Edge Of Madness

di Vikk711
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro: Risveglio ***
Capitolo 2: *** La maschera della follia. ***
Capitolo 3: *** Friends. ***
Capitolo 4: *** Blood & Bullets ***
Capitolo 5: *** Singing In The Rain. ***



Capitolo 1
*** Intro: Risveglio ***


Aprii gli occhi.
Come ogni mattina la voglia di alzarmi era pari a zero, la consapevolezza di vivere in un mondo di merda era onnipresente, la certezza di una giornata fatta dalla solita assurda e malata routine era assoluta.
Quella mattina in particolare, sapevo che sarebbe stata una giornata di merda. L’avevo inteso quando, alzandomi, vidi il macello assoluto nella mia stanza. Masse di vestiti sporchi, alcune delle quali sembravano avere preso vita propria ed essere diventate esseri senzienti, occupavano gran parte del pavimento. Sulla scrivania i fogli sparsi dell’ennesimo “romanzo” che  provavo a scrivere  (in quel periodo doveva essere circa il ventesimo di troppi iniziati e mai finiti) e svariati fumetti sparsi.
-Gesù, sono un disgraziato.-
Da anni mi ripetevo di fare ordine nel mio stile di vita, di riorganizzarmi dentro e fuori, da anni, ogni mattina, mi rendevo conto di essere uno sfaticato del cazzo.
Di buon cuore però.
In bagno, lo specchio rifletteva impietosamente la mia figura trasandata, con quei capelli dissennati e le occhiaie vistosissime. Se non altro mi ricordava che avevo avuto la costanza nella vita di allenare il mio fisico,almeno quello.
Ma più per non finire sotto metri e metri di terra, che per amor proprio.
Dopo la doccia, uscii dal bagno già completamente vestito, con un bel paio di jeans e quella camicia nera che mi ero comprato un paio di giorni fa, assolutamente impeccabili. Il contrasto tra il mio gusto per il vestire e l’impossibilità di domare i miei capelli sono sempre stati dei chiari segni che la mia vita è un eterno contrasto, esattamente come il mio appartamento. Appena entrati, c’è la spaziosa zona che per comodità chiamo soggiornucina(Amo inventarmi parole),con ,sulla destra, la zona cucina e un tavolo dove stanno comodamente 4 persone. Sulla sinistra, di fianco all’entrata, c’è la mia postazione dei sogni, con tutte le mie consolle per videogiochi, un televisore enorme dotato di un impianto audio di ultima generazione,con accanto un enorme libreria a 4 piani, dove in ognuno di essi trova spazio una delle mie passioni.
Al primo piano abbiamo lo spazio film-serie tv.
Al secondo, la mia sterminata collezione di videogiochi.
Il terzo è ricolmo di romanzi, manuali e riviste varie.
Il quarto è interamente dedicato ai fumetti.
Si, sono uno strafottutissimo nerd.
Sulla parete opposta c’è il mio adorato divano, con il mio portatile appoggiato sopra.
Il tutto è inondato dalla luce che entra dirompente dalla porta finestra che da sul balcone, accanto alla cucina sulla parete sinistra.
Tutto rigorosamente in ordine…
La mia tana, la parte di me che amo esporre al pubblico, poiché da di me l’impressione di un tipo affidabile e corretto.
Il bagno va da se che ho la decenza di tenerlo sempre pulito.
Non ho idea di cosa penserebbe la gente se la prima cosa che mostrassi della mia casa fosse il delirio post-atomico della mia camera da letto, che considero un luogo puramente accessorio.
A distrarmi dai miei pensieri nevrotici ci pensò lo scatto della serratura della porta di casa, dalla quale entrò come un profumo portato dal vento l’unica persona che mi fa sentire apprezzato in questo mondo, mia sorella Serena.
-Hey bestiaccia, sono venuta a fare servizio lavanderia.-
La amo, ha sempre fatto queste cose per me, semplicemente per partito preso, mi ha accettato per il pigro disgraziato che sono, e mi aiuta in quelle faccende domestiche per cui un uomo già è negato geneticamente, figuratevi un uomo che non ha neanche voglia di farsi il caffè appena alzato.
-Purrr (una delle mie assurde abitudini, fare le fusa come un gatto), grazie sorella. Stasera prima di andare via dal ristorante ci prendiamo due pizze, e le mangiamo qui?-
-Ma insomma!- sbuffò lei - Non mi porti mai in un posto carino!-
Scoppiai a ridere -Suvvia, non sei mica la mia donna, non dobbiamo fare la coppietta!-
Aprendo la porta della mia stanza, un espressione afflitta si dipinse sul suo volto -Vai a lavorare che è meglio. E fai buoni affari così il ristorante avrà sempre clienti, ed entrambi avremo un posto di lavoro…-
