CAPITOLO TRE: PREPARATIVI
Ma
cos’è stato?
Pensai preoccupata.
Guardai Bella e le dissi:
“Mamma ho sentito un tonfo!
È caduta la linea?”
Mia madre si trovava vicino alla
finestra: stava guardando
fuori, probabilmente alla ricerca di Edward. Chissà quanto
le faceva male tutto
questo? Se da un lato voleva soddisfare le mie richieste, e
poiché lo aveva
fatto aveva litigato con Edward, suo marito, il suo compagno che amava
più di
ogni altra cosa, dall’altro il desiderio di proteggermi era
forte in lei e
combaciava proprio con quello di papà.
Mi sentivo un verme.
Nonostante tutto mia mamma corse
preoccupata verso di me e
mi disse:
“Non so tesoro, prova a
passarmi un attimo il telefono.”
Quando glielo passai feci in modo che
le nostre mani si
sfiorassero, così le comunicai ciò che stavo
pensando. Lei mi guardò di
sottecchi, sbuffò, ma non disse niente.
Preso il telefono in mano se lo
portò vicino alle orecchie e
disse:
“Pronto, papà.
Sono Bella. Papà? Ci sei? Papà,
rispondi!!”
Ma dov’era finito il nonno?
Mi stavo preoccupando. Cominciai
a rosicchiarmi le unghie.
Ad un certo punto
dall’altro capo del filo sentii
distintamente il nonno parlare.
“Pronto Nessie”
“No, papà, sono
Bella. Che ti è successo, stai bene?”
“Scusa. È
che…ecco…sono svenuto.”
Bella sorrise, mi lanciò
un’occhiata e continuò:
“Ma stai bene?
Perché sei svenuto?”
“Oh Bella, non sto tanto
bene! È solo questo!”
“Mmm. Non stai
bene…papà, sei proprio come me! Incapace di
dire bugie.”
“Ok, ok lo ammetto. Mi sono
emozionato. Scusa Bella, ma lo
sai da quanto tempo è che non vi sento e non vi vedo? E poi
la voce di Renesmee
mi è sembrata così grande…”
Immagina
allora quando
mi vedrai pensai.
“Lo so papà. E
mi dispiace tantissimo se sono sparita negli
ultimi due anni. È che meno ci senti meglio è per
te credimi.”
“Lo so piccola. Lo so.
È solo che mi manchi terribilmente. E
mi manca anche la mia piccola nipotina.”
“Ehm, papà,
Nessie, non è più tanto piccola. In effetti
è
cresciuta molto. Te ne accorgerai quando la vedrai! Ora te la passo. Ha
un
favore da chiederti! Ciao papà. Ti voglio bene.”
“Anche io ti voglio bene,
ma aspetta un attimo Bells, non
capisco…”
Ma intanto ormai mia mamma mi aveva
passato il telefono e le
domande di Charlie non ottennero risposta.
Presi il telefono in mano e risposi:
“Pronto nonno. Stai bene?
Mi hai fatta preoccupare!”
Mi sentii dire dall’altro
capo del filo:
“Ciao piccola Nessie!
Sì, sì sto bene. È solo che non mi
aspettavo una vostra chiamata e
nell’agitazione…sono caduto. E poi a dirla
tutta avevo pensato al peggio.”
“Al peggio cosa, nonno?
Pensavi ci fosse successo qualcosa?
Che fosse successo qualcosa alla mamma?”
“Beh ecco, mi sento uno
scemo, ma sì. Anche se dovrei
ricordare che non vi può capitare
granchè…una delle cose che Jacob ha detto
tempo fa e che ho voluto dimenticare.”
Lo immaginai dall’altro
capo del filo rabbrividire al
ricordo della trasformazione di Jake in lupo davanti a lui. Il mio lupo
aveva
deciso di rivelare la sua vera natura, e quella del resto del branco, a
mio
nonno, di modo che noi Cullen non dovessimo andarcene per evitare
preoccupazione e sofferenza a Charlie. Il suo sacrificio non era
servito a
niente purtroppo.
Il ricordo di Jake era
così vivido in me che quasi non
sentii le parole che mio nonno stava dicendo.
