dei miei genitori, o anche solo schierandosi dalla mia parte.

Però forse c’era qualcuno che poteva farlo.

Con uno scatto mi misi seduta e ascoltai le voci che provenivano, alte, dalla cucina.

“Io penso che la richiesta di Renesmee non sia così azzardata. Forse dovreste provare ad accontentarla, magari è una mia impressione, ma ultimamente mi sembra sia cresciuta molto, e non intendo solo fisicamente. Ha cambiato modo di pensare. Dal mio punto di vista il suo non è un capriccio. Lei vuole veramente andare a Forks. E se voi le voleste bene davvero…”

Purtroppo non riuscii a sentire la fine del suo discorso, perché le parole di Carmen furono coperte dal sibilo di mia madre, udibile persino alle mie orecchie.

“Cos’è che volevi dire? Tu, come osi permetterti di insinuare che io non voglio bene a mia figlia? Alla mia unica figlia? Io farei di tutto per lei.”

L’aria si stava facendo pesante, così decisi di abbandonare il mio rifugio sicuro e di andare almeno in cima alle scale per vedere che stava succedendo di sotto.

I Cullen e gli altri si trovavano in salotto; Bella, trattenuta a forza da Carlisle, era a un centimetro dal collo di Carmen, che invece era ferma, ma scossa. Evidentemente la spinta che mia madre aveva dato a Carmen aveva fatto sì che si fossero spostati dalla cucina al salotto. Eleazar, il compagno di Carmen, era in posizione di attacco nei confronti della mamma, ma era trattenuto da Garrett, il compagno di Kate che era riuscito a diventare vegetariano. Anche mio padre, trattenuto da Emmett, era acquattato davanti a Eleazar. 

Tutto faceva pensare che sarebbero giunti presto ad uno scontro: il clan di Denali da un lato e i Cullen dall’altro, con Carlisle ed Esme nel mezzo a fare da pacieri. Tutto questo era da evitare! Non volevo che si facessero del male a causa mia!

Improvvisamente però l’atmosfera si fece più leggera e tutti si rilassarono, abbandonando le posizioni di attacco. Jasper stava usando il suo potere per placare gli animi.

“Non voglio che litighiate a causa mia.” riuscii a dire ancora inebetita, poi girai i tacchi e tornai in camera mia.

 

Da questa non uscii più per settimane. Le uniche volte che uscii fu per andare a caccia, tenuta però sotto stretto controllo da Tanya, Bella e Jasper, che ormai uscivano per mangiare solo quando uscivo anche io.

Tutto questo controllo era inutile. Non sarei mai scappata. Non volevo rovinare il rapporto splendido che avevo con i miei familiari; ultimamente era già stato compromesso a sufficienza. Cominciavo a essere stanca di tenere il muso. Ma era l’unico metodo che conoscevo per far capire loro quanto grande fosse la voglia che avevo di tornare a Forks.

Non so cosa successe esattamente, ma una sera, verso la fine di agosto, tutto cambiò.

Zia Alice e zio Jasper si presentarono in camera mia.

Eccoli qua, il messaggero e il controlla-emozioni! Pensai arrabbiata. Era dal giorno del quasi-scontro che non rivolgevo loro la parola, e non avevo nessuna intenzione di smettere proprio ora.

“Nessie, per favore, vorresti smetterla con tutta questa rabbia e frustrazione? Stai facendo impazzire Jasper. Piantala di fare la bambina capricciosa e vieni giù. Dobbiamo parlarti.” disse la zia. Improvvisamente mi sentii svuotata di tutte le emozioni. Al diavolo Jasper e il suo potere!

Cosa potevo fare? Assolutamente niente! Mi costrinsi a seguirli giù per le scale e, arrivata in salotto, vidi che erano presenti tutti quanti, i due clan insieme, seduti vicini. L’unico un po’ in disparte era Edward.

Mi sedetti per terra, davanti a loro. Mi sentivo quasi a un esame, anche se non ne avevo mai dato uno.

