Niente virgolette nel titolo. (A groupies' tale.)

di Queen of Superficial
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nostra signora la tazza del cesso. ***
Capitolo 2: *** Zero Killed ***
Capitolo 3: *** "Una storia d'amore tra cretini egocentrici." ***
Capitolo 4: *** Life was just what happened while we were busy making plans. ***
Capitolo 5: *** Weisenbier, bitte. ***
Capitolo 6: *** Una specie di tarantella metal. ***
Capitolo 7: *** Scritto nelle stelle, e nel mio vecchio televisore. ***
Capitolo 8: *** Dando ragione, in un colpo solo, all'intera discografia di Roberto Vecchioni. ***
Capitolo 9: *** "Tenere il carro per la scesa." ***
Capitolo 10: *** Un criceto di nome Lucrezia Borgia. ***
Capitolo 11: *** "Ritengo sarebbe saggio non far assistere il criceto a questa discussione." ***
Capitolo 12: *** Blitzkrieg. ***
Capitolo 13: *** Scansati, equivoco. (Per le campane a festa.) ***
Capitolo 14: *** It's not a war, it's just the end of love. (13 bis.) ***
Capitolo 15: *** Spiagge della California, Marlboro rosse e tarallucci. ***
Capitolo 16: *** Day zero. (Elogio delle meduse e dei cavallucci marini.) ***
Capitolo 17: *** Something borrowed, something blue. ***
Capitolo 18: *** Ma veramente hai detto soqquadro? ***



Capitolo 1
*** Nostra signora la tazza del cesso. ***


Quindici minuti.
Le stavo tenendo la testa da esattamente quindici minuti, il viso rivolto alla finestra per non guardare.
Bliss aveva abbracciato una nuova religione: la tazza del cesso.
Precisamente, la tazza del cesso di un autogrill sito più o meno nel bel mezzo del niente, Sud Inghilterra.
Il tourbus era fuori, parcheggiato in bella vista vicino al distributore della benzina: la nostra auto, un defender nero, invece era convenientemente all'ombra.
Un altro atroce conato di vomito: mi aggrappai al lavandino per reprimere la tentazione di cambiarle colore ai capelli.

Ria...”, sussurrò debolmente, prima di infilare di nuovo la testa nella tazza.
Perfetto. Era perfetto.

Potevi evitare i tuoi consueti sei o sette litri di birra, ieri sera, visto che sapevi che oggi ti sarebbe venuto il ciclo.”, commentai caustica.
Non disse niente, e io incrociai il mio riflesso nello specchio. Una cascata di capelli neri, spettinati, il viso struccato, una maglietta troppo grande dei Kasabian. Un quadro.
Bliss alzò la testa. “L'altr...”, cercò di articolare.

Eh?”
L'altroieri.”, sussurrò.
L'altroieri cosa?”
Il ciclo.”
Spalancai gli occhi, le tolsi la mano dalla fronte e Bliss battè una sonora craniata contro la ceramica del water.

Ti è saltato il ciclo?”
Si alzò massaggiandosi la fronte ed emettendo gemiti di sofferenza, quando fu scossa da altro conato.
Mi abbassai alla sua altezza, incurante dello stato pietoso in cui era la mia storica migliore amica.

Ho detto: ti è saltato il ciclo?”
Annuì mestamente, e riabbassò la testa.
Feci un paio di calcoli veloci, mentre infilavo la porta di corsa, diretta al banco farmacia.
Corridoio del cesso giallo manicomio, piastrelle schioppate azzurro tenue: il classico esempio di un decoratore ubriaco.
Incrociai Dominic, batterista, faccia nota, pochi metri più in là.

Ria, ciao, come...”
Sì, ciao, Dom, dopo, ora no, non lo so, fammi andare.”
Stavo ancora parlando, quando mi sbattei la porta dei cessi alle spalle.Allora, dicevamo. Banco farmacia.Mi sporsi per avere la commessa bionda a un palmo dal naso, e dissi, col tono più grave che riuscii a trovare nel mio repertorio di toni gravi: “Un test di gravidanza. Cazzo.”

Quando rientrai nel bagno delle donne, Bliss era seduta sulla finestra e stava fumando: aveva assunto una gradevole sfumatura verdognola, era sudata fradicia e aveva la maglia che le calava su una spalla, a scoprire la rosa rossa tatuata.
Le sventolai sotto il naso il tubetto oblungo.

Fai pipì su questo.”
Mi guardò spaesata: “Prego?”
Sbuffai. “Eppure mi sembrava di aver parlato italiano.”, dissi, rivolgendomi a un piccione in transito fuori dalla finestra.

Ho detto: fai pipì su questo coso.”
Mi guardò di nuovo.

E perchè?”
Dio, come parlare con un calzino.

Perchè pisciare sui tubetti è la nuova moda inglese.”
Silenzio.

Perchè trovo improvvisamente divertente che tu faccia pipì sugli oggetti più strani. Oggi questo, domani un portafiori.”
Silenzio.

E' un test di gravidanza. Idiota.”
Me lo prese dalle mani come se stesse maneggiando una granata.
E poi dalla sua bocca uscì un vocabolo che risultò il più idiota mai sentito sulla faccia della terra.

Perchè?”

Due minuti dopo, era sul water.
Non ci riesco.”, disse, e la sua voce rimbombò al di fuori dello stretto cubicolo: al di fuori dello stretto cubicolo c'ero io, fumante di preoccupazione e di Lucky Strike, seduta sul piano del lavabo.
Con chi sei stata?”
In che senso?”
Non rincoglionirti: ascolta le parole e dai risposte pertinenti. Con chi sei stata?”
A letto?”
No. Al bagno.”
Non trattarmi male.”
Non ti tratto male.”
Invece sì.”
Con chi sei stata, allora?”
Rumore di acqua che scende.
Niente risposta.
Uscì dal bagno con il test in mano, e me lo porse.

Adesso?”
Aspettiamo.”
Ci guardammo senza parlare.

Allora? Si può sapere chi è il presunto padre del presunto bambino?”

BOOM, BOOM, BOOM.
Niente.
BOOM, BOOM, BOOM.
Niente.
BOOM, BOOM, BOO...

Cristo, sono le sei e un quarto del mattino!”
Ciao, Matt.”
Mi guardò.
Lo guardai.

Dov'è?”
Sospirò. Aveva i capelli in un unica soluzione di punte di istrice, sparati tutti a sinistra, gli occhi rossi di sonno ed era, con un po' di fantasia, in pigiama.

Chi? Il Papa, la Regina Madre, il presidente degli stati uniti?”
Dominic. Dov'è.”
Non capiva l'inglese. Tentare con l'italiano sarebbe stato inutile.
Guardai il caffè che avevo in mano, e glielo porsi.

Bevi.”
Cosa?”
Siete tutti lenti di comprendonio stamattina, o è un problema mio? Bevi, è caffè. Bevi. Cioè, se si può chiamare caffè acqua calda con i fondi girati dentro. Ma siete inglesi. Non è colpa vostra.”
Fece un lungo sorso, chiuse e riaprì gli occhi, e si passò una mano tra i capelli.
Gli schioccai le dita davanti alla faccia.

Adesso cagami. Dov'è Dominic?”
Mi guardò.

Qua non c'è.”
Bene. E ci sono voluti sette minuti per fartelo dire. Finisciti il caffè.”
Ok.”
E torna a dormire.”
Ok.”
Ciao.”
Ciao.”

Corridoio al contrario. Il muro sempre giallo, le piastrelle sempre schioppate. Un bue di due metri mi passò affianco: lo afferrai per la maglia.
Chris.”
Mi guardò, senza capire.
Cosa gli avevano fatto a tutti quanti durante la notte, una lobotomia di gruppo?

Ria.”, disse.
E fin qui ci siamo. Dov'è Dominic?”
Nel bagno.”
Grazie.”
Guardai il caffè che avevo ripreso al bar, dopo aver dato il mio a Matt.

Toh, bevi.”
Eh?”
BEVI. E' caffè.”
Lo prese, sussurrando un ringraziamento.
Alzai gli occhi al cielo. Ma minchia.

Due minuti dopo, buttai giù la porta del bagno degli uomini mettendo in fuga due camionisti.
DOMINIC.”, strillai.
Dominic mi rispose da dentro un cubicolo. “Sì?”

Disturbo?”
Abbastanza.”
Sei seduto?”
Direi.”
Bene. Diventerai padre.”
Nessuna risposta. Non sarà un bel vedere, quando la polizia rimuoverà il cadavere.

Dominic, dammi un segno di vita. Non possiamo perdere il batterista il giorno di un concerto.”
Eahf.”
Mi senti? Bliss è incinta.”
Ho sentito.”
Bene.”
Cosa facciamo?”
Mi fermai col dito a mezz'aria, e dimenticai cosa volevo dire.

Cosa facciamo chi?”
Noi. Chi.”, sussurrò, visibilmente sconvolto.
Noi chi?”
Noi!”
CHI?”
Rumore di sciacquone. Esattamente quello che vorresti a fare da colonna sonora a uno dei giorni più importanti della tua vita.
Uscì, bianco come un cencio.

Ma com'è successo?”, esclamò, appoggiando le mani alle dieci e dieci sul piano del lavandino.
Dal punto di vista tecnico, penso che sia abbastanza facile. Dal punto di vista teorico, dovresti saperlo tu. Siamo adulti, vaccinati e occidentali: esistono i contraccettivi.”
Guardammo a terra.

Bliss vuole abortire.”, comunicai.
Restava solo da decidere l'ospedale, il giorno, il più presto possibile.
Quand'era il più presto possibile? Bisognava aspettare la pausa del tour.

No.”
Un monosillabo complicato da gestire, di quando in quando.

Cosa?”, chiesi, entrando a far parte anche io del club della lobotomia di gruppo.
No. Nel senso di no, non credo di volere che lei abortisca.”
Chiamai a raccolta tutto il buonsenso che avevo in circolo, e tirai un respiro profondo.

Dominic. Sei impazzito?”
Mi guardò, biondo e scarmigliato come al solito.

No. Sì. Boh.”
Sospirai, e girai sui tacchi.

Dove vai?”. Più che una domanda sembrava un'invocazione.
Non lo so. Da Matt.”
Intercettò il mio sguardo da dentro lo specchio: era un buon amico, ormai. Avrei voluto che fosse un amico un po' meno diretto e intuitivo, però.

Starà dormendo.”, disse.
Il bagliore. Un bagliore di consapevolezza che gli balenava negli occhi tutte le volte che sapeva esattamente dove si andasse a parare.

Si sveglia.”, replicai, infilando la porta diretta nell'unico posto in cui sarei riuscita a trovare un senso a quel casino.



Le persone realmente esistono, ma non mi appartengono. I fatti sono inventati, ma sarebbe divertente se si potesse dire che sono realmente accaduti. E' vita creata artificialmente, trattatela come volete, non si piega e non si spezza, plasmateci sopra il vostro sogno personale.
Questa storia è dedicata a chi, l'otto giugno 2010 nel prato di San Siro, si è voltata brandendo sorridente una bottiglietta piena a tre quarti, e alla richiesta “Mi fai dare un sorso d'acqua?” mi ha risposto: “Non è acqua, è Xanax.”
La mia migliore amica.
A quelli che sono ancora in grado di sognare.
A Bright Lights dei Placebo.
E, ovviamente, al tizio che una volta mi ha fatto giurare che avrei scritto, prima o poi, una maledetta fanfiction con dentro Matthew Bellamy.

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Capitolo 2
*** Zero Killed ***


Sospeso
immobile
fermo immagine
un segno che non passa mai.


Questa volta non bussai neanche.
Feci direttamente, per così dire, irruzione nel tourbus.
Contrariamente a quanto aveva detto Dominic, Matt non dormiva. Era seduto sul tavolo ad accordare la chitarra. Una chitarra. Una delle.
Matt.”
Alzò la testa e mi guardò.
Nervosismo: non nervosismo incontrollabile, però, di quelli che ti bloccano il respiro. Piuttosto, nervosismo in pillole. Piccoli formicolii su e giù per le braccia. Tanto per fare qualcosa, mi passai una mano tra i capelli.
Tutto ok?”, chiese. Ma sapeva già che non era tutto ok.
Bliss è incinta.”
Mi lanciò uno sguardo più o meno indecifrabile.
E Dominic è il padre.”
Già.”
Uno dei vari lati sconosciuti al mondo del cantante dei Muse, era senza dubbio la chiaroveggenza.
Abortisce?”, domanda.
Qualcuno potrebbe iniziare a pensare che Bliss dovrebbe offendersi, visto che il primo pensiero di tutti alla comunicazione del lieto evento era stato l'aborto. Ma il ragionamento di chiunque fosse coinvolto in quella situazione aveva un senso logico, ed era il seguente: Bliss e Dominic vivevano in due mondi disordinati e senza senso. Non esisteva un modo per combinarli insieme sperando che ne uscisse qualcosa di stabile. E non stavano insieme. Non so neanche se gli fosse mai passato per la testa.
Bisognava indietreggiare nel tempo di un anno e qualcosa, vale a dire il momento del nostro primo, vero contatto con la band che seguivamo, adoravamo e veneravamo da anni. Ma non era ancora tempo per passeggiate nostalgiche nel viale dei ricordi.
Il punto è che Dom e Bliss erano diventati amici, così amici da dare l'impressione di conoscersi da una vita, talmente opposti da sembrare perfetti, insieme, anche se perfetti non lo erano per niente. Solo, nella loro singolare concezione di amicizia rientrava anche uno sporadico ma oggettivo, per così dire, scopare.
No.”
Matt diede un sorso a un bicchiere del quale preferii non sapere il contenuto.
Dominic vuole tenerlo.”, aggiunsi.
C'erano due metri tra noi. Abbastanza ridicolo.
Vieni qui o continui a parlarmi dall'altra parte del bus?”
Lettura del pensiero.
Feci qualche passo, e crollai sul letto davanti a lui a gambe incrociate.
Dominic è per caso impazzito?”, mi chiese, passandosi una mano su una gamba.
Può darsi, ma dovresti dirmelo tu. E' il tuo migliore amico.”
Smontò dal tavolo e venne a stendersi dietro le mie spalle.
Ho sonno.”
E dormi.”
Silenzio.
Bliss come sta?”
Vomita.”
Mi sembra magnifico.”
Assolutamente.”
E domani sera c'è il festival.”
Appunto.”
Il braccio prese a formicolarmi: mi ci vollero alcuni secondi per realizzare che era la sua mano che mi accarezzava la pelle. Saltai in piedi come un pupazzo a molla.
Devo andare a cercare una persona.”
Alzò la testa dal cuscino.
Chi?”
E' una storia lunga e avvincente, che però ti racconterò un'altra volta.”.
Mi chinai a baciarlo su una guancia, vicino alla bocca.
Troppo casino. Troppi perchè. Troppe mazurke di mezzo.
Mazurke?
Dormi un po'.”
Tieni il telefono acceso. Ti chiamo. Posso sapere almeno dove vai?”
A Londra. Ti spiace controllare che Bliss non tenti il suicidio?”
Se non sono occupato a controllare che non lo tenti Dominic.”
Allora mettile dietro Chris. O la moglie di Chris.”
Qualcosa faremo.”
Sorrisi.
Ciao Matt.”
Ero sulla porta, quando mi raggiunse di nuovo la sua voce.
Baby”, disse, “Stai attenta.”
Annuii senza voltarmi, facendo tintinnare le chiavi della macchina.

La serata a Londra era fresca e ventilata.
Le luci si riflettevano sul Tamigi come tante piccole lucciole inquiete.
Presi la via del pontile, diretta su una barca esageratamente grande e fastosamente addobbata: avrei riconosciuto quello stile tra milioni e milioni di barche addobbate.
Tutto così rosso da sembrare un bagno di sangue o una colata di lava.
Il bodyguard mi fissò condiscendente.
Posso aiutarla?”
Sorrisi, squadernando il tesserino.
Vada pure.”
Scrutai tra la gente tirata a lucido, tutta una serie di abiti lunghi e smoking, chi in nero, chi in colori improbabili, finchè la vidi: una testa rosso fuoco, i capelli raccolti in alto in una pettinatura ricercata, tenuti a bada da un fermaglio nero. Sorrisi, avanzando sul ponte.
Mi dava le spalle, in un abito blu notte che mi sembrava così strano, addosso a lei.
Parlava con qualcuno, qualcuno che probabilmente conosceva, a giudicare dal tono confidenziale che stava usando.
Vi, sta andando alla grande...”, disse lo sconosciuto, avvicinandosi al suo orecchio.
Mi apparve sul viso un sorriso sghembo.
Splinter.”, dissi.
Sussultò impercettibilmente, voltando il viso alla sua sinistra. Poi tornò a parlare, persuasa probabilmente di aver avuto un'allucinazione uditiva in diretta dal passato.
Feci qualche passo avanti.
Splinter.”, ripetei.
Si voltò.
Mi guardò.
Il tempo fece un balzo all'indietro e le voci svanirono nella nebbia.
Ria?”
Era un punto interrogativo, ma non lo era.
Splinter.”
Vivienne?”, disse qualcuno.
Dammi un minuto, Antoine.”, disse. Poi mi prese la mano, e andammo a finire in un posto lontano da quelle luci, da quei rumori, da quegli abiti eleganti.
Tutto rosso.”, commentai.
Cavallo vincente non si cambia.”, mi rispose, sorridendo imbarazzata. Gli occhi azzurri brillarono nella luce delle candele.
Sei qui per lavoro?”, mi chiese.
No. Lo sai, perchè sono qui. Domani c'è un festival.”
Ah, davvero?”
Splinter...”, risposi, insofferente.
Si aggiustò una ciocca ribelle.
Non sono più Splinter.”
Sarai sempre Splinter.”
Come va con Matt?”
Sospirai.
Matt sta bene, Chris bene, Dominic bene, sta per diventare padre.”
Ah, chi è la ragazza?”
Bliss.”
Le andò di traverso un sorso di champagne, e le tolsi il bicchiere dalle mani, cercando un fazzoletto per tamponarle la macchia sul decolletè.
Sempre imbranata come una foca.”, dissi.
Scoppiò a ridere, e poi ritornò seria: “Come Bliss?”
Eh già, Bliss.”
Una cosa voluta?”
Sono sempre stati e sempre saranno incapaci di intendere e di volere.”
Sospirò.
Ha bisogno di te.”
Mi guardò, in silenzio.
Io ho bisogno di te.”
Ria, non faccio più quella vita.”
Quella vita è l'unica vita che hai.”
Sono cresciuta.”
Non è perchè sei cresciuta. E' per Brian.”
Strinse i pugni contro il vestito. Lo aveva sempre fatto, da quando era piccola: il suo modo per gestire le conversazioni difficili.
Non sono qui per dirti cosa avresti dovuto fare, non amo le prediche. Né farle, né riceverle.”
Silenzio.
Sono passati quasi due anni.”
Lo so.”
Silenzio.
Sei consapevole del fatto che in due anni ci siamo viste sì e no una volta al mese, quando è andata bene?”
Annuì.
Non voglio riportarti indietro nel tempo.”
Silenzio.
Ma non sei andata avanti. Ti conosco.”
Speravo che la presunzione ti sarebbe passata con l'età.”
Non credo. E' una malattia terminale, sai.”
Sorridemmo.
Non ti chiedo neanche se verrai, facciamo così.”, dissi, e la baciai su una guancia.
Mi ero già allontanata, quando mi raggiunse un urlo dodecafonico. Suo, chiaramente.
Mi voltai a guardarla. I capelli le erano caduti sciolti sulle spalle.
Guardai con un sorriso il fermaglio che avevo in mano, e lo buttai con disinvoltura nelle acque scure del tamigi.
Ria!”
Sparii nelle strade buie, senza molto da fare, con in gola una bella domanda.
E adesso?

Il telefono squillò tre volte, prima che mi decidessi a rispondere.
Pronto.”
Alla buon'ora!”
Stanco. La voce abbattuta da qualche ora di prove, presumibilmente.
Matt.”, dissi.
Dove sei?”
Sul Tamigi.”
Vengo a prenderti o vieni a nuoto?”
Sorrisi.
Vengo a nuoto.”
Ok. Attenta alle balene.”
Le schiverò.”
Tentò di controllarsi. Non ci riuscì.
Dove sei stata?”
Sei una persona noiosamente prevedibile.”
E tu sei una persona fastidiosamente misteriosa.”
Ho i miei buoni motivi.”
E io ne ho, di buoni motivi per preoccuparmi?”
Sorrisi di nuovo.
No, direi di no.”
Bliss dorme con Dom.”
Bene. Tanto ormai il peggio è già successo.”
Chris è dalla moglie.”
Comprensibile.”
Attese.
E tu dove sei?”, chiesi.
All'Hilton.”
Paddington?”
Così pare.”
Ok.”
Silenzio.
Che vuol dire ok?”
Mi pare di aver letto che era un'espressione militare che starebbe a significare zero killed. Se non sbaglio.”
Ridacchiò.
Vai a dormire, dai.”, dissi.
Sospirò.
Ok.”
Silenzio.
Ok nel senso di zero killed.”, aggiunse.
Risi.
Sei meraviglioso, Matt. In un modo imperscrutabile, inspiegabile e innegabile.”
Grazie. Ora dormo più tranquillo.”
Silenzio.
Vado.”, sospirai.
Ok.”
Ciao.”
Ciao, baby.”
Attaccai il telefono e mi raccontai che ero indecisa su cosa fare. In realtà stavo già chiamando un taxi.
Entrai, dopo aver passato una ventina di secondi a cercare di aprire la porta nel senso contrario. Non ci si abitua mai a Londra.
Paddington, per favore.”, dissi.
E sapevo già di star facendo una cazzata.

Incrociai Chris nella hall dell'albergo. Mi guardò per alcuni secondi.
Ciao, Chris.”
Ciao, tesoro.”
Odiavo essere chiamata “tesoro”. Cosa che Chris faceva puntualmente.
Guardò l'orologio.
Vado a prendere un cornetto a Fiorellino.”, mi informò.
Fiorellino era la moglie. Incinta del venticinquesimo bambino, mi pare. O ventiseiesimo.
Sono le due di notte.”, lo informai.
Donne incinte.”, rispose, facendo spallucce.
Non ne parliamo, per favore.”, sospirai.
Ho saputo. Bel colpo.”
Altrochè.”
Si accese una sigaretta, e me ne offrì una.
Dov'eri?”
A un'inaugurazione.”
Ti sei divertita?”
In un certo senso. Quando siete arrivati?”
Qualche ora fa.”, disse, soffiando via il fumo della sigaretta.
Bliss e Dom hanno passato ventiquattro ore a discutere, dormire, discutere, dormire, piangere, dormire, discutere.”
Sì, immaginavo. Ce li ho presente.”
Gettai via il mozzicone con una schicchera tra medio e pollice.
Vado.”
Stanza 108.”, mi rispose.
Lo guardai.
E' la stanza di Bliss?”
Sorrise, e si avviò per la strada.
Buonanotte, tesoro.”
Lo guardai sparire nel buio.
Eh.”, esclamai. “Buonanotte.”

La porta era aperta.
Un pazzo furioso, come al solito. Prima o poi lo ammazzeranno, pensai, mentre mi sfilavo le scarpe per non fare casino.
La camera era buia e lui dormiva, supino sul letto rotondo.
Che cazzata, i letti rotondi.
Ancora vestita, mi stesi affianco a lui e gli poggiai la testa sul petto.
Odiavo quella sensazione.
La sensazione di essere a casa, al sicuro, l'idea della pace, dell'equilibrio, tutte quelle cose che lui adorava e che a me erano sempre state strette. Finchè non avevo incontrato lui. Preferivo fingere che non esistesse, la pace. Ammettere che era possibile, sentirsi felici essendo statici, avrebbe vanificato il senso di un'esistenza. Io stavo bene nel caos. Per me non c'era altro.
Lo ascoltai respirare sotto il mio orecchio, e chiusi gli occhi.
Hai chiuso la porta, baby?”
Dio, Matt.”, esclamai, a corto di fiato per il colpo.
Ridacchiò.
Matt. Preferisco Matt.”
Sei un idiota.”, sussurrai.
Mi baciò dolcemente i capelli.
Dormi.”, dissi, suonando un filino più imperativa di quello che speravo.
Devi dormire. Domani mattina hai il soundcheck.”
Lo so. Chi sei, mia madre?”
Non credo. Sei più vecchio di me. Anzi, sei vecchio e basta.”
Mi accarezzò i capelli.
Taci, ragazzina.”
Ti rompo le corde di tutte le chitarre.”, biascicai, già preda del sonno.
Lo sentì sorridere contro la mia testa.
Avevo dimenticato com'era, dormire addosso a lui, ma non ci misi molto a ricordarmelo.
Alle cinque e un quarto mi svegliai, con l'alba che si preparava a esplodere al di là delle finestre.
Mi tirai su con cautela, per non svegliarlo. Dormiva sul serio, stavolta, sembrava tranquillo e lui non dormiva mai tranquillo. Era un insonne cronico. Come me, del resto.
Guardai Londra al di là del vetro per un po'.
Bellissima, struggente e poetica. Esattamente come me la disegnavo in testa quando ero lontana da lì, e volevo solo tornare. Amavo Londra. Era stata il mio primo, vero amore.
Mi voltai quel tanto che bastò a farmi notare la mia valigia. In camera di Matt. Sbuffai. Le fatine del lieto fine, nelle persone di Dom e Bliss, erano tornate all'attacco.
La aprii e trovai la mia enorme t-shirt bianca. Sfilai il vestito e lo buttai su una poltrona, sganciai il reggiseno, afferrai la maglia e mi diressi verso il bagno, gettando un'occhiata a Matt. Aveva gli occhi aperti, e sorrideva soddisfatto. Benedettiddio.
E' da parecchio che non ti vedo così.”, disse.
Incrociai le braccia e lo fissai dritto negli occhi.
Ma sei sempre uno spettacolo niente male.”
Risi, mio malgrado. Risi coprendomi la bocca, e lanciandogli uno sguardo carico di affetto. Lo adoravo, inutile negarlo.
Dormi.”, dissi.
Di contro, il tuo vocabolario si è ridotto a una sola parola: dormi.”, constatò, sorridendomi. Poi si voltò verso la finestra, una galanteria che apprezzai abbastanza.
Tornai a letto che erano circa le sei.
In un gesto automatico quanto affettuoso – quanto fuori posto, se vogliamo essere puntigliosi – gli scostai i capelli dalla fronte, prima di stendermi affianco a lui di nuovo, e prendere a fissare il soffitto con aria assorta.
Cosa avessero i soffitti di così speciale da farmi ragionare per ore, non si sarebbe mai saputo.
Mi abbandonai così, con una mano accidentalmente sulla sua e la testa sulla sua spalla, tranquilla. Come in realtà non ero.
Non c'era niente di tranquillo, lì in mezzo. Non c'era mai stato, e non ci sarebbe stato mai.
Sono un po' agitato.”, sussurrò.
Come mai?”, gli chiesi, accarezzandogli una mano.
Non lo so. Forse per quei due cretini. Forse per te.”
Ebbi un momento di lealtà da materasso che avrei poi avuto modo di rimpiangere. Ampiamente.
Non mi ricordo più com'era.”
Cosa?”, mi chiese.
Sospirai. “Non mi ricordo più com'era fare l'amore con te.”
Affondai la testa nel suo petto, e respirai il suo odore.
Volevo fare l'amore con lui, sì. Sapevo che non dovevo.
Mi baciò la fronte, a lungo e dolcemente, intrecciando una mano alla mia.
Vuoi fare l'amore con me?”, sussurrò d'un fiato, come avesse paura di dire qualcosa di sbagliato.
No. No, Ria, no. Digli di no.
Le mie labbra erano sulle sue, senza baciarlo, solo tenendole così, labbra su labbra, una chimica sorprendentemente semplice, straordinaria.
Non fece niente.
Aspettò.
Erano passati otto mesi da quella sera.
Era sul palco, aveva appena finito di suonare Plug in Baby. Io ero giù, un po' nascosta dal pubblico e dal palco.
Puntò lo sguardo su di me, sapeva dov'ero. Uscivamo da un casino di proporzioni bibliche.
Riconobbi l'attacco della chitarra dalla prima nota.
You're so fucking special... But I'm a creep, I'm a weirdo...
Mi hanno uccisa i Radiohead una sera di maggio, e l'hanno fatto dicendomi solo la verità. Mi hanno uccisa con la sua chitarra e con la sua voce, che cantava Creep guardandomi negli occhi, con una sfumatura di dolore e il pubblico in delirio per la performance straordinaria che lui, le sue mani e le sue corde vocali stavano consegnando alla storia.
Tornai al presente, gli occhi azzurri aperti come fari dentro i miei, le mie labbra ancora lì, indecise sul da farsi.
Sospirai.
Poi mi alzai dal letto, il cuore in pezzi così piccoli da non riuscire a tenerli raggruppati tutti nel petto: mi batteva ovunque, nelle mani, nelle braccia, nella testa, nelle gambe. Un cuore disperso.
Mi guardò, lo guardai.
Tornai sul letto, franai tra le sue braccia: una frana di vent'anni, il cuore in gola e un'idea irresponsabile da tenere sotto controllo.
Mi strinse forte contro il petto, baciandomi i capelli.
Alzai la testa fino alle sue labbra, e lo baciai dolcemente, come una bambina, sulla bocca, sul viso, sugli occhi.
Mi alzò la maglia lentamente, e sentii scorrere i suoi polpastrelli sulla schiena.
Mai fidarsi delle mani di un pianista, mi aveva detto una volta qualcuno.
Il bacio smise di essere innocente, e me lo ritrovai addosso prima di rendermi conto che era imprudente, lasciarsi andare così.
Le mie mani erano tra i suoi capelli, e lui era tra le mie gambe.
Lo baciai ancora e ancora, combattendo contro il cuore. E il mio cuore era armato fino ai denti.
Fronte contro fronte, senza fiato, senza una parola da dirci.
Matt...”, sussurrai. Una debole protesta.
Ma lui capì.
Infilò la testa nell'incavo della mia spalla, e lo sentii respirare lì, respirare forte, come me, per riprendere fiato e controllo.
Sei troppo preziosa. Troppo preziosa, per perderti così.”, disse a mezza voce.
Strinsi le braccia intorno a lui, per tenerlo lì, per evitare che svanisse nel nulla, come un sogno, come un'illusione.
Cosa succede quando due persone inafferrabili si incontrano, si legano...
Cosa succede, quando due persone inafferrabili... si innamorano?

Sei in ogni parte di me
ti sento scendere
tra respiro e battito.


Di ritorno da Wembley.
Come ogni volta che vado a Londra, non ero sicura di voler tornare. Anzi, diciamo che proprio non me ne passava per il £%$$& di tornare.
Grazie di cuore alle quattro giovani e volenterose donne che hanno recensito la mia storia (S. - geniale il tuo stile, dieci e lode la tua dolcezza, grazie, Lawliet- grazie per l'entusiasmo, sento un po' la responsabilità di sto bambino, Bee – farò del mio meglio per non deluderti, e Nem – la tua recensione era perfetta, sei stata dolcissima.)
Grazie per l'entusiasmo con cui ci avete accolti, tutti quanti (me, Dom, Matt, Bliss, Ria, Chris e il bambino in cantiere.). Brian e Splinter sperano che gli vorrete altrettanto bene.
Prometto di metterci di meno ad aggiornare il capitolo tre, di smettere di fumare e di essere più buona e condiscendente nei confronti della razza umana.
Prometto anche che domani compro il succo di frutta. Vi serve qualcosa al supermercato?
Ah, e ci terrei a specificare, siccome ogni tanto me lo chiedono, che io coesisto pacificamente con Kate Hudson e relativo figliolo senza che la mia vita ne risenta particolarmente.
Grazie ancora, babes.
Queen.

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Capitolo 3
*** "Una storia d'amore tra cretini egocentrici." ***


Cause we're lovers, and that is a fact
Yes, we're lovers, and that is that
though nothing will keep us togheter
we could steal time just for one day
we can be heroes, forever and ever.
What'd you say?

Certe albe hanno la peculiarità di arrivare incredibilmente presto e restare sospese nell'aria come un profumo, come un ricordo, per intere giornate.
Mi ero svegliata accanto a lui come se fosse la cosa più naturale del mondo. Qualcuno, da qualche parte, mi cantava nella testa una melodia inopportuna.
Mi voltai a guardarlo, non c'era altro che potessi fare.
Lost and insecure, you found me.
E vaffanculo, pensai, perchè certe volte è l'unica cosa sensata che si possa pensare.
Mi chiesi quanto ancora saremmo andati avanti così, trascinati e nostalgici in un tempo immaginato, in una strampalata storia d'amore che amore non era, non era di sicuro una tenera amicizia, piuttosto un legame prepotente e soffocante che somigliava più a una catena che a un volo, contrariamente a quanto di solito dovrebbe fare il destino, e ci bloccava l'uno nella vita dell'altra come se, trovato l'incastro perfetto, non fossimo più in grado di liberarci. Nemmeno volendo. Nemmeno se in gioco c'era, diciamo, la vita.
Perciò mi alzai dal letto col freddo nella testa, e reggendomi il cuore come avrei retto un libro, un posacenere, un telefono scesi le scale.

Più tardi.

Vagavo per la location del festival senza meta apparente. Bliss mi trotterellava accanto, scuotendo i capelli iridescenti.
Matt era sul palco, a fare le prove con gli altri e qualche ragazzina adorante.
Battevano il tempo con le mani, in maglie troppo strette anche per respirare, truccate un po' troppo per essere appena mezzogiorno.
Sorrisi di tenerezza.
Anche noi eravamo così.”, dissi a Bliss.
Non così troie.”, dissentì, sorseggiando frappuccino.
Delicatissima, come sempre.
Pupa a ore tre!”, urlò una voce dall'accento inquietante.
Risi.
Brian.”, dissi, voltandomi verso di lui.
Brian Molko, senza annessi Placebo, mi sorrideva allegro.
Come stai, bella? Quanti secoli sono passati?”
Alcuni. Almeno un paio.”
Lo abbracciai.
Bliss gli battè il cinque, più interessata al viavai che a noi.
Scappo. Mi uccidono.”
Vai, vai.”, acconsentii.
Un riff di Matt mandò in visibilio le ragazzine, che proruppero in una serie di urla acute, costringendo i tecnici a tapparsi le orecchie.
Risi.
Tutto questo caffè farà mica male a Roderick?”, chiese Bliss.
A chi?”
A Roderick. Il bambino.”
La squadrai.
Non ti permetterò di chiamare Roderick quella povera creatura.”
Perchè? E' bello.”
Fantastico.”
In quel momento, entrò nel mio campo visivo qualcosa che non vedevo da tempo.
Una cascata di capelli rosso fuoco dispersi nel vento, mentre la proprietaria era impegnata in una corsa. La maglia nera, i jeans neri, le all star. Tutto, tutto corrispondeva.
Bliss mancò un respiro, per la sorpresa.
Splinter.”, disse, con la voce rotta.
Splinter!”
Stava già correndo verso di lei. Si abbracciarono a lungo, come due marines, vecchi compagni di guerra, che si rivedevano dopo anni di congedo su un nuovo campo di battaglia.
La mano di Matt che afferrava la mia parve precipitarmi in un momento di irripetibile perfezione. Lo guardai con un sorriso, e lo trascinai più vicino alle due.
Splinter, questo è Matt. Matt, lei è Splinter.”
Si strinsero la mano.
Mia sorella.”, aggiunsi.
Splinter mi sorrise dolcemente.
A onor del vero, non eravamo esattamente sorelle.
Sua madre aveva sposato mio padre, quando eravamo abbastanza piccole da crescere insieme.
La passione per il rock e due nomi deficienti avevano fatto di noi anime gemelle, ed eravamo rimaste così, opposte e imprendibili, assurde e bellissime, lei col suo ghiaccio e la sua ambizione, io con la mia testa calda e il mio fuoco sacro.
Opposte e inscindibili.
C'è Brian in giro.”, sussurrò Bliss.
Lo so.”, rispose Splinter.
Sembrava tranquilla, e sapevo che non lo era.
Io avevo sette anni e lei undici ed eravamo nel salotto della villa di mio padre a guardare Rock in Rio dei Queen, quando sua madre ci chiese di seguirla in giardino, col pretesto di due limonate.
Sedemmo vicine, sul dondolo.
Non innamoratevi mai di una rockstar, bambine. Spezzano i cuori come spezzano le chitarre.”, sussurrò a mezza bocca, preda di una tristezza inspiegabile. Ma fu un momento. Poi sorrise ed entrò, lasciandoci sole a riflettere su una limonata.
Mai rockstar.”, ripetemmo, guardando il cielo.
E in quel momento, una stella cadente squarciò la notte.
Mai rockstar. Mai.
Le rockstar danno problemi, è indubbio.
Ma c'è qualcosa, in loro, qualcosa che manca a tutti gli altri. Come una eco.
Come la eco della bestemmia mentale che cacciai quando vidi correre qualcun altro verso di noi, qualcuno che speravo morto da almeno otto mesi.
Danette.”, constatò Bliss.
Pure? Già hai preso il caffè, non ti pare il caso di aspettare almeno fino a pranzo per...”
Danette.”, ripetè Bliss.
Colta da improvvisa folgorazione sulla via di Damasco, realizzai.
Mi si asciugò la bocca in un catartico momento di odio profondo nei confronti di un solo soggetto.
Si chiamava Danette come un budino in barattolo, era franco-italiana ed era la ex di Matthew Bellamy. Si faceva, per ovvi motivi di copyright con la Danone, chiamare “Dana”. Una bomboniera con la pelle di ceramica che girava vestita come Memole ed era, per parafrasare Dominic, “simpatica come un dito al culo rigirato con la sabbia”. Non era esattamente il genere di metafora che mia madre avrebbe acconsentito a sentirmi adoperare, ma restava quella che rendeva di più.
Cosa cazzo ci fa qui Dana?”, chiese Fiorellino, che nonostante i duecentocinquantuno bambini parlava ancora come uno scaricatore di porto.
Il braccio di Matt si irrigidì contro il mio, e a quel punto feci qualcosa che non avevo mai fatto.
Gli afferrai la testa e lo baciai. Lo baciai con tutto quello che avevo trattenuto per mesi, con tutto il corpo, con tutto il cuore.
Rilassò le braccia e mi cinse la vita.
Dana si bloccò a mezzo metro da noi. Dopo un attimo di labirintite, sfoggiò un sorriso convinto e salutò tutti, ma vidi la rabbia montarle dentro come una marea.
Sentì la sua mano su una spalla prima ancora che potessi rendermi conto di cosa accadeva e decidere cosa fare.
Devo parlare con te.”, disse.
Innanzitutto, buongiorno.”, risposi.
Buongiorno. Devo parlare con te.”
Bene.”
Ti dispiace?”, aggiunse, facendomi segno di seguirla.
Molto. Ma immagino di non avere scelta.”, ribattei caustica, e mi avviai a braccia conserte dietro di lei, e potete giurarci che avevo dissotterrato l'ascia.
Non guardai neanche Matt.
Partite aperte ce n'erano una quantità complessa da gestire, in giro.
Ma la nostra era una guerra.
Lei mi considerava la causa della sua rottura con Matt.
Io ero più propensa a imputare la colpa della fine della loro storia alle sue scopate in giro con altri uomini. Ma comunque sono opinioni, mica bibbie.
Il prato sotto di noi parve cigolare, mentre ci allontanavamo dagli altri.
Sorpassai Brian, che guardava turbato Splinter davanti a lui.
Un casino mica male.
Carino.

E quindi?”, le dissi, impaziente, quando ci fummo allontanate dal gruppetto.
Adoravo l'espressione “e quindi”. Potevi metterla dovunque, e aveva sempre senso.
Mi sposo.”, padellò a denti stretti.
Auguri.”
Mi guardò come se mi fossero spuntate le antenne.
Ho detto che mi sposo.”
Alzai le sopracciglia.
E io ho detto auguri.”
Con...”
La zittii con una mano.
Posso immaginare con chi. Sei venuta fin qui per portare la buona novella? Una mail era più che sufficiente.”
Sbuffò.
Lui vuole che tu ci faccia da testimone di nozze.”, disse, tradendo evidente disappunto.
Incrociai le braccia e sfoggia il migliore tra i miei sguardi scettici.
La perizia psichiatrica gliel'hai fatta fare sì o no? Perchè guarda che sono problemi che a lungo termine si complicano. Potrebbe cominciare a conversare con un attaccapanni, da un momento all'altro.”
Sbuffò di nuovo.
Io sono qui per vedere la chiesa. Ci sposiamo, da queste parti, e mi ha pregato di venirtelo a dire di persona, così potevamo fare un po' di amicizia.”
Poi mi guardò come se stesse mordendo un limone.
Potremmo... uscire a cena. Magari domani.”
Sospirai.
Danette. Cortesemente.”
Sospirò anche lei.
Sì. Comunque sappi che non dimentico gli smacchi, ragazzina.”
Hai provato con lo yoga? No, perchè aiuta.”
Si irrigidì.
Le sorrisi, benevola.
Evapora. Grazie.”
Mi scoccò uno sguardo carico di odio e girò sui tacchi. Poi ci ripensò, mi sorpassò e si diresse verso Matt, con un sorriso glaciale sulle labbra.
La seguii a stretto raggio, e captai, mentre camminavo, sprazzi di conversazione tra Splinter e Brian.
Non mi sembra proprio, onestamente.”, sentenziava lei, col solito tono calmo di quand'era incazzata nera.
La situazione era difficile, dolcezza, lo sai.”, rispondeva Brian, leggermente – leggermente- in difficoltà.
La situazione, a quanto sapevo io, era già risolta.”
Ma io...”
Ma niente.”
Poi persi contatto, perchè Danette si era spalmata addosso a Matt, rigido come un merluzzo, avviluppandolo coi suoi tentacoli.
Mi sei mancato...”, tubò.
Le bussai su una spalla.
Sì?”, cinguettò. Poi vide che ero io.
Vai all'inferno.”, le dissi, senza troppe cerimonie.
La staccai a viva forza dall'uomo che forse non era il mio uomo, ma di certo non era più il suo.
Come hai detto?”, sibilò.
Ma siete tutti sordi? Ho detto, vai all'inferno. Guarda, dritto in fondo e poi a sinistra. C'è la porta.”
Dell'inferno?”, intervenne Bliss.
No, del parco. Per il momento può cominciare a togliersi da qui.”
La fissai negli occhi, e scandii bene: “Da qui nel senso dai coglioni. Togliti dai coglioni.”
Danette lanciò a Matt sguardo offeso, e se ne andò senza salutare nessuno. Le feci ciao ciao con la mano mentre spariva all'orizzonte.
Salutami i Fruttolo.”, le urlai, sorridendo. “E questa è fatta. Di qua che aria tira?”
Batte bandiera corsara, temo.”, mi ragguagliò Bliss. E aveva ragione.
A quel punto, le urla tra Brian e Splinter avevano raggiunto i picchi di guardia. Tanto che Splinter lo spintonò, si voltò e mi venne vicino.
Bliss fece ragionevolmente a Brian segno di prendere il largo per il bene di tutti, e Brian se ne andò mestamente, calciando l'aria.
Ma era Danette?”, domandò Splinter, una volta che mi fu spalla a spalla.
Chi, Medusa? Sì.”, risposi, accendendomi una sigaretta. Alzai lo sguardo verso Matt, e gliela porsi. Aspirò. “Tutto bene?”, chiesi.
Annuì.
Volevi sapere il problema, Matt. Ecco qual è, il problema.”, dissi. Mi guardò con aria ferita, e io afferrai Splinter per un polso e la trascinai via.
Giornatina squisita.”, commentò Bliss, sospirando.
Matt si passò una mano dietro la nuca, provato.
Però ha ragione.”, intervenne Dom, e Matt lo fulminò con lo sguardo.
Lo so.”, ribattè secco, e prese anche lui la via del lontano.
Lontano da lì.

Allora, vuoi essere così gentile...?”, mi chiese Splinter, porgendomi una sigaretta. Voleva spiegazioni. Ne aveva ben donde. Da quando aveva smesso di fare “quella vita”, evitavamo di parlare di band, le pochissime volte che ci vedevamo.
Si sposano.”, sospirai.
Prevedibile.”, commentò.
E io e Matt non stiamo insieme.”
Aggrottò le sopracciglia.
Non sembra. E, comunque, posso sapere perchè?”
La guardai in modo eloquente.
La reazione l'hai vista anche tu.”
Sospirò. “Già. Unite anche in questo, io e te.”
Così pare.”
Le rivolsi uno sguardo indagatore. Forse dovevo dirglielo. Forse no. Glielo dissi comunque.
Si sono lasciati.”
Chi?”
Presi una lunga boccata, e soffiai via una nuvola di fumo azzurro diretta al cielo.
Brian e la moglie.”, risposi.
Si irrigidì di colpo.
Quanto bene li conoscevo, i miei polli.
Finimmo di fumare in silenzio.
Splinter giocherellava con un filo d'erba.
Voglio sapere.”, disse.
Di Brian e la moglie?”
No. Di te e Matt. Voglio sapere tutto. Tutto quello che non mi hai detto in questi mesi per tamponare il mio cuore infranto. Il racconto di quando vi siete conosciuti, di quando vi siete innamorati...”
Sospirai.
Non ci siamo innamorati.”
No, è chiaro.”
Sono seria.”
Tu mandi all'inferno invece di salutare e lui si sente colpevole per non essere stato in grado di reagire all'apparizione della sua ex proprio perchè non siete innamorati, ti giuro.”
E giurami.”
Ho detto che ti giuro, infatti.”
Sorrisi, scoccandole un'occhiata di disapprovazione.
Papà avrà fatto i salti di gioia, immagino.”, commentò.
Uh guarda, sembrava un delfino.”
E non credo che gli sia quasi venuto un infarto perchè tu non stavi col cantante dei...”
Si chiama Matthew.”
Mi guardò con l'aria di chi la sa lunga. “...Sì. Ed è il cantante dei Muse.”
Sbuffai.
Vabbè. Vuoi sentire?”
Certo che voglio sentire.”
E allora taci.”, dissi.
E iniziai le cronache di un amore impossibile, avversato dalle stelle e da tutto il resto.

We're nothing, and nothing will help us
maybe we're lying, then you better not stay
we can be safer, just for one day
we can be us, just for one day.
(David Bowie)

Yesterday
love was such an easy game to play.
(The Beatles, e chiunque altro abbia mai amato.)

Patri (il mio umorismo ti ama. Grazie.), Leni (Appena ho letto di Matt ho fatto un carpiato all'indietro e mi sono creduta Dio. Grazie, baby – cit. -. Sono felice che la storia ti abbia preso.), Ale (Sono onorata che tu abbia trovato un minuto per noi. Eccoti il seguito. Speriamo sia all'altezza. Grazie.), S. (Io sono pazza di te e delle tue storie, quindi le amorevoli vaccatine sono reciproche: io ti adoro! Grazie.), Nem (Vedremo se le aspettative incrociano il plot. Anche Ria e Bliss ti vogliono molto bene. Imparerai a conoscerle, sperano che continueranno a piacerti. Grazie.) . Chi ci ha messi tra i preferiti, chi ci ha seguiti, chi ci vuole bene. Stasera ringraziamo tutti, specialmente chi trova un minuto per recensire, per dirci che ci ama, per chiederci di andare avanti. Personaggi vividi e presenti, comandano loro, ma lo sapete, visto che scrivete anche voi. Grazie a chi ha fatto i complimenti al mio Matt, non è sillababile la sensazione che provo a sentirmi dire ciò che mi avete detto su di lui. Grazie è una parola piccina, non è neanche sdrucciola ed è pure corta, non basta, ma è l'unica che hanno coniato per esprimere, appunto, gratitudine: quindi, grazie.
Ok, la smetto di ringraziare e vi lascio all'attesa del prossimo capitolo, in cui inizierà un lungo flashback. Scopriremo cosa ci fa Ria nella vita di Matt, da dove vengono lei e Bliss, cosa è successo tra Splinter e Brian, insomma, come diamine ci sono finite in mezzo alle chitarre due ragazze perbene e mezza. E, soprattutto, dove è iniziata e come si è evoluta questa contorta, complicatissima, adorabile storia d'amore.
Ci tenevo a dirvi, pure (sembra una lista della spesa, lo so.), che il titolo è provvisorio. Infatti, come alcune di voi particolarmente dotate di spirito d'osservazione aquilino avranno notato, “Niente virgolette nel titolo” è il template che l'admin di questo sito mette nello spazio del titolo fanfiction quando si sta per eseguire una nuova pubblicazione: sospetto che la ragione sia far capire all'autore, appunto, che non deve mettere le cazzo di virgolette nel cazzo di titolo. Sto cercando di uscirne con pazienza, sigarette ed estathè al limone, ma la mappata di persone alle quali ho elegantemente sbolognato la responsabilità di scegliere il titolo (cfr. “Se tu dovessi dare un titolo a una storia d'amore tra cretini egocentrici...”) non si sono, finora, dimostrate minimamente d'aiuto. La disperazione sta per spingermi a chiamare la fiction, per l'appunto, “Una storia d'amore tra cretini egocentrici”. Figuratevi.
Aggiorno presto, parola di giovane marmotta.
Un bacio circolare a tutta la fascia in lettura.
Q.

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Capitolo 4
*** Life was just what happened while we were busy making plans. ***


*Sedici mesi prima era una notte di un quarto di luna.*


Life was just what happened while we were busy making plans.

(Jon Bon Jovi)



Un vestito nero volò sul mio letto.

Mio padre, gli occhi verdi accesi della solita luce impertinente e carismatica, stava in piedi sulla porta. Io scrivevo, ascoltando Hold the Line dei Toto. Avevo la finestra aperta, e mi ero seduta sul davanzale. Stavo fumando, l'aria era fresca.

Che ci devo fare con quello?”, chiesi, senza nemmeno alzare gli occhi.

Devi metterlo. Stasera.”

Mio padre era il tipo di uomo per cui ogni donna perde la testa. I capelli neri, la pelle candida, gli occhi verdi, alto quasi due metri, sembrava una vecchia star di Hollywood. Erroll Flynn, mi aveva detto qualcuno. Clark Gable, qualcun altro. Opinioni contrastanti tese ad esprimere un unico concetto: affascinante. Di quel fascino subdolo e irresistibile che apre qualunque porta prima ancora di bussare.

Ma era bugiardo. Era fedifrago, inaffidabile, egoista, attaccato alle apparenze. Mi divertiva, saperlo gestire e prevedere. Mi divertiva essere l'unica ad avere successo con lui: la sua innata crudeltà non mi aveva mai scalfita, sapevo come prenderlo.

Un metodo scientifico e affidabile: dal punto di vista genetico e da quello attitudinale, io ero esattamente la copia di mio padre. Solo che l'altrui manipolazione non aveva mai stimolato il ritroso centro del mio interesse: trovavo la gente poco interessante nella stragrande maggioranza dei casi, e quindi ero poco disposta a sprecarmi, ma soprattutto, come mia madre, ero malata dalla nascita dal fastidioso tarlo di una radicale e impietosa onestà.

Se l'essere onesta mi aveva impedito di fare le sue stesse scelte, restava il fatto che fossi precisamente come lui. Eravamo un'archetipo, un clichè, come il bene e il male, la lotta eterna. Io avevo deciso di essere il bene, ed ero riuscita dove anche mia madre aveva fallito. Dove la madre di Splinter aveva fallito. Si erano separati da otto mesi, la sera che me lo ritrovai sulla porta della stanza.

Per cui ero costretta a convivere con i due lati di me, l'autentica generosità di mia madre, la sua naturale bontà, la sua gentilezza, e, di contro, avevo attaccato addosso il fascino maledetto dell'angelo caduto, la scintilla del male che non facevo alcuna fatica a controllare, che balenava nelle mie affermazioni taglienti, nel mio cinismo episodico, nel mio snobismo e nella mia irreprensibile aria di superiorità e sufficienza. Non a tutti piacevo, ma sembrava che anche quelli a cui non piacevo si dovessero sforzare, per chissà quale motivo, di piacere a me. Praticamente, mio padre.

Ti ricordi di stasera, vero?”, mi chiese.

Come dimenticare. La cena con la tirocinante.”

In realtà non ero affatto convinta che fosse una tirocinante. Mio padre insegnava psicologia all'università: da fine bugiardo e straordinario manipolatore qual era, mi sembrava filasse alla perfezione. Era un po' che parlava di questa ragazza: mi disse che era intelligente, che era il suo relatore di tesi. Mi disse anche che era bella. Sarebbe venuta a cena quella sera con il fidanzato, suppongo preoccupato di quella strana intimità tra la sua ragazza e quel professore affascinante. Ne aveva tutte le ragioni, sorrisi, prendendo le dovute distanze dal solito circo paterno.

Poggiai la penna.

Ripetimi perchè la mia presenza è così fondamentale.”, dissi, ironica.

Il fidanzato è un musicista. Avrete di che parlare, mentre noi parliamo di lavoro.”, disse, facendo girare lo sguardo per la mia stanza. Poster. Poster stilizzati, quadri di Bliss, stampe indecifrabili: il soggetto di tutto era lo stesso, Matt. C'era una sola foto comprensibile in bianco e nero, che avevo fatto io, da sotto il palco aggrappata a una transenna. Era nel bel mezzo del bridge di Knights of Cydonia, l'espressione concentrata, gli occhi bassi, le mani che volavano sulla chitarra.

Quindi devo intrattenere il povero cornuto mentre tu e la tirocinante vi lanciate sguardi dolci?”, chiesi, piantandomi davanti a lui.

Alzò gli occhi al cielo.

Non incrociamo le moralità, per favore. Non ci troviamo. Tu mi lasci fare la mia vita e io ti lascio rincorrere il tuo cantante.”, disse, gettando un'occhiata alla foto.

Scossi la testa.

Do ut des.”, commentai.

Fammi vestire.”, aggiunsi, spingendolo fuori per un braccio. “Sono quasi le sette.”

Mio padre sorrise.

Sei bellissima. E intelligente. Farai strada.”, mi disse, lanciandomi uno sguardo carico d'orgoglio e sottintesi.

Ah, sicuramente, papà.”, dissi, chiudendo la porta. “Solo, non come te.”

Il pavimento della mia stanza aveva un foro circolare, al cui centro transitava un palo di ferro attaccato al soffitto, che finiva sul pavimento della stanza del piano di sotto.

Curioso, a prima vista.

Meno curioso, se pensate che al piano di sotto c'era la stanza di Bliss.

Suo padre e mio padre erano stati compagni di scuola, di università e di altare. Erano amici del cuore da sempre: una cosa carina.

Io e Bliss eravamo cresciute insieme, in case attigue, e verso i tredici anni avevamo convinto i nostri padri a scavarci un buco nelle camere, per averle sempre comunicanti. Ogni due per tre, mi appendevo alla pertica e scendevo dalla mia migliore amica, a uso pompieri.

Bliss!”, la chiamai.

Oè.”, mi rispose.

Mi affacciai nel buco, e avvistai tre quarti di Bliss sporgere dalla cabina armadio. La testa era nascosta dall'anta, e le braccia a mulinello lanciavano sul letto una marea di vestiti.

Cosa fai?”, le chiesi, sorridendo sorniona. Domanda retorica.

Le valige.”, rispose, e non ritenne di dovermi dare ulteriori spiegazioni di carattere organizzativo.

Sorrisi di nuovo. Bliss uscì dall'armadio e si piazzò sotto il foro, guardandomi dal basso con le mani puntate sui fianchi.

Stasera c'è la tirocinante.”, commentò.

Già.”

Ti raccomando.”

Ti chiamerò.”

Sì, sì.”, mi liquidò.

Guardai il vestito sul letto, sospirando. Era bello. Nero, semplice. Un po' troppo elegante per i miei gusti. Meditai di metterci sotto le Converse. A mio padre sarebbe venuto un infarto. Meglio di no.

Mi stavo truccando, con gli Eagles nello stereo.

Take it easy, take it easy... don't let the sound of your own wheels drive you crazy. (…) Don't even try to understand. Just find a place to make your stand, and take it easy.

Stavo anche ballicchiando davanti allo specchio, come mi succedeva sempre, con quella canzone.

Come on baaaaaby, don't say maaaaaaaybe...”, cantai.

RIA!”

La voce di Bliss sovrastò gli Eagles quel tanto che bastava per farsi sentire da me.

Mi affacciai.

Dimmi.”

Il campanello.”

Di chi?”

Il tuo, tonta.”

Sospirai. Sentivo una strana eccitazione modificarmi il respiro. Scesi, conscia che mi sarei trovata davanti gli ospiti già nell'ingresso, e che mio padre sarebbe stato molto scontento del fatto che non fossi dietro di lui ad accoglierli, stile buona famiglia inglese. Cosa che, chiaramente, non eravamo.

Feci gli scalini di corsa canticchiando Feeling Good, arrivai giù e me la trovai davanti. Carina, non bella. Castana, non bruna. Un po' spigolosa per i miei gusti. Non il tipo di mio padre. Mi stupii quel tanto che bastava a chiedermi se forse non diceva la verità, solo una tirocinante e non una delle sue oscure storielle.

Mi vide, e restò un momento interdetta.

E quindi?, pensai.

Si stirò in un sorriso falso e irritante, e mi porse la mano.

Tu devi essere la figlia del prof.”, disse, in italiano.

Ria.”, mi presentai, restituendole il sorriso sperando che notasse i tre chili di sarcasmo che avevo tra i denti.

Mi accarezzò il viso, con falsa dolcezza.

Ma guarda come sei carina. Con questa pelle color caramello e questi sorprendenti occhi gialli, presi dalla mamma, suppongo? Hai qualcosa di John, però. Molto carina.”, commentò.

Grazie.”, risposi, secca.

John? Il tuo professore lo chiami John? Non credo.

Mio padre uscì dalla cucina, rideva e parlava inglese con qualcuno.

Il cuore mi si fermò in petto, mentre mio padre avanzava verso di me, con il sorriso abbagliante e diritto che trasudava diplomazia: “Ah, Ria. Hai già conosciuto Dana? Lui è Matthew, il suo fidanzato.”, disse.

Poi, si rivolse al nostro ospite. “Matt, lei è mia figlia, Ria.”

Sorrise. Un sorriso aperto, sincero, imperfetto, imperfetto in tutto: negli angoli, gli spigoli del viso, gli zigomi, il mento, i denti. I nostri occhi si incrociarono nella fioca luce delle lampade a muro da corridoio. Mio padre sosteneva che la penombra fosse chic.

Avanzai per stringergli la mano.

Ero bellissima, mi avrebbe detto Matt più avanti. Avevo le guance accaldate, il respiro corto, gli occhi lucidi e il sorriso più dolce che un essere umano gli avesse mai rivolto in una vita.

Quando le nostre mani si toccarono, sentì l'elettricità statica di una Manson nera ascoltata per anni nell'assolo di Plug in Baby sprigionarsi dentro le mie vene, passando per le sue.

Continuammo a guardarci, con la mano destra ancora stretta in quella dell'altro, per alcuni secondi.

Quanto avevo sognato di potergli stringere le mani, una sola volta, stringerle e arrendermi al fatto che le mani di uno sconosciuto lontano centinaia di chilometri mi avevano dato la forza che le braccia che avevo a portata di mano non erano riuscite a infondermi neanche per un attimo, in tutti gli ostacoli che saltavo sulla mia strada. Uno straniero che non hai mai guardato negli occhi ti solleva in aria con la forza di due mani e ti fa praticamente volare su quel muro che da giù sembrava invalicabile, un uomo che non ti amerà mai come si dovrebbe amare, né come tu vorresti, e le persone che invece fanno dell'amarti un mestiere quotidiano restano giù a guardarti volare, senza capire, aggrappata a quelle mani, ti guardano a bocca aperta, gli occhi spalancati, tutto il viso deformato da un'espressione di stupore autentico, stanno lì, senza alcuna utilità, e un po' anche ti dispiace, ti rende triste quella loro impotenza, ma non puoi farci niente, loro non possono farci niente, neanche lo sconosciuto può farci niente: è la vita, quella straordinaria vita che capita in sorte a poche persone e sgomenta tutti gli altri. Salvata da sei corde, dalla forza di un'emozione violenta, dalla potenza di un amore particolare nato per affinità elettiva, senza le domande e le limitazioni dell'amore quotidiano.

Risi piano, mio malgrado.

Com'è che aveva detto mio padre?

Ah, sì.

Tu mi lasci fare la mia vita e io ti lascio rincorrere il tuo cantante.”

Curioso, il destino, a volte. Non trovate?

John, in arte mio padre, mi guardava interdetto.

Nei commenti con il migliore amico, più tardi, lo avrebbe definito: il viso di mia figlia sbocciato come un fiore.

Dana non si accorse di niente, e se lo fece non lo diede a vedere.

Staccai gli occhi a fatica da Matt, e feci strada a entrambi verso il terrazzo sul tetto, dove avremmo bevuto qualcosa prima che Chichi mettesse in tavola la cena.

Sentivo lo stereo di Bliss fin lassù.

It's gonna take a life to bring me away from you...

Sorrisi ai miei ospiti.

Vogliate scusarmi”, dissi, poi mi affacciai.

BLISS!”, gridai, sporgendomi nel vuoto.

La testa bianca di Bliss spuntò dalla finestra.

Sì?”

ABBASSA!”

COME? La musica è alta, non ti sento.”

Scoppiai a ridere. Che tonta.

Abbassa!”

Rise anche lei, poi smise.

Assottigliò gli occhi verso di me per vedere meglio, quella talpa maledetta. Poi ,agitò una mano. Matt le rispose al saluto. Mi venne un attimo di panico al pensiero che lo avesse riconosciuto, poi decisi di respirare e sperare il meglio: lui sorrideva, sembrava divertito.

C'è una mia canzone che si chiama così.”, disse. E fu la prima cosa che mi disse.

Africa?”, chiesi io. Me ne rendo conto. Un penoso tentativo di tergiversare. Vergogna, cervello, vergogna.

Rise di nuovo.

No. Bliss. Come la tua amica.”

Cazzo. Potevo evitare questi fottuti soprannomi e chiamarla come in effetti si chiamava, rovinandole la reputazione nel raggio di duecento chilometri.

Sorrisi, guardando a terra. Non era un sorriso stirato, però. Era un sorrisone, che dovette fargli una discreta tenerezza, visto che mi toccò il braccio con una mano, così, senza motivo.

Ah. Bliss.”, commentai, e poi lo guardai.

Ci capimmo con uno sguardo. Fu sorprendente, e anche inquietante, e anche inaspettato. Fu la prima di molte volte.

Eravamo a tavola da un'oretta, quasi arrivati al dolce.

Dana civettava instancabilmente con mio padre. Guardavo le occhiate ferite che Matt non riusciva a nascondere, e sentivo la rabbia crescermi dentro come panna montata.

Quando Dana tolse a mio padre uno sbafo di creme brulè dall'angolo della bocca, la mia mano scattò ad afferrare quella di Matt sotto il tavolo. Non aveva nessun senso, lo so, fu un gesto automatico e idiota. Volevo il tasto rewind. Dio, perchè sono così cretina. Perchè? Perchè?

E mentre ragionavo su quanto ero stata avventata, infantile e istintiva a prendergli la mano per consolarlo dall'inevitabile perdita, mi accorsi che lui la stava stringendo.

Io non leggevo riviste, non andavo su forum, non mi interessavo di gossip. Mi annoiavo dal parrucchiere e non avevo mai niente di brillante da dire in ascensore, infatti, quindi, non mi ero mai posta il problema di un'eventuale fidanzata di Matt. Davo per scontato che esistesse, ovviamente, ma, quel che è grave, non me ne fregava un benemerito. Per cui, purtroppo, mi ero persa l'avvento di tale Dana. Me l'ero perso proprio. Accidenti.

Mio padre rise, ringraziò Dana, fece l'occhiolino a me. Mi voltai, e strinsi più forte la mano di Matt.

Io sono con te.

Ricambiò la stretta.

Allora, Ria... Ah, che buffo. Dovete sapere che Ria ha una vera e propria passione per una di quelle band rock. Va a tutti i concerti, gira l'Europa e qualche volta è andata anche in America... E ha solo vent'anni, pensate. Devo averle lasciato un po' troppa libertà. Come si chiamano, Ria?”

Mi guardò. Matt e Dana ascoltavano interessati.

Per ovvie ragioni, tacqui.

Tergiversare: un favoloso hobby acquisito, come molti altri, ovviamente da mio padre.

Dio, che testa... Scusami, tesoro, papà dovrebbe prestare più attenzione.”

Lo guardai, alzando le sopracciglia in modo eloquente.

Matt e Dana scoppiarono a ridere.

Facciamo così”, disse, arrendendosi. “Se non me lo ricordo entro fine serata, lo dici tu. Ok?”

Ok.”

Nel senso di zero killed. Per il momento.

Dana e mio padre erano poco lucidi. Probabilmente il vino.

Non che io e Matt stessimo meglio, ma ci eravamo calati in una strenua lotta per mantenere un minimo di contegno.

Ci vuole del gelato!”, esclamò mio padre.

Vengo con lei.”, disse Dana. “Ho bisogno di un po' d'aria. Vi dispiace, ragazzi?”

Matt si irrigidì.

Dana, facciamo andare Matt con papà. Ti porto in terrazza, fumiamo una sigaretta e gli uomini ci portano il gelato. E' inutile che scendi. Che te ne pare? Chichi fa un'ottima pinacolada.”, dissi, sforzandomi di risultare complice, con il mio sorriso migliore.

Intercettai lo sguardo di Matt, carico di gratitudine.

Dana mi guardò.

No, tesoro, no, ti prego, ho proprio bisogno di fare due passi.”

Mio padre strizzò l'occhio a Matt.

Non preoccuparti, Matt. La proteggo io, la tua bella.”

Matt stirò un sorriso, annuendo.

E allora vaffanculo, sai che c'è.

Sparirono alla nostra vista reggendosi poco sulle gambe, lasciandoci al silenzio.

Mi appoggiai alla cassapanca dell'ingresso, guardavo lui. Lui guardava a terra.

Grazie.”, disse.

Di che, di preciso?”

Sorrise, stanco.

Grazie e basta.”

Gli sorrisi di rimando.

Allora, preferisci saperlo ora o aspetti che mio padre sveli l'arcano?”, chiesi, senza smettere di sorridere.

Mi guardò interrogativo.

Cosa?”

Vieni. Ti mostro la mia stanza.”

Entrai prima di lui, piazzandomi al centro della camera a braccia conserte, in pacifica attesa della sua reazione.

Si guardò intorno un po' di volte, poi si avvicinò alla gigantografia a muro, quella in bianco e nero. La mia foto. O meglio, la sua foto.

Si voltò verso di me, un'espressione che non mi riuscì di decifrare, nonostante fossi la solerte e intuitiva figlia di un grande psicologo.

I Muse. La risposta è: i Muse.”, sorrisi, aprendo le braccia. Ero tranquilla.

Mi guardò. Era confuso. Era... divertito.

Sapevi anche di Dana?”

Scossi la testa.

Purtroppo non leggo gossip, e non sono su nessun forum. Mi sono innamorata della tua musica.”, confessai, sorpresa per quanto fosse semplice.

Indicai la foto. “E' quello, l'uomo che ho nel cuore. Quello con Manson in mano, quello che cambia dodici espressioni al pianoforte, quello che abbatte il batterista a fine concerto, quello che si crede Dio.”

Mi guardava, assorto nel mio discorso.

Non so se sei tu, quello. Per il momento, quell'uomo per me è un'altra cosa. E questa – dissi, girando su me stessa a indicare la stanza piena di stampe- è una cosa tra me e lui.”

Aspettai.

Mi sorrise. Il sorriso più bello che gli avessi mai visto.

Quell'uomo ti ha visto. Più di una volta. Sotto il palco, dalla parte destra, quella da cui suona sempre.”, mi disse.

Mi si bloccò il fiato in gola.

Riconoscerei quei capelli cerei ovunque.”, disse, riferendosi a Bliss e ai suoi sorprendenti capelli di un biondo quasi bianco.

Vi abbiamo visto. Spesso. Siete sempre le prime ad arrivare. Ridete e cantate. Una mattina in Austria io e Dom passammo mezz'ora a guardare Bliss suonare la chitarra, sul prato. Era Come as you are dei Nirvana. Ha un talento incredibile.”

Era agosto. Eravamo a St Paulten. Ricordavo.

Spostai lo sguardo di nuovo su di lui, indecisa su cosa provare.

E poi lo disse.

Disse la frase che avrei portato addosso, incisa nella pelle, per tutto il resto della mia vita.

Dom scoppiò a ridere, e fece un'affermazione assurda.”, disse, “Qualcosa del tipo: 'Guarda, negli anni settanta quelle lì le chiamavano groupies, e avevano una passione seria, oltre che una collezione di cazzi di rockstar da far invidia a una pornostar. Chissà, magari a loro non interessa scopare'.”

Sorrisi, guardando ovunque tranne che lui.

A chi non interessa scopare?”, aggiunsi, aggrottando le sopracciglia.

Rise.

Matt.”, dissi, prendendomi la libertà di rigirarmi quella parola in bocca, di ascoltare il suono del suo nome sapendo che, a dirlo avrebbe alzato gli occhi su di me, si sarebbe voltato, mi avrebbe dato un qualche cenno di essere consapevole del fatto che io fossi lì, che dividevamo uno spazio nel tempo e non eravamo più così maledettamente lontani. L'avrei chiamato, Matt, e lui avrebbe risposto. Mi sentii invincibile come quando sentivo cantare Proud Mary a Tina Turner, e quella voce ruggiva incredibile e possente e mi rimetteva in sesto la capacità di credere.

Adocchiò il mio letto.

C'entro qualcosa con quella valigia?”, chiese, indicandola con un cenno del capo.

Sorrisi. “Direi di sì. La tour Eiffelle non vede l'ora di essere abbattuta dal tuo falsetto.”, indicai a mia volta la foto alle sue spalle.

Rise di nuovo.

Vuoi la setlist?”

Ci pensai su.

No, grazie. Sorprendimi.”

Il mio cellulare squillò in modo così inopportuno e fastidioso che il mio primo impulso fu scagliarlo dalla finestra. Mi trattenni, guardando il numero.

E' Dylan. Il mio ragazzo. Il mio adorabile, paziente, gelosissimo ragazzo.”, dissi a Matt.

Mi sorrise.

Da quant'è che stai con lui?”, mi chiese.

Un anno e mezzo. E tu con Dana?”

Fece una smorfia buffa. “Un po' di più.”

Sentimmo le chiavi di mio padre girare nella toppa.

Scendiamo.”, dissi.

Annuì.

Uscendo dalla stanza, notò l'attestato di un corso di giornalismo e aggrottò le sopracciglia.

Chi è...?”, mi chiese, picchiettando il dito contro il bordo della cornice.

Sorrisi.

Sono io. Un nome del cazzo, lo so.”, dissi.

Mi guardò, e scoppiò a ridere.

Non mi preoccuperei, fossi in te. Dana, in realtà, si chiama Danette.”

Spalancai gli occhi. “Danette come il budino? Quello nel barattolo?”

Danette come il budino nel barattolo.”

Lo guardai, sforzandomi di rimanere seria. Poi esplosi in una risata liberatoria e cardiaca, a occhi chiusi e con lo stomaco in mano. Rise anche lui.

Capisco perchè si fa chiamare Dana, allora.”

Come mai 'Ria'?”

Una lunga storia. Un giorno te la spiego.”

Mi sorrise di rimando.

Volentieri.”, disse.

Le scale per il piano di sotto non finivano mai.


Mio padre e Dana ne avevano acquistato in ubriachezza e complicità. Gettai un'occhiata a Matt, preoccupata.

Mi sono ricordato, tesoro.”, disse mio padre. “Papà si è ricordato. I Muse. Sono i Muse, vero? Li conosci, Matt?”

Vagamente.”, rispose Matt, sorridendo.

Dana spalancò gli occhi in modo alquanto sgradevole. Prima che potesse farlo lei, Matt aggiunse: “Sono il frontman.”

Mio padre si calò nella parte del gufo dagli occhi sgranati insieme alla sua nuova, probabile amante.

E tu lo sapevi, Ria?”

Alzai gli occhi al cielo.

Certo, papà. Non sono mica idiota. Riconosco il frontman della mia... dei...”, sospirai. E non ce la feci ad ammassare quattro lettere una dietro l'altra, per dire “Muse”. Non ce la feci proprio. Matt sorrise di nuovo.

Anche se”, disse, sporgendosi verso Dana e mio padre, “Ha una cotta per il nostro batterista. Ma non ditelo a nessuno.”

Una foto di Dominic con la tuta di Spiderman che gli cascava in alcuni punti sulla figura ossuta e le gambe dei pantaloni risvoltate a scoprire il calzino e un niente di caviglia sifula e bianchiccia mi balenò nella mente. No, non credo. Non credo proprio.

D'altra parte, l'espressione di Dana si rilassò immediatamente, e mio padre fece un complice ed ebbro segno di silenzio pigiandosi il dito indice sul naso e strillando: “SHHHH”.

Guardai Matt, senza capire perchè l'avesse detto. Ci sarei arrivata con comodo più avanti.

Comunque, decisi di fidarmi, e padellai un sorriso imbarazzato.

Dana venne all'improvviso ad abbracciarmi, provocandomi uno sfogo di orticaria nei punti in cui la nostra pelle era giunta a contatto. La conoscevo da appena qualche ora e già mi stava altamente e solennemente sul cazzo. Bel record.

Potrei metterci una buona parola.”, mi confessò, tradendo quanto fosse rassicurata.

Ridacchiai, battendole una mano su una spalla.

Ti ringrazio, meglio di no.”

Direi.

Mangiammo il gelato parlando di tutto e di niente, e poi li accompagnammo alla porta.

Grazie per l'invito, prof. Ci vediamo domani in facoltà.”, disse Dana, civettuola.

Matt serrò i denti, poi mi guardò e la sua espressione cambiò impercettibilmente.

Lo stereo di Bliss fece di nuovo violenta irruzione nei nostri timpani.

Matt assunse un'espressione concentrata.

E' Straight to you di Nick Cave, vero?”

Annuii.

Amo profondamente questa canzone, e quella baldracca di sotto lo sa. Non dovrebbe mettere così alla prova i miei condotti lacrimali.”, gli dissi.

Sorrise.

Grazie per la bella serata.”

Volevo dire 'grazie a te'. Fortunatamente, dissi: “Grazie a voi.”

Dana mi abbracciò con slancio. Avrei voluto colpirla in testa con una mazza. Ancora una volta, mi trattenni.

Ci vediamo a Parigi.”, mi disse Matt, guardandomi negli occhi.

Feci sì, con la testa, senza riuscire a trattenere un sorriso di quelli che ti vanno da un orecchio all'altro.

Tienimela d'occhio, Matt.”, esordì mio padre, finto giovane e finto complice dell'uomo a cui stava spezzando il cuore. Una sagoma di cartone vestita da padre modello ubriaca fino al midollo di Pinot e presunzione.

Taci, papà.”

Stai tranquillo, John. La proteggo io, la tua bella.”, gli rispose Matt.

Papà lo fissò un po' interdetto.

Aveva appena squadernato, e con estrema disinvoltura, le stesse, identiche parole che aveva usato mio padre quando era uscito con Dana a prendere il gelato. Sentii un moto di ammirazione partirmi dal petto, feci appello a tutto il mio buonsenso per non applaudire.

Chiusi la porta con un senso di dolce malinconia dentro il cuore.

Sapevo che non l'avrei più rivisto. Non da così vicino, non così indifeso, non così privo di barriere. Non così.


Entrai in camera canticchiando tra me e me, con aria sognante.

Una sagoma nera si stagliava al centro della stanza.

CRISTO, BLISS!”, urlai, tenendomi il petto con una mano.

La mia migliore amica mi ignorò completamente.

Ciao. Posso sapere cosa ci faceva Matthew Bellamy sul tuo terrazzo?”

Non hai notato niente?”

Sì, alcune cose. Nella fattispecie, che Chichi oggi si è messa quell'orrido grembiule arancione che la fa sembrare una pescanoce da vino, una sconosciuta che rientrava con tuo padre e del gelato, e soprattutto ho visto il cantante dei nostri amatissimi Muse che mi salutava dal tuo terrazzo.”

Sospirai.

Hanno una storia.”

Chi, tuo padre e Bellamy?”

Mi massaggiai le tempie.

Riformulo. Hai notato per caso qualcuno in casa che potrebbe essere l'amante di mio padre?”

Ci riflesse un momento.

No... Non dirmi che...”

Annuii. “Sì. E' la ragazza di Matt.”

Presi fiato e le raccontai di Dana, del tirocinio, di mio padre e dei suoi intuibili piani.

Il solito stronzo.”, commentò.

Come tuo padre. Carta conosciuta.”, risposi.

Sospirò.

Appunto.”, mi guardò, “E ora?”

E ora che?”

E ora che succede?”

Feci spallucce.

Niente, che succede. Succede che andiamo al concerto.”

Ma lui lo sa?”

Ma chi? Mio padre?”

Alzò le braccia. “Parliamo e non ci capiamo. Matthew lo sa?”

Certo che lo sa. Gli ho detto tutto.”

E come l'ha presa?”

Secondo te?”

Beh, so per certo che non avete fatto un giro di tango e poi siete caduti nel buco della pertica. Vi avrei notati.”

Era un po' spaesato. Ma non mi sembra che l'abbia presa male.”

Un bagliore sinistro apparve nei suoi occhi verdi.

E Dom?”

Tutto bene. Ti saluta.”

Davvero?”

No.”

Silenzio.

Matt ha detto a Dana che io ho una cotta per Dom.”

Silenzio.

Anche se mi sfugge il motivo.”

Sospirò e mi si piazzò davanti.

L'ha fatto per pararti, pararsi, pararci il culo. Gentile, da parte sua.”

La guardai senza capire.

Ria, nessuno vuole una fan matta che ronza intorno al fidanzato. E nessuno vuole una fidanzata troia che manda minacce di morte e proiettili in busta chiusa.”

Annuii con aria saggia, affatto sicura della sua tesi.

Poi fui colta da un lampo.

Ti ricordi di St Paulten?”

Direi di sì.”

Le raccontai della chitarra, di Matt e Dom, le dissi che ci avevano viste a molti concerti.

E quindi siamo diventate qualcuno.”

E chi siamo diventate?”

Le groupies.”, dissi, sorridendo divertita.

Scoppiò a ridere.

Bello. Pertinente.”

Crollammo addormentate sul suo letto, l'una affianco all'altra.

Chiusi gli occhi con la vaga ma pressante convinzione che mi sarei svegliata da uno strano sogno, l'indomani mattina.


Quello su cui mi avevi messa in guardia, quello di cui secondo te potevo fare a meno

beh, siamo in un casino tremendo, e non intendo “forse”.

Papa, don't preach.

(Madonna.)




Stanotte è un grazie generico, non perchè vi voglia meno bene del solito (Leti, la stima che sai. Patri, idem. Burberry, grazie dolcezza. Asso di Picche: taci, pio bove.), ma perchè il mondo gira alla rovescia e non riesco a capire se sono io che sono diventata poco elastica invecchiando, o se è proprio diventato tutto un circo da queste parti.

Spero che dalle vostre, di parti, vada meglio.

Intanto, aspetto le recensioni.

Nel frattempo, permettetemi di dedicare questo capitolo a una persona: lei sa chi è. E non è vero ciò che dicono: Rosencrantz e Guildenstern sono duri a morire, amore mio.


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Capitolo 5
*** Weisenbier, bitte. ***


Precipito

guarda a che velocità io sto cadendo

precipito

rapido, sempre più rapido, verso il fondo.



Ci vuole passione, e una certa dose di esercizio, a dormire negli aeroporti.

Io, precisamente, ero crollata in quello di Milano alle quattro e cinque del mattino, in un buco tra due valigie, con i jeans e le converse penzoloni e il cappello da cowboy, lanciato da Dom a un concerto a Phoenix, calato sugli occhi.

Ero appena uscita da un sonno profondo e mi crogiolavo nel dormiveglia: alzai un po' la tesa. Bliss era seduta a gambe incrociate su una panca, suonava una chitarra immaginaria con l'iPod nelle orecchie. Le lanciai un pacchetto di sigarette, cogliendola in mezzo alla fronte. Alzò la testa, staccandosi una cuffia.

Cosa ascolti?”, chiesi.

Niente. Questi qui... Gli Avenged Sevenfolds.”

Sorrisi. Sempre roba leggera.

Ha chiamato Billie. Gli ho detto che dormivi.”

Sbuffai.

Solito motivo?”

Già.”

Mi tirai su e mi stiracchiai. Cinque e mezza del mattino, aeroporto deserto.

Direi prendiamo il caffè e poi l'aereo.”, dissi, togliendomi il cappello per scompigliarmi i capelli.

Mi si avvicinò con aria inquisitrice, e io le sorrisi.

Prima o poi ti passerà, quel sorriso idiota dalla faccia.”

Continuai, imperterrita, a sorriderle.

Ria. E' Matthew Bellamy. Non mischiare l'artista che ami con l'uomo che non conosci.”

Annuii. Ma il sorriso non passava.

In due ore saremmo state a Parigi. Non era il momento di tirare le somme.


Precipito

guarda come brillo mentre scendo,

incandescente come una cometa risplendo.

Precipito.


La notte seguente, ci alzammo alle cinque. Stavamo in un hotel carino, piccolo, silenzioso: la proprietaria si chiamava Anais, due volte vedova a sessant'anni. Sembrava uscita da un vecchio film francese, di quelli con le persone avvolte nei cappotti rossi, la neve sulla Rue des Champes e i piccioni in volo fuori dalle finestre dei caffè in cerca di riparo dal maltempo.

Un altro concerto?”, ci chiese, vedendoci uscire a quell'ora antidiluviana.

Eh sì, madame.”

Ci conosceva da un anno e qualcosa, e ci trattava come due figlie.

Mes petit madmoiselles...”, sussurrò, scuotendo la testa. Quando alzò gli occhi, notai quell'espressione. Approvazione. Qualcosa nel suo modo di vedere le cose si specchiava perfettamente in noi, era evidente. Forse c'era traccia di chitarre, nel suo passato. Forse aveva amato anche lei un'idea, un'impronta, una follia.

Ci incamminammo nella notte gelida di Parigi, i chilometri sembravano un miliardo e invece erano due. Le strade deserte ci condussero, come una melodia, fino alla location del concerto, senza sbagliare un solo vicolo, senza prendere la direzione sbagliata a un solo bivio. Come se fosse un qualche destino a guidare i nostri passi, vedemmo spuntare lo stadio all'orizzonte, ed eravamo le prime. La maestosa struttura, eretta sul niente e con niente intorno, si preparava a un unico respiro di migliaia di persone.

Ci aspettavano ore ed ore di attesa.

Fumai una sigaretta con le spalle contro il cancello, con l'aria fredda della notte che mi feriva i polmoni. Mi sentivo a casa.

Ti vibra una gamba.”, mi avvertì Bliss, che stava giocando alla Psp.

Abbassai lo sguardo curiosa. Chi chiamava a quell'ora?

Papà.”

Tesoro. Dove sei?”

Un momento di impasse.

Papà, hai battuto la testa? Non mi chiami mai. Sono a Parigi, comunque.”

In albergo?”

Mentii.

Sì.”

Quale albergo?”

L'etoile. Perchè?”

E dov'è?”

Oddio, che ne so... Vaugirarde.”

D'accordo. Divertitevi.”

Chiusi il telefono.

Che voleva Johnny?”

Sapere in che albergo fossimo.”

Bliss alzò la testa.

Oddio. Non è che Johnny e papà vogliono farci un'improvvisata, vero?”

Scoppiai a ridere al solo pensiero di mio padre in jeans e t-shirt, strepitante a un concerto dei Muse che faceva il gesto delle corna al cielo e cacciava la lingua ai ragazzini, tipo Gene Simmons.

No, credo di no.”

Bliss fece spallucce.

Spero di no.”


Giù, come un fulmine a ciel sereno

e sereno sarà, e se non sarà sereno tanto meglio

che è più spettacolare e coreografica se ti schianti

la furia degli elementi


I concerti sono un ecosistema precario.

Se non vuoi avere problemi, devi arrivare presto. Così presto che più che un concerto diventerà una sorta di rito purificatorio, visto che le ore di attesa ti tempreranno come il digiuno del Mathma.

Quando cominciano ad arrivare una ventina di persone, però, cominciano anche le guerre puniche. I virtuosi sostengono che bisogna numerarsi con un pennarello per evitare di scavalcarsi disonestamente, quindi comincia il balletto delle precedenze.

Quando finalmente aprono i cancelli, le corse sono disumane. Io e Bliss siamo abbastanza veloci, portiamo un solo zaino e nello zaino solo l'acqua e qualcosa da mangiare. Quando, alle quattro del pomeriggio, le mie mani toccarono le transenne esattamente di fronte a dove, sapevo, avrebbe suonato Matt, il mio corpo archiviò la stanchezza per dare spazio all'adrenalina.

I supporter e lo stereo scaldano i fan fino a fargli perdere voce e gambe prima ancora che inizi il vero e proprio concerto: i cellulari giacciono inutilizzati nelle tasche.

Vi risparmio il macello, arriviamo direttamente alle nove meno un quarto.

Quindici minuti all'inizio del concerto. Il corpo si gela spontaneamente, insensibile alla temperatura esterna. Comincio a tremare leggermente. Quella volta, poi, avevo un groppo in gola impossibile da sciogliere. Quella sera, l'artista che amavo da una vita e l'uomo che amavo da due giorni si sarebbero esibiti sul palco nero che avevo davanti agli occhi: in un'unica soluzione, come un miracolo.

Quando le luci si spensero, e i primi accordi si diffusero nell'aria, un boato si alzò alle mie spalle e realizzai, dall'intensità di quell'urlo, che avevo vissuto quarantott'ore di straordinaria utopia: la realtà era un'altra, però. La realtà erano cinquantamila persone intorno a me, tutte animate dallo stesso fuoco, qualcuna forse preda dello stesso amore. Migliaia di ragazze col cuore gonfio come un pallone, che aspettavano solo una flebo di devozione da iniettare direttamente in vena con la sua voce, con la sua chitarra. Ne avevo conosciute abbastanza. Erano dolci, arrossivano, balbettavano, cantavano, si scatenavano, per la loro scheggia di felicità.

Una di un migliaio, una dentro una moltitudine.

Matt apparve dal buio, in camicia fuori dai pantaloni e cravatta, con i capelli sconvolti. Sorrise al pubblico, ci abbracciò con lo sguardo, e iniziò a cantare. Inziò con Supermassive black hole. Non abbassò lo sguardo verso di noi, verso di me, neanche una volta.

Sorrisi di pura malinconia, guardando a terra. La realtà. Quella, era la realtà.

Rialzai lo sguardo sulle prime note di Undisclosed Desires, e con gli occhi pieni di lui la cantai per l'ennesima volta. La cantai come non l'avevo mai cantata, con mille riferimenti che si accavallavano nella mia mente, affascinata dall'uomo e non più solo dall'artista. Quello che la mamma di Splinter mi aveva pregato, scongiurato di evitare. Amali, amali, ma non innamorarti mai di loro.

You may be a sinner, but your innocence is mine.

Troppo tardi.

Ballai e saltai per tutto il resto del tempo.


Giù

vertiginosamente giù

senza dimenticare di girarti verso le telecamere

fare cheese ai fotografi

e poi giù a pugni chiusi

che all'impatto i sismografi non resteranno delusi

Precipito

guarda come sono telegenico mentre mi schianto


Alla prima pausa, sparirono tutti e tre dietro le quinte.

