Squarci

di Salice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inverno - Panna e Neve ***
Capitolo 2: *** Primavera - Fiori e Cielo ***
Capitolo 3: *** Estate - Sudore e Pietre ***



Capitolo 1
*** Inverno - Panna e Neve ***


stagioni_1.html

Inverno – Panna e Neve:



Il ragazzo camminava con passo leggero sulla neve, che scricchiolava appena sotto ai suoi piedi. I fiocchi candidi vorticavano accanto a lui e si posavano sulla lunga coda di capelli corvini, inumidendola.
Il suo respiro si condensava in nuvole bianche come i suoi occhi, appena socchiusi e fissi sul sentiero. Il paesaggio silenzioso era illuminato dal riverbero della luce lunare sulla neve e la figura del giovane, fasciata negli abiti da ANBU sembrava quella di un’ombra priva di corpo.
Raggiunse la grande casa e fece scorrere la porta con cautela, lasciandosi dietro i sandali umidi in una chiazza di neve sciolta, sfilandosi la maschera dal volto.
Aveva il passo sicuro ed elastico di un gatto, ma uno scricchiolio lo fece immobilizzare.
- Neji? – La voce timida di Hinata proveniva da una stanza buia alla sua destra.
- Madamigella Hinata! Cosa fate ancora in piedi? E’ molto tardi. – domandò stupito mentre la candida figura di sua cugina appariva nel vano della porta.
- Ti ho visto arrivare, e ti ho preparato un bagno caldo. -
Neji sorrise appena. Da tempo aveva imparato ad amare la timida gentilezza di Hinata.
- Siete stata molto gentile, ma non era necessario, potevo pensarci da solo. – Lei non rispose, ma sorrise e arrossì lievemente. Lui si mosse verso il bagno e la fanciulla, stringendosi nel suo kimono da casa, prese a camminare dietro di lui.
- Ti aiuto a togliere il corpetto. – Neji annuì quasi distrattamente, quando Hinata, nella fretta di accostarglisi inciampò, scivolando in avanti. Senza neanche pensarci allungò un braccio, afferrandole il polso e sorreggendola.
- G-Grazie. – Fu il balbettio in risposta.
- Fate attenzione madamigella Hinata. – Nel parlare, il ragazzo neanche si era reso conto di aver intrecciato le dita con le sue, e quando se ne accorse, era troppo tardi per tirarle via imbarazzato. Proseguirono così fino alla stanza da bagno, mano nella mano. Lei camminava leggera al suo fianco, lo sguardo basso sul pavimento, avvolta nel tessuto immacolato, le dita appena premute sulle sue, dandogli la sensazione che se avesse osato stringere appena un poco di più sarebbe sparita come un filo di fumo.
Nell’anticamera che precedeva il bagno vero e proprio il vapore caldo invadeva tutto, avvolgendo in volute di nebbia ogni oggetto. Non si era neanche accorto di essersi fermato sulla porta, pensieroso, quando la voce di Hinata lo raggiunse.
- Hai la pelle candida come la neve. – Gli disse, guardandolo da vicino, mentre gli slacciava i ganci del corpetto bianco dalla schiena. – Oh… C’è una macchia di sangue qui. -
Neji inclinò leggermente la testa di lato. Era appropriato, si disse. La neve è bella, forse, ma è anche molto fredda. Neve e sangue. Il gelo che lo avvolgeva e il dolore sordo, rosso, che gli pulsava dentro.
Come sempre Hinata sembrava vedere al di là di ciò che vedono le persone comuni, anche se nessuno, forse neppure lei stessa, sembrava rendersene conto. Mentre la ragazza gli si affaccendava attorno, aiutandolo a sfilare i vari pezzi della corazza che indossava, si trovò a pensare che erano troppo simili, fisicamente.
Lei gli somigliava, eppure riusciva ad essere completamente diversa.
Hinata era morbida. Nel carattere e nel fisico.
Panna. Hinata sapeva essere candida e dolce come una coppa di panna. Sorrise e si voltò, guidando le dita sottili di lei sulle allacciature dell’armatura. La giovane arrossì, mentre il corpetto rinforzato scivolava a terra, lasciandogli addosso solamente l’aderentissima tuta nera degli ANBU. Neji sorrise ancora di più. Se lui era neve e sangue, Hinata era panna e fragole.
Dolce e irraggiungibile.
Qualcosa che non avrebbe mai potuto avere.
Qualcosa che non avrebbe mai dovuto avere.
Soltanto la sottile stoffa nera dell’uniforme e il lino leggero e bianco del kimono li separava. Lei si voltò, pronta ad andarsene, ma Neji le strinse il braccio.
- Madamigella Hinata, io… Non dovrei ma… - Non dovrei, ma ti desidero. Non lo disse, Neji, ma fissò gli occhi chiari di Hinata con i suoi, irrigidendosi. Non poteva, non doveva andare oltre!
La giovane lo scrutava, appena perplessa ed immobile sotto la sua stretta.
- N-Neji, mi fai male… - Sussurrò lei, dopo un lasso di tempo che a lui parve infinito. Le lasciò immediatamente il braccio.
- Non volevo farvi del male. – Come invece faccio sempre. Anche in quel momento si trattenne, ma qualcosa guizzò nei suoi occhi, perché lo sguardo di Hinata brillò di comprensione. Abbassò le palpebre e le sue ciglia parevano farfalle indecise se posarsi o meno su di un fiore pallido.
