Edge Of Madness di Vikk711 (/viewuser.php?uid=96107)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro: Risveglio ***
Capitolo 2: *** La maschera della follia. ***
Capitolo 3: *** Friends. ***
Capitolo 4: *** Blood & Bullets ***
Capitolo 5: *** Singing In The Rain. ***
Capitolo 1 *** Intro: Risveglio ***
Aprii gli occhi.
Come ogni mattina la voglia di alzarmi era pari a zero, la
consapevolezza di vivere in un mondo di merda era onnipresente, la
certezza di una giornata fatta dalla solita assurda e malata routine
era assoluta.
Quella mattina in particolare, sapevo che sarebbe stata una giornata di
merda. L’avevo inteso quando, alzandomi, vidi il macello
assoluto nella mia stanza. Masse di vestiti sporchi, alcune delle quali
sembravano avere preso vita propria ed essere diventate esseri
senzienti, occupavano gran parte del pavimento. Sulla scrivania i fogli
sparsi dell’ennesimo “romanzo”
che provavo a scrivere (in quel periodo doveva
essere circa il ventesimo di troppi iniziati e mai finiti) e svariati
fumetti sparsi.
-Gesù, sono un disgraziato.-
Da anni mi ripetevo di fare ordine nel mio stile di vita, di
riorganizzarmi dentro e fuori, da anni, ogni mattina, mi rendevo conto
di essere uno sfaticato del cazzo.
Di buon cuore però.
In bagno, lo specchio rifletteva impietosamente la mia figura
trasandata, con quei capelli dissennati e le occhiaie vistosissime. Se
non altro mi ricordava che avevo avuto la costanza nella vita di
allenare il mio fisico,almeno quello.
Ma più per non finire sotto metri e metri di terra, che per
amor proprio.
Dopo la doccia, uscii dal bagno già completamente vestito,
con un bel paio di jeans e quella camicia nera che mi ero comprato un
paio di giorni fa, assolutamente impeccabili. Il contrasto tra il mio
gusto per il vestire e l’impossibilità di domare i
miei capelli sono sempre stati dei chiari segni che la mia vita
è un eterno contrasto, esattamente come il mio appartamento.
Appena entrati, c’è la spaziosa zona che per
comodità chiamo soggiornucina(Amo inventarmi parole),con
,sulla destra, la zona cucina e un tavolo dove stanno comodamente 4
persone. Sulla sinistra, di fianco all’entrata,
c’è la mia postazione dei sogni, con tutte le mie
consolle per videogiochi, un televisore enorme dotato di un impianto
audio di ultima generazione,con accanto un enorme libreria a 4 piani,
dove in ognuno di essi trova spazio una delle mie passioni.
Al primo piano abbiamo lo spazio film-serie tv.
Al secondo, la mia sterminata collezione di videogiochi.
Il terzo è ricolmo di romanzi, manuali e riviste varie.
Il quarto è interamente dedicato ai fumetti.
Si, sono uno strafottutissimo nerd.
Sulla parete opposta c’è il mio adorato divano,
con il mio portatile appoggiato sopra.
Il tutto è inondato dalla luce che entra dirompente dalla
porta finestra che da sul balcone, accanto alla cucina sulla parete
sinistra.
Tutto rigorosamente in ordine…
La mia tana, la parte di me che amo esporre al pubblico,
poiché da di me l’impressione di un tipo
affidabile e corretto.
Il bagno va da se che ho la decenza di tenerlo sempre pulito.
Non ho idea di cosa penserebbe la gente se la prima cosa che mostrassi
della mia casa fosse il delirio post-atomico della mia camera da letto,
che considero un luogo puramente accessorio.
A distrarmi dai miei pensieri nevrotici ci pensò lo scatto
della serratura della porta di casa, dalla quale entrò come
un profumo portato dal vento l’unica persona che mi fa
sentire apprezzato in questo mondo, mia sorella Serena.
-Hey bestiaccia, sono venuta a fare servizio
lavanderia.-
La amo, ha sempre fatto queste cose per me, semplicemente per partito
preso, mi ha accettato per il pigro disgraziato che sono, e mi aiuta in
quelle faccende domestiche per cui un uomo già è
negato geneticamente, figuratevi un uomo che non ha neanche voglia di
farsi il caffè appena alzato.
-Purrr (una delle mie assurde abitudini, fare le fusa
come un gatto), grazie sorella. Stasera prima di andare via dal
ristorante ci prendiamo due pizze, e le mangiamo qui?-
-Ma insomma!- sbuffò lei
- Non mi porti mai in un posto carino!-
Scoppiai a ridere -Suvvia, non sei mica la mia donna,
non dobbiamo fare la coppietta!-
Aprendo la porta della mia stanza, un espressione afflitta si dipinse
sul suo volto -Vai a lavorare che è meglio. E
fai buoni affari così il ristorante avrà sempre
clienti, ed entrambi avremo un posto di
lavoro…-
-Certo, certo…ma tanto lo sai che il vecchio
ci considera insostituibili!-
Uscii di casa, scesi le rampe di scale, aprii il portone e mi ritrovai
fuori. Inspirai profondamente la fresca brezza proveniente dal mare
poco distante. Mi avviai verso la mia macchina, parcheggiata nel vicolo
a destra del palazzo. Un piccolo spazio dove trovava riposo la mia
bambina, una Chevrolet Impala del ’67 costatami un occhio
della testa, delimitato dalle mura del palazzo e un piccolo muro di
cinta che chiudeva la via dove io e mia sorella abitavamo. Era un luogo
ideale per la macchina, nascosto dalle finestre dei palazzi della zona,
e dai relativi occhi indiscreti. A quanto pare quella notte vi aveva
trovato rifugio anche un senzatetto, rannicchiato in un angolo in fondo
al vicolo. Giusto per sincerarmi che non fosse morto, gli diedi una
scrollata.