Mi voltai verso Bliss: eravamo fradice di acqua e sudore.

Ridemmo.

La mia amica mi guardò, seria per un momento, e mi accarezzò una guancia.

Tesoro...”, feci appena in tempo a sentirla sussurrare.

Non ebbi neanche modo di ricordarle quanto detestavo essere chiamata tesoro.

Quattro note di chitarra mi ferirono un orecchio.

All the towers of ivory are crumbling, and the swallows have sharpened their beaks...

This is the time of our great undoing, this is the time that I'll come running straight to you, for I am captured... Straight to you, for I am captured one more time...

Lo stadio si era adeguato alle nuove note. Io me ne stavo lì, con le mani strette alla transenna, con il sangue che mi scorreva a cubetti a guardarlo senza parole.

Bliss mi stava scuotendo per un braccio, gridando come un'aquila per farsi sentire.

E' Straight to you! RIA! E' STRAIGHT TO YOU DI NICK CAVE! RIA!”

Precipito

ammira la mia aerodinamica, sono il vento

Precipito

Cantava preso, accarezzando la chitarra, non guardava niente, si guardava dentro.

L'ultima strofa mi prese in contropiede.

Speravo non finisse mai.

Sentii la sua voce cullarmi, spalancarmi le porte di un mondo che da troppo tempo non osavo sognare, persuasa di essere diventata troppo grande. Adulta. Disillusa.

Well I'll run, babe, but I'll come running straight to you, for I am captured, straight to you, for I am captured one more time...

E per un attimo, un solo attimo, mi parve di vedere i suoi occhi nei miei. Questione di un secondo. Forse l'avevo solo immaginato. Sicuramente.

Le note di Starlight invasero l'aria, mentre riprendevo il ritmo con le gambe, fino a saltare così in alto da toccare le stelle. Oltre le galassie. Ancora più in là.

Alla fine del concerto, lo guardai sparire sorridendo con una mano alzata. Stanco. Felice, sperai. Felice almeno la metà di quanto non lo fossi io.


Tornammo all'albergo in taxi.

Piantai la testa nel finestrino, preda di mille pensieri e di un nodo caldo di gratitudine al centro del petto.

Gliel'ho detto io, Bliss.”

Bliss si riscosse dal videogame.

Cosa?”

Gli ho detto io di Straight to you. L'altra sera, sulla porta. Tu la tenevi a tutto volume, e io gli ho detto quanto amassi quella canzone.”

Bliss sospirò sonoramente.

Questo non l'avevo messo in conto.”, disse.

Ci speravo, Bliss. Speravo che in qualche modo mi dimostrasse che si ricordava di me. Che è tutto vero, quello che rivivo nella mia testa. Ma non credevo fosse possibile.”, le dissi, con tutta l'onestà di cui ero capace.

La mia migliore amica sorrise.

Tienitelo stretto, questo piccolo miracolo.”


Giù, come Icaro

giù come una meteora

giù, come forse sei tu quando viene la sera

giù, sempre più veloce giù



Madmoiselle...”, mi apostrofò Anais, appena ci vide entrare.

Sì?”

Madmoiselle, c'è una signora. Una bella signora per lei.”

Aggrottai le sopracciglia.

Chi è?”

Je ne sais pas. Ha detto solo che cercava madmoiselle.”

Annuii.

E' arrivata da molto?”

Forse scinque minuti. Quel telefonino, non lo sente mai!”

Sorrisi, ringraziai, andai in sala.

La donna che mi trovai davanti non aveva niente di familiare: bionda, con degli occhi azzurro liquido e l'aria un po' dura.

Ria?”

Sì.”

E Bliss.”

Sì.”

Il viso le si distese in un sorriso.

Temevo di aver sbagliato hotel. Io sono Fiorellino, la moglie di Chris. Mi hanno chiesto di venirvi a prendere e portarvi in un posto, ma prima cambiatevi.”

Io e Bliss ci guardammo, piuttosto confuse.

Scusa, Fiorellino...”

Dopo si parla. Prima ci si veste. Forza, presto.”

Scendemmo, dopo una doccia, con dei jeans puliti e un paio di maglie adatte a un locale. La mia scendeva su una spalla, ed era bianca, semplicemente bianca, un po' lunga. Avevamo messo le converse, sì, lo so. Avessimo saputo dove eravamo dirette, almeno.

Montammo in macchina di Fiorellino con aria un po' attonita.

Scusa, Fiorellino... dove stiamo andando?”

Fiorellino rise, senza degnarci di una risposta.

Oltretutto... noi non conosciamo nessun Chris, che io sappia.”

mi guardò in cerca di conferme, e io annuii.

La donna, al volante, rise di nuovo.

Ma su, che un Chris sicuramente lo conoscete.”

Prima che potessi formulare un pensiero confuso, la macchina si fermò in un vicolo buio che sembrava il retro di un locale e il mio sportello si aprì da solo. Cioè, non da solo. Me lo aprì qualcuno.

Non riuscii a reprimere la gioia, e non lo dissi. Praticamente, lo urlai.

MATT!”

Matt rise, e mi tese le braccia.

Ciao bambina, ciao...”

Lo strinsi più forte che potevo, poi nascosi il viso contro la sua spalla. “Sei stato meraviglioso, stasera... e grazie. Grazie. Mille volte grazie.”


Cado

mi avvicino al suolo

mi sento sempre meno solo e sempre più libero

di cadere giù

precipitare

lo so che sto per farmi male

ma guarda come sono magnifico

ora mentre precipito.


Mi arrogai il diritto di baciarlo su una guancia, ancora e ancora, finchè Bliss non si schiarì sonoramente la voce e io mi staccai da Matt, notando che ci eravamo moltiplicati, e non per scissione.

Ria, questi sono Dom e Chris.”

Il batterista biondo, dall'aria baldanzosa nonostante il concerto, mi tese la mano.

Ria... Dana sosteneva che avessi una cotta per me, ma da quanto ho potuto vedere due secondi fa mi arrivano informazioni distorte. Il che è un peccato, perchè sei davvero...”

Matt lo fermò con un braccio, ridacchiando: “Ok, basta coglionare, Dom.”

Mi guardai un po' intorno, poi risolsi ciò che dovevo fare.

Strinsi la mano a Chris, e afferrai Bliss che non ne voleva sapere di fare le presentazioni.

Ragazzi, questa è la mia miglior amica: Bliss.”

Bel nome.”, commentò Chris.

Dom le sorrise, facendole il baciamano. “Enchantè.”

Bliss arrossì leggermente, poi si riscosse, e gli rispose qualcosa che non feci in tempo a sentire, perchè Matt aveva preso a canticchiare distrattamente mentre Fiorellino gli sistemava la cravatta, e io lo fissavo in ebete adorazione.

Scusate il rapimento, ragazze.”, ci disse Fiorellino. “Matt ci teneva molto che Ria venisse all'aftershow.”

Ci teneva un po' meno Dana, suppongo.”, intervenne Dom, beccandosi uno sguardo da Matt.

Dominic, Dana è convinta che io sia irreversibilmente innamorata di te. Non dovrebbe preoccuparsi.”

Immagino faccia male.”

Immagino siano i rischi del mestiere, quando si fa lo psicologo.”

Dom mi sorrise, staccandosi da Bliss, e si fece più vicino per far sì che fossi l'unica a sentirlo.

Non ti piace Dana, vero?”

Dana tradisce Matt con mio padre.”

Dom sgranò gli occhi.

Lo sospetta anche lui. Ne sei sicura?”

Conosco mio padre da vent'anni. E comunque domani mattina ne avrò l'assoluta certezza.”

Come?”

Chichi. La mia collaboratrice domestica.”

Hai intenzione di assumerti la responsabilità di sapere la verità?”

Mi strinsi nelle spalle.

Qualcuno deve pur farlo.”

Guardai Matt, era un po' lontano, ma sapeva cosa stavamo dicendo, ci avrei scommesso.

Gli andai vicino e lo presi per un braccio.

Non pensarci stanotte, Matt. Non stanotte. Andiamo a bere qualcosa.”, dissi, portandolo verso l'entrata. Lo vidi sorridere con la coda dell'occhio.

Lo so, sono un'ottima groupie.”

Il locale era semideserto.

Cos'è quest'orrenda versione folk di Hey there Delilah?”, chiesi, concentrandomi sulla musica country che aleggiava nell'ambiente.

Weisenbier, bitte.”, dissi al barista, poi mi voltai verso Matt.

Scende bene e sale in fretta.”

Perchè fai tutto questo, Ria?”, mi chiese.

Presi le birre e gliene porsi una.

Perchè me l'hai chiesto tu, Matt.”

Aggrottò le sopracciglia.

Hai chiamato mio padre per sapere l'hotel, probabilmente dicendogli che volevi farmi una sorpresa con Dom, e hai mandato Fiorellino a prenderci. Mi volevi qui, no?”

Mi sorrise.

E' facile, parlare con te. Non sembri una fan. L'assurdità dell'altro giorno in camera tua, io ricordavo vagamente chi eri e tu non hai fatto mistero di niente, mi hai parlato con così tanta sincerità, in un modo così semplice... sembrava tutto così naturale.”

E non lo è, lo so. Che ci vuoi fare, siamo umani, viviamo per assurdo.”, commentai.

Mi sorrise.

Sei incredibile.”

Lo so. Sono anche invincibile, molto simpatica, incatalogabile, impossibile da imbrigliare, testarda e molto presuntuosa. E un giorno diventerò il primo ministro inglese. Nel frattempo balliamo?”

Rise dolcemente. “Non so ballare.”

Tutti sanno ballare i Talk Talk. Avanti.”

Le note di It's my life, versione originale e non quella di Gwen Stefani, si infransero su di noi al centro della pista che ci muovevamo scoordinati, soli e preda di continue risate.

Quando Dom, Bliss, Chris e Fiorellino entrarono, li guardai fermi sulla porta a chiedersi come fosse possibile.

La donna con cui voleva passare la vita lo tradiva e lui lo sapeva, e intanto stava ballando in un locale semivuoto di Parigi con una sconosciuta di dieci anni più piccola. Una che aveva i suoi poster appesi in camera. Con una groupie.

Gli allacciai le braccia intorno al collo.

I bicchieri vuoti furono sostituiti prontamente da Dominic con due pieni di birra.

Collassammo ubriachi sui divanetti un'ora più tardi, sudati fradici, dopo aver ballato senza posa.

Sono in piedi dalle quattro di ieri mattina...”, sospirai, guardando Bliss. Sorrideva. Sembrava felice, la mia grande cinica.

Piaciuto il concerto?”, chiese Chris.

Incredibile, come sempre.”, risposi. “Ma ce l'ho con te, Matt.”

Matt mi guardò di sbieco, finalmente rilassato.

Perchè, di grazia?”

Perchè non mi hai fatto la mia invincible. La mia invincible!”, tuonai, battendogli il pugno su una gamba.

Sorrise. “Scusa. La mettiamo in scaletta ad Amburgo.”

Ecco. Bravi.”

I'm yours di Jason Mraz prese a suonare in mezzo a noi.

Oddio, adoro questa canzone!”, dissi, afferrando Bliss per un braccio.

No, Ria, no, ti prego...”

Oh, andiamo...”

Eravamo già in pista. Cantavo e ballavo, con un bicchiere di birra in mano e la mia migliore amica che cantava e rideva, ubriaca persa.

Dom si sporse verso Matt e gli disse, piuttosto rumorosamente, “Ora te ne esci che vuoi fare questa come cover ad Amburgo, come Straight to you?”

Matt lo mandò a fanculo con poca cortesia, e mi scoccò un sorriso luminoso. Avanzai verso di lui, cantando.

It's your godforsaken right to be loved... So I won't hesitate no more, it cannot wait, I'm sure there's no need to complicate, our time is short, this is our fate, I'm yours.”

Risi.

Davvero?”, mi chiese.

Davvero cosa?”

Davvero sei mia?”, mi prese in giro.

Quando suoni, senza dubbio. Quando non suoni, non lo so. Vedremo.”

Rise.

Sei bellissima.”

Lo guardai sospettosa. “Sei cieco?”

Sei bellissima. Adesso. Qui. Che canti, ridi, bevi birra. Anche se sei stanca, anche se sei distrutta. Sei bellissima.”

Gli sorrisi.

Se l'amore mi costa questo non voglio sconto, voglio pagare diceva un cantante.

Venite ad Amburgo col tourbus?”, buttò lì.

Sì!”, strillò Dom, gli occhi riversi al soffitto, in pessime condizioni.

Lo guardai, affatto sicura di aver capito.

Non ho capito.”

Ho detto: venite ad Amburgo col tourbus?”

Sorrisi. Non riuscivo a smettere. Gli planai addosso, e lo stesi sul divanetto, stringendolo forte.

Lo prendo per un sì.”, disse, prima di baciarmi i capelli.

Ci stavamo mettendo in un guaio che non era un guaio, ma IL guaio. Il guaio per antonomasia. E non ne saremmo usciti mai più.



Precipito

guarda come brillo mentre scendo

precipito

come una supernova risplendo

precipito

come Icaro

come una meteora

precipito

come un fulmine

come una cometa

cado dalle nuvole, dal cielo

senza futuro e questa volta per davvero

precipito

ammira il mio stile mentre sto scendendo

precipito

guarda che precisione la mia rotta di collisione con il mondo.

Precipito.




Cazzo, si son moltiplicati i ringraziamenti.

Ringraziamo: il signore, come si faceva una volta.

Cydonian Kid, per le bellissime parole e per avermi reso partecipe di un piccolo miracolo personale.

BurberryFendi93, sperando che domani non abbia latino.

S., la mia adorabile.

Denni, sperando di non deluderla.

Ale, per tutti i complimenti.

Leni, che splendore. Addirittura due commenti, scritti benissimo, in modo chiaro e perfetto. Cosa potrei volere di più?

Patri, e non hai idea di quanti siano i problemi.

Bee, una grande scrittrice.

Questo capitolo è l'inizio di un brutto quarto d'ora di equivoci incrociati.

Le didascalie in corsivo sono gentile cortesia di una canzone di Giorgio Canali che si chiama, appunto, “Precipito”, e che è molto Ria-verso-Matt, a mio parere. Quella povera ragazza non ha idea di ciò che le farò passare.

Nel frattempo, un bacio circolare a tutta la fascia.

Je v'aime.

Q.


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Capitolo 6
*** Una specie di tarantella metal. ***


They say the road ain't no place to start a family
right down the line it's been you and me
and loving a music man ain't always what it's supposed to be.”
(Journey, Faithfully.)


So take the photographs and still frames in your mind.
Hang it on a shelf in good health and good time.
Tattoos of memories and dead skin on trial.
For what it's worth, it was worth all the while.”
(Green Day, Time of your life.)


Da adesso in poi com'è che andrà,
con te che hai detto 'sono qua'
e davvero sei qua fra noi.
Non so se sarò pronta mai,
prova a esser pronto tu per noi
mi insegnerai, se vuoi, che vale la pena vivere
e ti chiederò 'sì, ma perchè?'
So solo che mi dirai
'vale la pena, vedrai'.
Da adesso in poi.”
(Da adesso in poi ci proverò a farti avere il meglio che ho, il peggio lo troverai da te.)



Come molti di voi sapranno, un tourbus è, per definizione, un ecosistema precario.

Innanzitutto ci stanno quasi sempre esclusivamente uomini, il che rende difficile la coesistenza tra entità differenti: rockstars e ragazzette.

Le ragazzette in questione, però, erano cresciute con passioni, abitudini e fisime generalmente maschili: la boxe, i tornei di motocross e le chitarre assordanti, per citarne qualcuna. A quattro anni, all'asilo, mentre le mie compagne pettinavano le Barbie io, in piedi su un banco, facevo air guitar credendomi Keith Richards. Gridavo anche “thank you, thank you” alle bidelle, le quali bidelle mandarono più e più volte a chiamare i miei genitori per un colloquio con la preside circa i miei 'strani comportamenti'.

Ad ogni modo, eravamo partiti da neanche venti minuti, che già avevo gettato il mio guanto di sfida in faccia al frontman.

Matt.”, cinguettai.

Bambina.”, mi rispose. Stava lavando una tazza per farsi il tè. Il suo tè. Una fissazione puramente inglese.

Sei la cosa migliore che sia mai successa a una chitarra dopo Jimi Hendrix.”, lo informai, andando a sbattergli le ciglia davanti.

Matt sfoggiò un sorriso lusingato.

Parli con gli occhi dell'amore.”, ribattè, dolcemente.

Un momento, fammi finire.”, aggiunsi. “Ti sfido a Guitar Hero.”

Mi guardò, interdetto.

A Guitar Hero?”

A Guitar Hero, eh.”

Tirai fuori il mio miglior sorriso da stregatto.

No.”, strillò una voce alle mie spalle. “Non a Guitar Hero. A Rockband.”

Mi voltai eloquentemente verso Bliss. Sguardo di intesa. Niente di buono.

Dov'è quell'inutile batterista dei miei calzini a righe?”, sentenziò la mia migliore amica.

Dominic si riscosse da un sonno tormentato, manifestando al resto della congrega la sua presenza: “Eh? Che c'è? Chi è? Il soundcheck.”

Bliss sbuffò, incrociando le braccia.

Dominic, sono io. Dio padre. Ti alzi, cortesemente? C'è una sfida a Rockband in corso.”

Dom ridacchiò sarcasticamente. “E tu faresti la batterista contro di me?”

Iniziarono a battibeccare.

Io ero impegnata a persuadere Matt ad assecondare i miei capricci.

Maaatt...”, sussurrai, sforzandomi di avere un tono suadente. Contro ogni aspettativa, pare che ci riuscii.

Va bene.”, esclamò. “Va bene... Solo una partita.”

Lo abbracciai di slancio, trascinando lui e il tè verso lo schermo al plasma.

Bliss mi gettò un'occhiata intelligente: “Cominciamo dagli Offspring?”

Hit that, però.”, intervenne Matt.

Gli piazzai la chitarrina in mano e gli feci una fotografia mentale. Lasciarlo solo più di un quarto d'ora voleva dire spingerlo a riflettere: stavo profondendo tutte le mie energie a tirarlo fuori da qualunque stato riflessivo non appena vi entrava.

Tre canzoni dopo, eravamo sotto di quaranta punti.

Dropkick Murphys?”, proposi.

Assentirono tutti insieme.

Fermi. Fermi, voglio le penitenze.”

Tutti guardammo Dom.

Cosa intendi per penitenze?”

Scrollò le spalle.

Chi perde paga pegno.”, rispose, sfoderando un sorriso malizioso.

Io e Bliss ci guardammo.

Passammo cinque minuti buoni a decidere i pegni.

Quando ci dissero il nostro, avemmo qualche problema di comprensione.

Come, scusa? Non ho capito.”, dissi, fissando prima Dom e poi Matt.

Hai capito.”, ribattè Dom.

Guardai Matt, in attesa di sentirmelo ripetere da lui.

Se perdi”, disse, perfettamente calmo, “Mi fai uno striptease sull'ultima canzone che abbiamo suonato.”

Mi avvicinai, con aria di sfida.

Definisci striptease.”

Mi rese lo sguardo, piccato.

Striptease nel senso di reggiseno e slip. E devi ballare.”

Guardai Bliss, che occhieggiava Dom in un misto sgomento-malizia impossibile da riprodurre in natura: si avvicinava, forse, solo all'espressione di certi cervi quando si voltano verso le telecamere della National Geographic nei documentari sulle foreste tedesche.

Ma bando ai cervi maliziosi, ci guardammo.

Affare fatto.”, dissi.

Sorrisero, i due maledetti.

Bene, e il nostro?”

Guardai Matt. “E il vostro non ve lo diciamo. Lo saprete quando perderete.”

Perderete voi.”, mi rispose.

Stiamo a vedere.”

Tre canzoni dopo, eravamo in parità.

L'ultima.”, disse Dom. Accettammo.

Mettemmo la modalità random di scelta del brano, e dopo un vorticare di copertine, finalmente apparve: Hysteria, Muse.

Vaffanculo.

Parità!”, urlò Bliss, lanciando per aria una bacchetta giocattolo.

2134 punti. A testa.

Sorrisi soddisfatta a Matt: “Pare che ne dovremo fare un'altra.”

Matt annuì, per niente preoccupato.

Lasciammo perdere il tè per una birra.

Andiamo di nuovo a random?”, chiese.

Premetti il pulsante.

Supermassive black hole, Muse.

Senti, mi prendi per il culo.”, commentò Bliss, additando la spia luminosa della Play Station. La Play Station tremò.

Matt svolazzava allegro e concentrato concedendosi anche di alzare di quando in quando gli occhi su di me a mo' di scherno; io, di contro, sudavo sette camicie e iniziavo ad accusare un principio di tunnel carpale che sarebbe stato impossibile motivare in modo convincente a mio padre una volta tornata a casa, e dissuaderlo dal pensare che avessi passato due settimane a fare lavoretti di mano al cantante dei Muse.

Alla fine, la mia amica esultò di nuovo.

Parità.”, disse.

Dom e Matt si gettarono un'occhiata rassegnata, ma quando Dom si voltò verso lo schermo, un sorriso di soddisfazione gli si aprì sul viso.

Non credo.”, esclamò, trionfante.

Come, prego?”, chiesi, poggiando la chitarrina.

In questa canzone noi abbiamo fatto 1001 punti. Voi, 1000.”

Controllai io stessa.

Merda. Aveva ragione.

Quando mi rigirai, Matt mi si era materializzato dal nulla a un palmo dal naso, come in un fotogramma di Shining.

Spogliati.”, mi sussurrò.

Guardai Bliss, e lei mi indicò con gli occhi due poltrone a due lati opposti del tourbus.

Va bene.

Abbracciamoci la croce.

Cercai l'iPod, lo collegai alle casse e feci partire la canzone.

Supermassive black hole.

Spinsi Matt sulla poltrona nera, e poi mi allontanai.

Mi tolsi i jeans con i suoi occhi incollati addosso.

La maglia mi stava, come al solito, lunga.

Mi mossi piano, lasciandomi accarezzare dalla musica.

Poi mi voltai, e gli salii addosso a cavalcioni.

Aveva voluto lo strip, e ora doveva morire.

Incollai le nostre parti del corpo più rischiose e mi mossi avanti e indietro, come su un toro meccanico.

Un gradino di malizia più su di Pamela Des Barres, un paio in meno di Cynthia Plaster Caster: groupies, in fin dei conti.

Presi la sua mano e me la passai sul collo, in mezzo ai seni, fino all'ombelico. Poi, restandogli addosso a cavalcioni, mi tolsi la maglia. L'eccitazione era palpabile, la sua tra le mie gambe e la mia giù per la schiena. Gettai la testa all'indietro, per avere la visuale di cosa facesse Bliss.

Era già in slip, e il polso riverso sul bracciolo della poltrona in posizione cadavere mi informò che Dominic stava collassando. Sorrisi, e tornai a dedicare la mia attenzione a Matt.

Ballai su di lui, poi gli arrivai così vicina che le nostre labbra parvero sul punto di sfiorarsi.

La musica si fermò.

Ops.”, commentai. “E' finita la canzone.”

Mi infilai di nuovo la maglia, bevvi un sorso di birra e mi accesi una sigaretta, seduta sul divano.

Matt mi guardava, come finora non mi aveva mai guardata. Mi sorrise.

Sei dannatamente sexy.”

Gli sorrisi di rimando, e mi sporsi verso di lui per arrivargli all'orecchio, ma non feci in tempo a proferire una frase di senso compiuto, e probabilmente neanche ci sarei riuscita: il tourbus si era fermato.

Siamo ad Amburgo?”, chiesi, innocentemente.

Dom scostò le tendine. “No. In autogrill.”

Scendiamo a fare due passi.”, disse Matt.

La maglia era lunga, non mi curai delle mie gambe in mostra. Mi infilai soltanto le Converse, e lo seguii giù dalla scaletta.

Sono mesi.”

Mesi cosa?”, chiesi, soffiando via il fumo.

Accese una sigaretta anche lui.

Mesi che non faccio l'amore.”

Lo guardai.

Hai voglia di fare l'amore, Matt?”

Mi piantò gli occhi azzurri nelle pupille, in un modo così eloquente che seppi da subito che avrei ceduto.

Ho voglia di dormire con te. Ti spiace dormire nel mio letto?”

Sorrisi.

Definisci dormire.”

Chiudere gli occhi e cadere in catalessi.”

Scoppiai a ridere.

Staremo un po' stretti.”, mi avvertì.

Allora dovrò dormirti addosso.”, sussurrai, e lui mi sorrise.

Stavo flirtando. Anche lui stava flirtando. Invece dentro, a giudicare dalla mano che si piantò sul finestrino del tourbus dall'interno, stavano scopando.

Matt nemmeno si voltò a guardare. Disse direttamente: “Tranquilla. C'è il separè.”

Insonorizzato?”

Chiedi un po' troppo da un umile tourbus.”

Rientrammo qualche minuto dopo, nella speranza che avessero finito. Non avevano finito.

Nel letto, mi strinsi addosso a lui. Mi presi addirittura la libertà di piazzargli una gamba sotto l'ombelico, abbracciandolo in modo che stessimo più a contatto possibile.

Ridacchiavo con la testa contro il suo petto, e lui fra i miei capelli, ascoltando la performance che si stava tenendo a pochi metri da noi.

Quella fu la prima volta che gli dormii addosso.

La prima volta che entrambi dormimmo davvero, da mesi.


Arrivammo ad Amburgo con l'alba che filtrava dalle feritoie dei finestrini. Aprii gli occhi sul suo petto.

Ero in una specie di iperuranio, la luce mi accecava dolcemente, i suoni mi arrivavano ovattati e stavo ferma nell'incavo del suo braccio.

All'improvviso, il suono arrivò un tantino più forte.

La fine del mondo.”, commentò Dom, il cui braccio sinistro penzolava in modo inquietante dal letto al di là del separè. Che, mi accorsi, era aperto.

Una musica inascoltabile stava uccidendo il mio unico neurone rimasto in vita.

Matt si svegliò un po' confuso.

Mi alzai.

BLISS!”, ululai al tettuccio del bus.

Bliss si voltò. Stava facendo il caffè.

Togli subito questi metallari che battono i piatti. Chi è?”

Bliss sfoggiò un sorriso luminoso.

Ma io li amo!”

Dom le scoccò un'occhiata risentita. Ignorata.

La musica, almeno, si era fermata.

Sono i cosi?”, chiesi, pinzando l'iPod di Bliss tra il pollice e l'indice e sventolandolo per aria. Manco fosse un cazzo di gomma.

I cosi?”

Sì. Quelli. Quei drogati col nome biblico. Gli Avenged sevenqualcosa.”

Mise il broncio.

Non mi offendere Synyster Gates.”

Mi girai.

Prego?”

Synyster Gates.”

Chi, di grazia, battezzerebbe un bambino in questo modo orrendo? A parte te, intendo.”

Non tutti possono chiamarsi Matty, Ria. Nonostante il fatto che, vista la tua ebete devozione, potrebbero tranquillamente sparire tutti gli altri gruppi in circolazione.”

Mi voltai a guardare Matt.

Sorrideva, divertito.

Mi rigirai verso la mia amica.

Oltre i Muse c'è tutto un universo da esplorare, razza di cretina con i neuroni ipertrofici. Non mi sembra di essermi mai strappata i capelli a ciuffi per un solo uomo, né di aver mai preteso di svegliare amici e parenti con una specie di tarantella metal a prima mattina. E poi, non ho ancora capito che cazzo hai detto.”

Ho detto Synyster Gates. E' il nome del chitarrista.”

Povera bestia.”

E' creativo.”

E' creativo? Cancelli Sinistri?”

Mi sorrise. “Sì. Cancelli Sinistri.”, mi disse, porgendomi una tazza di caffè.

Certo. Il cancello a sinistra e il cesso a destra.”, commentai, sorpassando Matt che scoppiò a ridere.

Bliss mi raggiunse due secondi dopo, mollando una tazza a Matt e una a Dom.

Buongiorno, comunque.”, esordì.

Buongiorno.”, in coro Matt e Dom.

Buongiorno un cazzo.”, commentai io.

Odia essere svegliata con rumori forti di qualunque genere.”, spiegò Bliss, e fu l'ultima cosa che sentì, prima di uscire dal Tourbus e trovarmi su un prato.


Il telefono alle undici e un quarto di mattina è un rumore insopportabile, che diventa addirittura odioso quando stai guardando un cantante accordare una chitarra.

Risposi senza guardare il numero.

Oè.”

Finalmente!”

Mi si gelò il sangue.

Billie.”

Come stai, tesoro?”

Bene. Non chiamarmi tesoro. Tu come stai?”

Rise. “Bene, è un secolo che non ci sentiamo! Dove sei, cosa fai?”

L'amico di Billie era pazzo di me. Al limite della persecuzione. E lo spettacolo di adulti e vaccinati che mandano gli amici a fare da paravento con l'amato bene, nel tentativo di persuaderla a capitolare, lo trovavo davvero agghiacciante. Il che era un peccato, visto che Billie era adorabile. Mi sarebbe piaciuto poter avere un rapporto con lui un po' più tranquillo.

Sono... sto andando a un concerto.”

Rise di nuovo.

Di chi? Ai miei non ci vieni.”

Sbuffai. “Dei Muse.”

Ma dai? Sono bravi, non mi dispiacciono. Peccato solo che il frontman non sia bello come me.”

Mio malgrado, risi.

Il frontman è formidabile.”, rettificai.

Piccola pausa dall'altra parte. Sembrava si stesse trattenendo dal dire qualcosa di estremamente divertente.

Beh, mi sa che siamo nello stesso posto.”, disse, scoppiando a ridere.

Non avevo capito.

Prego?”

Rise di nuovo.

Suoniamo nello stesso festival dei Muse. Anzi, sto guardando or ora il soundcheck.”

Mi voltai.

Aveva l'eye-liner anche a quell'ora del mattino. E mi sorrideva. Beffardo. A venti metri.

Si avvicinò lentamente, e mi guardò a braccia conserte con aria inquisitrice.

Ipnotizzata da Bellamy, vedo.”, commentò.

Sorrisi. “E' molto bravo.”

Sì, lo so.”, disse. Poi mi scoccò uno sguardo dei suoi. Lo conoscevo bene, e da un bel po' di tempo. Conoscevo anche sua moglie, una creatura adorabile: ancora mi chiedevo come cazzo avesse fatto a sposarlo.

Ehi, Bells!” gridò.

Matt alzò gli occhi verso di lui, e ci mise un momento a riconoscerlo.

Billie!”, esclamò, poi poggiò la chitarra, scese dal palco sorridendo e lo abbracciò.

Ria, conosci...”, disse, indicandomi Billie.

Conosco.”, sospirai, con un sorriso divertito.

Matt mi guardò interrogativo.

E come lo conosci?”

Sorrisi a Bill. “Glielo dici tu o glielo dico io?”

Ci ha intervistati tempo fa per Rolling Stone. La rubrica. Come si chiamava... I'm with the band, mi pare.”

Matt mi guardava, abbastanza sconvolto.

Scrivi sul Rolling Stone?”, mi chiese.

Qualche volta.”, risposi. “Ho cominciato con loro. Accompagnavo una persona. Sfortunatamente, è svenuta per l'emozione cinque minuti prima dell'intervista.”

Attesi una sua qualunque reazione. Mi ricordo di aver pensato qualcosa tipo oh no, cominciano i problemi.

I problemi, contrariamente alle aspettative, non cominciarono.

Scoppiò a ridere, spiazzandomi completamente.

Come svenuta?”, chiese, quando si fu un po' ripreso.

Svenuta. A terra. Caput. E' crollata a quattro di bastoni sul pavimento appena si è vista passare davanti Billie.”

Risero entrambi.

E' stata così carina e divertente che non ho potuto lasciarmela sfuggire. Siamo diventati abbastanza amici, se solo si degnasse ogni tanto di rispondere al telefono.”, mi rimproverò Billie. Feci spallucce.

Matt sfoggiò uno sguardo sospettoso.

Perchè non gli rispondi?”, chiese.

Non è vero che non ti rispondo, William. Sei un cretino. E' che so perchè telefoni.”, ribattei prontamente.

Billie tirò un lungo sospiro.

Il mio batterista, Matt. Ha perso completamente la testa per lei, e sostiene che lei lo ignori del tutto e che io dovrei essere più convincente, e spiegarle che uomo si perde.”, spiegò, non riuscendo a nascondere una punta di puro ludibrio.

Scoppiai a ridere.

Abbracciai Billie, non lo avevo ancora fatto.

Sono contenta di rivederti.”

Anche io, piccola, anche io. E potresti venire a qualche concerto, dannazione. Con Bliss. Di solito le ragazze si eccitano al solo suono della parola backstage pass, tu invece non fai una piega.”

Risi di nuovo, contro la sua spalla, poi lo lasciai andare.

Matt era rimasto a guardarci.

E' un'abitudine, frequentare cantanti rock?”, chiese, divertito.

E punk.”, rettificò Billie.

Non sei punk, non sputare sul buon nome dei Sex Pistols.”, ribattei.

Billie mise su un'espressione di finta offesa, poi si voltò verso Matt.

Un momento. E tu come la frequenti?”

Ci guardammo.

Sospirai.

Ci siamo conosciuti grazie a/a causa di mio padre. E ci frequentiamo nonostante mio padre.”, dissi.

Billie sorrise, “Ah.”

Beh, io torno sul palco ad accordare le chitarre... Ciao Bill.”, disse, battendogli una pacca sulla spalla.

Mi baciò su una guancia e si allontanò verso lo stage.

Tuo padre, eh?”, commentò Billie, guardando Matt svanire oltre le quinte del palco.

Eh.”

Che ci fai qui?” mi chiese, guardandomi in tralice sorridendo a mezza bocca.

Qui ad Amburgo?”

Qui con Bellamy.”

Sbuffai.

Niente. Adoro i Muse.”

Appunto.”

Billie.”

Sì.”

Cortesemente.”

Mi guardò.

Cosa?”

Cortesemente, non dedurre. Sei un disastro, quando deduci.”

Ci sorridemmo.

Va bene piccola. Vado a cercare il resto della band. Ci vediamo più tardi.”

Bene. Girate sufficientemente al largo. Non ho voglia di vederlo.”, gli dissi, cercando di non suonare troppo perentoria.

Fece una smorfia. “Lo sai com'è fatto. Gli passerà, speriamo. Col tempo diventerà meno...”

Inquietante?”, suggerii.

Insistente.”, disse Bill. Mi baciò anche lui e corse via, agitando la mano in cenno di saluto.

Hai finito di baciarti rockstar?”, mi accusò una voce alle mie spalle.

Bliss, per favore. Non ti ci mettere anche tu.”

La mia miglior amica alzò le braccia.

Non mi ci metto. Però due secondi fa ero con Dom e Matt è giunto a informarlo del fatto che un certo batterista avesse un debole per te, solo che non dev'essere lo stesso batterista ossessionato da te che conosco io, perchè il nome che ha detto Matt era diverso. Non ricordo... Mmm... Ah, sì. L'ha chiamato, mi pare, 'quella mezza sega'.”

Sorrisi. La lusinga arrivò sul mio viso un attimo prima dell'impassibilità.

E ti fa piacere.”, commentò Bliss.

Che il tipo mi stia attaccato come una patella allo scoglio?”

Bliss scosse la testa, sconsolata.

No, Ria. Che Matt sia geloso di te.”

Sbattei le palpebre con aria di sufficienza.

E se eviti di far finta di non capire ci impieghiamo la metà del tempo.”

Mi voltai verso il palco, dove i Muse erano riapparsi e stavano provando.

Matt mi guardò mentre suonava: sorrise.

Gli sorrisi di rimando.

Cos'altro potevo fare?

Batterista o no, era abbastanza chiaro anche a Billie come stavano le cose.


Sei di sera. La location iniziava ad affollarsi. Ero dietro le quinte, con l'iPod nelle orecchie, e guardavo il labiale di Fiorellino che stava discutendo animatamente al telefono con sua madre, che faceva da babysitter ai bambini mentre lei era via con Chris. Bliss e Dom cincischiavano qualche metro in là, ridendo come due cretini. Di Matt, nessuna traccia.

Alzai gli occhi sull'assolo di chitarra: presa da un moto di giovanile nostalgia, ascoltavo i Green Day.

Qualcuno mi staccò una cuffia.

Ottima musica.”, commentò.

Saltai per aria come un pupazzo a molla.

Mi mise, in un gesto un po' troppo confidenziale, i capelli dietro un orecchio.

Come stai, tesoro?”

Ciao, Tre.”, dissi, rassegnata. “E non mi chiamo tesoro. Mi chiamo Ria.”

Sorrise. “Ma sei il mio tesoro. Ti sono arrivati i fiori? E i regali? Non mi rispondi neanche a un biglietto. Comunque, stasera fai il tifo per me?”

Sentii gli occhi di Dominic perforarmi il collo, e mi voltai a guardarlo. Guardava me. Anche Bliss guardava me. Ed erano inquietanti e spaventevoli.

Non risposi. Gli sorrisi, cortesemente.

Cosa suonate, stasera?”, chiesi, tanto per cambiare argomento.

Quello che vuoi, tesoro. Hai qualche preferenza?”

Sospirai. “No, direi di no.”

Sicura?”, disse, sorridendo sornione. “Beh, comunque dopo ti porto a cena. Niente ma.”

Dio caro.

Tre, non posso. Il mio ragazzo non approverebbe, temo.”

Mi scoccò un'occhiata eloquente. Non demordeva.

Oh, avanti... E' solo una cena. Una cena tra amici. E poi, il tuo ragazzo non è qui.”

Chi è che non è qui?”

Dio, ti ringrazio. Caro, caro, caro. Grazie.

Matt mi si materializzò accanto, guardando Tre con aria supponente.

Matthew, ciao. Pronto per suonare?”

Matt sorrise. “Vi faremo volentieri il culo.”

Certo, certo.”, lo canzonò Tre. “Tesoro, diglielo tu chi è il migliore.”, mi interpellò.

Sì, dimmelo tu chi è il migliore, tesoro.”, gli fece il verso Matt, guardandomi divertito.

Non tiratemi in mezzo a questi combattimenti tra galli.”, sentenziai, ridacchiando.

Tre guardò Matt in modo diverso da due minuti prima. Immaginò qualcosa. Lo ignorò.

Allora è deciso, dopo ceniamo insieme.”, mi disse, avvicinandosi al mio viso.

Splendido!”, intervenne di nuovo Matt. “E' un'ottima idea. Ceniamo tutti insieme.”

Repressi una risata dietro una mano.

Tre scattò in piedi.

Bliss, Chris, Dom, Fiorellino, qualche truccatrice, un paio di artisti e due o tre tecnici avevano cessato le loro attività per non perdersi la scena.

Attento.”, sussurrò deciso Tre, avvicinandosi a Matt, “E' proprietà privata.”

Si allontanò con passo marziale, e aveva fatto appena qualche metro, quando Matt abbassò gli occhi sui plettri e disse, dandogli le spalle.

Attento tu.”

Tre si bloccò.

Come cazzo ti chiami.”, aggiunse Matt, senza scomporsi.

Tre riprese a camminare, i passi che risuonavano rumorosi sul legno e i pugni contratti.

Io cercavo faticosamente di gestire un prossimo crollo nervoso. Volevo bene a Tre, nonostante lo stalking, ma i suoi comportamenti stavano facendo irritare Matt, che già aveva i suoi bei cazzi per la testa, e non volevo che Matt si irritasse per nessun motivo. Il criceto nel mio cervello cominciò a vorticare furiosamente su se stesso, poi battè una testata contro la parete del mio cranio e cadde svenuto. Che fare? Che fare? Un tentativo con la dolcezza?

Sei stato scortese.”, finsi di rimproverare Matt, alzando la testa verso di lui.

Mi sorrise, misterioso.

So essere molto scortese.”

Scesi dalla cassa, continuando a sorridere a occhi bassi. Gli poggiai un bacio su una guancia.

Ti guardo da giù.”, dissi, incrociando i suoi occhi.

Il resto degli spettatori era ancora basito dalla scena a cui aveva appena assistito.

Andiamo, Bliss.”, dissi, tirandomela per la manica. Ero quasi alle scalette che portavano allo spazio sotto il palco, quando mi sentii chiamare.

Ria.”

Mi voltai verso Matt.

Stai dove ti vedo.”

Gli sorrisi, e feci sì con la testa.

Sì a tutto.

Ormai.


Tre mi raggiunse di nuovo quando il suo gruppo finì di suonare. Era deciso a tornare all'attacco, evidentemente.

Ciao, dolcezza.”

Ce ne stavamo un po' nascosti dal pubblico, ma il delirio fu palpabile quando i Muse entrarono in scena.

Ciao.”

Tenni gli occhi su Matt, mentre Tre scambiava due parole con Bliss, che suonava particolarmente caustica.

Scusa la reazione di prima. Quel tipo ha l'oscuro potere di irritarmi con poco.”

Sorrisi al niente.

Non mi sembrava poco.”

Lo sguardo di Matt finì dritto su di me, e poi sul tizio che mi stava accanto. Si indurì di colpo, poi andò al microfono.

Buonasera, Amburgo.”

Boato.

Stasera c'è una persona speciale, in giro. E questa è per lei.”, disse.

Poi, le prime note di Invincible invasero l'aria.

Feci due passi avanti, lo sguardo fisso su di lui, sulla chitarra che stava suonando. Il cuore mi batteva anche nelle orecchie.

Ignorai Tre e il resto del mondo.

Tonight we can truly say togheter we're invincible, cantò, guardando me.

Me.

Addio.



The big screens, the plastic-made dreams
Say you don't want it, say you don't want it
It's our world, the picture-book girls
Say you don't want it, say you don't want it
Don't you ask me if it's love my dear
Love don't really mean a thing round here
The fake scenes the plastic-made dreams
Say you don't want it, say you don't want it.”
(One night only, Say you don't want it.)





Voi, le vostre splendide parole, i vostri dolcissimi interventi, la vostra passione, la vostra tenacia, il vostro onore, la vostra voglia di credere, il vostro talento, i vostri sogni e i vostri dubbi: siete in ogni riga di ciò che scrivo. Quelle come voi sono la mia ispirazione costante, e Dio solo sa quant'è difficile portare avanti un'utopia di questi tempi, far accettare a forza alla gente la nostra “follia” perchè non possiamo essere niente di diverso da ciò che, per natura, siamo. Voi credete in qualcosa che è più, più del resto, e tutto ciò che è “più” è, per forza, più difficile. Ma i pilastri di questo mondo sono i sogni folli, non le teorie razionalizzabili. Perciò, come dicevano i Journey, non smettete di credere. Datemi speranza.

Piuma, sono felice se anche solo una riga riesce a rafforzare le pareti del tuo sogno. Continua a scrivere.

Leni, anche loro amano te. E spero che continuino a farti sorridere.

Sfrinzilla, ci sono persone che, a differenza del Titanic, hanno scialuppe a sufficienza per salvarsi sempre.

Ale, e chi non casca in un buco senza fondo, di questi tempi? Sì, anche io sarei morta. Per fortuna Ria è più tenace di me.

BF93, Matt è quel tipo di persona che gente come me ci mette una vita a decifrare. Sono contenta che ti piaccia e spero che questo capitolo non ti deluda. Sempre che tu non abbia latino anche domani. :D

S., sei una fanciulla incredibile. Ti passo a prendere quando vuoi, e ti prenoto per il prossimo parterre a Wembley.

Patri, Fiorellino si è autogenerata in un angolo della mia mente. Sono felicissima che Ria e Bliss ti piacciano. Grazie di tutto.

Denni, la teoria delle stringhe è in costante discussione. Ma tu sei meravigliosa.

Kid, sono strabiliata dai tuoi complimenti e dalle tue citazioni. Grazie, tesoro.

Princess, e chi non conosce Pamela? Sono onorata di farti lo stesso effetto, non puoi immaginare quanto mi renda felice ciò che mi hai scritto. E per te, solo per te, l'ho anche citata in questo capitolo.


Sono di ritorno da Milano, pittoresca città che mi appartiene molto, nella quale sono stata adottata da un gruppo di simpatici metallari al pittoresco concerto degli Avenged Sevenfold, al quale ho accompagnato la mia migliore amica (ciao, Otti.). E' stata un'esperienza zen sopravvivere al pogo ma, ehy!, eccomi qui.

Ringrazio l'incolpe & incosciente presenza dei Green Day, recesso di una giovanil passione, ai quali dovevo almeno qualche capitolo qui e là. Ria e Billie sono buoni amici, non solo per i motivi di cui sopra... Niente spoiler, ma aspettatevi sorprese da queste vecchie volpi. Quanto a Tre Cool, poveretto, è una bella persona, ma mi serviva un agnello sacrificale e purtroppo il sorteggio ha scelto lui. Non lo maltratterò, non vi preoccupate. Preoccupatevi, piuttosto, della piega che prenderà la liason Ria-Matt.

Basta anticipazioni, devo andare a dormire, anche perchè qualcuno dovrà pur andare a letteratura angloamericana, domani.

Amorevoli abbracci e grazie ancora a tutte

siete la corona della mia testa

Q.


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Capitolo 7
*** Scritto nelle stelle, e nel mio vecchio televisore. ***


Mi cerco nei tuoi occhi,
perchè alla fine è un gioco di specchi
perchè alla fine è un gioco che non mi va di perdere.


Il rock era entrato nella mia vita con una singolare prepotenza, e per vie diverse.

Trovai “I'm with the band” nella libreria di mio padre quando avevo sette anni. La donna che lo aveva scritto si chiamava Pamela Des Barres, ed era talmente piena di ricordi e citazioni che sperai di averne altrettante, un giorno, da chiudere nei compartimenti stagni della memoria per accertarmi di aver vissuto davvero, senza lasciar scorrere giorni tutti uguali davanti ai miei occhi, come un noiosissimo film d'autore.

Ma un'altra via per cui il rock mi entrò nelle vene fu Bliss, e il nostro vivere a stretto contatto con un mondo invisibile agli occhi. Scoprimmo i Ramones prima del sesso. E' l'unica band che abbiamo avuto davvero in comune, in una vita. Da quel momento in poi, l'avrei sempre associata ai Ramones: un concerto che non avremmo mai visto.

Il mio primo amore musicale, invece, risalente ai due anni di vita, è stato Freddie Mercury. Nei miei ricordi c'erano interminabili praterie che si rincorrevano da un finestrino di un'auto, dove io stavo accoccolata a guardare lontano ascoltando “Living on my own”, parole e punteggiatura li avrei capiti dopo, molto dopo, quando avrei scoperto l'amore.

E tutto questo lento fiume di suoni ci porta alla prima volta che mi soffermai su una canzone dei Muse: erano giovani e Matt aveva dei capelli ingiustificabili, sotto qualunque punto di vista.

In quel periodo ero scontrosa e irascibile, non dormivo più di un'ora, e di solito di pomeriggio, non mangiavo quasi nulla, avevo il buio dentro. Perfino Bliss mi era diventata insopportabile. Ricordo solo pareti che si stringevano addosso a me come in una morsa, e qualche brusco tentativo di sentirmi un po' meno persa, aggrappandomi a qualunque corda vedessi nei paraggi. Ma niente funzionava davvero. Mi mancava mia madre, rivedevo il suo viso nello specchio ormai chiaramente, come mai l'avevo notato prima: complice lo strano ormone della crescita, avevo preso a somigliarle in un modo impressionante. Niente ti manca davvero finchè non hai i segni di quell'assenza davanti agli occhi: a quel punto diventa impossibile ignorare. Rivolevo così tanto mia madre che tutto il resto, tutta una vita da vivere, mi sembrava un catena più che un volo. Una serie di convenzioni, costrizioni e giornate uggiose in cui avrei sepolto la parte migliore di me, quella che fino ad allora aveva saputo stupirsi, aveva creduto alle fate.

Avevo smesso anche di guardare la televisione: il mio sguardo era attratto dal mio riflesso nel vetro traslucido, non riuscivo a seguire più niente senza essere irrimediabilmente incantata da quella proiezione di mia madre. Avevo coperto tutti gli specchi, ogni superficie riflettente.

Poi, improvvisamente, un pomeriggio di primavera passato sul divano a leggere con la televisione accesa su un canale musicale, nello schermo apparve l'immagine di un uomo: si sovrappose, finalmente, al fantasma di mia madre nel mio volto, e tutto di colpo cambiò come vittima di una raffica di vento.

Fu mio padre a fare quella straordinaria scoperta: transitando per il salotto, trovò la figlia tredicenne “seduta sotto il televisore, il busto proteso in avanti, gli occhi lucidi come due gocce d'oro liquido”. Avevo ascoltato tutta la canzone con la mano davanti alla bocca, toccandomi il viso per cercare gli spigoli di Matt. Fissavo le sue mani muoversi sul pianoforte come se mi stessero infilando aghi ghiacciati nella schiena. C'era lui, lì davanti a me: lui, e non mia madre.

Mi si formò un nodo caldo al centro del petto: impediva all'aria di circolare, al sangue di fare il suo corso.

Mio padre stette in piedi sulla porta, con in mano i fusti di due piccoli ficus che stava trapiantando in terrazza.

Urlai.

Bliss accorse trafelata dall'altra stanza, con il fiato corto per lo spavento: mi guardò atterrita, incredula di fronte a quello scorcio di paesaggio di straordinaria potenza: io, davanti a una superficie riflettente, per la prima volta da mesi.

“Lui.”, sussurrai, a corto di voce senza staccare gli occhi dal televisore. “Come si chiama?”

“Matthew Bellamy.”, rispose Bliss lentamente, sopraffatta.

La canzone finì e Matthew Bellamy svanì in dissolvenza: mi alzai di scatto, come punta da qualcosa.

Corsi in camera, sedendomi al pianoforte.

Crollai con la testa sui tasti, in una posizione del tutto innaturale, e dormii fino alla mattina dopo.

 

Avevo un debito di sangue con Matt. L'unica volta, l'unica in cui io mi sia davvero persa, lui mi ha salvata da tutto. In tutti i modi. Tutti i modi in cui una donna può essere salvata.

E non ci potevo credere, non potevo credere di averlo lì. Venti così forti mi soffiavano nelle vene, che mi stupivo anche del solo fatto di essere ancora in piedi.

Quella sera, piombammo nel ristorante con il solo scopo di ubriacarci. Bliss rideva, parlava con Billie.

Io ero tra Chris e Fiorellino. Mi chiesi quanto avremmo retto.

“Dov'è Matt?”, domandai.

“Fuori.”, mi rispose Dom, occupato a tenere il tempo della canzone che usciva dalle casse del locale. I Depeche Mode. Nothing's impossible.

Uscii, gli occhi di Tre piantati nella schiena.

Era fuori, chino, e stava cercando di accendersi una sigaretta controvento. Gli coprii le mani con le mie, e finalmente riuscì nell'impresa.

Sorrise. “Entra, bambina.”

“Sei l'unico che non mi chiama tesoro. E' una cosa che apprezzo molto.”

Tirò una boccata scuotendo la testa.

“Non è vero. Ti ci chiamo, qualche volta. E' solo che se te lo dico io non te la prendi.”

Gli spinsi affettuosamente un braccio, e lui mi strinse contro il petto, abbracciandomi.

Gli circondai la schiena.

“Ha chiamato tuo padre.”, sussurrò.

Ridacchiai.

“Mi ha chiesto se ti avessi visto.”

“E che gli hai detto?”

“Gli ho detto che eri con me. Al sicuro.”

Mi staccai dalla sua spalla e misi la fronte contro la sua.

“Oh, Matt.”

“Se lo dici con questo tono...”, scherzò, senza spostarsi. Aveva lo sguardo triste.

Un bacio a labbra chiuse.

Non so perchè lo feci, lo feci e basta.

Lo feci perchè dovevo farlo da anni, era scritto nelle stelle e nel mio vecchio televisore.

Stetti lì, sulla sua bocca, qualche secondo.

“Questo non farà piacere a tuo padre.”, sussurrò, quando mi staccai.

“No, probabilmente no.”

Silenzio.

“Sicuramente no.”

Sorrise dolcemente.

“La sua ex moglie mi mise in guardia contro le rockstar.”

“Non siamo una categoria raccomandabile.”, disse, facendo una smorfia buffa.

Sorrisi, e lo baciai di nuovo. Non davo un bacio così dalla quarta elementare. Innocente, elementare contatto di labbra.

“Cosa ti disse, la sua ex moglie?”, mi chiese a bruciapelo.

Sospirai.

“Amali. Amali con tutto il cuore. Ma non innamorarti mai di loro.”

Mi sorrise malinconico, e fu lui a baciarmi. Niente di diverso dai due precedenti.

“E' di me, che non ti devi innamorare.”, sussurrò.

Scossi la testa.

“Non sei poi così affascinante.”

Scoppiò a ridere.

“Lo so.”, rispose.

Mentre entravamo, sentii la sua mano prendere la mia.

“Qualunque cosa vuoi.”, mi sussurrò a un orecchio, prima di sederci al tavolo.

“Qualunque cosa vuoi, io te la darò.”

Sorrisi, avvampando di sorpresa e di gioia inaspettata, e lo baciai su una guancia. Quel bacio fu molto più intimo, sentito e importante della maggior parte del sesso che avevo fatto in vita mia.

 

Tre Cool fumava di rabbia.

Mi scoccava sguardi pieni di risentimento, mentre ridevo in braccio a Billie. In breve, fummo completamente ubriachi.

“Matthew Bellamy!”, tuonò.

Oh-oh.

Al tempo ancora nessuno lo sapeva, ma mio padre avrebbe adoperato lo stesso, identico tono di aperto disprezzo e ancestrale furia alcuni mesi più tardi, per apostrofarlo.

Comunque, Matt si voltò a guardarlo, sprezzante.

“Hai buon gusto per le donne. Ma devi cambiare obiettivo.”

Alzai gli occhi al cielo.

“Tre...”, invocai.

“Tesoro”

“E dalli.”. Detestavo quel cazzo di appellativo, in quale lingua lo dovevo dire?

“Mi sto sforzando di essere gentile. Billie ha detto che devo essere gentile. Che tieni molto a lui.”

Bevve un sorso di birra e si passò una mano sulla fronte.

“Devo essere gentile.”, sussurrò tra sé e sé.

Alzai la testa, mi girava pericolosamente. Sentivo i circuiti saltare a uno ad uno con metodo marziale, tic, tic, tic.

“E' Glorious?”, urlai a Bliss, riconoscendo una canzone.

La mia amica mi stava già tirando dalla sedia per ballare.

Ridevamo e ci muovevamo lentamente sulla musica, sillabando le parole della canzone.

Guardavo Matt, Bliss guardava a terra, probabilmente alla ricerca del pudore che io avevo perso e doveva essermi caduto da quelle parti. Reggeva l'alcol molto meglio di me.

Io lo guardavo mentre ballavo, e sapevo di essere bella da guardare.

E' stato più o meno a quel punto che si è inasprita la faida.

Mi persi nella musica, e ritornai sul pianeta Terra solo quando Bliss mi scosse per un braccio, trascinandomi fuori dal locale.

Urla.

Urla abbastanza alte e volti trasfigurati da rabbia e preoccupazione.

Vidi casino. Un gran casino.

La lucidità mi assalì di botto: Tre si reggeva la mano, in ginocchio per terra. Girai lentamente lo sguardo. Billie si era chinato a controllare Tre, e Chris e Dom reggevano per le braccia Matt, un fascio di rabbia e di nervi. Era furibondo, e aveva la bocca coperta di sangue.

“Matt, Dio...”, dissi, liberandomi con uno strattone dalla presa di Bliss. Prima che potessi raggiungerlo, Matt era a terra davanti a Tre, e lo teneva per i capelli.

Sibilò furente parole in inglese troppo veloci perchè io e il mio tasso alcolico potessimo comprenderle. Capii soltanto “Non ti vuole, che c'è di complicato?”, e poi disse qualcos'altro. Qualcosa di scortese.

La testa di Tre si piantò con precisione sullo zigomo di Matt, e un taglio vermiglio gli si materializzò su una guancia subito dopo.

“MA COSA CAZZO FAI?”

La mia voce toccava raramente certi picchi.

Il vociare si zittì di colpo.

Matt e Tre dissero qualcosa, parlandosi sopra. Non capii una parola neanche stavolta.

“Avete finito di squittire in farfallino?”, strillai, furiosa.

Rialzai Matt, dolorante, e lo affidai a Chris.

“Brava, brava... Vai da lui.”, un mormorio confuso.

Mi voltai verso Tre, ancora a terra.

“Così, a titolo informativo, si può sapere cosa cazzo ti dice la testa?”, urlai.

Rise nervosamente.

“Ti sei innamorata di lui, e di me non hai mai voluto sapere niente...”, sussurrò, e la rabbia cadde insieme alle gocce di sudore dritta sul suo viso.

Gridai in italiano qualcosa che fece sorridere Bliss, strappandomi un lembo della maglia per tamponare il sangue sul viso di Matt.

“Ma guardala... Sai quante ne ha avute, povera illusa? Sei diventata la sua puttana...”, sibilò, rialzandosi a fatica.

Lasciai perdere Matt, mi voltai e mi piantai davanti a lui.

“Preferisco cento volte essere la sua puttana che la tua ragazza.”, dissi, gelida. Afferrai la prima sigaretta che vidi e mi allontanai dal resto del gruppo.

“Stupide teste di cazzo.”, fu l'ultima cosa che sentirono uscire dalla mia bocca.

Tornai quando mi fui calmata leggermente, e presi un'altra sigaretta dal pacchetto che mi porgeva Chris, atterrito. Erano ancora tutti lì, più tranquilli.

“Allora, mettiamo questi maledetti puntini sulle 'i'. Non sono una sentimentale, non sono una ragazzina, non sono una puttana e non sono proprietà di un cazzo di nessuno. Faccio quello che mi va, quando mi va e dove mi va con chi mi va, non sono tenuta a dare spiegazioni in base alle altrui ossessioni nei miei confronti. Tre, non ti ho mai dato modo di pensare che ci fosse qualche speranza per noi due, quindi le tue reazioni del cazzo puoi infilartele non ti spiego dove, perchè sono una signora, e non è un problema mio se la gelosia ti rode il cervello e ti senti autorizzato a sfidare a duello chiunque mi stia a meno di dieci metri. Quello che provo per chicchessia non ti riguarda.”

Tre mi guardò con aria ferita.

“Vai a letto con lui?”, mi chiese.

Sbuffai, esasperata.

“No. Dormi meglio stanotte, ora che lo sai? No. No, ma qui non si tratta di scegliere tra te e lui, non siamo nel 1800, non dovete battervi per la mia mano, dovete crescere. Crescere!”

“Perchè sceglieresti lui, vero?”

Sospirai, esasperata. “Oddio, sì, sì, SI, sceglierei Matt. Contento adesso? Contenti tutti? Spero che qualcuno abbia registrato la conversazione, così non dovrò ripetermi nel momento in cui tutto questo ci esploderà tra le mani e la gente verrà a chiedermi ulteriori spiegazioni. Perchè verranno, lo sapete? Verranno quei grandissimi paraculo di mio padre e di Dana, e verrà il mio cosiddetto ragazzo a chiedermi il conto di tutto questo. E voi siete due uomini adulti che fanno a botte fuori da un locale. Ti diverti a provocarlo come se avesse toccato qualcosa che ti appartiene. E io non ti appartengo, è chiaro? Non intendo dire di nuovo quello che ho detto, quindi se vi fa comodo prendete appunti. Le mie spiegazioni si pagano.”

Sbattei a terra il cellulare.

“E questo cazzo di coso continua a suonare. Vuoi sapere chi mi chiama, Tre? E' mio padre, che ha il terrore che gli piombi a casa all'improvviso e lo sorprenda con la sua nuova amante, perchè dovrebbe dare un po' troppe spiegazioni a un po' troppe persone. E non ha messo in conto il fatto che io sono qui con Matt, ma quando se ne accorgerà voleranno fulmini e saette. Questo non è amore, Tre, lo capisci? Mi trovi bella, pensi che ti farebbe piacere avermi nel tuo letto, ma non riesco a ricordare una sola volta, una sola che tu mi abbia chiesto cosa mi interessasse, il mio primo concerto, il mio primo ricordo, la band del mio cuore. Altrimenti avresti saputo che sono pazza dei Muse. E saresti andato a pestarlo molto prima.”

Mi accesi un'altra sigaretta e voltai le spalle.

Matt scoppiò a ridere, e dietro tutti gli altri.

“Dovresti prenderla con più filosofia.”, sussurrò il bassista.

“Grazie per il tuo contributo umanitario, Chris.”, dissi, imperativa.

Ma sorridevo.

Tre si alzò dallo scalino, e si avvicinò a me.

“I tuoi occhi.”, disse.

“Sono due.”, ribattei.

Sorrise, ferito.

“Mi sono innamorato dei tuoi occhi.”

Lo guardai, cercando le parole giuste, ingoiando la rabbia per dargli un'ultima spiaggia.

“Mi dispiace, Tre. Mi dispiace tanto.”

Alzò le spalle.

“Passerà. Ma so che eviti Billie per colpa mia. Non farlo, ti vuole bene.”

“E io ne voglio a lui. E se mi avessi dato la possibilità, ne avrei voluto anche a te.”

Lo lasciai lì, impalato, e andai da Matt a controllargli le ferite.

Mi strappai un altro pezzo della maglia, mandando in vacca il mio capo d'abbigliamento preferito.

“Sei un cretino.”

“Fa male.”

“Perchè sei un cretino. Chiudi la bocca.”

Tamponai, eccedendo un po' in forza.

“Ahia. Preferivo i baci.”, commentò.

“Allora...”, intervenne una voce.

“Non giudicare.”, lo zittii. “Che nessuno qui si permetta di giudicarmi. Passate anni a tirare le somme delle vostre vite e credete che questo vi dia il diritto di farlo anche con le vite degli altri. Io non giudico nessuno. Voi non giudicate.”

“Giudichi Dana.”, mi disse Bliss, accendendosi una sigaretta.

Gli sguardi si spostarono su di lei.

“E sai anche perchè.”, ribattei, secca.

Tatto, non pervenuto. Da parte di entrambe.

L'espressione di Matt non cambiò.

“Il qualunquismo delle persone mi urta. Specie delle persone come Dana.”, sussurrai, tamponandogli la ferita sullo zigomo.

Bliss scoccò a Matt un'occhiata di accusa.

“Fai sempre gli stessi errori.”, mi disse. “E ti fai più male di quanto tu sia in grado di sopportare.”

“Sei incapace di amare.”, risposi.

“E tu di intendere e di volere.”, ribattè.

Ridacchiammo.

Gli altri erano leggermente basiti.

“Erano secoli che non ti vedevo così felice.”, mi confessò, accarezzandomi i capelli.

Conversazioni private tenute in pubblico. C'eravamo abituate. Conducevamo le vite più teatrali che io avessi mai visto, e ci stavamo bene, su quel palcoscenico. Piccole debolezze, piccole faide, piccole discussioni, piccoli difetti da primedonne. Ma due maroni quadri, se mi passate il francese.

Sospirai, e alzai Matt a fatica dal marciapiede.

“Noi andiamo. Buonanotte a tutti, grazie per la bella serata e per il fuori programma.”, esclamai, portandolo verso i taxi.

“Dove andiamo?”, mi chiese.

“A dormire. In albergo.”, risposi.

Io e Bliss avevamo una prenotazione in un bel posto, fatta prima di sapere che saremmo andate ad Amburgo col tourbus e non disdetta. Ci eravamo state altre volte.

Il tassista mi occhieggiava preoccupato, e mi diede una mano a farlo scendere dalla macchina, ma portare Matt su per le scale un'impresa degna di un funambolo professionista. Scivolava ogni tre scalini. Finita la prima rampa, ci trovammo davanti la receptionist più spaventata della storia dell'uomo.

“Buonasera.”, dissi, in inglese. Poi diedi il cognome.

“Buonasera a lei.”, mi rispose, sforzandosi di mantenere un contegno.

“Cos'è successo?”, mi chiese, occhieggiando con evidente sorpresa la carta d'identità di Matt.

“E' scivolato.”

“Ah! E come, poverino?”

“Niente, è scivolato su un idiota. Due o tre volte.”

“Mi dispiace.”

“Non si dispiaccia per lui, si dispiaccia per la mia maglia. Era fatta su misura e l'ho dovuta strappare pezzo pezzo per tamponargli le ferite. Piuttosto, avete qualche disinfettante?”

Scivolò via, poi tornò indietro e mi mise in mano una cassetta del pronto soccorso.

“Ha bisogno di un medico, o della polizia?”

“No, ha bisogno di dormire. Quanto alla polizia, ora mi farò spiegare come ha fatto a 'scivolare' e quando lo saprò probabilmente gli darò il resto delle mazzate, e non vorrei incorrere in guai legali.”

Le sorrisi, allegra.

Mi sorrise, terrorizzata.

“Allora buonanotte.”, le dissi, voltandomi verso le scale.

“Buonanotte.”, mi urlò dietro. “Cercate di riposare entrambi.”

Nel senso di 'stai calma', suppongo.

Giunti alla camera, lo stesi sul letto, sfinito e dolorante.

“Sei un coglione.”, gli dissi, baciandolo sulla fronte.

“Lo so”, mi rispose, passandosi un fazzoletto freddo su una ferita al viso.

“Dormi.”, sussurrai ancora, tamponandogli la guancia con una benda imbevuta di disinfettante.

“Tu non vieni?”, mi chiese, la voce impastata di sonno.

“Adesso.”, risposi, e gli accarezzai i capelli.

Gli sbottonai la camicia, per farlo respirare un po'. Seguì i miei movimenti con gli occhi. Gli poggiai un bacio leggero sulle costole dolenti.

“Dormi...”, sussurrai, mentre continuavo a baciarlo ovunque, sul petto, sull'ombelico.

“Dormi...”

Lo ripetevo, non so a chi. Se a lui, per farlo dormire, o a me stessa, per convincermi a non fare niente di cui avrei potuto pentirmi.

“Dormi...”, ero sul suo collo, praticamente addosso a lui, attenta a non fargli male, e non avevo più nessun controllo. Pensai a tutto, tranne che alle conseguenze.

“Dormi...”

Le mani di Matt mi avevano alzato la maglia sulla schiena, e mi stavano accarezzando dolcemente. Erano mesi che non faceva l'amore, aveva detto. Avevo una gamba tra le sue, e me n'ero accorta.

Lo baciai. Avevo sognato di farlo, qualche volta, quand'ero più piccola. Lo baciai mettendoci dentro anni di baci onirici, così a lungo da restare a corto di respiro. Baciava così bene che la pelle d'oca sulle mie braccia mi pungeva in modo fastidioso. Sentii una scarica elettrica nella schiena, fino alla base.

“Tu non eri quella che diceva tutto quello che le passava per la testa?”, mi canzonò, sorridendo. Avevamo le labbra in fiamme per i baci.

“Sto morendo dalla voglia di fare l'amore con te.”, sussurrai, la bocca sulla sua.

Era straordinario. Straordinario sotto ogni punto di vista. Era bravo, era attento, era dolce, era presente, era intuitivo, era l'amante perfetto. Tra le sue braccia persi completamente la testa, e mi accorsi di avere vent'anni e nessuna idea di cosa fosse un vero orgasmo. Facemmo sesso per un tempo indefinito tra un'ora e per sempre.

Quando avemmo finito, non avevo più energie in circolo. Mi abbandonai con la testa sul suo petto, attenta a non fargli male, soddisfatta, adorante, follemente persa di lui.

“Hopelessly, I'll give you everything.”, sussurrò, accarezzandomi i capelli.

“Non cantare.”, risposi, “Non farlo, ti prego.”

Troppo tardi. Stava già cantando, a bassa voce. Chiusi gli occhi, preda del Nirvana.

“Sei matto. Così mi uccidi.”

Sorrisi sulla sua pelle, coprendo la parte che avevo a portata di bocca di piccoli baci.

Mi addormentai su di lui, con la mano stretta nella sua e il cuore che respirava di nuovo.

 

Forse ti trovo,

per non cercarmi mai più

mai più.

 

 

 

Notes.

Questi giorni confusionari e stupidamente corrosivi mi portano via un sacco di tempo dalle mani, però sono belli. E anche se è vero che la bellezza è un malinteso e ci vorrebbe davvero Mary Poppins per rassettarmi i pensieri, diciamo che va bene così.

Leni, Patri, Denni, S., Erii, BF93, Ale, Piuma, Rising Sun, Princess, un milione di grazie a ciascuna di voi per lo splendido fulgore delle vostre parole: mi rischiarano qualunque giornata, e mi sento pronta per affrontare un temporale con le Converse. Scusate se stavolta non vi rispondo una per una, ma sono di fretta; sarà soltanto questa volta, ve lo giuro.

Con tutto il mio amore, sperando di non deludervi mai

Q.

 

P.S. Ricordate che, come insegna Matt, quelli cresciuti a pane e tempesta sono invincibili. Invincibili.

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Capitolo 8
*** Dando ragione, in un colpo solo, all'intera discografia di Roberto Vecchioni. ***


E voglio un pensiero superficiale

che renda la pelle splendida

Senza un finale che faccia male

con cuori sporchi e mani lavate

vieni a salvarmi

bacia il colpevole

se dice la verità.

 

 

Sbriciolarsi.

Uno sbriciolarsi di momenti, riuscite a immaginarlo? Un piccolo, impercettibile colpo nel vetro, e piano piano la minuscola crepa si allarga producendo un suono sempre più forte, sgradevole, pregnante. Poi, questione di un battito d'ali, all'improvviso tutto va in pezzi. E ti sembra che qualcuno abbia frantumato di punto in bianco la tua personale sottile parete di vetro esistenziale. Quella che, bene o male, ti convinceva che le certezze esistono e che i limiti sono una di quelle. E soprattutto, ti aiutava a credere che esistesse, in fin dei conti, una qualche forma di equilibrio a cui appellarsi.

Una ragazza che chiamavamo Blade una volta mi disse che gli aeroporti tiravano fuori il meglio di me. Non ho mai avuto abbastanza argomenti per darle torto, e sicuramente non ce li avevo in quel freddo giorno di febbraio.

Matt mi trascinò correndo per un corridoio. Arrivammo nello stanzino dei bagagli smarriti.

Gli sorrisi, improvvisamente a corto di parole: non ero mai a corto di parole, scrivevo. Era un controsenso a monte. E invece.

Divertiti, in America.”, gli dissi.

La maglia che avevo addosso era sua. I jeans erano di Dominic, e infatti erano rossi. Non avevo idea di dove fosse la mia valigia, quando mi ero alzata dal letto quella mattina e affianco avevo visto lui, che dormiva girato verso la finestra con i capelli in disordine e il respiro tranquillo. Avevo trascinato il più silenziosamente possibile la poltrona davanti a lui, a qualche metro, e fumato quattro sigarette guardandolo dormire. Non ci potevo credere. I piccioni in volo fuori dalla finestra non ci potevano credere. Nessuno ci poteva credere. Neanche mio padre ci poteva credere, quando lo seppe, ma è un po' presto per raccontarlo.

Comunque, eravamo in aeroporto.

Divertiti, in America.”

Mi sorrise, accarezzandomi i capelli.

Ti lascio una cosa, prima di partire.”, rispose.

Mi presi la libertà di baciarlo dolcemente, il più a lungo possibile, standogli addosso con ogni punto del mio corpo riuscissi a stampargli sulla pelle, sulla camicia nera, sui jeans. Poi nascosi la testa nell'incavo del suo collo. Mi sembrava.

E maledire certe domande che forse era meglio non farsi mai.

Prima che potesse dire qualunque cosa, lo trascinai fuori.

Trascinai fuori lui e una settimana di cose impossibili dall'ufficio oggetti smarriti. Smarriti come il mio senso del reale.

Gli altri non s'erano manco accorti che fossimo spariti insieme. Erano sparpagliati nel terminal, chi fuori a fumare, chi dentro a cercare il volo, chi al bar a invocare a gran voce caffè.

Lo vidi che parlava fitto con Chris, e poi Chris si allontanò.

Fiorellino non si vedeva. Ok, era abituata agli addii al terminal, ma se saluti l'uomo che ami in partenza per un altro continente, un po' l'emozione la senti comunque secondo me.

Li accompagnammo al gate. Ignorando anche quel po' di salvaguardia neuronale che mi era rimasta, scavalcai le guardie sotto gli occhi divertiti di Bliss prima che queste potessero realizzare che una ragazza con i jeans rossi aveva fatto irruzione in una zona riservata ai soli passeggeri e presi le mani a Matt. Nessuno ebbe il cuore di fermarmi, ho creduto, invece poi ho saputo che Chris era prontamente intervenuto a chiedere pazienza agli addetti alla sicurezza aeroportuale. Pazienza, non potevano fare altro che averne. Io avevo un bisogno fisico di lui accanto che mi sfracellava le vene, sfilacciandole come cotone grezzo, ed ero una ragazza, una giovane ragazza con una vita alle spalle in cui le ferite erano più delle battaglie, ed ero senza dubbio capace di folli romanticherie da film: scavalcare la sicurezza per correre un'ultima volta tra le braccia dell'uomo che ami è uno di quei gesti di amore apocrifo che tutti dovrebbero avere il coraggio di fare almeno una volta nella vita. E così li scavalcai, corsi da lui e prendendogli la mano lo baciai su una tempia alzandomi sulle punte, in piena tempesta cardiovascolare, lo baciai dando ragione in un colpo solo a tutta la sterminata discografia di Roberto Vecchioni, che su baci del genere ci aveva costruito almeno sedici album diversi.

Ma comunque.

Fai attenzione ai reggiseni volanti.”, gli dissi.

Scoppiò a ridere.

Te li porterò quando torno.”

Bravo. Ci vuole, una bella rispolverata all'arredamento della stanza.”

Mi diede una carezza in testa. Lo abbracciai e lo baciai forte sulla guancia. Era già un segreto, e i segreti si trasformano spesso in grane inimmaginabili.

Noi non fummo l'eccezione alla regola.

Comunque, lo guardai andar via picchiando Dom con il passaporto. Rideva. Salutai la sua schiena con una mano, sorridendo e scuotendo la testa. Maledetto Bellamy, pensai. Maledetto te e la tua chitarra, il tuo pianoforte, le tue mani, la tua voce. Maledetto tutto ciò che hai scritto, tutto ciò che hai pensato, fatto, sognato. Maledetto tutto ciò che sei stato prima di ora, e maledetto tutto ciò che sei per me.

Sparirà.”, dissi a Bliss e Fiorellino mentre eravamo in macchina, sulla via del ritorno.

Avremmo preso l'aereo in serata da Berlino.

Non sparirà.”, disse Fiorellino, sorridendo senza staccare gli occhi dalla strada.

Avevo la testa stampata nel finestrino di tre quarti, guardavo fuori.

Non volevo proprio svegliarmi.

Certo che sparirà.”

Non sparirà.”

Fiorellino era un'inguaribile romantica. La sua lealtà alla causa dell'amore tormentato era commovente e tenace, quasi più tenace di Roberto Vecchioni.

Fiorellino.”, la apostrofai, cercando di suonare come una che vuole proprio chiudere il discorso. Non avevo più il fisico per sopportare le illusioni. La maglia che avevo addosso sprigionava il suo odore, in maniera molto scortese, direttamente nel mio cervello. Vaffanculo.

Non sparirà.”, disse semplicemente Fiorellino. “Ti ha lasciato una cosetta in pegno che verrà a riprendersi di persona.”

Alzai la testa e la fissai, interrogativa.

Cosa?”, esclamammo in coro io e Bliss.

Ma Fiorellino si rifiutò di dire una parola di più.

 

Eravamo al gate dell'aeroporto internazionale di Berlino, stavamo per lasciarci. Il trolley di Fiorellino traboccava di valigie: piccola, grande, media, un borsone e uno dei bassi di Chris. Quello che aveva scassato al concerto, supposi.

Beh, allora alla prossima.”, disse Bliss, sorridendo. Non ci credeva manco lei. Pazienza.

Certo.”, disse dolce Fiorellino, “Potete venirmi a trovare a casa, a Londra, quando volete. Basta una mail o un colpo di telefono, siamo intesi?”

Annuimmo.

La abbracciai, poi me ne stetti in disparte mentre salutava Bliss.

Hai i nostri numeri italiani”, disse la mia amica, “e le mail. Restiamo in contatto, così ci fai sapere del pupo in arrivo.”

Chiacchiere varie.

Ero triste.

Una triste, inconsolabile ragazza con addosso i vestiti dei Muse e lo sguardo carico di dolorosissimi ricordi recenti.

Ero ostinatamente persa in qualche sottobosco onirico, quando Fiorellino mi toccò un braccio.

Tieni”, disse.

Era il basso di Chris.

Presi in mano l'oggetto, un po' interdetta.

E' da parte di Matt.”, disse.

Un tonfo sordo al cuore, e mi si abbassò di colpo la pressione.

E' la sua Manson nera. Dice che hai una foto sul muro in cui c'è questa chitarra. Ha detto che viene a riprendersela appena finisce il tour.”

Sbattei le ciglia un paio di volte, inebetita, reggendo a due mani la chitarra come se fosse un piatto di ostia.

Beh, io vado. A presto. A prima di presto.”

Sparì all'orizzonte muovendosi in maniera così riuscita che, nonostante le valige, mi sembrò Clint Eastwood. E io, purtroppo, avevo perso ogni capacità di muovermi, parlare, manifestare segni vitali. Semplicemente, elaboravo.

Elaboravo miracoli.

 

Sbarcammo a Milano che non avevo ancora detto una parola. Reggevo la chitarra con una devozione e una cura tale che era come se portassi in salvo l'antico vaso dell'amaro Averna.

Beh?”

Mi voltai meccanicamente verso Bliss, preda di calcoli febbrili delle probabilità di un futuro con Matt nella mia vita. A occhio e croce, ce n'erano poche. Pochissime. Praticamente nulle. C'erano più probabilità che mio padre venisse insignito del premio Nobel per la pace.

La chitarra...”, sussurrai finalmente.

Preferivi il pianoforte?”

Smettila di prendermi per il culo.”

 

Salimmo a casa mia e trovammo due cose fuori posto: il padre di Bliss che scherzava con una donna truccata in un modo improbabile tenendole le mani sui fianchi, e Dana nel mio salotto.

Mio padre sorrideva, la barba un po' lunga, un whisky in una mano e una sigaretta nell'altra.

Stelline! Come sono andati i concerti?”

Bene, papà, Bliss ha perso una gamba nel pogo ad Amburgo e a me è rotolata via la testa durante il bridge di Knights of Cydonia. Me l'ha ricucita la moglie del bassista.”, risposi, serafica, sorpassandolo.

Splendido, splendido... vi siete divertite, eh?”

Non aveva ascoltato una parola di quello che avevo detto. Tipico. Scoppiai a ridere, salendo le scale.

Ria, quella cos'è?”, mi chiese a bruciapelo, mentre ero sul quattro scalino con la chitarra in mano.

Un M-16.”

Come?”

Una chitarra, papà, che può essere? E' a forma di chitarra.”

Sentii ridere Bliss dal piano di sopra.

Hai comprato una chitarra?”, mi chiese Dana.

Taci, Ria. Taci, devi tacere.

Scesi i quattro scalini.

Le sorrisi apertamente.

No.”, dissi, e filai su per le scale, celando male uno sguardo trionfante.

 

Mentre tu eri ad Amburgo a scoparti il suo ragazzo lei era qui a scoparsi tuo padre. Mi sembra ragionevole.”, commentò Bliss, accendendosi una sigaretta mentre chiudeva la porta.

Le gettai un'occhiata in tralice, mentre sistemavo la chitarra sul cavalletto vuoto della mia, sotto la foto. Rimirai il contrasto.

Bliss.”

Ria.”

Bliss.”

Ria.”

Andiamo avanti così tutta la notte?”

E dai, non ci credo che ieri non è successo niente.”

Nessuno ti ha detto che ci devi credere. Io non ti ho detto niente, però.”

Bliss ridacchiò con la sigaretta e alzò tutte e due le mani, “Per carità.”

Mi tolsi la maglia di Matt e la poggiai sul letto, poi infilai la mia. Nera, dei Kasabian. Adorabile.

Mi avviai fuori dalla porta.

Dove vai?”, mi chiese Bliss.

A farmi un sorso di birra e una sigaretta in compagnia. Anche tu della partita?”

Bliss mi sorrise, machiavellica.

Sempre, cara. Sempre.”

 

Al piano di sotto regnava un clima alcolico e permissivo.

Mio padre stava ridacchiando addosso a Dana in un angolo. Si accorsero un po' tardi della nostra presenza, ma si staccarono velocemente e credettero che non li avessimo visti, quei due dementi ubriachi. La vita a volte è strana, siamo d'accordo. Ma se è vero che la vita a volte è strana, mi spiegate perchè a volte le persone sono semplicemente stronze?

Sentii la rabbia montarmi dentro.

Però. Che allegria. Novità?”, domandai gioiosa, stappando una weiss.

Dana stirò un sorriso.

Io e tuo padre abbiamo fatto un meeting per la mia tesi.”

Ho visto.”, ribattei ridendo, poi mi accesi una sigaretta, seduta sul banco-tavolo a un lato del salotto.

Come sono andati i concerti?”, domandò Morris, il padre di Bliss, staccandosi per un momento dalla mummia truccata come Dita Von Teese.

Come i precedenti sei miliardi. Non perdono un colpo.”, dissi, spiccia.

A proposito.”

Dana si avvicinò con aria confidenziale.

Come va con Dom?”, mi sussurrò, chinandosi verso di me.

Faceva girare il vino nel bicchiere.

A gonfie vele, direi.”, ribattei, divertita.

Si rischiarò di colpo.

Mi fa piacere. E quella chitarra?”

Sto imparando a suonare, è un regalo.”

Di chi?”

Un chitarrista che ammiro molto. Ma non si dice il nome.”

Dana sorrise, benevola.

E Dom cosa dice?”

Le sorrisi di rimando, sporgendomi un po' avanti.

Dom non lo sa.”, le sussurrai, facendole l'occhiolino.

Tranquilla, zucchero.”, mi rispose, dolcemente.

Zucchero? Per cortesia.

Mi guardai un po' in giro.

Vuoi venire su a vederla?”, le chiesi, confidenziale.

Volentieri!”, asserì energicamente.

Salii le scale con aria vagamente pericolosa.

Quando aprii la porta, Dana ci mise qualche secondo a collegare la chitarra sul cavalletto a quella del poster.

Te l'ha data Matt?”, sibilò, improvvisamente di ghiaccio.

Sì. Siamo diventati buoni amici.”, le sussurrai a un orecchio, prima di prenderla per un polso e portarla giù con me, a scanso ulteriori domande.

Il ritmo variò abbastanza. Dana e mio padre cercavano, con poco successo, di dissimulare la vera natura del loro rapporto.

Ci salutammo dopo circa un'ora.

Mio padre mi si avvicinò, sapeva di whisky, fumo e profumo da donna.

Tesoro, accompagno Dana a casa, è tardi, sai.”

Sorrisi. “Vai pure, papà. Non ti aspetto alzata. Ehi, Dana!”

Sì?”

Ciao. Considera che papà comunque ha una certa età.”

Ebbe uno spasmo di rabbia visibile a occhio nudo.

Non essere sciocca.”, disse.

Mio padre mi guardò duro. “Ria.”, disse.

Adottare un po' di autoironia per Natale no?”, risposi, con tre chili di sarcasmo tra i denti.

Poi, gli chiusi la porta in faccia, e guardai Bliss.

Devo dirlo a Matt?”

Bliss accese una sigaretta, e si appollaiò sul bancone.

Devi prima dirlo a Dylan.”, suggerì.

Alzai gli occhi al cielo.

Cosa, di preciso?”

Bliss mi guardò intensamente.

Che qualcuno si è innamorato di Matthew Bellamy.”, rispose, serafica.

Chi?”, ribattei.

Alzò le sopracciglia, fissandomi con un misto cinismo-incredulità-esasperazione, il suo forte.

Tuo padre, Ria. Tuo padre, si è innamorato di Matthew Bellamy. Mi sembra evidente. Anzi, se vuoi cortesemente passarmi il cordless telefono al Corriere della Sera che facciamo mettere un'inserzione.”

La mia migliore amica.

Dio, quanto la odiavo.

 

Tre settimane dopo cadeva il ventunesimo giorno del mio ritorno alla normalità.

Entrai all'università a stomaco vuoto, con un caffè e la borsa a tracolla che poco dopo finì di schianto sul mio banco, in cima alla classe.

Dylan era già lì. Sorrideva, disegnando sul quaderno.

Ciao, Ria.”

Buongiorno.”, sussurrai, sbadigliando sul caffè.

I rapporti tra di noi vertevano a un mutuo fingere di non sospettare nulla, ma fin dal primo giorno in cui l'avevo rivisto ne ero stata certa: aveva un'altra. Pure lui. Si vede che è la moda di quest'anno, aveva commentato saggiamente Bliss. Io, non essendo mai stata un'ipocrita, non ero nella posizione di indagare.

Una punta di invidia mi saliva nel collo ogni volta che sentivo, attraverso il foro che collegava le nostre stanze, Bliss ridere al telefono parlando con quel terribile accento americano. Sapevo che era Dominic. Di Matt, invece, nessuna notizia.

Per quanto, razionalmente, sapevo che era qualcosa che avrebbe dovuto destarmi qualche preoccupazione, non riuscivo a prendermela con lui per non essersi fatto sentire.

Stavo facendo il più grave errore che possa commettere un essere umano: mi stavo accontentando. Ciecamente. Guardavo la chitarra, e la punta di invidia spariva nel nulla. Anche se non fosse più venuto a riprendersela, avrei avuto qualcosa di lui per il resto dei miei giorni: precisamente, la prima chitarra di cui mi ero innamorata. Non riuscivo a pretendere che Dio spingesse l'acceleratore sui miracoli: ne erano già accaduti abbastanza.

Comunque, la lezione di francese scorse via nel tedio più totale.

Mon coeur s'ouvre a ta voix.

Zitto, cervello.

All'improvviso, mi vibrò violentemente una tasca. Sfilai il telefono dal jeans per guardare il numero: privato. Bliss. Cosa poteva volere a quell'ora? Uscii dalla classe a balzelloni, rispondendo solo mentre ero sul punto di imboccare la porta.

Pronto.”

Bambina.”, disse una voce con un pesantissimo accento del Devon.

Porca troia!”, strillai, sussultando.

L'intera classe di Francese, professoressa Delacroix inclusa, si era prontamente zittita e voltata a guardarmi.

Rià? Ce qui s'est passè?”, mi chiese la prof.

Mi voltai lentamente, ghiacciata per la figura di merda.

Rien, prof, c'est mon copain. Je ne m'attendais pas à un appel de lui, je ne l'ai pas vu depuis un certain temps.”

La professoressa sgranò gli occhi, poi guardò Dylan, poi guardò me.

Ton quoi?”

Ops. Il mio copain ufficiale e conosciuto da chiunque era al secondo banco, e mi fissava interdetto.

Ops.

Rien. Excusez-moi. Je dois rèpondre. Au revoir.”, e uscii dall'aula ostentando una certa classe. Nelle figure di merda a braccio circolare.

 

Matt, scusami, ero in classe...”, dissi, e mentre lo dissi mi accorsi del cambiamento nella mia voce: una nota dolce si era insinuata tra le lettere di quel nome. Mi diressi verso il cortile.

Matt stava ridendo come un disperato.

Ton copain? Però, faccio salti di qualità e neanche me ne accorgo.”

Diventai rossa fino alla punta dei capelli.

E tu cosa ne sai di ciò che ho detto?”

Dana è francese per metà, ma petit poupèe!”

Porca troia.”