- Neji, non ti devi scusare di niente. Dovresti essere ciò che sei… N-Non dovresti trattenerti. – Lui la guardò, stupito. Come al solito lei, con quel suo intuito sensibile, aveva compreso i tumulti che celava dentro.
Quello che nessuno scorgeva dietro la sua faccia di neve.
Lo sguardo di lui scivolò sulla veste pulita di lei, che si tormentava le mani. Hinata aveva ragione. Non poteva più nascondersi. Le prese le mani dolcemente, portandosele al volto.
- Madamige… Hinata, io… - Non riuscì ad aggiungere altro. Era così facile parlarle, prima. Rovesciarle addosso il suo dolore e la sua rabbia, schermarsi dietro ad un volto impenetrabile. Ora che i suoi sentimenti erano cambiati, non sapeva neppure se era ancora in tempo per rimediare a tutto il male che le aveva provocato.
La fissò negli occhi, disperatamente. Sperava che, come solo lei sapeva fare, gli leggesse dentro, perché lui non riusciva più a parlare.
Che lei avesse capito o che fosse l’emozione del momento, Hinata chiuse gli occhi.
Neji improvvisamente fu conscio del caldo, ed il vapore rendeva tutto simile ad una visione. Con il cuore che gli batteva forte nel petto, le sfiorò le labbra con le proprie e sentì la bocca di lei schiudersi in un sospiro. Si fece coraggio, stringendola a sé. Lei rispose immediatamente, posandogli una mano sul collo ed una sul petto, artigliandogli la stoffa della divisa.
Lui le passò una mano dietro la nuca, lasciandola poi scivolare sul collo e sfilandole giù dalle spalle il kimono. Seguì la morbida curva della sua pelle con la punta delle dita, mentre lei respirava forte, la fronte appoggiata nell’incavo della sua spalla.
Neji premette dolcemente sulla sua schiena, conducendola ad accucciarsi con lui sul pavimento, e con dita tremanti prese a slacciare il nodo che chiudeva la cintura. Lei non si oppose, ma rimase docilmente rannicchiata accanto a lui, le gote accese di rosso come mai le aveva viste.
Quando il corpo sinuoso di lei emerse dalla stoffa, lui trattenne bruscamente il fiato.
Panna.
Decisamente una coppa di panna tra le sue braccia nere.
Improvvisamente la sua divisa gli bruciava quasi addosso, e con gesti frenetici prese a sfilarla, ingarbugliandosi. Sentiva caldo, a dispetto della sua faccia di neve, mentre il sangue gli ribolliva sotto la pelle. Sentì un tocco delicato sulla pelle che guidava i suoi movimenti, aiutandolo a liberarsi della maglia. Quando emerse finalmente dagli strati di tessuto, trovò il volto di lei accanto al suo. Quei suoi occhi di luna lo fissavano, dandogli una sensazione di brivido e di caldo al contempo. La strinse forte, inspirando a pieni polmoni il suo profumo delicato, sentendola fremere di imbarazzo sotto alle sue mani. Erano entrambi nudi, pelle contro pelle, panna sulla neve. Si sentiva improvvisamente bramoso di accarezzarla, di sentirla respirare e rabbrividire, non di vergogna, ma di piacere. Si trattenne. Hinata era come un fiore, e non voleva spaventarla. Le baciò piano il collo, risalendo a fior di labbra fino all’orecchio, e allentò la presa sulle membra vellutate di lei.
- Hinata… Io… Se non volete… Vuoi, puoi alzarti adesso, e io rimarrò qui. Non farò nulla per fermarti. – Le sussurrò, e si stupì della sua voce rauca. Non voglio ferirti ancora.
Nel suo abbraccio la ragazza si irrigidì per un momento, e lui rimase immobile. Come poco prima, in corridoio, aveva la sensazione di trovarsi tra le mani un uccellino spaventato. Aveva il terrore che, se si fosse mosso, lei sarebbe volata via per sempre. Un secondo, due, tre… Poi un bacio leggero sulla pelle che si tendeva sulla clavicola lo avvertì della scelta di Hinata. Lei lo baciò ancora, piano, e il respiro che gli lasciava addosso lo faceva rabbrividire dalla schiena al collo, nonostante il caldo bollente della stanza. I suoi muscoli si sciolsero improvvisamente, mentre il sangue tornava a ruggirgli dentro, e le sue mani riprendevano a cercare la pelle di Hinata, a desiderarla come se potesse assorbire attraverso le dita quella dolcezza, quella morbidezza, quel profumo.
Dimentico del lungo corridoio buio che aveva attraversato e della sua uniforme nera, in quel momento tutto intorno a lui era bianco. Fumi bianchi, vestito bianco, pelle bianca, occhi bianchi. Fuori la neve era bianca, sotto una luna bianchissima.
E non c’era più vapore nella stanza, l’acqua si era raffreddata, e il corpo cremoso di Hinata sotto di lui non era mai stato così reale. Ne percepiva l’affanno e i fremiti, mentre lui si tratteneva, quasi dolorosamente, per paura di farle male. Le accarezzò il volto chiaro, di panna e fragole, e con un ultimo gemito si scioglieva ogni sua resistenza, come neve al sole. Affondò le mani tra i capelli di lei, sospirando. Ora che sprofondava nella panna, che si sciogliesse pure, la neve.