-Sveglia amico, è mattino e il sole splende
alto!-
Lui sussultò ed emise un paio di gemiti confusi. Contento di
non aver trovato un cadavere sotto casa, gli augurai una buona giornata
e mi accinsi a salire in macchina. Salvo che la gente a volte
è proprio stronza, perché lo sentii grugnire le
seguenti parole.
-Hey fighetto…dammi…dammi qualche
spicciolo-
Già non amo che la gente si rivolga a me dandomi del
fighetto, ma il fatto che girandomi lo vidi alzarsi a fatica con un
coltello in mano mi fece un tantinello incazzare.
-Oh coraggio, non vorrai mica farmi cominciare male la
giornata vero?- gli dissi con malcelato nervosismo.
E si avvicinava, lentamente, con la verve di uno zombi. E io capisco
che normalmente questo basti per spaventare qualcuno, non è
bello vedere uno spostato che ti minaccia con un coltello, ok, ha i
riflessi di un ornitorinco, ma è pur sempre uno spostato che
ti minaccia con un coltello.
Purtroppo per lui, avere a che fare con queste cose di primo mattino mi
fece incazzare. E con assoluta nonchalance, estrassi un piccolo
coltello da lancio che tenevo nella fibbia della cintura. Il mio gesto
fu rapido e preciso, un ottimo gioco di polso e gomito, il coltello gli
si piantò esattamente tra le sopracciglia. E lui
morì così. COME UNA MERDA.
Sinceramente ho sempre odiato le operazioni di pulizia. E
così, imprecando, aprii il bagagliaio della macchina, e
sepolti sotto un paio di fucili trovai due di rotoli di sacchi di
plastica neri.
Ne presi uno, lo srotolai, staccai un sacco,e lo stesi di fianco al
cadavere. Tolsi il coltello dalla testa dello stronzo, gli distesi le
braccia lungo i fianchi, aggiustai la posizione delle gambe, ripresi il
sacco, e lo infilai dentro come si fa con un cuscino. Molto easy e
pulito. Ma neanche tanto, visto che erano rimaste alcune macchie di
sangue sull’asfalto.
"Beh, io non ho voglia di pulire, non se ne accorgerà
nessuno, credo. Spero."
E con quella speranza caricai la sacca sui sedili posteriori.
Salito in macchina mi si parò davanti una scelta complicata.
Quale Cd avrei messo quella mattina?
Scorsi i titoli: Tribe of force, S&M, L’armata del
metallo, Justice for all, waking the fallen, hypnotize…
Quella mattina decisi che il modo migliore di scaricare i nervi dopo
l’aggressione fosse perdermi nelle note
dell’orchestra sinfonica di San Francisco e dei Metallica,
pura poesia.
Fu così che tra le note di The ecstacy of gold e Master of
puppets arrivai al porto. Sul molo 14 tra i versi dei
gabbiani e l’infrangersi delle onde sulla banchina, Nico, un
signore sulla quarantina, pescava con una calma zen.
Scesi dalla macchina, e infilai gli occhiali da sole. Mi fermai a
guardare il mare leggermente increspato.
-Allora bestia, cosa hai combinato
stamattina?-
Parlava come un padre che chiede al figlio come sia andata a scuola.
-Mi dispiace disturbarla così presto, ma
questo tizio mi ha aggredito e ho avuto la mano…un
po’ pesante.-
Sorrise.
-Beh lasciami qui il carico e ci penso io a
smaltirlo.-
-La ringrazio.-
Dopo avergli consegnato il sacco,risalii in macchina, feci inversione, e guardai nello specchietto
retrovisore il signor Nico che caricava il corpo in spalla, per poi
lasciarlo sulla sua barca. Di lì a poco, sarebbe sparita
ogni traccia del tizio che avevo ucciso quella mattina.
Fischiettando, mi diressi al lavoro.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** La maschera della follia. ***
Dopo circa mezz'oretta di
viaggio
arrivai al ristorante.
Era situato proprio in cima
alla zona
collinare della città, un bellissimo edificio moderno
strutturato su
due piani, personalmente adoravo il design di quel posto.
Parcheggiai la macchina sul
retro, per
poi tornare all'entrata principale, e mi persi un attimo ad osservare
la mia bella città, visibile in tutta la sua estensione
grazie alla
posizione sopraelevata, quel piccolo angolo di mondo che mi impegnavo
a tenere pulito.
Entrato nel ristorante
apprezzai il
profumo dei pavimenti della sala appena lavati, mi spostai poi verso
la cucina, salutando lo Chef Marco (Oltre ad essere un ottimo cuoco
è
un artista nell'arte del tagliare gole) , impegnato a controllare la
fornitura di ingredienti appena arrivata, la caposala Maria Yang,
preziosissima vedova nera, per poi dirigermi nel mio ufficio sul
retro del locale, che avrei anche potuto raggiungere da dove avevo
lasciato la macchina, ma perchè perdere il piacere di
salutare i
miei amici e colleghi?