-Certo, certo…ma tanto lo sai che il vecchio ci considera insostituibili!-
Uscii di casa, scesi le rampe di scale, aprii il portone e mi ritrovai fuori. Inspirai profondamente la fresca brezza proveniente dal mare poco distante. Mi avviai verso la mia macchina, parcheggiata nel vicolo a destra del palazzo. Un piccolo spazio dove trovava riposo la mia bambina, una Chevrolet Impala del ’67 costatami un occhio della testa, delimitato dalle mura del palazzo e un piccolo muro di cinta che chiudeva la via dove io e mia sorella abitavamo. Era un luogo ideale per la macchina, nascosto dalle finestre dei palazzi della zona, e dai relativi occhi indiscreti. A quanto pare quella notte vi aveva trovato rifugio anche un senzatetto, rannicchiato in un angolo in fondo al vicolo. Giusto per sincerarmi che non fosse morto, gli diedi una scrollata.
-Sveglia amico, è mattino e il sole splende alto!-
Lui sussultò ed emise un paio di gemiti confusi. Contento di non aver trovato un cadavere sotto casa, gli augurai una buona giornata e mi accinsi a salire in macchina. Salvo che la gente a volte è proprio stronza, perché lo sentii grugnire le seguenti parole.
-Hey fighetto…dammi…dammi qualche spicciolo-
Già non amo che la gente si rivolga a me dandomi del fighetto, ma il fatto che girandomi lo vidi alzarsi a fatica con un coltello in mano mi fece un tantinello incazzare.
-Oh coraggio, non vorrai mica farmi cominciare male la giornata vero?- gli dissi con malcelato nervosismo.
E si avvicinava, lentamente, con la verve di uno zombi. E io capisco che normalmente questo basti per spaventare qualcuno, non è bello vedere uno spostato che ti minaccia con un coltello, ok, ha i riflessi di un ornitorinco, ma è pur sempre uno spostato che ti minaccia con un coltello.
Purtroppo per lui, avere a che fare con queste cose di primo mattino mi fece incazzare. E con assoluta nonchalance, estrassi un piccolo coltello da lancio che tenevo nella fibbia della cintura. Il mio gesto fu rapido e preciso, un ottimo gioco di polso e gomito, il coltello gli si piantò esattamente tra le sopracciglia. E lui morì così. COME UNA MERDA.
Sinceramente ho sempre odiato le operazioni di pulizia. E così, imprecando, aprii il bagagliaio della macchina, e sepolti sotto un paio di fucili trovai due di rotoli di sacchi di plastica neri.
Ne presi uno, lo srotolai, staccai un sacco,e lo stesi di fianco al cadavere. Tolsi il coltello dalla testa dello stronzo, gli distesi le braccia lungo i fianchi, aggiustai la posizione delle gambe, ripresi il sacco, e lo infilai dentro come si fa con un cuscino. Molto easy e pulito. Ma neanche tanto, visto che erano rimaste alcune macchie di sangue sull’asfalto.
"Beh, io non ho voglia di pulire, non se ne accorgerà nessuno, credo. Spero."
E con quella speranza caricai la sacca sui sedili posteriori.
Salito in macchina mi si parò davanti una scelta complicata.
Quale Cd avrei messo quella mattina?
Scorsi i titoli: Tribe of force, S&M, L’armata del metallo, Justice for all, waking the fallen, hypnotize…
Quella mattina decisi che il modo migliore di scaricare i nervi dopo l’aggressione fosse perdermi nelle note dell’orchestra sinfonica di San Francisco e dei Metallica, pura poesia.
Fu così che tra le note di The ecstacy of gold e Master of puppets arrivai al porto. Sul molo  14 tra i versi dei gabbiani e l’infrangersi delle onde sulla banchina, Nico, un signore sulla quarantina, pescava con una calma zen.
Scesi dalla macchina, e infilai gli occhiali da sole. Mi fermai a guardare il mare leggermente increspato.
-Allora bestia, cosa hai combinato stamattina?-
Parlava come un padre che chiede al figlio come sia andata a scuola.
-Mi dispiace disturbarla così presto, ma questo tizio mi ha aggredito e ho avuto la mano…un po’ pesante.-
Sorrise.
-Beh lasciami qui il carico e ci penso io a smaltirlo.-
-La ringrazio.-
Dopo avergli consegnato il sacco,risalii in macchina, feci inversione, e guardai nello specchietto retrovisore il signor Nico che caricava il corpo in spalla, per poi lasciarlo sulla sua barca. Di lì a poco, sarebbe sparita ogni traccia del tizio che avevo ucciso quella mattina.
Fischiettando, mi diressi al lavoro.