Ti adoro perchè sei fine.”

Per risponderti al telefono ho fatto una serie sterminata di figure di merda, secondo me dovrebbero includermi nel guinness dei primati.”

Se vuoi ci metto una buona parola.”

Ti ringrazio.”

... E così non ti aspettavi che chiamassi?”

Tacqui un momento, sorridendo. “No.”

Ah, bene.”

Che ora è lì?”, chiesi.

Tardi.”, rispose lui. “Tu cosa fai?”

Lezione di francese. Sono all'università.”

Ridacchiò. “Quando hai l'esame?”

Settimana prossima.”, risposi.

Quanto era assurdo da uno a dieci? Lui era un uomo, e io ero all'università. Chissà quanti secoli erano che non parlava di esami. No, un attimo, Dana ancora studiava. Dana sempre drammaticamente in mezzo.

Matt.”, sussurrai.

Dimmi.”

Mi manchi da morire.”, confessai, in un moto di lealtà mattutina.

Sospirò forte, e non disse nulla.

Mi manchi molto anche tu. Per un paio di settimane, sono anche quasi riuscito a reggere bene la parte di fingere che non fosse così.”

Ci riflessi un momento, accendendo una sigaretta.

E' stato Dom. Dom mi ha detto che sono diventato vecchio e ridicolo.”

Risi.

Ci fai fare Invincible tutte le sere, e se ti chiedo di lei dici che non ci pensi mai. Sei ridicolo.”, disse, facendo il verso a Dom.

Sorrisi, ingoiando il nodo di tenerezza e gratitudine che mi si era formato in gola.

Dice anche che tu con Bliss cerchi di dissimulare quanto atrocemente ti manco.”, aggiunse, suonando volutamente e scherzosamente melodrammatico.

Sorrisi di nuovo, era vero.

Tacemmo.

Abbiamo una settimana di spacco, prima di partire per il Sud America. Dom vuole andare a Las Vegas.”, disse. Aveva la voce stanca, ma sembrava tranquillo.

Vieni qui.”, gli dissi a bruciapelo.

Come?”. Mi aveva sentito.

Vieni qui. Mio padre è partito, torna a fine mese. Vieni qui.”

Attesi.

Non posso, piccola. Non posso lasciarli così.”

Respirai, e l'aria sembrava un po' amara.

Capisco. Fiorellino è lì?”

E' arrivata oggi.”

Restammo al telefono per un'ora.

Tornai a casa con il cuore un po' a metà, e non avrei saputo spiegare perchè. Non avevo fatto francese, se non si contava il minuto di conversazione in cui ero riuscita a infilare tre figure di niente in batteria continua, ero rimasta sotto l'albero più frondoso del cortile a gambe incrociate, fumando, ridendo, parlando.

La vista della chitarra mi ferì un po' un fianco.

Mi voltai dall'altra parte e mi sfilai i vestiti.

Prima una doccia, poi i problemi.

 

Quella notte io e Bliss dormimmo da me. Schizzò via dal letto alle otto in punto, già in ritardo per la sua lezione. Io mi rotolai un po' avanti e indietro, avevo dormito male in tutti i sensi: sogni contorti, cuscino smarrito, posizione improbabile.

Mi vestii e mi alzai per andare all'università. Non riuscivo ancora a decidermi ad accettare che quella fosse la mia vita. Quella, e non la gloria che sognavo: girare il mondo, concerto dopo concerto.

Fu una giornata pesante sotto tutti i punti di vista. Pioveva, innanzitutto. Poi, la lezione fu terrificante. Sembrava che il tempo andasse a ritroso.

Quando, di ritorno, infilai le chiavi nella toppa, mi sentii talmente inquieta e senza direzione che mi passò la voglia di entrare. Dio, cos'era successo? Dov'era la magia? La speranza? Lo amavo davvero, o “Matt” era solo il nome che davo a tutto ciò di cui avevo avuto bisogno nella vita, qualcosa di una tale perfezione onirica che poi sarebbe per forza diventata distruzione?

Forse era meglio fare due passi.

Andiamo, Ria, posa almeno la borsa con i libri.

Presi un bel respiro, ed entrai nella casa vuota.

E invece no.

Matt stava in piedi al centro del salotto, con un bicchiere da whisky pieno a metà in mano, e mi guardava estremamente divertito.

Gli occhi azzurri brillavano nella penombra, la luce delle lampade disegnava gli spigoli del suo viso, un sorriso così imperfetto e seducente che mi balzò in testa come un lampo il pensiero di quante altre “lei” ci dovevano essere state prima di me.

Spalancai la bocca, lasciai cadere la borsa e la porta si chiuse alle mie spalle con un tonfo.

Corsi da lui, che fece appena in tempo a poggiare il bicchiere prima di essere schiantato sul divano.

Lo guardai negli occhi, con il viso a un centimetro dal suo: non dicemmo niente.

Lo baciai dolcemente, ancora e ancora.

Non ci arrivammo in camera da letto: facemmo l'amore sul divano, e ci stavamo un po' stretti. Mi aggrappai alla sua schiena, affondando le unghie nella pelle. Lo baciavo, lo stringevo, lo toccavo, me lo sentivo nella testa, che non smise un attimo di girare.

Eravamo esausti e madidi di sudore, quando finimmo.

Matt è fatto così: quanto sesso vuoi, tanto più ne avrai. Lui non si ferma mai. Ma c'è qualcosa di diverso dagli altri in lui, qualcosa che è come fosse un viaggio costante, forse troppe ferite non rimarginate. Quando fa l'amore con te, non basta il tempo di una doccia a farti sparire. E' come se rimanessi un po' dentro di lui, sospesa, per sempre. Sospesa in mezzo a tutte le altre, galleggi senz'aria e cozzi con loro, sai che ci sono state, lui se le porta dentro e addosso, non ha idea di cosa voglia dire fare qualcosa senza dargli un significato univoco e irripetibile. E così ti senti meno unica che mai, in netto contrasto col fatto che basta che lui ti guardi negli occhi mentre fa l'amore con te per farti sentire l'unica donna del mondo. E così entri in crisi. E ciao.

Comunque, non ci eravamo ancora detti niente.

Ciao.” , sussurrai.

Ciao, bambina.”, mi rispose, e poi mi baciò.

Il mondo, per quanto mi riguardava, poteva anche finire lì.

Dieci minuti dopo, mentre lui si faceva una doccia – che non mi avrebbe cancellata, no - e io, vestita solo di una camicia di mio padre me ne stavo a cantarmi in testa “Embraceable you” seduta sul banco-tavolo a gambe incrociate, dondolando distrattamente un piede nel vuoto, suonò rumorosamente il campanello.

Aprii la porta a Bliss, sorridendo.

Vi si è sentiti fino in portineria. Provate a fare meno casino.”

Sbuffai, ridendo.

Esagerata...”

La portinaia voleva chiamare la protezione civile.”

Risi di nuovo, e Matt si materializzò in salotto.

Ciao Bliss!”

Ciao Matt. Fatto buon viaggio?”

Guardai prima l'uno e poi l'altra.

Bliss, tu sapevi che sarebbe venuto?”

Si capisce. Me l'ha detto Dom.”

Quando?”

Ieri sera.”

Merde.”

Risero.

Bliss mi battè affettuosamente il pugno su un braccio.

Dai, era divertente vederti che cercavi di dissimulare la delusione di quando lui ti ha detto che non sarebbe venuto. Purtroppo non sai fingere bene, però per il futuro sappi che l'espressione da vedova inconsolabile ti dona.”, disse.

Sbuffai. “Sono sola al mondo.”, sussurrai, melanconica, gettandomi sul divano.

Matt si mise accanto a me, mi prese tra le braccia e mi fece stendere sul suo petto.

Come siete carini...”, commentò caustica Bliss.

Le feci il verso, accoccolandomi addosso a Matt.

Bliss scosse la testa, sorridendo.

Innamorati cotti l'uno dell'altra.”, disse.

Ci irrigidimmo tutti e due.

Beh”, aggiunse, girando sui tacchi. “Passate verso la mezza, se vi va, io esco.”

E sparì.

Io e Matt restammo sul divano per un tempo incalcolabile.

Guardai l'orologio.

Sono le nove.”, dissi.

Hai fame? Ti porto fuori a cena.”, rispose lui.

Lo guardai da sotto in su. Mi sorrise.

Ok. Prima però devi darmi dieci minuti per vestirmi. Diciamo che scendiamo tra una mezz'ora.”

Mi guardò interrogativo.

Non hai detto dieci minuti?”

Gli stavo già sbottonando i jeans.

Ah, capisco.”, sussurrò, mentre avvicinavo le labbra alle sue.

Riparti presto, e non ci vediamo per due mesi.”, gli feci presente, ma in realtà volevo soltanto baciarlo. Baciarlo, a occhio e croce, per tutta la vita.

Mi mancheranno le tue labbra.”, disse lui, accarezzandone il contorno con un dito. Scese con la mano lungo il mio collo, si fermò tra i seni, mi accarezzò dolce. Dio, le sue mani. Se si potessero scrivere.

Mi mancherà anche tutto il resto.” aggiunse a bassa voce, attirandomi a sé per un altro bacio.

 

Ragazza, noi siamo bugie del tempo, appesi come foglie al vento di Mistral; non eri ancora nata, e già ti avevo dentro.

 

Sto sbagliando.”, sussurrai oltre il centrotavola di bambù che mi oscurava parzialmente la vista di Matt, in quel minuscolo sushi bar del centro.

Matt stirò un sorriso, guardando a sinistra. Una minuscola fossetta gli comparve nell'incavo di una guancia.

Probabile. Anzi, sicuro.”, disse. Sembrava triste.

Sto sbagliando bene.”, lo informai, giocherellando con le bacchette.

Alzò gli occhi verso di me.

Sarebbe a dire?”

Non ho mai fatto niente di sensato, in vita mia.”

Sbuffò leggermente, ridendo.

Hai appena vent'anni. Ne hai di tempo per fare miliardi di cose senza senso.”

E' un bieco espediente da cantante per convincermi a stare con te?”, scherzai.

Mi prese la mano.

Se tu fossi sana di mente, non staresti con me.”

Sorrisi.

Ma non lo sono. Quando hai l'aereo?”

Giovedì. Tu quando hai l'esame?”

Martedì.”

I suoi occhi azzurri mi accarezzarono i capelli.

Vengo con te.”, dissi.

Curioso.

Curioso perchè, in contemporanea, lui disse: “Vieni con me.”

Ridemmo.

Dicevamo?”, chiese, sorseggiando un po' di vino.

Dicevamo che scappo via con te in Messico.”

Sorrise. “Cosa dirà tuo padre?”

Dubito che dirà 'arrivederci, e che Dio vi benedica', se è questo che intendi.”

Non impazzirebbe se sapesse che sei con me?”

No. No, credo che gli verrebbe semplicemente un infarto.”

Rise. “Comprensibile. Io non vorrei che mia figlia uscisse con me.”

Ah, neanche io vorrei che mia figlia uscisse con te. Il vantaggio di non avere figli, vedi? Puoi fare le cazzate che vorresti non veder fare a loro, per scoprire quanto sono catastrofiche e poi metterli in guardia dall'alto della tua esperienza. Tu, intanto, te la sei spassata e hai imparato che il dolce e l'amaro sono una combinazione chimica imprescindibile: niente che faccia bene non fa, poi, anche male. E a loro non lo lasci fare, perchè l'indiscutibile bellezza di quell'esperienza vive solo nei tuoi ricordi, sepolta sotto un bel po' di cose, mentre il dolore ogni tanto ti punge ancora. Se io fossi in grado di ricordare com'era stare con te quando avrò una figlia, sicuramente le dirò 'vai, tesoro. Vai pure. Sarà incredibile, vedrai. Sappi però che ti farai male. Ma la mamma sarà qui a raccogliere i cocci.'”

Mi strinse più forte la mano.

Sei formidabile.”

Può darsi.”

Sorrise.

E Dylan, che dirà?”

Niente di buono neanche lui. Specie dopo il cabaret di ieri nell'aula di francese. Anche se non ne sono sicura: sospetto abbia un'altra.”

Mi guardò: “E la cosa non ti fa nessun effetto?”

Non ne sono innamorata e non ho mai capito il senso del possesso, quindi no.”

Lo scrutai attentamente.

E Dana?”

Sospirò, poggiando le bacchette al lato del piatto, e si stropicciò gli occhi.

E' con tuo padre, immagino, visto che qui non c'è.”

Immagino di sì. La cosa che effetto ti fa?”

Non bello. Ma va scemando col passare dei giorni. Ultimamente, ci penso sempre meno. E' come se ci fossimo già lasciati.”

Gli strinsi le mani nelle mie.

Andiamo. Non ti serve a niente pensarci.”

Non pensavo a lei, in America.”, disse, un po' imbarazzato. “Pensavo a te. A te e... a Dylan. Non ti sei chiesta come mai mi ricordassi il suo nome, nonostante tu me l'abbia detto una volta sola?”

Non mi piace farmi domande di cui conosco la risposta.”, risposi semplicemente, buttando giù un sorso di sakè.

Tacque.

Io comunque pensavo a te e a chiunque altra. Pensavo non chiamassi per quello. Ho bucato il telefono a forza di fissarlo.”

Sorrise, e guardò l'ora al di sopra della mia spalla.

Cosa hai voglia di fare?”, chiese.

Ho voglia di fumare una sigaretta. E di andare a casa, con te. A dormire, a parlare, a guardare un film, a fare l'amore. Voglio fingere che possa durare per sempre.”, dissi, baciandolo su una guancia, e poi mi avviai fuori dal locale. Mi raggiunse un minuto dopo.

Non ti piacerà, il Messico.”, disse, accendendosi una sigaretta.

E tu che ne sai?”

Mi sorrise, soffiando via il fumo.

Lo so e basta.”

Sospirai, lo presi sottobraccio e lo portai giù per la strada.

 

Il telefono suonò, e suonò, e suonò.

Mi alzai dal letto di scatto, e mi accorsi che ero nuda.

Chichi era giù da Bliss.

Matt stava dormendo, in un groviglio di lenzuola viola.

Mi infilai la prima maglia che trovai e un paio di slip per rispetto all'umana decenza, e corsi ad alzare il maledetto apparecchio prima che svegliasse Matt.

Pronto!”, ringhiai.

Passerotto, come va?”

Papà!”

Mi venne da ridere. Pregai di riuscire a trattenermi. Presi un bel respiro.

Tutto bene papà, grazie.”

Bene, sono contento, tesoro. Volevo dirti che torno prima. Venerdì prossimo, al più tardi.”

Che meraviglia. Io parto giovedì.”

Mio padre stette in silenzio per fare mente locale e vedere se aveva dimenticato qualche data di un concerto. Decise che era così, perchè disse: “Ah, sì. Me l'avevi accennato, il concerto, giusto? Quanto stai via?”

Guardai la porta della stanza da letto, sulla quale si era materializzato Matt intontito dal sonno: si stropicciava gli occhi come un bambino, e io feci l'unica cosa che potevo fare. Sorrisi e lo amai, non necessariamente in quest'ordine.

Un po'.”, risposi.

Un po' quanto, passerotto?”

Non so. Un po' quanto?”, chiesi.

Come?”, mi mimò Matt con le labbra.

Quanto stiamo via?”

Sorrise e scrollò le spalle. “Un mesetto.”, sussurrò.

Un mese.”, dissi a mio padre.

Non ho capito.”, rispose.

Un mese.”

Sei impazzita.”

Non era una domanda.

Ah guarda papà, a occhio e croce un po' tutti, vista la situazione.”

Bliss è là? Fammi parlare con lei.”

No, Bliss non sta qua.”

E dov'è?”

A casa sua, immagino.”

E tu con chi parlavi?”

Ridacchiai, senza dire niente.

Con Dylan?”

No. Con un amico.”

E chi è questo amico? Lo conosco?”

Certo che lo conosci, papà.”

Matt stava a braccia conserte sulla porta, e aveva già capito. Sorrise divertito. Scienza del melodramma: certe persone ci hanno fatto una sana abitudine il giorno che hanno capito che non c'è scampo.

Si può sapere chi è?”

Lo guardai. Fece di sì con la testa.

Matthew.”

Matthew chi?”

Matthew Bellamy, papà.”

Matthew Bellamy...?”

Non ce la stavamo facendo.

Matthew Bellamy, per tua cultura personale, è il cantante dei Muse. Quello fidanzato con la tua amante.”

Mio padre sussultò. Chiaro e cristallino, anche dal telefono.

Eldariael.”, sussurrò, cercando di sembrare perentorio.

Sì, sono proprio io, la tua prima e ultimogenita.”, dissi serafica, ingoiando il mio improbabile nome di battesimo. Che, per vostra cultura personale, si pronuncia “Eldariel”. Ae è un dittongo, sapete. Un nome del cazzo che non ha scelto neanche lui. Lo ha scelto Morris. Questo perchè mio padre era in ritardo anche il giorno della mia nascita, fuori c'era solo Morris in attesa e io, incidentalmente, non ero il tanto annunciato e atteso maschietto, che si sarebbe chiamato Diego. “Diego” mal si adattava a una bambina, come spiegò l'ostetrica a Morris, e il nome alternativo, con mia madre in catalessi post partum, lo scelse lui. Lui che, disgraziatamente per me, in sala d'attesa era preso dalla quinta rilettura del Signore degli Anelli.

Mi voltai verso Matt, spiegandogli quanto detto sopra.

Matt rise, e mio padre starnazzò al telefono per richiamare l'attenzione.

ELDARIAEL?”

Sì, papà?”

Niente. Vengo a casa.”

Bravo, così ci facciamo un caffè corretto tutti insieme prima di partire.”

Questo è da vedere.”

Se preferisci.”

Attaccai.

Tutto bene?”, mi chiese Matt.

Una favola.”, ribattei, sospirando.

Venne ad abbracciarmi: mi abbandonai tra le sue braccia in silenzio, lasciandomi cullare.

Tua madre?”, mi chiese a bruciapelo.

E' morta. Con la madre di Bliss. Erano in macchina insieme, come Thelma e Louise. Un incidente, eravamo piccolissime. Avevamo un paio d'anni. Erano in viaggio. Scappavano da questi due, comprensibilmente.”

Lo strinsi.

Io ho solo Bliss, e Bliss ha solo me. Da sempre.”

Mi baciò gli zigomi, e poi appoggiò la fronte alla mia.

Sei pronto a ballare?”

In che senso?”

Nel senso che, dagli qualche ora, e tuo padre e Dana saranno qui.”

Rise, inaspettatamente. Fu perfetto.

 

L'interfono suonò effetto unghie sulla lavagna.

Charlie, che aria tira?”

Aria di burrasca. Giù?”

Abbastanza tranquilla, con Morris e Gertie fuori dalle palle. Lo sai che si chiama Gertrude, la tizia di mio padre? Non lo trovi adorabile?”

Squisito.”

Salgo per la colazione. Dici a Pwoper Fish che ho fatto i biglietti.”

Guardai Matt interrogativa.

Hai parlato con Bliss?”

Sorrise. “Stanotte.”

Va bene. Sali.”, dissi, e attaccai.

E' una buona amica per me. E la migliore che esista per te. Non potevo portarti via senza un'alleata.”

Non sarei mai partita senza Bliss.”, gli dissi, abbracciandolo.

Grazie del pensiero, gli dissi con gli occhi.

Prego, mi rispose con una carezza.

Quando la mia migliore amica salì con i cornetti e il caffè, ci piantammo in terrazza a discutere.

E questo è quanto.”, le dissi, quando ebbi finito di raccontarle la telefonata.

Carino. Anche papà e Gertie sono in Francia con Johnny e Dana, lo sai?”

No, non lo sapevo. Affascinante.”

Bliss rise forte.

Chissà se torna indietro tutto il battaglione o solo i due amanti con le stelle avverse.”

Non far rivoltare Shakespeare nella tomba.”

Passò lo sguardo da me a Matt con aria saggia.

Siete pronti alla guerra?”

Mi alzai, accendendomi una sigaretta.

Niente di nuovo, per noi.”, dissi.

Neanche per me.”, rispose Matt.

Bene, allora. A la guerre comme a la guerre!”, esclamò Bliss, dando un sorso alla tazza verde. Sembrava molto Napoleone Bonaparte.

 

Il battaglione non si fece attendere.

Arrivò in serata, mentre chiacchieravamo, complice una mezza bottiglia di Tequila gran riserva. Di mio padre.

Allora?”, tuonò mio padre. “Cosa sta succedendo qui?”

Dana fece capolino da dietro alle sue spalle, a braccia conserte come Mastro Lindo.

Tu non eri in tour?”, disse, puntando il dito a Matt.

Mi alzai.

Non dovevate disturbarvi.”

Non siamo tornati per te.”, sibilò Gertrude.

E allora come mai già di ritorno? Avete trovato brutto tempo?”

Non fare la scostumata, signorina. Sono tuo padre, e devo vederci chiaro in questa faccenda.”

Alzai gli occhi al cielo, e Matt dissimulò un sorriso.

Papà, vorrei ti facessi fare una perizia psichiatrica. Fammelo come regalo di compleanno. Eri in Francia con la tua amante, che è la fidanzata del qui presente, e torni a casa per calarti nella parte di... di che, precisamente? Del moralizzatore di figlie scellerate?”

Non permetterò che tu vada in Messico con un cantante.”

E' inaccettabile.”, tuonò Morris, facendoglisi accanto.

Perfetto, Gonzales, anche tu della partita.”, disse Bliss, scoccando un'occhiata eloquente al padre.

Ripresi la parola.

Dunque, chiarisco un paio di punti all'ordine del giorno. Avete suonato i cinquant'anni e andate ridicolamente a passare un po' di tempo in Francia con le rispettive amanti, e venite qui a fare la predica da, esattamente, quale pulpito?”

Si irrigidirono.

Non permettiamo che ci parliate in questo modo.”, sibilò mio padre.

Mandali per funghi.”, mi suggerì Bliss.

Questa cosa non è accettabile.”, tuonò mio padre.

Assolutamente! E' il mio fidanzato!”, strillò Dana, “E per la cronaca, sappi che stavamo lavorando alla tesi. Lavorando alla tesi, capisci?”

Sbuffai, ridendo. “Non prendermi per il culo.”

Ma come ti permetti?”

Piano, tesoro. Hai un'età. E poi sei a casa mia. E la gente non mi parla così, a casa mia.”, risposi, serafica.

Dana, è finita.”

Prego?”

Dana si voltò verso Matt. Tutti ci voltammo verso Matt, a dire il vero.

Ho detto che è finita. Ti lascio.”

Alzò un dito ossuto al mio indirizo.

Mi stai lasciando per lei?”

No. Ti sto lasciando e basta.”

Questo non risolve le cose.”, sibilò mio padre.

No? Peccato.”, ribattei.

Tu sei mia figlia, e dovrei lasciarti andare in Messico con uno sconosciuto?”

Accidenti, il tuo buonsenso mi ha colpito in piena fronte! Come ho fatto a non pensarci io?”, dissi, voltandomi verso Bliss con la mia migliore aria scandalizzata.

Bliss rise.

Mio padre si era chiuso in un risentito mutismo che avrebbe dovuto attirare l'attenzione, ma gli riuscì male. Mi avviai verso la porta, facendo cenno a Matt e Bliss di seguirmi.

ELDARIAEL...”, sbottò papà in corner, prendendomi un attimo prima che infilassi la porta.

Lo fermai con un gesto della mano, prima che potesse dire una qualunque cosa.

Ad ogni modo, ora potete ufficializzare la vostra squallida relazione. Se permettete, ora, io, Bliss e Matt usciamo.”

Per andare dove?” chiesero all'unisono Morris e mio padre, rotolandosi come modelle anni settanta nei veli trasparenti dei luoghi comuni. Vi pare che sia una cosa da chiedere, in una situazione così?

Usciamo e basta, e non fatevi trovare qui al ritorno.”, dissi, afferrando la giacca.

E' casa mia!”, urlò mio padre.

Mi feci a un millimetro dal suo viso.

No. Non è così, e lo sai. Quindi, cortesemente, prendete armi e bagagli e tornate a suonare il mandolino in Francia. Domande?”

Mio padre mi guardò. Gli tremava il labbro inferiore.

Tornate venerdì. Venerdì fate quello che vi pare. Puoi portartela qui, ma che non pensasse di trasferirsi. Qui le regole, per ovvi motivi che non metteremo in piazza con i nostri squisiti ospiti, le faccio io.”

Matt”, pigolò Dana, “Sappi che io ti ho sempre amato.”

Una tempesta di inopportunismo, quella donna.

Grazie dell'informazione.”, rispose lui secco.

Uscimmo sbattendo la porta, e l'aria fredda della notte ci prese a schiaffi il viso. Fu un toccasana. Presi la mano a Matt e Bliss sottobraccio.

Mi dispiace per la tragedia della Restaurazione a cui hai dovuto assistere.”, gli dissi, strofinandogli il naso nel collo.

Scosse la testa. “Va tutto bene.”

Non mi sembrano bravissimi a tenervi testa.”, commentò dopo un po'. Eravamo in macchina, diretti da qualche parte, e stavamo fumando.

Bliss sospirò dal posto guida.

Le case sono nostre, Matt. Sono eredità materne. La loro permissività in questi anni è dovuta più che altro a questo.”

Sospirai d'appresso, sdraiata alla bell'e meglio sui sedili posteriori del Defender.

Per quanto mi riguarda, gliela lascerei anche. Solo che sono fan delle questioni di principio, sai.”

Matt sorrise. “Già, lo sono anche io.”

Tre orfani di padre in una jeep vecchio stile, provenienti da mondi così diversi che sarebbe stato impossibile per il più fantasioso degli scrittori combinarli insieme.

Ma vedete, a volte, la vita.

E fu così che Matt sporse una mano indietro, e io la afferrai come se fosse l'unica cima capace di tirarmi fuori da quella spaventosa routine. Da quei ricordi pesanti, da quel ghiaccio perenne tra me e mio padre. Dalla mancanza di mia madre. L'unica àncora di salvezza da qualunque altra cosa, qualunque cosa non fosse lui.

E quella mano nella mia mi stava dicendo tante cose, lo avvertii forte e chiaro come una scarica elettrica.

Cose che, ovviamente, aveva già pensato e messo in rima Roberto Vecchioni.

 

Per amarti senza amare prima me, vorrei essere tua madre. Per vedere anche quello che non c'è con la forza di una fede, per entrare insieme nel poema del silenzio, dove tu sei tutto ciò che sento; per amarti senza avere una ragione, tranne quella che sei viva,
e seguire il fiume della tua emozione stando anche sulla riva. Leggerei il dolore
da ogni segno del tuo viso, anche nell'inganno di un sorriso.
Vorrei essere tua madre per guardarti senza voglia, per amarti d'altro amore;
e abitare la tua stanza senza mai spostare niente, senza mai fare rumore: prepararti il pranzo quando torni e non mi guardi, ma riempire tutti i tuoi ricordi.
Ma il problema vero è se ci tieni tu ad avermi come madre: fatalmente non dovrei spiegarti più ogni gesto, ogni mia frase: mi dovresti prendere per quello che io sono, non dovrei più chiederti perdono. Vorrei essere tua madre anche per questo, e mille e mille altre ragioni: ti avrei vista molto prima, molto presto, e avrei scritto più canzoni: forse ti avrei messo in testa qualche dubbio in più, cosa che non hai mai fatto tu... Forse ti avrei fatto pure piangere di più, ma non hai scherzato neanche tu.

(Roberto Vecchioni, “Vorrei essere tua madre.”)
 

 

Seicento secoli di giustificatissime bestemmie (vostre) dopo, vi lascio un capitolo abbastanza lungo da riempirvi le pupille per tutto il mese passato senza Ria e Matt.

Che vi devo dire, devo le mie scuse a molta gente.

Scusatemi voi, innanzitutto, per essere così scortesemente sparita.

Scusa Matt, per averti detto “hai rotto i coglioni” sabato scorso in macchina.

Scusa mamma, per averti rotto la palla di Natale a forma di orsacchiotto.

Scusa, Dio.

E poi, scusate tutti, ma devo fare due dediche.

Volevo dedicare questo capitolo innanzitutto a quegli inutili malati dei miei amatissimi amici con i quali, oggi, in Università si discuteva di fanfiction scritte in prima gioventù, in particolare a Guildenstern, che scriveva soft porno sui Beyblade. Dovete aspettare un po' per il sesso acrobatico tra Matt e Ria.

E la seconda dedica, che non verrà mai letta dal diretto interessato, va, con tutto l'amore di cui sono capace, al sosia biondo di Matthew Bellamy, ingrato e demente spettatore di arcobaleni sul mare e di miracoli episodici, fissato con una canzone di Loredana Bertè che giustamente lo perseguita e che dovrà seguitare a rincorrerlo come una maledizione per tutta la vita, datosi che ha giocato a freccette con i miei nervi per una settimana.

E voglio bene a tutte voi, e alla vostra pazienza infinita.

Grazie ancora, per tutto ciò che mi scrivete, per ogni cosa che dite. Nel prossimo capitolo spero di riuscirvi a rispondere una per una, e non vi preoccupate, non ci metterò così tanto ad aggiornare.

Non perdete mai di vista ciò che volete.

Un bacio circolare a tutta la fascia in lettura.

La vostra Q., piena di casini ma animata di immutata gioia nel leggere le vostre splendide recensioni e nel sapere che ci siete, che ci siete state dall'inizio e che ci sarete fino alla fine.

Love.

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Capitolo 9
*** "Tenere il carro per la scesa." ***


Gli amori facili non hanno mai fatto la storia del mondo.
(Mia nonna, 2006.)

 

Chiunque vanti nel corredo emozionale almeno una storia d'amore (?) degna di questo nome, sa bene che c'è un tempo per la gloria e un tempo per qualunque altra cosa.

Fortunatamente per noi, il tempo per qualunque altra cosa nel caso specifico della mia storia d'amore (?) con Matt tardava ad arrivare. Avevamo gli occhi troppo pieni di un'insperata magia, che volenti o nolenti a una certa età è difficile riconoscere con precisione sufficiente da non lasciarsela sfuggire, ed eravamo stati così inaspettatamente intelligenti da non essere, per una volta, vittime di noi stessi: c'eravamo sorpassati, sul limite del “per sempre”, per fare posto a qualcosa che tutti e due credevamo si potesse solo scrivere, non certo vivere.

E nella mia vita piena di episodi squisitamente aeroportuali, si aggiunse al novero delle esperienze al terminal anche la partenza mattutina da Milano del giorno dopo.

Rincasammo a tarda notte, tenendoci per mano.

Da qualche parte in Italia ciò che stavamo facendo si chiamava, tecnicamente, “tenere il carro per la scesa”. Questo modo di dire così colorato, che si è meritato un posto in cima all'ipotetica piramide dei miei motti preferiti, porta alla mente la fatica che si doveva fare, quando ancora giravano tali supporti a rotelle, a mantenere il carro su di una discesa per evitare che scivolasse via. Lavoro di sudore, di braccia e di tenacia, qualcosa che somiglia vagamente a Robbie Williams che pagaia sodo dal Tamigi all'oceano nel video di “The Flood”. E sono due immagini che, secondo me, richiamano molto il concetto di diplomazia. Infondo, sono convinta irrimediabilmente che “we were holding back the flood” significhi, in modo figurato, esattamente questo. Ed è questo che vi dicono i Take That quando vi occhieggiano con le fronti madide di sudore dallo schermo della tv, superando giudici e avversari dentro la canoa, con buona pace del Big Ben e del Parlamento inglese: in tutto questo tempo, mentre voi credevate che stessimo a guardarci in faccia, in realtà stavamo facendo una fatica immane per tenere il carro per la scesa. (Although no one understood, we were holding back the flood. Cit. necessaria.)

Ma comunque. Lo sforzo disumano che ci costava tenere in piedi quella situazione non lasciava posto né alla mia proverbiale presunzione scevra di orpelli né al cinismo posato da cantautore di Matt: già reggevamo il carro per la scesa, reggere pure i personaggi che ci eravamo alacremente costruiti e che ormai erano diventati un po' parte di noi sarebbe stata una follia. Quindi sì, in faccia a chi critica, valuta, elogia, eravamo momentaneamente senza difese.

Senza difese e sul divano.

Io, precisamente, ero stesa a quattro di spade sul tappeto e fissavo il soffitto fumando una sigaretta.

Ho il soffitto rosa?”, domandai al nulla.

Ti sembrano domande da fare alle quattro del mattino?”, mi rispose il nulla, nella persona di Bliss.

Matt si era addormentato, lo avevamo coperto con un improbabile lavoro a maglia di Chichi: una coperta di lana a trama grossa che era un'accozzaglia di verde e arancione. Però a Matt non importava un fischio del colore della coperta: anzi, secondo me non gli importava un fischio di niente. Faceva bene, a dormire. Era sfinito da commedie che sperava di non dover vedere mai più, lo capivo e mi dispiaceva.

Fa male avere figli straordinari.”, sussurrò Bliss, che si stava versando il quarto Jack liscio. Altro che Kesha, quel donno con i capelli appoggiati in testa che si vantava furbescamente di sciacquarsi i denti con il whisky con una scarpa sì e una no.

E così partiamo.”, dissi ancora.

Eravamo in vena di ovvietà. Succede che a volte è necessario, altre invece semplicemente è lenitivo. L'ovvio. L'evidente. Il non dover scegliere tra il vivere con il resto del mondo e il vivere con te stessa, per dieci minuti. Visto l'abisso incolmabile di banalità che c'è tra voi. Visto che anche il sole è diventato un clichè trito e ritrito. Visto che c'è Matthew Bellamy su un divano, la dimostrazione ultima che la tua vita non è affatto banale.

Mio padre in fin dei conti è una persona folk.”

Gli stavo perdonando in contumacia la sua imperdonabile demenza.

Mio padre non solo era un coglione ma, come previa dimostrato, anche un coglione intempestivo: ne avrebbe avute di occasioni per farmi piazzate da genitore oltraggiato, e non l'aveva mai fatto. Aveva scelto, come palco, proprio la situazione meno adatta. Era un superficiale. Un fan dell'apparenza e del teatro. Era folkloristico.

Chiusi gli occhi un momento, e mi addormentai.

La sigaretta ancora accesa fece un buco irreparabile nell'amatissimo tappeto nepalese; amatissimo da chi, non l'avremmo mai saputo.

 

Secondo te avrei mostrato il mio dolore da imbecille davanti a te se non avessi almeno avuto la speranza di cambiare un giorno o l'altro le domande o l'evidenza, come tu hai cambiato me?
(Niccolò Agliardi, Secondo te.)

 

Sognai che saltavo da una rupe e atterravo su un cespuglio gommoso, sul morbido, insomma, e le spalle di Matt nella luce tenue della sera, le spalle di Matt e nessun segno del resto di lui. Forse non riusciamo mai a conoscere davvero una persona perchè non abbiamo un punto di vista integro sulle cose, vediamo di tutto sempre soltanto una parte: se guardi qualcuno in faccia, non vedi le sue spalle, e viceversa. Non lo vedi mai, per così dire, intero. Gli stavo già dicendo addio. Gli avevo detto addio senza sosta, da quando avevamo fatto l'amore per la prima volta. Mi svegliai con l'odore pregnante di tappeto bruciato che mi saliva su per il naso, un po' scossa, e vidi Bliss riversa sul divano ad angolo, quello perpendicolare a Matt, che dormiva a faccia in giù tra i cuscini. Poi vidi Matt. Era sveglio e fumava steso, assente a tutti, tranne che a sé stesso. Ed ebbi la netta sensazione che, sebbene avessimo guardato nella stessa direzione, ovvero, il soffitto, io guardavo soltanto quello, mentre lui guardava oltre il soffitto. Oltre. Cosa c'era oltre il soffitto?

Mi alzai lentamente, e lui voltò la testa verso di me, e mi sorrise. Quel divano sapeva un sacco di cose di me e di Matt, forse anche più di quante non ne sapessero i diretti interessati, cioè noi: mi stesi accanto a lui, addosso a lui, e gli affondai la testa nella maglia. Sapeva di fumo, di buono, di Bellamy.

C'è vento, fuori.”, disse. Mai scontato, mai banale. Su tutte le considerazioni che uno può fare guardando un soffitto, “c'è vento” lì per lì mi parve la più bella mai pensata. Un assoluto capolavoro cognitivo.

E tu che ne sai?”, gli chiesi, desiderosa di sapere il suo punto di vista. Su tutto. Sui divani, sui soffitti, sul vento, su di me.

Mi sorrise, accarezzandomi i capelli.

Lo sento. Non senti il rumore?”

Mi concentrai, ma riuscii solo a pensare che l'incavo del suo braccio era stato pensato con quella precisa struttura perchè io potessi appoggiarci la testa e capire che quello era il mio posto nel mondo. E come al solito bacchettavo me stessa per aver pensato una cosa del genere: sono cose importanti, sapete, molto importanti. Più di quanto uno non ami ammettere, di solito.

Poi chiusi gli occhi, e un rumore come di aria irrequieta imprigionata in un tubo mi raggiunse le orecchie, lontano ma cristallino.

Lo sento.”, dissi, sospirando forte. Poi cercai la sua bocca, ad occhi chiusi, sbattendo un po' sul collo, un po' sul mento, un po' sugli angoli; quando finalmente la trovai, fu come baciarlo per la prima vera volta, nel silenzio disturbato solo da quel vento inquieto che soffiava fuori e dentro di noi. E il mio respiro, che ci crediate o no, si adeguò al vento. Divenne profondo e lontano, l'aria sbatteva qui e là come se fosse in prigione.

Aprii gli occhi staccando la bocca dalla sua, guardandolo a un centimetro dai suoi occhi, e sentii la sua mano serrarsi intorno alla mia.

Si alzò e mi guidò altrove, e io mi lasciai portare, come un'onda da una marea, con una docilità impressionante, imprigionata in una bolla di spazio che non apparteneva a nessuno tranne che a me e a lui; salii le scale guardandolo andare, ogni tanto si voltava, come se non volesse perdermi, ma non poteva perdermi, e non solo perchè mi teneva la mano.

Sulla mia terrazza il vento era chiaro e potente, si riusciva quasi a vederlo, per quanto era presente. Faceva freddo.

Mi spinse contro il muro nella nicchia che divideva l'atrio dalla terrazza, oltre la porta-finestra, e mi sollevò il vestito, troppo leggero per quel clima inenarrabile.

Gli sbottonai i pantaloni tremando per il freddo e per il desiderio. Ci terrei a precisare che il sesso per me era sempre stato un accessorio, mai una necessità, e che lo trovavo bello e coinvolgente, ma senza note ultraterrene o sensazioni devastanti. Era bello fare l'amore, certo, ma era qualcosa in più, un'aggiunta. E invece quella sera, mentre mi prendeva in braccio, sentii dentro me forte e chiaro come un urlo che sarei morta se non avessi fatto l'amore con lui, in quel preciso istante, subito, contro quel muro gelido, in quel freddo pungente, senza attendere un altro secondo. Stavo bruciando, ogni cellula del mio corpo urlava alle fiamme, ogni mio nervo era teso verso di lui, verso una luce, verso una dipendenza folle e irrazionale che in quel momento non sarei mai riuscita a controllare, neanche facendo appello a tutta la forza che avevo. Facemmo l'amore in silenzio, con il respiro rotto che si condensava nel freddo della notte, fronte contro fronte, con gli occhi pieni di tutto e di niente.

E poi, beh, poi accadde l'incredibile.

Un ultimo, intenso respiro, un interminabile attimo di zenit di ogni emozione che un essere umano è capace di provare nella vita, tutte sbattute insieme in una palla di Natale agitata da una mano invisibile, la testa leggera e gli occhi lucidi come il mare. E poi piansi. Piansi perchè ero felice, perchè non avevo mai pianto, perchè avevo giurato di non piangere mai, perchè lo amavo ed era assurdo e non gliel'avrei mai detto, piansi a dirotto, come una bambina, mettendoci dentro tutte le lacrime del mondo, le lacrime di mia madre, le lacrime per mia madre, le lacrime che mio padre non era mai riuscito a farmi versare, le lacrime di quella solitudine costante, le lacrime dei personaggi delle storie più belle che avevo scritto, e mentre piangevo tra le sue braccia, che mi tenevano stretta come se non dovessero lasciarmi andare mai più, scivolammo lentamente a terra, ancora abbracciati, e io ancora piangevo, e così gli piansi in braccio, con le emozioni in disordine, con i sentimenti che gridavano disperati, sulla sua spalla piansi, alla faccia del freddo, del vento, del divano e del soffitto. E lui fu cauto, fu rispettoso e gentile, attese che io avessi finito e poi mi asciugò le lacrime dal visto con tutte e due le mani, mentre gli stavo seduta in grembo, senza sorridere, senza compatirmi, semplicemente guardandomi, e in quegli occhi c'era tutta la comprensione del mondo, comprensione che non è compassione, è solo pura, semplice consapevolezza, atroce consapevolezza di essere simili, troppo simili per stare insieme, troppo simili per non amarsi. Ma non ce lo saremmo mai detti, quell'amore. Però lo sapevamo, e questo già bastava.

Così, mi prese in braccio e, sbattendo un po' qui e là, mi portò in camera da letto ridendo. Quindi, mi appoggiò sul letto e mi prese il viso tra le mani, scrutandolo attentamente.

Che c'è?”, chiesi.

Tu non hai idea di cosa sono i tuoi occhi dopo il pianto...”, disse, guardandomi come non mi aveva mai guardata, con una concentrazione incredibile, “Potrei scriverci una ventina di canzoni.”

Il cuore mi saltò via dal petto e atterrò con un tonfo sul parquet, per poi rotolare per tutta la stanza disegnando i contorni di quella frase. Una frase che un cantante non dovrebbe mai dire a una donna come me.

Aspetta, aspetta.”, disse.

Poi prese la sua Manson nera, e armeggiò un po' con fili e il mio piccolo amp.

Mi sedetti a terra, rapita dal processo. In nome di tutto ciò che è sacro, che cosa stava combinando Matthew Bellamy nella mia stanza da letto? Cos'altro?

Quando ritenne di essere pronto, si sedette sul letto e mi guardò, dando due colpi alla chitarra. L'amp riprodusse il suono in maniera impeccabile e cristallina, affatto assordante. Tutto, me inclusa, tra le sue mani diventava soave.

Accennò una serie di note che riconobbi subito, infatti sorrisi, sconvolta.

Solo a lui poteva venire in mente.

E poi, poi iniziò a cantare.

 

Her hair is raven black, her lips sweet surprise, her hands are never cold, she's got Bette Davies' eyes...

 

Matt...”, sussurrai, emozionata. Mi stai davvero cantando Bette Davis Eyes di Kim Carnes? Dai.

 

She'll turn the music on you, you won't have to think twice, she's pure as New York snow, she's got Bette Davis' eyes...

 

Scossi la testa, paurosa anche di accarezzargli una gamba. Ero rossa, lo sapevo. Ma lui, lui continuava a cantare, senza staccare gli occhi da me.

 

And she'll tease you, she'll unease you, all the better just to please you... She's precocious, and she knows just what it takes to make a pro blush (occhiolino), she's got Greta Garbo's standard size, she's got Bette Davis' eyes.

 

Ah, e così saprei come far arrossire un professionista?”, scherzai.

Annuì, sorridendo, mentre suonava.

 

She'll let you take her home, it works her appetite, she'll lay you on the throne, she's got Bette Davis' eyes. She'll take a tumble on you, roll you like you were dice until you come out blue, she's got Bette Davis' eyes.

 

Se c'è una cosa che posso garantirvi è che niente, niente e nessuno potrà mai farvi sentire come Matt Bellamy che vi canta Bette Davis' Eyes seduto sul vostro letto.

 

She'll expose you when she blows you off your feet, with the crumbs she throws you, she's ferocious and she knows just what it takes to make a pro blush (altro occhiolino), all the boys think she's a spy, she's got Bette Davis' eyes.

And she'll tease you, she'll unease you, all the better just to please you, she's precocious, and she knows just what it takes to make a pro blush, all the boys think she's a spy: she's got Bette Davis' eyes.

She will tease you, she'll unease you, just to please you, she's got Bette Davis' eyes... She'll expose you, she knows you... She's got Bette Davis' eyes.

 

Poggiò prima la chitarra sul letto, e poi lo sguardo su di me, piegandosi in avanti con i gomiti sulle ginocchia e un'aria estremamente Erroll Flynn. E non saprei spiegarvela altrimenti, se non dicendovi: andatevi a prendere una qualunque foto di Erroll Flynn, e sappiate che Matt aveva quell'aria lì.

Mi alzai da terra e lo stesi sul letto, lasciandomi accarezzare i capelli.

Pace.

Fuori la notte iniziava a sfumare i contorni per far posto a un'alba gloriosa.

Mi addormentai di schianto, con la testa sul suo petto; e Bette Davis, di sicuro, benediceva ogni mio passo verso quell'alba. Dovunque lei fosse.

 

Ma ci sarà un souvenir che ci riporterà solo certi momenti,
e sarà un bel souvenir, una fotografia, una canzone tra i denti.

 

L'accappatoio.”

Quale accappatoio?”

Il tuo accappatoio.”

Guardai Bliss in tralice. Reggeva due mappate di spugna, una viola e una nera, color bara. I nostri accappatoi, per l'appunto.

Occupano spazio in valigia.”, dissi, schiaffeggiando l'aria come a voler scacciare un insetto.

Mi guardò.

Ma che poi in realtà 'accappatoio' è una parola del cazzo, se ci pensi.”, disse, buttandoli entrambi sul letto.

La guardai.

Mah.”

Mi sedetti sul tappeto e mi accesi una sigaretta, chiudendo gli occhi.

Ria.”

Uè.”

Ho capito che è tutta la vita che lanci coltelli di spalle al bersaglio senza sbagliare un colpo, ma questa volta l'obiettivo mi sembra un tantino fuori portata.”

Mi stesi sul tappeto e la guardai, al contrario. In piedi davanti a me, Bliss stava fumando a sua volta, brava ragazza.

Prego?”

Non credo che potresti sopravvivere a un'eventuale delusione.”

Parli di lui?”

E di chi altri?”

Mi soffermai sul collage di foto sul soffitto. Erano nostre foto, ai concerti. C'erano persone che avevano fatto parte della mia vita per una manciata di ore, incrociate in fila fuori dai cancelli, persone che avevo visto, ascoltato, le cui mani avevano preso le mie nei bridge delle canzoni, persone che avevo abbracciato strette come vecchi compagni di guerra. Persone i cui occhi avevo incrociato nella folla quando ci perdevamo nel pogo, e ci eravamo sorrisi. Poi, erano svaniti nel niente. Come ricordi, come paure, circoscritti a quell'evento, a quel limbo di tempo solo nostro in cui vedevamo le nostre vite, le vedevamo davvero, come fosse la prima volta, senza mai dirci che viaggiavamo dentro un sogno, che finito il momento magico di quegli accordi in volo eravamo tutti soli, avevamo routine e abitudini e università, avevamo fotocopie di cicli vitali a cui rispondere. Fuori da lì, un paio di giorni e saremmo tornati al naturale scorrere del tempo scandito dagli impegni e dalle sveglie, con quella meraviglia dolorosa ancora dentro agli occhi, e ci saremmo ricordati gli uni degli altri solo parlando di “quella volta”. Non ci saremmo mai odiati, mai feriti, non avremmo mai litigato, non ci sarebbe mai stato modo di scoprire i reciproci lati scomodi, saremmo stati perfetti, per sempre, inviolabili, i migliori del mondo, gli uni nella mente degli altri. Non è semplice e bellissimo così? Eppure, con il ricordo vivido di quel giorno in cui i nostri cuori hanno battuto all'unisono con una chitarra, un unico ritmo e un'unica anima, sarebbe stato un martirio rassegnarsi alla vita. Un martirio.

Le vedi quelle foto?”, le chiesi, ma lei ne sapeva quanto me.

Quelle foto sono la vita che amo. Quella che c'è qui è la vita che devo fare. Preferisco una dolorosa fine che una lenta agonia, Bliss.”, continuai.

Tacque.

E poi, io lancio i coltelli di spalle perchè si lancia con il cuore, e non con gli occhi.”

Mi sorrise.

Sei innamorata, vero?”

Scossi la testa, lentamente, soffiando via il fumo.

No. Di più. Di peggio. A innamorarsi sono buoni tutti, basta una svista, basta saper sopravvalutare. Io, invece, so che lui è un lupo solitario, e che non reggerà mai alcun rapporto degno di questo nome perchè è un solipsista e un egotico, e nonostante tutto...”, mi fermai lì. Ai puntini sospensivi.

E nonostante tutto...?”, incalzò Bliss.

Sorrisi. “E nonostante tutto.”

 

E allora, bambina, c'è poco da dire, se non che mi troverai qua;
cambiato per niente, ma neanche scontento: fottuto dal dovere, pensare di dover avere.
(Ligabue, Sarà un bel souvenir.)

 

Dio, quanto tempo era che non vedevo quegli occhi.”

Sorrisi imbarazzata a Fiorellino, all'aeroporto di Città del Messico.

Non è così tanto tempo che non mi vedi, Fiorellino...”, sussurrai, interdetta.

Sciocchina, sono al mondo da qualche anno in più di te... Ed era un bel po' che non mi trovavo davanti occhi così.”

La guardai, aggrottando le sopracciglia.

Occhi come?”, le chiesi.

Matt mi spuntò alle spalle, lo seppi perchè il suo braccio mi afferrò un fianco. Mi voltai verso di lui, ed ero come ubriaca. Ubriaca a un livello impossibile da raggiungere con l'aiuto dell'alcol.

I miei occhi finirono nei suoi quel tanto che bastava per sapere le cose fondamentali, quelle che fanno girare il mondo; poi mi lasciò e corse da Dom.

Scoppierai d'amore da un momento all'altro.”, commentò Fiorellino, con aria divertita, e poi disse “Bambina.”, sforzando il tono per fare il verso a Matt.

Scoppiai, ma a ridere.

Non esageriamo.”, le dissi.

La sera era grigio scuro, fuori dalle vetrate.

Il brusio del mondo vociava qua e là, indistinto ed ignorabile.

Salutai Chris e Dom, e poi abbracciai la schiena di Matt, preda di quell'incontenibile bellezza di esistere che portano con sé tutti i grandi amori.

La magia di istanti di serenità.

La mia groupie.”, ridacchiò, alzando le spalle all'indirizzo di Dom e Chris, e poi mise le mani sulle mie.

 

Erano le tre di notte anche in quell'albergo, nonostante avreste detto che il tempo si era fermato al punto in cui l'impossibile aveva fatto irruzione nel corso naturale degli eventi, cambiando colore alle carte.

Stavo uscendo in veranda per fumare, ma mi fermai sulla soglia.

C'erano Matt, Dom e Fiorellino. E parlavano.

Matt.”, diceva Dom. C'era un filo di disapprovazione, nel tono con cui pronunciò il suo nome.

Restai ad ascoltare, ad occhi bassi.

Dom.”

Matt, non vorrei proprio farti pressioni inutili, ma devo chiedertelo: sei impazzito? Rapisci Ria e te la porti in tour?”

Il tono, stavolta, era divertito.

Che vuoi che ti dica, Dom? L'hai vista. Lei è...”

E' innamorata persa di te.”, intervenne Fiorellino.

Come previa detto, non ero innamorata di lui.

Dovrebbe dirmelo lei.”

Te lo dico io, e fa lo stesso. La vedo.”

Sì, anche io. Ed è un po' presto per dire che è innamorata, non trovi?”

Infatti. Avrei voluto entrare teatralmente e informarlo che ero d'accordo con lui, ma mi trattenni. Anche perchè non avrei fatto in tempo.

No.”, risposero in stereofonia Dom e Fiorellino.

Sospirarono.

Matt, è una ragazza straordinaria.”, lo informò Dom.

Ed è intelligente. Sa già da sé come andrà a finire, lo sa che non può durare.”, incalzò Fiorellino.

Perchè tu ami ancora Dana.”

Un cazzotto in pieno stomaco per poco non mi fece piegare.

Lo sapevo, certo che lo sapevo. Certo.

Lo sapevo.

Ma allora perchè all'improvviso mi sentivo morire?

Mi dissi, è il jet lag.

Decisi all'improvviso che avevo sentito abbastanza.

Ehilà.”, dissi, manifestando la mia presenza.

Le entrate teatrali erano le mie preferite, per cui mi curai di non inciampare nel gradino della veranda e di mantenere un incedere fermo e sicuro.

Dom sorrise.

Stai già maledicendo il giorno in cui ci hai creduto?”, mi chiese, a bruciapelo.

Non me lo aspettavo, ma la risposta la sapevo già e quindi non fu difficile dirglielo.

Certo che lo sto facendo. Lo sto facendo da quando ho aperto la porta e me lo sono trovato in piedi nel salotto.”

Matt sorrise, sportivamente.

Fiorellino, invece, dispensò saggezza.

Non credo che i ragionamenti sensati possano qualcosa, contro il cuore.”

Fiorellino, il mio cuore è pieno di misteri.”, le risposi, cercando di suonare altrettanto teatrale.

Matt mi tese l'accendino.

Lo presi, senza guardarlo.

Che ci fai qui, allora?”, mi chiese Fiorellino.

No, fate pure come se non ci fossi.”, intervenne Matt.

Sono qui perchè c'è qualcosa che non va nella mia testa, perchè avevi ragione quando hai detto che sono pazza di lui, ma non in quel modo.”

Quanti modi ci sono?”, mi chiese.

Che noia, le domande sensate.

Qualcuno. Io non mi sono mai innamorata, Fiorellino.”

Fiorellino sbuffò. “Finora.”

Sono qui perchè non sopporto l'idea di stare senza di lui. Adesso. Non ci riesco, e neanche mi applico. Ma poi mi passa, state tranquilli.”, ribattei, sedendomi sulla ringhiera di pietra, le gambe nel vuoto e la testa all'orizzonte.

Io non credo che si possa capire il senso di questa cosa. Infondo, è il rituale più antico del mondo, no? Quando due persone fatte nel modo in cui siamo fatti noi si incrociano esce fuori una chimica affascinante e pericolosa, e finchè riusciremo a reggere continueremo a fare così. A comportarci come ciò che non siamo e che non saremo mai. Io ho bisogno di lui, mi fa bene, un bene che non mi ha mai fatto nessun altro nello spazio di una vita: e so che mi farà altrettanto male, presto o tardi, ma per qualche motivo non do alla cosa il giusto peso. Gioco per perdere, lo so. E' che sono pazza. Da sempre.”

Mi guardarono un po' storditi. Comprensibile.

Mi farò più male di quanto riuscirò a sopportare. E quando lo amerò diversamente da come sono abituata ad amare, cioè con le dovute precauzioni e senza mai superare una certa linea, non ci sarà più niente da fare. Stargli lontana era l'unico modo per salvarmi. Ma perchè sacrificare un mese di folle felicità a una vita di triste grigiore? Alla fine ti fai meno male, se abitui gli occhi al grigio opaco dei muri protettivi che la gente si costruisce intorno per mantenere la sofferenza al minimo, ma tutti quegli accorgimenti si trasformano solo in infelicità: non soffri, ma non sei felice. Per essere felici bisogna essere disposti a farsi più male di quanto riusciresti a sopportare. Credo che sia questo, il punto.”

Stavano in silenzio. Fumavamo tutti, tranne Fiorellino, moglie, madre, inguaribile romantica.

Tu sei strana, ragazza mia.”, mi disse Fiorellino. “Strana in un modo inqualificabile per me.”, e mi accarezzò i capelli.

Esisto e basta, Fiorellino. Come meglio mi riesce, e così come sono.”

E lo pagherai caro.” Una voce più alta e più acuta: era arrivata anche Bliss.

Da qualche parte in basso risuonava “I look to you” di Whitney Houston.

E' lei quella romantica. I suoi milleuno modi di rompersi il cuore mi hanno sempre destato un interesse scientifico, oserei.”, disse ancora, venendo a sedersi accanto a me. Anche Matt fece lo stesso, dall'altra parte.

Lei sa chi sono.”, disse, guardando Bliss.

Bliss gli sorrise.

E tu lo sai, chi è lei?”

Matt si infilò una sigaretta tra le labbra, gli occhi azzurri ridevano anche nella luce fioca della luna.

Nessuno lo sa meglio di me, Bliss.”

Lei rise, e gli battè una pacca su una spalla.

Spero saprai darle quello che vuole.”

E io invece spero di saperle dare quello di cui ha bisogno.”

Direi che vi basta.

Gli poggiai la testa su una spalla, e mi persi a guardare le stelle.

 

Juliet, the dice was loaded from the start.
(Romeo & Juliet, Dire Straits.)

 

 

Di mesi ne volarono due, attraverso i cieli del Sud America.

E volarono in quel modo crudele in cui vola il tempo quando sai, da qualche parte in fondo all'essenza di te, che tutto quello che vedi lo stai guardando per l'ultima volta. Di una perfezione dolorosa, una specie di regalo delle mappe astrali, qualcosa a cui non hai diritto e che comunque ti viene data: a quale prezzo?

Lo avrei scoperto poi.

Giravamo città dopo città, e io passavo tutto il tempo sotto il palco a guardarlo suonare.

Pensavo spesso a quando stavo dall'altra parte. Soffrivo di una nostalgia inspiegabile, la nostalgia dell'attesa: mi mancavano i momenti rubati, mi mancava credere che i suoi occhi incrociassero i miei, mi mancava il primo concerto in cui guardò giù, verso di noi, e io mi sentii nascere e morire nello stesso istante. Mi mancavano perfino le transenne.

Le sere dopo i concerti cenavamo tardi, ridevamo e ci addormentavamo stanchi, ancora vesititi, alle prime luci dell'alba.

Gli altri giorni invece, li passavamo tra cinema, chitarre, spiagge e fotografie.

Di tutte le foto che avevamo insieme, la più bella ce l'aveva scattata Bliss, al tramonto. Stavamo giocando con la pompa dell'acqua, sul terrazzo di un albergo in Argentina. Davanti, avevamo il mare. Le nostre ombre fradice sull'orizzonte, uno di fronte all'altra, i capelli scomposti, i vestiti incollati addosso, i sorrisi bambini che si vedevano appena in quel confondersi di lineamenti che creano le foto controluce, e le mani intrecciate, unico contatto tra i nostri corpi, proprio al centro dell'immagine. Ogni tanto la riguardavo, e mi chiedevo se sarei riuscita a ricordarmelo così, quel momento. Fermo nel tempo, confuso con il resto del panorama, come se fosse un'unica, immensa meraviglia che mozzava il fiato. Non stavamo insieme, non ufficialmente, almeno. Stavamo insieme in un modo che era il nostro, fatto di complicità, di parole fino a tarda notte, di momenti di sesso e tenerezza.

Una notte di luna piena lo guardavo dormire alla luce fioca che filtrava dalla finestra: è stata l'unica volta, in una vita, in cui io abbia pensato che sì, lo avrei cresciuto un figlio di qualcuno. Di Matt. Di quell'uomo che avevo davanti, che mi aveva toccato in punti del cuore che non sapevo neanche di avere.

Lo svegliai a forza di lievi baci.

Bambina, non dormi?”, mi chiese, aprendo gli occhi a fatica e facendo un paio di smorfie che mi fecero sciogliere di tenerezza, una colata calda sulla pelle.

Ti amo.”, gli dissi.

Si voltò verso di me, e mi guardò con quegli occhi impossibili.

Come, scusa?”

Sorrisi. Mi aveva sentito benissimo.

Ho detto che ti amo. Ti amo. Ti amo.”

Sorrise anche lui, il più bel sorriso che gli avessi mai visto, e mi accarezzò il viso con una mano.

Non ho sentito.”

Sorrisi di nuovo, e presi un respiro.

I love you, Matt.”

Avvicinai la fronte alla sua, e chiusi gli occhi.

Anche io.”, sussurrò.

Spalancai gli occhi.

Cosa hai detto?”, chiesi.

Mi sorrise, furbo.

Niente.”, rispose.

Tanto lo so, cos'hai detto.”, ribattei, e mi accoccolai contro di lui.

E se lo sai allora dormi.”, mi rispose, abbracciandomi.

Scivolai nel sonno migliore della mia vita.

Il mattino dopo non era nel letto, al mio risveglio. Al suo posto c'era una rosa. Rossa. Pensai che volevo morire.

Lasciare la vita nel punto più alto, scriveva una volta Susanna Tamaro: nel momento in cui comprendi che non potresti mai, mai, essere più felice di così, allora magari muori. Magari te la porti dietro, quella perfezione ingiustificata.

Neanche mi vestii, passai giusto per il bagno a rendermi vagamente presentabile, e scesi con la camicia di mio padre, che mi fungeva da pigiama perchè il mio era disperso nella valigia di Bliss, fino in cortile. Di corsa. Stavano facendo colazione, c'erano solo loro.

Si voltò senza scomporsi, sorridendo raggiante.

E' uscito il sole.”, commentò Chris, bevendo caffè.

Feci un veloce cenno di saluto e mi fermai a qualche metro da Matt, con la rosa tra le mani. Lui afferrò la Nikon di Bliss e mi scattò una fotografia.

Non sono presentabile.”, protestai debolmente.

Sei bellissima.”, mi rispose, guardando nello schermo della macchina fotografica.

Poi si rivolse agli altri.

Vogliate scusarci.”, disse, si alzò e mi venne incontro.

Lo abbracciai stretto, e lasciai che il vento ci accarezzasse. Una volta tanto, un po' di vento gentile.

Sai cosa diceva Anthony Hopkins?”, gli chiesi, in un sussurro.

Cosa?”

Sorrisi contro il suo collo, cercando di controllare i battiti del cuore impazzito.

Hai dato alla mia vita un significato che non avevo il diritto di pretendere.”

Mi strinse un po' più forte, mentre io mi accorgevo del peso di ciò che avevo detto. La verità ha sempre un peso tutto suo, che non è mai quello che credi: e strascichi infiniti, a volte qualche sconfitta.

Dominic si voltò verso Chris.

Intendevi questo per amore?”

Chris annuì, tra il giornale e la sigaretta.

Sì. Sì, direi di sì.”

Senza la minima preoccupazione di dove, in realtà, potesse condurmi.

Guardami,
guarda quello che non hai visto mai.
E allora stringimi,
prendi quello che non hai avuto mai.
(Velvet, Non è per me, non è per te.)

 

Il ricordo di quella notte e quella mattina non mi lasciava andare, mentre sbarcavamo all'aeroporto di Milano. Loro avrebbero preso il volo per Londra direttamente da lì, il giorno stesso.

Lasciarlo al gate fu feroce e straziante.

Matt.”, dissi, con il cuore in gola.

Lo baciai lontano dagli occhi di tutti, e lo strinsi più forte che potevo. Due lacrime ribelli mi solcarono le guance. Le asciugai.

Non ti lascerei mai, lo sai, bambina. Ma noi dobbiamo registrare e tu devi dare degli esami. Appena finisci vieni su da me, come d'accordo.”

Respirai forte.

Quanto diamine era difficile.

Come sentirsi strappare le valvole del cuore una ad una, immaginare giorni e giorni senza di lui.

Come ogni dipendenza, mi avrebbe portato brividi, insonnia e dolore fisico, lo sapevo già.

Stendermi in un letto in cui non c'era lui.

Mi lasciai circondare dalle sue braccia, affondando il viso sulla sua pelle.

Dio, non fare così... Mi dici come faccio ad andarmene?”

Lo strinsi di più.

Scusa.”, dissi, e gli diedi un bacio nell'incavo del collo.

Poi lo lasciai andare, e lui mi prese le mani e mi baciò dolcemente.

Su...”, disse, asciugandomi una lacrima. “Come on, love.”

Uno squarcio di natura ignota mi divise in due il petto.

Il suono di quella parola, tanto odiato quanto deriso dal mio personale arsenale di cinismo anti stucchevolezze, detto da lui mi faceva respirare le pareti del cuore.

Mi sorrise.

Gli diedi un ultimo, struggente bacio e poi lo presi per mano, per portarlo dagli altri.

Dominic mi abbracciò forte.

Così talmente bella.”, disse, guardandomi negli occhi. Sapevo che sapeva che avevo pianto. Io non piangevo. Cazzo.

Chris mi fece volare per aria.

Resta intera, me lo prometti?”

Sorrisi.

Certo. Salutami Fiorellino.”

Sarà fatto.”

Poi, afferrai Matt e lo strinsi forte. Le sue mani fecero su e giù per le mie vertebre, come se volessero contarle, o vedere se sarebbero rimaste lì, una volta che lui se ne fosse andato. Gli appoggiai il viso su una guancia e sospirai, baciandogli lievemente la pelle.

Stop loving you dei Toto mi girava per la testa come un tornado.

Ah, le donne.”, commentò Dominic.

A giudicare dal rumore, Bliss gli aveva mollato un ceffone a manrovescio che gli avrà fatto volare via un paio di denti.

Però aveva ragione.

Per come stavo, Fiorella Mannoia poteva venirmi a fare qualche domanda, e poi scrivere come minimo sei album.

Finalmente, con un moto di forza disumana, mi costrinsi ad assumere un contegno, lo baciai velocemente a fior di labbra e mi staccai da lui, mettendo tra noi un paio di metri e Bliss, per resistere alla tentazione di saltargli addosso e mandare a carte quarantotto l'intero Terminal 2 di Malpensa.

Li salutammo guardandoli sparire nel gate.

All'improvviso lui si fermò, afferrò Dom per un braccio e gli disse qualcosa. Trafficarono per un po', finchè Matt si voltò verso di me. Aveva in mano un foglio, e sul foglio c'era scritto qualcosa.

I'll come running straight to you.

Mi coprii la bocca con una mano, presa tra una lacrima e una risata.

Mi sorrise dolcemente, abbassò il foglio e si voltò verso il corridoio.

Però. Che carino.”, commentò Bliss, manifestando uno dei picchi massimi di intenerimento di cui era capace.

Eh già. Proprio carino.”, commentai, sorridendo canzonatoria.

Le diedi una gomitata affettuosa, e ci guardammo, allegre, improbabili, uguali a sempre.

Poi, ci voltammo anche noi e prendemmo la via opposta: sarebbe stato sempre così, per quel che ne sapevamo. E ne sapevamo abbastanza.

 

Nel giro di due ore svanisca tutto quanto,
svanisca tutto il resto.

 

In casa non c'era niente e nessuno, e benedissi il sole che filtrava timido dalla finestra.

Il salotto era una bolla di ovatta, chiuso fuori dal mondo, in un'altra storia, un'altra vita.

Una pausa.

Era stato così, con Matt.

La mia vita era un'accozzaglia di eventi improbabili e sentimenti confusi: somigliava ad una stanza in disordine, non era niente di preciso. Poi lui era arrivato e aveva dato un nome e un senso a tutto, come la signora delle pulizie che sposta quel tanto che basta il divano per renderlo a colpo d'occhio più simmetrico con la poltrona, e quella che prima era un-divano-e-una-poltrona improvvisamente è un salotto. Ecco, Matt aveva preso la mia vita, due accordi in fila e tac. Una vita con un senso logico, una vita, la mia vita, che puntava da qualche parte.

Ero così lisa in certi punti della coscienza che stonavo con l'arredamento.

Che ora è?”, mi chiese Bliss.

Amen.”, risposi, fedele alla mia ballata dell'amore cieco.

Bliss rise, sbuffò e andò a fare il caffè.

Quando tornò con il vassoio in mano, rimase ferma a guardarmi. Ero stesa sul divano.

Posso dire la mia sugli uomini?”

Sospetto di sì.”, ribattei.

Sei impossibile.”, mi rispose, sorridendo.

Diceva Dave Gahan che niente è impossibile.”

Mi tirai su a sedere e afferrai la tazza, accendendomi una sigaretta.

Appunto. Diceva 'niente' è impossibile, non 'nessuno' è impossibile.”

La guardai.

Sei puntigliosa all'inverosimile.”

Infatti telefonerò a Dave Gahan e gli chiederò una bonus track nel prossimo CD, dal titolo 'Nothing's impossible, apart from Ria'.”

Presi un sorso di caffè, sorridendo.

Carino.”

Tacemmo per un momento.

Ok, fingiamo per un attimo che tu e Bellamy funzioniate insieme. Senza ammazzarvi, intendo.”

Fingiamo.”, la incoraggiai.

...E fingiamo che tu non sia innamorata di lui.”

Non sono innamorata di lui.”

Mi ignorò completamente.

...Quindi fingiamo anche che tu non abbia fatto il tragitto dall'aeroporto a casa cantando 'Simply the best' di Tina Turner a pieni polmoni?”

Tacqui.

Grazie. Dicevo.”

You're simply the best...”, canticchiai, giocherellando con la sigaretta.

Dicevo che secondo me, il tuo punto di vista sulla cosa è leggermente viziato.”

Better than all the rest...”

Nel senso, visto che avete passato due mesi di adorabile idillio...”

Better than anyone...”

Ora sarà il momento di fare i conti un momento con la realtà dei fatti e affacciarvi nel pianerottolo della quotidianità per vedere se la cosa può funzionare sul piano del reale.”

Anyone I've ever met...”

Cioè, dopo settimane a braccetto con Cupido, forse è ora che scendiate un attimo a fare due chiacchiere con il portiere dello stabile.”

I'm stuck on your heart, I hang on every word you say...”

Ma mi stai ascoltando? Io ti sto dicendo una cosa seria. Qui ne va della tua salute mentale. Se poi arrivi al punto che non puoi più fare a meno di lui.”

Tear us apart, baby, I would rather be dead.”

Bliss assunse un'espressione greve: “Appunto.”

Le sorrisi.

So cosa intendi. No, non la so gestire. E per il momento, va bene così.”

Anche se non lo sapevo, “per il momento” era la parola chiave.

Un messaggio sul mio telefono diceva “Ciao, bambina.”

 

Ognuno è fabbro delle sue sconfitte, ognuno merita il suo destino.
Ognuno è figlio del suo tempo, ognuno è complice del suo destino.
Ognuno è figlio della sua sconfitta, ognuno è libero col suo destino.
Ognuno porta la sua croce, ognuno inciampa sul suo cammino.
Ognuno brucia come vuole, ognuno è vittima ed assassino.
Gira i tacchi e vai in Africa, Celestino.
(Francesco De Gregori. Vai in Africa, Celestino.)

 

 

And so this is Christmas, ciliegine.

Grazie a voi ho scoperto che esiste ancora un certo tipo di luce di un certo tipo di stelle che brilla da qualche parte dentro me.

Aggiornerò ancora, prima di Capodanno.

Ma volevo solo lasciarvi questo, come mio personale – lunghissimo- regalo di Natale.

S., Far Away, Roby, Lady, Maya, Guild, Erii, Fede, Piuma e Denni&MiglioreAmica. Questo va a voi, principalmente. A tutto quello che mi date.

Poi, c'è una certa Sweet Bee con una certa inclinazione che devo ringraziare.

Poi, c'è la mia paziente madre.

Poi, c'è il mio migliore amico.

Poi, c'è Chocabeck di Zucchero.

Poi, c'è l'accendino con il mio soprannome inciso sopra che mi ha regalato un'amica.

Poi, ci sono le corse nella pioggia il giorno della Vigilia di Natale.

Poi, c'è mio cugino che in macchina nel traffico rimette per tre volte consecutive “Starlight” costringendomi a urlargli dietro in Urdu per farlo passare alla canzone successiva.

Poi, domani c'è la messa alle 12, alla quale devo portare mio zio, quello che vive a Milano e che a Carnevale guida il CLK con la maschera di Scream.

Poi ci sono Matt e Ria, che giustamente si offendono se non li menziono.

Poi, a breve, c'è anche uno spin-off su Bliss e Dom. (Spoilerone!)

E poi, beh... Poi c'è Matt.

Tutto il resto, francamente, l'ho scordato.

Non fate niente che io non farei, mi raccomando.

Happy birthday Jesus, e buon Natale a voi

Q.

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Capitolo 10
*** Un criceto di nome Lucrezia Borgia. ***


A mio padre,
Nicolas Cage.

 

Splinter mi guardò, interdetta.

E poi?”, mi chiese.

Ovviamente, voleva sapere del poi. Voleva sapere del come, del perchè, del dove io e Matt avevamo mandato tutto più o meno in frantumi.

Raccolsi un piccolo nodo in fondo al cuore, sperando che mi aiutasse a raccontare senza drammi.

Ma poi arrivò Bliss.

A che punto siete arrivate con la passeggiata nel viale della memoria?”

Al punto in cui mi portasti a Londra d'urgenza.”, le sorrisi.

Si scostò platealmente una ciocca di capelli diafani dal volto.

Allora, se non ti dispiace, questa la racconto io.”

 

B L I S S.

 

 

They'll take you where you won't come back to me.
(Jimmy Eat World, Seventeen.)

 

Un gelo ancestrale si infilava nelle strade di Londra, serpeggiando attraverso i vicoli, fuoriuscendo dai tombini come una brutta epidemia.

Certi tipi di freddo si fanno strada sotto la pelle, permeandola come vapore, e ti ritrovi, senza preavviso, scossa da sgradevoli brividi fuori da qualunque controllo.

Non era normale un freddo così, in quel periodo dell'anno.

Dalle retrovie della memoria spuntavano fotografie di un'altra era, che portavano tutte la stessa didascalia: “Io qui ero felice”.

Ma non ero io nelle foto.

Era qualcun altro.

Un'altra donna, così dissimile da me. Così...

Aprii gli occhi di scatto.

Un rumore sinistro si era incastrato tra le pieghe del mio subconscio, costringendomi a una sveglia coatta e irreprensibile.

E dunque.

RIA!”

Ria non c'era.

Ria era svanita negli anfratti del mio sogno.

Nell'appartamento regnava un silenzio oltretombale.

Il criceto, ingrato e demente compagno di tanti ragionamenti a due, rosicchiava stancamente una sbarra della gabbietta.

Consuelo?”, padellai incerta.

La cameriera, avvolta in sette strati di inconsueto pallore cadaverico dovuto, probabilmente, al tempo notoriamente infame dell'amata Londra, apparve sulla porta silenziosa come un incubo.

Signorina?”, ribattè con un altro punto interrogativo.

Avevamo terminato gli argomenti.

Nella stanza aleggiava un discreto sospetto di tragedia imminente.

Il rumore sinistro riprese a tintinnare cristallino, sbattendo sulle pareti.

Detestavo la suoneria del telefono di Morgue Place.

Consuelo si ridestò dalla trance e andò a rispondere, risparmiandomi la fatica di alzarmi dal letto.

Ah, ecco cosa volevo chiederle.

Volevo chiederle se avesse visto Ria.

L'allunaggio nella nostra casa di Londra risaliva ad appena due settimane prima, in data quattro giugno.

Londra era la nostra Svizzera personale, uno stato cuscinetto dove non erano permesse tragiche intromissioni da parte della vita reale.

E, dal momento che la vita reale aveva riservato a Ria un bel colpo neanche due settimane e tre giorni prima, mi era parso giusto investirmi dell'onere di fare le valige e partire alla volta del Regno Unito in un turbinio di bustine di tè.

In Italia ci si accingeva ad allestire i festeggiamenti per l'anniversario della repubblica, e Ria apriva la mail con la solita spavalderia, con il mondo ovattato nelle orecchie per via della consueta telefonata mattutina di Matt.

Nella casella mail appariva un comunicato della sezione gossip del Rolling Stone, per il quale Ria curava una seguitissima rubrica, e portava la firma di una sua collega.

A grandezza naturale, sullo schermo del computer si squadernò una fotografia di Matt che, contro un muro, aveva le mani impegnate tra le gambe di Lily Allen. La faccia non si vedeva, si era fusa per osmosi con quella della suddetta cantante.

Al che la mia storica migliore amica, sfoggiando un self control paludato fin sopra ai capelli e risalente ai trisavoli – sua madre era l'ultima rampolla di una nota famiglia aristocratica britannica-, aveva chiuso la mail, si era alzata, e aveva sorriso a me e al criceto, rassicurandolo: “Non preoccuparti, non è niente.”

Quindi, mentre io e il longevo criceto, battezzato Lucrezia Borgia in un agghiacciante post-sbronza, ci stringevamo sul materasso pronti alla terza guerra mondiale, Ria si era prodotta in un veloce lancio della tracolla della Manson che aveva abbattuto il paralume alloggiato dall'altro lato della stanza da letto, quindi aveva afferrato l'apparecchio telefonico e composto il numero privato di Matthew.

Ciao, tesoro. Non ti disturbo? Volevo velocemente ringraziarti dell'onestà che mi hai dimostrato, e chiederti se per cortesia porgi i miei omaggi a Lily Allen. Non ho mai detto che non dovessi farlo, solo, avrei preferito saperlo. Sai, tutta quella filippica sulla chiarezza in cui ci siamo lanciati prima ancora di rivolgerci la parola. E ovviamente non mi sognavo neanche di mettere in dubbio l'esattezza scientifica delle parole della madre di Splinter, non sono così ingenua, solo, mi illudevo che almeno avresti avuto la decenza di dirmelo tu. Prima che tu me lo chieda, non so cosa provo, non so cosa voglio fare nell'immediato futuro, so solo che, così, su due piedi, non credo di volerti rivedere mai più. Ti ringrazio per le belle illusioni.”, e attaccò.

Non un fremito nella voce, non un tremore, non un'alterazione.

Sua madre sarebbe stata fiera di lei.

Poi, dopo aver lanciato a me e a Lucrezia Borgia uno sguardo di rassicurazione, sparì oltre la porta. Per il resto della giornata.

Ma al telefono, beh, al telefono fu perfetta.

A proposito di telefono.

Consuelo tornò concitata in stanza, porgendomi il cordless con fare da complotto brigatista.

Chi è?”, fui così sprovveduta da chiederle.

Non ritenne di dovermi rispondere: solo, mi sventolò il telefono sotto il naso intimandomi di prenderlo.

Pronto?”, risposi, un po' interdetta.

Sono Marylin. Dovete venire qui, subito. Siamo al Saint Mary's.”

Non ho capito niente.”

La voce della signora tremò bruscamente, e raccolse le forze per ripetere quanto aveva appena detto. Sentii parole concitate all'altro capo del telefono, poi la voce che interloquiva con me cambiò.

Bliss”

Dom, ciao, ti avevo detto di non chiamare qui, Ria non...”

Io avevo prenotato il volo per Londra, d'accordo con quella volpe di Dominic, per farci ambasciatori di pace e tentare una sterzata di riavvicinamento tra i due litiganti. Eravamo rimasti in accordi tali, però, da non instillare il beneficio del sospetto che stessimo tramando qualcosa in nessuno dei due.

Bliss, ascoltami.”

Tacqui all'istante. Il suo tono di voce, di solito così allegro e spensierato, si era fatto grave e lontano.

Dovete venire qui, subito.”

Silenzio.

Ria atterrò a balzelloni accanto a me, brandendo due lattine di coca cola.

Chi è?”, cinguettò, con quella forza immensa che la caratterizza davanti ad ogni tragedia.

Le porsi il telefono, senza espressione.

Ehilà.”

Vidi il suo viso cambiare, cambiare in maniera irreversibile, e lì compresi.

Non voleva chiudere con Matt, no. Lei lo aveva capito meglio di chiunque altro. Voleva solo dargli una lezione, sapeva che non era un addio definitivo. Sapeva, probabilmente, anche che lo avrebbe fatto, prima o poi: un bacio, una cosa o un'altra. Avevo sottovalutato quanto avesse imparato da Pamela Des Barres. Capii. Ma tardi.

Dominic stava ancora parlando, ma Ria era già oltre, oltre la porta, oltre le scale, oltre tutti noi, oltre qualunque mai e oltre qualunque per sempre. Sentii distintamente il rumore della terra che si sfaldava sotto i suoi piedi mentre, in jeans e t-shirt, diventava un punto lontano, dall'altra parte della casa.

Lanciai un'occhiata al criceto.

Dovevo andare.

 

Ci terrei a precisare che a Ria i sensi di colpa e i piedi in testa non glieli metteva neanche Gesù Cristo.

Ma, china sulla mia moto, guidava come una disperata, come se aggrapparsi alle marce fosse l'ultima cosa utile che poteva fare per questo mondo.

So che le suonavano in testa tutte insieme tutte le canzoni di Matt, in perfetta sincronia, e che dietro i suoi occhi si stava tenendo un randez-vouz di ricordi splendenti e immutabili nel tempo. Nei picchi tragici che attraversiamo con una persona amata, ci tornano in mente sempre e soltanto gli episodi belli. Non ricordiamo i giorni, noi ricordiamo i momenti, diceva Cesare Pavese. E' infinita la commedia delle domande che ti vengono in mente, in momenti come questi.

 

Guadagnò l'ingresso del reparto terapia intensiva con il passo deciso di un generale nazista, i capelli neri che le fluttuavano sulle spalle e le sopracciglia corrugate, a fare da cornice agli occhi color oro che non erano mai stati più preoccupati di così.

Sapevo bene che stava pensando che la vita non può essere così infame da portarti via tutte le cose belle, in un modo insensato e feroce, senza alcun buon motivo a fungere quantomeno da ragione, se giustificazioni proprio non sei disposto a trovarne.

Dominic, Christopher, Fiorellino e una bella signora un po' avanti negli anni se ne stavano compunti, chi in piedi, chi sulle sedie.

Appena la vide arrivare, Dom si arrischiò ad un passo avanti con un faldone di carte in mano. Ria gliele sfilò dalle braccia senza dire una parola, afferrò una penna dal nulla e si mise a compilare velocemente una serie di moduli.

La signora voleva dire qualcosa, si vedeva chiaramente, ma non ne ebbe né il modo né il tempo. Stava lì, con espressione interrogativa e desolata, e seguiva con gli occhi i movimenti di Ria.

Un infermiere spuntò fuori dalle porte scorrevoli, e guardò Ria con un lampo di trasognata ammirazione.

Un'espressione di ferro si era impadronita del viso di Ria, e disse, senza un'ombra di tentennamento nella voce, “Il signor Bellamy è il mio compagno.”; quindi, gli mise in mano i moduli.

L'infermiere scorse con lo sguardo le pagine per un tempo che parve infinito, quindi accordò: “Bene, mi segua.”, e sparì con Ria da dove era venuto.

E' stato in quel momento che ho congiunto alcuni neuroni per allestire il seguente pensiero, traducendolo in un'atona domanda: “Non dovranno per caso prelevarle del sangue? Ha un problema serio congenito alla circolazione, più di 250 cc la mettono a rischio di shock.”

Dominic sbiancò di colpo.

E lo shock a cosa porta?”

Al coma, nel peggiore dei casi alla morte.”

Era tutto così irreale, tutto una tale blasfemia che parlavamo come se discutessimo dell'incremento del prezzo delle zucchine. Senza alcuna sfumatura di allarme nella voce.

Finchè, la gola secca di Dominic si produsse in una frase di granito.

Serviva una trasfusione.”

Nessuno si muoveva.

Io sapevo che sarebbe stato inutile tentare di dissuaderla.

Nonostante ciò, senza dire una parola, saltai oltre le porte scorrevoli.

 

La stanza era di un bianco accecante.

Era ovviamente troppo tardi, comunque.

Mi avevano fatto indossare una sorta di sacco dell'immondizia anche se osservavo la scena da dietro a un vetro, e le uniche due sagome in contrasto con l'arredamento erano due corpi stesi su due lettini attigui: Matt era coperto di fili e tubicini che gli invadevano ogni centimetro di pelle libera. Ria, invece, lo guardava in silenzio con un ago nel braccio e due grosse lacrime incastrate negli occhi.

Articolò due parole rabbiose con le labbra, e perfino la gelida infermiera dall'accento tedesco che mi aveva portato dentro non riuscì a dissimulare un piccolo singhiozzo di partecipazione.

Non devi lasciarmi. Non puoi lasciarmi. Questo non me lo devi fare. Io ho bisogno di te. Ho bisogno di te, Matt.”

Allungò una mano per stringere quella di Matt, e chiuse gli occhi.

Poi, tutto diventò buio, per tutti. Per me, per lei, per Matt, per l'infermiera tedesca, per la vita che conoscevamo, per quella rocambolesca serie di eventi simili a eruzioni vulcaniche che ce l'aveva cambiata completamente, per Dominic, Chris, Fiorellino, per la signora in sala d'aspetto, per Lucrezia Borgia, per i ricordi. Per tutti.

 

I caffè avevano il solo effetto di elevare il nervosismo all'ennesima potenza, e noi, con le occhiaie, ci sentivamo niente di più che un precipizio vorticoso di inutilità.

La sala d'aspetto era comoda e civile, c'era perfino un tentativo di piantina in un angolo.

Dopo due arresti cardiaci scongiurati per miracolo, alcuni litri di sangue e sedici ore, dalle porte scorrevoli spuntò Ria, pallida come non l'avevo mai vista, con il pigiama corto con i ricci allegri che le avevo portato io e il passo un po' incerto.

Non può bere caffè, adesso. E può stare solo qualche minuto.”, disse l'infermiere con uno sguardo zuccherino, vittima del suo fascino anche in quello stato pietoso.

Il signor Bellamy si è stabilizzato, ma non può ancora essere trasferito dal reparto. Dobbiamo tenerlo in osservazione per altre quarantotto ore, sperando in un miglioramento.”

Tacemmo tutti, e Chris prese fraternamente in braccio Ria, che si accoccolò tra le sue braccia come uno scricciolo, debole e stanca, senza emettere un suono.

Ha avuto un bel coraggio.”, disse ancora, prima di tornare da dove era venuto.

Chris sedette con lei ancora tra le braccia, una poetica imitazione della Pietà di Michelangelo.

La signora si alzò e prese posto accanto a Chris, tendendogli le braccia.

Lui, un po' interdetto, depositò Ria sul suo grembo, che si lasciò spostare docile e sfinita.

Si era fatta portare fuori per prendere un po' d'aria, e adesso non aveva neanche la forza di parlare.

La signora la accolse tra le braccia e, stringendola un po', con fare materno le accarezzò i capelli con una mano bianca, appena segnata dall'incipiente anzianità.

Alzò gli occhi verso di me.

Era l'unica speranza. Lo zero negativo è un gruppo sanguigno infame, ce l'ha solo Matt, in famiglia.”

A quel punto, ciò che non avevo osato chiedere mi balenò in mente, chiaro come una folgorazione.

E' sua madre.”, rispose Dom alla mia muta domanda.

La guardai coccolare Ria come una figlia, con l'infinita gratitudine di cui è capace solo una madre che ha rischiato il tutto e per tutto.

Mi inginocchiai accanto a lei e sussurrai al suo orecchio.

Mi senti?”

Fece debolmente cenno di sì con la testa.

E' stato un brutto incidente. Stava camminando nel cuore della notte per Covent Garden, e una macchina lo ha...”

La signora Bellamy alzò una mano al mio indirizzo, per intimarmi di tacere.

Ria mugolava piano, come se si lamentasse.

All'improvviso, aprì gli occhi, e usò tutta la forza che aveva.

Nonostante tutte le nostre proteste, si alzò in piedi.

Fiera, indistruttibile, invincibile.

Invincibile.

Alzò lo sguardo su Dominic, puntandogli le mani sulle spalle.

Salvatelo.”, disse.

Dominic annuì, e le diede un bacio su una mano.

Si stava trattenendo da ore ed ore, sforzandosi di non tradire la debolezza che sentiva dentro, una costante e impercettibile distruzione di ogni angolo dell'organismo.

Fronteggiare l'eventualità di perdere il proprio migliore amico. Come si fa?

Chris la riprese in braccio, e lei stavolta protestò a monosillabi.

Mollami.”

Devi dormire.”, le rispose calmo, e poi si rivolse a me. “Andiamo a metterla a letto.”