L'ufficio è
un'altra cosa che
considero puramente accessoria, ha giusto la sua bella finestra che
riempie la stanza di sole, come piace a me, e poi due scrivanie, una
dove controllo i documenti e un altra dove li accatasto senza alcuna
logica dopo averli letti.
Cominciai con le mansioni
all'ordine
del giorno:
Alcuni contratti per
pubblicità,
organizzazione di eventi e serate a tema.....
Valutai gli artisti che si
erano
proposti per suonare, i comici per le serate di cabaret, telefonai ad
un paio di agenzie pubblicitarie per la pubblicazione del calendario
degli eventi su alcuni manifesti...
Mi relazionavo, insomma.
E per quanto mi piacesse
avere a che
fare con artisti e gente piena di fantasia, ormai la mia mente odiava
quella noiosa normalità. Da quattro anni, del resto, la
nornalità
non era di casa al ristorante Buonviaggio.
Nel primo pomeriggio
arrivò
nientepopòdimeno che Dog, una delle guardie personali del
capo.
Una persona normale si
spaventerebbe a
vederselo piombare nell'ufficio, questo gigante di quasi due metri
muscolosissimo, dalla carnagione scura, taglio militare, vestito di
tutto punto in giacca nera e cravatta.
-Abbiamo un lavoretto extra
oggi, il
capo ti vuole vedere nel suo ufficio all'istante, Rob-
Mi si illuminarono gli
occhi.
-ODDIO SI'!-
Mi precipitai nell'ufficio
infondo al
corridoio, dove il capo, Don Vito Caneri, mi aspettava sorridendo.
Entrando vidi che ad
attendermi c'era
anche Alex, il mio migliore amico da una vita, nonchè il
miglior
parter che si possa avere nel nostro lavoro.
-Buongiorno capo, ciao
rottoinculo!-
Lo fissai sorridendo, in
attesa
dell'insulto di risposta, ma lui semplicemente mi mostrò il
dito
medio, rovinandomi il divertimento.
-Se hai finito con le
stronzate,
abbiamo un lavoro da fare.- Mi disse, freddo come il ghiaccio, anche
se sapevo che appena usciti dal ristorante ci saremmo pestati come
Brad Pitt ed Edward Norton in Fight Club.
Don Vito attaccò
a parlare, come si
parla dell'ultimo film che si ha visto.
-Ragazzi miei, abbiamo
già parlato di
quei minchioni arrivati da poco, che hanno mandato la loro gentaccia
in giro a chiedere offerte per la protezione ai negozianti, e a
quelli abbiamo già rotto il culo.-
Alex sorrise, quello fu
davvero un
pomeriggio divertente.
-Ma- continuò il
Don -Quegli stronzi a
quanto pare non capiscono il messaggio nemmeno quando gli lasci i
loro uomini a pezzi sotto casa, e adesso si vogliono allargare.-
-Ooooh, ma che sorpresa.-
dissi, con un
espressione da oscar.
-Tua sorella, Rob, ha
saputo dai nostri
informatori che quelli aspettano una grossa partita di cocaina al
porto, stanotte verso l'una. Noi nella nostra bella città
non
vogliamo quelle schifezze. Sapeta già cosa fare no?-
Io e Alex ci guardammo.
-RICERCA, PULIZIA E
KA-BOOM.-
-Questi sono i miei
ragazzi. Andate e
divertitevi.-
Nel magazzino delle
armi,uno dei posti
che amo di più al mondo, io e Alex sostenemmo una
conversazione che
trascendeva il tempo e lo spazio.
-Ale.-
-Eh.-
-Chupa. Ma se una marmotta
facesse
legna, quanta legna farebbe in un giorno una marmotta?-
-Come mai questo improvviso
non-sense?-
-Così, a random,
non sapevo che dire.-
-Ma sei proprio una merda!-
-E tu una merda che caga
merda, ecco.-
E così,
riempiendoci di insulti e
dando aria alla bocca, preparavamo tutto l'occorrente per la missione
di quella sera. Io ovviamente non rinunciavo mai alla mia coppia di
9mm semiautomatiche, il giubotto antiproiettile che mi dava
sicurezza, e un paio di granate da sganciare nelle situazioni troppo
affollate.
Alex, dal canto suo, si
affidava ai
suoi tamarrissimi UZI, e proprio perchè amava farsi del
male, come
fuoco secondario teneva un fucile a pompa.
Del resto, eravamo un
chirurgo e una
bestia.
Indossati i nostri
cosìddetti
"Cappottoni Stile Matrix Fighi in Modo Assurdo" che non
avevano nessuna utilità se non svolazzare in modo
coreografico
durante le sparatorie e coprire le fondine con le armi, ci dirigemmo
verso la macchina.
-Guido io?- Alex mi
guardava sapendo di
aver detto una bestemmia.
-Guarda che ho ucciso per
molto meno.-
-Lo so. Certo che sei
stronzo ad
ammazzare i barboni a random. Poi vai all'inferno.-
-Ma basta cazzate. A parte
che mi ha
minacciato con un coltello- Dissi in tono drammatico- E poi quando
tiriamo le cuoia non diventiamo altro che concime per fiori.-
-Lo sai che se uno ti
minaccia basta
che gli tiri due mazzate e lo lasci nel primo cassonetto che trovi. E
sento odore di cazzata con questa storia del concime.- Ossì,
lo
sapeva benissimo.