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Capitolo 2
*** La maschera della follia. ***


Dopo circa mezz'oretta di viaggio arrivai al ristorante.


Era situato proprio in cima alla zona collinare della città, un bellissimo edificio moderno strutturato su due piani, personalmente adoravo il design di quel posto.

Parcheggiai la macchina sul retro, per poi tornare all'entrata principale, e mi persi un attimo ad osservare la mia bella città, visibile in tutta la sua estensione grazie alla posizione sopraelevata, quel piccolo angolo di mondo che mi impegnavo a tenere pulito.


Entrato nel ristorante apprezzai il profumo dei pavimenti della sala appena lavati, mi spostai poi verso la cucina, salutando lo Chef Marco (Oltre ad essere un ottimo cuoco è un artista nell'arte del tagliare gole) , impegnato a controllare la fornitura di ingredienti appena arrivata, la caposala Maria Yang, preziosissima vedova nera, per poi dirigermi nel mio ufficio sul retro del locale, che avrei anche potuto raggiungere da dove avevo lasciato la macchina, ma perchè perdere il piacere di salutare i miei amici e colleghi?


L'ufficio è un'altra cosa che considero puramente accessoria, ha giusto la sua bella finestra che riempie la stanza di sole, come piace a me, e poi due scrivanie, una dove controllo i documenti e un altra dove li accatasto senza alcuna logica dopo averli letti.

Cominciai con le mansioni all'ordine del giorno:

Alcuni contratti per pubblicità, organizzazione di eventi e serate a tema.....

Valutai gli artisti che si erano proposti per suonare, i comici per le serate di cabaret, telefonai ad un paio di agenzie pubblicitarie per la pubblicazione del calendario degli eventi su alcuni manifesti...

Mi relazionavo, insomma.

E per quanto mi piacesse avere a che fare con artisti e gente piena di fantasia, ormai la mia mente odiava quella noiosa normalità. Da quattro anni, del resto, la nornalità non era di casa al ristorante Buonviaggio.

Nel primo pomeriggio arrivò nientepopòdimeno che Dog, una delle guardie personali del capo.


Una persona normale si spaventerebbe a vederselo piombare nell'ufficio, questo gigante di quasi due metri muscolosissimo, dalla carnagione scura, taglio militare, vestito di tutto punto in giacca nera e cravatta.


-Abbiamo un lavoretto extra oggi, il capo ti vuole vedere nel suo ufficio all'istante, Rob-

Mi si illuminarono gli occhi.


-ODDIO SI'!-


Mi precipitai nell'ufficio infondo al corridoio, dove il capo, Don Vito Caneri, mi aspettava sorridendo.

Entrando vidi che ad attendermi c'era anche Alex, il mio migliore amico da una vita, nonchè il miglior parter che si possa avere nel nostro lavoro.


-Buongiorno capo, ciao rottoinculo!-


Lo fissai sorridendo, in attesa dell'insulto di risposta, ma lui semplicemente mi mostrò il dito medio, rovinandomi il divertimento.


-Se hai finito con le stronzate, abbiamo un lavoro da fare.- Mi disse, freddo come il ghiaccio, anche se sapevo che appena usciti dal ristorante ci saremmo pestati come Brad Pitt ed Edward Norton in Fight Club.


Don Vito attaccò a parlare, come si parla dell'ultimo film che si ha visto.


-Ragazzi miei, abbiamo già parlato di quei minchioni arrivati da poco, che hanno mandato la loro gentaccia in giro a chiedere offerte per la protezione ai negozianti, e a quelli abbiamo già rotto il culo.-


Alex sorrise, quello fu davvero un pomeriggio divertente.


-Ma- continuò il Don -Quegli stronzi a quanto pare non capiscono il messaggio nemmeno quando gli lasci i loro uomini a pezzi sotto casa, e adesso si vogliono allargare.-


-Ooooh, ma che sorpresa.- dissi, con un espressione da oscar.


-Tua sorella, Rob, ha saputo dai nostri informatori che quelli aspettano una grossa partita di cocaina al porto, stanotte verso l'una. Noi nella nostra bella città non vogliamo quelle schifezze. Sapeta già cosa fare no?-


Io e Alex ci guardammo.

-RICERCA, PULIZIA E KA-BOOM.-


-Questi sono i miei ragazzi. Andate e divertitevi.-


Nel magazzino delle armi,uno dei posti che amo di più al mondo, io e Alex sostenemmo una conversazione che trascendeva il tempo e lo spazio.


-Ale.-

-Eh.-

-Chupa. Ma se una marmotta facesse legna, quanta legna farebbe in un giorno una marmotta?-

-Come mai questo improvviso non-sense?-

-Così, a random, non sapevo che dire.-

-Ma sei proprio una merda!-

-E tu una merda che caga merda, ecco.-


E così, riempiendoci di insulti e dando aria alla bocca, preparavamo tutto l'occorrente per la missione di quella sera. Io ovviamente non rinunciavo mai alla mia coppia di 9mm semiautomatiche, il giubotto antiproiettile che mi dava sicurezza, e un paio di granate da sganciare nelle situazioni troppo affollate.

Alex, dal canto suo, si affidava ai suoi tamarrissimi UZI, e proprio perchè amava farsi del male, come fuoco secondario teneva un fucile a pompa.

Del resto, eravamo un chirurgo e una bestia.


Indossati i nostri cosìddetti "Cappottoni Stile Matrix Fighi in Modo Assurdo" che non avevano nessuna utilità se non svolazzare in modo coreografico durante le sparatorie e coprire le fondine con le armi, ci dirigemmo verso la macchina.


-Guido io?- Alex mi guardava sapendo di aver detto una bestemmia.

-Guarda che ho ucciso per molto meno.-

-Lo so. Certo che sei stronzo ad ammazzare i barboni a random. Poi vai all'inferno.-

-Ma basta cazzate. A parte che mi ha minacciato con un coltello- Dissi in tono drammatico- E poi quando tiriamo le cuoia non diventiamo altro che concime per fiori.-

-Lo sai che se uno ti minaccia basta che gli tiri due mazzate e lo lasci nel primo cassonetto che trovi. E sento odore di cazzata con questa storia del concime.- Ossì, lo sapeva benissimo.