Mi sembra anche il caso.”, ribattei. Mandai giù l'ultimo sorso di caffè, e li scortai verso la stanza.

 

 

Grande figlio di puttana
ma che amico, per me.

 

Solida.

E tridimensionale.

L'unica cosa che riuscii a pensare vedendo Ria in piedi accanto al letto di Matt, che lo fissava con un'espressione indecifrabile da occhio umano.

In tutta la storia dell'uomo in posizione eretta non si sono mai viste due palle di tale quadratura.”, commentò Dominic guardandola, e contestualmente sventolando al mio indirizzo un pacchetto di sigarette.

Il dottore le svolazzava intorno, con le mani impegnate da una serie di aggeggi che ora le poggiava addosso, ora le applicava alla schiena, ora le chiedeva gentilmente di reggere.

All'improvviso, il medico si bloccò.

Signorina, è stata molto coraggiosa. Sarebbe potuta morire di insufficienza ematica.”, le disse, fissandola, in un morbido tentativo di incensarla per il gesto compiuto in nome dell'amore sacro che muoveva i poeti.

Con una calma che non ha precedenti nella storia della parità dei sessi, Ria ribattè con modestia: “Una come me non muore di insufficienza ematica, dottore.”

Non so perchè, ma la sua risposta suonò come una verità incontrovertibile.

Allora io, il dottore, Dominic e la signora Marylin un po' in disparte ci guardammo negli occhi e sono certa come la morte che formulammo lo stesso, identico pensiero: “Una come Ria Montague, semplicemente, non muore.”

Questa fu l'idea precisa che prese corpo.

Mentre il medico stava ancora organizzando un concetto di risposta Ria, ieratica come Pio IX, si voltò verso Dominic e gli comunicò la seguente: “Adesso, vorrei il gelato al lampone.”

Dominic sussultò sul posto, preso in contropiede, e si ritrovò addosso otto occhi indagatori in attesa di una reazione qualunque.

La reazione qualunque fu: “Vado immediatamente.”

Mentre Dominic si rendeva utile al sociale, Lady Marylin azzardò una domanda pleonastica.

Scusami, Ria.”

Ria si voltò meccanicamente verso di lei. Trasudava determinazione e forza di vivere come Jean Claude Vandamme, e incuteva leggermente soggezione.

Ma Lady Marylin aveva avuto modo di dimostrare al pubblico e alla vita di essere fatta di una lega di ferro particolarmente resistente agli urti.

Vorrei sapere qual è il tuo problema ematico.”, incalzò.

Il medico aprì bocca, ma gli riuscì a stento un sospiro rotto, dato che Ria lo interruppe in corner.

Un problema di lentezza della produzione di nuovi globuli rossi. Insieme all'emicrania, l'eredità più consistente che io abbia ricevuto da mio padre. Niente di grave, comunque, a meno che uno non si trovi nell'eventualità di dover donare un po' più di mezzo litro di sangue al proprio ingrato e demente, nonché adultero, compagno.”, ma lo disse con una dolcezza tale che la signora Marylin le sorrise maternamente. Ogni parola, incluse “ingrato, demente e adultero”, era intrisa di una tenerezza lacerante.

Matt, comunque, era molto migliorato. Stavamo solo attendendo che si riscuotesse dal torpore farmaceutico e ci manifestasse la sua presenza vigile.

Signora Bellamy.”, starnazzò un'infermiera in crisi irrompendo nella stanza, salvo ghiacciarsi alla vista di Matt ancora incosciente.

Sì?”, rispose Lady Marylin.

L'infermiera si spazientì come se avesse a che fare con un'equipe di deficienti, e aggredì la madre di Matt con un sibilante: “Non lei, l'altra.”

Ria si schiarì la voce, congedando il medico con un gesto della mano.

Non sono la signora Bellamy.”

L'infermiera assunse un'espressione corrucciata e confusa.

Lei non è Ria Bellamy?”

Sono Ria, non sono Bellamy.”

Sbuffarono.

Senta, c'è una persona che la vuole vedere.”

Ria, svolazzando nel pigiama corto coi ricci allegri, si aprì un varco nella piccola folla di medici, infermieri, amici e parenti con un gesto della mano, e guadagnò l'uscita dalla camera d'ospedale.

Quando tornò, alcuni minuti più tardi, stava suggendo da un cucchiaino un gelato al lampone. Completamente priva di qualunque espressione, si acciambellò nella poltrona adiacente il letto di Matt come un gatto esausto.

Dominic mi omaggiò di una carezza ai capelli, quindi disse: “C'era Lily che voleva parlarle, fuori.”

La mia risata iniziale si tramutò velocemente in un risentito sospiro scandalizzato.

Per dirle cosa, esattamente?”

Non ne ho idea. Hanno parlato tra loro, in disparte.”

L'espressione di Ria?”

Cordiale e affabile, come sempre. La conosci, non si demoralizzerebbe nemmeno se le dicessero che tra sette minuti muore.”

E perchè...?”, mi arrischiai a domandare.

Perchè avrei dovuto avercela con lei, se di me e Matt non si sapeva niente? Non ne sapevamo niente neanche noi per primi, con ogni probabilità.”

Naturalmente, come è caratteristica precipua di Ria, io non ho il tempo di pensare che lei è già avanti di se sette passaggi.

In quel momento di alta poesia, Matt si sfilò platealmente il respiratore con il braccio sano, gettando uno sguardo acquoso e farmaceutico a Ria, seduta accanto a lui.

Ciao, bambina.”, disse.

Ria non si scompose.

Ciao, tesoro.”

Si chinò a baciargli una tempia, gli accarezzò i capelli e suonò il campanello per l'infermiera.

Questa tacchettò dentro la stanza, affacciandosi di tre quarti a vedere cosa stesse succedendo.

Sì?”

Il signor Bellamy si è svegliato, vuole per cortesia chiamare il medico?”

Certamente, signora Bellamy.”

Un'altra volta.”

Matt attrezzò un sorriso.

Signora Bellamy?”, articolò a fatica.

Sì, non è colpa mia, sto cercando di dissuaderli ma sembrano abbastanza cocciuti, questi infermieri.”

Gli sorrise dolcemente, e gli rimise a posto il respiratore.

Hai due costole incrinate, una frattura scomposta a tibia e perone, la spalla lussata e un lieve trauma cranico, ritengo sia il caso che continui a tenerlo per un po'.”

Matt poggiò la mano del braccio sano su quella di Ria, che si era lievemente collocata sul suo petto. Ben attenta a non fargli male, si stese di fianco accanto a lui.

Io e Dom sorridemmo, facendoci ancora una volta la stessa domanda all'unisono.

Come si chiama tutto questo?

 

And I think it's gonna be a long, long time
till touchdown brings me round again to find
I'm not the man they think I am at home,
oh, no, no, no.
I'm a rocket man,
burning down this fuse up there alone.
(Elton John, Rocket Man.)

 

 

 

 

 

Ma Lucrezia Borgia?”

Sta bene, sta a casa.”

E ce la dobbiamo portare dietro, che la lasciamo a casa, muore, quella.”

Il giorno dopo, vagavamo come in trance per il cortile dell'ospedale. Io, Ria e Dominic.

Ria, finalmente, si stava fumando la sigaretta dei giusti e dei potenti.

Dominic, inconsapevole, aveva avuto l'irripetibile privilegio di vederla in azione. E vedere Ria fronteggiare una tragedia personale era sempre una grande lezione. Aveva una grazia, una grazia nel vivere, che è qualcosa che non ho mai ritrovato in nessun altro.

Ti ricordi il primo concerto dei Muse che hai visto?”

Tutte e due ci voltammo in sincrono verso la fonte della frase.

Dominic se ne stava lì, bello in un modo stravagante, con le mani in tasca, e non le staccava gli occhi di dosso.

Sorrisi.

E Ria allestì una frase destinata a riecheggiare per sempre nell'eternità dei ricordi.

Era inverno. Faceva freddissimo. Avevamo quindici anni a testa. L'assenteismo paterno non aveva reso difficile la partenza, ed eravamo sbarcate a Morgue Place in piena tempesta di neve. Era gennaio, una delle ultime date dell'Absolution Tour.
Arrivammo nella location del concerto già congelate in partenza, alla testa di una fila terrificante, e guadagnammo la transenna correndo con i polmoni perforati da un migliaio di aghi ghiacciati. Poi, accadde l'incommensurabile. Mi ricordo chiaramente che Matt con un acuto prima ha fatto vibrare il riflettore in alto a destra del palco, poi ha spaccato con l'onda sonora tre lampioncini di vetro appena fuori dai cancelli. Facendo venire giù sia l'arena che i deboli padiglioni auricolari di tutti gli ultrasettantenni nel raggio di quindici chilometri in ogni direzione. “

Dominic rise. “E poi cosa accadde?”

Io gli sorrisi. “E poi mi sono tagliata i capelli e ho perfezionato la tecnica alla batteria.”

L'occhiata che mi rivolse mi rifiuto di spiegarvela perchè odio le smancerie sentimentali, quindi la lascerò alla vostra immaginazione.

Di colpo, mi balza agli occhi un'immagine di Ria a Morgue Place la notte dopo il concerto che balla volteggiando per casa “I've been a bad bad boy” di Paul Jones, cantandola a squarciagola. Quella per me è, e sempre sarà, Ria.

Io...”, interviene Dom, ma Ria lo ferma mettendogli un dito sulla bocca.

Non lo giustificare, non si può. Ma io lo conosco, e mi sono posta il problema di capirlo. Non esiste nella sua testa il concetto di infedeltà, o almeno non è quello. Perchè è un uomo che ha fatto così tante esperienze che finisce sempre per annoiarsi. Quello che ha fatto lui, nella sua testa, è molto diverso da quello che ha fatto Dana. Dana lo ha tradito con i sentimenti.”

Infaustamente orgoglioso e intrappolato nei suoi ragionamenti solipsistici, Matt non saprà mai che ha scampato la morte per un dettaglio, perchè Ria ha chiesto a tutti di tacere. E perfino Marylin ha capito che non si dovrebbe mai sentirsi vincolati a qualcuno perchè glielo devi, non perchè vuoi, e ha giurato il silenzio. E ha compreso che Ria non era solo una bella ragazza, ma anche una persona che sa come si sta al mondo.

Poi, con un sospiro che durò due decenni, Ria sorrise a tutti e stagliò una nuvola di fumo azzurro contro il cielo di Londra.

Dominic, con un'occhiata in tralice, mi implorò di delucidarlo.

Mi avvicinai circospetta a lui, e sussurrai al suo orecchio.

Mi strinsi nelle spalle.
“Fondamentalmente è una donna imbattibile perchè è una donna misteriosa.”

 

Matt uscì dall'ospedale otto giorni dopo, dolorante ma integro.

Il bilancio finale, mentre lo portavamo fuori dall'edificio, era: una braccio immobilizzato, una gamba ingessata, una serie interminabile di tumefazioni, bottarelle e lividini.

Mi raccomando, deve stare a riposo per un paio di settimane.”

Matt, in tutta risposta, gli sbuffò in faccia un risentito “Sì sì.”, tanto che pure il medico si accorse, vagamente, che il poliedrico genio della chitarra che aveva premurosamente curato lo stava prendendo per il culo.

Mi raccomando a lei, signora Bellamy.”

Eh, vabbè. Arrivederci.”, rispose Ria, disturbata da quel ripetuto rivolgersi a lei come moglie di Matt.

Ma non stava parlando con lei.

Il dottore e la signora Marylin, alla quale il medico si era in realtà rivolto, si sorrisero con l'aria di chi la sa lunga.

 

Look, I'm still around.

(P!nk, Fucking Perfect)

 

Bevilo.”

Mi fa schifo.”

Matt. Non fare i capricci.”

Matthew Bellamy, mollemente adagiato sul divano della sua residenza londinese, creava problemi ininterrottamente da settantadue ore rifiutandosi di assumere i medicinali.

Ria, la cui pazienza non aveva mai presenziato alle riunioni di condominio, si stava appellando a Freddie Mercury alla ricerca della forza di affrontare con coraggio la situazione.

Tutte le sere scendeva e andava a piedi fino al Garden Lodge e ritorno.

Matt fece una smorfia e si rassegnò a mandare giù il denso liquido arancione.

Poi, porse il bicchiere a Ria, con l'aria di chi doveva, come minimo, ricevere un bacetto per la buona riuscita dell'operazione. Lei prese il bicchiere e gli stampò un bacio a fior di labbra, poi sparì oltre la porta della cucina, portandosi dietro il suono squillante di un campanello a otto livelli.

Andai ad aprire.

Guarda un po' cosa ci ha portato in dono il gatto.”

Ciao, Bliss.”

Billie Joe portò sé stesso e l'eye-liner al piano di sopra, per salutare Matt e farsi ragguagliare sulla situazione.

Ci raggiunse poco dopo in cucina.

Sono venuto da Los Angeles a Londra per prendere un caffè. Non me lo offri?”, apostrofò Ria, che lo abbracciò sorpresa e felice.

Ciao, tesoro.”, gli disse, mettendo su un'ipotesi di caffè.

Che ci fai qui?”, gli chiesi, sospettosa.

Ho pensato che vi servisse qualcosa.”

Non ci serve niente, cosa sei, un rappresentante della Folletto?”

Si strinse nelle spalle.

Sono in pausa dal tour, e ho pensato che qualche giorno in giro per l'Europa mi avrebbe aiutato a staccare. Poi, quando ho saputo di Matt e che tu eri qui, ho pensato che la mia presenza si rendeva assolutamente necessaria, così ho cambiato i piani.”

Tu hai cambiato i piani? Tu, che sei così abitudinario da essere aggredito dalla paura di cambiare anche le mattonelle del cesso?”, lo punzecchiai.

Mi sorrise. “Ria aveva bisogno di me, immagino. Ci vuole un uomo, in queste situazioni.”

Io e Ria ci scoccammo un'occhiata saggia. E quando mai avevamo avuto un uomo a fare l'uomo al posto nostro, quale che fosse la situazione?

Ad ogni modo, gli sorridemmo con cortesia.

Già che sei qui, puoi prenderti Dominic e andare a prendere cinese take away? Non credo ci sia qualcosa di commestibile a casa di Matt, a parte il criceto che abbiamo trasferito stamattina. Anzi, guarda, prendi cinese anche per il criceto.”, disse gioviale Ria, tendendogli fraternamente una tazzina di caffè.

Billie sorrise. Piuttosto bello, come al solito.

Emigrammo in salotto.

La tua altezzosa e irascibile ragazza mi spedisce a prendere da mangiare.”

Matt gli sorrise benevolo, Ria saltò alla parola ragazza, ma tacque.

Dominic, vieni con me?”, chiese ancora.

Dominic si stava attrezzando per rispondere, ma Chris lo anticipò, dicendo: “Vengo io.”

Billie sorrise. “Bene, allora a dopo.”

Quando furono usciti, Matt si tirò un po' a sedere sul divano.

Intanto, due domande sorgono oggi a Covent Garden: 1) Come cazzo ha fatto a sapere dell'incidente?, 2) Cosa cazzo ci fa qui?”

Io risi, divertita. “Matt, tranquillizzati che ti sale la pressione. Ha detto che Ria aveva bisogno di lui, immagina, perchè ci vuole un uomo in queste situazioni.”

Un uomo? E io cosa sono? Un carciofo?”

Tu sei invalido, Matt.”, mi permisi di fargli notare.

Ma chi lo conosce! Io non lo conosco. Tu lo conosci?”, disse, spostando lo sguardo su Dominic, che represse una risata scuotendo la testa.

Mio Dio, il regno della follia dei cantanti rock si è abbattuto nel salotto di casa Bellamy proprio davanti ai miei occhi dopo vent'anni di silenzio, noia e il criceto fesso e noioso che ci siamo comprate per sopperire alla mancanza paterna.

Al che Ria si collocò sulla punta di una sedia e portò le mani sulle ginocchia, densa di iniziative e aforismi sulla saggezza.

Matt, dubito che spunterà Trè da un momento all'altro, se è questo che temi.”

Matt si voltò robotico verso di lei, addolcendo lo sguardo.

No, è che detesto le incursioni di estranei in casa mia.”

Allora uno evita di farsi investire e di mettersi in condizione di farsi aiutare.”

Si sorrisero, incomprensibilmente complici come al solito.

Ria si alzò, per andarsi a mettere accanto a Matt, stringendosi a lui su quel divano enorme.

Quando lui si lasciò sfuggire un gemito per un movimento poco accorto fatto per spostarsi e farle posto, lei, soave, disse: “Ancora uno sforzo, tesoro, dentro questa vita lunghissima.”

 

Alfredo? I panini al latte erano troppo cotti.”
(Mia madre e il panettiere,
alle prese con questioni di ingegneria gestionale)

 

 

Chiusi la porta della stanza da letto con uno sguardo comprensivo. Ria e Matt si erano addormentati vicini, e su di loro il peso sbagliato, fuori tempo, delle responsabilità in anticipo. Quelle che si erano dovuti accollare troppo giovani per badare a sé stessi, ritrovandosi a dover badare anche al resto. Erano così simili, ma così simili che saperli insieme sarebbe stata una dolorosa meraviglia per qualunque padreterno.

Raggiunsi Dom fuori al terrazzo, e gli sfilai la sigaretta dalle labbra.

Chissà se questa ossessione comune per i terrazzi aveva un qualche significato psicologico inconscio.

Come stai?”

La domanda più vecchia del mondo fatta a bruciapelo assume toni di minaccia, di quando in quando.
“Sto bene. Tu come stai?”
Mi sorrise, mi abbracciò e mi poggiò un bacio lieve sulle labbra.
“Confuso.”
Clarity, peace, serenity.
I hope you know that this has nothing to do with you, it's personal, myself and I, we've got some straightening up to do.

“Dom...”
Non so quanto ci eravamo detti, se troppo o troppo poco.

Però so che niente tra noi poteva funzionare.
Niente, né con la buona volontà né con la grazia di un miracolo.
“Ria sembra così inarrivabile, a volte. Nel suo modo di pensare, nelle spiegazioni che non dà e forse dovrebbe.”, mi disse, tanto per cambiare argomento.
Sbuffai, in una nuvola di fumo e sottintesi.
“E' perchè le vere regine se ne fottono dei sudditi.”
Mi tornò in mente la conversazione che ebbi con lei sull'aereo che ci avrebbe portato a Londra.

Ria mi aveva guardato, voltandosi impercettibilmente sul sedile: "Scegliere consapevolmente il marcio di fronte al sano, devo ancora capire che senso abbia."
Le avevo sorriso, comprensiva:"E' autodistruzione che certi cretini scambiano per sprezzo del pericolo. Ma tu non sai quante volte la gente confonde concetti confinanti, ma diversissimi tra loro."
"Del tipo?"
"Umiltà e mancanza di dignità, conseguenze ed effetti, deduzione logica e realtà dei fatti."
"Ho capito parzialmente."
"Io forse ho capito del tutto, ma non ho idea di cosa farmene."

 

Localizzai un pensiero a metà strada e lo espressi: “E' che nessuno sa davvero affrontare i demoni, sai, Dom. Tutti fanno tanto i risoluti e i sensazionalisti davanti ai propri problemi, e al massimo finiscono per lamentarsi sottovoce con un nemico imprecisato e variabile. La vita, la gente, il destino.”

Dominic si voltò a guardarmi come se avessi appena svelato il terzo segreto di Fatima.

Mi strinsi addosso a lui, e mi fece il favore di abbracciarmi forte.

E' strano.

Un'intimità di ghisa, quella di noi quattro, con una forza di resistenza al tempo e alla lontananza, all'ovvio e al consueto, all'improbabilità che due musicisti possano creare un legame di un qualche valore antropologico con due groupies e a tutte le contingenze impossibili del destino.

Un'intimità infrangibile.

 

Se è vero che ad ogni rinuncia corrisponde una contropartita considerevole
privarsi dell'anima comporterebbe una lauta ricompensa.
(Carmen Consoli, L'eccezione.)

 

 

 

 

Scusate il ritardo.

E grazie.

Grazie.

Innanzitutto, alle quindici impagabili fanciulle che hanno reso il capitolo 9 il più recensito della nostra storia. (cit. Nishe – e gli interminabili sfottò al buon Bieber -, Denni – è un onore finire sul tuo diario, tesoro -, Erii – non so descriverti. Sono fiera, felice e confusa di aver reso bene i Muser. Grazie, perchè mi hai provocato il sorriso più bello del 2010-, Camy – Il profumo di Ria... <3- , Maya – hai reso perfettamente. E io sono arrossita.- , G. - Grazie a te, di ogni sillaba.- , S. - La recensione era perfetta. E visto il delirio che ho in testa, è possibile che la fanfic non finisca mai davvero.- , Manu – ancora <3-, Roby – Sono le tue parole ad essere straordinarie. E' bellissimo il modo in cui mi immagini.- , Piuma – Complazie. Esiste vocabolo più bello? P.S. Controlla la casella mail di EFP.-, Lady – Spero di continuare a fare ciò che faccio, Lady. Le tue recensioni sono sempre un piccolo miracolo.- , BF93 – Eccoti accontentata piccola, Bliss e Dom su un piatto d'argento proprio. -, Fede- “Quando si parla di sentimenti è facile scrivere cazzate, e tu non ne scrivi”. Ti ho amata indiscriminatamente per questa frase, che è insieme una rassicurazione e un complimento inquantificabile. Grazie. -, Leni – Sono felice che tu sia stata felice. , Guild. - Tu sai.-)

Sono stati giorni di asfissiante e sistematica follia in cui niente è rimasto al proprio posto, e tutto si è rovesciato al contrario come in un brutto quadro svedese. Mi sono ritrovata a dover fare le pulizie di primavera con un po' d'anticipo.

Questo capitolo è raccontato dalla vostra adorata Bliss, perchè lo dovevo alla mia inossidabile, incrollabile migliore amica, al cui cinismo esistenzialista e alla cui ironia tagliente ho attinto senza riserve per creare questa ignobile e utilissima testa calda.

Si intravedono i contorni sfocati di un sentimento inappellabile che la lega a Dominic, ma sapete, loro due non sono molto bravi con i sentimenti di un certo tipo.

Il motivo per cui ho fatto investire Matt da una macchina mentre camminava a Covent Garden per il momento vi resterà oscuro, ma anche questo avrà il suo buon seguito, state tranquille.

Questo capitolo volevo dedicarlo agli amici. Ai miei, ai vostri, a quei pochi che vi rendono la vita migliore e non si voltano al primo accenno di intemperie. A quelli che vi difenderebbero con il furore delle armi, se fosse necessario.

Ho la testa che mi scoppia, due esami in avvicinamento, una partenza per Milano da pianificare. A febbraio, se vi interessa, mi farò sotterrare nel parco antistante casa della mia migliore amica con alcune bustine di tè e due kinder cereali. Potete venire a farmi compagnia, se vi fa piacere. In attesa della morte per asfissia, possiamo parlare di malgoverno, mezze stagioni, massimi sistemi, Muse.

Spero che le vostre intelligentissime fronti siano raggiunte dallo schiocco del mio bacio pieno di affetto e gratitudine.

A presto.

La, stressatissima, ma sempre vostra

Q.

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Capitolo 11
*** "Ritengo sarebbe saggio non far assistere il criceto a questa discussione." ***


Ai vent'anni di Guildenstern,
some couples never die.

 

Come “per sempre”, che fondamentalmente è uguale a “mai”.
(Dente, Sempre uguale a mai.)

 

Cielo, Eldariael.”

Stavamo facendo tutti colazione, inclusa cielo-Eldariael, sull'immenso terrazzo di casa Bellamy. La visuale di Londra avvolta dalla rada nebbia del mattino era di una bellezza struggente, e Matthew, passata con successo la settimana atroce del post-ricovero, si preparava ad altre due settimane un po' meno atroci, ma ugualmente noiose. Dopo aver risolto tutti i sudoku reperibili su suolo britannico, e aver ipotizzato e potenzialmente scongiurato qualsiasi minaccia aliena, politica, ambientale e fisica immaginabile dall'umana attività neuronale, cominciava a farsi avviluppare dalla noia che avanzava a larghe falcate lungo il corridoio della cucina.

Dominic sbadigliava vistosamente su una tazza di caffellatte come si deve, visto il provvidenziale arrivo del pacco celere macchinetta+zucchero+caffè direttamente dall'Italia con l'impagabile supervisione di Chichi.

Chris e Fiorellino avevano dispiegato due giornali, e di tanto in tanto sospiravano con poca convinzione all'indirizzo del mondo, diretto inevitabilmente alla malora.

Ma dove eravamo?

Ah, sì, “Cielo, Eldariael.”

Ci voltammo tutti in direzione della voce, e il nostro campo visivo fu investito in sequenza dalle seguenti cose:
1) Maria Dolores, la cameriera di Matt, in un costernato tentativo di sorriso, che gettava occhiate inquiete ora agli ospiti sopravvenuti, ora a noi seduti in cerchio al tavolino in ferro battuto.

2) Un giovane uomo molto alto e molto bello, con i capelli castani e ricci portati un po' lunghi, indisciplinati e ribelli, vestito in camicia, pantaloni scuri e gilet, che ostentava un espressione altezzosa, snob e indagatrice e un assurdo monocolo sull'occhio destro.

3) Una giovane donna minuta, con lunghi boccoli rossi che le incorniciavano il volto, enormi occhiali da sole con la montatura amaranto e un desueto vestito nero con alcuni nastri che le ricadeva fino a metà coscia, quindi degli stivali da cavallerizza che le fendevano il ginocchio.

Nessuno parlava.

Ria, intenta a sbucciare meticolosamente un mandarino, mollò il frutto in mano a Dominic alzandosi in piedi con un sorriso di incontenibile allegria.

Signori...”

I signori avevano abbandonato qualunque attività per fissare storditi l'inconsueta coppia, e annuirono come sotto shock per informare che stavano ascoltando.

I due fecero alcuni passi avanti, scavalcando con cortesia la cameriera.

Sono lieta di presentarvi Gregory Fleur e Malaga Walsh.”
Gregory Fleur e Malaga Walsh si produssero in un breve cenno del capo formale e distaccato.
“Gregory Fleur è un critico cinematografico.”, incalzai, con un sorriso nascosto dalla tazzina.

Continuamente colto di sorpresa dalla volgarità sesquipedale delle sedicenti star del cinema.”, aggiunse. Il suo tono di voce era ampolloso e distante, come me lo ricordavo, ma al tempo stesso, una nota carismatica e accattivante. Captivating è esattamente l'aggettivo che gli si addiceva. Aveva un solo possibile paragone: Oscar Wilde.

Malaga Walsh, invece, fa la scrittrice.”

Dom alzò impercettibilmente lo sguardo, incredulo.

Quella Malaga Walsh?”

Malaga stirò un sorriso compiaciuto al suo indirizzo.

Malaga Walsh era una delle più grandi scrittrici fantasy della sua generazione, definita dalla critica l'erede di Anne Rice, in perenne competizione con “quell'incapace e bizzarra capra di Stephenie Meyer”.
“Ho letto Easily Forgotten, era appassionante. Infinitamente meglio di Twilight.”, la lusingò Dom, afferrando al volo il suo sguardo oltre gli occhiali scuri, che si era abbassata provvidenzialmente per omaggiarlo di un'occhiata compiacente.
“Certo, non sono mica quell'incapace e bizzarra capra di Stephenie Meyer.”, chiosò la scrittrice.

Un po' di caffè?”, domandò Matt, prima di dare il via al giro di presentazioni.

Fleur e Mash, come concedevano di chiamarli agli amici, erano appena più grandi di noi. Facevamo orgogliosamente parte di quel tipo di persone che, giovanissime, avevano deciso di diventare, nel minor tempo possibile, quanto più simili gli riuscisse all'idea che avevano di loro da bambini. In ben poco, eravamo riusciti a crearci una vita da amare. Assurda, ma bellissima. Eravamo stati fortunati, anche.

Vedevo Matt cercare di stare dietro al ritmo di conversazione di Mash, Fleur e Ria, dipanandosi i dubbi su come potessero persone così giovani essere già, a modo loro, così adulte. Cercava di capire quell'odore di spazi aperti da dove provenisse, e comprese che, se lei scriveva per il Rolling Stone, non era certo perchè era carina e un'abile conversatrice. Lavoravamo tutti, una roba un po' bizzarra. I nostri coetanei non avevano neanche gli strumenti per avvertire il sentore del mondo in cui ci muovevamo noi. Infinita e misteriosa è la gamma delle cose che accadono nella vita a certe persone, ma c'è chi se ne fa affossare e rende l'ipocrisia il suo unico Dio, e chi invece le usa come leva per arrivare al cielo.

Una volta Ria disse che l'unica cosa che innalza davvero al cielo sono le macerie. L'unica base resistente. Tutto il resto era destinato a crollare alla prima raffica di vento, riportandoti violentemente al piano terra.

Spero non te la sarai presa per l'incursione, Matt. Ria aveva bisogno di noi.”, gli sorrise Mash, gli enormi occhiali da sole alloggiati in punta al naso e il caffè caldo in mano.

Matt le sorrise di rimando. “Figurati, ma ben presto mi toccherà aprire al pubblico la dependance, con tutta la gente di cui ha bisogno Ria.”

Billie Joe, per inciso, stava ancora dormendo.

Non è esatto.”, intervenne Fleur, poggiando teatralmente la tazzina sul piattino.
“Tu, avevi bisogno di noi.”, gli disse.

Matt lo guardò meravigliato.

Però, per qualche ragione, nessuno osò contraddirlo.

 

Il corso del giorno che scrosta parole
e cancella l'inchiostro
coi complicati pretesti del “come”.
(Perturbazione, I complicati pretesti del come.)

 

Come tutte le sere, calava la sera.
Dominic si affacciò alla vetrata principale, che dal salotto dava sul terrazzo.
Noi eravamo sparsi sul tappeto come tessere del domino, solo Matt, la gamba ingessata adagiata su un cuscino, torreggiava su tutti dall'alto dell'enorme divano marrone chiaro.
Fleur stava studiando la libreria, e Mash, seduta in un angolo accanto al camino, aveva messo un pantalone nero e una maglia dei Kamelot e leggeva assorta un libro di La Montaigne, seminascosta da due spesse trecce rosse.
Il tempo scorreva lento, ignorando le complicazioni, le persone e le idee, scandito da un grande orologio a muro che ticchettava inarrestabile e preciso. Eravamo morsi da un silenzio tranquillo e ovattato, come se all'improvviso ci fossimo ritrovati la vita imbottita di cusicini di piume. Innaturale.
Dominic, all'improvviso, diede a tutto una ragione.
Si voltò verso di noi.
Ria, stesa supina sul tappeto, percepì il suo sguardo sgomento e alzò gli occhi dai fogli che teneva davanti a sé, studiando tranquillamente un paio di centinaia di anni di letteratura inglese.
“Nevica.”, disse Dominic, senza alcuna particolare inflessione nella voce.
Ci voltammo tutti e sei, quanti ne eravamo: io, Ria, Matt, Billie, Fleur e Mash. Perfino Maria Dolores aveva lasciato la telenovela a metà per venire a dare un'occhiata.
“Come?”
Nevicava. In pieno giugno.
Lasciammo le nostre occupazioni per alzarci tutti, lentamente e in religioso silenzio, e guadagnammo la finestra.
Spessi fiocchi bianchi e una sottile nebbiolina occupavano tutto lo spazio aereo di Londra, un ammasso di sagome indistinguibili e rade dietro la coltre bianca e fumosa.
Pensai che valeva la pena esserci, ogni tanto, in un momento del genere. Poter dire “ero presente”, in uno di quei momenti di nessuna importanza e di enorme impatto emotivo in cui improvvisamente accadono cose insolite e bizzarre, tipo una nevicata una sera di giugno, o Ria e Matt che scherzano come fratelli nel backstage di un concerto.
Ma, appunto, è Ria quella brava in queste cose filosofiche.
Io no.
Io disegno, a limite.
E infatti fu esattamente quello che feci: presi il blocco e la matita, e disegnai.

 

Our trials and tribulations,
black holes and revelations.”
(L'alternativa di Bellamy alle speranze e le aspettative, Starlight.)

 

Mi ero rifugiata sul terrazzo secondario, quello sul tetto della casa, sotto una specie di piccolo gazebo chiuso e riscaldato.
Fumavo distrattamente, avevo il blocco sulle ginocchia, Enya nelle orecchie, e mi stavo dedicando anima, cuore e mani ad uno dei miei disegni più belli: Londra inghiottita dalla neve in pieno giugno.
Di sotto, dopo la cena a cui erano accorsi anche Chris e Fiorellino, si stava consumando una feroce partita a Trivial Pursuit. Si erano schierati letterati contro musicisti, mandando a carte quarantotto a forza di discussioni il salotto di casa Bellamy.
“Ci siamo lasciati.”, disse all'improvviso una voce, forzando la mia attenzione a spostarsi dal panorama alla stufa alla mia destra.
Billie Joe se ne stava in piedi, lo sguardo perso all'orizzonte.
“Come?”, chiesi, sfumando un tetto sul foglio con l'aiuto delle dita e di un po' di matita temperata.
“Ci siamo lasciati.”
“Perchè, stavamo insieme?”, gli chiesi, caustica.
Abbassò lo sguardo su di me, con l'ombra di un sorriso.
“Intendevo io e mia moglie. Sei sempre uguale.”
“Non vedo perchè dovrei essere diversa.”
Si strinse nelle spalle.
“Tutti cambiano.”
“Non tutti, controlla bene. Tutti crescono, questo sì.”
“E tu sei cresciuta?”
“Chiaramente.”
“E ti è servito?”
Sorrisi.
“Niente serve mai a niente.”
Mi sorrise anche lui.
“Non avevo mai notato quanto fossi cinica.”
“Non mi hai osservata bene, allora.”
Silenzio.
“Frank come sta?”
Sussultò leggermente a quella domanda su Trè, chissà come mai.
“Sta bene. Si è fidanzato con una delle nostre groupie, fidanzato stabilmente, intendo.”
“Capisco. Alla fine se n'è fatto una ragione.”
“Sembra di sì.”
Silenzio.
“Perchè sei qui?”, gli chiesi, tranquilla, senza staccare gli occhi dal foglio.
“Perchè ho pensato che Ria avesse bisogno di me.”
“Sì, e a questo può crederci giusto Ria, non perchè sia scema, ma perchè al momento è presa da altre faccende molto importanti che le portano via tutta l'attenzione.”
Tacque.
“Perchè io avevo bisogno di Ria.”
Soffiai via della polverina in eccesso dai contorni del disegno, squadrando il mio lavoro quasi ultimato con occhio critico. Mancava qualcosa.
“Questo, invece, è possibile.”, gli risposi, e poi lo ignorai completamente, lasciandomi assorbire dalla matita.

 

E improvvisamente gli anni contano di più
e le certezze vanno a ruba di ora in ora.
(Perturbazione, Nel mio scrigno.)

 

Gail Sloatman.”
Il salotto era un colorito viavai di vino e risposte colte a domande contorte.
L'unico sobrio, suo malgrado, era rimasto Matt, che non poteva assumere alcol per via dei farmaci. Io, che reggevo bene, gli facevo discretamente compagnia, a gambe incrociate sul tappeto davanti a lui.
Ria faceva la spola tra la cucina e il divano, portandogli sigarette, fazzoletti, medicine, banane. Soprattutto banane.
Gli accarezzava la testa e lo baciava dolcemente di quando in quando, non un'ombra di rancore nei suoi occhi per l'offesa ancora rimasta impunita, senza neanche il beneficio di un mea culpa o un chiarimento. Non ne avevano mai parlato.
“Parlavo con te.”
Fleur beveva whisky liscio appollaiato su una poltrona in un angolo. Anche in abbigliamento da casa, permaneva il suo adorato monocolo e il suo impassibile aplombe d'altri tempi.
Ria si voltò verso di lui.
“Sai chi è Gail Sloatman?”
Gli sorrise, condiscendente.
“Certo che so chi è.”
“Bene. Tu ne sei la perfetta sintesi moderna. Se uno dovesse mai ritrovarsi a fare un parallelo guardando indietro nel passato, l'unico calzante a cui riesco a pensare è Gail Sloatman. E la sua ebete devozione per Frank, mista a una straordinaria intelligenza densa di contrasti e sofferta, molto, molto sofferta.”

Il chiasso si era acquietato all'istante, e la voce suadente e bassa di Fleur aveva rapito l'attenzione di tutti.
Dom scorse i volti con gli occhi, accorgendosi, come me, che Mash sorrideva distratta bevendo Jack Daniel's.
“Chi è Gail Sloatman?”, chiese.
Io lo sapevo bene, e sorridevo. Lasciai però a qualcun altro l'incombenza di una risposta.
Ria seguì con gli occhi i movimenti di Chris che attizzava il fuoco nel camino, e disse, dolcemente: “Gail Sloatman è una delle più importanti groupie che la storia ricordi. Lavorava al Whisky a go go di Los Angeles negli anni sessanta, faceva la manager. Ovviamente, nessuno la conosce come Gail Sloatman. Quelli che se la ricordano, la ricordano come Gail Zappa. La seconda e ultima moglie di Frank Zappa.”
Fleur le gettò un'occhiata significativa.
“Hai avuto la possibilità di essere diversa.”
“Ho scelto quel che ho scelto, Fleur.”
“Mi ricordo una bambina piena di idee, senza una sola paura. Neanche dei ricordi.”
“I ricordi mi fanno coraggio, più che paura.”
“Testarda.”
“Ho scelto il mio cammino.”
“Hai scelto di vivere con difficoltà tecniche fuori dalla portata degli esseri umani.”
“Magari dovresti rivedere le tue posizioni, la mia vita fino ad ora è stata quel che è stata perchè sono stata capace di reggere il ritmo.”

Credo che tu abbia diffidato te stessa dall'affrontare la normalità. Non sai vivere in un contesto normale. Stai bene solo in un continuo viavai di estremi, e questo non è sano.”

Eravamo tutti ipnotizzati da quel singolare ping pong.

E lo dice che non è sano, scusate?”

Gregory Fleur era quel tipo di persona che, quando riteneva qualcuno un idiota, non riusciva ad esimersi dal renderlo partecipe della cosa.

Io lo dico, Dominic.”, disse, gettandogli un'occhiata di gelida sufficienza. “E sai perchè lo dico? Perchè io sono uno dei suoi più vecchi e cari amici, perchè ritengo che noi siamo responsabili delle persone a cui vogliamo bene. Tu no?”

Il salotto piombò in un silenzio catatonico.

Vieni qui.”. Un sussurro appena accennato, con una punta di livore.

Ria si alzò da terra e si stese accanto a Matt. Qualcuno abbassò le luci, creando un'insostenibile atmosfera.
“42 anni fa Jimi Hendrix portò la rivoluzione in Italia. La portò con una piccola serie di concerti, i roadie e le groupies.”, intervenne Mash, alzando gli occhi dal suo libro.
Io e Ria ci sorridemmo.
“La mia sorellastra”, disse Ria, “l'abbiamo sempre chiamata Splinter, “scheggia”, perchè da bambina aveva iniziato dal niente a suonare il basso con invidiabile padronanza dopo essere stata folgorata da John Paul Jones, il bassista dei Led Zeppelin. Dopodichè, scoprì Jaco Pastorius e la perdemmo completamente. Stava ore a suonare il basso, con sua madre che la fissava, attanagliata dal terrore. Ce l'aveva un po' segretamente con le rockstar, l'ex moglie di mio padre, ma aveva i suoi buoni motivi.”

Storie di vite interessanti rimbalzavano qui e là per il salotto, per cui l'attenzione di tutti, complici le luci basse, era catalizzata al centro del tappeto come se fosse l'occhio di un ciclone, e da lì si disperdeva a raggio, colpendo di volta in volta chi prendeva la parola.

Sua madre era una groupie?”, chiese timidamente Fiorellino, spostandosi sulla punta della poltrona.
Sorrisi, e mi accesi una sigaretta.
“Zia Pluggie una groupie?”, chiesi al nulla.
“Sì, penso che Pluggie possa considerarsi una groupie, in fin dei conti. Se non, una delle più grandi.”, intervenne Fleur.

Ci fu un vociare confuso e simultaneo: tutti, portati dalle intuizioni, stavano cominciando a fare calcoli febbrili.
“Calmi. C'è una complicata rete di parentele che è preferibile non sapere mai, quando si parla di me.”, disse Ria, ridendo.
Mi persi, di botto, in un ricordo circolare.

Eravamo piccole, forse tredici anni a testa, nella residenza estiva della madre di Splinter. Sembrava palazzo Pitti prima che lo radessero al suolo, ma era situata in una zona un po' infame, sapeva di set di Amytiville Horror. Aveva un salone enorme, arredato in stile barocco, e noi tre, ragazzine rockettare con un'inguaribile indole guerrafondaia, stonavamo tremendamente con le tende in broccato beige. Ria ballava sempre, nei miei ricordi, e anche quella volta stava ballando da sola, cantando, Walk the Line di Johnny Cash.

Chissà poi perchè.

...e in sintesi non credo che io e te potremmo mai stare realmente insieme.”

Mi riscossi di botto, e cercai di identificare la fonte dell'affermazione.

Ria stava in piedi davanti al divano, e Matt si era tirato su impercettibilmente.

Ne convengo.”, disse, asciutto.

Ho smarrito parte della conversazione, vi dispiace ricapitolare velocemente?”, intervenni, ma fui sistematicamente ignorata.

I dieci minuti successivi ci fu un arsenale di silenzi e sparizioni. Chris e Fiorellino andarono via salutando in modo generico, Fleur e Mash si congedarono per la notte e Billie si dileguò sgusciando via furtivamente. Restammo in quattro, più la cameriera e il criceto.

Ria e Matt si scrutavano come se cercassero le rispettive serrature, e io ritenni che c'erano almeno quattro elementi superflui in quella stanza.

Io, ehm...”, abbozzai, “Credo... Che...”

Nessuno mi calcolava.

Occhieggiai Dom.

Ritengo sarebbe saggio non far assistere il criceto a questa discussione. Portiamolo via.”, suggerii.

Dominic scoppiò a ridere, attirando per un secondo due sguardi al fulmicotone dai nostri amici in contesa, quindi si zittì e prese la gabbietta, scortandomi al piano superiore, verso una delle stanze degli ospiti.

L'ultima cosa che vidi fu la sagoma di Maria Dolores che si produceva in un veloce percorso a ostacoli per ritirarsi nelle sue stanze.

Ma in realtà, chi non se l'aspettava?

Reciprocità.

L'uno il più grande amore e la più grande delusione dell'altra.

Perfetti, insieme.

Più tardi, rigirandomi nel letto, sentivo i passi di Ria sul terrazzo. Era accaduto l'irreparabile, se ne sentiva l'odore.

Neanche stavano insieme, e si erano già sepolti.

 

L'amore che strappa i capelli è perduto, ormai
non resta che qualche svogliata carezza
e un po' di tenerezza.
(Dicevano De Andrè, Battiato, Vecchioni e chissà quanti altri.)

 

Restai seminascosta dietro l'anta della portafinestra che dava sul terrazzo superiore.
Erano le quattro e trenta del mattino.
“No, Dominic.”
C'era una sfumatura dolente che ghiacciava il sangue nelle vene. Quella sofferenza nella voce di Ria era di una precisione millimetrica, veniva da lontano e si stendeva come un velo su tutta la città, piegata in due da una neve inspiegabile.
“Ma perchè no?”
Perfino Dominic perdeva il solito aplombe. Ria lo lasciò sospirare in silenzio, mentre, ne sono sicura, si mordeva il labbro inferiore nel tentativo di non scoppiare.
“Non è neanche il fatto che sia stato a letto con lei. E' quello che ha detto.”
“E cosa ha detto?”
Ria tacque.
La conversazione si era esaurita lì.
La mattina dopo, Dominic si alzò per trovare Matthew seduto in salotto con gli occhi fissi nel niente e un bicchiere di qualcosa di decisamente troppo forte per le circostanze.
“Sta arrivando Lily.”, lo informai a bassa voce, salutandolo sulla porta.
Annuì, un po' incerto, e io gli sfiorai le labbra con le mie.
La vecchia automobile di Fleur, un'enorme Bentley d'epoca nera, già rombava al pianterreno.

Ria si era chiusa in un infrangibile ripostiglio di silenzi e sguardi dolenti abilmente nascosti dagli occhiali da sole. Come sempre, invisibile a chiunque tranne che a me.
Di Billie, invece, neanche l'ombra.

 

Ma sarà la prima che incontri per strada
che tu ricoprirai d'oro per un bacio mai dato
per un amore nuovo.

 

Sono molto stanca.”

Ria ci omaggiò di esattamente tre parole, prima di svanire nella sua stanza, a Morgue Place.
Io, Mash e Fleur ci scambiammo un'occhiata eloquente.
“Lo sapevi già che sarebbe successo.”, mi disse Mash.
“Chiaramente.”, risposi, ululando per attirare l'attenzione di qualcuno. Che mettessero su un caffè francamente mi sembrava il minimo.

Suonarono alla porta, che Fleur aprì per trovarsi davanti Billie Joe e Lucrezia Borgia, in temporaneo armistizio.
“Sono passato a recuperare un attimo la simpatica bestiola a casa di Matt.”
“Come mai il criceto non ti sta abbaiando contro?”, gli chiesi, conscia del ben noto odio di Lucrezia nei confronti del nostro amico.
“Sospetto che anche lui sia avviso della gravità della situazione attuale. Abbiamo discusso e abbiamo convenuto che era il caso di cessare le ostilità, per il momento.”, mi rispose, strappandomi un sorriso. Il criceto mi fissò in maniera poco intelligente. Lo tirai fuori dalla gabbia, constatando che era obeso, lo misi nel giardino zen e gli diedi una pacchetta sul culo, incoraggiandolo a gironzolare entro il recinto.

Fleur si appollaiò signorilmente sulla poltrona, sistemandosi il monocolo.
“Ogni cosa finisce.”, constatò.

Sì, ma di solito finisce dopo essere iniziata.”, commentò Mash.
“Per dire la verità, nessuno sa con precisione il decorso della storia tra Matt e Ria, fuorchè Matt e Ria. Questo ci pone in una situazione piuttosto scomoda.”, intervenni, afferrando il cordless e componendo un numero apparentemente a casaccio. Nessuno rispose. Meglio così.

Billie tornò con alcuni caffè, che accogliemmo con un entusiasmo giubilare.

Sta dormendo.”, ci informò, riferendosi a Ria.

Io dubitavo fortemente, ma comunque.
“Passeranno anche questi giorni interminabili.”, disse Mash, sorseggiando caffè italiano fatto da un americano in una tazzina svedese.
“Quindi è stato a letto con Lily Allen?”, domandò Billie, guardandomi.
“Così pare.”
“E non si era capito, prima?”
“Certo che si era capito.”, sbuffai, “Ma è chiaro che sono sorti altri problemi dei quali non siamo a conoscenza. Altrimenti non saremmo qui dove siamo. Non è che Ria cambia sei volte idea in due settimane. Soffre di molte turbe psicologiche, ma di certo non è schizofrenica.”
Silenzio.
“E tu non puoi indagare?”, mi incoraggiò Billie.
“Mi pare ovvio che indagherò, ma certo non verrò a riferire cosa scopro a te.”
“Sei antipatica.”
“Se preferisci.”, chiosai, dando un ultimo sorso dolorante a quello schifosissimo caffè.

Sarà colpa dello specchio che riflette l'altro uomo, quello che vedevo allora
quello che mi ha fatto un mucchio di promesse, e non è stato di parola.
(Roberto Vecchioni, Non amo più)

 

Passarono giorni prima che Ria si decidesse a parlare.
Stava tutto il tempo nella sua stanza a scrivere, usciva per pranzo, per cena e per il tè del pomeriggio, e conversava amabilmente con tutti, come se nulla fosse accaduto. Qualche volta uscivamo la sera, andavamo in un pub o a passeggiare. Chiamavo Dominic ogni due giorni per sapere come stesse Matt, e come stava lui.
Finchè, tre settimane di oscurantismo mi parvero abbastanza.
Dopo una nottata fuori, eravamo tutti andati a dormire un po' dopo pranzo per recuperare lucidità.
Quando Ria si svegliò, feci in modo di farmi trovare lì insieme a una tazza di tè.
“Ciao.”, dissi.
“Ciao.”, mi rispose.
“Matthew Bellamy è il tuo equivalente emotivo della peste del '48.”

Mi lanciò un'occhiata in tralice, stropicciandosi un occhio, e non rispose.
“Si può sapere cosa ti ha detto di tanto grave? Io ero distratta, ma gli altri erano tutti presenti e non si sono accorti di niente. Sono settimane che facciamo ricostruzioni dei discorsi in sala tentando di venirne a capo mentre non ci sei, tra poco chiamiamo anche Bruno Vespa e facciamo fare il plastico del salotto di casa di Bellamy.”
Continuò a guardarmi in silenzio.
“Lo so, dovrei essere più intuitiva, ma proprio non ci riesco. Sono un'amica degenere, ti autorizzo a buttarmi nel sacco dell'umido.”
Finalmente, stirò un sorriso.
“No, tu sei perfetta.”, rispose, quindi diede un sorso alla tazza che le avevo appoggiato sul comodino. “Il tè, di contro, ormai è freddo.”
La squadrai, in attesa, quando finalmente si tirò a sedere, si accese una sigaretta e scostò il piumone arancione, scoprendo le lunghe gambe nude.
“In tutto il tempo in cui ci siamo frequentati, ha sempre visto altre.”
“Cosa dici.”
“Quello che ho appena detto.”
Non sapevo davvero cosa dirle.
“E l'ho capito da una cosa che ha detto quella sera. E Dominic lo sapeva, ma com'è giusto che sia ha fatto lo gnorri. Ma non è tanto il fatto che si scopasse altre, è che non me l'ha detto.”
“Che ti aspettavi? Un fax settimanale?”
Scoppiò a ridere, così, d'un tratto.
“Detesto le cose non dette, o dette a metà. La gente o impara a mentire o si rassegna ad essere trasparente. Non è che sia penosa l'omissione o la menzogna in sé, è il processo di deduzione e scoperta che lo è.”, mi spiegò, mandando ampiamente a fanculo millenni di trattati filosofici sull'importanza della verità e mettendo le cose come stavano, come di suo solito.
“Io, invece, in tutto il tempo che ci siamo frequentati ho sempre visto oltre.”
Mi era sfuggito un passaggio fondamentale.
“In che senso hai sempre visto oltre?”
Si strinse nelle spalle, soffiando via il fumo.
“Ho sempre guardato al di là di ciò che sapevo faceva. Ho sperato ci fosse della sostanza, sotto tutte queste sciocchezze.”
“Andare a letto con altre donne è classificabile come sciocchezze?”
“Certo che lo è. Ricordati di cosa stiamo parlando. Questa non è la vita, Bliss. Questa è una versione rivisitata in chiave di sol di quella che la gente chiama 'vita'.”
Le sorrisi.
“Stai bene?”
“Sto bene.”
“Te lo aspettavi?”
“Quanto te lo aspettavi tu.”
Diedi un sorso al suo tè, ormai diventato oggettivamente imbevibile.
“Cosa ne facciamo di Fleur e Mash?”, mi chiese.
“Ci penso io. Tu scava due buche in giardino.”, le risposi.
Scoppiò a ridere.
“Intendevo che non credo sia opportuno dargli spiegazioni di questo genere.”
“Potrebbero farti ricoverare, credo. E ne avrebbero pienamente ragione.”
“Perchè?”
“Pretendi che due dei tuoi più vecchi e cari amici giustifichino una serie inenarrabile di tradimenti ai tuoi danni da parte dell'idolo della tua infanzia?”
Sorrise di nuovo.
“Non sono i tradimenti. E' l'atteggiamento generalizzato che è sbagliato in un modo quasi clamoroso. Fossero stati solo quelli, credo saremmo potuti venirne a capo.”
“Sì, e convolare a giuste nozze. Senti, volevo vedermi Kill Bill. Ce l'abbiamo Kill Bill?”
“Il criceto è cardiopatico, non credo sia il caso.”
“Lo voltiamo verso il secondo televisore e gli mettiamo su la Melevisione.”
Balzò giù dal letto, infilandosi un paio di pantacollant neri al ginocchio direttamente sotto la maglia oversize con cui aveva dormito.
“Quand'è così”, disse, “Vada per Tarantino.”

 

Se si vuole valutare una spada di Hattori Hanzo,
bisogna paragonarla a qualunque altra spada non creata da Hattori Hanzo.
(Kill Bill, II)

 

Ria?”
“Zitta, che non sento David Carradine.”
Stavamo guardando tutti insieme Kill Bill, sparpagliati per il nostro, peraltro gigantesco, salotto, sui nostri tre, peraltro giganteschi, divani bianchi.
“Perchè?”
Ria si voltò verso Fleur, visibilmente contrariata, quindi sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Perchè è la vita, a volte va così, a volte diversamente, e non erano questi i piani. Gli avrei perdonato di tutto, purchè fosse stato onesto con me. Non lo è stato, si è ritenuto al di sopra di tutto, si è asserragliato nelle sue convinzioni e mi ha sottovalutata, dettando lui i parametri e decidendo lui cosa mi avrebbe fatto arrabbiare e cosa no, dimostrando così di non essersi posto il problema di capirmi. Lo ha fatto perchè è un solitario e un teorizzatore. Sì, lo amo, ancora e forse per sempre, sì, sopravviverò, grazie per l'interessamento e no, non sto piangendo tutte le mie lacrime abbracciata a un cuscino perchè non credo che abbattersi come se la vita non avesse senso sia né uno sfogo né un modo plausibile di reagire al dolore. Ci sono domande?”
Billie neanche staccò gli occhi dalla tv.
“Una sola.”
Ria sospirò di nuovo.
“Sì, lo avrei amato comunque, anche se fosse stato a letto con altre settecento donne, purchè si limitasse al sesso e basta, è chiaro.”
“Nessuna donna sopporterebbe questo.”, commentò Billie.
“Il che fa la differenza tra te e tutte le precedenti e successive donne che Matthew avrà nella vita.”, concluse secca Mash.
“E mi dà un'idea quantomai esatta del tuo valore intrinseco, punto di vista maschile slash maschilista.”, ne convenne Fleur.
Se si vuole valutare una spada di Hattori Hanzo, bisogna paragonarla a qualunque altra spada non creata da Hattori Hanzo, per l'appunto.
Sorrisi, mi scusai, e andai in terrazza a telefonare a Dominic.
Quella strabiliante nevicata aveva lasciato ormai poche tracce, consentendo all'aria rarefatta di farsi più tiepida e alla gente di posare i cappotti in quella che era la loro allocazione naturale al crocevia tra giugno e luglio.

Dom?”
“Bella?”
“Che aria tira?”

Un sospiro.
“E' arrivato l'invito.”
Sorrisi tra me e me. Probabilmente avrei rischiato l'omicidio per quell'iniziativa, ma ne sarebbe sicuramente valsa la pena.
“Ci sarà anche Jann Wenner, il gran capo in persona.”, commentai, con un pizzico di emozione. Wenner non l'aveva mai visto nessuno che non si trovasse agli assoluti vertici di ogni cosa nel campo editoriale.
“Chi si esibirà, oltre a noi?”
“I Green Day, i Placebo, sicuramente, e qualche altra band. Mi ha chiamato Mick Jagger, è stato piuttosto surreale.”
Rise.
“Allora ci vediamo lì.”
Tacemmo.
“Ria lo sa?”
“No, Ria non sa niente. Pensa che faremo una cosuccia casalinga, tanto per.”
Fissai Londra oltre il muretto. Il tre luglio si avvicinava a grandi falcate.
“Ci saranno anche mio padre, suo padre e rispettive mummie.”
Rise di nuovo.
“Non vedo l'ora.”
“A chi lo dici.”
“Sarà senza dubbio la festa del secolo.”
“Già. Speriamo solo di limitare il bilancio di morti e feriti.”
Sospirò forte, dall'altra parte di Londra.
“Speriamo.”, ne convenne.
Un gabbiano attraversò il mio campo visivo da parte a parte.
Mi chiesi dove saremmo arrivati.
“Non si sono sentiti, vero?”
“Non che io sappia.”
“Sono due coglioni.”
Mi accesi una sigaretta significativa.
“Puoi dirlo forte.”
Non sarebbe stato facile.
Però, conoscendoli, sarebbe stato spettacolare.
Se non potevamo risolverla, almeno l'avremmo chiusa con strabilianti fuochi d'artificio, come meritava. Perchè un amore così merita, non c'è niente da fare. Anche quando è negato. Anche quando è gestito male.
Anche quando è... finito. (?)

 

It ain't gonna hurt, now,
if you open up your eyes.
(Morcheeba, Otherwise.)


 

E davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme ad affrontare ogni impresa;
siamo come due foglie aggrappate sul ramo, in attesa.
(Francesco Guccini, Farewell.)

 

 

 

Siamo faticosamente arrivati alla fine di un capitolo, in tutti i sensi.
Non vi dico, ragazze.
Comunque, crescete in numero ed entusiasmo e questo mi lusinga e mi commuove: non ho ancora trovato le parole giuste per ringraziarvi di tutta questa meraviglia.
Siete la cosa migliore che possa capitare a uno scrittore, così appassionate e immense, profumate di spazi aperti e c'è un po' più di voi in ogni capitolo che scrivo.
I miei personaggi vi amano almeno quanto voi amate loro, e ne devono succedere ancora di cose, quindi tranquille, la fine è lontana. Lontanissima.
Le mie storie si scrivono da sole, per loro spontanea iniziativa, ogni tanto va a posto un tassello, una nuova situazione, è come se li sentissi parlare nel retro della mia mente, li ascolto con attenzione, cerco di essergli fedele sempre, quindi è loro che dovete ringraziare per la magia: non me, ma loro. Matt, Ria, Bliss, Dom, Fiorellino, Chris, Lucrezia Borgia eccetera, eccetera, eccetera.
Volevo peraltro informarvi, QUESTIONE ALTAMENTE IMPORTANTE E INFATTI E' SCRITTA IN STAMPATELLO GRASSETTO, che potete aggiungermi su facebook qui:
http://www.facebook.com/queenofsuperficial .
Presa da un ascetismo incontrollabile, ho disattivato il mio facebook personale, ma questo è stato creato apposta per voi, per avvertirvi degli aggiornamenti, chiedervi suggerimenti, spoilerare su qualcosina, sviluppare qualche progettino che ho in mente per la storia, discutere di tempo, malgoverno, ABBA, aromi del Twinings.
E ora, passiamo alle vostre splendide recensioni.

Mrs Jones: far volare un'ora di greco è senza dubbio un grande merito. Grazie per la dolcissima recensione, sono contenta che questi quattro smandrappati siano riusciti ad appassionarti così tanto, e spero che continuino così.
S. : mia cara amica, provvederò a regalarti Lucrezia Borgia quanto prima. A quando un libro, mi chiedi... A quando riuscirò a trovare una storia degna di essere raccontata e di portare il titolo ingombrante che mi tengo dentro da tutta una vita. La recensione è perfetta come sempre, e sappi che ti voglio bene anche io e ho preso ad aspettare le tue opinioni ad ogni capitolo, sei sempre una ventata di freschezza nelle mie notti scribacchine.
Excel : Tutta di botto? Caspita. Io tutta di botto non l'ho mai letta, ma sono contenta che evidentemente non è due palle! <3
Cee: Sono immensamente felice di averti fatta emozionare, e spero di continuare fino alla fine.
Denni: Non sei monotona, sei fantastica. E' un bene che si avverta il cambiamento, perchè è abbastanza epocale. Ma quanto sei bella?
Giulia: Molte, molte, molte, molte, molte etc. grazie! <3
BF93: Quattro volte? Accipicchia. E ora sono curiosa. Come li chiami tu gli animali? Comunque grazie di tutto. Sei splendida e ci sei sempre stata. Mamma, come suono banale.
Guild: Il migliore, detto da te, è una cosa di un certo peso. Devo dirti di quale peso?
Lady: Non sai quanto sei un miracolo, Lady, te lo garantisco e ti prego di fidarti. Il lupo crepiamolo. In eterno non lo so, ma un bel po' durerà sicuramente. Grazie. Grazie. Grazie.
Erii.: Hai capito ogni cosa. Grazie. E sì, ti farò sorridere per tutto il 2011 e se Dio ci conserva, anche oltre il 2012. Magari poi, che ne so, finisce il mondo. Ma state tranquille che anche il giorno dell'apocalisse ci troviamo una collina e leggo un paio di capitoli, in attesa delle trombe del giudizio universale. I love you. <3
N.: Sei una forza della natura, insieme a Justin Bieber. Ma come ho fatto a vivere vent'anni senza la tua ironia? E che ne so? E per dimostrartelo ti manderemo, per il tuo compleanno, Bliss, Lucrezia Borgia, mia madre, Alfredo e una fornitura vitalizia di panini al latte.
Rbd: Grazie per i Keane. L'ho ascoltata, e non ho potuto che darti ragione. Sei stata così splendidamente e incredibilmente precisa, che davvero non lo so. E comunque i criceti sono importantissimi ai fini di un corretto svolgimento esistenziale, renditene conto.
Piuma: Io che arrivo nel momento migliore è davvero una novità, ma sono felice, se è per farti sorridere. Credo di volerti bene anche io, sappilo. E grazie per tutto.
Roby: Special Needs? Oh porca miseria. Mi lasci senza parole. Grazie, tesoro. <3
M.: Non c'è niente che io possa scriverti utile a rendere l'idea dell'effetto delle tue parole. Sappi che mi è caduta una lacrima nel tè alla pesca, il che è quasi una tragedia. Grazie, dolcezza. E' un onore, riuscire a fare quest'effetto qui. <3

 

Ah ragazze, vedete che piove. Ritirate i panni.

Ci sentiamo su facebook!
Q.



 

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Capitolo 12
*** Blitzkrieg. ***


Al genio dietro Bliss Morrissey,
la mia migliore amica,
e ai nostri sei
-SEI-
anni insieme.

 

 

 

Alla nostra grazia nello scrivere versi senza forza, al non vivere,
al nostro per sempre, e ai nostri mai,
alle dipendenze, e allo stile che ci rende noi.”
(Baustelle, Cin Cin.)

 

 

No one can take it away from me,
and no one can tear it apart,
it may be elaborate fantasy,
but it's a perfect place to start.
Because a heart that hurts
is a heart that works.”
(Placebo, Bright Lights.)

 

 

Era troppo amore. Troppo grande, troppo complicato,
troppo confuso e azzardato e fecondo e doloroso.
Era tutto quello che potevo dare.
Più di quanto mi convenisse.”
(Almudena Grandes.)

 

Quell'uomo era altamente cancerogeno.

Solo a guardarlo, odorava di pericolo lontano otto miglia in tutte le direzioni.

Ti sei tatuata una mia canzone addosso, proprio sopra il cuore, potrò anche permettermi di peccare un po' di presunzione.”

Alzai lo sguardo su di lui, incrociando due iridescenti occhi azzurri.

Sono sicura che, se ci fossimo incontrati in un'altra epoca, saremmo stati una coppia bellissima. Beh, almeno saremmo stati una coppia.

Ma io ero la figlia adottiva di un'intera generazione rock che mi aveva cresciuta e istruita al peggio, perfino a un chitarrista atroce, bugiardo, stronzo, maledettamente affascinante.

Voglio tutta la verità.”, disse.

Detto da te, non so se ridere o chiamare aiuto.”

Sorrise, sbilenco, storto, maledetto il giorno in cui ho incontrato i suoi occhi al buio di un salotto e mi sono lasciata salvare da lui, adesso sono in debito, persa per sempre all'ombra di ogni suo movimento, costretta a delegare la mia felicità a quel suo infernale strumento a sei corde.

Io sono innamorato di te, Ria.”

Una pugnalata dritta al cuore.

Coprii il mezzo metro che c'era tra di noi, in realtà chilometri e chilometri di omissioni e alibi, e gli morsi le labbra, lo baciai, violenta e senza difese, con tutto ciò che avevo preferito, fino ad allora, non dimostrargli.

Gli afferrai la nuca, affondai le dita tra i suoi capelli e lui mi strinse i fianchi, attirandomi a sé, togliendomi il respiro, qualunque residuo di aria perso, succube di ogni sua cellula, come era giusto che fosse.

Mi staccai, spingendolo via.

Una lacrima di rabbia mi solcò una guancia, un piccolo corso d'acqua che scende lungo il pendio di una collina. Lento, preciso e inesorabile.

Il mio pugno colpì il suo petto prima che uno dei due potesse aprire bocca.

Io ho amato per la prima, unica e ultima volta in vita mia appena ti ho visto, Matt. Molto prima di conoscerti.”

Piangevo, ormai. A causa di/ grazie a, lui.

E non puoi venirmi a dire che sei innamorato di me. E' disonesto, ma tu sei disonesto, perchè credi di essere superiore a tutto, e invece sei solo un egoista. Un egotico e un egoista.”

Mi guardò, in silenzio.

Iniziò a nevicare di nuovo, lentamente e inaspettatamente, come si conviene a tutti gli eventi fuori dal comune.

Lo baciai di nuovo, con la stessa rabbia, con la stessa determinazione, come se quel bacio dovesse lavare via tutte le altre, ogni passaggio distratto per la sua vita. Loro che non lo capivano, non lo apprezzavano, non lo conoscevano mai davvero, e prendevano, prendevano e basta, dandogli indietro niente più che un placebo momentaneo, un palliativo, lasciandolo eternamente insoddisfatto, e solo, insistendo a psicanalizzarlo, a scomporlo, a condannarlo o assolverlo quando io volevo solo amarlo, nel modo più semplice del mondo e rispettando ogni sua assurda pretesa, ogni suo imbevibile difetto.

Poi mi staccai un'altra volta da lui, spedendolo, con una spinta, quanto più lontano da me riuscissi.

Le mie lacrime, loro sapevano esattamente dove si andava a parare.
“Non possiamo stare insieme, Matt.”
“Non c'è niente che io possa fare per...”

No. No, ti prego, non me la rendere impossibile. Dimmi che non vuoi rimediare. Che sei d'accordo. Che sai che non possiamo stare insieme. Non dirmi che cambierai, perchè ci crederei, ma tu non puoi cambiare, e mi faresti soltanto altro male.”
Ma io e lui siamo i sovrani del paradosso, e infatti ci stringemmo l'uno nelle braccia dell'altra, febbrilmente, come si abbraccia ciò che non vuoi lasciare, pur consapevole di non poter restare.
Affondai la testa nell'incavo del suo collo e mi lasciai cullare, respirando a fondo quell'odore di noi.

Matt...”
“Shh...”
Dio, quanto lo amavo. Non era quantificabile con nessuna unità di misura conosciuta al mondo. Lo amavo con tutta la gioia e tutto il dolore possibile a un sentimento del genere, mischiati e shakerati nelle dosi perfette, era davvero un peccato buttare via quell'opera d'arte. Certi amori sono come una maionese perfetta: non riusciresti mai a rifarla uguale, pur ripetendo passo passo il procedimento e usando tutti gli ingredienti normalmente usati nella preparazione della salsa. Il mondo intero adotta lo stesso processo e usa le stesse cose, ma a voi due, a voi due è uscita fuori, chissà perchè, la maionese perfetta. Proprio l'archetipo della maionese. Sarà stato un movimento particolare del polso, un pizzico di sale in più del normale, non ve ne siete neanche accorti, ma avete creato ciò che è impossibile trovare in natura: la perfezione. Ma perfetti significa mai. E infatti.
Gli afferrai la nuca e poggiai le labbra contro il suo orecchio, chiudendo gli occhi, masticando parole così difficili, così difficili...
“Ogni attimo”, sussurrai, “ogni attimo di ogni ora di ogni giorno di ogni mese di ogni anno di ogni decade, fino alla fine, io ti amerò così. Non di più, non di meno, in questo preciso, esatto modo di amarti che mi blocca il respiro e mi annega le idee. E ti sarò sempre grata per tutto quello che mi hai dato e non hai mai voluto indietro. Sei lo sbaglio migliore che ho fatto finora. Il più bello di tutti.”
Con una fatica immensa e grande quanto il mondo, poggiai la fronte alla sua e cercai i suoi occhi, lucidi di lacrime che non avrebbe mai concesso a sé stesso di versare.
Lo baciai, dolcemente, lentamente, in un silenzio rotto solo dai nostri respiri quieti, la quiete dell'addio, dell'incontrovertibile.
Non avevo mai sopportato gli addii rumorosi e confusionari, fatti di accuse e recriminazioni. Preferivo il silenzio inossidabile della colpa e del dolore, una nebbia rada che appannava la vista. Qualunque addio dovrebbe rendere giustizia alla bellezza di ciò che c'è stato prima, altrimenti vuol dire che ciò che stai abbandonando in definitiva non era poi un granchè.
Staccai lentamente le labbra dalle sue, avevo esaurito tutto il coraggio.
“E adesso cosa succederà?”, mi chiese.
Finalmente, per la prima volta in vita sua, Matthew Bellamy si era arreso. Lo apprezzai infinitamente.
“Adesso”, sussurrai guardando in basso, verso il suo petto, verso il suo cuore, “credo proprio che dovremmo fare l'amore.”
Alzai gli occhi in cerca dei suoi, di una risposta a quella domanda innocente.
Mi restituì uno sguardo.
Se avete mai sentito Jeff Buckley cantare l'Hallelujah, se avete mai assistito a uno sguardo perso nel vuoto, se avete mai notato qualcuno fermo all'angolo della strada che vi sembrava pieno, anche se è impossibile dire di cosa, allora sapete di cosa sto parlando. Era quella pienezza lì, una pienezza totalitaria che abbraccia tutti i panorami, le canzoni e le strade del mondo.
Gli presi la mano in silenzio, come lui una volta aveva fatto con me, e senza guardarlo lo scortai su per le scale. C'era una camera da letto dissacrata da troppe notti di sesso, e poche d'amore. Dovevamo pareggiare i conti. Perchè, anche se pur facendo l'amore le notti sarebbero state comunque numericamente inferiori, il nostro amore era così grande che valeva cento, forse mille notti di sesso, di questo sono sicura.
Nel buio completo, mentre Buckley mi cantava nella testa, portai piano le mani sul suo viso, disegnandone gli angoli a memoria. Fu una discesa lenta, piena di ostacoli. La fronte, le sopracciglia, gli occhi, gli zigomi, il naso, il mento... Lo sentivo respirare piano sotto il mio tocco gentile. Mi soffermai un po' sulle labbra, accarezzandole con la punta delle dita, che scostai, tenendole sempre lì, in periferia dei suoi lineamenti, per fare posto alla mia bocca. Una bocca non più arrabbiata, non più affamata di colpe e condanne, una bocca gentile, innamorata, sopra tutto il resto. Non ridemmo, né giocammo, smettemmo come abiti ormai usati e logori tutti quei comportamenti di complicità amichevole e fraterna che rendevano così singolare la nostra storia d'amore. Per una volta da che era stata creata l'equazione Bellamy-Montague, fummo soltanto due innamorati. Le mani si intrecciarono, i respiri si fusero, tutto di noi che toccava l'altro era niente di più che una lieve carezza, data con qualunque cosa potesse accarezzare.
Mentre, silenziosamente, si muoveva leggero su di me, senza alcuna voglia di sesso o soddisfazione, lo fermai bloccandogli il viso con le mani.
“Senza di te sarebbe stato tutto vano.”, gli sussurrai, mentre le lacrime mi attraversavano le tempie.
Qualcosa attraversò i suoi occhi, mentre poggiava le labbra sulle mie.
Quando il bacio finì, lo abbracciai forte, cullata da quel movimento che somigliava così incredibilmente alla marea, e in silenzio piansi, bagnandogli una spalla, tutto l'amore e il dolore del mondo.

 

Questo, mi aveva raccontato Ria con un fiume in piena bloccato di traverso in gola, era quanto accaduto la notte della grande separazione, successiva alla frase che nessuno era ancora riuscito a carpire da quella svagata conversazione a casa Bellamy, una notte di giugno in cui, peraltro, nevicava.
Ma ora, mi sembra doveroso spendere due parole sul narratore di questo capitolo finale del nostro flashback, se non altro per scusarmi dell'intromissione.
Mi chiamo Gregory Fleur, non ho sorelle, non ho fratelli, da tempo ormai non ho neanche più un fidanzato.
Ho compiuto venticinque anni per sbaglio lo scorso aprile, ed entrai nell'impero capillare del clan Montague ad appena sette anni. Mia madre fu una delle molte amanti del padre di Eldariael, di ben diciannove anni più grande di lui; una relazione che, come molte altre, sfociò in una sequela infinita di recriminazioni e piatti scagliati da parte a parte della cucina in una delle residenze del dottor Montague.
Quando le sue donne decidevano di averne avuto abbastanza di lui, inspiegabilmente, conservavano un amore materno per la sua unica figlia naturale, e tra le donne straordinarie di cui Ria ha subito l'influenza nel corso della sua giovane vita, c'era anche mia madre, una stilista londinese di indubbio genio: Vivienne Westwood.
Quando persi quasi del tutto la vista dall'occhio destro, fu lei a disegnarmi il monocolo che è diventato parte integrante della mia persona oltre dieci anni fa.
Ma ora basta parlare di me, qui non interesso a nessuno.
Vi interesserà, invece, il tre luglio. Data in cui, a distanza di un anno esatto, il Padreterno ha ritenuto di doverci omaggiare di due pilastri della civiltà occidentale: Ria Montague e Bliss Morrissey, nate lo stesso giorno, con gli stessi particolari e imprevedibili influssi astrali.
Per precisa volontà di Bliss, svestitasi del suo consueto cinismo da sfondamento per prendere, una volta, le parti dell'amore, con una settimana e mezzo di anticipo l'intera Londra si era mobilitata per allestire una festa straordinaria all'Hard Rock Cafè, visto che, guarda un po', il quattro luglio cadeva anche il centesimo articolo di Ria per il Rolling Stone. Il tempio rock inglese era stato chiuso al pubblico e gli inviti spediti con il complice tamtam di molti amici. Alcune delle band che Ria aveva intervistato si erano offerte di suonare un pezzo a testa per omaggiare l'evento, come personale regalo di compleanno. In quanto organizzatore dell'evento, tutti si sentivano autorizzati a rompermi i coglioni in prima persona, giungendo a telefonarmi alle quattro del mattino per avvertirmi della partecipazione e offendendosi davanti alla mia prevedibile reazione notturna, non propriamente entusiasta.
John Montague, Morris Morrissey e relative consorti ovviamente erano stati prontamente invitati, insieme alla sorellastra di Ria, Vivienne “Splinter” Entwistle e il di lei allora fidanzato, l'efebico e incorporeo Brian Molko.

Ma cercherò di controllare la mia impossibile e radicata tendenza al gossip per investirvi di tutti gli eventi che resero quella bizzarra serata memorabile oltre ogni possibile pronostico. Quella serata, ovviamente, si colloca in mezzo a una vita scandita da interminabili riff di chitarra, ed è quindi stata preceduta e seguita da tutta una serie di dettagli di ingegneria esistenziale che avrebbero sbalordito qualunque comune mortale, cioè non noi.
Avevo faticosamente persuaso Ria ad adottare un'eleganza inusuale per lei, trascinandola più o meno letteralmente per l'orlo della T-Shirt al World's End, dove il negozio di mia madre dominava uno dei quartieri più defilati e signorili di Londra.
“Eldariael!”
“Ciao, Vi.”
Ria aveva l'aria del condannato a morte. Detestava i vestiti, di qualunque foggia e fattura essi fossero, ma, quando doveva, li metteva malvolentieri.
Solo, essendo all'oscuro di tutto, non comprendeva per quale motivo dovesse vestirsi così elegante.
Le dissi che avevamo prenotato al Ritz per festeggiare e che non poteva retrocedere dall'impegno: una bugia bianca, a fin di bene. Mash osservava in disparte con occhio critico e divertito.
Il laboratorio di mia madre era un florilegio di colori e accostamenti bizzarri, borchie, lamette, spille da balia, svastiche e oggettistica curiosa reperita ai quattro angoli del mondo. Se ne stava a un'enorme macchina da cucire con la sigaretta in bocca e gli enormi occhiali da vista, che non portava mai in pubblico, in punta al naso. Si distolse dal suo meticoloso lavoro solo per urlare quello squillante “Eldariael” che mise Ria un po' più a suo agio, dopotutto.
Quello a cui stava dedicando ogni stilla della sua preziosa attenzione era un lungo abito di seta nera con sottilissime spalline che, secondo i calcoli esatti di mia madre, sarebbero state coperte dai capelli: ma osservandolo meglio si poteva notare che luccicava leggermente, e che, attillato fino ai fianchi, scendeva a corolla sfumando il colore dopo il ginocchio fino ad arrivare a una tonalità molto chiara di grigio. Lo spacco vertiginoso partiva quasi dall'attaccatura della coscia, e il retro, il retro era pura poesia. La schiena era completamente scoperta, perchè c'era un tatuaggio dietro la scapola di Ria che mia madre aveva appoggiato ed amato fin dal suo processo in embrione, e che, giustamente, doveva assolutamente essere mostrato al mondo in un'occasione così secolare.
“Allora”, disse, dopo averle fatto indossare l'incantevole abito mentre si affaccendava a ritoccarglielo sulla figura, “All'evento ci sarà anche la tua bella rockstar?”
Feci cenni aeroportuali all'indirizzo della mia sciagurata genitrice per intimarle di tacere, e quella, per tutta risposta, mi rifilò uno sguardo interrogativo.
“Quale evento?”, domandò Ria, ammirando l'opera d'arte che stava indossando.
Perseverai nel tentativo di distogliere la stolta dal rivelare tutto il piano, mandando a stendere tutti gli immensi sforzi che avevamo profuso nella segretezza dell'intero iter.
“Il tuo compleanno, mi pare ovvio.”, disse, cogliendo finalmente le mie velate minacce di morte sillabate a fior di labbra. Per fortuna aveva gli occhiali, altrimenti non si sarebbe accorta di niente.
Ria sospirò, sportiva.
“No, non credo proprio.”
“Ah sì? Pensa.”
Calò un silenzio gelido e preoccupante.
“Comunque non stupirti, loro sono fatti così. Forse dovresti evitare di trovarti uomini che somigliano a tuo padre.”, disse, colpendo e affondando la psiche già precaria della mia amica.
“Sarebbe saggio, Vi. Ma io non sono saggia, lo sai.”
Mia madre rise, complice.
“Lo so, tesoro, lo so. Bene, sei perfetta. Ti manderò il vestito, insieme a quello di Juniper, al più tardi domani nel pomeriggio.”
Juniper, per inciso, era il vero nome di Bliss. Lo scelse sua madre, che riuscì a litigare con Morris Morrissey perfino in sala parto. “L'unica cosa che mi dispiace è farla nascere in questo maledetto ginepraio!”, gridò all'indirizzo dell'ostetrica; da cui il nome Juniper, ginepro. Sperò, credo, che diventasse la malattia e la cura. Ma nessuno la chiamava mai Juniper. A parte gli insegnanti, Vivienne Westwood, il suo ingombrante ex fidanzato, la sua ingombrante ex psichiatra e suo padre, ma solo nei picchi massimi di indignazione genitoriale.
Ria si rimise i jeans e fu trascinata fuori da Mash con poca diplomazia, mentre io rimanevo a scambiare due paroline con mia madre.
“Ci vediamo alla festa.”, le dissi.
“Sì. Il vestito per quel cretino ignobile è pronto, glielo mando in serata.”
'Quel cretino ignobile' era, ormai, diventato il nickname fisso di Matthew Bellamy.
“Spero che tu e Juniper sappiate cosa state facendo.”
“No, non lo sappiamo, maman. Ma vedremo di fare del nostro meglio.”
Mia madre si strinse nelle spalle, accendendosi un'altra sigaretta.
“Potrebbe non essere abbastanza.”, commentò, e io avvertii chiaramente l'angoscia risalire i viali dell'oblio per avvilupparmisi addosso come un'edera velenosa.

 

Tu due cuori non li hai, e a me non basta la metà.
(Adriano Celentano, Per averti.)

 

A pensarci bene, la soirèè del tre luglio fu preannunciata da un indistinto ma udibile tramestio di trombe dell'Apocalisse. Alle tre del pomeriggio, Morgue Place era immersa in un caos pantoclastico e Consuelo schizzava da una parte all'altra della casa cercando di assecondare le richieste dei suoi quattro inquilini. Io ero già pronto, in gessato nero con panciotto e gemelli di diamante.
Ria era momentaneamente sparita.

Aprii la porta e me la trovai davanti.
Bellissima, più di sempre.
Il trucco sfumato sugli occhi, i capelli neri un po' mossi come una cascata di petrolio fino alla schiena.
Mi guardava, in quel modo in cui solo lei sapeva guardarmi.
Avevo in mano una rosa che volevo darle più tardi, quando ero sicuro che l'avrei vista, ma non così presto, non così all'improvviso. Non così bella.
“Non ce la faccio”, disse.
Tacqui, perchè non avevo il diritto di dire niente.
Allungai una mano per sfiorarle un braccio. Ero il responsabile di ogni serio sorriso e di ogni seria lacrima di lei, che mi stava davanti senza più una sola difesa al mondo.
“Starti lontano è una follia. Starti lontano è una eco di dolore perenne, io non...”
Le presi il viso tra le mani e la baciai.
“Sei sempre l'unica. Straordinaria. Non sono più stato a letto con nessuna. Se non mi credi, però, ti capisco.”
Sospirò, e mi prese una mano.
“Dobbiamo cercare di funzionare in qualche modo. Non c'è via d'uscita. Non esiste un modo di stare vicini senza farci male.”
Lo sapevo, altrochè.
“Ci sarai, stasera?”
Sorrisi. Impossibile nasconderle qualcosa.
“Certo.”
Mi sfiorò le labbra con le sue, poi si scostò, per guardarmi negli occhi.
“Mi fai un regalo?”
Portai la mano che le stringevo sulla mia bocca, era soffice e sapeva di buono, e le diedi un bacio sul palmo.
“Tutto quello che vuoi, io te lo darò.”
Sussultò sentendomi ripetere quelle parole che le avevo già detto una volta.
Vittoria contro resa.
Mi sorrise, dolce, bellissima.
“Balla con me, stasera.”
La guardai, un po' sorpreso.
“Tutto qui?”
“Tutto qui.”
Prese la mia mano e, tenendola tra le sue, ci passò su il viso, chiudendo gli occhi, in una muta carezza pilotata.
Era così difficile.
“Ci vediamo più tardi.”, disse, poggiando un lieve bacio sul palmo della mia mano prima di lasciarla.
La guardai scendere le scale, voltarsi a sorridermi, studiai il suo modo di camminare, così innocentemente sensuale, i suoi capelli che seguivano i movimenti dolci della schiena.
“Ciao, bambina.”, dissi.
Ma era già lontana.


“Dove sei stata?”
Un presagio sinistro colpì tutti in piena fronte.
“Dovevo fare una cosa. Quanto manca all'ora X?”
“Quarantacinque minuti.”
“Sarà meglio indossare il vestito, allora.”, disse.
Noi eravamo già tutti pronti.
Quando uscì dalla stanza, fu anticipata da un delicato profumo di vaniglia e una luce ultraterrena. Gli abiti di Vivienne Westwood, sapeste.
“Dobbiamo bendarti.”
Non ribattè affatto.
Si voltò di spalle, il vestito che la seguiva fluttuandole intorno come un fantasma, e attese.
Una striscia di seta nera le tolse la vista di tutto, e io sperai che, momentaneamente cieca, potesse riposare un po'; ma così non fu, ovviamente.
Matt era già fuori dall'Hard Rock, nonostante l'anticipo sull'orario, e aspettava con la Manson nera a tracolla, una rosa rossa in mano, elegantissimo, i capelli neri insolitamente scomposti in una maniera umanamente rinconducibile al passaggio di un parrucchiere, l'espressione assorta e nervosa.
Uno stuolo di fotografi si era già radunato dietro le transenne.
Appena feci il giro dell'auto per aprire lo sportello a Ria, Matt fece qualche passo avanti e, sorridendo, tese una mano verso di lei che, bendata, non poteva vederlo.
Ria allungò la mano fino a prendere la sua, e si lasciò guidare fuori dalla macchina; con un leggero strattone, la attirò a sé, ed erano così vicini che i loro respiri si sfioravano docili.
La dea bendata sorrise, sapeva che era lui, ma non mosse la seta che le impediva lo sguardo. Anzi, si chinò leggermente su sé stessa e si sfilò prima una scarpa e poi l'altra, sotto gli occhi sorpresi dei presenti, cosciente che con i tacchi era ben più alta di lui. E poi, detestava le scarpe col tacco. Così, scalza, sul tappeto rosso che non poteva vedere, avvicinò le mani al viso di Matt e lo baciò, mentre i flash impazzivano creando una coreografia di luci, illuminandoli come fuochi d'artificio.
Poi Matt, con gli occhi pieni di una dolcezza che non ricordavo di aver mai visto prima in nessun altro, le prese delicatamente una mano e le avvicinò le dita ai petali della rosa.
“Posso essere il tuo cavaliere stasera?”
“Devi essere il mio cavaliere, stasera.”, rispose lei.
I fotografi li chiamavano per nome, ignari della scena straordinaria che si parava agli occhi di noi, così vicini a loro, così fuori dal loro metro quadrato di intimità infrangibile.
Ria si tolse la benda, sorridendogli luminosa come non l'avevo mai vista.
“Buon compleanno, bambina.”
Gli sorrise di nuovo, poi lo baciò lievemente, si chinò a prendere le scarpe e la rosa e attraversò scalza al suo braccio tutto il tappeto rosso, ignorando completamente i fotografi.
“Sei la più bella del mondo.”, lo sentii sussurrare al suo orecchio, mentre entravamo in schieramento macedone dentro l'Hard Rock, e potrei giurare che lo pensava davvero con tutto sé stesso, e infatti lei gli sorrise con tutto il corpo, innamorata di un amore antico quanto il mondo; innamorata da sempre, e solo di lui.
Mentre la sala lentamente si affollava, mentre visi più o meno noti facevano il loro più o meno trionfale ingresso salutando a destra e a manca altri visi più o meno conosciuti, mi presi un secondo per osservarli bene. Io sono un critico, e in quanto critico ho un occhio particolare per lo straordinario: lo annuso, lo avverto nell'aria sotto forma di vibrazione, lo studio, lo ricerco, me ne stupisco, quando lo trovo, a volte ne sono spaventato, mi lascio soggiogare, quasi sempre, lo scrivo, quando mi riesce.
Ria stava ridendo con Steven Tyler con in mano un bicchiere di Veuve Cliquòt che faceva roteare ritmicamente sulla scia della musica degli altoparlanti, e Matt stava dall'altra parte della sala, parlava con Keith Richards e un paio di ragazze adoranti. Improvvisamente, come punti da un'identica consapevolezza perfettamente a tempo, si voltarono a guardarsi, l'un l'altra. Fu un secondo, una scossa, un brivido. I loro occhi si incrociarono, visibili e distaccati da tutto il resto della massa caotica di persone lucide e accattivanti.
Uno sguardo che non aveva niente di innocente, niente di casto e niente di riconducibile a un normale sguardo. Erano magnetici, naturalmente attratti l'uno dall'altra, ma non era una questione di sesso, e infatti si sorrisero, dolcemente.
L'amore era tra di loro, tutto intorno a loro, in ogni cosa, in ogni cellula, in ogni drappo dell'arredamento, tintinnava nei bicchieri di champagne, era la eco di ogni risata, di ogni nota, sbatteva sulle pareti e rotolava sul pavimento, si irradiava dalle lampade, colorava le stampe sui muri, pizzicava le corde delle chitarre. Erano loro, la causa.
E' uno spreco di tempo e di energie, vivere, se almeno una volta non si riesce ad amare così , disperatamente. Follemente. Veramente. Profondamente.
E se mai Matt gliel'avesse data, quell'occasione, se mai Ria avesse avuto la possibilità di spiegargli tutte queste cose, spiegargli che lei lo amava non solo con tutto il cuore ma anche con tutto il corpo e l'anima e addirittura con ciò che li prescinde, con il suo passato, il suo futuro, il suo presente, credetemi, lo avrebbe fatto. Perchè era matta, perchè sapeva che crescere non voleva dire smettere di essere bambini, perchè la sua fiaba preferita era sempre stata Peter Pan e perchè Matt gli somigliava incredibilmente, solitario, megalomane, irresistibile stronzo presuntuoso.
Per quello, credo, Ria prese per mano Steven Tyler e lo trascinò verso il gruppo di Matt, e quando gli fu vicino cercò la sua mano con discrezione, in basso, e la strinse, nascondendo quell'intreccio di dita tra le pieghe del vestito che mia madre, così alacremente, le aveva cucito su misura.
Ma poi vidi John, e quando vedevi John così all'improvviso mai niente di buono stava per accadere.