“Allora Nessie,
c’era qualcosa che volevi dirmi, o
chiedermi? Tua madre ha detto qualcosa a proposito di una tua richiesta
e
soprattutto che dovrei vederti… Non capisco, sono abbastanza
confuso.”
Aspettai che finisse e gli risposi:
“Sì nonno in
effetti avrei un favore da chiederti. Ecco, io
vorrei tornare a Forks per studiare. Solo che gli altri non possono
tornare,
per ragioni che dovranno rimanere segrete. È meglio che
tu…”
Charlie continuò, imitando
a perfezione il tono di Bella:
“…non sappia
troppo del nostro mondo. Sì, ho capito. E tu
vorresti che io ti ospitassi, giusto?”
Bene, era arrivato subito al dunque.
Mi sentii liberata da
un peso, perché mi sarei vergognata un mondo a chiederglielo
di persona.
D’altronde non ero stata proprio una nipote modello fino ad
allora… Non gli
avevo neanche fatto gli auguri di compleanno gli ultimi due anni.
Però ripensandoci bene,
ero stata una nipote modello in
passato. Non mi ero mai cibata di lui, e questo è
importante! Immaginai di
avvicinarmi lentamente a lui, di insinuarmi vicino al suo collo e di
affondare
i miei canini nella sua giugulare…Aveva un buon odore
dopotutto.
Mi vergognai immediatamente di quel
pensiero.
Renesmee ammonii
me stessa e continuai:
“Ecco nonno, è
proprio questo che volevo chiederti. Ehm, non
è un problema vero?”
“No piccola, certo che no!
Anzi, per me sarebbe un grande
piacere ospitarti; ne sarei davvero felice. Sai, da quando tua madre se
n’è
andata non mangio più tanto bene. Mi sa che mi ero abituato
fin troppo bene
alla sua cucina!”
Mi insospettii; da quanto sapevo lui
e Sue Clearwater, la
madre di Seth e Leah, si frequentavano. Decisi di indagare:
“Ma nonno, e Sue
dov’è?”
Percepii il suo imbarazzo
dall’altro lato del filo:
“Ecco Nessie, le cose tra
me e Sue non vanno tanto bene;
anzi non vanno bene per niente.”
Non mi sembrava felice di parlarne,
ma tentai comunque:
“Ma perché?
È successo qualcosa?”
“Ma no Nessie, niente di
che. Preferirei non parlarne.”
Va beh ho
capito, ci
rinuncio pensai.
“Va bene nonno. Anzi
scusami tu se sono stata troppo
insistente.”
“Tranquilla piccola,
è tutto a posto.” Dopo un sospiro
decise saggiamente di cambiare argomento “Allora, quando hai
intenzione di
venire?”
“Ecco, dato che oggi
è il 30 agosto e la scuola comincia fra
meno di due settimane pensavo di partire fra un paio di giorni.
Così arrivo un
po’ prima dell’inizio della scuola e posso
compilare tutti i moduli per
l’iscrizione.”
“Sì per me va
bene. Dimmi il giorno in cui mi devo far
trovare all’aeroporto e sarò
lì.”
Guardai la mamma, che naturalmente
non si era persa una
parola della conversazione tra me e Charlie e mimò con le
labbra “due”.
Feci un cenno di assenso per dirle
che avevo capito e
risposi a Charlie:
“Il due settembre
all’aeroporto. Ti farò sapere l’orario
del
volo, così potrai venire a prendermi.
Grazie mille nonno” dissi
sincera.
“Figurati piccola! Non
sarà stato facile convincerli
immagino.”
Già, non lo poteva neanche
immaginare: ero stata per quasi
un mese rinchiusa in camera mia, e le uniche volte in cui uscivo ero
guardata a
vista da un terzetto di vampiri pronti a fermarmi in caso fossi
scappata.
“No nonno, non è
stato affatto facile. Anzi…”
“Tuo padre, Edward, come
l’ha presa?”
Ecco, aveva toccato il tasto dolente;
“Non l’ha presa
bene.” risposi triste.
“Immagino che non ti stia
rivolgendo la parola.” disse il
nonno, capendo al volo il mio stato d’animo. E poi
esclamò:
“Quanto vorrei potergli
mettere le mani addosso! Prima mia
figlia, adesso mia nipote, che è anche sua figlia! Vorrei
venire lì a dargli
una lezione…se solo non mi incutesse così
timore…”
Risi e dissi:
“Ma no nonno, non dire
così. In fondo lo capisco che è
preoccupato. Non sopporto questa situazione, ma si sistemerà
tutto prima che io
parta, stai tranquillo.”