Dedica: Questa raccolte è, a tutti gli effetti, un regalo per Elos. Non è nulla di speciale, ma ci tenevo a dire *Sua*


Sproloqui dell'autrice: La storia non ha una stretta connessione con gli eventi. Volevo Neji vestito sexy da ANBU e non con lo stupido pigiamino della casata Hyuuga! ed eccolo qua.


Il titolo "Squarci" è riferito alle storie, quattro momenti diversi, di persone diverse, sentimenti diversi. Piccole finestre sulle vite di alcuni personaggi che ho scelto tra i più amati da Elos.

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Capitolo 2
*** Primavera - Fiori e Cielo ***


stagioni_2.html

Primavera – Fiori e Cielo:


Il vento caldo investiva le pianure che stavano attraversando e Sasuke si era fermato ad una polla lungo il fiume, mandando avanti gli altri. Non era stanco, ma desiderava togliersi di dosso la polvere del viaggio ed il sudore. Camminava pesantemente, come chi sa di dover mettere un piede avanti all’altro in continuazione. Chi sa di non doversi fermare neanche per un istante.
Chi sa di non potersi voltare indietro, o butterà all’aria tutto quello per cui ha lottato fino a quel momento. Per vedere di nuovo due sorrisi.
Anche solo per un minuto.
Per questo non guardava il paesaggio accanto a sé. Guardava solo avanti e ancora avanti. Prima o poi avrebbe dato un senso a tutto questo.
Raggiunse le radici di un albero accanto al fiume, e scrutò l’acqua. In quel punto si formava un’ansa ed era tranquilla, si infrangeva in deboli onde contro la sabbia fine, lontana dai vortici e dalle correnti del centro del corso. Si lasciò scivolare di dosso la camicia bianca, buttandola senza cerimonie tra le radici dell’albero. Poi slacciò la cintura viola. Dopo un istante anche tutto il resto giaceva abbandonato all’ombra, e lui si immergeva con calma nelle acque gelate. Il freddo intenso gli dava una sorta di scossa sulla pelle, e lui ne gioiva segretamente. Si era imposto di non provare nulla.
Aveva chiuso dentro di sé tutto quanto aveva mai avuto di buono e di bello in questo mondo, e aveva giurato che non ci avrebbe mai più pensato.
Perché ricordare era dolore.
Ma quel tipo di sensazione… L’acqua fredda sulla pelle, il sudore degli allenamenti… In un certo senso gli ricordavano che era ancora vivo.
Che se avesse voluto avrebbe potuto provare di nuovo qualcosa. Solo che non voleva.
Si immerse con soddisfazione, mentre si formava ovunque la pelle d’oca. Teneva lo sguardo basso, sul pelo dell’acqua, quando una cosa apparentemente insignificante gli passò davanti agli occhi.
Un fiore di ciliegio.
Sakura.
Galleggiava lento davanti a lui e lo sguardo andò oltre. Mise a fuoco l’acqua attorno a lui. Ovunque si rifletteva il rosa. Per la prima volta dopo molto tempo - Anni? – Sollevò lo sguardo. Sopra di lui si stendevano le chiome rosate di un ciliegio in piena fioritura. Quel colore delicato era come i capelli di Sakura.
Qualcosa dentro Sasuke si scosse.
Nel luogo segreto dove aveva nascosto tutto ciò a cui aveva voluto bene, qualcosa si agitò, tentando di uscire. Avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma era immobile, immerso nell’acqua fino al torace e lo sguardo levato verso l’alto.
Tra tutti gli alberi che c’erano, tra tutti i fiumi che c’erano, si era spogliato e abbandonato al suo piccolo, personale dolore proprio sotto ad un ciliegio.
Gli spuntò tra le labbra un sorriso amaro. Quei fiori rosa, gli ricordavano un tempo lontano. Un tempo che sembrava che neppure gli appartenesse più, tanto era diverso da ora. Come se non bastasse, il cielo era azzurro. Di un azzurro da fare male agli occhi. Azzurro come gli occhi. Gli occhi di qualcuno a cui non voleva pensare. Qualcuno che non voleva ricordare. Distolse in fretta la sguardo. Perché se pensare a Sakura era pericoloso, pensare a Naruto era doloroso e basta. Era triste sapere che ormai non avevano più niente in comune, eppure era così.
Lui aveva uno scopo, un dolore nel petto che nessuno, nemmeno Naruto poteva comprendere. E quella sua sicurezza cieca che si sarebbe potuto lenire quel dolore rendeva tutto più difficile.
Avrebbe voluto odiarlo per quei suoi slanci d’affetto idiota. Invece non riusciva.
Avrebbe voluto ucciderlo. E non c’era riuscito.
Avrebbe voluto liberarsi per sempre di quel sorriso beota che ogni tanto gli tornava alla mente.
La realtà era che non aveva potuto affrontarlo. Naruto era forte come lui. Forse in alcune cose anche di più, con quella sua idiozia che gli impediva di essere razionale. E Sasuke non voleva confrontarsi con lui.
Naruto era sole dove Sasuke era ombra.
Naruto era risata dove Sasuke era impassibile.
Naruto era testardaggine dove Sasuke si arrendeva alla logica.
Naruto era amore per Sakura dove Sasuke era stato… Incapace.