Mia madre parlò:

“Senti tesoro, noi abbiamo pensato molto alla tua richiesta. Come hai potuto notare ci sono state tante controversie, e mi spiace se ti abbiamo fatto preoccupare che tra noi avvenisse uno scontro” disse guardando Carmen, che ricambiò lo sguardo e le sorrise. Mamma le sorrise di rimando.

“Abbiamo deciso di accontentarti. Ad una condizione però: dovrai portare sempre con te il telefonino, e soprattutto, allo primo sgarro che fai, ti riportiamo qui. È tutto chiaro Renesmee?”

Non credevo alle mie orecchie! Allora fare la bambina capricciosa portava veramente a qualcosa!! Sarei partita. Avrei abbandonato tutto quel bianco, le foche, gli orsi polari… sarei tornata a Forks. Sarei tornata a casa mia. Avrei rivisto il nonno, sarei andata a scuola, e soprattutto avrei rivisto Jacob. Avevamo tante cose da dirci e tante cose da recuperare! Ci saremmo divertititi un mondo!

Mi alzai in piedi e abbracciai la mamma.

Le parole non servivano. Lasciai che ciò che stavo pensando si riversasse su mia madre che, sentito quello che provavo, mi strinse ancora più forte e mi baciò sulla testa.

“Oh mamma, non sai quanto sono felice!!” dissi ridendo.

Tutti quanti mi si avvicinarono, felici, per complimentarsi con me. Zio Jasper mi abbracciò e mi disse nell’orecchio:

“Sono felice per te piccola. Riesco a sentire la tua felicità, ed è un bel cambiamento per me, dopo tutta la tua rabbia!”

“Grazie tante zio! Mi spiace averti fatto stare male.”

“Tranquilla, è tutto ok adesso!”

Zia Alice ci separò dicendo:

“Ehi tu, giù le mani dal mio uomo!” Tutti la fissammo con sguardo vacuo, e lei scoppiò a ridere dicendo:

“Sto scherzando, sto scherzando!”

Scoppiammo tutti a ridere. Ma c’era qualcuno che non condivideva il nostro stato d’animo. Edward era davanti alla televisione e la fissava con sguardo spento. Sapevamo tutti che non la stava guardando sul serio.

Papà… pensai triste. Come mai gli stavo facendo questo? Mi avvicinai a lui per consolarlo, ma  avvertì il mio spostamento verso di lui, così si alzò e uscì di casa.

Lo rincorsi sino a fuori, ma due mani dolci mi bloccarono. Mi voltai e vidi il volto gentile di nonna Esme, che mi disse:

“Tesoro, lascialo perdere. Gli passerà vedrai. Lui continua a dire che è troppo pericoloso, che non ci sarà nessuno a proteggerti. Ma io sono sicura che tu non ti caccerai nei guai e che se ci fosse bisogno Jacob e il resto del branco ti proteggeranno, come hanno sempre fatto. Inoltre tu potrai metterti in contatto con noi usando il cellulare e noi in poco tempo riusciremmo a essere da te. E per quanto riguarda il tenere nascosto a Charlie la tua vera natura, non penso ci saranno problemi. Intanto lui è a lavorare per tutto il giorno, perciò tu avrai tempo per andare a mangiare. Inoltre ciò che ci faceva parlare così prima era la paura di perderti. La verità è che ci mancherai parecchio Renesmee. Soprattutto a tuo padre.”

Rimasi in silenzio dopo aver sentito le sue parole. Allora era quello il vero problema! Sarei mancata a papà. Sarei mancata a tutti. Stavo di nuovo per scoppiare a piangere!

Non volevo andare via senza prima chiarire con mio padre.

“Mamma” chiamai.

“Eccomi, sono qui. Che c’è tesoro?”

“Mamma, io non vado via senza prima aver chiarito con papà.”

“Tranquilla tesoro, è testardo, ma prima che partirai stai sicura che verrà lui da te.”

“Lo spero mamma…”

All’improvviso mi sentii chiamare:

“Nessie, vieni qui!!” era Garrett.

“Dimmi Garrett” risposi.

“Dovresti chiamare tuo nonno ora. Non puoi presentarti da lui senza preavviso per dirgli che ti trasferisci a casa sua.”