-Si, ma mi fa salire la
scimmia essere
minacciato di prima mattina. E comunque, se sei stato una brava
persona, diventi una rosa, perchè se son rose roseranno,
altrimenti
di venti un caco e...-
-ZITTO. Non te la lascio
neanche finire
questa battuta di merda.-
Appoggiò
l'attrezzatura sul sedile
posteriore, e si sedette al posto del passeggero.
Affranto, telefonai
all'unica persona
che apprezzava le mie battute di merda, come le definiva Alex.
Il telefono
squillò un paio di volte e
mia sorelle mi rispose con la voce di chi aveva appena sostenuto una
guerra batteriologica.
-Tu non puoi essere
così carino fuori
e lurido e lercio nel privato. Sei come un cioccolatino alla merda.-
-Così mi ferisci
sorellina. Senti,
volevo solo dirti che io e Alex siamo in missione, quindi non so per
che ora mi sbrigherò stanotte.-
La sua voce si fece
più dolce.
-Mi dispiace di non essere
riuscita a
trovare l'orario dello scambio.-
-Tranquilla, stiamo in
appostamento
fino a quando non siamo sicuri che siano arrivati, facciamo saltare
qualche testa, e torniamo a casa.-
-Cerca di non farti male,
sciocco. Ti
voglio bene. E comunque ti aspetto.-
-Non ti preoccupare, so
fare il mio
lavoro. Ti voglio bene anch'io.-
Salii in macchina
sospirando,
determinato a non morire proprio quel giorno.
-Hai telefonato alla
sorellina? Le hai
detto che le vuoi tanto tanto bene?- Mi sfotteva Alex.
-Almeno io ho qualcuno.-
Smise di fare il simpatico
e cambiò
discorso.
-Allora, cosa ascoltiamo
oggi?-
-Direi di andare di System
of a Down.
Toxicity per la precisione.-
-Oh, yes. Stanotte ci
divertiamo.-
Così, con la
musica a palla, e
tentando di imitare malamente Serj Tankian io, e una chitarra
elettrica lui, ci dirigemmo verso il porto, con addosso quel
disgustoso ma eccitante dubbio di non sapere se saremmo tornati a
casa.Ormai era il nostro terzo compagno. |
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Friends. ***
La zona del vecchio porto
era situata
nella periferia est della città. Gli edifici di stoccaggio
delle
merci scaricate dalle navi erano ormai abbandonati da una ventina
d'anni, anche il capo, nei suoi anni ruggenti da criminale incallito,
quando la famiglia Caneri era potente e temuta, li aveva utiliazzati
per i suoi traffici.
Da quando era iniziata la
nostra opera
di pulizia, eravamo capitati in quella zona diverse volte, in quanto
evidentemente, faceva un sacco figo nella malavita fare scambi
illeciti in grossi edifici abbandonati.
Il problema è
che la zona è
fottutamente grande.
Non l'avrei mai ammesso di
fronte ad
Alex, che stava lì come un pollo cercando di captare qualche
dialogo
tra mafiosi con il microfono direzionale, ma mi ero perso.
Ero afflitto e smaronato.
-Sono afflitto e
smaronato.- Esordì
lui.
-Ti stimo, stavo pensando
la stessa
cosa.-
Procedevo con l'auto a
passo d'uomo,
una sofferenza per il motore da urlo della mia piccina. Più
che
altro, ero preoccupato dal fatto che da quando l'avevo zittito Alex
non aveva spiaccicato una parola se non per parlare della missione.
-Ale?
-Eh.
-Sei arrabbiato per come ti
ho risposto
prima?
-Fondamentalmente no. Anche
perchè hai
ragione, sono geloso del rapporto che hai con tua sorella.
-Non intendevo certo
quello, ma abbiamo
i nostri motivi per essere così uniti. E poi c'è
la famiglia del
Buonvì, no?
-Si, ho capito- nelle sue
parole
sentivo una forte sensazione di rimorso – ma solo voi due
avete un
legame così profondo. Insomma, siete fratello e sorella, vi
comportate quasi come fidanzati, ci siete sempre l'uno per l'altra e
sempre ci sarete.
Svoltai a destra, senza
sapere dove
diavolo stavo andando.
-Fidati, non vorresti
passare quello
che abbiamo passato noi. Tu hai ancora tante libertà, per
esempio te
la intendi parecchio con quella Francesca del bar no?
-Oh ecco! Sapessi quella
che goduria
quando me la sono trombata! Praticamente dopo che abbiamo cominciato
le ho...
E poi ho anche il coraggio
di chiedermi
perchè non si è mai trovato una donna seria.
Sempre con il chiodo
fisso del sesso.
-Tu Rob, piuttosto- Mi
fissava- Hai
avuto delle donne no?
Stavolta toccava a me
diventare
evasivo.
-Si Ale, sticazzi, una emo,
una zoccola
che è finita a vendere il culo per andare in discoteca e una
depressa cronica.
-Eddai, quelle sono storia
vecchia! Mi
vuoi far credere che da quando sono morti i vostri genitori
nè tu nè
serena vi siete visti con qualcuno?
-Ci hai preso in pieno.-
Quel discorso
mi dava il nervoso, cominciai a picchiettare le dita sul volante -
Non sono mai riuscito a trovare una persona che fosse sulla mia
stessa lunghezza d'onda. Beh, devo ammettere che trovare una ragazza
con le nostre passioni da nerd, che conosca a memoria tutte le
puntate di Supernatural e che sia disposta a guardarsi tutto Lost con
me, sorvolando nel frattempo il fatto che mi guadagno da vivere
ammazzando la gente, non sia una cosa semplice.