 

Se tu scegliere non sai, scelgo io, che male fa.”
(Adriano Celentano, Per averti.)


“Principessa.”
Ria si voltò meccanicamente verso quello che sapeva, purtroppo, essere suo padre.
“Papà.”
Più che un saluto, una constatazione.
John Montague, tirato a lucido, era più bello che mai.
Matt gli scoccò uno sguardo amichevole, non provava rancore. Aveva perso Dana, ma aveva trovato Ria. Se non l'avesse ritenuto alquanto sconveniente, scommetto che gli avrebbe mandato anche svariati cestini di ringraziamento.
Dana sembrava una scopa di saggina abbigliata a festa, stirata in un abito che le calzava strano, come se non fosse mai stato mosso dall'attaccapanni. Era così nero che sembrava più a un funerale, che a un compleanno, e scommetto che neanche le sarebbe dispiaciuto.
“Auguri, cara.”
“Grazie, Danette.”
Il ritorno del budino in barattolo.
Avevo ricevuto alcune mail di ragguaglio circa la situazione da Bliss per quasi tutta la durata della storia di Ria con Bellamy. Al primo concerto dei Muse c'eravamo andati tutti e quattro insieme, con Mash, ma Ria omette sempre i particolari non finalizzati allo svolgimento della storia. Vezzi da scrittore. Insopportabili, ai più.
Ma comunque.
Osservai con orrore l'avanzata secondo loro trionfale di Morris e Gertie, quest'ultima fasciata, al contrario di Danette, in uno sgargiante abito turchese uccello della felicità, un attentato alla salute di ogni stilista in sala.
Cercai di localizzare Bliss, che si tormentava una ciocca di capelli parlando con una statua greca vestita a festa con ogni sorta di chincaglieria e borchia, cupo, misterioso, sguardo magnetico da mulo, tatuato fino alla punta dei capelli.
“Chi cazzo è quello.”, mi sfuggì di bocca.
“E' Synyster Gates.”
“Dominic, puzzi di alcol.”
“Lo so.”
Squadrai Dominic, che si reggeva – o reggeva, non saprei- ad una bionda slavata con quoziente intellettivo inferiore a meno sei, sospetto di cui trovai conferma quarantuno secondi dopo, quando il nostro amico batterista si allontanò per sbandare pericolosamente in direzione di Bliss.
“Non è bellissimo? Il mio primo figlio si chiamerà Dominic.”, ritenne di dovermi informare la scellerata, con le mani giunte sotto il mento in adorazione. Le stirai un sorriso spazientito.
“E anche il secondo. E anche il terzo. E anche il quarto.”, aggiunse, con aria sognante.
Il suo quoziente intellettivo era gravemente compromesso dal fatto che, se avesse avuto quarantaquattro figli, li avrebbe chiamati tutti Dominic.
Ad ogni modo, localizzai una massa di serici capelli rossi, lisci come la seta, che si muoveva ancheggiando fasciata in un lungo abito grigio perla.
“Vivì.”, la chiamai a bassa voce, ma lei mi udì comunque.
Si voltò, e mi sorrise, facendo scintillare gli occhi azzurri nella penombra a comando. E dico a comando perchè qualunque cosa di lei era perfettamente bilanciata, innocente eppure esperta, era una combinazione letale per qualunque maschio eterosessuale presente nel raggio di quindici chilometri da lei, profumava di sofisticato e, tra le altre cose, era la sorella acquisita di Ria.
“Ho perso Brian.”, disse, mettendo su un broncio perfettamente disegnato sulle labbra carnose.
“E' lì.”, indicai, additando un curioso gruppetto. Molko-Howard-Morrissey-Gates. Niente di buono poteva mai uscirne. Mash stava accuratamente evitando Stephenie Meyer, constatai dal modo furtivo in cui si muoveva per la sala rivolgendo cenni di saluto agli amici scrittori.
Splinter sbuffò sonoramente, quindi si voltò al recupero dell'improbabile compagno.
Ria, da par sua, stava ancora sorridendo a suo padre. Mi avvicinai, circospetto.
“Ciao, Fleur!”, mi salutò. “La mamma è qui?”
“Tre quarti delle tue ex amanti sono qui, Johnny. Ciao.”, replicai, cordiale.
“C'è anche Pluggie.”, aggiunse Ria.
Constatai l'assenza di Matt, e lanciai uno sguardo interrogativo a Ria.
“Tra poco deve suonare, è andato a sistemare un paio di cose con Chris.”, mi disse.
“Tu e Matt state insieme?”
“Che te ne frega?”
Ria e Dana, dopo essersi cordialmente ignorate a vicenda, finalmente si guardarono, ancorchè malissimo come sempre.
“Dovresti dirle qualcosa.”, sibilò Dana all'indirizzo di John, che finse di non aver sentito.
“Dovresti farti i cazzi tuoi.”, sibilò Bliss all'indirizzo di Dana, che invece ci sentiva perfettamente.
“Ma guarda, Barbie borchie e chitarre. Come stai?”, disse Dana tra i denti, sbalordendo i presenti con la dimostrazione che anche lei, di quando in quando, possedeva alcuni cc di senso dell'umorismo.
“Benone, tu? Scelta infelice la frangetta. Ti fa risaltare il naso.”
“Il suo naso non ha niente che non va, Bliss, stai buona.”, cercò di tamponare John.
“Ho chiesto alla tua amica come andava col suo nuovo fidanzato, ma si rifiuta di rispondermi.”, incalzò Dana.
“Va benissimo, a quel che ne so, almeno a letto non si addormenta come succedeva con te.”, ribattè piccata Bliss.
“E' di mia figlia che stiamo parlando, per cortesia.”, intervenne John, scandalizzato.
“E chi lo dice che a letto con me si addormentava?”
“Le statistiche, Danette. E anche lui.”
“Mi pare strano, visto che siamo stati a letto... Quanto? Un mese fa? E non mi sembra che in quella circostanza si fosse lamentato.”
“Cosa?”, disse Ria.
“Cosa?”, disse John.
“Cosa?”, disse Bliss.
“Cosa?”, disse Splinter.
“Cosa?”, disse Brian Molko.
“Cosa?”, dissi io.
“Avete finito di ripetere tutti quanti 'cosa' come uno stormo di pappagalli?”, disse Dominic.
Lo fissammo tutti, con lo sguardo più truce che ci riuscisse di avere vista la quantità di champagne già ingerita.
“Quando Ria telefonò a Matt per dirgli che aveva saputo di Lily Allen, Matt prese il primo volo per Milano per parlarle di persona, ma a Milano non c'eravate già più. Eravate appena partite per Londra. Mi ha raccontato che c'era Dana, e lui era stravolto, e arrabbiato, ed aveva bevuto, ed è, beh... è successo.”
Nessuno parlò, per quello che parve un secolo.
Bliss fumava di rabbia nel suo bel vestito, col suo bel viso, i suoi bei capelli.
“E' successo?”, disse, secca, mentre la furia nella sua voce montava come la piena del Tamigi. “E' successo? Dominic. Il terremoto ad Haiti è successo, lo Tsunami è successo, l'Uragano Katrina è successo, l'incidente a Matthew è successo, qualunque catastrofe naturale, ambientale o personale indipendente dalla volontà umana succede: il resto, invece, SI FA!”
L'urlo ebbe un impatto tale che saltammo tutti, volenti o nolenti.
“Allora diciamo che lo ha fatto.”, disse Danette, soffiandosi sulle unghie con aria di sufficienza.
Ora, non è esatto dire che lo vidi. Fu più che altro un secondo. Un attimo prima non c'era, un attimo dopo invece sì. Sangue. Sulla bocca di Dana, precisamente rosso, e, sì, stonava tantissimo con i capelli.
L'aria che respirava Ria doveva aver raggiunto i cinquanta gradi celsius.
Due amiche di Dana, con i rispettivi fidanzati, corsero verso di noi mentre a noi veniva spontaneo allontanarci un po', allargare il cerchio. Si stavano battendo i leoni, era chiaro, e noi non c'entravamo niente. Nessuno dimostrò il buonsenso di fermarle, nessuno pensò neanche per un attimo all'idea di separarle, fu un secondo, un tentativo di reazione, il rumore dei tacchi che venivano gettati a terra, mia madre che sperava il meglio per il vestito di Ria, Mash che osservava la scena indecifrabile, Splinter che mollava la sua preziosissima borsetta in mano a Brian Molko e faceva ciò che non avrebbe mai creduto possibile fare.
Ria sputacchiò un po' di sangue.
“Questa è la nostra festa di compleanno, cazzo.”, disse, asciutta.
Era furibonda. E non c'era niente che la potesse fermare.
Una delle amiche di Dana cercò di frapporsi tra lei e Ria, ma Bliss la spedì praticamente contro una colonna scomponendosi il minimo possibile.
Era surreale.
Splinter vide l'altra amica affondare le unghie nel braccio di sua sorella nel tentativo di staccarla di dosso a Dana, e con estrema eleganza le afferrò i capelli, torcendoli, e costringendola in ginocchio. E mentre quella si dimenava e il fidanzato dell'altra stava accorrendo a salvarla dalla furia omicida di Bliss, l'efebica bionda si voltò e si sentì afferrare da questo energumeno. Per tutta risposta, lo guardò un secondo circospetta, poi gli assestò una testata sul setto nasale, che lo fece barcollare lasciando la presa, si risistemò il vestito e gli assestò una ginocchiata nei coglioni che fece portare istintivamente le mani a conchiglia a tutti i presenti di sesso maschile.
Un attimo, e Billie Joe reggeva Ria che si dimenava come una piovra, scoprendo le gambe, gridandogli di lasciarla, di lasciarla stare, di lasciarla andare perchè aveva meditato e si era risolta a festeggiare i ventun anni con un omicidio.
“LASCIAMI BILLIE, LASCIAMI!”
Bill, in tutta risposta, serrò ancora di più la presa intorno a lei.
Il vestito era integro, constatò mia madre con suo grande sollievo.
Quando finalmente si fu calmata, Billie acconsentì ad appoggiarla a terra, ma solo perchè glielo chiese per favore.
Bliss scacciava il ghiaccio che Dominic le stava tentando di applicare sul naso con precisissime manate al batterista, che fu chiamato agli altoparlanti per presentarsi sul palco, e la lasciò a malincuore nelle mani di Synyster Gates, riscopertosi premuroso infermiere ben lontano dalla legittima consorte, che Bliss lasciò fare con molta più docilità, tenendogli gli occhi ben piantati sui pettorali. Splinter, dal canto suo, non si era scomposta affatto e, togliendosi signorilmente alcuni ciuffi di capelli estranei che le erano, purtroppo, rimasti incastrati tra le dita, recuperò la borsetta dalle braccia di un allibito Brian Molko e si avviò a passo lieve verso il bagno delle signore per risistemarsi il make up.
Quanto a me, mi toccò fare gli onori di casa.
“John, ritengo che tu debba portare Dana in albergo.”
John aveva riacquisito tutto il suo solito savoir fare, perso per un secondo alla notizia del tradimento, e mi sorrise, smagliante.
“Sono sicuro che gli amici di Dana si prenderanno ben cura di lei. Vai a casa con loro, cara, e aspetta una mia telefonata.”
“Tu non vieni?”
“E' il compleanno di mia figlia.”, la congedò asciutto, rifilandole una risposta che non ammetteva diritto di replica e lasciandola nelle braccia incerte delle due coppie di amici di lei, violentemente scossi per essere stati appena messi a ferro e fuoco da tre ex-groupies ventenni e infuriate.
Ria stava in silenzio, chiusa nell'abbraccio fraterno di Billie Joe.
“Aveva ragione Trè.”, gli confessò, in un moto di lealtà post-faida. Poi si riscosse, e recuperò un sorriso che le invidiai moltissimo, perchè mi resi conto che era autentico.
“No, papà.”
“No cosa?”
“Non stiamo insieme.”
John le scoccò uno sguardo consapevole. Non era mai stato bravo con i sentimenti, ma non ci voleva molto a capire che quel chitarrista le aveva fatto molto, molto male.

 

 

E se è questo che tu mi chiedi,
io ti perdo, ma stavolta resto in piedi,
anche se qui dentro me qualcosa muore.
Per averti farei di tutto,
ma non ti voglio,
non ti voglio senza amore.”
(Adriano Celentano, Per Averti.)

 

 

Da molto tempo lui era diventato Parigi e New York, Istanbul e le isole greche,
il più lungo riassunto di desideri impossibili con cui la vita l'avesse mai tormentata.”
(Angeles Mastretta, Donne dagli occhi grandi.)

 

 

Per amore,
solo per amore di quel viso che non può tornare
della stella che non può cadere giù
la tua mano che non sa tenermi più.”
(Roberto Vecchioni, Per amore.)

 


Come spesso accade, ironicamente, nella vita, cosa dovevo fare mi fu chiaro già mentre lo stavo facendo. Guadagnai l'ingresso delle quinte scostando con rabbia i teloni neri che erano stati eretti a fare da separé improvvisato vicino al palco, e localizzai immediatamente Matthew che, assorto, accordava la Manson nera.
“Ria ha saputo di Dana.”
Lo dissi relativamente a bassa voce, ma il rimbombo di ciò che avevo detto usò le corde per amplificarsi. La gente intorno, affaccendata in tutt'altre faccende, dovette intuire che era giunto il momento di togliersi di torno.
Matthew alzò la testa verso di me.
“Doveva succedere.”
“Solo questo sai dirmi? Doveva succedere? Come la madre di Airton Senna?”
Poggiò la chitarra, e mi fronteggiò con quello che qualcuno avrebbe trovato coraggio. Io sapevo che non era così. Per quel che avevo capito di lui, era lui e basta.
“E cosa vuoi che ti dica, Fleur? Sapevo che l'avrebbe saputo, prima o poi.”
“Dio, non è questo l'uomo che ho amato.”
Perse un momento il filo.
Sbuffai, roteando gli occhi al cielo.
“Eravamo quattro ragazzini. Quattro ragazzini lunatici, cresciuti in un universo troppo lontano per considerarsi parte del mondo, quattro ragazzini che avevano in comune due cose: il rock e l'orientamento sessuale. A tutti e quattro piacevano gli uomini. Abbiamo passato intere serate a fare congetture e guardare video dei Muse. Vi abbiamo immaginati, vi abbiamo scandagliati, ci siamo sforzati di comprendervi, vi abbiamo sentiti vicini, vi abbiamo sentiti amici, tu con le tue stramaledette parole ci hai insegnato l'amore. Ria più di tutti. Ria aveva qualcosa di privato e imperscrutabile con te, infatti di te non parlava mai, se non pochissime volte, e, mentre noi ci divertivamo a ipotizzare e immaginare e farci i fatti tuoi su internet, lei stava in disparte, non si interessava di niente e se parlava di te non parlava mai a vanvera. Ti rendi conto? Sei in grado di arrivare alla sottile differenza tra noi e lei? L'esclusività e l'importanza che ti attribuiva ancora prima di conoscerti, spontaneamente, non per dimostrarti qualcosa, ma perchè le veniva naturale? Le capisci, queste cose?”
“Non del tutto.”
“Bene, allora provo a spiegartelo. Se una persona non sente il bisogno di fare incursioni nella tua vita privata, di violare i tuoi spazi, quando ancora non ti conosce e non potrebbe mai offenderti in nessun modo, essendo tu ignaro della sua esistenza, ti rendi conto di quanto avrebbe fatto standoti affianco? Senza strafare mai, peraltro.”
Abbassò gli occhi, e poi li alzò di nuovo.
“Ah, ma io sto qui a spiegare come stanno le cose a Matthew Bellamy. Paradossale. Tu le hai spiegate a me, tanto tempo fa, e tra di noi ci sono sette anni che sembrano seimila. Io sono troppo posato per te, troppo filosofico ed affettato, me ne rendo conto. Ma tra te e Ria ce ne sono dodici, vorrei non lo dimenticassi. L'hai cresciuta tu.”
Quest'ultima affermazione dovette afferrarlo per la gola, perchè diede un sorso alla bottiglietta d'acqua, e nei suoi occhi passò qualcosa. Qualcosa che somigliava a “lo sapevo, ma avrei preferito non sentirmelo dire”.
“Fleur.”
Gli rivolsi uno sguardo torvo.
“Io tengo molto a Ria, davvero. E ho visto cose straordinarie, di lei. Ma non è il tipo di straordinario di cui io posso occuparmi, non senza fare una marea di danni. Forse non sono pronto per tutte queste responsabilità. Io la voglio trovare una soluzione, non c'è niente che voglia di più al mondo, ma non ho idea di dove iniziare. E' una cosa così difficile, reggere una storia così. Ma vorrei che tu le dicessi un paio di cose da parte mia, è molto importante.”
Alzai gli occhi al cielo, ma il cielo, come di suo solito, mi ignorò affettuosamente.
“E cos'è di preciso questo straordinario di cui vai parlando? Puoi farmi un esempio? Vorrei capire di cosa si tratta, magari posso darti una mano. Perchè, vedi, io di mestiere guardo film: mi pagano per giudicare le proiezioni schermate e perfette di vite ideali. La gioia ideale, il dolore ideale, il padre ideale, il matrimonio ideale, la tragedia ideale... Quindi spiegami. Cos'è straordinario, secondo te? Ria che lascia tutto e viene a Londra, e non crederai che l'abbia fatto per scappare?, Ria che respira contro un vetro ad occhi chiusi, stanca di tutto ma non di te, mai di te, Ria che è qui stasera ed è felice perchè tu ci sei, non 'anche' perchè, ma 'solo' perchè. Te ne rendi conto? Sei un uomo, no? O non lo sei? E cosa dovrei dirle, poi? Diglielo tu, ascolterà te e te soltanto perchè è fatta così, è un'estremista, ha deciso che saresti stato tu anni ed anni prima di conoscerti, come ti ho appena spiegato, e per tutta la vita sarai tu il solo che vorrà ascoltare.
La volete smettere tutti quanti di rifuggire come i topi le responsabilità, sostenendo che chi vi ama non ve ne deve dare, ma non disdegnare nel frattempo di bervelo tutto, questo amore immeritato, ricambiando con molliche e sensi di colpa? Ria si sente in colpa, lo sai da solo e te lo dico io, per averti dato questa immensa responsabilità.
Ed è una cosa difficilissima da gestire, te lo riconosco, ma maledizione... Che sarà mai, in confronto a tutto il resto? Mi vuoi dire che non te la senti? Ma quando mai ve la sentirete, voi. Vigliacchi che ammettono la loro vigliaccheria e ci navigano tranquilli, senza farsi problemi...
Sbagliate tutto, tutto, ogni passo in questa straordinaria vita, sbagliate consapevoli di sbagliare e pretendete il lusso di stare anche male, di sentirvi oppressi... Oppressi da cosa? Non li vedi i chilometri di deserto che hai intorno, non lo vedi che sei tu l'autore di tutti i fallimenti che tanto ti fanno ancora male, e quando incontri l'unica persona in una vita che sia disposta ad amare quello che sei chiedendoti in cambio solo che tu la lasci fare, cosa fai? Le chiudi la porta in faccia e ti aggrappi con le unghie a quelle quattro stronzate di cui hai vissuto fino ad ora, che ormai non ti danno neanche più un sollievo momentaneo, scaricandole addosso la colpa di essere stata oppressiva, dipingendoti in testa un'immagine di lei che non le somiglia per niente e convincendotene nel minor tempo possibile pur di non dover mai ammettere a te stesso la verità.”
Mi stava ascoltando con attenzione, infatti mi chiese, a bruciapelo, “E qual è la verità?”.
Volevo una sigaretta.
Soffiai via aria, veleno e mancanza di spirito di sopportazione.
“Che sei un coglione, ecco qual è la verità.”
Senza alcun preavviso, mi guardò dritto negli occhi e scoppiò a ridere, con grave disappunto di Dominic, che aveva assistito tacito e complice alla scena, ma che mai, mai avrebbe dato torto al suo migliore amico. Io, però, mi accorsi che Matthew aveva capito, e che era consapevole dell'esattezza di ogni sillaba: cosa ne avrebbe fatto di quella consapevolezza, lui stesso me lo disse. Tre secondi dopo.
“Ho capito, va bene. Ci penso io.”
Si voltò verso Dominic, tranquillo come il Dalai Lama.
“Vai a chiamare un attimo Chris.”
Poi, si rivolse nuovamente a me.
“Va' da lei, Fleur. Io ora vado a fare l'unica cosa che riesco a fare senza diffondere terremoto e tragedia tutto intorno a me.”
Gli sorrisi, ieratico.
“Se permetti”, dissi, “non sono d'accordo. Questo è il modo più efficace che hai per creare scompiglio.”
Mi sorrise di rimando.
“Ma è perchè sei maledettamente bravo.”
Mi voltai, lasciandolo là con i suoi dubbi, le sue chitarre e le sue parole in sospeso.

 

Io ti verrò a cercare. Sai che lo farò.
Ma la domanda è: tu faresti lo stesso con me?
E' questo che devi capire.
Perchè un giorno la smetterò di rincorrerti.”
(E. Hawke.)

 

Salì sul palco in un baluginare indistinto di luci rosse e dorate.
Ria stava dalla parte opposta rispetto a me, in un angolo tra i drappi e le chitarre appese al muro: accanto a lei c'era qualcuno che avevo già visto, una fotografa, la migliore. Shots, “scatti”, la chiamava Ria. Si erano conosciute lavorando insieme al Rolling Stone, ma non era importante: la cosa importante è che lei faceva le foto ai Muse da dieci anni, aveva la reflex a tracolla, e quello era un momento che proprio doveva immortalare, a scanso di qualunque equivoco.
Shots le parlava, ma i suoi occhi stavano fissi su un punto, il punto in cui lui trafficava col mixer davanti al microfono, gli occhi concentrati, e lei si chiedeva se il cuore le sarebbe bastato per vederlo altre cento volte, così, pieno di tutto ciò che solo lui sapeva, di sterminati universi di suoni e parole, che semmai avesse smesso di scrivere, di suonare, pace, lei poteva anche morire.
Evey Zonk lì in mezzo la conoscevano tutti. Non era il suo vero nome, ovviamente, quello nessuno lo conosceva. Mentre Shots lasciava il fianco di Ria per approssimarsi a una posizione favorevole per gli scatti, lo guadagnò lei. Era sempre in viaggio, non la si vedeva mai, se non agli eventi. Cosa facesse, non era chiaro. Qualcuno mormorava che scriveva, con un ulteriore pseudonimo sconosciuto a tutti. Comunque, anche lei l'avevamo conosciuta al primo concerto dei Muse. L'aveva capita, l'aveva guardata bene, Ria, e forse era un suo diritto prenderle la mano, nel silenzio prima di quella parola che Ria non avrebbe mai voluto dire. La tenne stretta, quella mano destra magica, capace di così tante cose, mentre note impreviste e imprevedibili invadevano l'aria.
Sul palco, un uomo che aveva sfidato il tempo e sé stesso, perchè qualcuno fosse felice.
“Questa canzone”, disse, e la sua voce risuonò come una miriade di campanelli cristallini, impattando sulle mura, sgusciando tra gli orli dei vestiti, risalendo come una veloce formichina le spalle e il collo dei presenti fino alle orecchie, “la lascio al dottor Gregory Fleur. Sperando che la porti dritta a destinazione.”
Un brusio indistinto ed ignorabile di stupore si diffuse come una macchia, zittito da tre accordi di chitarra ben assestati.

Tell her she is always beautiful,
tell her everything's my fault,
tell her this is not what I had planned,
but tell her I am moving on...
Tell her love will come around, someday.


Ria aveva smesso di respirare. Evey Zonk la accarezzò con lo sguardo, e le strinse la mano più forte che poteva. Gli occhi le si riempirono di note.

Please, tell her not to cry...
I never meant for love to leave her cold tonight...
Please tell her that I try to spare her all my lies,
tell her something.


Eccola lì. Due passi avanti, un tentativo di lasciare la mano di Evey Zonk. Ma Evey Zonk col cavolo che gliel'avrebbe mai permesso.

And tell her I am lost in misery,
and tell her I have lost my mind,
and tell her love is such a mistery...
And tell her tunnels end in light.
Tell her love will come around, someday.


Questo voleva che le spiegassi, con un po' meno solfeggi e un po' più di pratica. Ma io non ne ero in grado. Nessuno era in grado di mettersi tra quei due.

Tell her I cannot say all that my heart wants to tell her,
but nothing can change that all of these words are not enough.


Ria si fece due scalini ai lati del palco al ralenti, insieme ad Evey Zonk. Dominic suonava con gli occhi bassi. Chris cercava una buona ragione nel tavolo degli stuzzichini. Matt, invece, suonava diretto a me, sì, ma guardando lei.

Tell her she is always beautiful,
tell her everything's my fault.


Neanche il tempo di contare fino a zero sul morire dell'ultima strofa, e Ria era sul palco, sotto gli occhi curiosi di Dominic e di Chris.
La meraviglia banale del solito abbraccio era esclusa a quei due.
Evey Zonk le lasciò finalmente la mano, mentre lei si schiantava, nel silenzio, tra le braccia di Matt. Fu allora il boato, e con le lacrime agli occhi che nessuno dei due avrebbe versato, si spiegarono a sguardi quanto di meglio c'era in quella sala, perchè lui non chiedeva scusa, mai, ma un'eccezione, per Ria Montague, l'aveva fatta volentieri.

 

Sei così sempre tu da togliermi il respiro.”
(Roberto Vecchioni, L'amore mio.)

 

Un quarto d'ora dopo, la sbronza serpeggiava palpabile in ben quattro quinti dei convenuti all'evento.
Mi sfrecciò davanti Dominic, con un lampo di luce ancestrale negli occhi che me lo fece apparire diverso da tutto il resto.
Lo seguii con lo sguardo, e lo sorpresi a parlottare con uno dei tecnici, gesticolando all'inglese: poi si voltò, e mi sorrise, brandendo un microfono.
Non capii.
“Perdonate l'interruzione.”
Aveva una bella voce, Dominic Howard.
“Vi prego di spostarvi tutti ai lati della sala, lasciate il perimetro libero quanto più possibile. Velocemente, grazie.”
Una folla di ebeti barcollanti si affrettò ad obbedire al tono perentorio del batterista, assiepandosi in un cerchio imperfetto. La sala vuota sembrava un'arena, delimitata da gente accatastata, stretta e curiosa, in attesa.
“Grazie. Abbassateli!”
All'improvviso crollò, come una nevicata poco comune, un mare di drappi bianchi di seta, spessi al punto di far intuire solo le sagome. Un singolare e fittissimo labirinto di veli bianchi appesi al soffitto, che arrivavano fino a terra rendendo impossibile la visuale, e lasciavano solo intuire appena i contorni degli altri, una volta che ti eri addentrato.
Ancora asserragliati ai lati della sala, nessuno vedeva più nessun altro che non gli stesse già di fianco. La voce di Dominic, invisibile a tutti, risuonò come una eco di un'altra era.
“Stasera è anche il compleanno di Bliss Morrissey, che tutti conosciamo per il suo talento e la sua proverbiale imprendibilità. Parla molto poco, ve ne sarete accorti. Però, una volta, parlando, mi raccontò della sua fiaba preferita. Alice nel Paese delle Meraviglie. Mi disse che la vita è un po' così, un labirinto infinito, e spesso prendere una direzione equivale a cambiare il corso delle cose. Io non sono mai stato bravo con questa roba, ma, visto che il mio miglior amico ha cantato per una donna speciale, io volevo fare una cosa bella per una donna altrettanto speciale, e le ho costruito un labirinto. L'ho costruito a tutti, in realtà. E ora andate, entrate, cercatevi. Vedete un po' se quello che trovate vi sta bene, se è quello che vi aspettavate o no. Incrociatevi in mezzo ai veli come se fosse la prima volta. E divertitevi, soprattutto. Cheers!”
Sorrisi a quell'incredibile salto di qualità di Dom.
E dunque era un romantico.
E dunque era pazzo.
C'era pure un motivo per cui era il miglior amico di Matthew, ci doveva essere per forza: ed eccolo là, il motivo.
Non avevo intenzione di infilarmi nel labirinto per cercare. Avevo intenzione di stare a guardare. Quindi, con un paio di calcoli, mi cercai un punto strategico, e osservai la gente che, con crescente entusiasmo, si infilava in quell'avventura, in quella ricerca. Chissà cosa speravano, cosa pensavano, cosa volevano loro, da quel labirinto.
Ognuno, potrei giurare, ne aveva fatto una questione personale. Un faccia a faccia con l'ignoto.
Vidi Ria muoversi sorridendo, casuale, ringraziando mentalmente Dominic per quell'insperato presagio di chiarezza, la vidi scontrarsi piano con Billie, e scoppiarono a ridere entrambi, così, semplicemente. Senza problemi.
“Bill.”
“Ria.”
Lo stomaco le fece una capriola quando la baciò senza preavviso.
Lo so perchè aveva quell'espressione lì ogni volta che il suo organismo reagiva a stimoli esterni. La vidi, senza colpa, baciarlo all'ombra dei veli bianchi. Un bacio silenzioso, furtivo, lento e breve nel suo esistere. Nato e morto così, tra sogni e disinganni.
“Scusa.”
“No, scusa tu.”
“Scusa se sono stata così...”
Billie si passò una mano tra i capelli.
“Non funziona tra noi, Ria. Non che io abbia mai creduto il contrario. Lo sapevo anche da prima, non hai occhi che per lui.”
Ria gli sorrise.
“Neanche i tuoi occhi sono per me, lo sai.”
“Lo so. Sono stato un placebo. Un ripiego.”
“Una consolazione.”, lo corresse. Come fa un cantante ad essere una catastrofe con le parole, rimarrà oggetto delle mie vaste ricerche sull'indole umana per tutta la vita.
“E tu lo sei stata per me.”
“Una cosa del genere la cantavano i Coldplay.”
“Una cosa del genere la cantava chiunque.”
Sorrisero.
“Ti voglio bene, Billie.”
“Ti voglio bene anche io, Ria.”
“E' stato il nostro bacio d'addio.”
“Non è una domanda, vero?”
Ria rise, gli diede un bacio sulla guancia e svanì tra i veli, lasciandolo a guardare il punto in cui era sparita.

 

Ti sarò per sempre amico, pur geloso come sai;
io lo so, mi contraddico, ma preziosa sei tu per me.”
(Celentano, L'emozione non ha voce.)

 

Fu la volta del trionfo di Bliss Morrissey, che sbattè praticamente addosso a Synyster Gates.
“Bell'idea, il tuo ragazzo.”
“Non è il mio ragazzo.”
Un coltello da bistecca per tagliare la tensione, per cortesia.
“Beh, si comporta come se lo fosse.”
Bliss sorrise.
“Io non ho mai avuto un ragazzo, lo sai bene.”
“Certo, tu hai soltanto frequentazioni.”
“Dimentichi l'aggettivo. Brevi. Brevi frequentazioni.”
Synyster rise, attirando l'attenzione di alcuni vagabondi che scostavano veli intorno a loro.
“Senti, Bryan. E' stato bello. E divertente. E' stato bello e divertente. Ma io sono confusa. E tu sei un cazzone.”
Synyster le sorrise con gli occhi, gettando uno sguardo verso un punto imprecisato alla sua sinistra.
“Ria lo sa?”
“Ria sa sempre tutto di tutti.”
La squadrò, un po' sorpreso.
“Non le hai detto niente di noi?”
“Che c'è da dire di noi?”
Il chitarrista si strinse nelle spalle.
“Una miriade di cose, direi.”
“Dov'è Rev?”
“Tra le braccia di Ria, qualche velo più in là.”
Bliss tacque.
“Senti, Bliss. Bellamy sa di...?”
Ma Bliss lo interruppe, in malo modo.
“No che non sa di. E non devi andarglielo a dire certo tu.”
Cominciai a capire che c'erano parecchie cose che Ria aveva taciuto a Matthew. A giusta ragione, ritengo.
“E' la tua migliore amica. Secondo me dovresti avvertirla della nostra pregressa situazione, comunque.”
Bliss, per tutta risposta, gli sbuffò in faccia.
“La nostra pregressa situazione non dovrebbe essere argomento di discussione.”
“Allora si fa come vuoi tu, come al solito. Belle le foto del concerto, comunque.”
“Sono sempre belle, le mie foto.”
Un bacio a fior di labbra; Synyster Gates aveva corso il rischio. Bliss lo baciò e poi lo guardò, gelida, e lo sorpassò con una spallata. Non l'avrebbe ammesso mai, neanche a sé stessa. Anche lui, come Billie prima, guardò sparire una donna tra i veli misteriosi del nulla.

 

Come back to me, love,
it's almost easy.”
(Avenged Sevenfold, Almost Easy.)

 

Mai più.”
“Non sapevo che lei fosse incinta.”
“La lasci, e improvvisamente scopre che è incinta? Io non sono una groupie, Brian, io sono un'artista, non sono qui per fare la tappabuchi di tua moglie. Mi sembra peraltro una follia che tu venga a dirmi una cosa del genere alla festa di mia sorella.”
“Ma io...”
“Ma niente. Niente, Brian, niente. Niente di niente. Non abbiamo niente da dirci. E' stato bello. Divertiti.”
Brian la guardò, sospirando.
“Fai gli auguri a Bliss e a Ria da parte mia.”
Splinter gli scoccò un'occhiata di marmo, prima di sparire anche lei, come la sua amica, come sua sorella, come tutto il resto. Era un colpo basso, che personalmente non mi sarei mai aspettato da un introverso come Brian. Ed evidentemente neanche lei. Le corsi dietro nel tentativo di consolarla, ma non ci riuscii. Svanì velocemente, e al suo posto giunse qualcos'altro.


 

Tell me, did you fall for a shooting star, one without a permanent scar
and did you miss me while you were looking for yourself out there?”
(Train, Drops of Jupiter)

 

Non volevo guardarli, infatti non li cercai.
Più semplicemente, mi capitarono nel campo visivo mentre rincorrevo Splinter, come due lucciole vagabonde. Le luci avevano subito un crollo strumentale, si vedeva solo un ovattato baluginare di fasci luminosi caldi oltre i drappi di seta.
A proposito di drappi di seta, spostandone un paio Matt e Ria si trovarono, come molte altre volte in sedi diverse da quella era accaduto, l'uno di fronte all'altra: tra loro, un velo più sottile degli altri lasciava l'interlocutore in un alone di sottile mistero. Io li vedevo di profilo, loro due e il velo in mezzo, timorosi anche di sfiorarsi, nell'eventualità di mandarsi vicendevolmente in pezzi, come bolle di sapone.
Alla fine Matt prese coraggio e allungò una mano oltre il velo, cercando quella di lei: la trovò in fretta e la strinse, mentre l'altra mano di Ria asciugava una lacrima sottile nata spontanea e ribelle su un angolo di un occhio e destinata lì a morire, inespressa.

 

E mio padre mi insegnò a lanciare ad occhi chiusi, perchè si mira con il cuore
perchè un vero lanciatore di coltelli ricama la vita, non tira mica per colpire.

 

Sono stata a letto con Billie.”
Una rigidità spontanea, inarrivabile, un piccolo, impercettibile indurirsi dei muscoli delle braccia, del viso e del collo.
E, nonostante questo, la abbracciò stretta.
“E io invece sono stato un vero stronzo.”
“Io vivrò di ogni nota che scriverai. E spero che troverai una donna che sappia amarti quanto ti ho amato io, anche se è difficile, e che saprà metterti il cuore in pace e la testa a posto, anche se è impossibile.”

 

E ti darò la gioia di quelle notti passate con il cuore in gola
quando riuscivo finalmente a far ridere e far piangere una parola.

 

Non so stare con te senza farti del male. Dio solo sa quanto ne ho fatto a...”
Lo zittì con le labbra, dischiudendole appena, lasciando che lui ci passasse sopra un dito, ne intrappolasse l'essenza e poi, un giorno, la regalasse ai tasti di un pianoforte, per scrivere di lei, per la prima volta davvero. Aveva scritto di lei per una vita, anche prima di conoscerla, e questo Ria lo sapeva: perciò l'aveva amato. E lo sapeva anche Matt: perciò l'aveva amata.
“Non importa. Non importa con quante donne sei stato, e chi erano, e cos'hanno fatto, e come l'hanno usata, quella grazia inesorabile dell'averti anche solo cinque minuti, se l'hanno capita o se hanno frainteso, più probabile, ogni secondo che hanno passato accanto a te. Non importa se non sei adatto a una storia d'amore, o ad essere felice, o al mondo. Io so che uomo sei, so guardare oltre tutto questo, io ho capito la tua essenza e Dio solo sa quanto mi sento onorata, e lusingata, e sola... Ma stavamo sfidando le leggi della fisica e dell'universo. Due come noi non possono stare insieme.”
Le sorrise, senza rancore, sulla scia di quelle parole lievi, quei voti sottintesi che lei stessa aveva pronunciato sorridendo, e le aveva risposto la cosa più semplice e straordinaria del mondo.
“Come si vede che sei una scrittrice.”
“Abbiamo giocato con troppe parole, nella vita, per rimanere fuori dai confini del sensazionale, quale che sia la situazione. Credo.”
Si tenevano tra le braccia, in mezzo a quella marea di veli bianchi, erano fuori dal mondo, protetti da qualunque occhio che non fosse il mio: io ero nato, avevo vissuto e avevo scritto per raccontare, un giorno, una storia del genere.

 

Quando ti fermerò tra i due miracoli di averti amata e perduta
e lì ti schiaccerò, e lì sarai finita.

 

Possiamo essere amici?”, gli chiese. Voleva saperlo da lui, ed era normale, perchè lui era sempre stato il suo unico metro di giudizio, l'unico esempio che poteva sopportare, l'unico che avrebbe accettato di ascoltare.
“Non credo.”
Sorrisero, ancora.
“Saremo noi e basta, bambina. Siamo così diversi da tutto il resto. Già dovremmo ritenerci fortunati ad avere due migliori amici che ci sopportano con invidiabile tranquillità.”
Gli accarezzò una guancia con la mano, e dietro quella mano c'era un movimento di tutto il corpo, ogni muscolo teso a quel singolo gesto, ogni fibra protesa verso di lui: verso l'unico uomo che avrebbe mai potuto amare.
“Sarai sempre l'unico.”
“Lo so.”
Si guardarono, in silenzio, come se fosse la prima volta.
“E tu sarai sempre...”
Ma, di nuovo, Ria lo zittì con dolcezza, con un bacio soffuso, circondandogli il collo con le braccia, come nelle fiabe. Che dire di lei, che dirne oramai. Era lei, e basta.
Sembrava non dovesse finire mai.

 

Quando ti avrò battuta, cacciata sulla luna, dimenticata per sempre
e avrò cantato il giorno che tu non sei più niente,
verrà la notte e avrà i tuoi occhi.

 

Sparirono con la semplicità di un sogno che sfuma nei contorni di un deluso risveglio.
Bliss vagava, il solito ferro negli occhi, spostando i drappi con gesti soffici delle mani bianche, e velo dopo velo dopo velo arrivò fino a Dominic, fermo in mezzo a quelle nuvole di seta, in attesa chissà poi di che.
“Ciao.”
“Ciao, Bliss.”
Si sorrisero anche loro.
Forse ci volevano dei veli di seta, per far sorridere tutti. Per sollevarli un po' dal peso delle cose, dietro quella spettacolare scenografia che proteggeva le loro vite intricate, fatte di mancanze, di abbandoni, di meraviglie, di lampi, di tuoni, di chitarre e di stelle.
“La nostra vita di qui in poi non avrà più un attimo di senso.”, constatò Dominic, gli occhi bassi sulle pieghe del vestito di Bliss.
“Perchè, fino ad ora ne ha avuto?”
“No, ma li hai sentiti?”
“No, ero lontana.”
Si guardarono.
“Parliamo un po' di noi.”
Fu Dom a dirlo, ma non per questo ha senso. Non ci si poteva aspettare una frase del genere da Bliss e Dominic, in nessun caso e in nessun modo. E invece.
“Noi?”, chiese Bliss, guardandosi intorno. Se la conosco, e la conosco, si stava chiedendo se accendersi una sigaretta avrebbe causato un incendio madornale. Decise di sì, perchè non lo fece. Invece, ascoltò.
“Noi, sì. Cosa siamo?”
“Che vuoi dire?”
“Beh, ci vogliamo bene.”
Attese, scrutandola in cerca di conferme. Che arrivarono.
“Certo che ci vogliamo bene.”
“E siamo amici.”
“In un certo senso, sì.”
“Andiamo d'accordo.”
“Raramente accade il contrario.”
L'ultima parte era un po' meno logica.
“E andiamo a letto insieme.”
Bliss lo guardò.
“E allora?”
Dominic si strinse nelle spalle, cercando parole senza sapere bene né il perchè, né di cosa si stesse parlando. O forse lo sapeva, ma non era attrezzato a tradurlo in frasi.
“Di che natura è il nostro rapporto?”
“Ma dobbiamo per forza catalogare sempre ogni cosa?”
“No, però sai, se vedi un tavolo e una sedia sai esattamente cos'è l'uno, cos'è l'altro, e in cosa differiscono le loro funzioni. Niente vieta di sedersi su un tavolo, ovviamente, ma non è quella la ragione per cui nasce.”
“E perchè nasce un tavolo?”
“Per appoggiarsi, Bliss. E per appoggiare. Che siano piatti, fogli, lampade, piante o cadaveri, è per appoggiare che nasce un tavolo.”
“E la sedia non nasce per appoggiarsi?”
“Sì, ma è deputata a quello e solo a quello. Mica ci puoi mettere una pianta, su una sedia. Non avrebbe senso.”
“E allora non è limitativo, essere una sedia?”
Dominic la guardò.
“Che vuoi dire?”
“Voglio dire che sul tavolo ti ci puoi
anche sedere. Ma sulla sedia è complicato fare le cose che si fanno sul tavolo. Che cazzo ce lo metti a fare, per esempio, un piatto di fusilli su una sedia?”
Le sorrise.
“Ma noi non siamo un piatto di fusilli. Noi siamo due persone comuni.”
“Io disegno copertine per album, faccio quadri e fotografie e giro il mondo per concerti, e tu sei un batterista che a stento ricorda cosa vuol dire stare a casa, non mi sembra che le nostre vite somiglino a vite comuni.”
Lo abbracciò, così all'improvviso che sorprese anche lui. Dopo qualche secondo di impasse, le circondò la vita con le braccia, come se volesse cullarla. Anche loro, allora, erano capaci di gesti confidenziali. Credevo di no. Ma comunque.
“Non siamo Matt e Ria.”
“Loro sono complessi.”
“No, non sono complessi, Bliss. Sono complicati e basta. Però, straordinari, non c'è che dire.”
“E per questo sempre soli?”
Bliss affondò la testa nella camicia di Dominic, sorridendo lieve.
“Buon compleanno, Bliss.”
Lei poggiò un bacio sul petto del batterista, lasciando che lui la stringesse a sé, accarezzandole i capelli.
“Mi chiamo Juniper.”, soffiò a bassa voce, e lui ne fu così sorpreso che per un secondo si dimenticò di respirare: sapeva che avergli detto il suo nome valeva molto più che avergli detto “ti amo”, cosa che non aveva detto mai, forse l'aveva pensata, qualche volta, ma non l'aveva né l'avrebbe mai detta. Erano virtualmente sposati con i rispettivi migliori amici, e con la loro libertà. Altre relazioni non ne volevano, né avrebbero saputo come gestirle, e infatti si erano trovati. Come a voler dimostrare che quel buontempone del Padreterno non è altro che, in realtà, un simpatico umorista.
Di colpo, come niente fosse, si alzarono i veli, svanendo da dove erano venuti, cioè dal soffitto. La gente, colta da un giusto attacco di labirintite, ci mise un secondo a recuperare l'aplomb. Poi, lentamente, il cigolante meccanismo del nostro piccolo mondo personale si rimise in moto, precipitandoci tutti di nuovo nella realtà. La musica tornò a scorrere dagli altoparlanti, fu restituito al suo originario arredamento con tavolini e banconi l'intero salone, le persone pian piano si riunirono in gruppi e intavolarono inutili conversazioni. Ma quella calma apparente durò giusto lo spazio di un amen.
Perchè, come è giusto che sia, di nuovo, all'improvviso, lo spettacolo prese il sopravvento, inglobando tutto il resto come un fascio di luce.

 

E il suo cuore di cristallo aveva tutti i miei domani,
e tutti i nostri possibili giorni nella tempesta e nella neve,
i sorrisi e i ritorni, gli inverni e le primavere.”
(R.V., La ragazza col filo d'argento.)

 

Era arrivato il momento che tutti attendevano.
In mezzo al caos madornale di incroci a quattro braccia di vite che c'era in quella sala, due compleanni andavano celebrati come si conveniva al calibro delle loro festeggiate.
E fu così che Ria, timida come la rugiada, si affacciò sul palco, in una penombra insopportabile.

Buonasera.”
Ogni sguardo, ogni viso, ogni persona in quella sala si tese, all'improvviso, verso di lei. Verso la sagoma appena intuibile, il candore, la dolcezza.
“Lo so, lo so, un anno in più o in meno non fa differenza. Molti di voi prima di stasera non avevano idea di quanti anni avessi, e dopo stasera lo dimenticheranno completamente.”
Le concessero il favore di una risata, per stemperare il macigno di parole che aveva da dire.
Io lo sapevo già, perchè la conoscevo bene. Qualcun altro seppe intuirlo, senza malizia. Comunque, ci pensò lei a fugare ogni dubbio, di lì a breve.
“La festa è per me e per la mia storica migliore amica, Bliss Morrissey; la vedete, è quella nuvola viola scuro con i capelli bianchi, che è la diretta responsabile della mia salute mentale e della struggente bellezza di alcune delle copertine dei vostri ultimi album.”
Partì un applauso spontaneo e divertito, mentre Bliss accennava profondi, ironici inchini ottocenteschi a destra e a manca.
“Ma qui, stasera, c'è una persona. Di solito è lui che sta sul palco, ed io a guardarlo dal basso, sentendomi unica e privilegiata a poterlo ascoltare: non pretendo che sia reciproco, sia chiaro, ma vorrei che almeno si limitasse ad ascoltare, anche senza sentire niente in particolare. Vorrei che ascoltaste anche voi.”
Un rispettoso silenzio generale le rese difficile scendere a patti con la salivazione azzerata, ma sono sicuro che dentro una calma antica le rilassava i tessuti.
Intercettò lo sguardo di Matthew, ma lo distolse subito: però, in quel contatto visivo di un secondo c'era tutto ciò che doveva esserci. Matthew stava concentrato su di lei, con un sorriso leggero.
“So bene che la festa è per me, dicevo. Ma adesso, se permettete, vorrei parlarvi un secondo di lui.”
Tutti, come una marea umana, ci avvicinammo un po' di più al palco. Sembrava un concerto al contrario, un fan lì sopra e tutti quegli artisti in basso, ad ascoltare. Aveva una bellezza tutta sua, quel momento in cui tutto si rovesciava.
E poi, Ria parlò.
“Lui è narcisista, egotico, eterodosso e iconoclasta, impaziente, dispersivo, lunatico, discontinuo e umorale come Marylin Monroe, criptico, sensazionalista, infantile, esibizionista, superbo, irragionevole, presuntuoso, impressionabile, egoista, intransigente, incomprensibile, incatalogabile, ossessionato, caustico, un professionista delle seghe mentali e della destabilizzazione psicologica.”
Le risate puntellarono qui e là il salone come fasci di luce. Ria sorrise, nella penombra, osservando la scena.
“Però, è giusto che sappiate che lui è anche comprensivo, paziente, presente, affettuoso, autoironico da morire, curativo e balsamico, come se non avessi bisogno di nient'altro al mondo quando lui è con te, è romantico, sì, molto galante, anche, pure se a volte sembra una questione personale... E' sempre poetico, straordinario in ogni cosa, intuitivo, imparziale, onesto, generoso, addirittura dolce, propositivo, elastico, liberatorio, divertente, un ottimo ascoltatore, capace di voli che non sono da tutti.”
Alcuni “Awwwwwww” rimbalzarono tra la folla, scatenando un altro applauso. Ria sorrise di nuovo. Sapevo quanto era brava a tenere la scena, Matthew invece no, e infatti sorrise, sorpreso.
“Ma, fondamentalmente, è insondabile. Inafferrabile. E sapete perchè? Perchè tutte queste cose lui, che è un'icona -di sterminate moltitudini, ma soprattutto di sé stesso-, le è a modo suo. Le reinterpreta, le arrangia come fa con le canzoni. Ha il suo metodo per reinterpretarle, ovviamente, e quel metodo dovrebbe essere oggetto di indagine da parte del reparto antropologia dello Smithsonian Institute di Washington, secondo me.”
Ancora risate, commenti indistinguibili, applausi sparsi. Attese pazientemente che finissero.
“Ma è per questo che io l'ho amato; perchè non somiglia a niente. Niente che io abbia mai visto, e niente che non sia lui. Sembra che qualsiasi cosa detta o fatta nella storia dell'uomo in posizione eretta, detta o fatta da lui abbia un suono, un sapore, un significato completamente diverso: quello giusto. Una volta mi disse, guardando il soffitto di casa mia, che c'era vento. Fu come se l'avesse inventato lui in quel momento, il vento; non importava che esistesse da millenni, che ci avessero giù scritto su miliardi di canzoni, libri e poesie, che ci avessero partorito su un milione di considerazioni diverse e giustissime. Il preciso modo in cui lo disse, ed il momento in cui lo disse, e il tono, e le pause, lui gli stava dando ragione d'esistere, al vento, attraverso di lui il vento si riscattava da decadi di bestemmie delle signore appena uscite dal parrucchiere, gli si perdonavano i disastri aerei e gli uragani, in quell'attimo a casa mia.
Questa stessa, identica cosa lui la fa con le chitarre, i pianoforti e i microfoni. E' bravissimo, lo so, ma ci sono stati chitarristi migliori, e pianisti più capaci, e cantanti più dotati: solo a lui, però, riesce quell'impossibile reazione chimica che fa cambiare il senso di ciò che tocca, che scrive, che dice, che canta, che suona e che fa. E' impossibile capirlo, se non lo avete mai ascoltato suonare. Non sentito, ascoltato: che è un po' più di sentire, proprio come 'guardare' è un po' più di 'vedere'. Tutto torna, direi. Anche lui è un po' così, credo: come c'è 'guardare', e poi c'è 'vedere', c'è 'lui' e poi 'tutti gli altri'. Il concetto di base è quello, sia per guardare che per vedere si usano gli occhi: quello che distingue le due azioni è, in realtà, una sfumatura. Siamo tutti esseri umani, suppongo, incluso lui, ma la differenza tra noi e lui è proprio questa: una sfumatura. La sfumatura che lui ha, in ogni cosa che fa.”
Le regalarono un silenzio rispettoso, tutti quei visi, quelle persone abituate a farsi dare retta, a domare le folle, a fluttuare sul resto. Le regalarono il silenzio che si deve agli eroi.
“Tutte queste parole perchè la deformazione professionale mi impone di essere il più chiara possibile quando esprimo un concetto, e volevo davvero, davvero, credetemi, rendergli almeno l'idea dell'immensità che, esistendo, ha reso mia. Ho imparato moltissimo da lui, da quell'assurdo, incredibile modo di stare al mondo che ha soltanto lui. Dal suo modo contorto, profondo e contraddittorio di farmi presente sempre, in ogni istante della nostra vita insieme, quanto io contassi, per lui.
Ed è per questo che l'unico modo che ho di celebrare me stessa è celebrare lui, che ne è il diretto responsabile. Ogni cosa vera che ho vissuto, ogni emozione che mi ha cambiato la strada, la devo a lui.”

Sospirarono, tutti, gli occhi fissi su quella visione che dalla penombra passava, ora, lentamente alla piena luce di un faretto, e mentre lo faceva la vita si sospese come nel minuto di raccoglimento prima della partita.
Matthew, rigido poco lontano da me, per la prima volta nella sua vita non aveva la benchè minima idea di cosa fare: si stringeva le mani giunte davanti alla cintura, apparentemente inespressivo. Solo gli occhi lo tradivano, e mi gridavano un'emozione violenta.
Ria apparve alla luce. Bella in un modo commovente, praticamente bruciò gli occhi dei presenti. Logorò le galassie. Paralizzò i concetti.
Li sentivi, di colpo, tutti i battiti che acceleravano a dismisura. Tutti. Quelli di uomini e di donne. Il mio, che sono gay dichiarato dal 1994, e quello di Matthew.
Le donne presenti abdicarono all'invidia per lasciare posto all'unico sentimento che consentiva loro ancora di resistere nella vita: l'ammirazione incondizionata.
Le bocche si dischiusero dallo stupore. Si alitò meraviglia.
La vedemmo tutti per la prima volta in quell'istante, comprendendo, finalmente, la sfumatura.
Ria, inguainata in un taglio d'occhi giallo oro da pantera mansueta ma indomabile, consapevole della sua improvvisamente statuaria, inarrivabile beltà, scese le scale davanti al palco, esibendo una matrice di timidezza che moltiplicò il suo erotismo dentro numeri che i matematici non sono ancora arrivati a formulare nemmeno con la fervida immaginazione. Suo padre doveva essere come minimo infastidito da tutti quegli occhi che la osservavano rapiti, ma era troppo occupato a spiegarsi come la figlia ribelle con le Converse , i capelli in perenne ordine sparso e le maglie delle rockband si fosse improvvisamente trasfigurata in quella Dea orientale, degna donna di quello che, se prima non era il più grande chitarrista degli ultimi trent'anni, lo era senza dubbio appena diventato per attribuzione.
Il suddetto chitarrista accusò un sospetto tremore al sopracciglio, ma prese il coraggio a due mani per fare qualche passo verso di lei, riprendendo di colpo coscienza che quella divinità neonata, ex mia amica discontinua, folle e rockettara, era di lui che parlava poco prima.
Mentre il re e la regina dell'universo conosciuto convergevano lentamente verso lo stesso punto, ovvero il centro della sala, la folla si aprì come il mar Rosso, in tacita e catturata osservazione.
Ria avanzava come se dovesse venirsene giù il mondo, sotto gli sguardi pullulanti.
Aspettò che ci fossero due o tre metri, sgombri di qualunque forma di vita, tra lei e Bellamy , quindi finalmente si fermò; e, guardandolo dritto negli occhi come se dovesse spiegargli a sguardi il significato del mondo, facendo onore ad Anna Karenina alzò il calice contenente uno champagne dorato all'indirizzo della volta celeste.
Dopo alcuni secondi di impasse, il pubblico riacchiappò la coscienza dalla fossa delle Marianne e la imitò.
“A Matt Bellamy.”, scandì, sorridendogli.
“A Matt Bellamy!”, le facemmo eco tutti, entusiasti e rincoglioniti, incapaci di reagire, di una produzione propria di pensiero, insomma, di qualsiasi cosa.
Vuotò il bicchiere senza staccargli gli occhi di dosso, e mentre lo mollava in mano a Mike Portnoy- che lo prese senza battere ciglio- partì un chiacchiericcio inframezzato da un applauso e qualche sporadica invocazione a un bacio, pure se aleggiava nell'aria il discreto sospetto che un bacio tra quei due avrebbe potuto rappresentare il colpo di grazia emozionale definitivo alle coronarie degli invitati, già provate da quella scena felliniana.
Ma non era finita, no.
Lui la guardò.
Lei lo guardò.
Tutti guardarono loro due.
Lei aveva momentaneamente smesso i panni di neoventunenne inquieta e insondabile per vestire quelli smessi da Bette Davis alla sua morte; lui trasudava carisma e fascino da ogni poro, come sempre, ma per le persone che ormai vedevano con gli occhi di Ria era improvvisamente l'uomo più desiderabile del creato. Tutte le donne in sala, inclusa Fiorellino, e anche qualche uomo se ne innamorarono perdutamente all'istante.
Ria e Matt ignorarono ogni altra cosa.
Si sorrisero come se si stessero rivelando l'uno all'altro adesso per la prima volta: invece si frequentavano, litigavano, si prendevano e si lasciavano già da diversi mesi.
Tennero la scena che neanche Freddie Mercury e Montserrat Caballè nel video di “Barcelona”.
Poi Ria, lenta e cauta come il serpente a sonagli un attimo prima di ingoiarsi un topo intero, fa qualche passo avanti, verso di lui, scoprendo nel camminare, praticamente per intero – a causa dello spacco a dir poco vertiginoso del vestito alacremente prodotto da mia madre -, una gamba destra lunga e ambrata che non farà finire mai gli aneddoti che si sono susseguiti negli anni su questi quattro secondi epocali.
La sua gamba si protese in avanti nel frusciare delle pieghe del vestito, e allora non si contarono più i malori dei maschi convenuti all'evento. Trè Cool affianco a me, molto semplicemente, stava per cadere a terra. Ho dedicato alcuni secondi allo stringergli con violenza un braccio per fargli affluire un po' di sangue nuovamente al cervello.
Ma non stava provocando nessuno, Ria. La provocazione era estranea alla sua immensità. Sarebbe un giochetto troppo facile, per lei: senza contare che quella gamba di serie A, di solito mai scoperta, come tutto il resto di lei è lì soltanto per Bellamy, il quale infatti la accarezza con lo sguardo.
E' solo che la doveva per forza scoprire, quella gamba, un gesto non volutamente erotico strettamente necessario per coprire la distanza tra lei e Bellamy, afferrargli il bavero della giacca e baciarlo. E infatti si baciarono. Con la lingua dolce. Per quattro minuti. Come gli adolescenti dietro gli armadietti delle scuole, insensibili a quel silenzio ultraterreno e al clic di Shots e degli altri pochissimi fotografi che avevano avuto la presenza di spirito di non imbambolarsi, ebeti, davanti a quella strabiliante performance involontaria.
Mentre si baciavano nel prototipo archetipico del bacio perfetto, immortalato forse solo da Francesco Hayez, il vestito, nel fruscìo causato dai lievi movimenti con cui si stringevano l'uno sull'altra, scoprì' di nuovo un po' di abbaglianti sprazzi della gamba del delitto, che si palesò nell'immaginario collettivo mentre agganciava la vita di Bellamy mentre facevano l'amore, gli si strusciava sulla schiena, si irrigidiva impercettibilmente di quando in quando , mentre lui la reggeva tra le mani e la faceva vibrare di una melodia splendida, come una delle sue Manson.
La gente, praticamente, cessò di respirare. Preda di questa fantasia, stava a guardare, sotto ipnosi, il decorso del bacio.
Slash in un angolo, che avreste giurato tra la tuba e i capelli non aveva visto una beata mazza, prese la decisione migliore dinanzi a questo spettacolo degli spettacoli: proruppe in un applauso. Fu il primo, ma per poco. Seguirono i battimani feroci dei quattrocento presenti, che si produssero nell'applauso più fragoroso della serata. Io non l'ho mai visto un applauso così per un bacio, neanche al cinema, ma qui ne valeva veramente la pena.
Ria, senza distogliere la lingua dal suo chitarrista, sollevò due dita in segno di vittoria. Riecco la rockettara. Fu un boato. L'Hard Rock uscì dal torpore e si vivacizzò. Il bacio terminò. Lui si ricompose. Lei era già composta. Ci vuole altro per smarrirla, l'invincibile Ria Montague.
Bellamy, comprensibilmente su di giri, gridò un “La signora vuole ballare. Di può avere un po' di musica, o devo mettermi a suonare io?” in sol diesis che spaccò quattro vetrate e ci fece riprendere il contatto con la terraferma a tutti quanti ne eravamo.
Non si scherza con la musica in una sala gremita di musicisti.
Non è un passatempo. E' una faccenda seria che anima discussioni che svariate volte sono sfociate nei litigi, nelle rotture ventennali di amicizie, nelle risse furibonde di artisti poco colti abituati a spaccare chitarre e maroni, con le mogli bionde e imbalsamate che si frapponevano per dividere musicisti invasati come rapinatori in disaccordo al momento di spartirsi il bottino dopo il colpo.
Ma non quella sera.
Quella sera, gli altoparlanti che diffondevano il Canon di D Major di Johann Pachelbel, per inappellabile e preciso volere di Matthew Bellamy, misero tutti d'accordo. Pure John Montague, trattenuto per tutto il bacio per un braccio da mia madre, che adesso ballava insieme a lei, soffiando fumo e gratitudine per l'assistenza psicologica ricevuta.
Matthew e Ria si erano congiunti pure loro per ballare, lei sognante come Cenerentola, lui incapace e spavaldo come il principe Filippo. Eppure volteggiavano, sapete. Portati da un sentimento che molti di noi là dentro non avremmo mai neanche potuto concederci il lusso di immaginare, resistenti com'erano a qualunque genere di cosa. Sembrava che Dio volesse metterli alla prova in tutti i modi, prima di lasciarli stare insieme.
Ballavano disegnando ampi cerchi, respirando la stessa aria, fronte contro fronte, raccogliendo quella sfida.
Avrei giurato si potesse morire, di una serie di visioni così.
E invece eravamo vivi, scossi, certo, ma tutti vivi.
Mi lasciai portare in pista da Mash, volendo bene alla mia amica, a tutti i miei amici, perchè altro non si può fare, nella vita, che respirare quell'amore che è un legame e una certezza, più di qualunque altra cosa. L'amore che sta nelle sfumature.

 

Do you know your enemy?”
(Green Day, Know your enemy.)

 

Pachelbel venne lentamente sostituito dal pianoforte di Ludovico Einaudi, in una sequenza dei pezzi preferiti di Bliss e Ria, le luci soffuse creavano giochi di ombre sui muri, sottolineando i profili dei trofei di guerra dello storico tempio del rock londinese: chitarre, mise di scena, 45 giri originali.
A questo punto, si profilò all'orizzonte il momento più atteso della serata.
Ria si stagliava in un angolo, affusolata e incredibile, e guardava con devozione la nuca di Matthew, poco lontano. Poi, questione di un attimo, la sua devozione si tramutò in brutale presentimento. Alla nuca di Matt si contrappose, avanzando verso di lui, la faccia di Tre Cool.
Ci producemmo tutti in rapidi slalom degli invitati per approssimarci alla scena.
La tensione si tagliava col solo ausilio di un grissino.
“Allora Matt, cos'altro hai organizzato per questa sera? Carina, la tua scenografia. Peccato che io sappia la verità.”
La verità, sputò ardendo di sacro sdegno in faccia al frontman dei Muse il batterista dei Green Day.
Matt non si scompose minimamente, mantenne l'assetto molecolare della corazzata Potemkin, e manco lo degnò di una qualsivoglia risposta. Dominic gli scoccò un'occhiata allarmata, che gli scivolò addosso come un sorso d'acqua.
“Non so, qualche fuoco d'artificio, qualche salto con il paracadute, uno spettacolo burlesque di tutte le tue amanti.”
Uno dice, la verità. Ma la verità è una: l'unica vera forza di un uomo, ciò che lo rende tale, è la brevità.
Dunque, ecco Bellamy alle prese con la brevità. Dice: “No”.
Io e Ria, limitrofi, ci sbirciavamo con la coda dell'occhio e prendemmo a ridere sotto i baffi alle spalle di Trè. Il quale fece un passo avanti in maniera piuttosto minacciosa, al che io feci svolazzare una mano tra i due, confermando definitivamente a Gerard Way, rimasto in un angolo tutta la sera, che ero gay, e prendendo -sperai- così due piccioni con una fava: fermare i contendenti e irretire il cantante, ormai in aperta crisi con la moglie.
Ma Trè Cool, in preda a pura stizza, alzò la voce, dispiegando ai quattro venti la sola verità in discussione: quella per Ria non era ormai solo tenera amicizia. (cit. Billie Joe.)
“Ma come? E io che mi aspettavo, che ne so, uno dei tuoi numeri di prestigio. Dopo la festa di compleanno cosa fai, me la lasci?”
Bellamy si accese una sigaretta. Aveva capito che la faccenda presentava improvvisamente una sua articolazione, una sua lunghezza, una sua complessità. I gruppetti di ospiti si allontanarono un po', sapevano che ci vuole discrezione, con questo genere di cose. Localizzai Billie Joe che arrivava dall'altro capo della sala, appollaiata al suo braccio un mucchio di ossa con il trucco evidentemente sbavato dal pianto, che supposi essere, dal racconto di Bliss, l'ormai fidanzata amata e stabile di Trè Cool. A questo proposito, da tutt'altra parte giunse proprio Bliss a larghe falcate, coi capelli corti e bianchi che le svolazzano intorno al viso, perchè, com'è giusto, da miglior amica sentiva odore di casino lontano sei miglia, come un cane da tartufo.
Comunque. Matt buttò fuori il fumo e non disse niente, perchè non sapeva cosa dire. Trè Cool non si faceva capace, non ci credeva, sarebbe stata la prima volta in trentanove anni di sontuosa esistenza che uno non coglieva una provocazione così chiara e sfacciata. Sbraitava, cercando di preservare una compostezza, ma sbraitava, gli occhi lanciavano palle di fuoco, il sudore cresceva, il rossore della sbronza incipiente cedeva il passo a striature violacee di collera, frequentava l'angina pectoris, insisteva: “Ma io non ci posso credere! Hai anche la faccia tosta di atteggiarti a fidanzato modello, quando dai racconti di chiunque traspare nient'altro che il tuo enorme egoismo, oltrechè la tua disumana faccia di...”
Bellamy lo interruppe, morbido e sereno come un ghiro:
“Non sono problemi che ti riguardano, Trè. Ed evidentemente, se c'erano, con stasera si sono risolti. Niente di grave, come puoi vedere. Rassegnati a crederci. Sta con me.”
Trè Cool perse il controllo e scaraventò a terra il bicchiere vuoto, che giunse incredibilmente integro sul pavimento. Io scoprii in me stesso un istinto di inspiegabile conciliazione e andai a raccoglierlo. Glielo porsi. Lo prese distrattamente. Non mi guardò neanche. Invece fissava con aria di sfida Bellamy. Voleva vedere dove voleva arrivare con la sua smodata sfacciataggine, questo Bellamy.
Ma io ora lo vedevo, Bellamy. E tremavo.
Perchè dall'atarassia stava sfociando in quella sua arietta concentrata, stava lentamente aprendo e chiudendo i pugni. Questo mi spaventava. Perchè tutta quella liturgia là è la rabbia pura che gli ho visto negli occhi un giorno in particolare, in cui ero andato a trovarlo su sua precisa richiesta, e avrebbe scassato non solo casa, ma l'intera Londra mattone dopo mattone, scardinata direttamente dal suolo. Ne aveva subito le conseguenze, di quella rabbia, solo il suo bel salotto. Quell'espressione lì è il chiarissimo preambolo a una sola cosa: la furia omicida sparita dalle scene insieme all'ansia da prestazione nel lontano 2001, che pochissimi eletti avevano avuto il privilegio di vedere scatenata, e altrettanti sfortunati ne avevano fatto le spese. Per quella rabbia lì aveva rischiato di stendere Chris con il carrello di un amplificatore, una sera del '99 a Vienna. Che Dio ce ne scampi. Tutto andava bene, ma non poteva picchiare a sangue il batterista dei Green Day la sera del compleanno di Ria e di Bliss. Dovevo intervenire. E azzardai: “Calmiamoci. Non è questa la sede per discutere cose del genere, ed è scortese nei confronti delle fanciulle.”
Al mio segnale tacito, Billie Joe intervenne a sua volta e, abbandonato il frignante mucchio di ossa in un angolo, scoccando uno sguardo sprezzante a Matt, afferrò con forza Trè Cool per le spalle.
Il mio sforzo venne vanificato da Ria. Ci si mise pure lei a complicare le cose e disse: “Lascia stare, Matt. Non degnarlo della benchè minima reazione, non se lo merita.”
Improvvisamente, Trè Cool la odiava. E sibilò come un nazionalsocialista di riguardo: “Credevo fossi intelligente, e invece sei una stupida.”
L'espressione greve di Trè Cool mentre pronunciava queste parole mi provocò un accesso di risate che sarebbe giunto fino a Krasnojarsk, ma mi trattenni, perchè Matt si stava irrigidendo tantissimo. Pensai che di lì a poco sarei scappato più veloce di Fiona May, perchè io non volevo assistere alla tragedia umana che poteva scoppiare da un momento all'altro, rovinando ancora una volta una serata memorabile.
E fu in quel momento che Matt si produsse in una delle esattamente tre volte che avrebbe mai definito Ria in quel modo.
“I really don't see how it can be of your interest, but that girl is my girl, like it or not.”, ringhiò.
Ria represse il solito sussulto di quando la definivano la fidanzata di Matt, ma detto da lui aveva un sapore diverso e lo sapeva.
“E allora tienitela stretta, si sa mai che arrivi qualcuno a portartela via d'un tratto, mentre sei dalle tue amichette. E' ovvio che anche lei è catalogabile tra una delle tue amichette. Una delle tue, come definirle?, ah, sì, puttane. Credo che puttane sia la parola adatta.”, gli sputò Trè, assumendo subito dopo una postura di profilo, quasi di spalle, cioè dichiaratamente ostile a Ria.
Ma quello che davvero mi interessa adesso è registrare la reazione di Matt dopo che, per la prima volta nella storia della sua relazione con Ria, qualcuno aveva avuto l'ardire incosciente, pazzo, assolutamente irresponsabile di mancarle di rispetto. E' una cosa che farebbe paura pure al capo delle forze armate inglesi al riparo dentro un cingolato, ve lo garantisco. E invece Trè Cool lo aveva fatto. Se l'è presa con lei, oltrechè con lui, e non aveva, stavolta, la scusa di una penosa ubriachezza a fargli da salvacondotto. Cosa ben più grave, stavolta era sobrio anche Bellamy.
Vidi Matt che si compattava in un'unica struttura di cemento armato. Nel suo corpo era tutto un via vai di ordini e di emergenze. Gli occhi gli si erano rimpiccioliti a falchetto. La bocca ora appariva un segmento. Compì un passo in avanti. Io chiusi gli occhi e cercai una preghiera, ma non ce n'era una che ricordassi decentemente. Ma poi il colpo di scena. E Ria ne fu la protagonista. Perchè non era solo una bella donna, ma era anche una persona che sa come si sta al mondo. Dunque, allungò le sue dita soffici sul braccio teso di Matt, e poi sentenziò con la voce di velluto che avrebbe inibito eserciti di adolescenti inesperti ed eccitati: “Matt, Trè Cool ha soltanto bevuto un po' troppo, e straparla in preda alla rabbia perchè tiene a me ed ha avuto notizia degli imprevisti che abbiamo attraversato.”
Li definì proprio così, giuro. Imprevisti.
“Ma sono sicura che mi vuole bene, e che è solo per questo che parla così. E' preoccupato, solo questo. Ti prego, lascia stare.”
Trè Cool, come Matt prima di lui, non lo saprà mai, ma grazie a Ria ha scampato la morte per un dettaglio.
Io tirai un sospiro di sollievo come se mi avessero strappato al decesso.
Bellamy si sgonfiò come un palloncino e rientrò all'istante nella civiltà.
Infatti, riagganciò la superiorità e la convivialità e gli disse: “Vai a farti passare un po' la sbronza, Trè. Io vado a prendere un po' d'aria.”
Ria gli sorrise, misteriosa, concedendogli uno sguardo di approvazione, quindi gli prese la mano e lo portò verso il piano superiore, diretta probabilmente al terrazzo.
Io, Bliss e Dominic ci guardammo, esterrefatti.
“San Giovanni Bassista. Che cazzo è successo?”, intervenne Christopher Wolstenholme, materializzandosi dal nulla alla destra di Dominic.
Trè Cool e Billie Joe, ancora inebetiti, si riscossero dal torpore e uno trascinò l'altro verso la porta, per farlo respirare e, plausibilmente, dargli un paio di schiaffi.
“Matthew e Trè Cool stavano di nuovo per darsi al mortal kombat.”, lo informò Bliss, sgranocchiando stancamente un salatino.
“La smetteranno mai?”, chiese Fiorellino, spuntando dietro Chris in maniera alquanto inquietante.
Mi passai una mano sulla fronte. Si materializzavano dal nulla membri dei Muse con allegate consorti, c'era una singolar tenzone in atto da svariati mesi tra Matt e Trè, Ria si era prodotta in una delle scene cinematografiche più riuscite di sempre trascinando come un tiro alla fune quattrocento persone senza alcun ausilio di una cinepresa, John Montague stava circuendo in un angolo una con la metà dei suoi anni e l'alcol scioglieva le lingue. Dovevo proprio andare.

Come on, hide your lovers underneath the covers.”
(Arcade Fire, Rebellion – Lies - .)

 

Fu come sfondare una porta aperta, nel senso fisico e psicologico del termine.
“La porta di vetro è un po' difettosa, bisogna fare un po' di forza per aprirla.”
E infatti Dominic partì sparato alla volta dell'uscio che dava sul terrazzo, spingendolo con forza a due mani, e io lo riacchiappai per la cintura leopardata giusto in tempo per evitargli un volo di alcuni piani. La porta “difettosa” funzionava benissimo.
Ria e Matt scherzavano tra di loro, permettendoci di avvicinarci quel tanto che bastava per rendergli nota la nostra presenza.
La sentii appena dire: “Ti ricordi il concerto di maggio? Quando hai cantato la cover di Creep? Bene. Lo sapevi già, dì la verità. Sapevi dove andavamo a finire.”
Eravamo evidentemente di troppo, mi ero sbagliato. Ma ormai eravamo lì. Eppure, lei sorrideva. Ma certo, che lo dico a fare. Sorrideva sempre.
“Che serata...”, commentò Dominic.
Il cielo su di noi era trapuntato di stelle.
“Allora?”, incoraggiai.
Ria mi parlò, senza voltarsi. Stava fumando una sigaretta, come Matt.
“Allora che?”
“Allora abbiamo deciso di non decidere niente.”
“Mi sembra poco saggio, ma molto da voi.”
Si strinsero in un abbraccio complice.
Mi appoggiai con le spalle al parapetto, per guardarli bene, guardarli meglio.
Forse ce l'avrebbero fatta, con un bel po' di impegno, a superare tutti gli ostacoli e uscire indenni dalla bufera.
“Siete stati, senza dubbio, l'attrazione più spettacolare della serata, insieme al labirinto di Dominic.”
Il batterista rise, soffiando via il fumo.
“Auguri, capitano.”
Ria si voltò verso la voce.
Una ragazza avanzava verso di noi, i capelli legati in una quantità di treccine blu cobalto e occhi azzurri da gatto. “Grazie, Dan.”, poi si rivolse a noi.
“Ragazzi, lei è Danny Trillow.”
Sussultammo di pura sorpresa.
Dominic puntò un dito all'indirizzo della nuova arrivata.
Lei?”, scandì.

Ria sbuffò, divertita.
“Dominc Howard, Matthew Bellamy.”, disse, indicando prima uno e poi l'altro.
Danny Trillow era, probabilmente, il critico musicale più spietato che ci fosse in circolazione. La conoscevo di fama, godeva di un'altissima stima nell'ambiente della critica.
Ma non sapevo assolutamente che fosse una donna. Nessuno lo sapeva, a quanto ho visto.
“Credevo fossi un uomo.”, disse Matt.
“Lo credono tutti. Almeno, quelli che non mi conoscono personalmente.”
“Devo dire che il nome non aiuta.”, commentai.
“Tu devi essere Gregory Fleur.”, mi disse. “Belli, i tuoi articoli.”
“Anche i tuoi.”
“Anche se hai stroncato il penultimo album dei Muse.”
Danny si strinse nelle spalle, guardando i due musicisti con dolcezza. “Se lo meritava.”, aggiunse.
“A me piaceva.”, disse Ria.
“Non avevo dubbi, capitano.”, la apostrofò Danny.
Ria rise, dicendo: “Sto diventando così scontata?”
“No, sei sempre quel che sei, lo sai. Io torno giù, devo parlare con Evey Zonk. Volevo farti gli auguri di persona, Bliss mi ha detto che eri in terrazza. E' stato un piacere, ragazzi.”
“Anche per noi.”
Qualcuno fece capolino dalla porta scorrevole.

Matt? Puoi venire un attimo giù? Ti cerca il caporedattore.”, disse un essere a me ignoto.
Matt indugiò, guardando Ria.
“Vai.”, disse lei, con un sorriso.
“Vado anche io.”, intervenni.
Matt sorrise con gratitudine a Ria, poi, con una spintarella scherzosa, la lanciò tra le braccia di Dominic, che la prese al volo. “Torno subito. Tienimela al sicuro.”, disse, poi alzò una mano in aria in segnò di saluto e se ne andò, insieme a Danny Trillow, donna.
Feci appena qualche metro dietro di lui, con l'intenzione di andarmene di sotto a cercare Bliss, un bicchiere, una risata, quando la voce di Dominic mi bloccò, raggiungendomi dove non né lui né Ria potevano più vedermi.
“Perdonalo.”
“Come, scusa?”
“Perdonalo.”
Ria tacque, e attese.
“Perdonalo per tutto. Per tutto ciò che ha fatto. Non è più la stessa persona.”
“E' questo che mi preoccupa, Dom.”
Sentii un sospiro, non so di chi.
“Matt tratta le persone come tratta le chitarre. Le ama violentemente, follemente, completamente, fino a estrarre da loro l'essenza stessa della meraviglia tradotta in suoni, poi le abbandona lì, in cerca di qualcos'altro. Quelle a cui più tiene, al limite, le omaggia di una fine più gloriosa, e le lancia addosso al batterista. E infatti, eccomi qui.”, disse Ria.
Dom scoppiò a ridere, e io mi affacciai quel tanto che bastava per vederli stringersi in un abbraccio. Dom non aveva mai avuto un'amica, per quel che sapevo io. Dom non aveva mai considerato una donna sotto un punto di vista diverso dall'abitudine.
Bliss mi afferrò per le spalle, provocandomi un infarto.
“Bliss, ma per grazia di Cristo cosa...”
“Non bestemmiare, Fleur.”
“Non ho bestemmiato, ho richiesto un parere. E il Redentore non è poi così permaloso.”
“Guardali, guardali...”, mi ignorò, indicandomi Dom e Ria.
“Bellamy dov'è?”, le chiesi.
“Sta arrivando.”
Quando anche Evey Zonk si materializzò alle nostre spalle, compresi che era ora di andare a disturbare i cinque minuti di tenerezza di Ria e Dom. Ci avvicinammo a loro: io non ero sceso a fare quel che volevo fare, e comunque la serata volgeva verso la sua fine naturale.
“Evey!”, disse Ria, tendendo le braccia alla ragazza.
Matt ci raggiunse di corsa, posizionandosi accanto a Ria, che gli scoccò uno sguardo affettuoso, e poi si rivolse alla Zonk con il suo solito fare, ancora più eterodosso e iconoclasta di quello di Bellamy.
“Ti ho presentato quel gran genio del mio amico?”, le disse, indicandoglielo.
Evey sorrise, tendendogli una mano cerea. “Ci conosciamo già, in un certo senso.”
Matt tradì confusione, e lei sorrise di nuovo.
“Io, Ria e Bliss abbiamo visto insieme, se non sbaglio, 16 concerti dei Muse.”
“17.”, la corresse Ria.
“Quanta gente!”, commentò Billie, giunto in quel momento insieme a Chris e Fiorellino. Fiorellino abbracciò Ria, mentre Matt guardava Billie, non saprei dirvi in che modo.
“Arrivederci amore ciao le nubi sono già più in là.”, mi sussurrò Bliss ad un orecchio, ironica come sempre.
Andai via per alcuni minuti, ma solo per tornare con una bottiglia di champagne e una cameriera spaventatissima con un vassoio pieno di bicchieri.
“Direi che ci vuole un brindisi a queste due icone del rock.”
“Non vi preoccupate, non ce n'è bisogno, io e Matt stiamo bene anche così. E' il compleanno di Bliss e Ria, brindiamo a loro piuttosto.”, disse Billie, prendendosi un cazzotto in pieno braccio da Ria, che però rideva, come tutti.
“Ai labirinti.”, disse Bliss, levando il calice.
“Al rock'n'roll.”, le fece eco Mash.
“A Teignmouth.”, aggiunse Evey.
“Agli stadi.”, intervenne Danny.
“Alla neve di Londra.”, disse Dom.
“Ai legami.”, disse Fiorellino.
“Agli amici.”, disse Chris.
“Alla bellezza.”, disse Matt.
“Agli ostacoli.”, disse Billie.
“A Nick Cave.”, disse Ria.
“Alle groupies.”, conclusi io, “A noi, che siamo artisti, e a tutte le nostre muse.”
Bevemmo, festeggiando un'era, più che un compleanno.
“Il mondo è una sabbia mobile. Vedete di non farvici trascinare.”, disse una voce alle nostre spalle. John Montague era capace di alcune citazioni, di quando in quando, che riecheggiavano ovunque. Sempre. Come se non fosse fatto apposta, e invece lui la intendeva così: l'ennesima performance. Però, come spesso accade quando uno ha tutt'altra intenzione, aveva detto una cosa giusta.
“Comunque, a questo proposito, volevo informarvi che me ne vado un mese e mezzo a fare la groupie del lago Bajkal.”, padellai.
“Dove hai detto che vai?”, mi chiese Bliss, confusa.
“Al lago Bajkal.”
“E dov'è?”
“A Irkutzk.”
La situazione non migliorava.
“Sta a qualche centinaio di chilometri dal confine mongolo. In Russia.”
Risero. Incapaci.
“Devo scrivere un libro su un film di Gus Van Sant. Vado sul set.”
“Oh, che meraviglia! Ti ricordi, da piccoli volevamo farci girare un biopic da Gus Van Sant.”, intervenne Mash.
“Magari succede, che ne sai.”, sorrisi, bevendo lo champagne.
“Quindi dovremo fare a meno di te per un po' di tempo?”, mi chiese Ria, al fianco di Matt come al solito.
“Sembra di sì. A meno che non vogliate venirmi a trovare a Irkutzk.”
“Mi sa che passo, io, grazie.”, disse Bliss.
“Avete visto Splinter da qualche parte?”, chiese John, che forse era di troppo, e forse invece no.
“Sì, è andata via un'oretta fa. Ha lasciato Molko, da quel che ho potuto capire.”, gli rispose Bliss.
“Non ci siamo neanche presentati...”, disse Matt.
“Era anche ora, che lasciasse Molko. Non per altro, ma glielo stavo ripetendo a braccio circolare da tre mesi. Non si possono amare due persone contemporaneamente, checchè ne dica Isabella Swan.”
“Parli di Splinter?”
“No, parlo di Molko. Ci sono certe questioni che richiedono l'esclusività, non importa come la metti.”, chiosò Ria, chiudendo lì la conversazione.
“Lei è sempre stata così.”, sussurrò Bliss a Dominic, “Aut Caesar aut nihil.”
“Non fraintendetemi, sono un'ammiratrice delle storie d'amore.”, rettificò Ria, puntando gli occhi vispi verso di me.
“Di quelle di fantascienza.”, la corressi, dando un sorso distratto allo champagne. “Ad esempio, la bella e la bestia.”
Io, come Dio, sono sempre stato un fan delle provocazioni.
“Le persone cambiano.”, azzardò poco convinta Fiorellino.
“Le persone involvono, Fiorellino. In una ricerca costante della versione precedente di sé stesse. Tipo Facebook. La versione di prima, per quanto la nuova sia sempre più tecnologicamente avanzata e teoricamente efficiente, per qualche motivo sembra sempre funzionare meglio. Non che sia vero, in realtà. E' che la vita è una costante ricerca delle abitudini perse. L'abitudine è l'unica rassicurazione che c'è.”, chiosai.
“Come dire che, quindi, i sentimenti e tutto il resto non hanno alcun significato. Sono solo merda.”, mi interrogò Matthew, interessato a ogni discorso apparentemente improbabile gli capitasse davanti.
“Per molti è così. A dire il vero, è la regola. Poi, ci sono le eccezioni.”
Alzò un sopracciglio. “Puoi farmi un esempio?”
“Certo. Tu e Ria. Siete un'eccezione.”
Tacque.
“Chiunque abbia una percezione lievemente eccentrica della realtà è un'eccezione.”, intervenne Ria, intercettando un pensiero a mezz'aria.
Calò una leggera nebbia, e appresso a lei un leggero silenzio. La nebbiolina oscurò parzialmente la visuale di tutti, in un'imitazione cosmica del labirinto di Dominic.
“Io mi sono innamorata una volta sola nella vita, a tredici anni. Esimi psicologi, tipo il qui presente dottor Montague - in arte 'mio padre', direbbero, rifacendosi a una versione oggettiva dei fatti, che mi sono innamorata di un televisore. Il che è anche vero, parzialmente, visto che è stato un dolore quando la nostra vecchia tv è spirata per le beffe del tempo che passa. Ma in realtà, il primo, l'unico e finora l'ultimo uomo che sono stata in grado di amare è quello alla mia sinistra. Da molto tempo. Molto prima che lo conoscessi, che imparassi a convivere con i suoi lati scomodi, a detestare le sue manie. Pensavo che l'uomo che immaginavo sarebbe stato molto diverso da quello che in realtà esisteva da qualche parte lontano da me, ma sbagliavo. L'amore, quando è autentico, ti conferisce un metro di giudizio che va oltre tutto il buonsenso terrestre. Io lo conoscevo già. L'avevo già scritto. Sarebbe stato folle ritrovarsi davanti una persona diversa da quella che mi ero immaginata, perchè l'avevo immaginata con occhi al di là di qualunque pregiudizio, capaci di guardare l'essenziale. Non è vero che l'essenziale è invisibile agli occhi: l'essenziale è là, sotto il nostro naso. Sono i nostri occhi che, spesso, sono inadeguati a quella vista. Crediamo di vedere, ma non è così. A stento intuiamo i contorni. Invece lui lo avevo visto, già dal primo momento. E non ho mai smesso di vederlo, da allora. Ogni gioia, ogni dolore, ogni cosa che abbiamo vissuto insieme io l'avevo già scritta da qualche parte, forse con altri nomi e in un'altra storia, ma esisteva già. Io l'avevo immaginata. E' un bel talento, immaginare, non credete?”
Sorridemmo tutti.
“Funziona così anche per il resto?”, chiese Chris, che le voleva molto bene. Lo vidi chiaramente, attraverso tutta quella nebbia.
Ria rise.
“Certo che no, Christopher, non sono mica il padreterno. Ricordiamoci che, comunque vada, e questa è una cosa uguale per tutti , dobbiamo fare i conti con gli imprevisti”.
Un occhiolino complice, risate sommesse, mani che si incrociano, chiacchiere che crescono come un'onda, vite straordinarie incastrate come in un complesso disegno di curve e linee.
Immaginatela.
Immaginate la telecamera che sfuma verso il cielo, lasciando quel gruppo allegro e bendisposto, avvolto da una nebbia leggera. Seguitene la traiettoria tra le stelle, mentre indugia un momento sulla luna, su alcune nuvole rade, e si fa spazio inquadratura dopo inquadratura verso il cielo color cobalto.
Ce l'eravamo sempre immaginata così, la nostra vita.
Un crescendo, ininterrotto, verso il cielo.
E in mezzo, cinque parole sussurrate da una calda voce maschile, mai abbastanza piano perchè un vecchio amico di qualcuno non potesse coglierle, lasciandosi sfuggire un lieve sorriso.
“Non intendo rinunciare a te.”