-Si, ma mi fa salire la scimmia essere minacciato di prima mattina. E comunque, se sei stato una brava persona, diventi una rosa, perchè se son rose roseranno, altrimenti di venti un caco e...-

-ZITTO. Non te la lascio neanche finire questa battuta di merda.-


Appoggiò l'attrezzatura sul sedile posteriore, e si sedette al posto del passeggero.

Affranto, telefonai all'unica persona che apprezzava le mie battute di merda, come le definiva Alex.

Il telefono squillò un paio di volte e mia sorelle mi rispose con la voce di chi aveva appena sostenuto una guerra batteriologica.


-Tu non puoi essere così carino fuori e lurido e lercio nel privato. Sei come un cioccolatino alla merda.-

-Così mi ferisci sorellina. Senti, volevo solo dirti che io e Alex siamo in missione, quindi non so per che ora mi sbrigherò stanotte.-

La sua voce si fece più dolce.

-Mi dispiace di non essere riuscita a trovare l'orario dello scambio.-

-Tranquilla, stiamo in appostamento fino a quando non siamo sicuri che siano arrivati, facciamo saltare qualche testa, e torniamo a casa.-

-Cerca di non farti male, sciocco. Ti voglio bene. E comunque ti aspetto.-

-Non ti preoccupare, so fare il mio lavoro. Ti voglio bene anch'io.-


Salii in macchina sospirando, determinato a non morire proprio quel giorno.

-Hai telefonato alla sorellina? Le hai detto che le vuoi tanto tanto bene?- Mi sfotteva Alex.

-Almeno io ho qualcuno.-

Smise di fare il simpatico e cambiò discorso.

-Allora, cosa ascoltiamo oggi?-

-Direi di andare di System of a Down. Toxicity per la precisione.-

-Oh, yes. Stanotte ci divertiamo.-


Così, con la musica a palla, e tentando di imitare malamente Serj Tankian io, e una chitarra elettrica lui, ci dirigemmo verso il porto, con addosso quel disgustoso ma eccitante dubbio di non sapere se saremmo tornati a casa.Ormai era il nostro terzo compagno.

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Capitolo 3
*** Friends. ***


La zona del vecchio porto era situata nella periferia est della città. Gli edifici di stoccaggio delle merci scaricate dalle navi erano ormai abbandonati da una ventina d'anni, anche il capo, nei suoi anni ruggenti da criminale incallito, quando la famiglia Caneri era potente e temuta, li aveva utiliazzati per i suoi traffici.

Da quando era iniziata la nostra opera di pulizia, eravamo capitati in quella zona diverse volte, in quanto evidentemente, faceva un sacco figo nella malavita fare scambi illeciti in grossi edifici abbandonati.


Il problema è che la zona è fottutamente grande.

Non l'avrei mai ammesso di fronte ad Alex, che stava lì come un pollo cercando di captare qualche dialogo tra mafiosi con il microfono direzionale, ma mi ero perso.

Ero afflitto e smaronato.

-Sono afflitto e smaronato.- Esordì lui.

-Ti stimo, stavo pensando la stessa cosa.-


Procedevo con l'auto a passo d'uomo, una sofferenza per il motore da urlo della mia piccina. Più che altro, ero preoccupato dal fatto che da quando l'avevo zittito Alex non aveva spiaccicato una parola se non per parlare della missione.


-Ale?

-Eh.

-Sei arrabbiato per come ti ho risposto prima?

-Fondamentalmente no. Anche perchè hai ragione, sono geloso del rapporto che hai con tua sorella.

-Non intendevo certo quello, ma abbiamo i nostri motivi per essere così uniti. E poi c'è la famiglia del Buonvì, no?

-Si, ho capito- nelle sue parole sentivo una forte sensazione di rimorso – ma solo voi due avete un legame così profondo. Insomma, siete fratello e sorella, vi comportate quasi come fidanzati, ci siete sempre l'uno per l'altra e sempre ci sarete.

Svoltai a destra, senza sapere dove diavolo stavo andando.

-Fidati, non vorresti passare quello che abbiamo passato noi. Tu hai ancora tante libertà, per esempio te la intendi parecchio con quella Francesca del bar no?

-Oh ecco! Sapessi quella che goduria quando me la sono trombata! Praticamente dopo che abbiamo cominciato le ho...

E poi ho anche il coraggio di chiedermi perchè non si è mai trovato una donna seria. Sempre con il chiodo fisso del sesso.

-Tu Rob, piuttosto- Mi fissava- Hai avuto delle donne no?

Stavolta toccava a me diventare evasivo.

-Si Ale, sticazzi, una emo, una zoccola che è finita a vendere il culo per andare in discoteca e una depressa cronica.

-Eddai, quelle sono storia vecchia! Mi vuoi far credere che da quando sono morti i vostri genitori nè tu nè serena vi siete visti con qualcuno?

-Ci hai preso in pieno.- Quel discorso mi dava il nervoso, cominciai a picchiettare le dita sul volante - Non sono mai riuscito a trovare una persona che fosse sulla mia stessa lunghezza d'onda. Beh, devo ammettere che trovare una ragazza con le nostre passioni da nerd, che conosca a memoria tutte le puntate di Supernatural e che sia disposta a guardarsi tutto Lost con me, sorvolando nel frattempo il fatto che mi guadagno da vivere ammazzando la gente, non sia una cosa semplice.