Alex rise.
-Vedi, te lo dico sempre,
devi
accontentarti di una scopata ogni tanto.
-Mi fa schifo solo l'idea,
e poi
comunque con chi starebbe mia sorella?
-Hey a che servono gli
amici?
Staccai la mano dal cambio
e gli
sferrai un cazzotto sul petto, da fargli mancare il fiato.
-Hak....ma sei stronzo
forte allora!
-Certo, mi vuoi bene per
questo!
Dopo ancora un paio d'ore,
in cui solo
Dio sa quanta cazzo di benzina ho consumato, avevamo rilevato una
fonte sonora proveniente dal fabbricato di fronte al vecchio molo 1,
nella zona nord-ovest.
-Ma che, ne ammazzano un
altro?
Alex era sconcertato,
avevamo contato
15 voci diverse e tre spari. A quanto pare quella gente non aveva
deciso come spartirsi i guadagni dalla vendita di droga, quindi tra
un insulto e l'altro si sparavano addosso tra di loro.
-Questo non va bene- mi
lamentai – Se
quegli stronzi si ammazzano l'un l'altro noi come ci divertiamo?
-Sono proprio delle
fighette...non
hanno un quarto dell'onore che avevano il Don, Vincent, Tano e Dog ai
loro tempi....
-Quella si che era gente
che ti faceva
offerte che non potevi rifiutare, altrimenti ti facevano certe scarpe
di cemento.... Miiiiinghia.
Scoppiammo a ridere.
Poi finalmente, il momento
tanto
atteso.
-Macchina a ore 9.
L'ospite della serata era
arrivato.
Iniziava la festa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Blood & Bullets ***
Il furgone di un corriere
espresso,probabilmente usato per non destare sospetti,
spuntò dalla
strada che passava tra i magazzini 14 e 15, per poi proseguire ancora
dritto per quella che costeggiava il 2 e l'1, dove si trovavano i
nostri obbiettivi.
Mettemmo via il microfono direzionale,
Alex recuperò il C4 dal cruscotto della macchina e la borsa
con gli
strumenti da interrogatorio dal sedile posteriore.
Uscimmo e ci dirigemmo velocemente
all'incrocio tra i 4 capannoni, lui seguì il percorso del
furgone
appena passato, io prseguii tra il capannone 1 e 14, dirigendomi
verso la parete esterna del primo.
Alla mia sinistra, si stagliava la
costa. La fredda brezza notturna non calmava l'adrenalina che aveva
cominciato a scorrermi nelle vene.
Estrassi la pistola dalla fondina
sinistra, La impugnai saldamente con due mani, e percorsi velocemente
la parete ovest dell'edificio.
Arrivato all'angolo mi
inginocchiai,
schiena al muro.
Inspirai profondamente l'aria di mare.
Le mie mani smisero di tremare... Feci scivolare lentamente l'indice
della mano destra sul grilletto, la mia impugnatura si fece
più
salda, sentii chiaramente il freddo del metallo che stringevo.
Quella notte avrei mandato un po' di
gente cattiva all'inferno.
Diedi un occhiata oltre mia
copertura.
Il furgone nero era Fermo davanti alla
serracinesca del fabbricato, alzata abbastanza da far passare delle
persone di statura media. A piantonare l'entrata, due tizi armati di
carabina che, da bravi coglioni, stavano a guardare la trattativa
all'interno
Mi lanciai verso l'entrata.
La mia corsa destò subito l'attenzione
dei due tizi, Ma ancora prima che potessero tendere le armi verso di
me, risuonarono le deflagrazioni dei proiettili.
Il primo lo colpii al cuore, il
secondo, avendo tempo di aggiustare la mira tra uno sparo e l'altro,
lo presi dritto in mezzo agli occhi.
Mentre la strada dietro di lui si
chiazzava della sua materia celebrale, la sua caduta mi rivelava la
figura di Alex, che si dirigeva come me verso l'entrata.
Ovviamente il rumore degli
spari aveva
attirato un altro uomo fuori dall'edificio che, sfortunatamente per
lui, si voltò verso il mio compagno.
Mi dispiace che non abbia fatto in
tempo a salutare il suo tratto intestinale.
Nel giro di un secondo venne proiettato
verso di me dalla forza del colpo del fucile di Alex, scavato come
una zucca ad Halloween.
«Buonasera!» Lo salutai cordialmente,
mentre scavalcavo il suo corpo martoriato.
Lasciai la pistola con la
mano sinitra
e estrassi la seconda dalla fondina destra, quindi entrai
nell'edificio a seguito del mio partner.
Il nostro era un metodo rozzo ma
efficace.
Alex procedeva con una raffica a
ventaglio con i suoi mitragliatori, in modo da uccidere, o quanto
meno ferire chi non era abbastanza rapido da trovare una copertura.
Piccoli spruzzi di sangue uscivano dai corpi di chi stava concludendo
la trattativa al centro del locale. Era uno spazio
rettangolare, sovrastato circondato da
una passerella sopraelevata sorretta da spesse colonne di metallo.
accessibile dalla rampa di scale alla mia sinista, appena di fianco
all'entrata. Dopo aver sistemato due tizi in fondo alla stanza con un
paio di colpi ben assestati, urlai
«Io salgo, tu tieni quelli a sinistra,
io ti copro le spalle da sopra!»
