Chiedimi Se Sono Felice

di EffieSamadhi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Chiedimi Se Sono Felice

“Che fai stasera?”
“Oh, non saprei. Pensavo di chiamare un po’ di amiche e organizzare un’orgia a casa di McGee, ma lui dice di non poter mancare l’incontro settimanale degli Elfi Anonimi…”

“DiNozzo, questa è vecchia” mi ammonisce McGee dalla scrivania di fronte. “E comunque stasera ho un appuntamento.”
“Con un’elfa?”
“Con una donna. Oh, ma perché ti do ancora retta?” sbuffa, immergendosi di nuovo nel lavoro.

“Perché vuoi sapere cosa faccio stasera, Ziva?”
Fa una strana smorfia e alza le spalle, fingendo indifferenza. “Gibbs mi ha appropinquato un sacco di lavoro giù in archivio, ma da sola rischio di finire tra dieci anni.”
“Beh, non credo di essere libero. E comunque ti ha appioppato il lavoro, non appropinquato.”

 

Sono le otto e un quarto. Il mio turno è finito da quindici minuti, e di solito a quest’ora sono a duecento metri da casa. Sono uno stronzo. Ziva mi ha chiesto aiuto e io l’ho elegantemente silurata. Eppure una parte di me voleva dirle di sì. Era la parte di me attratta da lei. Sì, come se esistesse una parte di me non attratta da lei. Il fatto è che sto cercando di convincermi che non provo nulla, che non farei di tutto per sapere se anche lei mi desidera come io desidero lei. Non faccio che ripetermi che Ziva non mi interessa, e più lo dico più mi accorgo che ne sono innamorato.

Oh, al diavolo. Tanto che farei a casa? Finirei per addormentarmi davanti alla TV, mi alzerei con la schiena a pezzi e il morale a terra.

 

“Chi va là?” sussurra la sua voce a un pelo dal mio orecchio. Sento il freddo metallo della sua pistola a contatto con la mia tempia.

“Ziva, sono io. Puoi abbassare il ferro.”

“Oh, scusa, DiNozzo. Non aspettavo visite.”
“Mi avevi chiesto di aiutarti.”

“Mi pareva avessi detto che avevi da fare.”
“Veramente ho detto che… ah, lascia perdere. Allora, che genere di lavoro ti ha appioppato Gibbs?”

Mi porge un pennarello. “Riscrivere tutte le etichette dei fascicoli dal 1980 al 1985.”

“Per questo non esistono gli archivisti?”
“Ehm, più o meno.”
“Più o meno?”
“Vuole che lo faccia io. Sai, per colpa di quello che ho fatto con il vicepresidente.”

“No, aspetta. Gibbs ti ha spedita qui per punirti per aver puntato la pistola alla testa del vicepresidente?”
“Se vuoi metterla così…”
“E tu stai chiedendo a me di aiutarti con la tua punizione?”

“Puoi sempre andartene, se non ti va.”

Sbuffo e afferro un po’ di fascicoli, senza risponderle.

Non parliamo molto, ma è bello stare in sua compagnia, guardarla ricopiare con cura ogni lettera, ogni numero, osservarla mentre si allontana una ciocca di capelli dagli occhi. Sono contento di essere tornato sui miei passi, e mi ritrovo a sorridere.

 

“Grazie, DiNozzo. Sei stato… gentile.”

“Dovere, Ziva.”

“Allora… ci vediamo domani?”
“Ci vediamo domani. Ah, come torni a casa?”
“In autobus. Perché?”
“Ziva, è mezzanotte. Non…” Non mi sento tranquillo a lasciarti andare da sola. “Non credi sia un po’ pericoloso?”

“Ti preoccupi per me?”
“Mi preoccupo per i criminali” la prendo in giro. “No, a parte gli scherzi… non sono un gran guidatore, ma credo sarebbe meglio se ti accompagnassi io.”

“Che c’è dietro?”