Distogliere gli occhi non era servito a nulla. Il vento aveva preso a soffiare e i petali volavano attorno a lui, come i capelli di Sakura il giorno dell’esame di selezione dei Chunin. Uno dei primi giorni in cui la maledizione aveva avuto presa su di lui. Si posavano a mucchi sul pelo dell’acqua. L’acqua che rifletteva il cielo azzurro e limpido. Limpido di occhi che lo guardavano per sfidarlo, afferrarlo, ghermirlo, fermarlo. Non erano occhi a cui poteva resistere.
Per questo non guardava più il cielo.
Per questo non guardava più il mondo attorno a sé.
Ovunque era colore, era profumo, era dolore.
Il profumo di Sakura quella notte in cui aveva rinnegato il villaggio.
Quando aveva seguito Orochimaru per diventare più forte.
Più forte di Naruto, più forte anche per lei.
Perché Sakura da sola non sapeva bastare a sé stessa e lui lo sapeva bene. Era stato felice, quando lei aveva tentato di fermarlo. Il suo cuore che già diventava nero aveva avuto un guizzo.
Se lei fosse stata da sola forse. Forse la avrebbe portata con sé. Ma lei aveva Naruto. E Naruto era come il cielo. Azzurro sincero e caldo Giallo, capace di investire e bruciare di passione tutto quello che aveva attorno. Naruto si sarebbe preso cura di Sakura al posto suo.
Le aveva voluto lasciare un futuro, anche se lei non aveva capito.
Le voleva lasciare la sua infanzia. Il villaggio, gli amici. Tutto quello che per lui non significava più niente. Solo loro contavano. Le uniche cose buone che la foglia aveva avuto per lui. E li aveva lasciati insieme. Era stato il meglio che era riuscito a fare per loro.
Azzurro e Verde. Giallo e Rosa.
Sakura era come il nome che portava. Nei suoi capelli soffici c’era il profumo della primavera. C’era l’amore, la speranza. Tutte cose a cui lui doveva rinunciare. Nei suoi occhi verdi c’erano i germogli delle nuove piante. Il verde giada dell’acqua umida che porta la vita. Vita che lui non aveva. Aveva rinunciato ad avere.
Naruto era come i colori che indossava. Fastidioso alla vista e positivo, energetico, esasperante. Capace di strappare un sorriso ai morti. Ma sasuke non era morto, era vuoto. Gli occhi di cielo che non sapevano mentire. I capelli di sole che non può fare a meno di brillare, e scaldare e far sorridere. Ma Naruto non lo faceva più sorridere, perché Sasuke sapeva a cosa avere rinunciato. E rinunciare al sole significa solo abbandonarsi alla morte dentro. Sasuke era svuotato. Non gli importava di nulla.
E Sasuke era buio e nero. Nero dentro. Non aveva più nulla in comune con loro.
Rabbrividì tra le braccia del fiume. Con un gesto irritato della mano schizzò ovunque l’acqua intorno a lui, distruggendo per qualche istante il riflesso blu del cielo e il turbinante rosa dei petali. Fu un attimo a tutto tornò come prima. Un passato incancellabile lo circondava.
Ovunque andasse, qualunque cosa facesse, Naruto e Sakura erano sempre con lui.
Se fosse stato un altro, avrebbe urlato di frustrazione.
Invece si immerse nella acque fredde, trattenendo il fiato fino a farsi bruciare i polmoni ed emerse ruggendo soddisfatto del dolore che provava. Tutte le ferite che si procurava lo distraevano e lenivano un po’ quel grande dolore vuoto che gli gravava dentro. Perché il dolore del corpo gli appariva nulla davanti a quello dell’anima.
Improvvisamente decise di uscire dall’acqua. Rimanere un istante di più in tutto quel cielo e in tutti quei fiori gli era intollerabile. Avanzò verso la rena fino a che il fiume non gli lambì che le caviglie e i piedi, affondati nella sabbia umida e vischiosa. La schiena bianca dalla muscolatura ben delineata ebbe un fremito e il ragazzo soffocò in fretta un rumore sordo e strozzato che risaliva lungo la sua gola.
Quel qualcosa nel luogo segreto e buio dentro di lui lottò per uscire. Con le dita tremanti, sicuramente dal freddo, raccolse i suoi vestiti. Infilò i calzoni, i sandali, afferrò la camicia. Quando fece per indossarla parve per un attimo che vi fosse un leggero sobbalzo, subito nascosto dalla stoffa, che aderiva al corpo bagnato rivelandone più di quanto non coprisse. Mosse un piede davanti all’altro, lasciandosi alle spalle quel ciliegio orgoglioso che si stagliava nel cielo limpido. Camminò e camminò ancora, fino a che albero, fiume e cielo non furono abbastanza distanti dai suoi occhi. Ma non dalla mente.
La voce di Karin lo colse alla sprovvista, e se non fosse stato così abituato a mostrare sempre la stessa impassibile espressione sul volto, l’ombra di un’emozione avrebbe potuto attraversarlo.
- Stai piangendo, Sasuke? – Una nota di allarme nella voce della Ninja, che si avvicinò precipitosamente. Lui si scostò in maniera brusca, superandola.
- Sono ancora bagnato. Ed ora andiamocene. – Perfetto. Distante. Impassibile.
Lui era vuoto.
Doveva essere vuoto. Altrimenti tutto avrebbe perso senso.