«Ricevuto, io ricarico.» Mi
rispose, facendo scattare le sicure dei caricatori degli Uzi, per poi
ripararsi dietro una colonna alla sua destra.
Mi lanciai sulla rampa,
composta da
ampi gradini di ferro.
Un gradino, tre, cinque, poi mi si parò
davanti un grosso tizio che imbracciava quello che sembrava un
fottuto M16.
Nella mia mente si formò l'immagine di
un oggetto falliforme di esclusivo appannaggio maschile, che espressi
ad alta voce nella sua forma volgare.
«CAZZO!»
Schivai per un pelo la raffica, che
fece tintinnare i gradini, buttandomi verso il corrimano. Lanciai
verticalmente la pistola che tenevo nella mano sinistra e mi appesi
con tute le mie forze alla sbarra per non ribaltarmi oltre.
Fui un lampo. Drogato
dall'adrenalina,
chiusi un occhio e presi la mira con la pistola nella mano destra. Il
proiettile seguì una traiettoria lineare dalla canna della
pistola
ai testicoli del bastardo che aveva tentato di ridurmi ad un
colabrodo. Essi decorarono con una macchia degna del test di
Roscharch l'angolo di parete su cui dava l'uscita della scala.
Ripreso l'equilibrio, riafferrai al volo la pistola da cui mi ero
separato,e corsi su per le scale, scaricandogli i caricatori addosso,
mentre quello cercava inutilmente con le mani i gioielli persi.
Non contento, un paio di gradini prima
della fine della rampa mi diedi la spinta per saltare e assestargli
una poderosa ginocchiata sotto il mento. Questo lo spinse
violentemente contro il muro retrostante, andando a produrre un
armonioso "CRACK" quando vi entrò in contatto con la
testa. Il fucile del bestione andò a sbattere con il calcio
sulla
parete sinistra, innescando una scarica che colpì al torace
un altro
tizio che stava accorrendo per farmi la pelle.
Che culo, dovevo pure ricaricare.
Rischiare di morire mi
rende nervoso, e
rimasi un attimo imbambolato.
Ma le bestemmie in aramaico antico di
Alex mi fecero rinsavire. In effetti l'avevo lasciato sotto in mezzo
a due fuochi. Buttai un occhiata e lo vidi che sparava all'impazzata
dove poteva, trattenendo tutta la sala sotto copertura, ma appena
doveva ricaricare si trovava sotto una grandinata di piombo.
Riparandomi dietro i pannelli che
impedivano di cadere dalla passerella, cambiai velocemente i
caricatori delle pistole.
«Prendili, Ti copro!» Diedi il via
libera al mio compagno
«Era ora cazzo!»
Mi sporsi e capii che quelli dietro di
lui erano troppi per tenerli a bada tutti insieme. Sparai diversi
colpi lungo tutta l'ala d'estra dell'edificio, e mentre i bastardi si
riparavano innescai due granate che lanciai verso il centro,
arrivando poi di rimbalzo all'obbiettivo.
Non fecero in tempo ad accorgersi degli
odigni che le loro urla vennero coperte dalle esplosioni. Esse
causarono un violento spostamento d'aria, e deformarono le colonne
che reggevano la passerella dalla parte opposta della stanza. Ancora
una volta dovetti reggermi per sostenere le vibrazioni e non cadere
di sotto.
Dopodichè, il
silenzio.Scesi.
«AAAAAALEEEE TUTTO BEEEEEENE?» Urlai
poco convinto, mentre mi guardavo intorno.
Una voce soddisfatta mi rassicurò
«Tutto bene, tutto bene.»
Aveva la faccia di una persona in pace
col mondo, e procedeva verso di me a grandi passi.
Dietro di lui vedevo allargarsi una
grossa pozza di sangue. I cadaveri erano nascosti da delle casse di
legno che avevano offerto una blanda copertura alla sua furia.
Sorrideva sornione, e sinceramente non avevo voglia di vedere come
aveva ridotto quei corpi.
«Non ne è rimasto vivo neanche uno?»
Chiesi ad Alex
«Neanche uno. Mi sono fatto prendere
un po' la mano, mi dispiace.»
«Non è un problema.» Conclusi.
Certo, ci sarebbe servito per ottenere qualche informazione su chi
stava a capo della baracca, ma erano tutte informazioni che avremo
potuto reperire facilmente più avanti.
«Direi di far saltare tutto e
andarcene a casa, che ne dici?»
Alex annuì «Nulla in contrario, ma
della roba che ne facciamo?»
Mi voltai.
Al centro della stanza, su un carrello
per il trasporto dei pacchi, c'erano almeno venti chili di droga.
Ovviamente la regola era sempre la
solita.
«Si brucia tutto, senza eccezioni. Lo
sai come la pensa il capo.»
Neanche il tempo di finire la frase,
che dal nulla partì uno sparo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Singing In The Rain. ***
Il
proiettile si piantò
nella parete opposta all'entrata dell'edificio.
«CHI
CAZZO SIETE VOI?»
Ci
voltammo verso
l'entrata. Dal nulla era comparso un tizio sulla trentina, classico
sgherro della mafia, vestito di tutto punto con i capelli tirati
all'indietro.
Ci
puntava malamente
contro una pistola, tremando come una foglia, con l'espressione
terrorizzata di chi ha appena visto il demonio.