 Risi e presi il telefono che mi stava porgendo. Non sapendo il numero, me lo feci dettare dalla mamma. Composi il numero e il telefono cominciò a squillare. Dopo tre squilli finalmente mi sentii dire: “Pronto?”

“Pronto nonno Charlie. Sono Renesmee”

“Renesmee?” E poi sentii un tonfo sordo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3.Preparativi ***


CAPITOLO TRE: PREPARATIVI

 

Ma cos’è stato? Pensai preoccupata.

Guardai Bella e le dissi:

“Mamma ho sentito un tonfo! È caduta la linea?”

Mia madre si trovava vicino alla finestra: stava guardando fuori, probabilmente alla ricerca di Edward. Chissà quanto le faceva male tutto questo? Se da un lato voleva soddisfare le mie richieste, e poiché lo aveva fatto aveva litigato con Edward, suo marito, il suo compagno che amava più di ogni altra cosa, dall’altro il desiderio di proteggermi era forte in lei e combaciava proprio con quello di papà.

Mi sentivo un verme.

Nonostante tutto mia mamma corse preoccupata verso di me e mi disse:

“Non so tesoro, prova a passarmi un attimo il telefono.”

Quando glielo passai feci in modo che le nostre mani si sfiorassero, così le comunicai ciò che stavo pensando. Lei mi guardò di sottecchi, sbuffò, ma non disse niente.

Preso il telefono in mano se lo portò vicino alle orecchie e disse:

“Pronto, papà. Sono Bella. Papà? Ci sei? Papà, rispondi!!”

Ma dov’era finito il nonno? Mi stavo preoccupando. Cominciai a rosicchiarmi le unghie.

Ad un certo punto dall’altro capo del filo sentii distintamente il nonno parlare.

“Pronto Nessie”

“No, papà, sono Bella. Che ti è successo, stai bene?”

“Scusa. È che…ecco…sono svenuto.”

Bella sorrise, mi lanciò un’occhiata e continuò:

“Ma stai bene? Perché sei svenuto?”

“Oh Bella, non sto tanto bene! È solo questo!”

“Mmm. Non stai bene…papà, sei proprio come me! Incapace di dire bugie.”

“Ok, ok lo ammetto. Mi sono emozionato. Scusa Bella, ma lo sai da quanto tempo è che non vi sento e non vi vedo? E poi la voce di Renesmee mi è sembrata così grande…”

Immagina allora quando mi vedrai pensai.

“Lo so papà. E mi dispiace tantissimo se sono sparita negli ultimi due anni. È che meno ci senti meglio è per te credimi.”

“Lo so piccola. Lo so. È solo che mi manchi terribilmente. E mi manca anche la mia piccola nipotina.”

“Ehm, papà, Nessie, non è più tanto piccola. In effetti è cresciuta molto. Te ne accorgerai quando la vedrai! Ora te la passo. Ha un favore da chiederti! Ciao papà. Ti voglio bene.”

“Anche io ti voglio bene, ma aspetta un attimo Bells, non capisco…”

Ma intanto ormai mia mamma mi aveva passato il telefono e le domande di Charlie non ottennero risposta.

Presi il telefono in mano e risposi:

“Pronto nonno. Stai bene? Mi hai fatta preoccupare!”

Mi sentii dire dall’altro capo del filo:

“Ciao piccola Nessie! Sì, sì sto bene. È solo che non mi aspettavo una vostra chiamata e nell’agitazione…sono caduto. E poi a dirla tutta avevo pensato al peggio.”

“Al peggio cosa, nonno? Pensavi ci fosse successo qualcosa? Che fosse successo qualcosa alla mamma?”

“Beh ecco, mi sento uno scemo, ma sì. Anche se dovrei ricordare che non vi può capitare granchè…una delle cose che Jacob ha detto tempo fa e che ho voluto dimenticare.”

Lo immaginai dall’altro capo del filo rabbrividire al ricordo della trasformazione di Jake in lupo davanti a lui. Il mio lupo aveva deciso di rivelare la sua vera natura, e quella del resto del branco, a mio nonno, di modo che noi Cullen non dovessimo andarcene per evitare preoccupazione e sofferenza a Charlie. Il suo sacrificio non era servito a niente purtroppo.