“Dietro? Niente. Insomma, qui in America i colleghi si accompagnano a casa, qualche volta. Una volta mi sono dovuto far accompagnare da McGee, pensa.”

Sorride, e poi la vedo mordicchiarsi un labbro. Buon segno, vuol dire che ci sta riflettendo su. “Ok.”

 

“Non sapevo vivessi qui.”

“Che intendi dire?”
“Niente. È una bella zona. Ho sempre sognato di comprarmi un appartamento da queste parti.”
“Perché non lo hai fatto?”
“Non lo so. Forse perché qui vendono case adatte alle famiglie, e io non ho una famiglia.”

“Se ti piace, forse dovresti venire a vivere qui.”

Non fa una piega. “Forse dovrei sbrigarmi a trovare qualcuno con cui venirci ad abitare.”

“Allora non ci verrai mai” ride.

“Stai dicendo che non sono in grado di trovare una donna che voglia vivere con me?” rispondo, piccato. In realtà vorrei sorridere.

“Sto dicendo che sei un tipo troppo evidente.”

“Evidente?”
“Ma sì, uno che non si accontenta mai.”

Esigente, allora. No, non è vero!”

“Sì che è vero.”

“E perché sarei un tipo esigente?”
“Perché ci sono tante ragazze che ti girano attorno, ma tu non le degni nemmeno di uno sguardo.”

“Beh, evidentemente non fanno nulla per farsi notare.”

“Mi stai dicendo che con te deve essere la donna a fare il primo salto?”
“Il primo passo, intendi? Sì, è quello che sto dicendo.”
“E che cosa può fare per farsi notare da te?”
“Non lo so. Condividere le mie stesse passioni, regalarmi i biglietti per il Super Bowl... insomma, deve trovare il modo per stupirmi.”
“Baciarti all’improvviso sarebbe un modo per stupirti?”

Ci rifletto su per qualche istante. “Sì, immagino di sì.”

“Ok.”

La vedo rilassarsi sul sedile, e poi all’improvviso slanciarsi verso di me. Non ho il tempo di capire che cosa stia cercando di fare; lo capisco quando sento le sue labbra posarsi sulle mie, decise e senza esitazione. Cerco di contare i secondi: uno, due, tre… nei dintorni del sei si stacca e cerca a tastoni di aprire lo sportello. Mi servono un paio di secondi per realizzare quello che è successo, ma quando ci riesco, una sensazione meravigliosa mi prende lo stomaco. Ziva voleva stupirmi.

Mi protendo verso di lei, le faccio scivolare una mano tra i capelli, e lei si volta verso di me. Ha le guance arrossate e gli occhi lucidi… soltanto Dio sa che cosa vorrei farle in questo momento. Mi guarda con aria smarrita, senza sapere che cosa dire.

“Eh no, Ziva, non ti lascio andare via così” le sussurro, prima di attirarla verso di me e baciarla ancora. Le sue labbra premute contro le mie hanno il sapore del miele, le mie dita si fanno strada tra i suoi capelli, trattenendola contro di me. Ben presto smetto di pensare, e lascio che siano i nostri corpi a parlare per noi.

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Capitolo 2
*** 2. ***


Chiedimi Se Sono Felice

“Tony?” bisbiglia, a fatica.

“Sì?” rispondo, con il respiro altrettanto affannato.

“Mi sento vagamente in imbarazzo.”

“Perché?”
“Perché un gruppetto di adolescenti ci sta tenendo d’occhio dall’altra parte della strada.”

Maledetti teenagers. Mi volto di nuovo verso di lei, e lei risponde abbassando gli occhi sulla pelle del sedile.

“Vorresti… ti va di salire?”

 

Riesco a resistere fino al suo appartamento senza toccarla, ma non appena mi sento al sicuro oltre la pesante porta in legno, cerco di nuovo un contatto con lei. Non mi respinge, il che significa che sono finalmente riuscito a buttare giù il muro tra di noi. Mi rincresce, ma devo dare ragione a Gibbs quando dice che “Agire è l’unica risposta per qualsiasi tipo di domanda”.