Dedica : Questa è stata faticosa, Elos. Io odio Sasuke. Lo odio con tutte le mie forze. Lo odio quanto amo Itachi e Kakashi messi insieme! Però siccome è per te, ho dovuto basarmi sul *tuo* Sasuke, per trovarne una versione accettabile.
Colgo l'occasione per segnalare che a questa storia ne è collegata una dolcissima di Elos : Ventorosa Azzurrocielo, dove potete avere un assaggio del suo Sasuke. Uno dei pochi che io trovi accettabili. Nonostante tutto. La trovate nella sua raccolta : Tre in uno - Si comincia come un gioco


@ Ermellino - Grazie del commento! In effetti, è davvero terribile quello pseudoaccappatoio. Kishimoto vuole molto male alle fan di Neji!

@ Emily the Strange - Grazie! Ho cercato di immaginare uno sviluppo al di là della storia per quei due, anche se non sono la mia coppia preferita!

@Dita_Inkiostro - Ti ringrazio infinitamente dei complimenti. Quando ho pensato a quei due in inverno, il primo pensiero è stato accostarli alla neve ^^ da lì alla panna per Hinata il passo è stato breve! Grazie ancora!



Sproloqui dell'Autrice: Questa è stata una mission impossibile. Sasuke è già sistematicamente vestito, a causa dell' amato e riverito sarto di Oto. Cosa potevo fare di più? L'ho spogliato del tutto e l'ho messo in acqua, e poi l'ho fatto rivestire bagnato.Di meglio non avrei potuto fare. Non senza scendere nel porno!

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Capitolo 3
*** Estate - Sudore e Pietre ***