Il ricordo di Jake era così vivido in me che quasi non sentii le parole che mio nonno stava dicendo.

“Allora Nessie, c’era qualcosa che volevi dirmi, o chiedermi? Tua madre ha detto qualcosa a proposito di una tua richiesta e soprattutto che dovrei vederti… Non capisco, sono abbastanza confuso.”

Aspettai che finisse e gli risposi:

“Sì nonno in effetti avrei un favore da chiederti. Ecco, io vorrei tornare a Forks per studiare. Solo che gli altri non possono tornare, per ragioni che dovranno rimanere segrete. È meglio che tu…”

Charlie continuò, imitando a perfezione il tono di Bella:

“…non sappia troppo del nostro mondo. Sì, ho capito. E tu vorresti che io ti ospitassi, giusto?”

Bene, era arrivato subito al dunque. Mi sentii liberata da un peso, perché mi sarei vergognata un mondo a chiederglielo di persona. D’altronde non ero stata proprio una nipote modello fino ad allora… Non gli avevo neanche fatto gli auguri di compleanno gli ultimi due anni.

Però ripensandoci bene, ero stata una nipote modello in passato. Non mi ero mai cibata di lui, e questo è importante! Immaginai di avvicinarmi lentamente a lui, di insinuarmi vicino al suo collo e di affondare i miei canini nella sua giugulare…Aveva un buon odore dopotutto.

Mi vergognai immediatamente di quel pensiero.

Renesmee ammonii me stessa e continuai:

“Ecco nonno, è proprio questo che volevo chiederti. Ehm, non è un problema vero?”

“No piccola, certo che no! Anzi, per me sarebbe un grande piacere ospitarti; ne sarei davvero felice. Sai, da quando tua madre se n’è andata non mangio più tanto bene. Mi sa che mi ero abituato fin troppo bene alla sua cucina!”

Mi insospettii; da quanto sapevo lui e Sue Clearwater, la madre di Seth e Leah, si frequentavano. Decisi di indagare:

“Ma nonno, e Sue dov’è?”

Percepii il suo imbarazzo dall’altro lato del filo:

“Ecco Nessie, le cose tra me e Sue non vanno tanto bene; anzi non vanno bene per niente.”

Non mi sembrava felice di parlarne, ma tentai comunque:

“Ma perché? È successo qualcosa?”

“Ma no Nessie, niente di che. Preferirei non parlarne.”

Va beh ho capito, ci rinuncio pensai.

“Va bene nonno. Anzi scusami tu se sono stata troppo insistente.”

“Tranquilla piccola, è tutto a posto.” Dopo un sospiro decise saggiamente di cambiare argomento “Allora, quando hai intenzione di venire?”

“Ecco, dato che oggi è il 30 agosto e la scuola comincia fra meno di due settimane pensavo di partire fra un paio di giorni. Così arrivo un po’ prima dell’inizio della scuola e posso compilare tutti i moduli per l’iscrizione.”

“Sì per me va bene. Dimmi il giorno in cui mi devo far trovare all’aeroporto e sarò lì.”

Guardai la mamma, che naturalmente non si era persa una parola della conversazione tra me e Charlie e mimò con le labbra “due”.

Feci un cenno di assenso per dirle che avevo capito e risposi a Charlie:

“Il due settembre all’aeroporto. Ti farò sapere l’orario del volo, così potrai venire a prendermi.

Grazie mille nonno” dissi sincera.

“Figurati piccola! Non sarà stato facile convincerli immagino.”

Già, non lo poteva neanche immaginare: ero stata per quasi un mese rinchiusa in camera mia, e le uniche volte in cui uscivo ero guardata a vista da un terzetto di vampiri pronti a fermarmi in caso fossi scappata.

“No nonno, non è stato affatto facile. Anzi…”

“Tuo padre, Edward, come l’ha presa?”

Ecco, aveva toccato il tasto dolente;

“Non l’ha presa bene.” risposi triste.