“Va bene Nessie. Hai
ragione tu, mi sono fatto trasportare
dalla rabbia. È che non mi va di vederti triste.”
Oh, ma che nonno premuroso avevo! Ero
proprio fortunata.
“Grazie nonno. Stai certo
che appena arriverò a Forks starò
subito meglio!”
“Va bene piccola, ci conto.
Mi vuoi passare Bells per
favore? Ho qualcosa da dirle.”
“Ok nonno. Ciao! E ancora
grazie”
Sentii la sua risata mentre passavo
il telefono alla mamma,
e istantaneamente sorrisi anche io. Era stato così facile
parlare con lui!
Sapevo che probabilmente Charlie
stava parlando a mamma di
papà, ma decisi che non volevo ascoltare. Che se la
sbrigassero da soli!
Io volai su in camera mia.
Dentro c’era il disordine
più totale, disordine che io
stessa avevo creato nei miei momenti di rabbia che sostituivano
l’apatia.
L’apatia equivaleva a stare ferma immobile per ore, la rabbia
invece
significava distruggere tutto ciò che si trovava intorno a
me. E se ciò che
c’era intorno a me erano le mie cose…beh, ormai
non c’era più niente da fare.
Avevo salvato soltanto le fotografie nelle cornici e gli album. Per
quanto
riguardava il contenuto del mio armadio, non si era salvato niente,
eccetto i
vestiti che indossavo. Le piume dei cuscini che avevo strappato erano
finite in
più punti della stanza. La polvere si era depositata sui
mobili, creando una
specie di patina.
Decisi immediatamente di rimettere a
posto tutto. Presi un
sacchetto e smistai i miei vestiti. La pila alla mia destra, bassa e
misera,
erano i vestiti che si erano salvati dalla mia furia; quella alla mia
sinistra
invece cresceva a vista d’occhio.
Ad un certo punto sentii un veloce
spostamento d’aria e mi
girai. Davanti a me c’arano Bella e zia Rosalie che stavano
raccogliendo, alla
velocità di Superman, o meglio, dei vampiri, le piume dei
miei cuscini. Nonna
Esme invece stava pulendo il mio bagno. Sorrisi a tutte loro e le
ringraziai;
se loro mi avessero aiutato avrei finito di certo prima!
Mentre lavoravo pensavo al fatto che
avrei dovuto
vergognarmi del casino che avevo creato nella mia camera, e che avrei
dovuto
mettere a posto da sola. Sinceramente non avrei mai immaginato che, per
ottenere qualcosa, mi sarei comportata in questo modo assurdo. Decisi
che mai e
poi mai mi sarei comportata così. Non avrei fatto
più del male ai miei genitori
e alle persone che mi volevano bene. Lo giurai, e sigillai questo
piccolo patto
con me stessa nel mio cuore.
Purtroppo non potevo sapere che da
lì a un anno sarei stata
costretta a infrangere la promessa che avevo appena fatto a me stessa.
Il giorno dopo mi svegliai circondata
dal pulito. Le mie tre
vampire mi avevano aiutata a pulire e avevamo impiegato meno di
mezz’ora a
finire tutto.
Mi alzai e andai in bagno. Mentre mi
lavavo i denti mi
domandai dove si fosse cacciata zia Alice. Lei di solito mi girava
sempre
intorno, e se c’era qualcosa da fare aiutava sempre. Boh, era
un mistero! Anche
perché, ripensandoci, non avevo nemmeno sentito il suo odore
in casa ieri sera.
La risposta a questo mistero mi si
parò davanti, non appena
uscita dal bagno.
Alice era appollaiata sul mio letto;
il suo sguardo era
rivolto al grande armadio di legno, le ante aperte. Evidentemente stava
guardando lo scempio che avevo fatto con i miei vestiti, la maggior
parte dei
quali erano suoi regali.
Arrossii violentemente, imbarazzata e
in colpa, quando il
suo sguardo si posò sul mio viso.
“Ciao” riuscii a
pronunciare, timida.
“Umpf”
Oh mamma,
è proprio
arrabbiata, pensai. Dovevo rimediare.