 

Sono mai stato in un attimo che non fosse questo?”
(Alessandro Baricco)

 

 

Vi ho fatto penare, lo so.
Ma, per farmi perdonare, vi ho scritto un capitolo che veramente è una guerra lampo degna di Karl Von Clausewitz.
Ora che ho scoperto come rispondere alle recensioni senza accludere interminabili papielli ad ogni nuovo capitolo, risponderò una ad una anche a quelle sull'11, un attimo che ritrovo il tempo.
E, sia chiaro, di recensioni per questo capitolo ne pretendo una pioggia da giudizio universale, perchè mi è costato:
1)Rischi di liti belluine al suono di “ci sentiamo dopo, devo scrivere”, frase dopo la quale l'amico in questione veniva plausibilmente richiamato quarantott'ore dopo, in alcuni casi anche con un prosaico “allora, che stavamo dicendo?”, al quale veniva puntualmente risposto un secco “vaffanculo”.
2) L'abbandono completo di qualunque funzione vitale non fosse ascoltare musica/battere indemoniata sulla tastiera del computer/fumare/intavolare conversazioni disperate e dispersive con alcune fotografie del Bellamy, pigramente allocate sul mio armadio, che peraltro non mi hanno omaggiato di alcuna risposta. A queste occupazioni hanno seguito in ordine più o meno sparso un casuale aggiornamento di facebook, alcune incursioni all'esterno, uno sporadico nutrirmi per evitare di morire, e condannarvi dunque per sempre al dubbio su cosa cazzo sarebbe accaduto dopo il capitolo 11.
3) Un ritmo sonno-veglia da rockstar, pur non essendo io, come ben sapete, membro di alcuna rockband.
4) Svariati consulti con la gente più improbabile, tra cui peraltro mia madre, che pur essendo innamorata segretamente di Biagio Antonacci dal lontano 97 non ci ha mai scritto su una fanfiction, e dunque non può capire le crisi di panico/rabbia/odio/iperattività/risate demoniache/urla sconnesse che ne derivano.
5) Una vita sociale pressochè azzerata rispetto alla norma, e io di norma a malapena ricordo l'arredamento di casa mia per quanto poco ci sto.
6) Un numero imprecisato di bestemmie da parte dei vicini di casa (scusi, signora Dacomo.) che sono stati sistematicamente svegliati, ogni mattina al levar delle sette e mezza per quasi 20 giorni, da HAARP a tutto volume.
7) Un fratello di nove anni irreversibilmente traumatizzato che confabulava negli angoli coi compagnucci che ogni tanto venivano a trovarci, articolando in fitti sussurri “non disturbate mia sorella, sta scrivendo”.
8) Una serie di sagge discussioni telefoniche con gli amici su, fondamentalmente, questo cazzo, che sfociavano spesso in argute conclusioni sull'universo/Dio/il mondo/la gente/la vita/l'amore/le belle fidanzate incinte (altrui), e che erano in realtà monologhi di irreprensibile equità da parte mia, seduta compunta sul bancone della cucina a fumare distratta studiandomi gli anelli, ma soprattutto a dispensare consigli bipartisan grondanti ulteriori e interessantissimi spunti di conversazione. Il tutto, per i penosi livelli di stress che ho raggiunto con qualche stallo episodico del capitolo.

Per dirvi.
Comunque, volevo ringraziare Evey Zonk e Danny Trillow (donna) dal profondo del cuore per avermi regalato due personaggi così divertenti da scrivere.
Volevo altresì ringraziare il riso in bianco.
E il mio amico Roberto Vecchioni, che mi ha regalato una gioia inquantificabile.
Volevo ringraziare, anche, le scarse ore di sonno, le risate suscitate da idiozie fenomenali (San Giovanni Bassista – La campagna che un tempo si dispiegava qui – Il sangue pattiato di chitemmuort, etc.), una particolare roboante figura di merda (immaginate di essere a Corso Umberto, sottobraccio a un collega, a prendere allegramente per il culo un tizio con la erre moscia, che capita essere il vostro insegnante di Storia del Teatro, e strillare, alla vista dell'insegna di un negozio di nome “Brums”, un sentitissimo e corale “BWUMS!” insieme al collega. Fatto? Ecco. Ora, davanti all'entrata del negozio, visualizzate il tipo con la erre moscia, ossia il vostro insegnante di Stowia del Teatwo, che vi fissa allibito, a voi e al collega, cogliendo perfettamente un velo di presa per il culo nei suoi confronti. E voi fuggite, increduli di fronte a quella roboante, e ho detto roboante, figura di merda.), la signora che oggi in metropolitana mi ha annodato il braccialetto con su scritto “Rosencrantz” e che mi ha fatto gli auguri, per tutto, per tutto. Questo capitolo, un po', è suo.
E ovviamente volevo ringraziare voi, infaticabile motorino a reazione di questa storia. La nostra, vostra, storia.
E Max, che è il tecnico degli effetti speciali dietro ad ogni mio viaggio verso lo straordinario, e che proprio oggi mi ha fatto un biglietto per la prossima fermata.
Fatemi l'in bocca al lupo.
La sempre vostra
Q.

P.S. Heinekrapfen, le pagine sono 31. 

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Capitolo 13
*** Scansati, equivoco. (Per le campane a festa.) ***


In realtà questa dedica
all'inizio
non era per lui
e invece
,
al Reverendo
e al nostro amore
per le cose fragili.

 

 

 

Novantadue giorni dopo quella mattina al concerto,
finito il flashback,
finito il racconto,
finiti i ricordi,
finito il cardiopalma,
finiti i drammi gravi,
finite le discussioni,
finite le colpe
e mia sorella Splinter
di nuovo in pista.

 

Objects in the mirror are closer than they appear.”
(Il retrovisore destro dell'hummer di mio padre, il Signor Superficial.)

 

Devi ancora scrivere la nostra biografia. Com'è che doveva chiamarsi?”
“Tipo 'e quindi?', se non sbaglio.”, risposi, annoiata.
“Ma non doveva chiamarsi 'Voglio farmi il chitarrista'?”
Matt represse una risata, e il mio gomito giunse a fare un saluto alle costole di Fleur in maniera piuttosto violenta, insieme a un'espressione idiomatica in italiano che capimmo io, Bliss, Splinter, e il diretto interessato.
Fleur, in tutta risposta, tossicchiò e scoppiò a ridere.
“Scusa, non avevo visto il chitarrista.”
“Suvvia, non è poi così basso.”
“Grazie, Bliss.”
“Prego, Matt.”
Uno schieramento degno dell'esercito vietnamita, su un prato verdeggiante accarezzato dai raggi di sole.
Vestiti eleganti (da Vivienne Westwood, ovviamente), e fuori posto come bambini alla prima comunione. Gettai un'occhiata inutile a Chris oltre un nugolo di zie di qualcuno conciate a festa.
“Un posto squisito per un matrimonio.”, commentò Splinter, che in realtà avrebbe voluto dire “porca troia, che palle”, ma una frase del genere contravveniva ai suoi rigidi dettami di bonton.
Dominic ci affiancò in volata, tendendo premuroso un bicchiere di succo di frutta a Bliss e un bicchiere di champagne a Matt, che lo passò galantemente a me. Gli lasciai giusto il fondo.
“Bambina?”, commentò.
“Ho bisogno di ubriacarmi amore, non farci caso, tanto raramente si nota la differenza con quando sono sobria.”
I miei “amore” erano sempre sfavillantemente ironici. Mi sorrise con gli occhi, guardandomi di sbieco.
“Vado a prenderne un altro”, disse Dom, omettendo il punto di domanda.
“Fà una cosa, se la trovi prendi direttamente la bottiglia.”, lo corresse Splinter, facendosi aria con un ventaglio di pizzo rosso e nero.
“Dici che l'hanno chiesta i testimoni.”, aggiunsi, guardando il panorama di gente assiepata qui e là.
“Adoro i matrimoni!”, ci informò Fleur.
“Complimenti.”, risposi, secca.
“A quando un bel Ria Bellamy?”, cinguettò.
“A mai.”
“Ma perchè?”
“Mi scoccio di scegliere le bomboniere.”
“Te le scelgo io.”
“Semmai io.”, intervenne Splinter, rivendicando la sua occupazione di organizzatrice di eventi.
“Mi piace il mio cognome.”
“Puoi metterlo col trattino.”
“E tu puoi evitare di farmi proposte di matrimonio per conto di Matt al posto suo.”
Un silenzio puntellato di ironici sorrisi e risatine sotto i baffi mi costrinse a tornare alla carica.
“Ma poi noto che i tuoi suggerimenti sono sempre squisitamente bipartisan, Fleur. Perchè non chiedi 'a quando un bel Juniper Howard'? Non ti piace come suona? O Dominic e Bliss, che tra l'altro sono pure con un piede in maternità, sono dispensati dall'incombenza di contrarre matrimonio? Fammi capire.”
A quel punto Matt scoppiò proprio a ridere in faccia a tutti, strappandomi un sorriso di gratitudine.
Intercettai Dominic e afferrai la bottiglia direttamente dalle sue mani. Avrei pure rifiutato il flute, se non fosse stato per l'occhiata di severa disapprovazione che mi aveva preventivamente rivolto mia sorella, sospettando che mi sarei attaccata direttamente al Pinot senza colpo ferire. Aveva guardato significativamente me e poi Matt, come a dire, ehy, c'è il tuo fidanzato lì, sforzati di essere femminile. Non ebbi il coraggio di rispondere sai quanto gliene frega a Matt se bevo dalle bottiglie, dai bicchieri, dalle cannole dell'acqua o dalle bocce per i pesci rossi. O pure da una scarpa. Non fa caso a queste cose. Ma avrei rischiato di imbastire una discussione sul costume e il galateo (che comunque conoscevo benissimo, sapevo perfino apparecchiare con dodici posate) che ci avrebbe portato via il tempo – che non avevamo – e la voglia di vivere – che non avevamo - , quindi glissai e lasciai correre.
Piuttosto, sventolai la bottiglia in direzione di Chris, che finalmente si degnò di registrare la mia presenza – dietro lo champagne – e ci venne incontro a balzelloni.
“Ehilà, piccola.”
“Parli con me o con la bottiglia?”
“Con te, tesoro.”, mi disse, fraterno. Ma l'avevo visto, guardava la bottiglia.
Gliela tesi, buttando giù il terzo bicchiere.
“Dimmi.”, disse, dopo aver bevuto anche lui.
“Chris, hai tu le sigarette.”
“Ah, sì.”
Me ne diede una. Me la accesi. Ringraziai il creato.
Matt mi versò un altro bicchiere.
“Bellamy qui sta cercando di farmi ubriacare.”
Localizzai un punto all'orizzonte.
“Oddiofrank.”, dissi, senza spazi.
Trè Cool si approssimò al nostro già nutrito gruppo di annoiati.
“Avete saputo che la sposa arriva a cavallo?”, disse, allegro.
“La cosa non può che precipitarmi nella più cupa preoccupazione, visto che la sposa normalmente cade da ferma.”, disse Bliss, attirando l'attenzione.
“Ci ho appena fatto caso, somigli a una ciliegia.”
“Come?”
“Una ciliegia. Chi è quel cieco che ti ha vestito così?”
Mi stirò un sorriso tutto gengive con tre chili di veleno tra i denti.
“Noi damigelle d'onore non abbiamo i privilegi dei testimoni di nozze.”
“Che comunque sono vestiti come i gemelli del destino.”, osservai, gettando un'occhiata a me e Chris, entrambi in nero e beige. Un accostamento terrificante, ma provate a dirlo alla sposa. Però c'era andata meglio che a Splinter e Bliss, intrappolate in strati e strati di tulle rosso sangue.
Mi avvicinai all'orecchio di Matt.
“Le hai mai viste tutte insieme?”
“Cosa?”
“Le groupie dei Muse.”
Mi guardò sorpreso.
“No”, disse, focalizzando improvvisamente cosa aspettavano i miei occhi puntati all'orizzonte.

 

Ho visto belle donne, spesso da lontano,
ognuno ha il proprio modo di tirarsele vicino.
Ho visto da vicino chi c'era da vedere,
e ho visto che l'amore cambia il modo di guardare.”
(Ligabue, Atto di fede.)

 

La prima che intercettai farsi largo tra le zie di chiunque fu lei.
Un paio di occhiali da sole enormi, i capelli lisci e castani che frullavano nel vento che si era alzato improvviso, ignorando il bonton di mia sorella, che gli stava rimproverando la scostumatezza di presentarsi così inatteso a rovinare i capelli degli invitati.
Mi aveva visto appena scesa dalla macchina, o forse aveva visto lui, fatto sta che stava venendo verso di me a passo marziale, non sorrideva, non muoveva un muscolo.
Si piantò davanti a noi, senza tradire la benchè minima emozione.
“Quanto tempo.”, le disse Bliss.
“Sempre troppo.”, rispose.
La indicai con un gesto della mano.
“Gentiluomini, Nishe.”
Si abbassò gli occhiali da sole per guardarli negli occhi con aria malandrina, facendo girare le strette di mano.
“Glastonbury 2004.”, informai.
“Mi ha pestato un piede.”, disse.
“Perchè tu mi avevi chiamata stronza.”, ribattei.
“Dopo che mi avevi pestato un piede.”, specificò.
“No, prima.”, la corressi.
“E' sufficiente.”, intervenne Splinter a fugare la discussione sventolando tra noi il ventaglio.
“Quale onore conoscere finalmente il controverso fidanzato della mia vecchia amica Ria.”, chiosò, ironica, guardando Matt.
Si studiarono a vicenda, per nulla intimiditi l'uno dall'altra.
“Oh Tea.”, gridò Bliss, in direzione di una cascata di boccoli biondi poco lontano che si guardava intorno spaesata.
“Vestita come la fata turchina.”, commentai.
Anche Nishe si voltò a guardare.
“GoodGoneTea, una volta.”, sussurrai.
Tea ci localizzò e ci venne incontro.
Fleur puntò un indice lungo a una ragazza con le trecce, poco più giovane di noi, che guardava Fiorellino.
“Bells!”, articolò. Bells lo sentì, agitò una mano e anche lei venne verso di noi.
Non tradivano emozione, non erano destabilizzate dalle visioni, né in alcun modo si sentivano intimorite. Delle professioniste.
Evey Zonk maledisse una montagnella d'erba che la fissò terrorizzata, inciampando in un tacco.
“Ehilà, gente.”, ci salutò.
“Ma Trillow dov'è?”
“E' là, sta arrivando insieme alla tua Lady.”
I Muse cominciarono ad accusare una lieve confusione.
“C'è anche The Goddess. Kid, poi, credo. Ehy, ma quella è Hysteria? Ha cambiato capelli?”, elencò soavemente Fleur, classificando giovani donne che arrivavano da ogni parte.
Ciao Matt, ciao Dom, ciao Chris, scusate i diminutivi e il “tu”, è che vi aspettavano da una vita. Scusate questa confidenza improvvisa e cementata chissà dove, abbiamo condiviso troppi eventi secolari per cascare nel baratro della forma.
“Lasciamo perdere l'elenco di tutti i concerti a cui ci siamo conosciute e che successivamente abbiamo visto insieme, rischiamo di distrarci dal motivo.”, disse Bells, abbracciandoli tutti e tre con lo sguardo, dolcemente.
“Il motivo?”, chiese conferma Dominic.
“Già. Siamo qui per un matrimonio.”
“E a questo proposito, non ho capito cosa devo fare.”, intervenne Nishe.
“E quando mai?”, la presi in giro, beccandomi un'occhiata di sfida.
“E' bello.”
Si zittirono tutti, voltandosi verso Matt.
“E' bello vedervi qui tutte insieme. E' emozionante, in un certo senso. Non sono sicuro di quale sia la parola adatta.”
“Importante?”, suggerii.
Mi lanciò uno sguardo di approvazione.
“Importante, sì.”
Mi sentivo inibita anche solo a sfiorarlo, sotto i loro occhi. Era come se due realtà parallele ma distanti nello spazio e nel tempo finalmente collidessero, dando vita a una chimica impossibile. La chimica del desiderio esaurito, del sogno alle spalle. Della realtà, di gran lunga più straordinaria di come l'avremmo mai interpretata. Naturalmente, non avevo permesso che nessuna di loro apprendesse della questione con Matt dai giornali.
A proposito di giornali, reporter vestiti in modo anonimo si approssimarono da lontano, portati dall'onda di Danny Trillow e qualche nostra vecchia amica ancora nel giro. Ne ero fuori anche io, a quel punto. Nessuna di noi ballava più sotto il palco, scuoteva la testa davanti alle proposte dei roadie. Mi chiesi se le nuove leve erano in grado di fare ciò che facevamo noi. Mi chiesi che fine avevano fatto le mie vecchie amiche che non riguardavano i Muse, forse anche loro già in pensione, pure se ancora palesemente sotto i trenta?
Mi chiusi in un risentito mutismo senza alcuno scopo particolare. Matt mi gettò un'occhiata in tralice, sentendo odore di nostalgia e tristezza, con quella tipica sensibilità intuitiva e partecipe che sfoderano gli uomini quando il tuo problema non sono loro. Sono tutti e tre là, Matt, Dom e Chris, senza gli strumenti e i vestiti sgargianti, con noi spersi intorno, universi in netta collisione, le catene invisibili dei legami oscuri e inspiegabili ben serrate intorno a tutti quanti. Era dai tempi di Jimmy Page e i Led Zeppelin che quel fortunato fotografo coi capelli blu non si trovava davanti a una scena del genere, e infatti era incredulo, davanti allo spettacolo inatteso che si ritrovava a documentare. Una giornalista che conoscevo più o meno si scontrò con i miei occhi, chiamandomi come nessuno mi chiamava più. “Possiamo farvi una foto, Capitano?”
“A chi precisamente, Lullaby?”
La giornalista saltò sul posto, incredula.
Poi si ricompose.
“Conosci il mio nome, Capitano.”
“E tu il mio.”
Bliss si frappose tra Dom e Matt, accanto a me.
“No one of us was known with her real name, in the industry.”
Sentire il suono chiaro e antico di “in the industry”, imparato da Pamela Des Barres, mi fece sentire la gloria di nuovo dietro le spalle.
“Gli artisti che seguiamo forse è raro che ci conoscano, ma tra di noi ci conosciamo tutte.”, dissi a Matt, senza staccare gli occhi da quelli di Lullaby.
“Allora, Capitano?”, incalzò la giornalista.
“Ne manca una, veramente.”
“No, sono qua.”
Mi sentii afferrare alle spalle e scoppiai a ridere. Poi una mano si tese tra me e Matt.
“Piacere.”
Matt la strinse, e le sorrise.
“Piacere mio.”
Guardai Lullaby.
“Erika Heineken.”
“Mi ricordo.”
Mi voltai verso Bliss, che fischiò come sapeva fare solo lei, e come faceva davanti alle transenne. Le nostre amiche e colleghe si zittirono di colpo e si voltarono a guardare me.
“A te va bene?”, chiesi a Matt.
“A noi va bene.”, intervenne Dom, guardando il migliore amico come se da un momento all'altro potesse esplodere.
“Certo.”, mi concesse Matt.
“E' un po' surreale, non credi?”, mi strizzò l'occhio Evey Zonk, posizionandosi accanto a me.
Sospirai.
“Cosa, esattamente?”
“Una foto così. Adesso.”
“Non si smette mai di essere ciò che si è, Zonk. Lo dovresti sapere meglio di tutti, qui in mezzo.”
“Mi sa che mi hai superata.”
“Siete ancora capaci di mettervi in posa?”, chiesi, alzando la voce, con un sorriso intrappolato tra le corde vocali.
Matt al centro, tra Chris e Dom, e noi, con l'eleganza che avevamo sempre avuto, in memoria dei vecchi viaggi, a cazzeggiare intorno in pose assurde. Catturata nell'aria una vecchia felicità, strattonai Erika Heineken per la mano e praticamente rovesciammo Matt e qualche altra di noi cascando per terra, sotto gli occhi divertiti di tutti gli altri.
Flash.

 

Be careful on what you wish,
because you just might get it.”

(The Pussycat Dolls.)

 

To walk down the isle, dicono gli inglesi.
Affiancavo Chris alla postazione dei testimoni, ci stavamo abbracciando a beneficio dei fotografi che schizzavano qui e là cercando di rendersi invisibili, operazione facilitata da una chiesa sconsacrata che era un trionfo di drappi rossi. In prima fila, Dom, Matt, Bliss, Splinter, Brian Molko e Fleur fissavano l'altare, dietro cui sarebbe apparsa la persona che doveva officiare la funzione. C'era voluto un viavai di permessi oltreoceanici per autorizzare quella follia, ma devo dire che era riuscita proprio bene.
Rivolta verso l'ingresso, mi aspettavo l'arrivo trafelato ed emozionato dello sposo, e invece si materializzarono The Rev e Johnny Christ, in evidente e palese ritardo. Alzandomi l'orlo del vestito, un po' impedita dai tacchi – che detestavo, nel caso non si fosse capito -, zompettai verso di loro, arrivando a un palmo dal naso di The Rev.
“C'era traffico.”, si giustificò, interdetto.
“Sei un coglione.”, lo informai.
“Sei bella, Ria.”
“Anche tu ti mantieni, Johnny. Dov'è Brian?”
“Eh, praticamente...”
“Jimmy.”, ammonii The Rev, “Stringi, per cortesia. Dov'è?”
“Niente, qua fuori. Stava un attimo litigando con...”
Sbuffai all'aria, “Andate a sedervi!”, gli urlai, facendo sussultare entrambi. Qualcuno sollevò una risata all'indirizzo dei due irsuti e coriacei metallari, ammoniti severamente da una ragazzina evidentemente in ansia.
“Dove?”, mi domandò Rev.
“Là, dove c'è Matt. Lo vedi Matt?”
“Bellamy?”
“Ma quale Bellamy, Shadows, il tuo cantante, te lo ricordi il tuo cantante? Là!”, dissi, puntando un indice a braccio teso a una panca in terza fila, da cui Matt Shadows mi rivolse un sorriso incerto.
Matt, quello Bellamy, seguiva i miei movimenti tradendo una certa confusione.
Intercettai Brian poco fuori dalla chiesa, senza minimamente identificare quello con cui stava parlando, e lo trascinai per un braccio lungo la navata.
“Non avrei mai pensato di portarti all'altare.”, disse, piuttosto ad alta voce, beccandosi un'occhiataccia.
“Siediti, cretino.”
“Ma stavo parlando...”
“Ma niente. Niente ma.”
The Rev gli diede una pacca sulla spalla, e io riguadagnai velocemente il mio posto accanto a Chris.
Finalmente, sulla soglia della navata, apparve lo sposo.
Synyster stirò uno sguardo indeciso alla pancia di Bliss, la quale la coprì con una mano, come a dire cosa vuoi.
Lo sposo, rosso in viso, ci sorrise, si sistemò la cravatta, e si voltò verso l'ex tabernacolo.
In un impeccabile abito rosso come i suoi capelli, l'officiante della funzione guadagnò la scena, con un fragoroso applauso.
Bliss e Splinter lasciarono le panche per sfilare a passo deciso verso l'uscita, attraverso la navata laterale. Mio padre e Morris alzarono gli occhi all'unisono, intrappolati tra Gertrude, Vivienne Westwood e Pluggie.
Pamela Des Barres, l'officiante, alzò entrambe le mani per sedare l'ovazione, e chiuse gli occhi un paio di volte. Poi guardò me e Chris.
“L'uno di fronte all'altro, per favore.”
Io e Chris obbedimmo, rapiti.
“Preferirei aveste i vostri compagni al fianco.”
Fiorellino guadagnò il braccio di Chris, sorridendo luminosa.
“Anche lei, Capitano.”, mi disse, trapassandomi con i suoi occhi azzurri la leggendaria Miss Pamela.
Le sorrisi, per come mi aveva chiamata.
Mi voltai verso Matt, e gli tesi una mano.
Lui mi sorrise, si alzò, uscì dalla panca e la prese, fermandosi accanto a me.
“Scusate, solito problema.”, dissi, togliendomi le scarpe con grazia. Le prese Fleur, e Matt mi gettò un'occhiata divertita, come a dire, sei sempre la solita.
Flash su flash. Che diletto ci troveranno questi a fotografare un testimone degli sposi scalzo.
Poi Matt alzò un pollice in direzione dello sposo, come a dirgli “vai alla grande, amico”.
Due secondi dopo, le familiari note di Knockin' on Heaven's Door si sparsero per tutta la chiesa, mentre le damigelle d'onore, sorridenti, facevano da apripista spargendo petali di rosa rossa sul tappeto bianco che portava fino all'altare. Dietro di loro, in fila per due, tutte le groupie dei Muse con cui avevamo fatto la foto, altere e commosse, che gettavano sguardi emozionati l'una all'altra e sulla folla in piedi. Una ad una, si posizionarono tutte dietro Miss Pamela, a fare da anfiteatro vivente, colorate, sorridenti, casiniste insolitamente silenziose.
Guardai Matt e Dom squadrarle, affascinati.
Poi, finalmente, la sposa, proprio sull'assolo di Slash che, mi accorsi con sorpresa, stava suonando in frac su un palco sopraelevato nella navata a sinistra, in mezzo al suo vecchio gruppo. Come diamine avevo fatto a non accorgermene prima non ebbi il tempo di chiedermelo, perchè la vidi avanzare, circonfusa da un alone di luce bianca, al braccio di Brian May, elegantissimo, con tutti quei capelli.
Era orfana di entrambi i genitori, per quello scriveva, mi diceva spesso.
E intanto era là, nel giorno più importante della sua vita, al braccio di chi le avrebbe fatto da padre per lo spazio di una navata.
Gettai un'occhiata significativa ad Erika Heineken, sapendo che era opera sua. Annuì impercettibilmente, facendo sì, sì, sono stata io, con quell'espressione di finta innocenza che avevo imparato così bene.
La sposa aveva un abito bianco (indovinate di chi.) lungo fino ai piedi senza spalline, e i capelli le ricadevano sciolti sulle spalle, ton sur ton con l'arredamento. Il bouquet di rose rosse aveva un che di dissacrante, che poi era la qualità che più amavo di lei.
Le ultime note della canzone dei Guns'n'Roses scemarono, e Miss Pamela guadagnò il suo posto.
“Amici, parenti, groupie e rockstar.”, iniziò, strappando sorrisi dovunque, “Siamo qui riuniti oggi per festeggiare questa irresponsabile decisione dei nostri amici Malaga Walsh e Tom Kirk.”
Risate cristalline puntellarono l'aria qui e là.
Matt mi strinse la mano.
“Lo faremo davanti agli occhi degli amici a cui hanno delegato il delicato compito di testimoniare, il mio bassista preferito, Christopher Wolstenholme con la sua bella moglie... - “Fiorellino.”, suggerì Bliss, e Pamela sorrise – Fiorellino, e la mia groupie preferita dopo Tura Satana, il Capitano Ria Montague, e il suo Matt Bellamy. Complimenti, tesoro.”
Eh, grazie, pensai.
Io e Matt ci guardammo e sorridemmo.
“E dietro le mie spalle, come potete notare da soli, ci sono queste splendide bambole dei Muse.”
Le bambole dei Muse salutarono, ironiche.
Non ero mai stata così fiera di loro, cosa che, infatti, non riuscivo a nascondere.
“E ora, se nessuno ha niente in contrario, direi che possiamo iniziare.”
“Prima, se permettete, però, vorrei dire una parola.”
Dal nulla, mi spuntò come una margherita un mal di testa che neanche avessi cercato di aprire a testate una porta blindata.
La sigla di un live degli Arcade Fire mi si infilò martellando nelle orecchie, anche se nessuna musica suonava nell'ambiente. L'intera platea di invitati si ovattò davanti ai miei occhi, mi aggrappai flebilmente alla manica di Matt per non cadere. Lui se ne accorse, e cercò preoccupato nei miei occhi la risposta a una domanda muta. Organizzai un tentativo di sorriso, riprendendomi un po', e per poco non mi arrivò in faccia il ventaglio che mi aveva lanciato Splinter, notando i miei barcollamenti: ancora una volta, Matt mi salvò afferrandolo al volo, per poi porgermelo, gentilmente.
Sventolandomi, mi voltai verso il pulpito, su cui Erika Heineken faceva bella mostra del suo vestito color magenta, abbracciando la folla con sguardi ironici.
“Una volta eravamo a casa di Bliss e c'eravamo ubriacate col vino del signor Morrissey, quello gran riserva, ed eravamo su un canale di musica... Il giorno dopo dovevamo partire per andare a un festival, quindi avevamo deciso di passare l'ultima notte a casa completamente ciucche, giustamente. Comunque, a un certo punto parte il video di Feeling Good, credo, e solitamente calava un silenzio religioso quando c'erano i Muse in tv o per radio, comprensibilmente, ne converrete... ma io c'ho st'immagine stampata in testa di Ria che salta in piedi sul divano che canta a squarciagola
This ain't a love song, this is goodbye sovrastando Matt. L'ha cantata tutta a cappella, col bicchiere in mano che accusava i movimenti convulsi che lei faceva provocando piccoli tsunami di vino bianco che rischiavano di benedire i presenti e il salotto. E noi le andavamo dietro, battendole le mani e facendole il coro. Lei conosceva tutto il testo, erano quelle sue fisse un po' indie che non l'hanno mai abbandonata, noi no, invece. Comunque, c'era questa ragazza che strillava a un televisore and I'm a little bit lost without you, and I'm a bloody big mess inside e altre cose che francamente ora non ricordo. Comunque c'erano Bliss e Mash in un angolo, sedute, che facevano girare il vino nei bicchieri, e Bliss chiese: 'Secondo te canteremo mai sul serio davanti a Matthew?' e Mash scoppiò a ridere e rispose: 'Certo, il giorno che avremo la possibilità di fare una cosa del genere io mi sposo...', e non riusciva a trovare qualcuno di abbastanza assurdo da abbinare. Così io le suggerii: Tom Kirk. E lei disse, ecco, mi sposo Tom Kirk. Quindi, Capitano, mi sa che oggi ci tocca cantare. E a te, Mash, mi sa che ti tocca sposarti Tom Kirk.”
Fleur si alzò in piedi e gridò un “brava!” che fece riecheggiare applausi, risate e fischi per tutta la chiesa.

Si voltarono tutti, all'improvviso, verso di me.
“Va bene, va bene, è ovvio che cantiamo. E' una roba così assurda che bisogna dargli il giusto finale, mi pare ovvio. Comunque me lo ricordavo benissimo, e speravo vivamente di essere l'unica.”, dissi.
Lei mi fece no-no col ditino.
Le sillabai un vaffanculo a fior di labbra, e poi le sorrisi.
Lei lanciò un bacio all'indirizzo di Mash, e rientrò nelle file, accompagnata da un applauso dolce.
“Che figura di merda.”, sussurrai a Matt.
“Siete strabilianti. Roba che manco gli alieni.”
E certo che avremmo cantato.
Se c'arrivavo viva.

 

Come fai a far vedere la realtà dietro un velo?
Le metti una luce dietro, almeno l'ombra si dovrebbe vedere.”
(Erika Heineken.)

 

Funzione mediamente delirante celebrata da una Pamela Des Barres in splendida forma.
Uscita dalla chiesa segnata dal riso arborio arrivato violentemente negli occhi di entrambi gli sposi.
Regali mediamente assurdi, tra cui sette notti a Las Vegas in una suite stile mondo sottomarino, brillantissima idea di Dominic.
Tom con due occhiaie che facevano spavento, nonostante tutti poi gli avevano spaccato la schiena con violenti schiaffoni dicendo che, minchia, stava proprio bene.
Mash che a un certo punto si voltò, guardinga.
Un cirrocumulo di donne variopinte si precipitò a posizionarsi nella linea di tiro.
“E ora!”, sentenziò, teatrale “Lancio il bouquet.”
Le contendenti squittirono deliziate.
Distolsi gli occhi per evitarmi quello spettacolo agghiacciante, con il solo risultato di rischiare di finire a terra per l'impatto violentissimo della mia testa contro qualcosa di nerboruto e friabile.
“Ria!”, ululò Fiorellino, sfondando il muro del suono, “Hai preso il bouquet!”
“Per essere precisi, è il bouquet che ha preso me.”, rettificai, massaggiandomi la testa. Comunque, raccolsi i fiori e li mostrai a Matt, come per dire, hai visto, ma Matt avvampò, e improvvisamente non lo vidi più, inghiottito da un nugolo di gente che lo informava minacciosamente che era il prossimo. Quando lo liberarono, mi sorrise dolcemente, e io mi girai il mazzo di fiori in mano scrutandolo con attenzione. “Non c'è mica scritto 'Matt' da qualche parte, qui.”
Rise. “Perchè, avevi in mente qualcun altro?”
“Perchè, tu avevi qualche vaga intenzione di sposarmi, scusa?”
“E chi altri credi che ti sposerebbe?”
“Stai insinuando che non sono una donna da sposare, per caso?”
“Solo se tu stai insinuando che, semmai dovessi sposarti, non sposeresti me.”
“E dopo che ci siamo sposati cosa facciamo?”
Si strinse nelle spalle, con un lampo di inguaribile ironia negli occhi.
“Quello che fanno tutti. Un figlio.”
Ci guardammo e neanche il tempo di contare fino a zero eravamo già piegati in due dalle risate.
“Cosa fate?”, cinguettò Mash, apparendo tra noi in tutta la sua efebica bellezza.
“Progettiamo di mettere al mondo un mitomane dissociato e sociopatico, con uno spiccatissimo talento che lo tormenterà fino alla fine dei tempi. Tu?”
“Mah, io mi sono appena sposata con Tom Kirk.”
La abbracciai stretta.
“Sono fiera di te.”
“E io lo sono di te.”
Ci sorridemmo, poi occhieggiai malamente l'allestimento di un palco su un angolo del prato.
“Si balla?”, chiesi, innocentemente, mentre Mash si lasciava stringere da Matt.
“E si canta.”, aggiunse lei, sarcastica.
Sospirai, rassegnata.
E come no.

 

In realtà io nutro un grandissimo rispetto nei confronti delle groupies.
Dipende da cosa intendi per 'groupie'.
E non sto parlando di donne che vogliono sesso e basta,
ma di persone che ti stanno intorno e hanno voglia di divertirsi.
Quelle ragazze trasformano l'esperienza del tour in momenti da ricordare,
e non c'è proprio niente di male in questo.
La gente ne ha cambiato il significato,
facendole passare per donne di malaffare negli ultimi dieci anni.
Ma quando parlo delle groupies, non mi riferisco al sesso.”
(Matthew Bellamy, NME.)

 

Mash inciampava nell'abito da sposa, e io litigavo con Erika Heineken.
“Senti, Heinekrapfen, qui si parlava di cantare, non di suonare.”
“E invece già che siamo qua facciamo tutte e due le cose.”
“Ma non penso proprio.”
Splinter fece svolazzare il ventaglio un po' in giro, per allentare la tensione, a uso bacchetta magica. La guardammo leggermente stranite.
Sbuffai, e scesi dal palco, trascinandomi dietro Erika Heineken.
“Non abbiamo gli strumenti.”
“Abbiamo la batteria e il basso già sul palco.”
“Appunto, e per fare quello che vuoi fare tu ci vogliono due chitarre.”
“Ve le do io.”
“Prego?”
Mi voltai verso Matt.
“Ho detto che ve le do io, le chitarre. Erika, prendi pure la mia Glitterati. E tu prendi la mia Manson nera.”
Incrociai le braccia sbuffando, ma sorridevo.
Mi diede un bacio a fior di labbra.
“Forza. Fammi vedere che sai fare.”
“Non mettermi ansia.”
“Cos'è tutto questo panico da palcoscenico?”, mi canzonò, accarezzandomi i capelli.
“Ho imparato dal migliore.”, gli risposi, dandogli un bacio sul naso.
E lo lasciai lì, a sorridere, mentre Erika mi porgeva la chitarra nera.
“Senti, fai tu la lead guitar.”
“Non ci provare, ce la giochiamo col tocco.”
Fece lei la prima chitarra.
Ci assiepammo tutte dietro il palco, mentre già si sentiva il pubblico scaldarsi.
“Cosa facciamo, allora?”
Bliss fece roteare le bacchette della batteria.
“Io sono incinta, non fatemi fare le capriole come Stewart Copeland.”
“E ricordatevi che io non sono Cliff Burton.”, intervenne, accordando il basso, Splinter. Un po' impedita dal vestito.
“Dove cazzo è il charleston?”, domandò Bliss, interdetta.
“Hein, non mettere la mano sopra il kaos pad che se ne cade la chiesa.”
“Perchè non facciamo Knights of Cydonia?”
“E certo, ma perchè non direttamente i Dragonforce?”
“Eh, arrangiamo una mazurka al volo, che ne dite?”
“Basta litigare, ragioniamo.”
“Ok. Ce l'abbiamo una tastiera?”, intervenni.
Si zittirono tutte, come un branco di piccioni davanti a un sacchetto di briciole di pane.
“Non so. Domando.”, mi rispose Mash, che si affacciò di tre quarti sul palco e venne investita da un applauso roboante.
“Scusate, volevo solo sapere da mio marito se c'è una tastiera in giro.”
“Te la trovo subito.”, le rispose prontamente Tom.
“Ma cosa vuoi fare?”, mentre aspettavamo.
“Hold the Line dei Toto.”, dissi.
“Che?”, corale.
“Perfetto. Vedete, che come coro funzioniamo.”, aggiunsi.
“Mash sta alle tastiere. La facciamo a doppia chitarra, ci mettiamo due assoli, uno il Capitano e l'altro Heineken. L'importante è che Splinter e Bliss ci vengono dietro con bassline e batteria. Il ritornello tutte insieme. E qualche improvvisazione di mezzo ai microfoni. Ce la facciamo?”, intervenne Hysteria, l'unica con un minimo di organizzazione mentale apprezzabile, che infatti di solito prenotava i biglietti aerei e gli alberghi.. E, in mancanza di biglietti aerei e alberghi, allestiva al millimetro in quattro e quattr'otto esibizioni ai matrimoni.
“Aspettate un attimo.”, intervenne Bells, “Non abbiamo mica intenzione di metterci pure a ballare?”

 

It's not in the way you've been treating my friends.”
(Toto, Hold the line.)

 

Salimmo sul palco, abiti eleganti e chitarre a tracolla. Io ed Erika ci gettammo un'occhiata significativa, guadagnando il proscenio. Ci eravamo disposte a gruppetti, dietro ogni strumento musicale e annessi microfoni. Sentii i quattro colpi di bacchette da parte di Bliss, alla batteria, e sospirando iniziammo a suonare.
E poi fu il delirio. Chitarre indemoniate sugli assoli e le improvvisazioni, suonate spalla a spalla, piatti della batteria in vibrazione costante, un pubblico che ci siamo sentite, per un momento, davvero al Gods of Metal. Le abilissime dita di Mash vestita da sposa che massacravano la tastiera, e le voci che si scontravano a mezz'aria creando melodie di cui non eravamo certo consce di essere capaci. Un basso
commovente. Un'esibizione
vibrante. Una parte a doppia chitarra davanti alla quale ci levammo la soddisfazione delle bocche semiaperte di Bellamy, Gates, Slash, e qualche altro illustre chitarrista che realizzava la chimica donna+chitarra come esistente, contrariamente a quanto pensava l'opinione pubblica. I Toto, dovunque fossero, risorsero a nuova vita. Steccammo più di una volta, ma l'entusiasmo era tale che ce ne accorgemmo solo noi. Alla fine del brano, un applauso scrosciante ci accolse nell'olimpo momentaneo.
Vidi Matt fischiare con le dita sotto il palco, e mi strinsi accanto ad Heineken. Ci guardammo, reprimendo la tentazione di lanciare le chitarre addosso a Bliss per almeno due buoni motivi: primo, erano di Matt, e secondo, Bliss era abbastanza incinta.
Ma, quel che più importa, è che Heineken si decise che era il momento di fare stage diving e si buttò a braccia aperte di spalle tra la folla, atterrando poi, alla fine, esattamente tra le braccia di Brian May, sfiorando l'angina pectoris per la sorpresa.
Io repressi un infarto e andai ad abbracciare Matt, mentre un coro di urla sconnesse che includeva “evviva gli sposi” fece effetto onda d'urto per tutto il prato.
“Sono fiero di te, bambina.”
“Grazie.”
“E non sapevo che sapessi suonare la chitarra.”
“Non ho fatto niente di particolarmente complicato.”
“Ciò non toglie che io pensavo strimpellassi appena.”
“Tu pensi sempre un sacco, Matt, e spesso a vanvera.”, gli dissi, schioccandogli un bacio.
Poi mi abbracciai Bells, scompigliandole i capelli, e le feci i miei migliori complimenti per l'acuto con cui aveva spaccato le vetrate della chiesa.
“Come ti sei sentito?”, chiesi poi a Matt.
“A fare che?”
“A fare la groupie tu, per una volta.”
Scoppiò a ridere, abbracciando sia me che Bells.
“Voi siete pazze.”
“E siamo pure maledettamente brave.”, lo bacchettò scherzosamente lei.
“Mai detto il contrario.”, le rispose.
“Sì, adesso però andiamo a mangiare e facciamo suonare qualcun altro.”, conclusi.
E tutti e tre, sottobraccio, ci avviammo verso il lunghissimo tavolo sotto il gazebo.
“Ma il navigatore satellitare per trovare i posti?”, commentò Bliss, spuntando alla mia sinistra, mentre tutti fissavamo un piatto con su scritto: “Steven Tyler.”
“Nessuno di noi è Steven Tyler.”, soggiunsi, da brava capitan ovvio.
Un solerte cameriere smise di fare l'occhiolino a Fleur e ci venne in aiuto.
Accogliemmo commossi l'arrivo degli stuzzichini al salmone.
Mentre ci mettevamo a sedere, lo sentii chiaramente, quello stronzo che canticchiava, guardandomi di sbieco.
“Fleur.”, lo ammonii, severamente.
Mi ignorò, e continuò a cantare, eloquente.

Hold the line, love isn't always on time.

 

All'amore, io, non ho mai chiesto di salvarmi la vita.
Mi è bastato che ci fosse quando ne sentivo la mancanza,
che non mi abbandonasse.
Anche quand'era sgangherato e ridicolo,
non l'ho mai lasciato andare.”
(Vincenzo Malinconico.)

 

La sera scendeva in un tripudio di sfumature del blu, rendendo all'umanità il disservizio di avviarsi alla notte a costo zero, senza alcuna implicazione secondaria, archiviati tutti i pensieri.
Da lontano vidi mio padre che si sbracciava per attirare la mia attenzione, con quella tempestività atroce a frantumare la quiete altrui, ma lo ignorai, perchè ero concentrata sugli zigomi di Matt, piegati in un sorriso.
Improvvisamente, gli squillò il telefono (in evidente combutta con mio padre e la sua crociata contro il diritto degli altri di vivere senza le sue interruzioni), e io gli stavo pericolosamente addosso, a rischio di sembrare indiscreta. Non potevo, però, spostarmi, perchè eravamo accerchiati da vecchi amici. Sfilò l'iPhone dalla tasca dei pantaloni sbuffando di fastidio, per controllare il mittente, offrendomi una visuale involontaria dello sfondo del display. Mi si accese un sorriso di pura tenerezza. Dormivo abbracciata al cuscino, presumibilmente nuda, con le lenzuola bianche attorcigliate addosso e i capelli spettinati, le braccia scoperte che finivano nelle mani su cui avevo ancora gli anelli. Si aggiustò i capelli, sorridendomi a sua volta.
“Questa quando me l'hai scattata?”
“Hai intenzione di rispondere?”, mi chiese, glissando la mia domanda.
Uscii dalla trance focalizzando il nome del mittente.

John Montague.
Ma è scemo?
“Papà?”
“No tesoro, sono Morris.”
“Non potevi chiamarmi sul mio?”
“Ci ho provato, non rispondi.”
“Non potevi chiamare Bliss?”
“Ho pensato fosse più probabile trovarti con Matt.”
“E da dove è uscita tutta questa delicatezza?”
“Ricordati che ti ho vista crescere e ti conosco bene.”
“Questo è fuori da ogni dubbio, mi pare.”
Sorrisi.
“Cosa c'è?”, mi sembrò il caso di chiedere.
“Ti devo parlare. Puoi venire un attimo qui?”
“Certamente. Dov'è papà?”
“E' andato un attimo a controllare il regalo con Pluggie e Gertie.”
“Ma a proposito di cosa?”
“No, niente. Così, a scanso di equivoci.”
Attaccai, con un bruttissimo presagio di tempesta, e porsi il cellulare a Matt.
“Cosa voleva John?”
“Non era John. Era Morris.”
Mi fissò, interdetto.
“Mi vuole parlare un secondo.”
“A proposito di che?”
“Non saprei. A scanso di equivoci, ha detto.”
“A scanso di equivoci.”, ripetè Matt, quasi non riuscisse a focalizzare il nesso.
“Eh.”
Scansati, equivoco.

 

Io non ci tengo a sapere i fatti miei.”
(Vincenzo Malinconico.)

 

Cosa c'è?”
Mi piantai a braccia conserte, sfoggiando un piglio inquisitorio da Perry Mason.
“C'è una cosa di cui ho deciso di parlarti.”

Ho deciso, affermazione già di per sé sinistra, diventava ancora più sospettosa pronunciata davanti a due testimoni oculari che di solito nei processi all'intenzione venivano adoperati per farmi ragionare a freddo: Vivienne Westwood e Jimmy “The Rev” Sullivan.
“Dana sta per avere un figlio.”
Strabuzzai gli occhi, frastornata.
“Non sono un po' vecchia per un fratello minore.”, articolai, senza punto interrogativo.
Comunque complimenti per il panegirico e la delicatezza, volevo dire. Ma poi mi accorsi che c'era un pezzo mancante, nell'economia del discorso.
“E...?”, lo incoraggiai a continuare.
“Sta per avere un figlio nel senso che è incinta da circa tre mesi.”
“E...?”
“E non è di tuo padre.”
Sbattei le palpebre un paio di volte.
“Che vuol dire?”, chiesi, stupidamente.
“Che tuo padre anni e anni fa, quando ancora stava con me, quindi pensa, addirittura prima di Pluggie, ha subito una vasectomia, cosa che tu non sapevi.”, intervenne Vivienne.
“E quindi il bambino non può essere di tuo padre.”, precisò The Rev.
Li squadrai uno ad uno, realizzando improvvisamente dove volevano andare a parare.
“Dana sa della vasectomia?”
“No, e tuo padre non gliel'ha ancora detto. Siamo tutti un po' frastornati.”
“Mi associo. E ora mi dite cos'è che non mi state dicendo?”
Jimmy mi toccò un braccio, e io sorpassai piercings e eyeliner per fissarlo negli occhi, presagendo il perchè di quell'accortezza improvvisa.
“Tre mesi fa eravate tutti a quel concerto compresa Splinter, e Dana era venuta ad avvisarti dei propositi di matrimonio. Quando tornò a casa, andò di corsa da Gertie a confessarle, tra le lacrime, che era stata di nuovo a letto con Matt. Era molto scossa.”, chiosò Morris, quasi strizzando gli occhi in attesa della mia reazione.
Non so perchè ci aveva tenuto a specificare quanto fosse scossa. Dubito si aspettasse un qualche tipo di partecipazione umana da parte mia allo stato d'animo di Dana, comunque. Spero.
“Quindi.”, articolai, atona.
Jimmy manifestò evidente preoccupazione accendendosi una sigaretta volante.
Bliss si materializzò dal buio accanto a noi.
“C'è un vertice ONU?”
“Dana è incinta, e probabilmente il padre è Matt, dato che mio padre ha subito anni or sono una vasectomia di cui nessuno era a conoscenza a parte i qui presenti.”, le riassunsi, guardandola.
Al che anche lei sbattè le ciglia.
“Però.”, commentò.
“Dice che quando siamo state al festival con Splinter e lei è venuta ad avvertirci delle imminenti campane a festa è stata di nuovo a letto con Matt.”
“E chi lo dice?”
“Gertrude sostiene che, tornata a casa, sia corsa da lei in lacrime per confessarglielo.”
“E dov'è Gertrude?”
“Con papà e Pluggie a controllare non so a che proposito il regalo di nozze di Mash e Tom.”
Gli altri tre seguirono il nostro ping pong verbale con vivo interesse.
“Vai a chiamare Splinter, per favore.”, le chiesi, asciutta.
“Subito.”, disse, e si dileguò.
“Posso conferire un attimo privatamente con Jimmy, per cortesia?”
Morris e Vivienne saltarono sul posto, poi annuirono grevi, e sparirono nel buio con i bicchieri in mano.
Afferrai The Rev per il bavero della giacca e lo trascinai verso gli alberi, schienandomi da sola a un tronco e attirandolo il più vicino possibile, per fugare eventuale gente dal venirsi ad unire a noi credendoci lì a fare salotto.
“Cosa ne pensi?”
“Penso che dovresti chiedere a Matt.”
“Senz'altro, ovviamente, ma io intendevo un po' più alla larga.”
Mi guardò confuso, cosa non facile visti il buio semipesto e la distanza-bacio tra di noi che rendeva il viso dell'altro leggermente sfocato.
“Spiegati meglio.”
“E' vera questa storia della vasectomia?”
“Io non la sapevo. Mi ha chiamato Vivienne e mi ha raccontato tutto, chiedendomi se secondo me era il caso di parlarti o meno. Morris non voleva, ma lei gli ha detto che avevi il diritto di sapere se il tuo fidanzato stava per avere il figlio di un'altra.”
“E a Vivienne chi gliel'ha detto?”
“Morris. E a Morris lo ha detto Gertrude, alla quale lo ha detto Danette.”
“Colgo un'inquietante somiglianza col gioco del telefono. Papà che dice?”
“E che ne so? A Danette non ha detto niente della vasectomia, comunque, e sta decidendo cosa fare.”
“Mio padre che decide cosa fare? Ma siete impazziti tutti?”
Sorrise, e si puntellò con un braccio sulla corteccia sopra la mia spalla per non perdere l'equilibrio preservando la distanza cospiratoria.
“Disturbo?”
Il tono asciutto e invadente della domanda scaturì un “sì” secco sia da parte mia che da parte di The Rev prima ancora che potessimo focalizzare l'interlocutore.
“Immaginavo. Allora me ne vado, non c'è problema.”, disse Matt, ancora più secco di noi.
Focalizzai di colpo.
Lo afferrai per un braccio, e lui si voltò a guardarmi gelido.
“Non volevo interromperti.”, mi disse, sprezzante.
Scoppiai a ridere e lui mi guardò, incerto se essere più sorpreso o incazzato.
“Addirittura.”, commentò, metallico.
Scoccò un'occhiata piena di disprezzo a The Rev.
“Vedo con piacere che ti fidi di me.”, gli dissi, tenendo il punto.
“E' un po' difficile, se ti vedo appoggiata a un albero con un tizio addosso che praticamente respira dalla tua bocca, in un luogo appartato. Tizio che, se non ricordo male, è lo stesso che ti stringeva tra le braccia in mezzo ai veli alla tua festa di compleanno l'anno scorso. O sbaglio?”
“Ottimo occhio.”
“Ed è pure l'amico di quello che ha mandato a carte quarantotto la salute mentale del mio migliore amico, quello di cui tuttora sospetto sia innamorata Bliss, di quel gruppo con cui ci svegliò nel tourbus uno dei primi giorni che ci frequentavamo. Quelli della tarantella metal.”
“Già, e pensa che Bliss non lo sapeva neanche.”
“Cosa?”
“Che The Rev suonasse in quel gruppo.”
“E questo che c'entra?”
“Niente, è solo che c'è stata una sequela di problemi tra me e Bliss perchè lei ha dovuto scoprire da sola che The Rev suonava negli Avenged Sevenfold, e in cambio successivamente non mi ha detto che aveva una storia con Synyster, com'è caratteristica precipua di tutti i Morrissey, occhio per occhio, dente per dente.”
“Stiamo divagando.”, mi corresse Matt, ancora sull'orlo di una crisi di gelosia.
“Direi di no, perchè questo ci riporta alla domanda cardine, ovvero che ne sapevo io che The Rev suonasse negli Avenged.”
“Come lo sapevi?”, mi incalzò, spostando gli occhi tra me e The Rev, in attesa di uno spunto per esplodere.
Sospirai.
“Non credo di avervi mai presentati. Jimmy, ti presento Matt Bellamy, il mio fidanzato.”
Matt non mosse un muscolo, ma gli rivolse uno sguardo carico di disprezzo.
“Matt, lui qualche volta è The Reverend Tholomew Plague, ma normalmente è Jimmy Sullivan.”, dissi, poi lo qualificai. “Mio cugino.”
L'espressione di Matt mutò di colpo, inghiottita dalla sorpresa.
“Mio cugino.”, ricalcai il concetto, “Il figlio della sorella della mia defunta madre.”
Mio cugino, estremamente divertito, gli tese la mano, confermando a tutti di essere rimasto il solito coglione nonostante la trentina in arrivo.
Matt la strinse, meccanicamente.
“Ciao, piacere, scusate.”, disse, in rapida sequenza.
“Che figura di merda.”, aggiunse.
“Io oggi ho cantato, siamo pari.”, gli strizzai l'occhio.
“Non preoccuparti, amico, non lo dirò a nessuno. E poi io avrei fatto la stessa cosa, al posto tuo.”
“No, tu avresti preso a menare direttamente come un mulino infuriato.”, lo corressi.
“Quanto sei puntigliosa.”
“Menomale che c'è Matt che è una persona matura.”
“Che se la tiravi un po' più per le lunghe mi assestava una craniata sul setto nasale che ci ricordavamo tutti il matrimonio.”, mi corresse lui.
Sospirai.
“Ma dove eravate?”, starnazzò Splinter, sbucando dall'oscurità.
“Cosa c'è, una riunione di elfi dei boschi?”, domandò Bliss, apparendo anche lei.
Dietro di loro, Dominic, più o meno ubriaco.
“Fantastico, ci siamo tutti. Bliss, vieni qua. Voi due”, dissi, spostando l'indice tra Splinter e Jimmy, “fate la parte neutrale.”
“Ria.”, mi ammonì Bliss.
“Sì.”
“Sii educata e urbana. Te ne prego.”
Matt intuì velocemente la natura della riunione di elfi dei boschi.
“Che altro è successo?”
Piantai gli occhi nei suoi.
“Ti ricordi l'ultimo festival a cui siamo stati? Tre mesi fa?”
Fece mente locale.
“Sì.”
Guardai Bliss, che mi sfiorò lo sguardo, incoraggiante.
“Bene. Sei stato di nuovo a letto con Dana?”
Matt spalancò gli occhi.
“Come?”
Mi avvicinai a lui, serrando i nostri occhi in una morsa da cui era impossibile scappare, e feci appello al coraggio che non avevo.

“Sei stato di nuovo a letto con Dana?”

 

I don't wanna know.”
(Milow, I don't wanna know.)

 

Cercò lo sguardo di Dominic per un secondo, che istintivamente gli si fece più vicino.
Sospirò.
“Dopo che mi si è stampata addosso tu te la sei presa a morte, e mi hai trattato malissimo, se ben ricordo.”
Questo è quel che si dice mettere le mani avanti.
“Dopo che sei sparita con Splinter e Bliss, e poi vi ha raggiunto anche Fleur, Dominic mi ha rincorso per tutta la location e mi ha trovato che parlavo con Brian, cercando di fare il punto della situazione. Ma sapevo benissimo che avevi tutte le ragioni per non fidarti di me, anche se ero piuttosto ossessionato dall'idea che tu vedessi ancora Billie Joe.”
Continuai a guardarlo.
“Io e te ci siamo rivisti solo il giorno dopo, quando ci siamo guardati, ci siamo abbracciati e non ci siamo detti niente, a parte... Vabbè, non è importante. Comunque, ho passato la serata con Dom e Brian.”
E quindi.
“E quindi no, non sono stato a letto con Dana. L'ultima volta che l'ho vista, c'eri tu con me.”
Guardai Dominic.
“Va bene.”
All'improvviso, mi sentii addosso una pioggia di occhi. Sgradevolissima.
“Cosa?”
“Ho detto va bene.”
“Tutto qui?”
“Dovevamo scomodare Scotland Yard?”, mi informai, un po' infastidita dalla loro incredulità di fronte al rito abbreviato con cui avevo assolto l'imputato da tutte le colpe.
Rivolsi un ultimo sguardo a Matt, e poi lo sorpassai senza dire una parola, seguita a stretto raggio da Dominic.
“...mia cugina ha solo bisogno di un attimo per...”, sentii giusto dire a Jimmy, che solitamente non mi qualificava mai, rimarcando l'assurdità dell'ennesima situazione, prima di franare addosso al batterista e lasciare che mi coprisse la testa con le braccia, di modo che non dovessi più sentire niente. Mai più.

 

Stamattina camminando a testa bassa ho inavvertitamente investito una sposa.”
“Gesù. E poi che hai fatto?”
“E che dovevo fare. Ho gridato 'evviva gli sposi' e me ne sono andata.”
(Milady - l'altra, 2009)

 

Milano, due giorni dopo.
“Non ce la facevo più.”
Fissai interdetta Dominic, che aveva fatto praticamente irruzione nella stanza, vedendomi con stupore restituire da lui uno sguardo esasperato.
“L'ho notato.”, commentai, guardandolo dal basso verso l'alto.
Mi fissò lui, come se non mi avesse mai vista prima, sinceramente sorpreso.
“Da cosa?”
“Dal fatto che sei piombato qui senza neanche bussare e che, nel qual caso non te ne fossi accorto, io sto facendo il bagno.”
Sbattè le palpebre un paio di volte, focalizzando la vasca da bagno piena di bolle con me dentro, che per fortuna, a parte le braccia appoggiate sui lati, testa-collo-principio delle spalle, e un ginocchio lucido di acqua e sapone, ero totalmente coperta dalla schiuma.
“Sei nuda?”, domandò.
“Perchè tu fai il bagno vestito?”, domandai.
“Hai ragione.”, ammise, dopo un sospiro.
Ci guardammo per alcuni secondi.
“Beh? Schiodi?”, lo incoraggiai, desiderando disperatamente di potermi muovere senza rischiare di svelarmi inavvertitamente. Mi si stava velocemente incriccando il collo.
Restò a fissarmi per interminabili attimi, inespressivo, come se cercasse di collegare i concetti vasca, bagno, Ria.
Poi disse: “Ho parlato con Bliss.”
Sbuffai, ridacchiando.
“Sei un adorabile figlio di puttana. Passami le sigarette e siediti.”
Mi sorrise.
“Non mi interessa mica la tua, di figa.”
“Come si vede che hai studiato ad Oxford.”
“Vero? Me lo diceva sempre, mia madre.”
Mi accesi una sigaretta e soffiai il fumo verso il soffitto.
“Veniamo al punto.”
“Chi mi dice che il bambino non sia di Synyster, Ria?”
Diretto come un cazzotto di Cassius Clay.
Lo guardai, senza rispondere.
“E' una domanda che ho fatto a lei per prima, ovviamente. E lei mi ha risposto 'te lo dico io'.”
“E tu cosa vuoi fare?”
Si mosse un po', seduto sul copriwater. Indimenticabile.
“Non lo so.”, ammise.
Tacemmo.
“Però io credo che tu sappia la verità.”, mi informò, scrutandomi il viso.
“Potrei dirti la stessa cosa a proposito di qualcun altro.”, lo gelai soave, distogliendo lo sguardo.
Ma non avevo la minima intenzione di parlarne.
“E' tutta la vita che stai dall'altra parte, Dom. Che sei tu quello di cui non ci si può fidare. Prima o poi arriva la contropartita a chiudere i conti, e ti ritrovi dalla parte sbagliata, all'improvviso. Non sai cosa fare, non ci sei abituato, e ti scopri ancora più ossessivo e irrazionale di quelle che schernivi se facevano problemi per il tuo modo di fare, quelle che ritenevi oppressive e insopportabili quando si rifiutavano di capire tu come eri fatto, o scambiavano una botta e via per una promessa di matrimonio.”
Tacque e accese una sigaretta. Certi gesti dicono molto più di qualunque ammasso di sillabe messe là per convenzione.
“Tu difenderesti il tuo migliore amico anche contro l'evidenza, come è giusto che sia. E per quanto io stia diventando noiosamente ripetitiva perfino per me stessa, non faccio altro che pensare che non esista via d'uscita davanti a questo accanimento terapeutico del padreterno nei nostri confronti, visti già i caratteri non facili e gli anni vissuti in maniera a dir poco non convenzionale. Quindi, sta a noi prendere le decisioni tenendo ben presente che sarà il tempo a dirci se siamo o no in grado di affrontare le conseguenze delle nostre scelte, e questo ci può anche stare. Possiamo litigare, tirarci appresso le piante e chiuderci fuori gli uni dalle vite degli altri, ma non possiamo coinvolgere bambini che neanche sono nati in scontri aperti corna contro corna tra testardi, egocentrici disadattati innamorati persi della propria libertà. Io, tu, Bliss e Matt non siamo adatti a fare i genitori. Non siamo proprio adatti al mondo. Sembriamo talmente fighi visti da fuori, ma stiamo cercando di far combaciare opposti fisici talmente eclatanti che è chiaro che siamo destinati al fallimento. Me lo dici in quale maniera tu e Bliss potreste trasformarvi in genitori? Ma vi conoscete? Vi avete reciprocamente presente? In che impresa vi state imbarcando? E io e Matt come facciamo a stare insieme, che a cadenza settimanale ne tiriamo fuori una nuova e siamo fatti così male e di così tanti cassetti ermeticamente chiusi che non saremo mai capaci di rivelarci del tutto l'uno all'altra? Si può mai basare una storia d'amore sul non detto? Sul sospetto? Sui reciproci assoli di chitarra? Ma ti rendi conto o no di quello che cerchiamo di far funzionare, tutti quanti? Roba che sarebbe più semplice andare a sciogliere i ghiacci perenni col phon.”
“Ne sono alquanto consapevole.”, scherzò, sbuffando via una nuvoletta azzurra.
Mi mossi un po' nella vasca, tirando fuori i piedi e appoggiandoli sul bordo.
“Dio, quanto siamo diventati ripetitivi. Diciamo sempre le stesse cose.”
“Almeno cambiamo versione in prosa, fortunatamente tu e Matt avete una certa mano, con le parole.”
Gli scoccai un'occhiata a metà tra il consapevole e l'ironico.
“E' tuo.”
“Come?”
“Il bambino. E' tuo.”
Mi guardò.
“Non può essere altrimenti, Dom, credimi.”
Cercò di dissimulare, ma era evidente il sollievo, tanto che si concesse un sorriso un po' meno stanco.
“Non mi stai solo dicendo quello che voglio sentirmi dire, vero?”
“Non dire scemenze, ho detto che il bambino è tuo, non ho mica detto 'ma certo, Dominic, che hanno inventato una macchina del tempo. E' giù nell'atrio, chiedi al portiere se comincia ad accenderla e io vi raggiungo tra due minuti'.”
Scoppiò a ridere.
“Posso venire a darti un bacio?”, mi chiese, gentile.
“Non sono mica radioattiva.”, gli risposi, sorridendo.
Si puntellò con le mani sul bordo e si chinò a baciarmi una guancia. Gli appoggiai la fronte contro una tempia, baciandolo a mia volta.
“Ah, Dom...”, lo bloccai, mentre stava per uscire.
“Sì?”
“In nome di tutti i santi, quando sarà il momento, impediscile di chiamarlo Roderick.”
Scoppiò a ridere di nuovo.
“Ti voglio bene, Ria.”
“Anche io ti voglio bene, Dom.”
Scossi la testa, sorridendo dolcemente.

 

La gente non ha le emozioni chiare,
altro che le idee.”
(Vincenzo Malinconico.)

 

La porta si aprì di nuovo, ma dolcemente e anticipata da un lieve toctoc.
Scoppiai a ridere, rovesciando gli occhi al cielo.
“Matthew Bellamy, chi mi ha cecato di iniziare ad ascoltare i Muse?”
Mi sorrise.
“Rimpiangi così tanto i tuoi eccelsi gusti musicali?”
“Era meglio se mi buttavo su Gerard Way.”
“Non è il tuo tipo.”
“Neanche tu sei il mio tipo. Sei la nemesi del mio tipo. Sei la nemesi di ogni cosa.”
Mi rivolse uno sguardo tra l'ironico e il dispiaciuto.
“Chiudi a chiave.”, gli dissi.
“Perchè?”
“Perchè avrei dovuto chiudere a chiave io.”
Mi sorrise di nuovo, e chiuse la porta.
“Vieni qui.”
Si avvicinò, e si sedette sul bordo della vasca.
“Vieni qui nel senso di qui dentro.”
Sospirò gettandomi un'occhiata ironica delle sue, come a rimarcare la mia incontentabilità, e si alzò in piedi. Lo sentii trafficare coi vestiti dietro di me, dopodichè disse: “Fatti più avanti”, entrò nella vasca da bagno sedendosi dietro le mie spalle e mi abbracciò stretta, lasciando che appoggiassi la testa all'indietro nell'incavo del suo collo.
Chiusi gli occhi, in pace.
Restammo così, in silenzio per un po'.
“Fare l'amore adesso sarebbe un clichè.”, sussurrai a mezza voce, per non rompere quella quiete.
“Te l'ho mai detto che adoro i clichè?”
Scoppiai a ridere.
L'amore... ma che razza di stronzate si va a inventare il padreterno.
“Matt, noi funzioniamo malissimo insieme.”
“Stiamo facendo terapia di coppia in una vasca da bagno?”
“Coppia? Quale coppia? Una coppia negli intervalli tra una storia e l'altra?”
Sentii un sorriso contro la mia spalla.
“Mi stai chiedendo stabilità?”
“No, ti sto chiedendo di scegliere da persona matura e consapevole. E, mentre lo fai, di essere onesto a qualsiasi costo. Altrimenti siamo destinati ad annegare nei nostri problemi insoluti e nelle cose che non ci siamo detti.”
“Ti ascolto.”
Lasciai che un po' di silenzio si gonfiasse tra i secondi e le molecole dell'aria, tipo cuscinetti.
“Ti basto io?”
“Credo che dovremo romperci le corna su ogni probabilità, prima di stare tranquilli. Tengo molto a te. Non come tenevo a Dana, o a chiunque sia venuta prima. Tengo a te in un modo completamente diverso.”
“Tu sei capace di dirmi che mi ami solo quando arriviamo ai ferri corti, e io devo ancora capire com'è questo fatto.”
Rise.
“Tu invece sei capace di dirmi che mi ami solo quando mi devi far sentire una merda. Perchè ci sei rimasta male per qualcosa, e sai che effetto ha su di me sentirmelo dire dalla tua voce. L'hai sempre fatto. Sempre.”
Risi anche io.
“La prima sera che ci siamo parlati, quando sono uscito dalla cucina e mi hai visto, l'espressione che ti è apparsa sul viso mi ha investito come un treno. E ancora mi tormenta. Ci ripenso spesso, sai. Non so se hai mai visto un fiore che sboccia, ma un attimo prima eri annoiata e un attimo dopo ti sei irradiata di luce. Ti ridevano gli occhi. Là per là ho pensato di essermi impressionato, ma nessuna mi aveva mai guardato in quel modo. E poi quando mi hai stretto la mano. Tenevi la mia mano nella tua e lo sentivo che, anche se mi guardavi, eri concentrata sulla sensazione della stretta, della mia pelle contro la tua. Come se aspettassi di toccare la mia mano da una vita, per sentire come era fatta, se somigliava a qualcosa, se era morbida o ruvida, se aveva una stretta potente o meno. E poi eri bella, Ria. Cazzo, quanto eri bella. Una pietra preziosa in mezzo ai sassi. E io ho finito di rovinarti, ovviamente.”
Avevo ascoltato tutto avvolta nel suo abbraccio, con gli occhi bassi, a scrutare l'acqua.
“I love you, Matt.”
Lo sentii respirare e sorridere, di nuovo, sulla mia spalla.
“Dillo ancora.”
“I love you, Matt.”
“Ancora.”
“I love you, Matt. I love you. I love you. I love you. I love you. I love you. I love you.”
Tacemmo.
“Perchè ti sei fermata?”
Ruotai su me stessa per baciarlo.
“Lo sai che non amo ripetermi.”, lo presi in giro.
“Non ami ripeterti? Ma se sembriamo tutti dei dischi incantati. Sono mesi che facciamo solo 'con chi sei stato a letto?, va tutto a puttane, con chi sei stato a letto?, va tutto a puttane, con chi sei stato a letto?, va tutto a puttane'. Dovremmo ringraziare Bliss e Dana per lo spunto che ci hanno dato per il remix. Almeno ora possiamo integrare con 'si può sapere di chi è il bambino?'”
Scoppiai a ridere così di cuore che per poco non straripò l'acqua.

Ho combattuto il cuore dei mulini a vento.

 

Quand'è che la smetterò di dare inizio a cose che non intendo finire?”
(Vincenzo Malinconico.)

 

L'ingresso in salotto fu segnato da un flipper di sguardi di sagace consapevolezza, come se tutti sapessero cosa era accaduto nel bagno.
“Arriva la nonna.”, si espresse Jimmy, tagliando a fettine il silenzio ironico sceso tra i presenti.
Scoppiai a ridere, poi notai che il suo sguardo non vacillava: a quel punto, ritenni che era il caso di preoccuparmi.
“In che senso arriva la nonna?”
“In quanti sensi può arrivare la nonna, Ria?”
Mi guardai intorno.
Dom, Bliss, Matt, mio padre, Synyster, mio cugino, una cartelletta rossa con su scritto “Parenti”.
Bien”, sbucò Chichi da dietro al bancone, servendo alcuni bicchieri di qualcosa che sperai essere pesantemente alcolico. “Domani avete la prova vestiti, poi le prove in chiesa. Tra quarantacinque minuti c'è, invece, la prova della Cena.”
La lettera maiuscola alla parola “cena” la misi io a mente, tale fu la gravità dell'enfasi con cui Chichi articolò la parola nel suo inglese precario.
Ci squadrai, chiedendomi se non fossimo troppo casual.
“Non siamo troppo casual?”, articolò Dominic, guardandosi la maglia con la stampa.
“Bravo, andate a mettervi camicia e cravatta.”, lo incoraggiai, gettando un'occhiata eloquente anche agli altri tre.
“Io vorrei tenere i jeans.”, protestò Bliss.
“Se vuoi farti ammazzare.”
“Saranno anche cazzi miei.”
“Come sempre.”, sbuffai.
“Danette dov'è?”, domandò Jimmy, creando cristalli di gelo totalmente gratuiti e francamente poco necessari all'atmosfera festiva che avremmo dovuto respirare.
“Danette non c'è.”, ribattè secco mio padre.
“Non viene al matrimonio?”, domandai, serafica.
“Tua sorella, dimostrandoti una grande solidarietà, mi ha fatto sapere che si rifiuta di sposarsi se in chiesa c'è lei.”
“Come ha risolto con Brian il problema dell'altezza?”, domandò Synyster, sinceramente interessato, salvandoci in corner da una lite furiosa.
Bliss si strinse nelle spalle. “Boh? Dice che orizzontali non si nota.”
Ridemmo affettuosamente del picco massimo di battuta sessuale che ci si poteva aspettare da quella grandama di mia sorella.
“Peccato solo che non si sposano su quei cosi tipo skateboard dove si stendono le Charlie's Angels nei film quando devono fare gli appostamenti alle macchine in corsa.”, commentò Dominic, evocando una fantastica immagine.
Scoppiai a ridere.
“Anche se, avrebbe un suo perchè.”, commentai.
“Sì ma io non sono ancora riuscito a capire come si colloca vostra nonna nell'economia del matrimonio.”, intervenne mio padre.

Io e Jimmy lo fulminammo con lo sguardo.
“Che hai contro la nonna?”
“Io? Niente. E' che è vostra nonna. Vostra, non di Splinter, capisci.”
Decidemmo di ignorarlo direttamente.
“Chi la va a prendere la nonna?”
“Synyster.”
Guardai Synyster.
“Papà, è un'idea tua per ricongiungerla al creatore prima che riesca a mettere piede in chiesa?”
“Non c'entro niente, io.”, si discolpò mio padre.
“Jimmy, ti sembra una buona idea mandare Synyster a prendere la nonna in aeroporto?”, gli chiesi, facendo su e giù nell'aria con la mano davanti a Synyster come a dire 'guardalo bene'.
Jimmy assottigliò gli occhi guardando il migliore amico, come se all'improvviso lo stesse accusando di qualcosa, infatti Synyster sbottò in un “what?” alquanto infastidito.
“Come si chiama tua nonna?”, mi chiese all'improvviso Matt.
“Willow”, gli risposi distrattamente, occupata a vestire e svestire mentalmente Synyster per renderlo più digeribile a mia nonna.
Dom e Matt si guardarono in faccia vicendevolmente, poi guardarono noi, scandendo in coro: “Grandmother Willow?”
Sbuffai.
“Sì. Grandmother Willow. Nonna Salice, come Pocahontas, e quindi?”
“Ma soprattutto, che ne sapete voi?”, si informò quella volpe di mio cugino.
Loro due si strinsero nelle spalle.
“I figli di Chris.”, dissero.
“Ah, certamente.”, li schernì Bliss.

 

Ho lasciato vagare i pensieri dentro all'aria che va
come un fiume in piena dopo un'alluvione.”
(Nomadi, La dimensione.)


 

Nella mia stanza, me ne stavo seduta ad accarezzare il materasso, canticchiando distrattamente Blackout.
“Ma che fai, canti Blackout?”, mi chiese Matt, materializzandosi sulla porta.
Sospirai.
“Pensavo a quando avevamo diciott'anni.”, gli dissi.
“Non molto tempo fa.”, scherzò, facendomi l'occhiolino.
Roteai gli occhi., con un sorriso.
“Non avrei mai pensato di vedere Splinter sposata con Brian Molko.”
Gettò un'occhiata eloquente alle foto che avevo ancora sui muri e poi aprì le braccia, come a dire 'guardami'.
Sorrisi dolcemente.
“Hai ragione, anche tu sei stato una bella sorpresa.”
“Ehi, non andare in crisi riflessiva, non risolveresti niente. E' tutto assurdo, bambina.”
Annuii, osservando quell'uomo che era diventato il perno di una vita che a volte non mi sembrava neanche la mia. Come se la osservassi da fuori, fotogrammi di un tempo immobile, mai davvero vissuto. Gli tesi una mano, chiedendogli in silenzio di raggiungermi sul letto, e poi mi stesi sul suo petto, guardando il soffitto ancora pieno di vecchie fotografie, osservando quanto contraddittorio e fragile fosse quel contrasto tra l'uomo sul mio letto e quello sul mio soffitto.

 

La chitarra riempie la tua stanza, come te la riempiono gli amori
forse a diciott'anni non c'è distanza tra le cose dentro e quelle fuori,
forse a diciott'anni si canta e basta, essere sentita o non sentita non ti cambia la vita.
Io non ho l'età, e ho le palle piene di vedermi questa gente intorno
manager cazzuti, falchi, iene, ti farò sapere quando torno
ma ti lascio un sacco di parole e quel po' di roba che mi avanza, qui nella mia stanza.
Passerà tutto questo vivere, questo andare e venire di treni, questa lettera da leggere e da scrivere, passerà questo vivere nei tuoi occhi da non poterlo più tenere dentro, da farti credere che il cuore ti scoppi
E allora canta, amore mio, finchè ti batte il cuore
Canta, finchè ti basta il cuore.
Tutto questo c'è nella mia stanza, giuro, non lo so se è poco o molto, so che non sapevo mai starci senza, e mi vien da ridere se mi volto... Se ti va puoi entrarci, sennò pace, vedi di giocartela a testa o croce, ma con la tua voce.
Passerà tutto questo vivere, questo fottutissimo tempo stupendo, questo dolore che ci fa ridere, passerà questo vivere nei tuoi occhi da non poterlo più tenere dentro, da farti credere che il cuore ti scoppi
E allora canta, amore mio, finchè ti batte il cuore
Canta, finchè ti basta il cuore.
E se non basta il cuore, canta con il mio.”

(Roberto Vecchioni, La mia stanza.)
 

Al fuoco!”, un urlo forte e chiaro a rompere un precario silenzio.
“Ammazzati.”, risposi, sobbalzando dal letto e di riflesso levando le mani di dosso a Matt.
Synyster mi rise in faccia, sprecando una delle sue rare manifestazioni di gioia per l'occasione.
“Dobbiamo andare, belli.”, ci informò, mentre Matt si rimetteva in piedi, un po' a disagio, poi mi sorrise e uscì dalla stanza, scoccando a Synyster un'occhiata ironica.
Rimasi da sola con lui, guardando a terra, presa da una malinconia che non aveva radici particolari.
“Qualcosa ti preoccupa?”, mi chiese, facendo qualche passo verso di me.
“Sì. I migliori amici.”
“Di chi?”
“Di tutti, Bry. Di tutti.”, gli risposi, dandogli un cazzotto dolce sul petto, e poi uscimmo abbracciati.
“Passeranno tutti questi matrimoni.”
“E' esattamente questo che mi preoccupa.”
“La smetti di pensare in flash forward?”
Mi strinsi nelle spalle.
“Vedi, Synyster”, dissi, “è che pensare a ciò che è successo purtroppo non serve a niente, perchè non cambia le cose. Forse pensare in avanti aiuta a prevenire, chi lo sa.”
“Non so se vale la pena di provarci. Cos'è quella camicia rosa?”, disse, distraendosi dal discorso, quando nel nostro campo visivo entrò mio padre, sfoggiando una stoffa rosa tenue sotto la giacca nera.
Mio padre, da parte sua, non ci degnò di alcuna risposta.
Ci guardammo.
“Ci mancava solo una camicia rosa.”, commentai, caustica.
Guardando le schiene che sfilavano verso la porta di casa, mi prese alle spalle una nostalgia che non conoscevo, e io non sono mai propriamente sopravvissuta a niente che mi abbia preso alle spalle, tra cui The Rev, in quel momento, di quel giorno, così strano.
“Promettimi una cosa.”, gli dissi sottovoce, mentre mi lasciavo abbracciare.
“Cosa?”
“Semmai dovessi decidere di sposarmi, per qualunque motivo...”
“Darei fondo alle mie discutibili doti di dialettica per farti desistere.”
“...E questo è sottinteso.”
Mi guardò, come a dire vai avanti.
“Niente, Jim, niente.”
Mi sorrise, stringendomi un po' di più.
Sono davvero poche le cose, nella vita, che sanno farti andare avanti comunque. Scendere quelle scale, scostare quei veli, uscire da quei labirinti.
“Mi sei mancato.”
“Ti sono mancate le mie magliette, dì la verità.”
“Anche quelle. Più che altro, mi è mancato il mio migliore amico.”
“Io mi sono portato dietro in tour ogni bacio che mi hai dato, però.”
“Perchè siamo stati zitti per tanto tempo, Jimmy?”
“Forse volevamo qualcosa da proteggere, Ria. E cosa c'è di più importante da proteggere se non il proprio sangue?”
Sentii un'imprecazione di Bliss che prendeva di liscio uno scalino, aggrappandosi a Synyster per non cadere, con quella pancia pronta a uscire e metterci tutti davanti alla realtà dei fatti da un momento all'altro.
“I migliori amici, bello. Ci sono sempre loro, da proteggere.”

Pink is the new black.”
Synyster Gates.

 

 

E' che avevo nostalgia di un tempo immaginato, e basta. Gocce di nostalgia per ogni cosa che non avevo fatto in tempo a vivere. Ecco, cos'era.

 

 

 

Allora.

 

Se, generalmente, “allora” è un termine grammaticalmente poco adatto ai discorsi (della serie che la maestra storceva visibilmente il naso, quando ci faceva una domanda e noi iniziavamo la risposta con “allora”), credo che questo sia uno di quei casi in cui si può chiudere un occhio, e lasciare l'autore a parlare libero un po' come meglio crede; questo, in effetti, è uno di quei casi in cui lo scrittore deve spiegarsi. Non spiegare, no, proprio spiegarsi, riflessivo. Che un po' vuol dire spiegare a sé stesso, e un po' vuol dire spiegare ciò che ha capito quando si è spiegato da solo.
Allora.
Questo capitolo era nella mia testa dall'inizio della stesura di questa storia, solo che nella mia mente non era ancora apparso il nome degli sposi. Volevo che i Muse, però, incontrassero e si scontrassero da vicino con le loro groupies. Groupies che, all'epoca, erano ovviamente senza identità. Credevo che le avrei inventate poi, scrivendo, e invece, com'è caratteristica precipua della vita che, mentre scrivi qualcosa che per te è epocale, ti viene incontro e si plasma intorno alla tua storia come se una penna avesse sul serio il potere di cambiare il corso degli eventi, non è andata esattamente così.
Quelle ragazze sul prato, colorate rispetto al resto, investite di un'aura e di un ruolo oscuro e imprendibile per tutti gli altri, lo scrittore le ha incontrate davvero. Dietro uno schermo, mentre la storia prende forma sotto gli occhi di tutti e nessuno ne sa più dell'altro, mano a mano si sono srotolate davanti ai miei occhi vite altrui, come gomitoli di lana. Ho letto i loro sogni, le loro speranze, ho letto, credo, anche tra le righe di quello che non dicevano. Ho seguito i ragionamenti, ho visto la preoccupazione, l'emozione, l'affetto incommensurabile che nutrono per questi tre fortunatissimi uomini. Sono sempre stata una grande fan della marea immensa che si muove silenziosa sotto i palchi, dietro le transenne; qualche volta ho avuto anche il privilegio di sentirmi investita dalla loro luce. E poi c'è chi, perchè non ha potuto, un concerto ancora non l'ha visto. E io, invece, che catturo parole e immagini e le trasformo in racconti, ho visto i concerti dentro i loro occhi, anche senza averli mai guardati. Ho visto le speranze grandi, immense, che queste ragazze si portano dietro come zaini, che le rende così diverse dalle persone grigie alle quali si sforzano di accomunarsi, di somigliare, persuase che la vita vissuta al livello piano terra sia più semplice, ancora ignare del fatto che non sono state create per camminare, ma per volare. Quando personalmente ho visto Matthew Bellamy dal vivo per la prima volta, ho sentito colpirmi come un treno quegli straordinari sedici anni che non avevo più, e che ho vissuto a stretto contatto con il ferro di una transenna per un altro uomo, che non era lui. Non ho mai parlato davvero di ciò che penso di Matthew, di ciò che mi lega a lui, di ciò che vedo quando lo guardo e di ciò che sento quando lo ascolto, e non ne parlerò mai davvero, potete starne certe. Se sarete attente, qualcosa la vedrete attraverso gli occhi di Ria, che non è me. Non saprete mai dalla mia bocca, neanche, quanto io somigli davvero a Ria. Ogni volta che mi è stato chiesto, ho dato una risposta diversa. Ogni risposta era assolutamente sincera, sia chiaro. Questo per arrivare al punto: sto imparando immensamente dalle ragazze che vedete, in questo capitolo, interpretare le groupie dei Muse. Non ho dovuto cambiare una virgola di ciò che sono veramente, mi sono limitata a guardarle sulla linea dell'orizzonte, a proiettarle in avanti nel tempo. Si riconosceranno, spero, nei loro occhi. Prenderanno, forse, un po' più coscienza di chi sono veramente.
Spero che basti loro sapere che hanno preso dei personaggi vuoti, random, senza anima, e li hanno resi veri. Non reali, ovviamente, ma veri, che è il passo prima della realtà.
Sono convinta, per quel che vale, che un sogno si avveri molto prima di realizzarsi.
Il mio sogno personale lo avete avverato voi, semplicemente interpretando voi stesse. Ogni riga che mi avete scritto, ogni opinione che avete espresso mi ha reso di un gradino più vicina a ciò che spero, un giorno, di veder tramutato in realtà. Una cosa così folle che non l'ho detta neanche a me stessa, una cosa che, ovviamente, c'entra con le parole, anche se non so bene in che modo.
Devo a Matthew Bellamy un paio di cose interessanti. In primis, il fatto che ha preso una ragazza allo sbando senza più la minima idea di chi fosse e dove volesse andare, l'ha rimessa in ordine con grande fatica e ne ha fatto Queen of Superficial.
E poi, direi anche soprattutto, il privilegio di avervi conosciute, di avervi capite, di poter stare qui, dietro uno schermo, a inventare parole e guardarvi mentre vi battete per loro, mentre non vi rassegnate, non ci credete che è finita. So che sapete a cosa mi riferisco, e vi prometto che non è finita. Anzi, che la storia, la realizzazione di ogni cosa che si è avverata, inizia proprio da qui. Ogni volta che, nella vita, qualcosa vi sembra il capolinea, è solo perchè non è ancora nato qualcuno di abbastanza bravo a riconoscere le linee di partenza. Perchè quando parti è un po' come arrivare, non so se mi spiego. Pensateci, la prossima volta che partirete. C'è quella sensazione di esaurito, di chiusura che non se ne va, anche se siete consapevoli di stare andando, in realtà avete la sensazione di aver terminato qualcosa.
E invece credetemi, vi prego, è solo l'inizio.
Allora, ci lasciamo qui.
Tutti in attesa di sapere come va avanti la storia.
Quella che scrivo, cioè questa qui.
Ma anche un po' quella che stiamo guardando, che poi in realtà stiamo anche costruendo, che ne sapete voi.
Con immutato affetto
la vostra
Q.

 

P.S. Da qualche parte nel mondo, dentro una persona che forse neanche se ne rende conto, c'è Ria, che sta già cercando Matt. E quando lo troverà, se tutto andrà come deve andare, niente sarà mai più lo stesso. La riconoscerete subito, perchè le groupie non sbagliano mai, quando c'è da inquadrare una donna. Io starò ancora scrivendo di qualche sogno e qualche orizzonte, probabilmente, e se non me ne accorgerò mi avvertirete voi. Allora potrò scrivere di nuovo, di qualcun altro, la prossima volta. Ma non sapere le cose è la sensazione più bella del mondo. Chiedersi come finirà dà la possibilità di sperare in qualcosa di sensazionale, tipo un sogno già avverato che, finalmente, si realizza. Farfalle ed uragani. (Non riesco ad essere breve neanche nei Post Scriptum. Ci lavorerò su.)

 

Volevo solo dire grazie alle mie ragazze per ogni attimo insieme fin qui.

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Capitolo 14
*** It's not a war, it's just the end of love. (13 bis.) ***


Ad Erika Heineken:
complimenti alla tua allegria.

 

Welcome to the family.”
Avenged Sevenfold.