“Immagino che non ti stia rivolgendo la parola.” disse il nonno, capendo al volo il mio stato d’animo. E poi esclamò:

“Quanto vorrei potergli mettere le mani addosso! Prima mia figlia, adesso mia nipote, che è anche sua figlia! Vorrei venire lì a dargli una lezione…se solo non mi incutesse così timore…”

Risi e dissi:

“Ma no nonno, non dire così. In fondo lo capisco che è preoccupato. Non sopporto questa situazione, ma si sistemerà tutto prima che io parta, stai tranquillo.”

“Va bene Nessie. Hai ragione tu, mi sono fatto trasportare dalla rabbia. È che non mi va di vederti triste.”

Oh, ma che nonno premuroso avevo! Ero proprio fortunata.

“Grazie nonno. Stai certo che appena arriverò a Forks starò subito meglio!”

“Va bene piccola, ci conto. Mi vuoi passare Bells per favore? Ho qualcosa da dirle.”

“Ok nonno. Ciao! E ancora grazie”

Sentii la sua risata mentre passavo il telefono alla mamma, e istantaneamente sorrisi anche io. Era stato così facile parlare con lui!

Sapevo che probabilmente Charlie stava parlando a mamma di papà, ma decisi che non volevo ascoltare. Che se la sbrigassero da soli!

Io volai su in camera mia.

Dentro c’era il disordine più totale, disordine che io stessa avevo creato nei miei momenti di rabbia che sostituivano l’apatia. L’apatia equivaleva a stare ferma immobile per ore, la rabbia invece significava distruggere tutto ciò che si trovava intorno a me. E se ciò che c’era intorno a me erano le mie cose…beh, ormai non c’era più niente da fare. Avevo salvato soltanto le fotografie nelle cornici e gli album. Per quanto riguardava il contenuto del mio armadio, non si era salvato niente, eccetto i vestiti che indossavo. Le piume dei cuscini che avevo strappato erano finite in più punti della stanza. La polvere si era depositata sui mobili, creando una specie di patina.

Decisi immediatamente di rimettere a posto tutto. Presi un sacchetto e smistai i miei vestiti. La pila alla mia destra, bassa e misera, erano i vestiti che si erano salvati dalla mia furia; quella alla mia sinistra invece cresceva a vista d’occhio.

Ad un certo punto sentii un veloce spostamento d’aria e mi girai. Davanti a me c’arano Bella e zia Rosalie che stavano raccogliendo, alla velocità di Superman, o meglio, dei vampiri, le piume dei miei cuscini. Nonna Esme invece stava pulendo il mio bagno. Sorrisi a tutte loro e le ringraziai; se loro mi avessero aiutato avrei finito di certo prima!

Mentre lavoravo pensavo al fatto che avrei dovuto vergognarmi del casino che avevo creato nella mia camera, e che avrei dovuto mettere a posto da sola. Sinceramente non avrei mai immaginato che, per ottenere qualcosa, mi sarei comportata in questo modo assurdo. Decisi che mai e poi mai mi sarei comportata così. Non avrei fatto più del male ai miei genitori e alle persone che mi volevano bene. Lo giurai, e sigillai questo piccolo patto con me stessa nel mio cuore.

Purtroppo non potevo sapere che da lì a un anno sarei stata costretta a infrangere la promessa che avevo appena fatto a me stessa.

 

Il giorno dopo mi svegliai circondata dal pulito. Le mie tre vampire mi avevano aiutata a pulire e avevamo impiegato meno di mezz’ora a finire tutto.

Mi alzai e andai in bagno. Mentre mi lavavo i denti mi domandai dove si fosse cacciata zia Alice. Lei di solito mi girava sempre intorno, e se c’era qualcosa da fare aiutava sempre. Boh, era un mistero! Anche perché, ripensandoci, non avevo nemmeno sentito il suo odore in casa ieri sera.

La risposta a questo mistero mi si parò davanti, non appena uscita dal bagno.

Alice era appollaiata sul mio letto; il suo sguardo era rivolto al grande armadio di legno, le ante aperte. Evidentemente stava guardando lo scempio che avevo fatto con i miei vestiti, la maggior parte dei quali erano suoi regali.