stagioni_3.html

Estate – Sudore e Pietre


Quando attraversò le strade del suo villaggio scortato dai suoi fratelli maggiori, il Kazekage si guardò intorno con aria costernata. Sebbene fosse difficile intuire i suoi pensieri dietro al volto apparentemente impassibile, chi lo conosceva bene sapeva comprendere i suoi stati d’animo dai minimi cambiamenti d’espressione. Per questo Temari e Kankuro gli camminavano così vicino, quel giorno: ovunque intorno a loro c’erano i segni dell’ultimo attacco. Le perdite erano state irrisorie grazie all’intervento del Kazekage, ma molti edifici portavano evidenti i danni dovuti alla battaglia. Troppe case erano state sventrate e le pietre si erano sparse disordinatamente ovunque. Ingombravano le strade e le poche porte e finestre che erano rimaste intatte. Gaara era immobile in tutta quella desolazione, mentre Kankuro e Temari lo fissavano, in attesa dei suoi ordini. Il ragazzo raggiunse quello che era stato il centro del villaggio e si guardò attorno. I suoi Ninja lo osservavano con espressione incerta, e lui per un attimo si sentì vacillare.
Cosa poteva fare, lui, per quella gente? Per la sua gente. Erano tutti esausti e stanchi, ma lo sguardo di Gaara venne calamitato da una ragazzina, affiancata da quelli che sembravano i suoi nonni. La bambina tirava con tutte le sue forze un grosso macigno che ostruiva la porta di quella che era stata la loro casa.
Rimase ad osservarla per qualche istante, mentre tirava con forza la pietra, senza riuscire a smuoverla che di qualche centimetro.
Strinse i pugni e con uno scatto fu accanto a lei. Si chinò sopra la bambina, che si ritirò impaurita dalla sua ombra. Lui girò lo sguardo su di lei, mentre allungava le braccia verso la pietra, e le sorrise.
Temari e Kankuro si scambiarono uno sguardo, perplessi.
Gaara si mise a tirare la pietra, finché non riuscì a smuoverla dalla porta, liberando lo spazio necessario a passare. Sotto il sole del deserto si sollevò, asciugandosi il sudore della fronte con il dorso della mano. Tutto il villaggio aveva il fiato sospeso, nell'aria bollente e tremolante.
Aveva gli occhi di tutti i presenti puntati addosso, ma li ignorò, chinandosi invece sulla bambina. Le sorrise ancora, mentre lei lo fissava intimorita.
- E' libero, potete passare ora. Non preoccuparti: ricostruiremo insieme il villaggio, e sarà meglio di prima. - La bambina gli sorrise, dapprima timidamente, poi si lanciò verso di lui e gli abbracciò le ginocchia. Gaara rimase pietrificato per qualche secondo, mentre i nonni lo fissavano allibiti.
Per la prima volta in vita sua si rese conto che il volto gli stava andando in fiamme, e con tutta probabilità era arrossito. Annaspò leggermente, girando lo sguardo in cerca d'aiuto verso Temari.
Sua sorella era seria e leggermente stupita, ma assunse immediatamente un'espressione decisa, mentre annuiva, forse un po' troppo bruscamente.
Lui tornò a guardare la piccola, e con estrema delicatezza, le posò una mano sulla testa.
L'intero villaggio, che sembrava essersi fermato al gesto della bambina, sembrò sospirare. Si alzò un vento sottile e secco, di quello che trasporta la sabbia. I turbini, di un giallo polveroso, ammucchiavano la polvere ocra agli angoli delle strade, tra le pieghe dei vestiti, appiccicandosi alle pozze di sangue e alle guance rigate di lacrime dei bambini.
Gaara strinse i pugni. Doveva fare qualcosa, lui, che era il Kazekage.
La bambina era stata tirata via delicatamente dai nonni, che ora lo fissavano con espressione reverente e timorosa. Quell'anziana coppia aveva combattuto sotto il comando di suo padre, li ricordava bene.
Tornò a guardarsi intorno: tutti lo stavano fissando, ma non erano gli sguardi carichi d'odio e di timore che aveva ricevuto da bambino.