Alex rise.

-Vedi, te lo dico sempre, devi accontentarti di una scopata ogni tanto.

-Mi fa schifo solo l'idea, e poi comunque con chi starebbe mia sorella?

-Hey a che servono gli amici?

Staccai la mano dal cambio e gli sferrai un cazzotto sul petto, da fargli mancare il fiato.

-Hak....ma sei stronzo forte allora!

-Certo, mi vuoi bene per questo!


Dopo ancora un paio d'ore, in cui solo Dio sa quanta cazzo di benzina ho consumato, avevamo rilevato una fonte sonora proveniente dal fabbricato di fronte al vecchio molo 1, nella zona nord-ovest.

-Ma che, ne ammazzano un altro?

Alex era sconcertato, avevamo contato 15 voci diverse e tre spari. A quanto pare quella gente non aveva deciso come spartirsi i guadagni dalla vendita di droga, quindi tra un insulto e l'altro si sparavano addosso tra di loro.

-Questo non va bene- mi lamentai – Se quegli stronzi si ammazzano l'un l'altro noi come ci divertiamo?

-Sono proprio delle fighette...non hanno un quarto dell'onore che avevano il Don, Vincent, Tano e Dog ai loro tempi....

-Quella si che era gente che ti faceva offerte che non potevi rifiutare, altrimenti ti facevano certe scarpe di cemento.... Miiiiinghia.


Scoppiammo a ridere.

Poi finalmente, il momento tanto atteso.

-Macchina a ore 9.

L'ospite della serata era arrivato. Iniziava la festa.

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Capitolo 4
*** Blood & Bullets ***


Il furgone di un corriere espresso,probabilmente usato per non destare sospetti, spuntò dalla strada che passava tra i magazzini 14 e 15, per poi proseguire ancora dritto per quella che costeggiava il 2 e l'1, dove si trovavano i nostri obbiettivi.
Mettemmo via il microfono direzionale, Alex recuperò il C4 dal cruscotto della macchina e la borsa con gli strumenti da interrogatorio dal sedile posteriore.
Uscimmo e ci dirigemmo velocemente all'incrocio tra i 4 capannoni, lui seguì il percorso del furgone appena passato, io prseguii tra il capannone 1 e 14, dirigendomi verso la parete esterna del primo.
Alla mia sinistra, si stagliava la costa. La fredda brezza notturna non calmava l'adrenalina che aveva cominciato a scorrermi nelle vene.
Estrassi la pistola dalla fondina sinistra, La impugnai saldamente con due mani, e percorsi velocemente la parete ovest dell'edificio.

Arrivato all'angolo mi inginocchiai, schiena al muro.
Inspirai profondamente l'aria di mare. Le mie mani smisero di tremare... Feci scivolare lentamente l'indice della mano destra sul grilletto, la mia impugnatura si fece più salda, sentii chiaramente il freddo del metallo che stringevo.
Quella notte avrei mandato un po' di gente cattiva all'inferno.

Diedi un occhiata oltre mia copertura.
Il furgone nero era Fermo davanti alla serracinesca del fabbricato, alzata abbastanza da far passare delle persone di statura media. A piantonare l'entrata, due tizi armati di carabina che, da bravi coglioni, stavano a guardare la trattativa all'interno

Mi lanciai verso l'entrata.
La mia corsa destò subito l'attenzione dei due tizi, Ma ancora prima che potessero tendere le armi verso di me, risuonarono le deflagrazioni dei proiettili.
Il primo lo colpii al cuore, il secondo, avendo tempo di aggiustare la mira tra uno sparo e l'altro, lo presi dritto in mezzo agli occhi.
Mentre la strada dietro di lui si chiazzava della sua materia celebrale, la sua caduta mi rivelava la figura di Alex, che si dirigeva come me verso l'entrata.


Ovviamente il rumore degli spari aveva attirato un altro uomo fuori dall'edificio che, sfortunatamente per lui, si voltò verso il mio compagno.
Mi dispiace che non abbia fatto in tempo a salutare il suo tratto intestinale.
Nel giro di un secondo venne proiettato verso di me dalla forza del colpo del fucile di Alex, scavato come una zucca ad Halloween.
«Buonasera!» Lo salutai cordialmente, mentre scavalcavo il suo corpo martoriato.

Lasciai la pistola con la mano sinitra e estrassi la seconda dalla fondina destra, quindi entrai nell'edificio a seguito del mio partner.
Il nostro era un metodo rozzo ma efficace.
Alex procedeva con una raffica a ventaglio con i suoi mitragliatori, in modo da uccidere, o quanto meno ferire chi non era abbastanza rapido da trovare una copertura. Piccoli spruzzi di sangue uscivano dai corpi di chi stava concludendo la trattativa al centro del locale. Era uno spazio
rettangolare, sovrastato circondato da una passerella sopraelevata sorretta da spesse colonne di metallo. accessibile dalla rampa di scale alla mia sinista, appena di fianco all'entrata. Dopo aver sistemato due tizi in fondo alla stanza con un paio di colpi ben assestati, urlai
«Io salgo, tu tieni quelli a sinistra, io ti copro le spalle da sopra!»
«Ricevuto, io ricarico.» Mi rispose, facendo scattare le sicure dei caricatori degli Uzi, per poi ripararsi dietro una colonna alla sua destra.