“Scusa zia Alice! Scusami
tanto. Solo che ero così
arrabbiata che…” non mi lasciò nemmeno
terminare la frase.
“Beh, vedo che almeno hai
avuto la decenza di salvare dalla
tua furia il copri-spalle di Prada…”mi
guardò e arricciò il naso.
Quel copri spalle era il mio
preferito, certo che l’avevo
salvato! Era nero, con dei brillantini ricamati che formavano dei
ghirigori
lungo tutta la schiena; i lacci sul davanti che servivano per legarlo
mi
divertivano molto e mi davano nuove occasioni per testare le mie
abilità di vampira
con nodi sempre nuovi e arzigogolati. Purtroppo però ero
così cresciuta che non
lo mettevo più, lo conservavo solo per ricordo. Era un
regalo di Jacob e zia
Alice. Forse era anche quello il motivo per cui lo avevo salvato.
“Ma zia, che differenza fa?
Intanto non posso più
indossarlo! Non mi sta più.” dissi sconsolata.
“Non importa! Hai
già compiuto fin troppi scempi, direi che
almeno quello potevi evitarlo. E poi è un regalo mio e di
Jake, sai che storie
avrebbe fatto se fosse venuto a scoprirlo?”
“Già, ma per
fortuna non l’ho distrutto! Allora zia, vuoi
dirmi che ci fai nella mia stanza oppure l’unico motivo
è sgridarmi per aver
fatto a pezzi i vestiti? Perché guarda, non ce
n’è bisogno, mi sento già in
colpa così.” dissi tutto d’un fiato, e
forse fui anche abbastanza brusca,
perché la mia cara zia abbassò lo sguardo e si
mordicchiò il labbro inferiore.
Oh cavolo pensai.
Mi avvicinai a lei e l’abbracciai:
“Scusami zia! È
che nonostante io abbia ottenuto ciò che
volevo, mi sento in colpa per come l’ho ottenuto questo
permesso e soprattutto
per come stanno le cose con papà. Ma perché deve
essere tutto sempre così
difficile?”
Zia Alice si strinse a me e mi
accarezzò i capelli dicendo:
“Oh nipotina mia, Edward
non ti terrà il muso ancora per
molto. L’ho visto! E per come hai ottenuto il permesso per
andare, beh, non
dovrei dirlo, ma nonostante tutto io avrei fatto lo stesso.”
Mi staccai e la guardai di sottecchi.
“A parte distruggere i miei
vestiti è ovvio!” aggiunse.
Riuscì a farmi ridere.
E poi continuò:
“Su, vestiti, andiamo a
fare spese. Non so se hai notato, ma
ieri sera non ero qui ad aiutarti a pulire e il motivo era
quello” e indicò un
plico di roba che prima non avevo visto, appoggiato sulla sedia davanti
alla
scrivania.
Mi avvicinai lentamente alla sedia e
presi uno zaino tra le
mani. Era di un bel verde brillante, con dei fiorellini piccoli e
bianchi. Era
pesante. Lo aprii per capire cosa ci fosse dentro; c’erano
dei quaderni, due a
righe e due a quadretti per la precisione, un portapenne con dentro
tutto l’occorrente,
ossia matite, penne, matite colorate, gomma e righello, e infine una
piccola
agenda con sopra disegnato un lupo che ululava alla luna.
Sorrisi vedendo l’immagine
del lupo e pensando al mio amico
lontano che fra pochi giorni avrei rivisto. Chiusi gli occhi e ricordai
di
quando correvamo insieme, nella foresta intorno a La Push,
Jacob in forma di lupo
e io sulla sua schiena, aggrappata forte alla sua pelliccia, secondo
gli ordini
suoi e della mamma. Le parole di zia Alice mi riportarono alla
realtà.
“Ho pensato che ti sarebbe
piaciuta” disse indicando con un
cenno del capo l’agenda che stringevo tra le mani e che,
senza accorgermene,
avevo portato vicino al mio cuore.
Le sorrisi e dissi:
“Hai fatto bene.
È bellissima; e anche tutto il resto.”
“Sono andata in una
cartoleria giù in città e ho comprato
tutto questo. E ora a proposito, preparati. Andiamo a fare compere con
Bella.”