Le sue mani, le sue bellissime mani, mi aiutano a sfilare la giacca, che cade da qualche parte nell’ingresso. Usiamo più prudenza nello sfilarci le fondine, poi riprendiamo a camminare verso la sua stanza. È lei a guidarmi: io mi limito a seguirla, completamente rapito dalla sua bellezza, dalla magia di quest’attimo.

La sollevo tra le braccia, e senza smettere di baciarla la appoggio sul grande letto matrimoniale. Lei, di solito, dorme a destra: lo capisco dal libro appoggiato sul comodino. Riporto gli occhi su di lei: è finalmente arrivato il momento, quel momento che inseguo da mesi. Mi sollevo su un gomito e le accarezzo i capelli: Ziva è qui, ed è mia.

Faccio correre il mio sguardo sulle linee del suo volto, che mai come in questo momento mi sembra dolce e armonico. Con il pollice percorro il contorno delle sue labbra, riabbassandomi per baciarle ancora. Le labbra, poi il viso, la mascella, il collo: non esiste un solo punto sul quale non desideri posare le labbra.

“Tony…”

“Sì?”

“Questo significa che ci sono riuscita?”
“A fare che cosa?”

“Il primo salto.”

Sorrido contro la pelle morbida del suo collo. “Sì, Ziva. Hai fatto un ottimo primo salto.”

Ricomincio a baciarla, mentre le mie mani scendono lungo il suo corpo, cercando uno spiraglio attraverso il quale arrivare alla sua pelle. La sento fare lo stesso: i suoi polpastrelli si muovono leggeri sul mio torace, ed è una sensazione decisamente piacevole. Sorrido, quando mi accorgo che sta pian piano aprendo i bottoni della mia camicia. Lei, l’integerrima Ziva, è fatta di carne e sangue come ogni altra donna. La lascio fare, ed è fantastico accorgersi che tutto ciò che vuole è liberarmi dei vestiti. Ricambio la cortesia, spingendo verso l’alto la sua maglietta, e scoprendo un corpo a dir poco perfetto: non avrei mai immaginato che sotto i vestiti sformati che è solita indossare si nascondessero delle forme come le sue.

Anche la biancheria che indossa è spartana, ma incredibilmente le dona. Scendo ad accarezzarle il seno con le labbra, mentre faccio scivolare i pantaloni lontano dalle sue gambe. Sento le sue mani avvicinarsi alla mia cintura, e mi sposto appena per facilitarle il compito.

“Tony…”

“Sì?”

“Io… no, niente.”

Non mi soffermo ad interrogarla ulteriormente, ma la libero dai pochi indumenti rimasti e mi preparo a renderla mia. Si muove sotto di me, preparandosi al momento.

“Tony…”

“Sì, Ziva?”
“Sono felice.”

Quelle due parole, pronunciate in quel momento, mi inducono a baciarla ancora. Non ho mai trattato una donna con tanta cura, e mi rendo conto in questo istante che non ho mai amato nessuna quanto amo lei. Le sue mani stringono forte le mie spalle, mentre la rendo mia, con estenuante lentezza. Ogni movimento del mio corpo suscita una risposta equivalente nel suo, così come ogni emozione, ogni sussurro, ogni gemito, trova in lei un doppio.

I nostri respiri cambiano, il ritmo si fa più frenetico, mentre ci avviciniamo a quel momento che ci renderà ufficialmente una cosa sola.

 

Il suo viso è immobile contro il mio petto.

I suoi capelli sparsi sul cuscino mi fanno il solletico.

Con le dita traccia ghirigori invisibili sulla mia pelle.

Non posso fare a meno di sorridere, perché so che sta per farmi una domanda.

E so qual è.

“Ziva…”

“Sì?”
“Su, fammi quella domanda.”
“Quale domanda?”

“Lo sai. Chiedimi se sono felice.”

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