 

Zachary, vieni qua immediatamente e cessa di correre come un cretino per tutta la casa.”
Bliss si era fermata sul ciglio della porta, brandendo minacciosamente nella mano destra un batuffolo di cotone imbevuto di detergente.
Zacky, aggrappato saldamente al divano, la fissava inquieto a occhi sgranati.
“Non mi priverai della mia identità!”
Bliss sbuffò: “Non voglio privarti della tua identità, solamente dell'ombretto rosso.”
Mi guardai intorno, smarrita.
“Che ore sono?”
Il mio fedifrago fidanzato si voltò verso di me, omaggiandomi di un sorriso.
“Le sei e quaranta. Io sto uscendo, sono solo venuto a prendere le chiavi della macchina, poi ripasso a prendere te e Jimmy più tardi.”
Mi avvicinai a lui, in cerca di un abbraccio, che puntualmente mi concesse, benevolo, ignorando la situazione agghiacciante in cui versava casa mia, presa d'assalto da un bizzarro accrocchio malefico di amici e parenti.
“Sai dov'è mio padre?”
“No, bambina.”
“Ma dove hai dormito?”
“A casa mia, o meglio, quella che era casa mia e che ora è casa di Dana. Con Dominic. Ti ho telefonato, dopo la cena di prova, ma ha detto Chichi che ti eri addormentata.”
Sorrisi. Non era esatto dire che mi ero addormentata. Più che altro, ero collassata sbronza tra mio cugino e Synyster Gates, sul mio letto.
“Ciao, eh.”
Mi voltai meccanicamente verso la voce.
“Ciao, Zacky.”
“Non hai l'aria di aver riposato.”
“Ohi, ohi, ohi... la mia testa...”
Barcollando, pericolosamente prossimo all'inciampare nei suoi stessi piedi, il metro e novantatrè che componeva mio cugino scese a fatica le scale reggendosi dolorante una matassa di indefinibili aculei spettinati.
Rivolsi a Matt uno sguardo carico di affetto e mi diressi trotterellando verso l'armadietto dei medicinali.
Ci fu un discreto traffico e vociare nel salotto: notai con la coda dell'occhio Bliss che premurosamente usava il braccio libero per direzionare mio cugino verso il divano, quindi dargli un colpetto a mano aperta sul torace per farlo accomodare.
Gli tesi un'aspirina.
“Bevi.”
“Che è, whisky?”
“Bevi, è buono.”
“Ha bevuto come un'otre, ieri sera.”
Scoccai un'occhiata di rimprovero a Synyster sorridente, un disastro ambulante: l'eyeliner sbavato, spettinatissimo e in mutande.
“Sistemati, tu, devi andare a prendere mia nonna.”
Jimmy gli lanciò un'occhiata torva.
“Come mai i tre caballeros si sono alzati senza che dovessi intervenire io con una tromba?”, domandò Splinter, svolazzando in giro con una sottoveste rossa, perfettamente sveglia.
“Perchè tua sorella ha scambiato le mie palle per un clacson.”, si lamentò Synyster.
“Mi stavo stiracchiando.”
“C'erano anche i coglioni di Jimbo nella linea di tiro, se proprio ci tenevi a fare una partitella ad 'acchiappa la palla' a prima mattina.”
“Su, Synyster, non mi sembra che tu abbia la voce particolarmente acuta. A calcio ai maschi che prendono le martellate sulle balle li fanno saltellare. Saltella.”, intervenne Bliss, reggendo con una morsa d'acciaio la faccia di Zacky appiattito contro il muro, mentre gli sfregava energicamente via l'ombretto.
“I'm a barbie girl, in a barbie world... Buongiorno a tutti, soprattutto alla sposa.”
Matt Shadows, inspiegabilmente munito delle chiavi di casa, portò la sua bellezza all'interno della stanza, abbassando gli occhiali da sole per verificare la situazione, con un vassoio di pasticceria in mano.
“Nonostante io sia stato svegliato in maniera molto scortese all'alba delle cinque da quel demonio di una Morrissey, sono ugualmente sceso a comprarvi i cornetti, dunque amatemi incondizionatamente.”
Bliss gli rivolse un sorriso sarcastico, per poi tornare a dedicarsi alla faccia paonazza di Zacky che, disperato, cercava di divincolarsi.
“Grazie, Matt.”, dissi dolcemente, andando a togliergli di mano il vassoio.
“Ria, sei in mutande?”
Mi guardai le gambe nude, sotto una maglia di Jimmy.
“Effettivamente sì, Matt. Niente che tu non abbia già visto.”
“Ha un che di mistico, in mutande, non trovate?”, aggiunse, ridacchiando.
Mi rivolsi a Matt, Bellamy. “Se ti stai chiedendo se tutti i miei parenti e amici di vecchia data sono così coglioni, smetti di questionarti perchè la risposta purtroppo è sì.”
Mi sorrise, geloso e cortese.
“SYNYSTER, DEVI ANDARE A PRENDERE MIA NONNA.”, urlai improvvisamente, facendolo sobbalzare. Mi guardò alzando le mani, e si avviò al piano di sopra.
Mentre congedavo Chichi con le istruzioni per la colazione, mi piantai le mani sui fianchi guardandomi intorno.
“Manca un Sevenfold. Dov'è Johnny Christ?”
Nessuno rispose.
Rivolsi un'occhiata di rimprovero a mio cugino. “L'hai fatto fuori?”
“Io non ho fatto niente.”, disse Jimmy, privando un cuscino della legittima federa e piazzandosela sugli occhi, per cercare di attenuare il mal di testa escludendo dal raggio visivo qualunque tipo di luce.
Zacky si arrampicò su uno sgabello, tremando reduce dal testa a testa con Bliss e il batuffolo di cotone.
“Sarà in giardino a parlare con le piante.”
“Non ce l'ho, il giardino.”
“Allora sarà in terrazzo.”
Qualcuno suonò alla porta, e Bliss andò ad aprire.
“Sono sceso per il tubo.”, disse Johnny, ridendo, “Fattelo dire, cazzarola, tuo padre non ha per niente i nervi saldi. Strilla come una majorette.”
“Vi lascio.”, sentenziò il mio Matt, spedendo a tutti un sorriso gioioso. “Ci vediamo più tardi.”
Ci fu un coro di saluti.
Mentre era sulla porta, si soffermò un secondo per enunciare dette parole: “Jimmy, la affido a te.”
“Sì.”, ribattè atono mio cugino, avendo appena registrato il suo nome di battesimo: il resto della frase che gli era stata rivolta, non pervenuto.
E se ne andò.
Fissai Matt Shadows, il primo che mi trovai nel campo visivo. “La affido a te? E che cazzo sono, io, un criceto?”
Il criceto, più obeso di sempre, mi guardò con sufficienza dalla gabbietta accanto al divano.
“Alle otto arrivano il truccatore, il vestito, il parrucchiere, il fioraio, i miei due assistenti.”, enunciò Splinter, appollaiata graziosamente sul bancone con l'agenda in mano.
“Il papa e la regina madre no?”, chiese Shadows, chino a novanta gradi che cercava di interagire col criceto.
“No, il papa e la regina madre più tardi.”
Jimmy si guardava intorno, sofferente. Poi, rivolse il suo sguardo all'attaccapanni dall'altra parte del salone.
“Ria, tesoro...”
“Jimmy, più a sinistra.”, lo aiutò Bliss.
Mio cugino assottigliò gli occhi per mettere a fuoco. Era senza occhiali, e senza lenti a contatto: dunque, non vedeva una mazza.
Spostò sulla fiducia lo sguardo sul punto in cui mi trovavo io.
“Ria, tesoro.”
“Sì, sono io, dimmi.”
“Devi farmi la tinta.”
Splinter si appollaiò con grazia sul bracciolo del divano accanto a mio cugino sventolando dolcemente una mano davanti al naso del criceto.
“Secondo voi è possibile legare una piccola carriola dietro Lucrezia Borgia per farle portare le fedi all'altare?”
Ecco, la mia idea dell'inferno è più o meno questa.

 

I'm a dirty, dirty boy
but I grow fucking nice flowers.”
Jimmy Sullivan.

 

Sta' fermo.”
“Sono fermo.”
“No.”
“Si può?”
Bliss entrò in bagno senza attendere risposta.
Mi voltai: avevo i guanti di plastica e una vecchia maglia che una volta era stata bianca, ma dopo svariate sessioni di tinte per capelli di tutti era diventata un curioso melting pot di colori bizzarri.
Anche Jimmy si voltò. Mi stava seduto tra le ginocchia, per terra davanti allo specchio: aveva una mantellina verde che gli copriva spalle e braccia fino in vita e i capelli impiastrati di lozione nera. L'insieme gli donava un fascino abbastanza singolare.
Bliss, difatti, scoppiò a ridere.
“Sembri una cocorita.”
“Cosa vuoi?”
“Synyster sta uscendo.”
“E' presentabile?”
“Mediamente.”
Synyster, perfettamente pettinato, fece capolino da dietro alle spalle di Bliss. Si era messo una camicia nera che gli copriva tutti i tatuaggi, infilata in un paio di jeans integri e neutri, e un paio di Converse di pelle nera.
“Io vado a recuperare l'adorata nonna.”
“Cazzo, sembri quasi una persona normale.”, commentò il suo migliore amico.
“Sì, mettiti pure un paio di guanti, così copri anche quella puttanata che ti sei tatuato sulle dita.”
Alludevo, si capisce, alla scritta MARLBORO che aveva, lettera per lettera, su ciascun dito di entrambe le mani dall'indice al mignolo.
“Oppure mettiti otto anelli abbastanza grossi.”, suggerì mio cugino.
Ci guardammo e scoppiammo a ridere.
Synyster ci lanciò un'occhiata eloquente, e svanì.
“Splinter, comunque, ci prega di essere tutti pronti per mezzogiorno. Sono scesa un attimo a informare mio padre che deve levarsi dai coglioni, di sotto ci devono dormire Matthew, Johnny e Zachary. Non è più il caso di farli partire dall'albergo un'ora prima. Tu dormi con Rev anche stanotte?”
Mi strinsi nelle spalle. “Se Rev al matrimonio non si carica una damigella, suppongo di sì.”
Jimmy alzò gli occhi verso di me. “Sono in vacanza.”
“E in vacanza niente sesso?”
“Non quando sono in vacanza con te. Per la precisione, registra a titolo informativo che, per conseguenza, anche tu dovrai usufruire di un po' di castità involontaria.”
“E perchè?”
“Perchè io così ho deciso.”
“Posso obiettare?”
“No. E poi sei ancora piccola.”
“James, tra un po' diventiamo zii, fai i conti con la realtà. Abbiamo una certa età.”
“Io sono esentata, vero?”, si intromise Bliss.
“Tu fai un po' quel che cazzo ti pare.”, acconsentì Jimmy.
“Molte grazie.”
“Non c'è di che.”
Lo mollai un attimo per chiudere la porta e dire una parola in privato a Bliss.
“Mio cugino è molto affabile quando si alza presto coi postumi della sbronza.”
“Avevo avuto la vaga impressione.”
Le sorrisi.
“Devi parlare con Shadows.”
Sbiancò.
“Per quale motivo?”
“Perchè altrimenti diventa il remake de La storia infinita.”
“Ma tu come fai a sapere...”
“Peraltro mi fa cagare.”, osservai.
“Ma cosa?”
“La storia infinita.”
“Sono nella merda.”
Alcuni minuti più tardi, trovai mio padre che vorticava furiosamente per tutta la casa in cerca dei gemelli.
“Dove sono i miei gemelli?”
Bliss mi si avvicinò circospetta, urlandomi un “MARY!” nell'orecchio destro per fare il verso a mio padre, il quale, inconsapevolmente, stava facendo a sua volta il verso a Peter Pan. Sorrisi.
Jimmy mi tese la cravatta, studiandosi nello specchio.
Gli porsi la mia matita per gli occhi.
“Splinter aveva detto niente eyeliner.”, piagnucolò Kida, sopraggiunta damigella d'onore e storica ministra ombra degli affari di mia sorella.
“Aveva detto anche niente smalto nero.”, le rispose pigramente Jimmy, alzando una mano dalla parte del dorso per mostrarle quest'altra contravvenzione alle regole.
Sorrisi di nuovo.
Matt Shadows sfilò per il corridoio con in mano due cravatte.
“Quella bordeaux.”, dissi.
Bliss scostò Jimmy per scrutare un eventuale segno di riconoscimento della gravidanza nello specchio.
Aveva un vestito rosso corallo di taglio greco, che le arrivava fino ai piedi. Anche io ero vestita di rosso, un bordeaux intenso, seta, organza e tulle. Afferrai Zacky per la cravatta e lo tirai, tipo cordone di una campana, per aggiustargli il nodo. Poi mi guardai intorno. Sembravamo decorazioni per l'albero di natale. No, non saremmo usciti di casa in questa maniera, a qualunque costo.
“Quante probabilità ci sono che Synyster sia fuggito con la nonna?”, domandai al nulla, pensierosa.
Shadows mi tese un rossetto vermiglio.
“Mettiti questo.”
“Mettitelo tu.”
Il campanello suonò tre volte.
“Sarà mica il postino?”, citò coltamente Bliss, brandendo due scarpe diverse ma ugualmente oscene, indecisa su quale delle due fosse la più trash.
“Scusate la domanda, ma voi siete satanisti?”
Il brusio cessò all'improvviso, e tutti, compreso mio padre, ci voltammo verso Kida in religioso silenzio. Dunque, prendemmo a guardarci scioccamente in faccia l'un l'altro, come se non riuscissimo a tradurre in maniera comprensibile l'interrogativo che ci era stato timidamente rivolto. Di conseguenza, tutti insieme fissammo di nuovo Kida, che si appiattì sulla credenza.
“No, sapete, i tatuaggi, le canzoni...”
Silenzio.
“Ria, ammazzami. Ria, ti prego, ammazzami. Ria, non ce la farò mai a sopportare sedici ore di tutto questo. Ria, ammazzami. Ria.”
Matt Shadows ricompose mio cugino mediante un'affettuosa cinquina in pieno volto. “Jimmy, ti devi calmare.”
Kida, un metro e sessantasette di capelli biondo grano ed enormi occhi azzurri che sbattevano ritmicamente seguendo l'ancheggiare della loro proprietaria, si avvicinò soavemente a noi, accennando una bozza di sorriso.
“Jimmy, scusa, era una domanda stupida.”
Neanche il tempo di contare fino a zero e io mangiai la foglia.
“Kirsten Daniels, cambia bersaglio in questo preciso istante o trovati un buon ortopedico.”
Kida fece un passo indietro, sorridendomi incerta.
Mia sorella, circa in mutande, planò come un corvo aprendosi un varco tra la folla direttamente al centro del salotto.
“Di grazia, qualcuno sa dove si ubica mia nonna?”
“Synyster è andato a prenderla.”
“E la sta per caso portando a spalla, visto che da qui all'aeroporto saranno venti minuti ed è già passata un'ora?”
Repressi una risata. “Questo non te lo so dire.”
Feci cenno a Bliss che era ora di andare a cambiarci e rispolverare quelle due vecchie mise che tenevamo nell'armadio per un'occasione speciale.
Splinter puntò le mani sui fianchi, visibilmente contrariata, e fece scorrere lo sguardo sui presenti. Gli assistenti erano già tutti di sopra a fare il loro dovere per renderla la sposa del secolo e, nonna o non nonna, incredibile a dirsi eravamo tutti in perfetto orario. All'improvviso, i suoi occhi indugiarono su un punto della stanza.
“Matt”, articolò, atona, “Posso per caso sapere per quale motivo ti stai mettendo il rossetto?”

 

A questo punto una cosa è certa:
le gioie non ti fanno crescere mai, anzi, ti fanno rimanere piccola.
Quello che ti fa crescere, invece, è quando soffri:
infatti io quel giorno lì ero felice,
e non sono cresciuta per niente.”

 

Un gigantesco castello, aveva detto mia sorella.
Matt squadrò inquieto il TomTom. “Non è che abbiamo mancato l'uscita?”
Jimmy, accanto a lui, si infilò gli occhiali per essere di un qualche aiuto.
“No, tra due chilometri e mezzo.”
Poi, incrociò il mio sguardo nel retrovisore. Stavo fumando una sigaretta. Gli sorrisi, radiosa. Dominic russava accanto a me, distrutto da una nottata in bianco.
Mi sorrise a sua volta.
“Come mai così allegra, scarafaggio?”
Non risposi, limitandomi a continuare a sorridere.
“Perchè la chiami scarafaggio?”, domandò Matt.
“Da piccola era una palletta obesa. Quando si ribaltava nel box, avendo le braccia e le gambe troppo corte, non riusciva più a rimettersi dritta finchè non andavo io a sollevarla. Allora mi ringraziava tendendomi gentilmente il suo squalo di plastica. Ha fatto questo per tutta l'infanzia: giocava, poi si fermava di botto e cadeva sulla schiena come uno scarafaggio agitando le braccia e le gambe a mulinello, disperata, strillando per attirare la mia attenzione. Quando aveva cinque anni, poi, e non poteva più fare lo scarafaggio, si decise finalmente a prendere il coraggio a due mani e manifestarmi i suoi sentimenti, chiedendomi di diventare il suo fidanzato per sempre.”
Sbuffai, divertita.
“Tutte si innamorano del cugino più grande.”
“Solo quando il cugino è un gran figo.”, ribattè Jimmy, infilando gli occhiali da sole e accendendosi una sigaretta.
Matt rise.
“Quanti anni di differenza avete?”
“Otto.”
Il signor Bellamy proruppe in una risatina intenerita.
“C'è da dire che anche per me è stato amore a prima vista, cazzo. Era perfettamente sferica, quando è nata, e aveva due enormi occhioni gialli che le prendevano mezza faccia.”
“Il mio primo carnevale l'ho passato vestita da morte.”
Jimmy scoppiò a ridere.
“Abbiamo perso cinque giorni a cercarle una falce di gomma. L'ha suonata in testa a tutti gli invitati.”
“Era violenta già all'epoca?”
Quel già all'epoca mi puzzava di insinuazione.
“Sì, ma per quanto potesse lasciarti lividi giganteschi poi dischiudeva quella boccuccia carnosa in un sorriso sdentato e sbatteva le ciglia sugli occhioni e l'unica cosa che riuscivi a fare era emettere suoni striduli e farle i grattini sotto il mento.”
Il fumo azzurro si disperse nella campagna uscendo dalla mia bocca, e per un momento mi parve di vedere la riva di Huntington Beach.
“E quindi mi hai mentito.”, disse Matt, “E' stato lui il tuo primo grande amore.”
“Un amore immenso che non finisce mai, e che non mi ha mai fatto star male.”, rettificai. Jimmy allungò una mano all'indietro per accarezzarmi un ginocchio, e Matt mi scoccò uno sguardo colpevole da dentro al retrovisore.
“Si vede che siete molto legati.”
“Si vede pure che non sei pratico delle autostrade italiane. Stai più a destra.”
“Sì, tu stai più tranquilla.”
“Detesto interrompervi, ma se non lo faccio canniamo l'uscita.”, soggiunse Jimmy.
Ci inerpicammo su per una stradina di campagna, finchè il nostro sguardo non fu invaso da un enorme castello di mattoni rosso scuro, che dominava su un giardino arredato come il paese delle meraviglie. Drappi rossi e bianchi, lunghi tavoli su cui si sarebbe srotolato il ricco buffet in piedi che mia sorella aveva fortemente voluto, camerieri in livrea che già correvano qui e là, mari di rose rosse e calle bianche, alte siepi di tasso, un gigantesco salice proprio al centro del prato, sotto il quale stava accadendo qualcosa che noi non potevamo vedere. Bliss saltellò alacremente per farsi notare. Di fianco a lei, Chichi, in abito messicano da festa. Presupposi. Scesi dalla macchina e andai direttamente da lei.
“Dov'è Shadows?”
“Al bagno.”
“Splinter arriverà in quarantacinque minuti. I nostri padri?”
“Arrivano a momenti.”
Un vestito color vino con dentro una bella donna di mezza età si bloccò a un metro da noi.
“Ria, tesoro, perchè sei vestita da uomo?”
Mi guardai lo smoking femminile e le ballerine che indossavo, e sorrisi a me stessa. Bliss, vestita uguale a me, fece una giravolta.
“Zia, questa è Bliss, la mia migliore amica.”
“Oh, finalmente, erano vent'anni che cercavamo di incontrarci.”
“Bliss, lei è zia Barbie, la mamma di Jimmy.”
“Mamma!”
“Appunto.”
“Oh, Jimmy, caro, quello smalto e quell'eyeliner erano proprio necessari?”
“Mamma, ho imparato da te. Non esci mai senza un filo di trucco.”
“Sei sempre il solito.”
“Lascialo stare, zia. Dobbiamo andare. Arriva la sposa.”, dissi, trascinando Jimmy e Bliss via di là.
“Cercate Shadz, ci manca un testimone.”, suggerii, poi mi voltai e sbattei addosso a Matt.
“Te l'ho già detto che sei bellissima anche vestita da uomo?”
“Sì, me l'hai già detto quando siamo usciti di casa.”
Lo baciai, dolcemente, sentendo gocciolare dalla mia pelle il tepore che si creava soltanto tra noi due, tra me e quell'uomo straordinario.
Mi sorrise, sbilenco.
“Tuo cugino mi ha rivelato confidenzialmente che semmai io dovessi causarti sofferenza di qualunque tipo, dovevo tenere presente che lui è stato undici volte in galera, la maggior parte delle quali per rissa.”
Scoppiai a ridere.
“In realtà è un tenerone.”
“Lo è con te. Per il resto del mondo, fa un po' paura. E' un tipo fenomenale, comunque. Ironico da morire.”
“Lo so, l'ironia ce l'abbiamo di famiglia.”
“Eldariael?”
Una voce soave come unghie sulla lavagna.
“Ce l'abbiamo di famiglia da parte di madre.”, specificai.
Mi voltai.
“Sì, papà?”
“Sai per caso chi accompagnerà tua sorella all'altare? Non mi pare di aver ricevuto disposizioni in proposito.”
“Certo che non hai ricevuto disposizioni, perchè la accompagno io.”
“Tu?”
“Sì, io.”
“Non ho capito bene.”
“Eh, più tardi ti spiego. Scusa, devo andare, ci vediamo in chiesa.”
Mio padre si rabbuiò, accanto a Danette che ci aveva graziati di un silenzio composto.
“Vado a cercare Dominic. John.”, salutò Matt.
“Matt.”
Danette fu ignorata cordialmente.
C'era un fatto irreversibile, ed era questo: io quel giorno ero felice, tutte le persone che amavo erano accanto a me e nulla, nulla doveva intervenire per mandare tutto a puttane.

 

Spesso la gente non ha le emozioni chiare, altro che le idee.”
(Diego De Silva, Non avevo capito niente.)

 

 

Nulla, ripeto: nulla manderà tutto a puttane.”
“Sono d'accordo, Splinter. Posso sapere cos'è successo?”
“Brian è in crisi.”
“Brian è in crisi?”
“No, io sono qui, non sono in crisi.”
“Non tu, Synyster. Brian l'altro. Lo sposo.”
Conclave nello spogliatoio del parroco. Jimmy fumava seduto su un vecchio altare in disuso, gettando sguardi annoiati al tabernacolo accanto a lui. Synyster infilava il dito nell'acquasantiera e poi lo estraeva di corsa, curioso di sapere se riusciva a farla evaporare, forse. Bliss di tanto in tanto tentava stancamente di dargli uno schiaffetto sulla mano per incitarlo a smettere. Shadows si aggiustava continuamente i Ray Ban, con un tale nervoso che sembrava volesse infossarseli nel cranio. Io, invece, stavo in piedi davanti a mia sorella in abito da sposa, a braccia conserte, cercando un'impossibile quadratura a quella situazione.
“Ci sta parlando Matt.”
“Io veramente...”
Zittii Shadows con un gesto della mano. “Troppa fottuta gente che si chiama con lo stesso nome, qui.”
Jimmy si assestò sull'altare, mandando per terra un vecchio calice benedetto.
“Si può sapere da cosa derivano i suoi dubbi?”
Splinter sbuffò, fulminando con lo sguardo Giovanni Battista che se ne stava per i cazzi suoi dentro un dipinto con l'acqua fino alle ginocchia.
“Kida mi ha detto che gli sembra una follia sposarsi di nuovo, dopo il fallimento del primo matrimonio.”
“E gli viene in mente il giorno delle nozze?”, obiettò Jimmy, a giusta ragione.
“E che, oltretutto, con la prima moglie c'era stato solo il rito civile, perchè lui è contrario alle cerimonie in chiesa.”
Jimmy si accese un'altra sigaretta, pensieroso.
“Detesto ripetermi: e gli viene in mente il giorno delle nozze?”
Shadows intervenne.
“Posso sapere come fate a trovarli tutti voi questi idioti con la patente?”
“Siamo cresciute con voi, mi sembrerebbe bizzarro il contrario.”, ribattè Splinter.
“Non è il momento per una lite familiare.”, intervenne Bliss.
“Qui dentro il senso lato di 'farsi una famiglia' va per la maggiore, mi pare.”, rispose mia sorella, ormai calatasi perfettamente nei panni di Robin Hood, prodiga di frecciatine caustiche verso chiunque avesse l'ardire di rivolgerle la parola.
Sospirai.
“Splinter, tu stai qui con Kida e Synyster. Io vado con Jimmy, Bliss e Shadz a cercare Brian, e vedo cosa si può fare. Sta' tranquilla. Pensa ai delfini.”
Mia sorella mi gettò un'occhiata esasperata, cui seguirono alcuni secondi di silenzio meditabondo, poi proruppe in un atroce stridio di gola che ci fece sobbalzare tutti quanti.
“E' impazzita?”, domandò timoroso Shadz a bassa voce, mentre uscivamo dalla stanza.
“No, imita i versi dei delfini. La rilassa. L'ha imparato al corso di yoga, dice che fa miracoli.”, gli spiegò cautamente Bliss.
Jimmy soffocò una risata.
I versi dei delfini ci accompagnarono fino all'ingresso del cortile.

 

Mi piacerebbe essere limpido,

ma non servirebbe a nulla.”
(Paolo Sorrentino.)

 

Fermai Jimmy e Bliss spalancandogli le braccia davanti ai toraci come il Cristo Redentore di Rio de Janeiro. Matt Shadows, affianco a Jimmy, si fermò pure lui, per proprietà transitiva.
Localizzai un gazebo uscendo da una porticina secondaria del castello, nel quale gazebo erano alloggiati Matt Bellamy, in piedi con una sigaretta spenta di traverso in bocca, Brian Molko, di spalle a noi a fissare il bosco, e, rullo di tamburi, mia nonna, che sbirciava lo sposo di tre quarti con espressione saggia, parlando.
Ci stavamo consegnando al fallimento lucido, lineare.
“Caro cugino, mettiti gli occhiali.”
“Ce li ho, gli occhiali.”
Quando fummo abbastanza vicini, aprii la bocca per chiamare mia nonna, ma mi fermai.
“... non ci sono decisioni che possono essere prese sull'onda di una sensazione, Brian. Quando uno dice qualcosa, se ne assume la piena responsabilità. Se la stai sposando davanti a Dio, qualunque Dio sia, è perchè la ami.”
“Sì, Willow, ma...”
“Niente ma. Io non amo gli sprechi di fiato. E non ho mai sopportato quei film in cui lo sposo fa marcia indietro all'ultimo momento, è mancanza di spina dorsale, oltre che cattivo gusto; come ben sai mia nipote ha poca pazienza con entrambe le cose. Siete uomini. Comportatevi come tali. Siete artisti, ma non per questo potete scappare per sempre, o attribuirvi privilegi che ad altri sono esclusi: se poi non sapete fare neanche la differenza tra un privilegio e una scappatoia, allora è meglio che vi svestiate della definizione che portate con tanta fierezza, perchè non la meritate. Gli uomini di genio non scappano, semmai aggirano, ma lo fanno per tempo e non parlano per capriccio, all'ultimo momento, seminando il panico il giorno del matrimonio. Le considerazioni dell'ultimo momento sono per gli idioti.”
I bei capelli biondo grano si erano concessi agli scherzi di un leggero venticello, e si muovevano accarezzando i movimenti delle vecchie spalle. Le rughe e i segni della vecchiaia erano ovunque, in lei, ma nient'altro avrebbe potuto far indovinare i settantaquattro inverni che stavano sotto lo scialle di seta rossa che le vecchie mani reggevano all'altezza dello sterno. Enormi occhiali da sole neri le coprivano il viso, e quando si voltò le labbra rosse si incresparono in un sorriso.
“Mi era sembrato di sentire odore di bambini.”
Dischiuse le braccia.
“Venite qui, sciagurata progenie dei miei anziani lombi.”
Io e Jimmy, attirati dal pesante magnetismo che aveva sempre circonfuso mia nonna, la chiudemmo in un abbraccio.
Viveva in una grande villa fuori Stoccarda con il suo secondo marito, da quando mio nonno se n'era andato.
Prese il viso di Jimmy tra le mani.
“Abbassati, disgraziato, quasi trent'anni e non hai ancora imparato a metterti decentemente la matita sugli occhi.”, gli disse, sfumandogli con le dita un po' di eyeliner che gli era colato.
Poi, gli gettò lo sguardo oltre la spalla.
“Quando ho detto 'sciagurata progenie dei miei anziani lombi' era esteso a tutte le teste calde che mi sono vista crescere tra le ginocchia. Voi due, venite qui.”
Bliss e Matt si fecero avanti, sorridenti.
“Ciao, nonna.”
Brian Molko si voltò, passandosi le mani sul viso, poi tentò un sorriso stanco.
“Io so perchè le ho chiesto di sposarmi.”
“Bene.”, soggiunse mia nonna, “Vedi di ricordartelo almeno fino a cerimonia finita.”
Matt, Bellamy, mi sorrise e mi baciò a fior di labbra, prima di accompagnare fraternamente Molko verso il castello.
Mia nonna mi prese confidenzialmente sottobraccio.
“Stai bene in smoking. Meglio di tuo padre, comunque. L'ho trovato un po' appesantito.”
Risi. “Grazie.”
“Quel bel giovanotto che mi è venuto a prendere all'aeroporto è il migliore amico di Jimmy, vero? E' suo, il ragazzino di Bliss?”, mi chiese, avvicinandosi impercettibilmente al mio orecchio.
“Non lo sappiamo, nonna.”
“Questo è esattamente ciò che non volevo sentire.”
“E' la verità, però.”
Mi squadrò, eloquente.
“E chi diamine se n'è mai fatto qualcosa, della verità.”

Il medioevo mi ha rotto le palle.”
(Paolo Sorrentino.)

Mia sorella spiccava sugli scalini dell'ingresso esterno del castello dentro un elaborato abito bianco a corpetto che cadeva in una corolla candida fino ai piedi, reso prezioso da alcuni nastri rossi come i suoi capelli dietro la schiena. Il velo ce l'aveva già davanti agli occhi. Uno stuolo di damigelle vestite di rosso schiamazzava alle nostre spalle. Mi sistemai i capelli con le dita e le porsi il braccio.
“Sei pronta?”
“No.”
“Neanche io sono pronta a dirti addio.”
Mi diede un colpetto su una spalla, sorridendo, bellissima.
“Su, lo sai bene che nessun matrimonio sopravviverà a noi due. C'eravamo prima e ci saremo dopo. Avremo solo un altro disadattato acquisito in famiglia. Un altro paio, come minimo, se consideriamo anche quello che eventualmente darò alla luce.”
Le sorrisi anche io.
“Lo so, ma da ora cambia tutto comunque.”
“Cambia sempre tutto, Ria. In continuazione. Solo che di solito non lo fa con una cerimonia in un castello e il trenino della conga.”
“Che musica hai scelto?”
“Io volevo i Metallica, ma mamma ha detto che erano eccessivi.”
“Effettivamente non ha tutti i torti. Quindi?”
“Quindi l'ho ignorata e ho optato per i Metallica. Un jingle che ho chiesto gentilmente di realizzare apposta, su Nothing Else Matters. Mi sembrava una bella promessa.”
“Qualcosa di più classico?”, la presi in giro.
“Il medioevo mi ha rotto le palle.”
Entrammo nella navata principale mentre le luci scendevano, due bambini non saprei di chi spargevano davanti ai nostri passi petali di rosa rossa e le note di una delle canzoni storiche di famiglia cadevano soavi come pioggia estiva risuonando tra le vetrate.
Reggeva il mio braccio con presa sicura, guardava davanti a sé, nient'altro.
Il sorriso sul volto di Brian mi diceva che tutti i dubbi erano svaniti nel nulla, d'un tratto. Eravamo quasi arrivate, quando deviai il suo percorso per farle fare un giro di valzer sui Metallica. La portai su e giù per il corridoio che avevamo percorso, mentre Matt Shadows iniziava a sillabare le parole della canzone, fino a creare un coro non so quanto eufonico ma senza dubbio efficace. Il signor Bellamy si mise a fare air guitar, sorridendo. Pluggie, fasciata in un lungo abito rosso scurissimo, singhiozzava senza ritegno dentro un fazzoletto: più che al matrimonio di mia sorella, sembrava al suo funerale.
“So close, no matter how far: forever trusting who we are, and nothing else matters.”, le sussurrai, prima di lasciarla andare con una giravolta tra le braccia dell'amato.
Pamela Des Barres, che avrebbe officiato a stretto raggio la seconda funzione della sua vita, applaudì insieme alla chiesa gremita e poi invitò al silenzio.
“Mi domando semmai una volta ci preoccuperemo di stare dentro agli schemi.”, disse mio cugino, in piedi accanto a me, dandomi una leggera gomitata sorridente.
Gli sorrisi di rimando.
“Guardaci, non sei credibile: sembriamo i blues brothers, vestiti uguali. Ma la mia cravatta è più figa della tua.”
“E' mia anche quella, infatti.”
“Dettagli.”
Con discrezione, gli presi la mano e la strinsi fino alla fine.

 

Invecchierai senza cambiare mai,
perdonerai a tutti e non a te.
E parlerai di me con tutti quanti,
e che ci credo, e che son l'unico, dirai
ma sbaglierai.
Ricorderai di me le sere che parlavo insieme a te
di un vecchio amore che non è finito mai
e il mio dolore rivedrai.
Invecchierai guardando fuori,
fin quando poi,
leggera come sei,
tu volerai,
oh, sì che volerai
e sognerai,
che tanto non ti costa niente, sognerai
che io sia grande come mi vorresti tu
e piegherai la testa,
allora, dormirai.”
(Ninna Nanna, Roberto Vecchioni.)

 

Splinter e Molko erano un tripudio di dolcezza e amore, mentre danzavano al centro del giardino, illuminati dalle stelle e da un riflettore piantato su una delle mura del Castello, come Cenerentola e il principe “Il”.*
“Devo essere onesto con te, Ria.”
Attendevo quel momento. Neanche lo guardai.
“Francamente, mi sembra il minimo.”
“L'altra sera ho parlato con Danette, che giura e spergiura che io sono stato l'unico con cui è stata a letto. Vivo in un abisso di panico per il terrore di perderti, sto cercando con tutte le mie forze di smantellare la mia natura pur di averti accanto, ma mentre fallivo i miei tentativi ho fatto uno sbaglio che è destinato a restare. Ti ho mentito. Ci sono stato, a letto con Danette. Ma non quel giorno: la sera prima. Mi ha telefonato per dirmi che era là, che voleva parlarti per via delle nozze con tuo padre, poi ho bevuto un po', e ho continuato a dirle quanto era stata stronza, perchè noi accettavamo l'infedeltà ma non la mancanza di sincerità. Mi aveva ferito il suo agire sottobanco con tuo padre, poteva lasciarmi benissimo, ci sarei stato male ma avrei preferito così. Io l'amavo.”
“Un'introduzione appassionante, ti spiace venire al punto?”
“Il figlio di Danette.”
Mi voltai.
“E' mio.”
Stava con le mani in tasca, e guardava a terra.
“Finalmente lo hai detto. Dopo una serie sterminata di ultimi sguardi.”
“Come?”
“In questi giorni mi guardavi come se ogni volta che posavi i tuoi occhi su di me fosse l'ultima.”
Fece un passo verso di me, ma io rimasi immobile, nel ghiaccio del silenzio e delle cose che sapevo.
“Vedi, mia nonna dice che la verità non serve a un cazzo. Il che è plausibilmente vero, immagino. Perchè se Vivienne e Morris non avessero ritenuto opportuno avvertirmi della vasectomia di mio padre, avremmo tutti vissuto tranquilli per il resto dei nostri giorni. Ma sai, togliendo di mezzo giusto mio cugino perchè è il mio migliore amico, in questa famiglia il concetto di 'protezione' è totalmente sconosciuto. Non sanno cosa vuol dire proteggere, sollevare, evitare. Non danno il giusto peso alle cose. Sono degli spostati, inconsapevoli e irresponsabili. Ti ho amato spesso, per il tempo che siamo stati insieme. Non sempre, ma spesso. Ho parlato con mio padre e con Dana, diranno al bambino che nascerà che è il loro. Non manderete allo sfascio un'altra vita con i vostri modi di fare eterodossi e iconoclasti. I bambini non capiscono le pose, hanno bisogno di protezione e attenzione. Lei non ha abortito perchè ci teneva a provare a rovinarmi la vita, non perchè voglia davvero questo figlio: è il suo modo di rimarcare che tu e lei sarete legati per sempre. Va bene anche questo. Dio solo sa quanto preferirei non capitare continuamente in mezzo a queste scadenti prove generali della fine del mondo, ma a quanto pare ce l'ho nel DNA. Dunque, per favore, e te lo chiederò una volta sola, dammi il tempo di schiarirmi le idee. Certo è che non potete passare tutti continuamente impuniti per le stronzate che fate, e mi sembra che ti sia andata liscia già parecchie volte, con me.”
Lo lasciai lì, pensando che parlo troppo. Parlo sempre troppo. Dovrei imparare ad agire. Cercai con gli occhi tra la folla, e scoccai un'occhiata al grande orologio che troneggiava su una delle torri: le undici e mezza di sera.
Trovai solo Bliss, e la abbracciai.
“E' una situazione impossibile.”, le dissi.
“Impassabile.”, mi rispose, accarezzandomi i capelli. “Niente è impossibile.”
Lo diceva la porta dentro Alice nel Paese delle Meraviglie, se non sbaglio.
Mi guardò, prendendomi il viso tra le mani.
“Vuoi andare a casa?”
Annuii.
“Tu resta, io vado a salutare. Ci vediamo là.”
“Tra un po' vengo via anche io.”
“Prendo il Defender.”
“Vuoi compagnia? Posso lasciare le chiavi.”
“No, ci vediamo direttamente a casa. Ho bisogno di stare un po' da sola, davvero.”
“Ma lo sapevi già.”
“Ma sapere le cose prima a quanto pare non serve a un cazzo, Bliss.”
Mi strinse più forte.
“Niente.”, disse, “Niente serve mai a niente. Ma tu sei la cosa più bella del mondo, e vedrai che presto andrà tutto bene.”
“Mi basterebbe anche avere te per il resto della mia vita.”
“E Jimmy lo butti?”
“No, Jimmy non si butta.”
“Sposati tuo cugino, vai sul sicuro.”
“E che schifo, Bliss.”
Scoppiò a ridere.
Un ultimo sguardo commosso all'arredamento del giardino, e chi s'è visto s'è visto.

 

Che dire di lei ora che il tempo non ha più carezze,
che dire di lei ora che ha perso tutte le scommesse?
Che dire di lei ora che non è più vicina né lontana,
e gira qua e là come un'attrice persa sulla scena?”
(Che dire di lei, Roberto Vecchioni.)

 

Se ne stava appoggiato allo sportello del Defender, soffiando via il fumo di una sigaretta non sua.
“Hai l'aria delusa.”
Gli sorrisi.
“Vieni via con me?”
Si strinse nelle spalle.
“Bliss ha detto che volevi stare da sola.”
“Si vede che cambio idea spesso.”
Feci tintinnare le chiavi in una mano.
“Andiamo dove vuoi.”, mi disse.
“Andiamo a vedere cosa dicono le stelle. Magari facciamo due chiacchiere con i parenti defunti, chissà che non ci diano un consiglio.”
“Che consigli vuoi che diano? Sono morti.”
Guidavo in silenzio da un'ora buona. Dentro la radio, un vecchio cd di Nick Cave suonava “People ain't no good”.
“Per la prima volta dopo anni, sento la mancanza di mia madre.”
“Sei uguale a lei.”
Anche senza che me lo dicesse lui, gli occhi di Delilah De Silva si specchiavano nei miei, dallo specchietto retrovisore. Delilah De Silva era mia madre.
Cercammo una bella altura, e scendemmo a guardare le stelle.
“Il mio telefono non prende.”, osservai, “Meglio.”
“Il mio invece sì.”
“Beh, spegnilo.”
Non lo spense.
Lo abbracciai stretto, e mi distesi addosso a lui, lasciando che mi accarezzasse un braccio.
Una trapunta di luci soffici rischiarava la notte scura.
Volevo vederlo ancora? Non volevo vederlo più? Certo, il bambino di Danette aveva cambiato colore al cavallo. Forse ne sarei uscita, col tempo. With a little help from my friends, dicevano i Beatles, che comunque erano là, non c'era modo di vederli sparire. Mi domandai se la sfortuna fosse una persecuzione o una scelta di vita, non riuscivo a venirne a capo. Mi addormentai con lui che mi cantava Wish You Were Here, nella versione dei Radiohead, e pensavo a mia madre, alla sua vita, a come l'aveva trascorsa viaggiando a velocità folle, a come l'aveva schiantata in un dirupo fuori Huntington Beach. Mi chiesi se sarebbe stato diverso, con lei. Migliore, o peggiore, non importava. In quel momento, mi bastava il diverso.

 

We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground.
What have you found?
The same old fears.”
(Pink Floyd, Wish you were here.)

 


“Ria. Ria, svegliati!”
Aprii gli occhi, un po' più serena. Poi lo guardai in faccia.
Le sue parole mi arrivavano alle orecchie ovattate e trascurabili, mentre entravo in macchina di corsa con gli occhi asciutti.
“Un incidente, non...”
I Pink Floyd suonavano fortissimo nella mia testa.
“...scarsa visibilità, è stato un...”
Com'era quella frase? The same old fears.
“... rallenta, rischiamo di...”
L'acceleratore a tavoletta, la regina delle curve a gomito alla massima velocità consentita, per non schiantarsi nella disperazione.
“...non riesco a capire cosa si siano...”
Quel giocattolo di Jimmy, come si chiamava? Creepy? Creedy? Uno scheletro. Lo scambiavo per un bambolotto. Gli rimboccavo addirittura le coperte prima di andare a dormire.
“...una tragica fatalità...”
Le sue ossa, le mie ossa, il nostro sangue troppo rosso, diceva il medico del prelievo, troppo rosso. Sembra succo di fragola. Avete il sangue troppo rosso.
“...hanno detto proprio così, loro sono già all'...”
Bambine, bambine, posate quella chitarra giocattolo, è ora di fare i compiti. Ma zia, io voglio diventare come Brian May. Ci diventi dopo come Brian May, ora vieni a fare le divisioni.
“...la macchina è un ammasso di...”
Meno male che Bliss non usa internet, altrimenti ci avrebbe messo un secondo a scoprire chi sei. Ma tra tutti i gruppi che ci sono al mondo, proprio con gli Avenged Sevenfold doveva andare in fissa?
“...hanno detto che non glieli fanno vedere perchè...”
Feci un testacoda davanti al pronto soccorso, lasciai le chiavi nel quadro, corsi dentro, mi schiantai addosso a Synyster, lo buttai per l'aria, scansai due infermieri, gridai qualcosa, feci irruzione dietro il separèè, finii dritta tra le braccia di mio cugino.
“JIMMY VAI A FARE IN CULO. VAI A FARE IN CULO, Jimmy.”
Dolorante e malconcio, ma intero, mi strinse tra le braccia.
“Jimmy, te l'ho già detto che non ho nessuna intenzione di sopravviverti?”
Sorrise, un po' insanguinato.
“Sì, mi pare di sì. Me la sono cavata con qualche livido e qualche ferita. Sai quante volte la morte è già venuta a prendermi e non mi ha trovato? Stavo in tour.”
Gli diedi un ceffone.
“Non farlo mai più.”
“Signorina, non può stare qui.”
“Onestamente, in questo preciso momento me ne frega un po' meno di un cazzo.”
Il dottore scoccò a Jimmy uno sguardo duro.
“Tenga a bada la sua ragazza.”
“Non rispondere così al dottore, la mia ragazza.”, mi disse.
Scoppiai a ridere, poi mi voltai verso il dottore, con il sorriso morto sulle labbra.
“Juniper Morrissey dov'è?”
Il dottore sospirò.
“In sala operatoria.”
Cercai le parole. Non le trovai.
“Lei sta bene, a parte qualche lesione minore. Purtroppo però ha perso il bambino, quasi sicuramente.”
Sospirai di sollievo, senza lasciare la mano di Jimmy.
“Devo finire di medicare il ragazzo, esca, per favore.”
Chiusi gli occhi, sentendo una fitta di mal di testa.
Baciai le labbra e la fronte di Jimmy, respirando forte.
“Ti aspetto di là.”
“Se mi aspetti di là con una birra, ti voglio ancora più bene.”
Guardai il dottore. “Può?”
“Sì, può.”
“Posso dirle una parola, prima, dottore?”
“Certamente.”
Rientrai in sala d'aspetto e fui assalita da tutti.
“Come stanno?”
“Stanno bene, solo un po' malconci. Un miracolo, visto lo stato della macchina. L'ambulanza l'ha chiamata Jimmy, comunque.”
“Tu dov'eri?”, mi chiese mia nonna.
“Ero in giro con Matt.”, dissi, indicando con un cenno del capo Matt Shadows. Lo guardai. “Bliss ha perso il bambino.”
Mi restituì lo sguardo, inespressivo, poi chiese scusa e uscì fuori.
Dominic e Matt, Bellamy, arrivarono di corsa.
“Stanno bene.”, dissi anche a loro.
Splinter, ancora in abito da sposa, faceva su e giù per il corridoio.
“Posso vedere Bliss?”, domandò Dominic.
“No, è in sala operatoria. Dopo ti consiglio di parlare con lei, così mettiamo fine a questa storia.”
“Ma come hanno fatto, Ria?”
“Mi è stato detto che Bliss e Jimmy volevano raggiungermi a casa un po' prima degli altri, quindi avevano preso la macchina di Kida e stavano andando giù per le stradine scoscese per imboccare l'autostrada, quando qualcosa, un animale, è spuntato fuori dal nulla e Bliss, che guidava, per evitare lo scontro ha preso in pieno il tronco di un cipresso. Non andavano molto veloci, grazie al cielo, ma sono due miracolati. La macchina si è sfasciata completamente e io ho rischiato un infarto del miocardio oltrechè di ammazzare me stessa e Shadows, ma c'è andata bene anche questa volta.”, mi rivolsi a Kida, “Dio ama i satanisti, a quanto pare.”
Matt mi guardò.
“Tu stai bene?”
“Sì.”
Guardai mia nonna, mia sorella, i nostri vecchi amici.
“Vado a prendere una cosa a Jimmy. Avvertitemi quando arriva Morris.”
Nessuno rispose.
“Avete avvertito Matthew e Dominic e nessuno ha chiamato Morris?”, domandai.
“L'ho chiamato io, bambina. Sta venendo qui con Barbara e Joe.”
Mi avviai verso l'uscita, e Matt fece per seguirmi, ma mia nonna lo fermò per un braccio, facendogli “no” con la testa.

 

I want to break free from your lies.”
(Queen.)

 

Dietro le spalle di Shadows, mi accesi una sigaretta.
“Come facevi a saperlo?”, disse, senza voltarsi.
“Cosa, che il bambino era tuo? Mah, io so sempre tutto, per qualche bizzarra ragione.”
Una risata schiva gli scosse le spalle.
Gli andai accanto.
“L'avresti tenuto?”
“Non lo so. Ora, comunque, non ha più importanza.”
Tacemmo.
“Synyster non la ama.”
“No, è evidente.”, risposi. “Ma neanche tu.”
“Ma noi ci eravamo detti che non contava, l'amore.”
Gli diedi una pacca su un braccio.
“E se non conta l'amore, fratello caro, cosa conta?”
Mi guardò, con un sorriso. “La famiglia.”, rispose.
“Se resterà qualcuno vivo, in questa famiglia.”, gli dissi, abbracciandolo.
“Non sei arrabbiata con me?”
“E perchè dovrei? Bliss è una groupie purosangue. Fa quel che le pare, quando le pare, ma purtroppo è terrorizzata da ciò che prova.”
“Per chi?”
“Per Dominic, per Synyster. Per suo padre.”
“Pensavo fosse anaffettiva.”
“No, è solo la sua risposta alla morte della madre. Se non la tocca l'affetto dei vivi, non la tocca il rimpianto dei morti. Semplice.”
“E tu come hai fatto?”
“Con la negazione. Per me 'morte' è il nome che diamo a ciò che non vediamo, tocchiamo e conosciamo. Non significa mica che sia la fine.”
“E allora che differenza fa, se le persone che ami vivono o muoiono?”
“Detesterei non poter abbracciare più ciò che ho abbracciato per anni. Siete così morbidi, sotto questa scorza metallara, voi satanisti.”
Scoppiò a ridere.
“Cosa farai con Bellamy?”
“Non lo so ancora, Matt.”
“Perchè non vieni per un po' in tour con noi? Ti farebbe bene, staccare. Ci portiamo via anche Bliss. E stai con Jimmy.”
Sorrisi. “Ci penserò.”
Tacemmo, di nuovo.
“Lo vuoi davvero, un uomo con un figlio che non saprà mai chi è sul serio suo padre?”
“Io voglio davvero una birra.”
Ci voltammo. Jimmy, pieno di toppe e cerotti, si accese una sigaretta.
“Te la stavo andando a prendere.”
Mi prese una mano nella sua, e la guardò.
“Hai imparato presto ad alzare le spalle, ma fidati dell'opinione di uno stronzo: l'amore non deve levarti il sonno. Può fare bene, fare male, può farti piangere e può farti ridere, sognare e disperare, ma quando ti toglie il sonno c'è qualcosa di sbagliato, e già non è più amore.”, mi disse, baciandomi le dita.
“Piuttosto”, aggiunse, “mi si sono rotti gli occhiali. Il che, ne converrete, è una tragedia.”
“Mio Dio, ma perchè va sempre tutto a rovescio in questa famiglia? Di solito uno male che vada ti chiede 'vuoi davvero un figlio con un uomo...', non 'vuoi davvero un uomo con un figlio'! E' follia!”, osservai.
Scoppiammo a ridere.
“Contro ogni previsione, in culo alle beffe del destino, comunque, siamo ancora qui!”, disse Matt.
“Anche se, a questo punto, consiglierei un bell'acquisto generale di sei-sette biciclette, e le macchine le lasciamo in garage.”, commentò Jimmy, roteando una spalla con espressione dolente. Poi si voltò verso Matt: “Mi dispiace per il bambino, amico. Ma non credo sareste stati molto adatti, come genitori.”
“Lo sapevi anche tu?”, gli chiese Matt, incredulo.
“Shadows, non dimenticare che io ti conosco da vent'anni.”
“Vediamo di fare del nostro meglio per arrivare vivi a Capodanno.”, soggiunsi, pensierosa.
“Quando è successo?”, gli chiesi poi.
“Quando io non avevo idea di chi fosse.”
Certo, quelle nebulose serate di concerti e concerti e le nostre liti furibonde perchè io non le avevo detto che conoscevo benissimo Synyster, i Muse a San Siro e gli Avenged all'Alkatraz, mio cugino in città e io che facevo giochi senza frontiere per vederlo, e lei che aveva deciso di andare a parlare con Jimmy senza dirmi nulla, ed era sparita per trentasei ore filate. Erano state giornate buie. Ma, anche allora, non avevamo fatto crack. E poi la scoperta del lieto evento, con Bliss che vomitava l'anima dentro un bagno di un autogrill.
“Ho mal di testa.”
Qualcuno mi bussò su una spalla.
Mia sorella mi guardò, con le mani sui fianchi.
“Io lunedì vado in Transilvania per la luna di miele. Bliss esce dall'ospedale dopodomani mattina, sta bene, ha già mandato ripetutamente a fanculo tutti gli infermieri, deve solo riprendersi dal cesareo d'emergenza. Visto il matrimonio indimenticabile, ci tengo a dirvi che vi ammazzerò tutti con le mie stesse mani molto presto: nell'attesa, però, preferirei ci spostassimo tutti al castello per un tranquillo weekend di paura. Ho invitato anche la nonna. Mi pare di capire che abbiamo tutti bisogno di pensare un po' in pace. Possiamo giocare a polo.”
“Hai avuto un'ottima idea.”
“Ogni tanto capita.”
“Io però non so giocare a polo.”
“Neanche io, Matt.”
Una sposa, un batterista, una groupie, un cantante, quattro sguardi all'orizzonte, in attesa di una schiarita. Di una strada qualunque da imboccare, tra le pieghe del tempo. Del prossimo assolo di chitarra. Della prossima alba. Del prossimo incidente.
No, ecco, di quello magari no.

 

Take my photo off the wall, cause it just won't sing for you
cause all that's left is gone away and there's nothing left for you to prove.
Oh, look what you've done: you've made a fool of everyone.
Oh, well, it seemed like such fun until you lose what you had won.”
(Jet, Look what you've done.)

 

Ria! Posso parlarti?”
“Certo che puoi parlarmi, Dominic.”
Ci fronteggiammo occhi negli occhi, da soli, dietro un'ambulanza.
“Tu lo sapevi?”
“No, non lo sapevo, quando abbiamo parlato. Lo sospettavo.”
“E come, di grazia?”
“Perchè Bliss deve essere stata a letto con Shadows quando ci fu il gran finale della lite per la faccenda degli Avenged e lei sparì per due giorni quasi, col telefono staccato. L'ho capito con certezza da una cosa stupida che ha detto Shadz alla cena di prova, che erano stati a letto insieme almeno una volta. Comunque, quando litigammo quella famosa volta, gli Avenged erano a Milano anche loro per un concerto. Te la prendesti con lei anche tu, dandole della schizofrenica, e lei se ne andò mollando tutto a casa. Il cellulare, le chiavi, il blister delle pillole anticoncezionali. Non mi ha mai detto niente di quei giorni, ma so per certo che Synyster aveva una fidanzata, in quel periodo, quindi non deve averle dato retta. Per questo lei gliela sta ancora facendo pagare, credo, mentre lui la incolpa della fine della sua storia.”
“Ma perchè ci tieni tanto a tenerlo lontano da lei?”
“Perchè è uguale a lei. E perciò è pericoloso.”
Sorrise, amaro.
“Non ti dico che potevi avvertirmi, visto che io ho fatto lo stesso con te.”
“Sì, ma siamo ugualmente amici. Tu hai coperto il tuo migliore amico, e io la mia.”
Mi guardò, accarezzandomi una guancia.
“Cosa hai intenzione di fare con Matt?”
Chiusi gli occhi, dolente.
“Non lo so, Dom, non lo so.”
Tacemmo.
“E tu con Bliss?”
Si strofinò il mento, cercando di chiarirsi le idee.
“Quello che non capisco, è perchè non mi abbia detto da subito che il bambino non era mio.”
“Perchè non poteva esserne sicura al cento per cento. Perchè non sa cosa prova per te. Perchè non se la sentiva di buttarlo via, ma usava il suo solito modo di fare per evitare di pensarci. Lei crede che non fare caso alle cose le faccia risolvere da sole, col tempo.”
Cercò una sigaretta.
“Sai cosa mi fa paura?”
Lo guardai con dolcezza: “Cosa?”
“Che io lo volevo, quel bambino.”
Lo abbracciai stretto, e lui ricambiò dolcemente.
“Dai un bacio a Chris e a Fiorellino da parte mia.”
I suoi occhi indugiarono nei miei tre secondi in più del necessario.
“Dunque questo è un addio?”
Gli sorrisi, serenamente.
Poi mi voltai, e presi a camminare verso il sole che sorgeva all'orizzonte dietro le colline, verso un uomo pieno di cerotti e fasciature che chiudeva gli occhi nel vento.
Un uomo che mai una volta mi aveva tolto il sonno.

Chiama Ann.”, gli dissi, quando fummo l'uno accanto all'altra. “Dille che andiamo al Castello.”

It's not a war, it's just the end of love.”
(Manic Street Preachers.)

 

*(Una volta mi premurai di guardare i titoli di coda di Cenerentola con la mia migliore amica, per vedere se riuscivamo a scoprire quale fosse il nome del principe, l'unico della Disney ad essere privo di nome di battesimo conosciuto. Constatammo che, purtroppo, c'era scritto solo “Il principe”. Dunque, lo battezzammo “Il”.)

 

 

Questi fessi la storia se la stanno scrivendo da soli.
Mi tormentano come il padre di Amleto sopra i bastioni di
Helsingør.
Volevo scusarmi con voi per non aver risposto alle vostre dolcissime recensioni, ma il computer ha pensato giustamente di lasciarci alcune settimane prima del mio compleanno: mi sono appoggiata su quello di mio fratello, ma non ci avrei mai scritto una riga. Il Macbook, Mariella, è giunto qui da appena una settimana, e non appena è arrivato mi sono affrettata a riunire gli appunti e convocare una riunione di condominio con questi debosciati per cercare di capire dove voleva andare questa storia. Ebbene, l'hanno decisa loro, srotolandomela davanti come le tavole di Mosè. Alcune cose devono ancora accadere, altre invece sono già accadute: talvolta sono state taciute, e comunque si sapevano, e altre volte invece sono state rivelate, ma non per forza erano vere.
Direbbe un vecchio amico, è il rock and roll, baby.
Spero che Splinter, che si è in realtà fermamente opposta alla scelta di Nothing Else Matters come marcia nuziale, non mi ammazzi per la mia decisione di lasciarla lì dov'è, perchè non esisteva qualcosa di più adatto.
Spero anche che un amico viva in queste righe e in tutte quelle che da qui scriverò tutti gli splendidi giorni che il tempo gli ha portato via in modo così scortese e inaspettato.
Spero che non mandiate mai Synyster Gates a prendere vostra nonna in aeroporto.
I miei migliori auguri a William e Kate, oggi sposi.
Con imperituro affetto,
Queen.
(E il cast di Niente Virgolette.)

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Capitolo 15
*** Spiagge della California, Marlboro rosse e tarallucci. ***


Per la giovane dottoressa Mitchell,
alle sue lapidi e ai suoi frozen yogurt.

 

 

Quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente,
ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria.”
(Viaggi e miraggi, Francesco De Gregori.)

 

Al numero tredici di Via dei Fiori Oscuri abitava Andrea O'Malley.
Un nome da mafia irlandese, facilmente fraintendibile: era una ragazza. La chiamavamo Ann.
Pioggia, fulmini e tempesta si abbattevano su Milano, costringendomi a zampettare sotto i balconi e le pensiline del tram. Avevo i pesci rossi nelle Vans.
“Complimenti per la scelta del giorno per farmi visita.”, mi disse, non appena mi vide fare irruzione dalla porta di casa sua, perennemente aperta. Stava china su un tavolo da disegno, affogando tra i bozzetti e gli schizzi: per parlarmi dovette sputare le due matite che aveva in bocca. Rimise il pennello nella custodia da tavolo, e si voltò a guardarmi.
“Cosa ci fai qui a Milano?”
“Hai un asciugamano?”, le domandai, gettando la giacca fradicia su un attaccapanni pericolante.
“Nel bagno.”, rispose, “Sai dov'è.”
Annuii, e saltando la variegata gamma di oggetti sparsi sul pavimento, mi avviai verso la seconda porta a destra.
La sua voce mi raggiunse fino a lì.
“Vuoi un caffè?”
“No, voglio sapere come stai.”
“Sto bene.”
“E ho una cosa per te.”
Tornai in salotto strofinandomi i capelli, e la trovai che sorrideva.
Quando le diedi una grossa busta, il suo sorriso perse un po' di luce.
“Ti aspettavi qualcos'altro?”, chiesi.
Si strinse nelle spalle, e scivolammo in un silenzio pesante.
Si rigirò la busta tra le mani: aveva l'aria di essere piena di fogli.
“Dì pure a Splinter che la chiamerò per tenerla aggiornata dei progressi.”, mi disse, poggiando la busta sul tavolo.
Esitò. “Matt ci tiene davvero.”
“Oh, per favore. Questa è l'ultima possibilità che gli do.”, sputai.
Mi sorrise, allungando una mano per accarezzarmi il lato del collo.
“Stai facendo molto, per lui.”
Scossi la testa, recuperando la giacca.
“Non per lui.”, risposi, seccamente. “Per Ria. Ci vediamo, Ann.”
“Jimmy!”, disse la sua voce, amplificata dalla tromba delle scale.
Mi voltai.
“Niente. Mi dispiace.”
Sospirai.
“Dispiace sempre a tutti quanti, quando ormai è tardi.”

 

I hope that I don't fall in love with you:
falling in love just makes me blue.”
(Tom Waits)

 

Una candela antifumo segnò il diametro della stanza andando a schiantarsi su un parossistico scendiletto a forma di goccia: sfiorò, sibilando, la spalla di mio cugino dormiente, il quale, avvertendo forse lo spostamento d'aria, aprì svogliatamente un occhio e lo puntò nella mia direzione. Me ne stavo acquattata in un metro quadro di bollori di rabbia, vicino alle tende drappeggiate giallo oro, in camera sua.
“Non farmi aprire gli occhi”, implorò, “Sto cercando di soffermarmi il meno possibile su questo osceno arredamento.”
C'è da dire che le occasionali fidanzate di mio cugino, ogni volta che venivano portate a casa sua, erano costrette a fare sesso con il beneplacito di dodici poster di Frank Zappa ammiccante in svariate angolazioni; senonché, pur essendo lui l'ultima persona in grado di giudicare un arredamento, quella volta aveva ragione. Il castello dove mia sorella si era prima sposata, quindi ci aveva trascinati a scopo di relax sfoggiava uno dei dieci tipi di mobilio peggiori al mondo.
Prima di ragguagliarvi sulla lettera che osservavo torva da sei ore e mezza senza osare aprirla, un paio di cenni biografici sulla relazione tra me e i metallari dell'ovest.
La mia parentela con Jimmy, oltre a cagionare l'assurdo pendolarismo Milano – Huntington Beach, mi aveva portato dagli zero ai ventuno anni tutto un ventaglio di bizzarrie genetiche che saltavano, come palle rimbalzine, tra me e mio cugino, e diventavano evidenti in un modo disturbante nei periodi di stress: allora, perso ogni contatto con la terraferma, ci lanciavamo in discettazioni filosofiche che sfociavano in mutui “vaffanculo”, in liti senza né capo né coda, in recriminazioni di fatti accaduti forse nel 1844. A quel punto, senza essere realmente arrabbiati l'uno con l'altra, lui solitamente si metteva a dormire e io mi sedevo a terra, trovando d'un tratto insopportabile il creato.
“Vuoi deciderti ad aprire quella maledetta lettera?”
“Senti, Mercurio. Quando io dico a qualcuno che ho bisogno di riflettere, generalmente è implicito che lo esento dal farsi presente in qualunque modo conosciuto alla civiltà, inclusi lettere, gufi, telegrammi e messaggi nelle bottiglie.”
“Gli hai detto che avevi bisogno di pensare, non che doveva andare a morire ammazzato.”
“Ma è quello che intendevo.”
“Non è vero.”
“Sapevo già che sarebbe successo.”
“Brava, Frate Indovino. Peccato che non sembra servirti a molto, la tua preveggenza.”
“Jimmy, hai fatto così anche quella famosa estate in cui volevi avere per forza ragione su quella faccenda delle lucertole.”
“Quale famosa estate? E' un altro conto aperto risalente all'epoca dell'avvento dei treni a vapore che improvvisamente hai deciso di chiudere a distanza di tre secoli?”
Mi chiusi in un risentito mutismo che aveva lo scopo di attirare l'attenzione. Mio cugino, con una pazienza siddartica, sospirò e si alzò dal letto per venirsi a sedere accanto a me porgendomi una sigaretta già accesa. Mi passò un braccio intorno alle spalle e mi esortò: “Forza, scarafaggio. Leggila.”
Scossi la testa, irremovibile.
“Leggila tu.”

 

Vedi, cara,
è difficile spiegare,
è difficile capire
se non hai capito già.”
(Vedi cara, Guccini.)

 

Scesi le scale a quattro a quattro saltellando come un capriolo, vittima di un tic all'occhio che mi stava facendo sfiorare la schizofrenia ebefrenica.
In giardino c'era un tiepido sole che di tanto in tanto faceva capolino dalle nuvole rade, e si approssimava la sera. Bliss era al telefono a sussurrare, forse ai cavalli. Splinter, invece, scorreva con lo sguardo faldoni di carte, battendo indemoniata con una mano sola sulla tastiera del palmare. Quando la platea mi vide arrivare, cessò di colpo ogni attività.
Inciampando sulle zolle di terra, Jimmy e Synyster, di corsa, si approssimarono a noi.
“Stai calma.”
“Sono calma, Brian.”
“No, non sei calma, mi hai chiamato Brian.”
“Perchè è così che ti chiami, Brian.”
“Sì, ma detto da te mi inquieta: chiamami come vuoi, ma non chiamarmi Brian.”
“Come ti pare, Arturo.”

Mia nonna sventolò due quarti di bicchiere di brandy e gli occhiali da sole verso di noi, facendoci segno di aspettare a fare qualunque cosa finchè non fosse arrivata lei.
“Silvester.”, esordì, porgendogli gentilmente il bicchiere.
“Synyster, nonna.”
“E io che ho detto?”
“Hai detto...”
“Sì?”, intervenne ferrea mia sorella, sfilandosi platealmente gli occhiali da vista.
“Leggi, Splinter.”, le dissi, porgendole due fogli deformati dalla stretta delle mie dita.

 

I tuoi occhi gialli che sotto il sole prendono una sfumatura dorata. La tua sveglia alle otto e quaranta con la stessa suoneria da dieci anni. I sonniferi accanto al tuo letto che non prendi mai perchè hai paura di qualunque dipendenza e già fumi. I tuoi pacchetti di Lucky Strike blue morbide, a proposito. Le tue mutande di superman. I tuoi vinili dei Queen. Le tue fotografie dei concerti con i cantanti di spalle. Le tue quattro versioni dei sonetti di Shakespeare. Il video degli OK!GO sui tapis roulant che ti ipnotizza ogni volta che lo vedi. Le tue copie dei disegni di Leonardo che hanno per soggetto le mani. Le calle sul terrazzo. L'ultimo sms che ricevi prima di andare a dormire, sempre dalla stessa persona. La sfumatura di turchese che è il tuo colore preferito. Il tuo primo racconto, rilegato con il nastro rosso, nel terzo cassetto del tuo scrittoio. I tuoi film preferiti in dvd sul primo scaffale della libreria nella tua stanza. Le tue prime converse nere ormai distrutte nell'armadio con sopra i versi di Knocking on Heaven's door scritti col pennarello indelebile. I tuoi cd di Nick Cave. La foto di te che sorridi con gli occhi bassi spettinata dal vento. I tuoi album di fotografie di persone, paesaggi e farfalle. Il cadavere del tuo vecchio iPod che non riesci a buttare via. Il tuo amato Defender, a cui fa fatica ad entrare la quinta e devi spingere un po'. La rosa rossa che una mattina hai trovato sul letto al posto mio. Il modo in cui muovi le mani mentre dormi, forse cercando qualcosa. Il giorno in cui hai visto i gabbiani volare sopra la tua terrazza e ti sei chiesta cosa cazzo ci facessero, i gabbiani, in una città senza mare. I tuoi capelli a prima mattina. La tua maglia oversize dei Kasabian. Il modo in cui tieni i segreti, reggi gli sguardi, abbracci la tua migliore amica. I tuoi sette modi di amare, i tuoi sorrisi stanchi, l'espressione che hai sul viso quando fumi con le mani sporche di inchiostro nero. I tuoi sforzi per semplificare i giorni complessi. Le tre cose a cui veramente tieni al mondo. Il momento in cui ti fermi e un pensiero ti lampeggia negli occhi. La maniera in cui parli delle stelle, in cui canti certe canzoni, in cui mi guardi le mani rigirandotele nelle tue. Il modo che hai di tenere stretto quello che ami, fisicamente, tra le braccia. Il cielo, che per te ha sempre un'attrattiva particolare e qualche connotazione in più di quelle che vengono in mente, di solito, alle persone normali. La tua grafia disordinata. Il peso di ogni tua frase. Le citazioni che scrivi sui moleskine, perchè sai che torneranno utili, un giorno o l'altro. I tuoi smalti multicolore e i tuoi calzini a righe. La splendida noncuranza con cui porti in giro te stessa, altera e distante da tutto il mondo prosaico per status. La meraviglia incessante che mi provocano le tue affermazioni. Il modo in cui strofini il naso contro il mio e quello in cui infili la testa nel mio collo, inspirando forte il mio odore. I momenti in cui inciampi in te stessa e fai cose assurde, tipo metterti a ballare per strada, perchè sei leggera dentro. Il modo in cui ridi a telefono con tuo cugino, perchè l'ho capito che è solo con lui che ridi così. Lucrezia Borgia. I tuoi bicchieri da brandy con dentro il succo di frutta. Le improbabili coperte che cuce la tua governante. L'ironia che contraddistingue ogni sillaba del tuo sterminato frasario. Tua madre, in tutti i modi in cui ancora vive dentro i tuoi giorni. Ho capito che era da folli credere che tutto questo e un miliardo di altre cose potesse essere soltanto mio, e infatti non lo era. Ho reagito come di mio solito, fingendo che tu non fossi indispensabile, ed è vero, non lo sei. Però che spreco, una vita senza te. Io non credo di farcela, sarò sincero, per la prima e ultima volta. Non cambierò, lo sai, lo hai detto anche tu che le persone non cambiano, non nelle cose importanti. Non so cosa farai, se mi vorrai sentire, se mi vorrai vedere, se sarò capace di un gesto che saprà rassicurarti sul fatto che, quando ti dico che ti renderò felice o almeno sarò in grado di non mandarti al manicomio, tu possa credermi senza riserve. Ma visto che sono qui, e sto scrivendo su un foglio di carta appoggiato al retro della mia chitarra nera, banalmente vorrei dirti grazie: grazie per ciò che hai fatto per me, per come, nonostante me, sei stata capace di amarmi. Grazie di non avermi messo su un piedistallo, di non aver pensato che io fossi il migliore del mondo: lo sai, dai piedistalli non si scende, si cade. Ci sarà un centimetro di te in ogni canzone che scriverò d'ora in poi, forse c'era già prima che io ti incontrassi: centimetro dopo centimetro, un giorno riuscirò a raccontarti tutta. E, semmai dovessi perderti, saprai dove ritrovarti. Intera.
Per quel che vale, io ti amo.
E se il tempo ci passerà sopra come di suo solito, sono abbastanza sicuro che una parte di questo amore sopravviverà comunque, dentro di me, perchè Ria Montague semplicemente non muore, né nella propria vita né in quella altrui.
Avrei dovuto dirtelo ogni giorno, quanto sei straordinaria.
Matt.


Un silenzio da giorno del giudizio, così totale da risultare macabro, accompagnò l'ultima nota della voce di mia sorella.
Mi guardarono.
Cosa hai intenzione di fare?, era la muta domanda dentro tutti i loro occhi.
Poi, all'improvviso, Bliss si alzò da terra e, senza dire una parola, andò via.
La mano di Jimmy, calda e ferma, si posò sul mio braccio.
“Chi, sano di mente, chiederebbe alla persona che ama di correre un rischio del genere?”, articolai, sedendomi in braccio a lui, che mi circondò con le braccia come una culla, uno steccato.
“E qui si apre un'annosa questione:”, osservò Synyster, serio, in piedi a braccia conserte verso il punto in cui Bliss era sparita, “qual è la cosa giusta? Promettere alla persona che ami che cambierai, a rischio di fallire clamorosamente perchè è vero che non si cambia, oppure confermare quella stronzata che sostiene che amare vuol dire anche lasciar andare, per permettere all'altro di farsi una vita lontana dagli abissi di disperazione che la vicinanza comporterebbe?”
“Synyster, tu in una vita precedente devi essere stato Shopenauer, secondo me. Ma come ti vengono?”, intervenne mia sorella, rimettendosi gli occhiali.
Lui si strinse nelle spalle, assorto.
“Ascolta, amore mio.”, disse mio cugino, stringendomi, “La teoria dell'anima gemella ci è stata tramandata da quel peracottaro di Platone, e secondo me è una stronzata epocale. Però ti prego di ricordare, da qui a un ipotetico e improbabile per sempre, che le scelte che non si fanno per paura sono quelle che si rimpiangono fino alla fine di un'esistenza. Siamo un impossibile accozzaglia di mentecatti, noi, ma ci vogliamo bene, da sempre. E pure le pietre sanno che non c'è niente al mondo che io ami quanto amo te. Non c'è 'ma' che tenga, per me, quando si tratta della tua tranquillità, e sono pronto a farmi arrestare per la dodicesima e definitiva volta, se necessario per omicidio, perchè io sono quello che ti ha insegnato ad allacciarti le scarpe, a metterti l'eyeliner e l'importanza dei Metallica; io ti ho scritto sulla schiena la frase che ti sei fatta tatuare, io ti ho vista crescere e cambiare e ti ho persino dovuto spiegare un paio di cose sul sesso che non staremo qui a ripetere. Anche quando avrei preferito darmi fuoco, ho fatto appello a tutto il buonsenso che non ho per esserti d'aiuto. Sono stato pronto a farmi detestare da te, pur di proteggerti. Ecco, questa è una di quelle volte in cui ciò che ti dirò non ti piacerà affatto, e ci tengo a specificare che io per primo stento a credere a ciò che sto per dire.”
Eravamo tutti orecchi.
“Matthew di certo ti ama, deve solo capire il modo giusto per tradurlo in azioni. Non è facile, sai, avere a che fare con una testa come la tua: specie per uno che ha una testa come la sua. Ma quando lo capirà, da solo o con la scarica di mazzate che gli daremo io e Synyster ogni volta che sbaglierà, stai pure certa che non ti deluderà mai più.”
Lo guardai, con una tenerezza immensa come una morsa intorno al cuore. Poi mi alzai, e mi allontanai da loro, da quella lettera, dalle sue parole.
“Spero che sappia quello che fa, perchè sto mettendo a rischio la mia credibilità per difenderlo.”, sentii dire Jimmy, non abbastanza piano perchè io non sentissi.
Chiusi gli occhi, mentre camminavo, finchè le loro voci non divennero un mormorio confuso. Cercai l'altalena sotto il salice, e mi misi a dondolare sempre più forte, fino a toccare il cielo con le Converse. Era una vita che volevo volare, e ancora non c'ero riuscita.
Mi spinsi quanto più in alto riuscissi con il movimento delle gambe, finchè mani gentili sulla mia schiena mi fecero arrivare con i piedi nelle nuvole.
“Jimmy!”, sentii urlare mia nonna, “Se cade si fracassa la testa!”
Mio cugino rise, dandomi un'altra spinta.
“Abbiamo fatto molto peggio, e la testa è ancora lì.”
Le nuvole, così vicine.
La morte mediante trauma cranico, invece, in un altro tempo.
In un'altra storia.

I'm safe up high,
nothing can touch me,
why do I feel this party's over?
No pain inside,
you're my protection.”
(Sober, P!nk.)

 

 

Undici e quarantanove dell'anonimo venerdì notte che si dispiegò davanti a noi, improbabili inquilini provvisori del vecchio castello. Mi ero chiusa in camera mia a leggere un romanzo di Dumas, preda di un malumore di marmo che neanche i frizzi e i lazzi organizzati da una sorella, una migliore amica, cinque metallari e una nonna avrebbero mai potuto scalfire. Un tonfo a momenti non abbattè la porta.
“Sì?”
“La cerca il signor Silvester.”
Mi affacciai all'uscio, presentendo lo zampino di mia nonna, e mi trovai davanti il nostro maggiordomo, Erminio, che reggeva un candelabro di ottone che ospitava tre candele striminzite. Sembrava il conte Dracula.
“E' successo qualcosa?”
Erminio cincischiò alcuni fonemi in una lingua che lì per lì non compresi, dunque mi accinsi a seguirlo per andare alla ricerca di Silvester, che a sua propria volta a quanto pare cercava me.
Quando lo trovai, indossava un pantalone del pigiama di flanella color puffo, avrei giurato non suo, e una maglia dei Metallica.
“Cosa c'è?”
“E' entrato un pappagallo.”
“Un pappagallo?”
“Un pappagallo.”
Riflessi un attimo.
“E da dove è entrato un pappagallo?”
“Dalla finestra della stanza di tua nonna, suppongo, anche se tua nonna sostiene di non averla aperta. Sta per morire dalla paura. Dobbiamo cacciarlo via.”
Sospirai.
“Non potevi chiamare Jimmy?”
Ciabattando dall'altro capo del corridoio, sopraggiunse mio cugino con i coglioni in evidente giostra.
“Mi ha chiamato, infatti. Mi ha chiamato Attilio.”
“Erminio.”
“Sono americano, non so articolare.”
“Io invece sono stanca.”, soggiunse Bliss, che alloggiava in camera con me.
“Dov'eri? Ti ho perso di vista tre quarti d'ora fa.”
“Al telefono.”
“Con chi?”
“Vabbè, e dove sta questo cazzo di pappagallo?”, ci interruppe Jimmy, rifilando un'occhiataccia al maggiordomo e alle candele.
“In biblioteca.”, ci ragguagliò Synyster.
“Ma non si può illuminare un po' di più questo corridoio del cazzo? Io già ci vedo poco.”, disse Jimmy, sistemandosi gli occhiali sul naso.
“No. E' vetusto.”
“Vetusto?”
“Sì, un'illuminazione eccessiva potrebbe nuocere ai parati.”, spiegò Erminio.
Mio cugino si astenne dal rispondere.
“Vogliamo andare?”, domandò Bliss, impaziente.
Mentre ci incamminavamo, Erminio si dissolse misteriosamente nel nulla.
La luce fioca illuminava metri quadri intermittenti di moquette rosso scuro e parati intarsiati d'oro, e noi procedevamo compatti come gli acchiappafantasmi.
“Ma se la nonna non ha aperto la finestra, da dove è entrato il pappagallo?”
“Mistero.”, rispose Erminio, riapparendo dal nulla, “Come molte cose di questo castello.”
“Erminio, grazie.”, commentò Bliss, torva.
Valicammo un numero imprecisato di stanze, rischiarate appena dalla tenue luce delle lampade a muro. La penombra rendeva tutto ancora più inquietante.
Finalmente approdammo alla lugubre biblioteca.
Da quel che potemmo constatare a una prima occhiata, altissimi scaffali di legno scuro, oppressi da libri antichi rilegati in tinte scure, tappezzata di un parquet marrone cupo. Praticamente, una bara di settanta metri quadrati.
“Dov'è la luce?”, domandò Bliss, pregna di spirito d'iniziativa.
“Non c'è, la luce.”
Ci voltammo tutti a guardare Erminio.
“Rovina i libri.”
Jimmy roteò gli occhi al cielo, e il maggiordomo contestualmente piantò il candelabro in mano a Synyster.
“Col vostro permesso, io mi congedo.”
Nessuno glielo aveva dato, questo permesso.
Al che, Synyster disse: “Jimmy, vai avanti tu.”
Mio cugino si voltò meccanicamente a guardarlo.
“E per quale motivo?”
Synyster gettò uno sguardo pudico a noi due donzelle, e poi sussurrò: “Ho paura.”
Mio cugino, molto più diretto, proruppe in un: “Perchè io no Brian? O sei persuaso che ho familiarità con i pappagalli che fanno le violazioni di domicilio?”
La verità è che eravamo tutti e quattro attanagliati da un sinistro terrore.
Comunque, ci appropinquammo.
Dopo alcuni passi, sospesi come barche senza bussola, un sibilo ci sfiorò le orecchie facendoci assaporare l'ebbrezza di ciò che accade immediatamente prima dell'ictus.
Afferrai il polso di Jimmy e lo torsi fino a giungere a un passo dalla frattura scomposta. Jimmy non urlò. Era passato vicinissimo, veloce come un condor, il pappagallo. Poi, un rumore sordo ci lasciò intuire che era rimbalzato contro il vetro della finestra.
Silenzio.
Lungo.
Macabro.
“Sarà morto, avete sentito che botta?”, ottimizzò Synyster.
Bliss lo smontò immediatamente: “Non ci scommetterei.”
Come al solito, il pragmatismo pessimistico di Bliss ebbe la meglio.
Infatti non solo non era morto, ma non era neanche un pappagallo.
Synyster menò uno strillo che neanche Mariah Carey nel momento più fulgido della sua carriera, facendo impallidire i ritratti sulle pareti oltrechè noi, atterriti, inerti.
“E' un pipistrello!”, ululò.
Impazzito.
Selvaggio.
Con il radar fuori uso che stava dando i numeri, perchè percepiva ostacoli e pareti dappertutto e gli suonava nel cervello ogni due secondi.
La bestia riprese a volteggiare frenetica sopra le nostre teste, al che io, Bliss, Jimmy e Synyster prendemmo ad accovacciarci e rialzarci per schivarlo come in una bizzarra danza russa, fino a che non maturammo una decisione univoca, istintiva: ci sdraiammo, scomposti e repentini, letteralmente a terra. Nel compiere questa operazione, Synyster commise un errore agghiacciante: si lasciò cadere di mano il candelabro e le candele ivi allocate, nostra unica fonte di luce, si spensero.
“Sei una testa di cazzo.”
“Ma io...”
Alcuni insulti ai defunti di Synyster fiorirono nella stanza.
“Tacete, sto scegliendo l'arma più efficace e che mi fa meno impressione con la quale uccidere Brian appena usciamo da qui.”, interruppe Jimmy, con il terrore liquido nella voce.
Buio totale.
E quell'essere maledetto che continuava a volteggiare.
Synyster disse, serio: “Dobbiamo aspettare che muore di vecchiaia.”
Non ridemmo.
Ma il pipistrello aveva altri programmi: planò in picchiata e si andò a impigliare dritto nei capelli di Bliss. Lui non sapeva come uscirne. Lei non sapeva come uscirne. Il terrore le trasfigurò il volto. Io vidi il coma nei paraggi, tanta la paura che avevo. La mia migliore amica si scalmanava come una tarantolata, ostaggio delle lacrime. Ero abbastanza sicura che la breve vita che aveva vissuto le si srotolava davanti in qualche istante. Jimmy e Synyster saltarono in piedi, cercando di prendere il pipistrello, senza successo.
Fu allora che mi recai allo scaffale più vicino, estrassi “Guerra e Pace” e, con tutta la forza che avevo, abbattei il volume alla cieca sui capelli della mia amica cercando di centrare l'eventuale posizione del pipistrello impigliato.
Calò il silenzio.
Synyster spinse delicatamente un braccio di Bliss.
“Oh mio dio, ma l'hai uccisa.”, articolò, soavemente tranquillo.
Bliss era viva.
Il pipistrello invece non più.
Presi alcuni respiri di aria rarefatta, scongiurando il padreterno o uno dei suoi sottoposti di richiamarmi immediatamente alla vita eterna.
Quando mi voltai di nuovo, vidi Bliss seduta all'indiana che reggeva a due mani il pipistrello, illuminata dalla fioca luce del candelabro ripristinato da Synyster.
“Non ti fa una grande pena?”, mi chiese, piangendo.
Neanche un grazie.
“Molta.”, risposi io, pervasa da una rabbia omicida che fece sfiorare ai miei amici e parenti una mattanza di massa, se non altro per andare a fare un po' di cortese compagnia al pipistrello dipartito.
All'uscita della biblioteca, claudicanti e ancora preda dei tremori per lo spavento di poco prima, trovammo Erminio e mia nonna.
“Allora, lo avete preso il pappagallo?”

 

Every night I remember that evening,
the way you looked when you said you were leaving,
the way you cried as you turned and walked away.
The cruel words and the false accusations,
the mean looks and the same old frustrations:
I never thought that we'd trhow it all away,
but we trew it all away.”
(Scouting for girls, This ain't a love song.)

 

Knock, knock, knocking on Reverend's door.
“Sì?”
“Jimmy...”
“Entra, scarafaggio.”
Feci capolino dalla porta della stanza.
“Posso dormire con te?”
Lui era semi-disteso sul letto con gli occhiali sul naso e un libro in mano. Non disse niente.
“Ho paura.”, aggiunsi.
Sbuffò, divertito, poggiando il libro sul comodino.
“Ma Dio, quanti anni hai, cinque? Dai, vieni qui.”
Non avevo particolarmente voglia di piangere, quindi optai per un sospiro.
Mi stesi sul suo petto nudo, coperto di tatuaggi, “troppi”, diceva mia nonna, e mi lasciai abbracciare come se avessi cinque anni.
“Bliss non è in camera. Sto provando a chiamarla ma non risponde.”
Il mio iPhone rimbalzò sul letto facendo boing, boing, e lo schermo si illuminò rivelando una foto mia e di Matt che non avevo avuto il cuore di far svanire.
Mio cugino mi rivolse un'occhiata significativa.
“Puoi levarti quell'aria di saggia consapevolezza dalla faccia, Jimmy?”
“No.”
“Hai chiamato Ann?”
“Va bene, via l'aria di saggia consapevolezza.”
“Jimmy?”
“Non intendo parlarne.”
“Io invece sì.”
“Ed è un problema mio perchè?”
“Non fare il ragazzino.”
“Ti uccido il criceto.”
Inorridii.
“Non oseresti mai fare del male a Lucrezia.”, soggiunsi, poco convinta.
Dalla porta spuntarono, senza bussare, tre quarti di Synyster con un sorriso deficiente e le mani a coppa.
“Guardate! Ho trovato un ragno nel lavandino della mia camera. Si chiama Giovanni.”
Jimmy, notoriamente aracnofobico, fece un carpiato con avvitamento nascondendosi dietro il letto.
“Te l'ha detto lui che si chiama Giovanni? Ha famiglia?”, mi unii gioviale al suo entusiasmo.
“Volevo dargli un nome italiano. Rev, vieni a vedere!”
“Synyster, mi devi morire tu se esco da qua dietro.”
“Ma perchè fai tante scene? E' piccolo.”, lo difese Synyster.
“Ria, porta quell'essere immondo fuori dalla mia stanza da letto.”, tuonò Jimmy, categorico, additando.
“Ok. Il ragno però può restare?”
“Ma sei una cucchiaiata di buonumore stanotte, ragazzina!”, mi rispose Synyster, cogliendo il mio sottile umorismo.
Scoppiai a ridere.
“Metti il ragno sotto un bicchiere e vieni qui.”, gli sussurrai, estraendo contestualmente mio cugino per la cinta dei jeans da dietro il letto.
Riuscii a rimuovere i punti di domanda che mi serravano i neuroni in una morsa finchè Synyster non se ne andò, e svanirono le risate. Il calore del suo corpo accanto al mio, le sue unghie smaltate di nero, quell'odore familiare di spiagge della California, Marlboro rosse e tarallucci. Tutto questo bastò al mio cervello finchè il mio amico, sbadigliando, non infilò la porta.
Jimmy si era addormentato a pancia sotto: pensai bene di stendermi addosso a lui. Volevo parlare ancora. Almeno un altro paio di anni. Con tutto il mio peso addosso, non si smosse di un millimetro e continuò a dormire. Erano le tre del mattino. Poggiai la fronte sulle due “L” di “SULLIVAN”, il tatuaggio che gli copriva la schiena da una scapola all'altra, e mi persi tra il nulla e l'addio.
Cercai il cellulare a tentoni, e composi un messaggio.

 

I must be strong, stay a non-believer and love the sound of you walking away. (Franz Ferdinand.)