A
queste parole la
mamma si materializzò vicino a me e mi cinse le spalle con
un braccio.
“Ma perché? Che
cosa devo comprare? Ho già tutto quello che
mi occorre.”
“Tesoro, vorrei ricordarti
che sei senza vestiti. E poi
dobbiamo pensare a comprartene un po’ più grandi,
dato che di sicuro crescerai
ancora.” disse la mamma.
Già, non avevo pensato
alla mia crescita accelerata. E se
qualcuno si fosse insospettito? Avevo solo pensato alla somiglianza tra
me e i
miei genitori.
Mia madre disse:
“Lo so Renesmee. Hai capito
adesso perché tuo padre è tanto
preoccupato?” Evidentemente avevo di nuovo trasmesso alla
mamma che cosa stavo
pensando. Dovevo ricordarmi di stare più attenta con gli
umani. Comunque la
mamma continuò:
“Abbiamo chiesto a
Carlisle, che ci ha assicurato che la tua
crescita non sarà più tanto repentina. Crescerai
un po’ più velocemente degli
umani, ma non a ritmi notevolmente esagerati. Nessuno dovrebbe
insospettirsi
troppo.”
“Ok” dissi non
troppo convinta.
Zia Alice disse:
“Dai, su, smettila di
preoccuparti! Vestiti e fai in fretta.”
Mentre mi stavo infilando
l’unico paio di jeans integri
guardai la mamma e di colpo mi venne in mente una cosa.
“Mamma, ma tu vieni con
noi?”
Di solito la mamma non veniva con me
quando dovevo comprarmi
dei vestiti per due motivi: il primo era che quando mi trovavo in
pubblico con
lei dimenticavo che dimostravamo pochi anni di differenza, e la
chiamavo mamma.
Dopo che una commessa ci ebbe guardate in modo strano sentendomi
chiamare
“mamma” una ragazza non tanto più
grande, avevamo deciso di non rischiare più.
E il secondo motivo era che di solito mi accompagnava zia Alice a
comprare i
vestiti, e la sua mania di vestirmi come una piccola principessa alla
mamma non
andava giù. Ma dato che io in primis volevo vestirmi
così, Bella ci aveva
almeno chiesto di non assistere alle nostre compere.
Guardai la mamma in attesa di una
risposta, che prontamente
arrivò.
“Sì Renesmee,
verrò anch’io con voi questa volta. A Forks
dovrai evitare di attirare troppo gli sguardi su di te, quindi non
potrai
vestirti come ti vesti di solito. Avrai bisogno di jeans, magliette e
maglioni
più pesanti, e di scarpe da ginnastica soprattutto. Alice ci
accompagnerà solo
perché non resiste a un negozio di vestiti, anche se si
tratta di abiti
semplici. Perciò, dato che siamo in argomento, ricordati di
non chiamarmi
mamma, ma Bella.”
Già, aveva ragione. Non
potevo indossare a Forks ciò che ero
abituata a indossare a casa. Mi sarei dovuta abituare a dei jeans molto
più
semplici di quelli che stavo indossando adesso, alle maglie e alle
scarpe da
ginnastica. Non pensavo di essere in grado di camminare con quelle robe
addosso.
Tornammo a casa a pomeriggio
inoltrato. Era già buio, anche
se erano solo le cinque del pomeriggio. Domani sarebbe stato il mio
ultimo
giorno a casa. Nonostante fossi eccitata all’idea di
andarmene, ero anche triste,
perché avrei lasciato la mia famiglia, il clan di Denali
incluso. Ormai li
consideravo miei familiari, anche se non li chiamavo zii. Erano
semplicemente
di famiglia.
Entrai in camera e posai tutti i
pacchetti contenenti i
vestiti della nuova me. Mi ero comprata cinque paia di jeans, un
pantalone
nero, venti maglie a maniche lunghe, altre venti a maniche corte, sette
maglioni, una tuta da ginnastica, dei pantaloncini e delle canotte per
dormire
e cinque paia di scarpe da ginnastica. Con quello che avevamo speso
quel giorno
avremmo potuto sfamare un villaggio africano di cento
persone… Mi sentivo un
po’ in colpa. Anzi no, tanto in colpa.
Mi misi a disfare i pacchetti.