Arrossii violentemente, imbarazzata e in colpa, quando il suo sguardo si posò sul mio viso.

“Ciao” riuscii a pronunciare, timida.

“Umpf”

Oh mamma, è proprio arrabbiata, pensai. Dovevo rimediare.

“Scusa zia Alice! Scusami tanto. Solo che ero così arrabbiata che…” non mi lasciò nemmeno terminare la frase.

“Beh, vedo che almeno hai avuto la decenza di salvare dalla tua furia il copri-spalle di Prada…”mi guardò e arricciò il naso.

Quel copri spalle era il mio preferito, certo che l’avevo salvato! Era nero, con dei brillantini ricamati che formavano dei ghirigori lungo tutta la schiena; i lacci sul davanti che servivano per legarlo mi divertivano molto e mi davano nuove occasioni per testare le mie abilità di vampira con nodi sempre nuovi e arzigogolati. Purtroppo però ero così cresciuta che non lo mettevo più, lo conservavo solo per ricordo. Era un regalo di Jacob e zia Alice. Forse era anche quello il motivo per cui lo avevo salvato.

“Ma zia, che differenza fa? Intanto non posso più indossarlo! Non mi sta più.” dissi sconsolata.

“Non importa! Hai già compiuto fin troppi scempi, direi che almeno quello potevi evitarlo. E poi è un regalo mio e di Jake, sai che storie avrebbe fatto se fosse venuto a scoprirlo?”

“Già, ma per fortuna non l’ho distrutto! Allora zia, vuoi dirmi che ci fai nella mia stanza oppure l’unico motivo è sgridarmi per aver fatto a pezzi i vestiti? Perché guarda, non ce n’è bisogno, mi sento già in colpa così.” dissi tutto d’un fiato, e forse fui anche abbastanza brusca, perché la mia cara zia abbassò lo sguardo e si mordicchiò il labbro inferiore.

Oh cavolo pensai. Mi avvicinai a lei e l’abbracciai:

“Scusami zia! È che nonostante io abbia ottenuto ciò che volevo, mi sento in colpa per come l’ho ottenuto questo permesso e soprattutto per come stanno le cose con papà. Ma perché deve essere tutto sempre così difficile?”

Zia Alice si strinse a me e mi accarezzò i capelli dicendo:

“Oh nipotina mia, Edward non ti terrà il muso ancora per molto. L’ho visto! E per come hai ottenuto il permesso per andare, beh, non dovrei dirlo, ma nonostante tutto io avrei fatto lo stesso.”

Mi staccai e la guardai di sottecchi.

“A parte distruggere i miei vestiti è ovvio!” aggiunse. Riuscì a farmi ridere.

E poi continuò:

“Su, vestiti, andiamo a fare spese. Non so se hai notato, ma ieri sera non ero qui ad aiutarti a pulire e il motivo era quello” e indicò un plico di roba che prima non avevo visto, appoggiato sulla sedia davanti alla scrivania.

Mi avvicinai lentamente alla sedia e presi uno zaino tra le mani. Era di un bel verde brillante, con dei fiorellini piccoli e bianchi. Era pesante. Lo aprii per capire cosa ci fosse dentro; c’erano dei quaderni, due a righe e due a quadretti per la precisione, un portapenne con dentro tutto l’occorrente, ossia matite, penne, matite colorate, gomma e righello, e infine una piccola agenda con sopra disegnato un lupo che ululava alla luna.

Sorrisi vedendo l’immagine del lupo e pensando al mio amico lontano che fra pochi giorni avrei rivisto. Chiusi gli occhi e ricordai di quando correvamo insieme, nella foresta intorno a La Push, Jacob in forma di lupo e io sulla sua schiena, aggrappata forte alla sua pelliccia, secondo gli ordini suoi e della mamma. Le parole di zia Alice mi riportarono alla realtà.

“Ho pensato che ti sarebbe piaciuta” disse indicando con un cenno del capo l’agenda che stringevo tra le mani e che, senza accorgermene, avevo portato vicino al mio cuore.

Le sorrisi e dissi:

“Hai fatto bene. È bellissima; e anche tutto il resto.”