 

Qual è il punto di rottura? Guardando indietro, si riesce a trovare il momento, perso nelle giorni, in cui le cose sono finite a gambe all'aria? C'è un minuto preciso in cui finisce l'amore, in cui cambiano le cose, in cui ci vedi chiaro, in cui inizia un'amicizia, finisce un periodo, ti innamori di una canzone, il trascurabile diventa fondamentale e viceversa?
Scrissi un altro messaggio, in cerca di risposte. E poi un altro. E un altro ancora.
Jimmy dormiva, l'alba faceva capolino dalla finestra, e io avevo inviato 17 sms, tutti senza risposta. Sospirai, affondando nel cuscino, e cedetti al sonno.

 

Why don't you walk away.

 

Campanelle.
Un messaggio lampeggiò sullo schermo del mio iPhone, e lessi tre volte il mittente prima decidermi ad aprirlo. Era incredibile, e non era da lei. O forse io non la conoscevo abbastanza bene da sapere cosa fosse da lei e cosa no.
Dom rovesciò un po' di latte sul tavolino di cristallo. Se ne stava lì, davanti a me, col bollitore in mano a guardare la macchia allargarsi, in silenzio.
“Sai quel detto del cazzo, non piangere sul latte versato? Bene, ho un'incontenibile voglia di piangere.”
Apprezzai la sottile metafora.
Si era un po' spento, da quella storia di Bliss, e dire che difficilmente lo avrei pensato capace di un sentimento del genere.
Lessi il messaggio, con un sorriso amaro e le mani un po' imbranate.
Era tardi, comunque. Per tutto e per tutti.

 

I love the sound of you walking away.

 

Riaprii gli occhi che Jimmy stava fumando seduto sopra la scrivania vicino alla finestra con il libro del giorno prima in mano e un caffè fumante davanti, assorto.
“Mettiti gli occhiali, Rev.”
“Tu fatti gli stracazzi tuoi, piccola.”, mi rispose, con un sorriso.
Mi tirai a sedere sul letto e diedi un'occhiata al telefono.
17 messaggi ricevuti.
“Cos'è quella faccia, Ria?”
Bussarono alla porta.
“Si può?”
“No.”
Synyster entrò lo stesso.
“Che espressione hai, Ria?”
“Che espressione ho, Brian?”
Synyster e Rev si guardarono saggiamente.
“Mio Dio, statemi lontani, voi e le vostre occhiate complici.”
Mi alzai, alla ricerca di refrigerio, di un mazzo di carte, del maggiordomo.
Matt mi aveva risposto a tutti e diciassette i messaggi, uno per uno, dettagliatamente, teneramente, inopinabilmente.
Mi sentivo iperattiva, confusa, e non riuscivo più a fermarmi a una finestra, perfino fumare una sigaretta mi riusciva difficile. Il mio ferreo buonsenso si era ossidato, e sentivo addosso il peso di tutti i miei fantasmi di qualunque tempo passato e presente.
Avvertii una presenza alle mie spalle.
“M, tu credi in Dio?”
Shadows mi circondò le spalle con un braccio.
“Fai delle domande perturbanti a volte, Ria.”
Sperdermi nei colori psichedelici dei loro tatuaggi, confondermi nel suono delle loro risate, svegliarmi distrutta dopo una nottata alcolica, tutto questo sembrava lontano e offuscato. Il presente era una cartucciera di dubbi e perchè, e io ero incapace di uscirne.
Bliss mi sfrecciò davanti, cincischiando al telefono.
“Ma vi hanno assunti tutti alla CIA? Sono giorni che schizzate da una parte all'altra bisbigliando, smettete di parlare quando arrivo, Zacky addirittura si mimetizza con le tende.”
La risata calda e roca di Shadows mi avvolse come un abbraccio.
“No, piccola.”
“E mi chiamate tutti piccola. Non sono mica Oliver Twist.”
“Con calma. Vedrai.”
E avrei visto, accidenti se avrei visto.

 

Io ti darò tutto quello che ho sognato,
tutto quello che ho cantato,
tutto quello che ho perduto,
tutto quello che ho vissuto.”
(RV, Le Rose Blu.)

 

I telefoni che squillano alle quattro del mattino dispiegano un leggero ma palpabile odore di tragedia imminente.
Jimmy sobbalzò nel letto affianco a me; alzando di scatto la cornetta, abbattè accidentalmente un'abat-jour, mandandola in frantumi.
“Chiunque tu sia mi devi una lampada.”
Bisbigli dall'altro lato della cornetta.
“No, è che io per la prima volta in vita mia stavo dormendo.”
Bisbigli.
“No, prova a chiamare Shadows sul cellulare. Aspetta, anzi, te lo sveglio io.”
Si alzò dal letto trascinandosi dietro il telefono a passi pesanti, quindi uscì sul pianerottolo e strillò con quanto fiato aveva in gola: “MATTHEW!”
Tempo sei secondi, le cinque porte del corridoio si aprirono di scatto, in un univoco, roboante “CAZZO” pronunciato all'unisono dai cinque inquilini, esclusa mia nonna che giunse un po' in differita avendo anteposto un “ma che”.
Quindi, tutti: “CAZZO.”
Mia nonna: “MA CHE CAZZO.”
Jimmy: “Matthew, ti cercano al telefono.”
Il pigiama si mosse con Shadows dentro, strappando la cornetta dalla mano del migliore amico e producendosi in un metallico “PRONTO” che non presagiva niente di buono.
Aggrottò le sopracciglia e ascoltò serio per qualche minuto, dopodichè proruppe in un “ok” e guardò i compagni di band.
“La data di Milano è spostata a domani sera.”
Ci fu un coro di esclamazioni di sorpresa.
“Perchè?”, domandai.
“Dice che hanno un problema con le tubature all'Idroscalo.”
“Un problema con le tubature all'Idroscalo? Mi prendi per il culo?”
“No, hanno già avvertito tutti i fandom. Ann dice che prova a chiamarci da ieri pomeriggio. Volevano spostarla alla fine della prossima settimana, ma domani è l'unico buco libero.”
“Ma in Italia non ce li avete gli idraulici?”
“Sta' zitto, Zacky.”
M, Synyster e Jimmy si scambiarono un'occhiata.
Qualcosa non andava, ma cosa fosse, evidentemente, non mi era dato saperlo.
Fu così, comunque, che alle quattro e mezza del mattino ci ritrovammo a fare una serie di bagagli.
Telefonai a mio padre più volte per avvertirlo dell'esodo che stava per colpire casa nostra, ma non ricevetti alcuna risposta.
Guardai Bliss, col freddo della notte che sorpassava i vestiti per infilarsi nelle ossa, mentre i ragazzi caricavano le valige nelle macchine.
“Morris?”
“Non risponde, starà dormendo.”
“Non hai il numero di telefono di Gertie?”
“Non mi sono mai posta il problema dell'eventualità di doverle telefonare, francamente.”
Comprensibile.
“Guido io.”, dissi a Jimmy, sfilandogli di mano gli occhiali.
Non era il caso di salutare la nuova settimana con un incidente che avrebbe causato un numero imprecisato di morti per colpa della risaputa cecità di mio cugino. Non ci vedeva di giorno, figurarsi di notte.
E dunque partimmo, ancora una volta, senza preavviso.

 

I'm only happy when it rains,
I'm only happy when it's complicated.”
(Garbage, I'm only happy when it rains.)

 

In due ore e mezza, eravamo tornati al caos che ci competeva per diritto di nascita.
Un cimitero di redbull puntellava il salotto di casa mia, deserto se non fosse stato per Chichi, che con le mani nei capelli andava mestamente raccogliendo posacenere traboccanti e lattine schiacciate.
Io volevo solo dormire, dimenticare, trovare pace da quell'inquietudine che mi strozzava il fiato in gola. Desideravo disperatamente un po' di riposo, altrimenti sentivo che sarei impazzita, velocemente, inesorabilmente. Era come avere un esercito di formiche iperattive nell'esofago, nelle vene, nel cervello. La testa mi faceva fuoco e fiamme. Nessun silenzio avrebbe potuto consolarmi.
Eppure, come spesso accade, la vita andava avanti. Quella sera saremmo finiti nel centomilionesimo backstage a trasportare avanti e indietro bottigliette d'acqua ed energy drinks, cercando plettri perduti nelle nebbie e litigando con irsute orde di responsabili della security.
Volevo la calma.
Volevo il passato, quell'odioso tempo ormai perduto che ora mi sembrava luminoso e tranquillo. Quanto lo detestavo, prima. Quanto lo vedevo un vuoto annaspare dentro circostanze ingestibili, intrappolata in una stanza buia e stretta, soffocata dalle mie cose impossibili; e invece ora, illuminato in controluce da un presente oppressivo e claustrofobico come un'afa estiva, mi sembrava una distesa di belle speranze e semplicità.
Sarebbe finita anche quella giornata, come tutte le altre. Il sole sarebbe tramontato per sorgere qualche ora dopo su un giorno identico al precedente, ugualmente inutile, senza senso, senza scampo.
Pensai a mia madre. Pensai che a lungo andare si diventa assuefatti anche alla malinconia, al peso delle assenze, all'ineluttabile e alla tristezza: non mi abbandonava mai, quel senso di inquietudine, cosa importava ciò che sarebbe accaduto? Che senso aveva segnare con una matita il perimetro di obiettivi e sogni? Niente valeva a niente. Non c'era entusiasmo, né completezza, né speranza in me. Ogni cosa, ogni atto di fede, ogni sforzo intellettuale e cardiaco, ogni slancio di forza era frutto della stanchezza di chi ha capito che non c'è niente da perdere né da guadagnare, perchè le cose vanno via di loro spontanea volontà, e non c'è niente che si possa fare per tenerle ferme. Né abbracciarle, né incatenarle, né pregarle, nessuno sforzo di volontà mi avrebbe reso libera, nessuna parola che poteva dire Matt mi avrebbe mai guarita, rassicurata, tranquillizzata. Ero nata nel caos, e dal caos avevo imparato a vedere la bellezza autentica delle cose. Dentro la confusione, nell'anarchia del mondo e degli elementi, in quel costante traballare del mondo. Forse vedevo troppo e troppo in là per conoscere una qualche pace. Forse, semplicemente, le scorte di speranza che uno ha nella vita per me erano terminate. Le avevo consumate già tutte per andare avanti, perchè andare avanti era talmente difficile e richiedeva un tale dispendio di emozioni che ciò che agli altri serviva per una vita a me era bastato giusto per raggiungere i vent'anni. Dopodichè, buio. Squadravo affascinata la vita e la morte e per me non avevano alcuna differenza. Studiavo l'amore in ogni sua forma, chiedendomi se davvero salvava, se poi era così importante essere salvati. Avevo amato Matt oltre ogni cosa, pur sapendo dove saremmo andati a finire, e ora che ci eravamo andati effettivamente a finire, in quel niente fatto di sgomento e rimpianti, non avevo idea di cosa fare.
“Bella la lettera, belli i messaggi, belle le parole che tutti e due sappiamo usare così bene, ma dimmi, amore mio, dimmelo tu cosa dobbiamo fare. Cosa ci aspetta. Perchè mi sento soffocare, è una vita intera che mi sento soffocare, e non ne posso più.”
Poi lo spensi, quel telefono infernale, e mi concentrai sui gabbiani fuori dalla mia finestra, che volteggiavano in cerca di prede.
Cosa vuoi che ci sia qui, per te, gabbiano. Non è questo il posto a cui appartieni. E non dirmi che pensi anche tu che un posto vale l'altro, perchè non c'è luogo al mondo che tu possa chiamare casa. Non me lo dire, che altrimenti è davvero finita.

 

Ma il mio equilibrio è in cielo come i sogni dei poeti,
mai potrei viver come voi che avete sempre la certezza della terra sotto i piedi.”
(I Ratti della Sabina, Il Funambolo.)

 

Che succede stasera?”
Detesto prendere la gente alle spalle, ma a volte non posso esimermi.
E' finito il tempo del tatto e della comprensione: sono giunti i giorni della realtà dei fatti, il più scarna possibile.
“Niente, c'è il concerto.”
“Zacky.”
Zee puntò i suoi occhi verdi dentro i miei, giocherellando con gli snakebites tra una nuvola di fumo azzurro e l'altra.
“Che vuoi che ti dica, Ria? Sono quindici anni che nutro profonda stima nei confronti della tua fine intelligenza.”
Gli sorrisi, benevola.
“Mi dai una sigaretta?”
Mi porse il pacchetto, e mentre accendevo un'infumabile Marlboro rossa l'occhio mi cadde nel cortile, dove Bliss e Dominic parlavano con le teste vicine.
“No, lui non c'è.”, rispose Zack alla domanda che stava formulando il mio cervello in quel preciso istante.
Un misto di sollievo e delusione mi afferrò la bocca dello stomaco.
“Sono stanca, Zee.”
Ma proprio stanca. Presa da una stanchezza antica ed incrollabile, proveniente per direttissima dalla sorda eco dei secoli trascorsi.
“Sai, è normale.”
“Mica tanto.”
“No, Ria, davvero. E' normale che tu non ne possa più. Potresti avere ancora da vivere un anno o sessanta, però, quindi ti prego di considerare bene le contingenze.”
Synyster era uno dei nostri più vecchi e cari amici.
Mandai un messaggio a Fleur per pregarlo di venire al concerto a supportarmi, a sopportarmi, a fare quello che sapeva fare meglio, cioè disinnescarmi a colpi di citazioni dotte e buone ragioni. Nella speranza che, per caso, si trovasse accidentalmente su suolo italico.
“Tieni. Bevi.”
Synyster mi mise in mano una Heineken gelata.
“A te pensavo.”
“Io e Bliss non potevamo mai funzionare insieme, smetti di preoccuparti per me e preoccupati di te e dell'infinita sfilza di problemi psicologici che ti affliggono.”
Mi sorrise, fraterno.
“Synyster, ora che ti vedo alla luce non posso esimermi dall'informarti del fatto che sei davvero bellissimo.”
“Adulatrice.”
“No, sono seria. Sei l'uomo più bello che io abbia mai visto.”
Un cazzotto affettuoso mi colpì la spalla.
“Ti voglio bene.”
“Anche io.”
“Basta.”
“Sì.”
Jimmy barcollò verso di noi canticchiando una vecchia giga irlandese.
“Dobbiamo essere al soundcheck tra tre quarti d'ora”, solfeggiò poi, seguendo la melodia.
Sospirai in faccia a una nuvola a forma di coniglio, facendo girare la birra nella bottiglia.
“Caro cugino, i conti non tornano.”
Il giorno in cui era morta la cosa che mi era più cara al mondo non era accaduto niente. Ero troppo piccola, troppo seria, troppo silenziosa per accorgermi che fuori c'era una realtà gravida di eventi e compromessi. La tragedia si era abbattuta come un fulmine un'estate ad Hungtinton Beach, in camera tua. Avevo otto anni. C'era una foto di te bambino in braccio a mia madre, sul dondolo nel patio. E' stato lì che ho realizzato davvero e per la prima volta la sua morte. Perduta, andata, svanita per sempre. I tuoi capelli biondi ti svettavano in testa come aculei, incuranti della forza di gravità e del pensiero comune. Tacesti, all'improvviso. Guardando quel viso che iniziava a somigliare di più al mio con l'avvicinarsi della pubertà, sentii tutti i miei organi interni frantumarsi in un fracasso assordante. Ero rotta in punti che neanche sapevo di avere, un unico insieme di cocci taglienti alti un metro e quaranta. Incrociai me stessa nello specchio. Com'è possibile, mi chiedevo, com'è possibile che io sembri ancora intera? Nessun taglio, nessuna fessura, nessun segno visibile dello sfacelo che si era appena verificato dentro di me.
Mi prendesti per mano, affatto imbarazzato o impacciato, e mi portasti al cimitero.
Fissando la foto di mia madre sulla lapide bianca, inspirai a fondo il profumo pungente dell'erba e dei fiori appassiti.
Aveva un odore acre, l'eternità.
Quando tornammo a casa, Synyster suonava in garage e l'orologio batteva le sette. Era arrivato Matt con delle atroci pizze alte e bruciacchiate, era il periodo in cui voi facevate conoscenza con le birre e io mi innamoravo, a turno, di tutti i tuoi amici. Osservai le mani di Brian muoversi sulla chitarra, sentendo l'irripetibile sfarfallio emotivo che mi impestava lo stomaco, e uno strano calore alle guance. Improvvisamente, il macigno che avrebbe sempre cercato di trascinarmi nella tomba di mia madre pesava di meno.
L'amore, pensai, l'amore è il contrario della morte. L'unico peso in grado di riequilibrare quella terribile bilancia.
Quattordici anni dopo, di amore e di morte potevamo dire che me ne intendevo abbastanza.
Cercai le vostre mani sul mio terrazzo, stanca di nascondere, tacere e sopportare. Stanca di pensare a come evitare l'inevitabile, tanto ormai la tragedia in quattro atti tra Bliss e Synyster si era già consumata.
Solo voi potevate allontanarmi dalle tombe.
Solo voi, inviolabili nel ricordo, potevate far tornare dritto l'ago della bilancia.

 

Quand'ero piccolo
mi innamoravo di tutto,
correvo dietro ai cani.”

(Fabrizio De Andrè, Coda di Lupo.)

 

Non ho niente da dire, stasera.
Non ricordo neanche come si faccia a respirare, incastrata tra l'eterno e l'attuale, ostaggio dell'antropologia, distesa per lungo in un frozen yogurt, con il traffico fermo sulla tangenziale.
Arrivederci e grazie alle mie muse, fino al prossimo capitolo, e ai tramonti sopra la collina di fronte al mio balcone, che creano equivoci e fanno sentire cretina la gente.
Grazie a voi per la paziente attesa e per le parole sincere, per la sopportazione, le minacce di morte e per i messaggi notturni.
Grazie a Matthew Bellamy per avermi causato un considerevole apporto di ansia e per la meraviglia che affoga le parole delle sue sconclusionate riflessioni in chiave di violino.
Grazie a quell'idiota della mia migliore amica, impagabile fonte di ispirazione, alla quale una certa Leana non stava simpatica perchè non le ha mai fatto il caffè buono.
Grazie a Fleur e a tutto ciò che è e che fa, mentre Dumbo di qua libera i baldi.
Grazie al mio vicino di casa e al mistero dei lumini in fila sul suo terrazzo, bollati come pista di atterraggio per angeli e zanzare.
Grazie a Hindra e Cadio, alle loro teorie sul chiudere il gas prima di morire e sulla metafisica dei fazzoletti, ma soprattutto ai loro diversivi per impedirmi di impazzire.
Grazie al mio splendido fratello, che quando ha tempo dedica alcuni dei suoi preziosi neuroni di dieci anni a cercare di seguire i miei ragionamenti.
Grazie a Pelagotti Giovanni, e alle sue sei zampe provvisorie.
Grazie alla gente, ivi inclusa mia madre, che litigava fuori al mio balcone sulla vita dopo la morte.
Thank you, love of my life and thank you, love of my afterlife.
Al Reverendo, grazie e vaffanculo. Lui sa perchè.
C'è una luce che splende nel cielo, ma mi sa che è un aereo.
E scusate la suspance.
Grazie, piccole. (Anche voi, come Ria, siete un po' Oliver Twist.)
Q.


 



 

 

 

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Capitolo 16
*** Day zero. (Elogio delle meduse e dei cavallucci marini.) ***


Ai miei cari fantasmi:
questa volta indovinerò,
statene certi.

 

Vorrei ci soffermassimo un attimo sulla vita dei cavallucci marini.” disse Fleur, sbattendo la porta della sua vecchia Cadillac quando andai a prenderlo nel parcheggio stampa dell'Idroscalo.
Alzai gli occhi al cielo, e lui si sistemò il monocolo e si lisciò la polo bordeaux, già priva a monte di qualunque piega.
“Dov'è il bodyguard?”
“Se stai parlando Jimmy, non lo so.”
Infilò una sigaretta bianca nel bocchino d'avorio, camminandomi di fianco a passi leggeri.
“Ti dicevo, i cavallucci marini.”
“Sì.”
“Il cavalluccio è una specie che di solito passa piuttosto inosservata al mondo tutto, subacqueo e terrestre. Più che altro, una volta essiccato può essere carino come catturapolvere.”
Sorpassammo un portone metallico dall'aspetto carcerario e ci immettemmo in un lungo corridoio.
“Arriva al punto, Fleur.”
“Dunque, il cavalluccio marino è pieno di sé. Vaga impettito e solitario tra i coralli e le mangrovie, con la bocca a culo di gallina. Gli interessano solo i suoi pensieri, bada esclusivamente agli affari che lo riguardano, perfino la sua riproduzione è singolare. Partorisce il maschio. Espelle mini-cavallucci a raffica dalla pancia. Questo per sottolineare che deve fare tutto lui perchè lui solo sa, e lui solo capisce.”
Sorrisi, sbilenca. “Mi ricorda qualcuno.”
Un lampo di luce si riflesse sul monocolo del mio amico, precipitandoci in un'atmosfera da puntata dell'Ispettore Barnaby.
“Appunto, Ria. Appunto. Lui è un cavalluccio marino. Tu, invece, sei una medusa.”
“Sono una...?”
“Medusa. Sognante e vagabonda, con quei tentacoli iridescenti così affascinanti: potenzialmente innocua e bella da guardare, se la accarezzi dolcemente sulla cupola. Col cuore nella testa, un tutt'uno col cervello. Eppure, velenosissima, se presa dal lato sbagliato.”
Un altro corridoio, ancora più stretto del precedente.
“E questa efficace metafora ittica dove ci porta?”
“Tu sei una medusa, Ria, e lui è un cavalluccio marino. Capisci da te che medusa e cavalluccio non hanno molto da dirsi, nella loro carriera pescifera.”
Avevo afferrato il concetto. Le meduse, comunque, sono mortali tempeste elettriche; i cavallucci marini, per quanto siano indiscutibilmente dei pomposi rompicoglioni, no. E quindi, per non ucciderlo, una medusa perbene si sarebbe allontanata. Ma io frequentavo i Sevenfold, ed è cosa risaputa che le meduse perbene non se la fanno coi satanisti.
“Scusa, Ria, dove stiamo andando? Non mi sembra che ci siano palchi, qui intorno.”
Non risposi, stirando invece un sorriso gioviale all'indirizzo di una signora in divisa con un cartellino che le pendeva dal collo a mo' di cappio.
“Mi scusi, sto cercando un amico, ha detto che veniva qui alle piscine...”
La signora, senza rifletterci un attimo, rispose: “Il cerebroleso pieno di tatuaggi che voleva fare i 500 metri a farfalla?”
Chiusi gli occhi.
Quando li riaprii, Synyster, ciabattando verso di noi, si stava faticosamente infilando una maglia. Dalla parte sbagliata.
Gliela tolsi, la raddrizzai e gliela cacciai in testa, mentre alzava le braccia per centrare le maniche.
“Grazie.”
“Nella scala evolutiva dei pesci tu sei senza dubbio una trota, Synyster.”, gli dissi.
Non capì.
“C'è l'ultimo soundcheck tra sette minuti circa, e il chitarrista solista di punto in bianco sparisce.”
Sorridevo, però.
Con l'amaro che mi faceva su e giù per la gola, e troppi giorni che le mie braccia non stringevano la sua schiena inglese.

 

Chissà se mi ritroverai,
se parleremo un po' di noi
come buoni amici.”

 

C'è mio cugino in giro, forse è meglio che tu vada.”
Altrimenti detto vattene, o mio cugino ti spara nelle gambe.
Avevano una rotondità, queste parole, una sonorità così soave e rassicurante, che, lo ammetto, amavo ripeterle. Infatti non avrei mai finito di ringraziare Trè Cool per avermi dato occasione di sventagliargliele davanti, quasi fischiettandole, forte di quella protezione blindata che forniva la presenza di mio cugino nel raggio di 17 chilometri, e dei suoi quattro amici ugualmente guerrafondai dei quali ero la prediletta, anche se Johnny era un po' basso per fare paura davvero.
Con mio cugino in giro, sarei stata capace di commettere serenamente un omicidio senza temere ripercussioni. La sola eventualità che un mio timido vagito l'avrebbe fatto accorrere a tutta velocità dopo aver estratto il crick dal bagagliaio della macchina mi tranquillizzava immensamente. Aveva proprietà lisergiche, Jimmy Sullivan.
Comunque, restava da risolvere il mistero del perchè dovunque fossi io c'erano pure i Green Day.
“Domani siamo headliner.”, rispose alla mia muta domanda Trè, “Cosa gliene frega a tuo cugino se siamo qui a parlare?”
Aprii la bocca, cercando una risposta plausibile.
“Ria, mi hai chiamato?”
No, non lo avevo chiamato. Ma c'era comunque: caratteristica primaria e peculiare di quest'uomo.
“Oh, Jimmy.”, risposi, fingendo sorpresa. Poi aggiunsi, teatralmente, “Toh, mio cugino. Proprio.”
Jimmy mi fissò interdetto.
“Ti senti bene?”
“Ah, è lui tuo cugino?”, proruppe Trè.
“Sì. Vi conoscete?”
“Certo, ci siamo fatti un paio di feste folli insieme. Come stai, Rev? Ci tenevo a salutarti, ero venuto anche a cercarti prima.”
Si abbracciarono rievocando vecchie scenette di tale depravazione da ferire le orecchie, di cui nessuno voleva in realtà sapere niente, finchè si ricordarono che c'ero anche io.
“Ria, non mi hai mai detto che The Rev è tuo cugino!”
“Non ho neanche mai detto a The Rev che sono due anni che ci provi con me.”, sorrisi, benevola.
“Beh, non penso che lui abbia niente in contrario, no?”
Jimmy sorrise. “Non chiedere, Trè, potresti non voler sapere. Scusaci, io devo essere sul palco tra un quarto d'ora.”
Gli trotterellai accanto, traboccando di gratitudine.
“Cos'è questa storia?”, mi chiese.
“Quale storia?”
“Questa di Trè che ci prova con te.”
“Non ci pensare, JJ. Hai visto Bliss?”
“Sì, è già sotto il palco, ti conviene raggiungerla.”
Ci fermammo davanti a un bivio: una porta dava sullo stage, l'altra sullo spazio davanti al palco.
Lo guardai.
“Sei un figo.”
Mi sorrise, mentre gli aggiustavo il nodo della cravatta. Portava solo quella, sul petto nudo, come al solito.
“E un tamarro. Esagerato.”
“Dammi un bacio, piccola.”
Gli gettai le braccia al collo e lo strinsi forte.
“Dici a Zacky di mirare bene quando lancia i plettri, o finisce che mi prende un'altra volta nell'occhio. E dai un bacio a tutti.”
“No, mi rifiuto di baciare Johnny.”
“Fai come vuoi.”
“Ci vediamo dopo.”
“Vai.”
Immaginate due sagome che si allontanano al ralenti verso due porte vicine; i contorni che sfumano, il boato della folla, la luce bianca che si sprigiona dalle porte mentre le aprono.
Immaginate, fin quando potete.
Io ho capito che, spesso, non abbiamo nient'altro che questo selvaggio immaginare.

 

Tell me you love me,
come back and haunt me.”
(Coldplay.)

 

NOBODY SAID IT WAS EASY
NO ONE EVER SAID IT WOULD BE SO HARD.

 

Questa frase di Chris Martin, appuntai mentalmente, dovevo richiederla come incisione sulla lapide alle pompe funebri. Appena finito il concerto.
L'avvento di Matt Shadows sul palco fu salutato da un coro di strilli diluviani, l'avvento di Synyster, invece, come assodata consuetudine, da una pletora di svenimenti. Quattro giovani signorine mi galleggiarono sopra la testa, trasportate da enormi addetti alla sicurezza verso sedie sulle quali infermiere stizzite le avrebbero schiaffeggiate fino a fargli riaffiorare i ricordi della prima infanzia.
Quando apparve Jimmy, facendo vorticare una bacchetta nella mano destra, urlai fortissimo. Non forte quanto una dietro di me, però. Mi voltai. Ci guardammo. Vidi nei suoi occhi una specie di disgusto malcelato svanire quasi subito per far posto alla confusione.
“Ok, Idro. Siamo fottutamente felici di essere qui con voi stasera, e scusate per i problemi che ci sono stati con le date. Ho promesso che, prima di iniziare il concerto, avrei fatto un favore a un amico. Quindi vi chiedo dieci minuti di pazienza, perchè lui ha qualcosa di fottutamente importante da dire.”
Un presentimento mi colpì in testa, ma finsi di non averlo sentito. Mi domandai, invece, quanti altri 'fottutamente' ci volevano per arrivare al punto.
“Sono tutti tuoi, amico.”, aggiunse Shadows, voltandosi verso le quinte.
“PLEASE GIVE IT UP FOR MATTHEW FUCKING BELLAMY!”
Mi girai di scatto verso Bliss.
“Cos'ha detto?”, urlai, “Ho sentito male.”
Fleur ridacchiò. Gli tirai una cinquina su un braccio.
“Voi ne sapevate qualcosa, maledette bietole.”, strillai ancora.
Splinter e Andrea “Ann” O'Malley spuntarono accanto a me, inseguendo il vizio di amici e parenti di materializzarsi dal nulla. Sorridevano, pure loro. Sorridevano tutti. Sembrava la gita di Pasquetta.
Matt spuntò con le braccia al cielo. Lo riconobbero, e applaudirono il suo sorriso sbilenco, la rosa rossa che aveva in mano, il suo abbigliamento insolitamente sobrio, i suoi occhi azzurri. La Glitterati a mo' di zainetto dietro la schiena.
Abbassò gli occhi.
Presto, dov'è la mia espressione più dura. Tu non sei donna da piegare, Ria Montague.
Ma, che volete: io, scioccamente, lo amavo.
Un amore inequivocabile e sintomatico: assi d'acciaio rovente che si piegavano nel mio stomaco, calore alle tempie, lacrime potenziali che bruciavano tra le ciglia, acrobazie della valvola del piloro. Misto di tristezza e gioia che rende inqualificabile qualunque possibile reazione. Come stai, non lo so. Sarei potuta morire, di tanto amore.
Chiese silenzio, abbassando le braccia, e come sempre ottenne ciò che voleva.
Una luce soffusa imprigionò il palco mentre i tasti di un pianoforte solitario suonavano ipnotici, producendo una eco che prese tutti allo stomaco e al cuore: lui chiuse gli occhi, e si appoggiò al microfono a due mani.


Your yellow-gold tinted eyes watching every move I make, and that feeling of doubt, it's erased. I'll never feel alone again with you by my side, you're the one and in you I confide.


La canzone, se vi interessa, si chiamava Warmness on the Soul. L'aveva scritta Shadows in un'altra era, per un altra persona. E il pianoforte, quel maledetto pianoforte, lo suonava, guarda un po', il mio mefistofelico cugino. E mentre le lacrime mi inchiodavano sul posto lui, a occhi chiusi, cantava. E non c'era altro suono, non c'era altra luce.


And we have gone through good and bad times, but your unconditional love was always on my mind... You've been there from the start for me, and your love has always been true as can be. I give my heart to you: I give my heart, cause nothing can compare in this world to you.

 

Sulla “y” di “you”, lentamente prese la chitarra e suonò, ad occhi bassi, chiuso in sé stesso, per una manciata di secondi, fondamentalmente, prima di riprendere a cantare. Ma a me parve un secolo. Nella seconda strofa, vidi Shadows prendere un microfono e fargli da controcanto. Tutto ciò aveva del brutale e dell'incredibile. Vedi tu se le sorti della mia salute dovevano decidersi all'Idroscalo.
Ma la chitarra e il pianoforte suonavano, e quei due cantavano, e il mio cuore si deframmentava come una RAM inceppata.
Quasi mi sfuggì, l'applauso sul finale, perchè le mani gentili di Fiorellino mi voltarono verso il pubblico nel momento in cui dagli spalti in alto si srotolava un enorme striscione e una marea di lanternine prendevano il volo verso il cielo.
Sullo striscione c'era scritto: MARRY ME, RIA MONTAGUE.
Ora. Io ho vissuto una vita intera preda di una serie di preconcetti generati dall'ambiente circostante e dal mio machiavellico, sterminato immaginario: mai, però, sarei arrivata a pensare che Andrea O'Malley si sarebbe presa la briga di prodursi in quell'opera d'arte che era letteralmente caduta in testa alla gente dagli spalti, né che Shadows e soci, che poi sarebbero i miei vecchi amici, sarebbero stati così romantici da dare una mano significativa a Matt nell'ultimo exploit della sua megalomania. Però sorrisi, in mezzo a qualche lacrima d'emozione, perchè in fondo, molto in fondo, sono una donna anche io: e le donne ci rimangono sempre un po' così, davanti a una dichiarazione del genere.
Mi voltai verso l'inafferrabile, inaffidabile, insondabile amore della mia vita, che vantava al suo attivo tutta una serie di aggettivi che iniziavano per “i”. A partire da “improbabile”.
Feci un salto nella quarta dimensione, e riuscii a salire sul palco senza neanche sciuparmi il vestito. Avevo le ballerine, quindi per una volta non avevamo problemi di altezza. Era stato bello, tutto sommato, stare insieme a lui. Bello e pericoloso, come un atterraggio d'emergenza. Presi la rosa che mi porgeva, e non ci dicemmo niente perchè non c'era niente da dire. Un unico respiro di un migliaio di persone si tese, aspettando la mia risposta. I Sevenfold si strinsero tutti da una parte, e incrociai i loro occhi e i loro sorrisi. Quanto lo avevo amato. E quanto avevo dovuto pagare, per averlo amato. Annusai la rosa, e sapeva di pioggia e promesse da marinai.
La mia esitazione profilò a mio cugino un quadro abbastanza chiaro della situazione da indurlo a concertarsi velocemente con i compagni di band: proprio mentre Shadows stava per parlare, lo anticipai e, se permettete, una cosa la dissi io.
“Perchè?”
Matt mi guardò. I Sevenfold mi guardarono. I miei amici, di sotto, mi guardarono. Il pubblico mi guardò. Lucrezia Borgia, se ci fosse stata, mi avrebbe guardata anche lei.
“Perchè te lo meriti.”, proruppe Matt, con uno sguardo paziente e consapevole.
“No, non mi sono spiegata: perchè dovrei sposarti?”
Un respirone di sorpresa generalizzato proveniente della platea praticamente ci assordò.
Matt si mise le mani in tasca, e scoppiò a ridere.
“Perchè ti amo.”
“Grazie, altrettanto. Ma non basta, si è visto.”
Chiacchiericcio concitato tutto intorno a noi.
“Me la vuoi far pagare perchè ti ho tradito?”
Il pubblicò sospirò sorpreso e indignato.
“Perchè ho messo incinta la mia ex?”
Altro sospiro, peggiore del primo.
“Perchè sono stato meschino e incapace?”
“E stronzo. Hai dimenticato stronzo.”
Applauso.
“Ria, ascoltami: ho passato tutta la mia vita a schizzare qui e là come una pallina da flipper e, quel che è peggio, ho totalizzato ben pochi punti. Ho creduto più di una volta di aver capito come andava il mondo, e di poter essere finalmente sereno e tranquillo, ma tu mi hai mostrato che non era così. Tu hai scardinato tutti i miei paralleli e i miei meridiani. Ti ho amata e rifiutata con tutto me stesso. Perchè amarti significava viaggiare su tutt'altro binario rispetto a quello a cui ero abituato, oltre che fare i conti con una testa anche più dura della mia. Ma rifiutarti significava spegnermi come un tamagotchi abbandonato, e tu lo sai che sono un narcisista, non sopporto di farmi del male.”
Ironico, come al solito, il maledetto.
La gente si produsse in un sospiro di tenerezza che, per quanto mi riguarda, poteva anche tenersi.
Annusai di nuovo la rosa. Puzzava di pericolo lontano un miglio.
“Tra mio cugino, la mia adultera migliore amica, i miei amici satanisti, i miei amici sodomiti, insomma i miei amici in generale, mio padre, te e il mio infausto criceto finirò senza dubbio dritta all'inferno.”, dissi.
Alzò le sopracciglia, in attesa.
“Comunque,”, dissi, “in genere mi sono sempre piaciuti i posti caldi.”

 

Sei bella che si balla solo come vuoi tu
non servono parole,
so che lo sai:
le mie parole non servon più.

 

Icontrarvi seduti sopra quel treno,
tutti e quattro avevate vent'anni in meno
come in fondo ad un buco che dà nel tempo.

 

Dire all'uomo che fuma senza parlare
“fuma piano, ti prego”, e poi capire
che il futuro è già stato
e non può tornare.

 

Mi svegliai nel cuore della notte.
Nel letto accanto a me lui dormiva; lo osservai a lungo. La pallida luce della luna filtrava dalla finestra. Saranno state le quattro, forse le quattro e venti.
Mi soffermai sul suo profilo, sulle ciglia scure, sull'eventualità.
Afferrai il telefono e lui rispose al primo squillo, come faceva da tutta una vita.
“Jimmy?”
“Ciao, scarafaggio.”
Trassi un respiro profondo e mi allontanai dal letto cercando di fare meno rumore possibile: uscii sul balcone rotondo che dava sul mare, e mi sedetti sul muretto che faceva da ringhiera, dondolando le gambe nel vuoto, a fumare.
“Cosa ci fai sveglia a quest'ora, Ria?”, mi chiese, mentre in sottofondo si sentiva un gran rumore di chitarre e amplificatori. Stava facendo le prove.
“Cosa ne sai tu che ore sono qui?”
“Sono sempre stato piuttosto bravo in matematica, e lì dovrebbero essere circa le quattro del mattino. Ci sono andato vicino?”
“Vicino.”
Tacemmo per un po'. Sentii che anche lui accendeva una sigaretta.
“Vorrei che fossi qui.”, gli dissi.
“Tre giorni e arrivo, abbi un po' di pazienza. Il day zero si avvicina a grandi passi.”
Si riferiva al mio, di day zero.
Erano passati otto mesi dalla dichiarazione di Matt. Poi era nato il bambino di Dana. E mio padre e Dana si erano lasciati, per una volta, con la verità.
“Hai presente quella canzone di Rihanna?”
Mio cugino sospirò.
“In this California King Bed we're ten thousand miles apart?”
Centro al primo colpo.
“Conosci le canzoni di Rihanna?”
“Generalmente no, ma chissà come mai quando ho sentita questa alla radio ho pensato a te. E ho avuto paura.”
“Sei incredibile. Ti sposerei domani.”
“Sì, ma non ci sposiamo. E io non credo nel matrimonio. E abbiamo lo stesso sangue nelle vene, finisce che esce, non so, un bambino con la sindrome di Dawn.”
“Ma quando mai, i Mayfair si sono sposati tra di loro per generazioni e nessuno è mai nato cerebroleso.”
“Sì, ma quelli sono i libri di Ann Rice. Questa è la realtà.”
“La realtà dici, eh?”, dissi, sorridendo, e lanciando con una schicchera la sigaretta giù dal balcone.
“Cosa fai, non lo inviti?”
Sorrisi di nuovo.
“No, non potrei mai fargli questo. Da una parte se lo meriterebbe pure, oddio, ma dall'altra...”

Silenzio.
“Quindi l'hai invitato?”
“Ma certo.”
“E ha detto che verrà?”
“Verrà.”
“Da solo?”
“No, non credo.”
Sospirai.
“Credi sia stato tutto inutile?”, mi chiese, ma la risposta la conosceva già, era da qualche parte dentro di lui.
No, no. “No. Non sarei mai stata con un uomo meschino ed inutile. Sono stata con un uomo straordinario. E lo straordinario comporta sempre una serie di complicazioni e lasciti scomodi, lo sai.”
“E ora voli via, uccellino.”
“Johnny è ancora tutto intero o gli hai spezzato qualcosa?”
“No, è tutto intero. Piuttosto, lì che si dice?”
Gettai uno sguardo dentro, e lui era lì. Si stava rigirando nel letto, allungava il braccio cercando qualcosa. Me.
“Qui si dorme.”, risposi, scostandomi i capelli da una spalla.
“Ria, sei felice?”
“Oh, Gesù, Jimmy, queste domande cosa le fai a fare? Per capire se sono riuscita a colmare un vuoto incolmabile e tenermi ancorata a un passato ormai polverizzato nella memoria?”
Jimmy sorrise, lo intuii dal sospiro, quel soffio d'aria che gli increspava le labbra. I nostri legami, i nostri difetti di pronuncia, il nostro immaginario singolare. Si nasce in coppia, uno perfettamente uguale all'altro, e io ero felice che quel qualcuno, quell'intero perfetto che mi somigliava in tutto e per tutto nelle cose importanti fosse mio cugino. Ero felice ed onorata di esserci cresciuta insieme, di averlo avuto sempre accanto, ed ero cosciente dell'immensa fortuna che avevo avuto. Molti di noi non trovano mai l'altro, e sono destinati ad essere soli al mondo. Altri lo trovano, troppo presto o troppo tardi. Ma questo non era successo a noi. Nel mio mondo, noi eravamo insieme, e questo era ciò che contava davvero.
I giorni passano, ed erano passati anche i miei, volando su ciuffi di nuvole silenziose o in terrazza a guardare le serie tv storiche senza cuffie acculturando il vicinato sul libertinaggio dei Tudors. Non erano un po' simili a noi, forse, un'enorme famiglia scapestrata con intrighi, misteri, errori, risonanze, amori, fraintendimenti, tatuaggi... Beh, a parte i tatuaggi.
“Jimmy?”
“Piccola.”
“Secondo te noi non somigliamo un po' ai Tudors? A grandi linee, dico.”
Rise, dall'altra parte del telefono e dell'oceano.
“Vai a dormire, è tardi..”
“Sono quasi le cinque del mattino, quindi, direi che è presto, più che tardi.”
“Dipende da come la vedi.”
“Tu come la vedi?”
“La vedo che Johnny mi ha fregato il pad e devo andare a scotennarlo di mazzate. Ti lascio, ci vediamo presto.”
“Mai troppo presto.”
E a quel punto avrei voluto fare un gesto teatrale, tipo lanciare il telefono dal balcone, e sentirmi libera da tutto e legata a niente. Ma io, come Enrico VIII, avevo un po' troppe catene intorno alle mani. Fosse stato lui, però, il cellulare lo avrebbe lanciato. Così, per rabbia. Ma io non ero arrabbiata. Ero solo... arrivata al punto.
Lo so cosa volete sapere... Volete sapere cosa realmente risposi a Matt, quel giorno. Volete sapere se Bliss e Dom hanno finalmente trovato la pace. Volete sapere se mio padre ha trovato una nuova donna, se Lucrezia Borgia è ancora tutta intera, se Chichi cuce ancora quelle stupide coperte multicolore, se Chris e Fiorellino hanno fatto altri dieci figli, la verità.
Matthew Bellamy mi aveva svuotata come un uovo, è questa la verità. Quell'uomo, con una caparbietà elegante, era riuscito a risucchiare da me tutto il buono che potevo dare. La perfidia e il sotterfugio non erano mai stati cosa mia, quindi mi era rimasto, da dare, soltanto un dettaglio: la fantasia. E avevo ripreso a scrivere, a pieno ritmo e come non succedeva da tempo.
Sapevo che era lui, dovunque fosse, a tenere stretta quella piccola sfera luminosa che era tutto il meglio di me, e nessuno sarebbe mai riuscito a rubargliela, a portargliela via, con qualunque mezzo avesse tentato.
Mia madre riposava serena in un letto nella mia memoria, e ogni tanto arrivava un ricordo a rimboccarle le coperte.
La mia incorreggibile, impareggiabile migliore amica sarebbe arrivata l'indomani, con il suo carico di novità, mia sorella e suo marito.
E io... beh. Io sfioravo e risfioravo quel bel vestito bianco appeso in un angolo della stanza, dubbiosa come immagino chiunque a questo mondo davanti a una svolta del genere.
Però, e ne ero sicura, avrei preso la decisione giusta.
Una volta tanto, nella vita, bisogna pur farlo.

 

Questo capitolo, mie dilette, ha una serie di peculiarità. Punto primo, è corto. Punto secondo, è ambiguo. E punto terzo, è il penultimo capitolo della storia.
Vi lascio con tutti questi punti interrogativi ammonticchiati in testa, lo so, ma questa volta dovrete pazientare molto meno. Molto, molto meno. E' una promessa. (Non da marinaio.)
Vi voglio bene, tutte.
Q.





 

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Capitolo 17
*** Something borrowed, something blue. ***


Best friends, ex friends to the end, better off as lovers
and not the other way around.
(Fall out boy)

 

Il ragazzo le gettò un'occhiata da sopra la spalla, guardandola infilarsi la sua camicia, come succede nei film. Le stava grande per davvero.
“Devo farti una domanda.”, le disse.
Lei si voltò, liberando a due mani i capelli dalla camicia, struccata, con le labbra ancora gonfie per i baci e gli occhi languidi.
“Oh, sei stato formidabile.”
Il ragazzo scoppiò a ridere, e lei anche. Sapevano entrambi che non era quella, la domanda.
Lui allungò una mano per accarezzarle i capelli neri.
Dal punto di vista prettamente gestuale, questo è senza dubbio uno di quei segnali inequivocabili di timore della perdita. Si tocca una cosa, per paura di vederla sparire. Per sincerarsi che è reale. O per sentirla propria, anche solo per un attimo, anche se è una bugia, anche se è chiaro che
quella cosa non sarà mai davvero di nessuno.
Ma non saprei spiegarvi perchè lui lo fece. Forse, solo perchè gli andava di farlo. Perchè ognuno dei rapporti che quelle persone intrattenevano tra di loro era unico, biunivoco e inaccessibile a tutti gli altri.
“Perchè hai fatto l'amore con me?”
La ragazza affondò il naso nel collo tatuato di lui.
“Perchè volevo sentire odore di casa un'ultima volta, Brian.”

 

 

Il bosco è meraviglioso e scuro all'imbrunire
ma io ho miglia da percorrere
e promesse da mantenere
prima di dormire.
(R. Frost)

 

L'unica cosa che potesse farmi sentire meglio era scrivere.
Certo, meglio di sbattere una porta in faccia. Meglio di due chilometri di corsa. Meglio di una birra al cimitero. Meglio di dondolare meditabonda in piedi su un'altalena per la durata di un millennio. Tutte cose che avevo fatto, senza trarne il minimo sollievo. Ma, anche a scrivere, sembrava avessi la mano bloccata nel cemento.
“JIMMY?”, chiamai a gran voce.
Matt Shadows stava dondolando una bambina tra le braccia, cantandole Dear God.
Io, in vestito da sposa, mi aggiravo come un fantasma avanti e indietro per un gigantesco salone inghirlandato: avevo una penna in mano e una macchia nera di inchiostro sul vestito.
“Hai una macchia di inchiostro sul vestito.”, osservò mio cugino, sistemandosi la cravatta. Alzai gli occhi al cielo e gliela sfilai con un rapido movimento del polso. Gli tolsi pure la giacca, e buttai tutto sul divano.
Poi, gli aprii i primi tre bottoni della camicia.
Ci guardammo, perplessi.
“Jimmy, ma che cazzo sto facendo?”
“Ah, non lo so, Ria. E' tutta la mattina che me lo chiedo.”
Lo guardai di sbieco.
“Mi riferivo al matrimonio.”
“Anche io mi riferivo al matrimonio,”, disse sorridendo mio cugino, “non ci trovo niente di strano in te che mi levi metà dei vestiti lanciandoli con rabbia su un divano. Mi hai fatto anche saltare un bottone, guarda.”
Lo abbracciai, stravolta.
“Ehi, ehi, ehi, piccola.”
Mi trapassò coi suoi occhi azzurro cristallo.
“Non è mica obbligatorio sposarsi.”
“Certo, vai a dire a Zacky di tenersi pronto con la moto sul retro, magari appendo tutti all'ultimo minuto e lo lascio sull'altare.”
Sospirammo.
“Io lo amo.”, dissi, appoggiandomi alla finestra e dandogli la schiena. Non ce la facevo a guardarlo.
“Ma non è abbastanza, Jimmy. Non è abbastanza.”

 

Il cielo d'Irlanda è una gonna che gira nel sole.

 

Ria! Smettila di roteare furiosamente! Ti rovinerai il vestito!”
Con affetto, Vivienne Westwood.
La macchia d'inchiostro era un punto leggero nascosto dalle pieghe dell'abito bianco.
Correva scalza tra i bambini che affollavano la spiaggia. Cugini di cugini di cugini, in una di quelle spiagge interminabili tipiche della California. Nessuna chiesa. Le botti di Guinness Stout in un gazebo sulla sabbia. Rose rosse sfumate di giallo e arancione. Fisarmoniche. Peonie bianche. Piedi nudi nell'acqua. Capelli sciolti che frustavano il vento. Il sole, pronto a tramontare. James si sistemò la cravatta, sorridendo. “Penso sia ora di andare.”
Ria si fermò e gli sorrise amorevolmente, accarezzandogli le guance. “Penso anch'io.”
Bliss spuntò dal nulla, con dietro suo padre, da solo, e disse: “Noi prendiamo la macchina. Tu vai avanti con Zacky.”
Ria sorrise, abbracciò la sua migliore amica, si tirò su i lembi del vestito e lasciò la spiaggia alle urla belluine della sorella che si stava accertando che ogni dettaglio fosse al suo posto.
Tolse la sigaretta dalla mano di Zachary, appoggiato alla Harley Davidson, e gli rivolse uno sguardo divertito.
Lui si morse il piercing al labbro.
“Signore, perdonala, perchè non sa quello che fa.”
Ria si strinse nelle spalle, soffiando via il fumo. Sembrava una bambina più che mai, quel giorno. “Può darsi.”
Qualche vento arrivato da lontano increspò le onde e le mosse il velo intorno al viso.
“Forza”, disse lei, alzandosi il vestito fino alle cosce, “Accendi questo gioiellino”.
Zacky sorrise, mentre partiva con una sposa attaccata al giubbotto. Il velo volò via dalla sua testa per andarsi a poggiare sul parabrezza di una macchina ferma, dolcemente.
Una parata di auto nere si apprestò a seguirli, in direzione del Good Shepherd's.
Mentre scendeva dalla moto, un po' di freddo le fece venire i brividi, ma James era lì accanto e le porse il braccio.
Ria lo prese, alzando lo sguardo verso di lui. L'abito bianco frusciava intorno alle ballerine, nell'erba fresca, e la differenza tra loro era notevolissima. Non ci avevo mai fatto caso.
Gli occhi di Matthew Bellamy brillavano di gioia, a guardarla avanzare verso di lui.
E quando suo cugino gli tese la mano di lei, non potè fare a meno di reprimere una lacrima.
Si dice che se le lacrime iniziano a sgorgare dall'occhio destro siano sintomo di dolore, se invece dal sinistro, di gioia. Io non lo so, ho sempre pianto da entrambi gli occhi contemporaneamente.
Comunque, il prete stava dietro una lapide bianca.
Che idea originale, celebrare un matrimonio in un cimitero.
Ma Ria aveva voluto sposarsi sulla tomba di sua madre, e a Matt era mancato il cuore di dirle di no.
“Ciao mamma”, sussurrò, appena prima che iniziasse la funzione.
La mamma era lì, dietro di lei, e le sorrideva. “Forza, gattino.”, le disse, ma Ria non poteva sentirla.
“Eldariael Montague, vuoi tu...”
Per una frazione di secondo, ma fu solo una frazione, lo sguardo di Ria saettò verso gli occhiali a specchio di un'altro Matt.
E poi rispose che sì, lo voleva, per tutta la vita, nella buona e nella cattiva sorte.
Qualcosa di prestato, qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu.
Riso e polvere argentata invasero l'aria, poggiandosi anche sulla lapide di quella che una volta era stata la donna che avevo amato.
Ria prese per mano Matt, sorridendo, con la fede che le brillava al dito. Era oro bianco, come quella che fu di sua madre.
Poi si fermò, con il bouquet in mano.
“E' il momento del lancio!” gridò qualcuno.
La vita tra le tombe, riuscite a immaginarlo?
Sì, pensò Ria, ma prima di lanciare quel bouquet direttamente in faccia a Fleur doveva fare una cosa.
Poggiò un fiore bianco sulla tomba della madre di Bliss, un fiore rosso sulla tomba di sua madre, che lasciò lì con un bacio, e una rosa blu, l'unica che c'era nel mazzo, la sbriciolò tra le dita e la gettò nel vento.
“Per te, papà.”, sussurrò.
Io inspirai il profumo di quei fiori.
“Grazie, bambina.”, le risposi. “Mi dispiace di non essere stato il padre che volevi. Mi dispiace di non esserci stato mai. Mi dispiace di non esserci, anche questa volta.”
Sua madre mi posò una mano sulla spalla.
“Andiamo, John.”, disse. “E' ora di andare.”
Gettò un'occhiata alla sua migliore amica che tendeva una mano verso sua figlia Bliss, senza poterla sfiorare.
Ma Bliss e Ria non erano ragazze come tante.
Chiusero gli occhi, e inspirarono a fondo.
L'eternità non aveva più un odore così acre, per Ria. Era riuscita a sostituirlo con il profumo dei fiori freschi e delle risate.
Questa è una vita talmente breve.
Noi non siamo come i pesci, che possono guardare solo di lato, o come le mosche, che invece vedono a 360 gradi; noi siamo esseri umani, e possiamo guardare soltanto avanti.

 

El ai ef i gi o i es o en;
L.I.F.E.G.O.E.S.O.N.
(Noah and the whale)

 

 

Quattro mesi dopo.

 

Le persone che abbiamo amato non ci lasciano mai davvero, e tutta un'altra serie di luoghi comuni.
In realtà, le persone che abbiamo amato ci lasciano tale e quale a quelle che abbiamo odiato, o che ci sono state indifferenti. Le persone vanno via.
Così mio padre, in un incidente sulla sua moto. Quella che ho fatto rimettere a nuovo, e che adesso è la mia moto.
Quella Harley Davidson 883 parcheggiata qui, davanti all'ospedale di St. Mary, lo stesso in cui ricoverarono Matt, il secolo scorso.
Dana sta partorendo. Un esame accurato del DNA ha rivelato che quello che portava in grembo era, sì, figlio di mio padre. Una bambina, perchè nella nostra famiglia nascono solo femmine.
“Com'è possibile?”, chiedeva Matt.
“Una vasectomia eseguita male a volte fa di questi scherzi.”, aveva risposto la dottoressa, cordiale. E lei chi è? La zia? La cognata?
“No, io sono la sorella. La sorella della bambina.”
Dana aveva firmato i documenti di affido guardando dalla parte opposta, e ci aveva salutati con la frase: “Non voglio saperne niente. Mai più.”
Avevo sorriso.
“Potrai venire a trovarla, se vorrai.”
Si era voltata, il viso stanco e arcigno.
“No. Non me ne frega niente, di questo coso del cazzo. Avevo un fisico perfetto. E ora guardami.”
La guardai, e le accarezzai i capelli sudati.
“Non ti preoccupare.”, le dissi, “Andrà tutto bene.”
Mi consegnarono un fagotto dalla pelle chiara e gli occhi verdi, in tutto e per tutto dissimile da me.
La avvolsi in una coperta di lana decorata con dei teschi con i fiocchetti rosa, un regalo di Vivivenne.
Guardai mio marito.
“Forza.”, dissi, “Portiamola a casa. Prendi tu la moto, io vado con Bliss.”

 

Li vidi ad uno ad uno mentre aprivano la mano e mi mostravano la sorte,
come a dire “noi scegliamo, non c'è un Dio che sia più forte.”

 


Morgue Place era stata tirata a lucido in ogni angolo per evitare che qualunque granello di polvere minasse la serenità del fagottino.
Fumavamo tutti in terrazza, per rispetto o non so che.
Io guardavo Matt come si guarda un enigma ormai risolto. Bliss si stringeva nello scialle, tra Dominic e Jimmy.
Ogni tanto, il nostro sguardo andava a finire dentro casa, dove la bambina dormiva, sorvegliata da Chichi, Shadows e due walkie talkie.
“Mi dispiace tanto per tuo padre.”, azzardò Dominic, che ancora non aveva avuto modo di parlarmi. E aveva preferito farlo lì, al sicuro, in mezzo a tutti. Potevo capirlo.
“Dispiace più a lui, credimi.”, gli risposi, reprimendole. Quelle, maledette, due, lacrime. Ero orfana di padre e di madre, e Jimmy era la mia sola famiglia. Jimmy, e quella bambina.
Mio cugino e mio marito si guardarono, poi guardarono me.
“Cosa le diremo?”
Scossi la testa. Un fagotto castano con gli occhi verdi.
“Le diremo quello che è giusto. Le diremo di non perdersi niente. Le diremo che a volte la vita va bene e a volte va male. E che i suoi nonni sono morti in un incidente. Avrà una tomba su cui andarli a trovare, e farò fondere le loro fedi perchè diventino un ciondolo. Per lei.”
Silenzio.
“Le diremo che siamo noi, i suoi genitori. E cercheremo di comportarci da genitori.”
Bliss mi guardò. La mia carnagione ambrata, i miei capelli neri, i miei occhi gialli, un salto generazionale che mi rendeva così dissimile da quella bambina. Matt, forse, ma io.
Matt mi sorrise.
“Scegliamo il nome.”, disse.
Soffiai via il fumo azzurro di una sigaretta più leggera, rispetto a quelle a cui ero abituata.
Guardai mio cugino.
“Jamie.”, sentenziai, “Come suo zio.”
Jimmy mi rivolse un'occhiata carica di tenerezza.
Jamie Willow Bellamy spense la sua prima candelina il 28 dicembre dell'anno seguente.
Io avevo i capelli corti, e i suoi stavano diventando biondo scuro. Quanto agli occhi, uno era rimasto verde intenso, e l'altro aveva una macchia dorata, inspiegabile, che si allargava sotto la pupilla.
Avevo giurato, una volta, a un amico, di non avere paura mai.
E senza senso, e senza fame, e senza la minima idea di cosa avrebbe portato quest'altra avventura, sorrisi ai miei amici, convinta, tranquilla.
Non avevo paura.



Continua...  

 

E io qui vi lascio.
E vi ringrazio, dal profondo del cuore, per questa incredibile avventura.
Che non è finita, no.
A breve, prequel e sequel.
E anche qualcosa di nuovo.
Vi voglio bene, ad una ad una.
Tutte.

And no one can take it away from me, no one can tear it apart: it may be elaborate fantasy, but it's the perfect place to start.
(Grazie, Matt, per il nostro viaggio insieme.)

Queenofsuperficial©

 

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Capitolo 18
*** Ma veramente hai detto soqquadro? ***


She could spit in the eyes of fools
as they ask her to focus on.

 

Non avevo mai compreso appieno il significato dell'espressione “in un bagno di sudore”, finchè non mi svegliai, quel giorno, con le lenzuola inzuppate di acqua, la tachicardia e i capelli appiccicati al viso.
“PAPA'!”
John Montague, in arte, ancora una volta, mio padre, volò nella mia stanza come non aveva mai fatto prima.
“RIA!”
“PAPA'!”
“CHE C'E'!”
Mi afferrai il petto con una mano e scivolai fuori dal letto di casa mia, a Milano.
“Non puoi capire che sogno ho fatto.”
Una doccia e un bicchierino dopo, seduti al tavolo da pranzo, gli raccontai della sua morte e del parto di Dana e del matrimonio con Matt e della tomba di mia madre, scrutando le occhiaie viola del mio riflesso nello specchio. Così simile a Delilah. Così dissimile da quello di sua sorella, mia zia, Barbara. E di mia nonna, Willow.
“Che sciocchezze piccina, sai benissimo che Dana ha partorito mesi fa e che il figlio non poteva assolutamente essere mio.”
“La figlia.”, precisai.
“Sì, nel sogno. Ma in realtà è un maschio. Te lo ricordi, vero?”
Mi guardò come se fossi pazza.
“Sono pazza, papà?”
Mio padre scoppiò a ridere, e per la prima volta in vita mia scoprii quanto bella fosse la sua risata. La prospettiva di essere orfana mi aveva scombinato i meridiani e i paralleli. Quel sogno, così vivido.
“Forse. Secondo me è il tuo inconscio che ti manda a dire qualcosa.”
Chiusi gli occhi e li riaprii un paio di volte, giusto in tempo per vedere mia sorella Splinter sbucare dal corridoio con in mano il mio vestito bianco.
Sospirai.
“Dio, che faccia di merda che hai.”
“Buongiorno a te, Splinter.”
“Senti, io e Bliss siamo arrivate un paio d'ore fa. Dobbiamo fare qualcosa per queste occhiaie. Non puoi presentarti in questo stato.”
Mi massaggiai le tempie, e implorai con gli occhi mio padre di versarmi un altro po' di Bayley's.
“Perchè, che ore sono?”
Splinter si guardò l'orologio Cartier. “Quasi le tre del pomeriggio. Quando papà ci ha detto che dormivi ancora ho pensato fossi morta. Dio, sono viola!”
“Ho capito che ho le occhiaie e che ti fanno impressione, Splinter, ma in ogni caso per dopodomani mi saranno passate.”
Mia sorella si strinse nelle spalle.
“Porto questo da Vivienne in San Babila per un paio di punti, ha l'orlo ancora un po' lungo.”
La guardai. “Non posso andare in minigonna.”
“Non voglio mandarti in minigonna. Non hai detto che lo volevi ad altezza ginocchio? Beh, è leggermente lungo, e sai che Vivienne è fissata. Mi ha detto che ha sbagliato le misure di non so quanti vitali millimetri, quindi ora glielo porto, così non devo sciropparmi un fuoco di telefonate. Ti dispiace?”
Feci un gesto con la mano, come per scacciare una mosca, e meditai di tornarmene a letto pregando di svegliarmi direttamente due giorni dopo.
“Ah, a proposito”, aggiunse mia sorella a strapiombo sulla porta d'ingresso, “Ha chiamato Matt. Ha detto che viene. Mi ha chiesto sei posti, alla festa.”
“Non mi interessa.”
“E perchè l'hai invitato?”
“Splinter, non hai da fare?”
Mi fece una smorfia e sparì oltre l'uscio.
Mi voltai a guardare mio padre, accendendomi una sigaretta.
“Papà.”
Stava scribacchiando su un foglio.
“Sai Ria, è interessante che fossi io la voce narrante del sogno, perchè in qualche modo esacerba la mia importanza per te.”
Aspirai una boccata, soffiando il fumo verso il lampadario in stile Tokyo sospeso sulla mia testa.
“Papà, ti dispiace rispondere a una domanda?”
Mio padre poggiò la penna, e mi guardò.
“Se posso, volentieri.”
“Non mi ero mai soffermata su un immagine di mamma abbastanza vivida da cogliere i particolari minimi, ma stanotte ho notato che non somiglia per niente né alla nonna né a zia Barbie. E, se mi ricordo bene la foto, non somiglia troppo neanche a nonno Diego.”
Ci guardammo per un attimo lungo un secolo.
“Qual è la domanda?”, disse poi mio padre, affettando quel silenzio. Ma la domanda, e la risposta, erano già lì, sul tavolo, tra di noi. Però io la feci lo stesso, perchè ci sono cose che puoi aver anche intuito, però preferisci che non escano dal piano del sospetto perchè sai che non riuscirai mai a metterle in termini che ti permettano di assorbirle con serenità. Cose impossibili da metabolizzare.
“La domanda è: perchè?”
Mio padre sospirò e congiunse le mani davanti al viso, appoggiando il mento sui pollici. Guardava davanti a sé, e una sigaretta gli fumava tra indice e medio della mano destra.
Quando finalmente guardò me e fece per parlare, alzai una mano perchè non volevo sentire.

 


Il primo viso che ti viene in mente quando pensi alla felicità,
quello è la risposta a tutte le domande.

 

Di lettere gliene avevo scritte a decine, forse centinaia. Ma questa era particolarmente difficile. Certe cose non puoi scriverle, puoi solo dirle. Con la voce ferma, al momento giusto.
In aeroporto, una nube di voci, risate e valige, mi resi conto in un momento che tutto ciò che mi era sfuggito era collegato a quell'unico filo invisibile, quella domanda che ancora non avevo trovato, fino a quel sogno assurdo.
In Giappone c'è una leggenda che dice che le persone destinate ad amarsi siano legate alla nascita per i mignoli da un filo rosso: non importa cosa accadrà nelle loro vite, o quanto strano, singolare, accidentato sia il loro cammino, loro due si ritroveranno. Perchè così è scritto, da sempre.
Agitai una mano, e la testa bionda di mia zia Barbara mi rispose sventolando una chioma tinta di fresco. Gli assistenti di Splinter presero le loro valige per portarle a casa, e io accolsi tra le braccia un enorme mazzo di rose rosse e gialle, sorridendo a mio cugino per la prima volta.
“Forza.”, disse Shadows, strizzandomi l'occhio. “O perderemo il grande evento.”
Svolazzai fuori alla testa del gruppo, nell'abito bianco Vivienne Westwood. Mio padre suonò il clacson del minibus abbassando il finestrino.
“Forza, tutti a bordo! Prossima fermata, Università degli Studi di Milano.”
Seduta in braccio a Synyster, parlai con Bliss per tutto il tempo.

 

Scusami degli scontri fisici,

disperati e illogici,

come me.
 

Nel cortile interno dell'università, attendevo la chiamata del mio nome. Dovevano mancare minuti, o secondi, o decimi, insomma, dovevo muovermi, non avevo tempo.
Ricordate le cose che non possono essere scritte perchè vanno dette a voce ferma, con chiarezza, al momento giusto?
Ecco. Io feci tutto il contrario.
“Jimmy, devo dirti una cosa.”
Lui alzò gli occhi dallo smartphone, lo ripose in una tasca e mi guardò, serio come di solito non era mai.
Mi tremava la voce.
“Io ti amo. Ti ho sempre amato, e ti amerò sempre. E lo so che me l'hai sentito dire di almeno altre cinque persone, una era Matt Bellamy, un'altra addirittura Freddie Mercury, ma è questa la cosa veramente importante. Tu me l'hai sentito dire di loro e tutti loro, a eccezione di Freddie Mercury, per motivi che è inutile che io ti spieghi, se lo sono sentiti dire di te. E sapevano che non li avrei mai amati quanto amavo te. Lo sapevano benissimo. Cristo, è tutto così chiaro nella mia mente, perchè non riesco... io non riesco a...”
Mi stava ancora guardando, indecifrabile.
Sentivo cavalloni in tumulto dentro il mio petto, e un corto circuito in corso, inevitabile.
“Quello che sto cercando di dirti è che io... Cioè, lo sai che ti amo, quello che non sai, ma che io ora so, è come, come io ti amo.”
“Eldariael Montague!”
“Ecco, appunto...”
I suoi occhi azzurri ancora fermi nei miei.
“Hanno chiamato il mio nome, devo andare, scusa, è meglio se entriamo, magari ne parliamo più tardi.”, dissi, senza riuscire a guardarlo mentre gli parlavo, ed entrai di corsa nell'aula.
Poi uscii di nuovo, e sulla porta, posai un bacio sulla sua guancia. Bruciava.
Corsi alla sedia davanti alla quale si dispiegava a perdita d'occhio l'intera commissione di laurea. Dietro di loro, la mia tesi proiettata su un megaschermo.

Niente virgolette nel titolo
W. Shakespeare.

Discussi per trentacinque minuti, rispondendo a ogni domanda che gli parve opportuno pormi. Discussi della metrica e della poesia, del contesto storico e delle influenze precedenti, del Paradiso perduto di Milton e di Oscar Wilde e le sue opinioni su Shakespeare e sul mondo. Discussi del sonetto 116, del numero 19 e dell'avanguardia, della bisessualità, del pensiero.
“Un'ultima domanda, signorina Montague. Come mai un titolo così singolare?”
Sorrisi, sentendo la strana calma che accompagna la fine delle cose asciugarmi gli occhi.
“Vede, nei manoscritti originali di William Shakespeare non si trovano titoli introdotti dalle virgolette. Chiaramente, lui non ha mai spiegato il perchè di questa peculiarità, ma la mia teoria è che mettere le virgolette a qualcosa è circoscriverlo in una dimensione altra da quella in cui ha sede il vero. Già dire 'tra virgolette' sottintende una metafora, un compromesso. Ma ogni riga di quest'uomo, ogni opera in prosa, ogni poesia, e ogni nome che ha trovato alle storie che raccontava... Niente di tutto questo era una metafora. Niente aveva bisogno di virgolette, per essere sottinteso o spiegato in seguito. Magari non era reale, ciò che lui scriveva, ma era vero. Era vero l'amore, ed era vero l'odio, era vera quell'umanità ineguagliabile di Romeo Montecchi, che, vittima degli equivoci, non ci pensa nemmeno all'eventualità di vivere senza la sua Giulietta. Lo stesso vale per Rosalinda, e per Otello, e potrei citare ogni protagonista di ogni sua opera ma troveremmo comunque che mai nessuno di loro è sceso a un compromesso. Le loro erano vite votate all'assoluto. Ci mettevano anni, magari, a scoprirlo, ma alla fine trovavano la loro strada, e non la cambiavano più. Loro sapevano chi erano, e dove volevano andare. Non avevano bisogno delle virgolette. Erano veri. E amavano, e quando amavano lo facevano in modo assoluto e totalitario, senza un tentennamento, né un cambio di idea o di direzione. Per citare Shakespeare stesso, amor non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste fino al giorno del giudizio, e se questo è errore, e mi sarà provato, io non ho mai scritto e nessuno ha mai amato. Questo è l'amore, e non ha bisogno di virgolette.”
Ci guardammo un po' tutti, interdetti.
“Grazie, signorina Montague.”
“Grazie a voi.”
Ci stringemmo la mano.
Senza neanche guardare i miei amici e parenti venuti ad assistere, mi diressi a passo di carica verso la prima panchina in cortile.

 

You're a song written by the hands of God
don't get me wrong, cause this might sound to you a bit odd
but you own the place where all my trusts go hiding,
right under your clothes is where I find'em.
Underneath your clothes there's an endless story,
there's the man I chose, there's my territory,
and all the things I deserve for being such a good girl,
honey.

 

Le sue mani si puntarono sulla spalliera della panchina accanto a me, dietro di me. Sorrisi, giocherellando con le rose.
“Beh, complimenti per la mancanza di virgolette, signorina Montague.”
Alzai gli occhi verso di lui, e per la prima volta lo vidi davvero. Bellissimo, intero, incrollabile. Immortale.
Sfilai una rosa dal mazzo, e gliela porsi.
Mi guardò di sbieco, ironico. “Devo cogliere qualche significato particolare?”
A corto di parole, scossi la testa.
Parlò lui.
“Beh, un bel colpo scoprire che la zia Delilah è stata adottata. Certo, questo spiega tante cose. Il perchè non somigliasse affatto a mamma, ad esempio. E perchè i tuoi occhi non somigliano a niente che io abbia mai visto nel mondo. Ti ho vista nascere. E crescere. E ho tenuto a te così tanto e in un modo così particolare per me che non avevo dubbi sul nostro sangue in comune.”
Mi alzai, sorridendo, con le guance a fuoco.
“Non è che non avessi capito, JJ. E' che certe cose non le puoi accettare.”
Mio cugino, o quello che era, annuii greve. “Non parli di tua madre, vero.”
“No.”
Come se avessi una mano aperta che mi spingeva sulla schiena, mi sporsi in avanti.
Jimmy indietreggiò impercettibilmente, impreparato.
Era una cosa assurda anche solo da pensare per tutti e due.
Presi il gambo della rosa nella sua mano, e lui fece scivolare le dita un po' più su per farmi posto.
Ritraemmo le mani gemendo di dolore nello stesso, medesimo istante.
Due spine ci avevano punto i mignoli della mano destra.
Ora, io non credo in queste manifestazioni teatrali del destino, ma certe volte, che uno ci creda o no, le cose stanno proprio esattamente come stanno.
“Ahia”, disse.
Io ridacchiai piano.
Sembrò un gesto naturale, a quel punto, congiungere le mani, palmo contro palmo, con la panchina di mezzo, finchè il sangue sulle dita si mescolò. Dello stesso colore rosso, impossibile dire di chi fosse. Di entrambi. Il filo rosso.
Imbranati come due bambini, ci avvicinammo l'uno all'altra. Salii in ginocchio sulla panchina, e la mano libera di Jimmy si infilò tra i miei capelli, come faceva quando eravamo piccoli e non riuscivo a dormire.
Impossibile.
Quando la mia pelle urtò contro il suo piercing sul mento e le mie labbra toccarono le sue come mai avevano fatto prima, scoprii che invece mi sbagliavo, e non era affatto impossibile. Un po' incerti, precipitammo in un bacio lieve.
Appoggiai la fronte alla sua.
“Se tu non ci sei niente è al suo posto, in me.”
Sorrise.
“Lo so, scusami, continuo a dire cose senza senso, è che non...”
Mi bloccai. I suoi occhi, di un azzurro così cristallino, una tonalità perfetta.
Poggiai la testa sul suo petto.
“Portami via di qui.”
“Via dove?”
“Via lontano.”
“E la festa?”
“Ci andiamo dopo.”
“D'accordo.”
Stupefacente come poche sillabe possano bastare a farti emozionare, e ritrovare ciò che hai fatto di te in tutti i momenti di incertezza della tua vita.
“Ria, io ti... anche io. Insomma. Smettiamola con queste cazzate. Vieni via da lì.”
Mi prese in braccio come se non pesassi niente, e aprì la porta di uscita del cortile con un calcio della vans col teschio.
“Dove andate?”, ci chiese Bliss, fuori con Synyster.
“Torniamo dopo.”
La mia migliore amica scoppiò a ridere.
“Jimbo, ti ho chiesto dove andate, non quando tornate.”
“Non lo so.”
Ci allontanammo così, per le strade di Milano, oggetto delle occhiate stupite dei passanti. Lui guardava davanti a sé, sorridendo. Se Vivienne ci avesse lasciato quel vitale millimetro, probabilmente l'abito bianco mi avrebbe fatto sembrare una sposa. D'accordo, lui avrebbe stonato lo stesso, con le vans coi teschi e l'eyeliner e tutto il resto. Ma pazienza.

 

It is you I have loved all along.

 

Io sono un essere umano.
Un dettaglio che doveva essermi sfuggito, prima di incontrare Matt Bellamy.
Comunque, guardai con occhi nuovi e stupiti Jimmy alla finestra che fumava, senza maglietta.
“Era necessario prendere una stanza d'albergo per 'parlarne un attimo'?”, chiesi, seduta all'indiana sul matrimoniale, cercando di non appiccare il fuoco al copriletto con la sigaretta.
Lui non si voltò.
C'era un'aria come avessimo affogato dei gattini. Pesante.
“Non ti ho detto che mi sono innamorata di te. Innamorarsi è un processo che avviene per gradi. Mi sono innamorata di Matt, penso una volta in vita mia e basta, o forse cento, ogni volta che ha suonato la sua Manson nera, ma non ha importanza. Io ti ho sempre amato. Da quando sono stata in grado di amare qualcuno, la verità è che ho amato te. E questo è un fatto. Ho scelto di amarti, con quella coscienza che hai solo quando sei ignorante come una vongola neonata.”
Appoggiò una mano alla finestra.

“Ex cugina, io ti ho vista crescere. Nel vero senso del termine. Hai idea di quanto sia difficile tutto questo per me? Ammetterlo, insomma, comprenderlo, non sentirmi un pazzo pedofilo? E non sono esattamente una persona normale. Figurati un po'.”
“Si ama una volta sola, mi pare di aver capito. Certo, ho dovuto capirlo un po' troppo in fretta. Però l'ho capito.”
“Detesto che tu pensi che io voglia fare il protagonista sempre e comunque, ma questa cosa per me è un tantino più complicata.”
Lo guardai, e tacqui.
“Sai quante volte mi sono sentito un uomo orribile per quello che pensavo di te, sai quante bottiglie di vodka mi sono scolato sopra le nostre foto, per dire che ti amavo, certo, ti amavo come si ama qualcosa di legato a te dal vincolo più forte che esiste, e sapevo che non era vero?”
Mi stesi sul letto, espirando.
“A proposito di vodka, apri il minibar.”
“Non ho voglia di bere, tesoro.”
Sgranai gli occhi, cazzo, era grave.
“Beh, io sì. Sono tre giorni che mi alcolizzo a tua insaputa.”
“Io sono trent'anni che mi alcolizzo e lo sanno tutti. Quindi oggi trasgredisco alla regola. Olè.”
Sorrisi, alzandomi.
“Sei sottosopra, eh, reverendo.”
“Qualcosa in più che sottosopra. Non credo di riuscire a reggerla, questa cosa.”
Gettai uno sguardo al soffitto e mi avviai al minibar.
“La smetti?”
“Di fare cosa?”
“Di cercare di lasciarmi.”
“Come?”
“E' mezz'ora che cerchi di lasciarmi, e non stiamo neanche insieme.”
Si voltò a guardarmi sconvolto e divertito.
“E tu smettila di fare i tuoi giochetti parapsicologici con me. Lo sai che non abbocco.”
Scoppiai a ridere, sputacchiando vodka.
“Ah sì? Non sembrava.”


I'm feeling nervous trying to be so perfect,
cause I know you're worth it.
If I could say what I wanna say,
I'd say I wanna blow you away,
be with you every night,
am I squeezing you too tight?
If I could see what I wanna see,
I wanna see you go down on me,
marry me today.
What's wrong with my tongue,
cause words are slipping away
.

 

Giocherellavo coi suoi capelli, alle sue spalle.
Sembrava coeso con la finestra, in un'unione sacra e indissolubile. Che diamine stesse guardando non lo sapremo mai.
“Andiamo, quadra tutto. Non mi è mai funzionata una storia, e neanche a te. Continuavano ad essere tutti, imprescindibilmente, la persona sbagliata. Ma di cosa sto cercando di convincerti? Da qualche parte, non so dove, devi arrivarci tu da solo, James. Ora andiamo, non si può fare una festa di laurea senza la laureata.”
Rise piano, si voltò, mi afferrò per la vita e mi stampò un bacio sulle labbra.
“Hai ragione, andiamo.”
Poi rettificò.
“Hai ragione sulla festa di laurea. Sul dover arrivare a qualcosa, non lo so. Sono solo sconvolto, ecco tutto.”
“Allora sono io quella fuori di testa. A me una cosa del genere sembra non dico normale, ma prevedibile, ecco.”
“Prevedibile? Mia zia adottata, nessun vincolo di sangue tra noi, un inatteso via libera dopo aver passato anni a fare training autogeno e aver trovato finalmente la pace, adesso di nuovo tutto a soqquadro?”
“Soqquadro? Addirittura?”
Soffiò via il fumo.
“Non è questo il punto.”
“Sul serio hai detto soqquadro?”

 

I found a way to let you in,
but I never really had a doubt.

 

“Avete fatto sesso?”
“No, Bliss.”
La mia migliore amica si confondeva con i fiori azzurri nelle piante, fumando una Marlboro rossa.
Ognuno ha il diritto di dire, ognuno quello di non ascoltare.
“Avete fatto ordine?”
“No, Bliss.”
“E che avete fatto?”
“Abbiamo parlato.”
“E che vi siete detti?”
Mi strinsi nelle spalle. “Che ci amiamo da sempre.”
Ognuno prende la strada che può.
Una sagoma a noi ben nota si stagliò contro la portafinestra della terrazza.
“Ciao, bambina.”
“Ciao, Matt.”
“Ciao a tutti.”, disse Bliss. E se ne andò.
Guardai Matt. Non eravamo riusciti a dare forma a un destino che si avvicinasse a noi.
“Mi manchi, a volte.”
“A me manca il coraggio di sentire la tua mancanza, Matthew.”
Scoppiò a ridere.
“Come te la passi?”
“Così. I colpi di scena non mancano.”
“No, infatti. Volevo presentarti mia moglie, ma non so che fine abbia fatto.”
Sorrisi. “La conosco già. Cioè, la conoscevo. Non come tua moglie, ovviamente.”
“Non avevo dubbi, tu conosci tutti.”
“Già. E' una maledizione.”
Tacemmo per un po'. Non hanno mai niente da dirsi, le persone che si sono amate, quando si incontrano nel futuro in cui non esistono più insieme.
“E tu? Stai con qualcuno?”
Sorrisi di nuovo. “E' una lunga storia.”
“Come sempre.”
“Beh, grazie per l'invito.”
“Ti voglio bene, Matt.”
Mi abbracciò stretta, e io ripiombai in quell'abbraccio come tempo prima.
“Ti voglio bene anche io, Ria. Anche se non hai sposato me.”
Risi. “Lo sai che non sposerò mai nessuno, non prenderla sul personale.”
Fece una smorfia. “Se permetti, ho i miei dubbi.”
Alzai le mani. “Perfettamente legittimo. Tanto sono gratis.”
“Posso chiamarti qualche volta? Vederti? Se lui non si arrabbia.”
Lo guardai.
“Non che tu abbia bisogno del suo permesso, è chiaro.”
Volsi uno sguardo alla mia sinistra. Jimmy parlava con Shadows, che lo fissava al di là degli onnipresenti occhiali a specchio. Un uomo che viveva nei Rayban specchiati. Avrei dovuto intitolarci un romanzo.
“Tua moglie non si arrabbia?”
“No, non credo. Le ho parlato molto di te.”
“Allora avrà capito che non torno mai indietro.”
“Sì, lo ha capito. Lo sa anche lei che le meduse vanno solo avanti.”
Annuii. “Per quello si spiaggiano.”
Scoppiammo a ridere.
L'uomo con gli occhiali a specchio mi mise un braccio intorno alle spalle.
“Mi dispiace, ma devo rubartela.”
“Me l'hanno già rubata, mi pare.”
Shadows sorrise, scoprendo quarantamila denti bianco cocaina.
“Non prendertela a male, amico. Doveva andare così.”
Mi voltai verso Shads. “Arrivo tra un attimo, caro.”
“D'accordo, gioia.”
Afferrai le mani di Matt Bellamy con le mie.
“Grazie di tutto, Matt.”
“Grazie a te, Ria.”
Un ultimo, soffice, sottilissimo bacio a fior di labbra.
Giusto per ricordarsi che non era un addio.

 

Da qui cominciano i ricordi.

 

“Mi volevate?”
“Ti voleva tuo cugino, veramente.”, disse Zacky. Poi disse cazzo. Poi disse scusate. E io gli dissi di darsi una calmata, che avevamo tutti bisogno di tempo.
Alzai gli occhi verso The Rev.
“Sì?”
“Mi chiedevo se ti andava di ballare.”, disse, porgendomi la mano.
I nostri occhi che diventano mani.
Le casse risuonavano di Billy Joel.
“She's always a woman to me?”, chiesi.
“E' una canzone che mi ha sempre fatto pensare a te.”
La canzone dopo era She's so high.
“Però.”, dissi, mentre ballavamo piano, occhi negli occhi. “Sei romantico. Chi l'avrebbe mai detto.”
Mi guardò divertito. “Davvero? Non ti ricordi neanche una volta in cui sono stato davvero romantico? In cui ti abbia detto qualcosa di dolce e sensibile?”
“La cosa più romantica che tu abbia mai detto è stata soqquadro, ed è successo appena poche ore fa.”
Calava la sera.
“Ci pensi?”
“A cosa?”
“A stanotte?”
Scoppiai a ridere.
“Perchè, ci è arrivato un ordine di esecuzione obbligatoria?”
“No. Non è obbligatorio, ma è fortemente consigliato.”
Risi di nuovo. Che guaio, quando gli uomini ti fanno ridere.
“Allora credo che dovremo ubriacarci seriamente.”, dissi, prendendo due bicchieri di champagne dal vassoio di un cameriere.
“Ci conosciamo così dannatamente bene che dire aspettiamo di conoscerci meglio suonerebbe tipo una barzelletta.”, disse Jimmy, e aveva ragione.
“Quanto mi piaci.”, gli dissi, così, semplicemente.
“Come, scusa?”
“Mi piaci da morire. Specie con gli occhiali. Perchè non li metti? Non mi vedi neanche, senza.”
Sorrise.
“Preferisco immaginarti, grazie.”
“Non c'è cosa più divina!!”
“Synyster, ti arriva uno schiaffo. Io ti ho avvertito.”, gli dissi.
“Veramente, era diretta al mio migliore amico.”
“Sì, ma ti conviene che te lo dia io, lo schiaffo.”
“Non lo so, eh!”, disse Jimmy.
“Jimmy!”
“Non ascoltarla, Brian, è una persona violenta.”
“Che deficienti...”
Sorridevo.

 

Avrò più senso insieme a te.
 

Erano le ventitrè e quarantanove. Lo so e me lo ricordo bene, perchè stavo per dire che si era fatta una certa, e forse era meglio andare tutti a casa.
Ero con Jimmy sulla ringhiera della terrazza, e le luci della città erano stelle cadute, desideri già espressi e, in qualche caso, realizzati.
“Ria, ti ricordi quando litigasti con zio John e dicesti che avresti voluto prendere il mio cognome e trasferirti da noi ad Hungtinton Beach?”
Aggrottai le sopracciglia: “Sì, me lo ricordo, certo.”
Guardò verso la luna, e disse: “Beh, ti andrebbe ancora?”
“Cosa? Di litigare con papà e telefonarti e trasferirmi ad Hungtinton Beach?”
Tacque un po'.
“Non è necessario che litighi con tuo padre.”
Silenzio.
“Non è necessario neanche che ti trasferisci ad Hungtinton Beach, o almeno, non subito.”
Silenzio.
“In realtà mi riferivo al cognome.”
Le parole gli uscirono come un singhiozzo, e io arrossii, e sorrisi.
“Mi stai chiedendo quello che mi stai chiedendo?”
“Ti sto chiedendo la cosa più logica e naturale.”
“Me lo stai chiedendo come se ti avessi ucciso la mamma.”
“Hai ragione.”
Silenzio.
“Non avrei mai pensato di fare una domanda del genere a chicchessia in vita mia, quindi perdona la forma un po' azzardata.”
Sorrisi, accarezzandogli una guancia.
“Allora quando ti sentirai abbastanza pronto a chiedermelo, me lo chiederai.”
Mi guardò.
“E io ti risponderò di sì, ovviamente.”
Sorrise anche lui, e disse: “Ok.”
“Ok.”
“Sai, non avrei mai pensato di poter essere abbastanza felice da fare una cosa del genere.”
“Fare cosa?”
Mi sollevò da terra e mi portò in braccio fino al centro della sala.
“Io amo questa donna. La amo in tutti i modi che conosco, e in tutti i modi in cui l'ho amata, da quando è nata.”
La gente applaudì.
Io pensai che Vecchioni cantava 'non eri ancora nata, e già ti avevo dentro', e lo cantava per me.
Per quel momento infinito.
Per quella vita incredibile.
Per ogni cosa che era già stata, e per tutto quello che ancora sarebbe dovuto essere.
Per mio padre che ballava ancora con mia sorella come quando era piccola.
Per Bliss che sorridendo beveva e fumava, sussurrando a Synyster.
Per Matt e la sua bella moglie, con la sua bella pancia e il suo bel sorriso.
Per la mia pelle bruna e i miei occhi gialli, che non somigliavano a niente.
Per quel tizio che una volta mi disse di ascoltare Have You Ever Seen the Rain di Rod Stewart, ascoltarla bene.
E per quella volta che provai a pensare alla felicità, e il viso che mi venne in mente fu quello di tale Sullivan, James Owen.

 

La veste dei fantasmi del passato
cadendo lascia il quadro immacolato.
(E l'immensità si apre intorno a noi.)

 

La fine non è mai vicina quanto si crede.
Q.
(Per la mia AnnaMaraiah, per la dottoressa Mitchell, per Bells, Evey, Heinekrapfen, E per te, sì, proprio te.)
Giuro che risponderò alle recensioni.
("Come hai detto? Giuro solennemente di non avere buone intenzioni?")


 

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