Mi lanciai sulla rampa, composta da ampi gradini di ferro.
Un gradino, tre, cinque, poi mi si parò davanti un grosso tizio che imbracciava quello che sembrava un fottuto M16.
Nella mia mente si formò l'immagine di un oggetto falliforme di esclusivo appannaggio maschile, che espressi ad alta voce nella sua forma volgare.
«CAZZO!»
Schivai per un pelo la raffica, che fece tintinnare i gradini, buttandomi verso il corrimano. Lanciai verticalmente la pistola che tenevo nella mano sinistra e mi appesi con tute le mie forze alla sbarra per non ribaltarmi oltre.

Fui un lampo. Drogato dall'adrenalina, chiusi un occhio e presi la mira con la pistola nella mano destra. Il proiettile seguì una traiettoria lineare dalla canna della pistola ai testicoli del bastardo che aveva tentato di ridurmi ad un colabrodo. Essi decorarono con una macchia degna del test di Roscharch l'angolo di parete su cui dava l'uscita della scala. Ripreso l'equilibrio, riafferrai al volo la pistola da cui mi ero separato,e corsi su per le scale, scaricandogli i caricatori addosso, mentre quello cercava inutilmente con le mani i gioielli persi.
Non contento, un paio di gradini prima della fine della rampa mi diedi la spinta per saltare e assestargli una poderosa ginocchiata sotto il mento. Questo lo spinse violentemente contro il muro retrostante, andando a produrre un armonioso "CRACK" quando vi entrò in contatto con la testa. Il fucile del bestione andò a sbattere con il calcio sulla parete sinistra, innescando una scarica che colpì al torace un altro tizio che stava accorrendo per farmi la pelle.
Che culo, dovevo pure ricaricare.

Rischiare di morire mi rende nervoso, e rimasi un attimo imbambolato.
Ma le bestemmie in aramaico antico di Alex mi fecero rinsavire. In effetti l'avevo lasciato sotto in mezzo a due fuochi. Buttai un occhiata e lo vidi che sparava all'impazzata dove poteva, trattenendo tutta la sala sotto copertura, ma appena doveva ricaricare si trovava sotto una grandinata di piombo.
Riparandomi dietro i pannelli che impedivano di cadere dalla passerella, cambiai velocemente i caricatori delle pistole.
«Prendili, Ti copro!» Diedi il via libera al mio compagno
«Era ora cazzo!»
Mi sporsi e capii che quelli dietro di lui erano troppi per tenerli a bada tutti insieme. Sparai diversi colpi lungo tutta l'ala d'estra dell'edificio, e mentre i bastardi si riparavano innescai due granate che lanciai verso il centro, arrivando poi di rimbalzo all'obbiettivo.
Non fecero in tempo ad accorgersi degli odigni che le loro urla vennero coperte dalle esplosioni. Esse causarono un violento spostamento d'aria, e deformarono le colonne che reggevano la passerella dalla parte opposta della stanza. Ancora una volta dovetti reggermi per sostenere le vibrazioni e non cadere di sotto.


Dopodichè, il silenzio.Scesi.
«AAAAAALEEEE TUTTO BEEEEEENE?» Urlai poco convinto, mentre mi guardavo intorno.
Una voce soddisfatta mi rassicurò «Tutto bene, tutto bene.»
Aveva la faccia di una persona in pace col mondo, e procedeva verso di me a grandi passi.
Dietro di lui vedevo allargarsi una grossa pozza di sangue. I cadaveri erano nascosti da delle casse di legno che avevano offerto una blanda copertura alla sua furia. Sorrideva sornione, e sinceramente non avevo voglia di vedere come aveva ridotto quei corpi.
«Non ne è rimasto vivo neanche uno?» Chiesi ad Alex
«Neanche uno. Mi sono fatto prendere un po' la mano, mi dispiace.»
«Non è un problema.» Conclusi. Certo, ci sarebbe servito per ottenere qualche informazione su chi stava a capo della baracca, ma erano tutte informazioni che avremo potuto reperire facilmente più avanti.
«Direi di far saltare tutto e andarcene a casa, che ne dici?»
Alex annuì «Nulla in contrario, ma della roba che ne facciamo?»
Mi voltai.
Al centro della stanza, su un carrello per il trasporto dei pacchi, c'erano almeno venti chili di droga.
Ovviamente la regola era sempre la solita.
«Si brucia tutto, senza eccezioni. Lo sai come la pensa il capo.»
Neanche il tempo di finire la frase, che dal nulla partì uno sparo.


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Capitolo 5
*** Singing In The Rain. ***


Il proiettile si piantò nella parete opposta all'entrata dell'edificio.

«CHI CAZZO SIETE VOI?»

Ci voltammo verso l'entrata. Dal nulla era comparso un tizio sulla trentina, classico sgherro della mafia, vestito di tutto punto con i capelli tirati all'indietro.