In questo momento tutti lo guardavano, carichi di attesa.
Avevano fiducia in lui, nelle sue azioni e nelle sue decisioni.
Non avevano paura di lui.
Senza dire una parola, passò alla finestra accanto alla porta che aveva liberato, e con le mani prese a scostare i detriti e la sabbia. Lentamente e con cura, come se temesse di svegliare i mattoni cotti al sole che costituivano i muri.
Posava con delicatezza i detriti accanto alla porzione di muro rimasta in piedi, con costanza. Proseguì sotto lo sguardo attonito dell'intero villaggio, fino a creare un grosso tumulo di pietre e mattoni, fino a che anche la finestra non fu libera.
Quando ebbe finito, si passò la manica sulla fronte sudata, ansimando e fissandosi per qualche istante le mani impolverate e sporche. Gli anziani proprietari della casa erano immobili.
Kankuro gli si avvicinò e allungò una mano verso la sua spalla. Gaara si voltò prima che potesse sfiorarlo.
- Gaara, non c'è bisogno che lo faccia tu... -
Lo sguardo serio che ricevette indietro fece quasi vacillare il marionettista.
- Devo farlo. Darò l'esempio. Naruto lo avrebbe fatto, al mio posto, e io voglio farlo. - Sibilò Gaara, voltandosi nuovamente e riprendendo a spostare le macerie. Kankuro deglutì a vuoto, poi si mise accanto al fratello e prese a spostare anche lui i sassi che ingombravano un passaggio tra due case. Temari fissò i suoi fratelli per un secondo, poi spostò uno sguardo feroce sul resto degli abitanti del villaggio, indicando con un gesto imperioso Gaara e Kankuro:
- Allora? Volete far fare tutto al Kazekage? Muovetevi! Chi può lavorare lo faccia subito, mentre gli altri vedano di non ingombrare il passaggio! -
Sotto gli ordini secchi e precisi di Temari, l'intero villaggio prese a muoversi. Prima solo alcuni, titubanti, poi via via tutti presero ad adoperarsi. C'era chi spostava le macerie, chi recuperava i materiali e chi iniziava già a ricostruire. Infine, chi non poteva fare nulla di questo portava acqua ai lavoratori.
Dopo poco Gaara sollevò la testa dal suo lavoro, trovandosi circondato da una folla vociante di persone che gridavano indicazioni, spostavano oggetti, e di tanto in tanto gli scagliavano un'occhiata ammirata.
Fino a qualche anno prima una cosa del genere sarebbe stata impensabile, a cominciare dal comportamento di Kankuro e Temari, che lo avevano subito appoggiato e avevano addirittura spronato il resto del villaggio a fare altrettanto. Cercò di soffermarsi su quella sensazione strana che all'improvviso lo scaldava da dentro e gli faceva tremare le mani. Ora aveva un motivo più importante per impegnarsi nella missione che si era scelto. Non aveva più nulla da dimostrare. Doveva... No. Voleva essere all'altezza della nuova fiducia che gli era stata accordata, a costo di scorticarsi le mani su tutte le pietre del villaggio. A costo di impastare la sabbia con il suo sudore e il suo sangue, non avrebbe mai più che tornassero i tempi oscuri su cui aveva governato suo padre. Il villaggio non avrebbe più avuto carenza di missioni, e a nessun bambino sarebbe mai stata imposta la tortura che avevano riservato a lui. Mai, mai, mai più.
Sollevò lo sguardo verso il cielo. Per contrasto a quello sconfinato blu lucido, terso e senza nuvole, i muri delle case sembravano ancora più gialli e caldi, attorno a lui. I raggi bollenti del sole non trovavano ostacoli e picchiavano ovunque, le ombre rese piccole e pallide dalla mattinata che avanzava.
Gaara era concentrato su ogni singolo sasso che spostava. Avrebbe ricostruito un villaggio migliore. Avrebbero. Tutti insieme.
Si tolse con un gesto quasi rabbioso la giacca scura, e poi, senza pensarci due volte, si sfilò anche la sottile maglia nera che gli aderiva come una seconda pelle, ormai madida di sudore.