Del
resto oramai l'interno
del magazzino non era un bello spettacolo, con quella composizione di
cadaveri sparsi qua e là. Per non parlare poi delle Macchie
di
sangue decorative che campeggiavano sulle pareti, della passerella
superiore cadente, delle colonne di ferro piegate.
Lo
fissai, divertito, e
gli chiesi con finto stupore
«Cioè,
fammi capire, tu
dove sei stato mentre ammazzavamo i tuoi compagni? Eri a
pisciare?»
Quello,
scortesemente, ci
sparò di nuovo addosso, mancandoci tutte le volte.
«Qui
sono io che faccio
le domande,stronzi! Gettate le armi!» Non amo essere
insultato senza
motivo. Scambiai un gesto di intesa col mio collega, e lentamente
infilai le mani nel cappotto per recuperare le pistole.
«Ok,
man. Hai vito tu,
sei tu il grande capo, adesso ti consegnamo le armi e facciamo finta
che non sia successo nulla, va bene?» Dicevo, con tono
rassicurante.
Mentre
estraevo e poggiavo
lentamente a terra le pistole, il mio buon compare Alex produsse uno
degli starnuti più inopportuni della storia
dell'umanità. Stordito
dall'assurdità della situazione, ci misi un attimo a
realizzare che
il suo gesto aveva attirato l'attenzione del
tizio-che-era-andato-a-pisciare, che ora puntava la pistola contro di
lui. Al che semplicemente puntai l'arma, e premetti il grilletto un
paio di volte. Vidi chiaramente le dita del nostro interlocutore
saltare via, lo sentii urlare. Solo che non riuscivo veramente a
farci caso, perchè davvero, era la situazione più
cretina in cui mi
fossi trovato nell'arco di una vita.
Intanto
il mio compagno
gli era corso incontro, afferrandolo per la cravatta e prendendolo
selvaggiamente a pugni sul naso.
Io ero
ancora intontito,
seriamente, anche il mio senso del ridicolo ha un limite.
Pensieroso,
mi diressi a
recuperare la borsa con gli esplosivi e le mazze mentre Alex
continuava a corcare di botte il nostro nuovo amico.
Quando
tornai, Alex si
stava fumando una sigaretta,mentre il tizio che aveva avuto la
pessima idea di puntarci una pistola addosso poco prima era disteso
di fronte a lui, con il naso spezzato.
«Allora,
ce la facciamo
una bella chiacchierata col nostro compare?» Dicevo, mentre
estraevo
una sedia e un paio di sgabelli pieghevoli dal nostro borsone dei
giochi.
«Non
saprei!» Alex
sghignazzava «Probabilmente l'abbiamo rincoglionito
troppo!»
«Ma
lo sai, io sono un
comunicatore, con tanta gentilezza gli farò dire quello che
ci serve
sapere...»
Alex,
stavolta rise di
gusto.
Assicurato
il
tizio-che-era-andato-ecc.-ecc. alla sedia, gli svuotai una
bottiglietta d'acqua in faccia. Quello si riprese, e
cominciò a
mugugnare, probabilmente sentendo il dolore alle mani e al viso.
Io e
Alex eravamo
tranquillamente seduti di fronte a lui. Con la pistola in una mano, e
la sigaretta nell'altra, gli introdussi tranquillamente la
situazione.
«Salve!
Io sono Roberto,
per gli amici Rob, e questa simpatica canaglia seduta di fianco a me,
che ti ha sfasciato la faccia, si chiama Alessandro, ma tu lo puoi
chiamare Alex.»
Quello
mi guardava con gli
occhi sgranati. Perfettamente comprensibile.
«Ora,
la situazione in
breve è questa: abbiamo un gran bisogno di sapere chi
è il figlio
di puttana a capo della baracca, perchè sinceramente ci da
davvero
tanto tanto fastidio che i tuoi compari abbiano ricominciato a
rompere i coglioni agli onesti cittadini e facciano girare certa
robaccia per la nostra città. Dico io, non pensate ai
bambini?» Gli
chiedevo indignato.
Notai
che si agitava
parecchio per liberarsi dalle corde con cui l'avevamo legato. Che
palle, odio davvero quando la gente non mi ascolta. Quindi gli sparai
ad un piede, giusto per richiamare la sua attenzione. Quello
lanciò
un urlo e si ribaltò con tutta la sedia. Dio, che razza di
fighetta.
Pazientemente,
Alex si
alzò e lo rimise a sedere.
Se non
altro ora avevo la
sua attenzione.
«Dai,
davvero!» Gli
sorridevo in modo amichevole «Se collabori, potrebbe anche
venirci
voglia di scaricarti davanti ad un ospedale quando ce ne
andiamo!»
E lui
mi fissava. Mi
fissava con disprezzo, credo.
«Il
capo...figuratevi se
due stronzi come voi possono pensare di arrivare a lui!»
Alex,
da dietro, lo
afferrò con forza per i capelli, avvicinò
il volto al suo orecchio e disse «Non sei nella posizione
adatta a fare il figo, piasciasotto con la mira di merda.».
Lo spinse in avanti, e cadde con tutta la sedia
ai miei piedi. L'impatto della sua faccia con il terreno
produsse un suono alquanto divertente.
«Dai Ale, così gli fai
male. Tiralo su di nuovo, da bravo.» Il mio compagno
afferrò lo schienale della sedia, e tirò di nuovo
su il nostro interlocutore.