Ci puntava malamente contro una pistola, tremando come una foglia, con l'espressione terrorizzata di chi ha appena visto il demonio.

Del resto oramai l'interno del magazzino non era un bello spettacolo, con quella composizione di cadaveri sparsi qua e là. Per non parlare poi delle Macchie di sangue decorative che campeggiavano sulle pareti, della passerella superiore cadente, delle colonne di ferro piegate.

Lo fissai, divertito, e gli chiesi con finto stupore

«Cioè, fammi capire, tu dove sei stato mentre ammazzavamo i tuoi compagni? Eri a pisciare?»

Quello, scortesemente, ci sparò di nuovo addosso, mancandoci tutte le volte.

«Qui sono io che faccio le domande,stronzi! Gettate le armi!» Non amo essere insultato senza motivo. Scambiai un gesto di intesa col mio collega, e lentamente infilai le mani nel cappotto per recuperare le pistole.

«Ok, man. Hai vito tu, sei tu il grande capo, adesso ti consegnamo le armi e facciamo finta che non sia successo nulla, va bene?» Dicevo, con tono rassicurante.

Mentre estraevo e poggiavo lentamente a terra le pistole, il mio buon compare Alex produsse uno degli starnuti più inopportuni della storia dell'umanità. Stordito dall'assurdità della situazione, ci misi un attimo a realizzare che il suo gesto aveva attirato l'attenzione del tizio-che-era-andato-a-pisciare, che ora puntava la pistola contro di lui. Al che semplicemente puntai l'arma, e premetti il grilletto un paio di volte. Vidi chiaramente le dita del nostro interlocutore saltare via, lo sentii urlare. Solo che non riuscivo veramente a farci caso, perchè davvero, era la situazione più cretina in cui mi fossi trovato nell'arco di una vita.

Intanto il mio compagno gli era corso incontro, afferrandolo per la cravatta e prendendolo selvaggiamente a pugni sul naso.

Io ero ancora intontito, seriamente, anche il mio senso del ridicolo ha un limite.

Pensieroso, mi diressi a recuperare la borsa con gli esplosivi e le mazze mentre Alex continuava a corcare di botte il nostro nuovo amico.

Quando tornai, Alex si stava fumando una sigaretta,mentre il tizio che aveva avuto la pessima idea di puntarci una pistola addosso poco prima era disteso di fronte a lui, con il naso spezzato.

«Allora, ce la facciamo una bella chiacchierata col nostro compare?» Dicevo, mentre estraevo una sedia e un paio di sgabelli pieghevoli dal nostro borsone dei giochi.

«Non saprei!» Alex sghignazzava «Probabilmente l'abbiamo rincoglionito troppo!»

«Ma lo sai, io sono un comunicatore, con tanta gentilezza gli farò dire quello che ci serve sapere...»

Alex, stavolta rise di gusto.


Assicurato il tizio-che-era-andato-ecc.-ecc. alla sedia, gli svuotai una bottiglietta d'acqua in faccia. Quello si riprese, e cominciò a mugugnare, probabilmente sentendo il dolore alle mani e al viso.

Io e Alex eravamo tranquillamente seduti di fronte a lui. Con la pistola in una mano, e la sigaretta nell'altra, gli introdussi tranquillamente la situazione.

«Salve! Io sono Roberto, per gli amici Rob, e questa simpatica canaglia seduta di fianco a me, che ti ha sfasciato la faccia, si chiama Alessandro, ma tu lo puoi chiamare Alex.»

Quello mi guardava con gli occhi sgranati. Perfettamente comprensibile.

«Ora, la situazione in breve è questa: abbiamo un gran bisogno di sapere chi è il figlio di puttana a capo della baracca, perchè sinceramente ci da davvero tanto tanto fastidio che i tuoi compari abbiano ricominciato a rompere i coglioni agli onesti cittadini e facciano girare certa robaccia per la nostra città. Dico io, non pensate ai bambini?» Gli chiedevo indignato.

Notai che si agitava parecchio per liberarsi dalle corde con cui l'avevamo legato. Che palle, odio davvero quando la gente non mi ascolta. Quindi gli sparai ad un piede, giusto per richiamare la sua attenzione. Quello lanciò un urlo e si ribaltò con tutta la sedia. Dio, che razza di fighetta.

Pazientemente, Alex si alzò e lo rimise a sedere.

Se non altro ora avevo la sua attenzione.

«Dai, davvero!» Gli sorridevo in modo amichevole «Se collabori, potrebbe anche venirci voglia di scaricarti davanti ad un ospedale quando ce ne andiamo!»

E lui mi fissava. Mi fissava con disprezzo, credo.

«Il capo...figuratevi se due stronzi come voi possono pensare di arrivare a lui!»

Alex, da dietro, lo afferrò con forza per i capelli, avvicinò il volto al suo orecchio e disse «Non sei nella posizione adatta a fare il figo, piasciasotto con la mira di merda.».

Lo spinse in avanti, e cadde con tutta la sedia ai miei piedi. L'impatto della sua faccia con  il terreno produsse un suono alquanto divertente.

«Dai Ale, così gli fai male. Tiralo su di nuovo, da bravo.» Il mio compagno afferrò lo schienale della sedia, e tirò di nuovo su il nostro interlocutore.