“Sono andata in una cartoleria giù in città e ho comprato tutto questo. E ora a proposito, preparati. Andiamo a fare compere con Bella.”

 A queste parole la mamma si materializzò vicino a me e mi cinse le spalle con un braccio.

“Ma perché? Che cosa devo comprare? Ho già tutto quello che mi occorre.”

“Tesoro, vorrei ricordarti che sei senza vestiti. E poi dobbiamo pensare a comprartene un po’ più grandi, dato che di sicuro crescerai ancora.” disse la mamma.

Già, non avevo pensato alla mia crescita accelerata. E se qualcuno si fosse insospettito? Avevo solo pensato alla somiglianza tra me e i miei genitori.

Mia madre disse:

“Lo so Renesmee. Hai capito adesso perché tuo padre è tanto preoccupato?” Evidentemente avevo di nuovo trasmesso alla mamma che cosa stavo pensando. Dovevo ricordarmi di stare più attenta con gli umani. Comunque la mamma continuò:

“Abbiamo chiesto a Carlisle, che ci ha assicurato che la tua crescita non sarà più tanto repentina. Crescerai un po’ più velocemente degli umani, ma non a ritmi notevolmente esagerati. Nessuno dovrebbe insospettirsi troppo.”

“Ok” dissi non troppo convinta.

Zia Alice disse:

“Dai, su, smettila di preoccuparti! Vestiti e fai in fretta.”

Mentre mi stavo infilando l’unico paio di jeans integri guardai la mamma e di colpo mi venne in mente una cosa.

“Mamma, ma tu vieni con noi?”

Di solito la mamma non veniva con me quando dovevo comprarmi dei vestiti per due motivi: il primo era che quando mi trovavo in pubblico con lei dimenticavo che dimostravamo pochi anni di differenza, e la chiamavo mamma. Dopo che una commessa ci ebbe guardate in modo strano sentendomi chiamare “mamma” una ragazza non tanto più grande, avevamo deciso di non rischiare più. E il secondo motivo era che di solito mi accompagnava zia Alice a comprare i vestiti, e la sua mania di vestirmi come una piccola principessa alla mamma non andava giù. Ma dato che io in primis volevo vestirmi così, Bella ci aveva almeno chiesto di non assistere alle nostre compere.

Guardai la mamma in attesa di una risposta, che prontamente arrivò.

“Sì Renesmee, verrò anch’io con voi questa volta. A Forks dovrai evitare di attirare troppo gli sguardi su di te, quindi non potrai vestirti come ti vesti di solito. Avrai bisogno di jeans, magliette e maglioni più pesanti, e di scarpe da ginnastica soprattutto. Alice ci accompagnerà solo perché non resiste a un negozio di vestiti, anche se si tratta di abiti semplici. Perciò, dato che siamo in argomento, ricordati di non chiamarmi mamma, ma Bella.”

Già, aveva ragione. Non potevo indossare a Forks ciò che ero abituata a indossare a casa. Mi sarei dovuta abituare a dei jeans molto più semplici di quelli che stavo indossando adesso, alle maglie e alle scarpe da ginnastica. Non pensavo di essere in grado di camminare con quelle robe addosso.

 

Tornammo a casa a pomeriggio inoltrato. Era già buio, anche se erano solo le cinque del pomeriggio. Domani sarebbe stato il mio ultimo giorno a casa. Nonostante fossi eccitata all’idea di andarmene, ero anche triste, perché avrei lasciato la mia famiglia, il clan di Denali incluso. Ormai li consideravo miei familiari, anche se non li chiamavo zii. Erano semplicemente di famiglia.

Entrai in camera e posai tutti i pacchetti contenenti i vestiti della nuova me. Mi ero comprata cinque paia di jeans, un pantalone nero, venti maglie a maniche lunghe, altre venti a maniche corte, sette maglioni, una tuta da ginnastica, dei pantaloncini e delle canotte per dormire e cinque paia di scarpe da ginnastica. Con quello che avevamo speso quel giorno avremmo potuto sfamare un villaggio africano di cento persone… Mi sentivo un po’ in colpa. Anzi no, tanto in colpa.