Ne emerse una pelle bianco latte, tesa e leggermente lucida sui muscoli che guizzavano, mentre il Kazekage si tergeva dalla fronte il sudore con l'avambraccio nudo. Si passò le mani con le dita aperte più volte tra i capelli rossi, scompigliandoli e lasciandoli irti all'indietro, fradici.
Sotto il sole di mezzogiorno, i lavori presero a rallentare, ma Gaara decise di non fermarsi. Era in grado di sopportare la fatica per molti giorni, se necessario, e lui non avrebbe avuto riposo finché non avessero ricostruito il villaggio.
Mentre i ninja cercavano ristoro nel fresco umido delle casa scavate nel tufo, un piccolo gruppetto si stava radunando attorno a Gaara: molte ragazze non avevano perso l'occasione di poter ammirare il Kazekage seminudo e lo osservavano rapite mentre lui proseguiva il suo sforzo senza dar segno di accorgersi di loro. Più attenti di lui erano stati i suoi fratelli, e, dopo un breve sguardo tra loro, si erano avvicinati alle ragazzine sospiranti con fare risoluto. Temari si era piazzata tra loro e il fratello minore, fissandole con uno sguardo di brace che mal si accordava ai suoi occhi verdi. Aveva aperto il ventaglio con aria minacciosa e non c'era stato bisogno di parole per far capire chiaramente che non avrebbe tollerato quel comportamento. In breve il gruppo si disperse in un mormorio deluso e un soffio di vento.
Distratto dal rumore, di nuovo vigile e attento a ciò che udiva attorno a sé, Gaara sollevò la testa per guardarsi intorno: ogni strada era sgombra, e in ogni angolo c'era una famiglia, una coppia o un gruppo di amici che si riposavano negli scampoli d'ombra offerti dalle tettoie o dai muri ancora in piedi.
Si lasciò sfuggire un sospiro, a metà tra il soddisfatto e il deluso: molto era stato fatto, tra lui e il villaggio, e da lui per il villaggio, ma molto era ancora da fare.
Si girò, pronto a scandagliare la zona alla ricerca del secchio d'acqua più vicino, quando la scena che si trovò davanti lo fece sobbalzare.
A qualche metro da lui, Temari aveva piantato il suo ventaglio a terra, inclinato per far sì che proiettasse un'ombra gradevole e leggermente trasparente, mentre si agitava mosso dal sottile vento del deserto. Sua sorella aveva sulle ginocchia una confezione di cibo e gli faceva cenno di avvicinarsi con un sorriso soddisfatto. Accanto a lei Kankuro aveva già preso quanto gli spettava, e si sbracciava a sua volta nella sua direzione, guance piene.
A quella vista le labbra di Gaara si piegarono impercettibilmente all'insù.
Se era quella scena ad aspettarlo, avrebbe potuto lavorare altri mille anni sotto il sole.




Dedica: Elos, eccola qua! L'hai già letta, perchè non avevo il cuore di farti aspettare ancora una settimana per questa roba... Mamma mia che difficile far spogliare Gaara!
Mi spiace che non sia granchè, ma è quel che mi è venuto. Per questa si ringrazia in particolar modo slice, senza la quale sarei ancora fossilizzata sulla prima metà! Grazie cara!

@Elos: su Sasuke non commento :) in compenso Gaara almeno mi è simpatico, è tanto dolce! (beh, da quando non tenta più di squartare le persone, almeno)

@slice: Grazie mille per aver apprezzato quel Sasuke. Scrivere di lui è stato un incubo! Ma soprattutto, grazie per avermi sbloccato questa storia, che era ferma a prender polvere da nonsoneanchepiùioquanto! Grazie!


Sproloqui dell'Autrice: ecco l'altro uomo impossibile! Come si fa a spogliare uno con quell'espressione lì? Uno che se ne sta con il cappotto pure in mezzo al deserto, aggiungerei. Questo è quel che è venuto, di meglio non mi veniva!

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