«Ora, mio buon amico, ti saresti potuto tranquillamente risparmiare quello che segue, se solo mi avessi ascoltato.»

Lentamente, senza fretta, mi alzai dallo sgabello, riposi la pistola nella fondina, mi aggiustai il cappotto, e diedi un calcio ai due sgabelli, lanciandoli lontano.

Alex sorrideva sornione, intuendo le mie intenzioni. Mi chinai sul borsone, frugai un po' all'interno, ed estrassi la nostra mazza da baseball in ferro preferita.

«Che dici, man, usiamo questa?» La sollevai, rigirandomela tra le mani.

Alex si avvicinò di nuovo al nostro sfortunato compagno di giochi. «Sei contento? Per te usiamo quella speciale, quella che riserviamo ai più rompicoglioni!»

Diedi un ultimo tiro alla sigaretta, la gettai, quindi mi avvicinai alla sedia. Mi chinai per guardare il nostro nuovo amico negli occhi. 

«Ora facciamo un gioco di resistenza. La vedi questa mazza? Ora, io e il mio amico qui ce la passeremo cantando "I'm singing in the rain" , cosa che fa molto Arancia Meccanica,  e te la sbatteremo addosso una volta a testa. È di ferro, quindi ti assicuro che fa MOLTO male, e di sicuro non si spezzerà prima delle tue ossa. Tu ci dai il nome che vogliamo, e noi ci fermiamo. Questa sera in particolare mi sento anche buono, quindi ti scaricherò effettivamente davanti ad un ospedale prendendomi anche la briga di sporcare la macchina del tuo sangue di merda. La domanda è: Quante ossa ti dovremo spaccare, prima che tu ti faccia furbo?»

Un espressione terrorizzata si dipinse sul suo volto. Sapeva benissimo che non stavo scherzando.

«I'm siinging in the raaaain...»

La presa ben salda, posizione solida, i muscoli delle braccia tesi. Presi un bel respiro e calai con forza la mazza sulla gamba destra. All'impatto seguì un fragoroso suono di ossa spezzate, lo stinco era andato. Lui cominciò ad urlare come un dannato.

Passai la mazza ad Alex, facendola roteare. Lui la afferrò ed eseguì un movimento rapido e violento sulla gamba sinistra. Ancora una volta, l'aria si riempì di urla.

Guardai Alex indispettito. Teneva la mazza sulla spalla e sorrideva.

«Beh?»

Mi guardò in modo beota «Che c'è adesso, man?»

«Canta, cazzo. Altrimenti non c'è gusto.»

«Sì, sì, come vuoi.... just singing in the rain.»

Sbuffai, innervosito. «Ma cristo, mai che fai le cose come concordiamo! Dai, passami la mazza...»

Lui, gentilmente, me la passò. E mentre caricavo un altro colpo venni interrotto da un nome.

«Franco LaRaga!Fermatevi, cazzo, fermatevi!!»

Abbassai l'arma.

«LaRaga? LaRaga? Ma chi quello stronzo che gestisce locali per fighetti?» Alex era stupefatto. Mi guardava in cerca di risposte. «Da quando una merda del genere si può permettere certe stronzate?»

«Credo sia una semplice questioni di soldi.» Tagliai corto. «Oggi con qualche milione fai il cazzo che ti pare.»

Mollai la mazza a terra e feci qualche passo verso l'uscita. «Dai, dai, mettiamo tutto apposto, buttiamo la spazzatura, e torniamocene a casa. Sono stanco morto, e domani ci tocca pure fare rapporto.»

Silenzio.

Poi sentii un sonoro schiocco di ossa che si spezzano. Mi girai per vedere il mio migliore amico che martoriava con la mazza il cranio dell'uomo che avevamo appena torturato. Lo colpiva a ritmo costante, con ferocia, sorridendo.

Mi avventai su di lui, spingendolo a terra.

«Ma che ti è preso, cretino, è morto!»

Ormai il cadavere aveva il cranio sfondato. Ovunque c'erano schizzi di sanuge e cervello.

«Da quando ti avventi sui cadaveri come un animale? E poi avevo detto di portarlo all'ospedale, cazzo!»

Lui non mi guardò. Aveva solo un aria infastidita sul volto.

«Mi stanno sul cazzo i tipi come quello. Era solo una merda qualunque, nessuno ne sentirà la mancanza.»

Non risposi. Non c'era nulla da fare.

Mi aggiustai il cappotto, e dissi:«Comincia a preparare le cariche esplosive, ce ne andiamo a casa. Cazzo, quanto sei idiota a volte.»

Poco dopo eravamo in macchina. Avevo il telecomando delle cariche in mano.

«Allora, lo premo il bottone?» premere il bottone mi divertiva un sacco, per il momento avevo deciso di ignorare l'atteggiamento idiota di Alex.

«Premi, premi, è una vita che non vedo i fuochi d'artificio!»

Un tocco. E diverse esplosioni minarono la stabilità dell'edificio, che crollò su se stesso seppellendo la gentaglia che avevamo ucciso quella sera. Queste sono le soddisfazioni della vita.

«Andiamo a casa.»

Misi in moto, e cominciammo il nostro viaggio di ritorno.

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