Mi misi a disfare i pacchetti. Intorno a me regnava il silenzio, fino a quando sentii distinte delle voci venire da sotto la finestra della mia stanza. Mi avvicinai a questa preoccupata, e sbirciai fuori. Ma sotto c’erano solo Carmen, Eleazar, Garrett, Kate e Tanya, in piedi intorno a un pacco e stavano discutendo. Aprii la finestra e dissi:

“Ehi, che fate laggiù?”

Si girarono tutti verso di me e Tanya disse:

“Ciao Renesmee. Allora, hai fatto tante compere?”

Mentre Tanya parlava, Kate e Garrett stavano cercando di nascondere quello strano pacco. Mi incuriosii. Volevo sapere che c’era dentro, così volai fuori dalla finestra e mi avvicinai a loro. Era normale che fossi curiosa! D’altronde avevo solo cinque anni! Beh no, quasi sei in effetti!

“Ehi mi dite che state facendo sotto la mia finestra? Cosa c’è dentro quel pacco?”

Kate disse:

“Oh no, ci hai scoperti! Ecco, noi volevamo farti una sorpresa. Volevamo posizionarti il regalo sul davanzale della tua finestra, però non ci siamo riusciti. Pensavamo stessi via più a lungo.”

“Eh sì, vi ho scoperti!” sorrisi e scoprii i miei canini. “Allora, mi dite cosa c’è in quel pacco? Sono curiosa” mi giustificai, rendendomi conto che forse ero stata un po’ sgarbata.

Carmen rise e mi abbracciò.

“Ma certo piccola vampira viziata! Garrett, portale il pacco.”

Garrett mi portò il pacco, che scartai a velocità vampiresca e con il sorriso sulle labbra. Ero davvero tanto curiosa.

Dentro il pacco c’era un pc. Un Vaio rosa per la precisione.

Rimasi di stucco. Avevo un computer tutto per me. Non potevo crederci! Abbracciai la persona più vicina a me, cioè Eleazar, e poi corsi ad abbracciare tutti gli altri, ringraziandoli per il fantastico regalo.

Rientrai in casa seguita a ruota da loro e trovai i Cullen, a parte papà, seduti in salotto.

Mostrai il computer. Carlisle si avvicinò a Tanya dicendo:

“Non avreste dovuto, è un regalo così costoso.”

“Carlisle lo sai benissimo che i soldi non sono un problema. Volevamo fare un bel regalo a Nessie, per dimostrarle che ci mancherà e per rimanere in contatto, e non solo con noi, ma anche con voi. Abbiamo pensato di unire l’utile al dilettevole. E poi alla piccola è piaciuto.”

La mamma si alzò e andò ad abbracciare Tanya, ringraziandola.

Zio Emmett si alzò improvvisamente in piedi dicendo:

“Allora possiamo darle anche noi il nostro regalo! Ti prego Bella, glielo diamo adesso?”

Bella si mise a ridere e disse:

“Va bene Emmett, se ci tieni a darglielo ora…”

Emmett fece un ghigno e in meno di un nanosecondo era volato su per le scale, dritto in camera sua, ed era subito tornato in salotto, tendendomi una cornice d’argento.

Incuriosita la afferrai e guardai la foto. Eravamo noi Cullen, il Natale precedente. Io ero al centro, circondata da mamma e papà, Alice era seduta per terra davanti ai miei piedi, abbracciata a Jasper, vicino alla mamma c’erano Rosalie ed Emmett, vicino a papà Carlisle ed Esme. Eravamo tutti felici. Vederci così mi fece sorridere, e quasi piansi. Ora che dovevo partire…non volevo farlo. Volevo restare a casa con la mia famiglia. Ma ormai era tutto pronto e sapevo che ora stavo pensando certe cose solo perché mi sarebbero mancati immensamente.

Alzai lo sguardo, lucido, su di loro e dissi semplicemente:

“Grazie a tutti.”

Bella si avvicinò a me e mi strinse; non appena anche io la strinsi tutti si fiondarono addosso a noi e facemmo un bell’abbraccio di gruppo. In quel momento ero felice. Ma c’era una parte di me che voleva urlare e piangere.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=559661