Intorno a me regnava il
silenzio, fino a quando sentii distinte delle voci venire da sotto la
finestra
della mia stanza. Mi avvicinai a questa preoccupata, e sbirciai fuori.
Ma sotto
c’erano solo Carmen, Eleazar, Garrett, Kate e Tanya, in piedi
intorno a un
pacco e stavano discutendo. Aprii la finestra e dissi:
“Ehi, che fate
laggiù?”
Si girarono tutti verso di me e Tanya
disse:
“Ciao Renesmee. Allora, hai
fatto tante compere?”
Mentre Tanya parlava, Kate e Garrett
stavano cercando di
nascondere quello strano pacco. Mi incuriosii. Volevo sapere che
c’era dentro,
così volai fuori dalla finestra e mi avvicinai a loro. Era
normale che fossi
curiosa! D’altronde avevo solo cinque anni! Beh no, quasi sei
in effetti!
“Ehi mi dite che state
facendo sotto la mia finestra? Cosa
c’è dentro quel pacco?”
Kate disse:
“Oh no, ci hai scoperti!
Ecco, noi volevamo farti una
sorpresa. Volevamo posizionarti il regalo sul davanzale della tua
finestra,
però non ci siamo riusciti. Pensavamo stessi via
più a lungo.”
“Eh sì, vi ho
scoperti!” sorrisi e scoprii i miei canini.
“Allora,
mi dite cosa c’è in quel pacco? Sono
curiosa” mi giustificai, rendendomi conto
che forse ero stata un po’ sgarbata.
Carmen rise e mi abbracciò.
“Ma certo piccola vampira
viziata! Garrett, portale il
pacco.”
Garrett mi portò il pacco,
che scartai a velocità vampiresca
e con il sorriso sulle labbra. Ero davvero tanto curiosa.
Dentro il pacco c’era un
pc. Un Vaio rosa per la precisione.
Rimasi di stucco. Avevo un computer
tutto per me. Non potevo
crederci! Abbracciai la persona più vicina a me,
cioè Eleazar, e poi corsi ad
abbracciare tutti gli altri, ringraziandoli per il fantastico regalo.
Rientrai in casa seguita a ruota da
loro e trovai i Cullen,
a parte papà, seduti in salotto.
Mostrai il computer. Carlisle si
avvicinò a Tanya dicendo:
“Non avreste dovuto,
è un regalo così costoso.”
“Carlisle lo sai benissimo
che i soldi non sono un problema.
Volevamo fare un bel regalo a Nessie, per dimostrarle che ci
mancherà e per
rimanere in contatto, e non solo con noi, ma anche con voi. Abbiamo
pensato di
unire l’utile al dilettevole. E poi alla piccola è
piaciuto.”
La mamma si alzò e
andò ad abbracciare Tanya,
ringraziandola.
Zio Emmett si alzò
improvvisamente in piedi dicendo:
“Allora possiamo darle
anche noi il nostro regalo! Ti prego
Bella, glielo diamo adesso?”
Bella si mise a ridere e disse:
“Va bene Emmett, se ci
tieni a darglielo ora…”
Emmett fece un ghigno e in meno di un
nanosecondo era volato
su per le scale, dritto in camera sua, ed era subito tornato in
salotto,
tendendomi una cornice d’argento.
Incuriosita la afferrai e guardai la
foto. Eravamo noi
Cullen, il Natale precedente. Io ero al centro, circondata da mamma e
papà,
Alice era seduta per terra davanti ai miei piedi, abbracciata a Jasper,
vicino
alla mamma c’erano Rosalie ed Emmett, vicino a
papà Carlisle ed Esme. Eravamo
tutti felici. Vederci così mi fece sorridere, e quasi
piansi. Ora che dovevo
partire…non volevo farlo. Volevo restare a casa con la mia
famiglia. Ma ormai
era tutto pronto e sapevo che ora stavo pensando certe cose solo
perché mi
sarebbero mancati immensamente.
Alzai lo sguardo, lucido, su di loro
e dissi semplicemente:
“Grazie a tutti.”
Bella si avvicinò a me e
mi strinse; non appena anche io la
strinsi tutti si fiondarono addosso a noi e facemmo un
bell’abbraccio di
gruppo. In quel momento ero felice. Ma c’era una parte di me
che voleva urlare
e piangere.
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