«Ora, mio buon amico, ti saresti
potuto tranquillamente risparmiare quello che segue, se solo mi avessi
ascoltato.»
Lentamente, senza fretta, mi alzai dallo
sgabello, riposi la pistola nella fondina, mi aggiustai il cappotto, e
diedi un calcio ai due sgabelli, lanciandoli lontano.
Alex sorrideva sornione, intuendo le mie
intenzioni. Mi chinai sul borsone, frugai un po' all'interno, ed
estrassi la nostra mazza da baseball in ferro preferita.
«Che dici, man, usiamo
questa?» La sollevai, rigirandomela tra le mani.
Alex si avvicinò di nuovo al nostro
sfortunato compagno di giochi. «Sei contento? Per te usiamo
quella speciale, quella che riserviamo ai più
rompicoglioni!»
Diedi un ultimo tiro alla sigaretta, la gettai,
quindi mi avvicinai alla sedia. Mi chinai per guardare il nostro nuovo
amico negli occhi.
«Ora facciamo un gioco di resistenza.
La vedi questa mazza? Ora, io e il mio amico qui ce la passeremo
cantando "I'm singing in the rain" , cosa che fa molto Arancia
Meccanica, e te la sbatteremo addosso una volta a testa.
È di ferro, quindi ti assicuro che fa MOLTO male, e di
sicuro non si spezzerà prima delle tue ossa. Tu ci dai il
nome che vogliamo, e noi ci fermiamo. Questa sera in particolare mi
sento anche buono, quindi ti scaricherò effettivamente
davanti ad un ospedale prendendomi anche la briga di sporcare la
macchina del tuo sangue di merda. La domanda è: Quante ossa
ti dovremo spaccare, prima che tu ti faccia furbo?»
Un espressione terrorizzata si dipinse sul suo
volto. Sapeva benissimo che non stavo scherzando.
«I'm siinging in the
raaaain...»
La presa ben salda, posizione solida, i muscoli
delle braccia tesi. Presi un bel respiro e calai con forza la mazza
sulla gamba destra. All'impatto seguì un fragoroso suono di
ossa spezzate, lo stinco era andato. Lui cominciò ad urlare
come un dannato.
Passai la mazza ad Alex, facendola roteare. Lui
la afferrò ed eseguì un movimento rapido e
violento sulla gamba sinistra. Ancora una volta, l'aria si
riempì di urla.
Guardai Alex indispettito. Teneva la mazza
sulla spalla e sorrideva.
«Beh?»
Mi guardò in modo beota
«Che c'è adesso, man?»
«Canta, cazzo. Altrimenti non
c'è gusto.»
«Sì, sì, come
vuoi.... just singing in the rain.»
Sbuffai, innervosito. «Ma cristo, mai
che fai le cose come concordiamo! Dai, passami la mazza...»
Lui, gentilmente, me la passò. E
mentre caricavo un altro colpo venni interrotto da un nome.
«Franco LaRaga!Fermatevi, cazzo,
fermatevi!!»
Abbassai l'arma.
«LaRaga? LaRaga? Ma chi quello
stronzo che gestisce locali per fighetti?» Alex era
stupefatto. Mi guardava in cerca di risposte. «Da quando una
merda del genere si può permettere certe
stronzate?»
«Credo sia una semplice questioni di
soldi.» Tagliai corto. «Oggi con qualche milione
fai il cazzo che ti pare.»
Mollai la mazza a terra e feci qualche passo
verso l'uscita. «Dai, dai, mettiamo tutto apposto, buttiamo
la spazzatura, e torniamocene a casa. Sono stanco morto, e domani ci
tocca pure fare rapporto.»
Silenzio.
Poi sentii un sonoro schiocco di ossa che si
spezzano. Mi girai per vedere il mio migliore amico che martoriava con
la mazza il cranio dell'uomo che avevamo appena torturato. Lo colpiva a
ritmo costante, con ferocia, sorridendo.
Mi avventai su di lui, spingendolo a terra.
«Ma che ti è preso,
cretino, è morto!»
Ormai il cadavere aveva il cranio sfondato.
Ovunque c'erano schizzi di sanuge e cervello.
«Da quando ti avventi sui cadaveri
come un animale? E poi avevo detto di portarlo all'ospedale,
cazzo!»
Lui non mi guardò. Aveva solo un
aria infastidita sul volto.
«Mi stanno sul cazzo i tipi come
quello. Era solo una merda qualunque, nessuno ne sentirà la
mancanza.»
Non risposi. Non c'era nulla da fare.
Mi aggiustai il cappotto, e
dissi:«Comincia a preparare le cariche esplosive, ce ne
andiamo a casa. Cazzo, quanto sei idiota a volte.»
Poco dopo eravamo in macchina. Avevo il
telecomando delle cariche in mano.
«Allora, lo premo il
bottone?» premere il bottone mi divertiva un sacco, per il
momento avevo deciso di ignorare l'atteggiamento idiota di Alex.
«Premi, premi, è una vita
che non vedo i fuochi d'artificio!»
Un tocco. E diverse esplosioni minarono la
stabilità dell'edificio, che crollò su se stesso
seppellendo la gentaglia che avevamo ucciso quella sera. Queste sono le
soddisfazioni della vita.
«Andiamo a casa.»
Misi in moto, e cominciammo il nostro viaggio
di ritorno.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=560850
|